CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 23 marzo 2017
789.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-09469 Marcon: Riconoscimento dell'accredito figurativo, a fini pensionistici, per il servizio militare agli obiettori di coscienza condannati a periodi di detenzione in ragione della loro obiezione.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Il presente atto parlamentare concerne il riconoscimento dell'accredito figurativo, a fini pensionistici, per il servizio militare agli obiettori di coscienza condannati a periodi di detenzione in ragione della loro obiezione.
  A riguardo faccio presente che, con la sentenza n. 27556 del 30 dicembre 2016, la Corte di Cassazione ha definito un giudizio su un caso analogo a quello rappresentato nel presente atto parlamentare. Tale giudizio riguarda, infatti, la vicenda di un cittadino che – avendo rifiutato per motivi di coscienza lo svolgimento del servizio militare di leva e non avendo presentato domanda per il servizio civile sostitutivo – è stato detenuto nelle carceri militari. Il cittadino ha successivamente chiesto all'Inps l'accredito della contribuzione figurativa per «servizio militare» relativamente al periodo in cui era detenuto.
  La Corte di Cassazione ha stabilito il principio generale secondo cui il rifiuto di indossare la divisa e di sottoporsi alla disciplina militare, impedisce la costituzione di un rapporto di servizio «effettivo» che solo consente di operare la parificazione fittizia del servizio militare allo svolgimento di un'attività lavorativa e l'accredito dei contributi figurativi per il servizio prestato. L'aggettivo «effettivo» suppone, infatti, una relazione funzionale – tra soggetto obbligato e Amministrazione – che implica la partecipazione del medesimo al conseguimento dei fini pubblici, previo il suo inserimento nell'apparato organico dell'ente.
  Un'eccezione a tale principio è prevista dalla legge n. 772 del 1972 (successivamente modificata dalla legge n. 695 del 1974 e poi abrogata dal decreto legislativo n. 66 del 2010), dove all'articolo 12 è previsto che «Coloro che, anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, siano stati imputati o condannati per reati militari determinati da obiezioni di coscienza, possono, entro trenta giorni dalla data stessa, presentare la domanda, dichiarando di assoggettarsi alla prestazione del servizio militare non armato o del servizio sostitutivo civile [...]». Il comma 4 del medesimo articolo 12 prevedeva inoltre che «In caso di accoglimento della domanda cessano gli effetti penali delle sentenze di condanna già pronunciate, anche se divenute irrevocabili. Il tempo trascorso in stato di detenzione sarà computato in diminuzione della durata prescritta per il servizio militare non armato o per il servizio sostitutivo civile».
  Sul punto, la Suprema Corte ha precisato che il periodo di detenzione avrebbe potuto essere considerato come equivalente al servizio militare effettivo solo nel caso in cui il soggetto avesse presentato regolare domanda per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e la stessa fosse stata accolta.
  La Cassazione ha ritenuto, invece, «diversa e non comparabile» la posizione di chi, pur adducendo gli stessi motivi di coscienza – come nel caso citato dall'onorevole Marcon – rifiuti totalmente in tempo di pace il servizio militare di leva ed insieme ogni tipo di servizio militare, anche non armato, ed ogni servizio alternativo civile, così dimostrando avversione ai doveri di solidarietà sociale di cui all'articolo 2 della Costituzione. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, non può Pag. 102ritenersi costituito nella fattispecie un rapporto di servizio effettivo che, nelle varie forme di servizio militare (armato, non armato o civile sostitutivo), comporta per l'interessato la totale destinazione delle proprie energie ai compiti rispettivamente attribuitigli.
  Pertanto, alla luce dell'interpretazione fornita dalla Suprema Corte, non è possibile, in casi analoghi a quelli citati nel presente atto parlamentare, riconoscere i contributi figurativi previsti per l'assolvimento del servizio militare o delle sue forme sostitutive.

