CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 22 aprile 2015
429.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Documento di economia e finanza 2015.
(Doc. LVII, n. 3, e Allegati)

PROPOSTA DI PARERE APPROVATA

  La XI Commissione,
   esaminato, per le parti di competenza, il Documento di economia e finanza 2015 (Doc. LVII, n. 3) e i relativi allegati;
   considerato che, secondo quanto evidenziato nel Documento, nell'ultimo trimestre del 2014 l'economia italiana è uscita dalla fase di recessione, dopo una crisi profonda e prolungata, e si stanno determinando condizioni favorevoli per l'avvio di una ripresa della crescita nell'area dell'euro e nel nostro Paese, grazie anche alla duratura riduzione del prezzo del petrolio, al contenimento della spesa per il servizio del debito pubblico, nonché alle misure espansive assunte negli ultimi mesi dalla Banca centrale europea e al connesso deprezzamento dell'euro;
   preso atto che nell'ambito delle previsioni macroeconomiche tendenziali contenute nel Documento si stima, quindi, una crescita dell'economia superiore a quella ipotizzata nel settembre 2014 nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza per il medesimo anno, con un incremento del prodotto interno lordo in misura pari allo 0,7 per cento nell'anno in corso, all'1,3 per cento nel 2016, all'1,1 per cento nel 2017 e all'1,1 per cento in ciascuno degli anni 2018 e 2019;
   rilevato che le previsioni del quadro macroeconomico programmatico, le quali scontano gli effetti degli interventi che il Governo prefigura all'interno del Documento in esame, nel quadro di una politica di bilancio maggiormente orientata alla crescita e del proseguimento del percorso delle riforme strutturali, stimano, rispetto al dato tendenziale, un maggiore incremento del prodotto interno lordo nei prossimi anni, quantificato in 0,1 punti percentuali nel 2016, in 0,3 punti percentuali in ciascuno degli anni 2017 e 2018 e in 0,2 punti percentuali nel 2019;
   osservato che, per quanto attiene agli obiettivi di finanza pubblica, nel quadro tendenziale, grazie in particolare alla minore spesa per interessi e alle maggiori entrate derivanti dal miglioramento del ciclo economico, l'indebitamento netto registrerebbe un apprezzabile miglioramento rispetto alle precedenti previsioni e sarebbe pari al 2,5 per cento nel 2015, all'1,4 per cento nel 2016 e allo 0,2 per cento nel 2017, mentre a decorrere dal 2018 vi sarebbe un accreditamento netto;
   condivisa in questo contesto la scelta del Documento di perseguire una politica di bilancio moderatamente espansiva, che determina un contenuto discostamento dal quadro tendenziale, e di confermare, pertanto, gli obiettivi già individuati per l'indebitamento netto nel documento programmatico di bilancio per il 2015 e nella relazione di variazione alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, proponendosi il raggiungimento di un rapporto tra deficit e prodotto interno lordo pari al 2,6 per cento nel 2015, all'1,8 per cento nel 2016 e allo 0,8 per cento nel 2017, con il raggiungimento del pareggio in termini nominali nel 2018;
   considerato che l'avvicinamento con maggiore gradualità all'obiettivo di medio Pag. 148termine del pareggio di bilancio in termini strutturali, il cui raggiungimento viene posticipato al 2017, determina la creazione di spazi finanziari finalizzati prioritariamente alla disattivazione delle clausole di salvaguardia previste a legislazione vigente, che, ove attuate, determinerebbero un consistente appesantimento del carico fiscale, e alla realizzazione delle riforme strutturali, mentre le risorse che si renderanno disponibili nel 2015 potranno essere utilizzate per l'adozione di specifiche misure coerenti con le finalità previste nel Programma nazionale di riforma;
   osservato, per quanto attiene alle parti del Documento più direttamente incidenti su profili di propria competenza, che nell'ambito del quadro programmatico si stima che il tasso di disoccupazione dei soggetti con età compresa tra i 15 e i 64 anni registri una progressiva riduzione dal 12,7 per cento dell'anno appena concluso al 12,3 per cento dell'anno in corso, all'11,7 per cento nel 2016, all'11,2 per cento nel 2017, al 10,9 per cento nel 2018 e al 10,5 per cento nel 2019, ipotizzandosi anche, durante l'intero periodo, una crescita dell'occupazione, misurata in termini di unità di lavoro, che già nel 2014 ha registrato valori positivi;
   rilevato, tuttavia, come, anche considerando il positivo andamento prospettato dal documento di programmazione, il tasso di occupazione risulterebbe ancora distante dall'obiettivo nazionale fissato per l'Italia dalla Strategia Europa 2020, pari al 67 per cento nel 2020 e, al contempo, il tasso di disoccupazione si collocherebbe a un livello ancora consistentemente più elevato di quello registrato nel 2007, prima dell'accendersi della crisi economica internazionale;
   ritenuto, pertanto, che la promozione dell'occupazione permanga una priorità da perseguire con decisione e urgenza nell'ambito della politica economica del nostro Paese sia attraverso il sostegno alla ripresa e al consolidamento della domanda interna sia mediante riforme strutturali volte a favorire la creazione di nuovi posti di lavoro e di un mercato del lavoro più efficiente;
   considerate le raccomandazioni formulate, l'8 luglio 2014, dal Consiglio dell'Unione europea sul programma nazionale di riforma 2014 dell'Italia e sul programma di stabilità 2014 dell'Italia, con particolare riferimento alla raccomandazione n. 5, in materia di mercato del lavoro, richiamata nella terza sezione del Documento;
   osservato come nella terza sezione del Documento, che reca lo schema di Programma nazionale di riforma, si attribuisca un ruolo strategico alle riforme in materia di politiche del lavoro di cui alla legge n. 183 del 2014 e ai decreti legislativi attuativi di tale delega già adottati e in corso di adozione, indicando nel cronoprogramma del Governo un percorso destinato a concludersi nel giugno del presente anno, in linea con le scadenze previste per l'esercizio della delega di cui alla medesima legge n. 183 del 2014;
   rilevato altresì che il Documento prevede la presentazione, entro il 2015, di un disegno di legge governativo «per consentire, attraverso la contrattazione aziendale (o territoriale), l'adozione di modelli di partecipazione dei lavoratori nella vita delle imprese e per favorire l'evoluzione nelle relazioni industriali, con il superamento della conflittualità attraverso la ricerca di obiettivi condivisi»;
   considerato che il Documento attribuisce ai provvedimenti attuativi della delega di cui alla legge n. 183 del 2014 effetti positivi in termini di crescita del prodotto interno lordo pari a 0,6 punti percentuali nel 2020, a 0,9 punti percentuali nel 2025 e a 1,3 punti nel lungo periodo, nonché in termini di crescita dell'occupazione, in misura pari all'1 per cento nel 2020, all'1,5 per cento nel 2025 e al 2 per cento nel lungo periodo, stimandosi altresì una riduzione progressiva della quota di lavoratori a carattere temporaneo;
