CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 16 dicembre 2015
563.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Attività produttive, commercio e turismo (X)
ALLEGATO

TESTO AGGIORNATO AL 17 DICEMBRE 2015

ALLEGATO 1

7-00840 Martella: Prospettive della filiera chimica italiana

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

  La X Commissione,
   premesso che:
    secondo quanto emerge dal rapporto su «L'industria chimica in cifre» – predisposto da Federchimica-Confindustria ed aggiornato al giugno 2015 – l'industria chimica «continua ad essere uno dei settori trainanti a livello mondiale. Nonostante la crisi del 2008-09, il consumo mondiale di chimica continua ad aumentare a ritmi intensi (+2,9 per cento nel 2000-2014)» e, in un'ottica di medio-lungo termine, la crescita della domanda mondiale di chimica proseguirà sospinta, da una parte, dai consumi dei Paesi emergenti e, dall'altra, dal fatto che «la spinta, verso lo Sviluppo Sostenibile stimolerà i consumi di chimica anche nei Paesi avanzati non solo in valore (per il crescente contenuto tecnologico dei prodotti chimici), ma anche in volume (per l'aumento della penetrazione dei prodotti chimici nei settori utilizzatori)»;
    inoltre, poiché «una quota preponderante dei prodotti chimici è destinata agli altri settori industriali (68 per cento)», «l'industria chimica rappresenta un elemento chiave per mantenere una base industriale forte in Europa in quanto – attraverso i suoi beni intermedi – trasferisce tecnologia e innovazione ai settori utilizzatori, contribuendo anche alla loro sostenibilità», sicché «la chimica dovrebbe essere al centro delle iniziative della Commissione Europea per riportare l'industria manifatturiera al 20 per cento del PIL»;
    sul versante della, produzione, poi, «dal 2012 la quota degli Emergenti sul valore della produzione chimica mondiale ha superato quella degli Avanzati, che attualmente rappresentano il 45 per cento», ma la chimica europea esprime comunque – con 546 miliardi di euro – il 17 per cento del valore mondiale della produzione, quota che raggiunge il 20 per cento tenendo conto dei Paesi europei non appartenenti all'Unione europea;
    in particolare, l'Italia «è il terzo produttore chimico europeo dopo Germania e Francia e il decimo a livello mondiale. Per alcune produzioni della chimica fine e specialistica, riveste posizioni anche più rilevanti», grazie all'attività di circa 2800 imprese chimiche il cui valore della produzione ammonta a circa 52 miliardi di euro – che generano occupazione diretta per 109 mila unità ed occupazione complessiva per oltre 350 mila unità, con una quota di addetti dedicati alla R&S (4,2 per cento) «decisamente superiore alla media manifatturiera (2,6 per cento)» e con un valore aggiunto per occupato «superiore di circa il 60 per cento alla media manifatturiera»;
    la produzione chimica italiana si connota, ancora, per «una specializzazione forte e crescente nella chimica a valle che rappresenta il 58 per cento del valore della produzione...», e per «la presenza bilanciata di 3 tipologie di attori: le imprese a capitale estero (38 per cento del valore della produzione), i medio-grandi gruppi italiani (24 per cento) e le PMI (38 Pag. 140per cento)»: si tratta di piccole e medie imprese di qualità «come dimostrano i dati per addetto del valore aggiunto e delle spese del personale decisamente più elevati rispetto alle piccole e medie imprese industriali»; quanto ai principali gruppi chimici a capitale italiano, ne fanno parte «grandi realtà della chimica di base e gruppi medio-grandi, poco conosciuti al grande pubblico ma spesso leader nel loro segmento di specializzazione a livello mondiale o europeo»; inoltre, «l'Italia mostra nella chimica una capacità di attrazione degli investimenti esteri più elevata della media manifatturiera e più in linea con la media europea...»;
    per quel che riguarda le performance sui mercati internazionali, «la chimica, dopo la farmaceutica, è il settore italiano con la più elevata incidenza di imprese esportatrici (54 per cento)» e «da diversi anni si evidenziano avanzi significativi e crescenti nella chimica fine e specialistica (2,5 miliardi di euro nel 2014)», risultato anche di «un posizionamento avanzato in termini di internazionalizzazione produttiva» e della centralità di ricerca e innovazione in un settore che presenta «la quota più elevata di imprese innovative in Italia (71 per cento)» ed una «diffusione dell'attività di R&S (42 per cento)», che risulta «più che doppia della media manifatturiera (19 per cento) in quanto nella chimica la ricerca non coinvolge solo i grandi gruppi ma anche tante PMI», facendo così registrare investimenti in ricerca e sviluppo di circa 480 milioni di euro (oltre il 5 per cento del valore aggiunto) e spesa complessiva in innovazione prossima ai 700 milioni di euro (circa l'8 per cento del valore aggiunto), con un posizionamento al primo posto (insieme alla farmaceutica) tra i diversi settori industriali «per quota di imprese che hanno investito in tecnologie e prodotti a favore della sostenibilità ambientale tra il 2008 e il 2014»;
    benché l'incidenza delle spese di ricerca e sviluppo sul fatturato (0,9 per cento) risulti comunque, nel nostro Paese, inferiore alla media europea (1,6 per cento), e pur vero che «in un contesto di concorrenza internazionale sempre più pressante, di costi elevati delle materie prime e – più recentemente – anche di crollo della domanda interna, molte imprese chimiche hanno reagito cercando di innalzare il contenuto tecnologico dei prodotti attraverso un maggiore impegno nella ricerca. La quota di spese di innovazione dedicate alla ricerca è passata, infatti, dal 46 per cento al 68 per cento tra il 2000 ed il 2012»;
    nel rapporto Federchimica di luglio 2015 su «Situazione e prospettive per l'industria chimica», così si legge «Nell'ipotesi che la crisi greca non comprometta la ripresa a livello europeo e italiano, le previsioni per la produzione chimica nazionale portano a chiudere il 2015 con un aumento dell'1,3 per cento sostenuto non solo dall'export (+3,5 per cento) ma finalmente anche dalla domanda interna (+1,4 per cento) dopo 4 anni di calo. Nel 2016 queste tendenze potranno diffondersi ai vari settori e consolidarsi, portando ad una crescita della produzione dell'1,8 per cento. Dopo la sostanziale stabilizzazione del 2014, l'industria chimica in Italia potrà lasciarsi alle spalle la più lunga e pesante recessione del Dopoguerra. L'intensità della ripresa rimarrà, però, modesta e le conseguenze della crisi continueranno a farsi sentire soprattutto per le PMI chimiche più dipendenti dal mercato interno i cui livelli di attività risultano, nella maggior parte dei casi, ancora decisamente inferiori al pre-crisi»;
