CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 21 aprile 2016
630.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Cultura, scienza e istruzione (VII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-00563 Carocci: Sulla fondazione lirico sinfonica «Carlo Felice» di Genova.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Mi riferisco all'interrogazione con la quale l'Onorevole Carocci, unitamente ad altri suoi Onorevoli colleghi, richiede notizie in merito alla Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova.
  Premetto che sarà mia cura fornire ovviamente informazioni aggiornate rispetto al quadro, ormai risalente, rappresentato nell'interrogazione.
  La Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova ai sensi dell'articolo 4, comma 162, della legge finanziaria 2004 (n. 350 del 2003), è stata destinataria di uno speciale contributo annuo, pari inizialmente ad euro 2.500.000 a decorrere dall'anno 2004. Tale contributo a sua volta fa seguito a un primo contributo triennale straordinario disposto dall'articolo 1 della legge n. 264 del 2002.
  Nel corso degli anni il contributo è stato gradualmente rideterminato in ragione delle esigenze di finanza pubblica. Per il 2015 è stato disposto uno stanziamento sul cap. 6650 pari ad euro 870.635; per l'esercizio 2016 tale valore è pari ad euro 872.622, già ad oggi erogati.
  La situazione economico finanziaria e gestionale del Teatro deve essere valutata anche alla luce delle norme in tema di risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche (legge 7 ottobre 2013, n. 112), che hanno inteso affrontare in maniera complessiva e mirata il problema dell'equilibrata gestione economico-finanziaria dei Teatri in crisi.
  La Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova, trovandosi nelle condizioni previste all'articolo 11, comma 1, della ricordata legge, n. 112 «... in quanto impossibilitata a far fronte ai debiti certi ed esigibili da parte di terzi», il 6 dicembre 2013 ha comunicato formale adesione alla procedura di cui all'articolo 11, comma 1, e con comunicazione di poco successiva ha presentato formale richiesta di anticipazione a valere sul comma 9 della già citata disposizione, allo scopo di far fronte alla grave emergenza finanziaria in cui versava.
  In forza dell'articolo 1, comma 355, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) essa è inoltre tenuta a integrare il predetto piano entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della stessa legge di stabilità, e può riarticolare il raggiungimento dell'equilibrio strutturale entro l'anno 2018.
  Per quanto attiene alla lamentata adeguatezza dei criteri di ripartizione del contributo Fondo Unico per lo Spettacolo, lo stesso articolo 11 della citata legge n. 112 del 2013 ha demandato al Ministero la adozione di nuovi criteri, adempimento inverato dal decreto ministeriale 3 febbraio 2014 che reca parametri calibrati sulle complessive esigenze del settore.
  Allo stato attuale la Fondazione deve ottenere l'erogazione di euro 13.047.000, afferenti al piano di risanamento presentato, avendo già il Teatro percepito una prima erogazione a titolo di anticipazione pari ad euro 3.103.164.
  Si fa presente, infine, che è in corso di erogazione la prima rata a valere sul FUS a favore della Fondazione, per l'importo di euro 5.776.105.
  Vorrei peraltro soggiungere che è attualmente in corso tra il Ministero vigilante e la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova una serrata corrispondenza volta a verificare il ripristino dell'equilibrio economico gestionale.Pag. 89
  Infatti, il conto economico del pre-consuntivo per l'esercizio 2015 reca un valore negativi per euro 4.477.128, a fronte di una prospettazione del piano di risanamento che prefigurava un utile per euro 1.811.759, e il patrimonio disponibile della Fondazione, già negativo alla chiusura dell'esercizio 2014, subisce un'ulteriore riduzione in ragione della menzionata perdita di conto economico.

