CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 19 gennaio 2017
751.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-10314 Gebhard: Assoggettamento alla sola imposta di registro in misura proporzionale della cessione a titolo oneroso, da parte di un'impresa agricola, di terreni agricoli che abbiano acquisito destinazione edificatoria.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il question time in esame gli Onorevoli interroganti rappresentano come la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione escluda dall'applicazione dell'IVA la cessione da parte di un'impresa agricola di un terreno, in origine agricolo, che abbia poi acquisito la destinazione edificatoria.
  Gli Onorevoli interroganti evidenziano come tale impostazione, che comporta l'assoggettamento della cessione del suolo ad imposta di registro proporzionale, sia stata da ultimo ribadita dalla recente ordinanza n. 11600 del 2016, nonché condivisa dalla Corte di Giustizia UE, la quale ritiene che l'imprenditore agricolo, che cede un terreno divenuto edificabile in base ad una modifica dei piani regolatori locali, effettua una operazione priva del requisito soggettivo dell'imposta sul valore aggiunto, a condizione che la vendita non rappresenti l'inizio di un'attività di commercializzazione fondiaria.
  Tutto ciò premesso, gli Onorevoli interroganti chiedono se possa ritenersi superato l'orientamento espresso dall'Agenzia delle Entrate con la circolare n. 18/E del 29 maggio 2013, la quale ha ritenuto imponibile la cessione di terreni «suscettibili di utilizzazione edificatoria», posti in essere da soggetti passivi Iva.
  Al riguardo, l'Agenzia delle entrate riferisce quanto segue.
  L'Agenzia ribadisce in diversi documenti di prassi (risoluzione n. 54/E del 16 marzo 2007, circolare n. 18/E del 29 maggio 2013 e risoluzione n. 137/E del 7 maggio 2002) la propria interpretazione, avallata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. 2 ottobre 1999, n. 10943 e 2 aprile 2000, n. 3987), a tenore della quale la vendita di terreni aventi natura edificatoria deve essere assoggettata ad IVA anche se il bene appartiene ad un'impresa agricola e di fatto sia stato destinato alla produzione agricola.
  La cessione dei terreni in esame, infatti, deve ritenersi inerente all'esercizio dell'impresa agricola, essendo strumentali all'esercizio dell'impresa stessa, in quanto la nozione di esercizio d'impresa non può essere limitata alla produzione o allo scambio dei soli beni oggetto dell'attività produttiva, ma deve comprendere anche le cessioni dei beni strumentali, in quanto questi ultimi sono considerati, sia dal Codice civile (articolo 2555 c.c.) che dal Testo Unico delle imposte sui redditi (l'articolo 54, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917), beni relativi all'impresa.
  La stessa Corte di giustizia europea ha ritenuto che un imprenditore agricolo, che cede un terreno divenuto edificabile per un cambio di destinazione d'uso indipendente dalla sua volontà, non è, relativamente a tale cessione, soggetto passivo di imposta, qualora la stessa avvenga nell'ambito della gestione propria del patrimonio personale (cfr. cause C-180/10 e C-181/10 del 15 settembre 2011). Ad avviso dei giudici comunitari, infatti, non è sufficiente, ai fini dell'assoggettamento ad IVA, la sussistenza della qualifica di imprenditore agricolo, dovendosi piuttosto fare riferimento alla strumentalità o meno Pag. 30del bene ceduto (i.e. terreno) con riferimento all'attività imprenditoriale svolta.
  L'ordinanza citata dagli Onorevoli interroganti, invece, rappresenta un revirement della Suprema Corte, espressasi nel senso che un terreno relativo ad un'impresa agricola, ove ne venga modificata la destinazione da agricola ad edificabile, perde ipso facto il carattere di strumentalità rispetto all'impresa stessa, con la conseguenza che la cessione del bene non può più essere considerata avvenuta nell'esercizio dell'impresa e, quindi, è esclusa da IVA e soggetta ad imposta proporzionale di registro (Cass., sentenza n. 8327 del 2014 e n. 11600 del 2016).
  In proposito il nuovo orientamento non può dirsi ancora consolidato ed inoltre resta ferma la considerazione per cui un fondo, anche se classificato come edificabile, ben può essere utilizzato (o continuare ad essere utilizzato) come bene strumentale di un'impresa agricola. Inoltre, nel caso in cui si ritenga che la nuova destinazione urbanistica di un terreno ne determini in automatico la fuoriuscita dall'ambito imprenditoriale, andrebbero valutati gli effetti dal punto di vista dell'IVA, considerando che tale fattispecie può assumere rilevanza IVA, come ipotesi di autoconsumo esterno.
  Tanto rappresentato, l'Agenzia ritiene, in linea con quanto chiarito anche dall'Organo comunitario, che l'operazione di cessione a titolo oneroso di terreni agricoli, divenuti successivamente edificabili, sia soggetta ad IVA nella misura in cui gli stessi partecipino all'attività agricola del soggetto cedente; nesso di strumentalità, questo, che va acclarato caso per caso, tenuto conto dell'inserimento del bene nell'organizzazione dell'attività produttiva.

