CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 6 maggio 2015
439.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Agricoltura (XIII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Interrogazione 5-05512 Fabrizio Di Stefano: Sulle riduzioni delle quote pescabili di tonno rosso.

TESTO DELLA RISPOSTA

  La ripartizione del contingente nazionale della cattura del tonno rosso è materia di stretta competenza dell'Amministrazione centrale, quale responsabile ai fini del controllo delle relative attività di prelievo.
  In particolare, ai sensi dell'articolo 24, comma 1, del decreto legislativo n. 4 del 2012, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali può, con proprio decreto, disciplinare la pesca anche in deroga ai regolamenti nazionali, in conformità alle norme comunitarie.
  Inoltre, in base al comma 2 della medesima norma, può essere anche sospesa l'attività di pesca o possono essere disposte limitazioni in conformità alle vigenti disposizioni dell'Unione europea, al fine di conservare e gestire le risorse della pesca.
  Pertanto, la ripartizione del contingente annualmente assegnato dall'Unione europea risulta propriamente stabilita con specifico decreto ministeriale. Atteso che la quota nazionale è in incremento nel prossimo triennio con conseguente vantaggio per tutte le categorie di pesca interessata, non si ravvisa l'opportunità di modificare il criterio di ripartizione.
  Evidenzio che una rivisitazione del criterio di ripartizione delle quote potrebbe trovare giustificazione esclusivamente in caso di una eventuale riduzione del contingente di cattura assegnato a livello nazionale.
  Faccio infine presente che il succitato decreto, che fissa i criteri per la campagna di esca del tonno rosso, già firmato, è in fase di registrazione alla Corte dei corti. Il testo prevede, tra l'altro, che le necessità delle attività di pesca effettuate con attrezzi come i palangari, siano favorite attraverso un meccanismo di flessibilità particolarmente innovativo.
  Grazie ad una fissazione triennale del totale ammissibile di cattura da parte dell'ICCAT abbiamo potuto lavorare ad una programmazione di pesca con maggiore prospettiva.

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ALLEGATO 2

Interrogazione 5-05513 Fedriga: In materia di normativa ministeriale sul latte.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Come certamente saprete, lo scorso 29 aprile il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto-legge urgente che interviene proprio sul settore lattiero caseario, per la gestione della fine del regime delle quote latte. La nostra priorità è la tutela del reddito degli allevatori e con questo obiettivo siamo intervenuti con azioni concrete nel breve e medio periodo.
  Nello specifico, la norma attua la disposizione europea per il pagamento delle multe, per l'ultima campagna lattiera, in 3 anni e senza interessi. Inoltre, il provvedimento amplia la possibilità di compensazione tra produttori, nell'ambito della quota nazionale, per l'ultima campagna consentendo a chi ha superato le quote fino al 12 per cento di compensare fino al 6 per cento.
  Riguardo ai contratti di vendita, viene ribadita la necessità del contratto scritto come previsto dall'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012, e la durata minima dei contratti viene fissata obbligatoriamente in 12 mesi, insieme alla previsione espressa del prezzo da pagare alla consegna che può essere fisso o legato a fattori determinati, come indicatori di mercato, volume consegnato e qualità o composizione del latte crudo.
  Per una migliore organizzazione della filiera, prevediamo la creazione di un unico organo interprofessionale che potrà prendere decisioni valide erga omnes, a determinate condizioni, come accade in altri Paesi europei come la Francia.
  Viene rafforzato, infine, il livello di tutela degli allevatori e dei produttori di latte attraverso la riforma dell'articolo 62, con il monitoraggio dei costi medi di produzione del latte crudo da parte di Ismea e l'inasprimento delle sanzioni per la violazione delle prescrizioni del citato articolo (con multe innalzate da 3 mila a 50 mila euro). Inoltre l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole potrà segnalare all'Antitrust le possibili violazioni.
  Si tratta quindi di un intervento complessivo che si aggiunge alle azioni già intraprese in questi mesi dal Governo, per la tutela degli oltre 35 mila allevatori italiani e per il rafforzamento di un comparto strategico come quello lattiero caseario.

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ALLEGATO 3

Interrogazione 5-05514 Zaccagnini: Sugli interventi urgenti per la messa al bando del glifosato.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Ritengo utile premettere che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali può esprimersi unicamente in merito all'efficacia agronomica dei prodotti fitosanitari, mentre gli aspetti connessi alla tutela della salute umana rientrano tra le competenze del Ministero della salute.
  Detta Amministrazione sta seguendo con attenzione la questione relativa alla sostanza attiva «glifosate» ed è in attesa delle conclusioni finali che l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) si appresta a pubblicare al riguardo, conclusioni, tra l'altro, che saranno alla base di una proposta regolamentare da parte della Commissione europea.
  Nelle more del riscontro da parte dell'EFSA, la diffusione delle notizie inerenti lo studio condotto dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) sulla sostanza «glifosate» ha indotto il Dicastero della salute a richiedere in proposito un parere tecnico-scientifico all'Istituto superiore di sanità e, contestualmente, per quanto di nostra competenza, una valutazione sull'utilizzo di tale prodotto per far fronte ad avversità nel settore agricolo.
  Segnalo che la materia relativa all'uso dei prodotti fitosanitari, ivi compresi i diserbanti, è stata oggetto di una profonda revisione normativa che trova il suo fondamento nella Direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro europeo per l'uso sostenibile dei pesticidi.
  Il recepimento di questa Direttiva nell'ordinamento italiano ha dato origine ad un Piano d'azione nazionale (PAN) adottato, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della salute, con decreto 22 gennaio 2014.
  Il PAN ha introdotto una serie di misure che concorrono ad un uso più corretto e sostenibile dei prodotti fitosanitari con l'obiettivo di tutelare la salute umana e l'ambiente. Nello specifico è stato previsto il divieto di tutti i prodotti fitosanitari in talune aree frequentate dalla popolazione.
  Faccio infine presente la recente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto del 10 marzo 2015, anch'esso adottato dal Ministro delle politiche agricole, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della salute, con il quale sono state approvate le Linee guida di indirizzo per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di prodotti fitosanitari e dei relativi rischi nei Siti Natura 2000 e nelle aree naturali protette.