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ALLEGATO 2

5-07553 Pannarale: Sulla salvaguardia della Domus mazziniana a Pisa.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'Onorevole Pannarale mi chiede quali iniziative si intendano assumere per la valorizzazione della Domus Mazziniana di Pisa, tenuto conto delle norme vigenti in materia.
  La «Domus Mazziniana» venne costituita con la legge n. 1230 del 1952; all'ente venne attribuita personalità giuridica di diritto pubblico ed all'allora Ministero della Pubblica Istruzione ne venne affidata «la tutela e la vigilanza».
  L'Istituto ha sede a Pisa presso la casa dove Giuseppe Mazzini soggiornò e morì il 10 marzo 1872.
  Le finalità della Domus Mazziniana sono lo studio e l'approfondimento del pensiero di Giuseppe Mazzini, la diffusione delle sue opere, la raccolta e conservazione di documenti relativi alla sua vita e al suo insegnamento.
  La dotazione dell'Archivio della Domus è cospicua: sono consultabili documenti autografi mazziniani, tra cui circa mille lettere e uno spartito musicale, l'unico scritto dall'eroe risorgimentale.
  Oltre ai documenti riguardanti Mazzini, fanno parte dell'Archivio anche scritti di altri protagonisti del Risorgimento.
  La Biblioteca è attualmente composta da circa 40 mila volumi riguardanti il periodo risorgimentale e l'Italia liberale. Essa ospita anche una importante emeroteca, con oltre 3 mila testate di periodici, e la collezione completa del giornale «Giovine Italia».
  L'assetto originario disegnato dalla legge istitutiva (articolo 5 della legge n. 1230 del 1952) prevede che l'Istituto sia retto da un Consiglio di amministrazione composto da un Presidente nominato dal Sindaco di Pisa, dal Presidente della Deputazione provinciale di Pisa, dal titolare della cattedra di storia del Risorgimento o, in subordine, dal titolare della cattedra di storia moderna della facoltà di Lettere dell'Università di Pisa, dal Presidente della Associazione mazziniana italiana, da un rappresentante dell'Istituto per la storia del Risorgimento italiano, da un rappresentante per ogni categoria di soci (benemeriti, perpetui ed ordinari).
  All'articolo 10, è previsto, infine, che il personale dell'Istituto sia statale e che vi prestino servizio, in posizione di comando, un bibliotecario (scelto preferibilmente fra insegnanti) e un custode.
  Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 maggio 2002, si è inteso applicare all'Istituto la misura di razionalizzazione di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 419 del 1999, «consistente nella unificazione strutturale di enti appartenenti allo stesso settore di attività» e, quindi, l'Istituto medesimo è stato inserito nella rete degli istituti storici già individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 maggio 2001 (Giunta centrale per gli studi storici, Istituto italiano di numismatica, istituto storico italiano per il medio evo, Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea, Istituto italiano per la storia antica, Istituto per la storia del risorgimento italiano).
  L'articolo 5 del citato decreto legislativo n. 419 del 1999, nel dettare i principi generali che debbono governare la fusione o l'unificazione strutturale degli enti, prevede Pag. 91espressamente che la fusione o l'unificazione avvengano con atto regolamentare.
  Ed in effetti il decreto del Presidente della Repubblica 11 novembre 2005, n. 255, «Regolamento recante unificazione strutturale della Giunta centrale per gli studi storici e degli Istituti storici», che attribuiva alla Giunta Storica nazionale (nuova denominazione della Giunta Centrale per gli Studi Storici) il coordinamento dell'attività e della gestione degli istituti storici e disegnava l'assetto organizzativo degli Istituti inseriti nel sistema strutturato a rete, deve essere emendato.
  Il testo del nuovo regolamento è all'esame di questo Ministero e delle altre amministrazioni concertanti, ovvero il MIUR e il Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione.
  In attesa del varo del nuovo regolamento, la Domus Mazziniana, commissariata dal 1997, è ancora sottoposta ad un Commissario straordinario, come correttamente rammentato dall'onorevole Pannarale, che ha rappresentato come l'Istituto sia tornato ad una regolare gestione e siano venute meno le motivazioni che avevano indotto la misura straordinaria.
  Per quanto riguarda il problema della carenza del personale vorrei segnalare che, in tale situazione di commissariamento, quasi ventennale, non è stato più possibile garantire la presenza di personale statale presso la Domus Mazziniana in posizione di comando, così come previsto dalla norma del 1952, in quanto la stessa Istituzione, per assoluta mancanza di fondi, non è stata più in grado di corrispondere ai comandati i previsti emolumenti stipendiali.
  Pertanto, proprio al fine di consentire la regolare gestione delle attività istituzionali, la messa a norma della sede dell'Istituto e la riapertura della Domus Mazziniana, avvenuta, come ricorda l'interrogante, il 16 gennaio 2016, il Commissario straordinario attuale ha proceduto alla stipula di un accordo con personale volontario dell'Associazione degli Amici dei Musei e dei Monumenti Pisani, anche in virtù della carica di Rettore della stessa Università Normale di Pisa e a carico dello stesso Ateneo. Si è così potuto organizzare manifestazioni culturali, l'allestimento di un percorso espositivo di documenti e materiali storici, le visite guidate e i percorsi didattici dedicati alle scuole di ogni ordine e grado e alle famiglie.