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ALLEGATO 2

5-10315 Laffranco: Chiarimenti in merito al procedimento di soppressione di Equitalia e alla sua trasformazione in ente pubblico economico.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Gli Onorevoli Interroganti, prendendo spunto dalla recente approvazione del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 dicembre 2016, n. 225, che, tra l'altro, ha disposto lo scioglimento delle società del Gruppo Equitalia s.p.a., a partire dal 1o luglio 2017, ad eccezione di Equitalia Giustizia, ed ha istituito un ente pubblico economico denominato «Agenzia delle Entrate Riscossione», sottoposto all'indirizzo ed alla vigilanza del Ministero dell'economia e delle finanze, chiedono di chiarire taluni aspetti connessi al «procedimento di soppressione ed immediata rinascita dell'agente della riscossione», in particolare: la possibilità di accedere alle banche dati ed alle informazioni riservate in possesso dell'Agenzia delle entrate; la effettiva natura giuridica del nuovo Ente; la procedura di assorbimento dei circa 8.000 mila dipendenti di Equitalia; nonché, infine, la chiarificazione dei nuovi poteri che vengono affidati aliante che sarebbero tali da consentire l'adozione di pratiche vessatorie nei confronti dei cittadini contribuenti.
  Al riguardo, in riferimento agli aspetti ed in particolare alle preoccupazioni segnalate dagli Onorevoli Interroganti si deve rappresentare che come esplicitato dalla normativa di riferimento, sarà lo Statuto dell'Ente di cui trattasi, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, a definire le funzioni, le competenze dell'Ente che dovrà operare secondo principi di legalità ed imparzialità, con criteri di efficienza gestionale, economicità dell'attività ed efficacia delibazione, garantendo la massima trasparenza degli obiettivi dell'attività svolta e dei risultati conseguiti.
  Con riguardo ai poteri riconosciuti al nuovo ente della riscossione, va osservato che le informazioni finora disponibili per Equitalia sono limitate all'identificazione dell'operatore finanziario e alla tipologia di rapporto e non comprendono invece la consistenza del rapporto stesso, con la conseguenza che:
   Equitalia è inevitabilmente obbligata a pignorare tutti i rapporti di conto corrente intrattenuti anche con i diversi istituti di credito;
   dal contribuente è preclusa la disponibilità di tutti i conti, a prescindere dall'importo del debito e della presenza su un singolo rapporto della somma necessaria per estinguerlo.

  Adesso, le nuove norme recate dal decreto legge n. 193 del 2016 consentiranno:
   al nuovo ente, di razionalizzare le azioni esecutive e di massimizzarne l'efficacia;
   al debitore escusso, di non vedersi pregiudicata la disponibilità di tutti i rapporti di conto;
   ai terzi pignorati, di non dover gestire inutili richieste, tenuto conto che le procedure di pignoramento sui rapporti finanziari (conti correnti) attualmente attivate hanno, per circa l'80 per cento, un esito negativo, che si stima di poter ricondurre, Pag. 32grazie alla nuova disposizione, alla percentuale fisiologica del 20 per cento.

