CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 10 settembre 2015
502.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-06330 Sottanelli: Problematiche relative all'inquadramento di oltre 700 dipendenti dell'Agenzia delle entrate.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, l'Onorevole interrogante chiede al Ministro quali iniziative intenda adottare per risolvere la questione relativa a circa 700 dipendenti dell'Agenzia delle entrate che, dopo essere passati, a seguito di concorso interno, dall'area B – posizione B3 – all'area C – posizione C1, sono stati recentemente retrocessi all'area inferiore a conclusione di un lungo iter giudiziario caratterizzato da sentenze di opposto tenore.
  Al riguardo, l'Agenzia delle entrate riferisce quanto segue.
  Nel contratto integrativo del Ministero delle finanze sottoscritto nel 2000 in applicazione del CCNL di comparto 1998-2001 (in data perciò antecedente all'istituzione delle agenzie fiscali) sono stati previsti concorsi interni per il passaggio dalle posizioni B1, B2 e B3 dell'area B (oggi area II) alla posizione iniziale C1 dell'area C (oggi area III) per un totale di circa 4.000 posti.
  I bandi di concorso, emanati nel 2001 dalle nuove agenzie, prevedevano un percorso formativo di qualificazione e aggiornamento professionale, al quale era ammesso un numero di candidati pari ai posti messi a concorso maggiorato del 20 per cento. Al termine del percorso formativo era previsto un esame finale orale. L'ammissione al percorso formativo era determinata da una graduatoria basata sui titoli posseduti dai candidati, fra i quali assumeva un peso preponderante l'anzianità di servizio.
  Tenuto conto del determinante fattore dell'anzianità di servizio, un gruppo consistente di dipendenti collocati nella posizione apicale B3 dell'area B, possedendo un'anzianità minore rispetto ad altri colleghi in posizione inferiore B1 o B2, avrebbero perso a priori qualunque chance di passaggio all'area superiore risultando per loro sarebbe risultato in partenza escluso il percorso formativo in argomento.
  Secondo l'Agenzia delle entrate detta situazione avrebbe concretizzato una violazione della pronuncia con la quale la Corte Costituzionale aveva nel frattempo sancito il divieto del cosiddetto «doppio salto» nelle progressioni interne (sentenza n. 194 del 16 maggio 2002).
  La Corte, nel quadro di un ragionamento più generale sulla qualità selettiva delle procedure interne di passaggio di qualifica nelle pubbliche amministrazioni, aveva inoltre criticato l'attribuzione di un peso eccessivo al fattore dell'anzianità di servizio, ritenendolo incoerente con il principio di concorsualità nell'accesso ai pubblici uffici, e quindi di selezione dei migliori, stabilito dall'articolo 97 della Costituzione. Infatti, secondo la Corte Costituzionale, nei concorsi interni delle pubbliche Amministrazioni rappresentavano una violazione del principio costituzionale del buon andamento dell'azione amministrativa sia il cosiddetto «doppio salto» di posizione che l'attribuzione di un peso eccessivo al parametro dell'anzianità di servizio.
  Considerando che sulla base della pronuncia della Corte, il personale in posizione apicale B3 che fosse stato escluso dal percorso formativo e, conseguentemente, si fosse visto privare della possibilità di accesso all'area superiore, avrebbe Pag. 50potuto impugnare la procedura e farla invalidare, sostenendo che i colleghi in posizione inferiore B1 o B2 da cui fossero stati scavalcati nell'accesso al percorso formativo e che avessero poi superato la procedura avrebbero di fatto effettuato un «doppio salto», passando dalla posizione B1 (per questi si sarebbe addirittura trattato di un «triplo salto») o B2 a quella iniziale C1 dell'area superiore. L'Agenzia delle entrate decise di consentire anche al personale inquadrato nella posizione B3 di partecipare, anche in soprannumero, al percorso formativo e al conseguente esame finale.
  Al termine della procedura, le graduatorie di merito venivano però impugnate da alcuni dipendenti B2 che erano stati ammessi al percorso formativo in base al punteggio dei titoli e che, dopo la prova orale, si erano trovati posposti ai dipendenti B3 ammessi in soprannumero al percorso di formazione.