  In conclusione, si assicura all'Onorevole interrogante che il Ministero intende portare a compimento la riflessione sul percorso da seguire per restituire alla Domus piena operatività, pur nella consapevolezza che potrebbe essere opportuno a tal fine un aggiornamento della vigente normativa primaria.

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ALLEGATO 3

5-05548 Duranti: Su una razionalizzazione degli uffici periferici del MIBACT che salvaguardi la disposizione e la fruizione del patrimonio storico-culturale anche in base alla provenienza territoriale.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Mi riferisco all'interrogazione con la quale l'Onorevole Duranti, unitamente ad altri suoi Onorevoli colleghi, richiede notizie in merito all'attività svolta dal Segretariato generale di questo Ministero per la razionalizzazione degli Uffici periferici del Ministero e, più specificatamente, degli Archivi di Stato e delle Soprintendenze archivistiche presenti nella Regione Puglia, esprimendo in particolare timori di pregiudizio per la provincia Jonica.
  Occorre ricordare in primo luogo che, a seguito dell'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171 (avvenuta il 10 dicembre 2014), gli Archivi di Stato e le Soprintendenze archivistiche sono divenute articolazioni della Direzione generale Archivi.
  Successivamente il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo 23 gennaio 2016, n. 44, ha da un lato attribuito alle Soprintendenze archivistiche le nuove competenze statali in materia di beni librari (ai sensi dell'articolo 16, comma 1-sexies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 1125) – fatto salvo quanto previsto nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e Bolzano – e dall'altro ha ridisegnato l'articolazione di alcuni uffici dirigenziali di livello non generale nell'ambito della Direzione generale Archivi, con l'individuazione in modo distinto di alcuni Istituti precedentemente accorpati.
  Ciò premesso, vorrei illustrare alcune situazioni particolari relative agli Istituti archivistici della Puglia:
   l'Archivio di Stato di Bari è ospitato nel complesso denominato Cittadella della Cultura, di proprietà del Comune di Bari e concesso per novantanove anni in uso all'Archivio di Stato e alla Biblioteca Nazionale. Necessita di una integrazione degli impianti di sicurezza, per garantire una più adeguata sorveglianza sugli accessi da parte del pubblico, misura che si rende vieppiù necessaria alla luce dell'attuale situazione di offensiva terroristica. Occorre inoltre adeguare l'impianto di climatizzazione, ormai obsoleto e incapace di evitare dispersioni di energia, con conseguente notevole aggravio di costi per l'Amministrazione. È in corso di perfezionamento l'acquisizione di alcuni capannoni ubicati nei pressi della Cittadella della Cultura, dove dovrebbe essere trasferito il materiale attualmente conservato nella sede di Rutigliano;
   per quanto riguarda la Sezione di Archivio di Stato di Barletta, è prevista l'attivazione di un tavolo tecnico coordinato dal Segretariato regionale con la partecipazione della Direzione generale archivi, dell'Agenzia del demanio, della Soprintendenza belle arti e paesaggio della Puglia, dell'Archivio di Stato di Bari e del Comune di Barletta con lo scopo di affrontare le problematiche emerse e concludere in tempi rapidi il trasferimento della sezione nel complesso demaniale dell'ex Caserma Stennio;Pag. 93
   per la sezione di Archivio di Stato di Trani il Provveditorato alle opere pubbliche ha di recente approvato alcuni progetti per l'adeguamento degli impianti alle normative di sicurezza;
   per l'Archivio di Stato di Brindisi si era ipotizzato di utilizzare, quale sede sussidiaria, un capannone industriale confiscato alla criminalità organizzata, sito in contrada Piccoli. Esso, in prospettiva, avrebbe dovuto sostituire i depositi di via dei Cappuccini, via Porta Lecce e, in seconda battuta, il deposito di via Monte Sabotino dell'Archivio di Stato di Lecce. L'importo necessario per l'esecuzione dei lavori strutturali necessari all'adeguamento della sede è stato stimato in circa due milioni di euro;
   per la sezione dell'Archivio di Stato di Foggia sono in corso lavori nella sede demaniale di Palazzo Filiasi. Il completamento degli impianti consentirà di trasferire gli uffici al primo piano e di abbandonare la sede sussidiaria;
   per quanto riguarda la sezione dell'Archivio di Stato di Lucera l'Amministrazione comunale si è dichiarata disponibile a concedere in comodato gratuito la sede. La trattativa è in corso;
   per la sistemazione dell'Archivio di Stato di Lecce è in corso di perfezionamento l'acquisto della sede di via Sozy Carafa, mediante esercizio del diritto di prelazione;
   la situazione dell'Archivio di Stato di Taranto è particolare: nel novembre del 2014 l'Agenzia del demanio aveva comunicato la disponibilità di un capannone sito in Monopoli (BA), in uso all'Amministrazione della Difesa ma in via di dismissione e dotato di una superficie lorda di circa 3800 metri quadrati. Detto capannone – le cui dimensioni non rendono possibile accogliere i fondi dell'Archivio di Stato di Taranto e di altre sedi pugliesi, come pure era stato paventato – risulta peraltro destinato ad altra Amministrazione.

