CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 6 ottobre 2016
704.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-09690 Giacomoni: Chiarimenti circa l'assoggettamento all'IRAP delle associazioni professionali, degli studi associati e delle società semplici esercenti attività di lavoro autonomo.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli Onorevoli interroganti chiedono chiarimenti interpretativi in materia di assoggettamento ad IRAP delle associazioni professionali, degli studi associati e delle società semplici esercenti attività di lavoro autonomo.
  In particolare, gli Onorevoli segnalano che il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale non è dovuto il pagamento del tributo in esame laddove non ricorra il requisito della «autonoma organizzazione», è stato contraddetto dalla recente posizione assunta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7371 del 2016 secondo cui le associazioni professionali, gli studi associati e le società semplici esercenti attività di lavoro autonomo sono sempre soggette ad IRAP.
  Tale nuovo orientamento, a giudizio degli interroganti, rischierebbe di esporre molti contribuenti non solo al versamento dell'IRAP «arretrata» ma anche degli oneri accessori, vale a dire sanzioni ed interessi, pertanto gli Onorevoli interroganti chiedono al Ministro dell'economia e delle finanze di fare chiarezza sulla questione e se non intenda intervenire per sanare quantomeno le situazioni pregresse.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Deve preliminarmente evidenziarsi che, diversamente da quanto rappresentato dagli interroganti, non si ravvisano profili di incertezza nell'interpretazione della giurisprudenza di legittimità e della prassi sull'assoggettamento ad Irap dell'esercizio in forma associata delle attività professionali.
  In tal senso, infatti, dispone in modo chiaro il secondo periodo del comma 1 dell'articolo 2 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, il quale, nel dettare la disciplina del presupposto impositivo del tributo in parola, dispone che «l'attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto d'imposta.».
  Come evidente, la norma sopra riportata deroga, di fatto, alla disposizione di cui al primo periodo dello stesso comma ove si subordina l'assoggettamento ad IRAP all'esercizio di una attività autonomamente organizzata.
  Di conseguenza, l'eventuale assenza del citato requisito dell'autonoma organizzazione assume rilevanza unicamente nei casi in cui l'attività sia esercitata in forma individuale e non anche in forma associata, posto che, in tale ultimo caso, il successivo periodo considera tale requisito esistente «in ogni caso».
  L'articolo 3 del medesimo decreto legislativo n. 446 del 1997 prevede, inoltre, che soggetti passivi d'imposta sono «... coloro che esercitano una o più delle attività di cui all'articolo 2. Pertanto sono soggetti all'imposta:
   a) le società e gli enti di cui all'articolo 87, comma 1, lettere a) e b), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;Pag. 81
   b) le società in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate a norma dell'articolo 5, comma 3, del predetto testo unico, nonché le persone fisiche esercenti attività commerciali di cui all'articolo 51 del medesimo testo unico;
   c) le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell'articolo 5, comma 3, del predetto testo unico esercenti arti e professioni di cui all'articolo 49, comma 1, del medesimo testo unico.

  Tanto premesso, nella recente sentenza 14 aprile 2016, n. 7371, cui fanno riferimento gli Onorevoli interroganti, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite – alla quale è stata rimessa la questione «se in applicazione del combinato disposto del Decreto legislativo n. 446 del 1997, articoli 2 e 3, debba essere sottoposto ad IRAP il «valore aggiunto prodotto nel territorio regionale da attività di tipo professionale espletate nella veste giuridica societaria, ed in particolare di società semplice, anche quando il giudice valuti non sussistente una autonoma organizzazione dei fattori produttivi» – ha enunciato il principio di diritto secondo cui «quando l'attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell'imposta a norma del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, articolo 3, comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l'esercizio in forma associata di arti e professioni – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l'attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d'imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell'autonoma organizzazione».
  Sulla questione va posto in evidenza che la trasmissione al Primo Presidente per l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione operata dalla Sezione VI non è stata determinata da un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, bensì dalla evidenziata mancanza di un percorso argomentativo lineare nell'ambito delle pronunce delle diverse sezioni semplici.
