CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 12 novembre 2014
333.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Attività produttive, commercio e turismo (X)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Interrogazioni nn. 5-02298 Colletti: Stato di attuazione dei Protocolli di intesa Italia-Serbia in materia di energia e 5-03002 Carrescia: Stato di attuazione dei Protocolli di intesa Italia-Serbia in materia di energia.

TESTO DELLA RISPOSTA

  In via preliminare, si ritiene utile fornire alcuni elementi di contesto, inerenti il quadro in cui furono redatti gli accordi del 2009 e del 2011 fra Italia e Serbia. In tale periodo il target comunitario del 17 per cento del consumo interno lordo da fonti rinnovabili assegnato all'Italia per il 2020 appariva, alla luce degli scenari allora disponibili, difficile da raggiungere pur sfruttando l'intero potenziale disponibile sul territorio nazionale. L'Italia aveva, dunque, considerato di fare ricorso a partner internazionali al fine di raggiungere gli obbiettivi e non incorrere in sanzioni comunitarie. Tale opzione era chiaramente delineata nel Piano Nazionale per le Energie rinnovabili allora redatto dall'Italia e approvato da Bruxelles.
  Tuttavia, la crescita impetuosa della produzione da fonti rinnovabili e il contemporaneo calo dei consumi registrati negli ultimi anni, ha consentito al nostro Paese di raggiungere una quota da fonti rinnovabili del 13,5 per cento già al 2012, con un conseguente marcato anticipo rispetto alla tabella di marcia individuata dalla UE. Si ipotizza oggi che, al 2020, l'Italia potrà raggiungere e superare l'obiettivo assegnato.
  La crescita della produzione da fonti rinnovabili ha comportato, d'altronde, un significativo incremento degli oneri di incentivazione, il cui costo in bolletta ha oggi quasi pareggiato il prezzo della commodity. Ne è conseguito un significativo incremento dei costi dell'energia per cittadini e imprese, solo parzialmente mitigato dagli effetti positivi indotti sui prezzi dell'energia dall'aumento della produzione da fonti rinnovabili (peak shaving).
  È chiaro che un prezzo dell'energia alto è un elemento particolarmente critico in una fase di stagnazione del PIL in cui si rende vieppiù necessario innescare processi di ripresa dell'economia. Partendo da tale considerazione, declinata in dettaglio nella Strategia Energetica Nazionale (SEN) adottata nel 2013, il Governo è intervento per ridurre il livello degli incentivi alle fonti rinnovabili in Italia, proponendone una razionalizzazione complessiva. Ciò si è reso possibile anche grazie ai positivi segnali sui costi delle tecnologie, in rapida decrescita e sempre più vicine alla così detta «grid parity».
  Oggi, dunque, il valore richiamato dagli On.li Interroganti (155 euro/MWh) può apparire dissonante, specialmente se confrontato con le condizioni attualmente previste nel nostro Paese. Tale valore va però confrontato con le condizioni vigenti all'epoca, ma soprattutto, va ribadito che tale livello di incentivazione era stato previsto dall'Italia al solo fine di non incorrere in sanzioni comunitarie che sarebbero risultate ben più onerose.
  In altri termini, il riferimento per giudicare tale valore deve, in ogni caso, essere la sanzione comunitaria in caso di deficit e non il livello di incentivazione necessario per la realizzazione di impianti a fonti rinnovabili.
