CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 19 marzo 2015
409.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

DL 7/2015: Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione. C. 2893 Governo.

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVA PRESENTATA DAL DEPUTATO PESCO E ALTRI

  La VI Commissione,
   esaminato, ai sensi dell'articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria, il disegno di legge C. 2893, di conversione in legge del decreto-legge n. 7 del 2015, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione»;
   considerato che:
    il decreto-legge n. 7 del 2015 non costituisce solo l'ennesimo decreto-legge con il quale si prorogano le diverse missioni militari internazionali a cui partecipa l'Italia;
    in questo caso, infatti, il Governo ha pensato bene di inserire nei primi 10 articoli dello stesso decreto-legge n. 7 disposizioni del tutto estranee alla materia delle missioni internazionali e degli interventi di cooperazione allo sviluppo, che riguardano invece misure per il contrasto del terrorismo; misure, dunque, che avrebbero dovuto – per merito, forma e omogeneità del provvedimento – far parte di un altro specifico decreto-legge;
    la scelta di introdurre tali disposizioni nello «storico» decreto-legge missioni rappresenta un fatto inaccettabile da un punto di vista istituzionale, perché teso a prefabbricare «un pacchetto» legislativo disorganico e slegato tra le varie parti, obbligando le Camere a una sorta di «prendere o lasciare»;
    in particolare sono state disattese diverse disposizioni di legge volute dal Parlamento in sede di conversione del precedente decreto-legge di rifinanziamento delle missioni, il decreto-legge n. 109 del 2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 141 del 2014:
     a) in merito alle missioni anti-pirateria in corso, si è disatteso l'articolo 3, comma 4, del citato decreto-legge n. 109 del 2014, il quale prevedeva che: «Concluse le missioni in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e comunque non oltre il 31 dicembre 2014, la partecipazione dell'Italia alle predette operazioni sarà valutata in relazione agli sviluppi della vicenda dei due fucilieri di marina del Battaglione San Marco attualmente trattenuti in India»; come è noto, tuttavia, la situazione riguardante la posizione dei due marò Girone e Latorre non è affatto risolta, mentre le citate missioni sono state inopinatamente comunque rifinanziate;
     b) in merito alle missioni in Libia, si è disatteso il comma 7-bis dell'articolo Pag. 593, del predetto decreto-legge n. 109 il quale recita testualmente: «Perdurando la situazione di instabilità politica in Libia, il Governo riferisce alle Camere sull'eventuale sospensione totale o parziale delle missioni di cui ai commi 1, 2 e 3»: tuttavia, a dispetto di quanto sta accadendo in Libia, il decreto-legge n. 7 del 2015 reitera le relative missioni;
     c) è stata prorogata sotto altra forma, ma in sostanziale continuità con la partecipazione italiana all'occupazione militare dell'Afghanistan, una nuova missione denominata Resolute Support, senza tuttavia che questa sia stata autorizzata preventivamente dal Parlamento mentre, invece, il comma 3-bis, dell'articolo 2 del menzionato decreto-legge n. 109 di rifinanziamento delle missioni prevede, tra l'altro, che, concluse quelle in corso nel 2014, della partecipazione dell'Italia a ulteriori missioni militari in Afghanistan deve essere data preventiva comunicazione alle Camere, al fine di adottare le conseguenti deliberazioni; la missione è già in atto dal 1o gennaio 2015 ma nessuna preventiva autorizzazione è stata data dalle Camere;
   considerato inoltre che:
    le parti del decreto-legge n. 7 attinenti alla materia tributaria riguardano le disposizioni di cui all'articolo 15, in materia di personale impiegato nelle missioni: in particolare, l'articolo 15, comma 1, rinvia alle disposizioni di cui all'articolo 3 della legge n. 108 del 2009, il cui comma 4 reca la disciplina relativa al trattamento fiscale delle indennità di impiego operativo dei militari impiegati nelle missioni internazionali; a tale indennità viene applicato il trattamento fiscale e previdenziale previsto per l'indennità di imbarco dall'articolo 19, primo comma, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, e dall'articolo 51, comma 6, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917: in pratica, tale indennità concorrono a formare il reddito nella misura del 50 per cento del relativo ammontare;
   tale misura agevolativa, in linea di principio condivisibile, considerato il rischio connesso allo svolgimento dell'attività lavorativa dei militari impiegati nelle missioni, è tuttavia consequenziale alla proroga delle missioni internazionali e alla quale il M5S, anche in questa sede, esprime il proprio dissenso,
   esprime

PARERE CONTRARIO
Pesco, Alberti, Cancelleri, Pisano, Ruocco, Villarosa.