  Si segnala infine che l'Agenzia del demanio nel dicembre 2015, a seguito di richiesta dell'onorevole Ministro, ha comunicato che provvederà ad effettuare un ulteriore approfondimento, per il tramite delle proprie Direzioni regionali, allo scopo di verificare l'eventuale sopravvenienza di beni immobili demaniali liberi, idonei per far fronte alle esigenze degli istituti archivistici.
  Nella predetta nota, nell'ambito di una già avviata e proficua attività di concertazione con il Ministero della Difesa in materia di razionalizzazione degli spazi e nell'ottica del contenimento della spesa, si è espresso altresì l'auspicio che possa emergere l'esistenza di immobili suscettibili di dismissione da parte del predetto Dicastero.
  Alla luce di quanto sopra, è stata rilevata l'esigenza che le Direzioni degli istituti archivistici che utilizzano immobili a titolo oneroso e che:
   a) non risultano inseriti nel Piano di razionalizzazione nazionale;
   b) risultano inseriti nel suddetto Piano ma per intervento dichiarato come «operazione non attendibile» da parte dell'Agenzia del Demanio, provvedano a richiedere nuovamente alle competenti Direzioni Regionali della stessa Agenzia la disponibilità di immobili demaniali idonei da adibire a sedi degli Istituti.

  La competente Direzione generale, il 10 febbraio 2016 ha fornito a tutti gli Istituti le necessarie indicazioni al riguardo.
  Concludo sottolineando che questa lunga carrellata di iniziative – che si confida possano fornire risposta ai timori espressi dall'Onorevole interrogante – costituisce parte del Piano di razionalizzazione nazionale avviato dalla Direzione generale Archivi per le sedi degli Uffici da essa dipendenti, con il duplice obiettivo di migliorare la funzionalità di tali strutture e i servizi offerti ai cittadini da un lato, e di ridurre gli oneri per locazioni dall'altro.

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ALLEGATO 4

5-07092 Fratoianni: Su un fatto verificatosi presso il liceo scientifico «Salvemini» di Bari.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Riguardo all'episodio segnalato con l'interrogazione cui si risponde, l'Ufficio scolastico regionale per la Puglia ha riferito a questo Ministero sulla base di una dettagliata relazione fornita dalla stessa dirigente scolastica.
  Viene comunicato che effettivamente nella tarda mattinata del 17 novembre scorso, avendo registrato la presenza massiccia a scuola degli studenti delle classi del triennio e l'astensione ampia degli studenti delle classi del biennio, questi ultimi perlato tutti minorenni, la citata dirigente ha provveduto ad avvertire i genitori, circa l'assenza dei propri figli, invitandoli nel contempo a recarsi a scuola il giorno successivo per giustificare personalmente l'astensione dalle lezioni. Ciò in ottemperanza agli impegni presi precedentemente con le stesse famiglie.
  Difatti, durante l'assemblea dei genitori, tenutasi il giorno 23 ottobre scorso, in occasione delle elezioni dei rappresentanti di classe, a seguito di una massiccia adesione ad una manifestazione studentesca svoltasi il precedente 9 ottobre, i genitori stessi avevano espressamente richiesto di essere avvertiti delle assenze dei propri figli.
  L'iniziativa intrapresa dalla Dirigente, quindi, non è risultata affatto ispirata da alcuna finalità intimidatoria, ma ha avuto come unico intento quello di coinvolgere le famiglie, come dalle stesse richiesto.
  Ciò peraltro risulta coerente con la linea programmatica assunta dalla stessa istituzione scolastica, in base alla quale ogni manifestazione impeditiva o turbativa del regolare svolgimento delle attività didattiche prevede il diretto intervento giustificativo dei titolari della responsabilità genitoriale.
  Per completezza con la medesima nota l'USR per la Puglia ha inoltre fornito chiarimenti sugli altri episodi cui si fa cenno nell'interrogazione.
  Per quanto riguarda la celebrazione della messa, è stato precisato che questa si è svolta su proposta unanime del collegio dei docenti e successiva decisione di conformità assunta dal consiglio d'istituto, sia prevedendo una riduzione flessibile dell'orario scolastico – che ha riguardato peraltro solo una parte delle classi – con l'impegno al recupero dell'orario nel corso dell'anno – sia garantendo l'assoluta libertà di adesione e partecipazione da parte dei docenti e degli studenti.
  In merito alla sospensione dalle lezioni e alla denuncia penale nei confronti di uno studente, è stato puntualizzato che entrambe le misure sono state conseguenza di fatti verificatisi nella notte tra il 14 e i 25 dicembre 2014, quando lo studente in questione si è introdotto, arbitrariamente, insieme ad altre persone all'interno del Liceo, destrutturando l'ordinata configurazione degli ambienti formativi e collocando gli arredi delle aule in maniera confusa lungo i corridoi. Il tentativo di occupazione è stato peraltro interrotto dall'intervento di agenti della Polizia di Stato e della stessa Dirigente Pag. 95scolastica richiamati dall'attivazione dell'allarme installato nei locali della scuola.
  Il maldestro tentativo di occupazione della scuola per di più è avvenuto in spregio alla volontà e all'attività dell'intera scolaresca del «Salvemini», nello stesso momento impegnata in un'esperienza di civile e democratica assemblea permanente, nell'orario scolastico, debitamente votata in assemblea e adeguatamente gestita dagli stessi studenti.

