CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 4 febbraio 2016
586.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-06907 Albanella: Iniziative volte a verificare l'attuazione delle disposizioni legislative vigenti in materia di delocalizzazione delle attività di call center.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento all'atto parlamentare dell'onorevole Albanella – inerente alle iniziative volte a verificare l'attuazione delle disposizioni legislative vigenti in materia di delocalizzazioni delle attività dei call center – passo ad illustrare quanto segue.
  Com’è noto, l'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, ha introdotto misure che vanno a regolamentare alcuni aspetti del settore dei call center con almeno venti dipendenti.
  A tale proposito, il Ministero del lavoro, al fine di fornire istruzioni operative al proprio personale ispettivo, ha adottato la circolare n. 14 del 2013 con la quale ha precisato che le aziende interessate dalle misure sono quelle che svolgono in via assolutamente prevalente (core business aziendale) una attività di call center e che, pertanto, operano in regime di appalto. Restano viceversa escluse quelle attività di call center che vanno semplicemente ad integrare lo svolgimento dell'attività di impresa e che rappresentano, il più delle volte, un mero «sportello di front office». Ne consegue che potrà ritenersi delocalizzata una attività di call center qualora le commesse acquisite da un'impresa con sede legale in Italia e già avviate nel territorio nazionale siano trasferite – prima della naturale scadenza del relativo contratto – a personale operante in Paese extra UE, sia attraverso la successiva apertura di nuove filiali in tali Paesi sia attraverso un meccanismo di subappalto.
  La medesima circolare n. 14 del 2013 ha, inoltre, chiarito che il comma 2 del predetto articolo 24-bis, con l'espressione «lavoratori coinvolti» si riferisce ai lavoratori che (a prescindere dall'inquadramento, subordinato o autonomo), in conseguenza della delocalizzazione della attività di call center, siano ritenuti in esubero dal datore di lavoro e, pertanto, interessati da riduzioni di orario di lavoro o addirittura da procedure di licenziamento. Tenuto conto della ratio della disciplina in parola, evidentemente volta a favorire la tutela dell'occupazione, la circolare precisa che gli obblighi di comunicazione previsti dal medesimo comma 2 non ricorrano nel caso in cui nel corso di svolgimento di uno specifico appalto, l'azienda delocalizzi senza generare esuberi o un minor impiego del personale sino a quel momento impegnato su tale commessa.
  Al fine di fornire riscontro ai rilievi mossi dalla Commissione europea – con il caso EU Pilot 5168/13/MARK – secondo cui le disposizioni dell'articolo 24-bis violerebbero i princìpi comunitari in materia di libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, il Ministero che rappresento, con la nota del 17 ottobre 2014, ha chiarito che le disposizioni dell'articolo 24-bis trovano applicazione esclusivamente nei casi in cui la delocalizzazione avvenga verso Paesi extracomunitari.
  Faccio presente che il Ministero dello sviluppo economico, attraverso i propri ispettorati territoriali, ha eseguito un monitoraggio a campione (in tutto 123 verifiche su call center che svolgono attività inbound) al fine di accertare se gli operatori di telecomunicazioni, nel rispondere alle chiamate degli utenti, informassero Pag. 124preventivamente i medesimi sulla collocazione fisica del call center, come previsto dal comma 4 dell'articolo 24-bis. Dalle verifiche condotte è emerso che gli operatori di Telecom Italia, Wind, Vodafone, Sky Italia, H3G, non fornivano in via preventiva tali informazioni.
  Tuttavia il Ministero dello sviluppo economico ha ritenuto corretto il comportamento di tali operatori chiarendo che l'obbligo di informare preventivamente il cliente circa la collocazione fisica del call center, non sussiste quando l'operatore che riceve la chiamata sia collocato in Italia o in un Paese appartenente all'Unione europea.
  Il Ministero dello sviluppo economico, ha reso noto, inoltre, che è stata programmata una campagna straordinaria di verifiche sul rispetto della predetta disposizione, per la cui violazione è prevista, al comma 6, la sanzione amministrativa pecuniaria di 10.000 euro per ogni giornata di violazione. Tale campagna che si svolgerà, nel corso del 2016, su tutto il territorio nazionale prevede almeno 60 verifiche per ciascun Ispettorato territoriale.