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ALLEGATO 2

5-05068 Causi: Modifiche alla disciplina circa l'imponibilità IVA delle cessioni di beni spediti o trasportati nel territorio di altro Stato membro.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento di sindacato ispettivo in esame, gli onorevoli interroganti chiedono iniziative volte a modificare, nell'ambito di attuazione della cosiddetta legge di delega fiscale, le disposizioni concernenti l'applicazione dell'IVA nel paese di destinazione delle cessioni di beni soggetti ad accisa spediti o trasportati dal cedente nel territorio di altro Stato.
  In particolare, gli onorevoli interroganti lamentano che il trattamento fiscale previsto dall'articolo 41 del decreto-legge 30 agosto 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, come interpretato dall'Agenzia delle entrate, sta fortemente penalizzando le aziende produttrici italiane di vini e bevande alcoliche che effettuano attività di vendita diretta on line verso privati consumatori comunitari.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  L'interpretazione del citato articolo 41, primo comma, lettera b) del decreto-legge n. 331 del 1993, come evidenziato dagli stessi onorevoli è stata formulata dall'Agenzia delle entrate nella risposta alla consulenza giuridica n. 954-72/2012, ed è conforme alla disposizioni contenute negli articoli da 32 a 34 della Direttiva 2006/112/CE.
  Pertanto, ogni eventuale sua modifica in senso difforme dall'attuale è suscettibile di determinare il rischio, per l'Italia, di una infrazione al diritto comunitario.
  L'articolo 32 della Direttiva prevede infatti, con una norma di portata generale, che nel caso di beni spediti o trasportati dal fornitore, dall'acquirente o da un terzo, il luogo di tassazione si trova nel Paese di partenza dei beni stessi (tassazione all'origine).
  L'ambito di tale norma, come in precedenza osservato, è molto ampio perché la stessa si applica a prescindere da chi effettua il trasporto e anche se il bene non valica la frontiera tra Stati membri diversi.
  In deroga al citato articolo 32, l'articolo 33 della Direttiva richiamata stabilisce che, nel caso di un bene spedito e trasportato da uno Stato membro diverso da quello di arrivo, l'operazione è rilevante nel Paese di arrivo, quando il trasporto è effettuato dal fornitore o dal cedente, quando sono soddisfatte talune condizioni previste dalla norma. Si afferma così il principio di tassazione nel Paese di destinazione nel caso di trasporto intracomunitario di beni a condizione che tale trasporto venga effettuato dal fornitore.
  Infine il successivo articolo 34 introduce una serie di deroghe, stabilendo in sostanza una ripartizione della potestà impositiva tra il Paese di partenza e quello di arrivo a fronte di una serie di elementi, tra cui il superamento di una soglia determinata che fa scattare l'imponibilità della cessione nello Stato membro di arrivo.
  Tuttavia, le disposizioni di tale articolo non si applicano ai beni soggetti ad accisa (articolo 34, paragrafo 1, lettera a)) che, quindi, se spediti o trasportati dal fornitore o per suo conto, sono sempre assoggettati ad IVA nel Paese di destinazione, a prescindere dal superamento o meno della soglia in questione.Pag. 61
  Pertanto, alla luce delle menzionate norme comunitarie non è possibile addivenire ad una interpretazione della norma nazionale diversa da quella prospettata nella risposta alla citata consulenza.
  Infatti, solo se il trasporto viene effettuato dall'acquirente torna di applicazione il criterio generale di cui all'articolo 7-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, con conseguente tassazione nel Paese di origine (articolo 32 della Direttiva).
  Va, peraltro, ricordato che le disposizioni comunitarie di cui agli articoli da 32 a 34 della Direttiva IVA hanno valore cogente nei confronti degli Stati membri che non sono autorizzati a introdurre una disciplina diversa.
  Con riguardo alle prospettive di modifica della disciplina europea armonizzata giova, infine, segnalare che alcune previsioni della direttiva IVA che richiamano le ipotesi, sia pur residue, di tassazione nel luogo di origine, siano idonee ad alterare la concorrenza e la neutralità fiscale e in considerazione di ciò, alcuni gruppi di lavoro operanti nell'ambito delle Istituzioni europee ne hanno chiesto la revisione.
  È quanto emerge tra l'altro dal rapporto finale elaborato dal «Gruppo di esperti sulla tassazione dell'economia digitale», pubblicato il 28 maggio 2014 sul sito della Direzione generale fiscalità ed unione doganale della Commissione europea.