  Si tratta, peraltro, di un principio stabilito dalla legislazione italiana in materia, sulla base della quale è stato redatto l'accordo del 2011. Infatti, la disposizione Pag. 97di legge richiamata nelle interrogazioni in esame (articolo 36, comma 2, del decreto legislativo n. 28 del 2011) prevede la possibilità di riconoscere con DPCM un incentivo più elevato e/o duraturo rispetto a quello nazionale, solo previa comparazione fra gli oneri economici conseguenti al riconoscimento dell'incentivo stesso e gli effetti economici – in termini di sanzioni – correlati al mancato raggiungimento degli obiettivi e solo nel caso in cui tale ultimo onere economico risultasse di entità maggiore del primo. La stessa attuazione dell'accordo del 2011, in effetti, è subordinata all'emanazione di tale decreto.
  Ciò detto, in risposta al quesito relativo all'emanazione del DPCM previsto dall'articolo 36, comma 2 del decreto legislativo n. 28 del 2011, quindi, si può chiarire che il Governo si muoverà sulla linea appena esposta, nel pieno rispetto della normativa di settore, riconoscendo i 155 euro/MWh solo in caso di deficit dell'Italia rispetto agli obbiettivi UE. Nel caso, invece, l'Italia resti in linea con gli obbiettivi assegnati, permarrà l'accordo del 2009 che prevede il servizio di ritiro dedicato da parte del GSE, con conseguente riconoscimento del prezzo medio di mercato.
  In ogni caso, al fine di dissipare ogni dubbio in proposito, si rende noto che sia il DPCM che l'Accordo, inclusivo della lista definitiva degli impianti, saranno comunque notificati alla Commissione Europea per la verifica di compatibilità con le disposizioni comunitarie, ivi incluse quelle previste per gli aiuti di stato.
  Relativamente alla realizzazione del cavo sottomarino Italia-Montenegro, si rappresenta che tale interconnessione si inserisce in un piano generale di collegamento strutturale tra il sistema elettrico italiano ed il sistema elettrico dei Balcani, che consentirà il collegamento con le reti di Romania, Albania, Bosnia Herzegovina, oltre che con la Serbia.
  Il cavo è inserito nel Piano di Sviluppo decennale della Rete di Trasmissione Nazionale approvato dall'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico e dal Ministero dello Sviluppo Economico e fa parte dei Progetti di Interesse Comune (PCI) approvati a Bruxelles nel dicembre 2013 Regolamento N. 1391/2013, per i quali è possibile chiedere anche un finanziamento a livello comunitario.
  La realizzazione del cavo va, quindi, inquadrata in un processo di progressiva interconnessione dei mercati elettrici europei volto alla riduzione del prezzo dell'energia per i cittadini e le imprese.
  Vanno, inoltre, ridimensionate le preoccupazioni espresse sull'uso privato di tale interconnessione, in quanto lo stesso Accordo del 2011 prevede che l'assegnazione della capacità di interconnessione della quota italiana sarà effettuata mediante una procedura pubblica svolta da Terna, se pur con priorità di assegnazione all'energia prodotta da fonti rinnovabili nell'ambito di progetti comuni ai sensi della Direttiva 2009/28/CE. Anche in questo caso nel pieno rispetto delle disposizioni di legge vigenti e, in particolare, dell'articolo 40 del decreto legislativo n. 93 del 2011.
  Per quanto riguarda infine lo stato dei lavori, si precisa che per quanto riguarda la costruzione di impianti idroelettrici in Serbia risultano espletati solo alcuni progetti delle opere da parte delle società italiane e serbe interessate.