   ravvisata l'esigenza di una completa attuazione delle deleghe previste nella Pag. 149legge n. 183 del 2014 al fine della costituzione di un mercato del lavoro più efficiente ed inclusivo, che promuova una rapida collocazione o ricollocazione lavorativa di quanti versino in condizione di disoccupazione involontaria, garantendo in questo modo anche l'adeguatezza delle tutele previste sul versante economico;
   rilevato altresì che il Documento imputa positivi effetti in termini di crescita economica e di creazione di nuova occupazione alle misure di riduzione del cuneo fiscale contenute nella legge di stabilità 2015, con particolare riferimento alla stabilizzazione del bonus di 80 euro per i lavoratori dipendenti con redditi più bassi e alla deducibilità integrale dall'IRAP della componente relativa al costo del lavoro;
   osservato che nella consueta analisi sulla sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche, contenuta nella prima sezione del Documento, si evidenzia che la spesa pensionistica, che nel 2015 rappresenta il 15,8 per cento del prodotto interno lordo, dovrebbe contrarre la propria incidenza fino al 2020, quando costituirebbe il 15,3 per cento del prodotto interno lordo, per effetto sia delle riforme operate in materia di requisiti di accesso al pensionamento sia dell'andamento più favorevole della crescita economica;
   rilevato, peraltro, che negli anni successivi, per effetto del pensionamento delle generazioni del baby boom, si registrerebbe una ripresa della spesa, che comunque, si manterrebbe su percentuali analoghe a quelle registrate nell'anno in corso, mentre nella fase finale del periodo di previsione essa si ridurrebbe sensibilmente, fino a raggiungere il 13,8 per cento del prodotto interno lordo nel 2060;
   considerato, per quanto attiene al lavoro pubblico, che nell'esercizio appena concluso l'incidenza dei redditi da lavoro dipendente si è ulteriormente ridotta in misura pari allo 0,6 per cento, confermando un andamento di progressiva riduzione della relativa spesa, che nel 2014 costituisce il 10,1 per cento del prodotto interno lordo, a fronte del 10,7 per cento del 2009, in particolare per effetto degli interventi di limitazione della assunzioni e del blocco della contrattazione nel pubblico impiego per la parte economica, che si protrae da sei anni;
   osservato come su base tendenziale, pur stimandosi una crescita delle spese riconducibili a redditi da lavoro dipendente nelle pubbliche amministrazioni rispetto al dato del 2015, l'incidenza complessiva di tali redditi sul prodotto interno lordo si ridurrebbe progressivamente nel periodo 2016-2019;
   valutati gli scenari indicati dal documento per il periodo 2016-2019 sulla base del criterio delle cosiddette politiche invariate, nei quali si formulano «ipotesi tecniche per i rinnovi contrattuali relativi ai trienni 2016-2018 e 2019-2021», che determinerebbero una maggior spesa quantificata in 1,66 miliardi per il 2016, 4,16 miliardi per il 2017, 6,69 miliardi per il 2018 e 8,76 miliardi per il 2019;
   osservato che il Documento indica che il Governo intende collegare alla decisione di bilancio anche nell'anno in corso il disegno di legge in materia di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche, attualmente all'esame del Senato (S. 1577),
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   si segnala al Governo l'opportunità di rendere strutturali le misure di sgravio contributivo attualmente previste con riferimento ai soli nuovi contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato stipulati nell'anno 2015 dall'articolo 1, comma 118, della legge di stabilità 2015, verificando altresì l'esigenza di una riconsiderazione della loro configurazione al fine di assicurarne la massima efficacia sotto il profilo della creazione di posti di lavoro stabili e di qualità, nonché valutando Pag. 150l'adozione di specifiche iniziative volte a promuovere l'aumento del tasso di occupazione femminile;
   si invita il Governo a provvedere, già nel corso del presente esercizio finanziario o, al più tardi, nella legge di stabilità per il 2016, al finanziamento a regime degli interventi adottati in attuazione delle deleghe legislative di cui alla legge n. 183 del 2014, che allo stato sono finanziati solo in via sperimentale, con particolare riferimento all'assegno di disoccupazione (ASDI), di cui all'articolo 16 del decreto legislativo n. 22 del 2015, all'indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (DIS-COLL), di cui all'articolo 15 del medesimo decreto legislativo n. 22 del 2015, nonché alle disposizioni di carattere oneroso contenute nello schema di decreto legislativo recante misure di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro (Atto n. 157), attualmente all'esame della Commissione;
   si raccomanda un rafforzamento dell'impegno del Governo sul terreno delle misure per la lotta contro la povertà, in particolare per le persone disoccupate che non dispongono dei requisiti per il trattamento di sostegno del reddito di natura assicurativa;
   anche in considerazione della dinamica della spesa previdenziale nel medio-lungo periodo evidenziata dal Documento, si segnala al Governo l'opportunità di promuovere, nell'ambito della legge di stabilità per il 2016 e nel quadro delle compatibilità finanziarie individuate in quella sede, interventi in materia previdenziale volti a completare la salvaguardia di tutti i lavoratori che si trovano o potranno trovarsi privi di reddito per effetto dell'innalzamento dell'età pensionabile disposto dalla riforma previdenziale del 2011, nonché ad introdurre in via strutturale elementi di flessibilità per quanto attiene all'età di accesso al pensionamento, anche attraverso la previsione di meccanismi di incentivazione e disincentivazione, valutando altresì l'adozione di norme che tengano conto degli squilibri che attualmente sussistono tra uomini e donne in materia di trattamenti pensionistici;
   con riferimento al lavoro nelle pubblica amministrazione, si segnala al Governo l'opportunità di prevedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e nel quadro delle compatibilità finanziarie individuate in quella sede, le risorse da destinare al rinnovo dei contratti del pubblico impiego;
   si segnala al Governo l'esigenza di individuare, in attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 4, della legge n. 183 del 2014, un assetto istituzionale dei servizi pubblici per l'impiego che ne garantisca un funzionamento efficace e ne rafforzi le capacità di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, anche in relazione all'esigenza di una tempestiva attuazione nel nostro Paese del programma Garanzia giovani, portando a compimento l'attuale fase di transizione e valorizzando le professionalità degli oltre 8.000 lavoratori attualmente presenti nei centri per l'impiego.

