CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 21 aprile 2015
428.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-04407 Ferraresi: Emanazione del decreto ministeriale di cui all'articolo 8 della legge 130/2001 in materia di dispersione delle ceneri.

TESTO DELLA RISPOSTA

  In merito alla emanazione di un decreto interministeriale che disciplini i limiti di emissione degli impianti adibiti alla cremazione delle salme, ai sensi dell'articolo 8 della legge 30 marzo 2001 n. 130, recante «Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri», si precisa quanto segue.
  Gli impianti adibiti alla cremazione delle salme sono stati regolamentati successivamente per i limiti di emissione dalla parte QUINTA «Norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera» del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, recante «Norme in materia ambientale».
  Al riguardo, si evidenzia che agli impianti di cremazione in questione si applicano le disposizioni dell'articolo 271 del citato decreto legislativo «Valori limite di emissione e prescrizioni per gli impianti e le attività»; infatti detti impianti non risultano tra quelli elencati come impianti in deroga, di cui all'articolo 272, nella parte I dell'Allegato IV alla parte quinta dello stesso decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Va anche detto che ove ricorrano casi di potenza termica nominale superiore a 50 MW (megawatt), si applica la disposizione di cui all'articolo 273 «Grandi impianti di combustione» e relativi allegati del citato decreto legislativo.
  Raccogliendo le preoccupazioni e le sollecitazioni degli onorevoli interroganti, i chiarimenti che ho reso sono finalizzati a rassicurare che non sussiste alcun un vuoto normativo; tuttavia, anticipo che è intenzione del Ministero della salute, in occasione dell'aggiornamento già avviato del vigente Regolamento di polizia mortuaria, affrontare in modo sistematico e completo la tematica della cremazione, garantendo, a tal fine, una specifica normativa di settore.

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ALLEGATO 2

5-05032 Gelli: Controlli sui prodotti e servizi nel settore dell'estetica e del benessere.

TESTO DELLA RISPOSTA

  In merito alla problematica delineata nell'interrogazione parlamentare in esame, si precisa che gli aspetti riguardanti l'esercizio delle attività di vigilanza e controllo dei servizi resi nel settore dell'estetica e del benessere rientrano nella competenza delle Autorità sanitarie locali, che espletano i controlli sanitari delle attività di centri estetici e centri benessere.
  In particolare, l'articolo 16 della legge 6 agosto 2013, n. 97, recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2013», individua il Ministero della salute quale «autorità competente» per i compiti di indirizzo e coordinamento della materia; e affida alle regioni e province autonome i compiti di indirizzo e coordinamento delle attività delle Asl per la materia in esame.
  Ciò premesso quanto alla sicurezza dei prodotti, il regolamento (CE) n. 1223 del 2009 sui prodotti cosmetici, contiene le disposizioni che ogni prodotto cosmetico immesso sul mercato deve rispettare, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato stesso ed un livello elevato di tutela della salute umana.
  Infatti, come definito dall'articolo 4 del citato regolamento, sono immessi sul mercato soltanto i prodotti cosmetici per i quali una persona fisica o giuridica è stata designata come «persona responsabile» all'interno della Comunità Europea. Per ogni prodotto cosmetico immesso sul mercato la persona responsabile ne garantisce il rispetto degli obblighi stabiliti dal regolamento. La normativa attribuisce un ruolo fondamentale alla persona responsabile, che ha l'obbligo di verificare la conformità dei prodotto cosmetico alle disposizioni vigenti e per questo sottopone il prodotto medesimo alla valutazione della sicurezza, ai sensi dell'articolo 10 del citato regolamento.
  Al termine della fase di valutazione della sicurezza, il prodotto cosmetico può essere immesso direttamente sul mercato, tramite la notifica centralizzata al portale europeo CPNP (Portale dei prodotti cosmetici).
  Nella fase di pre-marketing la qualità e la sicurezza dei prodotti cosmetici sono valutati dalla persona responsabile, quindi dall'industria, a cui il regolamento attribuisce la responsabilità di garantire il rispetto delle disposizioni di legge e di immettere sul mercato un prodotto sicuro.
  Nella fase post-marketing invece, la sicurezza e la qualità sono verificate dalle Autorità di vigilanza nazionali, che hanno il compito di effettuare i controlli quando i prodotti sono già sul mercato.
  Il regolamento n. 1223 del 2009 è vigente dal 11 luglio 2013: l'articolo 22 reca le disposizioni di vigilanza.
  Va a questo punto comunicato che è in corso di predisposizione, ai sensi dell'articolo 16 della citata legge n. 97 del 2013, il decreto ministeriale che prevede la nuova regolamentazione delle procedure di controllo del mercato interno dei prodotti cosmetici, ivi inclusi i controlli dei prodotti stessi, degli operatori di settore e delle buone pratiche di fabbricazione.
  Inoltre, verranno aggiornati gli adempimenti e le comunicazioni che gli operatori di settore saranno tenuti ad espletare nell'ambito dell'attività di vigilanza e sorveglianza di cui al regolamento (CE) n. 1223 del 2009.Pag. 125
  Come ho già sopra anticipato, il Ministero della salute è Autorità competente sui prodotti cosmetici e per quel che riguarda la vigilanza sui medesimi prodotti si avvale delle Autorità territorialmente competenti (Regioni/Asl) e del Comando Carabinieri per la Tutela della Salute.
  Una ulteriore attività di vigilanza è svolta dagli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (USMAF), per le merci di importazione da paesi extra U.E., strutture direttamente dipendenti dal Ministero della salute, dislocate omogeneamente nel territorio nazionale.
  Relativamente ai controlli esercitati dai Carabinieri per la Tutela della Salute, ricordo che essi, oltre a svolgere attività autonoma o delegata di polizia giudiziaria, sono incaricati dal Ministero della salute di predisporre appositi controlli su tutto il territorio nazionale per ogni segnalazione della piattaforma «Rapex» relativa ai prodotti pericolosi.
  Infatti, si ricorda che nell'Unione Europea è attivo il sistema di allerta rapido per la sicurezza dei prodotti (RAPEX), che riguarda anche i cosmetici.
  Tale sistema si basa sulla segnalazione del rischio relativo ad un determinato prodotto, che viene fatta circolare in tempo reale in tutti i Paesi dell'Unione Europea, affinché ogni Stato informa tutti gli altri Stati dei provvedimenti adottati nel proprio territorio.
  La vigilanza si estende, altresì, alla fase di produzione dei cosmetici. In particolare, le Regioni effettuano periodiche verifiche ispettive presso i siti di produzione dei prodotti cosmetici e comunicano al Ministero della salute gli esiti di detti accertamenti, in base all'articolo 11 della legge n. 713/1986.
  Da ultimo, sottolineo che il Ministero della salute ha promosso e continua a promuovere attività di informazione e comunicazione sulla cosmetovigilanza ai soggetti interessati, operatori sanitari e utilizzatori finali.
  Nel settembre 2014 è stato pubblicato il bando per l'assegnazione, alle Regioni e alle Province Autonome di Trento e Bolzano, di finanziamenti per la realizzazione di progetti relativi ad una campagna di educazione sanitaria in tema di cosmetovigilanza.