    nella nota congiunturale di Federchimica, del novembre 2015, su «L'industria chimica in Italia», si legge inoltre «Nonostante la generale debolezza del commercio internazionale, l'export chimico italiano risulta in forte espansione, + 4,9 per cento in valore in presenza di prezzi lievemente cedenti. Il cambio favo- Pag. 141revole offre un importante sostegno, ma tale performance è soprattutto il frutto degli sforzi di riposizionamento delle imprese italiane conseguenti alla profonda crisi del mercato interno»; «Preoccupano la frenata degli emergenti e soprattutto le possibili ripercussioni, sulla Germania che rappresenta il principale partner estero non solo per la chimica ma anche per numerosi settori clienti. Ciò nonostante, la ripresa europea è attesa consolidarsi grazie al rafforzamento della domanda interna e le previsioni, per il cambio euro/$ rimangono favorevoli. Inoltre, uno scenario di quotazioni del petrolio al di sotto dei 60 $ rappresenta un sollievo per i margini, dopo anni di forte sofferenza, e ridimensiona la competitività delle produzioni extra-europee (alimentate ad etano, derivato del gas naturale) rispetto a quelle europee (alimentate a virgin nafta, derivato del petrolio)»;
    nel contesto strutturale e nel quadro congiunturale fin qui delineati, è intervenuto, il 30 ottobre 2015, l'incontro tra l'amministratore delegato di ENI, dottor Claudio Descalzi, ed i segretari generali di Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil – Emilio Miceli, Angelo Colombini e Paolo Pirani nel corso del quale, come riportato nel comunicato stampa diffuso dalle organizzazioni sindacali, è stata rappresentata la riorganizzazione di ENI e sono stati confermati «i contatti con Fondi internazionali con i quali ENI sta negoziando la cessione di quote di Versalis. Inoltre è stato rappresentato come il tema della salvaguardia dell'occupazione e dell'attuale piano industriale di Versalis siano per Eni due condizioni indispensabili ai fini di scegliere il partner. In ogni caso l'Eni manterrà una quota di garanzia all'interno di Versalis e dunque non si tratterebbe di una cessione totale della propria società chimica»;
    «Su questo punto – prosegue il comunicato stampa delle organizzazioni sindacali – abbiamo espresso le nostre perplessità in ordine alle preoccupazioni sulla tenuta della filiera chimica in Italia e sul rischio che una ipotesi di cessione di quote, in una fase caratterizzata dal basso costo del petrolio, possa generare appetiti speculativi. Rassicurazioni inoltre sono venute in ordine alle raffinerie di Sannazzaro, Livorno e Taranto, mentre su Gela l'Eni conferma il piano di investimenti già in corso di esecuzione (...) Eni ha confermato l'interesse verso la costituzione di un ramo funzionale nell'area «retail» del gas, ancora allo studio e non di imminente realizzazione, mentre sulla riorganizzazione di Saipem manterrà una funzione di garanzia sui futuri livelli occupazionali»;
    «Anche su questi punti – conclude il comunicato – abbiamo espresso le nostre preoccupazioni sull'impatto generale delle decisioni – prese ed in itinere – ed abbiamo informato Eni che è nostra intenzione chiedere un tavolo di confronto politico con il Governo sulle refluenze possibili che il processo di riorganizzazione dell'Eni può determinare sull'assetto industriale del Paese e sulla presenza dell'azienda sul territorio»;
    per quel che riguarda Versalis – la più grande società chimica italiana – le preoccupazioni manifestate dalle organizzazioni sindacali muovono, dunque, dallo stato di attuazione del piano industriale 2015-2018, che – con investimenti per circa 1,2 miliardi di euro aggiuntivi rispetto agli oltre 400 milioni di euro impegnati a partire dal 2012 – punta allo sviluppo di progetti di chimica verde e delle «specialities», ma segnala oggi la necessità di coerenti accelerazioni – in particolare per i siti di Porto Torres, Priolo e Porto Marghera – determinanti proprio nell'ottica della «tenuta della filiera chimica in Italia»;
    peraltro, lo stesso amministratore delegato di Eni, dottor Claudio Descalzi, aveva illustrato – nel contesto della sua audizione da parte della questa Commissione X della Camera in data 5 novembre Pag. 1422014 – un documento di presentazione della strategia complessiva della società, ricomprendente anche azioni di recupero nel settore della chimica attraverso il «Piano di rilancio Versalis», avente come obiettivo il raggiungimento del breakeven operativo a fine 2016 e declinato attraverso le seguenti linee di azione: ottimizzazione della capacità di conversione della chimica di base; flessibilizzazione delle cariche; valorizzazione delle tecnologie di proprietà; nuove piattaforme di chimica verde; sviluppo prodotti «specialties» e internazionalizzazione;
    il 6 novembre 2015 si è svolto, a Roma, il Coordinamento sindacale del gruppo Eni e, in tale circostanza, i segretari generali di Filctem-Cgil Femca-Cisl ed UiltecUil hanno così dichiarato: «Il piano ENI esclude in prospettiva il paese ed alcune importanti filiere industriali – dall'estrazione, alla raffinazione, alla chimica – con il rischio concreto di un disimpegno ed un secco ridimensionamento»; «ENI, con il nuovo piano di riassetto, abbandona la chimica verde e la relega a fanalino di coda dell'Europa. Ancora una volta un'occasione perduta: si accumulano tagli nei processi di riconversione, insieme ad un abbandono di siti importanti come Porto Marghera, Porto Torres, Gela e alla stessa incertezza della prospettiva industriale di Saipem. Verranno azzerati in Italia gli investimenti previsti, mentre l'interesse dell'Eni sembra rivolto esclusivamente ai mercati internazionali. Ciò deprimerà le politiche di ricerca e innovazione che un grande campo come la chimica verde necessita nella competizione internazionale e nella acquisizione di quote di mercato»;
    sulla scorta di tali valutazioni, le organizzazioni sindacali hanno proclamato due ore di sciopero a livello territoriale ed hanno indetto una grande assemblea pubblica nazionale, a Roma, per il 28 novembre 2015, richiedendo intanto un incontro urgente alla Presidenza del Consiglio;
    forti reazioni si sono registrate anche a livello territoriale e, ad esempio, nel caso della regione Sardegna, l'assessore regionale alle attività produttive, Maria Grazia Piras, ha sottolineato che sarebbero inaccettabili, a Porto Torres, disimpegni da parte di Eni nel progetto «Matrica», affermando di «non vedere alternativa nel futuro di Porto Torres che non sia la chimica verde»;
    la questione del ruolo di Eni nella filiera chimica italiana e il tema della continuità della presenza pubblica in Eni medesima assumono rilevanza anche per quanto concerne gli investimenti per gli interventi di bonifica e caratterizzazione delle aree – industriali, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 – di cui Eni è protagonista attraverso la controllata Syndial – che costituiscono processo indispensabile per rilanciare l'attrattività di tali aree ai fini della allocazione di nuove, attività produttive, in particolare nel settore della chimica verde;
    in considerazione del rilievo strategico del settore chimico, sarebbe opportuno ripristinare la piena funzionalità dell'Osservatorio chimico nazionale e delle sue articolazioni territoriali come sede permanente di confronto sulle dinamiche di settore e sulle politiche industriali,