  Per quanto attiene al passaggio diretto dei dipendenti di Equitalia al nuovo Ente di riscossione, esso è espressamente previsto dal decreto istitutivo, previa «ricognizione delle competenze possedute, ai fini di ima collocazione organizzativa coerente e funzionale alle esigenze dello stesso ente». Questa formulazione è stata inserita dal Parlamento in sede di conversione del decreto-legge n. 193 del 2016: la versione originaria prevedeva invece una «procedura di selezione e verifica delle competenze».
  È, infine, opportuno segnalare che la normativa primaria di riferimento prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze ed il Direttore dell'Agenzia delle Entrate, presidente dell'Ente, stipulano un atto aggiuntivo alla convenzione di cui all'articolo 59 del decreto 30 luglio 1999, n. 300, per individuare: i servizi forniti; le strategie per la riscossione; gli obiettivi da raggiungere in termini di economicità di gestione; gli indicatori per la verifica del conseguimento degli obiettivi; le modalità della vigilanza dell'Agenzia sull'operato dell'Ente; la gestione della riscossione con modalità organizzative flessibili, per tipologia di contribuenti; la tipologia di comunicazioni ed informazioni preventive volte ad evitare aggravi moratori per i contribuenti, migliorando il rapporto con l'amministrazione finanziaria.
  Tale Atto, come prevede la normativa di riferimento, è trasmesso alle Camere per i pareri da parte delle commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari.

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ALLEGATO 3

5-10316 Paglia: Dati circa le istanze di adesione alla definizione agevolata dei ruoli della riscossione.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento di sindacato ispettivo in oggetto, l'Onorevole chiede di conoscere i dati relativi alle istanze di adesione alla definizione agevolata, introdotta dall'articolo 6 del decreto-legge n. 193 del 2016, convertito con modificazioni dalla Legge n. 225 del 2016, pervenute ad Equitalia SpA.
  Al riguardo, Equitalia S.p.a. riferisce che alla data del 17 gennaio 2017, sono arrivate 155.948 domande, così suddivise a livello provinciale:

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  Per quanto riguarda invece la suddivisione per enti creditori, Equitalia segnala che, sulla base dell'analisi effettuata sulle istanze di definizione agevolata ricevute al 31 dicembre 2016, il 72 per cento dei carichi indicati sono relativi alle Agenzie fiscali, il 20 per cento all'Inps, il 3 per cento a comuni e aziende di servizi comunali, il 2 per cento a ordini professionali, altri enti previdenziali, camere di commercio, regioni e consorzi e il restante 3 per cento a altri enti quali Inail, ministeri, prefetture, eccetera.

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ALLEGATO 4

5-10317 Barbanti: Correttivi al regime tributario delle società controllate estere (CFC).

