CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 14 maggio 2015
445.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-05423 Gnecchi: Interventi in materia pensionistica per favorire il ricambio generazionale e garantire un adeguato tasso di sostituzione per i lavoratori più giovani.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il presente atto parlamentare, gli onorevoli interroganti richiamano l'attenzione sugli interventi che il Governo intende adottare in materia pensionistica per favorire il ricambio generazionale.
  Al riguardo, faccio presente che è intenzione del Governo intervenire sul tema delle pensioni prioritariamente per risolvere le difficoltà delle persone che, a seguito degli effetti della «riforma Monti-Fornero» e della crisi economica, si sono trovate senza lavoro e non hanno ancora maturato i requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico.
  Evidenzio, inoltre, che è stata già avviata un'attenta riflessione sulle misure volte a favorire la cosiddetta «staffetta generazionale».
  In tale direzione, vi sono attualmente numerose ipotesi in campo e il Governo sta individuando le soluzioni più idonee nella consapevolezza delle difficoltà legate alle possibili fonti di copertura.
  Il Ministero che rappresento, infatti, è impegnato insieme all'INPS in un'attenta attività di analisi volta alla predisposizione di interventi normativi finalizzati a prevedere forme di flessibilità di pensionamento che possano, così, favorire il ricambio generazionale.
  Sottolineando che per le ipotesi oggetto di studio sarà, in ogni caso, necessario trovare idonea copertura finanziaria, segnai, tra le possibili linee di intervento:
   l'introduzione di un regime di uscita flessibile dal mondo del lavoro a partire dal compimento di una certa età, in presenza di una certa anzianità contributiva;
   l'introduzione di un regime di uscita flessibile dal mondo del lavoro, con penalizzazioni, a partire dal compimento di una certa età, in presenza di una certa anzianità contributiva. Questa ipotesi dovrebbe prevedere che al trattamento pensionistico venga applicata una riduzione sulla quota calcolata con il sistema retributivo pari ad una certa percentuale per ogni anno mancante all'età di vecchiaia.

  Faccio presente, inoltre, che si sta valutando anche la possibilità di introdurre, in via sperimentale e compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, un assegno di pensione anticipata alternativo alle prestazioni di sostegno al reddito. Tale strumento sarebbe in grado di colmare il gap temporale esistente tra la cessazione degli interventi di sostegno al reddito e il raggiungimento dei requisiti per l'accesso al pensionamento, consentendo ai lavoratori dipendenti la possibilità di percepire un assegno temporaneo fino al perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia, con successiva restituzione da parte del pensionato della somma complessivamente percepita.
  Da ultimo, prendendo atto delle ulteriori proposte degli onorevoli interroganti nel presente atto parlamentare, in particolare di quella relativa alla reintroduzione del divieto di cumulo fra redditi da pensione e redditi da lavoro, voglio assicurare che, nell'ambito dell'approfondimento in atto sul tema, tali proposte potranno essere valutate e concorrere con le altre ipotesi in campo al fine di adottare misure che possano favorire quanto più è possibile le nuove generazioni.

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ALLEGATO 2

5-05391 Zolezzi: Tutela dei livelli occupazionali nel settore della cantieristica navale.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento all'atto parlamentare dell'onorevole Zolezzi, inerente alla salvaguardia dei livelli occupazionali nel settore della cantieristica navale, con particolare riferimento allo stabilimento dell'impresa Fincantieri cantieri navali italiani spa di Riva Trigoso.
  Preliminarmente, è opportuno precisare che il 21 dicembre 2011 l'impresa Fincantieri navali italiani spa – al fine di fronteggiare la grave crisi economica che ha duramente colpito anche il settore della cantieristica navale – ha sottoscritto, presso i competenti uffici del Ministero che rappresento, un accordo con le Organizzazioni sindacali.
  Il predetto accordo ha previsto, in particolare, il ricorso da parte dell'impresa – ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge n. 223 del 1991 – al trattamento straordinario di integrazione salariale (CIGS), per riorganizzazione aziendale, per 24 mesi con decorrenza 1o gennaio 2012.
  Il Piano di riorganizzazione predisposto dall'impresa, finalizzato ad assicurare la continuità dell'attività aziendale, ha coinvolto 3.670 unità lavorative occupate presso i 10 siti della Società.
  Nel medesimo accordo, inoltre, era contenuto un piano di gestione non traumatica delle eccedenze derivanti dall'attuazione del piano di riorganizzazione, pari a 1.243 unità lavorative, predisposto dalla Fincantieri cantieri navali italiani spa e condiviso con le organizzazioni sindacali.
  Al termine del primo anno di CIGS, la società, con nota del 18 aprile 2013, ravvisata la necessità di ridurre la tempistica del processo riorganizzativo, comunicava al Ministero che rappresento che l'impegno finanziario per gli investimenti e la formazione, da effettuare nel corso del biennio 2012/2014, in coerenza con il processo riorganizzativo avviato, sarebbe stato adempiuto entro il 18 agosto 2013: dunque, ben prima della naturale scadenza del piano di riorganizzazione prevista per il 31 dicembre 2013.
  Conseguentemente, nella medesima nota, la Società chiedeva di considerare la data del 18 agosto 2013, quale termine ultimo di concessione dei trattamenti di CIGS riguardanti la fase di riorganizzazione aziendale.
  Il 10 luglio 2013, la società – nel corso di un nuovo incontro con le Organizzazioni sindacali presso il Ministero che rappresento – rendeva noto che, a seguito dell'aggravarsi della crisi del settore cantieristico, si rendeva opportuno individuare, in continuità con il processo riorganizzativo avviato, ulteriori soluzioni volte al recupero della competitività, nonché perseguire azioni di internalizzazione e di diversificazione produttiva, supportate da idonei investimenti.
  All'esito del predetto incontro, le Parti convenivano di chiedere una proroga del trattamento di CIGS per riorganizzazione aziendale, già concesso.
  Quali con decreto direttoriale n. 83615 dell'11 agosto 2014 – i competenti uffici del Ministero che rappresento hanno provveduto ad autorizzare la proroga del trattamento di CIGS per riorganizzazione aziendale, per il periodo dal 19 agosto 2013 al 18 agosto 2014, in favore di un Pag. 101massimo di 2.992 lavoratori impiegati presso i siti interessati dal piano di riorganizzazione.
  Il 31 luglio 2014 – all'approssimarsi della scadenza del primo anno di proroga del trattamento di CIGS – la Fincantieri cantieri navali italiani spa e le Organizzazioni sindacali si sono nuovamente incontrate, presso il Ministero che rappresento, per un nuovo esame congiunto della situazione aziendale. All'esito dell'esame, le Parti hanno convenuto di ricorrere ad un'ulteriore proroga di un anno del trattamento di CIGS per riorganizzazione aziendale in precedenza concesso.
  Conseguentemente, i competenti uffici del Ministero che rappresento – con decreto direttoriale n. 88302 del 2 marzo 2015 – hanno provveduto ad approvare la proroga – per il periodo dal 19 agosto 2014 al 18 agosto 2015 – del programma di riorganizzazione aziendale in favore di un numero massimo di 1.066 unità lavorative (di cui fino ad un massimo di 57 unità presso il sito di Riva Trigoso).
  Le Parti hanno altresì concordato che, al termine della proroga, 591 lavoratori avrebbero ripreso l'attività lavorativa nell'impresa, salve eventuali rimodulazioni in relazione all'evolversi del processo riorganizzativo.
  Tanto premesso, con riferimento al primo quesito formulato dall'Onorevole interrogante, con il presente atto parlamentare, la Fincantieri cantieri navali italiani spa ha reso noto di non aver previsto alcun piano di ristrutturazione per lo stabilimento di Riva Trigoso, così come per altri siti del Gruppo, né, tantomeno, di aver mai comunicato tale intenzione alle rappresentanze sindacali.
  Riguardo alla creazione di una eventuale «area segregata» nel cantiere di Riva Trigoso, la Società ha chiarito che, allo stato attuale, non sussiste nulla di assimilabile ad una area separata mentre è stata solo valutata la possibilità di creare un'area per finalità di «razionalizzazione organizzativa e logistica», anche al fine di incrementare i livelli di sicurezza e di ridurre i rischi derivanti da interferenze con altre attività dello stabilimento.
  In relazione poi alla ipotizzata costituzione di una holding per la meccanica, la società ha precisato di non aver preso alcuna decisione in merito e che, comunque, nel caso in cui venissero adottate decisioni in tal senso, ne avrebbe dato apposita informativa in conformità alle norme vigenti.
  Per quanto concerne, invece, il secondo quesito, la Società ha comunicato di aver sottoscritto, proprio la scorsa settimana, un contratto con l'organizzazione congiunta per la cooperazione in materia di armamenti (OCCAR), nonché Finmeccanica spa, per la costruzione di 7 nuove navi militari, per un importo complessivo pari a 3,5 miliardi di euro.
  La società ha, inoltre, reso noto che non sussiste alcuna connessione fra i processi lavorativi che interesseranno la costruzione delle nuove navi militari e le professionalità interessate dal trattamento di CIGS. Tali professionalità, per quanto concerne il sito produttivo di Riva Trigoso, ammontano, ormai da mesi, a 10 unità lavorative che, entro il mese di agosto 2015, verranno nuovamente immesse nel ciclo produttivo.
  In ordine alla richiesta di apertura di un tavolo nazionale per il rilancio della cantieristica navale, il Ministero dello sviluppo economico ha reso noto che sulla materia è già in corso un confronto con le Parti interessate.
  Da ultimo, per quanto di competenza, sono in grado di affermare che la vicenda in questione è all'attenzione degli uffici dell'Amministrazione che rappresento che continuerà a monitorare i futuri sviluppi – nella eventuale prospettiva di esaminarne i principali profili critici – tenuto anche conto degli istituti di tutela finora attivati.

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ALLEGATO 3

5-05507 Fedriga: Accesso al pensionamento dei lavoratori in congedo o in permesso per assistere familiari con disabilità, in possesso dei requisiti previsti dai provvedimenti di salvaguardia.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'Onorevole interrogante – con il presente atto parlamentare – richiama l'attenzione del Governo sulle misure (cosiddette salvaguardie) che consentono l'accesso al pensionamento secondo i requisiti vigenti prima della riforma pensionistica Monti-Fornero ai lavoratori fruitori di congedi o permessi per assistere soggetti disabili.
  Con specifico riferimento alla quarta salvaguardia, faccio presente che dai dati forniti dall'INPS lo scorso 3 aprile, risulta che sono state certificate 4.886 posizioni, a fronte di una platea di 2.500 lavoratori salvaguardabili prevista dall'articolo 11-bis del decreto-legge n. 102 del 2013.
  A tale proposito il Governo, consapevole della rilevanza del problema, ha ampliato attraverso la sesta salvaguardia (introdotta dall'articolo 2, comma 1, lettera d), della legge n. 147 del 2014), di altre 1.800 unità la platea di tali lavoratori.
  Per quanto riguarda i lavoratori appartenenti a tali categorie che non hanno potuto beneficiare delle salvaguardie, faccio presente che l'articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012, ha previsto l'istituzione di un Fondo in cui dovranno confluire le eventuali economie aventi carattere pluriennale rispetto agli oneri programmati per l'attuazione delle operazioni di salvaguardia in corso e le cui risorse saranno destinate al finanziamento di ulteriori misure di salvaguardia.
  Rappresento, inoltre, che il comma 3 dell'articolo 11 del decreto-legge n. 102 del 2013 ha previsto che i risparmi di spesa complessivamente conseguiti a seguito dell'adozione delle misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico (di cui al comma 18 dell'articolo 24 della legge 22 dicembre 2011, n. 214) confluiscono nel richiamato Fondo per essere destinati al finanziamento di misure di salvaguardia pensionistica.
  In conclusione, nel ribadire ancora una volta il grande interesse del Governo per i lavoratori che hanno visto allontanarsi l'accesso alla pensione in conseguenza della riforma pensionistica Monti-Fornero, faccio presente che le criticità segnalate nel presente atto parlamentare possono trovare una soluzione definitiva mediante l'adozione di una specifica disposizione normativa per cui è necessaria reperire la specifica copertura finanziaria, sebbene la platea dei lavoratori in parola, a differenza di molti altri, dispone di un reddito derivante da lavoro.

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ALLEGATO 4

Schema di decreto legislativo recante misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro (Atto n. 157).

PARERE APPROVATO

  La XI Commissione,
   esaminato lo schema di decreto legislativo recante misure di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Atto n. 157);
   osservato come il provvedimento, secondo quanto evidenziato nella stessa relazione illustrativa allegata allo schema di decreto legislativo, introduca misure mirate in tema di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro al fine di intervenire nei settori socialmente più «sensibili», nonché di superare delicate questioni interpretative ed applicative;
   ritenuto che il provvedimento in esame debba intendersi come l'avvio di un percorso di rafforzamento delle misure volte a sostenere la partecipazione femminile al mercato del lavoro e a favorire l'equilibrio tra il lavoro e la vita privata;
   segnalata al Governo l'esigenza di completare l'attuazione dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183;
   evidenziato, in tale contesto, il particolare rilievo delle disposizioni della lettera c) del medesimo comma 9, relativa all'introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo;
   ravvisata, altresì, l'esigenza di dare tempestiva attuazione al criterio di delega di cui all'articolo 1, comma 9, lettera e), relativo al riconoscimento della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al contratto collettivo nazionale in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute;
   richiamato il proprio parere sul Documento di economia e finanza 2015, nel quale è contenuto un invita al Governo a provvedere, già nel corso del presente esercizio finanziario o, al più tardi, nella legge di stabilità per il 2016, al finanziamento a regime, tra l'altro, delle disposizioni di carattere oneroso contenute nel presente schema di decreto legislativo, nonché l'impegno, contenuto nella risoluzione 6-00136 Marchi ed altri, approvata dall'Assemblea della Camera il 23 aprile 2015, con riferimento al medesimo Documento, ad operare per provvedere gradualmente a tale estensione nell'ambito della legge di stabilità per il 2016;
   segnalata l'esigenza di verificare la possibilità di individuare forme maggiormente flessibili per la fruizione dei congedi di maternità da parte delle lavoratrici;
   rilevata l'opportunità di estendere le disposizioni dell'articolo 22 anche a forme flessibili e semplificate di prestazione lavorativa a distanza diverse dal telelavoro e di individuare una definizione normativa per il cosiddetto smart working,Pag. 104
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   si raccomanda al Governo l'esigenza di individuare celermente e, comunque, nei decreti legislativi attuativi della delega di cui alla legge n. 183 del 2014, in conformità a quanto previsto dall'articolo 25, comma 3, le risorse destinate al riconoscimento dei benefici di cui al presente provvedimento anche a decorrere dall'anno 2016 e con riferimento alle giornate di astensione riconosciute a decorrere dal medesimo anno;
   valuti il Governo l'opportunità di dare tempestiva attuazione ai principi e criteri di delega di cui all'articolo 1, comma 9, della legge n. 183 del 2014 non attuati dal presente decreto, con particolare riferimento alle lettere c) ed e) del medesimo comma, relative, rispettivamente all'introduzione di un credito di imposta per incentivare il lavoro femminile e al riconoscimento della possibilità di cedere, fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro, tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al contratto collettivo nazionale in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute;
   valuti il Governo l'opportunità di disporre in questo provvedimento o, al più tardi, entro l'avvio dell'anno 2016, l'estensione a regime delle misure di cui all'articolo 4, comma 24, della legge 28 giugno 2012, n. 92, volte a promuovere la condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia e a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, riferite all'obbligo per il padre lavoratore dipendente di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, nonché alla concessione alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità, in alternativa al congedo parentale, di voucher finalizzati all'acquisto di servizi di baby-sitting ovvero a fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, verificando in tale contesto l'opportunità di estendere, almeno fino a tre giorni, il periodo di astensione obbligatoria del padre lavoratore dipendente;
   valuti il Governo, l'opportunità di apportare le seguenti modificazioni:
    all'articolo 7, lettera b), capoverso comma 1-ter:
    all'ultimo periodo, premettere le seguenti parole: Nei casi di cui al presente comma,;
    aggiungere, in fine, il seguente periodo: Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano al personale del comparto sicurezza e difesa e a quello dei vigili del fuoco e soccorso pubblico,;
   verifichi il Governo l'adeguatezza dei termini di preavviso indicati dall'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, come modificato dall'articolo 7 dello schema, relativi alla fruizione del congedo parentale su base giornaliera e su base oraria, al fine di garantire un adeguato contemperamento tra le esigenze dei lavoratori e la necessità per i datori di lavoro di assicurare una efficiente organizzazione del lavoro;
   dopo l'articolo 21, aggiungere il seguente: Art. 21-bis – (Modifiche agli articoli 11 e 18-bis del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di lavoro notturno). – 1. Al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, sono apportate le seguenti modifiche: a) all'articolo 11, comma 2, dopo la lettera b), è inserita la seguente: «b-bis) la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall'ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di età o, in alternativa ed alle stesse condizioni, il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa»; b) all'articolo 18-bis, comma 1, secondo periodo, dopo le parole: «lettere a), b)» sono inserite le seguenti: «b-bis) e»;Pag. 105
   si valuti l'opportunità di estendere l'applicazione dell'articolo 22 anche a forme flessibili e semplificate della prestazione lavorativa a distanza non rientranti nella nozione di telelavoro (cosiddetto «smart working») verificando altresì la possibilità di individuare a livello normativo una definizione di tale tipologia di prestazione di lavoro, attualmente disciplinata solo a livello contrattuale, e di adeguare gli obblighi previsti dalla legislazione vigente in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori alle peculiarità di tale modalità di svolgimento della prestazione lavorativa;
   all'articolo 22, comma 1, sostituire le parole: di cure parentali con le seguenti: di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
   all'articolo 22, comma 1, dopo le parole: accordi collettivi aggiungere le seguenti: stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
   all'articolo 22, comma 1, sostituire le parole: beneficiano dell'esclusione dei lavoratori con le seguenti: possono escludere i lavoratori;
   all'articolo 23, comma 2, sostituire le parole: Le collaboratrici a progetto con le seguenti: Le lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;
   all'articolo 23, comma 3, dopo le parole: datore di lavoro aggiungere le seguenti: o il committente e sostituire le parole: idonea certificazione con le seguenti: la certificazione di cui ai commi 1 e 2;
   all'articolo 23, comma 4, sostituire il primo periodo con i seguenti: Durante il periodo di congedo, la lavoratrice ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa. L'indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. I datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l'importo dell'indennità dall'ammontare dei contributi previdenziali dovuti all'ente previdenziale competente. Qualora nel periodo di riferimento della denuncia non siano dovuti contributi o la misura degli stessi sia inferiore all'indennità spettante alla lavoratrice, il datore di lavoro detrae l'eccedenza nella denuncia contributiva successiva. Per i dipendenti dei predetti datori di lavoro privati, compresi quelli per i quali non è prevista l'assicurazione per le prestazioni di maternità, l'indennità di cui al presente comma è corrisposta con le modalità di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33. Per le lavoratrici di cui al comma 2 l'indennità è erogata dall'INPS a seguito di apposita domanda, corredata da idonea certificazione;
   all'articolo 23, comma 5, primo periodo, dopo le parole: accordi collettivi nazionali aggiungere le seguenti: stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
   all'articolo 24, comma 2, sostituire le parole da: risorse di cui al comma 1 fino alla fine del comma con le seguenti: risorse di cui al comma 1 sulla base delle linee guida elaborate ai sensi del comma 3, attraverso l'adozione di modelli finalizzati a favorire la stipula di contratti collettivi aziendali;
   all'articolo 24, comma 3, primo periodo, sostituire le parole da: o da un Ministro fino a: pubblica amministrazione con le seguenti: o, rispettivamente, ove nominati, dal ministro delegato per le politiche della famiglia, dal ministro delegato per le pari opportunità e dal ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione;
   all'articolo 25, comma 3, premettere le seguenti parole: Fermo quanto previsto dall'articolo 26, comma 1, terzo periodo.

