CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 11 gennaio 2017
746.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Cultura, scienza e istruzione (VII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Schema di decreto ministeriale concernente revisione e aggiornamento del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 14 gennaio 2014, recante princìpi contabili e schemi di bilancio in contabilità economico-patrimoniale per le università (Atto n. 370).

RELAZIONE DELL'ON. GHIZZONI

  Avviamo oggi l'esame di uno schema di decreto interministeriale che apporta una serie di modifiche tecniche al decreto ministeriale n. 19 del 2014, che per le università ha individuato i principi contabili e gli schemi di bilancio in contabilità economico-patrimoniale, stanti le disposizioni della legge n. 240 del 2010 (dell'articolo 5, comma 1, lettera b) e dell'articolo 5, comma 4, lettera a) in ordine al sistema di contabilità economico-patrimoniale e al bilancio unico di ateneo, nonché a sistemi e procedure di contabilità analitica.
  In particolare, il decreto ministeriale n. 19 del 2014 ha analizzato le poste di bilancio più significative per il settore universitario e, per quanto non espressamente previsto, ha rimandato alle disposizioni del Codice civile e ai principi contabili nazionali emanati dall'Organismo Italiano di Contabilità (OIC).
  Con l'apporto di una apposita Commissione, costituita nel 2014, il MIUR può procedere alla revisione e all'aggiornamento dei principi contabili e degli schemi di bilancio. Sempre avvalendosi di questa Commissione, poi, il MIUR ha adottato – con un'ultima versione aggiornata al 2016 – un manuale tecnico-operativo a supporto delle attività gestionali delle università. Proprio in sede di elaborazione del manuale, la Commissione ha riscontrato alcune incongruenze che hanno fatto emergere l'esigenza di intervenire a chiarimento di alcuni concetti per la valutazione di significative poste di bilancio, al fine di rendere omogenea e univoca l'applicazione dei criteri stessi da parte degli atenei e, quindi, conformi e comparabili i relativi bilanci.
  All'illustrazione dettagliata di queste modifiche tecniche ritengo opportuno premettere alcune valutazioni di natura più prettamente politica.
  Le università statali, in quanto pubbliche amministrazioni finanziate principalmente dallo Stato (ma non si dimentichi la capacità che esse hanno di avere entrate proprie derivanti dalle contribuzioni studentesche, dall'acquisizione di progetti di ricerca, dallo svolgimento di attività per conto di terzi, etc.), sono ovviamente e giustamente soggette da sempre ai principi della contabilità pubblica e all'obbligo di rendicontare le loro attività sulla base di schemi di bilancio predefiniti e coerenti con tutti gli altri bilanci delle pubbliche amministrazioni.
  Le norme sopra citate della legge n. 240 del 2010 – inserite in un quadro di generale riordino della contabilità pubblica – hanno stabilito che le università statali, come molti altri enti pubblici economici, dovessero passare dal sistema di contabilità finanziaria a quello di contabilità economico-patrimoniale e analitica di tipo civilistico, adottando ogni anno un bilancio unico e un bilancio consolidato di ateneo, nonché predisponendo anche un bilancio preventivo e un rendiconto in contabilità finanziaria; come anticipato, i principi di questo nuovo e complesso sistema di contabilità e bilanci sono stati fissati nel decreto ministeriale n. 19 del 2014 che, dopo una prima fase di applicazione, Pag. 101deve essere sottoposto ad alcune correzioni tecniche, contenute nel decreto in esame.
  Ma la prima fase di applicazione ha evidenziato problematiche di più vasta portata che dovrebbero indurre il decisore politico a riflettere più complessivamente sulla questione. Faccio riferimento, in particolare, alla continua segnalazione al Parlamento, da parte di larghi strati delle comunità accademiche e di singoli ricercatori, delle notevoli difficoltà operative indotte dalla nuova normativa nell'espletamento delle attività istituzionali delle università, in particolare per l'attività di ricerca. Non è in effetti facile, e probabilmente nemmeno utile, ricondurre l'attività di ricerca universitaria ad una attività di natura economica e produttiva senza correre il rischio di rallentarne l'esecuzione, il che sarebbe esiziale per un'attività in cui rapidità, prontezza e libertà di azione sono fondamentali per sopravvivere nella accelerata competizione internazionale di oggi.
