CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 22 marzo 2017
788.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Agricoltura (XIII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Risoluzioni 7-01081 Zanin, 7-01141 L'Abbate e 7-01190 Russo: Interventi a favore del settore pataticolo.

PROPOSTA DI RISOLUZIONE UNITARIA

  La XIII Commissione,
   premesso che:
    in Italia la patata costituisce la produzione orticola più diffusa e importante dopo il pomodoro, con circa 50.000 pataticoltori, un investimento di circa 55/60.000 ettari, una produzione di circa 1,5/1,6 milioni di tonnellate, una produzione lorda vendibile di circa 700/800 milioni di euro per le patate da consumo e circa 100 milioni di euro per le patate da industria;
    la diffusione della coltivazione in tutte le regioni d'Italia consente la raccolta e la disponibilità per il consumo di prodotto fresco per circa 9 mesi l'anno, mentre nel resto d'Europa la raccolta si esaurisce in due mesi;
    la coltivazione ha un elevato costo di produzione, oltre 8.000,00 euro ad ettaro, che in Sicilia raggiunge 10-11.000 euro, per il costo del seme, la preparazione del terreno, nuove tecniche di irrigazione per ridurre il consumo idrico: la patata una coltivazione efficiente e sostenibile rispetto ad altre che necessitano di maggiori apporti idrici e per l'elevata professionalità e specializzazione dei pataticoltori che applicano tecniche agronomiche e di prodotto con un elevato tasso di innovazione, che consente una segmentazione dell'offerta tra il mercato fresco e quello della trasformazione industriale;
    il consumo di patate in Italia si attesta intorno a 2,2/2,3 milioni di tonnellate all'anno, soddisfatto oltre che con la produzione nazionale, con un'importazione di circa 700.000 tonnellate di patate da consumo fresco è di circa 150.000 tonnellate di patate destinate all'industria, a prezzi molto variabili da un anno all'altro, in relazione agli investimenti effettuati nei Paesi fornitori; la dipendenza dalle importazioni può influire, spesso negativamente, sulla capacità di programmazione degli operatori nazionali, con prezzi all'origine più bassi per i coltivatori;
    il settore della patata, fino alla riforma della politica agricola comune (regolamento dell'Unione europea 1308/2013), è stato l'unico comparto produttivo non regolamentato da una specifica organizzazione comune di mercato, e quindi non ha beneficiato di alcun sostegno comunitario; per evitare crisi di mercato gli Stati membri sono intervenuti con aiuti nazionali, in Italia, fin dal 1988, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha utilizzato risorse nazionali per avviare due interventi strategici per il mercato della patata;
    l'accordo interprofessionale per le patate destinate alla trasformazione industriale e lo stoccaggio privato per il prodotto, destinato al mercato del fresco, utile a dilazionare l'immissione del prodotto sul mercato; questi due interventi hanno consentito di diversificare gli investimenti nel corso degli anni e di mantenere in equilibrio il mercato, salvaguardando il reddito degli operatori del settore;
    in particolare, l'accordo interprofessionale per l'industria, concordato e sottoscritto dalle parti con continuità dal 1988 fino al 2015, ha permesso di aumentare Pag. 199il rifornimento delle industrie con patate italiane da 47.000 tonnellate fino a 200.000 tonnellate nel 2011; la riduzione delle importazioni dall'estero ha determinato un notevole risparmio per la nostra bilancia commerciale, oltre ad un significativo incremento di reddito per i pataticoltori italiani; la crescita del settore ha permesso di specializzare alcune aree del Paese verso una pataticoltura da industria (Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio, Abruzzo, Calabria), limitando le importazioni ai periodi di minore produzione nazionale (gennaio-marzo);
    tutto ciò è stato possibile con interventi mediamente di 6 milioni di euro l'anno, che rappresentavano appena lo 0,8 per cento della produzione lorda vendibile del settore stimata in 1 miliardo di euro; con il regolamento del Consiglio dell'Unione europea n. 1182/2007, di riforma del settore ortofrutticolo, fu deciso che gli interventi nazionali dovevano cessare al 31 dicembre 2011;
    a partire dal 2012 la patata non ha pertanto più beneficiato di alcun aiuto pubblico con l'eccezione del 2014 dove, utilizzando l'ultimo anno di applicazione dell'articolo 68 del regolamento dell'Unione europea n. 73/2009, è stato possibile aiutare il comparto con circa 3 milioni di euro destinati a sostenere la trasformazione industriale e la denominazione di origine protetta e indicazione geografica protette della patata;
    la coltivazione della patata ha dato un rilevante contributo socio-economico a tutte le regioni italiane, in particolare alle regioni meridionali e alle aree marginali e di montagna, dove la pataticoltura garantisce il mantenimento del tessuto economico e dell'occupazione; diventa pertanto strategico salvaguardare questa specificità, minacciata dall'assenza di una strategia di intervento a favore del settore;
    una politica forte a favore della pataticoltura italiana può consentire la diffusione della coltura nelle aree interne e di montagna, dove maggiore è il rischio di abbandono delle terre, permettendo così la crescita e il rilancio dei territori e delle economie locali;
    ancora limitato è il numero degli ettari coltivati a patata biologica, sia per la produzione di tuberi da consumo sia per quella di tuberi seme. Il metodo di produzione biologico, se adottato, potrebbe garantire un elevato valore aggiunto al prodotto, considerata la crescente richiesta, in ambito nazionale e comunitario, di patata «da agricoltura biologica»;
    è necessario, tuttavia, mettere in atto progetti di sperimentazione nei diversi areali di coltivazione per mettere a punto la migliore tecnica agronomica adatta al metodo biologico di coltivazione, nonché progetti di ricerca per individuare le migliori varietà confacenti a tale metodo,