  La giurisprudenza amministrativa, che, inizialmente, aveva respinto i ricorsi si è poi consolidata in senso opposto. I giudici hanno infatti ritenuto (TAR Lazio sentenza n. 9352 del 2013 e sentenza n. 3007 del 2015) che nella fattispecie non ricorressero i presupposti per l'applicazione del principio di divieto del «doppio salto», in quanto le posizioni economiche all'interno di un'area si dovevano considerare tutte equivalenti dal punto di vista mansionale e pertanto, ai fini del passaggio all'area C, sarebbe stato del tutto indifferente l'inquadramento dei candidati nella posizione B1, B2 o B3.
  Al riguardo, l'Agenzia delle entrate osserva che l'equivalenza delle mansioni all'interno di un'area è stata prevista per la prima volta dal CCNL delle Agenzie fiscali, sottoscritto a maggio 2004 e cioè tre anni dopo la pubblicazione dei bandi relativi al concorso interno di cui trattasi: quest'ultimo, come già detto, faceva riferimento al CCNL dei Ministeri 1998-2001, il quale non prevedeva l'equivalenza di mansioni tra le diverse posizioni interne a un'area, anzi la escludeva espressamente (articolo 24, comma 2), stabilendo altresì (articolo 15) che, nel passaggio dei dipendenti da una posizione all'altra all'interno dell'area, il dipendente inquadrato in una determinata posizione economica non potesse essere posposto in graduatoria a un dipendente di posizione economica inferiore: se questo valeva per i passaggi all'interno di un'area, a maggior ragione doveva valere per i passaggi da un'area all'altra.
  L'Avvocatura dello Stato, preso atto della situazione, ha dato indicazione all'amministrazione di non coltivare ulteriormente il contenzioso.
  Alla luce delle decisioni degli organi di giustizia amministrativa, l'Agenzia ha dovuto retrocedere dipendenti ex B3 cosiddetti «soprannumerari», che pure, afferma l'Agenzia, avevano superato la prova finale e, in virtù dei contratti di lavoro regolarmente sottoscritti all'epoca, svolgevano da oltre otto anni, con competenza e professionalità, le mansioni proprie dell'area superiore, assicurando la funzionalità di delicati servizi sia nell'attività di controllo che in quella di assistenza e informazione al contribuente.
  In alcuni casi, agli interessati erano state attribuite anche posizioni organizzative (capo reparto e simili), anch'esse necessariamente revocate, dal momento che possono essere coperte solo da personale inquadrato nella terza area.
  L'Agenzia delle entrate allo scopo di assicurare continuità all'azione amministrativa, si è fatta più volte promotrice di norme di legge che consentissero di sanare la situazione.
  In sintesi, le norme proposte prevedevano che agli interessati («dipendenti dell'amministrazione economico-finanziaria cui sono state affidate le mansioni della terza area sulla base di contratti individuali stipulati in esito al superamento di concorsi banditi in applicazione del contratto collettivo di comparto del quadriennio contrattuale 1998-2001») venisse attribuito il relativo inquadramento giuridico e il corrispondente trattamento economico, tenendo conto delle mansioni effettivamente svolte e della professionalità conseguita, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della norma. Una norma di questo tenore era stata inserita Pag. 51nel disegno di legge di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2013, n. 126 (comma 8-bis dell'articolo 1); l’iter di conversione non venne però perfezionato e il decreto decadde, né la norma venne successivamente ripresentata.
  Peraltro, l'Agenzia ricorda che l'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 24 settembre 2002, n. 209, convertito con modificazioni dalla legge 22 novembre 2002, n. 265, in analoga fattispecie ha stabilito che al personale interessato dalla sentenza della Corte Costituzionale continuasse ad essere corrisposto, a titolo individuale ed in via provvisoria, sino ad una specifica disciplina contrattuale, il trattamento economico in godimento. La «specifica disciplina contrattuale» si è concretizzata nell'articolo 102, comma 3, del CCNL del comparto agenzie fiscali, che di fatto ha sanato la situazione del personale interessato prevedendone la conferma nella nuova posizione.
  Ad aprile 2015 l'Agenzia ha sottoscritto un verbale d'intesa con le Organizzazioni sindacali, nel quale si ipotizza un'interpretazione autentica del predetto articolo 102 che consenta di estenderne l'applicazione al caso dei B3 retrocessi.
  Anche sulla scorta dell'avviso del Dipartimento della funzione pubblica, cui è stato sottoposto il citato verbale, sono pertanto in corso i necessari approfondimenti tecnici e le conseguenti valutazioni.