  Più in generale – e così vengo al tema del decreto in esame – è davvero utile concepire e classificare l'attività finanziaria delle università come fatta di attivi e passivi patrimoniali e di costi e ricavi della «produzione» (pur definiti «costi e proventi operativi»), alla stregua di una qualunque impresa produttrice di beni e servizi da vendere sul mercato ? È ovvio che occorre chiedere alle università la più oculata e trasparente gestione di risorse che provengono loro dai contribuenti con il sistema fiscale generale o dalle famiglie degli studenti per il tramite delle contribuzioni studentesche, ma dovremmo forse interrogarci se la contabilità economico-patrimoniale sia davvero la più adatta a rappresentare contabilmente l'attività universitaria e a favorirne lo sviluppo. Qual è il legame economico-finanziario tra i proventi delle attività didattiche e di ricerca e il «prodotto» fornito (formazione e nuova conoscenza), che non ha costi unitari ? Qual è la natura patrimoniale delle apparecchiature sperimentali per la ricerca o dei volumi delle biblioteche ?
  Non suggerisco affatto di tornare indietro alla tradizionale contabilità puramente finanziaria delle entrate e delle uscite, ma mi sembrerebbe opportuna una riflessione politica e amministrativa sull'effettivo esito, in termini di costi e benefici, della nuova normativa introdotta dalla legge n. 240 del 2010, anche per tener conto delle osservazioni e delle richieste che sono provenute e provengono continuamente dal mondo accademico, spesso espresse in termini di «semplificazione» anche se, non di rado, più che semplificazioni, sono richieste di modifiche profonde della normativa vigente.
  Il Parlamento, con l'ultima legge di stabilità e con altri atti importanti come il decreto legislativo n. 218 del 2016 sull'attività degli enti di ricerca, ha effettivamente provveduto a semplificare sotto più aspetti la normativa ma senza che queste semplificazioni siano state effettivamente percepite come tali, in termini di nuova efficienza, dagli addetti ai lavori. Forse perché, ed è questo il senso delle mie osservazioni, è mancata un'analisi tecnico-politica più approfondita del contesto generale delle norme che regolano l'attività universitaria.
  A questo proposito segnalo anche un altro e ultimo punto delicato dell'organizzazione universitaria, come è stato modificato dalla legge n. 240 del 2010. Alludo alla questione dell'autonomia contabile e amministrativa dei dipartimenti universitari. Non vi è alcun dubbio che ogni università debba fornire allo Stato finanziatore un rendiconto unitario della propria attività. Ma è stato saggio, per l'efficienza e l'efficacia delle attività, ridurre così drasticamente l'autonomia dei dipartimenti ? Per una corretta esigenza di unitarietà, non si è forse sacrificata un po’ troppo la scioltezza dell'attività corrente dei dipartimenti, spesso alle prese con una centralizzazione che sembrava essere stata definitivamente dimenticata da quasi quarant'anni fa, a seguito del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980, e che, rimessa in auge, ha finito spesso, nonostante gli strumenti informatici Pag. 102e telematici ora disponibili, col riprodurre i difetti per i quali era stata eliminata dalla normativa universitaria ?
  Ammetto: sono domande a cui non ho e alle quali non propongo risposte definitive, ma che intendono solo sollevare un problema e suscitare un dibattito – che va evidentemente oltre il parere da esprimere sull'atto in parola – affinché il mondo universitario ritrovi fiducia nel fatto che la politica comprende appieno le sue problematiche e interviene conseguentemente per favorire lo sviluppo dell'alta formazione e della ricerca libera quali obiettivi strategici del Paese che non possono rischiare di essere sepolti da normative concepite per tutt'altri contesti e situazioni.
  Venendo al merito del provvedimento, si tratta di un ambito di intervento molto tecnico, sul quale è peraltro chiamata ad esprimersi – proprio in virtù dell'argomento – anche la Commissione bilancio. In questa sede indicherò, dunque, solo alcuni degli interventi proposti, segnalando, preliminarmente, che, in qualche caso, le modifiche sono derivate dall'opportunità di evitare riferimenti normativi specifici, che possono risultare superati nel tempo.
