CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 26 marzo 2014
206.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-02444 Causi: Revisione del regime di esenzione dall'IMU per gli immobili di proprietà degli enti no profit

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame l'onorevole interrogante chiede quali iniziative il Ministro dell'economia e delle finanze intenda intraprendere al fine di pone in essere una revisione della normativa relativa all'imposta municipale propria (IMU), in relazione agli enti non commerciali, affinché i medesimi siano tenuti al pagamento della stessa solo per gli immobili destinati alle attività commerciali e con modalità coerenti con i presupposti della tassazione delle attività svolte dai medesimi enti in ambito delle imposte sui redditi e di IVA, anche prevedendo la deflazione del contenzioso tributario che dovesse emergere a causa dell'attuale incertezza normativa nonché fornendo indicazioni precise affinché gli enti interessati possano effettuare la dichiarazione relativa agli utilizzi immobiliari «misti» di cui all'articolo 6 del decreto ministeriali 19 novembre 2012, n. 200.
  In particolare, nell'interrogazione in oggetto, vengono evidenziate, all'esito della ricostruzione del quadro normativo che regola la materia dell'esenzione dall'IMU a favore degli enti non commerciali, di cui all'articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, così come modificato dall'articolo 91-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e al Regolamento 19 novembre 2012, n. 200, le criticità legate alla nozione di non commercialità nonché alla farraginosità del meccanismo di tassazione delineato dal citato decreto.
  Viene, infine, evidenziato che la vigente normativa rischia di penalizzare le piccole associazioni mettendo a rischio la sopravvivenza di attività e servizi di grande rilevanza sociale. Al riguardo, il Dipartimento delle finanze evidenzia quanto segue.
  Preliminarmente, giova rammentare che, con la decisione del 19 dicembre 2012 relativa all'aiuto di Stato SA 20829 (C26/210), la Commissione Europea, con riferimento all'esenzione di cui al citato articolo 7, comma 1, lettera i), del citato decreto legislativo n. 504 del 1992, si è pronunciata in materia di IMU riconoscendo che «l'esenzione dall'IMU, concessa ad enti non commerciali che svolgono negli immobili esclusivamente le attività elencate all'articolo 7, primo comma, lettera i), del decreto legislativo n. 504/92, non costituisce un aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 1, del trattato».
  Secondo la Commissione le disposizioni concernenti l'applicazione all'IMU dell'esenzione in parola esprimono in modo chiaro che detta esenzione può essere garantita solo se negli immobili considerati non vengono svolte attività commerciali. Non sono, quindi, più possibili per la Commissione «le situazioni ibride create dalla normativa ICI, in base alla quale, in alcuni immobili che beneficiavano di esenzioni fiscali, si svolgevano attività di natura commerciale».
  Pertanto, è necessario soffermarsi sull'interpretazione del concetto di attività economica che, come si legge al punto 163 della decisione in commento, dipende, tra le altre cose, dalle circostanze specifiche, dal modo in cui l'attività è organizzata dallo Stato e dal contesto in cui viene organizzata.Pag. 31
  Per determinare il carattere non economico di un'attività ai sensi della giurisprudenza dell'Unione occorre, infatti, esaminare la natura, lo scopo e le norme che regolano tale attività. Il fatto che alcune attività possano essere qualificate come «sociali» non basta a escluderne la natura economica. Tuttavia, anche la Corte di giustizia dell'Unione europea ha riconosciuto che alcune attività che adempiono una funzione puramente sociale possono essere considerate non economiche, soprattutto in settori collegati ai doveri e alle responsabilità fondamentali dello Stato.
  La Commissione, quindi, nella decisione in commento si è soffermata sul disposto dell'articolo 1, comma 1, lettera p), del Regolamento n. 200 del 2012 che definisce il concetto di «modalità non commerciali». In base a tale disposizione le attività istituzionali sono considerate svolte con modalità non commerciali quando:
   a) sono prive di scopo di lucro;
   b) per loro natura, conformemente al diritto dell'Unione europea, non si pongono in concorrenza con altri operatori del mercato che perseguono uno scopo di lucro;
   c) costituiscono espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà.