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ALLEGATO 3

Documento di economia e finanza 2015. Doc. LVII, n. 3 e Allegati.

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVA PRESENTATA DAI DEPUTATI NICCHI E MATARRELLI

  La XII Commissione,
   esaminato il Documento di economia e finanza 2015 (Doc. LVII, n. 3), in particolare per le parti e le materie di competenza;
   considerato che:
    in questi anni, seppur dinanzi a una crisi economica sempre più forte, i fondi nazionali per il contrasto della povertà si sono sensibilmente ridotti (un miliardo e 536 milioni di euro dall'inizio della crisi al 2013);
    il DEF conferma che non c’è nessuna inversione di rotta, e nessuna efficace e credibile politica di reale contrasto alla povertà nel nostro Paese. Una vera emergenza che dura ormai da più di sette anni, e che colpisce fasce sempre più larghe della popolazione;
    le politiche del Governo continuano a privilegiare i trasferimenti monetari rispetto ad azioni strutturali e stabili e all'incremento dei fondi per le politiche sociali, per il sostegno alla famiglia ed all'infanzia, per la non autosufficienza;
    accanto al rifinanziamento della «social card», l'Esecutivo ha introdotto il cd. «bonus bebè», un assegno per ogni figlio nato o adottato dal 1o gennaio 2015 fino al 2017, purché la condizione del nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente sia in condizione economica corrispondente a un valore ISEE non superiore a 25 mila euro annui. Una misura che costerà complessivamente 3,642 miliardi di euro complessivi (fino al 2020). Anche in questo caso siamo di fronte a un trasferimento monetario alle famiglie meno abbienti che decideranno nei prossimi tre anni di metter al mondo dei figli. Sotto questo aspetto, si è scelto per un sostegno monetario diretto piuttosto che in un rafforzamento dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Cosa che avrebbe consentito (al contrario del bonus) di investire nel futuro del Paese, rispondere meglio alle esigenze reali dei genitori meno abbienti, e dare nuove opportunità di occupazione;
    allo sviluppo dei servizi socio-educativi per l'infanzia, l'ultima legge di stabilità destina solo 100 milioni di euro per il 2015), laddove sarebbe necessario provvedere al rifinanziamento del Piano straordinario di interventi per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi previsto dalla legge 296/2006;
    per quanto concerne le non autosufficienze, non si prevedono ulteriori risorse. L'ultima legge di stabilità ha stanziato 400 milioni per il solo anno 2015, e questo – tra l'altro – grazie al lavoro parlamentare, visto che il Governo aveva inizialmente previsto solo 250 milioni. Dal 2016 le risorse stanziate scendono alla ridicola cifra di 250 milioni di euro annui. Senza peraltro alcun vincolo di destinazione di parte di detto stanziamento, per i servizi di assistenza domiciliare;
    il Documento di economia e finanzia propone tagli da una decina di miliardi, e tra questi i 2,352 al Fondo sanitario nazionale. Di sviluppo e crescita c’è poco o nulla;Pag. 127
    come volevasi dimostrare il contributo che il Governo con la legge di stabilità 2015 ha imposto alle regioni per il contenimento della spesa pubblica, e che si somma ai tagli previsti dalle altre misure finanziarie precedenti (per complessivi quasi 5,9 miliardi), si tradurrà in un nuovo pesante taglio alla sanità pubblica;
    l'onere della manovra a carico del Servizio sanitario nazionale è stato quindi fissato in circa 2,352 miliardi a decorrere dal 2015, con conseguente riduzione di pari importo del livello di finanziamento del SSN;
    in realtà il totale dei tagli è di 2,637 miliardi, in quanto ai 2,352 miliardi di minore stanziamento del fondo sanitario, stabilito dall'intesa Stato Regioni del 26 febbraio scorso, si sommano i 285 milioni in meno per l'edilizia sanitaria, previsti anch'essi dall'intesa di febbraio;
    le previsioni del DEF sulla spesa sanitaria, stimano una crescita inferiore a quella del PIL, con un calo dal 6,8 per cento del 2015 al 6,5 per cento dell'anno 2019, fino a raggiungere il punto più basso nel 2020 (6,6 per cento) nel rapporto fra spesa sanitaria e PIL;
    il Governo prosegue con la politica dei tagli al Servizio sanitario, senza ricordare che la spesa sanitaria pubblica italiana risulta inferiore a quella dei principali paesi europei: poco meno di 2.500 dollari pro capite nel 2012, a fronte degli oltre 3.000 spesi in Francia e Germania;
    si rammenta che la stessa Corte dei Conti, nella sua recente «Relazione sulla gestione finanziaria per l'esercizio 2013 degli enti territoriali», ha ricordato come «Ulteriori risparmi, ottenibili da incrementi di efficienza, se non reinvestiti prevalentemente nei settori dove più carente è l'offerta di servizi sanitari, come, ad esempio, nell'assistenza territoriale e domiciliare oppure nell'ammodernamento tecnologico e infrastrutturale, potrebbero rendere problematico il mantenimento dell'attuale assetto dei LEA, facendo emergere, nel medio periodo, deficit assistenziali, più marcati nelle Regioni meridionali, dove sono relativamente più frequenti tali carenze»;
    il DEF 2015 in esame, conferma ancora una volta come si sia lontani dall'uscire dal paradigma dei tagli ed entrare in quello della qualità. In questi ultimi anni, il nostro paese è diventato più diseguale sul piano della garanzia delle cure, con territori periferici che negli anni si sono visti sottrarre servizi, tagliare prestazioni sanitarie e sociali, depauperare il sistema di protezione sociale. Con un sistema di prevenzione sempre più impoverito;
    non si prevedono risorse aggiuntive per lo sviluppo della rete territoriale finalizzata principalmente alla prevenzione, alla deospedalizzazione e a garantire in maniera uniforme su tutto il nostro territorio nazionale l'appropriatezza delle prestazioni. Investire oggi sulla prevenzione, l'assistenza domiciliare e territoriale, e sulla razionalizzazione delle reti ospedaliere, nella consapevolezza che questi ambiti possono davvero consentire nel prossimo futuro importanti risparmi al SSN, oltre che evidenti benefici alla collettività;
    in questo ambito vale la pena segnalare come il decreto-legge n. 95 del 2012, aveva previsto una razionalizzazione della rete ospedaliera favorendo l'assistenza residenziale e domiciliare. Ebbene a quasi tre anni da quel decreto non è stato ancora emanato il regolamento che doveva fissare gli standard relativi all'assistenza ospedaliera. Lo schema di regolamento che il governo aveva predisposto e inviato al Consiglio di Stato, è stato da questi «bocciato» il 6 novembre scorso, che ne ha chiesto la sua completa riscrittura,
  esprime