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ALLEGATO 2

Interrogazione n. 5-03265 Airaudo: Riconsiderazione del piano produttivo della ThyssenKrupp.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento all'interrogazione in titolo, si riscontra quanto segue.
  La vicenda di Acciai Speciali Terni è certamente una delle più complicate vicende che il Governo sta affrontando. La situazione alla Acciai Speciali Terni (AST), è stata anche determinata a novembre 2013, quando questa è stata «restituita» a ThyssenKrupp dalla finlandese Outokumpu, dopo oltre 12 mesi durante i quali la società finlandese non ha ottemperato al deliberato dell'Antitrust europea di ridurre la capacità produttiva per eccesso di market share.
  Il Governo ha chiesto a ThyssenKrupp di predisporre e quantificare il Piano industriale AST, azienda che non può più sopportare incertezze e indecisioni gestionali. Pertanto, lo scorso 18 marzo, nel corso di un primo incontro presieduto dal Sottosegretario Del Rio, il dott. Joachim Limberg, il Vice Presidente della Thyssen ha comunicato che era stata avviata la preparazione del Piano Industriale di AST e che entro la metà del mese di luglio sarebbe stato illustrato tanto alle parti sociali quanto alle istituzioni nazionali e territoriali.
  Così è avvenuto il 17 luglio quando, sempre alla Presidenza del Consiglio, lo stesso Limberg ha presentato le linee generali del Piano industriale che poche ore dopo sono state sviluppate dall'AD di AST nel corso di un ulteriore incontro con le Organizzazioni Sindacali svoltosi al MiSE.
  Il Piano illustrato muoveva dalla constatazione che nell'ultimo quinquennio AST ha accumulato perdite per circa 900 milioni. Da ciò deriva la necessità di un intervento che recuperi produttività, efficienza e qualità in un contesto di mercato difficile soprattutto in Europa. Per raggiungere questi obiettivi, l'Azienda ha dichiarato una forte riduzione dei costi (compreso il costo del lavoro), la riduzione di circa 550 posti di lavoro e prospetticamente la possibile chiusura di uno dei due forni fusori presenti nell'impianto di Terni.
  Governo e istituzioni territoriali hanno giudicato criticamente l'impostazione del Piano industriale e, accogliendo il giudizio molto critico delle OO.SS, hanno invitato le parti ad attivare immediatamente un tavolo di confronto per ricercare i necessari punti di intesa. Il tavolo si è purtroppo potuto avviare solo all'inizio del mese di settembre di quest'anno, dopo che il Ministro dello sviluppo economico è intervenuto per riportare nell'alveo delle normali relazioni sindacali, un confronto che in più occasioni è scivolato nel terreno della contrapposizione frontale.
  Come accennato, fin dall'inizio di questa lunga vicenda il Governo si è adoperato per ottenere da ThyssenKrupp il rafforzamento delle prospettive industriali dello stabilimento di Terni rispetto al piano iniziale. Proprio grazie a questa azione del Governo il piano è profondamente cambiato: sono previsti investimenti di 100 milioni di euro in 4 anni, 10 milioni per la ricerca e lo sviluppo, il trasferimento della linea di laminazione a freddo di Torino (con un investimento di altri circa 30 milioni di euro), il mantenimento dell'attuale capacità produttiva dei volumi di produzione almeno ai livelli registrati Pag. 99negli ultimi tre anni e la riduzione al minimo del numero degli esuberi previsti dall'azienda.
  Ciononostante, lo scorso 8 ottobre è avvenuta la rottura delle trattative dopo l'ennesimo confronto con l'azienda del gruppo ThyssenKrupp, le organizzazioni sindacali e le autorità territoriali.
  Ciò non ha fatto venir meno la volontà del Governo di continuare a offrire ogni sostegno affinché le parti raggiungessero un accordo che potesse garantire la continuità produttiva e il consolidamento dell'occupazione dell'AST di Terni.
  In questo scenario, il 16 ottobre si è svolto presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un nuovo incontro con i rappresentanti delle istituzioni territoriali (comune e regione Umbria), al termine del quale, oltre a stigmatizzare il comportamento dell'azienda lesivo di una concreta possibilità di ripresa del confronto e di raggiungimento di un'intesa, il Governo si è riservato di convocare le parti al fine di acquisire ogni utile elemento che possa favorire l'accordo sulle basi già individuate.
  Infine, il 6 novembre scorso, alla riunione tenutasi al MiSE, presieduta dal Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, e alla quale erano presenti: Il viceministro Claudio De Vincenti, il Sottosegretario al lavoro, il Presidente della regione Umbria, il Sindaco di Terni, i sindacati di categoria nazionali con i propri Segretari e le RSU, l'azienda, attraverso il suo amministratore delegato Lucia Morselli – ha accolto le indicazioni del Governo illustrando le modifiche apportate al piano industriale, e mostrando la propria disponibilità a procedere al pagamento degli stipendi.
  Il sindacato da parte sua, ha dichiarato di cogliere le novità e ha esonerato dallo sciopero che era in atto le aree amministrative competenti, al fine di predisporre i pagamenti degli stipendi a tutti i dipendenti.
  Lunedì 10 novembre azienda e organizzazioni sindacali si sono incontrate nuovamente per cominciare a entrare nel merito del nuovo piano industriale. La ricerca di un accordo assume veste di un obbligo morale che ricade su tutte le parti in causa, in questa direzione il Ministero proseguirà il proprio impegno.