  In particolare, l'articolo 2 reca alcune modifiche relative alle voci dello stato patrimoniale, prevedendo, fra l'altro, nel caso di donazione, lascito testamentario o altre liberalità, la possibilità di valorizzare i beni tenendo conto del valore indicato non solo (come ora) nell'atto di donazione, ma anche nell'atto di successione. Si tratta di una modifica finalizzata a completare i riferimenti delle diverse ipotesi di provenienza per gli atti a titolo gratuito. In mancanza di questi valori, inoltre, per gli immobili si prevede ora la valorizzazione sulla base del valore catastale, mentre per le altre tipologie di beni rimane ferma la previsione (ora generale) di una relazione di stima da parte di un esperto del settore.
  Con riferimento alle immobilizzazioni finanziarie, ossia le partecipazioni destinate ad investimento durevole, si propone ora che la partecipazione in aziende, società o altri enti controllati e collegati, solo in presenza di perdite durevoli di valore, è valutata in base all'importo corrispondente alla frazione del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio approvato. Al riguardo, la relazione illustrativa evidenzia che così si ottiene una notevole semplificazione nella valutazione da parte degli atenei, senza comunque pregiudicare la correttezza della rappresentazione in linea con i principi civilistici.
  Una ulteriore modifica riguarda la valutazione contabile delle commesse, dei progetti e delle ricerche finanziate o co-finanziate da soggetti terzi, in particolare consentendo di omogeneizzare la disciplina dei proventi applicabile alle diverse fattispecie.
  L'articolo 3 reca modifiche inerenti i criteri di predisposizione del primo Stato Patrimoniale degli atenei, e in particolare quello relativo ad immobili e terreni di terzi a disposizione. In particolare, mentre il testo vigente prevede che tali immobili non devono essere valorizzati nei conti d'ordine qualora l'ateneo non abbia su di essi diritti reali perpetui – nel qual caso il relativo valore va imputato tra le immobilizzazioni –, la modifica proposta prevede che essi debbano essere valorizzati in ogni caso nei conti d'ordine. La relazione illustrativa fa presente che con tale modifica si rende omogenea la classificazione nei conti d'ordine di tutti gli immobili di terzi concessi in uso, anche perpetuo e gratuito, agli atenei.
  Con riferimento all'articolo 4 – riformulato secondo le indicazioni della Ragioneria generale dello Stato –, la relazione illustrativa evidenzia, anzitutto, che le modifiche da esso recate si rendono necessarie per coordinare le disposizioni previste per le università, considerate amministrazioni pubbliche ai sensi della legge di contabilità, alle disposizioni previste dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 91 del 2011 per tutte le amministrazioni pubbliche in contabilità civilistica.
  In particolare, specifica che le amministrazioni pubbliche in contabilità civilistica non sono tenute all'adozione del piano dei conti integrato di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 91 del 2011, Pag. 103mentre hanno l'obbligo di redigere un documento previsionale e consuntivo in termini di cassa.
  Pertanto, l'articolo 4 anzitutto abroga l'articolo 6 del decreto ministeriale n. 19 del 2014, che dispone che le università sono tenute ad adottare (a decorrere dal 1o gennaio 2014) il Piano dei conti, la cui struttura deve essere definita con decreto MIUR, di concerto con il MEF (mai adottato).
  Inoltre, apporta alcune modifiche all'articolo 7 del decreto ministeriale n. 19 del 2014, inerente i criteri per la predisposizione del bilancio preventivo unico di ateneo non autorizzatorio e del rendiconto unico d'ateneo in contabilità finanziaria.
  In particolare, introduce l'obbligo di redazione del bilancio preventivo unico di ateneo e del rendiconto unico di ateneo in termini di cassa.
  Inoltre, con riferimento alle modalità di predisposizione contabile dei documenti citati, richiede la coerenza tra le risultanze del rendiconto unico d'ateneo e quelle del rendiconto finanziario dell'ateneo.
  Infine, stabilisce che le codifiche SIOPE (Sistema informativo sulle informazioni degli enti pubblici) sono aggiornate – tenendo conto della specificità del settore universitario e del regime contabile vigente per il comparto – secondo la struttura del piano dei conti finanziario di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2013. A decorrere dall'adeguamento SIOPE, cessa l'obbligo di redigere il rendiconto unico d'ateneo in contabilità finanziaria con le modalità precedenti. Inoltre, le università allegano al bilancio unico d'ateneo d'esercizio il rendiconto unico d'ateneo in contabilità finanziaria secondo la codifica SIOPE che contiene, relativamente alla spesa, la ripartizione per missioni e programmi.