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ALLEGATO 4

Interrogazione 5-05515 Rostellato: Sulle misure di contrasto alla diffusione della Peronospora belbahrii.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Premetto che le tematiche afferenti all'autorizzazione e l'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari competono al Ministero della salute che, avvalendosi della commissione consultiva per i prodotti fitosanitari, verifica la conformità dei requisiti di un prodotto fitosanitario e ne stabilisce l'autorizzazione.
  Preciso che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali partecipa alla predetta Commissione esclusivamente in relazione alle proprie competenze agronomiche, pronunciandosi sull'efficacia dei prodotti fitosanitari.
  Riguardo alla necessità di autorizzare l'uso del prodotto fitosanitario denominato CABRIO DUO, su coltura di basilico, per contrastare il patogeno Peronospora belbharii, le indicazioni d'uso riportate nella relativa etichetta non prevedono l'utilizzo sul basilico.
  L'autorizzazione eccezionale menzionata nell'interrogazione è stata concessa nel 2013, in virtù di quanto previsto dall'articolo 53 del Regolamento n. 1107 del 2009, in base al quale viene consentito agli Stati membri di autorizzare in situazioni di emergenza fitosanitaria e per non oltre centoventi giorni l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari per un uso limitato e controllato.
  L'analoga richiesta di autorizzazione eccezionale, presentata quest'anno per l'estensione di impiego del prodotto CABRIO DUO per il controllo della Peronospora belbharii su basilico, non è invece stata accolta dalla predetta Commissione in quanto sono presenti in commercio due prodotti già autorizzati per la stessa coltura e stessa avversità.
  In tale contesto, non sono stati forniti specifici elementi tecnico-scientifici (come dati di efficacia o problematiche legate alla resistenza) che sostenessero la necessità di avere a disposizione un ulteriore prodotto, a fronte dei due già presenti sul mercato.
  In merito alla richiesta di inserire, in via definitiva in etichetta, l'indicazione relativa all'autorizzazione d'impiego del prodotto fitosanitario denominato CABRIO DUO sulla coltura del basilico in campo, ricordo che tale procedura è disciplinata dall'articolo 33 del già citato Regolamento (CE) n. 1107 del 2009.
  Per la necessità di incrementare i controlli sulle sementi al fine di evitare la diffusione del fungo, si sottolinea che le sementi di specie agrarie ed ortive regolamentate a livello nazionale, ai fini della loro certificazione e successiva commercializzazione, devono soddisfare le condizioni minime stabilite dal decreto del Presidente della Repubblica 8 ottobre 1973, n. 1065 (allegato VI). In particolare, le sementi devono essere prive di organismi nocivi da quarantena ed inoltre, gli altri organismi nocivi che riducono il valore di utilizzazione delle sementi, devono essere al di sotto di specifiche soglie di tolleranza stabilite per ogni tipologia di semente.
  Ai fini della verifica di dette condizioni, prima della commercializzazione, le sementi vengono sottoposte ad ispezioni fitosanitarie e controlli di certificazione, nonché a specifiche analisi, al fine di verificare che la presenza di eventuali malattie sia al di sotto delle soglie di tolleranza stabilite.

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ALLEGATO 5

Interrogazione 5-05516 Gallinella: Sull'attività dell'Associazione italiana allevatori.

TESTO DELLA RISPOSTA

  In merito all'interrogazione posta, preciso che per l'Associazione Italiana Allevatori non è prevista alcuna forma di contribuzione di natura pubblica da fonte ministeriale per la partecipazione a Expo Milano 2015. L'investimento previsto per la presenza dell'AIA come indicato dagli interroganti è dunque frutto di scelte dell'associazione stessa. L'articolo 5 dello statuto dell'associazione, peraltro, prevede che per la valorizzazione del prodotto italiano possano essere intraprese azioni di promozione, ed eventualmente organizzazione, di congressi, convegni, riunioni, fiere e mostre, concorsi ed aste.
  Specifico, poi, che gli unici finanziamenti concessi riguardano esclusivamente le attività istituzionalmente e periodicamente svolte ai sensi della legge n. 30 del 1991, relativa alla disciplina della riproduzione animale, i cui programmi sono annualmente concordati con il sistema delle regioni e delle province autonome.
  In questo contesto sottolineo che il sistema allevatoriale sarà oggetto di una prossima riorganizzazione basata, fondamentalmente, sui seguenti princìpi:
   a) riorganizzazione del sistema del miglioramento genetico e della riproduzione animale finalizzato anche al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla politica agricola comune;
   b) iscrizione ai libri genealogici e ai registri anagrafici come elemento per l'individuazione della razza e per la certificazione d'origine;
   c) riconoscimento del principio della unicità e multifunzionalità del dato raccolto per la tenuta del libro genealogico o del registro anagrafico e definizione delle modalità di accesso alle banche dati da parte di terzi, attraverso sistemi open data.

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ALLEGATO 6

Risoluzione n. 7-00487 Cenni: Sulla trasposizione in protocollo internazionale e in sede nazionale delle risultanze dell'EXPO 2015.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

