CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 8 giugno 2016
652.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (I e XI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante modifiche all'articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sul licenziamento disciplinare (Atto n. 292).

PARERE APPROVATO

   Le Commissioni riunite I e XI,
   esaminato, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, lo schema di decreto legislativo recante modifiche all'articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sul licenziamento disciplinare (Atto n. 292);
   valutato che con questo provvedimento, che anticipa una più ampia ed organica riforma del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il Governo ha inteso fin da subito rendere effettivo il licenziamento di quei lavoratori pubblici che vengono colti nell'atto di commettere un reato ai danni della pubblica amministrazione, e dunque di tutti i cittadini;
   considerato che, secondo i dati forniti dal Dipartimento della funzione pubblica, su circa settemila procedimenti disciplinari avviati ogni anno solo duecento terminano con il licenziamento dei colpevoli, una percentuale davvero molto bassa che impone una riflessione certamente più ampia sull'inefficacia e sulla farraginosità delle procedure attualmente vigenti, specie in presenza di comportamenti fraudolenti che finiscono per alimentare la sfiducia della società civile nell'efficienza dell'apparato pubblico;
   preso atto che con le nuove disposizioni i tempi nei quali il dirigente responsabile dell'ufficio dovrà agire in presenza di comportamenti volti ad attestare la falsa presenza in servizio dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche saranno assai più rapidi e certi, e il dirigente stesso avrà l'obbligo, e non la mera facoltà, di operare senza rischiare di rispondere di danno erariale nel caso la magistratura successivamente accerti l'illegittimità del licenziamento;
   osservato che l'azione disciplinare nei confronti dei comportamenti palesi e fraudolenti che possono verificarsi all'interno delle sedi di lavoro pubbliche non solo rafforza la dissuasività delle sanzioni, contrastando in questo modo comportamenti che rappresentano un danno immediato per le amministrazioni di appartenenza, ma appare estremamente importante anche alla luce del fatto che tali comportamenti finiscono per inficiare la credibilità dell'intera pubblica amministrazione, a cominciare da tutti coloro che, invece, quotidianamente vi lavorano con lealtà e dedizione;
   segnalata, su un piano generale, l'esigenza che, al fine di elevare il rendimento dei pubblici uffici e dei loro addetti e di potenziare gli strumenti di lotta alla corruzione, contrastando fenomeni di fraudolenta attestazione della presenza in servizio, le amministrazioni pubbliche si dotino di efficaci strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze dei loro dipendenti;
   osservato che l'articolo 1 dello schema di decreto legislativo novella le disposizioni dell'articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di licenziamento disciplinare, a loro volta inserite dall'articolo 69 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150;Pag. 14
   considerato, in primo luogo, che la lettera a) del comma 1 del medesimo articolo 1 introduce nell'articolo 55-quater del decreto legislativo n. 165 del 2001 il comma 1-bis, che reca una definizione di carattere normativo della fattispecie di falsa attestazione della presenza in servizio, stabilendo altresì che risponda della violazione anche chi abbia agevolato, con comportamenti attivi o omissivi, la condotta fraudolenta;
   rilevato che la successiva lettera b) introduce, in primo luogo, una nuova fattispecie di sospensione cautelare obbligatoria del dipendente pubblico che si applica, senza obbligo di preventiva audizione dell'interessato, in caso di falsa attestazione della presenza in servizio accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze;
   segnalata l'opportunità di esplicitare che, sulla scorta anche di quanto osservato nel parere n. 864/2016 del 5 aprile 2016 emesso, ai sensi dell'articolo 15 della legge 21 luglio 2000, n. 205, dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato, costituita per la trattazione dell'affare in questione, sia comunque prevista, per il periodo della sospensione, la corresponsione di un assegno alimentare, avente natura non retributiva, ma assistenziale, come di regola previsto nei casi di sospensione cautelare dal servizio;
   osservato che il nuovo comma 3-ter dell'articolo 55-quater del decreto legislativo n. 165 del 2001, anch'esso inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del provvedimento in esame, introduce un procedimento disciplinare accelerato per le fattispecie di falsa attestazione della presenza in servizio accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze;