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ALLEGATO 3

5-05069 Paglia: Iniziative in merito all'ipotesi di cessione del gruppo Istituto centrale delle banche popolari.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione l'onorevole Paglia pone quesiti in ordine alla prospettata cessione delle azioni del Gruppo Istituto Centrale delle Banche Popolari (ICBPI) da parte degli intermediari partecipanti, esprimendo preoccupazione per l'eventuale ipotesi di cessione a favore di operatori esteri, soprattutto Fondi di private equity.
  Al riguardo, la Banca d'Italia ha comunicato che nei primi mesi del 2015, da notizie di stampa e da incontri informali con esponenti dell'Istituto Centrale delle Banche Popolari e delle banche socie dello stesso, è emerso l'interesse da parte di alcuni fondi internazionali di private equity di acquisire il controllo dell'Istituto (ICBPI). Al momento, tuttavia, non è ancora pervenuta in Banca d'Italia alcuna istanza di autorizzazione all'acquisto della partecipazione.
  Su un piano generale, l'Organo di vigilanza ha precisato che un'operazione analoga a quella descritta dagli interroganti è soggetta ad autorizzazione da parte della BCE nell'ambito del Single Supervisory Mechanism, articoli 4 (1), lettera c), 6 (4) e (6) e 15 del Regolamento UE 1024/2013. L'istruttoria viene condotta dalla Autorità Nazionale competente, in questo caso la Banca d'Italia, che sottopone il relativo esito alla BCE per la decisione finale.
  I criteri seguiti per rilasciare l'autorizzazione all'assunzione di una partecipazione qualificata in un ente creditizio, sotto il profilo di vigilanza, sono disciplinati dagli articoli 22-27 della Direttiva n. 36/2013 (CRDIV), nonché dalle Linee guida applicative emanate da CEBS, CESR e CEIOS, ora sostituiti da EBA, EIOPS ed ESMA.
  In particolare, per la valutazione dell'istanza devono essere presi in esame i seguenti aspetti:
   requisiti di onorabilità del candidato acquirente;
   requisiti di onorabilità e professionalità dei membri dell'organo di gestione e dell'alta dirigenza che, in esito alla prevista acquisizione, determineranno l'orientamento dell'attività dell'ente creditizio;
   la solidità finanziaria del candidato acquirente;
   la capacità dell'ente creditizio di rispettare e di continuare a rispettare i requisiti prudenziali;
   la perseguibilità del progetto industriale e, in dettaglio, gli impatti dell'acquisizione in termini organizzativi e di governance e i possibili riorientamenti del core business;
   l'esistenza di motivi ragionevoli per sospettare che, in relazione alla prevista acquisizione, sia in corso o abbia avuto luogo un'operazione o un tentativo di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

