CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 22 luglio 2014
276.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Ambiente, territorio e lavori pubblici (VIII)
ALLEGATO

ALLEGATO

Sulla missione a Città del Messico dal 6 all'8 giugno 2014.

RELAZIONE

  Dal 6 all'8 giugno si è svolta a Città del Messico la seconda edizione del World summit of legislators promosso da Globe international, una organizzazione internazionale che ha la sua sede principale a Londra e riunisce parlamentari di ogni schieramento politico di oltre 70 Paesi impegnati contro i cambiamenti climatici, organizzati in sezioni nazionali rappresentative dei diversi gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione. La sezione di Globe Italia è in via di costituzione, nella forma di un intergruppo interparlamentare sui cambiamenti climatici – Globe, che ha avuto l'assenso dei presidenti di Camera e Senato.
  L'incontro è stato ospitato presso il Congresso del Messico e ha visto la partecipazione delle maggiori cariche istituzionali del Paese ospitante e di delegazioni da oltre 60 Paesi dei diversi continenti. Molto significativa la presenza di delegazioni da Paesi industrializzati e da Paesi in via di sviluppo nella totale consapevolezza che per vincere questa sfida occorre una cooperazione stretta tra tutti i Paesi e che è fondamentale l'impegno anche dei Parlamenti nazionali per arrivare ad un nuova generazione di accordi internazionali e raggiungere nel vertice ONU di Parigi nel 2015 un accordo globale vincolante per tutti i Paesi in vigore dal 2020 così come deciso nel vertice ONU di Durban del 2011.
  Il summit tra legislatori promosso da Globe international è stato l'occasione per scambiare conoscenze riguardo alle legislazioni nazionali adottate nei diversi Paesi per contrastare i cambiamenti climatici e per avere una serie di approfondimenti a partire dalle valutazioni dell'Ipcc che, come noto, ha aggiornato nei primi mesi di quest'anno i rapporti dei tre gruppi di lavoro dedicati alle basi scientifiche dei cambiamenti climatici, all'adattamento e alla mitigazione.
   Gli scienziati non lasciano dubbi sull'impatto delle attività umane sui cambiamenti climatici in atto dovuti in particolare all'utilizzo di combustibili fossili e quindi all'emissione di gas climalteranti.
  Secondo l'ultimo rapporto dell'Ipcc di aprile 2014, le emissioni di gas climalteranti sono aumentate continuamente dal 1970 al 2010 con un aumento più marcato tra il 2000 e il 2010. Tra il 2000 e il 2010 le emissioni sono state pari in media a 1 giga ton di CO2 equivalente ogni anno contro 0,4 giga ton di CO2 equivalente registrate in media per ogni anno dal 1970 al 2000. Le emissioni di gas climalteranti legate alle attività umane tra il 2000 e il 2010 sono state le più alte nella storia umana, fino a raggiungere 49 giga tons nel 2010; il loro aumento è dovuto per il 78 per cento all'uso di combustibili fossili e ai processi industriali.
  Non possiamo permetterci una condizione di business as usual. In assenza di sforzi addizionali per ridurre le emissioni di gas climalteranti, la crescita delle emissioni continuerebbe per effetto della crescita della popolazione globale e delle attività economiche. Sulla base degli scenari tracciati in assenza di politiche di mitigazione, la temperatura media globale al 2100 aumenterebbe da 3.7 a 4.8 gradi rispetto ai livelli pre rivoluzione industriale, ben al di sopra della soglia dei 2 gradi indicata dagli scienziati come limite da non valicare per evitare conseguenze catastrofiche. In assenza di politiche correttive, Pag. 93già nel 2030 si stima saranno superate le 450 ppm di CO2 equivalente, quantità oltre la quale la temperatura media globale supera l'aumento di 2 gradi rispetto al periodo precedente alla rivoluzione industriale, soglia prudenziale fissata dagli scienziati per evitare impatti catastrofici, mentre si raggiungerebbe una quantità stimata tra i 750 e gli oltre 1300 ppm di CO2 equivalente al 2100.