impegna il Governo:

  ad attivare urgentemente le azioni previste dal piano nazionale per il settore pataticolo finanziato sin dal 2012 con circa 3 milioni di euro, in particolare nelle seguenti aree di intervento:
   a) lotta alle principali problematiche fitosanitarie della patata (elateridi, tignola della patata, epitrix specie di nuova introduzione, nematodi a cisti); fisiopatie (maculatura ferruginea);
   b) sviluppo di uno specifico progetto di ricerca genetica della patata e verifica dei risultati attraverso la realizzazione di campi sperimentali;
   c) adozione di iniziative volte a promuovere e incentivare l'adozione, da parte degli operatori, di innovazioni tecnologiche nella gestione agronomica della coltura capaci di aumentare le rese, la redditività e la sostenibilità di una produzione di altissima qualità attraverso la validazione scientifica (prove sperimentali) ed aziendale (prove dimostrative);
   d) attivazione di programmi colturali dedicati alla produzione di tubero-seme nazionale;Pag. 200
   e) adozione di azioni specifiche per la tracciabilità dell'origine della patata con l'impiego della tecnica degli isotopi;
   f) avvio di un programma di informazione al consumatore in materia di sicurezza alimentare, anche con metodo biologico;
   g) sviluppo di progetti di ricerca per l'individuazione degli itinerari tecnici più adatti e delle varietà più appropriate alla coltivazione della patata con metodo biologico;

  a proporre, in occasione della riforma di medio termine della politica agricola comune, l'inserimento della patata nella lista dei prodotti che possono beneficiare di aiuti accoppiati sulla base dell'articolo 52 del regolamento dell'Unione europea n. 1307/2013, così come già previsto dall'articolo 68 del regolamento dell'Unione europea n. 73/2009;

  ad assumere iniziative per rafforzare i rapporti di filiera attraverso il riconoscimento di A.O.P. nazionali previste dal regolamento dell'Unione europea n. 1308/2013;

  a promuovere, nelle sedi opportune, il rinnovo della convenzione con l'Osservatorio economico della patata;

  a costituire un osservatorio economico nazionale della patata che, attraverso l'analisi degli andamenti produttivi in Europa e in Italia, sia in grado di fornire agli operatori del settore utili elementi per definire al meglio le strategie commerciali;

  a sviluppare un programma di studio e di ricerca con l'obiettivo di assicurare ai consumatori la sicurezza alimentare dei prodotti derivanti dai processi di trasformazione della patata, con particolare riferimento alla produzione di acrilamide che si sviluppa nell'ambito dei medesimi anche allo scopo di evidenziare che tale produzione risulta molto ridotta per le patate novelle fresche.