PARERE CONTRARIO.

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ALLEGATO 4

Documento di economia e finanza 2015. Doc. LVII, n. 3 e Allegati.

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVA PRESENTATA DAI DEPUTATI DEL MOVIMENTO 5 STELLE

  La XII Commissione,
   esaminato il Documento economico e finanziario 2015 in particolare per le parti e le materie di competenza,
   premesso che:
    nel Documento economico e finanziario del 2014 si affermava che la spesa sanitaria dal 7,3 per cento del Pil 2010 sarebbe passata al 7 per cento del Pil 2015, e al 6,9 per cento del Pil 2016, in realtà con gli effetti della legge di stabilità nel 2015 si assesterà al 6,8 per cento, meno 0,2 per cento rispetto a quanto previsto dal precedente DEF, mentre si afferma che solo nel decennio 2050-2060 la spesa sanitaria si assesterà al 7,6 per cento;
    dal Documento economico e finanziario si evince infatti che il Fondo sanitario nazionale passa dai 112,062 miliardi di euro indicati nel Patto di soli 8 mesi fa, ai 109,7 miliardi di euro indicati nel DEF 2015, una riduzione che si rileva anche nel 2016 in quanto i previsti 115,444 miliardi di euro previsti dal Patto per la salute 2014-2016, diventano 113,1 miliardi di euro;
    peggiorano persino i livelli di risorse previsti dal Patto per la salute 2014 – 2016 che era stato salutato come l'evento che, grazie all'individuazione di risorse certe, avrebbe finalmente permesso alle regioni di programmare correttamente le funzioni di assistenza evitando situazioni paradossali di approvazioni di bilanci con oltre due anni di ritardo; avrebbe reso la sanità efficace ed efficiente mantenendo livelli di prevenzione, assistenza e cura elevati.