impegna il Governo

ad effettuare un più attento monitoraggio delle prospettive della filiera chimica in Italia – a partire dagli sviluppi della vicenda Versalis e dalla loro valutazione in un'ottica di continuità e sviluppo di piano industriale, investimenti ed occupazione – e ad attivare tempestivamente ogni strumento di politica industriale utile al rafforzamento della competitività e della sostenibilità della chimica italiana, con particolare riferimento ai nodi del costo dell'energia, dell'efficienza infrastrutturale e logistica, dell'impulso alla ricerca e sviluppo, del sistema formativo, del sistema normativo e del rapporto con le pubbliche amministrazioni, anche attraverso l'istituzione di tavoli di approfondimento e confronto – che registrino il contributo delle parti sociali interessate e di ogni competente Pag. 143livello istituzionale ed amministrativo – e, in particolare, attraverso il ripristino dell'Osservatorio chimico nazionale, in sede ministeriale, nonché delle sue articolazioni territoriali.
(7-00840)
«Martella, Taranto, Benamati, Arlotti, Bargero, Becattini, Bini, Camani, Cani, Casellato, Donati, Galperti, Ginefra, Impegno, Montroni, Peluffo, Scuvera, Senaldi, Tidei, Vico, Luciano Agostini, Amoddio, Braga, Paola Bragantini, Bratti, Berlinghieri, Paola Boldrini, Carella, Carra, Censore, Cominelli, Crivellari, D'Arienzo, D'Incecco, De Menech, Marco Di Maio, Fregolent, Cinzia Maria Fontana, Giulietti, Gnecchi, Grassi, Gribaudo, Lodolini, Patrizia Maestri, Marantelli, Marchi, Mariano, Moretto, Murer, Miotto, Mognato, Morani, Naccarato, Narduolo, Pagani, Palma, Pes, Rubinato, Francesco Sanna, Sbrollini, Tullo, Venittelli, Verini, Zappulla, Zardini, Zoggia, Mura».