Pag. 151

ALLEGATO 2

Documento di economia e finanza 2015.
(Doc. LVII, n. 3, e Allegati)

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEI DEPUTATI COMINARDI, LOMBARDI, TRIPIEDI, CIPRINI, DALL'OSSO E CHIMIENTI

  La XI Commissione,
   esaminato per le parti di competenza il Documento di economia e finanza 2015 (Doc. LVII, n. 3);
   premesso che il DEF 2015 disegna un quadro economico in ripresa nei prossimi due anni, con un PIL previsto allo 0,7 per cento, dopo un triennio costantemente negativo; la produttività che dovrebbe crescere dell'1,4 per cento, con aumento ulteriore nel 2017 all'1,5 per cento e all'1,4 per cento per il 2018 e tutte le proiezioni in crescita rispetto alla precedente rilevazione dell'autunno 2014;
   rilevato che, per quanto riguarda il rapporto deficit/PIL, confermando gli obiettivi di indebitamento netto indicati nel Draft Budgetary Plan (DBP) 2015, tale deficit dovrebbe scendere progressivamente dal 2,6 per cento del 2015 all'1,8 per cento il prossimo anno e allo 0,8 per cento del 2017, fino al pareggio completo del 2018; nel 2019 sarebbe atteso un surplus nominale pari allo 0,4 per cento del PIL; la differenza tra deficit programmatico e tendenziale, che differisce di circa un decimo di punto percentuale, dovrebbe produrre il bonus (il cosiddetto «tesoretto») annunciato dal Governo;
   considerato che il Governo sembra voglia impegnarsi altresì a disattivare l'entrata in vigore sia della clausola di salvaguardia posta a garanzia dei saldi di finanza pubblica dalla legge di stabilità 2015 (per 0,8 punti percentuali di PIL, ovvero 12,8 miliardi nel 2016, 19,2 miliardi nel 2017 e 21,3 miliardi dal 2018, da reperire mediante aumento delle aliquote IVA e delle accise sugli oli minerali), sia di quella prevista dalla legge di stabilità 2014 (per 0,2 punti percentuali di PIL, ovvero 3,3 miliardi nel 2016 e 6,3 miliardi nel 2017 da reperire mediante variazione delle aliquote d'imposta e la riduzione delle agevolazioni e detrazioni fiscali); secondo il Governo stesso infatti, il miglioramento del quadro macroeconomico previsto nel DEF 2015 muta favorevolmente lo scenario di riferimento e consente di riconsiderare la dimensione delle misure correttive da adottare per rispettare gli impegni assunti in ambito europeo;
   rilevato che ampio spazio nell'ambito delle riforme strutturali illustrate viene dato ai provvedimenti in tema di lavoro; atteso che il Documento economico e finanziario 2015, enfatizza le politiche in materia del lavoro, richiamando una serie di deleghe governative che sono orientate ad una riforma strutturale del mercato del lavoro, che, oltre a contenere palesi profili di illegittimità costituzionale, rappresentano, di fatto, l'istituzionalizzazione, come nel caso del contratto a tutele crescenti, della discriminazione su base generazionale dei lavoratori, ed aumentano il potere dei datori di lavoro, attraverso la cancellazione dall'ordinamento giuridico di tutele e diritti che appartengono, e non solo simbolicamente, alla civiltà europea del lavoro;Pag. 152
   rilevato che, in particolare, il documento richiama le cinque deleghe, previste dalla legge n. 183 del 2014, quali:
    a) delega in materia di ammortizzatori sociali;
    b) delega in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive;
    c) delega in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti;
    d) delega in materia di riordino delle forme contrattuali e dell'attività ispettiva;
    e) delega in materia di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro;
   osservato che in attuazione della delega sono stati fin qui approvati due decreti legislativi, relativi al contratto a tutele crescenti e all'introduzione di nuovi ammortizzatori sociali;
   osservato che il DEF prevede inoltre la presentazione, entro il 2015, di un disegno di legge governativo «per consentire, attraverso la contrattazione aziendale (o territoriale), l'adozione di modelli di partecipazione dei lavoratori nella vita delle imprese e per favorire l'evoluzione nelle relazioni industriali, con il superamento della conflittualità attraverso la ricerca di obiettivi condivisi»;
   rilevato che in materia pensionistica il Documento (nella I sezione, dedicata al Programma di stabilità dell'Italia) osserva che il rapporto fra spesa pensionistica e PIL, il cui valore per il 2015 è previsto pari al 15,8 per cento, tenderà a ridursi fino al 2030 (quando si attesterà intorno al 15 per cento), in presenza di un andamento di crescita più favorevole, nonché in virtù del processo di elevamento dei requisiti per la pensione e del progressivo passaggio al metodo di calcolo contributivo; successivamente, la misura del rapporto percentuale tornerebbe a crescere, a causa dell'ampliamento delle tendenze negative delle dinamiche demografiche ed in ragione degli effetti derivanti dal precedente posticipo del collocamento in quiescenza sull'importo delle pensioni; il apporto dovrebbe raggiungere un valore massimo pari a circa il 15,5 per cento, intorno al 2044, per poi decrescere nuovamente nel successivo periodo fino al 2060;
   considerato che, per quanto concerne il personale pubblico, il Documento stima che le riforme proposte determineranno un incremento pari allo 0,4 per cento del PIL nel 2020 e all'1,2 per cento nel lungo periodo, osservando che l'incremento atteso nel 2015 è dovuto sia al venir meno di alcune delle misure di contenimento della spesa per redditi per il pubblico impiego disposte dalle precedenti manovre di finanza pubblica, sia all'effetto di disposizioni di spesa contenute nella legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015);
   riguardo al settore dell'assistenza sociale, nel documento in esame si dà ampio rilievo, tra le misure per il contrasto alla povertà, al cosiddetto SIA e si ribadisce, come strumento per l'attuazione del medesimo programma, la cosiddetta social card, con cui «sono stati effettuati i primi pagamenti, nel secondo bimestre 2014, nelle dodici maggiori città italiane connessi al programma sperimentale di sostegno per l'inclusione attiva (SIA), che, secondo il Governo avrebbe dovuto costituire un primo passo verso la definizione di misure universali per il sostegno delle persone in stato di povertà»; tuttavia su quasi 18.000 domande presentate nel 2014, oltre il 60 per cento non è stata ammessa per il mancato possesso dei requisiti autodichiarati; il programma sarà esteso anche al Mezzogiorno, con criteri simili a quelli delle dodici città in sperimentazione, sulla base delle risorse già stanziate nell'ambito del PAC (167 milioni di euro);