  In ogni caso, la Vigilanza valuta qualunque operazione sottoposta alla sua approvazione avendo attenzione al profilo della sana e prudente gestione dell'intermediario, come previsto all'articolo 5 TUB.
  Inoltre, gli effetti di un'eventuale operazione di acquisizione sono rilevanti ai fini degli obiettivi di efficienza ed affidabilità Pag. 63del sistema dei pagamenti che la Banca d'Italia persegue quale autorità di Sorveglianza sul sistema (articolo 146 TUB). Sono, pertanto, valutati con attenzione i possibili impatti sul settore monetario e sui servizi strumentali al sistema dei pagamenti (esempio servizi di clearing) che l'Istituto Centrale delle Banche Popolari ICBPI offre sul mercato domestico, con un ruolo di primo piano, che dovrà essere salvaguardato anche nel nuovo assetto proprietario. Al contempo, in un contesto di progressiva integrazione del mercato europeo dei pagamenti retail, avviato con l'adozione delle procedure armonizzate della SEPA, assume particolare importanza la ricerca di sinergie e di dimensioni ottimali per fronteggiare la crescente concorrenza cross border tra i principali operatori europei; in questa prospettiva, la Sorveglianza valuta positivamente operazioni societarie che consentano di rafforzare il posizionamento di un operatore italiano sul mercato nazionale ed europeo, pur non essendo previsto il rilascio di alcuna autorizzazione.

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ALLEGATO 4

5-05070 Laffranco: Motivazioni della decisione di sottoporre ad amministrazione straordinaria la Banca popolare di Spoleto.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione l'onorevole Laffranco ed altri, nel richiamare la recente sentenza con la quale il Consiglio di Stato ha stabilito l'illegittimità dello scioglimento del Consiglio di amministrazione e la conseguente sottoposizione ad amministrazione straordinaria della Banca Popolare di Spoleto, disposti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze dell'8 febbraio 2013, chiedono se sia stata avviata un'istruttoria autonoma rispetto alla proposta di commissariamento avanzata dalla Banca d'Italia.
  Al riguardo, sentita in proposito la Banca d'Italia, si fa presente che la Banca Popolare di Spoleto SpA (BPS) è stata sottoposta ad amministrazione straordinaria con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze dell'8 febbraio 2013, su proposta della Banca d'Italia, per gravi irregolarità nell'amministrazione e gravi perdite, ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettere a) e b) del decreto legislativo n. 385 del 1993 (Testo Unico Bancario).
  In pari data, è stata disposta la sottoposizione ad amministrazione straordinaria anche per la controllante Spoleto Crediti e Servizi Società Cooperativa, per gravi perdite, ai sensi degli articoli 70, comma 1, lettera b), e in base all'articolo 98, comma 2, lettera b) e 105 del citato decreto legislativo n. 385 del 1993, essendo stata accertata la sussistenza di un gruppo bancario di fatto diretto dalla medesima cooperativa, che svolgeva attività di direzione e coordinamento nei confronti della banca controllata. Gli accertamenti ispettivi di vigilanza – svolti su entrambi gli intermediari nel secondo semestre del 2012 – avevano messo in luce l'esistenza di una situazione di ingovernabilità attestata dall'aspra contrapposizione creatasi tra la controllante Spoleto Crediti e Servizi Società Cooperativa (51 per cento) e l'altro socio di riferimento, Banca Monte dei Paschi di Siena (26 per cento), nonché dalla accesa conflittualità negli Organi aziendali.
  Con provvedimento dell'8 febbraio 2013 erano stati nominati, per entrambe le procedure, gli Organi straordinari (ingegner G. Boccolini, professor avvocato G. Brancadoro, dottor N. Stabile, Commissari straordinari, e professor S. Corbella, professor avvocato G. Domenichini, professoressa avvocato G. Scognamiglio), componenti del Comitato di sorveglianza.
  Terminata la fase di accertamento su «BPS», il complessivo fabbisogno patrimoniale della banca è stato quantificato dagli Organi Straordinari in almeno euro 130 milioni.
  In tale contesto, con la consulenza di un advisor, era stata avviata la ricerca di idonee controparti interessate a un intervento; sono pervenute alla procedura due offerte formali, da parte del Banco Desio e della Brianza e della cordata di imprenditori umbra «Clitumnus». La soluzione prescelta dai Commissari, con il benestare della Banca d'Italia, è stata quella basata sull'operazione prospettata da «Desio». Per consentire la definizione della soluzione alla crisi aziendale e, in particolare, per attuare l'aumento di capitale di «BPS», la procedura di amministrazione straordinaria è stata prorogata, anche per la controllante «SCS», con decreti del Pag. 65Ministro dell'economia e delle finanze del 31 gennaio 2014 nei termini massimi consentiti dal Testo Unico Bancario.
  Al fine di realizzare il piano predisposto dai Commissari, il 17 giugno 2014, l'assemblea di BPS, autorizzata dalla Banca d'Italia, ha deliberato un aumento di capitale sociale per euro 140 milioni riservato al Banco Desio, che è stato integralmente sottoscritto dall'intermediario brianzolo. Il 31 luglio 2014, previa nomina dei nuovi organi, l'azienda è stata riconsegnata alla gestione ordinaria.
  La procedura relativa alla controllante Spoleto Crediti e Servizi Società Cooperativa – la cui quota in Banca Popolare di Spoleto è risultata diluita per effetto del citato aumento di capitale – si è chiusa l'11 ottobre 2014 con la restituzione alla gestione ordinaria dell'intermediario, previa nomina dei nuovi organi aziendali.
  Con due autonome sentenze – peraltro recentissime – n. 657 del 9 febbraio 2015 e n. 966 del 26 febbraio 2015 – il Consiglio di Stato ha ora annullato i decreti nn. 16 e 17 del 2013 con i quali erano state poste in amministrazione straordinaria «BPS» e la controllante «SCS». In particolare, l'annullamento ha riguardato i soli decreti ministeriali relativi alle due procedure. La pronunzia affronta, solo incidentalmente, i correlati atti della Banca d'Italia, in base ai quali il Ministro aveva dato avvio alla procedura, nonché la valutazione negativa espressa dalla medesima Banca d'Italia, ex articolo 56 TUB, in ordine all'aumento di capitale che era stato ipotizzato dalla Banca Popolare di Spoleto prima del commissariamento.
  La valutazione negativa su tale aumento di capitale è stata motivata dalla circostanza che:
   la componente azionaria di tale rafforzamento patrimoniale ammontava, nell'immediato, a soli euro 30 milioni;
   erano in corso accertamenti ispettivi di vigilanza sull'intermediario volti proprio ad individuare l'esatto fabbisogno patrimoniale dell'azienda, risultato successivamente molto più elevato.