  La XIII Commissione,
   premesso che:
    il tema prescelto dall'Italia per l'Esposizione universale del 2015, «Nutrire il pianeta, energia per la vita», rappresenta una delle grandi sfide globali di questa epoca: ha focalizzato l'attenzione sugli aspetti generali e culturali dell'accesso al cibo, della sicurezza alimentare, della nutrizione, della sostenibilità dei sistemi alimentari, della riduzione della povertà e dell'uso corretto delle risorse del pianeta;
    nell'indicare questa sfida, l'Italia si allinea al lavoro delle organizzazioni internazionali che stanno predisponendo ogni strumento utile per far progredire la comunità globale sui temi della sicurezza alimentare, sulla sconfitta della fame e della denutrizione, sull'aggressione ai temi della diseguale distribuzione del cibo;
    pervenire a una strategia globale comune significa molte cose: accrescere le scorte alimentari, riducendo sensibilmente l'impatto ambientale dell'agricoltura in tutto il mondo, ricercare l'equilibrio tra la necessità di produrre cibo sufficiente e il dovere di tutelare il pianeta per le generazioni future;
    ripartire dalla terra e dalle sementi significa occuparsi seriamente del modello di sviluppo, parlare di economia in termini nuovi, estendere il concetto di democrazia all'accesso al cibo; significa parlare di ambiente, di clima, di salute, di corretto uso del suolo, interrogarsi sul reddito degli agricoltori e sull'abbandono delle campagne;
    la grande forza contenuta nel tema scelto per Expo 2015 sta infatti nell'opportunità di svolgere questa matassa: i semi, la produzione agricola, l'accesso al cibo e alla terra, la remunerazione adeguata degli agricoltori che, con il loro lavoro, non si limitano a seminare, curare la terra e i prodotti, ma presidiano il suolo, evitano frane, alluvioni e, se le loro pratiche sono corrette, contribuiscono al contrasto dei mutamenti climatici e al risparmio idrico; se scelgono pratiche biologiche contribuiscono alla nostra salute e a quella della terra, ed ancora affrontare il tema degli scambi e del commercio internazionale, così come lo sviluppo locale;
    «Nutrire il pianeta» significa provare ad accorciare le distanze tra Occidente e Sud del mondo, arginare la corsa alla terra, invertire la rotta di un pianeta impazzito in cui il numero dei bambini obesi sta superando quello dei bambini che non hanno accesso al cibo;
    la creazione di un modello di consumo e produzione sostenibili necessita di un intervento globale in cui le azioni dei Governi e delle istituzioni siano tese alla protezione e alla conservazione delle risorse del pianeta, allo sviluppo sostenibile, ad un uso efficiente delle risorse, alla lotta contro la fame e ad affermare il diritto alla sicurezza alimentare per tutti gli abitanti del pianeta;Pag. 217
    pesano sulla coscienza dell'Occidente, dell'Europa e del nostro Paese gli sprechi alimentari, si tratta di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo commestibile sottratto alla sua funzione vitale, pari ad un terzo della produzione globale di alimenti e quattro volte la quantità necessaria a nutrire i 925 milioni di persone nel mondo a rischio denutrizione (dati FAO);
    gli sprechi alimentari gravano, inoltre, sul clima, sulle risorse idriche, sul suolo e sulla biodiversità; la decomposizione dei rifiuti alimentari produce metano, gas ed effetti serra; ogni chilogrammo di cibo prodotto comporta oltre 4,5 chilogrammi di CO2 equivalente;
    l'agricoltura industrializzata concorre alla responsabilità del riscaldamento globale, emette più gas serra di tutti i mezzi di trasporto messi insieme a causa del metano prodotto dagli allevamenti intensivi e dalle risaie, del protossido di azoto dei campi fertilizzati e dell'anidride carbonica che deriva dal disboscamento delle foreste pluviali per liberare terreni da coltivare o adibire a pascolo;
    l'agricoltura intensiva è fonte di consumo e inquinamento dell'acqua, il deflusso di fertilizzanti e letame devasta i fragili equilibri di laghi, fiumi ed ecosistemi costieri; essa accelera anche la perdita della biodiversità, cancellando habitat importanti, accelerando l'estinzione della flora e della fauna selvatica;
    la visione attuale dello sviluppo agricolo pone sfide ambientali enormi, rese ancora più pressanti dal crescente bisogno di cibo in tutto il mondo conseguente alla crescita demografica e alla diffusione del benessere soprattutto in Cina e in India, che fa aumentare la domanda di carne, uova e latticini e, di conseguenza, la necessità di coltivare granturco e soia per nutrire un numero sempre maggiore di bovini, polli e maiali;
    il dibattito sulla sfida alimentare si è polarizzato su posizioni contrastanti che oppongono l'agricoltura convenzionale e il commercio mondiale ai sistemi alimentari locali e alle piccole fattorie biologiche, non c’è, tuttavia, contraddizione tra una maggiore competitività e modernizzazione del comparto agricolo e la sua capacità di adottare pratiche sostenibili;
    è necessario concentrarsi sulle sfide prioritarie per sfamare l'intera umanità evitando di danneggiare il clima e l'ambiente e questo è possibile sviluppando la ricerca e l'innovazione in agricoltura al fine di:
     a) rendere più produttivi i terreni utilizzando l'alta tecnologia, i sistemi agricoli di precisione, ma anche i metodi della coltivazione biologica per aumentare drasticamente le rese delle terre meno produttive, soprattutto in Africa, in America Latina e in Europa Orientale;
     b) usare le risorse in maniera più efficiente tramite un'applicazione mirata di fertilizzanti e pesticidi, che riducano al minimo il deflusso delle sostanze chimiche nei corsi d'acqua e sostenere la strategia more crop per drop (più raccolto per ciascuna goccia), anche attraverso l'estensione dei terreni coltivati ad agricoltura biologica;
     c) modificare la dieta per nutrire nove miliardi di persone; oggi solo il 55 per cento delle calorie dei cibi coltivati nutre direttamente le persone, il resto alimenta il bestiame (circa il 36 per cento) o viene trasformato in biocarburanti e prodotti industriali (circa il nove per cento); si devono trovare modi più efficienti per allevare il bestiame ed è necessario consumare meno carne, passando dall'allevamento intensivo all'allevamento a pascolo e riducendo l'uso di sostanze alimentari per la produzione di biocarburanti nel mondo ci sarebbe molto più cibo;
     d) ridurre gli sprechi; si calcola che il 25 per cento delle calorie da cibo e fino al 50 per cento del peso totale del cibo vadano perduti o sprecati prima di essere consumati;
    il 19 gennaio 2012, il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria la risoluzione su come «Evitare lo spreco Pag. 218di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'UE» in cui si definisce lo «spreco alimentare» e si pone l'obiettivo di ridurre del 50 per cento gli sprechi alimentari entro il 2015 e di dedicare il 2014, anno europeo contro lo spreco alimentare, al miglioramento dell'efficienza della catena alimentare degli Stati membri;
    anche il Parlamento nazionale è già intervenuto sullo spreco alimentare con atti di indirizzo centrati sulle misure da adottare per combatterlo e ridurlo e per promuovere la necessità di un «patto globale del cibo» tra i partecipanti all'Expo;
    tra le macroquestioni che riguardano la sicurezza alimentare spicca la parità di genere e l’empowerment delle donne, quali condizioni fondamentali per sradicare la fame e la malnutrizione nel mondo; le donne svolgono un ruolo essenziale sia come produttrici di cibo attraverso piccole attività agricole, allevamento e pesca, sia come amministratrici delle risorse naturali;
    la centralità dei temi legati ai diritti delle donne è stata riconosciuta anche dal Ministero degli affari esteri italiano, che ha promosso il progetto Women for Expo per affrontare a livello globale le politiche di genere e la realizzazione di una «Carta delle donne sulla sicurezza alimentare», nella quale sono impegnate le tre agenzie del polo agroalimentare delle Nazioni unite di Roma;
    il 2014 è stato l'anno internazionale dell'agricoltura familiare, cui è dedicato un capitolo all'interno della politica comune europea (PAC) ed è, quindi, necessario sviluppare politiche appropriate a supporto di specifico settore perché è ormai certo che al suo interno si preserva meglio la biodiversità;
    nel contesto dell'agricoltura familiare, che nutre circa il 70 per cento del pianeta, sono numerose le conoscenze che si trasmettono tra genitori e figli, ed è importante che l'Expo divenga il luogo d'elezione per mostrare al mondo le buone pratiche in termini di politiche agricole che mettono l'accento sui modelli sostenibili;
    il ruolo delle donne e l'agricoltura familiare sono fondamentali per conseguire un modello di crescita economica equo e inclusivo, in grado di garantire il recupero di aree incolte e la nascita di nuove attività agricole laddove ce n’è più bisogno per consentire alle persone indigenti di produrre e acquistare sul posto almeno gli alimenti essenziali per sfamarsi e per crescere i propri figli;