Pag. 144

ALLEGATO 2

7-00869 Da Villa: Prospettive della filiera chimica italiana

TESTO DELLA RISOLUZIONE

  La Commissione X,
   premesso che:
    la chimica italiana ha una lunga storia, fatta di numerosi insediamenti industriali sparsi in tutta la penisola oltre che di attività di ricerca e sviluppo ai massimi livelli, basti pensare al premio Nobel Natta che inventò nel 1963 il polipropilene isotattico ed il polietilene ad alta densità;
    a livello mondiale questo comparto rappresenta ancora una realtà industriale alquanto dinamica, con un volume d'affari di oltre 3.000 miliardi di dollari;
    malgrado la forte tradizione del nostro Paese in questo settore, l'industria chimica italiana ha subìto una significativa contrazione dovuta ad una serie di fattori, tra cui possiamo citare: (a) le distorsioni dagli anni ’70 (dalla scalata dell'ambigua figura di Cefis, alla prima avventura parallela dello stesso con Montedison, allo scandalo dei petroli su fino all’affaire Enimont, passando per le mille influenze negative della politica); (b) il consistente ritardo nell'innovazione impiantistica e nella riconversione industriale che si sarebbero dovute realizzare negli anni ’80; (c) la colpevole disattenzione dei vertici industriali e politici nei confronti di una degradazione irreversibile degli ambienti circostanti e dell'impatto sulla salute di cittadini e lavoratori; (d) un programma di dismissioni incontrollate di impianti nei confronti di gestori non interessati a garantire la sicurezza dal rischio chimico e la protezione dall'inquinamento (si veda oltre), poiché attenti solamente al profitto immediato, non a qualificare la produzione; infine, (e) la sempre più agguerrita concorrenza estera. A causa di quest'incuria e del sistematico (e a parere di molti, tra cui i firmatari, voluto) scadimento che ne è derivato, l'industria chimica ha ormai da tempo un'immagine connotata come obsoleta, non conveniente, fortemente impattante ed inquinante; si tratta di uno dei più grandi sprechi che ha subito il nostro Paese, ben descritto nel volume «Il declino dell'Italia industriale» di Luciano Gallino;
    nello stesso rapporto di Federchimica del luglio 2015 su Situazione e prospettive per l'industria chimica, viene evidenziato come «l'intensità della ripresa rimarrà modesta e le conseguenze della crisi continueranno a farsi sentire soprattutto per le PMI chimiche più dipendenti dal mercato interno i cui livelli di attività risultano, nella maggior parte dei casi, ancora decisamente inferiori al pre-crisi»;
    è opportuno ricordare che proprio la petrolchimica ha comportato ingenti danni ambientali e per la salute di lavoratori e abitanti in diverse località italiane, come Porto Marghera, Porto Torres, Gela e Priolo. I territori delle città sopra menzionate hanno fatto registrare una media di mortalità della popolazione per malattie tumorali ben al di sopra di quella nazionale;
    questi siti industriali, molti dei quali dismessi o in dismissione, potrebbero tuttavia essere proficuamente riutilizzati impiegandoli nella green economy, e in particolare nella green chemistry;
    il concetto di chimica sostenibile è supportato a oggi da tutta la chimica italiana, che lo ha concretizzato nell'iniziativa Pag. 145volontaria «Responsible Care», i cui fondamenti sono basati sull'impegno delle industrie chimiche:
     a migliorare continuamente prodotti, processi e comportamenti nelle aree della sicurezza, salute e ambiente, in modo da contribuire in maniera significativa allo sviluppo sostenibile dell'industria, delle comunità locali e della società;
     a potenziare la sicurezza e migliorare la salute dei dipendenti e della popolazione che vive nei pressi dei siti industriali (investimenti in sicurezza e in minor impatto ambientale);
     a incrementare la protezione dell'ambiente limitando il più possibile le emissioni nell'aria (meno gas-serra e sostanze volatili), nell'acqua e nel suolo, per ridurre l'impatto ambientale delle attività industriali sul cambiamento climatico e sulle comunità adiacenti;
    per quanto riguarda la chimica verde, il nostro Paese vanta attualmente eccellenze di valore mondiale che stanno consentendo, ad esempio, di trasformare il vecchio ed inquinante petrolchimico di Porto Torres in una bioraffineria; una specializzazione in tal senso potrebbe contribuire significativamente alla ripresa dell'economia italiana, se il settore potesse avvalersi di una normativa nazionale che razionalizzasse con un piano la realizzazione di nuove bioraffinerie, tenendo conto delle loro esternalità ambientali e sociali, e diffondesse presso l'opinione pubblica la conoscenza delle positive innovazioni connesse;
    in Italia esistono eccellenze industriali nel settore della green chemistry, in particolare nel settore delle bioplastiche e in quello dei biocarburanti di seconda e terza generazione, che andrebbero opportunamente sfruttate. In particolare, ci sono imprese che hanno realizzato investimenti importanti su questo comparto, tra le quali Mossi&Ghisolfi, Novamont ed ENI;
    l'Eni, per bocca dell'attuale amministratore delegato De Scalzi, ha illustrato, nell'audizione del 5 novembre 2014 presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati, il valore strategico della chimica verde, che rappresenta per Versalis una opportunità di business con elevate prospettive di crescita e complementare alla chimica tradizionale, confermando ciò che aveva dichiarato sempre in audizione il suo predecessore Scaroni: «Vogliamo fare della Versalis il leader mondiale del settore della chimica verde». Ad oggi, purtuttavia, il futuro aziendale di Versalis è bloccato, in quanto, all'ultimo tavolo istituzionale del 17 novembre, convocato per discutere sulla situazione aziendale di Mantova dopo le voci di possibili cessioni di quote a un fondo di investimento americano, non hanno partecipato il presidente e l'amministratore delegato di Eni Versalis Spa.;
    Versalis ha forti relazioni commerciali con clienti che operano a livello globale, come Pirelli, Bridgestone e Continental, e questo le consente di espandere il suo business (e l'importanza della chimica innovativa italiana) a livello mondiale, grazie anche a un eccellente struttura di ricerca e sviluppo: basti pensare che Versalis ha un portafoglio di circa 400 brevetti;
    secondo quanto affermato dai rappresentanti dei lavoratori dell'azienda, l'Eni sarebbe invece intenzionata ad abbandonare progressivamente il settore della chimica, con una retromarcia preoccupante e poco comprensibile rispetto a quello che i suoi massimi responsabili hanno dichiarato fino a oggi. Come evidenziato da ultimo dall'inchiesta giornalistica trasmessa il 13/12/2015 nella trasmissione Report (da cui sono emersi anche taluni aspetti preoccupanti dal punto di vista del reale interesse pubblico e della legalità), appare evidente che l'unica strategia di ENI sia quella di dismettere rapidamente tutta una serie di partecipazioni, compresa la chimica, contraddicendo indirizzi precedentemente dichiarati e senza, di fatto, avere elaborato ed esposto una precisa strategia industriale;Pag. 146