   considerata l'opportunità, anche alla luce delle osservazioni contenute nel richiamato parere n. 864/2016 del Consiglio di Stato, di prevedere una più puntuale scansione temporale delle fasi del nuovo procedimento disciplinare accelerato, nell'ambito del quale individuare con certezza il termine di avvio del procedimento e di contestazione dell'addebito, nonché il termine di preavviso per la convocazione in contraddittorio dell'interessato;
   rilevato che il nuovo comma 3-quater dell'articolo 55-quater del decreto legislativo n. 165 del 2001 introduce l'azione di responsabilità per danno all'immagine della pubblica amministrazione nei confronti del dipendente sottoposto ad azione disciplinare per falsa attestazione della presenza in servizio;
   osservato che il successivo comma 3-quinquies dispone che l'omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare e l'omessa attivazione del procedimento disciplinare nei confronti del dipendente che abbia attestato falsamente la propria presenza, da parte del dirigente o del responsabile del servizio, rientrino nella fattispecie del reato di omissione d'atti d'ufficio e determinino una responsabilità disciplinare, punibile con il licenziamento;
   ritenuto che la previsione che le condotte omissive di cui al predetto comma 3-quinquies rientrino nella fattispecie del reato di omissione d'atti d'ufficio, di cui all'articolo 328 del codice penale, determini l'introduzione di una nuova norma penale, in assenza di un adeguato supporto nei principi e nei criteri della delega legislativa, come rilevato anche nel citato parere n. 864/2016 del Consiglio di Stato;
   valutati gli elementi acquisiti nel corso delle audizioni informali di rappresentanti della Corte dei conti e delle organizzazioni sindacali rappresentative nel campo del pubblico impiego, svoltesi il 16 maggio 2016,
  esprimono

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   all'articolo 1, comma 1, lettera b), capoverso 3-bis, sia precisato espressamente Pag. 15che al dipendente sospeso cautelativamente dal servizio sia comunque corrisposta un'indennità di carattere alimentare, analogamente a quanto attualmente previsto nelle analoghe fattispecie di sospensione cautelare dal servizio;
   all'articolo 1, comma 1, lettera b), sia riformulato il capoverso 3-ter, in modo da consentire che il termine di trenta giorni previsto per la conclusione del procedimento disciplinare garantisca, anche mediante la individuazione di un termine di avvio del procedimento, di norma corrispondente alla data di contestazione dell'addebito, una opportuna scansione temporale delle diverse fasi del procedimento stesso e assicuri idonee garanzie di contraddittorio a difesa del dipendente, eventualmente prevedendo la possibilità di disporre la contestualità dell'adozione del procedimento di sospensione e della contestazione dell'addebito, al fine di definire l'immediato avvio del procedimento medesimo, nonché la fissazione di termini specifici riferiti al procedimento disciplinare, anche in relazione al preavviso di convocazione del dipendente, all'invio, da parte sua, di memorie scritte e all'espletamento di eventuale ulteriore attività istruttoria;
   all'articolo 1, comma 1, lettera b), capoverso 3-quinquies, sia soppressa la disposizione che qualifica in modo esplicito il comportamento omissivo del dirigente o responsabile del servizio come reato di omissione di atti d'ufficio, prevedendo piuttosto che – a fronte del comportamento omissivo medesimo, che in base alla legislazione vigente può configurare una fattispecie penalmente rilevante in capo al dirigente o responsabile del servizio – l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari comunichi all'autorità giudiziaria i procedimenti adottati in relazione a tali comportamenti, ai fini dell'accertamento della sussistenza di reati;
  e con le seguenti osservazioni:
   con riferimento alla formulazione dell'articolo 1 del provvedimento, valuti il Governo l'opportunità di apportare le seguenti modificazioni:
    a) al comma 1, lettera a), capoverso 1-bis, primo periodo, dopo le parole: «falsa attestazione della presenza in servizio», aggiungere le seguenti: «, oltre a quella realizzata mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza,»;
    b) al comma 1, lettera a), capoverso 1-bis, primo periodo, sostituire le parole: «presta servizio» con le seguenti: «presta la propria attività lavorativa»;
    c) al comma 1, lettera b), capoverso 3-bis, primo periodo, dopo le parole: «falsa attestazione della presenza», aggiungere le seguenti: «in servizio»;
    d) al comma 1, lettera b), capoverso 3-bis, terzo periodo, sostituire le parole: «suddetto termine» con le seguenti: «termine di cui al secondo periodo»;
    e) al comma 1, lettera b), capoverso 3-bis, terzo periodo, sostituire le parole: «che ne sia responsabile» con le seguenti: «cui essa sia imputabile»;
   con riferimento all'articolo 1, comma 1, lettera b), capoverso 3-bis, valuti il Governo l'opportunità di chiarire la natura e le conseguenze della responsabilità del dipendente nel caso in cui sia a lui imputabile la violazione del termine di quarantotto ore previsto per la sospensione cautelare.

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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante modifiche all'articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sul licenziamento disciplinare (Atto n. 292).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL GRUPPO DEL MOVIMENTO 5 STELLE

  Le Commissioni riunite I e XI,
   premesso che:
    con lo schema di decreto legislativo in oggetto si intende dare attuazione alla delega di cui all'articolo 17, comma 1, lettera s) della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»;
    con la richiamata disposizione il Governo è delegato a intervenire sulla disciplina relativa alla responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti con norme finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare;
    in particolare, con lo schema di provvedimento in titolo vengono apportate alcune significative modifiche all'articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dalla legge 27 ottobre 2009, n. 150 (cosiddetta «riforma Brunetta»), in materia di licenziamento disciplinare al fine di allargarne l'ambito di applicazione e reprimere più efficacemente le condotte volte ad attestare falsamente la presenza in servizio dei dipendenti pubblici;
    la legge n. 150/2009, ha rimesso la disciplina in commento ai contratti collettivi, introducendo le seguenti norme:
     il procedimento disciplinare si svolge secondo due tipologie, una più semplice riservata ai casi di minore gravità che si esaurisce nell'ambito dell'unità organizzativa di appartenenza dell'incolpato, e una aggravata nei casi in cui il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale ovvero nelle ipotesi di infrazioni gravi, di competenza dell'ufficio dei procedimenti disciplinari;
     l'obbligo dell'esercizio dell'azione disciplinare, escludendo qualsiasi ipotesi di patteggiamento in precedenza ammessa e prevedendo specifiche sanzioni per i soggetti aventi qualifica dirigenziale ingiustificatamente inadempienti dinnanzi a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare;
     la ratio delle modifiche apportate alla suddetta normativa vigente in materia, risiede nella necessità di sanzionare con misure immediate ed efficaci l'assenteismo fraudolento, attraverso il potenziamento degli strumenti di lotta alla corruzione e alla malagestio delle amministrazioni interessate, nonché per elevare la performance individuale e collettiva dei pubblici uffici e dei loro addetti, in termini di rendimento ed efficienza;
    come rilevato dal Consiglio di Stato, con l'intervento di uno specifico illecito disciplinare, ovvero «la previsione di maggior rigore e relativo procedimento disciplinare accelerato relativamente alla sola fattispecie della falsa attestazione della presenza in servizio con condotte fraudolente in danno dell'amministrazione», il provvedimento rinvia alla disciplina generale recata dagli articoli 55 e Pag. 17seguenti del decreto legislativo n. 165 del 2001 per i profili procedimentali non considerati. Alcuni dei predetti profili, dovrebbero comunque trovare applicazione anche nel procedimento accelerato, per evitare il rischio di dilatare i tempi oltre il termine più ravvicinato che si intende introdurre;
  esprimono

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   in relazione al comma 1-bis:
    la condotta che costituisce «falsa attestazione della presenza in servizio» viene specificata dal suddetto comma, nel senso che essa identifica «qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare i dipendenti in servizio o trarre in inganno l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio circa il rispetto dell'orario di lavoro dello stesso»;
     come sottolineato dalla Corte dei Conti, l'ambito soggettivo della nuova previsione non si estende al personale esterno alle amministrazioni, dipendente da imprese private cui le amministrazioni abbiano affidato compiti di vigilanza o di sorveglianza degli accessi;
     nel merito, è necessario (come peraltro evidenziato rispettivamente dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti):
    a) rinnovare anche nel comma 1-bis il riferimento all’«alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza», specificando che «Costituisce falsa attestazione della presenza, oltre a quella realizzata mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza, qualunque modalità fraudolenta posta in essere»;
    b) prevedere, anche attraverso ulteriori iniziative legislative ad hoc, l'adozione di misure sanzionatorie nei confronti delle imprese che prestano tali servizi, sia mediante l'obbligo per le amministrazioni di attivare le clausole penali generalmente contenute nei contratti di appalto (o, comunque, da inserire in essi con riguardo alla specifica fattispecie qui esaminata), sia ricorrendo, nei casi più gravi, alla loro risoluzione;
   in relazione al comma 3-bis:
    il suddetto comma introduce un'ipotesi di sospensione cautelare obbligatoria dal servizio del dipendente nel caso di «falsa attestazione della presenza in servizio», consistente nella sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, da disporre immediatamente, senza previa audizione del dipendente e, comunque, entro 48 ore dal momento in cui il «responsabile della struttura» in cui il dipendente lavora o – se ne venga a conoscenza per primo – l'ufficio per i procedimenti disciplinari (Upd) – ne abbiano avuto conoscenza;
    la sopra citata sospensione si connota in primo luogo per il presupposto applicativo, costituito dall'accertamento «in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze. Viene, così, introdotta una nuova ipotesi di sospensione obbligatoria dal servizio, tradizionalmente riferita “ai casi di impossibilità della prestazione dovuta alla concomitanza di misure coercitive o restrittive della libertà del dipendente adottate in sede penale”. Essa consiste nella sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, da disporre immediatamente, senza previa audizione del dipendente e, comunque, entro 48 ore dal momento in cui il “responsabile della struttura” in cui il dipendente lavora o – se ne venga a conoscenza per primo – l'ufficio per i procedimenti disciplinari (Upd) – ne abbiano avuto conoscenza»;
    infine il comma in commento, precisa che la violazione del termine di 48 ore per far luogo alla sospensione cautelare, nonostante costituisca una mancanza suscettibile di sanzione disciplinare, non determina comunque la decadenza dell'azione disciplinare o l'inefficacia della sospensione, senza comunque precisarne le conseguenze;Pag. 18
    nel merito si sottolinea in primis, che lo schema di decreto, data la natura cautelare della misura sospensiva, deve esplicitare la previsione che l'immediata sospensione del dipendente anche dallo «stipendio» non preclude, secondo i principi generali, la corresponsione di un assegno alimentare al dipendente sospeso. Nella sua configurazione tradizionale, la sospensione cautelare comporta infatti il mancato pagamento della retribuzione, ma non esclude la corresponsione di un assegno alimentare, la cui natura non è retributiva, bensì «assistenziale»;
    in secundis si fa notare che l'applicazione delle misure di accertamento in flagranza della falsa attestazione, nonché la rilevazione mediante i menzionati strumenti di sorveglianza o di registrazione implicano che le amministrazioni siano dotate di idonei sistemi di controllo delle presenze sui luoghi di lavoro e che gli addetti a tali sistemi operino alle dipendenze di dirigenti o funzionari specificamente responsabili. La clausola d'invarianza della spesa, contenuta nell'articolo 2 del provvedimento in titolo, non consente di fatto lo stanziamento di eventuali ulteriori risorse ad hoc;
    in terzis, in relazione alla mancata irrogazione della sospensione obbligatoria in via immediata o comunque entro le 48 ore, è necessario valutare la previsione di responsabilità della violazione del termine da parte del responsabile della struttura o dell'ufficio, non essendo direttamente riferibile a quella prevista dal successivo comma 3-quinquies, che riguarda la diversa fattispecie dell'omessa adozione del provvedimento sanzionatorio finale. Inoltre, come sottolineato dal Consiglio di Stato, in assenza di precisazione normativa, potrebbe risultare problematica l'applicazione, nel caso di specie, del comma 3 dell'articolo 55-sexies, atteso che tale disposizione si riferisce al «mancato esercizio o alla decadenza dell'azione disciplinare», letteralmente riferito al procedimento disciplinare, il quale, nella configurazione normativa, è successivo all'adozione della sospensione cautelare;
   in relazione al nuovo comma 3-ter:
    in tutti i casi di «falsa attestazione della presenza in servizio», il procedimento disciplinare segue un iter accelerato, per cui esso deve concludersi entro 30 giorni dalla contestazione dell'addebito da parte dell'ufficio per i procedimenti disciplinari, rischiando altresì di compromettere l'equità del giudizio, a vantaggio della brevità del termine in parola, vanificando la conseguente analisi oggettiva dei fatti. A tal fine, è previsto che il responsabile della struttura di appartenenza del dipendente, contestualmente al provvedimento di sospensione cautelare, trasmetta gli atti all'ufficio per i procedimenti disciplinari, che è tenuto ad avviare «immediatamente» il procedimento disciplinare;
    in base al procedimento ordinario, di cui all'articolo 55-bis, commi 2 e 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001, si prevede, nel caso di specie un termine di 40 giorni (decorrenti dalla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione) per la sola contestazione degli addebiti e un periodo di 120 giorni (dalla contestazione degli addebiti) per concludere il procedimento disciplinare;
    tenuto conto che la violazione del termine complessivo di 30 giorni, previsto dallo schema di decreto legislativo in esame, comporta per l'amministrazione la decadenza dall'azione disciplinare, con conseguente mantenimento in servizio del dipendente, è necessario individuare il momento di decorrenza dei 30 giorni, eventualmente ampliandolo di un breve periodo, nonché fissando la durata massima temporale di ciascuna delle fasi endoprocedimentali, anche al fine di evitare – come afferma la Corte dei Conti – obiezioni di sorta sotto il profilo del rispetto delle garanzie dell'incolpato «a tutela del suo diritto di difesa», nel rispetto della civiltà giuridica, come riconosciuto sia dalla Costituzione, sia dalla normativa europea, ed infine dall'articolo 7 della legge 300/70 (cosiddetto statuto dei lavoratori);
    in relazione al nuovo comma 3-quater, il dipendente è altresì soggetto a Pag. 19un'azione di responsabilità per danno all'immagine della pubblica amministrazione, sebbene – come sottolineato dalla Consiglio di Stato –, «già nell'attuale sistema, la procura della Corte dei Conti, su denuncia degli organi amministrativi competenti, potrebbe procedere, pur in mancanza delle disposizioni che il decreto vuole introdurre, ad azione di responsabilità anche per danno all'immagine dell'Amministrazione il cui dipendente abbia compiuto i gravi fatti per cui la nuova procedura e la nuova fattispecie disciplinare sono introdotte»;
    in particolare, le previsioni descritte dal comma 3-quater in commento, per quanto in astratto condivisibili, ineriscono tuttavia, a una materia – la responsabilità amministrativa e la relativa giurisdizione – decisamente estranea all'ambito oggettivo della legge di delega. Sia la Corte dei Conti, sia il Consiglio di Stato, ritengono sostanzialmente che dette previsioni non si pongano «in coerente sviluppo» e in una logica di «completamento» con le scelte del legislatore delegante. Secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 219/20134, richiamata dal Consiglio di Stato nel suo parere sullo schema in esame (Comm. spec., 16 marzo 2016, n. 864), «Il legislatore delegato può emanare norme che rappresentino un coerente sviluppo dei princìpi fissati dal delegante, e, se del caso, anche un completamento delle scelte compiute con la delega [...], ma non può spingersi ad allargarne l'oggetto, fino a ricomprendervi materie che ne erano escluse. In particolare, il test di raffronto con la norma delegante, cui soggiace la norma delegata, deve ritenersi avere esito negativo, quando quest'ultima intercetta un campo di interessi così connotato nell'ordinamento, da non poter essere assorbito in campi più ampi e generici, e da esigere, invece, di essere autonomamente individuato attraverso la delega»;