  Non a caso nel Patto per la salute si era affermato, in pratica in ogni articolo, che le risorse per gli stanziamenti e le iniziative previste, per qualificare il Servizio Sanitario Nazionale, erano soggette al quadro macro economico e quindi di fatto non solo il Patto per la salute non sarà occasione di qualificazione del Servizio sanitario in termini in particolare di prevenzione, deospedalizzazione e di servizi territoriali, ma si assisterà ad un peggioramento della qualità del servizio.
  In relazione all'invecchiamento della popolazione e della ricaduta di questo sull'intero assetto socio sanitario nazionale e dei servizi, nel Documento economico e finanziario si prevede un aumento della speranza di vita da qui al 2060, si afferma anche che dal 2015 al 2060 la spesa media prevista per affrontare l'invecchiamento della popolazione si assesta ad una media del 28 per cento ma in realtà la previsione dal 2015 fino al 2020 è di una riduzione dell'1 per cento del Pil e solo nel 2043 tornerà a crescere, di fatto anche qui si assiste una riduzione della spesa. Questi numeri non lasciano presagire nulla di buono soprattutto se confrontati con i dati presenti nel rapporto OCSE del 2015. Gli anni in buona salute per gli italiani over 65 sono circa 7 per gli uomini e 8 per le donne. Si tratta dei livelli tra i più bassi d'Europa, ben al di sotto della media europea (9,5) e la metà rispetto ai paesi del nordici (14 anni). Dunque, con queste Pag. 129miopi politiche, il rapido invecchiamento della popolazione sarà accompagnato da un alto numero di malati cronici bisognosi di cure per un lungo numero di anni.
  Una recente ricerca della Caritas insieme al banco farmaceutico dimostra che la povertà incide gravemente sulla salute dei cittadini, tra il 2006 ed il 2013 sono aumentate del 97 per cento le persone che hanno avuto difficoltà ad acquistare i farmaci per potersi curare, compresi quelli con prescrizione medica.
  Nel programma nazionale di riforma si afferma che il servizio sanitario nazionale deve rispondere ad una sfida assistenziale, ovvero far coincidere il mantenimento degli standard, non certo il loro miglioramento, con il taglio delle risorse, che viene chiamato eufemisticamente «razionalizzazione della spesa pubblica», ma tutto questo non e’ vero ! Già in passato il governo Monti aveva adottato un'azione simile e la FIASO (Federazione delle aziende sanitarie) aveva denunciato come i tagli su beni e servizi non solo non erano praticabili nella misura richiesta (5 per cento il primo anno; 10 per cento il secondo) ma le regioni con le maggiori difficoltà ad applicarli erano proprio quelle più virtuose (tagli non oltre il 2 per cento). Insomma, il DEF 2015 avanza ancora ipotesi sulla lotta agli sprechi ma si riafferma una governance che ripensa l'attuale modello di assistenza con il solo obiettivo di garantire le prestazioni a chi ne ha davvero bisogno il che significa la progressiva riduzione della popolazione che ha diritto all'assistenza.
  Il DEF propone, nel programma nazionale delle riforme, il perfezionamento del patto della salute, definendo gli aspetti finanziari e prevedendo una sua riscrittura dettata non dai bisogni dei cittadini ma dalle compatibilità economiche, in proposito occorre ricordare che ancora una volta l'applicazione dei costi e dei fabbisogni standard, che la legge di stabilità 2015 ipotizza per il 30 di aprile di quest'anno, restano una chimera.
  Il Patto della salute 2014-2016 prevedeva anche l'aggiornamento delle procedure di rivalutazione dei prezzi e/o rimborsabilità dei farmaci, a distanza di circa un anno non si hanno ancora informazioni certe sebbene, anche questa misura, rischia di danneggiare seriamente le persone più fragili. Infatti, si ipotizza di non rimborsare più i farmaci sotto la soglia dei 10 euro. Questo significherebbe che gran parte delle persone anziane, che spesso presenta pluripatologie, dovrà pagarsi di tasca propria tutti i farmaci, in questo modo il governo taglierebbe la propria spesa per circa 450 milioni che ricadrebbe per intero sui malati.
  Altra azione prevista nel programma nazionale è ridisegnare il perimetro dei LEA, adottando l’health technology assessment e prevedendo che l'assistenza sia aggiornata con le innovazioni cliniche e tecnologiche, anche queste affermazioni sono la dimostrazione che si tratta di un vero e proprio libro dei sogni dal momento che la legge di stabilità taglia 2,35 miliardi di euro l'anno mentre la bozza dei nuovi LEA, presentata del ministro Lorenzin, presuppone una maggiore spesa di 450 milioni (in realtà, a conti fatti, circa 1 miliardo).
  La proposta sull'autismo, inserita nel DEF, è troppo vaga e sembra destinata a non trovare reale applicazione, anche alla luce del fatto che molti aspetti vengono delegati alle Regioni, quelle Regioni che hanno subito tagli nei trasferimenti da parte dello Stato centrale, che si trovano in una situazione economica talmente critica da rendere difficile garantire i servizi fondamentali. È impensabile che si preveda di attuarla senza oneri per lo Stato. Il timore è che servirà ad agevolare tutta una serie di strutture private. Forse bisognerebbe lavorare sulla reale applicazione delle leggi esistenti, basti pensare alla legge 104/92. Il problema, come già sottolineato, è il futuro incerto dei soggetti autistici una volta raggiunta l'età adulta.