  Da ultimo, informo che il Garante per la protezione dei dati personali (cosiddetto Garante della privacy) al fine di applicare, per quanto di propria competenza, l'articolo 24-bis e sanzionare comportamenti difformi dal codice della privacy, ha adottato il provvedimento n. 444 del 10 ottobre 2013. Tale provvedimento prescrive, a tutti i soggetti che svolgono – in qualità di titolare del trattamento di dati – un'attività di call center in Paesi situati al di fuori dell'Unione europea, di specificare preliminarmente agli utenti quale sia l'ubicazione dell'operatore e di effettuare un'apposita comunicazione al Garante prima del trasferimento (o dell'affidamento) dei dati personali al call center sito al di fuori dell'Unione europea. Il Garante della privacy ha altresì reso noto che, allo stato, non risultano procedimenti sanzionatori definiti e che i controlli effettuati finora hanno mostrato un quadro di sostanziale rispetto delle predette prescrizioni.
  Il Garante, che ha ricevuto nel corso del biennio 2014-2015 diverse decine di comunicazioni di delocalizzazioni, prosegue – in collaborazione con il Nucleo speciale privacy della Guardia di finanza – l'attività ispettiva, avviata negli anni passati, che mira a verificare la liceità dei trattamenti posti in essere dai titolari che si avvalgono di call center esteri. Inoltre, il Garante e l'omologa istituzione Albanese, lo scorso 10 febbraio 2015, hanno siglato un accordo di cooperazione allo scopo di assicurare la tutela dei dati personali dei cittadini italiani e albanesi raccolti e utilizzati da soggetti pubblici e privati che operano in Albania, paese dove negli ultimi anni molte aziende italiane hanno fatto richiesta di servizi di call center.

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ALLEGATO 2

5-07547 Cominardi: Iniziative in ordine alla situazione finanziaria del Fondo di previdenza per il clero secolare e per i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento all'atto dell'onorevole Cominardi ed altri concernente la situazione finanziaria del Fondo di previdenza per il clero secolare e per i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, voglio ricordare che tale Fondo, disciplinato dalla legge n. 903 del 1973 e dall'articolo 42 della legge n. 488 del 1999, eroga esclusivamente prestazioni previdenziali: pensione di vecchiaia, di invalidità e ai superstiti.
  Il Fondo si distingue per la sua particolare natura, essendo compatibile con l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e con altre forme di previdenza sostitutive di quest'ultima o che ne comportino l'esclusione o l'esonero.
  Tuttavia, le pensioni a carico del Fondo non sono cumulabili, nella misura di un terzo del loro importo, con le pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e con quelle a carico dei fondi sostitutivi, esclusivi o esonerativi della stessa ai sensi dell'articolo 18 della legge n. 903 del 1973: le somme non cumulabili sono trattenute a cura dell'Inps e devolute al Fondo stesso.
  Segnalo, altresì, che il contributo da versare, a differenza delle assicurazioni obbligatorie – nelle quali è commisurato ad un'aliquota percentuale della retribuzione o del reddito – è determinato in misura fissa, annualmente stabilita con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sulla base dell'aumento percentuale che ha dato luogo alle variazioni degli importi delle pensioni.
  Faccio presente, inoltre, che è prevista una misura minima per tutte le pensioni a carico del Fondo e che per il calcolo della pensione di vecchiaia non trova applicazione né il sistema contributivo, né il retributivo o misto.
  Evidenzio che, per la sua particolare natura, il Fondo non è stato interessato dalle riforme previdenziali che hanno riguardato l'assicurazione generale obbligatoria e gli altri fondi previdenziali.
  Per quanto concerne la situazione finanziaria del Fondo, l'INPS ha reso noto che nonostante il rapporto iscritti-pensionati sia superiore all'unità (1,45 nel 2015), la gestione è costantemente in passivo, avendo riportato risultati economici annuali negativi compresi tra 56 e 115 milioni di euro nel periodo 2002-2015 e un disavanzo patrimoniale di oltre 2 miliardi di euro nel 2015. La ragione risiede fondamentalmente nello squilibrio tra contributi versati e prestazioni erogate (nel 2015 il rapporto contributi/prestazioni è stato di 1 a 3).
  Pur tenendo conto degli attuali squilibri della gestione in argomento, voglio sottolineare che un'eventuale abrogazione del contributo a carico dello Stato previsto dall'articolo 21 della legge n. 903 del 1973 Pag. 126risulterebbe del tutto asistematica rispetto all'assetto normativo complessivo che è caratterizzato, come già detto, da una particolare specificità.
  Pertanto, prendendo atto di quanto evidenziato dagli onorevoli interroganti, faccio presente che eventuali interventi modificativi andranno valutati tenendo conto del complesso assetto normativo connesso nonché dell'importo dei trattamenti liquidati dal Fondo in favore dei soggetti iscritti.