  Al riguardo, nella decisione è stato evidenziato che il requisito di cui alla lettera b) costituisce una tutela importante, poiché, riferendosi espressamente al diritto dell'Unione, garantisce in generale che l'attività non sia in concorrenza con altri operatori del mercato che perseguono uno scopo di lucro, caratteristica, questa, fondamentale per le attività non economiche.
  La Commissione si è anche pronunciata sulla nozione di non commercialità vincolata ai criteri, non solo del «corrispettivo simbolico» ma anche della gratuità della prestazione effettuata con riferimento al Regolamento n. 200 del 2012 per ogni singola tipologia di attività di cui all'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del 1992.
  A questo proposito, la Commissione, procedendo all'esame delle singole attività istituzionali, ha precisato che, con riguardo, ad esempio, alle attività assistenziali e sanitarie, lo svolgimento a titolo gratuito non costituisce in generale un'attività economica, dal momento che in questo caso, come stabilito all'articolo 1 del predetto Regolamento, i servizi non sono offerti in concorrenza con altri operatori del mercato.
  Le stesse considerazioni valgono per i servizi forniti dietro versamento di un compenso simbolico, in merito ai quali la Commissione stabilisce che, «per avere natura simbolica il compenso non deve essere commisurato al costo del servizio, e dall'altro, che il limite della metà del prezzo medio, fissato per le stesse attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità concorrenziali, può essere utilizzato solo per escludere il diritto all'esenzione (come indicano le parole “in ogni caso”) e non implica a contrario che possano beneficiare dell'esenzione i fornitori di servizi che applicano un prezzo al di sotto di tale limite».
  Pertanto, considerando che le attività assistenziali e quelle sanitarie soddisfano, altresì, i requisiti generali e soggettivi di cui agli articoli 1 e 3 del Regolamento, la Commissione ha concluso che dette attività, svolte nel rispetto dei principi stabiliti dalla legislazione vigente, non costituiscono attività economica.
  Si fa presente che la Commissione è pervenuta ad analoghe conclusioni anche in merito a tutte le altre tipologie di attività.
  È opportuno ricordare anche che nel novero delle attività meritevoli sono state da ultimo aggiunte, ad opera dell'articolo 2, comma 3, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito con modificazioni dalla legge 28 ottobre 2013, n. 128, le attività di ricerca scientifica consentendo anche ad altri soggetti di godere dell'esenzione dall'IMU prevista per gli enti non commerciali.Pag. 32
  Pertanto, si deve concludere che la disciplina appare conforme ai principi comunitari e presenta innegabili specificità, le quali, quindi, valgono a diversificarla da altre imposte, menzionate nel documento in argomento, che non hanno carattere reale come l'IMU e che, dunque, impongono uno stretto collegamento con l'immobile e la parte dello stesso in cui si svolgono effettivamente e con modalità non commerciali le attività meritevoli previste dalla legge.
  In questo contesto, il Dipartimento delle finanze sottolinea come l'insieme delle disposizioni che disciplinano l'applicazione dell'esenzione risulta oggettivamente complesso, ma non per questo farraginoso.
  Tenuto conto di queste criticità, in occasione della predisposizione dell'apposito modello di dichiarazione, il Dipartimento sottolinea di aver elaborato, in maniera approfondita e dettagliata, le relative istruzioni, anche in collaborazione con le parti interessate, al fine di assicurare una corretta applicazione delle regole dirette al calcolo del beneficio in questione.
  Il cennato modello di dichiarazione e le relative istruzioni sono in via di definizione, e sono stati anche trasmessi all'ANCI per acquisire eventuali osservazioni che possono apportare ulteriori elementi idonei a chiarire le problematiche sollevate nell'interrogazione in esame.