  Il Documento economico finanziario per il 2015 che viene proposto non reca nessuna riforma strutturale nella lotta alla povertà, si affida all'estensione del Sia (sostegno per l'inclusione attiva), attualmente in uso in via sperimentale nelle 12 maggiori città italiane, affermando che Pag. 130questo sostegno aiuti le famiglie a vivere una vita dignitosa ma non si spiega quali siano stati gli effetti della, già in uso, social card, piuttosto appare in forte contraddizione con quanto affermato dal ministro Giuliano Poletti il 21 Ottobre 2014, in audizione presso la XII Commissione della Camera dei Deputati, sulle linee programmatiche del suo dicastero in materia di politiche sociali quando affermava che la proliferazione di tali disorganici strumenti di sostegno alla povertà siano connotati da un alto rischio di inefficacia. Questo DEF non presenta alcuna idea ben definita di rideterminazione complessiva degli strumenti di intervento, anzi vengono pressoché riconfermate le stesse identiche, e già ampiamente criticate da più parti, criticità lasciando quasi del tutto immutato lo status quo. Infatti sono riconfermati i 250.000.000 euro fino al 2019 per finanziare la social card e nulla si sa sull'efficacia del SIA di cui si ipotizza la possibile estensione a tutto il Mezzogiorno prevedendone i futuri benefici sulla base di nessun dato certo e quantificabile. Il Movimento 5 Stelle ha infatti autonomamente provveduto a richiedere ai Comuni interessati dalla sperimentazione, ovvero Milano, Torino, Firenze, Roma, Napoli, Venezia, Verona, Genova, Bologna, Bari, Catania e Palermo, una prima relazione sull'impiego del SIA. Attualmente i soli comuni di Milano e Napoli hanno fornito il relativo report e da entrambi si evince che la stragrande maggioranza dei richiedenti non possiede i requisiti richiesti e/o gode già di altri benefici economici non facendo altro che cumulo di sussidi e contributi.
  Strettamente collegato all'accesso a questi strumenti è l'ISEE, entrato in vigore, in seguito alla riforma, il 1o Gennaio 2015, e caduto fin da subito nel più grande dei caos amministrativi e operativi. Come se non bastasse nello scorso Febbraio il Tar del Lazio, accogliendo parzialmente i ricorsi di cittadini e associazioni, giudica illegittimo il calcolo del nuovo ISEE che, secondo il relativo d.p.c.m., considera voci di reddito a tutti gli effetti, al pari delle entrate derivanti da attività lavorativa, le provvidenze assistenziali erogate dallo Stato come le pensioni di invalidità o l'indennità di accompagnamento. A tal riguardo, tuttavia, non v’è traccia alcuna nel DEF, come nemmeno delle simulazioni di applicazione che sono state promesse, prima dal Governo Letta, nell'Ottobre 2013 e in seguito dal governo Renzi nel Luglio 2014.
  Non si pone la necessità di una maggiore attenzione sulle misure da attuare nel campo del sostegno alle persone disabili, anche per i famigliari che prestano la loro assistenza spesso lasciati soli in un deserto di servizi, così come non finanzia e, quindi, non attua il Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità (in particolare le linee di intervento 1, 3 e 5) adottato dal Consiglio dei Ministri nel Novembre 2013.
  Inoltre non si prevede di superare l'empasse scaturito nel Patto per la salute 2014-2016 quando all'articolo 6 «Assistenza socio-sanitaria», stabilisce che le relative prestazioni «sono effettuate nei limiti delle risorse previste» e che «le Regioni disciplinano i principi e gli strumenti per l'integrazione dei servizi e delle attività sanitarie, sociosanitarie e sociali, particolarmente per le aree della non autosufficienza, della disabilità, della salute mentale adulta e dell'età evolutiva, dell'assistenza ai minori e delle dipendenze e forniscono indicazioni alle Asl ed agli altri enti del sistema sanitario regionale per l'erogazione congiunta degli interventi, nei limiti delle risorse programmate per il Servizio sanitario regionale e per il Sistema dei servizi sociali per le rispettive competenze»; la disposizione, così formulata, è in palese contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione e la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità.
  Per il 2014 la legge di stabilità ha previsto la conferma del finanziamento di 275 milioni di euro per gli interventi originari del Fondo per la non autosufficienza e cioè l'attuazione «dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale Pag. 131con riguardo alle persone non autosufficienti» «ivi inclusi quelli a sostegno delle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica». Ma sul Fondo sono confluiti anche ulteriori 75 milioni vincolati però a «interventi di assistenza domiciliare per le persone affette da disabilità gravi e gravissime, ivi incluse quelle affette da sclerosi laterale amiotrofica.», per un totale di 350 milioni. Ciò a discapito degli interventi a favore della famiglia, che per il 2015 hanno subito una riduzione di ben 150 milioni così da coprire l'aumento delle risorse per il fondo per le non autosufficienze, arrivato quest'anno a 400 milioni.
  La legge di Stabilità 2015 ha stanziato 400 milioni per il solo 2015 e solo perché la sollevazione popolare e mediatica è stata molto forte fin dall'estate 2014 grazie all'iniziativa «Ice Bucket Challenge» che ha visto il premier e il ministro per la Salute protagonisti in Italia. Dal 2016, tuttavia, la stessa legge di stabilità 2015 riconduce il Fondo al regime di 250 mln annui, come conferma drammaticamente questo DEF. Inoltre non vi è alcuna misura prevista per razionalizzare il riparto del fondo prevedendo criteri più adeguati come l'incidenza di pazienti non autosufficienti per ogni regione (e non più per popolazione) e sistemi di tracciabilità che possano rendere rapido il controllo dallo Stato centrale agli utilizzatori finali del fondo erogato.