  Conseguentemente, all'articolo 26, comma 1, aggiungere, in fine, i seguenti Pag. 106periodi: Le somme di cui all'articolo 25, comma 1, non utilizzate al termine dell'esercizio 2015 sono conservate nel conto dei residui per essere utilizzate nell'esercizio successivo. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio;
   all'articolo 26, comma 1, secondo periodo, sostituire le parole da: il Ministro dell'economia e delle finanze provvede fino alla fine del comma con le seguenti: il Ministro dell'economia e delle finanze adotta tempestivamente, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, le conseguenti iniziative legislative volte alla correzione dei predetti scostamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 13, della legge 31 dicembre 2009, n. 196;
   aggiungere, in fine, il seguente articolo: Art. 27. – (Entrata in vigore) – 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana;
   qualora non sia possibile individuare tempestivamente le risorse destinate al riconoscimento dei benefici di cui al presente provvedimento anche a decorrere dall'anno 2016, valuti il Governo l'opportunità di:
    a) escludere, in ogni caso, il carattere sperimentale delle disposizioni prive di oneri a carico della finanza pubblica e di quelle che si limitano a una trasposizione di quanto già stabilito da sentenze della Corte costituzionale;
    b) introdurre una norma di chiusura volta a prevedere che, nel caso in cui non entrino in vigore i provvedimenti che stanzino le occorrenti risorse finanziarie, a decorrere dal 1o gennaio 2016 e con riferimento alle giornate di astensione riconosciute a decorrere dal medesimo anno, le disposizioni del decreto legislativo n. 151 del 2001 modificate da norme del presente provvedimento recanti nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica tornino ad applicarsi nel testo vigente prima della sua entrata in vigore.

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ALLEGATO 5

Schema di decreto legislativo recante misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro (Atto n. 157).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEI DEPUTATI AIRAUDO E PLACIDO

  La XI Commissione,
   esaminato l'atto del Governo n. 157;
   premesso che:
    un'attività adeguatamente remunerata, ragionevolmente sicura e corrispondente alle competenze acquisite nel percorso formativo, costituisce un'aspirazione universale che contribuisce al benessere di ogni persona. Alla stessa stregua della mancanza di occupazione stabile, anche impegni lavorativi che impediscano di conciliare tempi di lavoro e di vita familiare e sociale esercitano un impatto negativo sul livello di benessere individuale;
    la stessa Costituzione all'articolo 36 ha ribadito a chiare lettere la necessità di apporre dei limiti ai tempi dell'attività lavorativa, proprio nell'ottica di rendere effettivo il principio del lavoro quale momento fondamentale per una vita libera e dignitosa; pertanto, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro può rappresentare un'adeguata risposta alle necessità dei lavoratori solo se opportunamente informata al principio del bilanciamento delle tutele previste dall'ordinamento giuridico a favore di questi ultimi e della salvaguardia dell'iniziativa economica, anch'essa sancita nella Costituzione; per tali ragioni l'attuazione di politiche di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro rappresenta una grande opportunità di evoluzione organizzativa non solo delle aziende ma della stessa società civile;
    conciliare lavoro e famiglia è una sfida quotidiana che coinvolge uomini e donne, anche se le pratiche della cura sono state a lungo nascoste e invisibili, relegate nel privato e considerate solo un dovere femminile. Ancora oggi, a causa della diseguale distribuzione del carico di lavoro domestico e di cura all'interno della famiglia, la difficoltà di conciliare è avvertita soprattutto dalle donne, in modo particolare nella fase del ciclo di vita immediatamente successiva alla nascita dei figli; esse continuano ad accollarsi le maggiori responsabilità di cura dei figli e degli altri familiari, indipendentemente dal regime di welfare e dalle specifiche politiche familiari e per l'infanzia adottate a livello politico;
    inoltre, accanto alle politiche del lavoro ed a quelle del welfare, anche le politiche di conciliazione appaiono come politiche di prevenzione dalla povertà; infatti, tutti i vincoli all’ occupazione femminile, oltre che vincoli alle scelte di libertà e di pari opportunità, sono anche in contrasto con il benessere delle famiglie, specie in quei contesti in cui cresce sia l'instabilità del lavoro che l'instabilità dei rapporti all'interno dei nuclei familiari; di contro, le politiche di conciliazione, nella misura in cui riescono a decomprimere e a riequilibrare i tempi di cura e di tempi di lavoro dei genitori, consentono – nell'ottica delle pari opportunità – di dare a tutti i bambini le stesse chance: una presenza affettiva ed educativa più equilibrata dei genitori in famiglia;Pag. 108
    d'altra parte, la mancanza di un contesto familiare e culturale favorevole alla conciliazione famiglia-lavoro si traduce nel nostro Paese in una bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro ed, al contempo, in una persistente bassa fecondità, da trent'anni, ormai, sotto la soglia dei due figli per donna, creando non pochi problemi sia per la crescita economica del paese, sia per i rapporti tra le generazioni; infatti, recenti studi di alcuni organismi internazionali rilevano che i Paesi caratterizzati da una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro sono quelli che otterrebbero dall'aumento dell'occupazione femminile un maggior vantaggio in termini di crescita; gli ultimi dati sull'occupazione risalenti al mese di febbraio 2015, denunciano un significativo aumento del lavoro part-time involontario, quello cioè, non scelto come temporanea strategia di conciliazione tra partecipazione al mercato del lavoro e responsabilità familiari, in una società in cui la divisione dei ruoli tra uomini e donne è ancora troppo rigida e poco supportata da una reale politica di welfare, ma quello imposto dalle aziende, specie nel terziario, come strumento di flessibilizzazione della manodopera, a prescindere dai bisogni di questa, sia in termini di reddito che di conciliazione;
    di contro su questo versante, lo schema di decreto n. 157, rappresenta un'occasione mancata, muovendosi nel solco già tracciato dai due precedenti decreti attuativi del cosiddetto Jobs Act, (quello sugli ammortizzatori sociali e quello sulle cosiddetto contratto a «tutele crescenti»), riproponendo la medesima logica di cancellare tutele preesistenti senza estenderne di nuove a chi ne era privo; ed invero, come del resto evidenziato dalla stessa relazione illustrativa, il provvedimento non opera un riordino dell'intera normativa in materia, né esaurisce le deleghe di cui all'articolo 1, comma 9 della legge 10 dicembre 2014, n. 183, ma ha inteso privilegiare, un'impostazione, anche sul piano redazionale, settoriale e minimale, perseguendo l'adozione di soluzioni prive di novità normative e subordinate a vincoli di carattere finanziario, volte meramente a superare questioni interpretative ed applicative insorte a seguito di alcuni pronunciamenti della Corte Costituzionale che aveva a più riprese dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune norme contenute nel testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità;
    il testo appare principalmente carente nella promozione della genitorialità; l'articolo 1, in particolare, propone di tutelare la maternità delle lavoratrici adottando una formulazione che non rende giustizia al principio di alternanza tra i genitori; il testo del decreto, pertanto, indica solo la donna come la principale destinataria delle misure di conciliazione, trascurando il tema della promozione della paternità e della condivisione nell'accudimento alla famiglia, fotografando e restituendo in tal modo un'immagine molto tradizionale della società italiana e rinunciando, in questo, a novità legislative capaci di rimuovere alcuni degli ostacoli, anche culturali, che ancora oggi limitano la piena partecipazione delle donne al mercato del lavoro; di contro, in altre sezioni si ricorre, linguisticamente e con grande incoerenza stilistica, anch'essa spia di una mancanza di visione generale, il «maschile universale» poco rispettoso della parità di genere, e che mal si concilia con la promozione di una legislazione, come raccomandano le stesse istituzioni europee, che sia gender neutral;
    tale impostazione sembra aver voluto disattendere quanto disposto, in sede di esame della legge di delega n. 183 del 2014, dal Parlamento; in una prima fase, infatti, la titolazione del provvedimento presentava il riferimento alla maternità ed alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro mentre, a seguito dell'approvazione degli emendamenti nella Commissione lavoro alla Camera, nonostante i contenuti in merito siano rimasti immutati, è stata modificata, almeno nella denominazione, in modo più coerente con il significato completo delle politiche di work-life balance, che inglobano al loro interno anche Pag. 109le misure di sostegno a entrambe le figure genitoriali;
    nonostante alcuni indubbi e tiepidi passi avanti rappresentati dal recepimento, nel nostro sistema giuridico, delle suddette declaratorie di incostituzionalità, quindi non propriamente frutto di una significativa conquista legislativa, e la previsione di varie misure quali:
     a) la fruibilità del congedo obbligatorio in caso di parto prematuro con ricovero del neonato (articolo 2);
     b) la corresponsione dell'indennità di maternità anche nell'ipotesi di licenziamento per colpa grave della lavoratrice che si verifichi durante il congedo di maternità (articolo 3);
     c) l'estensione da 3 a 5 mesi dell'indennità di maternità alle lavoratrici iscritte alla gestione separata che abbiano adottato un minore (articolo 4);
     d) l'estensione del diritto a sostituirsi alla madre, per i padri lavoratori autonomi (articolo 5);
     e) la riduzione del termine di preavviso per la richiesta del congedo parentale (articolo 7);
     f) l'estensione alle lavoratrici autonome ed alle imprenditrici agricole del diritto all'indennità di maternità anche nel caso di adozione e affidamento;
     g) il rafforzamento delle tutele nei confronti delle madri lavoratrici autonome (Articoli 15,16, 18, 19 e 20);
     h) il doveroso allungamento del congedo parentale per grave disabilità del figlio fino ai dodici anni di età (articolo 8);
     i) l'introduzione di incentivi per le aziende che ricorrono al telelavoro nel caso di lavoratori con figli piccoli;
     j) l'equiparazione, al fine di incentivarla, della maternità e paternità biologica a quella adottiva e affidataria;
    il testo non dà attuazione di talune deleghe recate dal comma 9, dell'articolo 1, della legge n. 183 del 2014, quali: l'introduzione del credito di imposta (cosiddetto tax credit) per le donne lavoratrici con figli minori (lettera c)); la facoltà di cessione delle ferie fra lavoratori in favore del lavoratore genitore di figlio minore (lettera e)); le modalità di integrazione dell'offerta di servizi per l'infanzia e le cure parentali forniti dalle aziende (lettera f)); la razionalizzazione degli organismi, delle competenze e dei fondi operanti in materia di parità e pari opportunità nel lavoro ed il riordino delle procedure inerenti alla promozione di azioni positive;
    di più: lo schema di decreto, così come proposto al Parlamento, nonostante la sua seppur mal celata ambizione di novellare il precedente testo unico n. 151 del 2001, rinuncia a ricomprendere tutte quelle misure attualmente previste da altri provvedimenti e finanziate con risorse limitate, a sostegno della maternità e della paternità, come il bonus bebè riconosciuto alle famiglie con un reddito fino a 25.000 euro ed il voucher asili nido e baby sitting per le madri che scelgono di rientrare al lavoro rinunciando al congedo parentale, scelta che denuncia una volontà consapevole di mantenere ancora distante la costruzione di quel sistema integrato di welfare per la cura che allarghi le possibilità di scelta delle madri e dei padri nelle strategie di cura tra servizi pubblici, servizi di mercato e cura diretta, e scoraggi la rinuncia all'occupazione;
    né ha trovato collocazione all'interno del provvedimento, nell'ambito della promozione dell'integrazione dell'offerta di servizi per le cure parentali, il cosiddetto tax credit, forma di sgravio fiscale per le aziende che assumono le donne con figli minori a carico e con un reddito familiare medio basso, che avrebbe costituito il vero banco di prova per comprendere quanto il governo intenda realmente investire sul lavoro femminile;
    un giudizio negativo merita l'opportunità contemplata dal decreto, sicuramente utile e che risponde alla richiesta di maggior flessibilità, di spalmare l'utilizzo del congedo parentale fino ai 12 anni di Pag. 110età, che però si affianca alla contestuale abolizione della possibilità di usufruire del 30 per cento della retribuzione per gli ulteriori periodi utilizzati dagli 8 ai 12 anni, lasciando quindi scoperte proprio le famiglie più bisognose, cioè quelle a più basso reddito; così come negativa appare la previsione che lascia invariato l'unico giorno di congedo obbligatorio per i padri, (già introdotto in via sperimentale dalla cosiddetta «legge Fornero», legge n. 92 del 2012, e per questo esaurirà la sua applicazione già nell'anno in corso) che risulta assolutamente inadeguato e carente sul piano della realizzazione di una piena genitorialità condivisa, mentre gli ulteriori due giorni facoltativi riconosciuti al padre vengono sottratti alla madre dal suo monte congedi, realizzando così un disincentivo al loro utilizzo; infatti qualsiasi congedo parentale può avere una ricaduta negativa sulle lavoratrici, qualora non venga il più possibile condiviso con il partner, in quanto le donne avendo retribuzioni di norma più basse sono generalmente coloro, che usufruiscono di tali congedi, rimanendo quindi più a lungo lontane dal mercato del lavoro, con possibile ripercussione negativa sulle proprie skill e alimentando fattori di segregazione orizzontale e verticale e più in generale di discriminazione;
    si ritiene grave l'esclusione della cumulabilità con altri permessi e riposi, in quanto non solo si esclude la compatibilità con i riposi per allattamento, ma soprattutto si esclude la compatibilità con i permessi frazionati ex lege n. 104 del 1992 chiesti per il figlio affetto da handicap grave;
    tutte le suddette forme di flessibilità orarie, andranno analizzate con cura per valutarne gli effetti sulla retribuzione e sulla previdenza, anche alla luce del tetto applicato dall'attuale normativa alla contribuzione figurativa, che appare particolarmente penalizzante, pur se alla destandardizzazione degli orari, sotto forma di orari flessibili e di riduzioni volontarie, part-time, temporanee o durature che siano, non si può non riconoscerle il merito di rappresentare il superamento di quell'inerzia del modello di orario di lavoro standard, nato su quella rappresentazione del lavoratore come maschio-breadwinner, fino ad oggi forte ostacolo ai nuovi modi di intrecciare la vita e il lavoro delle donne e delle giovani generazioni;
    gravissima si ritiene la totale assenza all'interno dello schema di decreto di un rafforzamento normativo richiamando nel testo, e quindi rendendole organiche, le norme che vietano la pratica illecita, sommersa, vessatoria, discriminante ed ancora ampiamente ed inspiegabilmente diffusa nel mercato del lavoro italiano, delle cosiddette dimissioni in bianco, introducendo procedure dissuasive di comportamenti datoriali illegittimi e la possibilità di dimissioni volontarie nel periodo soggetto a divieto di licenziamento, fino al compimento del primo anno di vita del bambino;
    tra le disposizioni innovative introdotte dallo schema di decreto merita senz'altro menzione quella che introduce per la prima volta nel nostro sistema di tutele il congedo per le donne vittime di violenza di genere ed inserite in percorsi di protezione debitamente certificati, prevedendo che le stesse possano astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi, per motivi legati a tali percorsi, garantendo loro l'intera retribuzione, la maturazione delle ferie e degli altri istituti connessi; alle stesse, sulle quali pesa una doppia fragilità, ovvero quella derivante dalla violenza subita e quella dell'assenza di prospettiva lavorativa, viene anche riconosciuto il diritto alla trasformazione, su richiesta, del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale; si tratta per lo più di proposte che appaiono eccessivamente semplificate, poco coerenti con la preziosa esperienza fin qui accumulata dai Centri Antiviolenza e prive di una visione prospettica che metta al centro la necessità di prevenzione e di cambiamento culturale; viceversa più giusta sarebbe stata la previsione di interventi maggiormente personalizzati Pag. 111sulla base delle indicazioni del centro antiviolenza che prende in carico la vittima di violenza;
    la riduzione delle tutele reali sui licenziamenti individuali e collettivi, avviata con la recentissima adozione del sopracitato del decreto legislativo n. 23 del 2015, (cosiddetto decreto sulle tutele crescenti) combinata con la flessibilizzazione selvaggia introdotta dal decreto sui contratti a termine, ossia la possibilità di spezzettare un rapporto di lavoro in contratti di pochi mesi, salvo ricominciare da capo, con un nuovo lavoratore/lavoratrice allo scadere dei tre anni, permetteranno ai datori di lavoro di sottoscrivere contratti brevi, rinnovabili più volte, con effetti pratici devastanti soprattutto per le donne lavoratrici; il datore di lavoro potrà ignorare del tutto legalmente la norma sul divieto di licenziamento durante il cosiddetto periodo protetto, poiché non occorrerà più neanche far firmare, illegalmente, eventuali dimissioni in bianco, o indagare, sempre illegalmente, sulle intenzioni procreative della lavoratrice al momento della sua assunzione: basterà infatti fare sistematicamente contratti brevi, senza l'obbligo di rinnovarli alla loro scadenza in caso di gravidanza, con relativa perdita del diritto alla indennità di maternità piena. Queste prevedibili conseguenze avrebbero dovuto suggerire al governo l'adozione di misure di rafforzamento della maternità e della genitorialità;
    una compiuta politica di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro non dovrebbe prescindere dal riconoscimento delle fasi della vita dedicate alla cura della famiglia, in forma di crediti ai fini pensionistici di contributi figurativi legati al numero dei figli, o, nel quadro di una revisione del sistema pensionistico che contempli flessibilità e libertà di scelta, di accesso anticipato al trattamento previdenziale per necessità di accudimento di persone non autosufficienti. Niente di tutto questo è contemplato nell'agenda di governo;
    riguardo alle risorse finanziarie, il testo reca misure sperimentali che, come specificato nel comma 2 dell'articolo 25, sono applicabili al solo anno 2015, vanificando quindi di fatto la portata normativa della proposta, con l'eccezione delle misure previste all'articolo 24, valevoli per il triennio 2016-2018: l'eventuale riconoscimento dei benefici previsti dal decreto in anni successivi al 2015 è, infatti, condizionata alla entrata in vigore di decreti legislativi attuativi dei criteri di delega di cui alla legge 10 dicembre 2014, n. 183, che individuino adeguata copertura finanziaria;
    il testo prevede il carattere sperimentale anche per misure che non hanno un carattere oneroso e che potrebbero invece applicarsi sin da ora in via permanente a decorrere dall'anno 2015, e segnatamente:
     a) all'articolo 2, comma 1, lettera b);
     b) agli articoli 4, 6, 11, 12, 21 e 22; agli articoli 14 e 17, che modificano due rubriche, legandosi tuttavia a innovazioni della normativa sostanziale;
     c) agli articoli 17, 18, 19 e 20 «nell'ipotesi di adeguamento da parte degli enti delle relative contribuzioni» per le libere professioniste;
     d) all'articolo 21, che espunge dall'elenco dei provvedimenti che permangono in vigore disposizioni già abrogate, inserendovi altresì un nuovo decreto ministeriale;
    inoltre, l'articolo 26, reca una clausola di salvaguardia da attivare qualora, a seguito del monitoraggio degli effetti finanziari delle misure previste dallo schema di decreto svolto dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche attraverso l'utilizzo del sistema permanente di monitoraggio di cui all'articolo 1, comma 2, della legge n. 92 del 2012, si verifichino o stiano per verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di spesa di cui al precedente articolo 25; in tal caso, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede con proprio decreto, sentito il Pag. 112Ministro del lavoro e delle politiche sociali, alla rideterminazione dei benefici ivi previsti, con particolare riferimento a quelli di cui agli articoli da 7 a 10;
    l'articolo 24 destina, in via sperimentale per il triennio 2016-2018, per la promozione della conciliazione tra lavoro e vita privata, una quota pari al 10 per cento del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, (pari a 39 milioni di euro) secondo criteri e modalità fissati con apposito decreto interministeriale; il decreto interministeriale definisce ulteriori interventi in materia di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, anche attraverso l'elaborazione di linee guida, volte a favorire la stipula di contratti aziendali, a cui provvede un'apposita cabina di regia, presieduta da un rappresentante del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e composta da rappresentanti delle amministrazioni competenti, con l'ulteriore compito di coordinare le attività di monitoraggio dei suddetti interventi;
    nel testo iniziale del decreto legislativo lo stanziamento previsto per la realizzazione degli obiettivi era di 222 milioni di euro, ridotti in un secondo momento a 104 milioni di euro: si riducono gli stanziamenti inizialmente previsti per la realizzazione degli obiettivi prioritari della delega e si stanziano 39 milioni di euro per la contrattazione di secondo livello, a discapito della contrattazione collettiva nazionale;
    il testo non specifica, in conformità alla norma posta nella disciplina di delega, se il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, verosimilmente, la sperimentazione prevista dal testo, sarà limitata ai restanti sei mesi dell'anno 2015; infatti lo stesso specifica che le disposizioni in esso contenute hanno carattere sperimentale per il solo 2015 e considerando il tempo ancora occorrente per l'approvazione, si corre il rischio che la sperimentazione sia limitata a pochi mesi; sarebbe stato pertanto più utile prevedere un'efficacia temporale più lunga;
    per concludere, occorre liberare ogni singolo lavoratore dalla gestione dell'intreccio tra dimensione lavorativa e dimensione privata, intreccio che nel nostro Paese si regge sul cd. «welfare familistico», come dimostra una recente ricerca ISTAT che, tra l'altro, evidenzia il doppio ruolo esercitato dalla donna lavoratrice che, in mancanza di servizi ed infrastrutture adeguate si traduce nell'ingranaggio diabolico della «doppia giornata di lavoro»; è quindi indispensabile rivedere, in senso innovativo, questo «welfare familistico», favorendo la reale ed effettiva ripartizione delle responsabilità familiari tra i due generi, una diversa organizzazione del lavoro ed un potenziamento di tutti i servizi volti al sostegno dei carichi familiari nel territorio attuato, soprattutto, con una consistente aumento dell'offerta di asili nido e di servizi per l'infanzia; a tutto questo lo schema di decreto n. 157 sembra non voler rispondere, se non in parte;
   per tali ragioni,
   esprime

PARERE CONTRARIO

«Airaudo e Placido».