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ALLEGATO 2

5-06331 Ribaudo: Rimborsi delle somme indebitamente versate da contribuenti interessati dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 che ha colpito le province di Catania, Ragusa e Siracusa.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, l'Onorevole interrogante chiede chiarimenti in merito all'erogazione dei rimborsi previsti in favore dei soggetti colpiti dal sisma del 1990 in Sicilia dall'articolo 1, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), e sollecita iniziative volte a chiudere il contenzioso che sulla questione è in corso presso le Commissioni Tributarie.
  Al riguardo, l'Agenzia delle entrate osserva quanto segue.
  Preliminarmente è opportuno richiamare il quadro normativo di riferimento.
  Il citato articolo 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 dispone il rimborso delle imposte versate in eccedenza rispetto alla misura del 10 per cento prevista dall'articolo 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, in favore dei soggetti colpiti dal sisma del 1990 in Sicilia, non esercenti l'attività di impresa a condizione che abbiano presentato l'istanza di rimborso ai sensi dell'articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, entro il termine di due anni dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008, n. 31.
  L'applicazione dell'articolo 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 ha dato luogo ad un annoso contenzioso, dapprima incentrato sulla sussistenza del diritto alla restituzione delle imposte versate dai contribuenti prima dell'entrata in vigore della predetta disposizione in eccedenza rispetto alla misura del 10 per cento ivi stabilita e, successivamente, sul termine di decadenza per la presentazione delle relative istanze di rimborso (quarantotto mesi, ai sensi dell'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602 o due anni, ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 546 del 1992) nonché sulla decorrenza del medesimo termine (dalla data di entrata in vigore della legge n. 289 del 2002 che ha introdotto l'agevolazione in questione ovvero della legge n. 31 del 2008 che da ultimo ha prorogato la disposizione agevolativa).
  Peraltro, già prima della legge n. 190 del 2014, l'Agenzia delle entrate, con la direttiva n. 1/2013 del 10 gennaio 2013, ha riconosciuto la spettanza dei rimborsi prendendo atto del consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità formatosi in materia ed ha fornito indicazioni agli Uffici per l'abbandono del contenzioso pendente, pur sostenendo, sulla base della favorevole giurisprudenza di legittimità sul punto, l'applicazione del termine di decadenza per la presentazione dell'istanza di rimborso di due anni a decorrere dall'entrata in vigore della legge n. 289 del 2002.
  Nella medesima direttiva veniva altresì specificato il temporaneo divieto di effettuare i rimborsi in favore dei contribuenti esercenti attività economiche, imposto dalla decisione n. C(2012)7128 final del 17 ottobre 2012 della Commissione europea.Pag. 53
  Il contenuto della direttiva si conforma peraltro, agli impegni assunti dall'Agenzia delle entrate in sede di risposta all'interrogazione n. 5-07535 dell'Onorevole Causi, discussa il 26 luglio 2012 in Commissione VI Finanze.
  Occorre evidenziare che la novella legislativa recata dal comma 665, se da un lato rende incontestabile il diritto al rimborso e l'applicazione del termine di decadenza di due anni a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008, n. 31, dall'altro ha dato luogo ad incertezze interpretative, che hanno inciso sulla lavorazione delle istanze di rimborso e sulla gestione dei contenziosi in corso.
  A tal proposito sono state fornite dall'Agenzia delle entrate indicazioni alla Direzione regionale della Sicilia indicazioni per la gestione anche in contenzioso dei rimborsi in favore dei soggetti colpiti dal sisma del 1990 in Sicilia.
  Dette linee interpretative, condivise dal Dipartimento delle Finanze, possono essere così riassunte:
   1. immediata operatività dell'articolo 1, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che riconosce il diritto al rimborso delle imposte versate dai contribuenti prima dell'entrata in vigore dell'articolo 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 in eccedenza rispetto alla misura del 10 per cento ivi stabilita, a condizione che l'istanza di rimborso sia stata presentata entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008. n. 31;
   2. non rimborsabilità delle ritenute in favore dei lavoratori dipendenti;
   3. esclusione dai rimborsi degli esercenti attività economiche, di impresa o di lavoro autonomo, in attesa della conclusione della procedura formale di indagine avviata ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 2, del TFUE con la decisione dalla Commissione europea n. C(2012)7128 final del 17 ottobre 2012. Al riguardo si fa presente che recentemente la Commissione europea ha notificato la decisione C(2015)5549 final del 14 agosto 2015 con la quale ha dichiarato i benefici fiscali in questione aiuti di Stato incompatibili con il mercato interno. Si aggiunge che con ordinanza del 15 luglio 2015, causa C-82/14, la Corte di Giustizia ha dichiarato l'articolo 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002 in contrasto con gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388/CEE in materia di IVA, in quanto «non soddisfa i requisiti del principio di neutralità fiscale e non consente di garantire la riscossione integrale dell'imposta sul valore aggiunto dovuta nel territorio nazionale».