  In circa dieci anni il fondo nazionale per le Politiche sociali si è ridotto ad oggi di circa l'80 per cento. Nel 2004 lo stanziamento complessivo è stato di 1,884 miliardi di euro. E questa cifra rappresenta il massimo mai investito nel Fondo. Da quel momento le cifre stanziate si sono ridotte fino al minimo registrato nel 2012 (43,7 milioni di euro) per poi risalire fino alla quota del 2013 di 344,17 milioni di euro, ovvero il 77,8 per cento in meno rispetto a quanto stanziato nel 2004. Per il 2014 è stata prevista una ulteriore riduzione della destinazione al FNPS pari che è ammontato a 317 milioni di euro.
  La legge di stabilità 2015 riduce ulteriormente a 300 milioni di euro annui per il periodo 2015 – 2019, come conferma ancora drammaticamente questo DEF, con una sempre più crescente compartecipazione delle Regioni.
  Infine viene indicata tra le 5 azioni del Piano nazionale delle riforme la legge sull'autismo che ha appena iniziato il suo iter nella XII Commissione affari sociali, sul testo approvato al Senato, una legge che reca al momento solo princìpi che non dispone di risorse ma che pone questioni rilevanti in materia di diagnosi precoce, di trattamento individualizzato e di qualificazione degli operatori; dall'altro canto invece manca ancora una volta, e da oramai 15 anni, il finanziamento e quindi la definizione dei LEPS, i livelli essenziali delle prestazioni sociali ai sensi dell'articolo 22 comma 2 della legge n. 328 del 2000, cuore, tra l'altro, di una proposta di legge in esame nella XII Commissione della Camera dei Deputati che individua, invece, stanziamenti economici ben precisi e ingenti.
  Per gli indennizzi da emotrasfusioni, i problemi sono principalmente due: dal prospetto non si capisce se le somme stanziate riguardano solo gli indennizzi corrisposti direttamente dal ministero della Salute agli emodanneggiati oppure se includono anche le somme che sarà poi compito delle Regioni e delle Asl corrispondere. Se così fosse, sarebbe stato più opportuno computare quest'ultime in apposite sezioni delle tavole economiche pubbliche. La previsione di spesa del presente Def non è congrua, in nessuno dei due casi su esposti.
  Servirebbero, almeno, 950.000.000 euro annui. Non è poi ben chiaro nel documento se tali somme si riferiscano agli arretrati da corrispondere, alla spesa corrente o ad entrambe.
  Sarebbe stato opportuno, pertanto, che il Ministero avesse fatto una quantificazione esatta dei percettori, possibilmente divisi per categorie.
  Sarebbe, altresì, necessario stabilire una norma ponte per il fabbisogno economico delle regioni e delle ASL, enti erogatori dell'indennizzo previsto dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210.Pag. 132
  Il Governo è ben consapevole che le somme previste sono assolutamente insufficienti a soddisfare il pagamento degli arretrati e la spesa corrente. Ne è dimostrazione il fatto che dal 2012 lo Stato ha maturato nei confronti degli emodanneggiati di alcune Regioni un debito di circa 735 milioni di euro; vi sono state Regioni che sono riuscite ad anticipare le somme non corrisposte dallo Stato, ma altre, come la Calabria, non hanno avuto tale capacità. Il problema è stato affrontato più volte dal M5S, che non ha mai mancato di dimostrarlo attraverso gli atti presentati, le continue richieste di chiarimenti al ministero della Salute, e ultimamente anche nella legge di Stabilità. I nostri emendamenti avrebbero permesso di risolvere il problema degli arretrati, ma sono stati tutti bocciati dalla maggioranza di Governo.
  Il Patto per la sanità digitale è contenuto nell'articolo 14 del più ampio progetto del patto per la salute. Ad oggi risulta un ritardo da parte del Ministero competente nel ciclo di lavori sul patto per la sanità digitale, entro la fine del 2014, il suddetto Ministero si impegnava ad avviare e concludere una ricognizione dei fondi disponibili e/o attivabili, utilizzando parte dei fondi strutturali destinati all'asse «Agenda Digitale» e ad eventuali fondi pubblici o privati.
  Altresì, era previsto che il Comitato predisponesse, sempre entro la fine del 2014, un primo master plan di proposte relative a iniziative di Partenariato pubblico-privato, da avviare secondo le norme vigenti attraverso procedure a evidenza pubblica, con il compito di monitorare costantemente le singole iniziative avviate all'interno del medesimo master plan, per misurarne i ritorni in termini di efficientamento e di risparmi conseguiti; ed ancora, dovevano essere avviate già nel corso del 2014, in base alla disponibilità delle amministrazioni coinvolte, iniziative sperimentali, quali il proof of concept, volte a verificare la validità dei modelli teorici sviluppati, iniziative cofinanziate dal Ministero della salute, in collaborazione col Ministero dello sviluppo economico.
  Un ciclo di lavori, dunque, che sarebbe dovuto terminare entro la fine 2014, con la produzione di un rapporto conclusivo da presentare ufficialmente al Ministro della salute e a tutte le istituzioni coinvolte, contenente il master plan per le iniziative di sanità digitale, comprese le indicazioni prioritarie, i cronoprogrammi attuativi e i modelli di copertura finanziaria previsti, nonché i risultati delle iniziative sperimentali avviate, il tutto disponibile in rete attraverso uno strumento che dovrebbe essere costantemente aggiornato: il «Cruscotto del Patto»; Uno strumento, che attualmente non è reperibile, pertanto da parte dei cittadini o soggetti interessati non è possibile effettuare alcun aggiornamento sul lavoro svolto, non è possibile verificare se vi sia stata coerenza e tempestività delle attività descritte nel patto per la sanità digitale.