    sempre secondo il Consiglio di Stato, nella materia del «lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di organizzazione amministrativa», l'articolo 16 della legge n. 124/2015 prevede decreti legislativi «di semplificazione», che, in relazione ai criteri direttivi ivi indicati, non si connotano per contenuti innovativi della disciplina sostanziale che è possibile emanare; l'articolo 17 della sopra citata legge, prevede la possibilità di introdurre discipline innovative, ma pur sempre nell'ambito di riferimento del rispettivo criterio direttivo;
    appare evidente che una puntuale procedura concernente l'azione di responsabilità per danno d'immagine alla pubblica amministrazione è estranea alla materia della responsabilità disciplinare e al procedimento disciplinare, poiché la stessa non concerne direttamente la disciplina del lavoro con la pubblica amministrazione né i relativi profili di organizzazione amministrativa, attenendo piuttosto agli effetti che la violazione degli obblighi del lavoratore produce, in relazione alla tutela di interessi e beni che non riguardano direttamente il rapporto di lavoro;
    i sottoscrittori condividono il parere del Consiglio di Stato, riguardo alla necessità di «stralciare il comma 3 – quater in commento, onde evitare che, il mantenimento della disposizione, stante il contrasto con la delega, conduca ad azioni in sede giurisdizionale con esito favorevole proprio per gli eventuali dipendenti infedeli, così vanificando il giusto principio di tutela dell'immagine che le Amministrazioni devono perseguire»;
    la previsione di una responsabilità per danno di immagine è peraltro già contenuta nell'articolo 55-quinquies del decreto legislativo n. 165/2001. Il comma 3-quater in esame costituisce, dunque, una specificazione ed una integrazione di una responsabilità già prevista dal citato articolo 55-quinquies. Si sottolinea inoltre che in relazione alla richiesta del risarcimento del danno d'immagine, da parte del Governo, anche gli oltre tre milioni di dipendenti pubblici onesti, potrebbero a loro volta pretendere un analogo risarcimento da parte del dipendente disonesto e dal Governo medesimo, perché i reiterati passaggi sui Mass-media, rischiano di denigrare anche quest'ultimi; Pag. 20
  in merito alla disposizione per cui la denuncia (collegata alla vicenda disciplinare) inoltrata al pubblico ministero penale, e alla procura regionale della Corte dei conti debba essere operata entro 15 giorni dall'avvio del procedimento disciplinare, è necessario consentirne, per quanto possibile, l'invio tramite Pec;
    ai fini poi della corretta quantificazione del danno, che deve fondarsi su valutazioni inequivocabilmente riferibili alla condotta del pubblico dipendente sottoposto al procedimento di responsabilità, il parametro dichiaratamente mediatico concernente la «rilevanza del fatto per i mezzi d'informazione», deve essere sostituito – come suggerito dal Consiglio di Stato – con altro, già conosciuto dalla giurisprudenza del giudice contabile, quale «diffusività dell'episodio nella collettività»;
   in relazione al comma 3-quinquies:
    il comma in commento nei casi di falsa attestazione della presenza, accertata in flagranza o mediante strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, considera che talune condotte omissive dei dirigenti o, negli enti privi di qualifica dirigenziale, dei responsabili di servizio (omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare; omessa comunicazione all'ufficio per i procedimenti disciplinari; omessa attivazione del procedimento disciplinare) costituiscono illeciti disciplinari punibili con il licenziamento e illeciti penali riconducibili al reato di omissione di atti d'ufficio (articolo 328 cod. pen.);