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ALLEGATO 3

Interrogazione n. 5-03334 Senaldi: Estensione delle agevolazioni sui costi dell'energia agli impianti di riciclaggio.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'atto in esame l'Onorevole Interrogante chiede una valutazione sull'opportunità di allargare la platea dei soggetti energivori beneficianti delle agevolazioni di cui all'articolo 39 del decreto-legge n. 83 del 2012 anche con riguardo agli impianti di riciclaggio per il riuso di rifiuti, in particolare di materie plastiche.
  Al riguardo, si segnala che in data 1 luglio 2014 sono entrate in vigore le Linee guida adottate dalla Commissione europea il 9 aprile 2014 in materia di aiuti di stato a favore dell'ambiente e dell'energia ai sensi delle quali saranno valutate da parte della stessa Commissione le misure introdotte dagli Stati membri in riduzione dei costi energetici a favore delle imprese energivore.
   In particolare, le citate Linee guida individuano un elenco di attività che possono essere ammesse a beneficiare degli sconti sugli oneri di sistema per il finanziamento delle fonti di produzione rinnovabili. Le attività industriali ritenute ammissibili dalla Commissione sono riconducibili esclusivamente al settore manifatturiero e al settore estrattivo.
  Alla luce di quanto sopra esposto, non si ritiene percorribile l'inclusione delle imprese che operano nel settore di riciclaggio per il riuso di rifiuti tra i potenziali beneficiari della misura di riduzione dei costi elettrici di cui al richiamato articolo 39 del decreto-legge n. 83 del 2012, in quanto la previsione sarebbe incompatibile con gli orientamenti comunitari.