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ALLEGATO 2

5-02125 Paglia: Orientamenti del Governo in merito all'ipotesi di costituire una bad bank per la gestione dei crediti bancari deteriorati.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione l'Onorevole Paglia ed altri chiedono chiarimenti, anche in ordine agli eventuali oneri per le finanze pubbliche, sull'ipotesi di una bad bank di sistema ventilata dal Governatore della Banca d'Italia nel contesto dell'annuale convegno Assiom-Forex.
  In proposito, si fa presente che l'aumento dei prestiti deteriorati, dovuto alla prolungata recessione e concentrato nei crediti alle imprese, rappresenta uno dei problemi più rilevanti del settore bancario italiano.
  Infatti, in base ai dati disponibili alla fine del primo semestre 2013, i crediti deteriorati rappresentavano il 14.7 per cento dei crediti verso la clientela (16,5 per cento ove si considerino i soli settori delle famiglie e delle imprese). L'elevato peso delle partite deteriorate presenti nei bilanci delle banche condiziona in misura significativa l'erogazione di nuovo credito alle imprese, accentuando l'impatto della recessione sull'economia italiana.
  Pertanto, si ritiene che eventuali interventi del settore privato che favoriscano la riduzione dei crediti in sofferenza nei bilanci delle banche sarebbero auspicabili e opportuni, in quanto sarebbero iniziative utili ad agevolare la ripresa del credito e a migliorare la valutazione del mercato sulla solidità delle banche italiane, anche in relazione alla valutazione approfondita condotta dalla BCE per l'avvio dell'operatività del Meccanismo Unico di Vigilanza.
  Per quanto riguarda il quesito specifico posto nell'interrogazione, si precisa che al momento non sono previste operazioni del medesimo genere da realizzare con il supporto di risorse pubbliche.

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ALLEGATO 3

5-02332 Sottanelli: Modalità di calcolo dell'IMU per quanto riguarda la quota di spettanza statale relativa gli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame l'Onorevole interrogante, dopo aver richiamato puntualmente i più recenti interventi normativi che hanno ridisegnato l'assetto della destinazione del gettito derivante dall'IMU e, conseguentemente, ridefinito i rapporti finanziari tra Stato e comuni, precedentemente definiti nel corpo del decreto legislativo n. 23 del 2011 sul cosiddetto federalismo municipale, chiede segnatamente al Governo di agevolare gli enti locali in merito alla contabilizzazione delle entrate derivanti dall'IMU per il 2014, attraverso un'apposita circolare che illustri le modalità di calcolo della quota, spettante allo Stato, della cennata imposta, gravante sugli immobili destinati ad uso produttivo, classificati nel gruppo catastale D.
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria si fa presente quanto segue.
  In ordine alla problematica esposta dall'Onorevole interrogante il Dipartimento delle finanze ha già emanato la risoluzione n. 5/DF del 28 marzo 2013, attraverso cui sono stati forniti puntuali chiarimenti in ordine alle novità recate dall'articolo 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità per l'anno 2013) in materia di IMU e, in particolare, in relazione alla previsione che riserva allo Stato il gettito dell'IMU derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D.
  In particolare, nel documento di prassi amministrativa appena citato è stato evidenziato che per effetto della riserva allo Stato del gettito dell'IMU, derivante dai predetti immobili, calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento, i comuni possono contare su un ridotto margine di manovrabilità, potendo intervenire solo aumentando detta aliquota sino a 0,3 punti percentuali. In quest'ultimo caso, ovviamente, il maggior gettito IMU è destinato al comune stesso.
  È stata, invece, ritenuta esclusa la facoltà del comune di ridurre l'aliquota standard dello 0,76 per cento per detta tipologia di immobili, sulla base del combinato disposto della lettera f) e della lettera g) del citato comma 380, che richiamano espressamente solo il primo periodo del comma 6 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, periodo che fissa l'aliquota di base dell'imposta allo 0,76 per cento.
  Pertanto, nella citata risoluzione sono state considerate incompatibili, limitatamente agli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, le disposizioni recate dall'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che consentono ai comuni manovre agevolative.
  A completamento di quanto operato dall'Amministrazione finanziaria, si rammenta che l'Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 33/E del 21 maggio 2013 ha istituito appositi codici tributo per rendere più agevole e certo il versamento dell'imposta in relazione alla fattispecie in esame.
  Appare, infine, opportuno precisare che, a partire dal 10 gennaio 2014, con il comma 639 dell'articolo 1 della legge 27 Pag. 35dicembre 2014, n. 147 è stata introdotta la IUC, l'imposta unica comunale, che si basa su due presupposti impositivi: il primo, costituito dal possesso di immobili e collegato alla loro natura e valore e il secondo, relativo all'erogazione e alla fruizione di servizi comunali.
  Si ricorda che la IUC, sulla quale verranno forniti chiarimenti in ordine alla disciplina complessiva, si compone dell'IMU, di natura patrimoniale, dovuta dal possessore di immobili, escluse le abitazioni principali, e di una componente riferita ai servizi, che si articola nel tributo per i servizi indivisibili (TASI), a carico sia del possessore che dell'utilizzatore dell'immobile e che si applica anche ai fabbricati in discorso, nonché nella tassa sui rifiuti (TARI), destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell'utilizzatore.