   considerato che in merito alla delega sugli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, il DEF osserva che il sistema delle relative tutele «in costanza di rapporto di lavoro, pur avendo svolto un ruolo fondamentale nell'alleviare gli effetti della crisi economica, risulta selettivo e oneroso» e che, «nei casi in cui le Pag. 153crisi aziendali risultino irreversibili, l'intervento degli ammortizzatori sociali prolunga inutilmente i tempi di transizione verso nuova occupazione dei lavoratori, riducendone le opportunità di ricollocazione», mentre un «sistema economico in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti strutturali è in grado di offrire maggiori opportunità di posti di lavoro di qualità»;
   osservato che, in merito alla delega sui servizi per l'impiego e sulle politiche attive per il lavoro, il DEF osserva che «un efficace sistema di politiche attive richiede la presenza di una rete di servizi per il lavoro adeguatamente strutturati» e che «il contesto italiano è tuttora caratterizzato da una frammentazione eccessiva del sistema di erogazione delle politiche attive e da una loro generale debolezza»; per tali finalità, la disciplina di delega ha previsto l'istituzione di un'Agenzia nazionale per l'occupazione. Il DEF osserva, poi, che un sistema centralizzato di gestione delle politiche attive del lavoro pur rispettoso delle specificità dei territori e dei clusters produttivi, «garantirebbe standard uniformi dei servizi sul territorio, un miglior legame tra politiche attive e passive e una maggiore mobilità dei lavoratori a livello nazionale e internazionale»;
   rilevato che nella premessa alla Parte III, il DEF enfatizza gli effetti degli interventi sul funzionamento del mercato del lavoro, che dovrebbero risultare amplificati «dagli incentivi fiscali introdotti con la legge di stabilità per il 2015, quali la riduzione permanente del cuneo fiscale per i dipendenti con un reddito inferiore a 26 mila euro (bonus IRPEF 80 euro); la deducibilità, per le imprese e alcuni lavoratori, del costo del lavoro dalla base imponibile ai fini IRAP; l'esenzione totale, per 36 mesi, dal pagamento dei contributi sociali per i nuovi contratti a tempo indeterminato stipulati nel 2015.»;
   valutato che nell'ambito del quadro macroeconomico programmatico, si prevede che il tasso di disoccupazione raggiunga il 12,6 per cento nel 2014, per poi decrescere progressivamente fino al 12,5 per cento nel 2015, al 12,1 per cento nel 2016, all'11,6 per cento nel 2017 e all'11,2 per cento nel 2018;
   sempre sul piano programmatico, il tasso di occupazione si manterrebbe stabile al 55,6 per cento nel 2014, mentre negli anni successivi si registrerebbe una moderata crescita, che porterebbe a raggiungere il 55,8 per cento nel 2015, il 56,1 per cento nel 2016, il 56,3 per cento nel 2017 e il 56,7 per cento nel 2018, risultati ancora distanti, tuttavia, dal target nazionale fissato per l'Italia nell'ambito della Strategia Europa 2020;
   atteso che il Documento precisa inoltre che si è stimata una riduzione progressiva di circa 6,5 punti percentuali della quota di lavoratori a carattere temporaneo, con conseguenti effetti positivi in termini di produttività del lavoro;
   rilevato che nel Documento si evidenzia che lo spostamento verso forme contrattuali permanenti determinerebbe una riduzione del potere contrattuale dei lavoratori a tempo indeterminato con effetti di contenimento delle dinamiche salariali; già con la legge di stabilità 2014, sono stati previsti interventi per il rilancio della crescita economica attraverso disposizioni in favore delle imprese, misure di sostegno al reddito delle famiglie, provvedimenti in materia di lavoro, interventi in ambito sociale;
    considerato che la riduzione del cuneo fiscale mediante la deducibilità integrale, dovrebbe determinare, ai fini dell'IRAP, del costo del lavoro per i lavoratori a tempo indeterminato a tutele crescenti minori entrate tributarie per circa 25 miliardi negli anni 2015 – 2019; la riduzione del gettito, al netto della riduzione del 10 per cento delle aliquote IRAP, precedentemente disposta, ammonta a circa 20 miliardi; sono previsti sgravi contributivi per i datori di lavoro, ad eccezione di quelli agricoli, che assumono lavoratori con la predetta tipologia contrattuale nel 2015, ad esclusione dei contratti di apprendistato e di lavoro domestico Pag. 154per 15 miliardi nel periodo 2015-2017 (11,8 miliardi al netto degli oneri riflessi); è riconosciuto un credito d'imposta ai fini IRAP per a favore di persone fisiche, società semplici, produttori agricoli, enti commerciali, società di capitali, che non si avvalgono di dipendenti (circa 0,7 miliardi negli anni 2016-2019);
   osservato che si introduce un regime agevolato per lavoratori autonomi (imprese e professionisti) che esercitano un'attività in forma individuale (5,7 miliardi di euro nel quinquennio, pari a 3,9 miliardi); ulteriori benefici derivano dai cosiddetti «beni immateriali» con un effetto di circa 0,6 miliardi nel periodo 2015-2017;
   rilevato che a fronte di una blanda misura sulle partite IVA, i liberi professionisti, che si pagano la pensione in via esclusiva con i propri contributi ed i connessi investimenti di tipo cautelativo, dopo anni di iniqua sovra tassazione rispetto ai fondi pensione ed un improvviso aumento dell'aliquota dal luglio scorso (mitigato da un farraginoso meccanismo di credito di imposta a termine), si vedranno – l'anno prossimo – «armonizzare il regime fiscale» al rialzo, invece di avvicinarsi all'11,5 per cento oggi vigente per i Fondi e le Casse;
   atteso che l'incremento dell'IVA, spalmato tra il 2016 e il 2018, porterebbe le aliquote dal 10 al 13 per cento e dal 22 al 25,5 per cento, inserendo l'Italia ai primi posti della graduatoria internazionale per il livello delle aliquote delle imposte sui consumi;