    nei prossimi decenni le regioni europea e mediterranea dovranno far fronte all'impatto di cambiamenti climatici particolarmente negativi, i quali, combinandosi agli effetti dovuti alle pressioni antropiche sulle risorse naturali, faranno dell'Europa meridionale e del Mediterraneo le aree più vulnerabili del continente. Sul tema sono al lavoro competenze, ricercatori che attraverso una rete internazionale diretta dal Prof Jeffrey Sachs (UN SDSA United Nations Development solution Network) che nei giorni scorsi hanno tenuto la seconda conferenza nazionale dal titolo «Solutions for AgriFood Soustenaibility in the mediterranean politicies, Technologies and business Models»;
    le proiezioni climatiche per il futuro indicano un aumento delle temperature in tutte le regioni europee e un aumento degli eventi estremi (inondazioni costiere e fluviali), che potranno mettere a rischio vite umane e infrastrutture, le disponibilità idriche diminuiranno specialmente nella regione mediterranea, diventando fattore limitante della produzione agricola; i cambiamenti climatici sono destinati ad avere impatti gravi anche sulla biodiversità con il rischio di estinzione di varie specie;
    l'area mediterranea risulta essere quella a maggior rischio di crisi sistemica, per effetto della concomitanza di molteplici fattori di stress climatico che impattano negativamente su settori diversi;Pag. 219
    per quel che attiene alla produzione agricola in Italia i cambiamenti climatici produrranno una potenziale riduzione della produttività soprattutto per le colture di frumento, ma anche di frutta e verdura, mentre le coltivazioni di ulivo, agrumi, vite e grano duro potrebbero essere possibili nel nord dell'Italia, mentre nel Sud la coltivazione del mais potrebbe peggiorare e risentire ancor più della scarsa disponibilità di acqua irrigua;
    anche per questo all'interno del programma della presidenza italiana per il semestre europeo un capitolo importante è dedicato al quadro delle politiche dell'energia e del clima per favorire il rapido sviluppo del «Quadro 2030» dell'Unione europea in materia di clima ed energia, indispensabile al fine di garantire la continuità delle politiche climatiche ed energetiche dell'Unione europea, nonché per assicurare il necessario grado di stabilità e prevedibilità per gli operatori economici;
    l'Italia ha iniziato nel 2012 l'elaborazione di una strategia nazionale di adattamento, che è in corso di aggiornamento e che dovrà essere presentata quest'anno, le misure riguardano vari settori e prevedono opere di difesa idraulica del territorio, restauro ecosistemi acquatici, lotta all'erosione, sistemi di difesa delle colture agrarie, piani di allerta, sistemi di previsione e allarme e rafforzamento della protezione civile, strategie di pianificazione urbanistica e territoriale, interventi sugli edifici pubblici, miglioramento della qualità dell'aria urbana;
    in tale contesto si delinea la funzione straordinaria dell'agricoltura, il suo compito di presidio e cura della terra, del suolo bene comune, messi pesantemente in discussione da forme di abbandono della terra, e dalla cementificazione di terreno agricolo;
    negli ultimi 40 anni, secondo i dati del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, sono andati perduti circa 5 milioni di ettari, una cifra spaventosa che va tradotta in superficie non coltivata, in terrazzamenti abbandonati, di cui ci si accorge dopo il disastro o quando nei mercati si fa fatica a trovare prodotti italiani;
    è una rotta pericolosissima quella che si è intrapresa, ma l'inversione di tendenza è possibile promuovendo un'agricoltura che riduca l'apporto di input esterni, che immagazzini CO2, che utilizzi fonti rinnovabili, che accresca e favorisca l'agricoltura biologica, che privilegi la biodiversità e la rotazione alla monocoltura industrializzata, che conservi e riproduca le propria ricchezza sementiera, che privilegi colture a basso consumo idrico, che recuperi e conservi la risorsa idrica, che attui politiche di adattamento ai mutamenti climatici e che guardi al futuro modificando le proprie politiche;
    da anni, a livello nazionale, europeo e globale si è avviato un intenso dibattito sul tema delle sementi, strettamente legato ai grandi temi della sovranità e della sicurezza alimentare, dei mutamenti climatici, della competitività e della remunerazione degli agricoltori;
    negli ultimi dieci anni tale mercato ha subito un grande processo di ristrutturazione e di concentrazione nella mani di pochi soggetti che, provenendo dal settore dei prodotti chimici per l'agricoltura, si sono interessati al business del mercato globale delle sementi quando l'ingegneria genetica è stata applicata alle piante, tanto che oggi quasi il 60 per cento del mercato mondiale delle sementi è nelle mani di quattro multinazionali (Monsanto, Dupont, Sygenta, Bayer), per un volume di affari di circa 15 miliardi di dollari l'anno;
    le citate multinazionali hanno brevettato un alto numero di sementi che hanno reso, una grandissima parte dell'agricoltura, del tutto dipendente dall'acquisto di fertilizzanti, erbicidi e sementi riprodotti in grandi quantità, ottenendo sostanzialmente il monopolio del settore;
    i brevetti sono fattori fondamentali della concentrazione del mercato nelle mani delle multinazionali che sono riuscite in tal modo a togliere dalle mani Pag. 220dell'attore principale, l'agricoltore, una pratica ancestrale, quella della riproduzione e della conservazione dei propri semi;
    la brevettazione delle sementi richiede procedure costose ed ha come conseguenza l'aumento dei prezzi e la costante sparizione dal mercato delle varietà tradizionali, quelle riprodotte e selezionate naturalmente; in tal modo, lo scopo fondamentale del cibo, quello di nutrire gli esseri umani e il pianeta, viene piegato agli interessi economici di poche multinazionali;
    il valore della biodiversità è tuttavia ben noto a questi grandi e potenti gruppi, perché tra le pratiche più recenti c’è la bio pirateria, e cioè la ricerca di varietà locali non registrate, la parziale modifica di queste varietà e il tentativo di brevetto su quello che viene spacciato quale prodotto di ricerca;
    la FAO ha stimato che in 100 anni si registrerà la perdita del 75 per cento della biodiversità agricola a causa della diffusione globale di poche varietà vegetale. Alla fine del secolo scorso in Italia esistevano oltre 400 varietà di frumento, mentre dal 1996 solo 8 varietà di frumento duro costituivano l'80 per cento del seme messo a coltura. Secondo alcuni studiosi il 50 per cento del grano negli USA è rappresentato da 9 varietà. Il 75 per cento delle patate da 4 varietà, il 50 per cento della soia da 6 varietà, il 74 per cento delle varietà di riso in Indonesia discende da un solo medesimo ceppo;
    la distruzione della biodiversità, l'impoverimento dei suoli ove si pratica monocoltura ed agricoltura intensiva, vanno avanti nonostante i risultati assai deludenti nelle rese delle piante geneticamente modificate che non producono più di quelle tradizionali, come dimostrano i dati reperibili nel sito del dipartimento di agricoltura degli Usa che monitora le produzioni di mais e soia dal 1977 al 2007, confermando che l'interesse a continuare sulla strada intrapresa da poche multinazionali non riguarda, come si vuol far credere la lotta alla fame nel mondo, ma la proprietà industriale dei semi e il monopolio che ne deriva;
    la manipolazione genetica delle varietà vegetali porta all'appiattimento e all'omologazione disperdendo quella ricchezza e quella diversità che per secoli ha consentito ai contadini di riprodurre i propri semi, di scambiarli, di conservarli, di selezionarne i più adatti al terreno, al clima, alle necessità produttive, alla pioggia o alla siccità, alla pianura o alla montagna;
    le normative nazionali e dell'Unione europea non hanno favorito le varietà locali, imponendo un procedimento di registrazione molto complesso, obbligatorio ai fini della commercializzazione, una classificazione precisa e requisiti difficilmente riscontrabili in varietà non commerciali, norme chiaramente orientate a sostenere un modello di agricoltura industriale, poco adatto alla storia e al modello agricolo italiani;
    in merito si ricorda che la Camera dei deputati ha già approvato all'unanimità il 18 dicembre 2014 le «Norme per la valorizzazione della biodiversità agricola e alimentare», testo oggi all'esame del Senato, e che l'11 marzo 2015 il parlamento Europeo ha licenziato la direttiva 2015/412 che consente ai singoli Stati membri la possibilità di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loro territorio;
    la lunga battaglia contro l'obbligo di ospitare coltivazioni di OGM sul territorio italiano sembra vinta, con essa vincono le peculiarità territoriali, la scelta sostenuta da imprese ed istituzioni locali di valorizzare le produzioni locali e di accorciare le filiere, di affermare modelli agricoli diversi dall'agricoltura intensiva, basati sul valore competitivo della biodiversità, sulle varietà di semi e di colture che rappresentano un elemento identitario dei nostri territori e della nostra comunità nazionale,
    lo scorso 7 febbraio, a Milano, con un grande appuntamento promosso dal Pag. 221Governo, si è avviato un lavoro di approfondimento e redazione dei contenuti che dovranno portare alla «Carta di Milano», documento che pertanto dovrebbe raccogliere molte delle sollecitazioni sopra richiamate e rappresentare la base di un possibile lavoro di carattere internazionale;