  In particolare, nell'ordinanza di rimessione del 25 febbraio 2015, n. 3870 si legge che «La difficoltà evidente di rinvenire, nel tessuto argomentativo delle decisioni fini qui richiamate, un lineare percorso logico-argomentativo che consenta di fare applicazione uniforme della regola desumibile dal decreto legislativo n. 446 del 1997, articoli 2 e 3, alle fattispecie di attività professionale espletata nella veste societaria, rafforza il convincimento di questa Corte in ordine all'opportunità che la questione sia devoluta alle Sezioni Unite, ai fini di un auspicabile chiarimento a tutto tondo, in modo da ottenere una pronuncia vincolante per i collegi ordinari, e che costituisca un sicuro punto di riferimento anche per coloro che debbono redigere ricorsi».
  Invero, in relazione all'assoggettamento ad Irap degli studi associati l'orientamento della giurisprudenza di legittimità è univoco da tempo.
  È opportuno richiamare, per tutte, la sentenza 6 marzo 2015, n. 4578 nella quale la Suprema Corte ha affermato che «l'esercizio in forma associata dell'attività, sebbene senza dipendenti o collaboratori e, comunque, con beni strumentali di esiguo valore, è circostanza di per sé idonea a far presumere l'esistenza di una autonoma organizzazione di strutture e mezzi, nonché dell'intento di avvalersi della reciproca collaborazione e delle rispettive competenze, ovvero della sostituibilità nell'espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio e, conseguentemente, debba essere assoggettato all'IRAP, a meno che il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dalla sola attività dei singoli associati».
  L'esercizio in forma associata dell'attività rileva, quindi, in ogni caso ai fini dell'assoggettabilità ad IRAP.
  Negli stessi termini, ex multis, sentenza 31 maggio 2016, n. 11327; ordinanza 19 dicembre 2014, n. 27007; sentenza 28 novembre Pag. 822014, n. 25313; ordinanza 4 novembre 2011, n. 23002 (che richiama numerosi precedenti ante 2009), ordinanza 7 giugno 2010, n. 13716.
  Sebbene la giurisprudenza richiamata, nella sostanza, conferma la correttezza dell'operato degli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, i medesimi approfondiranno la tematica segnalata al fine di individuare le possibili soluzioni idonee a contemperare le esigenze dei contribuenti e le pretese erariali.

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ALLEGATO 2

5-09691 Fragomeli: Chiarimenti ai fini dell'esclusione dall'applicazione dell'IMU dei terreni non propriamente agricoli utilizzati come orti.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Gli Onorevoli interroganti con un question time svolto il 4 maggio 2016, prendendo spunto dalle modifiche normative in tema di esenzione dall'applicazione dell'IMU che hanno interessato i terreni agricoli, chiedevano che detta normativa fosse interpretata nel senso che debbano essere esclusi dall'applicazione dell'IMU anche i terreni non propriamente agricoli, come quelli incolti e gli orti.
  Con il documento in esame, di analogo contenuto, i medesimi Interroganti chiedono di chiarire «la completa esclusione dall'applicazione dell'IMU per i terreni non propriamente agricoli a prescindere dalla localizzazione altimetrica...», ciò in quanto per effetto delle modifiche normative intervenute, tali terreni sono esenti da imposta in virtù della loro ubicazione in un comune classificato montano o collinare. Prima di dette modifiche normative gli orti restavano fuori del campo di applicazione dell'ICI, senza la verifica se un comune fosse o meno «montano».
  In merito, gli Uffici dell'amministrazione ribadiscono preliminarmente quanto già precisato nella risposta al citato question time del 4 maggio 2016, che si sintetizza per comodità espositiva. In tale risposta, infatti, è stato riportato il comma 13 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016, il quale prevede che «A decorrere dall'anno 2016, l'esenzione dall'imposta municipale propria (IMU) prevista dalla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si applica sulla base dei criteri individuati dalla circolare del Ministero delle finanze n. 9 del 14 giugno 1993, pubblicata nel supplemento ordinario n. 53 alla Gazzetta Ufficiale n. 141 del 18 giugno 1993. Sono, altresì, esenti dall'IMU i terreni agricoli:
   a) posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, indipendentemente dalla loro ubicazione;
   b) ubicati nei comuni delle isole minori di cui all'allegato A annesso alla legge 28 dicembre 2001, n. 448;
   c) a immutabile destinazione agrosilvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile. A decorrere dall'anno 2016, sono abrogati i commi da 1 a 9-bis dell'articolo 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 34.

  Tale esenzione si applica a tutti i terreni agricoli, indipendentemente dalla loro coltivazione.