   rilevato che, oltre agli effetti negativi su PIL e consumi, come già accaduto in passato, questi incrementi d'imposta deprimeranno anche il gettito atteso ex ante, attraverso una verosimile accelerazione dei processi di evasione ed elusione;
   considerato che il Documento stima che gli interventi in materia di riduzione del cuneo fiscale contenuti nella legge di stabilità 2015, con particolare riferimento alla stabilizzazione del bonus di 80 euro per i lavoratori dipendenti con redditi più bassi e alla deducibilità integrale dall'IRAP della componente relativa al costo del lavoro, comporterebbero una crescita del prodotto interno lordo di 0,4 punti percentuali nel 2020, che si manterrebbe costante anche nel 2025 e nel lungo periodo;
   osservato che, per quanto riguarda il cosiddetto «tesoretto», il modo in cui l'operazione è stata congegnata appare come un mero artificio contabile dal quale non è affatto detto che discenda una reale dote di 1,6 miliardi di euro come il Governo vorrebbe far credere. Il calcolo delle risorse è stato fatto sulla base del rapporto deficit-PIL, previsto quest'anno al 2,5 per cento e che viene innalzato, con un tratto di penna, al 2,6 per cento;
   rilevato che non risulta peraltro chiaro quale dovrebbe essere la destinazione di queste presunte risorse, poiché sulla base delle dichiarazioni del Ministro del lavoro si starebbe predisponendo un piano anti-povertà, ma non si capisce se per darne attuazione il Governo preferirà percorrere la via fiscale, allargando l'attuale bonus ai redditi sotto gli ottomila euro, oppure se valuterà più opportuno destinarlo ad altre misure di sostegno socio – economico diverse, quali, ad esempio la sopracitata social card;
   preso atto che in materia di mercato del lavoro è stato istituito un fondo davvero insufficiente di 7, 9 miliardi per il periodo 2015-2019, considerati i settori che necessitano di essere sostenuti, ovvero: l'attuazione di riforma degli ammortizzatori sociali, il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, i servizi per la conciliazione di vita e lavoro, la stipula dei contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti;
   rilevato che i decreti legislativi n. 22 e 23 del 2015 (NASpI e contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti) utilizzano, ai fini della copertura degli oneri, la quota parte delle risorse stanziate sull'apposito fondo istituito dalla legge di Pag. 155stabilità per il 2015 e destinato a finanziare provvedimenti normativi in materia di mercato del lavoro:
   considerato che le risorse destinate alla NASpI sono pari a circa 5,9 miliardi di euro nel periodo 2015-2019 in termini di indebitamento netto; le risorse per l'assegno sperimentale ASDI per i lavoratori che, pur avendo usufruito entro il 31 dicembre 2015 della NASPI, non abbiano trovato un'occupazione e si trovino in una condizione il disagio, ammonta a 0,4 miliardi per il biennio 2015-2016;
   rilevato che la misura della prestazione di natura temporanea (DIS-COLL) a titolo d'indennità per la cessazione del rapporto di lavoro ammonta a circa 0,23 miliardi nel biennio 2015-2016 e sarà erogata, a decorrere dal 1° gennaio 2015;
   valutato che per il 2015 è incrementato il Fondo per le politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria;
   considerato che il citato decreto n. 23 del 2015 (contratto a tutele crescenti) prevede, in alternativa alla tutela giurisdizionale, la possibilità di offrire al lavoratore un'indennità economica predeterminata che non è imponibile ai fini fiscali e contributivi (62 milioni nel periodo 2015-2019);
   preso atto che, alla luce delle insufficienti risorse già stanziate, eventuali coperture finanziarie per l'attuazione dei restanti decreti legislativi, sembrerebbero aleatorie; infatti, l'inserimento nello schema di decreto legislativo sul riordino dei contratti (Atto n. 158), appena trasmesso al Parlamento, dell'ennesima clausola di salvaguardia, volta a coprire il fabbisogno di risorse eccedenti 1,886 miliardi già appostati, e finalizzate alla decontribuzione dei contratti a tempo indeterminato, stipulati nell'anno in corso potrebbe creare squilibri nell'ambito dei conti pubblici; ciò potrebbe accadere, ad esempio, in caso trasformazioni di massa dei contratti di collaborazione (che pagano robusti contributi, anche quasi del 30 per cento) rispetto alle stime dal Governo (37.000 trasformazioni originarie più altre 20.000 aggiuntive, con retribuzione media stimata sui 15.000 euro). Tale clausola prevede «l'introduzione di un contributo aggiuntivo di solidarietà a favore delle gestioni previdenziali a carico dei datori di lavoro del settore privato e dei lavoratori autonomi». Ciò significa che si arriverà al paradosso di «pagare contributi (pur se nominalmente «di solidarietà») per avere un taglio di contributi»; se si considera il fatto che i collaboratori a progetto in monocommittenza (quelli che hanno caratteristiche di operatività non distanti dalla subordinazione) in Italia sarebbero circa 370.000, si coglie il suddetto potenziale rischio per i conti pubblici;
   ritenuto che la Raccomandazione della Commissione europea, evidenziata nella Nota d'aggiornamento al DEF 2014 ha sottolineato che la riforma del mercato del lavoro debba tendere a rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro, a riordinare i contratti di lavoro vigenti, a garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro, a definire un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori, a ridurre l'elevato divario con i tassi di attività femminili «prevalenti» in Europa, mediante l'elevamento dell'offerta e della fruibilità dei «servizi di conciliazione» dei tempi di vita e di lavoro;
