CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 20 novembre 2014
340.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-04083 Francesco Saverio Romano: Modifiche alla normativa del contributo unificato di iscrizione al ruolo dovuto per le controversie dinanzi al giudice tributario.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento di sindacato ispettivo in esame, l'Onorevole interrogante chiede chiarimenti interpretativi in ordine all'applicazione del contributo unificato di iscrizione a ruolo nel processo tributario.
  In particolare, l'Onorevole evidenzia talune criticità connesse alla quantificazione, nelle controversie dinanzi alle Commissioni tributarie, dell'importo del tributo allorché con un unico ricorso vengono impugnati più atti di accertamento (c.d. ricorso cumulativo oggettivo).
  Pertanto, l'Onorevole sollecita iniziative, anche di carattere normativo, al fine di rimuovere le cennate criticità derivanti dall'introduzione della previsione di cui all'articolo 1, comma 598, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che ha modificato l'articolo 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), che ha precisato che il pagamento del predetto contributo deve essere effettuato con riferimento al valore della lite determinato in relazione a ciascun atto impugnato con il ricorso.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Giova preliminarmente richiamare il quadro normativo di riferimento.
  Nel processo tributario il contributo unificato è stato introdotto dall'articolo 37 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che ha modificato integrandolo la disposizione di cui all'articolo 9, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (T.U. spese di giustizia), secondo cui: «È dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario, secondo gli importi previsti dall'articolo 13 e salvo quanto previsto dall'articolo 10.».
  Ai sensi del comma 3-bis dell'articolo 14 del menzionato testo unico delle spese di giustizia, tale contributo si calcola con riferimento al valore della controversia, come definito dall'articolo 12, comma 5, del decreto legislativo n. 546/1992, il quale dispone che «Per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste».
  Il suddetto comma 3-bis dell'articolo 14, del predetto testo unico precisa, altresì, che il valore della lite «...deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito.».
  Successivamente l'articolo 1, comma 598, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014) ha modificato il citato comma 3-bis dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, precisando che il valore della lite deve essere determinato con riferimento a ciascun atto impugnato anche in appello.Pag. 70
  La suddetta modifica legislativa ha confermato l'interpretazione fornita da questa Direzione con la direttiva n. 2/DGT del 14 dicembre 2012, con la quale è stato chiarito che «in caso di un unico ricorso contro più atti (...) il calcolo del contributo unificato debba essere fatto con riferimento ai valori dei singoli atti e non sulla somma di detti valori».
  Tanto premesso, è opportuno rilevare che il processo tributario si caratterizza, a differenza del processo civile, per la sua natura impugnatoria in quanto, con il ricorso, la parte chiede al giudice l'annullamento parziale o totale dell'atto impositivo.
  Pertanto, il parametro di riferimento del processo tributario non è la domanda di parte ma è l'atto impositivo oggetto di impugnativa, il cui valore, ai fini del calcolo del contributo unificato e dell'assistenza tecnica, è determinato o quantomeno determinabile e non dipende dalla discrezionalità del ricorrente.
  Peraltro, ogni atto impositivo costituisce l'esito di separati procedimenti accertativi e la domanda di annullamento formulata con il ricorso impone al giudice di valutare la legittimità della pretesa tributaria in relazione ai singoli atti impositivi eventualmente impugnati cumulativamente.
  In sostanza, dal punto di vista processuale, non vi può essere una valutazione del valore complessivo degli atti, ma ognuno di essi mantiene la propria autonomia accertativa e di valore. Tale caratteristica del processo tributario fa sì che anche il provvedimento definitorio del giudizio (sentenza, ordinanza, decreto) debba contenere tante singole statuizioni quanti sono gli atti impositivi di cui si chiede l'annullamento.
  In un siffatto contesto, la determinazione del quantum di contributo unificato dovuto non può essere affidata alla decisione del singolo contribuente di impugnare cumulativamente o singolarmente gli atti impositivi notificati dall'ente impositore.
  Tale situazione assumerebbe evidenti profili di elusività che l'ordinamento non può tollerare.
  Infatti, impugnare più atti con un unico o separati ed autonomi ricorsi è una facoltà del ricorrente che non può tradursi in un risparmio nel versamento del contributo unificato in conseguenza di tale facoltà. La possibilità di trattare diverse questioni tra loro connesse in funzione degli atti impugnati risponde all'esigenza di economia processuale, che non può tradursi in una economia della determinazione del contributo unificato legata al valore del singolo atto impugnato.