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ALLEGATO 2

5-10623 Baruffi: Procedure di licenziamento di lavoratori della filiale di Carpi del gruppo Argenta Spa.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento all'atto parlamentare degli Onorevoli Baruffi e Ghizzoni, inerente le procedure di licenziamento di lavoratori della filiale di Carpi del gruppo Argenta Spa, passo ad illustrare gli elementi informativi acquisiti dall'ispettorato territoriale competente.
  La società Gruppo Argenta Spa ha sede legale a Reggio Emilia e diverse unità locali ubicate sul territorio nazionale, tra cui la sede di Carpi (Modena). L'attività esercitata consiste nel commercio al dettaglio effettuato per mezzo di distributori automatici.
  La sede di Carpi è una sede operativa della società che provvede alla distribuzione del prodotto in alcune province dell'Emilia Romagna, in particolare Reggio Emilia e Modena, fino al confine con la provincia di Mantova.
  L'Ispettorato provinciale ha riferito che fino allo scorso 10 marzo nello stabile di Carpi era operativo un call center che gestiva per l'intero Gruppo le chiamate dei clienti, provenienti da tutto il territorio nazionale, relative al malfunzionamento delle macchinette o al loro rifornimento.
  Allo stesso modo, fino alla predetta data del 10 marzo scorso lo stabile di Carpi ospitava nei propri uffici la sede amministrativa del Gruppo Argenta. Il totale dei lavoratori impiegati nel call center e nell'ufficio amministrativo era di 28 unità.
  Successivamente lo scorso 13 marzo, a seguito di un sopralluogo effettuato presso la predetta sede di Carpi dagli ispettori dell'ispettorato provinciale si è potuto constatare che da tale data al suo interno non operano più i lavoratori addetti all'ufficio amministrativo e al call center.
  Dalle informazioni raccolte, risulta che, dal 13 marzo scorso, ventiquattro lavoratori occupati in amministrazione e nel call center sono stati formalmente trasferiti presso la sede della società di Peschiera Borromeo, in provincia di Milano.
  Dalle verifiche effettuate, non risulta attivata dalla società una procedura di mobilità, né risultano ancora i comunicati al centro per l'impiego i trasferimenti dei ventiquattro lavoratori interessati.
  Dalle notizie acquisite sulla vicenda dalle organizzazioni sindacali, risulta che solo due dei ventiquattro lavoratori per i quali è stato richiesto il trasferimento presso la sede di Peschiera Borromeo abbiano accettato il trasferimento, mentre per gli altri lavoratori sono in corso delle trattative sindacali.
  Per i restanti quattro lavoratori, tutti impiegati nell'attività di call center, la società in data 10 febbraio 2017 ha comunicato al centro per l'impiego la cessazione del rapporto di lavoro dalla medesima data con la causale del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
  Dalle informazioni acquisite, faccio presente che due dei lavoratori licenziati erano stati assunti presso la sede di Carpi a marzo 2016 con contratti di lavoro a tempo determinato, trasformati a tempo indeterminato nel corso del 2016; il terzo lavoratore era stato assunto presso la sede di Carpi sempre con contratto a tempo determinato a febbraio 2015 e trasformato a tempo indeterminato in data 1o ottobre 2015. Il quarto lavoratore licenziato era Pag. 104stato assunto presso la sede di Carpi a luglio del 2015 con contratto di lavoro a tempo determinato, prima prorogato e poi trasformato a tempo indeterminato dalla data del 1o dicembre 2015.
  Ad oggi, non risulta attivata presso gli Uffici dell'ispettorato provinciale di Modena l'offerta di conciliazione di cui all'articolo 6 del decreto legislativo n. 23 del 2015 che disciplina il regime di tutela dei licenziamenti nei casi di contratti a tutele crescenti.
  La notizia ufficiale della decisione di trasferire i due uffici a Peschiera Borromeo (Milano) sarebbe stata comunicata ai lavoratori presenti a Roma a febbraio 2017, all'incontro annuale sull'andamento complessivo della società, alla presenza delle tre sigle sindacali CGIL, CISL e UIL.
  Fermo restando la possibilità di effettuare ulteriori accertamenti di competenza e di adottare gli eventuali provvedimenti conseguenti all'esito delle verifiche, posso assicurare la massima attenzione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla vicenda dichiarando fin d'ora la disponibilità ad espletare il tentativo di mediazione di competenza qualora dovesse essere avviata una procedura di rilevo nazionale.
  Infine, voglio sottolineare che l'applicazione delle norme sul licenziamento collettivo presuppongono che il datore di lavoro abbia l'intenzione di effettuare almeno cinque licenziamenti in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia e, comunque, che le disposizioni sul licenziamento collettivo si applicano a tutti i licenziamenti che nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito siano comunque riconducibili alle medesime esigenze organizzative produttive.