  In proposito, le Autorità competenti stanno valutando le eventuali iniziative da assumere.

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ALLEGATO 5

5-05071 Gebhard: Applicazione della fatturazione elettronica e del meccanismo dello split payment alle amministrazioni di beni di uso civico.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento di sindacato ispettivo in esame, gli onorevoli interroganti chiedono chiarimenti interpretativi in merito all'applicazione della disciplina degli obblighi di fatturazione elettronica verso le pubbliche Amministrazioni, nonché del cosiddetto meccanismo di split payment di cui all'articolo 1, comma 629, lettera b) della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nei confronti delle «Amministrazioni dei beni di uso civico», individuate ai sensi della legge provinciale di Bolzano 12 giugno 1980, n. 16.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Con riferimento alla qualificazione soggettiva delle Amministrazioni dei beni di uso civico, giova osservare che l'obiettivo principale della tutela dei beni civici consiste nel favorire la permanenza delle popolazioni nei territori di residenza, a presidio del territorio stesso per mezzo dell'esercizio di diritti d'uso che sono, prevalentemente, di legnatico, di pascolo, di raccolta dei frutti del sottobosco, di pesca nelle acque interne.
  Ciò premesso, in via generale spetta alle regioni il compito di disciplinare con legge l'esercizio delle funzioni amministrative in materia di beni civici, nel rispetto dell'uso previsto dalla legge statale e, per le regioni a statuto ordinario, nell'ambito del trasferimento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 11 (Trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste, di caccia e di pesca nelle acque interne e dei relativi personali ed uffici) ed al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'articolo 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382).
  Con particolare riferimento alle Amministrazioni dei beni di uso civico della provincia di Bolzano, l'articolo 1 della citata legge n. 16 del 1980 ne stabilisce «l'autonomia amministrativa, compresa quella contabile e finanziaria», e il successivo articolo 6 prevede che «l'amministrazione e l'utilizzo dei beni di uso civico vengono regolamentati da un apposito statuto predisposto dal comitato amministrativo».
  Sulla base di tale quadro normativo, sembrerebbe che i soggetti in argomento siano qualificabili come «enti pubblici gestori di demanio collettivo», preposti alla gestione dei diritti collettivi di uso civico (quali diritti di pascolo e al legname).
  Individuate le caratteristiche soggettive dell'Amministrazione in esame, è possibile affrontare i profili concernenti l'applicazione ad esse dell'obbligo di fatturazione elettronica e di applicazione del meccanismo dello split payment.
  Con riferimento all'obbligo di fatturazione elettronica, il vigente articolo 21, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 – così come modificato, a decorrere dal 1o gennaio 2013, dalla legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013) – definisce la fattura elettronica come quella che «... è stata emessa e ricevuta in un qualunque formato elettronico; il ricorso alla fattura Pag. 67elettronica è subordinato all'accettazione da parte del destinatario» e che la stessa «... si ha per emessa all'atto della sua consegna, spedizione, trasmissione o messa a disposizione del cessionario o committente».
  Con decreto 3 aprile 2013, n. 55, il Ministero dell'economia e delle finanze ha emanato il regolamento in materia di emissione, trasmissione e ricevimento della fattura elettronica da parte delle PP.AA. – ai sensi dell'articolo 1, commi dal 209 al 214, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) – rendendola obbligatoria, con decorrenza dal 6 giugno 2014, per le Agenzie fiscali, i Ministeri e gli Enti nazionali di previdenza e assistenza (articolo 6 del decreto ministeriale n. 55 del 2013), attraverso l'istituzione del Sistema di Interscambio (SdI), gestito dall'Agenzia delle entrate, tramite SO.GE.I. (decreto ministeriale 7 marzo 2008).
