CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 7 ottobre 2014
310.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Cultura, scienza e istruzione (VII)
ALLEGATO

ALLEGATO

5-03327 Pes: Sui siti archeologici di Tuvixeddu, Sulky e Bithia presenti in Sardegna.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Mi riferisco all'interrogazione con la quale l'onorevole Pes chiede quali iniziative il Ministero intenda adottare per garantire la tutela dei siti archeologici di Tuvixeddu, Sulky e Bithia sia a fini di sviluppo culturale e turistico che di consolidamento alla candidatura della Costa dei Fenici quale sito UNESCO.
  Al riguardo, vorrei riferire distintamente per ogni area archeologica richiamata dall'onorevole interrogante non solo per ripercorrere, insieme, le caratteristiche di ognuna di esse ma anche per confermare all'onorevole interrogante l'interesse che questa Amministrazione ascrive alla tutela e alla valorizzazione dei luoghi richiamati nell'atto parlamentare.
  Per quanto riguarda la Necropoli di Tuvixeddu occorre precisare che l'area urbana di Cagliari è caratterizzata da un sistema di colli calcarei in duplice allineamento parallelo alla linea di costa. Ad Ovest ed ad Est alcuni cordoni sabbiosi racchiudono le zone umide incentrate sulla laguna di Santa Gilla e sullo stagno di Molentargius. L'insediamento fenicio-punico sorse ad Ovest della città attuale, presso lo stagno di Santa Gilla; alle sue spalle l'ampia necropoli, sul colle ora noto col nome di Tuvixeddu.
  Le sepolture occupano, senza soluzione di continuità, il rilievo sul versante occidentale e su quello meridionale, partendo dalla sommità della formazione calcarea.
  Le tombe a pozzo, formate da un condotto verticale e profondo di discesa e da una piccola cella funeraria scavata a monte, furono realizzate tra il VI ed il IV sec a.C. sul pendio occidentale; fino ad oggi ne sono state poste in luce 1.100.
  Le tombe di questa tipologia individuate e scavate, possono avere diversi aspetti; per la gran parte appaiono completamente prive di decorazioni ma in alcuni casi presentano elementi scolpiti in bassorilievo o realizzati in stucco riproducenti motivi geometrici o simbolici attinenti alla sfera sacra (serpenti urei, dischi, crescenti lunari, triangoli e segni della Tanit). In altri casi tracce di pittura rossa suggeriscono decorazioni realizzate col colore per definire nicchie, portelli ed altri elementi architettonici.
  In età romana (II sec. a.C.) l'abitato venne trasferito verso Est, in corrispondenza del porto attuale, e le sue necropoli si svilupparono lungo le vie di accesso all'insediamento. La via occidentale lambiva le pendici del colle di Tuvixeddu alle cui falde vennero realizzati mausolei monumentali, cubicula e colombaria, talvolta, impreziosite in facciata da apparati architettonici, con un andamento quasi scenografico su più livelli.
  Il riuso dell'area in età romana quindi, fu intenso ma meno capillare, pur nella continuità della destinazione funeraria. Appare particolarmente consistente sul fronte occidentale, sia per la fase repubblicana delle tombe a fossa o incinerazione che per quella di età imperiale, delle tombe a camera che si inseriscono sul pendio dove questo presenta salti di quota. La sovrapposizione diventa sporadica, fino a scomparire del tutto, nelle aree sommitali.
  Nella restante area della precedente necropoli, fra gli scoscendimenti naturali Pag. 166della roccia, trovano posto in fitte sovrapposizioni fra il IV-II sec. a.C. ed il I sec. d.C. sia le più tarde tombe puniche a fossa che le più antiche tombe romane ad incinerazione e inumazione. Sulla parte alta sono presenti alcune cavità per la raccolta dell'acqua ed alcuni fronti antichi di cava.
  La necropoli fu inoltre interessata per quasi tutta la sua estensione dal taglio di uno dei due canali che costituivano l'acquedotto realizzato nel II sec. d.C.
  Quando in età medievale, la necropoli fu abbandonata, le tombe monumentali furono riutilizzate come abitazioni o ricoveri di fortuna e, nel corso dei secoli, si dimenticò l'originaria funzione dell'area che divenne marginale rispetto centro abitato.