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ALLEGATO 3

5-10321 Albanella: Recupero da parte dell'INPS di quota dei trattamenti di fine servizio erogati in relazione al riconoscimento dell'indennità corrisposta, ai sensi dell'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1979, al personale universitario che presta servizio presso strutture sanitarie convenzionate, anche se gestiti direttamente dalle università.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento all'atto parlamentare di sindacato ispettivo dell'Onorevole Albanella – inerente il recupero da parte dell'INPS di quota dei trattamenti di fine servizio erogati al personale universitario del Policlinico di Messina, passo ad illustrare gli elementi informativi acquisiti presso l'INPS.
  L'indennità perequativa prevista dall'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1976 è stata ritenuta valutabile ai fini pensionistici e previdenziali in favore di «tutto il personale universitario senza distinzione nell'ambito dei vari profili professionali ed aree di appartenenza», a seguito di un parere favorevole espresso dal Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero del Tesoro.
  Tuttavia, la giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione, sin dal 1997, si è consolidata nel senso di ritenere che in tema di trattamento di fine servizio non sussista una corrispondenza necessaria tra emolumenti percepiti in costanza di servizio ed emolumenti utili ai fini del computo della prestazione previdenziale.
  Ciò posto, l'Inps ha precisato di essere tenuto esclusivamente a verificare se l'indennità perequativa in questione rientri o meno nella base di computo della prestazione previdenziale.
  Più in particolare, l'istituto ha valutato se:
   a) l'attribuzione al dipendente dell'indennità in parola è riconosciuta in base a una disposizione normativa;
   b) l'indennità costituisca parte integrante ed essenziale dello stipendio del dipendente, e ciò alla luce della circostanza che, nel regime del trattamento di fine servizio, le voci da considerare utili sono solamente quelle connesse esclusivamente alla qualifica di appartenenza.

  Tali requisiti, secondo l'INPS, non possono essere riscontrati nell'indennità in argomento.
  Sul punto, peraltro, la Corte di Cassazione, sez. lavoro, con sentenza n. 1156 del 2014, ha chiarito che la valutabilità ai fini previdenziali della indennità di cui trattasi si porrebbe in aperto contrasto con l'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973, nonché con la consolidata giurisprudenza, la quale esclude che ai fini dell'indennità di buonuscita possano essere computati emolumenti diversi da quelli ivi tassativamente indicati, tra i quali non è ricompresa la indennità di cui trattasi.
  Inoltre l'istituto ha precisato di non aver operato in contrasto con le intervenute statuizioni giudiziali, in quanto dalla lettura delle sentenze che hanno interessato i dipendenti universitari infatti, si evince che tali contenziosi risultano promossi dai lavoratori esclusivamente nei confronti del proprio datore di lavoro.
  Dunque, tali statuizioni sono efficaci solo nei confronti delle parti e non obbligano in alcun modo i terzi estranei al giudizio, quale risulta essere l'INPS.Pag. 106
  A sostegno del legittimo operato della propria sede di Messina, l'INPS ha evidenziato che – secondo consolidata giurisprudenza amministrativa in materia di indebito previdenziale – il recupero di somme indebitamente erogate dalla pubblica amministrazione ai propri dipendenti è un atto doveroso, in quanto correlato al raggiungimento di quelle finalità di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate.
  In conclusione, secondo l'istituto, il decorso del termine decadenziale previsto dall'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 non preclude la possibilità di agire in via di autotutela in presenza di atti illegittimi ab origine in quanto emanati in assenza dei presupposti giuridici ed economici previsti dalla normativa in materia, con il conseguente recupero delle somme pubbliche indebitamente erogate.
  Nel caso di specie, pertanto, l'INPS ritiene legittimo l'operato della sede di Messina in coerenza con l'orientamento dell'istituto, in quanto la predetta sede non ha posto in essere mere rettifiche di provvedimenti, bensì di doverosi annullamenti d'ufficio.

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ALLEGATO 4

5-10680 Cominardi: Orari di lavoro del personale medico e sanitario.