  Nella risposta è stato, altresì, evidenziato che detto orientamento è stato confermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 7369 dell'11 maggio 2012 in cui è stato statuito che per terreno agricolo si intende «il terreno adibito all'esercizio delle attività indicate nell'articolo 2135 del codice civile» e che tale definizione, in conformità con i precetti di cui agli articolo 3 e 53 della Costituzione, va intesa nel senso che il presupposto dell'imposta resta integrato in presenza del possesso di terreni suscettibili di essere destinati a tale utilizzo, e non in conseguenza dell'effettivo esercizio su di essi, delle attività predette.Pag. 84
  Sulla base delle argomentazioni della Corte di Cassazione, si concludeva che i cosiddetti orticelli debbano essere considerati anch'essi nel novero dei terreni «agricoli», con la conseguenza che anche tali immobili sono esenti dall'IMU nei termini declinati dal suddetto comma 13 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015.
  A ciò deve aggiungersi che nel documento di sindacato ispettivo in oggetto si paventa, in particolare, la disparità di trattamento che si attuerebbe attraverso l'assimilazione dei cosiddetti orticelli ai terreni agricoli, enfatizzata dalla circostanza che «chi possiede e coltiva un orto non può essere né coltivatore diretto né imprenditore agricolo professionale o comunque per tale superficie non ha diritto di esserlo».
  In merito, si ritiene che tale affermazione non sia idonea a modificare l'attuale assetto normativo dell'esenzione in esame; innanzitutto, perché come sostenuto dalla stessa Corte di Cassazione qualsiasi terreno è potenzialmente suscettibile di sfruttamento agricolo, come analogamente riconosciuto dalla costante giurisprudenza per la potenzialità edificatoria delle aree fabbricabili.
  Pertanto, si deve osservare che chi possiede e coltiva un terreno di piccole dimensioni, se non raggiunge i requisiti previsti dalla legge per assumere la qualifica di coltivatore diretto (CD) o imprenditore agricolo professionale (IAP) non può rientrare nel novero dei soggetti che il Legislatore, nell'esercizio della propria discrezionalità – che trova come unico limite quello della ragionevolezza – ha inteso tutelare maggiormente nella nuova disciplina dell'esenzione in questione.
  Gli altri soggetti, che non necessariamente sono solo quelli – come affermato nell'interrogazione – che non hanno diritto di essere CD o IAP, possono essere beneficiati dall'esenzione nel caso in cui i terreni posseduti rientrino nel novero dei comuni di cui alla circolare n. 9 del 1993.
  A questo proposito, si deve sottolineare che nel momento in cui la legge di stabilità 2016 fa riferimento ai criteri di detta circolare intende evidentemente richiamare solo la parte che si riferisce all'esenzione, vale a dire quella in cui si stabiliscono le modalità di lettura dell'elenco contenuto nella stessa, dove è chiarito che «Se accanto all'indicazione del Comune non è riportata alcuna annotazione, significa che l'esenzione opera sull'intero territorio comunale. Se, invece, è riportata l'annotazione parzialmente delimitato, sintetizzata con la sigla “PD”, significa che l'esenzione opera limitatamente ad una parte del territorio comunale».
  E non poteva essere diversamente.
  Occorre infatti evidenziare che la parte della circolare richiamata nel documento di sindacato ispettivo, che potrebbe costituire la chiave di volta per risolvere la questione dei cosiddetti orticelli, non rappresenta un ulteriore criterio per l'applicazione dell'esenzione, bensì individua il differente caso di esclusione da un tributo, peraltro diverso dall'IMU. Nella circolare si legge che «i descritti terreni, del primo e secondo gruppo, non avendo il carattere di area fabbricabile né quello di terreno agricolo secondo la definizione datane dalla lettera c) dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 504/1992, restano oggettivamente al di fuori del campo di applicazione dell'ICI per cui non si pone il problema della esenzione».
  È appena il caso di ribadire che la Corte di Cassazione nella sentenza sopramenzionata ha statuito che i terreni in questione rientrano nell'articolo 2, lettera c), del decreto legislativo n. 504 del 1992, richiamato dall'articolo 13, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di IMU.
  Comunque, gli Uffici dell'amministrazione stanno approfondendo la problematica in argomento al fine di individuare la definizione e l'estensione dei cosiddetti terreni non propriamente agricoli in modo da valutare la possibilità della loro esclusione dal campo di applicazione dell'IMU.