  Ulteriori modifiche recate dall'articolo 5 riguardano gli allegati 1 e 2 che riportano, rispettivamente, gli schemi di bilancio in contabilità economico-patrimoniale e gli schemi del bilancio di previsione e del rendiconto finanziario.

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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2014/26/UE sulla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l'uso online nel mercato interno. (Atto n. 366)

RELAZIONE DELL'ON. RAMPI

  Lo schema di decreto legislativo è volto al recepimento della direttiva 2014/26/UE, relativa alla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi e alla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l'uso online nel mercato interno.
  Prima di entrare nel merito, occorrono alcune considerazioni di ordine generale che lascino comprendere la vastità del problema del diritto d'autore oggi.
  Il diritto d'autore è materia che promana direttamente dall'articolo 21, primo comma, della Costituzione, che reca testualmente: «Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Peraltro, la materia trova anche albergo costituzionale nell'articolo 33, che a sua volta reca al primo comma: «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento».
  Il diritto d'autore consiste di due ceppi: il diritto della personalità, a essere moralmente riconosciuti come autori di una certa opera (cfr. articolo 8 della legge n. 633 del 1941); e il diritto patrimoniale, di sfruttare economicamente i proventi che quell'opera può dare (cfr. articoli 12 e seguenti della medesima legge).
  La disciplina attualmente vigente, pur modificata e integrata nel corso del tempo, ha un impianto maturato e pensato negli anni ’30 dello scorso secolo (si tratta, infatti, della citata legge n. 633 del 1941), allorquando erano ben definiti i confini territoriali e linguistici della produzione artistica, teatrale e cinematografica oggetto della legge.
  Come in tutti i settori del diritto e dell'economia, l'ultima parte del ventesimo secolo e l'epoca attuale hanno mostrato come la circoscrizione territoriale e la limitazione nazionale e linguistica dei fenomeni cui si pretende di applicare la regola giuridica non sono più possibili. I fondamenti statuali classici (popolo, territorio e insieme delle regole che essi si danno) sono ormai largamente superati dallo sviluppo tecnologico, dal libero movimento del capitale e del lavoro e, in generale, da tutti i fenomeni che vanno sotto il nome di globalizzazione.
  Per questi motivi, diverse proposte di legge già assegnate alla Commissione cultura si pongono l'obiettivo di aggiornare la disciplina del diritto d'autore, il cui sostrato materiale è uno di quelli che più risentono degli effetti dei fenomeni di cui si viene discutendo.
  La proposta di legge Bonomo, Rampi, Ascani e altri (C. 2005) si fa carico in modo – a mio avviso – più organico dei profili esposti in premessa. Vale la pena citare testualmente l'esordio della relazione introduttiva:
   «Le nuove tecnologie offrono ai creatori di qualsiasi genere di opera musica, film, libri, fotografie, software, multimedia la possibilità di distribuire la loro creazione in modo diretto e immediato attraverso modelli di business prima inesistenti e, soprattutto, garantiscono o, almeno, potrebbero Pag. 105garantire a ciascun creatore il diritto di percepire un compenso direttamente proporzionato all'effettivo utilizzo, da parte della collettività, del proprio sforzo creativo. In tale nuovo “ecosistema creativo” si sono progressivamente sgretolati i confini geografici e si è aperto un mercato globale nel quale ogni autore, per la prima volta nella storia, può mettere la propria opera a disposizione di una comunità costituita da miliardi di cittadini di Paesi diversi, contribuendo così ad accrescere il patrimonio culturale dell'umanità. È, tuttavia, sotto gli occhi di tutti che autori, artisti, interpreti, esecutori e creatori di opere dell'ingegno non riescono a beneficiare di tali straordinarie potenzialità. Il sistema creativo e culturale italiano e il mercato dei contenuti protetti da diritto d'autore, in particolare, rimangono drammaticamente chiusi, asfittici e quasi impermeabili all'affermazione di nuovi modelli di produzione e distribuzione di opere creative. Si tratta, ovviamente, di un fenomeno straordinariamente complesso e imputabile a una pluralità di concause, difficilmente riconducibili a unità, di matrice sensibilmente diversa: sociale, economica, culturale e giuridica. Appare, tuttavia, fuor di dubbio che tra tali concause vi sia l'inadeguatezza della vigente disciplina della materia con particolare riferimento al mercato dell'intermediazione dei diritti, un'inadeguatezza che minaccia di paralizzare il sistema creativo e culturale, facendo venire meno stimoli e incentivi che la legge sul diritto d'autore – se correttamente applicata – dovrebbe garantire a chiunque, attraverso il proprio sforzo creativo, metta a disposizione della collettività nuove opere».