  Nel corso del XIX secolo, sulla scia del rinnovato interesse per le ricerche archeologiche, la necropoli fu interessata da scavi ancorché sporadici e limitati a poche decine di sepolture.
  Agli inizi del XX secolo si intensificava l'attività di cava finalizzata all'estrazione del calcare e, contemporaneamente alla realizzazione di un cementificio nella vallata sottostante, venne realizzata una vera e propria attività industriale con percorsi ferrati e l'utilizzo di esplosivi per l'estrazione del materiale.
  La lunga storia della tutela della necropoli, dopo alterne vicende, vede, nel 1996, l'apposizione di un vincolo ministeriale che salvaguarda più di 20 ettari e comprende tutte le emergenze archeologiche.
  Allo stato attuale in un compendio archeologico di così grande interesse nella sua totalità, si evidenzia la necessità di interventi organici e mirati alla salvaguardia ed alla tutela. Il sito, infatti, è interessato da gravi fenomeni di degrado ed erosione evidenti nelle tombe a camera ed a pozzo danneggiate dagli agenti atmosferici e dai riusi che, nelle diverse epoche, hanno caratterizzato la vita della collina.
  La grande estensione dell'area impone l'impiego di ingenti risorse. La competente Soprintendenza archeologica ha promosso il restauro e recupero di due tra le emergenze monumentali più rilevanti del versante occidentale della necropoli: le tombe a camera di età romana di Caius Rubellius e quella nota come «Tomba dei pesci e delle spighe»; per ciascuna la Società Arcus ha reso disponibile un finanziamento di euro 300.000,00.
  Nel 2011, inoltre, è stato messo a disposizione del comune di Cagliari – che lo ha fatto proprio – un progetto di restauro (per un importo di euro 200.000,00) della tomba di Attilia Pomptilla nota come «Grotta della Vipera», in vista di un possibile finanziamento regionale.
  La stessa Soprintendenza ha inoltre predisposto un progetto preliminare di intervento e restauro interessante tutto il compendio, la cui spesa totale ammonta a euro 15.000.000,00 da realizzare in lotti. Un primo lotto di circa 4.000.000,00 di euro è stato proposto per un finanziamento a valere sui fondi sviluppo e coesione della Comunità europea, annualità 2014-2020.
  Per quanto riguarda l'Area archeologica di Sulky, a S. Antioco in provincia di Cagliari, vorrei precisare che la città moderna di Sant'Antioco si imposta sui resti della città fenicio-punica di Sulky, che ha conosciuto una continuità di vita fino ad età tardoantica e, almeno nell'area attorno alla basilica intitolata al santo omonimo, fino al medioevo. Numerose sono le emergenze monumentali che può vantare, tra cui si ricordano la tomba romana cosiddetta «Sa Presonedda», una fontana romana, il tofet e una vasta necropoli punica, che si estende sulle pendici del colle di Mont'e Cresia per circa dieci ettari e che si caratterizza per la presenza di tombe a camera rese accessibili da un corridoio scalinato, il dromos.
  Tra queste, quelle poste sul pendio occidentale sono note per il loro riutilizzo come abitazioni fino alla metà del secolo scorso, mentre altre porzioni della necropoli sono state individuate in via Belvedere, verosimilmente il settore più arcaico (fine VI a.C.), in prossimità della basilica di Sant'Antioco, al di sotto della quale si sviluppa un complesso catacombale paleocristiano, Pag. 167frutto del riutilizzo delle preesistenti tombe puniche e, infine, sul versante orientale del medesimo colle, tra il Forte sabaudo e il mare, in località Is Pirixeddus.
  Quest'ultima porzione è certamente la più estesa, ma è ormai chiusa al pubblico dal 2000, in quanto la mancanza di risorse economiche non ha permesso di intervenire in maniera sistematica per risolvere le diverse criticità manifestatesi nel tempo, tra cui emergono soprattutto i gravi problemi di conservazione delle tombe e l'assenza di percorsi di visita in sicurezza.
  La Soprintendenza archeologica di Cagliari ha richiesto la concessione dei finanziamenti necessari (stimati intorno agli 800 mila euro), partecipando a diversi bandi (fondi ARCUS, fondi dell'8 per mille, fondi CIPE). Il progetto di conservazione e recupero del sito nella sua globalità, ha ottenuto il parere favorevole ma ancora non è stato finanziato.