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ALLEGATO 5

5-07762 Carocci: Sulla pubblicazione del prossimo bando per il concorso per dirigente scolastico.
5-07269 Chimienti: Sulle modalità di reclutamento dei dirigenti scolastici.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Come anche ricordato dagli onorevoli interroganti, le procedure relative all'indizione e allo svolgimento del concorso a posti di dirigente scolastico sono state oggetto di più modifiche normative succedutesi nel tempo.
  L'articolo 1, comma 217, della legge n. 208 del 2015, nel sostituire l'articolo 29, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (a sua volta già precedentemente modificato dall'articolo 17 del decreto-legge n. 104 del 2013), ha nuovamente trasferito la competenza in merito all'emanazione del bando del corso-concorso selettivo di formazione per dirigenti scolastici dalla Scuola nazionale dell'amministrazione al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca previa definizione, con decreto del Ministro, delle modalità di svolgimento della procedura concorsuale.
  Tale decreto sostituirà il decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 2008, n. 140, relativo al «Regolamento recante la disciplina per il reclutamento dei dirigenti scolastici, ai sensi dell'articolo 1, comma 618, della legge 27 dicembre 2006, n. 296».
  Si rappresenta che l'Amministrazione sta provvedendo pertanto a quanto prescritto dal citato comma 217 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015. Lo schema di decreto ministeriale – relativo alla definizione delle modalità di svolgimento delle procedure concorsuali, la durata del corso e le forme di valutazione dei candidati ammessi al corso – è in fase di istruttoria. Una volta terminato l’iter, si procederà tempestivamente ad indire il concorso.
  Inoltre, il complessivo fabbisogno di dirigenti scolastici sul territorio nazionale, secondo una stima effettuata a legislazione vigente, si prevede che ammonterà a circa 500 unità al 1o settembre 2016.
  Per completezza di esposizione, si fa, altresì, presente che nelle graduatorie del precedente concorso, bandito con decreto direttoriale del 13 luglio 2011, delle regioni Abruzzo e Campania sono ancora presenti circa 350 idonei, nei cui confronti si procederà al conferimento delle nomine a decorrere dal prossimo anno scolastico per scorrimento di graduatoria.
  Di questi ultimi, coloro che non troveranno posto nelle rispettive regioni di appartenenza per carenza di sedi, potranno beneficiare della particolare procedura di cui all'articolo 1, comma 92, della citata legge n. 107 del 2015. Detta norma, al fine di garantire la tempestiva copertura dei posti vacanti, prevede che, a conclusione delle operazioni di mobilità e previo parere dell'Ufficio scolastico regionale di destinazione, i posti autorizzati per l'assunzione di dirigenti scolastici siano conferiti, nel limite massimo del 20 per cento, ai soggetti idonei inclusi nelle graduatorie regionali.

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ALLEGATO 6

5-08096 Pes: Sul decentramento in Sardegna della procedura concorsuale per l'assunzione di docenti di tale regione.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Come è noto, con decreti direttoriali del 23 febbraio 2016, nn. 105, 106 e 107 sono stati banditi i concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento di personale docente, rispettivamente, nella scuola primaria e dell'infanzia, nella scuola secondaria di primo e secondo grado, nonché per il sostegno, secondo il combinato disposto degli articoli 399 e 400 del Testo Unico delle norme in materia di istruzione emanato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.
  È altresì noto l'articolo 1, comma 113, lettera c), della legge n. 107 del 2014 ha modificato il secondo comma del citato articolo 400 del testo unico, che ora recita: All'indizione di cui al comma 1 provvede il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che determina altresì l'ufficio dell'amministrazione scolastica periferica responsabile dello svolgimento dell'intera procedura concorsuale e della approvazione della relativa graduatoria regionale. Qualora, dell'esiguo numero dei posti conferibili si ponga l'esigenza di contenere gli oneri relativi al funzionamento delle commissioni giudicatrici il Ministero dispone l'aggregazione territoriale dei concorsi, indicando l'ufficio dell'amministrazione scolastica periferica che deve curare l'espletamento dei concorsi così accorpati. I vincitori del concorso scelgono, nell'ordine in cui sono inseriti nella graduatoria, il posto di ruolo fra quelli disponibili nella regione.
  Conseguentemente, i bandi di concorso per la scuola secondaria e per i posti di sostegno hanno disposto, in forza di quanto previsto dal novellato articolo 400, l'aggregazione territoriale delle procedure concorsuali non più in base all'esiguo numero di domande, ma in base all'esiguo numero di posti. In conseguenza di ciò, talune procedure concorsuali, sono state aggregate in una regione diversa rispetto a quella dove sono stati banditi i posti.
  Il bando ha individuato, dunque, in linea con il disposto normativo, quale Ufficio scolastico regionale responsabile della procedura concorsuale quello ove avviene lo svolgimento della prova scritta che curerà tutte le fasi della procedura medesima, dallo svolgimento della prova, alla correzione delle prove da parte della commissione, alle prove orali, ivi compreso l'accesso agli atti.
  Si segnala, ad ogni modo, che l'aggregazione operata per le procedure della Sardegna è in linea con quella avvenuta nelle altre regioni. In base ai dati in possesso dell'Amministrazione, risulta che delle 7.371 prove che dovranno essere sostenute da candidati che hanno chiesto di partecipare al concorso per posti della Sardegna, quelle che dovranno essere sostenute fuori dall'isola sono 596, pari all'8 per cento del totale.

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ALLEGATO 7

Documento di economia e finanza 2016 e Allegati. Doc. LVII, n. 4.

PARERE ALTERNATIVO PRESENTATO DAI DEPUTATI PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO E CARLO GALLI.

  La VII Commissione,
   esaminato il Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4),
   premesso che:
   tra le priorità per il 2016 individuate dall'Analisi annuale della crescita della Commissione europea del 26 novembre 2015 (COM(2015) 690 final) è stato incluso il rilancio degli investimenti, i quali «devono andare oltre le infrastrutture tradizionali e comprendere il capitale umano e i relativi investimenti sociali», alludendo agli investimenti intelligenti nel capitale umano dell'Europa e a quelle riforme orientate a garantire sistemi di istruzione e formazione di qualità, con conseguente miglioramento dei risultati, capaci di rilanciare l'occupazione e la crescita sostenibile;
   di contro, nella parte di prospettiva del DEF dedicata al Programma di riforma nazionale, il capitolo ricerca, scuola ed università non riserva particolari sorprese e non fa minimamente accenno della condizione in cui versano attualmente la scuola, l'università e la ricerca pubblica in Italia, specchio di quell'incessante processo di disinvestimento del nostro Paese sul proprio futuro. Infatti, in uno scenario globale nel quale tutti i Paesi industrializzati per uscire dalla crisi investono in sapere, formazione e ricerca, l'Italia procede nella più grande e sistematica operazione di distruzione del sistema di istruzione, università e ricerca investendo meno dell'1 per cento del suo PIL in R&S, contribuendo in questo modo, oltre che a dequalificare complessivamente didattica e ricerca, a costruire una scuola ed un'università sempre più classiste, e a provocare un'espulsione di massa di tutti quei tanti lavoratori precari che in questi anni hanno permesso, con la loro dedizione, il funzionamento del nostro sistema formativo;
   ed invero la ricerca in Italia è particolarmente trascurata rispetto a quella degli altri paesi europei: non c’è classifica, con i parametri più diversi per verificarne il livello quantitativo e qualitativo, che non ci veda relegati agli ultimi posti. Secondo le ultime statistiche OCSE, infatti, l'anno 2015 si è chiuso confermando a livello internazionale quel trend di flessione degli investimenti pubblici in università e ricerca che si protrae dal 2010, quadro nel quale il nostro Paese, inginocchiato da una crisi frutto anche di mancate scelte di investimento nella conoscenza e nelle filiere alte del valore, si distingue per un colposo e costante disimpegno che conferma il sotto finanziamento cronico dell'intero settore e che, con una quota di finanziamenti erogati pari all'1,1 per cento del PIL, contro il 2 per cento destinato in media dagli altri Paesi europei, è capace di evocare lo spettro di una strisciante desertificazione culturale, scientifica e tecnologica;
   invero, la globalizzazione dell'economia e l'impetuoso sviluppo di Paesi come l'India e la Cina uniti all'accelerazione tecnologica, hanno determinato negli altri la necessità di aumentare la competitività dei propri settori produttivi, ricorrendo a nuove ricerche e sperimentazioni, al fine non solo di migliorare le condizioni di vita Pag. 99dei singoli individui ma anche di contribuire, in modo più incisivo, al proprio sviluppo economico: in tale accezione, la ricerca, sia pubblica che privata, rappresentando uno dei settori fondamentali e strategici per accrescere lo sviluppo culturale e la competitività economica e tecnologica di una nazione, è chiamata ad assurgere al ruolo anticiclico di driver della crescita di lungo periodo. Del resto, anche nell'ambito delle teorie dello sviluppo economico uno degli assiomi maggiormente condivisi è quello del nesso che lega gli investimenti in ricerca e innovazione di un'economia alla loro capacità di accrescere il livello di benessere nel tempo;
   la ricerca in Italia è un settore da tempo sotto osservazione per altre ragioni: accanto alla suddetta scarsa attenzione da parte delle istituzioni ed alla carenza di risorse pubbliche e private, si deve lamentare anche la cattiva gestione delle stesse e l'incapacità di incrementare il capitale umano che vi si dedica, tanto che si assiste al costante fenomeno di trasferimento in università ed imprese straniere di ricercatori italiani e scienziati (cosiddetta «fuga di cervelli») che negli altri Paesi trovano condizioni migliori per esprimere i propri talenti. Altro fattore critico è quello dell'incertezza dei tempi di finanziamento o di rimborso delle risorse: nel nostro Paese, infatti, accanto a schizofreniche disposizioni incentivanti, come il riconoscimento di un credito d'imposta per investimenti in ricerca ed innovazione, convive una burocrazia che inibisce l'operatività dei programmi comunitari e blocca l'avvio dei bandi pubblici: insomma un mix di concause che determinano quello noto oramai come il «paradosso italiano», in virtù del quale continuiamo a contribuire ai fondi europei in misura nettamente maggiore rispetto all'entità dei finanziamenti che, con l'esiguo numero dei nostri ricercatori, riusciamo ad attrarre. A tutto questo occorre aggiungere anche l'attività di ricerca diffusa ma sommersa, che sfugge alle rilevazioni statistiche e che consente all'Italia di essere, comunque, all'avanguardia in diversi settori;
   sul fronte della mobilità dei ricercatori, la scarsa attrattività dell'Italia ha portato all'estero, come si è appena visto, già molti di essi, e cioè circa 15.000 unità, creando nella ricerca un vero e proprio buco generazionale e facendoci perdere competitività rispetto agli altri Stati membri: un regalo di intelligenze non compensato da contestuali ingressi dall'estero. Secondo recenti rilevazioni, infatti, le uscite sono pari al 16,2 per cento mentre gli ingressi dall'estero sono fermi al 3 per cento. Nel 2013 operava in Italia un numero di ricercatori pubblici e privati pari a 164 mila unità (4,9 ogni 1.000 occupati), mentre negli altri maggiori paesi europei, la presenza di ricercatori è più numerosa e capillare: 357 mila in Francia (9,8 ricercatori per 1.000 occupati); 522 mila in Germania (8,5); 442 mila nel Regno Unito (8,7); 216 mila in Spagna (6,9);
   eppure l'istruzione universitaria è un investimento pubblico che si ripaga nel medio periodo: per i giovani che la frequentano per il quali oltre all'acquisizione di conoscenze e competenze, che consentono di svolgere attività maggiormente retribuite, essa rappresenta il principale fattore di mobilità sociale se si pensa che nostro Paese oltre il 70 per cento degli studenti universitari appartiene a famiglie in cui nessuno dei genitori è in possesso di una laurea; per le imprese, perché disporre di una forza lavoro con elevato grado di istruzione aumenta la competitività e rende possibile un maggiore tasso d'innovazione;
   dunque anche le politiche di reclutamento del personale universitario sono da ripensare. È oltremodo prioritario e doveroso affrontare l'attuale condizione di gravissima carenza di personale se si vuole evitare che il sistema universitario pubblico si avviti in una spirale di declino irreversibile, sottraendo all'Italia quegli strumenti indispensabili di innovazione e crescita culturale, economica e sociale di cui le Università da sempre sono centri insostituibili di sviluppo e disseminazione;
   il sotto-dimensionamento del corpo docente universitario italiano, e più in Pag. 100generale del complesso degli addetti alla ricerca universitaria, emerge evidente dal confronto europeo, e peggiora ogni anno di più. La consistenza numerica attuale è in Italia inferiore di almeno il 25 per cento alla media dei valori di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, solo per limitarsi ai Paesi più simili al nostro per dimensioni e tradizioni;
   per l'effetto combinato della riduzione dei finanziamenti, dei blocchi del turnover e dei concorsi, e dell'abbassamento dell'età di pensionamento, negli ultimi sette anni si è verificato un crollo verticale del numero di docenti in servizio, pari a meno 30 per cento per gli ordinari, e meno 17 per cento per gli associati, superiore alla contemporanea modesta riduzione del numero degli studenti. A questo si aggiungano gli effetti derivanti dal graduale esaurimento della c.d. terza fascia prevista dalla normativa vigente;
   numerose analisi dimostrano che in assenza di interventi normativi che sblocchino l'attuale limite al turn-over previsto dall'attuale regime per le assunzioni delle università statali, si assisterà da un'ulteriore pesante contrazione del corpo docente che comporterà nel 2018 il dimezzamento del numero dei professori ordinari in servizio, rispetto a quello del 2008. Effetti analoghi si avranno sempre nel 2018, nell'ipotesi in cui nel frattempo non si proceda ad alcuna nuova assunzione o promozione dei professori associati, con una sensibile riduzione degli stessi pari al 27 per cento rispetto a quelli in servizio nel 2008. L'attuale normativa, infatti, prevede che nel 2016 risulti spendibile per il reclutamento il 60 per cento del turnover, per poi passare all'80 per cento nel 2017 e solo a partire dal 2018 a stabilizzarsi al 100 per cento;
   altrettanto improponibile è la persistente chiusura del sistema universitario ai giovani ricercatori, aggravata ancora una volta da interventi normativi (come la suddetta messa ad esaurimento della fascia dei ricercatori) che, sconvolgendo il regime ordinario di carriera nell'organico docente, per di più in un contesto di carenza di risorse, hanno innescato incertezze e meccanismi di instabilità esiziali per l'ordinaria attività didattica e di ricerca;
   eppure la condizione del ricercatore a tempo determinato oltre ad essere centrale nel meccanismo di reclutamento universitario, vista la sua funzione di traghettamento verso posizioni a tempo indeterminato, assolve, allo stesso tempo, seppur in modo disordinato ed improprio, il compito di supporto formale alla permanenza nei dipartimenti per tanti giovani attivi ed interessati alla ricerca, sempre più spesso diretti responsabili del funzionamento di corsi di laurea e di dottorato;
   attualmente, la gran parte dei ricercatori italiani usufruisce di assegni di ricerca, cioè di una forma di contratto di lavoro parasubordinato che però non da luogo a tutele degne di questo nome, nemmeno nel caso di periodi, purtroppo sempre più frequenti, di disoccupazione. Essi non si vedono, infatti, riconosciuta la DIS-COLL rende evidente quanto siano necessarie spinte «esterne», affinché all'attività di ricerca dei precari possa essere attribuito un degno riconoscimento, come nel resto d'Europa. Lasciando pertanto fuori dal sistema di protezione sociale decine di migliaia di persone già sottoposte a condizioni contrattuali ed economiche di precarietà e che, nonostante questo, contribuiscono con passione alla crescita e allo sviluppo del nostro Paese, offrendo un lavoro invisibile che si cela dietro il progredire della conoscenza. Una generosità, quella dei precari, non ripagata visto che negli ultimi dieci anni più del 93 per cento di essi è stato espulso dagli atenei italiani;
   se è vero che il declino dell'università è una questione nazionale, non vi è dubbio tuttavia che una serie di fenomeni preoccupanti si concentra maggiormente al Sud, dove si acuiscono le distanze rispetto al Nord del Paese, generando un «nuovo divario» che esacerba la questione meridionale, determinandone una nuova all'interno dell'università italiana tra atenei del Pag. 101settentrione e quelli del meridione, attribuibile non solo al calo delle risorse generali, ma anche al rapporto tra valutazione dei sistemi accademici locali ed investimenti in arruolamento di nuovi docenti;
   tra il 2007 e il 2015, gli immatricolati sono calati del 13 per cento, un calo che assume proporzioni maggiori nel Sud raggiungendo un valore prossimo al 21 per cento: rispetto alla contrazione di 40.000 giovani, ben 27.000 riguardano il Mezzogiorno. Il calo osservato in tale area del Paese assume poi dimensioni drammatiche con riferimento alle immatricolazioni: 16.000 dei 17.000 giovani in meno risiedono nel Mezzogiorno;
   tale situazione è anche generata dall'eccessivo onere finanziario che grava sugli studenti. In dimensione comparativa, il nostro Paese non solo destina poche risorse pubbliche al sistema universitario, ma ha anche la tassazione studentesca tra le più alte d'Europa. Inoltre anche il sistema di attribuzione delle borse di studio, affidato alle regioni attraverso un meccanismo redistributivo, di fatto pone il finanziamento a carico degli stessi studenti universitari;
   in termini sociali chi patisce di più il fortissimo aumento delle tasse universitarie e l'inconsistenza del diritto allo studio sono le famiglie più povere, con un effetto negativo sulla dinamica della diseguaglianza nel nostro Paese;
   sul fronte della scuola il documento si limita a fare, peraltro con particolare enfasi, un excursus di quanto già attuato e di quanto si deve attuare relativamente alla riforma della c.d. Buona scuola, che appare ad oggi, a quasi un anno di distanza dalla sua approvazione, un cantiere per molti versi ancora aperto: il piano straordinario di assunzioni in essa contenuto è da leggere come diretta conseguenza della sentenza della Corte di giustizia europea, ma non è sufficiente, neanche alla conclusione del percorso, a coprire le carenze di organico nel personale docente, mentre nulla è stato fatto sul versante del personale amministrativo, tecnico ed ausiliare che pure ricopre un ruolo fondamentale nel corretto funzionamento dell'istituzione scolastica; così come l'assunzione di personale è soltanto una parte di un disegno complessivo che dovrebbe riportare la scuola al ruolo che le compete senza però rappresentare quella tanto attesa ed adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico nella scuola capace di evitarne la sua ricostituzione;
   una riforma, quella della c.d. Buona scuola, che per colmare l'enorme divario formativo col resto d'Europa necessiterebbe di risorse certe e adeguate, che invece tenta di supplire all'insufficienza degli investimenti pubblici con le «sponsorizzazioni» e con la concessione di crediti d'imposta a cittadini ed imprese per donazioni alle scuole. In questo modo l'intervento dei privati dovrebbe sostituirsi alla scarsità degli investimenti dello Stato, con il rischio di creare e accrescere le forti diseguaglianze tra scuole di aree economico-sociali diverse, con buona pace dell'uguaglianza d'accesso di tutti i cittadini al diritto allo studio e del carattere nazionale e unitario del sistema d'istruzione;
   l'autonomia scolastica e le scuole italiane per rispondere al meglio al diritto ad un'istruzione di qualità e alle esigenze formative e di valorizzazione delle risorse di un territorio, hanno bisogno di risorse umane e finanziarie adeguate e costanti;
   in un mondo dominato oramai dall'economia della conoscenza, la ricerca insieme all'istruzione sono i pilastri su cui si costruisce il futuro e la prosperità di un Paese, pertanto un Paese che non investe in ricerca, sviluppo e cultura è condannato a non avere futuro;
   tutto ciò premesso all'interno del DEF 2016 non vi è traccia di alcun intervento atto:
    1) a rilanciare, con la massima urgenza, il comparto delle ricerca italiana, attraverso l'immediato varo dell'annunciato Programma nazionale per la ricerca 2015-2020 e ad elevare l'attuale spesa per Pag. 102investimenti in Ricerca e Sviluppo ad un livello pari al 3 per cento del PIL, anche al fine di accrescere i livelli di produttività, di occupazione e di benessere sociale del nostro Paese;
    2) ad abolire dal 2017 il meccanismo di contingentamento delle assunzioni eliminando dalla normativa ogni limitazione del turnover per tutte le figure del mondo universitario e della ricerca pubblica;
    3) a rilanciare un ampio e pluriennale reclutamento straordinario di nuove posizioni tenured che garantisca la tenuta del sistema universitario italiano e permetta la stabilizzazione nel ruolo di un ampio numero di studiosi attualmente relegati ai margini delle università;
    4) a riformare il percorso di accesso in ruolo, del pre-ruolo e dello stato giuridico della docenza universitaria;
    5) ad avviare nella scuola un piano straordinario di assunzioni, che comprenda anche tutti i precari che lavorano da anni nella scuola, gli educatori e il personale ATA, attuato, in primis, grazie allo scorrimento di tutte le graduatorie permanenti, il solo capace di contrastare il fenomeno del precariato storico nella scuola e di evitarne la sua ricostituzione,