  Tale proposta di legge, nell'articolato, è volta a individuare in due nuovi soggetti coloro che possono con più facilità gestire in nome e per conto degli autori i diritti connessi all'esercizio delle prerogative degli autori medesimi, attuando la direttiva comunitaria 2014/26.
  Da questo punto di vista, gli organi deputati a gestire i diritti sarebbero alternativamente:
   a) un organo di gestione collettiva, detenuto o controllato dai titolari dei diritti e organizzato senza fini di lucro;
   b) un ente di gestione indipendente, che al contrario sarebbe terzo dagli autori (non controllato, pertanto, da essi) e agirebbe a fini commerciali, a seguito di un contratto di intermediazione e rappresentanza stipulato con i titolari dei diritti d'autore.

  La proposta di legge disciplina in modo dettagliato l'organizzazione e il funzionamento di questi soggetti, liberalizza il settore e di fatto soppianterebbe il ruolo della SIAE, cui l'attuale articolo 180 della legge n. 633 del 1941 riserva l'esclusiva nell'intermediazione sui diritti d'autore.
  Gli organismi e gli enti di gestione avrebbero, oltre che il compito di riscuotere per conto degli autori i diritti, anche l'incarico di rilasciare licenze multi-territoriali.
  Il superamento della SIAE avverrebbe, in particolare, attraverso la sua soppressione e l'istituzione di un'Agenzia per il diritto d'autore, sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, di concerto con i ministri dello Sviluppo economico e dei Beni e attività culturali.
  L'Agenzia per il diritto d'autore, in buona sostanza, funzionerebbe come un'autorità amministrativa indipendente di regolazione del settore, i cui provvedimenti sarebbero impugnabili al Tar Lazio. L'Agenzia assorbirebbe il personale della SIAE.
  La proposta di legge C. 2011, Andrea Romano, Balduzzi e altri, a sua volta, si pone essenzialmente nello stesso solco, proponendo di superare il monopolio della SIAE quale necessario intermediario nella gestione dei diritti derivanti dallo sfruttamento delle opere, attraverso una modifica dell'articolo 180; la previsione di requisiti minimi e oneri di comunicazione al pubblico per le imprese che intendano svolgere attività di amministrazione e di intermediazione dei diritti d'autore; una delega al Governo per il riordino della materia.
  Lo schema di decreto legislativo all'esame della Commissione (fatta eccezione Pag. 106per la soppressione della SIAE, che non viene disposta) riprende cospicui aspetti della proposta C. 2005 poiché questa a sua volta si rifaceva alla direttiva.
  Altre proposte hanno un taglio generalmente più limitato.
  Le proposte Liuzzi, Baldassarre e altri (n. 1639) e Quintarelli, Coppola e altri (n. 2521) affrontano essenzialmente il problema della repressione penale della pirateria su Internet, proponendo modificazioni agli articoli 171 e seguenti della legge n. 633 del 1941.
  Ulteriori proposte attengono alla promozione della musica giovanile (nn. 522 e 1557), all'esenzione dal pagamento dei diritti d'autore nelle manifestazioni a scopo benefico (nn. 1136 e 3003), alla determinazione dell'equo compenso per la riproduzione privata dei fonogrammi e videoprogrammi (n. 2203) e alla tutela dei fumetti (n. 1192).
  L'atto del Governo 366 affronta dunque solo una parte del problema (come, del resto, lo stesso ministro Franceschini ha implicitamente riconosciuto nell'audizione svolta presso le Commissioni riunite VII e XIV il 30 marzo 2016, sede in cui diversi dei sottoscrittori delle proposte di legge di cui si è riferito sono intervenuti). Si può concludere che, sul piano sostanziale, il dilemma posto dalla globalizzazione è nello scontro tra due esigenze.
  Da un lato sta Internet, con le sue annesse infinite possibilità diffusive (declinate anche secondo i nuovi social media) che offre potenzialità di consumo e smercio dei contenuti creativi; dall'altro, sta la necessità che queste possibilità diffusive, che inizialmente giovano agli autori, poi non finiscano per distruggere le stesse premesse della creazione dei contenuti. In altre parole, la produzione artistica, scientifica e culturale è un lavoro, che costa fatica e inventiva. Essa pertanto deve essere – sì – promossa secondo modalità nuove e dinamiche; ma deve anche essere retribuita. L'attitudine della rete invece è per un consumo tendenzialmente illimitato e gratuito.