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ALLEGATO 4

Interrogazione n. 5-03807 Senaldi: Questioni relative alla possibile presenza di petrolio derivante da sabbie bituminose presso la raffineria Saras di Sarroch.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento alla richiesta di chiarimenti, presentati dall'Interrogante, in merito all'arrivo presso la raffineria Saras di Sarroch in Sardegna di un carico di petrolio derivante da sabbie bituminose, attraverso la petroliera «Minerva Gloria», (primo carico di petrolio da sabbie bituminose in Europa) e della conseguente richiesta di informazioni sull'impatto dell'utilizzo di tale combustibile, sulle prestazioni di efficienza dei presidi di abbattimento delle sostanze inquinanti, della citata raffineria Saras e se si sia verificato un incremento delle emissioni in atmosfera ed un incremento dei residui di produzione, conseguente a tale utilizzo, questo Ministero, anche a seguito della acquisizione di specifiche informazioni presso la Società interessata, chiarisce quanto segue.
  La proposta del 2011 della Commissione europea di mettere al bando il petrolio greggio pesante tra cui quello estratto dalle sabbie bituminose è stata profondamente modificata a seguito del completamento dell’impact assessment di questa misura, condotto dalla stessa Commissione UE che, pur confermando la loro maggiore intensità di carbonio rispetto ai greggi convenzionali, ne riduce l'impatto a valori molto più contenuti.
  Tuttavia la Commissione europea, nella sua recente proposta di regolamentazione di questa materia, continua a tener conto della maggiore intensità di carbonio dei greggi pesanti includendone il relativo valore nel calcolo dell'intensità di carbonio per benzina e diesel. Il processo di raffinazione dei greggi pesanti è identico a quello dei greggi convenzionali e, nelle raffinerie europee e in quelle italiane in particolare, soggette alla più severa legislazione ambientale a livello mondiale, la lavorazione dei greggi pesanti non genera alcun aumento di emissioni inquinanti tradizionali. Per quanto riguarda la CO2, il processo può richiedere un modesto maggior consumo di energia che naturalmente determina un corrispondente minimo aumento delle emissioni di CO2. Queste ultime, in ogni caso, restano rigorosamente all'interno delle quote di emissioni assegnate alle singole raffinerie sulla base della direttiva europea sull’Emission Trading System.
  Per quanto riguarda il petrolio ricevuto dalla Saras con la nave «Minerva Gloria» a Sarroch, si tratta di un greggio pesante che presenta un grado API di 19 e caratteristiche chimico fisiche del tutto analoghe a quelle dei greggi pesanti con gradi API simili, provenienti dal Medio Oriente o da altre regioni mondiali. Il greggio della petroliera «Minerva Gloria» è stato quindi preso in carico dalla Raffineria di Sarroch impiegando le stesse identiche infrastrutture utilizzate per gli altri greggi (stessi serbatoi e stessi impianti) e lavorato, in miscela con altri greggi, attraverso il tipico processo di lavorazione Saras, senza generare alcun impatto ambientale addizionale nella fase industriale. Non si tratta quindi di un greggio «diverso» da quelli che Saras normalmente tratta ed il suo impiego non ha peggiorato l'efficienza dei sistemi di abbattimento delle emissioni in Pag. 102raffineria e non ha dato luogo ad alcun aumento delle emissioni in atmosfera nel territorio di Sarroch.
  Inoltre il sito di Sarroch della Saras mette in atto un sistema di prevenzione contro i rischi ambientali, anche in materia di trasporto di petrolio via mare, certificato dalla registrazione volontaria Emas (Eco-Management and Audit Scheme) e dalla Iso «14001:2004». La Saras tra l'altro, ben prima che diventasse obbligo di legge, ha scelto di permettere l'attracco a Sarroch solo a navi con il doppio scafo, a maggior tutela dell'ambiente marino.

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ALLEGATO 5

Interrogazione n. 5-03885 Epifani: Iniziative urgenti per le vertenze dei gruppi Antonio Merloni e JP Industries per il riuso di rifiuti.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Il gruppo Merloni ha operato principalmente nel settore degli elettrodomestici e, come noto, è stato investito, negli anni 2007-2008, da una grave crisi produttiva e di mercato. Gli stabilimenti italiani del gruppo erano localizzati nelle Regioni Emilia Romagna, Marche e Umbria ed, in particolare, la forte presenza produttiva del gruppo sul territorio umbro-marchigiano aveva determinato lo sviluppo di un articolato sistema locale dell'indotto che, al manifestarsi della crisi, ha subito forti ripercussioni.
  In seguito alla ammissione (14 ottobre 2008) della Antonio Merloni Spa alla procedura di amministrazione straordinaria, è stato predisposto dai commissari il programma inerente la cessione dei complessi aziendali. In tale contesto, in data 19 marzo 2010, è stato sottoscritto l'Accordo di Programma (AdP) per la reindustrializzazione dell'area interessata dalla crisi, con individuazione di risorse finanziarie nazionali e regionali. Per quanto di competenza di questo Ministero, sono stati stanziati 35 milioni di euro, da utilizzare mediante il ricorso alla legge n. 181 del 1989.
  In data 27 dicembre 2011 è avvenuta la cessione in continuità aziendale del complesso produttivo umbro-marchigiano alla società J.P. Industries Spa, che ha permesso la ricollocazione di circa 700 unità lavorative. La successiva cessione della unità produttiva di Gualtieri (RE) ha determinato il venir meno del coinvolgimento della Regione Emilia Romagna. A seguito di tali sviluppi, in carico della Amministrazione Straordinaria sono rimasti circa 1600 lavoratori.
  La J.P. Industries Spa in particolare, ha acquisito il complesso industriale di Gaifana ed ha riconosciuto un diritto di prelazione per la vendita di circa 40.000 mq dell'immobile, non necessari alle proprie esigenze produttive, a potenziali nuovi investitori. La cessione del complesso produttivo di Gaifana alla J.P. Industries Spa ha reso necessario ridefinire anche le finalità di impiego delle risorse della legge n. 181 del 1989. Conseguentemente, in data 18 ottobre 2012, l'AdP Merloni è stato rimodulato tramite adozione di un Progetto di riconversione e riqualificazione industriale articolato in due interventi principali:
   promozione imprenditoriale;
   politiche attive del lavoro.