  Dal prossimo 31 marzo 2015, tale obbligo riguarderà tutte le pubbliche amministrazioni. Pertanto, a decorrere dal 6 giugno 2014, i soggetti IVA che effettuano cessioni di beni (articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972) e prestazioni di servizi (articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972) in favore delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici sono obbligati non soltanto ad emettere, ma anche a trasmettere, conservare ed archiviare le relative fatture secondo la disciplina propria della fattura elettronica.
  Con la circolare congiunta n. 1/DF del 9 marzo 2015, il Dipartimento delle Finanze ed il Dipartimento della Funzione Pubblica hanno precisato l'ambito soggettivo di applicazione della fatturazione elettronica verso le diverse pubbliche amministrazioni suddividendo queste ultime per classi di appartenenza «normativa», come di seguito riportato.
  In primo luogo, vi rientrano i soggetti di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, ossia tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), le Agenzie di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999 e, fino alla revisione organica della disciplina di settore, il CONI.
  Poi sono ricompresi i soggetti di cui all'articolo 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, ossia i soggetti indicati a fini statistici dall'ISTAT nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto, pubblicato in Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre di ogni anno, e le Autorità indipendenti.
  Infine, la terza categoria annovera le amministrazioni autonome di cui all'articolo 1, comma 209, della legge n. 244 del 2007.
  Sulla base delle suesposte considerazioni, considerata la natura delle Amministrazioni di beni di uso civico, l'Agenzia delle entrate ritiene che le stesse possano rientrare nell'ambito soggettivo di applicazione della fatturazione elettronica verso le diverse pubbliche amministrazioni.
  Occorre comunque precisare che l'introduzione dell'obbligo di fatturazione elettronica costituisce solo una diversa modalità di emissione della fattura, ma non incide sui presupposti per l'emissione della stessa.
  In altri termini, i soggetti che, prima del 6 giugno 2014, non erano tenuti ad emettere fattura verso le Pubbliche amministrazioni, perché non obbligati dalla normativa vigente, anche successivamente a tale data non sono obbligati ad emettere fattura elettronica.
  Pertanto, con riferimento al caso di specie, l'obbligo di fatturazione elettronica sussisterebbe solo con riferimento alle Pag. 68operazioni poste in essere con le Amministrazioni di beni di uso civico già soggette all'obbligo di fatturazione secondo le regole ordinarie di cui all'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972.
  Con riferimento al meccanismo del cosiddetto split payment, l'articolo 17-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ha introdotto, dal 1o gennaio 2015, il meccanismo in base al quale per gli acquisti di beni e servizi effettuati dalle pubbliche amministrazioni indicate da tale disposizione, l'IVA addebitata dal fornitore in fattura dovrà essere versata dall'acquirente direttamente all'erario, anziché allo stesso fornitore.
  In particolare detta norma, individua i seguenti soggetti interessati dal meccanismo in argomento:
   lo «Stato» e «organi dello Stato, ancorché dotati di personalità giuridica»;
   gli «enti pubblici territoriali» (regioni, province, comuni e città metropolitane) e «consorzi tra essi costituiti ai sensi dell'articolo 31» del TUEL;
   le «Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura»;
   gli «istituti universitari»;
   le «aziende sanitarie locali»;
   gli «enti ospedalieri»;
   gli «enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico» (IRCCS);
   gli «enti pubblici di assistenza e beneficenza» (IPAB e ASP);
   gli enti pubblici «di previdenza».