impegna il Governo

   a valutare la possibilità di adoperarsi, in tutte le sedi internazionali, affinché i frutti degli approfondimenti e delle conoscenze che scaturiranno da EXPO 201, nonché i contenuti della «Carta di Milano», siano trasposti in un protocollo internazionale, sulla falsariga di quello di Kyoto e, per quanto riguarda il nostro Paese, in un atto di indirizzo secondo le seguenti linee:
    a) utilizzare l'opportunità di Expo 2015 per informare i cittadini sulla necessità di nutrire il pianeta, mediante messaggi molto semplici: un'alimentazione sufficiente, sicura e nutriente deve essere disponibile per tutti in ogni momento; l'alimentazione dei bambini è una priorità per lo sviluppo, tutti i sistemi alimentari devono essere sostenibili, posto che si può produrre più cibo tutelando al tempo stesso la biodiversità e l'ambiente, si deve investire nei piccoli agricoltori, uomini e donne, e si è tutti responsabili nell'eliminare perdite e sprechi;
    b) attivarsi in ogni sede europea per non ledere il diritto dei cittadini europei di non tenere sistemi agricoli differenziati in un'ottica di sostegno delle biodiversità, anche nel settore sementiero, bloccare regolamenti di riforma del sistema sementiero compiendo una scelta netta e definitiva contro l'ingresso di OGM nel nostro Paese;
    c) incrementare le risorse per la ricerca scientifica ed applicata in agricoltura, finalizzata all'adattamento delle colture ai cambiamenti climatici per le principali colture euro-mediterranee, e accrescere la produttività agricola nel contesto della tutela della biodiversità;
    d) promuovere la semplificazione delle normative europee e nazionali sulle produzioni tipiche locali, incrementando i controlli e la sorveglianza sui prodotti, anche sementieri, e intervenendo anche con sanzioni pesanti a fronte della violazione delle norme;
    e) sostenere la realizzazione di modelli di produzione e consumo più sostenibili attraverso una decisa azione di riduzione degli sprechi alimentari basata soprattutto sulla prevenzione e sul riutilizzo degli alimenti edibili per il consumo umano e animale e, solo come opzione successiva, prevedere il loro smaltimento come rifiuto per produzione di energia, anche in sinergia con le Reti di conoscenza internazionale che stanno mettendo a punto modelli in questa direzione;
    f) favorire, nell'ottica dello «spreco zero», gli accordi della filiera agroalimentare affinché tutti i soggetti coinvolti abbiano una precisa responsabilità nella riduzione degli sprechi, prevedendo misure di informazione e sensibilizzazione degli operatori dell'intera filiera del cibo per incentivare comportamenti responsabili e consapevoli, anche utilizzando la fiscalità ambientale per incentivare i comportamenti corretti e scoraggiare gli abusi;
    g) orientare le politiche agricole e le risorse a favore dell'agricoltura contadina familiare, per favorire una produzione alimentare sostenibile volta alla conservazione della biodiversità delle specificità locali, dello sviluppo globale dell'economia, della sicurezza alimentare e della salvaguardia ambientale, migliorando le condizioni sociali ed economiche dei piccoli agricoltori;
    h) promuovere forme sostenibili di agricoltura e di produzione alimentare che tengano conto dei cambiamenti climatici in atto e della tutela delle risorse ambientali, anche attraverso la graduale riconversione degli allevamenti intensivi, il rispetto degli obiettivi di riduzione delle emissioni, la pianificazione e la gestione delle risorse idriche destinate all'agricoltura;Pag. 222
    i) promuovere la coltivazione delle terre abbandonate e incolte, favorendo il ricambio generazionale e l'ingresso di giovani generazioni in agricoltura, per contrastare il rischio idrogeologico, valutando la possibilità di istituire una banca dati nazionale delle terre incolte e abbandonate, anche ai fini della piena applicazione della legge 4 agosto 1978, n. 440, recante «Norme per l'utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate»;
    l) favorire, nell'ottica dell'ampliamento della democrazia economica, l'ingresso delle donne e dei giovani nel settore agricolo, supportando con risorse e servizi lo sviluppo dell'agricoltura famigliare anche ai fini di difendere la fertilità del suolo contro pratiche agricole sbagliate, e sostenendo l'agricoltura biologica;
    m) favorire il recupero e la riproduzione di varietà vegetali a rischio di impoverimento o estinzione, supportando gli agricoltori che salvaguardano le varietà locali, custodiscono e riproducono le sementi, tutelando la biodiversità;
    n) favorire l'educazione alimentare introducendone l'insegnamento nella programmazione scolastica, per promuovere un'alimentazione più sana, monitorando e valutando i comportamenti nutrizionali della popolazione e prevedendo specifiche attività per introdurre una corretta alimentazione a partire dalle scuole elementari e dell'infanzia;
    o) favorire il rapporto tra agricoltura e città per trovare soluzioni innovative alle esigenze sempre più complesse della società interessata a forme nuove di produzione degli alimenti e di riqualificazione urbana.
    p) ad accogliere i contenuti di cui sopra nel contributo che, a partire da Expo 2015, condurrà alla redazione degli obiettivi del millennio.
(8-00108) (Nuova formulazione) «Cenni, Sani, Franco Bordo, Catania, Faenzi, Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Braga, Borghi, Bratti, Capozzolo, Carra, Catanoso, Civati, Cova, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Lavagno, Mariani, Marrocu, Mongiello, Palma, Pollastrini, Prina, Romanini, Scuvera, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zaccagnini, Zanin».

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ALLEGATO 7

Risoluzioni 7-00625 Mongiello, 7-00645 L'Abbate e 7-00661 Zaccagnini: Iniziative per il rilancio del piano olivicolo nazionale.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