  Se così non fosse, si verrebbe a determinare una evidente disparità di trattamento, in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, che il legislatore, mediante la previsione della quantificazione del valore di lite collegata ad ogni singolo atto, ha inteso evitare.
  Pertanto, è possibile affermare che la vera ratio della recente modifica normativa alla previsione di cui all'articolo 14, comma 3-bis, del T.U. sulle spese di giustizia, contenuta nella legge di stabilità per il 2014, risiede nella necessità di evitare i fenomeni elusivi sopra descritti, e non nella volontà di privilegiare il recupero di somme, ostacolando il diritto di difesa del contribuente contrario.
  Del resto, è utile precisare che nelle controversie sulla questione in argomento relativamente ai contenziosi avviati precedentemente alla modifica normativa della legge di stabilità per il 2014, l'Amministrazione Finanziaria è risultata più volte di recente vittoriosa (Cfr. da ultimo CTP di Mantova sentenze n. 283 del 24 settembre 2014, CTP di Torino n. 1255 del 5 giugno 2014 e CTP Prato n. 195 del 18 giugno 2014).
  Fra l'altro, un'eventuale modifica dell'impianto normativo al fine di prevedere che il valore della controversia su cui basare il contributo unificato sia basato sul valore complessivo degli atti impugnati comporterebbe, in ogni caso, una perdita di gettito per l'erario.

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ALLEGATO 2

5-04084 Villarosa: Attuazione dell'articolo 13, comma 5, del decreto-legge n. 66 del 2014, relativo all'applicazione presso la Banca d'Italia del limite massimo ai trattamenti economici nella pubblica amministrazione.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione dell'On. Villarosa ed altri è intesa a conoscere se sono stati applicati i contenuti del decreto-legge n. 66/2014 alla Banca d'Italia, richiamando, inoltre, nel testo del documento parlamentare, un articolo di stampa che menziona l'assegnazione di carte di credito aziendali ad alcuni dipendenti della Banca d'Italia.
  Al riguardo, la Banca d'Italia ha precisato che, con una nota del Direttore Generale indirizzata a un quotidiano, (pubblicato anche nel sito web dell'Istituto), ha provveduto a precisare che il bando di gara del 25 agosto 2014 per il servizio finanziario di pagamento tramite carte di credito «corporate» si riferisce al rinnovo di carte già in essere, utilizzate per il pagamento di talune spese (riconducibili in prevalenza all'acquisto di carburante per le scorte valori, di stampanti e similari).
  L'utilizzo delle carte in questione obbedisce a rigorose forme di autorizzazione e di controllo di ogni singola voce di spesa, che deve corrispondere a strette esigenze di servizio; l'attività di spesa fronteggiata dalle citate carte si inquadra come semplice modalità di pagamento di talune tipologie di oneri della Banca d'Italia, senza comportare incrementi dell'attività di spesa dell'Istituto.
  Con riferimento, poi, all'applicazione del decreto-legge n. 66 del 2014, la Banca d'Italia ha comunicato che il Consiglio Superiore ha affrontato la problematica delle retribuzioni e dei compensi del personale e dei membri del Direttorio della Banca d'Italia.
  In particolare, nella riunione del 30 ottobre 2014, il Consiglio ha esaminato le retribuzioni e i compensi del personale della Banca e dei membri del Direttorio, alla luce del decreto-legge n. 66/2014, convertito nella legge n. 89 del 2014, articolo 13, che fissa in 240.000 euro il limite al trattamento economico annuo di chiunque riceva, a carico delle finanze pubbliche, emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con Pubbliche amministrazioni o con società partecipate dalle stesse (inclusi i componenti degli organi di amministrazione, direzione e controllo). Il decreto prevede che la Banca d'Italia – nell'ambito della propria autonomia organizzativa e finanziaria – tenga conto di questi principi.
  Il Consiglio si è avvalso dell'analisi preliminare svolta nei mesi scorsi dal Comitato Remunerazioni, composto da tre membri del consesso.
  Il Consiglio ha innanzitutto rilevato come il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea assegni alle Banche centrali nazionali dell'Eurosistema piena indipendenza istituzionale e finanziaria e ai membri dei loro organi decisionali piena indipendenza personale. Il principio dell'indipendenza finanziaria e anche parte dell'ordinamento nazionale per espressa previsione dell'articolo 4, comma 1, del dl n. 133/2013, convertito con legge n. 5/2014. Esso implica, in particolare, che le Pag. 72spese di funzionamento della Banca d'Italia, incluse le remunerazioni del suo personale e dei membri del Direttorio, non sono a carico delle finanze pubbliche.
  Il Consiglio ha preso atto del parere rilasciato il 26 maggio 2014 dalla Banca centrale europea (BCE), su richiesta del Ministero dell'Economia e delle Finanze, riguardo all'applicabilità alla Banca d'Italia del decreto-legge n. 66/2014.
  I punti principali di quel parere, già presenti in numerosi pareri rilasciati in passato dalla BCE con riferimento ad altri paesi dell'area dell'euro, sono i seguenti:
   1. l'autonomia in materia di personale costituisce parte integrante del principio di indipendenza finanziaria delle Banche centrali nazionali (BCN); in forza di tale principio, gli Stati membri non possono pregiudicare la capacità di una BCN di assumere e mantenere il personale qualificato per lo svolgimento delle proprie funzioni. Per il principio di indipendenza finanziaria, qualunque norma di contenimento di spesa rivolta alla Banca d'Italia va intesa come atto di indirizzo e non come regola cogente;
   2. spetta alla Banca d'Italia valutare l'eventuale applicazione del tetto dei 240.000 euro, senza pregiudizio per l'autonomia in materia di gestione del proprio personale, al fine di preservare la capacità di esercitare le sue funzioni in modo indipendente;
   3. per i membri del Direttorio, in particolare, linee guida di riduzione delle retribuzioni possono valere solo per il futuro, non per i mandati in corso di svolgimento. Diversamente, esse possono costituire un mezzo di impropria pressione politica, alterando, tra l'altro, le condizioni esistenti all'atto della nomina;
   4. qualunque risparmio di spesa, pur autonomamente deciso e attuato, non può essere devoluto al bilancio pubblico, poiché ciò infrangerebbe il divieto di finanziamento monetario sancito dall'articolo 123 del Trattato.

  Il Consiglio ha quindi esaminato dapprima le retribuzioni del personale della Banca e ha rilevato come il problema di un'eventuale applicazione del tetto dei 240.000 euro di fatto non si ponga, visto che le retribuzioni complessive imponibili dei dipendenti della Banca – peraltro oggetto di contrattazione collettiva – rientrano tutte entro quel valore. In particolare, le retribuzioni complessive imponibili per il grado gerarchico massimo di Funzionario generale (in tutto 10 dirigenti) sono state ricomprese nel 2013 – escludendo il solo compenso per prestazioni oltre l'orario di lavoro contrattuale (in media 22.000 euro) – fra i 188.000 e i 217.000 euro.
  Il Consiglio ha comunque sottolineato come la Banca d'Italia svolga prevalentemente funzioni che trascendono i confini nazionali, in quanto integrate con quelle dell'Eurosistema. Il Consiglio ritiene pertanto che l'istituto debba mantenere la capacità di attrarre i migliori giovani che si affacciano al mondo del lavoro, anche offrendo retribuzioni competitive su scala internazionale, pena una perdita di autorevolezza all'interno dell'Eurosistema.
  Il Consiglio ha quindi espresso l'avviso, nel rispetto delle procedure negoziali esistenti in Banca, di confermare le politiche di selezione, formazione e retribuzione finora perseguite per salvaguardare il tenore qualitativo della compagine e assicurare che i compiti istituzionali all'interno dell'Eurosistema siano svolti in modo efficace e competitivo.
  Il Consiglio ha infine indicato la necessità di proseguire nell'azione di contenimento della dinamica del monte retributivo complessivo, anche con un attento governo del turn-over.
  Riguardo ai compensi dei membri del Direttorio della Banca d'Italia, Consiglio ha preliminarmente osservato come essi siano ex lege anche componenti del Direttorio integrato dell'istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS), compito per il quale non ricevono alcun compenso, e rivestano nel contesto europeo la più ampia estensione di competenze sul piano istituzionale: nell'Eurosistema, sono corresponsabili della politica monetaria e della vigilanza bancaria; in Italia, sono responsabili Pag. 73della vigilanza sugli intermediari finanziari non bancari e, come già ricordato, sul settore assicurativo, e svolgono delicati compiti in materia di antiriciclaggio, protezione dei consumatori di servizi finanziari, sistema dei pagamenti.
  Il Consiglio ha osservato che un confronto preciso di livelli retributivi con gli organi di vertice delle principali banche centrali dell'Eurosistema è reso difficile anche dalla riservatezza di queste ultime in materia, diversamente dalla Banca d'Italia che pubblica dati individuali e onnicomprensivi.

  (Ad esempio, la Banca di Francia comunica solo il dato relativo al totale dei compensi dei propri organi di vertice, pari a 3,1 milioni di euro (Rapporto annuale sul 2013).
  La BCE diffonde i soli stipendi base dei sei membri dell'Executive Board (378.240 euro per il Presidente, 324.216 euro per il Vice Presidente, 270.168 euro per gli altri membri), ma precisa che a quelle cifre vanno aggiunte indennità di residenza e rappresentanza (di cui viene fornito solo il totale, pari a 527.000 euro, in media poco meno di 90.000 euro a testa) oltre a speciali assegni e indennità di cui non è noto l'ammontare (Rapporto annuale sul 2013). Il trattamento fiscale è quello in uso negli organismi dell'Unione europea, sicché gli importi netti sono più alti nel confronto con le banche centrali nazionali.
  La Bundesbank pubblica invece dati presumibilmente onnicomprensivi: 418.146 euro per il Presidente, 333.495 euro per il Vice presidente e 250.377 euro per gli altri membri del Board (Rapporto annuale sul 2013, par. «Staff costs»). Va peraltro ricordato che essa svolge solo talune funzioni di vigilanza bancaria e nessuna di vigilanza assicurativa: in questi compiti è impegnata un'altra istituzione, la Bafin, che ha un proprio Consiglio di cinque persone, i cui compensi non sono noti).

  Alla luce degli elementi di cui sopra, il Consiglio Superiore, ritenendo comunque opportuno condividere lo sforzo di contenimento in atto nel Paese delle remunerazioni di chi ha incombenze pubbliche, ha modificato il compenso onnicomprensivo lordo per le cariche di: Governatore, in 450.000 euro (dai 758.000 di tre anni fa, poi ridotti a 550.000, decurtati a 495.000 per il biennio 2013-14), Direttore generale, in 400.000 euro (dai 593.000 di tre anni fa, poi ridotti a 500.000, decurtati a 450.000 per il biennio 2013-14),Vice Direttore generale, in 315.000 euro (dai 441.000 di tre anni fa, poi ridotti a 350.000, decurtati a 315.000 per il biennio 2013-14).
  Stanti i principi ricordati dalla BCE nel citato parere, la rideterminazione dei compensi si applicherà solo ai futuri membri del Direttorio. I relativi risparmi, essendone come detto vietata la devoluzione al bilancio pubblico, affluiranno in quello della Banca.
  Il Consiglio ha da ultimo rivolto la sua attenzione al complesso delle spese di funzionamento dell'istituto.
  Il Consiglio ha rilevato come sia da tempo in atto in Banca d'Italia un'opera di razionalizzazione organizzativa e di contenimento della spesa: rispetto al 2009, sono stati ridotti del 7 per cento il numero dei dipendenti, del 14 per cento in termini reali i costi operativi, del 25 per cento quelli relativi alla rete delle filiali; numero di queste ultime è sceso da 97 a 58; 31 delle rimanenti sono state trasformate in unità leggere e specializzate. Tutto ciò in presenza di un aumento dei compiti e della loro complessità.
  Il Consiglio superiore ha espresso l'avviso che la Banca debba proseguire in quest'opera di razionalizzazione e ricerca dell'efficienza.
  Apprese queste deliberazioni del Consiglio, il Governatore, il Direttore Generale e i tre Vice Direttori Generali hanno espresso autonomamente la volontà di adeguare immediatamente i propri compensi ai nuovi importi stabiliti per i futuri membri del Direttorio, per tutta la durata dei rispettivi mandati.

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ALLEGATO 3

5-04085 Paglia: Iniziative per contrastare l'elusione tributaria da parte di grandi imprese italiane.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento di sindacato ispettivo in oggetto, l'Onorevole interrogante chiede chiarimenti in merito ai risultati dell'attività di monitoraggio poste in essere nei confronti dei grandi gruppi italiani che delocalizzano l'attività in Paesi con una fiscalità più favorevole.
  In particolare, l'Onorevole interrogante richiama l'attenzione sulle operazioni recentemente poste in essere dal Gruppo De Agostini S.p.A. (attuale controllante della società GTECH S.p.A.) e dal gruppo Fiat, per le quali chiede quali siano gli esiti del monitoraggio sulla puntuale valutazione del reale impatto fiscale e la verifica della loro compatibilità con la normativa europea.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Deve innanzitutto osservarsi che tali operazioni, pur se realizzate nel 2014, ai fini fiscali, avranno rilievo solo con la presentazione delle dichiarazioni dei soggetti interessati relative a tale anno di imposta, che dovranno essere presentate nel corso del 2015.
  Resta, pertanto, fermo l'impegno dell'Agenzia delle Entrate, di vigilare sul pieno rispetto della normativa fiscale italiana sulle operazioni oggetto di interrogazione, impegno che verrà assolto anche tramite l'ordinaria attività di controllo prevista dall'articolo 27, commi da 9 a 12, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nei confronti dei grandi contribuenti.
  Si ricorda, infatti, che nei confronti dei contribuenti con volume d'affari o ricavi non inferiori a 100 milioni di euro, l'Agenzia delle entrate effettua, entro l'anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni, una specifica attività sia in materia di imposte dirette che di Iva (cd. «tutoraggio»).
  Tale controllo interessa l'intera platea dei cd. «grandi contribuenti» ed è finalizzata a graduare le modalità di intervento da porre in essere nei confronti di tali contribuenti in funzione delle caratteristiche proprie di tale tipologia di soggetti. L'attività si concretizza nel monitoraggio dei comportamenti realizzati attraverso specifiche analisi di rischio concernenti il settore produttivo di appartenenza dell'impresa, il profilo di rischio della singola impresa, dei soci, delle partecipate e delle operazioni effettuate (tra le quali, assumono particolare significatività le operazioni di riorganizzazione aziendale transnazionale), desunto anche dai precedenti fiscali.
  Con riferimento alle misure atte ad evitare l'elusione da parte delle grandi imprese italiane, si evidenzia che l'azione dell'Agenzia sarà volta a dare attuazione alle linee tracciate nel «Rapporto sulla realizzazione delle strategie di contrasto all'evasione fiscale e sui risultati conseguiti nel 2013 e nell'anno in corso», presentato dal Ministro dell'Economia e delle Finanze al Parlamento lo scorso 3 ottobre 2014, che con riferimento alle grandi imprese vedono, da un lato, il consolidamento dei sopracitati di intervento e dall'altro, l'introduzione di nuove forme di interlocuzione con le grandi imprese.
  In relazione alla cennata operazione di fusione della concessionaria dei giochi Pag. 75Gtech, occorre ribadire, come già rilevato nelle risposte ai precedenti atti di sindacato ispettivo citati, che la società in capo alla quale verrà trasferita la titolarità delle concessioni di gioco, che sarà controllata dalla nuova holding, avrà comunque, da quanto comunicato da Gtech, sede nel territorio nazionale.
  In merito alla asserita «proroga» sino all'anno 2016 delle concessioni relative alla raccolta automatizzata del gioco del lotto ed alla raccolta delle lotterie istantanee, in capo rispettivamente alla società Gtech s.p.a. ed alla società Lotterie Nazionali s.r.l., si segnala che la prima concessione avrà scadenza l'8 giugno 2016 non in forza di un atto di proroga bensì per effetto di una pronuncia giurisdizionale che ha ritenuto fissare in tale data la scadenza dell'originaria concessione rilasciata con il decreto ministeriale 17 marzo 1993 e successive modificazioni.
  La concessione per l'esercizio delle lotterie ad estrazione istantanea («gratta e vinci»), invece, è stata rilasciata per un novennio a seguito di procedura ad evidenza pubblica indetta nell'anno 2009 con decorrenza dal 1o ottobre 2010.