  Invitalia, per conto del Mise, ha collaborato con le Regioni Marche ed Umbria nella attività di informazione e promozione del Progetto, finalizzata anche al coinvolgimento dei principali stakeholder territoriali (sistema locale del credito e della ricerca, organizzazioni datoriali ecc.). Il complessivo intervento di promozione imprenditoriale è stato articolato in due tipologie di strumenti di finanziamento, tra loro complementari, destinati a target progettuali diversi:
   legge n. 181 del 1989 destinata a finanziare iniziative industriali di media/grande dimensione, prioritariamente da localizzare negli spazi del complesso di Gaifana non utilizzati dalla J.P. Industries Spa;Pag. 104
   strumenti regionali destinati a finanziare progetti di minore dimensione;
   tramite l'attivazione di presidi territoriali, i cui operatori sono stati appositamente formati da Invitalia, le due Regioni sono state coinvolte nella fase di pre-fattibilità dell'intervento ai sensi della legge n. 181 del 1989 (incontri di approfondimento propedeutici alla presentazione della domanda di agevolazione).

  Nel febbraio 2013, le due regioni hanno segnalato alcune rigidità procedurali relative all'applicazione della legge n.181/89 ed hanno proposto la modifica di alcuni aspetti della normativa di riferimento o delle prassi in uso. In conseguenza, a partire da marzo 2013, Invitalia ha avviato una iniziativa di revisione delle prassi attuative per renderle più flessibili e coerenti con le finalità dall'AdP.
  Alcune delle proposte di modifica che sono state pertanto recepite riguardano:
   la riduzione degli importi delle garanzie (è stato ridefinito il valore minimo delle garanzie reali che debbono assistere il finanziamento agevolato);
   la modifica dei criteri di valutazione dell'incidenza immobiliare nel mix degli investimenti (per consentire la prevalenza della componente immobiliare nel caso in cui questa fosse risultata strategica in riferimento agli obiettivi del progetto);
   una maggiore flessibilità rispetto all'intensità occupazionale richiesta ai progetti.

  In seguito alle modifiche introdotte, tutti i proponenti sono stati invitati a un nuovo incontro, sono stati illustrati loro i nuovi criteri di valutazione e sono stati invitati a proseguire il percorso. Tra il novembre 2012 e l'agosto 2013 il presidio territoriale della regione Marche ha trasmesso ad Invitalia quindici proposte progettuali potenzialmente finanziabili ai sensi della legge n. 181 del 1989.
  Si evidenzia che in molti casi le proposte erano caratterizzate da una progettualità non matura o non coerente con il target di riferimento dell'intervento ex legge n. 181 del 1989. Le proposte hanno infatti prodotto 3 domande di agevolazione di cui:
   1) ha presentato rinuncia per problemi nella individuazione della possibile localizzazione;
   2) sono in fase di ammissibilità e potranno essere proposte al Comitato di fattibilità della legge n. 181 del 1989 non appena i proponenti avranno fornito gli approfondimenti del caso.
  Le residue 12 proposte non hanno proseguito il percorso e di queste:
   2, che avevano ultimato positivamente il percorso di accompagnamento, non hanno presentato la domanda di intervento; la prima per problemi connessi all'ottenimento delle necessarie autorizzazioni ambientali, la seconda in quanto il progetto risultava compatibile con i massimali di spesa previsti dalle agevolazioni regionali (e quindi non necessariamente riconducibile all'intervento ex legge n. 181 del 1989 sulla base del Progetto condiviso con le due regioni in sede di rimodulazione dell'AdP);
   1 ha ridefinito l'impianto progettuale e si è rivolta alle agevolazioni regionali riducendo, in modo significativo, l'investimento previsto rendendolo compatibile con i massimali previsti da quest'ultime;
   n. 9 presentavano aspetti progettuali non ancora puntualmente definiti o problematici (definizione della localizzazione, problemi connessi all'ottenimento delle autorizzazioni necessarie per la produzione, definizione del partenariato o dell'assetto organizzativo, copertura dell'apporto di mezzi propri richiesti dalla legge, ecc.) e non hanno dato seguito, sulla base dei dati in possesso o resi disponibili dalla Regione Marche, al percorso di accompagnamento intrapreso.

  Successivamente all'agosto 2013, il presidio territoriale della regione Marche ha trasmesso (aprile 2014) una sola proposta di investimento. Si tratta di un progetto di Pag. 105significative dimensioni proposto da tre PMI. I proponenti sono stati incontrati una sola volta ma, non hanno poi manifestato interesse al proseguimento del percorso, presumibilmente per problemi connessi agli assetti del partenariato.
  Il Presidio territoriale della regione Umbria tra il novembre 2012 e il settembre 2014 ha trasmesso 6 proposte di investimento, potenzialmente coerenti con le finalità dell'intervento ai sensi della legge n. 181 del 1989. Di queste solo una è sfociata in una domanda di intervento e potrà essere sottoposta al Comitato di fattibilità della legge n. 181 del 1989 insieme ai due progetti marchigiani, non appena i proponenti avranno fornito gli approfondimenti loro richiesti.
  Delle rimanenti proposte:
   2 hanno rinunciato alla presentazione della domanda ritenendo più consoni gli strumenti regionali;
   2 non avevano ancora completato la fase di prototipazione del prodotto da industrializzare (la legge n. 181 del 1989 non finanzia lo sviluppo sperimentale) e presentava una compagine sociale non ancora definita;
   1 era interessata all'insediamento dell'immobile di Gaifana, non risultato poi disponibile a seguito dell’ azione legale intrapresa dalle banche creditrice della Antonio Merloni in AS.