    a parte la sopra citata previsione penale, che finirebbe per eccedere i limiti della delega legislativa, come rilevato dalla Corte dei Conti, «l'illecito disciplinare in parola, oltre ad essere punito più gravemente di quanto stabilito dall'articolo 55-sexies, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001 in relazione alle infrazioni punibili con il licenziamento (sospensione dal servizio, con privazione della retribuzione fino ad un massimo di tre mesi) – finisce per porre sullo stesso piano, quanto alla sanzione applicabile, colui che ha concorso alla commissione dell'illecito e il dirigente o il responsabile del servizio che ha posto in essere la condotta omissiva successivamente all'illecito disciplinare riferibile al dipendente»;
    detta norma non si conforma quindi ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione, come osservato anche dal Consiglio di Stato nel citato parere n. 864/2016;
    la disposizione contenuta nel comma 3-quinquies tipizza, in termini di omissione di atti di ufficio, una fattispecie nuova e diversa rispetto alla disposizione dell'articolo 328 c.p., la quale, per la configurabilità del fatto di reato, prevede la preventiva formulazione di una richiesta, il mancato compimento dell'atto dell'ufficio e la mancata risposta per esporre le ragioni del ritardo;
    nel quadro di un inasprimento della responsabilità dei dirigenti, ed al fine di dare forte impulso alla iniziativa di controllo e denuncia dei fenomeni di assenteismo, è necessario estendere le previsioni dell'articolo 328 del cod. penale ai comportamenti dirigenziali omissivi con norma primaria;
    relativamente agli assetti organizzativi cui è attualmente rimessa la gestione dei procedimenti disciplinari, è necessario assegnare agli istituendi Uffici territoriali dello Stato (per la cui disciplina è prevista un'apposita delega legislativa nella legge di riforma dell'amministrazione: articolo 8, comma 1, lettera e), legge n. 124/2015) i compiti che lo schema di decreto in esame pone a carico di soggetti – dirigenti, responsabili di servizi, ecc. – interni a ciascuna amministrazione;
    è necessario, inoltre, che il Governo provveda a rafforzare i poteri di vigilanza attribuiti all'Ispettorato istituito presso il Dipartimento della funzione pubblica, in modo da monitorare e verificare l'efficienza degli apparati amministrativi, l'esercizio del potere disciplinare a tutti i livelli di governo e di amministrazione, anche regionale e locale, in conformità Pag. 21degli obblighi informativi a carico delle autonomie regionali e locali nei confronti delle amministrazioni dello Stato, (vedi Corte cost. n. 219/2013, n. 121/2012);
    è necessario che il Governo valuti l'obbligo di far corredare i «modelli di rilevazione» che ogni direzione generale del personale delle amministrazioni dello Stato compila e invia ai competenti uffici di bilancio da una sintetica analisi dello stato delle procedure disciplinari e degli effetti patrimoniali ad esse correlati; quantificati gli oneri finanziari e gli eventuali crediti maturati in seguito a condanne risarcitorie da parte del dipendente sospeso o sottoposto a procedimento penale;
    al riguardo si ricorda che la Sezione di controllo della Corte dei conti sulla gestione della amministrazioni dello Stato ha avuto modo – in occasione della relazione sulla gestione dei procedimenti disciplinari, approvata con deliberazione n. 7/2006 di sottolineare come «l'evidenziazione delle tipologie di spesa correlate a procedimenti penali e disciplinari nei confronti dei dipendenti si inquadra nel processo di analisi del costo del personale e dei fenomeni gestionali ad esso collegati, indispensabile in una corretta ottica di rendicontazione, che deve sempre più ispirarsi agli ineludibili profili di trasparenza contabile, di cui si avverte particolarmente la necessità nella materia in questione»;
    è necessario infine che il Governo valuti la necessità di riaprire i tavoli per i rinnovi dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, come già proposto dal M5S con mozione, ovviamente respinta, e come risollecitato recentemente dallo stesso M5S con apposita risoluzione in Commissione Lavoro pubblico e privato.
Ciprini, Lombardi, Cominardi, Dall'Osso, Tripiedi, Chimienti.