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ALLEGATO 4

5-02445 Busin: Innalzamento del limite di ricavi per l'applicazione del regime tributario dei contribuenti minimi.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il question time in esame, l'Onorevole interrogante, tenuto conto della decisione del Consiglio dell'Unione europea 2013/678/UE che ha autorizzato la proroga fino al 31 dicembre 2016 dell'esenzione dall'IVA ed ha contestualmente innalzato la soglia minima di volume d'affari esente, da 30.000 euro annui fino a 65.000, chiede al Ministro dell'economia e delle finanze se sussista la concreta possibilità di dare attuazione nel nostro ordinamento alla predetta autorizzazione, elevando fino a 65.000 euro la soglia di applicazione del regime dei minimi, di cui all'articolo 1, comma 96 e seguenti, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), come modificato dal decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
  L'Onorevole interrogante segnala, altresì, che sulla tematica dell'innalzamento della soglia del volume d'affare dei minimi è stato già presentato un question time svolto nella seduta dell'8 gennaio 2014 presso la VI Commissione finanze della Camera dei deputati.
  L'Onorevole interrogante chiede delucidazioni in merito al fatto che l'eventuale ampliamento dell'agevolazione abbisogni di valutazioni circa la compatibilità comunitaria con la disciplina in materia di aiuti di Stato, stante il fatto che è stata la stessa Unione europea, con la decisione 2013/678, ad autorizzare l'Italia ad esentare dall'IVA i soggetti passivi il cui volume d'affari non superi i 65.000 euro annui.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici competenti dell'Amministrazione finanziaria, si fa presente quanto segue.
  La richiesta di proroga dell'autorizzazione della misura di esenzione dal versamento dell'IVA da parte dei contribuenti minimi con contestuale innalzamento della soglia minima di volume d'affari a 65.000 euro è stata inoltrata dal Dipartimento delle finanze e alla Commissione Europea secondo ordinaria procedura.
  Si tratta di una deroga ad una nonna di diritto armonizzato e precisamente l'articolo 285 della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto.
  Ciò premesso, è opportuno sottolineare che il riconoscimento della deroga nell'estensione sopra riportata non vincola lo Stato alla sua piena applicazione ed, inoltre deve precisarsi che, come specificato anche dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con sentenza del 13 dicembre 2012, nella causa C-395/11, BLV Wohn, all'atto della concreta applicazione di una deroga uno Stato membro è tenuto a rispettare il principio di neutralità fiscale nonché i principi generali del diritto dell'Unione, tra i quali segnatamente quelli di proporzionalità e di certezza del diritto.
  Vale ricordare, a tal proposito che il regime fiscale di vantaggio relativo ai soggetti minimi, attualmente vigente, declinato ai sensi dell'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, non concerne solo l'imposta armonizzata sul valore aggiunto, ma anche altre imposte (ad esempio imposta sui redditi, IRAP, addizionali regionali e comunali) che, pur non essendo armonizzate sottostanno alla disciplina specifica in materia Pag. 37di aiuti di Stato di cui all'articolo 107 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell'UE.
  Pertanto, l'accoglimento delle iniziative auspicate dall'Onorevole interrogante dovrà essere, comunque, necessariamente vagliato sotto il profilo della compatibilità comunitaria, nonostante la proroga dell'autorizzazione concessa dalla citata decisione 2013/678/UE del Consiglio dell'Unione europea.
  Il Dipartimento delle finanze ha poi stimato che, incrementando la soglia dei ricavi a 65.000 euro per accedere al regime fiscale di vantaggio in argomento, regime che comporta l'applicazione di un'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali con l'aliquota pari al 5 per cento, si determinerebbe una perdita di gettito a carico del bilancio dello Stato di circa 29 milioni di euro su base annua.
  Da ultimo giova osservare che, ai sensi dell'articolo 11 della legge 11 marzo 2014, n. 23, recante «Disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita», è prevista l'istituzione di regimi semplificati per i contribuenti di minori dimensioni, nonché, per i contribuenti di dimensioni minime, di regimi che contemplano il pagamento forfetario di un'unica imposta in sostituzione di quelle dovute.