  Si pone allora il tema di chi possa permettersi – sul medio e lungo periodo – di rendere disponibili contenuti creativi sul web senza chiedere nulla in cambio. E ancora: mentre esistono già centrali di contenuto (testate on line, biblioteche, musei, eccetera) le quali chiedono un modesto prezzo per gli accessi on line superiori a un certo numero iniziale, queste entità rischiano di andare subito fuori mercato per l'esistenza di altri centri che invece forniscono tutto gratis.
  Le biblioteche nel mondo – a loro volta – tentano di mediare: il fatto di mettere a disposizione gratis testi di studio – come esse fanno per le copie cartacee – è un loro tratto caratteristico. Esso si scontra però con le istanze di autori ed editori, che invece tendono a voler massimizzare il ricavato delle opere letterarie e musicali (e dunque a imporre alle biblioteche limiti stringenti).
  La stessa problematica riguarda la produzione musicale commerciale e, perfino, quella dei diritti sportivi.
  In definitiva, bisogna sempre distinguere tra lo stabilire quali regole dare alla protezione del diritto d'autore nel mercato globalizzato; e il problema (che dal primo deriva e che è affrontato dalla direttiva 2014/26 e nell'atto del Governo 366) di a chi e come farle applicare.
  La licenza multi-territoriale è un istituto che si atteggia a cerniera tra i due aspetti. Nella direttiva (e conseguentemente nello schema di decreto legislativo) è riferita solo alle opere musicali diffuse on line nel mercato interno dell'UE.
  Tornando al procedimento in esame, è opportuno segnalare, preliminarmente, che il 26 maggio 2016 è stata avviata nei confronti dell'Italia una procedura di infrazione per il mancato recepimento di tale direttiva, il cui termine di recepimento è scaduto il 10 aprile 2016.
  La direttiva 2014/26/UE definisce i requisiti necessari per garantire il buon funzionamento della gestione dei diritti d'autore e dei diritti connessi da parte degli organismi di gestione collettiva, coordinando le normative nazionali in materia, al fine di superare le notevoli differenze e di inserire la tutela dei diritti d'autore nell'ambito della libera circolazione Pag. 107di beni e servizi nel contesto del mercato unico europeo. Inoltre, ridisegna le modalità di governance degli organismi di gestione collettiva nonché il quadro di sorveglianza, e stabilisce i requisiti per la concessione di licenze multiterritoriali per l'uso online di opere musicali, in un'ottica sempre più transfrontaliera.
  Passando al merito del provvedimento, esso si compone di 51 articoli, suddivisi in 6 Capi.
  Più nel dettaglio gli articoli da 1 a 3 recepiscono gli omologhi articoli della direttiva dedicati, rispettivamente, all'oggetto, alle definizioni e all'ambito di applicazione.
  Le disposizioni di cui al Capo II disciplinano gli organismi di gestione collettiva. In particolare l'articolo 4 sancisce anzitutto il principio per cui gli organismi di gestione collettiva agiscono nell'interesse dei titolari dei diritti che rappresentano, senza imporre loro obblighi non oggettivamente necessari per la protezione dei loro diritti e interessi, nonché per la gestione efficace di questi ultimi.
  Dispone, dunque, che i titolari dei diritti possono affidare a un organismo di gestione collettiva o a un'entità di gestione indipendente di loro scelta la gestione dei loro diritti – per le categorie o tipi di opere o di materiali protetti, nonché per i territori da essi indicati – indipendentemente dallo Stato membro di nazionalità, residenza o stabilimento dell'organismo di gestione collettiva, dell'entità di gestione indipendente o del titolare dei diritti. Relativamente all'attività di intermediazione dei diritti d'autore, resta però ferma l'esclusiva riservata alla SIAE dall'articolo 180 della legge n. 633 del 1941.
  L'articolo 5 stabilisce che i requisiti per l'adesione agli organismi di gestione collettiva sono basati su criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori e devono essere stabiliti nello statuto o nelle condizioni di adesione dei medesimi organismi ed essere pubblicamente accessibili. Con riferimento al caso di rigetto di una domanda di adesione, dispone che la stessa sia fornita per iscritto entro 60 giorni dalla presentazione della domanda.