  Non viene fatta, altresì, chiarezza sulle intenzioni del Governo circa il cosiddetto progetto «Ecosistema digitale» avanzato, già lo scorso maggio, al Ministro della salute, On. Beatrice Lorenzin, con la presentazione di un Position Paper da parte dell'Associazione Nova, presieduta dall'onorevole Federico Gelli (PD) e dalle maggiori aziende ICT in sanità italiane che fanno capo a tale associazione, e su cui lo stesso Ministro ha affermato «Il progetto di ecosistema digitale che mi ha proposto l'Associazione Nova, grazie all'impegno di 8 imprese è un primo passo importante in questa direzione e i nostri uffici stanno lavorando per implementare questo progetto». A distanza di quasi un anno quindi il citato progetto «Ecosistema digitale» risulta ancor oggi irreperibile, né si conosce con esattezza la sua qualifica e natura.
  La Legge di Stabilità per l'anno 2015 ha previsto la costituzione di un fondo «ad hoc», per i farmaci per la cura dell'Epatite C per un miliardo di euro per gli anni 2015-2016, finalizzato al finanziamento delle Regioni, al fine di consentire la terapia ai pazienti, e l'acquisto dei farmaci innovativi nella cura dell'Epatite C già autorizzati dall'AIFA.
  Di questi fondi solo 100 milioni per il 2015 provengono da un contributo statale, Pag. 133gli altri 400 mil per il 2015 e 500 per il 2016 provengono da risorse destinate alla realizzazione di specifici obbiettivi del piano sanitario nazionale ai sensi dell'articolo 1 comma 34 legge 662/96 ciò comporterà una sottrazione di risorse destinate ad altre finalità e patologie.
  La cura con i nuovi medicinali che permettono la guarigione dalla patologia in 12 settimane con un successo per oltre il 90 per cento porterà a medio termine ad un risparmio economico per il SSN (infatti si potranno evitare i trattamenti tradizionali molto più lunghi e meno efficaci ed eventuali trapianti). Questo risparmio non sarà però immediato quindi sarebbe necessario almeno per il 2015 prevedere che l'intero investimento avvenga con nuove risorse per non creare di fatto un nuovo taglio al SSN.
  Da segnalare la mancanza dei decreti attuativi per il riparto dei soldi alle regioni che per ora sono costrette ad anticipare con mezzi propri queste cure costosissime causando così forti ritardi nell'avvio delle cure con rischi per la salute e la vita dei pazienti critici e con differenti trattamenti tra regioni e regioni.
  Nel DEF 2015 non c’è alcuna specifica riguardo la prevenzione e la cura del Gioco d'Azzardo Patologico, che nella legge di Stabilità prevedeva 50 milioni di euro a isorisorse del FSN e che nel Testo Unificato approvato dalla Commissione Affari Sociali arrivava a non meno di 200. Di questa cifra si perdono le tracce nella programmazione futura. Le uniche cifre che si trovano sono pura fantasia: con la famosa sanatoria avviata dalla recente Legge di Stabilità il Governo prevedeva di condonare circa 7000 agenzie fantasma: detto che solamente 2194 delle 7000 previste hanno aderito alla sanatoria con un incasso, per ora, di 22 milioni di euro scarsi, non si capisce come nel DEF ci possa essere la spropositata cifra di 4 miliardi e 700 milioni di euro proveniente dalle regolarizzazioni che è del tutto inattendibile.
  C’è poi da sottolineare che i conti presentati dal Governo dovranno comunque passare al vaglio del Parlamento attraverso il riordino di tutta la disciplina dei giochi: e sarà solo alla fine della discussione che si potrà capire la reale portata dell'intervento che finora è solo sulla carta. L'unico provvedimento per ora approvato è quello riguardante la riduzione di aggi e compensi per un valore di 300 milioni nel 2015, con l'intenzione di portarlo al regime di 500 milioni annui a partire dal 2016. Il tutto in una situazione comunque di stabilità in termini di raccolta del settore.
  Noi proponiamo una riarmonizzazione del regime fiscale dei giochi, data l'enorme differenziazione che tuttora sussiste fra alcuni giochi ed altri, con un aumento della tassazione del 4 per cento su AWP e VLT come indicato dal Governo nella prima versione della Legge di Stabilità depositata alla Camera e successivamente da lui stesso abrogata nel passaggio al Senato.
  I cosiddetti settori in crescita per raccolta all'interno del Gioco d'Azzardo sono stati sempre protetti dal Governo attraverso l'applicazione di una tassazione inferiore rispetto a tutti gli altri. Le politiche di espansione economica delle concessionarie italiane prevedono una tassazione bassa per difendere i nuovi investimenti delle imprese del Gioco. La rottura di questa collusione permetterebbe di rientrare dalla cosiddetta «bolla speculativa» nel settore dei giochi, segnalata dalla Consulta Nazionale Antiusura nel 2014, che è responsabile della desertificazione di investimenti in settori legati alle piccole e medie imprese, tessuto primario dell'economia italiana. La sciagurata difesa del settore dei Giochi d'Azzardo da parte del Governo va contro gli interessi dei cittadini e aumenta il numero di malati da GAP attraverso un uso distorto e aggressivo della pubblicità che induce il cittadino a non sentirsi all'interno di una comunità sana e partecipe, bensì in una società individualista e neocapitalista che giustifica l'abbandono sociale e il prosciugamento dei risparmi degli italiani. La pubblicità viene, quindi, percepita come una politica di Governo il quale appare totalmente allo sbando e impotente nel settore Pag. 134degli investimenti pubblici con l'eccezione delle Grandi Opere, al momento bloccate dagli scandali giudiziari sul malaffare che lega le organizzazioni criminali e il capitalismo finanziario totalmente fuori controllo.
  La tassazione andrebbe, per tutti i giochi, effettuata sul raccolto, e quella dello 0,7 per cento del mercato dell’on-line è troppo bassa all'interno di un mercato che, comunque, raccoglie ben 13 miliardi di giocato.