  In ordine allo stato di erogazione dei rimborsi in argomento l'Agenzia riferisce che alla data del 9 settembre 2015, risultano acquisite al sistema informativo dell'Agenzia n. 183.636 istanze di rimborso per un ammontare richiesto pari ad euro 192.693.754,10, così suddivise:
   n. 4.903, per un ammontare pari ad euro 118.401.908,35, riguardano domande presentate da persone non fisiche;
   n. 178.733 per un ammontare richiesto pari ad euro 74.291.845,75, riguardano domande presentate da persone fisiche.

  Allo stato, per quanto risulta dai dati del sistema informativo dell'Agenzia, risultano erogati rimborsi in seguito a sentenze definitive a 109 contribuenti per un ammontare complessivamente corrisposto pari ad euro 631.746,50.
  Io come Sottosegretario all'economia e finanze mi sono direttamente occupata della questione convocando nel mese di maggio u.s. (20 maggio 2015) una riunione con le amministrazioni cointeressate (ovvero l'Ufficio legislativo, il Dipartimento delle finanze e l'Agenzia delle entrate) dove si è convenuto sulla non necessità del decreto di assegnazione dei fondi atteso che le risorse stanziate risultano già assegnate sul pertinente capitolo di spesa del bilancio dello stato ed assegnate al centro di responsabilità del dipartimento delle finanze. Quindi le disposizioni contenute nel comma 665 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014 sono immediatamente Pag. 54operative e la effettuazione dei rimborsi non è condizionata all'adozione del predetto decreto.
  I dati che vi comunico sono dati aggiornati al 9 settembre e sono relative alle istanze che risultano acquisite ad oggi al sistema informativo dell'Agenzia che sta procedendo ad ultimare l'inserimento di tutte le domande pervenute all'esito di tutti i controlli formali necessari e sta predisponendo nei prossimi giorni incontri con le Direzioni provinciali interessate per avviare il processo di erogazione per gli aventi diritto.

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ALLEGATO 3

5-06332 Paglia: Numero delle richieste di adesione alla procedura di collaborazione volontaria per il rientro dei capitali.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il question time in esame, l'Onorevole interrogante rappresenta talune criticità relative alla gestione della procedura di volontaria collaborazione (cosiddetta voluntary disclosure) prevista dall'articolo 1 della legge 15 dicembre 2014, n. 186.
  In particolare, secondo quanto riportato da importanti organi di stampa, solo una percentuale delle domande relative alla voluntary disclosure gestite da professionisti ed operatori del settore sarebbe stata inoltrata all'Agenzia delle entrate e, in considerazione dell'imminente chiusura del termine di adesione fissato al prossimo 30 settembre p.v., tale percentuale sembrerebbe destinata a registrare un sensibile aumento.
  L'Onorevole interrogante evidenzia, altresì, come i professionisti, incaricati dai soggetti interessati, abbiano lamentato perduranti problemi legati all'incertezza del quadro normativo, nonché alla difficoltà di tempestiva predisposizione ed invio di tutte le istanze di adesione alla procedura di voluntary disclosure.
  Ciò premesso, l'interrogante chiede al Ministro dell'economia e delle finanze di sapere quale sia esattamente il numero delle domande di adesione trasmesse all'Agenzia delle entrate e se abbiano un fondamento le voci circa le intenzioni del Governo di prorogare il termine di adesione fissato al 30 settembre 2015.
  Al riguardo, sentita l'Agenzia delle entrate, si riferisce quanto segue.
  La legge 15 dicembre 2014, n. 186 è entrata in vigore il 1o gennaio 2015 e la presentazione delle istanze, attraverso il canale telematico, è stata resa possibile già a partire dal 30 gennaio 2015 a seguito del provvedimento del Direttore dell'Agenzia che ha approvato il modello di istanza e disciplinato i termini e le modalità di presentazione.
  Successivamente, l'Agenzia ha provveduto a fornire chiarimenti interpretativi con quattro documenti di prassi, le circolari n. 10, 27, 30 e 31 pubblicate tra marzo e agosto 2015 e sono stati altresì pubblicati sul sito internet dell'Agenzia sia un modello di waiver generale e sia un modello di waiver condiviso con l'Associazione Svizzera dei Banchieri (ASB).