    è inoltre opportuno ricordare quanto siano state inconcludenti le dismissioni incontrollate della chimica avviate negli anni ’90, e come tali passaggi spesso abbiano lasciato scaturire non solo gravissimi rischi per la sicurezza (basta l'esempio dell'incidente Dow Chemical del 2002 a Porto Marghera), accompagnati da un deplorevole susseguirsi di scarichi di responsabilità nella gestione dei danni lasciati negli anni (è il caso della chimica del cloro, che ha lasciato terreni fortemente inquinati a carico del sistema pubblico), ma anche la continua riduzione dei costi di manutenzione, con gravi rischi conseguenti per gli impianti e quindi per i cittadini. E spiace osservare come oggi si stia purtroppo riproponendo un modello similare, nel quale si profilano cessioni nei confronti di un piccolo fondo americano che da una parte non appare in grado di onorare pienamente gli impegni finanziari, dall'altra non sembra poter offrire garanzie circa il mantenimento in sicurezza degli impianti nei confronti del rischio chimico per lavoratori e popolazioni circostanti;
    quanto alla ricerca, come esposto in audizione dal CNR nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy presso le commissioni ambiente ed attività produttive alla Camera, in tutto il mondo si manifesta una crescita esponenziale delle pubblicazioni scientifiche sulla chimica verde o, più correttamente, sulle biotecnologie bianche, e cioè quella branca delle biotecnologie che ha portato negli ultimi anni fortissimi sviluppi nella degradazione enzimatica della biomassa, passaggio cruciale per l'applicazione all'interno dei processi produttivi: la sostituzione delle materie prime per l'industria petrolchimica con una materia prima rinnovabile, naturale, che porta quasi a zero il bilancio di CO2; dalla chimica verde, infatti, si ottengono quelli che vengono definiti «bio-based products», cioè prodotti ottenuti in tutto o in parte da materiali di origine biologica, con esclusione delle fonti fossili e minerarie, cioè dei materiali non rinnovabili;
    in relazione al recentissimo accordo di Parigi COP21, è evidente che per soddisfare le esigenze di una significativa riduzione di CO2 nei processi industriali saranno necessarie le tecnologie più avanzate; solo un'industria chimica reindirizzata verso obiettivi di vera sostenibilità, e in grado di affiancarsi agli altri comparti industriali per conseguire i necessari adattamenti, potrà consentire al nostro Paese di mettere a frutto le proprie competenze tecniche e acquisire un ruolo-guida nei confronti degli ambiziosi obiettivi di riduzione dei consumi e dell'impatto ambientale. A ciò si aggiunge l'esigenza di sostenere in tempi brevi la prevista transizione ai nuovi modelli di sviluppo a basso impatto, in grado di ridurre – anche con nuove tecnologie – le grandi quantità di inquinanti locali presenti nelle aree urbane e in alcune aree del Paese, come la pianura padana;
    la trasformazione delle biomasse di origine agricola, industriale o naturale in sostanze chimiche, sia per impiego energetico, sia per impiego industriale, è un processo chimico; da queste trasformazioni si ottengono sostanze che possono essere utilizzate sia per produrre direttamente energia (biocombustibili), sia per produrre composti chimici intermedi che a loro volta vengono trasformati in ulteriori prodotti, al pari di quanto già succede con le fonti fossili; d'altro canto le biomasse furono la prima fonte di materie prime per la chimica fino agli anni ’20 del secolo scorso, quando la grande disponibilità di petrolio ha spostato l'approvvigionamento sulle fonti fossili;
    nel 2013 quattro soci fondatori, tra i quali Federchimica, hanno dato vita al Cluster Tecnologico Nazionale «Chimica Verde», su impulso del MIUR e in linea con gli indirizzi della Commissione Europea in tema di bioeconomia. Obiettivo del Cluster è quello di incoraggiare lo sviluppo delle bioindustrie in Italia attraverso un approccio interdisciplinare e globale all'innovazione;
    nel 2014 gli aderenti al Cluster hanno poi fondato l'Associazione Pag. 147«SPRING – Sustainable Processes and Resources for Innovation and National Growth». Con lo scopo di gestire le attività inerenti al Cluster, gli oltre 100 soggetti aderenti a SPRING vedono nella costruzione di bioraffinerie avanzate, integrate nel territorio e rivolte principalmente a produzioni innovative ad alto valore aggiunto, un'opportunità per affermare un nuovo modello socio-economico e culturale, prima ancora che industriale, dando una corretta priorità all'uso delle biomasse, nel rispetto della biodiversità locale e delle colture alimentari, e con la creazione di nuovi posti di lavoro. Già ora ci sono potenzialità per più di un miliardo di euro di investimenti privati e per oltre 1.600 addetti;
    il CNR stesso rileva come in Italia ci siano investimenti importanti, citando l'esempio del lancio di un bando interno presso il medesimo centro di ricerche per partecipare a un progetto premiale per il quale ha ricevuto, con sorpresa degli stessi organizzatori, più di 400 risposte dai ricercatori, i quali hanno chiesto di poter mettere a disposizione le proprie competenze, ritenendo che fossero congrue e ben inquadrate all'interno della chimica verde;
    a marzo del 2015 è stato inoltre firmato l'Accordo di Programma tra Consiglio Nazionale delle Ricerche e Federchimica, grazie al quale sono previste alcune attività per le imprese che possono favorire i contatti con l'istituto di ricerca; l'accordo fissa alcuni passi operativi che permetteranno al CNR di mettersi a disposizione delle imprese chimiche, soprattutto medio-piccole, con oltre 800 Ricercatori specializzati nelle scienze chimiche. In breve, l'accordo intende:
     far conoscere alle imprese il potenziale di ricerca che il CNR può mettere a disposizione;
     fornire informazioni sulle competenze scientifiche e sulle esperienze di collaborazione industriale dei vari Dipartimenti del CNR che si interessano di chimica;
     elaborare eventuali modelli contrattuali semplificati per favorire la collaborazione tra i ricercatori del CNR e le imprese, anche con nuove formule d'inserimento di risorse umane qualificate;
     avviare alcuni «Progetti Bandiera» come la «Chimica delle Formulazioni»;
    alcune associazioni di settore di Federchimica si sono attivate per i «Progetti Bandiera»: AISPEC (Associazione Nazionale imprese chimica fine e settori specialistici) ha già individuato una dozzina di imprese con le quali il CNR metterà in atto possibili collaborazioni. AISPEC, inoltre, sta focalizzando i principali trend tecnologici delle imprese sulla «Chimica delle Formulazioni», che intende condividere con il CNR, al fine di indirizzare meglio la sua futura attività di ricerca;
    il CNR ritiene inoltre che una vasta opera di formazione sarebbe importante perché la chimica verde, e la green economy in generale, non prevede occupazione solo ai più alti livelli di specializzazione. Bisognerebbe riuscire a ricreare una versione rinnovata di quei poli chimici che ebbero a lungo un ruolo di primo piano in Italia, riconvertendoli in direzione «verde», per inquinare meno e produrre materiali innovativi, tornando così concorrenziali sul mercato in un settore ad alto valore aggiunto;
    nelle bioplastiche, ad esempio, l'Italia è già molto competitiva. Il fatto che una delle nostre aziende abbia vinto la gara per fornire il catering alle Olimpiadi di Londra, con servizio in plastiche biodegradabili, significa che esistono le basi di una presenza competitiva italiana, e che, anche dal punto di vista occupazionale, potremmo sviluppare opportunità vantaggiose. Anche se il saldo occupazionale nelle qualifiche meno elevate non dovesse migliorare significativamente, con uno sviluppo in tal senso si tutelerebbero per lo meno gli impieghi delle maestranze attualmente ancora occupate nella chimica, che invece sarebbero fortemente a Pag. 148rischio se il settore non si rinnovasse, rimanendo attaccato a produzioni non sostenibili che lo condannerebbero a un inesorabile declino;
    il CNR sta spingendo una parte importante della ricerca verso questo approccio green: sicuramente per quanto riguarda la chimica, parte della fisica e gran parte dell'ingegneria, che ovviamente ha un ruolo decisivo anche per i suoi riflessi sul settore dell'edilizia, sull'occupazione e sul governo del territorio;
    quanto all'integrazione territoriale, questa è favorita anche da dimensioni degli impianti tali da consentire un loro inserimento nel contesto locale in sintonia con il territorio, ben accetto dalle comunità limitrofe, grazie anche all'oggettivo valore economico, occupazionale e di sostenibilità ambientale, nonché di innovazione pervasiva su tutta la catena del valore a monte e a valle;
    al di là del valore importante del radicamento e dell'integrazione, le imprese di questo ambito giocano un ruolo estremamente importante nella produzione di materiali con un grado di specializzazione spesso elevato, vitali per settori industriali diversi: l'industria della carta, quella tessile, farmaceutica, della gomma, cosmetica, alimentare, delle materie plastiche, degli adesivi, dei biofertilizzanti e molte altre ancora dipendono già ora da forniture derivate da biomasse, dalle quali traggono a loro volta molteplici prodotti destinati a usi tecnici, e spesso a usi quotidiani. Questo tessuto di imprese con le loro competenze e il loro radicamento costituisce la base dell'attuale sistema industriale della bioeconomia e il presupposto per il suo sviluppo ulteriore in termini di innovazione e sostenibilità. Il settore conosce infatti in questo momento un profondo processo di rinnovamento che riguarda i tre livelli che lo caratterizzano: Tecnologie, Bioraffinerie, Bioprodotti;
    occorre definire e attuare una strategia nazionale in grado di affrontare tutti questi complessi nodi e che permetta alla green economy di svolgere un ruolo essenziale, partendo dall'individuazione di alcuni obiettivi concreti, attuabili e in grado di delineare la rotta che si vuole perseguire, obiettivi che, se conseguiti, possono contribuire ad un rilancio dell'intero comparto produttivo del settore;
    lo sviluppo sostenibile, chiave di volta del progresso tecnologico nel nuovo secolo, impone infatti alle scienze chimiche di giocare un ruolo primario nella riconversione di vecchie tecnologie in nuovi processi puliti, e nella progettazione di nuovi prodotti e nuovi processi eco-compatibili;
    anche le Imprese di Assofertilizzanti, ad esempio, hanno da sempre condiviso la necessità di una attenzione sempre maggiore al consumatore, all'ambiente, al prodotto e anche al processo, in quanto convinte che solo con la qualità, nella sua accezione più ampia, si potrà far fronte alla competizione globale, facendo emergere, anche in questo settore, l'eccellenza del made in Italy;
    se la reindustrializzazione dei poli chimici dovesse quindi realizzarsi tramite investimenti di medio e lungo periodo in direzione di una chimica da fonti rinnovabili, o chimica verde, accompagnandosi a politiche di bonifica del territorio e piani per il riciclaggio di materie prime seconde, ciò potrebbe rappresentare una soluzione alla crisi del settore che non susciterebbe apprensione o diffidenza da parte dei segmenti di opinione pubblica più attenti all'impatto ambientale degli insediamenti industriali e più sensibili alle loro conseguenze sulla salute dei cittadini, anche perché l'obiettivo della chimica verde è ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, grazie all'affrancamento dalle fonti fossili, nonché valorizzare le risorse del territorio, riducendo al contempo il peso dell'importazione di materie prime come il greggio;
    in base a quanto prospettato da Assocostieri, nei prossimi quindici anni la differenza tra i consumi di benzina (inclusi i biocarburanti) e quelli di gasolio (sempre inclusi i biocarburanti) dovrebbe Pag. 149aumentare dagli oltre 15 milioni di tonnellate (10 a 25,3) del 2010, agli oltre 17 previsti per il 2020 e il 2025 (rispettivamente, 8,1 contro 25,5 e 7,9 contro 25,1 milioni di tonnellate);
    in un simile contesto, la previsione della domanda di biocarburanti dovrebbe essere pari a 600 mila tonnellate di bioetanolo e bio-ETBE nel 2020 e leggermente meno nel 2025, a causa della riduzione dei consumi totali di benzina. Per il biodiesel la domanda si prevede pari a circa 2 milioni di tonnellate nel 2020 e 1,9 milioni di tonnellate nel 2025; tuttavia, i dati dei consumi petroliferi registrati nel corso del 2012 impongono una profonda riflessione su tali previsioni;
    con la legge n. 134/2012 è stata introdotta una procedura autorizzativa per le importazioni di biocarburanti;
    la chimica verde potrà inoltre inserirsi in maniera importante nelle tecnologie di produzione di materia da vegetali come l'utilizzo della canapa; potrà altresì consentire il recupero di materia da frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU) limitando in particolare il ricorso a fertilizzanti di sintesi;
    in questo contesto di grande fermento innovativo del settore appare strategica la scelta di incentivare la nascita di filiere a ciclo chiuso, indicatori e propulsori di forte competitività in un ambito come quello della chimica verde, nella sua più ampia accezione;