  L'articolo 6 prevede che negli statuti degli organismi di gestione collettiva sono previsti adeguati ed efficaci meccanismi di partecipazione dei propri membri ai processi decisionali, nonché l'equa ed equilibrata rappresentanza delle diverse categorie di membri in tali processi. Dispone, inoltre, sull'istituzione del registro dei membri e sul regolare aggiornamento. L'articolo 7 disciplina i diritti dei titolari che non sono membri dell'organismo di gestione collettiva, ma i cui diritti siano gestiti dallo stesso organismo in base ad un rapporto giuridico diretto derivante dalla legge o da una cessione di diritti, da una licenza o da un qualsiasi altro accordo contrattuale.
  L'articolo 8 stabilisce i requisiti che devono possedere gli organismi di gestione collettiva e le entità di gestione indipendenti che intendono svolgere l'attività di amministrazione ed intermediazione dei diritti connessi. Inoltre, l'articolo 8 dispone che la distribuzione del compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi, ad esclusivo favore dei propri associati, da parte delle associazioni di produttori di fonogrammi, opere audiovisive e videogrammi, non costituisce attività di amministrazione ed intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore.
  Gli articoli da 9 a 13 riguardano gli organi degli organismi di gestione collettiva, individuati in: assemblea generale dei membri, organo di sorveglianza, organo di amministrazione, organo di controllo contabile.
  In particolare si segnala l'articolo 11, il quale, fatte salve le disposizioni del decreto legislativo n. 231 del 2001 in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, dispone in ordine all'organo di sorveglianza. Tale organo è tenuto ad assicurare il controllo e il monitoraggio costanti delle attività dei soggetti titolari degli organi di gestione, tra cui la corretta esecuzione delle delibere dell'assemblea generale dei membri, in particolare, sull'attuazione delle politiche generali. Gli Pag. 108articoli da 14 a 19 riguardano la gestione dei proventi da parte degli organismi di gestione collettiva. In particolare l'articolo 19 dispone che gli importi non distribuiti sono considerati non distribuibili trascorsi 3 anni a decorrere dalla fine dell'esercizio finanziario nel corso del quale sono stati riscossi i proventi dei diritti, purché siano state adottate tutte le misure per l'identificazione e la localizzazione dei titolari.
  Gli importi non distribuibili sono utilizzati in modo separato e indipendente al fine di finanziare attività sociali, culturali ed educative a beneficio esclusivo dei titolari dei diritti, secondo le deliberazioni dell'assemblea generale dei membri o dell'assemblea dei delegati, fatto salvo il diritto dei titolari di reclamare gli importi nel termine di prescrizione di quattro anni dalla scadenza del termine ultimo per la distribuzione.
  Gli articoli 20 e 21 definiscono le modalità di gestione dei diritti per conto di altri organismi di gestione collettiva. Più nel dettaglio, l'articolo 20 prevede che gli organismi di gestione collettiva non operano alcuna discriminazione nei confronti dei titolari dei diritti di cui gestiscono i diritti nell'ambito di un accordo di rappresentanza, in particolare per quanto concerne le tariffe applicabili, le spese di gestione, le condizioni per la riscossione dei proventi e per la distribuzione degli importi.
  L'articolo 21 dispone che, fatte salve le spese di gestione, gli organismi di gestione collettiva non effettuano detrazioni dai proventi dei diritti che gestiscono in base ad un accordo di rappresentanza, o da eventuali introiti provenienti dall'investimento degli stessi proventi, a meno che l'altro organismo parte dell'accordo di rappresentanza non acconsenta espressamente. Con riferimento agli altri organismi di gestione collettiva che rappresentano, prescrive che la distribuzione e i pagamenti avvengono regolarmente, diligentemente e accuratamente.
  Gli articoli 22 e 23 disciplinano le relazioni con gli utilizzatori dei repertori, disponendo, in particolare, che le negoziazioni fra gli organismi di gestione collettiva e gli utilizzatori ai fini della concessione di licenze sui diritti sono condotte in buona fede e attraverso lo scambio di tutte le informazioni.