  Per quanto attiene alla richiesta formulata dall'Onorevole interrogante di conoscere quale sia il numero delle domande di adesione trasmesse all'Agenzia, si fa presente che il numero delle richieste di adesioni sinora pervenute è pari a n. 14.118.
  Infine, per quanto concerne la proroga dei termini di presentazione delle istanze di voluntary disclosure, si rappresenta che non è in corso alcuna iniziativa del Governo volta alla proroga del termine di adesione alla voluntary disclosure, che è fissato al 30 settembre 2015.

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ALLEGATO 4

5-06333 Ruocco: Iniziative per stabilire definitivamente il divieto di anatocismo bancario.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione immediata in Commissione l'Onorevole Carla Ruocco ed altri pongono quesiti in ordine alla bozza di delibera del CICR di attuazione dell'articolo 120, comma 2, del TUB, nella nuova formulazione, posta in consultazione dalla Banca d'Italia lo scorso mese di agosto. In particolare, si esprime perplessità sul disposto dell'articolo 4 della bozza («Rapporti regolati in conto corrente, conto di pagamento e finanziamenti a valere su carte di credito»), in quanto decorso un termine di 60 giorni (o quello superiore eventualmente stabilito) dal ricevimento da parte del cliente dell'estratto conto, questi può autorizzare l'addebito degli interessi dovuti sul conto; in questo caso, la somma addebitata è considerata sorte capitale. La previsione, secondo gli interroganti, comporterebbe un «ripristino dell'ammissibilità dell'applicazione degli “interessi composti”», in contrasto con quanto previsto dal nuovo testo dell'articolo 120 TUB e sarebbe, pertanto, illegittima.
  Al riguardo, la Banca d'Italia ha comunicato che, come illustrato nel documento di consultazione, la finalità della norma, che interessa soprattutto i rapporti di apertura di credito in conto corrente, è consentire al cliente di corrispondere quanto dovuto alla banca a titolo di interesse passivo, nel caso in cui non abbia la disponibilità «liquida» del denaro necessario per procedere a un pagamento diretto.
  Secondo l'ordinaria prassi dei rapporti di apertura di credito «ante-riforma», infatti, nel momento in cui gli interessi maturati sulle somme utilizzate diventavano esigibili, venivano solitamente corrisposti dal cliente alla banca non attraverso un pagamento, ma con un addebito in conto: se in quel momento il conto non presentava un saldo attivo sufficientemente capiente, l'addebito si sostanziava in un ulteriore utilizzo delle somme messe a disposizione con l'apertura di credito; questo utilizzo dell'apertura di credito, come tale, era produttivo di nuovi interessi.
  La necessità di tenere separata «sorte capitale» e interessi comporta oggi l'impossibilità di continuare a seguire questa prassi.
  In mancanza della possibilità di prevedere forme di capitalizzazione contrattuale, come quella proposta nella bozza di delibera, sarebbe stata inevitabile l'immediata richiesta del pagamento di quanto dovuto, con evidente detrimento del cliente, che non avesse avuto la necessaria disponibilità e che sarebbe rimasto esposto al pagamento della mora e all'avvio di azioni giudiziarie.
  La disposizione, pertanto, intende introdurre un meccanismo di tutela del debitore evitando che la nuova disciplina introdotta dall'articolo 120 del Testo Unico Bancario – voluta dal legislatore a tutela del cliente – possa rivelarsi pregiudizievole per lo stesso.
  La Banca d'Italia ha precisato, infatti, che la forma di capitalizzazione contemplata dall'articolo 4 avviene solo nel caso in cui le parti convengano in tal senso mediante apposito patto. Resta ferma la Pag. 57possibilità per il cliente che disponga delle somme necessarie di estinguere il debito senza che sia imputato a capitale.
  Inoltre, l'articolo 4, comma 4, della bozza di delibera del CICR va inquadrato anche in relazione a quanto stabilisce l'articolo 127, comma 1, del TUB, in base al quale le disposizioni previste dal titolo VI del TUB sono derogabili solo in senso favorevole al cliente. La scelta compiuta nella bozza di delibera CICR è coerente con questa impostazione, consentendo una deroga proprio in tale direzione.
  Si soggiunge, infine, che lo schema di proposta è attualmente sottoposto a consultazione pubblica, per cui la Banca d'Italia potrà vagliare tutte le osservazioni e i commenti che verranno formulati anche con riferimento alla disposizione in questione.