impegna il Governo:

   a salvaguardare i brevetti del settore industriale chimico italiano affinché rimangano patrimonio intellettuale dell'Italia (troppo generico);
   a istituire un tavolo con le regioni interessate per individuare soluzioni alternative nel caso dovessero venire meno, sul rispettivo territorio, le attività sulla chimica verde già programmate, promesse o comunque prefigurate, e per non perdere né le conoscenze né le competenze finora acquisite nel settore chimico;
   a sostenere la «chimica verde» in coerenza con la strategia della biochimica sostenuta dalla Commissione europea, attivando presso il Ministero dello sviluppo economico un tavolo di alto livello tra stakeholders chiave ed enti di ricerca sul tema della chimica verde, per assistere il Governo nell'elaborazione di una strategia nazionale sulla bioeconomia che:
    a) individui gli interventi più efficaci, in particolare per lo sviluppo di tecnologie semplici a ciclo chiuso e di maggior rendimento;
    b) selezioni in modo mirato precisi ambiti di «green chemistry» e definiti obiettivi di miglioramento dei processi industriali in chiave di sostenibilità;
    c) predisponga progetti organici, fondati su complessive analisi ambientali, tecnico-scientifiche e di prospettiva industriale, volti al superamento della chimica tradizionale altamente inquinante, che puntino anzitutto alla riconversione degli impianti, ove possibile, e che procedano, per il resto, a dismissioni oculate e non casuali di produzioni impattanti o superate, valutando semmai a tal fine la possibilità di stringere accordi di collaborazione e di scambio con altri Paesi europei potenzialmente interessati;
    d) inserisca in una pianificazione sistematica il disegno delle opere di conversione già avviate o programmate, e predisponga un metodo di analisi e gestione delle emergenze in atto che eventualmente non si prestino a nessuna delle soluzioni auspicate;
   a sviluppare una politica di forte sostegno all'innovazione, che ponga la ricerca a proprio cardine fondamentale, anche attraverso la destinazione di fondi e di incentivi ad hoc;
   a favorire piani di utilizzo di vegetali a scopo produttivo, quali la canapa e a stimolare la produzione e l'utilizzo di Pag. 150brevetti nazionali che possano in particolare consentire il recupero di materia dalla FORSU allo scopo di limitare l'utilizzo di fertilizzanti da chimica tradizionale;
   a intraprendere ogni iniziativa per accelerare i processi di bonifica dei siti chimici di interesse nazionale e concludere in tempi certi quelli già avviati, concordando i percorsi con gli enti locali e le regioni;
   a porre in atto, in qualità di azionista di controllo di ENI, ogni azione utile nei confronti del management affinché siano mantenuti gli impegni di investimento in Versalis, con particolare orientamento a una dismissione programmata della chimica tradizionale inquinante a favore del potenziamento della green chemistry sostenibile e alla necessaria salvaguardia dei livelli occupazionali.
(7-00869)
«Da Villa, Vallascas, Crippa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Zolezzi».