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'Interrogazione in esame gli Onorevoli interroganti evidenziano come le recenti modifiche normative abbiano ampliato l'ambito applicativo della disciplina sulle Controlled Foreign Companies (di seguito, disciplina CFC) con conseguenti effetti distorsivi.
  In particolare, gli Onorevoli interroganti sollecitano chiarimenti interpretativi in merito all'applicazione del comma 4 dell'articolo 167, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 come riformulato dalla legge 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015), in virtù del quale «I regimi fiscali, anche speciali, di Stati o territori si considerano privilegiati laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia».
  A parere degli Onorevoli interroganti la nuova formulazione dell'articolo 167, comma 4, del TUIR rischia di pregiudicare gli investimenti effettivi all'estero dei contribuenti italiani, soprattutto se localizzati in Paesi con situazioni economiche arretrate o svantaggiate che, di frequente, offrono degli incentivi fiscali per favorire tali investimenti.
  Infatti, in caso di mancata dimostrazione delle esimenti previste dalla disciplina CFC, gli utili conseguiti dalle società controllate estere potrebbero essere attratti a tassazione in Italia o al momento della realizzazione o, successivamente, al momento della distribuzione, con un notevole aggravio del carico fiscale complessivo gravante sui medesimi.
  Inoltre, un'applicazione restrittiva di detta norma andrebbe a colpire non solo i dividendi prodotti dal 2015, ma anche realizzati in anni precedenti quando era pacifico che lo Stato o il Territorio era «white list» e non trovava applicazione la disciplina del cosiddetto «rimpatrio dei dividendi».
  Pertanto, gli Onorevoli interroganti chiedono dei correttivi diretti alle distorsioni segnalate diretti a chiarire che il prelievo integrale sui dividendi debba gravare sulle sole distribuzioni che hanno riguardo ai dividendi derivanti da utili prodotti dalle società controllate solo a partire dal periodo di imposta 2015.
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  La nuove disposizioni di cui all'articolo 167 del T.U.I.R sono entrate in vigore dal 1o gennaio 2016 e prevedono una disciplina delle cosiddette controlled foreign companies fondata sul solo criterio – oggettivo – del livello di tassazione cui è soggetta la controllata estera nel Paese o Territorio in cui è localizzata.
  Tale criterio vale sia per il regime ordinario della corporate tax sia per i regimi speciali.
  Alla luce del comma 4 della cennata disposizione è considerato basso livello di tassazione quello inferiore del 50 per cento a quello applicato in Italia.
  In merito a detta disposizione deve osservarsi che, come affermato anche dall'Agenzia delle entrate nella circolare Pag. 36n. 35/E del 4 agosto 2016, contenente i chiarimenti delle modifiche normative che hanno interessato la disciplina delle controlled foreign companies, il criterio di individuazione di un Paese o territorio che connota un regime come privilegiato, basato sul livello nominale di tassazione inferiore al 50 per cento di quello previsto in Italia, è chiaramente ispirato a ragioni di semplificazione «che consente un rinvio mobile al livello impositivo vigente nel Paese interessato nei diversi periodi d'imposta, garantendo in tal modo, l'automatica corrispondenza tra l'applicazione della disciplina delle controlled foreign companies, e l'assoggettamento a un regime fiscale privilegiato, senza attendere l'aggiornamento della black list ad opera di un apposito decreto ministeriale».
  Le recenti modifiche normative tuttavia non hanno riguardato il contenuto delle due circostanze esimenti, previste nel comma 5 dell'articolo 167 del TUIR, rilevanti ai fini della disapplicazione della disciplina delle controlled foreign companies.
  Pertanto, tenuto conto anche della prassi applicativa dell'Agenzia delle entrate, si evidenzia che gli investimenti esteri che si concretano in reali insediamenti industriali o commerciali, con l'assunzione di dipendenti in loco, l'acquisto di sede, impianti e attrezzature, soddisfano, in linea di principio, i requisiti necessari alla dimostrazione dello svolgimento di un'attività economica effettiva nel territorio di localizzazione e, dunque, alla disapplicazione della disciplina antielusiva in esame.
  Inoltre, i nuovi criteri di individuazione degli Stati o territori a fiscalità privilegiata hanno inciso sulla soglia di congruità del carico fiscale estero rispetto a quello italiano, ampliando la possibilità di dimostrazione della seconda esimente, accordata al soggetto residente, concernente la circostanza che «dalle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in Stati a fiscalità privilegiata».
  L'Amministrazione finanziaria, in particolare, con la circolare 4 agosto 2016, n. 35/E, ha adeguato la precedente prassi in materia riconoscendo la sufficienza di un carico fiscale estero almeno pari al 50 per cento di quello che sarebbe stato scontato in Italia e rendendo, in tal modo, più accessibile la prova richiesta al contribuente.
  Infine, con riferimento agli utili pregressi, prodotti anteriormente alla modifica dell'articolo 167, comma 4, del TUIR, quando le società partecipate non erano considerate residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata secondo la disciplina vigente ratione temporis, si rappresenta che l'Agenzia delle entrate, con la citata circolare n. 35/E, ha chiarito che, al fine di stabilire se i predetti utili provengano o meno da un paradiso fiscale, assume rilevanza, indipendentemente dalla precedente qualificazione, il criterio vigente al momento della loro percezione perché è in tale momento che si verifica il presupposto impositivo in capo al soggetto residente.
  Pertanto, deve sottolinearsi che non è possibile in via interpretativa circoscrivere l'applicazione dei nuovi criteri di individuazione dei regimi fiscali privilegiati, anche speciali, agli utili prodotti a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, come auspicato dagli Onorevoli interroganti.
  Sono comunque allo studio presso i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria gli opportuni approfondimenti sulle modalità di applicazione del regime di integrale concorrenza alla formazione della base imponibile del socio italiano agli utili provenienti da società estere, che nel periodo di imposta di maturazione degli stessi non erano considerate dal legislatore residenti o localizzate in Stati o territori a fiscalità privilegiata, ma che sono successivamente diventati tali in base alle norme sopravvenute vigenti al momento della distribuzione dei predetti utili.