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ALLEGATO 3

5-09693 Paglia: Praticabilità dell'ipotesi di acquisizione a prezzo ridotto, da parte di un istituto bancario, delle cosiddette «banche ponte» derivanti dalla risoluzione della Banca delle Marche, della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e della Cassa di Risparmio di Chieti e copertura delle conseguenti perdite.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione dell'Onorevole Giovanni Paglia fa riferimento all'incontro convocato nei giorni scorsi dal Ministro dell'economia e delle finanze per la vendita delle cosiddette «banche-ponte» derivanti dal processo di risoluzione di Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria. Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti. L'interrogante chiede in particolare se sia praticabile una soluzione che preveda l'acquisizione delle stesse da parte di un soggetto terzo a prezzo ridotto e la copertura delle perdite da parte della Cassa Depositi e Prestiti (CDP).
  Al riguardo la Banca d'Italia, ha fatto presente che, al fine di dare attuazione al programma di risoluzione delle quattro banche, è attualmente in corso, con l'ausilio degli advisors a suo tempo incaricati, la ricerca di acquirenti mediante trattative bilaterali e parallele. Il novero dei soggetti coinvolti nella procedura di dismissione è stato infatti allargato agli investitori che hanno manifestato interesse a partecipare. Essi possono formulare offerte con pari opportunità e secondo le preferenze e le scelte di ciascuno. Tale fase di trattative si pone in linea di continuità con quelle precedenti e viene condotta nel rispetto dei principi di apertura e non discriminatorietà, previsti dal decreto legislativo n. 180 del 2015. In tale ambito, anche UBI Banca è stata invitata a visionare il dossier relativo alle quattro banche, al fine di formulare eventuali offerte qualora interessata.
  Inoltre per dare attuazione al programma di risoluzione delle quattro banche è intervenuto il Fondo di Risoluzione, con un impegno finanziario immediato di circa 3,6 miliardi. Al fine di garantire al Fondo la liquidità necessaria per operare, la Banca d'Italia ha, a suo tempo, stipulato con un pool di banche un finanziamento ponte a favore dello stesso.
  L'utilizzo delle linee di finanziamento è stato subordinato alla costituzione in pegno, in favore delle banche finanziatrici, del diritto del Fondo di ottenere dalla società Cassa Depositi e Prestiti sostegno finanziario per un importo determinato, in virtù di tale diritto il Fondo può richiedere a Cassa Depositi e Prestiti di intervenire qualora le risorse del Fondo non siano sufficienti a fare fronte ai rimborso del finanziamento.
  Al riguardo Cassa Depositi e Prestiti per consentire la tempestiva realizzazione del programma di risoluzione delle banche Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A., Banca delle Marche S.p.A., Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.A., Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, il Fondo di Risoluzione nazionale ha assunto un finanziamento erogato da alcune banche con scadenza massima di 18 mesi.
  In tale contesto, la Banca d'Italia, nell'interesse del Fondo, ha richiesto, ai sensi dell'articolo 78, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 180 del 2015, il sostegno Pag. 86finanziario di Cassa Depositi e Prestiti («CDP») per assicurare il puntuale rimborso da parte del Fondo del capitale e degli interessi dovuti su alcune tranches del finanziamento, laddove alle relative scadenze il Fondo non disponesse di somme sufficienti allo scopo.
  A fronte di tale richiesta, la società Cassa Depositi e Prestiti ha concesso al Fondo stesso una garanzia di liquidità a condizioni di mercato sulle predette tranches del finanziamento per un importo complessivo pari a euro 1,6 miliardi per il rimborso del finanziamento richiesto.
  Pertanto, l'intervento della società Cassa Depositi e Prestiti si è configurato come un'ordinaria operazione di mercato, infatti si evidenzia che l'eventuale importo differenziale versato dalla società Cassa Depositi e Prestiti al Fondo per effetto del mancato adempimento degli obblighi di restituzione del finanziamento costituirebbe credito di Cassa Depositi e Prestiti nei confronti del medesimo Fondo.
  L'eventuale credito dovrà essere restituito dal Fondo a Cassa Depositi e Prestiti entro e non oltre la scadenza del quinto anno solare successivo a quello del versamento, mediante l'utilizzo da parte del Fondo delle somme allo stesso disponibili a qualsiasi titolo. Il credito maturerà interessi convenzionali in favore della società Cassa Depositi e Prestiti al tasso fisso annuo determinato al momento del versamento, in misura pari al costo marginale della raccolta di Cassa Depositi e Prestiti sul mercato dei capitali incrementato di uno spread.