Pag. 113

ALLEGATO 6

Schema di decreto legislativo recante misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro (Atto n. 157).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEI DEPUTATI CIPRINI, LOMBARDI, CHIMIENTI, COMINARDI, TRIPIEDI E DALL'OSSO

  La XI Commissione,
   esaminato lo schema di decreto legislativo recante misure per la conciliazione delle esigenze di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9 della legge 10 dicembre 2014, n. 183;
   premesso che lo schema di decreto legislativo in esame è stato predisposto in attuazione della normativa di delega di cui all'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183, inerente alla revisione e all'aggiornamento delle misure intese a tutelare la maternità delle lavoratrici ed a sostenere le cure parentali e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori;
   considerato che il provvedimento in titolo afferma esplicitamente che le sue norme contengono misure di natura esclusivamente «sperimentale» e, perciò, potenzialmente transitorie, visto che l'estensione agli anni successivi è subordinata all'entrata in vigore di decreti legislativi che forniscano adeguata copertura finanziaria;
   apprezzato in ogni caso che lo schema di decreto introduca l'estensione di alcuni diritti e tutele, necessarie per una sempre maggiore evoluzione dei mutamenti sociali positivi, in particolare: a) riconoscendo ad entrambi i genitori il diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l'adozione di un bambino, il provvedimento promuove, anche attraverso specifici incentivi, un modello di genitorialità piena che si va sempre più affermando con il diffondersi della cosiddetta paternità responsabile; b) parificando, come già indicato dalla Corte Costituzionale, i diritti dei genitori naturali, adottivi ed affidatari, attraverso l'equiparazione della durata del congedo di maternità tra lavoratori dipendenti, autonomi e professionisti, rimuove i negativi effetti di un'ingiusta gerarchia di valori; c) lasciando alla donna la scelta della distribuzione prima e dopo il parto del tempo complessivo di astensione obbligatoria dal lavoro, riconosce a ciascuna madre il diritto di autonoma gestione di tempi così personali, pur nella salvaguardia della salute del nascituro; d) estendendo i tempi di astensione della fruibilità del congedo parentale per la cura dei figli, più compiutamente riconosciuti ai padri (anche se la madre è lavoratrice autonoma) e ai lavoratori autonomi (nel caso in cui la madre sia lavoratrice dipendente) ridisegna la gerarchia fra tempi di lavoro e tempi di cura, con l'obbligo di prevedere a vantaggio di questi ultimi nuovi diritti e risorse; e) estendendo l'automaticità delle prestazioni, ovvero il riconoscimento del diritto all'indennità di maternità anche in presenza di omesso versamento dei contributi dovuti da parte del committente, per le lavoratrici iscritte alla gestione separata INPS non iscritte ad altre forme obbligatorie, porta alla necessità di non identificare il mondo del lavoro esclusivamente con quello del lavoro dipendente, operando anche concretamente un primo passo nella più universale direzione del Pag. 114riconoscimento pieno del valore sociale della maternità, a prescindere dalla condizione lavorativa della donna;
   atteso che sarà comunque necessario verificare nell'ambito dell'attuazione dei predetti interventi la parità di trattamento fra dipendenti privati e lavoratori del pubblico impiego, stante anche la previsione contenuta al comma 9, lettera i) della legge delega che esplicita l'estensione dei principi della normativa, in quanto compatibili e senza nuovi oneri per la finanza pubblica, ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni;
   considerato inoltre che la clausola di salvaguardia contenuta all'articolo 26, potrebbe portare ad una disparità di trattamento fra le persone anche relativamente alle modalità di presentazione delle relative domande di accesso alle prestazioni;
   esaminate le modifiche apportate alle norme contenute nel Testo unico delle disposizioni legislative di cui al decreto legislativo n. 151/2001;
   preso atto che dette norme prevedono quanto segue:
   in materia di astensione obbligatoria della madre:
    modifiche alla norma sull'astensione obbligatoria per il periodo successivo al parto, che dispongono che tale astensione spetta «durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi» di astensione obbligatoria «superi il limite complessivo di cinque mesi.»;
    l'introduzione, nel testo unico, dell'articolo 16-bis, in forza del quale – in caso di ricovero del neonato – la madre potrà chiedere la sospensione del periodo di congedo e di goderne, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del bambino; Il diritto potrà essere esercitato una sola volta per ogni figlio. Tale norma ha recepito la sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 2011, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della lettera c) dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 151 del 2001;
   in materia di indennità di maternità:
    prolungamento del diritto alla corresponsione: in modifica dell'articolo 24 del testo Unico (decreto legislativo n. 151 del 2001), si dispone che l'indennità di maternità è corrisposta anche nei casi nei quali, ai sensi dell'articolo 54, lettere da a) a c), del predetto Testo Unico, è consentita la risoluzione del rapporto di lavoro, se si verifichino durante i periodi di astensione obbligatoria di cui agli articoli 16 e 17 del medesimo Testo Unico;
   in materia di congedo di maternità nei casi di adozione e affidamento:
    l'articolo 26 del Testo Unico viene integrato con l'esplicita previsione dell'estensione, a tale fattispecie, delle norme sopra menzionate, in materia di rinvio e sospensione del congedo (il futuro articolo 16-bis del TU);
   in materia di congedo di paternità:
    questa tipologia di congedo (articolo 28 del testo unico), viene estesa al caso in cui la madre sia una lavoratrice autonoma avente diritto alla fruizione dell'indennità di maternità di cui all'articolo 66 del TU;
   in materia di congedo di paternità in caso di adozione o affidamento:
    il decreto modificherà l'articolo 31 del TU, disponendo che il congedo per l'adozione all'estero (articolo 26.4 del TU) spetta, alle medesime condizioni, al lavoratore anche qualora la madre non sia lavoratrice;
   in materia di congedo parentale:
    viene estesa, sino ai dodici anni di età della prole (in luogo degli odierni otto) la possibilità di fruire di tale congedo, anche per lo specifico caso del minore con handicap;Pag. 115
    in assenza di disciplina contrattuale collettiva delle modalità di fruizione del congedo parentale su base oraria, ciascun genitore potrà scegliere tra fruizione giornaliera e oraria; quest'ultima sarà consentita per il 50 per cento dell'orario medio giornaliero del periodo di paga immediatamente precedente a quello di inizio del congedo. Viene tuttavia esclusa la cumulabilità della fruizione oraria del congedo parentale con altri permessi o riposi disciplinati dal TU;
    quanto al trattamento economico e normativo, è estesa sino al sesto anno di vita del bambino (in luogo degli odierni 3) la possibilità di fruire dell'indennità di cui all'articolo 34 TU e viene abrogato il comma 3 di tale ultimo articolo che individuava un requisito reddituale massimo per poter fruire dell'indennità stessa;
   in materia di congedo parentale nei casi di adozione e affidamento:
    anche in questo caso la fruibilità del congedo viene estesa sino ai 12 anni del bambino;
    l'indennità prevista dal TU, viene posta come percepibile «entro 6 mesi dall'ingresso in famiglia del bambino»;
   in materia di lavoro notturno:
    non potrà essere obbligata al lavoro notturno la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall'ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il suo dodicesimo anno di età o, in alternativa ed alle stesse condizioni, il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa;
   in materia di dimissioni:
    in caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo di divieto di licenziamento (articolo 54 TU), la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento; al contempo, la lavoratrice e il lavoratore che si dimettano nel predetto periodo non sono tenuti al preavviso;
   in materia di lavoratrici iscritte alla Gestione Separata INPS:
    in caso di adozione, nazionale o internazionale, alle lavoratrici non iscritte ad altre forme obbligatorie, spetta un'indennità per i cinque mesi successivi all'effettivo ingresso del minore in famiglia;
    viene estesa agli iscritti alla Gestione Separata dell'INPS il principio di automaticità dell'indennità di maternità anche in caso di mancato versamento dei relativi contributi previdenziali da parte del committente;
   in materia d'indennità di «paternità» per i lavoratori autonomi:
    viene previsto che tale indennità spetti al padre lavoratore autonomo, per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre lavoratrice autonoma o per la parte residua, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre;
   in materia d'indennità di «paternità» per i liberi professionisti:
    viene estesa ai padri liberi professionisti la possibilità di fruire dell'indennità di maternità a carico delle Casse di previdenza professionale, per il solo periodo in cui sarebbe spettata alla madre libera professionista o per la parte residua, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre;
   in materia d'indennità di «paternità» per i liberi professionisti in caso di adozione e affidamento:
    viene estesa ai padri liberi professionisti la possibilità di fruire di tale indennità nei termini di cui all'articolo 26 TU come novellato dal decreto stesso;
   lo schema di decreto legislativo in parola prevede, poi, due ulteriori disposizioni:
    1) l'articolo 22 dispone – con norma generica – che i datori di lavoro Pag. 116privati che utilizzino il telelavoro per motivi legati ad esigenze di cure parentali in forza di accordi collettivi, potranno beneficiare dell'esclusione dei relativi lavoratori dal computo «dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti»;
    2) viene introdotto un nuovo ed articolato regime di agevolazione per le donne inserite in percorsi di protezione in quanto vittime di «violenza di genere» articolato nel modo seguente:
    a) diritto ad un periodo specifico di astensione retribuita dal lavoro (in forma di congedo) per un periodo massimo di 3 mesi. Tale periodo è utile a tutti gli effetti (di anzianità di servizio, per la maturazione delle ferie e del TFR e della 13a mensilità); tale congedo è fruibile sia su base giornaliera che oraria nell'arco temporale di 3 anni. La lavoratrice in questione ha altresì il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in part time con diritto al ritorno a tempo pieno a mera domanda;
    b) diritto, per le co.co.pro. alla sospensione del contratto eventualmente in corso per un massimo di 3 mesi;
   infine, l'articolo 25 del decreto dispone, in via sperimentale, che per il triennio 2016-2018, una quota pari al 10 per cento del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello», sia destinata alla promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata, secondo criteri definiti con decreto del Ministro del lavoro;
   il suddetto decreto definirà ulteriori azioni e modalità di intervento in materia di conciliazione tra vita professionale e privata, anche attraverso l'adozione di linee guida e modelli finalizzati a favorire la stipula di contratti collettivi aziendali (contrattazione di secondo livello);
   considerato che in sede di audizione di associazioni, liberi professionisti e organizzazioni sindacali, è stata evidenziata l'esigenza di superare l'impostazione minimale e settoriale che il Governo ha dovuto applicare per i tempi ridotti dall'iter di approvazione ed i vincoli di finanza connessi, sollevando eccezioni circa la verifica e il coordinamento di talune norme, nonché formulando ipotesi di proposte utili a gettare le basi a riforme strutturali e complessive;
   tra i temi approfonditi, si segnalano alcuni aspetti per i quali si possono evidenziare direzioni possibili di miglioramento e di sviluppo delle proposte contenute nel decreto, quali:
    in relazione al binomio maternità/occupazione femminile:
    lo schema di decreto legislativo in titolo non affronta la questione della rioccupazione femminile in seguito ad un periodo di astensione dal lavoro, più o meno prolungato. Il valore del tasso di occupazione femminile in Italia è circa il 47 per cento continuando a conservare valori molto al di sotto della media europea, seguito solo da quello della Grecia (negli ultimi anni) e di Malta, storicamente all'ultimo posto. È un valore rimasto fermo a quello del 2007, prima della crisi, dopo decenni di costante sia pur lentissima crescita;
    gli ultimi dati pubblicati dall'ISTAT su occupati e disoccupati di febbraio sono allarmanti per l'occupazione femminile: sono circa 10,5 milioni le donne disoccupate (1,5 milioni) o inattive (quasi 9 milioni);
    i sottoscrittori della proposta di parere in parola ritengono che l'innalzamento del tasso di occupazione femminile sia una priorità su cui impegnarsi per elevare il potenziale di crescita e per garantire una più equa ripartizione delle risorse pubbliche, anche in funzione della sostenibilità futura dei sistemi previdenziale e di protezione sociale. La stessa direttrice del Fondo Monetario Internazionale ritiene che l'occupazione femminile potrebbe incrementare del 15 per cento il PIL dei Paesi dell'Unione europea;Pag. 117
   in relazione al welfare territoriale:
    la bassa partecipazione al lavoro delle donne appare direttamente correlata al minimo accesso delle famiglie italiane ai cosiddetti «aiuti formali», quali asili e servizi di assistenza, a fronte di una prevalenza degli «aiuti informali», a conferma del fatto che le esperienze lavorative delle donne sono caratterizzate dalla difficoltà di conciliare l'attività lavorativa con l'impegno familiare. In Italia è destinato solo l'1,4 per cento del PIL a contributi, servizi e detrazioni fiscali per le famiglie, dato ben più basso rispetto alla misura dell'1,8 per cento destinato in ambito OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nei Paesi a bassa fertilità;
    una delle conseguenze dell'assenza di servizi di supporto nelle attività di cura in Italia è – secondo l’ ISTAT – l'interruzione del lavoro per motivi familiari da parte del 30 per cento delle madri a fronte del 3 per cento dei padri;
    il decreto non affronta il tema centrale della fornitura di servizi di asilo nido per la conciliazione. Oggi i nidi sono offerti in misura limitata e a costi molto elevati. La riduzione della domanda è causata in parte dalla crisi economica, che ha diminuito il reddito reale e potenziale delle famiglie. In queste condizioni l'accesso al nido rischia di diventare beneficio esclusivo di chi vive in grandi città del nord, ha redditi ed istruzione più elevati;
    ad avviso dei sottoscrittori del presente parere sarebbe auspicabile la costruzione di un sistema integrato dei servizi, caratterizzato dall'apporto delle famiglie e dei cittadini alla loro realizzazione; in tal modo si attuerebbe un nuovo rapporto tra la rete dei servizi e i destinatari, costituito dalle reciproche relazioni e dalle risorse reali, assumendo compiti e responsabilità di co-progettazione e di concorso alla realizzazione dei servizi, nonché partecipando alla redazione dei piani di zona previsti all'articolo 19 della legge 8 novembre 2000, n. 328;
   in relazione al welfare aziendale:
    alcune indagini sociologiche hanno evidenziato il ruolo svolto da diverse aziende medio – grandi che investono in politiche di conciliazione; si tratta di aziende che, svolgono, di norma, una funzione integrativa, se non addirittura interamente sostitutiva, di quella in capo all'attore pubblico, appiattito su un sistema di protezione sociale tradizionalmente poco generoso nei confronti della famiglia e delle sue funzioni; ma l'intervento, ancorché rilevante e talvolta illuminato, è intrinsecamente limitato per natura, poiché nella definizione degli equilibri tra vita personale, famiglia e lavoro incidono pesantemente alcune variabili sulle quali le singole imprese, da sole, non hanno né le capacità né le risorse sufficienti per agire;
    il che richiama, ad avviso dei sottoscrittori del presente parere, l'opportunità dell'inclusione a pieno titolo dell'impresa tra gli attori del welfare territoriale, non soltanto in veste di erogatore di servizi, ma anche e soprattutto nei termini di una sua compartecipazione, in chiave sussidiaria, alla definizione degli obiettivi, della struttura e degli standard del welfare stesso; ma affinché ciò si realizzi, occorre arrivare alla definizione di partenariati, ovvero di veri e propri patti territoriali in materia di conciliazione; una strada, quest'ultima, ancora poco percorsa in Italia e tuttavia con indubbie potenzialità, specie nella prospettiva di arrivare a definire la conciliazione familiare come questione societaria; un buon sistema di welfare aziendale potrebbe derivare dalla fornitura da parte delle aziende ai lavoratori di benefit e servizi, quali ad esempio bonus per la spesa, polizze assicurative, corsi di formazione, ecc., in grado di migliorarne la vita privata e professionale;
    in relazione agli incentivi per le donne a tornare al lavoro dopo la maternità:
    ad avviso dei sottoscrittori, sarebbe utile lo studio di una forma di sgravio fiscale per i servizi di asili nido o di baby Pag. 118sitting. In questo modo lo Stato non concederebbe solo alla neo-mamma la possibilità di prolungare il periodo di maternità percependo una parte dello stipendio, come attualmente succede, ma offrirebbe anche un risparmio fiscale;
    ad avviso dei sottoscrittori, poter ad esempio dedurre, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, le retribuzioni e i contributi previdenziali e assistenziali, corrisposti a collaboratori familiari per servizi di baby sitting, determinerebbe un incremento automatico del gettito fiscale conseguente alla dichiarazione del reddito di lavoro dipendente che, il collaboratore familiare, addetto ai predetti servizi, non potrebbe non presentare; la stragrande maggioranza dei rapporti di collaborazione familiare, anche quando non risultano in nero, in quanto definitivamente denunciati all'INPS, non sono fiscalmente rilevanti per via della totale evasione dall'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi;
    il datore di lavoro domestico, infatti, al contrario degli altri datori di lavoro, non è sostituto d'imposta, quindi non trattiene alla fonte le somme dovute al fisco;
    la deducibilità dei contributi consentirebbe un controllo incrociato, con benefici effetti sul gettito fiscale in quanto innescherebbe un circolo virtuoso che obbligherebbe lavoratori regolari a presentare la dichiarazione dei redditi;
    in relazione all'estensione della disciplina di tutela della maternità e conciliazione vita – lavoro ad altre categorie oggi escluse, altre godono di benefici e diritti ridotti, sia relativamente alla misura ridotta dell'indennità di maternità, sia riguardo all'esonero dal lavoro notturno in caso di congedo parentale; si segnalano, limitatamente agli articoli 22, 23 e 53 del decreto legislativo, le seguenti eccezioni sollevate dall'Associazione Family Way:
    riguardo alla corresponsione dell'indennità alle lavoratrici del settore navigante aereo è stato segnalato quanto segue:
   a) abrogare l’ex articolo 6 della legge n. 138 del 1943 (tuttora vigente in virtù del richiamo dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 151 del 2001), ai sensi del quale l'azione per conseguire le prestazioni di ricalcolo dell'indennità di maternità erogata dall'INAIL si prescrive dal giorno in cui esse sono dovute; la disciplina dettata dagli articoli 22 e 23 del Decreto legislativo n. 151 del 2001, sulla base dei dati retributivi trasmessi dal datore di lavoro. La base retributiva su cui viene liquidata l'indennità nella misura di legge (80 per cento) è individuata secondo i criteri dettati dall'articolo 48 del Testo Unico delle Imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1997, n. 917, per effetto dell'unificazione delle basi imponibili fiscale e previdenziale di cui al decreto legislativo n. 314/1997. In particolare vale per le aziende di trasporto aereo quanto previsto dall'articolo 48, comma 6 del TUIR, in ordine al trattamento delle indennità di volo, che costituiscono base imponibile nella misura del 50 per cento del loro ammontare.
  Come dichiarato dalla citata Associazione, le lavoratrici del settore navigante aereo, a causa della peculiarità del lavoro svolto, avrebbero voci stipendiali che, nonostante la palese funzione retributiva ad esse attribuita dai contratti, verrebbero sottratte dall'imponibile, ad esclusivo vantaggio dei datori di lavoro, beneficiari della corrispondente decontribuzione; dette lavoratrici, percepiscono di fatto un'indennità di maternità, nella misura del 46 per cento rispetto alla misura dell'80 per cento prevista per la generalità delle lavoratrici; si tratta di una normativa che, violando espressamente quel principio che avrebbe dovuto assicurare a tutti una identica uguaglianza di fronte alla legge, ha invece consentito, per motivi esclusivamente economici, di riservare ad alcune fattispecie di lavoratrici tutele più attenuate e diritti meno ampi; sulla questione è stato presentato Pag. 119dalla deputata Ciprini l’ Ordine del Giorno n. 9/01920-A005 del 10 febbraio 2014, accolto come raccomandazione, ma rimasto inapplicato;
   riguardo al lavoro notturno di cui all'articolo 53 la suddetta Associazione raccomanda di:
    a) adeguare l'orientamento della giurisdizione in materia di affidamenti, previsti da norme successive all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 151 del 2001, allo scopo di estendere la «facoltà di esonero dal lavoro notturno» ai lavoratori che hanno l'affido congiunto di minori. Come rilevato dall'Associazione interessata, la norma introdotta dalla lettera b – bis), aggiunta all'articolo 53 del decreto legislativo n. 151 del 2001, sana la lacuna di tutela per i genitori adottanti o affidatari, in riferimento al non obbligo del lavoro notturno, lasciando inalterata la novella contenuta nella lettera b) del medesimo precitato comma; al riguardo, si sottolinea che la legge 54 del 2006, interviene in materia di affidamento condiviso dei figli in caso di separazione dei genitori. La disposizione contenuta nel comma 2, lettera b) dell'articolo 53 decreto legislativo n. 151 del 2001, necessita conseguentemente di armonizzazione con la predetta norma, in modo da non disattendere l'attuazione del principio della bigenitorialità; allo stato attuale, ne consegue che i genitori separati ai quali venga concesso l'affido condiviso si vedono spesso negare il diritto di esonero dal lavoro notturno, in quanto non risultano affidatari unici; poiché la precitata lettera b) non consente alcun margine interpretativo, a nulla sono valsi i numerosi ricorsi intentati da lavoratori che non hanno ottenuto i benefici cui avevano diritto; non solo; a seguito della mancata assegnazione di turni di lavoro che consentissero ad un genitore di assistere i propri figli durante la notte, si sono verificati diversi casi in cui l'altro genitore ha intentato ricorsi volti ad ottenere l'affido esclusivo dei figli stessi; tutto questo a discapito unicamente proprio di quei soggetti che sia il decreto legislativo n. 151 del 2001 che la legge n. 54 del 2006 vogliono tutelare e proteggere;
    b) prevedere una norma di tutela che renda nulle le eventuali rinunce e transazioni aventi ad oggetto una preventiva determinazione del lavoratore rispetto alla facoltà di astensione dal lavoro notturno, efficace per l'intera durata del contratto, consentendo di impugnare entro un congruo termine eventuali clausole vessatorie; all'atto dell'assunzione di lavoratori che sono obbligati a prestare anche lavoro notturno, alcuni datori di lavoro applicano una clausola vessatoria vincolante l'assunzione stessa, attraverso la quale il lavoratore si impegna tassativamente a rinunciare per l'intera durata del contratto all'esonero dal lavoro notturno, nonostante l'impiego esclusivamente diurno fosse previsto e vigente in alternativa a quello notturno; la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto del datore di lavoro a non concedere tale esonero, trattandosi di una facoltà discrezionale, non rientrante tra i relativi obblighi cui soggiace il datore di lavoro; in specie l'Associazione Family Way ha citato il caso di 5000 lavoratori CAI, costretti a rinunciare al posto di lavoro per ottemperare all'obbligo genitoriale;
    c) alla luce della sovrapposizione di norme che si occupano della fattispecie del lavoro notturno, sarebbe utile armonizzare le disposizioni contenute nell'articolo 53 del decreto legislativo n. 151 del 2001 con le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 9 dicembre 1977, n. 903, e successive modificazioni, e all'articolo 11 ed articolo 18 – bis, comma 1, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66;
   in relazione alla flessibilità del lavoro:
    l'articolo 22 reca incentivi al telelavoro; in realtà sarebbe opportuno, nel caso di specie aprire la riflessione anche al tema dello smart working; lo smart working è una modalità di lavoro innovativa basata su un forte elemento di flessibilità Pag. 120in modo particolare di orari e di sede; il passaggio dal lavoro «a timbratura del badge « al lavoro per obiettivi, dove ai lavoratori viene lasciata ampia libertà di auto-organizzarsi a patto che porti a termine gli obiettivi stabiliti nelle scadenze previste, alleggerisce gli obblighi e i costi per l'azienda legati alla sicurezza sul lavoro;
    inoltre lo smart working si distingue nettamente dal telelavoro, poiché non implica necessariamente l'utilizzo di strumenti informativi e telematici;
    sulla base delle indagini svolte dall'associazione « Valore D», recentemente audita in questa sede, le imprese sarebbero favorevoli all'implementazione di forme di flessibilità lavorativa diverse dal telelavoro domiciliare di cui all'Accordo Interconfederale; tuttavia permarrebbero alcune barriere in ragione dell'assenza di una chiara distinzione tra telelavoro e altre forme di flessibilità lavorativa, nonché di una regolamentazione, che ne delinei i tratti, e chiarisca l'applicazione di dette norme al telelavoro domiciliare, con particolare riferimento alle norme in materia di sicurezza sul lavoro; inoltre, lo smart working può essere utilizzato soprattutto dalle lavoratrici madre che possono svolgere dette mansioni anche in maniera «orizzontale», dedicando maggiore tempo alle cure parentali;
   in relazione ai congedi per le donne vittime di violenza:
    l'articolo 23 prevede la possibilità di astenersi dal lavoro per un massimo di 3 mesi garantendo retribuzione, ferie e accesso al part-time; è una norma importante, perché riconosce i danni potenziali non solo fisici e psicologici, ma anche l'impatto sull'esperienza di lavoro; tuttavia, come sottolineato, in sede di audizione, «è probabile che ci sia una percentuale non irrilevante di donne che hanno subito violenze che non lavora». In tal caso, i sottoscrittori del presente parere concordano con l'ipotesi di aggiungere supporti di tipo formativo, invece che l'astensione dal lavoro;
   in relazione alla copertura finanziaria:
    a) lo schema di decreto legislativo stanzia 104 milioni di euro per l'anno 2015, a valere sulle risorse della legge 190 del 2014 (Legge di stabilità) a fronte dei 222 milioni, precedentemente appostati per lo stesso arco di tempo; dette risorse sono destinate a finanziare le misure contenute negli articoli da 2 a 23; detto stanziamento risulta insufficiente ad assicurare le finalità recate dalle predette disposizioni; rispetto allo stanziamento originario (approvato in prima istanza dal consiglio dei ministri del 20 febbraio), le risorse diminuiscono del 53 per cento. La suddetta clausola di salvaguardia consente, nel caso in cui si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti dalla previsione di spesa, che il ministero dell'economia possa con proprio decreto rideterminare i benefici e in particolare quelli relativi ai congedi parentali (articoli da 7 a 10);
    b) la disposizione normativa volta a prevedere, in via sperimentale per il triennio 2016 – 2018, l'utilizzo del 10 per cento delle risorse del Fondo per il finanziamento dello sgravio contributivo (circa 110 milioni di euro per il triennio), volto a promuovere buone pratiche e/o accordi di secondo livello per la diffusione di forme conciliazione tra vita professionale e vita privata presenta criticità rispetto all'entità economica messa a disposizione; ad avviso dei sottoscrittori del presente parere, sarebbe maggiormente incisivo un intervento normativo di defiscalizzazione degli istituti del welfare contrattuale che supporti accordi in tal senso;
   preso atto che l'articolo 24 prevede l'istituzione di una cabina di regia per l'approfondimento e l'eventuale ampliamento degli interventi in materia di conciliazione tra vita professionale e vita privata, attraverso l'elaborazione di linee guida,
   esprime