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ALLEGATO 5

5-02446 Cancelleri: Utilizzo delle graduatorie degli idonei per assunzioni presso la Guardia di Finanza.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il question time in esame, gli Onorevoli interroganti chiedono di assumere idonee iniziative anche normative affinché venga applicata la regola dello scorrimento delle graduatorie dei concorrenti risultati idonei in esito ai concorsi banditi dalla Guardia di finanza, in ossequio ai principi di buon andamento, imparzialità ed efficienza della pubblica amministrazione ed in applicazione delle nuove regole introdotte dal decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125.
  Al riguardo, il Comando Generale della Guardia di finanza riferisce quanto segue.
  Il citato decreto-legge n. 101 del 2013 ha introdotto, nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, nuove disposizioni in materia reclutativa, per effetto delle quali: «l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali è subordinata alla verifica dell'avvenuta immissione in servizio nella stessa Amministrazione di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, salvo comprovate non temporanee necessità organizzative adeguatamente motivate nonché dell'assenza, nella stessa Amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1o gennaio 2007».
  Inoltre ai senti dell'articolo 4, comma 3 del predetto decreto «l'assunzione dei vincitori e degli idonei nelle procedure concorsuali già avviate e non ancora concluse alla data del 31 ottobre 2013 è subordinata alla verifica del rispetto delle condizioni procedimentali menzionate.
  Ciò posto, deve ritenersi che le previsioni in rassegna non trovino applicazione alle procedure concorsuali bandite dalla Guardia di finanza.
  Tale orientamento trova fondamento nel principio di specialità riconosciuto all'Istituzione dall'ordinamento amministrativo, con particolare riferimento alla disciplina del rapporto di impiego militare, positivamente affermato dall'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
  Sul punto e per quanto attiene specificamente ai concorsi banditi dal Corpo, la tematica dell'ultrattività delle graduatorie è contenuta nel decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199, che prevede, nel reclutamento degli allievi marescialli e degli allievi finanzieri, la facoltà – e non l'obbligo – di utilizzare le graduatorie dei candidati idonei ma non vincitori per l'ammissione ad analoghi e successivi corsi entro 18 mesi dall'approvazione delle stesse.
  Nulla è invece stabilito dalle disposizioni concernenti il reclutamento degli allievi ufficiali.
  A conferma di quanto sopra, si rappresenta che la circolare n. 5 datata 21 novembre 2013 del Dipartimento della Funzione pubblica, menzionata dagli interroganti, ha, tra l'altro, precisato che le disposizioni del cosiddetto «decreto D'Alia» sono destinate alle Amministrazioni centrali dello Stato, fatte «salve le disposizioni speciali previste per alcune categorie di personale incompatibili con tale disciplina».
  Il cennato articolo 4, comma 3, del decreto-legge n. 101 del 2013, individua Pag. 39quali destinatarie dell'obbligo di scorrimento delle graduatorie, le Amministrazioni soggette alla cosiddetta «autorizzazione a bandire», rilasciata ai sensi dell'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
  La Guardia di finanza, così come le altre Forze di Polizia, è invece soggetta, ai sensi dell'articolo 66 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, alla diversa «autorizzazione ad assumere», rilasciata secondo le modalità previste dal citato decreto legislativo n. 165 del 2001.
  Il Comando Generale infine sottolinea che autorevole giurisprudenza (tra le altre, sentenza n. 14 in data 4 luglio 2011 del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria) ha affermato che il reclutamento di personale mediante procedure concorsuali anziché attraverso lo scorrimento delle preesistenti graduatorie risulta pienamente giustificabile nelle ipotesi in cui speciali disposizioni legislative impongano una precisa cadenza periodica del concorso collegata a peculiari meccanismi di progressioni nelle carriere, tipiche di determinati settori del personale pubblico.