  Si precisa che per il rientro delle somme dovute la società Cassa Depositi e Prestiti potrà contare sia sui proventi derivanti dalle vendite delle « good bank» e degli NPL (« Non Performing Loan») e sui contributi annuali addizionali richiesti al sistema bancario, ai sensi della normativa pro tempore vigente. Pertanto, sulla base delle valutazioni effettuate, la società Cassa Depositi e Prestiti ritiene che l'operazione non dovrebbe determinare perdite sul proprio bilancio.
  In conclusione si ribadisce che l'azione del Ministero dell'economia e delle finanze è stata sempre improntata a salvaguardare il risparmio ed i risparmiatori italiani ed a questo indirizzo il Governo si atterrà anche nelle sue azioni future.

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ALLEGATO 4

5-09636 Paglia: Estensione ai titoli ceduti all'interno dello stesso nucleo familiare del meccanismo di rimborso in favore dei risparmiatori detentori di obbligazioni subordinate emesse dalle quattro banche poste in risoluzione.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-09636 dell'onorevole Giovanni Paglia concerne il Fondo di solidarietà istituito dalla legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016) in favore degli investitori che, al novembre 2015, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalle quattro banche poste in risoluzione.
  In particolare, l'onorevole Paglia esprime perplessità sui requisiti di accesso alle procedure di indennizzo forfettario individuati dal decreto-legge 3 maggio 2015, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, in base ai quali risultano ammessi a tali procedure esclusivamente i soggetti che abbiano acquistato le obbligazioni in questione nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con la banca emittente.
  I requisiti previsti dalla normativa vigente per poter usufruire dello strumento dell'indennizzo diretto sono tassativi:
   1) è riservato solo a persone fisiche, imprenditori individuali, anche agricoli, coltivatori diretti o successori mortis causa;
   2) devono riguardare solo l'acquisto degli strumenti finanziari subordinati indicati nell'articolo 1, comma 855, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con la Banca in liquidazione che li ha emessi. Lo strumento dell'indennizzo diretto è riservato ai sottoscrittori danneggiati direttamente dalle banche in liquidazione, dalle quali ormai non hanno possibilità di ottenere riparazione patrimoniale;
   3) l'acquisto degli strumenti finanziari subordinati suindicati, deve essere avvenuto entro la data del 12 giugno 2014, ossia la data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Direttiva (BRRD) recante le nuove regole armonizzate UE sulla risoluzione e risanamento delle banche, e che li detenevano alla data della risoluzione delle Banche in liquidazione. Si presuppone infatti che gli acquisti successivi alla data del 12 giugno 2014 sono avvenuti in una situazione di conoscenza, quantomeno giuridica, delle disposizioni che hanno ulteriormente ridotto e sottoposto a stringenti condizioni la possibilità di interventi pubblici a sostegno delle banche (Direttiva 2014/59/UE del 15 maggio 2014 sul risanamento e risoluzione degli enti creditizi e sulle imprese di investimento). La data di risoluzione delle banche ha determinato invece la impossibilità di liquidazione dei titoli.
   4) il patrimonio mobiliare deve essere di valore inferiore a 100.000 euro oppure avere un reddito complessivo IRPEF nell'anno 2014 inferiore a 35.000 euro.

  Si fa presente che l'utilizzo dello strumento dell'indennizzo diretto in questo caso, a differenza dell'arbitrato, prescinde dalla necessità di raggiungere la prova dell'ingiustizia del danno dovuto al comportamento scorretto delle banche, perché destinato a sostenere gli investitori deboli. Pag. 88Con una procedura rapida nei tempi e semplificata dal punto di vista degli adempimenti e delle formalità, viene offerta una forma di sostegno rapido a soggetti appunto «deboli», rispetto ai quali il requisito dell'avvenuta vendita fraudolenta (mis-selling), per inadeguatezza del rischio dell'investimento rispetto alla situazione economica, può essere presunto senza necessità di accertamento.
  L'indennizzo diretto previsto dall'articolo 9 del decreto-legge n. 59 del 2016 costituisce quindi un beneficio destinato solamente a risparmiatori danneggiati socialmente deboli aventi requisiti personali e temporali precisi, convenuti con la Commissione europea per evitare infrazioni alla disciplina degli aiuti di Stato.