PARERE FAVOREVOLE

Pag. 121

  con le seguenti osservazioni:
   si valuti l'opportunità di assicurare, in occasione della prossima sessione di bilancio nuove risorse finanziarie, atte ad attuare entro tempi congrui gli altri principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 183 del 2014, quali:
    l'introduzione di un credito d'imposta (inteso ad incentivare il lavoro femminile) per le donne lavoratrici, anche autonome, che abbiano figli minori o figli disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo, nonché l'armonizzazione del regime delle detrazioni (dall'imposta sui redditi) per il coniuge a carico;
    l'eventuale riconoscimento, compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali retribuite, della possibilità di cessione, fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro, di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi (rispetto a quelli previsti dalle norme statali) spettanti in base al contratto collettivo nazionale, in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessiti di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute;
    la promozione dell'integrazione dell'offerta di servizi per le cure parentali, forniti dalle aziende e dai fondi o enti bilaterali, nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, in coordinamento con gli enti locali titolari delle funzioni amministrative, anche mediante la promozione dell'impiego ottimale di tali servizi da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi;
    la semplificazione e razionalizzazione degli organismi, delle competenze e dei fondi operanti in materia di parità e pari opportunità nel lavoro ed il riordino delle procedure inerenti alla promozione di azioni positive di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ferme restando le funzioni della Presidenza del Consiglio dei ministri in materia di parità e pari opportunità;
    la promozione della responsabilità paterna, assicurando la previsione di assegnare ulteriori giorni di congedo obbligatorio ai padri, che attualmente possono usufruire di un solo giorno assolutamente inadeguato e carente rispetto al concetto di genitorialità condivisa; gli ulteriori due giorni facoltativi per il padre vengono sottratti alla madre dal suo congedo obbligatorio, realizzando così un disincentivo al loro utilizzo;
    nell'ambito dell'utilizzo del congedo parentale fino ai 12 anni di età valutare la possibilità di concedere un supplemento del 30 per cento della retribuzione per gli ulteriori periodi utilizzati dagli 8 ai 12 anni, in modo da garantire le esigenze delle famiglie con le fasce di reddito più basse;
    relativamente alle flessibilità orarie introdotte: congedo a ore, part-time in alternativa al congedo, valutare gli effetti sulla retribuzione e sulla previdenza, in modo tale da non penalizzare ulteriormente la contribuzione figurativa;
    all'articolo 2 (Modifiche all'articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 in materia di divieto di adibire al lavoro le donne) sarebbe utile superare il limite di cinque mesi è un giorno, prendendo in considerazione, caso per caso «la data del parto»;
    all'articolo 5 (Modifiche all'articolo 28 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 in materia di congedo di paternità) sarebbe opportuno chiarire se (in relazione all'articolo 31 del citato testo unico, di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, e successive modificazioni) l'estensione del congedo di paternità riguardi anche le fattispecie di adozione o affidamento, con riferimento, naturalmente, all'ipotesi che la madre lavoratrice autonoma non abbia fatto richiesta dell'indennità di maternità (alla quale ha diritto ai sensi dell'articolo 67, comma 2, del medesimo testo unico, di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001); tale chiarimento potrebbe essere ritenuto opportuno anche alla luce della sentenza della Corte Pag. 122costituzionale n. 385 dell'11-14 ottobre 2005, la quale ha dichiarato illegittima, tra l'altro, la norma che non prevedeva, per il caso di adozione o affidamento, che il libero professionista potesse chiedere l'indennità qualora non l'avesse chiesta la libera professionista; la novella recata dal presente articolo, riconosce, inoltre, al padre che rientri in una delle suddette categorie di lavoratore autonomo l'indennità di maternità prevista per le lavoratrici autonome, qualora la madre sia lavoratrice dipendente e ricorra una delle summenzionate fattispecie in cui non sussista il congedo di maternità (con riferimento, a seconda dei casi, a tutta la durata del congedo o alla parte residua);
    sarebbe opportuno chiarire se – in relazione all'articolo 67, comma 2, del testo unico, di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001 e anche alla luce della suddetta sentenza della Corte costituzionale n. 385 dell'11-14 ottobre 2005 – tale estensione riguardi anche le fattispecie di adozione o affidamento, con riferimento, naturalmente, all'ipotesi che la madre lavoratrice dipendente non abbia chiesto di usufruire del relativo congedo;
    all'articolo 7 (Modifiche all'articolo 26 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 in materia di congedo parentale) prevedere al comma 1 lettera b) di concedere la fruizione del congedo parentale «su base oraria, giornaliera, settimanale, mensile, anche alternando le modalità di fruizione in base alle esigenze»;
    all'articolo 12 (Modifiche all'articolo 26 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 in materia di dimissioni) assicurare l'inserimento e l'armonizzazione nel testo del presente Schema di decreto le norme riguardanti le «Dimissioni in bianco»;
    all'articolo 13 (Modifiche all'articolo 26 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 in materia di lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335), sarebbe opportuno prevedere, nell'ambito dell'equiparazione delle lavoratrici subordinate con le lavoratrici iscritte alla gestione separata dell'INPS, equiparazione del limite di età del bambino (18 anni), in caso di adozione o affidamento;
    in materia di adozioni da parte dei padri lavoratori autonomi appare necessario sanare la disparità esistente nell'ambito della condivisione genitoriale nella cura del figlio, visto che i padri lavoratori autonomi, ai sensi dell'articolo 69 del decreto legislativo n. 151 del 2001 ne sono esclusi;
   e le seguenti condizioni:
    provveda il Governo a portare a regime le disposizioni recate dall'articolo 25 dello schema di decreto in titolo;
    in relazione alla fruizione del congedo parentale, anche temporale, nonché relativamente alla corresponsione dell'indennità, assicuri il Governo di estendere tale possibilità anche con riguardo alla cura dei figli adolescenti naturali, adottivi e affidati (per la fascia d'età compresa tra i 16 e 18 anni d'età) indipendentemente dall'appartenenza dei lavoratori e delle lavoratrici al settore pubblico o privato, dipendenti o lavoratori autonomi (16-18 anni);
    in relazione alle disposizioni recate dall'articolo 22 del presente schema di decreto, assicurare l'espunzione dei telelavoratori dalla base di calcolo dei lavoratori a tempo indeterminato ai fini dell'applicazione delle limitazioni percentuali introdotte dal Jobs Act con riferimento all'utilizzo dei contratti a termine e dei contratti di somministrazione;
    al fine di favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori», oltre che per le esigenze di cure parentali, assicurare la creazione di una cornice normativa che includa tra le forme più moderne di lavoro, anche fondate sulla digitalizzazione, capaci di coniugare le esigenze dell'impresa con quelle dei lavoratori e lavoratrici (smart working, lavoro a distanza, lavoro agile), senza limitarsi ad Pag. 123affidarne la regolamentazione alla contrattazione aziendale di secondo livello e al ruolo attivo delle aziende;
    garantire piani incentivanti e agevolazioni fiscali e contributive per le imprese che decidono di adottare le suddette modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa nuove e diverse dal telelavoro (smart working o lavoro agile);
    assicurare l'istituzionalizzazione delle «ferie solidali», come possibilità di cedere ferie e riposi aggiuntivi, spettanti in base alla contrattazione collettiva, in favore dei lavoratori colleghi che in presenza di gravi patologie proprie o dei figli, abbiano necessità di usufruirne, avendo esaurito i permessi previsti dalla legge n. 104 del 1992;
    assicurare l'incentivazione dei programmi di welfare aziendale defiscalizzati, prevedendo interventi di modifiche di norme del testo Unico dell'Imposta sui redditi, che amplino la categoria di beni e servizi interamente deducibili dall'impresa, prevedendo eventualmente l'innalzamento del limite di deducibilità degli altri beni e servizi;
    coordinare, armonizzare ed eventualmente modificare le norme che contrastano con le disposizioni che tutelano i diritti della generalità dei lavoratori, nel rapporto lavoro – vita familiare, in modo da sanare discriminazioni nei confronti di talune categorie di lavoratori e lavoratrici;
    al fine di tutelare la maternità come valore individuale e sociale collettivo, prevedere la modifica del comma 1 dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 151 del 2001, innalzando l'indennità giornaliera dall'80 per cento al 100 per cento della retribuzione, per tutto il periodo del congedo obbligatorio di maternità. Tale indennità potrebbe essere coperta dalla fiscalità generale per una quota pari all'ammontare dell'assegno sociale e per la restante quota, fino a concorrenza del 100 per cento dell'importo della retribuzione, dall'assicurazione obbligatoria. In tal modo vi sarebbe una riduzione significativa degli oneri a carico delle aziende legati ai congedi obbligatori per maternità che, ancora oggi, costituiscono un forte deterrente all'assunzione di donne;
    con la stessa finalità sopra esplicitata, garantire l'introduzione per i padri lavoratori dell'astensione obbligatoria dal lavoro per un periodo di quindici giorni da usufruire entro dodici mesi dalla nascita del figlio, coperta da un'indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione, in linea con gli ultimi orientamenti espressi in ambito europeo, nonché in coerenza con l'impostazione introdotta, seppure solo in via di principio, con l'articolo 4, comma 24, della legge 18 giugno 2012, n. 92, recante «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita»;
   garantire il potenziamento del congedo parentale, di cui all'articolo 34 del decreto legislativo n. 151 del 2001, prevedendo che le lavoratrici e i lavoratori possano accedere ai congedi parentali, dovuti fino al dodicesimo anno di vita del bambino, godendo di un'indennità pari al 50 per cento della retribuzione, innalzandola al 100 per cento nel caso in cui le risorse economiche del nucleo familiare del bambino, composto da tre componenti, non superi i 25 mila euro; in caso di famiglie più numerose rimodularla al rialzo;
   ai fini del computo dell'indennità, di cui all'articolo 23 del decreto legislativo n. 151 del 2001, garantire l'utilizzazione dell'indicatore ISEE, calcolato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, includendo, ai fini della riduzione del reddito, le spese mediche e di assistenza per soggetti non autosufficienti a carico del beneficiario e le spese per l'affitto o per le quote residue di mutuo per l'immobile destinato a residenza;
   provveda il Governo ad incrementare, nell'ambito della prossima sessione di bilancio, le risorse stanziate per l'attuazione Pag. 124del piano straordinario d'intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi, in modo tale da garantire alle madri lavoratrici:
    a) l'istituzione di nuovi nidi aziendali, sia presso le sedi centrali e periferiche delle pubbliche amministrazioni nazionali, singole o tra loro consorziate, sia nei comuni, sia nel settore privato (attraverso convenzioni e relativi incentivi finanziari alle aziende), anche al fine di conseguire l'obiettivo comune europeo della copertura territoriale di almeno il 33 per cento per la fornitura di servizi per l'infanzia (bambini al di sotto dei tre anni), come fissato dall'Agenda di Lisbona, il Governo avrebbe dovuto prevedere tra le misure di tutela della maternità, previste dal citato Testo unico (decreto legislativo n. 151 del 2001);
    b) al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, un contributo finanziario mensile per i servizi di babysitting, e asili nido pubblici o privati in prossimità dei luoghi di lavoro o di residenza della lavoratrice, anche al fine di promuovere, nel mercato del lavoro la parità tra uomo e donna. In alternativa, l'incentivazione su tutto il territorio di servizi integrativi e innovativi, quale «il nido di famiglia», gestito dalla «tagesmutter o mamma di giorno», che accudisce ed educa presso la propria abitazione bambini da 0 a 6 anni;
    c) l'utilizzo di servizi di babysitting, attraverso la deduzione, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, delle retribuzioni eventualmente corrisposte ad addetti ai predetti servizi, compresi i contributi previdenziali e assistenziali per l'adempimento dell'obbligo delle assicurazioni sociali nei loro confronti;
   relativamente alla norma concernente il «lavoro notturno», in specie, qualora sia stato praticato il lavoro notturno nonostante il dissenso del lavoratore o della lavoratrice, espresso in forma scritta e comunicato al datore di lavoro almeno 24 ore prima del previsto inizio della prestazione assicurare l'applicazione di una sanzione pecuniaria da 5.000 a 10.000 euro, raddoppiabile, in caso di reiterata violazione;
   assicurare l'estensione delle previsioni di cui all'articolo 11 del presente schema di decreto legislativo anche alla categoria delle lavoratrici e lavoratori del Comparto sicurezza.
«Ciprini, Lombardi, Chimienti, Cominardi, Tripiedi e Dall'Osso».