  L'articolo 23 disciplina l'obbligo degli utilizzatori di far pervenire agli organismi di gestione collettiva e alle entità di gestione indipendente le informazioni sull'utilizzo delle opere, necessarie per la riscossione dei proventi dei diritti e per la distribuzione e il pagamento degli importi dovuti ai titolari. Gli articoli 24-28 riguardano trasparenza e comunicazioni; individuando le informazioni minime che gli organismi di gestione collettiva devono rendere pubbliche sul proprio sito internet, mantenendole aggiornate; e disponendo che gli organismi di gestione collettiva elaborano per ciascun esercizio finanziario una relazione di trasparenza annuale, che deve essere pubblicata sul proprio sito internet per almeno 5 anni. Si prevede inoltre che la SIAE, in quanto organismo operante in virtù di specifiche disposizioni legislative, trasmetta alle Camere e agli enti vigilanti, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione sui risultati dell'attività svolta.
  Gli articoli da 29 a 37 recepiscono la disciplina della direttiva in materia di concessione da parte di organismi di gestione collettiva di licenze multiterritoriali per l'esercizio di diritti su opere musicali diffuse online.
  In particolare l'articolo 30 disciplina la capacità di trattamento dei dati sulle licenze multiterritoriali, richiedendo, ai fini della concessione di licenze multiterritoriali, il possesso di alcuni puntuali requisiti.
  Con riguardo agli oneri di trasparenza rispetto alla trasmissione delle informazioni sui repertori, l'articolo 31 impone agli organismi di gestione collettiva che concedono licenze multiterritoriali di fornire, su richiesta debitamente motivata, ai fornitori di servizi musicali online, ad altri organismi di gestione collettiva, informazioni aggiornate che consentano di identificare il repertorio musicale online rappresentato.
  Al fine di assicurare la correttezza delle informazioni sui repertori multiterritoriali, Pag. 109ai sensi dell'articolo 32, gli organismi di gestione collettiva devono prevedere procedure finalizzate che consentano ai titolari di diritti, ad altri organismi di gestione collettiva e ai fornitori di servizi online di chiedere la correzione dei dati o delle informazioni non corretti, rese ai sensi degli articoli 30 e 31.
  L'articolo 33 detta disposizioni specifiche volte ad assicurare la correttezza e puntualità nelle dichiarazioni sull'uso e nella fatturazione, prevedendo in capo ai fornitori di servizi online puntuali obblighi di comunicazione, anche per via elettronica, agli organismi di gestione concernenti l'utilizzo delle opere musicali e le relative modalità di fatturazione.
  L'articolo 34 impone, poi, agli organismi di gestione collettiva che concedono licenze multiterritoriali di distribuire senza ritardo gli importi dovuti ai titolari dei diritti su opere musicali online.
  L'articolo 35 disciplina gli accordi tra organismi di gestione collettiva per la concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali online, precisandone la natura non esclusiva. La gestione di tali diritti è attribuita all'organismo di gestione collettiva mandatario, il quale è tenuto ad informare l'organismo mandante delle principali condizioni (inclusa la natura dello sfruttamento, delle disposizioni che riguardano i diritti e la durata della licenza) in base alle quali possono essere concesse le licenze su opere musicali online.
  Con riguardo all'obbligo di rappresentanza di un altro organismo di gestione collettiva per la concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali online, l'articolo 36 impone all'organismo di gestione collettiva interpellato di rispondere all'organismo di gestione collettiva richiedente per iscritto e senza indebito ritardo; di gestire il repertorio rappresentato dell'organismo di gestione collettiva richiedente alle stesse condizioni a cui gestisce il proprio repertorio; nonché di includere il repertorio rappresentato dall'organismo di gestione collettiva richiedente in tutte le offerte che trasmette ai fornitori di servizi online.
  Sono esclusi dall'ambito applicativo di tali disposizioni, gli organismi di gestione collettiva che concedono, sulla base dell'aggregazione volontaria dei diritti richiesti e nel rispetto delle norme sulla concorrenza, una licenza multiterritoriale per i diritti su opere musicali online richiesta da un'emittente al fine di comunicare al pubblico i propri programmi radiofonici o televisivi contemporaneamente o dopo la prima trasmissione; nonché ogni altro materiale online prodotto o commissionato dall'emittente che sia accessorio alla prima trasmissione del programma.
  Gli articoli da 38 a 44 dettano norme in materia di risoluzione delle controversie, vigilanza e sanzioni.
  Rinvio per il dettaglio alla documentazione predisposta dal Servizio Studi.