  Abbiamo tutte le possibilità per intervenire in modo efficace e contenere l'aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi rispetto al periodo pre rivoluzione industriale. Al contrario ritardare gli interventi per ridurre le emissioni rende più difficile rimanere al di sotto dei 2 gradi e riduce le opzioni possibili per ottenere questo risultato. Le politiche di mitigazione necessarie a rimanere al di sotto dei 2 gradi comportano una riduzione della crescita dei consumi stimata pari a un valore da 0,04 per cento a 0,14 per cento per ogni anno lungo l'arco del secolo. La riduzione nella crescita dei consumi è stimata senza considerare i benefici che si ottengono dalla riduzione dell'impatto dei cambiamenti climatici in termini di danni e costi di adattamento e assumendo come ipotesi che tutti i Paesi adottino subito misure di mitigazione, ci sia un prezzo unico globale per la CO2 (single global carbon price) e tutte le tecnologie chiave siano disponibili con rapidi miglioramenti nell'efficienza energetica, triplicare fin quasi a quadruplicare l'apporto delle rinnovabili, sviluppare le bioenergie, modificare l'uso del territorio anche aumentando la riforestazione.
  Gli scenari che raggiungono l'obiettivo di contenere al di sotto delle 450 ppm di co2eq al 2100 mostrano costi ridotti per assicurare il rispetto di obiettivi di qualità dell'aria e sicurezza energetica con co-benefici significativi per la salute, l'impatto sull'ecosistema, l'adeguatezza delle risorse e la resilienza del sistema energetico, ossia minore vulnerabilità dei sistemi energetici alla volatilità dei prezzi e a interruzioni dell'offerta.
  C’è una vasta gamma di effetti collaterali avversi e di ricadute positive e co-benefici legate al contrasto ai cambiamenti climatici o alla sua mancanza, diversi per impatto e ampiezza in ogni singolo territorio e determinati dalla efficacia degli interventi adottati. Si tratta di conservazione della biodiversità, disponibilità di acqua, sicurezza alimentare, distribuzione del reddito, efficienza nel sistema di tassazione, offerta di lavoro e occupazione, dispersione urbana e la sostenibilità della crescita nei paesi in via di sviluppo.
  Nel corso dei tre giorni di lavoro abbiamo discusso anche del natural capital accounting, un nuovo indicatore socio-economico che cerca di andare oltre al concetto di prodotto interno lordo (PIL), uno strumento di misura che consideriamo obsoleto ed incapace di descrivere in maniera realistica lo stato di benessere di un Paese e della sua popolazione. Il PIL non prende in considerazione le conseguenze delle attività umane su molti servizi ecologici indispensabili alla vita del pianeta, come la qualità dell'aria e delle acque o l'esauribilità delle risorse naturali. Non è in grado di discriminare se la ricchezza prodotta sia in ultima analisi benefica o dannosa per l'uomo, ne se sia sostenibile ovvero non stia intaccando la possibilità di benessere delle future generazioni.
  Occorre quindi adottare nuovi indicatori capaci di accostare alle valutazioni economico-finanziarie dei criteri di qualità che ci parlino della qualità della vita delle popolazioni interessate, che considerino la quantità e la qualità dei suoli, delle acque, delle foreste, delle risorse minerarie ed energetiche in modo che la produzione di ricchezza non avvenga a discapito della dissipazione del capitale naturale di questo pianeta, proprio perché il concetto di ricchezza se limitato al solo aspetto monetario finisce per vivere accanto a povertà e depauperamento ambientale non più accettabili.
  I lavori si sono conclusi con l'adozione da parte delle delegazioni parlamentari di una risoluzione e con l'impegno a promuovere la sua adozione nei singoli Parlamenti nazionali con gli opportuni atti di indirizzo condivisi.