Pag. 125

ALLEGATO 7

Schema di decreto legislativo recante misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro (Atto n. 157).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL DEPUTATO RIZZETTO

   La XI Commissione,
   considerato che:
    il provvedimento in esame si pone l'obiettivo di adottare misure intese a tutelare la maternità e a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, allo scopo di garantire adeguato sostegno alle cure parentali, aggiornando e revisionando la normativa vigente in materia;
    agli articoli 2 e 4 dello schema di decreto si interviene sulla disciplina del congedo di maternità, modificando quanto disposto in materia, rispettivamente, dagli articoli 16 e 26 del decreto legislativo n. 151 del 2001 e prevedendo ulteriori tutele durante il periodo di maternità. In particolare, all'articolo 2, comma 1, si stabilisce che nel caso di parto anticipato rispetto alla data presunta, i giorni di maternità obbligatoria che la lavoratrice non ha goduto prima del parto possono essere aggiunti a quelli successivi alla nascita, anche se la somma dei due periodi supera il limite complessivo dei 5 mesi; all'articolo 4 si prevede che se nel periodo previsto per l'astensione obbligatoria il neonato viene ricoverato in una struttura pubblica o privata, la madre può chiedere (una sola volta per ogni figlio) la sospensione e goderne dalla data di dimissioni del neonato, facoltà estesa anche nel caso di congedo di maternità per adozione o affidamento;
    all'articolo 3 si interviene sulla disciplina dell'indennità di maternità, prevedendo che venga corrisposta anche nel caso, attualmente escluso dalla normativa vigente (articolo 24 del decreto legislativo n. 151 del 2001), di risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa, derivante da colpa grave della lavoratrice, che si verifichi durante i periodi di congedo di maternità;
    gli articoli 5 e 6 intervengono sulla disciplina del congedo di paternità, modificando quanto disposto in materia dagli articoli 28 e 31 del decreto legislativo n. 151 del 2001 e prevedendo anche per il padre la possibilità di potere usufruire del congedo di paternità per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre, di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, anche se la madre è una lavoratrice autonoma con diritto all'indennità di maternità;
    gli articoli da 7 a 11 stabiliscono un'estensione del periodo di congedo parentale, modificando quanto disposto in materia dagli articoli da 32 a 34 e dall'articolo 36 del decreto legislativo n. 151 del 2001;
    gli articoli da 13 a 20 intervengono sulla disciplina dell'indennità di maternità, modificando quanto disposto in materia dagli articoli 24, 64, 66, 67, 70, 71 e 72 del decreto legislativo n. 151 del 2001. Nello specifico, l'articolo 13 stabilisce l'automaticità della prestazione di maternità anche in assenza del versamento da parte dei committenti alla gestione separata dei relativi contributi previdenziali. Alle successive disposizioni si prevede la possibilità per il padre lavoratore autonomo, di avvalersi dell'indennità di maternità per il Pag. 126periodo in cui sarebbe spettata alla madre lavoratrice autonoma o per la parte residua. Tale facoltà è riconosciuta in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, e il riconoscimento della relativa indennità di maternità al padre lavoratore autonomo;
    all'articolo 22 si prevede genericamente l'incentivazione di accordi collettivi intesi a facilitare la flessibilità dell'orario di lavoro e dell'impiego di premi di produttività, anche attraverso il ricorso al telelavoro;
    l'articolo 24 destina alla promozione della conciliazione tra lavoro e vita privata, una quota pari al 10 per cento del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare, in via sperimentale per il triennio 2016-2018, la contrattazione di secondo livello, tuttavia rinviando ad un apposito decreto ministeriale la definizione degli interventi;

  ritenuto che:
   le norme predette, sebbene condivisibili, non attuano specificamente l'obiettivo prioritario del provvedimento, ossia la «conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro», intervenendo soprattutto nel riconoscimento di tutele aggiuntive per il congedo di maternità e paternità ovvero per l'estensione di ulteriori diritti che, pur essendo meritevoli, non consentono specificamente il raggiungimento del fine prioritario del decreto,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   1) introduzione di specifici incentivi per indurre le imprese a ricorrere al telelavoro, considerando che si tratta di una forma di lavoro che si presta particolarmente ad essere strumentale per la conciliazione vita-lavoro, anche prevedendo una contribuzione al 100 per cento per i datori nel fornire gli strumenti di lavoro necessari per svolgere la prestazione di lavoro al di fuori dei locali dell'impresa;
   2) introduzione di incentivazioni fiscali e contributive per le imprese che si dotano di asili nido aziendali o interaziendali;
   3) definizione, già in questa sede, di misure relative all'integrazione dell'offerta di servizi per le cure parentali, forniti dalle aziende e dai fondi o enti bilaterali, nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, in coordinamento con gli enti locali titolari delle funzioni amministrative, anche mediante la promozione dell'impiego ottimale di tali servizi da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi;
   4) previsione dell'istituto delle «ferie solidali» affinché, in compatibilità con il diritto ai riposi settimanali e alle ferie annuali retribuite, venga riconosciuta la possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di riposi aggiuntivi e ferie spettanti in base al contratto collettivo nazionale in favore del lavoratore che si trovi in gravi condizioni di salute o che debba assistere un figlio disabile o con particolari patologie che necessitano di assistenza e cure costanti.
«Rizzetto».

Pag. 127

ALLEGATO 8

Schema di decreto legislativo recante il testo organico delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni (Atto n. 158).

PARERE APPROVATO

  La XI Commissione,
   esaminato lo schema di decreto legislativo recante il testo organico delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni (Atto n. 158);
   condiviso l'obiettivo del processo di revisione e riordino delle forme contrattuali avviato con l'adozione della legge 10 dicembre 2014, n. 183, che, secondo quanto espressamente indicato nel criterio direttivo della delega contenuto nell'articolo 1, comma 7, lettera b), intende promuovere il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro, rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto, in termini di oneri diretti e indiretti;
   ritenuto che gli interventi di semplificazione, modifica o superamento delle diverse tipologie contrattuali, in attuazione del criterio direttivo di cui all'articolo 1, comma 7, lettera a), debbano essere valutati in funzione del perseguimento dell'obiettivo della promozione del contratto a tempo indeterminato quale forma comune del rapporto di lavoro, secondo quanto riaffermato dall'articolo 1 del provvedimento in esame, in linea con quanto previsto anche nell'ordinamento dell'Unione europea;
   osservato come le disposizioni del provvedimento in esame si inscrivano all'interno di un più ampio sistema di interventi tesi alla promozione di forme di lavoro stabile, tra i quali rilevano, in particolare, le misure contenute nella legge di stabilità 2015 riferite all'integrale deducibilità dall'IRAP del costo del lavoro e all'esonero contributivo triennale per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato effettuate nell'anno in corso;
   ritenuto che, al fine di perseguire una duratura inversione di tendenza nell'ambito delle nuove assunzioni, che privilegi la stipula di contratti di lavoro a tempo indeterminato attraverso una apprezzabile riduzione del relativo costo per il datore di lavoro, si rende necessaria l'applicazione di significativi sgravi contributivi anche in relazione alle assunzioni che verranno effettuate a decorrere dall'anno 2016;
   evidenziato, a tale proposito, che la risoluzione n. 6-00136 Marchi ed altri, approvata dalla Camera dei deputati il 23 aprile 2015, al termine dell'esame del Documento di economia e finanza 2015, invita il Governo a valutare l'opportunità di mantenere anche successivamente all'anno 2015 misure di sgravio contributivo con riferimento ai nuovi contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, eventualmente modificando l'entità e l'area di applicazione del beneficio;
   espresso apprezzamento per la decisione di ridurre l'area del lavoro parasubordinato, provvedendo, attraverso le disposizioni del Capo I del Titolo II dello schema di decreto legislativo, a una più precisa distinzione tra i rapporti connotabili come contratti di lavoro di tipo subordinato e i contratti di lavoro autonomo;Pag. 128
   segnalata, in questo contesto, l'esigenza che ai lavoratori autonomi, con particolare riferimento a quanti prestano collaborazioni in modo coordinato e continuativo ovvero sono titolari di partita IVA, siano assicurate adeguate tutele sul piano lavorativo, previdenziale e assistenziale;
   ricordato, a tale riguardo, che la richiamata risoluzione n. 6-00136 Marchi ed altri, approvata dalla Camera dei deputati al termine dell'esame del Documento di economia e finanza 2015, ha impegnato il Governo ad operare per provvedere gradualmente, nell'ambito della legge di stabilità per il 2016 e nel quadro delle compatibilità finanziarie individuate in quella sede, al finanziamento a regime, tra l'altro, dell'indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa – DIS-COLL, introdotta dall'articolo 15 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22;
   segnalata l'opportunità di una puntuale verifica degli effetti dei provvedimenti attuativi della legge 10 dicembre 2014, n. 183, in termini di creazione di nuovi posti di lavoro stabile nell'ambito del monitoraggio di cui all'articolo 1, comma 13, secondo periodo, della medesima legge, assicurato dal sistema permanente di monitoraggio e valutazione istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 28 giugno 2012, n. 92, anche ai fini dell'adozione di provvedimenti integrativi o correttivi;
   valutata, in questo contesto, l'opportunità di una verifica in ordine alla possibilità di una ulteriore riduzione delle tipologie contrattuali esistenti, in considerazione dell'estensione del ricorso a prestazioni di lavoro accessorio prevista dal Titolo III dello schema di decreto legislativo, in attuazione del criterio di delega di cui all'articolo 1, comma 7, lettera h), della legge n. 183 del 2014, e della sostanziale conferma delle disposizioni vigenti in materia di lavoro intermittente, in presenza di interventi volti a favorire anche il ricorso al lavoro a tempo parziale;
   rilevata l'opportunità di riconoscere la valenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato anche nei contratti di somministrazione di lavoro, con particolare riferimento al cosiddetto staff leasing;
   ritenuto necessario ribadire l'obbligo per le agenzie che effettuano somministrazione di lavoro in Italia, in forza di un'autorizzazione rilasciata da altri Paesi membri dell'Unione europea, di applicare la disciplina nazionale, nonché le disposizioni del contratto collettivo nazionale di settore, prevedendo, in caso di violazione, specifiche sanzioni per l'utilizzatore;
   rilevata la necessità di recepire nel testo del presente decreto quanto espressamente previsto dal criterio direttivo di cui all'articolo 1, comma 7, lettera e), della legge 10 dicembre 2014, n. 183, relativo alla disciplina delle mansioni, nonché l'opportunità di affidare alla contrattazione collettiva nazionale la definizione delle fattispecie e dei parametri oggettivi indicati nel medesimo criterio direttivo;
   preso atto che la nuova formulazione dell'articolo 2103 del codice civile non troverebbe applicazione per i rapporti di lavoro nell'ambito delle pubbliche amministrazioni di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001, ai quali si applicherebbe esclusivamente quanto disposto dall'articolo 52 del medesimo decreto legislativo;
   ravvisata la necessità di esplicitare e, laddove non prevista, di prevedere la possibilità per il lavoratore di essere sempre assistito da un rappresentante sindacale da lui indicato nelle commissioni di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003 e nelle altre sedi protette;
   valutate le proposte di modifica contenute nel parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, approvato nella seduta del 7 maggio 2015;
   segnalata l'opportunità di una revisione, sotto il profilo formale, della formulazione delle disposizioni del provvedimento,Pag. 129
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   si invita il Governo a valutare l'esigenza di apportare le seguenti modificazioni:
    si consideri l'esigenza di prevedere espressamente che, in tutti i casi nei quali, nell'ambito del provvedimento, si prevede la stipulazione di accordi presso le commissioni di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, o le altre sedi protette, il lavoratore abbia sempre la facoltà di farsi assistere da un rappresentante sindacale da lui indicato;
    con riferimento all'articolo 21, comma 4, si verifichi l'opportunità di rafforzare le sanzioni previste per il superamento del limite percentuale di contratti a tempo determinato individuato ai sensi del comma 1 del medesimo articolo, al fine di garantirne l'effettiva deterrenza, prevedendo altresì una conversione delle medesime sanzioni in indennità da corrispondere ai lavoratori assunti in violazione del predetto limite;
    all'articolo 29, comma 1, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Il limite di cui al primo periodo non si applica ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dal somministratore;
    all'articolo 47, comma 1, sopprimere le parole:, di contenuto ripetitivo;
    all'articolo 55, comma 1, capoverso Art. 2103, secondo comma, apportare le seguenti modifiche:
    dopo le parole: assetti organizzativi aziendali aggiungere le seguenti: per effetto di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale;
    aggiungere, in fine, il seguente periodo: Il datore di lavoro comunica preventivamente in forma scritta al lavoratore il mutamento di mansioni e le modifiche degli assetti organizzativi che lo determinano;
    all'articolo 56, comma 2, secondo periodo, sostituire le parole da: il Ministro dell'economia e delle finanze fino alla fine del comma con le seguenti: il Ministro dell'economia e delle finanze adotta tempestivamente, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, le conseguenti iniziative legislative volte alla correzione dei predetti effetti, ai sensi dell'articolo 17, comma 13, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, ovvero, ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera l), della legge medesima, qualora tali effetti siano in procinto di verificarsi al termine dell'esercizio finanziario;
   si verifichi se sussistano le condizioni per una ulteriore semplificazione delle tipologie contrattuali previste nel nostro ordinamento, considerando, in particolare, la possibilità di superare il contratto di lavoro intermittente, disciplinato dagli articoli da 11 a 16 del provvedimento, anche in relazione all'introduzione di misure volte a favorire l'utilizzo del lavoro a tempo parziale;
   valuti, altresì, il Governo l'opportunità di apportare le seguenti modificazioni:
    al fine di semplificare e uniformare la disciplina applicabile alle diverse tipologie contrattuali, si verifichi la possibilità di introdurre una definizione unitaria di contrattazione collettiva, assumendo eventualmente a riferimento quella contenuta nell'articolo 2, comma 2, lettera g), nell'ambito della normativa in materia di lavoro a tempo parziale;
    con riferimento agli articoli 3, 21 e 33, verifichi il Governo l'opportunità di ripristinare le disposizioni previste dalla legislazione vigente che contemplano specifici obblighi di informazione nell'ambito della disciplina, rispettivamente, del lavoro a tempo parziale, del lavoro a tempo determinato e della somministrazione di lavoro, dando diretta attuazione a norme delle relative direttive dell'Unione europea;Pag. 130
    all'articolo 4, si individuino le modalità per coordinare il comma 3, ai sensi del quale l'effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare, in assenza di disciplina nei contratti collettivi, richiede il consenso del lavoratore interessato, e il comma 5, il quale prevede che il datore di lavoro possa richiedere al lavoratore lo svolgimento di tali prestazioni entro il limite del 15 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate;
    all'articolo 6, comma 5, dopo le parole: tredici anni o aggiungere le seguenti: sedici in caso di adozione, ovvero;
    all'articolo 6, comma 7, dopo le parole: per una sola volta aggiungere le seguenti: per ogni figlio;
    con riferimento alle disposizioni del provvedimento che fanno rinvio, per la completa definizione della normativa, a decreti ministeriali attuativi, come nel caso dell'articolo 12, comma 1, e dell'articolo 14, comma 6, si verifichi l'opportunità di precisare espressamente nell'ambito del provvedimento ovvero in sede amministrativa che fino all'adozione di nuovi decreti attuativi continuano ad applicarsi le disposizioni adottate con riferimento alle norme legislative vigenti, delle quali si prevede l'abrogazione;
    con riferimento all'articolo 17, comma 2, si valuti l'opportunità di escludere l'applicazione del limite di durata di trentasei mesi ivi previsto ai rapporti di lavoro a tempo determinato del personale artistico e tecnico delle imprese di spettacolo ovvero di includere tali rapporti tra le attività stagionali in sede di individuazione di tali attività ai sensi dell'articolo 19, comma 2, del provvedimento;
    all'articolo 21, comma 2, aggiungere, in fine, la seguente lettera: g) per la realizzazione dei programmi di cooperazione allo sviluppo di cui alla legge 11 agosto 2014, n. 125;
    all'articolo 21, comma 3, primo periodo, dopo le parole: attività di insegnamento aggiungere le seguenti:, ai contratti di lavoro a tempo determinato relativi allo svolgimento di attività di; conseguentemente, dopo le parole: direzione della stessa, aggiungere le seguenti: e a quelli stipulati;
    si verifichi l'opportunità di prevedere che ai contratti a tempo determinato stipulati con il personale artistico e tecnico delle Fondazioni lirico-sinfoniche e delle Istituzioni concertistico-orchestrali si applichino le medesime esclusioni dalla normativa relativa ai rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato previste a legislazione vigente per le medesime Fondazioni;
    all'articolo 33, comma 1, aggiungere, in fine, il seguente periodo: L'utilizzatore è tenuto a comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai propri dipendenti di pari livello;
    all'articolo 33, comma 4, premettere le seguenti parole: Fermo restando quanto previsto dall'articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, ed aggiungere, in fine, il seguente periodo: Il contratto di somministrazione può prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall'utilizzatore; in tale caso, ne va fatta indicazione nel contratto con il lavoratore;
   all'articolo 34, comma 3:
    alla lettera a), sostituire le parole: e i motivi del ricorso alla con le seguenti: dei contratti di;
    alla lettera b), sopprimere le parole: e i motivi;
   all'articolo 41, comma 5, sostituire le parole:, di durata non superiore a tre anni, rivolti ai giovani iscritti al quarto e quinto anno degli istituti tecnici e professionali di istruzione secondaria superiore con le seguenti: con gli studenti iscritti ai percorsi di istruzione secondaria di secondo grado, a partire dal terzo anno di tali percorsi.

  Conseguentemente, all'articolo 46, apportare le seguenti modificazioni:
   dopo la lettera l), aggiungere la seguente: l-bis)
l'articolo 8-bis, comma 2, del Pag. 131decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, e successive modificazioni;
   dopo il comma 2, aggiungere il seguente: 3. Sono fatti salvi, fino alla loro conclusione, i programmi sperimentali per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda già attivati in attuazione dell'articolo 8-bis, comma 2, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, e successive modificazioni;
   con riferimento alla formulazione dell'articolo 47, si valuti l'opportunità di precisare in modo esplicito che resta in ogni caso ferma la possibilità di stipulare contratti di collaborazione connessi alla realizzazione di determinati progetti, specialmente nel campo della ricerca scientifica e tecnologica e nell'ambito del terzo settore, anche in relazione alla presenza di specifici finanziamenti erogati da enti pubblici o dall'Unione europea;
   all'articolo 50, comma 1, sostituire la lettera b) con la seguente: b) i commi secondo e terzo sono sostituiti dal seguente: «L'apporto dell'associato può consistere anche in una prestazione di lavoro qualora l'associante e l'associato siano società di capitali nonché qualora il contratto sia stipulato fra produttori e artisti, interpreti o esecutori per la realizzazione di registrazioni sonore, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento.»;
   all'articolo 50, comma 3, dopo le parole: associazione in partecipazione aggiungere le seguenti: già in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto e sostituire le parole: consiste anche in una prestazione di lavoro con le seguenti: consiste esclusivamente o parzialmente in una prestazione di lavoro;
   all'articolo 51, comma 1, secondo periodo, sopprimere le parole: nei confronti di committenti imprenditori o professionisti,;
   all'articolo 51, comma 2, primo periodo, premettere le seguenti parole: A decorrere dal 1o gennaio 2015;
   all'articolo 51, comma 2, primo periodo, dopo le parole: per anno civile aggiungere le seguenti: rivalutati annualmente ai sensi del comma 1.