  Si soggiunge che è necessario escludere interventi interpretativi dello Stato, in quanto i problemi interpretativi rientrano nella competenza del Fondo Interbancario di tutela dei depositi (FITD), gestore di Fondo privato e pienamente autonomo nella gestione e attuazione di tale forma di sostegno agli investitori, rispetto al quale il Ministero dell'economia e delle finanze non ha alcun potere di intervento anche al fine di assicurare la conformità alla disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato ed in particolare escludere che si tratti di risorse o interventi pubblici. Eventuali istruzioni e direttive dello Stato potrebbero far ricondurre l'attività di gestione del Fondo Interbancario di tutela dei depositi (FITD) nell'ambito dell'intervento pubblico, escluso dalla Commissione europea.

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ALLEGATO 5

Risoluzione 7-00964 Laffranco: Estensione del regime tributario della cedolare secca alle locazioni a uso diverso dall'abitazione.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

  La VI Commissione,
   premesso che:
    da lungo tempo nel nostro Paese si è alla ricerca di soluzioni che siano in grado di far fronte all'annosa questione delle abitazioni, cioè della soddisfazione della domanda di servizi abitativi da parte non solo degli indigenti, ma anche, ormai, di famiglie e soggetti appartenenti alle classi medie e ai ceti impiegatizi;
    una caratteristica del mercato dell'edilizia residenziale è la sua struttura per titoli di godimento delle abitazioni, il cui baricentro è fortemente spostato sulla proprietà a discapito dell'affitto; il confronto con altri Paesi europei, dove la maggioranza della popolazione vive in case di cui non ha la proprietà, fa ritenere molto spesso come negativa tale peculiarità italiana, poiché l'offerta deficitaria delle abitazioni in affitto ostacola lo sviluppo dell'economia, in quanto frena la mobilità territoriale della forza lavoro e, naturalmente, si riflette negativamente sul benessere delle famiglie, costringendole a destinare quote crescenti del loro reddito al pagamento dei canoni;
    tra le varie motivazioni addotte per giustificare la dimensione asfittica del mercato degli immobili residenziali in locazione nel nostro Paese si fa particolare riferimento alla bassa redditività del capitale investito in quest'attività, insufficiente per attrarre adeguati volumi di risorse finanziarie nel settore, con conseguente lenta crescita dell'offerta di abitazioni in affitto;
    date tutte le altre condizioni, un elemento al quale si imputa la scarsa disponibilità degli investitori di professione a riversare risorse nell'edilizia residenziale per l'affitto e la propensione dei risparmiatori a preferire allocazioni dei loro risparmi in attività diverse da quelle immobiliari è l'elevato livello di pressione fiscale che graverebbe sui ricavi da canoni;
    con il decreto legislativo sul federalismo municipale (decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23) è stata istituita la cedolare secca sugli affitti, la quale prevede la possibilità per i proprietari di immobili concessi in locazione di optare, in luogo dell'ordinaria tassazione Irpef sui redditi dalla locazione, per un regime sostitutivo, che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti, le cui aliquote sono pari al 21 per cento per i contratti a canone libero ed al 19 per cento per quelli a canone concordato;
    il principale scopo di questo regime di tassazione dei canoni degli immobili residenziali è il rilancio del mercato degli affitti: infatti, incentivando i proprietari a locare un maggior numero di alloggi, se ne aumenta l'offerta nel breve periodo, ma, come dimostrato da illustri economisti, la riduzione del carico fiscale sui canoni produce effetti benefici anche nel medio e lungo periodo; infatti, tale misura, oltre a mettere nuovamente in circolazione il patrimonio esistente, rende elastica l'offerta di nuove case, poiché la riduzione delle imposte sui canoni di locazione, con il conseguente aumento della redditività netta degli investimenti, spinge verso il mercato dell'edilizia residenziale nuovi capitali Pag. 90per la costruzione di nuove abitazioni destinate all'affitto;