  per questi motivi, esprime

PARERE CONTRARIO.

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ALLEGATO 8

Documento di economia e finanza 2016 e Allegati. Doc. LVII, n. 4.

PARERE APPROVATO

  La VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione),
   esaminate le parti di competenza del Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4 e Allegati), nelle sedute del 19, 20 e 21 aprile 2016, e udita la relatrice, on. Simona Flavia Malpezzi, alla cui illustrazione (della seduta del 19 aprile 2016) si rinvia integralmente;
   considerato, in via preliminare, che il DEF (previsto dall'articolo 10 della legge di contabilità, n. 196 del 2009) è il documento con cui il Governo presenta al Parlamento le proprie priorità e strategie economiche a media e lunga scadenza. Esso si compone di tre sezioni, dedicate rispettivamente alla stabilità dell'Italia, all'analisi e alle tendenze della finanza pubblica e al programma nazionale di riforma;
   tenuto conto che il DEF è, pertanto, il principale strumento di indirizzo sulla programmazione e sulla politica economica e che la Commissione Cultura intende contribuire alla definizione dei contenuti della risoluzione con cui esso verrà approvato dall'Assemblea della Camera;
   ritenuto che, nella terza parte del DEF (quella di prospettiva), è contenuta una ricognizione dei risultati conseguiti dalla politica del Governo nei settori della scuola, dell'università e della ricerca, anche alla luce delle osservazioni svolte dalla Commissione europea nella sua Analisi annuale della crescita, pubblicata il 26 novembre 2015, cui è poi seguita la Relazione per Paese, relativa all'Italia, pubblicata il 26 febbraio 2016;
   condiviso l'obiettivo per cui, per sostenere crescita e produttività nel medio e lungo termine, è necessario continuare a sviluppare il capitale umano, promuovendo il miglioramento dell'istruzione, lo sviluppo della ricerca tecnologica e l'avanzamento della scienza e della cultura;
   considerato che solo la riforma dell'istruzione, approvata con la legge n. 107 del 2015, dovrebbe portare un aumento del PIL dello 0,3 per cento annuale entro il 2020;
   preso atto che, in questo contesto, sono cruciali gli aspetti dell'inclusione, sia degli alunni con bisogni educativi speciali, sia di quelli stranieri (tanto che nel mese di settembre 2015 sono stati emanati bandi che mettono a disposizione 500 mila euro per il potenziamento dell'italiano come seconda lingua e ulteriori 500 mila euro per i progetti di accoglienza e sostegno linguistico e psicologico per i minori stranieri non accompagnati);
   osservato, altresì, che nel medesimo contesto occorre proseguire sulla strada della messa in sicurezza degli edifici scolastici;
   rilevato ancora che l'attuazione concreta del nuovo sistema di alternanza scuola-lavoro sarà essenziale per legare un'esperienza scolastica arricchita alle prospettive di inserimento lavorativo;
   considerato, sul piano più generale, che il Governo appare positivamente Pag. 104orientato ad attribuire a tutto il mondo culturale un valore strategico ai fini della complessiva elevazione del Paese, poiché – per esempio – investire sulla scuola produce benefici sui beni culturali e viceversa, così come risollevare i livelli di lettura significa alzare una colmata che solleva anche i consumi culturali, quali cinema e teatro;
   ritenuto che (come già ha sostenuto il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio VISCO, nel suo volume Investire in conoscenza, Mulino, 2009) occorre mettere in campo strategie multidimensionali per problemi a loro volta multidimensionali, cogliendo i nessi tra una cittadinanza più ricca, avvertita e dotata di competenze civiche complessive, da un lato, e il benessere economico, dall'altro;
   valutato che, pertanto, occorre offrire un ventaglio di conoscenze e competenze in grado di dotare i cittadini degli strumenti per partecipare in modo sano e consapevole alla vita collettiva, anche puntando a innalzare almeno al 12,5 per cento la partecipazione degli adulti in età lavorativa (ossia tra i 25 e i 64 anni), tramite il ricorso all'apprendimento permanente (lifelong learning);
   constatato che già la strategia «Europa 2020», presentata dalla Commissione Europea nel 2010, raccomandava l'adozione di misure volte promuovere una crescita intelligente, attraverso lo sviluppo delle conoscenze e dell'innovazione, sostenibile, grazie ad un'economia più verde, più competitiva ed efficiente nella gestione delle risorse, nonché inclusiva, per incentivare l'occupazione e la coesione sociale e territoriale;
   osservato, altresì, che in questo quadro la scuola è interessata da compiti e linguaggi nuovi, per cui dalle didattiche disciplinari si sta passando a didattiche per competenze, nonché dalla definizione di titoli di studio superiori e dall'aggiornamento di pratiche e di contenuti, che rappresentano la vera sfida culturale, sociale e civile che il Paese si trova davanti,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   si provveda a:
    1) potenziare gli interventi di orientamento formativo, a tutti i livelli di istruzione;
    2) intensificare le politiche che rendano realmente esigibile il diritto allo studio universitario, con particolare riferimento alla contribuzione studentesca;
    3) favorire l'incremento del numero di laureati, al fine di evitare che l'Italia continui ad occupare una posizione di coda negli obiettivi ufficiali del 2020;
    4) favorire l'internazionalizzazione del sistema di ricerca e formazione terziaria;
    5) persistere nell'impegno di ridurre la percentuale di abbandono scolastico e ad adottare misure di contrasto della dispersione e dell'insuccesso universitario;
    6) accrescere le competenze degli adulti, anche in relazione alla precedente finalità di innalzare la quota dei giovani italiani che conseguono un titolo di istruzione terziaria;
    7) incrementare le risorse destinate agli investimenti in ricerca e sviluppo, comprendendovi quelle destinate alla spesa per l'istruzione terziaria, che – in percentuale al PIL – è la più bassa d'Europa, e potenziare e dare stabilità agli interventi già attuati con l'ultima legge di stabilità per contrastare la sensibile diminuzione di professori e ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca;
    8) collegare alla manovra di finanza pubblica i seguenti disegni di legge:
   a) A.C. 1504 e abbinata, sulla promozione della lettura, in via di approvazione dalla Camera;Pag. 105
   b) A.S. 2271, sull'editoria, già approvata dalla Camera;
   c) A.S. 2287, sul cinema e l'audiovisivo, attualmente all'esame del Senato. A tale riguardo, si raccomanda di precisare che il collegamento vale per tutto il provvedimento, a prescindere dall'eventuale diversificazione dei percorsi procedurali che dovesse intervenire;
    9) accelerare l'emanazione dei provvedimenti attuativi della delega sullo 0-6 contenuta nella legge n. 107 del 2015.