Pag. 132

ALLEGATO 9

Schema di decreto legislativo recante il testo organico delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni (Atto n. 158).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEI DEPUTATI AIRAUDO E PLACIDO

  La XI Commissione,
   esaminato l'atto n. 158 – Schema di decreto legislativo recante il testo organico delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni, in attuazione dell'articolo 1, commi 7 e 11, della legge 10 dicembre 2014, n. 183;
  premesso che:
   la legge n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act) all'articolo 1, comma 7, ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo recante «un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro», in coerenza con la regolazione comunitaria e le convenzioni internazionali;
   nello specifico, lo schema di decreto legislativo del Governo dà attuazione al comma 7, lettere a), b), d), e), h), i), che prevedono quanto segue:
    la lettera a) stabilisce di individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti ai fini di poterne valutare l'effettiva coerenza con il contesto occupazionale e produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali. Il contenuto della lettera a) è tanto generico che si fa fatica ad individuare in essa principi e i criteri direttive rispettosi dettato dell'articolo 76 della Costituzione;
    la lettera b) stabilisce che il decreto delegato debba «promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma privilegiata di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti»;
    la lettera d) dispone il rafforzamento degli strumenti per favorire l'alternanza tra scuola e lavoro;
    la lettera e) stabilisce la revisione della disciplina delle mansioni, contemperando l'interesse dell'impresa all'utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita;
    la lettera h) prevede la possibilità di estendere il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali, in tutti i settori produttivi, assicurando la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati;
    la lettera i) prevede l'abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con il testo organico semplificato al fine di assicurare certezza agli operatori, eliminando duplicazioni normative e difficoltà interpretative ed applicative;
    lo schema di decreto delegato in esame ha conservato ed è intervenuto sui seguenti contratti: il contratto di lavoro a tempo indeterminato; part-time; la somministrazione; Pag. 133il tempo determinato; l'apprendistato; il lavoro intermittente; il lavoro ripartito; il lavoro accessorio;
   inoltre ha previsto che:
    1) i contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro non saranno più possibili, mentre quelli in essere sono fatti salvi fino alla loro cessazione;
    2) i contratti di collaborazione anche a progetto restano vigenti soltanto:
   a) per le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
   b) per le collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;
   c) per le attività prestate nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
   d) per le prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. come individuati e disciplinati dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289;
   dal 1o gennaio 2016 è previsto che la disciplina del rapporto di lavoro subordinato si applichi anche ai rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Nelle pubbliche amministrazioni la nuova disciplina si applicherà dal 1o gennaio 2017;
  valutato che:
   sulla delega in generale:
    dalla lettura del contenuto della delega emerge la mancata indicazione delle tipologie contrattuali che debbono essere conservate o modificate – salvo poche eccezioni –, mentre il principio al quale il Governo dovrebbe attenersi è vago, limitato alla valutazione del «l'effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale» dei contratti. Si tratta di una delega generica che viola i criteri stabiliti dall'articolo 76 della Costituzione ed espone lo schema in esame alla probabilità di una declaratoria di incostituzionalità;
   sui contratti di lavoro a tempo indeterminato:
    l'articolo 1 riproduce l'articolo 1, comma 01, del decreto legislativo n. 368 del 2001 recante la disciplina del contratto a tempo determinato, in attuazione della direttiva europea che ha recepito integralmente l'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato siglato dalle parti sociali europee. Tale comma è ripreso dal preambolo dell'Accordo;
    il punto 6 delle Considerazioni generali della direttiva europea in materia di lavoro a tempo determinato precisa anche che: «i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento»; lo schema in esame – e i decreti legislativi di attuazione del Jobs Act in generale – ignorano la seconda parte di questo considerando, a riprova del rifiuto di riconoscere che il contratto a tempo indeterminato contribuisce alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento;
    eppure la delega – pur vaga – ha sul contratto a tempo indeterminato almeno un contenuto normativo chiaro riconducibile al Considerando 6 della direttiva, poiché impone al Governo di renderlo «più conveniente rispetto agli altri tipi di Pag. 134contratto in termini di oneri diretti e indiretti»; invece, le innovazioni introdotte dallo schema di decreto legislativo in esame favoriscono altre tipologie contrattuali – come si evidenzierà in seguito – e non contengono neppure una previsione che aumenti la convenienza del contratto a tempo indeterminato, in termini di oneri diretti e indiretti, rispetto alle altre tipologie contrattuali; e altrettanto ha fatto il decreto legislativo che ha introdotto il contratto a tutele crescenti. Infatti l'aver reso leciti i licenziamenti illegittimi non costituisce una misura di riduzione di oneri diretti e indiretti in favore del tempo indeterminato, ma solo una penalizzazione per i lavoratori. Né possono essere annoverati come favorevoli i vantaggi contributivi previsti dalla legge di stabilità per il 2015, in quanto non strutturali, ma validi solo per un triennio;
   sui contratti di lavoro a tempo parziale:
    lo schema di decreto legislativo in esame abroga il decreto legislativo n. 61 del 2000, che ha recepito la direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dai sindacati europei;
    lo schema di decreto legislativo introduce alcune innovazioni che riducono spazi e prerogative alla contrattazione collettiva e alle rappresentanze sindacali e – in almeno due casi rilevanti – colpiscono i diritti dei lavoratori. Tali innovazioni pongono un problema di compatibilità con la direttiva europea;
    viene abrogata la disciplina attualmente in vigore che prevede esplicitamente che i contratti collettivi nazionali «possono, altresì, prevedere per specifiche figure o livelli professionali modalità particolari di attuazione delle discipline (ndr. relative al ricorso al tempo parziale e al lavoro supplementare) rimesse alla contrattazione collettiva ai sensi del presente decreto». Le conseguenze di questa abrogazione portano a ritenere che si sia voluto eliminare un potere precedentemente conferito alla contrattazione;
    è abrogata la facoltà per il contratto individuale di lavoro e per i contratti collettivi di prevedere che la corresponsione ai lavoratori a tempo parziale di emolumenti retributivi, in particolare a carattere variabile, sia effettuata in misura più che proporzionale (articolo 4 del decreto legislativo n. 61);
    si conferma la precedente disciplina in materia di contenziosi, nei casi in cui il contratto scritto non determini la collocazione temporale dell'orario della prestazione lavorativa; tuttavia, il giudice è ora chiamato a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, con valutazione equitativa, tenendo conto in particolare delle responsabilità familiari del lavoratore interessato, della sua necessità di integrazione mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro; tale criterio di decisione equitativa del giudice era già previsto dalla precedente disciplina, ma si applicava solo in mancanza di regolamentazione specifica sul punto da parte dei contratti collettivi; con la disciplina recata dallo schema di decreto legislativo non sarà più così e il giudice non utilizzerà il contratto collettivo in via principale per dirimere eventuali contenziosi sulla collocazione dell'orario;
    lo schema di decreto legislativo modifica per alcuni aspetti il ruolo delle rappresentanze sindacali. Non è stato riprodotto, infatti, l'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 61 del 2000 che prevedeva – fatte salve eventuali più favorevoli previsioni dei contratti collettivi – l'obbligo del datore di lavoro di informare le rappresentanze sindacali aziendali, ove esistenti, con cadenza annuale, sull'andamento delle assunzioni a tempo parziale, la relativa tipologia ed il ricorso al lavoro supplementare;
    è abrogata anche la previsione secondo cui i centri per l'impiego e le agenzie di lavoro sono tenuti a dare, ai lavoratori interessati ad offerte di lavoro a tempo parziale puntuale informazione Pag. 135sulla disciplina legislativa prevista, preventivamente alla stipulazione del contratto di lavoro (articolo 3, comma 14, decreto legislativo n. 61). Per le agenzie di lavoro la mancata fornitura di detta informativa costituiva comportamento valutabile ai fini dell'applicazione della revoca dell'autorizzazione (a norma dell'articolo 10, comma 12, lettera b), del decreto legislativo n. 469 del 1997);
    con riferimento al lavoro supplementare si mantiene l'obbligo che i contratti collettivi stabiliscano il numero massimo delle ore di lavoro supplementare, ma è stato abrogato l'obbligo di prevedere le «causali in relazione alle quali si consente di richiedere ad un lavoratore a tempo parziale lo svolgimento di lavoro supplementare»; l'eliminazione delle causali è dovuta al fatto che l'articolo 4, comma 5, ora prevede che se il contratto collettivo non contenga una specifica disciplina del lavoro supplementare, nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare in misura non superiore al 15 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate; in tale ipotesi il lavoro supplementare è retribuito con una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15 per cento, comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti;
    è grave l'abrogazione del divieto di licenziamento per giustificato motivo quando il lavoratore rifiuti di prestare il consenso allo svolgimento del lavoro supplementare (articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 61 del 2000), pur conservando l'obbligo di richiedere il consenso del lavoratore che sia chiamato a svolgere prestazioni di lavoro supplementare – che non sia previsto e regolamentato dal contratto collettivo. In questo modo il consenso da prestare rimane solo formale, in quanto chi non accetta di svolgere tale lavoro potrebbe subire la minaccia o l'effettivo licenziamento per giustificato motivo;
    nel rapporto di lavoro a tempo parziale verticale o misto è consentito dalla disciplina in vigore lo svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie, ma lo schema di decreto legislativo abroga l'applicazione a tali prestazioni della disciplina legale e contrattuale vigente in materia di lavoro straordinario nei rapporti a tempo pieno;
    viene abrogato il diritto al risarcimento del lavoratore in caso il datore di lavoro non rispetti il diritto di precedenza, oggi previsto in misura corrispondente alla differenza fra l'importo della retribuzione percepita e quella che gli sarebbe stata corrisposta a seguito del passaggio al tempo pieno nei sei mesi successivi a detto passaggio (commi 3 dell'articolo 8 del decreto legislativo 61 del 2000);
    viene abrogata la sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro per la mancata comunicazione alla direzione provinciale del lavoro sull'andamento delle assunzioni a tempo parziale, la relativa tipologia ed il ricorso al lavoro supplementare, prevista dal comma 4 dell'articolo 8 del decreto legislativo 61 del 2000. Gli importi delle sanzioni erano destinati alla gestione contro la disoccupazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS);
    lo schema di decreto legislativo interviene anche sulla modificazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale; con riferimento ai lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, è stato confermato il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale e la possibilità – a richiesta del lavoratore – di trasformare il rapporto di lavoro a tempo parziale nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno; tuttavia è stata abrogato il comma che faceva salve, in ogni caso, l'applicazione di disposizioni più favorevoli per il prestatore di lavoro;Pag. 136
   sui contratti di lavoro intermittente:
    con riferimento a questo contratto, più volte introdotto e abrogato nel nostro ordinamento è abrogata – ancora una volta – una disposizione che riguarda i contratti collettivi. Secondo tale disposizione le parti dovevano recepire nel contratto le indicazioni contenute nei contratti collettivi, ove previste, oltre ad indicare agli altri gli elementi costitutivi del rapporto previsti dalla legge;
   sui contratti di lavoro a tempo determinato:
    lo schema di decreto legislativo abroga e sostituisce il decreto legislativo n. 368 del 2001 che regola il contratto di lavoro a tempo determinato; le disposizioni del decreto legislativo n. 368 del 2001, che da ultimo erano state oggetto di modifica e integrazione da parte del decreto-legge n. 34 del 2014 (decreto Poletti) non vengono semplicemente riprodotte; il contratto di lavoro a tempo determinato viene ulteriormente modificato e integrato con elementi anche estremamente negativi;
    la riorganizzazione della materia operata da Governo, lungi dall'essere una razionalizzazione, è confusa e rende molto difficile la ricostruzione dell'impianto normativo. Attraverso un lavoro di «taglia e cuci» sono stati spostati o fusi periodi, commi e articoli. In questo modo il testo risulta costellato anche di contraddizioni;
   una contraddizione è la seguente:
    a) la successione di due contratti a tempo determinato senza alcuna soluzione di continuità oggi determina che il rapporto di lavoro si considerasse a tempo indeterminato fin dalla data di stipulazione del primo contratto (articolo 5, comma 4, decreto legislativo n. 368 del 2001). Con la modifica introdotta i contratti possono succedersi anche senza interruzione temporale tra l'uno e l'altro (articolo 17 comma 2 dello schema in esame) fermi la durata massima complessiva di 36 mesi e il massimo di 5 rinnovi;
    b) tuttavia, viene mantenuta la disposizione che stabilisce quanto segue: qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato (articolo 5, comma 3, decreto legislativo n. 368 del 2001, ora articolo 19, comma 2).
  Le lettere a) e b) sono in contraddizione, poiché così come le disposizioni sono state riscritte sembrerebbe che se due contratti a tempo determinato si succedono senza interruzione, il rinnovo è legittimo. Però se tra un contratto a termine e il suo rinnovo intercorrono meno di 10 giorni (o 20 giorni nel caso di contratto di durata superiore a sei mesi), il nuovo contratto viene considerato a tempo indeterminato;
   il decreto legislativo n. 368 del 2001 prevede che oltre i 36 mesi si possa concludere un ulteriore contratto a termine fra gli stessi soggetti per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l'assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato; le predette organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto (articolo 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368 2001). Lo schema di decreto legislativo in esame stabilisce, invece, che l'ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di 12 mesi, può essere stipulato presso la Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, direttamente tra datore di lavoro e lavoratore, abrogando l'assistenza delle organizzazioni sindacali e la determinazione da parte loro della durata del nuovo contratto; in questo modo si ottiene l'effetto che la durata massima del contratto possa passare da 36 a 48 mesi, ma senza escludere che il Pag. 137contratto possa durare anche più a lungo; infatti, in apertura del comma 2 dell'articolo 17 è stata inserita una clausola di portata generale, la quale stabilisce che i contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, possano prevedere una durata massima dei contratti a tempo determinato superiore a 36 mesi; nella disciplina attuale, invece, l'articolo 10, comma 7, primo periodo, del decreto legislativo 368 del 2001 prevede che i contratti collettivi possano solo introdurre limiti quantitativi all'utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato; è grave che lo schema di decreto legislativo non prevede incompatibilità tra l'aumento della durata prevista dai contratti e quella stabilita direttamente tra datore di lavoro e lavoratore presso la Direzione territoriale del lavoro; in tal modo i contratti a tempo determinato potranno durate, mediante le proroghe ben oltre 48 mesi. Questa possibilità verrà aggravata dal conferimento anche ai contratti aziendali e non solo quelli nazionali del potere di derogare in aumento alla durata dei contratti;
   viene abrogata la previsione di cui all'articolo 7 del decreto legislativo n. 368 del 2001, la quale stabilisce che il lavoratore assunto con contratto a tempo determinato deve ricevere «una formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, al fine di prevenire rischi specifici connessi alla esecuzione del lavoro»; viene solo mantenuta dall'articolo 24 la previsione di cui al secondo comma dell'articolo 7, che in materia di formazione stabilisce che: «i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere modalità e strumenti diretti ad agevolare l'accesso dei lavoratori a tempo determinato ad opportunità di formazione adeguata, per aumentarne la qualificazione, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale»; l'abrogazione della formazione obbligatoria dei lavoratori a tempo determinato da parte delle aziende – in materia di sicurezza sul lavoro – rappresenta un vulnus e una sottovalutazione del problema degli incidenti in materia di lavoro;
   come già ricordato il decreto legislativo n. 368 del 2001 ha recepito la direttiva europea, in materia di contratti a tempo determinato. Al momento la disciplina italiana viola palesemente la direttiva europea sotto diversi profili;
   la clausola 1 della direttiva stabilisce che il suo obiettivo è:
    a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;
    b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.