  La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'annata 2014 per l'olio extravergine di oliva italiano è stato un «anno nero». La campagna del 2014 si ricorderà per un calo produttivo drammatico, con una riduzione del 30-40 per cento rispetto alla media nazionale degli anni precedenti. Una situazione che ha messo in crisi i produttori olivicoli e le coltivazioni di pregio del Paese, rispetto alla quale è ormai necessario adottare azioni urgenti. Seppure dovesse risultare che il calo produttivo del 2014 sia stato un fatto occasionale, rimane tuttavia fermo che sono sempre troppi e di lungo retaggio i rischi per il settore: continua perdita di competitività, mancata innovazione, abbandono della produzione ed elevata possibilità di esporre l'olio italiano a fenomeni fraudolenti;
    l'olio extravergine di oliva è l'unico olio vegetale direttamente commestibile, quindi dotato di complessi di gusto ed aroma che ne determinano i crescenti consumi mondiali. La produzione mondiale è in aumento e stabilizzata dal 2010 su oltre 3.000.000 tonnellate/anno. È una «commodity» di alto valore, che con meno del 4 per cento della produzione di oli vegetali movimenta il 20 per cento del mercato;
    l'Italia storicamente aveva una posizione di rilievo per le caratteristiche qualitative del prodotto e per la importanza quantitativa delle produzioni in un mondo che vedeva l'olivo come pianta colonizzatrice e l'olio come produzione povera, talora malfatta e maleodorante, da inviare a raffinerie italiane che lo trasformavano in oli di oliva commestibili. Oggi la realtà mette in evidenza che in tutti i Paesi olivicoli e non olivicoli le piantagioni di olivo sono diventate piantagioni da reddito, e la nuova olivicoltura mondiale, che arriva appunto a 3.000.000 di tonnellate, è ottenuta con nuove e moderne piantagioni, altamente produttive, competitive, con produzioni di qualità crescente, in grado di competere sui mercati allo stesso livello delle qualità italiane, con la differenza che l'Italia con le sue produzioni decrescenti attualmente non è in grado di imporsi in nessun tipo di mercato; nel 2013/2014 la produzione italiana, probabilmente inferiore alle 400.000 tonnellate da stime ancora da verificare, rappresenta solo il 13 per cento della produzione mondiale;
    come ben risulta dal testo e dagli allegati del piano olivicolo-oleario 2009/2013 predisposto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ad oggi ormai superato, il comparto produttivo risulta compromesso. Il Comparto olivicolo può contare solamente su circa un milione di aziende, di cui gran parte in zone collinari e deve fare i conti con coltivazioni di proprietà che gestiscono 100 o 250 piante di olivo come patrimonio aziendale, con l'età stessa delle piantagioni che, ad esempio, in alcune zone di Italia supera i 300-500 anni, con l'estrema frammentazione varietale, con un innumerevoli cultivar delle quali non si conoscono né il Pag. 224comportamento agronomico né le caratteristiche dell'olio. Sono queste solo le più evidenti criticità dell'olivicoltura attuale dell'Italia che danno appena un'idea delle difficoltà del comparto, ove il ricambio generazionale ha ormai fatto venir meno i tradizionali agricoltori;
    questa situazione comporta anche riflessi pesantemente negativi sulle tecniche di conduzione, approssimative e mirate al massimo risparmio fino a nessun intervento, riportando la coltivazione dell'olivo ad una coltura di sussistenza ed in certi casi senza tener conto della conservazione dell'ambiente;
    ciò d'altro canto provoca anche difficoltà insormontabili per la produzione di olio di qualità, visto che la maggior parte degli agricoltori raccoglie le drupe quando può, frange quando può e come può, mentre la mancanza di disponibilità economico-finanziarie limita anche i più essenziali interventi di fertilizzazione e di difesa;
    l'ultima campagna ha messo drammaticamente alla luce i difetti, le manchevolezze e le necessità delle strutture produttive; una previsione di produzione già nettamente inferiore alle attese, mostrava già le tendenze al decremento del comparto. Un forte attacco di mosca olearia, lasciato incontrollato per mancanza di mezzi economici per effettuare i necessari trattamenti e l'abbandono di frutti sulla pianta determinato dal loro basso valore, unitamente alla diffusione della xylella fastidiosa, hanno determinato una produzione olearia di solo circa 250.000 mila tonnellate, ossia fortemente sottodimensionata rispetto al fabbisogno nazionale che è di circa 1 milione di tonnellate di cui circa 600.000 per il consumo interno e 400.000 per l’export, in un momento in cui il valore dell'olio stava risalendo verso limiti di convenienza economica e malgrado nel Mediterraneo si annunciassero produzioni da record;
    il paradosso di questa situazione è che questo aumento del valore dell'olio andrà a favore dei principali competitori italiani;
    per valutare attentamente le possibilità e gli indirizzi di sviluppo del comparto olivicolo, occorre verificare il mercato generale, il comportamento e le produzioni dei principali Paesi olivicoli e le spinte allo sviluppo del comparto olivicolo-oleario a livello globale. Nell'orizzonte europeo, compare gigantesca la montagna produttiva spagnola che ancora una volta supera 1.500.000 tonnellate (circa il 50 per cento della produzione mondiale), con produzioni provenienti da piantagioni nuove, irrigue specializzate, integralmente meccanizzabili ed inserite in una filiera già in corso di adeguamento alle caratteristiche qualitative che il mercato richiede; gli agricoltori spagnoli hanno rinnovato le piantagioni, riorganizzato le filiere, acquistato marchi di prestigio anche italiani ed ora stanno lavorando intensamente sulla qualità intrinseca delle loro maggiori produzioni nazionali. Competere con queste realtà significa competere tecnologicamente;
    sempre nell'ambito europeo, la Grecia si presenta con una olivicoltura solo parzialmente rinnovata, ma con oli di elevata qualità ed a prezzi relativamente bassi. Nell'ambito del Mediterraneo una forte spinta al miglioramento tecnologico nello specifico settore dell'olivicoltura è in atto in Marocco, che tre anni fa ha lanciato il programma «Maroc Vert», che prevede interventi praticamente a fondo perduto per nuove piantagioni, ed in Turchia, ove l'olivo è visto come un investimento produttivo ed il potenziale di esportazione di questo Paese si sta avvicinando alle 100.000 tonnellate/anno. In sottofondo rimangono ancora Paesi come Siria e Tunisia, che insieme possono coprire 400.000 tonnellate (quantità pari all'attuale produzione italiana) di oli a basso costo;
    al di fuori dell'area mediterranea si stanno sviluppando interessanti realtà olivicole, delle quali si deve tener conto, perché, se non influenzano il mercato nazionale, sono delle minacce concrete per le esportazioni. Negli Stati Uniti, in California, sta crescendo un nucleo di olivicoltori Pag. 225che mirano ad impadronirsi del mercato nordamericano, che rappresenta la migliore zona di esportazione degli oli italiani. Questo avviene sia con l'immissione sul mercato di oli di buona qualità prodotti in California, con impianti moderni, ma anche attraverso organi di stampa e dossier ufficiali che evidenziano i difetti del sistema produttivo italiano, praticamente inesistente nel loro immaginario collettivo;
    nell'America del Sud, Cile ed Argentina sono impegnati nella produzione di olio attraverso nuove piantagioni, e l'Argentina ha dichiarato l'olio di oliva «alimento nacional»; attualmente è accreditata di una produzione reale di 30.000 tonnellate, con grandi ambizioni sul mercato nordamericano (Stati Uniti, Canada);
    dall'altra parte del globo, la realtà australiana, ancora modesta, ma tutta costituita da nuove piantagioni, mira ai mercati orientali che rappresentano un potenziale sbocco anche per le produzioni italiane;
    si tratta, in genere, nel resto d'Europa (Portogallo, Spagna, Francia e parzialmente Grecia) e nel resto del mondo (Marocco, Turchia, Sudamerica, Australia) di olivicolture da reddito ove l'unica finalità dell'impianto è produzione di oli di oliva ottenuti con tecnologie moderne di raccolta, trasformazione, e ben organizzate, in grado di dare tutte oli di eccellente qualità sotto il profilo di genuinità e purezza, e di caratteristiche organolettiche talora diverse, ma non necessariamente inferiori a quelle del prodotto nazionale;
    per fermare l'abbandono ed il «disamoramento» dell'olivicoltura come fatto produttivo che trascinerebbe inesorabilmente nella caduta anche alcune delle linee commerciali più rilevanti del «made in Italy» come gli oli di alta qualità, occorre prendere atto che la struttura deve essere modificata; questo non sarà fatto certamente in un arco di tempo breve, e senza un adeguato intenso lavoro di programmazione; si dovrebbe iniziare innanzitutto a ricostruire lo scheletro di una struttura produttiva efficiente attraverso nuove piantagioni che siano nel giro di pochi anni in grado di sopperire almeno ai fabbisogni nazionali e mantenere l'immagine di un mondo olivicolo dinamico e produttivo in grado di sostenere un'esportazione di qualità, e ridare al Paese un settore capace di dare occupazione e recuperare quelle forze lavoro che derivano dall'abbandono progressivo dell'olivicoltura tradizionale;
    queste nuove piantagioni dovrebbero possedere tutti i requisiti per lo sviluppo e l'applicazione di tutte le moderne tecnologie;
    in numerosi distretti rurali esistono ampie zone a vocazione olivicola-agricola, ove si potrebbe operare con queste nuove piantagioni, che assumerebbero un importate ruolo nella evoluzione del paesaggio analogamente a quanto avvenuto per i vigneti, che negli ultimi trent'anni sono stati totalmente sostituiti dalle nuove piantagioni adatte alle mutate esigenze agronomiche e tecnologiche, e con evidenti vantaggi paesaggistici ed ambientali;