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ALLEGATO 6

5-01672 Giammanco: Chiarimenti sui termini di pagamento della tariffa di concessione governativa per le licenze di pesca.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame l'Onorevole interrogante lamenta la sussistenza di incertezze interpretative in ordine ai termini di versamento della tassa sulle concessioni governative connesse al rilascio della licenza di pesca professionale marittima e chiedono, pertanto, all'Amministrazione finanziaria di fornire un'interpretazione ufficiale, chiara e definitiva, sui tempi e le modalità di pagamento della predetta tassa, consentendo così un'uniformità della normativa in argomento.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si evidenzia quanto segue.
  Come rappresentato dall'Onorevole interrogante, la disciplina del rilascio delle licenze di pesca è contenuta nel decreto 26 luglio 1995 del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali (ora Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali). In particolare, l'articolo 2, commi 1 e 3, del suddetto decreto precede che «la licenza è rilasciata dal Ministero all'interessato, iscritto nel registro delle imprese di pesca e che «è valida per un periodo di otto anni ed è rinnovabile su richiesta dell'interessato».
  Per il rilascio della licenza di pesca è dovuto, ai sensi dell'articolo 8 della tariffa allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, il pagamento della tassa sulle concessioni governative nella misura di euro 404,00.
  L'articolo 2, comma 1, del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972 stabilisce che la tassa di rilascio «è dovuta in occasione dell'emanazione dell'atto – soggetto all'imposizione – e va corrisposta non oltre la consegna di esso all'interessato». La tassa di rinnovo, invece, ai sensi del comma 2 del citato articolo 2, «deve essere corrisposta allorquando gli atti, venuti scadenza, vengono di nuovo posti in essere».
  In tema di validità della licenza di pesca il decreto 13 gennaio 1999 del Ministero per le politiche agricole ha, poi, chiarito che «nelle more del rilascio della nuova licenza e fino alla consegna della medesima, al titolare di tale documento... è rinnovata l'attestazione provvisoria per il periodo di validità della tassa di concessione governativa connesso alla licenza stessa».
  Ciò premesso, l'Onorevole interrogante rappresenta che a causa dello sfasamento temporale che può verificarsi tra la data del rilascio della licenza ed il pagamento della tassa, anticipato al momento del rilascio della attestazione provvisoria, di frequente si determina una doppia imposizione a carico del titolare della licenza.
  In proposito, l'Agenzia delle entrate sottolinea che la tassa in argomento è corrisposta per il rilascio della licenza in argomento e, pertanto, il tributo non dovrà essere nuovamente assolto fino al momento della naturale scadenza del titolo abilitativo, salvo che non si verifichi un'ipotesi di mutamento sostanziale dello stesso.
  Ciò in quanto la tassa sulle concessioni governative non ha una sua propria validità, ma segue la validità della licenza per la cui emanazione è stata corrisposta.
  L'Agenzia ribadisce che, allorché il pagamento della tassa è effettuato in sede di rilascio dell'attestazione provvisoria, essa Pag. 41non dovrà essere nuovamente pagata al momento del rilascio della licenza, in quanto la licenza stessa, in sostanza, copre anche il periodo di utilizzo dell'attestazione provvisoria.
  Ciò comporta, che il periodo di validità della licenza di pesca vera e propria dovrà avere una durata tale da non superare gli otto anni previsti dalla normativa vigente, tenendo conto nel computo anche del periodo di utilizzo della citata attestazione provvisoria.
  Nondimeno l'Agenzia delle entrate, tenuto conto delle criticità rappresentate dall'Onorevole interrogante, si impegna a fornire, nell'ambito della propria attività istituzionale di interpretazione normativa, i dovuti chiarimenti in ordine ai tempi e le modalità di pagamento della tassa sulle concessioni governative per le licenze di pesca professionale marittima, al fine di consentire un'uniforme applicazione della normativa di cui trattasi sul territorio nazionale.