    l'applicazione della cedolare secca comporta un forte vantaggio fiscale, sia per i proprietari dell'appartamento concesso in affitto, sia per gli inquilini stessi, poiché la registrazione del contratto assorbe ben 5 tasse diverse, dall'imposta di bollo e di registro alle addizionali Irpef sul reddito, ma soprattutto perché gli inquilini avranno, da parte loro, la certezza di non vedersi aumentare l'affitto nel corso del contratto, in quanto il proprietario che opta per la cedolare secca rinuncia all'adeguamento ISTAT del canone;
    l'istituzione della cedolare secca ha comportato notevoli vantaggi anche dal punto di vista economico; i dati mostrano infatti che in soli tre anni (2011-2013) si è passati da poco più di mezzo milione a più di un milione di locazioni cui si applica la cedolare secca, per un ammontare di imponibile di circa 7,5 miliardi di euro (+26 per cento rispetto al 2012) e un'imposta dichiarata di 1,5 miliardi di euro: lo sprint conosciuto nel triennio 2011-2013 dal meccanismo impositivo della cedolare secca è dovuto al successo di questa forma di tassazione dell'immobile nelle regioni del Centro sud, dove il numero di chi l'ha scelta, stando alle successive rielaborazioni de Il Sole 24 ore sui dati del Ministero dell'economia e delle finanze, è più che raddoppiata in Molise, Abruzzo, Basilicata, Sardegna, Calabria e Sicilia, contribuendo in parte all'emersione degli affitti in nero;
    l'ufficio del franchising Solo affitti ha rivelato che nel 2013, in quasi due casi su tre, i locatori hanno preferito optare per il regime fiscale della cedolare secca, piuttosto che sommare il reddito da affitto al proprio reddito imponibile IRPEF;
    per ridare movimento agli affari delle imprese sul territorio e soprattutto per stimolare il commercio e il rifiorire dei negozi di vicinato ci sarebbe una soluzione: estendere i positivi esperimenti compiuti nel campo dell'affitto residenziale, attraverso la cedolare secca ed il canone concordato, anche al settore commerciale;
    un'indagine condotta da Anama-Confesercenti dell'anno scorso mostra come, dopo due anni di dura crisi economica, il commercio italiano sia totalmente in ginocchio; stime parlano di 300.000 attività chiuse negli anni più bui della recessione, ovvero dal 2012 al 2015; sebbene molti osservatori e analisti di mercato sostengano che la ripresa sia già iniziata, va rilevato come il terreno su cui si innesta porti ancora i segni di un'economia che ha visto chiudere oltre 600.000 negozi, oggi sfitti;
    a confermare tale scenario è stato il presidente di Confcommercio, che, commentando i dati relativi ai cambiamenti intervenuti, tra il 2008 e il 2015, nei centri storici dei principali comuni italiani, ha rilevato come negli ultimi 7 anni sia cresciuto il computo turistico ricettivo, con una forte riduzione dei negozi tradizionali e una crescita del commercio ambulante;
    in uno scenario nel quale circa un negozio su quattro è sfitto, servono dunque un insieme di politiche pubbliche che siano in grado di accompagnare la crescita del Paese: infatti, nessuna agevolazione potrebbe, meglio di una che sia legata all'affitto del locale in cui svolgere la propria attività, aiutare tanti nuovi imprenditori ad affrontare il mercato e avviare la propria attività;
    alla luce dei positivi risultati derivanti dall'attuazione dello strumento della cedolare secca nel settore residenziale, appare più che opportuno estendere tale misura anche alle locazioni commerciali e istituire contratti a canone agevolato, con relativo sgravio fiscale per il proprietario, a un comparto, quello aziendale, legato ancora alle normative e alle tipologie contrattuali degli anni Ottanta;
    in questo modo si renderebbe senz'altro più interessante per i proprietari privati l'affitto ad aziende e con ogni probabilità si ridurrebbe la grande quantità di immobili commerciali oggi sfitti; Pag. 91
    la conseguenza naturale sarebbe, di sicuro, l'aumento del numero di locazioni gestite sul mercato e la riduzione delle tempistiche medie delle trattative,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rivedere la disciplina tributaria applicabile al mercato delle locazioni non residenziali, segnatamente per prevedere strumenti a favore dei piccoli proprietari di immobili di modeste dimensioni destinati a locazioni non residenziali, verificando in particolare, in tale prospettiva, l'eventualità di estendere le norme attualmente in vigore sulla cedolare secca anche alle locazioni ad uso diverso dall'abitazione.
(8-00204) «Laffranco, Sandra Savino, Pelillo, Petrini, Barbanti, Bonifazi, Capozzolo, Carella, Causi, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Ragosta, Ribaudo, Sanga, Zoggia, Sottanelli».