  A tale proposito, la clausola 5 rubricata «Misure di prevenzione degli abusi» stabilisce che:
   1) ogni volta che vengono modificate le disposizioni in materia di contratti a tempo determinato «devono essere consultate le parti sociali», cosa che non è avvenuta nella circostanza dell'adozione dello schema di decreto legislativo in esame e neppure in occasione delle modifiche precedenti;
   2) per prevenire gli abusi, la direttiva stabilisce che le disposizioni nazionali devono contenere una o più misure relative a:
    «a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
    b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
    c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti»;
   dalle disposizione italiane di attuazione sono del tutto scomparse, già con il decreto-legge n. 34 del 2014, le ragioni obiettive per giustificare i rinnovi dei contratti a tempo determinato. Si ricordi che Pag. 138l'articolo 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001 stabiliva che per la stipulazione del contratto a tempo determinato fossero necessarie «ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo». Tale formulazione si può modificare e ridefinire, ma non si può eliminare;
   pertanto, in qualsiasi momento l'Italia potrebbe essere oggetto dell'apertura di una procedura da parte della Commissione europea o, in sede di rinvio pregiudiziale, potrebbe subire gli effetti di una sentenza della Corte di giustizia;
   l'obiettivo principale della direttiva è quello di combattere la discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato; la disposizione che contiene il divieto di discriminazione è fornita di sanzioni in caso di violazione, ma esse non sono mai state aggiornate dal 2001, data della sua entrata in vigore; l'ammontare delle sanzioni amministrative sono riportate senza modifiche dallo schema di decreto in esame, ovvero: «Nei casi di inosservanza degli obblighi derivanti dall'articolo 6, il datore di lavoro è punito con la sanzione amministrativa da 25,82 euro a 154,94 euro; se l'inosservanza si riferisce a più di cinque lavoratori, si applica la sanzione amministrativa 154,94 euro a 1.032,91 euro»; si tratta di sanzioni pecuniarie esigue, specie per una media o grande azienda. Anche questo elemento rende manifesto che le disposizioni vengono modificate quasi esclusivamente nella direzione che favorisce quei datori di lavoro che non rispettano le leggi e poco i lavoratori, anche quando ad essere violato è il principio che vieta la discriminazione;
   l'esame delle modifiche apportate alla disciplina del contratto a tempo determinato dimostrata in maniera chiara quanto la delega del legislatore sia stata violata, continuando a prevedersi un incremento ulteriore di misure di favore per questa tipologia contrattuale, rispetto al contratto di lavoro a tempo indeterminato;
   sui contratti di somministrazione:
    lo schema di decreto legislativo in esame supera ogni limitazione precedente esistente in materia di somministrazione a tempo indeterminato;
    l'articolo 29 dello schema prevede che le aziende potranno sempre assumere lavoratori somministrati con contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, ma il loro numero non potrà eccedere il 10 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato alla dirette dipendenze del datore di lavoro; tuttavia, i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale potranno prevedere un numero di lavoratori somministrati ancora più alto, ma non più basso;
    lo schema di decreto legislativo ha eliminato la disposizione dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 276 del 2003 che stabiliva che i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato dalle agenzie di somministrazione rimangono a disposizione del somministratore per i periodi in cui non sono in missione presso un utilizzatore, salvo che esista una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro; questa abrogazione potrebbe essere gravida di conseguenze negative per i lavoratori, che alla fine di una missione potrebbero essere licenziati anche quando il contratto di somministrazione sia a tempo indeterminato, per il solo fatto che la missione è finita; nel decreto legislativo non vi è un rinvio, infatti, all'applicazione alla somministrazione a tempo indeterminato delle disposizioni in materia di licenziamento;
    nel caso in cui, invece, il somministratore mantenga a sua disposizione il lavoratore a tempo indeterminato, l'articolo 32 dello schema ha mantenuto la previsione in base alla quale al lavoratore è dovuta una indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali il lavoratore stesso rimane in attesa di assegnazione; la misura di tale indennità è prevista dal contratto Pag. 139collettivo applicabile al somministratore e comunque non è inferiore a quanto previsto con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali; la disciplina attualmente in vigore stabilisce anche che il decreto del Ministero aggiorni periodicamente la misura dell'indennità, ma questa previsione purtroppo è stata abrogata;
    il comma 3 dell'articolo 29 specifica che la disciplina della somministrazione a tempo indeterminato non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni ma – aggiunge – «Fermo quanto disposto dall'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001», che reca il testo unico in materia di pubblico impiego. Tale rinvio è davvero poco intelligibile;
    lo schema di decreto legislativo abroga definitivamente e del tutto le causali nella somministrazione a tempo determinato, omologando la fattispecie a quella del normale contratto a tempo determinato (come previsto dal decreto Poletti), senza alcuna valutazione della possibile esistenza di interessi generali che giustifichino il mantenimento di limiti o causali, come previsto dalla direttiva europea 2008/104/CE;
    lo schema abroga anche l'articolo 28 del decreto legislativo 276/2003 il quale punisce la somministrazione fraudolenta; l'articolo abrogato recita: «Ferme restando le sanzioni di cui all'articolo 18, quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore, somministratore e utilizzatore sono puniti con una ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione»; ora nella legge restano le sanzioni amministrative previste dall'articolo 18 del decreto legislativo n. 276 del 2003, ora trasfuse nell'articolo 38 dello schema in esame, stabilite per specifiche violazioni delle disposizioni sul contratto di somministrazione. Nessuna sanzione – né vigilanza – viene prevista per il ricorso fraudolento alla somministrazione in base alle disposizioni generali dell'ordinamento lavoristico;
    nello schema di decreto legislativo sono mantenuti all'articolo 30 i divieti di ricorso alla somministrazione previsti dall'attuale normativa in alcuni specifici casi, ma è modificato il divieto di assumere con tali contratti presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione di lavoro; lo schema di decreto legislativo stabilisce, invece, che in tali casi sarà sempre possibile assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità o sottoscrivere contratti di somministrazione con una durata iniziale non superiore a tre mesi, mentre la legislazione in vigore consente tale deroga al divieto unicamente in base ad accordi sindacali;
    la forma del contratto di somministrazione è stata semplificata, ma non viene più previsto che il contratto riporti espressamente l'obbligo da parte del somministratore di pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico e del versamento dei contributi previdenziali (articolo 21, comma 1, lettera h del decreto legislativo n. 276 del 2003); nonché l'obbligo, da parte da parte dell'utilizzatore, in caso di inadempimento del somministratore, del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico nonché del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore (lettera k);
    il fatto che sia il somministratore a pagare direttamente il lavoratore ora si potrà derivare solo in via indiretta dall'articolo 31 dello schema di decreto legislativo, il cui comma 2 stabilisce l'obbligo dell'utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore dei lavoratori. Però in assenza di una previsione espressa, le parti potrebbero Pag. 140accordarsi perché sia l'utilizzatore a pagare direttamente il lavoratore in missione, fermo restando la solidarietà tra somministratore e utilizzatore in caso di inadempimento; tale innovazione – che potrebbe sembrare una semplificazione – non è escluso che possa prestarsi a comportamenti fraudolenti. A rafforzare tale dubbio vi è l'aver previsto l'eliminazione dell'obbligo dell'utilizzatore di comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili (articolo 21, lettera j decreto legislativo n. 276 del 2003);
    lo schema del decreto legislativo abroga anche il comma 2 dell'articolo 21, del decreto legislativo n. 276 del 2003 che obbligava le parti a recepire nei contratti le indicazioni contenute nei contratti collettivi; ciò è conseguenza della riduzione delle competenze generali dei contratti collettivi in materia di somministrazione – tranne che per aspetti già indicati, come ad esempio la fissazione del numero massimo di contratti di somministrazione a tempo determinato;
    con riferimento agli obblighi sulla sicurezza e la salute ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 2008, lo schema conserva la previsione in base alla quale gli obblighi di informazione sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive in generale e la formazione e l'addestramento all'uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell'attività lavorativa per la quale i lavoratori vengono assunti, sono a carico del somministratore; tuttavia abroga la possibilità che il contratto di somministrazione preveda il trasferimento di tali obblighi a carico dell'utilizzatore; lo schema di decreto legislativo abroga anche le altre previsioni dell'articolo 23, comma 5, del decreto legislativo 276 del 2003, che contengono:
   1) l'obbligo dell'utilizzatore di informare il lavoratore delle mansioni che richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici;
   2) la previsione a carico dell'utilizzatore di tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti e la responsabilità per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi;
    tali obblighi sono già contenuti nel decreto legislativo 81 del 2008, ma l'abrogazione dei riferimenti specifici nella disciplina della somministrazione rischia di dare adito a confusione sul soggetto – tra somministratore e utilizzatore – su cui gravano gli obblighi. Ma non solo, potrebbero nascere dubbi anche sull'applicazione integrale del decreto legislativo n. 81 in materia di sicurezza e saluta, poiché lo schema ha abrogato un inciso contenuto nel comma 1 dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 276 del 2003, il quale faceva salva «l'integrale applicabilità delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81» per tutta la durata della missione presso un utilizzatore; queste abrogazione sono gravi;
    lo schema di decreto legislativo abroga il comma 7-bis dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 276 del 2003 il quale così prevede: «I lavoratori dipendenti dal somministratore sono informati dall'utilizzatore dei posti vacanti presso quest'ultimo, affinché possano aspirare, al pari dei dipendenti del medesimo utilizzatore, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato; tali informazioni possono essere fornite mediante un avviso generale opportunamente affisso all'interno dei locali dell'utilizzatore presso il quale e sotto il cui controllo detti lavoratori prestano la loro opera»; tale previsione di vantaggio per i lavoratori somministrati è stata introdotta dalla riforma Fornero in quanto prevista espressamente dalla direttiva europea 2008/104/CE e non può essere abrogata;
    ai lavoratori somministrati sono riconosciuti presso l'utilizzatore i diritti sindacali previsti dallo Statuto dei lavoratori al pari dei dipendenti di quest'ultimo; tuttavia, lo schema di decreto legislativo abroga la previsione secondo la quale «Ai prestatori di lavoro che dipendono da uno Pag. 141stesso somministratore e che operano presso diversi utilizzatori compete uno specifico diritto di riunione secondo la normativa vigente e con le modalità specifiche determinate dalla contrattazione collettiva»; tali diritti sindacali presso il somministratore non possono essere abrogati in quanto sono previsti dall'articolo 7, comma 1, della direttiva europea 2008/104/CE, che recita: «I lavoratori tramite agenzia interinale sono presi in considerazione, alle condizioni stabilite dagli Stati membri, per il calcolo della soglia sopra la quale si devono costituire gli organi rappresentativi dei lavoratori previsti dalla normativa comunitaria e nazionale o dai contratti collettivi in un'agenzia interinale»;
    lo schema di decreto legislativo conferma che in caso di accertata somministrazione irregolare il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell'utilizzatore (ma non se amministrazione pubblica), la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione. Ma l'articolo 37, comma 2, introduce dei limiti al risarcimento spettante al lavoratore, al pari di quanto questo governo ha previsto – ad esempio – in materia di licenziamenti illegittimi. Al giudice viene sottratta la libera valutazione del caso quando accolga la domanda del lavoratore, dovendo limitare la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno in favore del lavoratore ad un'indennità onnicomprensiva nella misura prevista dalla legge;
    lo schema di decreto legislativo non ha modificato gli articoli 28 e 29 del decreto legislativo 276 del 2003, che costituiscono il capo II della disciplina della contratto di somministrazione con riferimento alla materia degli appalti e dei distacchi. Si tratta di una scelta non condivisibile dal punto di vista della tecnica legislativa e della relativa semplificazione espressamente richiesta dalla delega legislativa. In questo caso si divide in due testi legislativi ciò che fino ad ora era contenuto in un unico testo di legge;
   sul contratto di apprendistato:
    la disciplina del contratto di apprendistato letteralmente non trova pace: la disciplina è stata interamente riscritta dal decreto legislativo n. 167 del 2011, ma ha continuato a subire molteplici modifiche negli anni successivi fino ad arrivare allo schema di decreto legislativo in esame che lo modifica nuovamente; purtroppo è prevedibile che neanche con tali ultime modifiche si riesca a farlo diffondere nel rispetto delle finalità che gli sono proprie e non come contratto attraverso il quale occupare lavoratori a basso costo; la prevedibilità del fallimento deriva, anche, dal mancato investimento di risorse; ad esempio, nell'apprendistato per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale il testo dello schema è stato modificato tra l'approvazione di palazzo Chigi e l'arrivo in Parlamento, aggiungendo che al piano formativo individuale, per la quota a carico dell'istituzione formativa, si provvede nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente; in questo modo si fa carico alle istituzioni scolastiche di provvedere con le risorse che hanno a disposizione che, come è noto, sono inesistenti. Senza investimenti – a prescindere dalla legge buona o cattiva – il successo della disciplina legislativa è minato alla base;
    anche in questa tipologia contrattuale vengono cancellate o ridotte le competenze dei contratti collettivi nazionali; ad esempio nell'apprendistato professionalizzante e in quelli di ricerca è abrogata la previsione che i contratti nazionali di categoria o, in mancanza, le intese specifiche da sottoscrivere a livello nazionale o interconfederale anche in corso della vigenza contrattuale, stabiliscano gli standard professionali di riferimento;
   sulla riconduzione al lavoro subordinato:
    il meccanismo individuato dal Governo per convincere le aziende a trasformare i rapporti di lavoro in essere – collaborazioni e false partite IVA – in contratti a tempo indeterminato consiste Pag. 142in un «salvacondotto» valido fino al 31 dicembre 2015; infatti, al datore di lavoro viene garantita «l'estinzione delle violazioni previste dalle disposizioni in materia di obblighi contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso, salve le violazioni già accertate prima dell'assunzione»; tuttavia, i lavoratori interessati alla trasformazione del rapporto di lavoro devono sottoscrivere atti di conciliazione con i quali rinunciano «a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro»;
    l'unico impegno che viene fatto assumere al datore di lavoro è di mantenere l'assunzione per almeno dodici mesi, salvo il recesso per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo. Tuttavia, tale disposizione è sfornita di sanzione; in questo modo il datore di lavoro che fosse in mala fede potrebbe usare questa strada per evitare l'avvio di contenziosi e per vedersi condonare gli eventuali obblighi contributivi, assicurativi e fiscali derivanti dall'aver mascherato un rapporto di lavoro subordinato con uno a progetto o con il ricorso alla partita IVA; inoltre, oltre al danno per le casse dello Stato e degli enti di previdenza, vi sarebbe un danno anche per il lavoratore i cui contributi per il lavoro precedentemente svolto non verranno accreditati o rimarranno accreditati in misura minore rispetto al lavoro svolto; purtroppo, di fronte alla possibilità di sottoscrivere un contratto subordinato tutti i lavoratori si sentiranno ricattati per accettare lo scambio; sarebbe necessario, per una operazione di trasparenza e rispetto della dignità dei lavoratore e del loro futuro, che venga previsto un sistema di integrazione quantomeno dei loro contributi per gli anni o i periodi in cui hanno lavorato a progetto o con falsa partita IVA e per i periodi di non lavoro;
    lo schema di decreto legislativo, all'articolo 47 prevede fattispecie nelle quali non si applica il divieto di concludere nuovi rapporti di collaborazione, ma non considera i rapporti di lavoro rese nell'ambito di programmi di cooperazione internazionale allo sviluppo, con il rischio di mettere a repentaglio il funzionamento del settore; tale problema vale anche con riferimento al mancato inserimento di tali rapporti di lavoro tra quelli non rientranti tra i limiti quantitativi per la conclusione di contratti di lavoro a tempo determinato;
   sulla disciplina delle mansioni:
    lo schema di decreto legislativo sostituisce l'articolo 2103 del codice civile e, soprattutto, modifica in senso deteriore la disciplina delle mansioni;
    il Jobs Act ha eliminato il divieto di demansionamento, che non viene salvaguardato dall'aver previsto che ci siano limiti alla modifica dell'inquadramento, con il Jobs Act si estende al settore privato quanto già previsto per il settore pubblico con il decreto legge 90 del 2014,
  esprime

PARERE CONTRARIO
«Airaudo e Placido».

Pag. 143

ALLEGATO 10

Schema di decreto legislativo recante il testo organico delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni. Atto n. 158.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEI DEPUTATI COMINARDI, CIPRINI, LOMBARDI, TRIPIEDI, DALL'OSSO E CHIMIENTI