  Tutto ciò premesso, esprime

PARERE CONTRARIO.

Pag. 135

TESTO AGGIORNATO AL 22 APRILE 2015

ALLEGATO 5

Documento di economia e finanza 2015. Doc. LVII, n. 3 e Allegati.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La XII Commissione,
   esaminato per le parti di competenza il Documento di Economia e Finanza per l'anno 2015 (doc. LVII n. 3) con particolare attenzione alle sezioni I e III, e all'allegato IV;
   rilevato che il documento ribadisce in materia di sanità e politiche sociali le scelte già approvate dal Parlamento ed inserite nella legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) in termini di investimenti e di poste di bilancio;
   rilevato altresì che il DEF conferma le misure previste nel Patto per la salute per il triennio 2014/2016, che ha definito il fabbisogno finanziario ed ha disciplinato alcune misure finalizzate ad una più efficiente programmazione del SSN, al miglioramento dei servizi ed all'appropriatezza delle prestazioni;
   rilevato che per quanto riguarda le misure per il contenimento della spesa per il personale degli enti del SSN il Patto e la successiva legge di stabilità 2015 rimandano ad ulteriori interventi legati anche al contributo aggiuntivo delle regioni e delle province autonome che le medesime devono assicurare alla finanza pubblica, determinati poi con l'Intesa del 26 febbraio 2015 fra lo Stato, le regioni e le province autonome con la quale infatti si è registrato il contributo aggiuntivo alla finanza pubblica richiesto alle regioni e alle province autonome dalla legge di stabilità 2015 e ne ha definito le modalità attuative, specificando gli ambiti di spesa delle riduzioni a carico delle regioni;
   evidenziato inoltre che il DEF ha ulteriormente chiarito che la riduzione operata sul livello di finanziamento statale al SSN, pari a 2.352 milioni di euro, decorre dal 2015, per poi continuare negli anni successivi;
   rilevato che il DEF, per quanto attiene al settore della sanità, nel PNR (programma nazionale di riforma) attribuisce un importanza centrale al tema già presente nel DEF 2014 della sostenibilità finanziaria del SSN nel medio e lungo periodo, in relazione sia alle esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica sia alle tendenza demografiche in atto, e tra le altre cose, prevede il riordino della rete ospedaliera;
   rilevato che il Governo segnala di avere in corso la definizione e l'approvazione del regolamento per la definizione degli standard qualitativi e strutturali per un miglior efficientamento e per un contenimento della spesa;
   rilevato che per quanto riguarda gli impegni assunti in ambito di politiche sociali vengono mantenuti tutti gli obblighi contenuti nella legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014);
   rilevato che alla sezione 1, parte V, del DEF, nell'annunciare la revisione della spesa, si prevede una riduzione della spesa pubblica pari a risparmi complessivi valutati in 0,6 punti percentuali del PIL e che tra le voci di spesa su cui intervenire si individua la razionalizzazione della tax expenditure;
   atteso che nella sezione III, parte III, del DEF (PNR) compare il riferimento alle Pag. 136proposte di legge in materia di disturbi dello spettro autistico (C. 2985),
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   chiarisca il Governo se tra i provvedimenti previsti nella razionalizzazione della tax expenditure siano inclusi riordini della spesa riguardanti il settore delle politiche sociali e, in tal caso, preveda l'esclusione della riduzione delle detrazioni fiscali per le indennità per la non autosufficienza e per gli asili nido;
   specifichi il Governo nel PNR che l'emanando regolamento per la definizione degli standard relativi all'assistenza ospedaliera non privilegi il versante della revisione della spesa a scapito di quello della salvaguardia della qualità dei servizi erogati al cittadino;
   segnali la Commissione bilancio l'esigenza che il Governo preveda che l'avanzo di circa 1,6 miliardi di euro, che si deduce dall'andamento del conto economico esposto dal DEF, venga destinato a misure per il contrasto della povertà;
   segnali la Commissione bilancio l'esigenza che il Governo nella sezione III, parte III, del DEF, (nel PNR), inserisca anche il riferimento alle proposte di legge in corso di esame presso la Camera dei deputati in materia di assistenza alle persone disabili prive del sostegno familiare (cd. Dopo di noi) (C. 698 e abbinate);
  e con la seguente osservazione:
   valuti la Commissione bilancio l'opportunità che il Governo nella sezione III, parte I. 8, del DEF (PNR) preveda che il programmato riordino degli enti vigilati dal Ministero della salute avvenga senza pregiudicare le funzioni di natura pubblica degli stessi, chiarendo che il riferimento alla competitività vada inteso come qualità organizzativa degli enti medesimi.