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ALLEGATO 5

5-10318 Villarosa: Parametri utilizzati per l'effettuazione degli stress test sulle banche italiane.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione in oggetto gli interroganti chiedono al Ministro dell'Economia e delle Finanze di sapere «se per la valutazione delle banche italiane che hanno partecipato agli stress test siano stati utilizzati parametri differenti, con indicazione ed esibizione in ogni caso della documentazione ufficiale contenente i dati, indici e/o parametri utilizzati dalle autorità di vigilanza per valutare gli “scenari avversi” ..., nonché delle perizie effettuate sulle 4 banche messe in risoluzione dal Governo in data 22 novembre 2015 e sulla banca MPS».
  Al riguardo, la Banca d'Italia, sentita in proposito, ha fatto presente che lo stress test coordinato dall'EBA ipotizzava, per ciascun Paese, due scenari macroeconomici: uno di base, ripreso dalle previsioni della Commissione europea formulate (per ciascun Paese) nell'autunno 2015, e uno avverso, costruito come deviazione (differente da Paese a Paese) rispetto a quello di base.
  Nello scenario avverso si ipotizzava, per l'Italia, una caduta del PIL reale nel triennio 2016-2018 di quasi sei punti percentuali rispetto alle previsioni dello scenario di base. In base a tale scenario, nel 2018 il livello del prodotto sarebbe stato di circa 10 punti percentuali inferiore a quello osservato all'inizio della crisi finanziaria (2007). Lo scenario avverso ipotizzava inoltre un aumento, nel triennio, del rendimento dei titoli di Stato italiani a lungo termine di circa 100 punti base, che avrebbe comportato una svalutazione del 12 per cento di tali titoli.
  Tali scenari erano uguali per tutte le banche, ma i risultati prodotti hanno riflesso la differente dislocazione geografica e composizione degli attivi. Allo scenario macroeconomico avverso si aggiungevano una serie di assunzioni metodologiche che avrebbero prodotto effetti particolarmente negativi per le banche in ristrutturazione o già caratterizzate da condizioni di debolezza.
  I risultati dello stress test costituiscono, con modalità non automatiche, uno degli elementi utilizzati dall'autorità di vigilanza – la Banca Centrale Europea – per la quantificazione dei requisiti di capitale di Secondo Pilastro, da richiedere a ciascun intermediario, in esito al Processo di revisione e controllo prudenziale (SREP). Le decisioni sugli esiti dello SREP sono state formalmente assunte alla fine del 2016 e sono operative dall'inizio del 2017.
  Con riferimento al rispetto del principio del «no creditor worse off» nella risoluzione delle quattro banche la Banca d'Italia ha fatto presente che il valutatore indipendente (nominato ai sensi dell'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 180 del 2015, che ha recepito la direttiva europea 2014/59/UE, c.d. «BRRD») nella propria valutazione, redatta ai sensi dell'articolo 88 del citato decreto, ha stimato che il trattamento che ciascuna categoria di azionisti e creditori avrebbe ricevuto, se gli istituti fossero stati liquidati secondo la liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal Testo Unico Bancario, non sarebbe risultato migliore rispetto a quello attribuito per effetto delle azioni di risoluzione.
  Tale conclusione ha confermato gli esiti della valutazione, condotta in conformità Pag. 38all'articolo 24 del citato decreto, posta alla base del provvedimento di risoluzione.
  Riguardo a MPS, l'istituto ha infine precisato che l'ammontare di capitale «precauzionale» (precautionary recapitalization) che una banca può chiedere allo Stato è quello necessario a coprire il fabbisogno patrimoniale che deriva dallo scenario avverso di una prova di stress.
  Nel caso della Banca Monte dei Paschi di Siena, tale fabbisogno è stato determinato dalla BCE in 8,8 miliardi, partendo dall'esito della prova di stress nello scenario avverso (per il Monte dei Paschi un coefficiente relativo al patrimonio di vigilanza di migliore qualità – CET1 ratio – negativo e pari a -2,44 per cento) e calcolando l'ammontare di capitale necessario a riportare il CET1 ratio all'8 per cento e il Total capital ratio all'11,5 per cento.
  Tale decisione è stata assunta in una apposita riunione dal Consiglio di vigilanza della BCE.