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ALLEGATO 3

7-00869 Da Villa: Prospettive della filiera chimica italiana

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

  La X Commissione,

impegna il Governo:

   ad adottare le iniziative che si dovessero rendere necessarie per salvaguardare i brevetti del settore industriale chimico italiano affinché rimangano patrimonio intellettuale dell'Italia;
   a ripristinare in sede ministeriale l'Osservatorio chimico nazionale e le sue articolazioni territoriali, per supportare il Ministero dello sviluppo economico nell'individuazione e nell'attuazione di politiche di intervento per il settore in grado di favorire lo sviluppo del comparto attraverso la valorizzazione delle potenzialità presenti in ciascun territorio a vocazione chimica;
   a sviluppare una politica di forte sostegno all'innovazione, che ponga la ricerca a proprio cardine fondamentale, anche attraverso la destinazione di fondi e di incentivi ad hoc;
   a intraprendere ogni iniziativa per accelerare i processi di bonifica dei siti chimici di interesse nazionale e concludere in tempi certi quelli già avviati, concordando i percorsi con gli enti locali e le regioni;
   a valutare l'opportunità, anche sulla base delle valutazioni di competenza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ad individuare misure che favoriscano i piani di utilizzo di vegetali a scopo produttivo, quali la canapa e a stimolare la produzione e l'utilizzo di brevetti nazionali che possano in particolare consentire il recupero di materia dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU) allo scopo di limitare l'utilizzo di fertilizzanti da chimica tradizionale.
(8-00162) «Da Villa, Vallascas, Crippa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Zolezzi».

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ALLEGATO 4

Norme per il contrasto al terrorismo, nonché ratifica ed esecuzione: a) della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005; b) della Convenzione internazionale per la soppressione di atti di terrorismo nucleare, fatta a New York il 14 settembre 2005; c) del Protocollo di Emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo, fatto a Strasburgo il 15 maggio 2003; d) della Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005 (Nuovo testo C. 3303 Governo).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La X Commissione,
   esaminato il nuovo testo del disegno di legge recante: «Norme per il contrasto al terrorismo, nonché ratifica ed esecuzione: a) della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005; b) della Convenzione internazionale per la soppressione di atti di terrorismo nucleare, fatta a New York il 14 settembre 2005; c) del Protocollo di Emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo, fatto a Strasburgo il 15 maggio 2003; d) della Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005»;
   ricordato che la legge 28 aprile 2015, n. 58, di ratifica ed esecuzione degli Emendamenti alla Convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari, nonché la legge 22 maggio 2015, n. 68, recante disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente, hanno già introdotto fattispecie penali relative all'attentato alla sicurezza delle installazioni nucleari o all'abbandono di materiale radioattivo;
   osservato che all'articolo 6 si prevede il parere dell'Ispettorato nazionale per la radioprotezione (ISIN) al prefetto territorialmente competente che adotta i provvedimenti per la messa in sicurezza di materia radioattiva, ordigni nucleari o impianti nucleari sequestrati dall'autorità giudiziaria nei procedimenti relativi a taluno dei delitti di cui all'articolo 280-ter (atti di terrorismo nucleare) del codice penale introdotto dal disegno di legge in esame;
   sottolineato che l'articolo 7 dispone stabilisce che, su proposta dell'ISIN, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sono stabilite le sostanze radioattive e le opportune misure di protezione;
   rilevato pertanto che deve essere assicurata la piena operatività dell'Ispettorato nazionale per la radioprotezione (ISIN),
  delibera di esprimere

PARERE FAVOREVOLE.