  Devono, invece, ritenersi esclusi dalla platea dei destinatari del meccanismo della scissione dei pagamenti, in conformità ai chiarimenti forniti con circolare n. 1/E del 9 febbraio 2015, gli enti pubblici non economici, autonomi rispetto alle pubbliche amministrazioni espressamente elencate dalla norma, che perseguono fini propri, ancorché di interesse generale, non riconducibili in alcuna delle tipologie soggettive annoverate dalla norma in commento.
  Considerata la natura di enti pubblici non economici delle Amministrazioni dei beni di uso civico – in via generale dotate di una propria autonomia soggettiva (anche sotto il profilo fiscale) e volte al perseguimento di proprie finalità – alla luce delle considerazioni sopra espresse, l'Agenzia delle entrate ritiene che gli enti in argomento non rientrino in alcuna delle categorie soggettive individuate dal menzionato articolo 17-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, quali destinatarie del meccanismo dello split payment.

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ALLEGATO 6

5-05072 Pisano: Chiarimenti in merito all'estensione del meccanismo dell'inversione contabile a fini IVA ai servizi di installazione di impianti e di completamento degli edifici.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento di sindacato ispettivo in esame, gli onorevoli interroganti chiedono al Governo chiarimenti interpretativi in merito alla recente modifica dell'articolo 17, comma 6 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, introdotta ai sensi dell'articolo 1, comma 629, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), che ha esteso il cosiddetto meccanismo di reverse charge o inversione contabile ai fini dell'IVA anche alle «prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relativa ad edifici».
  In particolare, a parere degli onorevoli interroganti, le nuove disposizioni pongono non pochi dubbi interpretativi ed applicativi concernenti la corretta individuazione delle singole fattispecie che rientrano soprattutto nell'ambito dei «servizi di installazione di impianti e di completamento relative a edifici».
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  L'Agenzia delle entrate riferisce che è di imminente emanazione una circolare esplicativa, con la quale saranno forniti i necessari chiarimenti in ordine alle novità fiscali introdotte in materia di reverse charge dall'articolo 1, commi 629, 631 e 632 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di stabilità 2015), anche al fine di dare risposta alle problematiche interpretative sollevate dagli operatori dei vari settori interessati.
  Nell'ambito di tale documento di prassi, ai fini dell'individuazione dei servizi di pulizia, demolizione di edifici, installazione di impianti, completamento di edifici, di cui alla più volte citata lettera a-ter), in una logica di semplificazione e allo scopo di evitare incertezze interpretative, sarà presumibilmente utilizzato il criterio fondato sul riferimento ai codici attività della Tabella ATECO 2007, in conformità, peraltro, ai criteri adottati dalla Relazione Tecnica per la determinazione degli effetti finanziari della norma.