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ALLEGATO 6

5-10216 Francesco Saverio Romano: Chiarimenti in merito all'applicazione della normativa sulla sospensione delle ritenute alla fonte ai fini delle imposte sui redditi nei confronti dei soggetti residenti nei comuni di Teramo, Rieti, Ascoli Piceno, Macerata, Fabriano e Spoleto, danneggiati dagli eventi sismici verificatisi dal 24 agosto 2016.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli onorevoli interroganti chiedono al Governo di intervenire al fine di risolvere le incertezze interpretative connesse all'applicazione dell'articolo 48 del decreto-legge 17 ottobre 2016 n. 186, convertito con modificazione dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229 recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016».
  In particolare, gli onorevoli segnalano che il comma 1-bis prevede la possibilità di sospendere, a richiesta degli interessati, l'applicazione delle ritenute alla fonte sui redditi da lavoro dipendente solo per i soggetti residenti nei comuni del cratere sismico, i cui sostituti d'imposta siano, a loro volta, fiscalmente domiciliati nei medesimi comuni.
  Detta formulazione a parere degli interroganti determina una disparità di trattamento ingiustificata tra lavoratori dipendenti che risiedono nello stesso comune.
  Il successivo comma 1-ter dispone che «nei Comuni di Teramo, Rieti, Ascoli Piceno, Macerata, Fabriano e Spoleto, le disposizioni di cui al comma 1-bis si applicano limitatamente ai singoli soggetti danneggiati ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del presente decreto».
  Al riguardo, si fa presente che le problematiche interpretative segnalate dagli onorevoli interroganti sono conosciute dal Governo e sono allo studio ipotesi di riformulazione del dettato normativo volte a garantire un'equa e non discriminatoria applicazione del beneficio fiscale previsto dai commi 1-bis e 1-ter dell'articolo 48 del decreto-legge n. 189 del 2016, convertito dalla legge n. 229 del 2016, per tutti i lavoratori dipendenti destinatari del beneficio fiscale, indipendentemente dal luogo in cui siano fiscalmente domiciliati i loro sostituti d'imposta.

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ALLEGATO 7

5-10217 Paglia: Controlli tributari su operazioni compiute da alcuni gruppi bancari con soggetti residenti in paradisi fiscali.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento di sindacato in esame gli Interroganti rilevano che taluni gruppi bancari internazionali avrebbero convogliato in paradisi fiscali quote dei loro guadagni e «gonfiato di profitti filiali registrate nei più aggressivi di questi paradisi».
  In particolare, gli onorevoli interroganti chiedono se «l'Agenzia delle Entrate conferma l'esattezza dei dati su cui si fonda l'analisi del sopracitato articolo del settimanale L'Espresso e se ritenga che gli stessi dati siano compatibili con l'ordinamento tributario italiano e se non intenda attivare controlli specifici in proposito.
  Al riguardo, l'Agenzia delle Entrate riferisce quanto segue.
  Preliminarmente si fa presente che alcuni dei paesi esteri menzionati nell'articolo del settimanale L'Espresso appartengono all'Unione europea e, pertanto, con riferimento agli stessi vige il principio di libertà di stabilimento (articolo 54 TFUE).
  La libertà di stabilimento dovrà comunque essere esercitata in conformità a quanto previsto nella direttiva in materia di dividendi e interessi infragruppo, finalizzata ad evitare arbitraggi fiscali, e, da ultimo, in conformità alle disposizioni anti-abuso di cui alla direttiva ATAD 2016/1164 del 12 luglio 2016, di recepimento a livello comunitario dei recenti orientamenti emersi in sede OCSE, nell'ambito del progetto in materia di Base Erosion and Profit Shifting (cosiddetto BEPS).
  In ogni caso, l'ordinamento tributario interno prevede specifiche discipline a presidio della corretta imposizione dei redditi riconducibili ai soggetti residenti nel territorio dello Stato, sia con riferimento agli altri Paesi dell'Unione Europea, attraverso il recepimento delle direttive UE, nonché in relazione ai soggetti residenti in paesi qualificabili come «paradisi fiscali».
  In particolare, a fronte della produzione a livello mondiale di redditi da parte di gruppi multinazionali e della possibile imputazione degli stessi a entità del gruppo ubicate in Paesi a fiscalità privilegiata, la corretta allocazione in Italia dei redditi prodotti è principalmente garantita dalla normativa in materia di prezzi di trasferimento e da quella in materia di attrazione in Italia dei redditi prodotti in Stati a fiscalità di vantaggio (cosiddetta CFC legislation), entrambe allineate ai migliori standard internazionali.
  Con riguardo, infine, alle attività di controllo di competenza dell'Agenzia delle entrate, la medesima rappresenta che i dati e le informazioni contenuti nell'articolo in questione e quelli resi disponibili dai gruppi bancari in ottemperanza agli obblighi normativamente previsti, sono ordinariamente presi in considerazione ai fini dell'analisi di rischio, della selezione e dell'espletamento dei controlli fiscali. Ogni iniziativa in merito non può, né potrebbe, essere oggetto di divulgazione in quanto coperta da obbligo di riservatezza.
  Quanto al trattamento tributario e sanzionatorio da adottare qualora fossero riscontrate irregolarità si applicherà la disciplina prevista per le specifiche violazioni eventualmente contestate e/o accertate.

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ALLEGATO 8

5-10218 Pisano: Riconoscimento del carattere di ruralità a fini tributari agli immobili in cui siano collocati impianti eolici realizzati su fondi agricoli.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli onorevoli interroganti chiedono al Governo chiarimenti interpretativi in merito al trattamento fiscale da applicare alla produzione di energia elettrica mediante impianti eolici installati in immobili appartenenti ad imprese agricole, e se la cessione di detta energia possa essere considerata attività connessa alle attività dell'imprenditore agricolo ai sensi dell'articolo 2135 c.c., comma terzo.
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 1, comma 423, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, così come modificato e integrato da disposizioni successive, stabilisce, tra l'altro, che «... la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti (...) fotovoltaiche (...) effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell'articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considerano produttive di reddito agrario ...».
  Con la circolare 6 luglio 2009, n. 32/E dell'Agenzia delle entrate al fine di rispettare la ratio della norma appena citata, sono stati individuati specifici criteri di connessione con l'attività agricola svolta sul fondo, in modo da concretizzare, come per le altre attività connesse, un significativo rapporto con l'attività agricola stessa, recependo i requisiti indicati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, necessari per poter qualificare la produzione di energia in parola come produttiva di reddito agrario.
  Con successiva circolare 19 dicembre 2013, n. 36/E, l'Agenzia con riferimento agli impianti fotovoltaici ha precisato quando gli stessi costituiscono beni mobili o beni immobili ed è stato altresì chiarito il trattamento fiscale degli stessi ai fini delle imposte dirette e indirette a seconda della loro natura mobile o immobile.
  Nella stessa circolare è stato chiarito, altresì, che in relazione ad alcune tematiche riguardanti anche investimenti nell'eolico, le soluzioni prospettate con riferimento al fotovoltaico sono applicabili, per quanto compatibili, anche a questi ultimi investimenti.
  Viene osservato che le indicazioni fornite ai fini delle imposte dirette e indirette con riferimento ad alcune operazioni aventi ad oggetto gli impianti fotovoltaici, come ad esempio quelle relative alla costituzione di un diritto di superficie per la successiva costruzione di un impianto fotovoltaico, valgono anche nel caso in cui venga costruito un impianto eolico.
  Tanto premesso, tuttavia, l'Agenzia evidenzia che non è possibile operare in via interpretativa l'equiparazione del trattamento fiscale auspicata dall'onorevole interrogante dal momento che non vi è alcuna norma che stabilisca che la produzione di energia derivante da impianti eolici costituisca un'attività agricola connessa così come è stato previsto dal citato articolo 1, comma 423, della legge n. 266 del 2005 per la produzione di energia da fonte fotovoltaica.
  In assenza di apposita previsione normativa, deve ritenersi, dunque, che non è possibile estendere alla produzione di energia da fonte eolica i criteri di connessione legislativamente previsti con specifico riferimento alla produzione di energia fotovoltaica da parte di imprenditori agricoli.