  La XI Commissione
   in sede d'esame dello schema di decreto legislativo recante testo organico delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni (Atto n. 158);
   premesso che:
    i sottoscrittori del presente parere guardano con forte preoccupazione alle disposizioni del provvedimento in esame;
    la legge delega n. 183 del 2014 aveva già chiaramente tracciato le linee di un programma di riassetto improntato alla completa liberalizzazione del mercato del lavoro e sempre i sottoscrittori del presente parere avevano già qualificato tale iniziativa legislativa come una straordinaria operazione propagandistica del governo che aveva favoleggiato la nascita di un contratto precario – quale è quello che è stato denominato «contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti»- come una forma di contratto a tempo indeterminato per tutti;
    del pari, nella medesima legge n. 183 del 2014, seppur con criteri di delega tanto ampi da porsi al confine con l'incostituzionalità, era stata promessa anche la semplificazione delle tipologie contrattuali vigenti. Tuttavia ad una attenta analisi del decreto attuativo in esame, anche tale necessaria operazione pare tradita. Essa si rivela, infatti, all'esame dell'atto, parimenti propagandistica non essendovi del tutto traccia nel provvedimento di una reale e efficace semplificazione degli schemi contrattuali previsti dalla normativa vigente;
    le criticabili misure adottate, inoltre, si inseriscono in un quadro del tutto povero di progettualità per il lavoro e il relativo mercato, non si comprende invero, nella globale azione di riforma intrapresa dall'esecutivo, quale sia la direzione strategica che esso voglia adottare al fine dell'effettivo rilancio occupazionale, non si comprende quali siano i settori innovativi e strategici su cui effettivamente si punti, manca una visione programmatica di lungo termine, non si comprende ancora come l'esecutivo intenda che debba evolversi il nuovo mercato del lavoro in funzione delle mutate esigenze socio economiche frutto della internazionalizzazione dei mercati; in questo quadro desolante si inserisce una riforma – con cui il presente Atto n. 158 si dispiega – che rappresenta invece una rivoluzione conservatrice, una forma regressiva di appiattimento delle esigenze di vita del lavoratore;
   considerato che:
    non si spiegherebbe altrimenti la disposizione di cui all'articolo 55 della parte di testo in esame laddove in particolare, in tema di mansioni, si prevede che il lavoratore possa essere assegnato a qualunque mansione del livello di inquadramento; si legge, infatti, che in caso di mutamento degli assetti organizzativi dell'impresa, il datore ha la facoltà di modificare unilateralmente in peius le mansioni, Pag. 144nei limiti di un livello di inquadramento inferiore, tenendo ferma la retribuzione. Inoltre «in sede protetta», ossia davanti agli organismi sindacali, qualora possa dichiararsi a rischio il posto di lavoro per crisi aziendale, viene prevista la possibilità di un demansionamento che conduca anche alla modifica in peius della retribuzione;
    addio alle progressioni di carriera, che permettevano al lavoratore di aspirare a crescere professionalmente per migliorare le propria condizione lavorativa;
    con la presente misura si apre di fatto alle regressioni di carriera. Viene tradito l'articolo 2103 del codice civile, il quale stabiliva che il lavoratore dovesse essere adibito alle mansioni per le quali era assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore successivamente acquisita, ovvero alle mansioni «equivalenti» alle ultime effettivamente svolte;
    dato che le riorganizzazioni a seguito di crisi aziendali, vere o presunte, sono all'ordine del giorno, ne conseguirà che i lavoratori potranno essere continuamente demansionati;
    in particolare, la sostituzione del concetto di «mansioni equivalenti» con quello generico di mansioni «riconducibili allo stesso livello di inquadramento» eliminerà il rispetto della professionalità del lavoratore e della prospettiva di progressione di carriera;
    ciò anche in violazione della stessa delega madre, la legge n. 183 del 2014, in cui si faceva espresso obbligo di contemperare «l'interesse dell'impresa all'utile impiego del personale con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità....»;
    in riferimento alla possibilità di adibire il lavoratore a mansioni dequalificanti, il semplice richiamo ad «assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore», appare assolutamente generico e non legato a fattori oggettivi, lasciando ampio margine di manovra a quei datori di lavoro che se ne volessero approfittare;
    inoltre, il nuovo comma 7 consente l'assegnazione definitiva del prestatore di lavoro a mansioni superiori dopo un periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi;
    tuttavia, il precedente articolo 2103 c.c. prevedeva un periodo non superiore a tre mesi per la determinazione dell'arco temporale superato il quale lo svolgimento di mansioni superiori assegnate divenissero definitive, senza alcuna indicazione della continuità lavorativa;
    vi è quindi da chiedersi se con la nuova formulazione, di fatto il Governo voglia consentire l'assegnazione intermittente a mansioni superiori, per un numero di volte indeterminato nella vita lavorativa del prestatore;
    in questo caso, il lavoratore non maturerebbe il diritto all'assegnazione definitiva alle superiori mansioni pur prestandole per un periodo di tempo cumulativamente superiore a sei mensilità;
    viene inoltre previsto il demansionamento con connessa regressione stipendiale che è di fatto contenuto nel comma 6, dell'articolo 55 in cui si prevedono accordi individuali (quindi ad personam) per modificare in peius livello di inquadramento e retribuzione del singolo lavoratore «nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita»;
    vale a dire che il demansionamento con stipendio inferiore sarà la medicina amara da ingoiare per evitare la semplice minaccia di un licenziamento;
    non v’è chi non veda la portata oscurantista delle disposizioni di cui all'articoli 55 e ss. in quanto esse corrono il fondatissimo rischio di prestarsi alle più regressive strumentalizzazioni con la conseguenza che in brevissimo tempo diverranno Pag. 145innumerevoli le decurtazioni delle retribuzioni con gravi ripercussioni sulle vite dei lavoratori e pesante frustrazione della domanda interna di beni e servizi;
   considerato inoltre che:
    molte perplessità suscitano le iniziative del governo in tema di disboscamento delle tipologie contrattuali. Infatti la pur condivisibile e auspicabile esigenza di pervenire ad una semplificazione degli schemi contrattuali esistenti non trova adeguato riscontro nell'articolato sottoposto al presente parere;
    a ben vedere tale asserita «semplificazione» si ridurrà alla eliminazione della associazione in partecipazione con apporto di lavoro e del job sharing: ossia il nulla, sia in termini sostanziali che percentuali, inoltre il dichiarato intento di porre fine all'esistenza delle collaborazioni a progetto, sfocia nella limitazione dei contratti di collaborazione e non nella loro effettiva cancellazione; infatti, se è vero che a partire dal primo gennaio 2016 come previsto agli articoli 47 e seguenti i contratti di collaborazione si trasformeranno in contratti a tempo «indeterminato a tutele crescenti», resteranno in piedi alcuni tipi di collaborazione coordinata e continuativa, legati a particolari settori di attività. Si fa infatti riferimento all'esclusione dell'applicazione della disciplina a quelle collaborazioni per le quali la contrattazione collettiva preveda discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo: Cui prodest ? Pare infatti quantomeno improprio ammettere la possibilità che sia proprio una contrattazione collettiva a riconoscere l'esistenza di una tipologia contrattuale che si vorrebbe invece eliminare; a giudizio dei sottoscrittori del presente parere tale disposizione andrebbe a colpire, tra gli altri, gli operatori dei call center per i quali da tempo si richiede tutela e rispetto ai quali con la disposizione in esame si continuerebbe a perpetrare una inaccettabile disparità di trattamento che non trova rispondenza nelle esigenze produttive e organizzative di un settore che da molti anni a questa parte ha assunto, invece, tutte le caratteristiche di una attività per nulla legata ad un progetto ma bensì del tutto stabile e con piene caratteristiche di subordinazione rispetto alle committenze;
    altra eccezione legata alla trasformazione dei co.co.co che, in qualche modo, offusca il quadro è quella che riguarda le collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali, per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali; si pensi a un avvocato che fra i tanti clienti abbia anche una ditta per la quale svolga una consulenza continuativa e programmata (co.co.co.); ma si pensi anche – questa è l'origine del fenomeno delle «false partite Iva» – alla situazione che si ha quando quel cliente «particolare» è – guarda caso – quello che fornisce la massima parte del reddito come cliente quasi unico (e magari ha suggerito lui al lavoratore di aprire la partita Iva);
    si crea così, un ampio spazio dove le altre collaborazioni potrebbero nuovamente moltiplicarsi liberamente oppure, costituire spazio di colonizzazione per le false partite Iva, che significativamente il decreto attuativo ignora in termini di contrasto;
    per di più si afferma che il datore di lavoro che assume con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato i «soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e di persone titolari di partita IVA», potrà godere dell’«estinzione delle violazioni previste dalle disposizioni in materia di obblighi contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso» a condizione che i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione;
    si tratta di un sostanziale «condono» e/o «colpo di spugna» sulle false Pag. 146partite IVA ovvero sulle false Co.Co.Pro. o Co.Co.Co;
    il soggetto titolare di contratto Co.Co.Pro. o Co.Co.Co. ovvero titolare di partita Iva («mascherata») potrà chiedere (senza vantare comunque un diritto) un contratto «vero» di lavoro subordinato a tempo indeterminato (ovviamente sarà comunque un contratto a tempo indeterminato a «tutele crescenti» ex decreto legislativo n. 23 del 2015) purché trovi una conciliazione (transazione o addirittura rinuncia) sui propri diritti e pretese retributive, previdenziali ed assistenziale connessi ad una eventuale riqualificazione in rapporto di lavoro subordinato del proprio pregresso rapporto di collaborazione; è ovvio o comunque altamente verosimile che il lavoratore, pur di ottenere l'agognato contratto a tempo indeterminato, trovandosi comunque in una posizione di debolezza psicologica ed economica nei confronti del datore di lavoro, ridimensioni o addirittura rinunci alle proprie pretese economiche nei confronti del datore;
    per effetto della conciliazione e della successiva assunzione, il datore di lavoro – che proceda alla assunzione con contratto subordinato dei soggetti già parti di contratti Co.Co.Pro. o titolari di partita Iva – otterrà anche una estinzione delle violazioni previste dalle disposizioni in materia di obblighi contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso e non sarà chiamato a rispondere in sede fiscale (davanti alla Agenzia delle Entrate e al Fisco), in sede contributiva (davanti all'Inps) ed in sede assicurativa (davanti all'Inail) del pregresso (evidentemente simulato o mascherato) rapporto di collaborazione con i predetti soggetti;
    è evidente che il Legislatore prende atto dell'esistenza del fenomeno delle cosiddette «false partite Iva» e delle cosiddette «false collaborazioni a progetto o continuative» e offre un «salvacondotto» al datore di lavoro che sceglie di «regolarizzare» e/o «stabilizzare» il proprio personale già parte di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e titolari di partita IVA;
    è un colpo di spugna sui diritti e sulle possibili pretese che potrebbero riguardare i (falsi) co.co.pro. che per ottenere l'agognato contratto di lavoro subordinato saranno «indotti» a ridimensionare le proprie pretese o a rinunciarvi con il rischio di perdere – di fatto – anche la contribuzione versata fino ad ora;
    a tutto ciò si aggiunge il varo di una clausola di salvaguardia la quale prevede: «Nel caso in cui si verifichino, o siano in procinto di verificarsi, effetti finanziari negativi e in particolare scostamenti rispetto alla valutazione delle minori entrate di cui al comma I, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, all'introduzione di un contributo aggiuntivo di solidarietà a favore delle gestioni previdenziali a carico dei datori di lavoro del settore privato e dei lavoratori autonomi.»; Si tratta dell'ennesimo contributo che pagheranno i lavoratori autonomi (tutti) e i datori di lavoro privati; la scelta del Governo di aumentare la pressione contributiva ed in particolare sui lavoratori autonomi per coprire le ondate di future stabilizzazione previste nel decreto nel caso di insufficienza delle risorse già stanziate, appare fortemente penalizzante non solo per i lavoratori autonomi (che vengono usati come bancomat) che già sopportano un forte carico contributivo e tributario ma anche per le aziende private che subiscono un aumento generalizzato del costo del lavoro; forte appare altresì la contraddizione delle scelte dell'Esecutivo che annuncia presunte misure di riduzione della pressione tributaria e invece aumenta contraddittoriamente la pressione contributiva per drenare risorse;
   tenuto conto che:
    non minori perplessità suscitano le disposizioni di cui agli articoli 39 e seguenti Pag. 147laddove lo schema di decreto lascia inalterata la regolazione dell'apprendistato «professionalizzante» ma apporta alcune modifiche a quello per «qualifica e diploma» e a quello di «alta formazione e ricerca»;
    la revisione consiste nella creazione di un sistema «duale» attraverso cui sarà possibile conseguire titoli di istruzione di livello secondario di istruzione e formazione e del livello terziario, attraverso l'apprendimento presso l'impresa; il criterio seguito è dunque quello di avvicinare la scuola all'impresa; non sono però molto chiari i percorsi che verranno effettivamente seguiti, e la questione è particolarmente rilevante stante il fatto che gli studenti verranno messi a disposizione delle imprese;
   viene del tutto trascurato il reale problema dell'apprendistato, cioè che troppo spesso è solo lavoro senza apprendimento: l'equilibrio fra lavoro e apprendimento, cercato sempre, non è stato mai trovato e una iniziativa che guarda alla creazione di un sistema «duale» scuola/lavoro non può e non deve prescindere dalla predisposizione di specifiche normative che delineino senza margine di dubbio alcuno i livelli oltre i quali l'apporto di lavoro non debba superare i percorsi di qualificazione e crescita degli studenti; tali misure vengono invece ulteriormente demandate ad appositi decreti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con gli altri dicasteri interessati e con la Conferenza Stato-Regioni, di fatto sottraendo all'odierno esame circostanze dirimenti rispetto al giudizio sulla qualità delle disposizioni adottate e/o da adottarsi in materia di apprendistato;
    agli articoli da 28 a 38 viene rimaneggiata la normativa in tema di contratti di somministrazione. A tal proposito mentre può essere giudicata positivamente la disposizione con cui vengono posti limiti percentuali all'utilizzo di detti contratti, nella misura del 10 per cento delle prestazioni lavorative di cui ci si avvalga e la conseguente regolamentazione dell'impugnativa del contratto di somministrazione, nel caso in cui essa avvenga in modo irregolare, ad esempio in violazione del quota percentuale di riserva del 10 per cento suscita rilevanti perplessità l'eliminazione dell'obbligatorietà delle «causali» contrattuali che dopo essere sparite nei contratti a tempo determinato oggi vengono cancellate anche per i contratti di somministrazione; i sottoscrittori del presente parere ritengono invece che la presenza di una causale del contratto di somministrazione sia elemento di garanzia nei rapporti tra il lavoratore e l'impresa utilizzatrice in quanto, come peraltro affermato da orientamenti giurisprudenziali ad oggi consolidati, devono sussistere precise ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive; e non si vede la ragione del non volerle chiaramente enunciare nel contratto di fornitura tra l'agenzia per il lavoro e l'impresa utilizzatrice;
   tenuto conto inoltre che:
    suscita dubbi, anche in tema di lavoro a tempo parziale, la previsione dello schema di decreto che, pur in assenza di una disciplina collettiva autorizzatoria, consente al datore di lavoro di chiedere al lavoratore di prestare lavoro supplementare (il lavoro prestato in più rispetto a quello concordato);
    pur riconoscendo come talora determinate esigenze vadano effettivamente incontro ad entrambe le parti contraenti, si ritiene come più opportuno mantenere determinate discipline di controllo al fine di evitare eventuali abusi;
    così come criticità emergono in materia di lavoro accessorio laddove agli articoli 51 e seguenti lo schema di decreto amplia la possibilità di ricorrervi aumentando da 5.000 a 7.000 euro l'ammontare massimo che il lavoratore può guadagnare annualmente con il lavoro accessorio. Tale misura, infatti, si inserisce nel consueto quadro di deregolamentazione del mercato del lavoro e non trova dunque alcuna giustificabile necessità di applicazione;Pag. 148
   considerato infine che:
    secondo l'analisi del grado di flessibilità del mercato del lavoro condotta sulla base dei dati OCSE l'Italia è tra i paesi che si sono impegnati a fondo nel ridurre la protezione dell'occupazione, riducendo le tutele di oltre il 40 per cento, dal valore 3,82 del 1990 al 2,26 del 2013. Occorre anche sottolineare che questi dati sono fermi alla fine del 2013 e quindi non considerano gli effetti del decreto Poletti, il quale comporterà una ulteriore riduzione di tali valori;
    l'analisi dei dati OCSE ha anche permesso di chiarire inequivocabilmente che le politiche di flessibilità del lavoro non hanno avuto alcun successo negli ultimi 25 anni nel ridurre la disoccupazione in Italia e nell'Eurozona; sono particolarmente famose a riguardo le conclusioni cui è giunta la stessa OCSE nel negare l'esistenza di una correlazione tra flessibilità e occupazione; altrettanto rilevanti sono le conclusioni del capo economista del FMI, il quale sostenne che «le differenze nei regimi di protezione dell'impiego appaiono largamente incorrelate alle differenze tra i tassi di disoccupazione dei vari Paesi; addirittura, in uno studio recente, è stato evidenziato come operando una correlazione con metodologie tradizionali tra la variazione della protezione del lavoro e il tasso di disoccupazione per il periodo 1990-2013 emerga un segno negativo: al ridursi della protezione del lavoro il tasso di disoccupazione tendenzialmente si incrementa così come, di fatto, si è incrementato;
    ma oltre ai suddetti inconfutabili dati scientifici, a rafforzare le ragioni del presente parere giungono i recentissimi dati sulla disoccupazione della scorsa settimana, laddove risulta evidente come il Jobs Act non spinga il mercato del lavoro; anzi, nel mese di marzo, quello dell'entrata in vigore della riforma, la disoccupazione è tornata a crescere per attestarsi al 13 per cento, 0,2 punti in più sul mese precedente; in particolare secondo i dati ISTAT i disoccupati sono aumentati dell'1,6 per cento su base mensile, con un incremento di 52 mila unità. Si tratta del livello più alto dal novembre scorso (al 13,2 per cento); negli ultimi dodici mesi il numero dei senza lavoro è cresciuto del 4,4 per cento (130 mila unità) e il tasso di disoccupazione è cresciuto di 0,5 punti;
    anche il tasso di disoccupazione giovanile (fascia dai 15 ai 24 anni) è volato al 43,1 per cento, in crescita di 0,3 punti rispetto a febbraio; i senza lavoro under 25 sono invece 655 mila; su base annua il tasso di disoccupazione giovanile si è invece ridotto di 0,4 punti. Il numero di giovani senza lavoro, mostra una lieve crescita su base mensile (+8 mila, l'1,2 per cento in più); in termini annui, rispetto a marzo 2014, si osserva la diminuzione del numero di giovani occupati (-5,5 per cento, pari a –50 mila), il calo anche del numero di disoccupati (-6,9 per cento, pari a –49 mila) a fronte di una crescita del numero di inattivi (+1,5 per cento, pari a +66 mila). Anche con riferimento alla media degli ultimi tre mesi, per i giovani 15-24enni si osserva il calo dell'occupazione e della disoccupazione e la crescita dell'inattività;
    si pensi inoltre che sul fronte del rilancio occupazionale, il nostro paese sta perdendo del tempo prezioso. Come già detto, nei provvedimenti del governo, non c’è traccia di alcuna progettualità, non viene raccolta la sfida del futuro, l'azione è miope, mentre persino i dati dell'Istat sulla disoccupazione confermano ancora una volta che cancellare i diritti non crea lavoro. Più opportuno sarebbe invece guardare alla salvaguardia dei diritti, peraltro garantiti dalla nostra Carta Costituzionale, intraprendendo nuovi percorsi riformatori del mercato del lavoro che tengano conto di ciò che di qui a breve diverrà il nuovo mercato del lavoro;
    l'utilizzo collettivo della rete internet, la condivisione di informazioni, lo scambio e la fruizione gratuita di informazioni sta conducendo verso un modello economico che ha nella socialità la sua dimensione principale; del resto, pratiche come il coworking e il crowfunding si sono Pag. 149sviluppate in questi nuovi ambiti e presentano certamente nuovi spazi e modelli sociali di sviluppo rispetto ai quali non emerge alcuna appropriata attenzione nel modello riformatore in esame, che invece rimane ancorato a schemi oramai ossidati e privi di una idea di sviluppo;
    l'impianto della riforma e il decreto attuativo in esame non tengono in alcun modo conto dell'analisi dei cambiamenti dei cicli di vita dei prodotto, l'ampiezza della diffusione effettiva delle tecnologie che caratterizzano la grande trasformazione in corso; non viene predisposta una legislazione del lavoro che tenga conto di quanto detto ma viceversa si assiste alla cancellazione dei diritti e al malcelato intento di liberalizzare confusamente tutto ciò che è liberalizzabile,
  esprime

PARERE CONTRARIO
«Cominardi, Ciprini, Lombardi, Tripiedi, Dall'Osso e Chimienti».

Pag. 150

ALLEGATO 11

Schema di decreto legislativo recante il testo organico delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni. Atto n. 158.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL DEPUTATO RIZZETTO

   La XI Commissione,
   premesso che:
    esaminato lo schema di decreto legislativo recante testo organico delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni (n. 158), in riferimento agli articoli del provvedimento in oggetto rilevato che;
    l'atto in esame non riduce in alcun modo la «precarizzazione» dei rapporti di lavoro e che nonostante il Governo più volte abbia richiamato la necessità di ricondurre gli andamenti del mercato del lavoro al principio per il quale la forma di contratto di lavoro ordinario deve rimanere quella a tempo indeterminato, nello schema si confermano sostanzialmente tutte le forme;
    per quanto riguarda il lavoro a tempo parziale, l'atto in esame ripropone sostanzialmente l'attuale disciplina normativa e l'organizzazione del lavoro viene ridotta ad una dimensione individuale e non collettiva;
    si riduce inoltre sensibilmente da cinque a due giorni, il tempo di preavviso previsto a favore del lavoratore interessato, per la variazione delle clausole flessibili ed elastiche ed è prevista un'ulteriore liberalizzazione del contratto di lavoro a tempo determinato, sul quale peraltro già il legislatore è intervenuto più volte, da ultimo proprio con il decreto-legge n. 34 del 2014 rendendo così possibile, aggiungendo o eliminando alcune delle mansioni assegnate al lavoratore, aumentare o diminuire il suo livello, superando in tal modo il predetto limite temporale;
    si prevede poi che se viene superata la soglia del 20 per cento per poter ricorrere alle assunzioni a tempo determinato, rimane comunque esclusa la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato, in quanto il legislatore ha previsto l'applicazione di una sanzione amministrativa per ogni lavoratore interessato che però non comporta un incremento dell'occupazione né persegue l'obiettivo contenuto nella delega di promuovere il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro;
    è abrogata la norma che esclude la possibilità di stipulazione di un successivo contratto a termine senza soluzione di continuità con il precedente generando, in tal modo, un ulteriore arretramento di tutele e, in particolare, con riferimento al demansionamento, è prevista la possibilità di dequalificazione unilaterale a fronte di una modifica degli assetti organizzativi che incidono sulla posizione del lavoratore mentre comunque sarebbe necessario considerare come ogni decisione di attribuzione di nuove mansioni sia di per sè una modifica degli assetti organizzativi che incidono sulla posizione del lavoratore;
    dovrebbe essere il datore di lavoro a decidere se privare un dato lavoratore di mansioni, in assenza di qualsivoglia tipo di parametro oggettivo e di alcun contemperamento dell'interesse dell'impresa con quello del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economica;
    lo schema di decreto, per quanto concerne le collaborazioni coordinate e Pag. 151continuative, in realtà si limita a circoscrivere tale tipologia contrattuale ma non la elimina: infatti, tali rapporti potranno, comunque, essere sottoscritti in determinati settori o per specifiche funzioni, ma non è specificato cosa succederà alle attuali collaborazioni, in quanto è verosimile che alcune di esse si trasformeranno in contratti a tutele crescenti, a fronte dell'incentivo bonus occupazionale, mentre per molti sussiste il rischio di rientrare nelle cosiddette partite IVA;
    considerare lavoro subordinato le prestazioni lavorative esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro prevista all'articolo 47 dello schema di decreto, rispecchia la descrizione della nozione di lavoro subordinato offerta dalla consolidata giurisprudenza;
    si corre il rischio di costituire un terzo genere di rapporto che, pur in caso di prestazioni esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento al luogo di lavoro, non potrà rientrare nel contratto a tempo indeterminato, in quanto privo del contenuto ripetitivo dando luogo quindi ad un'ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro;
    diviene sempre più arduo distinguere la prestazione esclusivamente personale, di cui all'articolo 47, rispetto alla collaborazione prevalentemente personale di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, così come la coordinazione di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile dalla etero organizzazione di cui all'articolo 47;
    il superamento del lavoro a progetto non rappresenta inoltre una scelta oculata, in quanto l'avvenuta cancellazione dell'obbligo di riconnettere ad un progetto le collaborazioni coordinate e continuative, lungi dal condurre ad una tipologia precarizzante, ha rappresentato, in realtà, l'unico strumento di contrasto al falso lavoro autonomo;
    sarebbe comunque importante che già in questa sede venissero introdotte alcune semplificazioni ulteriori della disciplina, perché ancora sussistono complessità e conseguenti incertezze interpretative, a cominciare dalla stessa definizione di lavoro subordinato;
    il Governo dovrebbe chiarire se la disciplina contenuta nel provvedimento sia sostitutiva di quella del codice civile dal momento che in materia di lavoro subordinato il testo enfatizza due elementi, sui quali è opportuno riflettere: l'etero-organizzazione in capo al datore di lavoro e la ripetitività della prestazione. Il primo elemento è riscontrabile in ogni rapporto e anche l'aspetto della ripetitività della prestazione evoca un'idea di coincidenza del lavoro subordinato con quello manuale. Le professioni intellettuali, che hanno forti elementi di autonomia, presentano però anche evidenti elementi di ripetitività: verrebbe anzi da dire che maggiore è la professionalità, maggiore è la ripetitività tuttavia spesso si riscontra un continuum nella diversa modalità con cui le prestazioni sono rese;
    la copertura del decreto, attesa la difficoltà di valutarne l'incidenza ai fini degli oneri contributivi e la possibilità di avvalersi di voucher può essere di ausilio ai fini della emersione del lavoro sommerso, ma sarebbe comunque necessario che il Governo provvedesse ad una clausola di copertura;
    vi è inoltre un'ipertrofia di regolazione della tipologia contrattuale, tipologia che dovrebbe invece trasformarsi in un più semplice contratto al lavoro modulato, in relazione alle esigenze di volta in volta insorgenti;
    a proposito della somministrazione di lavoro, è apprezzabile l'utilizzo del cosiddetto staff leasing, una forma di organizzazione del lavoro nata negli Stati Uniti e destinata a produrre i migliori risultati laddove la grande impresa fornitrice somministra alla piccola impresa il personale necessario;Pag. 152
    con riferimento al contratto di apprendistato, si accoglie l'unificazione del primo e terzo livello del contratto dal momento che in questa tipologia hanno un ruolo notevole da un lato l'istituzione educativa e dall'altro l'impresa tenendo conto che l'accesso al contratto di apprendistato andrebbe reso possibile già dai 14 anni di età, al fine di limitare i pericoli derivanti da abbandoni scolastici precoci;
    per quanto riguarda il rapporto tra lavoro indipendente e lavoro autonomo non si deve necessariamente trasformare il rapporto in subordinato, ma semmai proteggerne la dipendenza socio-economica, ad esempio, tutelando la remunerazione della prestazione autonoma in modo analogo a quanto si effettua per il salario del lavoratore dipendente, ma non costringendo la realtà in schemi che a quella realtà non corrispondono,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   a) venga limitato l'uso del contratto a tempo determinato e si preveda che la forma di contratto di lavoro ordinario sia quella a tempo indeterminato semplificando inoltre la tipologia contrattuale;
   b) si consideri ogni decisione di attribuzione di nuove mansioni come modifica degli assetti organizzativi che incidono sulla posizione del lavoratore togliendo la possibilità di dequalificazione unilaterale;
   c) si approfondisca la tematica delle partite IVA, apportando modifiche al testo finalizzate a dare semplicità e certezza alla regolazione del lavoro;
   d) si chiarisca se la disciplina contenuta nel provvedimento sia sostitutiva di quella del codice civile;
   e) si chiarisca se nel contratto a tutele crescenti a tempo indeterminato dopo 36 mesi il datore di lavoro può licenziare il lavoratore, perché altrimenti non rientrerebbe più in un contratto subordinato a tempo indeterminato;
   f) si specifichino con più precisione i criteri per impedire alle aziende di licenziare per poi poter accedere al nuovo e più vantaggioso contratto;
   g) si presentino le modifiche necessarie per dare un senso all'acausalità introdotta dal decreto-legge n. 34 del 2014 (Poletti) convertito, con modificazioni, dalla legge n. 78 del 2014 che elimina l'obbligo di indicare le ragioni che giustificano l'utilizzo del contratto a termine invece di quello a tempo indeterminato, che dovrebbe costituire la regola.
«Rizzetto».