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ALLEGATO 2

Risoluzioni 7-01081 Zanin, 7-01141 L'Abbate e 7-01190 Russo: Interventi a favore del settore pataticolo.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

  La XIII Commissione,
   premesso che:
    in Italia la patata costituisce la produzione orticola più diffusa e importante dopo il pomodoro, con circa 50.000 pataticoltori, un investimento di circa 55/60.000 ettari, una produzione di circa 1,5/1,6 milioni di tonnellate, una produzione lorda vendibile di circa 700/800 milioni di euro per le patate da consumo e circa 100 milioni di euro per le patate da industria;
    la diffusione della coltivazione in tutte le regioni d'Italia consente la raccolta e la disponibilità per il consumo di prodotto fresco per circa 9 mesi l'anno, mentre nel resto d'Europa la raccolta si esaurisce in due mesi;
    la coltivazione ha un elevato costo di produzione, oltre 8.000,00 euro ad ettaro, che in Sicilia raggiunge 10-11.000 euro, per il costo del seme, la preparazione del terreno, nuove tecniche di irrigazione per ridurre il consumo idrico: la patata una coltivazione efficiente e sostenibile rispetto ad altre che necessitano di maggiori apporti idrici e per l'elevata professionalità e specializzazione dei pataticoltori che applicano tecniche agronomiche e di prodotto con un elevato tasso di innovazione, che consente una segmentazione dell'offerta tra il mercato fresco e quello della trasformazione industriale;
    il consumo di patate in Italia si attesta intorno a 2,2/2,3 milioni di tonnellate all'anno, soddisfatto oltre che con la produzione nazionale, con un'importazione di circa 700.000 tonnellate di patate da consumo fresco è di circa 150.000 tonnellate di patate destinate all'industria, a prezzi molto variabili da un anno all'altro, in relazione agli investimenti effettuati nei Paesi fornitori; la dipendenza dalle importazioni può influire, spesso negativamente, sulla capacità di programmazione degli operatori nazionali, con prezzi all'origine più bassi per i coltivatori;
    nel settore della patata, per evitare crisi di mercato gli Stati membri sono intervenuti con aiuti nazionali; in Italia, fin dal 1988, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha utilizzato risorse nazionali per avviare due interventi strategici per il mercato della patata;
    l'accordo interprofessionale per le patate destinate alla trasformazione industriale e lo stoccaggio privato per il prodotto, destinato al mercato del fresco, utile a dilazionare l'immissione del prodotto sul mercato; questi due interventi hanno consentito di diversificare gli investimenti nel corso degli anni e di mantenere in equilibrio il mercato, salvaguardando il reddito degli operatori del settore;
    in particolare, l'accordo interprofessionale per l'industria, concordato e sottoscritto dalle parti con continuità dal 1988 fino al 2015, ha permesso di aumentare il rifornimento delle industrie con patate italiane da 47.000 tonnellate fino a 200.000 tonnellate nel 2011; la riduzione delle importazioni dall'estero ha determinato un notevole risparmio per la nostra bilancia commerciale, oltre ad un significativo Pag. 202incremento di reddito per i pataticoltori italiani; la crescita del settore ha permesso di specializzare alcune aree del Paese verso una pataticoltura da industria (Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio, Abruzzo, Calabria), limitando le importazioni ai periodi di minore produzione nazionale (gennaio-marzo);
    tutto ciò è stato possibile con interventi mediamente di 6 milioni di euro l'anno, che rappresentavano appena lo 0,8 per cento della produzione lorda vendibile del settore stimata in 1 miliardo di euro; con il regolamento del Consiglio dell'Unione europea n. 1182/2007, di riforma del settore ortofrutticolo, fu deciso che gli interventi nazionali dovevano cessare al 31 dicembre 2011;
    a partire dal 2012 la patata non ha più beneficiato di alcun aiuto pubblico con l'eccezione del 2014 dove, il comparto è stato aiutato con circa 3 milioni di euro destinati a sostenere la trasformazione industriale e la denominazione di origine protetta e indicazione geografica protette della patata, di cui si è tenuto conto, ai sensi dell'articolo 26, paragrafo 6, del Regolamento (UE) n. 1307/2013, anche nella determinazione dei diritti all'aiuto PAC 2015/2020;
    la coltivazione della patata ha dato un rilevante contributo socio-economico a tutte le regioni italiane, in particolare alle regioni meridionali e alle aree marginali e di montagna, dove la pataticoltura garantisce il mantenimento del tessuto economico e dell'occupazione; diventa pertanto strategico salvaguardare questa specificità, minacciata dall'assenza di una strategia di intervento a favore del settore;
    una politica forte a favore della pataticoltura italiana può consentire la diffusione della coltura nelle aree interne e di montagna, dove maggiore è il rischio di abbandono delle terre, permettendo così la crescita e il rilancio dei territori e delle economie locali;
    ancora limitato è il numero degli ettari coltivati a patata biologica, sia per la produzione di tuberi da consumo sia per quella di tuberi seme. Il metodo di produzione biologico, se adottato, potrebbe garantire un elevato valore aggiunto al prodotto, considerata la crescente richiesta, in ambito nazionale e comunitario, di patata «da agricoltura biologica»;
    è necessario, tuttavia, mettere in atto progetti di sperimentazione nei diversi areali di coltivazione per mettere a punto la migliore tecnica agronomica adatta al metodo biologico di coltivazione, nonché progetti di ricerca per individuare le migliori varietà confacenti a tale metodo;