    per dare un'idea dell'immensità delle operazioni e della urgenza di iniziare le attività si portano ad esempio alcuni numeri: supponendo di dover soddisfare un fabbisogno di 200.000 tonnellate/anno di olio di oliva si dovrebbero portare a regime 150.000/200.000 ettari di nuovi oliveti che con una media di 1 tonnellata/ettaro di olio potrebbero riuscire a colmare il fabbisogno;
    l'olivicoltura italiana si fonda su una decina di cultivar maggiori che coprono la maggior parte della produzione complessiva e tra le criticità maggiori che si riscontrano vi è la mancanza di trasferimento tecnologico, di assistenza tecnica, di alfabetizzazione del mondo produttivo agricolo;
    la ristrutturazione del settore appare pertanto indispensabile ed urgente e dovrebbe attuarsi attraverso un accurato lavoro di programmazione che favorisca la ricostituzione di una struttura produttiva Pag. 226efficiente e moderna adatta alle mutate esigenze agroeconomiche e tecnologiche con evidenti vantaggi paesaggistici e ambientali oltre che forti ricadute in termini occupazionali,
    è evidente che un processo di questa portata richiede un arco di tempo lungo ed accurate calibrazioni dei processi a monte ed a valle delle piantagioni; è tuttavia necessario sempre ricordare che l'impianto di un oliveto determinerà una produzione 3-5 anni dopo, e che occorre aspettare comunque 8-10 anni per arrivare ad una produzione stabilizzate;
    per quanto riguarda la fase di prima trasformazione, il punto di partenza di qualsiasi analisi sul settore consiste nella definizione dell'universo nazionale dei frantoi attivi dove negli ultimi anni si è registrata una forte riduzione della numerosità dei frantoi attivi e dei volumi di produzione di olio dichiarati all'AGEA. Di fondamentale importanza è analizzare e incrociare i dati degli archivi amministrativi disponibili, al fine di produrre una valutazione del processo di ristrutturazione avvenuto nel settore in questi anni e descrivere la situazione attuale della prima trasformazione delle olive. Tra gli obiettivi vi è quello poi di rendere più fruibili le informazioni e i dati relativi al sistema della prima trasformazione nell'ambito della filiera dell'olio d'oliva, attraverso la predisposizione di una banca dati dei frantoi, utile per la pianificazione regionale e nazionale;
    le criticità della fase di prima trasformazione sono inquadrabili nei seguenti punti:
     a) numero elevato di frantoi economicamente poco efficienti e con impianti di trasformazione non ottimali e che di fatto costituiscono non imprese;
     b) capacità limitata di investimento e di innovazione tecnologica di molte aziende e non garanzia di qualità;
     c) dimensioni che non permettono «massa critica» a causa dell'eccessiva frammentazione;
     d) costi elevati di produzione soprattutto per i piccoli frantoi (fino a 2,5-3 euro/chilogrammo contro 1 euro dei frantoi industriali);
     e) ritardi negli investimenti;
     f) accesso difficoltoso ai finanziamenti soprattutto per gli impianti non collegati ad aziende agricole o non frantoi;
    i punti di forza della olivicoltura nella prima trasformazione si potrebbero riassumere in:
     a) una capillare localizzazione dei frantoi nelle aree vocate, con maggiore garanzia di lavorazioni tempestive e di qualità;
     b) una elevata professionalità dei frantoiani italiani;
     c) una presenza di distretti produttivi, in minima parte, con una elevata concentrazione di prodotto;
     d) una capacità di una notevole differenziazione del prodotto sia per tipologia (DOP, IGP, «alta qualità» e altro) sia in base al gusto;
     e) una continua modernizzazione degli impianti;
     f) un elevato numero di filiere di prodotto olivicolo tracciato (circa 400) con 8000 aziende agricole;
    nel territorio italiano, in special modo nel Sud, è forte la presenza di frantoi che hanno una valenza storico-culturale notevole come, ad esempio, i frantoi ipogei del Salento o quelli storici sparpagliati all'interno delle campagne meridionali dove alcuni sono funzionanti e altri in stato di semi-abbandono. È di fondamentale importanza storica-antropologica avviare un monitoraggio e una successiva classificazione dei «frantoi di particolare interesse storico-culturale» al fine di attivare le opportune politiche di recupero strutturale ai fini didattici e finanziare con misure ad hoc quei frantoi, a tutt'oggi funzionanti con tecniche di produzione che in un certo senso hanno anticipato storicamente i disciplinari tecnici Pag. 227comunitari oggi in vigore, che curano il dettaglio organolettico degli oli extra-vergine proteggendolo, tra l'altro, quale patrimonio dell'umanità, essendo l'olio l'elemento essenziale della «dieta mediterranea»,
    per il rilancio del sistema di produzione e di trasformazione olivicolo oleario italiano, occorrerebbe istituire un sistema di strumenti incentivanti che da un lato sia in grado di permettere agli investimenti di poter essere gestiti agevolmente riducendo l'effetto delle numerose norme ed autorizzazioni necessarie per la costituzione di nuove piantagioni, che dovrebbero essere realizzate solo sulla base di rigorosi criteri tecnico-scientifici, e dall'altro di permettere di costituire una linea specifica di finanziamenti, se del caso tramite un fondo di incentivazione, individuando nel modo più opportuno la fonte delle risorse necessarie e che potrebbe per esempio essere previsto a livello regionale a carico degli attuali contributi di cui ai piani di sviluppo rurale o delle organizzazioni comuni di mercato, da utilizzare per la costituzione di nuove piantagioni di olivo analogamente a quanto si sta facendo nel settore della viticoltura;
    un'operazione di questo tipo non sarebbe finalizzata alla sola produzione olivicola, ma contribuirebbe a movimentare attività e quindi capitali in un indotto che va dall'attività vivaistica alle macchine agricole all'impiego di forze lavoro direttamente nelle piantagioni e indirettamente nelle attività indotte, e a creare linee produttive che già direttamente possono essere pilotate verso prodotti di alta gamma e di qualità certificate;
    va evidenziato che una situazione problematica come quella attuale che sta attraversando l'olivicoltura, l'Italia l'ha già attraversata e in parte superata, alla fine degli anni Novanta nel settore, dell'agrumicoltura; per esse è stato adottato un piano nazionale condiviso dalle autorità dell'Unione europea e poi è stato attuato dalle regioni che ha brillantemente conseguito i risultati prefissati;
    tale piano sarebbe necessario anche per il grande valore ambientale che riveste la coltivazione dell'olivo specialmente per quanto riguarda la protezione che conferisce al suolo e quindi alla riduzione del rischio idrogeologico e per la conservazione del territorio, essendo questa pianta, tra le specie arboree coltivate, quella con minori esigenze in termini fabbisogno idrico e difesa fitosanitaria;
    lo sviluppo dell'olivicoltura avrebbe una propria valenza strategica anche per gli scenari futuri: a livello globale grazie alla diffusione della dieta mediterranea sta iniziando a diffondersi anche nei Paesi non tradizionalmente consumatori una cultura legata all'olio extravergine di oliva ed alle sue proprietà; questo fenomeno relativamente nuovo è rappresentato da manifestazioni, concorsi internazionali, forum e portali dedicati, curati da giornalisti, e food blogger. Tali iniziative non solo mettono in evidenza le migliori produzioni, ma riescono anche con estrema facilità ed ascolto ad evidenziare la scarsa qualità dei prodotti commerciali (Merum, Olive Center UC Davis, truthinoliveoil, jooprize, NYT e altro). In tale prospettiva è concretamente ipotizzabile che in un prossimo futuro sarà sempre più presente questa consapevolezza e mutata sensibilità del consumatore e sarà quindi necessario cogliere tali opportunità per elevare la qualità del prodotto esportato;
    l'Italia possiede un grande patrimonio varietale ancora tutto da valorizzare ed in questo contesto teso a valorizzare la qualità e le specificità, avrebbe quindi un elevato margine competitivo e forti posizioni di vantaggio;
    non è da sottovalutare poi che nello sviluppo dei nuovi impianti della futura olivicoltura nazionale vi sarebbero forti ricadute in termini occupazionali, soprattutto nel campo agroindustriale ed agroalimentare, con l'utilizzo e l'impiego dei macchinari necessari alle conduzioni agronomiche e raccolta delle olive che ne riducano sensibilmente i costi di gestione e che oggi rappresentano l'eccellenza della Pag. 228industria italiana meccanica del settore, sia in Italia e sia all'estero, nonché con la maggior richiesta di impianti di estrazione e separazione in due fasi dove alcune industrie italiane sono all'avanguardia con brevetti che permettono di non utilizzare acqua e con ottimi risultati per il riutilizzo delle sanse per uso agricolo e la nutrizione animale;
    sarebbe necessario quindi approvare un apposito programma per lo sviluppo dell'olivicoltura nazionale ed in questo senso dotare l'attuale ordinamento nazionale di una norma specifica volta a rafforzare e sostenere lo sviluppo dell'olivicoltura ed avente contenuti analoghi a quelli di cui all'articolo 1, comma 1, della predetta legge n. 423 del 1998;
    tale norma dovrebbe prevedere che, per fare fronte alla grave situazione di declino della coltivazione dell'olivo ed alla crisi di produttività del comparto olivicolo nazionale, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ed acquisito il parere delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, presenti al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) per l'approvazione le linee programmatiche di indirizzo e di, intervento per l'olivicoltura italiana anche al fine di contenere i costi di produzione, di riorganizzare la commercializzazione e di migliorare la qualità dei prodotti agricoli, tenendo conto dell'esigenza di risanamento tecnico-colturale e varietale;