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ALLEGATO 7

5-05026 Cancelleri: Applicazione della norma sulla riapertura dei termini di richiesta di un nuovo piano di rateazione dei debiti tributari anche ai contribuenti già decaduti dalle dilazioni straordinarie concesse in applicazione dell'articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame l'onorevole interrogante chiede chiarimenti interpretativi in merito alla corretta applicazione della recente disposizione inserita nel cosiddetto decreto milleproroghe con cui sono stati riaperti i termini per la richiesta di un nuovo piano di rateazione dei debiti tributari.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente giova richiamare il quadro normativo di riferimento.
  L'articolo 10, comma 12-quinquies, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, ha modificato l'articolo 11-bis del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, riproponendo la possibilità, per i contribuenti decaduti da un precedente piano di rateazione con Equitalia, di essere riammessi al beneficio della dilazione dei ruoli.
  Le modifiche apportate all'articolo 11-bis che conseguono all'approvazione di un emendamento a firma dei relatori all'A.C. 2803 di conversione del decreto-legge n. 142 del 2014 (cosiddetto «proroga termini»), comportano una riapertura dei termini per la fruizione del beneficio operata mediante la proroga delle scadenze originariamente previste dal primo comma, lettere a) e b), del previgente testo. Resta invariato, per il resto, il perdurante, esplicito richiamo di tale comma ai soli «contribuenti decaduti dal beneficio della rateazione previsto dall'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602», cui non è stata apportata alcuna integrazione, volta a ricomprendervi, espressamente, anche i debitori decaduti dai piani medio-tempore eventualmente accordati, proprio ai sensi dello stesso articolo 11-bis, nella versione vigente alla data di entrata in vigore della legge 27 febbraio 2015, n. 11.
  Tanto premesso l'Agenzia delle Entrate, nel rilevare che non sono state ancora emanate circolari interpretative sulla questione prospettata dagli interroganti – data anche la recente approvazione della novella – e tenuto conto della delicatezza della materia e della necessità di un approfondimento anche gli altri Uffici dell'amministrazione finanziaria, ritiene opportuno osservare quanto segue.
  Posto il dato letterale della norma e vertendosi, di fatto, in presenza di un semplice differimento di termini, potrebbe ritenersi che coloro che, entro il 31 luglio 2014, abbiano già richiesto la concessione di un nuovo piano di rateazione ai sensi dell'originario articolo 11-bis e siano successivamente decaduti dallo stesso, ancorché entro la nuova data del 31 dicembre 2014, non possano ottenere una nuova dilazione.
  La tesi invocata dall'interrogante per ricomprendere, tra gli aventi diritto alla fruizione della «dilazione straordinaria di cui al decreto-legge 66/2014», anche i debitori che abbiano già ottenuto tale Pag. 71beneficio, presentando l'istanza nei termini stabiliti prima della novella, può ritenersi plausibile sulla base di una interpretazione estensiva e sistematica della norma, dettata anche da ragioni di opportunità, che potrebbero essere alla base della scelta normativa e aver indirizzato il Legislatore a rimettere in termini anche tali debitori.
  A tal riguardo, limitandosi all'esame dei requisiti temporali richiesti dalla norma, può giungere alla conclusione che tutti i soggetti decaduti alla data del 31 dicembre 2014 da un piano di rateazione in corso (a prescindere dalla tipologia di piano, sia esso ex articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, sia esso a fronte di una richiesta ex articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 nella previgente formulazione) possano avvalersi della disposizione in commento, sempre che ne facciano richiesta entro il 31 luglio 2015.
  Resta inteso, si precisa che le istanze presentate dai debitori predetti saranno regolarmente ricevute dalle società del Gruppo Equitalia, il loro accoglimento, in esito ai dovuti approfondimenti.