impegna il Governo:

  ad attivare urgentemente le azioni previste dal piano nazionale per il settore pataticolo finanziato sin dal 2012 con circa 3 milioni di euro, in particolare nelle seguenti aree di intervento:
   a) lotta alle principali problematiche fitosanitarie della patata (elateridi, tignola della patata, epitrix specie di nuova introduzione, nematodi a cisti); fisiopatie (maculatura ferruginea);
   b) sviluppo di uno specifico progetto di ricerca genetica della patata e verifica dei risultati attraverso la realizzazione di campi sperimentali compatibilmente con le risorse disponibili annualmente;
   c) adozione di iniziative volte a promuovere e incentivare l'adozione, da parte degli operatori, di innovazioni tecnologiche nella gestione agronomica della coltura capaci di aumentare le rese, la redditività e la sostenibilità di una produzione di altissima qualità attraverso la validazione scientifica (prove sperimentali) ed aziendale (prove dimostrative);
   d) attivazione di programmi colturali dedicati alla produzione di tubero-seme nazionale;
   e) adozione di azioni specifiche per la tracciabilità dell'origine della patata con l'impiego della tecnica degli isotopi;Pag. 203
   f) avvio di un programma di informazione al consumatore in materia di sicurezza alimentare, anche con metodo biologico;
   g) sviluppo di progetti di ricerca per l'individuazione degli itinerari tecnici più adatti e delle varietà più appropriate alla coltivazione della patata con metodo biologico;

  a proporre, in occasione della riforma di medio termine della politica agricola comune, l'inserimento della patata nella lista dei prodotti che possono beneficiare di aiuti accoppiati sulla base dell'articolo 52 del regolamento dell'Unione europea n. 1307/2013, così come già previsto dall'articolo 68 del regolamento dell'Unione europea n. 73/2009;

  ad assumere iniziative per rafforzare i rapporti di filiera attraverso il riconoscimento di A.O.P. nazionali previste dal regolamento dell'Unione europea n. 1308/2013;

  a promuovere, nelle sedi opportune, il rinnovo della convenzione con l'Osservatorio economico della patata;

  a costituire un osservatorio economico nazionale della patata che, attraverso l'analisi degli andamenti produttivi in Europa e in Italia, sia in grado di fornire agli operatori del settore utili elementi per definire al meglio le strategie commerciali;

  a definire un programma di studio e ricerca relativo allo sviluppo di possibili sostanze, quali l'acrilamide, nella fase di trasformazione delle patate.
(8-00223) «Zanin, L'Abbate, Russo, Sani, Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Benedetti, Massimiliano Bernini, Capozzolo, Carra, Cova, Cuomo, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Gagnarli, Gallinella, Lavagno, Lupo, Marrocu, Mongiello, Palma, Parentela, Placido, Prina, Romanini, Taricco, Terrosi, Venittelli, Zaccagnini».