   osservato che la NASpI non appare rispondente al dettato della legge delega, la quale reca quale criterio di esercizio della delega stessa la creazione di uno strumento unico, da estendere a tutte le categorie di lavoratori in stato di disoccupazione, indipendentemente dalla tipologia contrattuale di provenienza e che il sussidio si applichi a prescindere da qualunque requisito di anzianità contributiva e assicurativa; l'estensione dell'ASpI ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa per i quali è stato creato un apposito strumento, peraltro solo a livello sperimentale, non rappresenta un intervento universalistico, poiché esclude tutte le tipologie di lavoro Pag. 156precarie, parasubordinate o falsamente autonome, che non hanno alcuna copertura né sostitutiva né integrativa; inoltre la copertura parziale quanto a tipologie di contratti o per altri requisiti sarebbe in contrasto con principi costituzionali, in particolare con quanto deriva dal combinato disposto degli articoli 3, 4 e 38 della Costituzione; la NASpI ha esteso lo strumento, in via sperimentale, ai soli collaboratori coordinati e continuativi, incrementando la durata massima della prestazione, ovvero introducendo massimali per le prestazioni in funzione della contribuzione figurativa, limitando quindi le erogazioni a tutti quei lavoratori per i quali non siano stati versati dei contributi sociali effettivi, ma solo figurativi, circostanza che si verifica in caso di interruzione o riduzione dell'attività lavorativa dovuta a determinate fattispecie quali cassa integrazione guadagni, contratti di solidarietà, ma anche disoccupazione e mobilità;
   preso atto che, relativamente all'ASDI, il riferimento alla quota dell'assegno sociale, pari a 447,61 euro mensili, circa 5.800 annui, significa scegliere di rimanere al di sotto del livello della soglia di povertà relativa, dati ISTAT, che per il 2014 è pari a 7.200 euro; tale livello, definito anno per anno, deve pertanto rappresentare il termine di riferimento in merito alla copertura finanziaria, dato che gli oneri complessivi del provvedimento sono stati individuati tramite un «tetto di spesa» e non come «previsione di spesa» ; considerata la natura dei diritti soggettivi, appare paradossale che tale strumento risulti privo di una clausola di salvaguardia, ancorché aggravata dalla motivazione della Ragioneria di Stato secondo cui «le valutazioni finanziarie risultano caratterizzate da adeguati elementi di prudenzialità; il sistema di calcolo dell'indennità, cui si unisce la progressiva riduzione della stessa con il passare del tempo, finisce per essere penalizzante rispetto alla previgente disciplina in particolare per alcune categorie di lavoratori come gli stagionali; la NASPI appare svantaggiosa per i lavoratori stagionali che dal 1o maggio 2015 non potranno più coprire il proprio reddito per tutto l'anno, in quanto percepiranno l'indennità per la metà dei mesi lavorati (quindi solo per tre mesi), con grave pregiudizio per miriadi di famiglie che vivono di turismo; non sono inoltre previste salvaguardie a favore dei 2,6 milioni di lavoratori dipendenti del settore artigiano, che attualmente risulterebbero privi di tutela del reddito in costanza di rapporto di lavoro;
   valutato che in merito al decreto legislativo 23 marzo 2015, n. 23, il provvedimento, contrariamente a quanto annunciato a più riprese e finanche indicato con la denominazione della tipologia contrattuale «a tutele crescenti», non definisce alcun tipo di tutela; di fatto esso non solo non tipizza un nuovo contratto di lavoro che offra un'idea di, pur progressiva, stabilizzazione del lavoratore, bensì disciplina esclusivamente il nuovo regime dei licenziamenti illegittimi individuali e collettivi, liberalizzandoli;
   valutato che il percorso intrapreso non pare quello diretto alla creazione di concrete e realistiche opportunità occupazionali ma piuttosto un provvedimento utile alla facilitazione dei licenziamenti e alla completa liberalizzazione del mercato del lavoro; né gli incentivi occupazionali, pur promossi dal Governo, paiono poter risultare determinanti, in quanto essi risultano molto limitati nel tempo; piuttosto gli stessi incentivi paiono commisurati ad un periodo di tempo che potrà consentire alle imprese di coprire i costi del licenziamento per poi assumere a costi più bassi, oltretutto conteggiando tali ingressi come nuova occupazione; del pari non sembrano efficaci le misure che il Governo sta ponendo in essere in tema di disboscamento delle tipologie contrattuali esistenti;
   rilevato che le scelte del governo, in punto di tipologie contrattuali destano quindi grave preoccupazione, soprattutto se si guarda ai recentissimi dati ISTAT del mese di febbraio 2015 che hanno già rilevato un aumento del tasso di disoccupazione Pag. 157tornato a salire fino al 12,7 per cento, dopo l'ulteriore «forte calo» già intervenuto nel mese di dicembre e la diminuzione di gennaio; i disoccupati sono, dunque, 23 mila in più; a febbraio diminuisce il numero di occupati di 44 mila unità che quindi aumenta di 93 mila unità rispetto a febbraio 2014; l'opportunità di regolare il mercato del lavoro poteva e doveva essere certamente usata diversamente, puntando su redistribuzione e innovazione, dunque su un'idea diversa di stimolo alla domanda e non sulla svalutazione competitiva di lavoro e diritti. Sarebbe viceversa di vitale importanza rivedere la legislazione sul lavoro degli ultimi quindici anni;
   considerato che il programma comunitario «Garanzia Giovani» ha stanziato risorse in favore dell'Italia pari a 1,5 miliardi di euro per il periodo 2014-2015, allo scopo di promuovere offerte di lavoro, tirocini, formazione, anche alla luce del fenomeno dei NEET; i risultati ottenuti, a un anno dell'adozione del regolamento FSE, non appaiono soddisfacenti, in quanto né l'anticipo degli impegni in quanto tale, né le altre misure specifiche hanno indotto a una rapida mobilizzazione delle risorse; le principali ragioni di tale insuccesso sembrano essere: la complessità del processo negoziale sui programmi operativi, cui deve seguire l'introduzione delle rispettive modalità di attuazione negli Stati membri; la limitata capacità delle autorità nel pubblicare inviti a presentare progetti e a trattare rapidamente le domande; l'insufficienza del prefinanziamento per avviare le misure necessarie; quest'ultimo fattore di insuccesso è stato segnalato a livello politico dagli Stati membri, molti dei quali, anche in sede di Consiglio EPSCO (Occupazione, politica sociale, salute e consumatori), hanno denunciato la mancanza di finanziamenti sufficienti per versare anticipi ai beneficiari; va altresì segnalato come siano proprio gli Stati membri con livelli di disoccupazione giovanile più elevati a incontrare le maggiori difficoltà, essendo anche quelli con maggiori vincoli di bilancio e scarsità di finanziamenti nazionali;