impegna il Governo

   ad intraprendere le opportune iniziative, possibilmente anche a carattere d'urgenza, affinché si attui un piano per il rilancio, il rafforzamento e lo sviluppo dell'olivicoltura nazionale (piano olivicolo nazionale), allo scopo seguendo un procedimento normativo, amministrativo ed operativo, analogo a quello attuato ai sensi della legge 2 dicembre 1998, n. 423, come meglio indicato in premessa, valutando in tale ambito, la possibilità di individuare ed autorizzare una notevole somma di spesa, se del caso da associare all'istituzione di un fondo di rotazione per gli investimenti, il cui importo sia considerevolmente rilevante e tale da coprire un periodo di operatività compreso tra un triennio ed un quinquennio e che consenta, in primis, la riduzione ed il progressivo azzeramento dell'eccessiva frammentazione del modello produttivo, e un vero ammodernamento degli impianti arborei delle aziende agricole olearie, prevedendo forme di fiscalità di vantaggio per coloro che adotteranno iniziative associative su base cooperativistica, consortile e di società di capitali,
   a fare sì che il piano olivicolo suddetto abbia almeno la finalità di:
    a) incrementare la produzione nazionale senza accrescere la pressione sulle risorse ambientali, in modo particolare sulla risorsa idrica, attraverso la razionalizzazione della coltivazione degli oliveti tradizionali, il rinnovamento degli impianti e lo studio di nuovi sistemi colturali in grado di conciliare la sostenibilità ambientale con quella economica;
    b) tutelare l'olivicoltura a valenza paesaggistica, di difesa del territorio e storica, non razionalizzabile e non rinnovabile in particolare l'olivicoltura marginale delle aree collinare incentivando la creazione di organizzazioni in grado di gestire gli oliveti a rischio di abbandono o già abbandonati affinché possano essere riportati in produzione;
    c) sostenere e promuovere attività di ricerca per implementare e migliorare la coltura olivicola;
    d) stimolare il «consumo informato» evidenziando le diverse proprietà salutistiche degli oli extravergini di oliva anche con adeguata utilizzazione delle indicazioni salutistiche approvate dall'Unione europea, attraverso una capillare e sistematica crescita della cultura sull'olio extravergine di oliva e valorizzi il made in Pag. 229Italy mediante la promozione della qualità e della biodiversità, elemento distintivo della nostra olivicoltura;
     e) sostenere l'iniziativa dell'alta qualità per l'olio extra vergine di oliva italiano anche attraverso l'attivazione di interventi per la promozione del prodotto sul mercato domestico e soprattutto su quelli internazionali;
     f) stimolare il recupero varietale delle cultivar nazionali delle olive da mensa e di nuovi impianti arborei;
    a sostenere ed incentivare l'aggregazione e l'organizzazione economica della filiera olivicola, anche alla luce delle novità contenute nella nuova OCM unica di cui al regolamento (UE) n. 1308/2013 che introduce lo strumento della contrattualizzazione tra produttori olivicoli ed acquirenti industriali e commerciali ponendo le basi per la rivisitazione ed il rilancio del sistema delle organizzazioni di produttori (OP) e degli organismi interprofessionali (OI)
    ad avviare un monitoraggio ed una successiva classificazione dei «frantoi di particolare interesse storico-culturale», al fine di attivare le opportune politiche di recupero strutturale per scopi didattici e finanziare, con misure ad hoc, quei frantoi a tutt'oggi funzionanti;
    ad adottare, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, le opportune iniziative volte a costituire una banca dati presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali una banca dati che censisca i frantoi industriali e i «frantoi di particolare interesse storico-culturale», per tipologia e tecniche di produzione, inclusa la loro collocazione sul territorio, con lo scopo di avviare politiche agrarie mirate di investimento con cui ammodernare quelli esistenti e recuperare e tutelare quelli storici
    ad attivare iniziative dirette alla valorizzazione dell'olio extravergine di oliva, con particolare riguardo ad azioni divulgative volte a favorire la conoscenza delle proprietà nutrizionali e salutistiche degli oli extravergini di qualità, e a combattere le contraffazioni e l’Italian sounding.
(8-00109) «Mongiello, L'Abbate, Zaccagnini, Sani, Franco Bordo, Oliverio, Albanella, Amato, Antezza, Benedetti, Massimiliano Bernini, Bini, Bossa, Capozzolo, Carella, Carloni, Cassano, Cenni, Covello, Culotta, D'Arienzo, Di Gioia, Marco Di Maio, D'Incecco, Donati, Epifani, Famiglietti, Fanucci, Fedi, Folino, Gagnarli, Gallinella, Galperti, Giacobbe, Ginefra, Ginoble, Grassi, Iacono, Iori, Lodolini, Magorno, Massa, Mazzoli, Montroni, Moscatt, Parentela, Pelillo, Porta, Preziosi, Realacci, Sgambato, Tullo, Venittelli, Villecco Calipari, Zardini».