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ALLEGATO 3

Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394 e ulteriori disposizioni in materia di aree protette (Nuovo testo C. 4144, approvata in un testo unificato dal Senato, e abb.)

PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

  La XIII Commissione Agricoltura,
   esaminata, per i profili di competenza, la proposta di legge recante Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e ulteriori disposizioni in materia di aree protette (C. 4144, come risultante dagli emendamenti approvati in sede referente);
   apprezzati, in via generale, i contenuti dell'articolato che interviene, con un innovativo complesso di misure, a favorire la tutela e la conservazione delle aree naturali protette;
   rilevato con favore che l'articolo 5, comma 1, lettera b), punti 1) e 2), modificando l'articolo 12 della legge n. 394 del 1991, integra i contenuti disciplinati dal Piano del parco, finalizzandoli al perseguimento della tutela dei valori naturali ed ambientali nonché storici, culturali, antropologici tradizionali affidata all'Ente parco ed includendovi, tra l'altro, iniziative atte a favorire, nel rispetto delle finalità del parco, lo sviluppo economico e sociale delle collettività residenti all'interno del parco e nei territori adiacenti, il mantenimento e il recupero degli ecosistemi e delle caratteristiche del paesaggio, delle attività agro-silvo-pastorali tradizionali direttamente connesse alla conservazione di specie selvatiche ed habitat naturali, la promozione dell'agricoltura biologica e biodinamica, rispettando quanto previsto dalla normativa vigente in tema di uso sostenibile di prodotti fitosanitari nelle aree naturali protette, in attuazione della direttiva 2009/128/CE;
   considerato con favore che l'articolo 5, comma 1, lettera b), punto 7), capoverso 2-ter, stabilisce che il Piano del parco possa prevedere, tra l'altro, contratti di collaborazione e convenzioni con le aziende agricole singole o associate presenti nel territorio del parco, in linea con gli articoli 14 e 15 del decreto legislativo n. 228 del 2001; servizi di carattere turistico-naturalistico da gestire in proprio o da concedere in gestione a terzi mediante atti di concessione sulla base di specifiche convenzioni; l'agevolazione o la promozione, anche in forma cooperativa, di attività agro-silvo-pastorali tradizionali direttamente connesse alla conservazione di specie selvatiche o habitat naturali;
   valutato con favore che la richiamata disposizione preveda che il piano promuova anche strategie di sviluppo socioeconomico funzionali alla loro primaria finalità di conservazione delle risorse naturali, di assetto del territorio, di preservazione dal consumo di suolo e di rinaturalizzazione di spazi, di valorizzazione del patrimonio naturalistico e di sostegno al sistema economico, culturale e paesaggistico locale, quali, a titolo puramente esemplificativo, quelle delle energie rinnovabili compatibili, dell'agricoltura e del turismo sostenibili, della mobilità leggera e alternativa (nuovo comma 1-bis dell'articolo 12 legge n. 394 del 1991);
   preso altresì atto con favore che l'articolo 8, al comma 1-duodecies, consente all'ente di gestione dell'area protetta Pag. 205di concedere, anche a titolo oneroso, il proprio marchio di qualità a servizi e prodotti locali che soddisfino requisiti di qualità, di ecocompatibilità, di sostenibilità ambientale e di tipicità territoriale;
   a tale riguardo, ritenuto altresì opportuno prevedere che il Governo, con proprio regolamento, istituisca un marchio nazionale dei prodotti dei parchi, conferendo priorità alle produzioni biologiche di queste aree;
   osservato che l'articolo 5 modifica in più punti gli articoli 11 e 12 della legge n. 394 del 1991, stabilendo, tra l'altro, che il piano per il parco rechi altresì l'indicazione di aree contigue ed esterne rispetto al territorio del parco naturale, aventi finalità di zona di transizione, individuate d'intesa con la regione e stabilendo che: «in ragione della peculiare valenza e destinazione funzionale dell'area contigua, in essa l'attività venatoria è regolamentata dall'Ente parco, sentiti la regione e l'ambito territoriale di caccia competenti, acquisito il parere dell'ISPRA, e può essere esercitata solo dai soggetti residenti nel parco o nelle aree contigue. Per esigenze connesse alla conservazione del patrimonio faunistico, l'Ente parco, sentiti la regione e gli ambiti territoriali di caccia interessati, acquisito il parere dell'ISPRA, può disporre, per particolari specie di animali, divieti e prescrizioni riguardanti le modalità e i tempi della caccia. Tali divieti e prescrizioni sono recepiti dai calendari venatori regionali e provinciali e la loro violazione è punita con le sanzioni previste dalla legislazione venatoria»;
   rilevato che il medesimo articolo 5, al comma 1, lettera f), con riferimento alle sole aree protette regionali, dispone che il regolamento per l'area protetta regionale contenga, ove necessarie per assicurare la conservazione dei valori dell'area protetta, le eventuali misure di disciplina dell'attività venatoria, previa acquisizione del parere dell'ISPRA, della pesca, delle attività estrattive e per la tutela dell'ambiente relative alle aree contigue ed esterne al territorio dell'area protetta;
   ricordato che l'articolo 32 della legge n. 394 del 1991, nel testo vigente, dispone, tra l'altro, che le aree contigue alle aree protette siano delimitate da confini determinati dalle regioni sul cui territorio si trova l'area naturale protetta, d'intesa con l'organismo di gestione dell'area protetta medesima e che i piani e i programmi di disciplina della caccia al loro interno siano stabiliti anch'essi dalle regioni, d'intesa con gli organismi di gestione delle aree protette;
   rilevato che le richiamate modifiche proposte alla normativa vigente rischiano di introdurre regolamentazioni dell'attività venatoria difformi nell'ambito dello stesso territorio regionale anche con la coesistenza, nel caso di più aree protette nell'ambito della stessa regione, di altrettante aree contigue ciascuna con la propria specifica disciplina sul prelievo venatorio;
   ricordato peraltro che il quadro normativo vigente in materia di attività venatoria – fondato sulla legge-quadro 11 febbraio 1992, n.157, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, in attuazione della direttiva 2009/147/CE, c.d. «direttiva uccelli» – affida, anche in ossequio al riparto delle competenze costituzionalmente definite, ampie competenze alle regioni che dispongono di appositi strumenti di pianificazione e di controllo;
   osservato che tale attribuzione di competenze alle regioni è altresì finalizzata ad evitare conflitti di competenze tra i vari livelli di governo del territorio ed è funzionale ad un'ottimale pianificazione dell'attività venatoria;
   osservato inoltre che l'articolo 5, nel riferirsi alle aree contigue attualmente definite dal richiamato articolo 32, comma 1, non ricorre ad una terminologia uniforme, utilizzando anche denominazioni ulteriori, quali «territori adiacenti» e «aree contigue ed esterne» ingenerando quindi il dubbio che ci si intenda riferire ad una fattispecie ulteriore – quella delle aree esterne – e ponendo in ogni caso Pag. 206dubbi interpretativi sull'individuazione delle medesime aree e sulla normativa ad esse applicabile;
   vista la nuova disciplina per la gestione della fauna selvatica nelle aree protette contenuta all'articolo 9 (che introduce un nuovo articolo 11. 1 nell'ambito della legge n. 394 del 1991), il quale, tra l'altro, prevede che gli interventi di gestione delle specie di uccelli e mammiferi, con l'esclusione dei ratti, nelle aree naturali protette e nelle aree contigue siano definiti, in presenza di un impatto negativo sulla conservazione di specie ed habitat, con specifici piani di gestione redatti dall'ente gestore dell'area naturale protetta, previo parere obbligatorio e vincolante dell'ISPRA e che i piani indichino gli obiettivi di conservazione della biodiversità da raggiungere, nonché le modalità, le tecniche ed i tempi di realizzazione delle azioni previste;
   rilevata a tale proposito l'opportunità, in primo luogo, di escludere la previsione in base alla quale il soggetto gestore dell'area protetta possa determinare gli interventi di gestione faunistica anche nelle aree contigue – la cui definizione dovrebbe essere più opportunamente rimessa alle regioni – nonché l'opportunità di considerare ulteriori presupposti altrettanto significativi per l'attuazione dei piani di contenimento della fauna selvatica, quali la conservazione ed il restauro degli equilibri ecologici delle aree protette e dei territori interessati ed il caso danni a carico di attività economico-produttive, al patrimonio storico e artistico, paesaggistico o la presenza di emergenze di tipo sanitario, come peraltro già previsto dall'articolo 19 della legge n. 157 del 1992;
   osservata inoltre, in relazione ai soggetti che, a norma dell'articolo 9, comma 3, risultano autorizzati all'attuazione degli interventi di gestione della fauna selvatica, la necessità che l'elenco delle tipologie di personale abilitato sia integrato, anche tenuto conto che le nuove disposizioni riguardano anche le aree protette regionali;
   rilevata infine l'opportunità di prevedere in capo ai titolari di autorizzazioni all'esercizio di attività estrattive, già in essere, in aree contigue alle aree marine protette, un significativo incremento del contributo, già previsto dall'articolo 8, comma 1 capoverso 1-quinquies, alle spese per il recupero ambientale e della naturalità;
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   1) provveda la Commissione di merito a riformulare le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b), capoverso articolo 12, comma 2-bis, e comma 1, lettera f), capoverso articolo 32, al fine – come del resto stabilito dalla normativa oggi vigente – di porre in capo alle regioni la definizione, d'intesa con l'organismo di gestione dell'area protetta, dei confini delle aree contigue alle aree protette, nonché l'adozione dei piani e dei programmi di disciplina della caccia al loro interno;
   2) provveda altresì la Commissione a chiarire se l'articolo 5, nel riferirsi alle aree contigue ed esterne alle aree protette intenda riferirsi a due distinte fattispecie, introducendo – in quest'ultimo caso – una chiara definizione di entrambe le aree e precisando le modalità di istituzione delle seconde;
   3) la Commissione provveda ad integrare il disposto dell'articolo 8 al fine di prevedere che il Governo, con proprio regolamento, istituisca un marchio nazionale dei prodotti delle aree naturali protette, conferendo priorità alle produzioni biologiche di queste aree;
   4) provveda la Commissione a riformulare l'articolo 9, comma 2, al fine di escludere – in capo all'Ente parco – gli interventi di gestione faunistica nelle aree contigue, ponendoli contestualmente in capo alle regioni, e di integrare i presupposti per l'attuazione dei predetti piani di contenimento della fauna selvatica con il riferimento alla conservazione ed al restauro Pag. 207degli equilibri ecologici delle aree protette e dei territori interessati ed al caso dei danni a carico di attività economico-produttive, al patrimonio storico e artistico, paesaggistico o alla presenza di emergenze di tipo sanitario, come peraltro già previsto dall'articolo 19 della legge n. 157 del 1992.
   e con le seguenti osservazioni:
   a) valuti la Commissione l'opportunità di integrare la disposizione contenuta all'articolo 9, comma 3, al fine di integrare l'elenco delle tipologie di personale abilitato all'attuazione dei piani di contenimento, anche tenuto conto che le nuove disposizioni riguardano anche le aree protette regionali;
   b) valuti la Commissione la possibilità di prevedere un significativo incremento del contributo previsto in capo ai soggetti di cui all'articolo 8 comma 1-quinquies.

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ALLEGATO 4

Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394 e ulteriori disposizioni in materia di aree protette (Nuovo testo C. 4144, approvata in un testo unificato dal Senato, e abb.)

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVO DEL DEPUTATO ZACCAGNINI

  La Commissione XIII,
   premesso che:
    la conservazione dei territori naturali che ancora mantengono inalterate le matrici ecosistemiche rappresenta il principale obiettivo dell'istituzione di aree naturali protette. La legge 6 dicembre 1991, n. 394 ( Legge quadro sulle aree protette) ha provveduto alla classificazione delle aree naturali protette ed ha istituito, altresì, l'Elenco ufficiale delle aree protette (attualmente è in vigore il 6o aggiornamento, approvato con Delibera della Conferenza Stato-Regioni del 17 dicembre 2009 e recepito con il decreto ministeriale 27 aprile 2010 (G.U. n. 125 del 31 maggio 2010);
    l'ultima relazione del Ministero dell'ambiente sullo stato di attuazione della legge quadro sulle aree protette (Doc. CXXXVIII, n. 4, presentato alla Camera il 5 ottobre 2016) sottolinea che dal citato elenco si «rileva che la superficie protetta nazionale riconosciuta si è incrementata fino a raggiungere il 10,50 per cento del territorio nazionale e che il numero delle aree protette è di 871, per un totale circa di 3.163.590,71 ettari a terra, 2.853.033,93 ettari a mare e 658,02 chilometri di coste». Nella medesima relazione viene sottolineato che «nel 2015 è stata avviata la procedura per la predisposizione del 7o aggiornamento dell'elenco ufficiale delle aree protette». Alle succitate aree protette vanno aggiunte le zone di protezione facenti parte della rete europea «Natura 2000» (istituita con la c.d. direttiva habitat n. 92/43/CEE, recepita in Italia con il decreto del Presidente della Repubblica 357/1997, a sua volta integrato con il decreto del Presidente della Repubblica 120/2003), concepita ai fini della tutela della biodiversità europea attraverso la conservazione degli habitat naturali e delle specie animali e vegetali di interesse europeo;
    nella citata relazione del Ministero dell'ambiente viene sottolineato che il sistema delle aree protette nazionali ha un'ampia sovrapposizione con il sistema dei siti della rete «Natura 2000», istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE «Habitat» (che ha previsto l'individuazione di Siti di importanza Comunitaria – SIC e la loro successiva designazione in Zone Speciali di Conservazione – ZSC) e di cui fanno parte anche le Zone di Protezione Speciale (ZPS) classificate dagli Stati membri a norma della c.d. direttiva uccelli (direttiva n. 79/409/CEE, sostituita dalla direttiva 2009/147/CE). In riferimento alla superficie totale delle aree protette nazionali (parchi nazionali, aree marine protette e riserve statali), tale sovrapposizione, infatti, raggiunge quasi il 79 per cento;
    nella medesima relazione si segnala che è attualmente in corso il processo di designazione dei SIC (Siti di Importanza Comunitaria) in ZSC (Zone Speciali di Conservazione), che prevede l'individuazione di misure sito specifiche, e che nel 2015, è proseguito il lavoro mirato all'integrazione Pag. 209di tali misure, negli strumenti pianificatori e regolamentari delle aree naturali protette di rilievo nazionale;
   questo impegno – sempre secondo la medesima relazione – «si è rafforzato anche a causa della chiusura negativa del caso EU PILOT 4999/13, aperto nei confronti dello Stato italiano ad aprile 2013 dalla Commissione Europea per insufficiente designazione delle ZSC, con l'automatica apertura, ad ottobre 2015, della procedura di infrazione n. 2163/2015, sulla cui risoluzione sarà necessario un significativo apporto da parte di tutti gli attori coinvolti»-:
   esprime:

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   sia nominato come direttore dell'Ente Parco persona esperta in materie sia amministrative che ambientali;
   sia vietata qualunque azione di sfruttamento delle risorse naturali all'interno delle aree protette al fine di puntare sulla valorizzazione dei prodotti agricoli del Parco favorendo la conservazione della biodiversità e non la logica di sfruttamento commerciale delle risorse non adeguatamente controbilanciate dalle royalties che in proporzione l'Ente Parco riceve;
   sia confermato il divieto di utilizzo di prodotti fitosanitari di sintesi all'interno del Parco e nelle aree contigue per un raggio sufficiente a permettere la non contaminazione per prossimità;
   sia predisposto un piano triennale di interventi finalizzati a contenere il fenomeno del randagismo attraverso una chiara programmazione di risorse e mezzi, conferendo finalmente operatività alla legge 281/91 (tutele ambientali e riduzione del randagismo) e promuovere azioni di limitazione della caccia attraverso una moratoria quinquennale delle aree tutelate per legge in un quadro di piena e reale conservazione degli habitat e della fauna e che sia estesa l'abolizione della caccia anche nei siti Natura 2000;
   sia sviluppato e approfondito l'approccio scientifico con cui deve essere affrontato il fenomeno ISPRA di contenimento della popolazione degli ungulati chiudendo a qualunque possibilità di deroga alla caccia negli Enti Parco;
   le aree marine abbiano piena tutela e conservazione di fauna e flora al pari delle aree protette.
(On. Adriano Zaccagnini)