   considerato che a tale riguardo il DEF fa presente, in primo luogo, che a febbraio 2015 la Commissione UE ha proposto di aumentare dall'1 per cento al 30 per cento il tasso di prefinanziamento dell'iniziativa, con la conseguenza che si renderebbe disponibile una somma complessiva nel 2015 per l'Italia 170 milioni (invece dei 5,6 milioni previsti); inoltre, ricorda che tra le azioni previste dal Programma italiano volte a dare attuazione alla Garanzia giovani, vi è anche la previsione del cosiddetto «bonus occupazione», un incentivo per le assunzioni di giovani con specifici requisiti; in conseguenza di ciò, anche se la proposta di aumento del prefinanziamento da versare agli Stati membri non altera il profilo finanziario globale delle dotazioni nazionali già concordato, limitandosi ad anticiparne la fruibilità e flessibilizzarne l'accesso, la disomogeneità dei vari piani regionali, potrebbe impedire la fruizione del vantaggio in parola; inoltre, come rilevato in sede di discussione del provvedimento in Commissione lavoro, qualora a dodici mesi dall'entrata in vigore del regolamento la Commissione europea non avrà ricevuto domande di pagamenti intermedi per i progetti in cui il contributo dell'Unione a titolo dell'IOG ammonta ad almeno il 50 per cento del prefinanziamento supplementare, quest'ultimo dovrà essere rimborsato alla Commissione medesima; a ciò si aggiunge l'obbligo di restituire i pagamenti intermedi, essendo versabili solo in base alle spese certificate già sostenute dai beneficiari e coperte dallo Stato membro, non possono essere destinati alla corresponsione di anticipi;
   valutato che il suddetto «programma comunitario» nelle intenzioni avrebbe dovuto offrire un lavoro o un percorso ai circa 2 milioni di beneficiari; da dati forniti dalle direzioni competenti del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, i soggetti a cui sarebbe stata proposta un'opportunità sarebbero appena 69.811, e Pag. 158su un totale di 502.000 registrati, secondo stime non definitive, più della metà sarebbe ancora in attesa di effettuare il colloquio conoscitivo in agenzie o centri per l'impiego; le regioni meridionali sono quelle con maggiori difficoltà anche a far partire i programmi; durante la recente audizione dei rappresentanti delle Regioni, in Commissione Lavoro, è stata ribadita, da parte di quest'ultimi, la scarsa operatività dei Centri per l'impiego, che rappresentano lo snodo principale delle misure della Garanzia Giovani; a tal proposito si deve rilevare come i provvedimenti illustrati nel Documento in esame siano in gran parte ancora da attuare, in particolare per quanto attiene alle disposizioni di cui alla legge n. 183 del 2014, le quali peraltro scontano un'impostazione di fondo non pienamente convincente a partire dall'istituzione dell'Agenzia nazionale per l'impiego e il ruolo non chiaramente prevalente che dovrebbe essere affidato riconosciuto alle strutture pubbliche;
   valutato che con riferimento al principio di parità di genere nel mondo del lavoro, si osserva che la perdurante carenza di effettive politiche di conciliazione tra vita familiare e lavoro ha concorso all'aumento della disoccupazione femminile con effetti negativi per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese;
   osservato che la legge di stabilità per il 2015 ha abrogato le agevolazioni strutturali per l'assunzione dei disoccupati di lunga durata, previste dalla legge n. 407 del 1990, con cui si consentiva alle aziende di risparmiare il 50 per cento dei contributi INPS e INAIL per trentasei mesi; il risparmio si elevava al 100 per cento per le aziende collocate in una delle regioni del Sud, o che svolgono attività artigianale;
   ritenuto che il Governo avrebbe dovuto impegnarsi, sul piano nazionale, con misure concrete al fine di:
   in materia di politiche attive e passive:
    realizzare in primis una concreta razionalizzazione ed una semplificazione degli strumenti di sostegno al reddito attualmente esistenti al fine di pervenire, al pari di altri Paesi europei, all'introduzione del reddito di cittadinanza quale meccanismo di protezione sociale universale, per contrastare la marginalità, garantire la dignità della persona, attuando il diritto fondamentale sancito dall'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e i principi di cui agli articoli 2, 3, 4 e 38 della Costituzione;
   in materia pensionistica:
    a) adoperarsi per attuare una modifica delle attuali politiche in materia pensionistica e previdenziale a partire dalla abolizione della cosiddetta «riforma Fornero» di cui all'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011;
    b) nell'ambito della manovra di bilancio per il prossimo triennio, anche al fine di favorire un ricambio generazionale, avviare un intervento strutturale che garantisca maggiore flessibilità nell'accesso ai trattamenti pensionistici, individuando prioritariamente, già nell'ambito della legge di stabilità 2016, interventi volti a fronteggiare le situazioni di maggiore criticità che interessano specifiche categorie di lavoratori, nonché specifici correttivi alla normativa vigente, quali:
     1) l'abolizione della riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici per i lavoratori che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, prescindendo dal requisito della prestazione effettiva di lavoro;
     2) l'applicazione del regime «opzione donna», in relazione alla liquidazione del trattamento pensionistico secondo le regole di calcolo del sistema contributivo per le lavoratrici che maturino i requisiti previsti dall'articolo 1, comma 9 della legge n. 243 del 2004 entro il 31 dicembre 2015, a prescindere dalla data di decorrenza del trattamento pensionistico, estendendo detti benefici anche alle lavoratrici titolari di posizione fiscale Pag. 159ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, iscritte in una delle gestioni separate dell'INPS;
     3) prevedere un regime di contribuzione previdenziale di tipo figurativo, a salvaguardia delle lavoratrici dipendenti, parasubordinate e autonome, che siano state costrette a interrompere il rapporto di lavoro per dedicarsi alla cura dei figli o per grave malattia di un familiare o convivente;