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ALLEGATO 9

5-10219 Petrini: Chiarimenti circa la deducibilità fiscale delle spese per interventi di manutenzione straordinaria effettuati su impianti concessi in regime di affidamento diretto.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione in esame l'onorevole interrogante rileva che l'articolo 108, comma 3, del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), concernente il trattamento fiscale di alcune spese a carattere pluriennale, è interpretato e, dunque, applicato dagli uffici dell'Agenzia delle Entrate in modo non omogeneo, non tenendo, fra l'altro, conto della peculiarità della fattispecie delle spese di manutenzione straordinaria su impianti condotti in concessione, e di conseguenza chiede le iniziative che si intendono assumere al fine di individuare una soluzione che dissolva i dubbi interpretativi e riconduca ad omogeneità i comportamenti discordanti.
  Il caso da cui traggono spunto le considerazioni dell'Interrogante, riguarda la società Tennacola Spa, società di capitali interamente pubblica concessionaria degli impianti relativi al servizio idrico integrato per la gestione del ciclo completo delle acque, per il fatto di aver capitalizzato, ossia iscritto nell'attivo dello stato patrimoniale e, quindi, ammortizzato (in 5 quote costanti) i costi di manutenzione straordinaria da essa sostenuti sulle infrastrutture che gestisce.
  Al riguardo, l'Agenzia delle Entrate riferisce quanto segue.
  La società Tennacola Spa, che redige il bilancio secondo i principi contabili internazionali (IAS/IFRS), ha iscritto tali spese «in bilancio, nell'attivo dello stato patrimoniale, sotto la voce “altre immobilizzazioni immateriali”», operando l'ammortamento in cinque quote costanti, a partire dall'esercizio in cui sono state sostenute e nei successivi quattro.
  Al riguardo, l'interrogante, rappresenta che l'Amministrazione finanziaria non ha reputato corretta la scelta effettuata dagli amministratori della società, attenendosi strettamente a criteri civilistici d'imputazione e ai principi contabili dell'O.I.C. nn. 16 e 24», riprendendo a tassazione «i maggiori costi dedotti nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione tenuto conto dell'eventuale periodo di rinnovo se dipendente dal conduttore».
  In proposito l'Agenzia, per quanto di competenza, pur evidenziando l'esiguità delle informazioni contenute nell'interrogazione, rappresenta che, per le imprese IAS/IFRS adopter (quale è la società di cui trattasi), ai sensi dell'articolo 83 del TUIR, «valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi contabili» (cosiddetto principio di «derivazione rafforzata»). In altri termini, i componenti di reddito assumo rilevanza fiscale così come correttamente rappresentati nel bilancio IAS/IFRS compliant (vedi anche circolare n. 7/2011).
  Pertanto, con specifico riferimento alla fattispecie in esame, si ritiene che il trattamento fiscale delle «spese di manutenzione straordinaria sulle infrastrutture» debba necessariamente «derivare» da una valutazione sul corretto trattamento contabile delle spese stesse, individuato secondo le regole previste dai richiamati principi contabili internazionali IAS/IFRS.