TESTO DELLA RISPOSTA

  «Con riferimento all'atto parlamentare degli Onorevoli Cominardi e altri – inerente alla disciplina in materia di orario di lavoro del personale medico e sanitario – passo ad illustrare quanto segue.
  Come è noto, la carenza del personale sanitario, registratasi negli ultimi anni per effetto dei vincoli assunzionali, ha comportato per le aziende sanitarie notevoli difficoltà nell'organizzazione dei servizi e nell'erogazione delle prestazioni.
  Tale problematica ha assunto connotati più rilevanti a seguito dell'entrata in vigore della nuova disciplina sull'orario di lavoro applicabile al personale delle aree dirigenziali e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale in virtù delle modifiche introdotte dall'articolo 14 della legge n. 161 del 2014 (Legge europea 2013-bis). Tale disposizione normativa, in particolare, ha disposto l'abrogazione – a decorrere dal 25 novembre 2015 – delle norme che stabilivano la disapplicazione, nei confronti del personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale delle disposizioni in materia di durata massima dell'orario di lavoro e di riposo giornaliero.
  In siffatto contesto, con la legge di stabilità per il 2016, sono state introdotte specifiche misure volte a favorire un processo straordinario di assunzioni nel Servizio sanitario nazionale al fine di assicurare, attraverso una più efficiente allocazione delle risorse umane, la continuità nell'erogazione dei servizi sanitari e dei livelli essenziali di assistenza, anche nel rispetto delle disposizioni europee in materia di articolazione dell'orario di lavoro.
  In particolare, l'articolo 1, commi 541 e seguenti, della legge n. 208 del 2015 ha disposto che le regioni definiscono i propri fabbisogni di personale tenendo conto della cornice finanziaria programmata e delle disposizioni vigenti in materia di costo del personale, facendo riferimento a tutte le professionalità sanitarie per le quali abbiano rilevato effettive esigenze assunzionali. Qualora, sulla base del piano del fabbisogno del personale, emergano criticità, gli enti del Servizio sanitario nazionale possono indire – entro il 31 dicembre 2017, e concludere entro il 31 dicembre 2018 – procedure concorsuali straordinarie per l'assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico. Nell'ambito delle medesime procedure concorsuali, gli enti del Servizio sanitario nazionale possono riservare i posti disponibili, nella misura massima del 50 per cento, al personale medico, tecnico professionale e infermieristico in servizio al 1o gennaio 2016, che abbia maturato alla data di pubblicazione del bando almeno tre anni, anche non continuativi, negli ultimi cinque anni con contratti a tempo determinato, con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) o con altre forme di rapporto di lavoro flessibile con i medesimi enti.
  Nello specifico, la valutazione dei fabbisogni di personale definiti dalle regioni è stata demandata dal legislatore al Tavolo di verifica degli adempimenti, al Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, nonché al Tavolo per il monitoraggio dell'attuazione del regolamento di cui al decreto del Ministro della salute n. 70 del 2015.
  Occorre inoltre evidenziare che la Commissione europea ha richiesto al nostro Paese nuovi elementi informativi al fine di conoscere l'attuazione sul territorio Pag. 108italiano delle norme europee sull'orario di lavoro del personale sanitario. Al riguardo, dalle informazioni acquisite dal Ministero della salute, è emerso che le regioni hanno provveduto ad adottare atti di indirizzo finalizzati ad assicurare l'uniforme attuazione sul territorio di riferimento delle prescrizioni previste dalla normativa europea e da quella nazionale di recepimento.
  Con riferimento all'ultimo quesito formulato dagli interroganti, faccio presente che il Ministero che rappresento – con interpello n. 31 del 2007 – ha precisato che, in caso di interruzione del riposo giornaliero o settimanale per prestazioni da rendere in regime di reperibilità, lo stesso periodo di riposo decorre «nuovamente dalla cessazione della prestazione lavorativa, rimanendo escluso il computo delle ore già eventualmente fruite».
  Occorre inoltre evidenziare che l'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo n. 66 del 2003 – nella sua nuova formulazione introdotta dal decreto-legge n. 112 del 2008 – ha previsto, tra l'altro, che il principio della consecutività delle undici ore di riposo giornaliero possa essere derogato dai contratti collettivi nazionali di lavoro mentre, per il settore privato, in assenza di specifiche disposizioni nei contratti collettivi nazionali, le deroghe possano essere stabilite mediante contratti collettivi territoriali o aziendali. L'unica condizione – posta dal comma 4 del predetto articolo 17 – è che le eventuali deroghe debbano comunque prevedere «periodi equivalenti di riposo compensativo» o, comunque, una protezione appropriata. Tali riposi compensativi – come peraltro evidenziato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella sentenza del 9 settembre 2003 (causa C-151/02) – «devono essere immediatamente successivi all'orario di lavoro che sono intesi a compensare, al fine di evitare uno stato di fatica o sovraccarico del lavoratore dovuti all'accumulo di periodi di lavoro consecutivi».
  In linea con quanto stabilito dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 66 del 2003, e con specifico riferimento al personale del Servizio sanitario nazionale l'articolo 14, comma 3, della legge n. 161 del 2014 ha stabilito che le deroghe alle disposizioni in materia di riposo giornaliero sono disciplinate dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto sanità. Tali contratti devono altresì prevedere equivalenti periodi di riposo compensativo, immediatamente successivi al periodo di lavoro da compensare, ovvero, nei casi in cui ciò non sia oggettivamente possibile, adeguate misure di protezione del personale stesso.