     4) prevedere un regime di contribuzione previdenziale di tipo figurativo, a salvaguardia delle lavoratrici che siano state costrette a interrompere il rapporto di lavoro per dedicarsi alla cura dei figli o per grave malattia, riconosciuta ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare o convivente;
   con riferimento al tematiche del lavoro:
    a) aumentare gli stanziamenti previsti dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, nonché appostare risorse certe per l'attuazione dei restanti provvedimenti delegati, in modo da evitare di aggravare le finanze del bilancio dello Stato, con conseguente aumento della pressione fiscale e dunque una riduzione dei presunti effetti benefici sull'economia che il Governo attribuisce al Jobs Act;
    b) effettuare un monitoraggio circa gli effetti del quadro di contrattazione salariale sulla creazione di posti di lavoro e sulla competitività di costo, in modo tale da prevedere nell'ambito della prossima legge di stabilità, misure concrete contro la diseguaglianza salariale, in particolare attraverso l'istituzione di un salario minimo per tutti i contratti nonché la predisposizione di una specifica normativa che stabilisca un rapporto salariale equo tra il trattamento economico degli amministratori delle società (pubbliche, partecipate, imprese sociali o cooperative sociali), e quello della retribuzione dei dipendenti delle stesse;
    c) procedere nella direzione di un potenziamento del legame tra le politiche attive e passive del lavoro, al fine di promuovere l'occupabilità dei lavoratori;
    d) procedere al monitoraggio, valutazione ed eventuale revisione dei compiti delle agenzie per il lavoro di lavoro interinale e operare una generale razionalizzazione dei servizi per l'impiego, attraverso una riforma complessiva delle strutture esistenti valorizzando e ampliando la centralità delle strutture pubbliche a partire dal ruolo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, evitando le duplicazioni e le sovrapposizioni di funzione attraverso un chiaro riparto delle funzioni stesse tra strutture centrali e periferiche e la soppressione delle agenzie non produttive, preservando al contempo la piena indipendenza di INPS e ISFOL quali organismi di studio e controllo;
    e) perseguire con lo stanziamento di apposite risorse all'istituzione della banca dati unica delle competenze nonché del fascicolo informatico del cittadino (collegato al libretto formativo), a partire dai soggetti pubblici già esistenti, al fine di favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro;
    f) favorire una maggiore trasparenza circa la gestione delle risorse destinate alle politiche per l'occupazione e la formazione e implementare, anche a livello nazionale, apposite misure di responsabilizzazione degli enti locali, anzitutto le Regioni, per l'impiego efficace di tali risorse attraverso misure premiali o sanzionatorie, con un meccanismo che preveda la revoca delle risorse non utilizzate;
    g) introdurre misure volte a semplificare e favorire il ricorso ai contratti di solidarietà difensivi, quale strumento di tutela dell'occupazione e di salvaguardia delle professionalità maturate nelle imprese;
    h) adoperarsi presso le sedi competenti della Commissione europea, per promuovere un'iniziativa legislativa, analoga a quella dello IOG, finalizzata ad Pag. 160aumentare il tasso di prefinanziamento iniziale del FSE per tutti i programmi operativi, in particolare a favore dei POR (Programmi Operativi Regionali), al fine di avviare e pagare con celerità i beneficiari delle azioni programmate attualmente nei POR, comprese quelle che sostengono in vario modo la Garanzia Giovani;
    i) aumentare gli stanziamenti previsti dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, nonché appostare risorse certe per l'attuazione dei restanti provvedimenti delegati, in modo da evitare di aggravare le finanze del bilancio dello Stato, con conseguente aumento della pressione fiscale e dunque una riduzione dei presunti effetti benefici sull'economia che il Governo attribuisce al Jobs Act;
   riguardo alle imprese:
    a) porre in essere, attraverso opportuni strumenti normativi, atti a favorire una drastica riduzione della pressione fiscale per le aziende che investono in Italia e che creano posti di lavoro a tempo indeterminato;
    b) ripristinare le agevolazioni in favore delle aziende che assumono disoccupati di lunga durata;
    c) favorire lo sviluppo della democrazia all'interno dei luoghi di lavoro, in particolare attraverso il ripristino delle garanzie dello Statuto dei lavoratori, vigenti prima della legge n. 92 del 2012, l'abolizione dell'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante «Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità» e l'adozione di una normativa volta ad assicurare una vera e piena rappresentanza e rappresentatività sindacale;
   riguardo alla conciliazione vita-lavoro:
    a) porre in essere iniziative normative volte a estendere alle lavoratrici e ai lavoratori di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che non risultino iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria, nonché alle lavoratrici iscritte ad una delle gestioni INPS previste per i lavoratori autonomi, le tutele in materia di maternità e paternità previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151;
    b) incentivare particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, quali il part – time, il telelavoro, lo smart working e il co-working, consentendo l'uso flessibile e personalizzato dei congedi obbligatori e facoltativi, nonché sgravi contributivi ed agevolazioni fiscali;
    c) adoperarsi con ogni strumento utile ad aumentare il tasso di occupazione femminile, in modo tale da favorire il suo allineamento all'obiettivo di Lisbona (60 per cento, rispetto all'attuale 46 per cento) mediante la detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile, in particolare nelle regioni del Sud, dove il tasso di occupazione femminile è più basso,
   esprime

PARERE CONTRARIO.

«Cominardi, Lombardi, Tripiedi, Ciprini, Dall'Osso, Chimienti».