  Occorre, infatti, ricordare che nel luglio del 2013 il Tribunale di Ancona ha accolto il ricorso proposto dalle banche creditrici della procedura di amministrazione straordinaria, dichiarando nulla la compravendita del complesso industriale di Gaifana. L'annullamento della compravendita ha impedito di promuovere l'offerta localizzativa rivolta a iniziative industriali di significative dimensioni (localizzazione, a prezzi attrattivi, negli spazi non utilizzati del complesso industriale, abbinata alle agevolazioni della legge 181 del 1989). Tale opportunità rivestiva particolare importanza per l'effetto incentivante dell'intervento, in un territorio in cui non è possibile riconoscere massimali di aiuto elevati.
  La recente entrata in vigore della normativa in materia di aiuti alle imprese in esenzione per il periodo 2014-2020 permetterà l'emanazione del decreto attuativo del decreto-legge n. 83 del 2012, in tema di aggiornamento e ridefinizione dell'intervento ex legge n. 181 del 1989, finalizzato, tra l'altro, a ridurre gli elementi di rigidità del precedente regime.
  In particolare, la Carta degli aiuti di stato a finalità regionale 2014-2020 ha individuato i principali comuni dell'area di crisi zone ammissibili agli aiuti a finalità regionale ex articolo 107, paragrafo 3, lettera c); pertanto oggi è possibile agevolare, nell'area di crisi in questione, i progetti proposti da grandi imprese, nel rispetto dei vincoli imposti dalla disciplina comunitaria. Parimenti, le PMI hanno visto incrementare l'intensità di aiuto riconoscibile.
  In considerazione di quanto sopra, si ritiene che la nuova disciplina della legge n. 181 del 1989, nel quadro delle novità introdotte dalla Carta degli aiuti di stato a finalità regionale 2014-2020, possa consentire di riproporre con maggiore efficacia l'operatività dell'intervento nazionale, anche nell'ambito di una rimodulazione dell'AdP.
  Con riferimento all’iter alla procedura di vendita della Antonio Merloni si rappresenta che a seguito della approvazione del programma di cessione da parte del Ministro (decreto ministeriale 23 maggio 2009 prorogato per due anni ai sensi di legge), alla fine del 2011, i Commissari straordinari venivano autorizzati a cedere il ramo d'azienda comprensivo degli stabilimenti di Maragone e Santa Maria in Fabriano in favore della JP Industries (controllata da QS Group imprenditore Porcarelli) a fronte di un corrispettivo di euro 10.000.000,00 con impegno a proseguire l'attività imprenditoriale e a garantire il mantenimento di n. 700 persone per quattro anni.
  Successivamente un pool di banche (UniCredit Management Bank, in proprio e quale mandataria di Cassa di Risparmio di Pag. 106Fabriano e Cupramontana, Banca delle Marche, Banca Popolare di Ancona, Banca CR Firenze, Banca dell'Adriatico e Monte dei Paschi di Siena), nella qualità di creditrici ipotecarie impugnavano l'atto di vendita. Insorgeva così un contenzioso tra la Antonio Merloni in amministrazione straordinaria e le medesime banche. I primi due gradi di giudizio (Tribunale e Corte di Appello di Ancona) hanno accolto le richieste degli Istituti di Credito, e pertanto, hanno dichiarato la nullità del contratto di vendita con la conseguente disapplicazione delle autorizzazioni amministrative rilasciate, sul presupposto della contrarietà a norma imperativa, essendo stata accettata una offerta inferiore al valore di stima tenuto conto della redditività negativa all'atto della stima e nel biennio successivo (articolo 63, comma 1, del decreto legislativo n. 270 del 1999 sopra citato).
  Nel frattempo sono frapposti due interventi legislativi recanti (i) novella all'articolo 65, che dispone in materia di impugnativa degli atti di vendita, e (ii) una interpretazione autentica dell'articolo 63, comma 1. In particolare, con legge del 21 febbraio 2014 n. 9 (conversione in legge del decreto-legge «Destinazione Italia»), sono state introdotte le seguenti disposizioni:
   Art. 65-bis. — (Misure per la salvaguardia della continuità aziendale). — 1. In caso di reclamo previsto dall'articolo 65, comma 2, sono prorogati i termini di durata del programma di cui all'articolo 54 ed ai commissari straordinari è attribuito il potere di regolare convenzionalmente con l'acquirente dell'azienda o di rami di azienda, sentito il comitato di sorveglianza e previa autorizzazione ministeriale, modalità di gestione idonee a consentire la salvaguardia della continuità aziendale e dei livelli occupazionali nelle more del passaggio in giudicato del decreto che definisce il giudizio.
  2. Le previsioni di cui al comma 1 si applicano anche alle procedure di amministrazione straordinaria di cui al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39.

  Art. 9, comma 2-bis. L'articolo 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, si interpreta nel senso che, fermi restando gli obblighi di cui al comma 2 e le valutazioni discrezionali di cui al comma 3, il valore determinato ai sensi del comma 1 non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita.
  Allo stato, pende il giudizio in Cassazione avverso la sopra citata sentenza di appello proposto dai commissari, dal Ministero, e a quanto è dato sapere, anche dall'acquirente.