  È di questi giorni l'apertura straordinaria di un percorso di visita che interessa una piccola porzione dell'area, sistemata grazie ad un progetto elaborato dalla Soprintendenza, che ha messo a disposizione il proprio personale nelle sue diverse competenze e professionalità, con il supporto dell'ATI Ifras (Associazione temporanea di imprese che lavora in convenzione con la RAS per la stabilizzazione degli ex lavoratori socialmente utili, provenienti dal progetto «Parco Geominerario»), che ha fornito mezzi e mano d'opera in virtù di un protocollo d'intesa recentemente stipulato.
  Si è trattato di un intervento che certamente non ha risolto tutti i problemi, ma ha permesso di raggiungere alcuni importanti obiettivi: innanzitutto è stata messa in evidenza una serie di problematiche, la cui analisi sarà la base per una progettazione più ampia; inoltre è stata aperta al pubblico una piccola porzione dell'area in condizioni di sicurezza e in modo tale da rendere leggibili le diversità tra le sepolture nei vari periodi di utilizzo, riportando l'attenzione su un bene di inestimabile valore nell'ambito del patrimonio archeologico sardo, annoverabile tra i più affascinanti del Mediterraneo.
  Per quanto infine riguarda il sito archeologico di Bithia a Domus de Maria, essa, unitamente alle altre città di fondazione fenicia come Karalis (Cagliari) e Nora (Pula) costituisce uno straordinario sistema insediativo lungo la costa meridionale della Sardegna, ma, nonostante una storia secolare di ricerche, è, tra le tre, quella meno nota.
  Le ricerche infatti si sono concentrate nelle aree limitrofe al centro abitato, offrendo dati importantissimi sulle necropoli, che hanno restituito reperti di tradizione locale accompagnati a importazioni dalla Grecia, dall'Oriente e dall'Etruria; sui luoghi di culto, in particolare il tempio del dio Bes e il tophet sull'Isolotto di Su Cardulinu.
  Solo a partire dal 2010 un progetto di ricerca coordinato dalla Soprintendenza e condiviso col comune di Domus de Maria ha posto le basi per la ripresa delle ricerche all'interno dell'area urbana e per un inquadramento complessivo del sito.
  Sin dal primo anno i risultati hanno corrisposto alle aspettative della ricerca: lo scavo si è infatti concentrato sulla zona monumentale di accesso all'abitato, collocata a sud della torre di Chia, di fronte all'isolotto di Su Cardulinu; qui è stata messa in luce un'ampia scala collegata alle mura di recinzione che costituisce un vero e proprio accesso scenografico di grande impianto architettonico all'acropoli, che doveva ospitare i principali monumenti pubblici della città.
  La qualità e la monumentalità delle strutture non trovano paragoni nelle altre città di fondazione fenicia della Sardegna, e rimandano per confronti a strutture a carattere scenografico che caratterizzano alcuni monumenti pubblici di età tardo ellenistica dell'Italia continentale.
  Tali premesse richiedono un approccio più ampio e sistematico di ricerca e valorizzazione, di quanto finora, con i generosi sforzi della Soprintendenza e del comune, si sia riuscito a fare; sarebbe necessario potere ampliare in modo organico l'area di ricerca e soprattutto provvedere Pag. 168ai consolidamenti che consentirebbero di mantenere all'aperto le importanti strutture rinvenute, che potrebbero sin da subito essere rese visibili dalla spiaggia di Torre di Chia e dal piazzale antistante la torre stessa.
  Un simile approccio oltre ad avere importanti ricadute sul piano conservativo, assicurerebbe la fruizione di un sito in grado di aggiungere un ulteriore valore ad un contesto già interessato da un importante fruizione turistica, assolvendo così alla doppia missione attuale del Ministero, orientata sia alle politiche di tutela e valorizzazione, sia a quelle di incentivazione turistica.
  La Soprintendenza, insieme ai propri collaboratori e al comune di Domus de Maria, ha già predisposto una prima quantificazione delle somme necessarie a dare vita a un intervento più organico e strutturale, quantificate in circa euro 400.000,00, con i quali si potrebbe pervenire ad un progetto di ricerca, conservazione e valorizzazione volto alla fruibilità del sito, funzionale anche a inserire la città di Bithia all'interno di un circuito di città fenice della costa della Sardegna, per le quali sarebbe opportuno procedere nella strutturazione di una candidatura alla lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO.