CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 20 marzo 2014
202.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per le questioni regionali
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (S. 1212 Governo, approvato dalla Camera, e abb.).

NUOVA FORMULAZIONE DELLA PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE

  La Commissione parlamentare per le questioni regionali,
   esaminato il disegno di legge del Governo S. 1212, approvato dalla Camera, recante «Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni», adottato come testo base nel corso della discussione presso la 1a Commissione del Senato;
   rilevato che:
    in materia di città metropolitane, il provvedimento reca una disciplina quasi interamente statale, laddove il riparto costituzionale delle competenze legislative e la varietà delle situazioni rinvenibili sul territorio nazionale suggeriscono di demandare alla legislazione regionale la disciplina di determinati aspetti, così da assicurare all'ordinamento delle città metropolitane la necessaria flessibilità e capacità di adattamento alle diverse realtà territoriali;
    in questa ottica, non appaiono sufficienti la generica previsione che resta ferma la competenza legislativa regionale ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione (articolo 2, comma 1) e che l'eventuale costituzione (rimessa in forma facoltativa allo statuto della città metropolitana) di zone omogenee per specifiche funzioni con organismi di coordinamento collegati agli organi della città metropolitana debba avvenire su proposta e comunque d'intesa con la regione, salvo che la mancata intesa può essere superata dalla conferenza metropolitana a maggioranza dei due terzi (articolo 2, comma 8, lett. c));
   considerato che:
    il numero delle città metropolitane previste dal provvedimento è eccessivo e andrebbe quindi ridimensionato, in modo che l'istituzione della città metropolitana corrisponda ad una effettiva necessità dei territori e quindi alla reale presenza di aree metropolitane, fermo restando che l'istituzione di un numero circoscritto di città metropolitane può essere configurata come sperimentazione, al cui esito si potrà valutare l'opportunità di trasformare in città metropolitane anche altre aree del Paese, che presentino conurbazioni importanti;
   considerato che:
    l'articolo 3, comma 9, consente a una quota qualificata dei comuni compresi nel territorio della città metropolitana di non far parte della città metropolitana stessa e di optare per l'appartenenza all'ente provincia, che conseguentemente rimane in vita per la parte di territorio relativa ai comuni non aderenti;
    la possibilità di una scissione della originaria provincia è opportunamente esclusa dall'articolo 3, comma 9, penultimo periodo, in base al quale «Sul territorio dei comuni che hanno optato per la non appartenenza alla città metropolitana, ai sensi del presente comma, non può essere istituita più di una provincia»;
    nel dibattito nella Commissione di merito sono state avanzate proposte (gli emendamenti 2.502, 3.500 e 3.600 del Pag. 197relatore) che, tra l'altro, condivisibilmente escludono la possibilità che una parte dei comuni della provincia cessante resti costituita in provincia accanto alla città metropolitana;
    il problema della specificità di quei comuni che, sebbene inclusi nel territorio di una provincia destinata alla trasformazione in città metropolitana, siano però estranei alla conurbazione metropolitana e non vogliano, non possano per ragioni di continuità territoriale o di continuità di «sistemi territoriali» o comunque non ottengano di aggregarsi a province limitrofe può essere adeguatamente affrontato dalla futura città metropolitana mediante il ricorso alla previsione dell'articolo 2, comma 8, lett. c), ai sensi della quale lo statuto della città metropolitana può prevedere la costituzione di zone omogenee per specifiche funzioni con organismi di coordinamento collegati agli organi della città metropolitana: tale soluzione appare ancor più soddisfacente in quanto la costituzione delle zone omogenee deve avvenire su proposta e comunque d'intesa con la regione, anche se la mancata intesa con la regione può essere superata dalla conferenza metropolitana a maggioranza dei due terzi;
    è tuttavia opportuno che la Commissione di merito introduca principi di organizzazione concernenti tali zone omogenee, atti a prestare effettive garanzie di autonomia a beneficio dei comuni che versano nella predetta situazione di estraneità alla conurbazione metropolitana;
   rilevato che:
    l'articolo 2, comma 2, prevede che nelle province con più di un milione di abitanti possano essere costituite città metropolitane ulteriori rispetto a quelle individuate direttamente dalla legge;
    tale possibilità rischia di dare luogo ad un'ingiustificata moltiplicazione delle città metropolitane, anche in assenza di un'effettiva realtà metropolitana, ed appaiono pertanto condivisibili le proposte emerse nel dibattito nella Commissione di merito (emendamento 2.501 del relatore) per la soppressione del citato comma 2;
    peraltro, nei territori che non sono vere e proprie aree metropolitane, ma che presentano conurbazioni tali da ingenerare alcuni dei problemi di governo propri delle aree metropolitane, si pone effettivamente la questione dei rapporti tra le grandi città e i comuni satellite: tale questione potrebbe essere affrontata demandando al legislatore regionale l'individuazione di apposite forme di cooperazione tra i comuni appartenenti a tali conurbazioni, attivabili dai comuni capoluogo di provincia, previa intesa con la regione e con i comuni satellite interessati; in questo modo si introdurrebbe un meccanismo flessibile di cooperazione diverso dall'unione e funzionale alle specifiche esigenze del governo urbano e nel contempo si recupererebbe alla legislazione regionale uno spazio di governo del territorio e di codeterminazione delle politiche urbane;
   rilevato che:
    in base all'articolo 4, comma 4 (e all'emendamento 4.43 del relatore), lo statuto può prevedere l'elezione diretta del sindaco (oltre che del consiglio metropolitano), nelle forme che saranno disciplinate con legge statale;
    l'elezione diretta può essere prevista a condizione che il territorio del comune capoluogo sia stato articolato in più comuni (su proposta del consiglio e previ svolgimento di un referendum e istituzione dei nuovi comuni con legge regionale) o, per le città metropolitane con più di tre milioni di abitanti, che il comune capoluogo abbia articolato il proprio territorio in più zone dotate di autonomia amministrativa e lo statuto della città metropolitana abbia previsto le zone omogenee;
    l'elezione diretta del sindaco metropolitano – implicando la possibile compresenza di un sindaco metropolitano e di un sindaco del comune capoluogo entrambi eletti direttamente dai cittadini – rischia di dare vita a situazioni di ambiguità o a conflitti non superabili tra le due figure; Pag. 198
    nell'ottica di evitare tale rischio, la soluzione prospettata nel provvedimento appare equilibrata nella misura in cui individua nell'elezione indiretta del sindaco metropolitano l'opzione di base, consentendo tuttavia l'elezione diretta dell'organo a condizione che il comune capoluogo si divida in più comuni o (in caso di città metropolitane con più di tre milioni di abitanti) che articoli il proprio territorio in più zone dotate di autonomia amministrativa;
   rilevato che:
    appare condivisibile la previsione dell'articolo 17, comma 6, del testo approvato dalla Camera, che – integrando il disegno di legge originario del Governo – demanda alle leggi statali o regionali di sopprimere gli enti o le agenzie operanti nei servizi a rete di rilevanza economica e di attribuirne le funzioni alle province; prevede inoltre misure premiali per le regioni che riorganizzano le funzioni relative ai servizi in questione con la soppressione di uno o più enti o agenzie;
    proposte avanzate nel dibattito nella Commissione di merito condivisibilmente sopprimono nel predetto comma 6 le parole «a rete», ampliando l'ambito di estensione della norma a tutti i servizi di rilevanza economica (emendamento 17.501 del relatore), e prevedono che i sindaci di città metropolitana e i presidenti di provincia predispongano un piano triennale di attuazione della legge, il quale deve comprendere la riorganizzazione degli enti e del sistema di partecipazioni societarie secondo obiettivi di economicità e di efficienza (articolo aggiuntivo 28.01 del relatore);
    sarebbe peraltro opportuno coinvolgere nella riorganizzazione degli enti anche le autonomie funzionali;
   considerato che:
    appare necessario incentivare il più possibile, attraverso il ricorso a strumenti normativi quali le unioni e le fusioni di comuni, il superamento della attuale frammentazione del territorio nazionale in comuni per lo più piccoli,
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   1) appare opportuno rimettere alla potestà legislativa delle regioni la disciplina di determinati aspetti dell'ordinamento della città metropolitana, in modo da assicurare a quest'ultimo la flessibilità necessaria in considerazione della varietà e delle specificità delle realtà metropolitane esistenti sul territorio nazionale;
   2) appare opportuno limitare inizialmente l'istituzione delle città metropolitane ai soli territori costituenti vere e proprie aree metropolitane, nel contempo configurando tale passaggio come fase sperimentale di congrua durata, al cui esito si possa valutare l'opportunità di trasformare in città metropolitane anche altre aree del territorio che presentino conurbazioni importanti;
   3) sia eliminata la possibilità, prevista dall'articolo 3, comma 9, che comuni del territorio provinciale che non intendono aderire alla città metropolitana possano rimanere costituiti in provincia;
   4) si introducano principi di organizzazione concernenti le zone omogenee di cui all'articolo 2, comma 8, lettera c), atti a prestare effettive garanzie di autonomia a beneficio dei comuni che versano in una situazione di estraneità alla conurbazione metropolitana, ad esempio individuando una denominazione apposita e inequivoca («comprensori» o «circondari» o «zone autonome» o altra idonea a distinguerle da altre figure); stabilendo per i comuni in questione il riconoscimento di forme di autonomia amministrativa all'interno della città metropolitana; prevedendo la presenza di un rappresentante unitario presso gli organi metropolitani e di un organo competente per l'esercizio delle funzioni assegnate alla zona, entrambi espressivi Pag. 199dei comuni ricompresi nella zona medesima; e demandando allo statuto della città metropolitana di definire, previa intesa con la regione ai sensi dell'articolo 2, comma 8, lettera c), la restante disciplina della materia, ivi compresa quella relativa alle funzioni zonali, al coordinamento degli organi zonali con quelli metropolitani e alle modalità per assicurare la compatibilità tra la zona omogenea e le eventuali unioni di comuni interne alla medesima;
   5) si sopprima l'articolo 2, comma 2, nel contempo prevedendo che la legge regionale possa individuare forme di cooperazione (denominabili, ad esempio, «area urbana di» o «polo urbano di» o con altra formula idonea a identificare la peculiarità di tale figura associativa) liberamente attivabili dai comuni appartenenti a conurbazioni significative, ma diverse dalle aree metropolitane vere e proprie, in conformità ai seguenti principi (espressamente finalizzati a garantire il coordinamento di tale figura con la disciplina statale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lett. p) della Costituzione relativa ai comuni e alle città metropolitane): popolazione del comune capofila non inferiore a 250.000 abitanti; presenza di comuni circonvicini che intrattengano con il comune capofila rapporti di stretta integrazione in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali; popolazione totale dell'area non inferiore a 500.000 abitanti; elezione indiretta degli organi di governo nell'ambito dei sindaci, assessori e consiglieri dei comuni associati; riconoscimento al sindaco del comune capofila del ruolo di vertice dell'ente;
   6) all'articolo 17, comma 6, appare opportuno sopprimere le parole «a rete», ampliando l'ambito di estensione della norma a tutti i servizi di rilevanza economica; in generale, appare opportuno prevedere che i sindaci di città metropolitana e i presidenti di provincia predispongano un piano triennale di attuazione della legge, che comprenda la riorganizzazione degli enti e del sistema di partecipazioni societarie secondo obiettivi di economicità e di efficienza, fermo restando che sarebbe utile coinvolgere nella riorganizzazione in questione anche le autonomie funzionali;
   7) quanto alle unioni e fusioni di comuni, appare opportuno prevedere che la disciplina statale in materia sia integrata da una disciplina regionale, a tal fine demandando alla regione il compito di individuare forme cogenti di incentivazione alle unioni e fusioni di comuni in modo da tenere conto della specificità territoriale di ogni regione, nel contempo dettando una disciplina statale che possa fungere, per un verso, da normativa di principio per la legislazione regionale e, per l'altro verso, secondo il principio di cedevolezza, da normativa di diretta applicazione per le regioni che non abbiano adottato propri provvedimenti in materia.

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ALLEGATO 2

Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (S. 1212 Governo, approvato dalla Camera, e abb.).

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVA DEL GRUPPO DEL MOVIMENTO 5 STELLE

  La Commissione per le questioni regionali,
   esaminato il disegno di legge S. 1212, recante disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni;
   premesso che:
    il disegno di legge in titolo dovrebbe coniugare gli obiettivi di ridurre i costi della politica e rendere più efficiente e trasparente il sistema istituzionale, attraverso disposizioni che dovrebbero entrare in vigore prima delle prossime elezioni amministrative, per evitare la proroga delle gestioni commissariali delle Province. Nel complesso, tali obiettivi non sembrano essere perseguiti efficacemente dal testo approvato dalla Camera dei Deputati e trasmesso al Senato della Repubblica. Un primo rilevante aspetto critico del disegno di legge in oggetto concerne la sovrapposizione di organi tra province e città metropolitane e la moltiplicazione di queste ultime;
    l'articolato approvato dalla Camera individua espressamente alcune Città metropolitane nelle Regioni ad autonomia ordinaria (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari e Reggio Calabria) alle quali andrebbero ad aggiungersi Roma Capitale e le città istituite, mediante leggi regionali già vigenti, dalle Regioni ad autonomia speciale Friuli-Venezia Giulia, Sicilia, Sardegna nei rispettivi capoluoghi, nonché nelle Province individuate come aree metropolitane (Trieste, Palermo, Catania, Messina, Cagliari). Altre Città metropolitane possono aggiungersi per effetto dell'articolo 2, comma 2, che rende possibile l'acquisizione dello status di Città metropolitana anche alle Province con popolazione superiore a un milione di abitanti, per iniziativa del Comune capoluogo e di altri Comuni rappresentanti almeno 500.000 abitanti della Provincia medesima. A seguito di tale previsione, possono essere costituite in Città metropolitana anche Bergamo, Brescia e Salerno. Inoltre, possono essere costituite in Città metropolitana due Province confinanti se complessivamente con popolazione di almeno 1.500.000 abitanti, purché su iniziativa dei due Comuni capoluogo e di altri Comuni rappresentanti complessivamente almeno 350.000 abitanti per Provincia. Tale previsione potrebbe consentire l'istituzione di due Città metropolitane in Veneto, con aggregazioni tra Padova, Verona, Vicenza, Treviso, purché siano confinanti;
    il territorio della Città metropolitana coincide generalmente con quello della omonima Provincia, ma può esservi una variazione di tale configurazione territoriale secondo il procedimento delineato dall'articolo 133, primo comma, della Costituzione. Gli organi della Città metropolitana sono il sindaco metropolitano, due assemblee presiedute dal sindaco stesso, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana. La disciplina di tali organi è demandata allo statuto metropolitano. Il Pag. 201sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del Comune capoluogo. Il consiglio metropolitano ha una composizione numerica variabile, a seconda della popolazione residente. Il comma 4 dell'articolo 4 stabilisce che lo statuto metropolitano possa prevedere per il consiglio e per il sindaco una elezione diretta, purché siano soddisfatte due condizioni: l'approvazione di una legge statale sul sistema elettorale e l'articolazione, alla data di indizione delle elezioni, del Comune capoluogo in più Comuni;
    all'articolo 5 è disciplinata l'elezione indiretta del consiglio metropolitano. Suoi elettori sono i sindaci e i consiglieri comunali dei Comuni compresi nella Città metropolitana, i quali sono anche i titolari esclusivi dell'elettorato passivo, mediante voto ponderato in relazione alla popolazione del Comune. Le funzioni delle Città metropolitane sono disciplinate dall'articolo 8. L'articolo 9 dispone che ciascuna Città metropolitana succeda a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi della Provincia cui subentra;
    le Province, definite enti territoriali di area vasta, sono oggetto delle disposizioni contenute negli articoli da 11 a 17 del disegno di legge. Forme particolari di autonomia possono essere riconosciute alle Province dalle Regioni, nelle materie di competenza legislativa regionale. L'articolo 17 individua le funzioni fondamentali delle Province, che dal confronto con il Testo unico degli enti locali risultano diminuite, e delinea il procedimento per il riordino delle funzioni sottratte. Stato e Regioni dispongono per ogni funzione, secondo la loro competenza, l'individuazione dell'ambito territoriale ottimale di esercizio. Gli organi della Provincia sono il presidente, il consiglio provinciale e l'assemblea dei sindaci. Il consiglio provinciale è composto dal presidente della Provincia e da un numero di consiglieri variabile in base alla popolazione ed è organo elettivo di secondo grado. Hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci e i consiglieri dei comuni della Provincia con voto ponderato;
   considerato che:
    fatta salva la parte, piuttosto scarna, in materia di fusione e di incorporazione di Comuni, il testo opera dunque un complicato e, a tratti, disordinato, riordino di strutture e competenze in attesa dell'approvazione di un disegno di legge costituzionale per l'eliminazione delle Province. Come è stato evidenziato nel dibattito svolto alla Camera e al Senato, neanche il provvedimento in titolo appare idoneo a realizzare gli obiettivi di razionalizzazione nella cornice istituzionale vigente, risultando foriero di situazioni conflittuali e di possibili ulteriori oneri di spesa per la finanza pubblica. Suscitano anzi perplessità la confusione ordinamentale e la estrema complessità del meccanismo di riordino, suscettibile di produrre costi e di alimentare il contenzioso, oltre all'insieme delle procedure indicate che mal si concilierebbero, per la durata e la complessità, con la provvisorietà del disegno organizzativo perseguito dal provvedimento;
    il riordino, la semplificazione e la razionalizzazione delle articolazioni territoriali della Repubblica costituiscono, invece, una riforma indifferibile e necessaria al fine di rimuovere la «giungla» amministrativa e di ridurre i costi della politica derivanti dall'esistenza di troppi livelli di governo e, soprattutto, della proliferazione di innumerevoli enti funzionali a base territoriale diversamente nominati, dalla quale risulta un intreccio, quando non un intralcio ed una sovrapposizione di competenze nonché di funzioni, le quali appesantiscono la decisione amministrativa. Il sovrapporsi disordinato dei tentativi di riforma del sistema delle autonomie locali, dei quali il provvedimento in titolo è solo l'ultimo in ordine di tempo, lascia disorientati con riguardo al caos istituzionale che si va profilando. Nella fase finale della XVI legislatura sono stati adottati il decreto-legge 201/2011 e il decreto-legge 95/2012 che, con disposizioni orientate alla finalità di revisione della spesa pubblica, hanno modificato l'assetto dell'ordinamento provinciale. Tra l'adozione del decreto-legge Pag. 202201/2011 e quella del decreto-legge 95/2012, il Governo aveva presentato alla Camera un disegno di legge che disciplinava le modalità di elezione, di secondo grado, degli organi provinciali. L'esame di questo disegno di legge, presentato il 16 maggio 2012, non si è concluso. Né è stato convertito in legge il decreto-legge 188/2012, presentato al Senato nel novembre 2012, che stabiliva i requisiti minimi per le province. L'articolo 1, comma 115, della legge 228/2012, legge di stabilità per il 2013, ha congelato, fino al 31 dicembre 2013, l'assetto dato all'ordinamento provinciale dai decreto-legge 201/2011 e decreto-legge 95/2012;
    i tentativi di riordino territoriale compiuti finora si sono rivelati maldestri e improvvidi, figli di un'ottica «emergenziale» e provvisoria, non supportati a livello costituzionale e, parimenti, anche il provvedimento ordinario in titolo non risulta immune da profili critici di illegittimità, palesi o latenti, che ne pongono a rischio la tenuta o rischiano di determinarne, ancora una volta, il rigetto da parte della Consulta. Va infatti ricordata la giurisprudenza costituzionale in materia. La sentenza 3 luglio 2013 n. 220 ha dichiarato l'illegittimità dei commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20 e 20-bis dell'articolo 23 del decreto-legge n. 201/2011 e degli artt. 17 e 18 del decreto-legge n. 95/2012. La sentenza fonda la pronuncia di illegittimità sulla considerazione che lo strumento del decreto-legge, configurato dall'articolo 77 della Costituzione come «atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza», non è «utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate». Per la Corte, risulta evidente che le norme censurate incidono notevolmente sulle attribuzioni delle Province, sui modi di elezione degli amministratori, sulla composizione degli organi di governo e sui rapporti dei predetti enti con i Comuni e con le stesse Regioni. Si tratta di una riforma complessiva di una parte del sistema delle autonomie locali, destinata a ripercuotersi sull'intero assetto degli enti esponenziali delle comunità territoriali, incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell'intero sistema, su cui da tempo è aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessità, da un «caso straordinario di necessità e d'urgenza»;
    l'articolo 2 della legge 119/2013, che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 93/2013, ha previsto la salvezza degli effetti dei provvedimenti di scioglimento delle province e dei conseguenti atti di nomina dei commissari nonché degli atti da questi posti in essere. Questa sanatoria trova il suo presupposto nella dichiarazione di illegittimità delle disposizioni sulle province stabilita dalla sentenza 220 del 2013 della Corte costituzionale. La legge di stabilità per il 2014, con l'articolo 10, comma 41, consente fino al 30 giugno 2014 la prosecuzione delle gestioni commissariali in atto, che la legge di stabilità per il 2013 aveva consentito fino al 31 dicembre 2013;
    l'architettura confusa e complicata del disegno di legge 1212 in esame, rischia dunque di mettere a repentaglio lo stesso obiettivo minimale di non procedere al rinnovo degli organi provinciali già commissariati;
    la via per una riforma incisiva ed efficace appare, quindi, ineludibile, e l'ha indicata con nettezza la stessa Corte Costituzionale: occorre procedere alla presentazione e all'approvazione di un disegno di legge costituzionale. In attesa dell'eventuale testo governativo, il MoVimento 5 Stelle ha depositato i disegni di legge costituzionale Senato n. 1373 e Camera n. 939, recanti modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione, in materia di abolizione delle province, e disposizioni per la destinazione delle risorse rese disponibili al finanziamento di opere per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, nel presupposto che nulla possa più ragionevolmente ostacolare l'abolizione dell'ente territoriale provincia. Pag. 203Le sue funzioni potrebbero ben essere affidate alle altre articolazioni territoriali e amministrative della Repubblica, in quanto esse sono sostanzialmente limitate;
    non è peregrino, a fronte di ciò, ricordare una serie di dati inerenti ai costi: la spesa complessiva gestita dalle province è arrivata, nel 2006, a 13 miliardi di euro ed è ora valutata tra i 16 e i 17 miliardi di euro (nel 2006 i debiti delle province ammontavano a 2 miliardi di euro); ogni italiano spende per le province in media circa 216 euro all'anno. Questo non vuol dire che alla loro abolizione conseguirebbe un risparmio di tal fatta, né è dato, a fronte di dati e di risultati molto discordanti, avere un quadro definitivo, ma abolendo tali enti di sicuro si risparmiano i costi delle indennità degli eletti, stimati dall'Unione delle province d'Italia (UPI) in circa 113 milioni di euro (dato relativo a tutto il 2010). A questo costo deve aggiungersi il risparmio derivante dalla conseguente eliminazione delle strutture che ruotano attorno ad ogni eletto (erano circa 29.000 eletti nel 2010), quali uffici, personale, auto, eccetera. La sola voce dell'indennità, infatti, non è sufficiente a determinare integralmente il costo degli eletti che godono di ulteriori emolumenti, in primis i rimborsi spese per l'esercizio del mandato. Il personale delle province è stimato in circa 61.000 unità – rappresenta circa il 18 per cento dei costi del comparto province e tale costo è naturalmente insopprimibile – che, in parte, ben potrebbero essere utilizzate in altre amministrazioni, in particolare quelle in costante carenza di organico (tribunali, amministrazione penitenziaria, scuole). L'abolizione delle province fu decisa dalla Commissione dei 75, ma respinta dall'Assemblea costituente. Non sono state abolite e il loro numero è cresciuto a un ritmo vertiginoso: erano 92 nel 1960 e sono passate a 110 nel 2005, con un grandissimo incremento di nuovi enti nel 1992 e uno più ridotto nel 2003-2005;
    nessuno dei Paesi simili al nostro è articolato per province: in Francia, i dipartimenti hanno una dimensione analoga alle province ma si collocano fra i comuni e lo Stato; in Germania, le uniche realtà sotto lo Stato federale sono i Länder e i comuni; in Gran Bretagna, le contee hanno carattere tecnico-amministrativo e non politico. Analogamente negli Stati Uniti d'America, dove le stesse hanno competenze giudiziarie o di polizia;
    nella scorsa legislatura il provvedimento sull'abolizione delle province è giunto all'esame dell'Assemblea della Camera dei deputati due volte e per due volte e stato respinto. Le motivazioni sono state le più diverse, dalla richiesta di un provvedimento più articolato nei conferimenti ad altri enti – non risultò chiaro nemmeno allora perché ciò non fosse stato proposto con emendamenti – all'attesa del cosiddetto «codice delle autonomie» in preparazione da parte del Governo dell'epoca (mai giunto in porto). L'abolizione per via costituzionale delle province – avanzata da molto tempo anche da una proposta di legge costituzionale d'iniziativa popolare – costituisce l'unico strumento per ridisegnare le componenti essenziali dell'intelaiatura dell'ordinamento degli enti locali, in modo da affrontare coerentemente problematiche destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di svolgimento dei princìpi costituzionali nel processo attuativo delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli regionali. Si tratta di norme ordinamentali che non possono essere condizionate dalla contingenza, dovendosi invece provvedere senza indugio all'intera disciplina ordinamentale degli enti territoriali, in coerenza, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale,
  esprime

PARERE CONTRARIO.

Pag. 204

ALLEGATO 3

Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (S. 1212 Governo, approvato dalla Camera, e abb.).

PARERE APPROVATO

  La Commissione parlamentare per le questioni regionali,
   esaminato il disegno di legge del Governo S. 1212, approvato dalla Camera, recante «Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni», adottato come testo base nel corso della discussione presso la 1a Commissione del Senato;
   rilevato che:
    in materia di città metropolitane, il provvedimento reca una disciplina quasi interamente statale, laddove il riparto costituzionale delle competenze legislative e la varietà delle situazioni rinvenibili sul territorio nazionale suggeriscono di demandare alla legislazione regionale la disciplina di determinati aspetti, così da assicurare all'ordinamento delle città metropolitane la necessaria flessibilità e capacità di adattamento alle diverse realtà territoriali;
    in questa ottica, non appaiono sufficienti la generica previsione che resta ferma la competenza legislativa regionale ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione (articolo 2, comma 1) e che l'eventuale costituzione (rimessa in forma facoltativa allo statuto della città metropolitana) di zone omogenee per specifiche funzioni con organismi di coordinamento collegati agli organi della città metropolitana debba avvenire su proposta e comunque d'intesa con la regione, salvo che la mancata intesa può essere superata dalla conferenza metropolitana a maggioranza dei due terzi (articolo 2, comma 8, lett. c));
   considerato che l'intera materia richiede, al fine di una compiuta risistemazione, il necessario adeguamento delle disposizioni costituzionali di riferimento, anche in considerazione della proposta di trasformazione del Senato in Camera rappresentativa delle autonomie;
   considerato che:
    il numero delle città metropolitane previste dal provvedimento è eccessivo e andrebbe quindi ridimensionato, in modo che l'istituzione della città metropolitana corrisponda ad una effettiva necessità dei territori e quindi alla reale presenza di aree metropolitane, fermo restando che l'istituzione di un numero circoscritto di città metropolitane può essere configurata come sperimentazione, al cui esito si potrà valutare l'opportunità di trasformare in città metropolitane anche altre aree del Paese, che presentino conurbazioni importanti;
   considerato che:
    l'articolo 3, comma 9, consente a una quota qualificata dei comuni compresi nel territorio della città metropolitana di non far parte della città metropolitana stessa e di optare per l'appartenenza all'ente provincia, che conseguentemente rimane in vita per la parte di territorio relativa ai comuni non aderenti;
    la possibilità di una scissione della originaria provincia è opportunamente esclusa dall'articolo 3, comma 9, penultimo periodo, in base al quale «Sul territorio dei comuni che hanno optato per la Pag. 205non appartenenza alla città metropolitana, ai sensi del presente comma, non può essere istituita più di una provincia»;
    nel dibattito nella Commissione di merito sono state avanzate proposte (gli emendamenti 2.502, 3.500 e 3.600 del relatore) che, tra l'altro, condivisibilmente escludono la possibilità che una parte dei comuni della provincia cessante resti costituita in provincia accanto alla città metropolitana;
    il problema della specificità di quei comuni che, sebbene inclusi nel territorio di una provincia destinata alla trasformazione in città metropolitana, siano però estranei alla conurbazione metropolitana e non vogliano, non possano per ragioni di continuità territoriale o di continuità di «sistemi territoriali» o comunque non ottengano di aggregarsi a province limitrofe può essere adeguatamente affrontato dalla futura città metropolitana mediante il ricorso alla previsione dell'articolo 2, comma 8, lett. c), ai sensi della quale lo statuto della città metropolitana può prevedere la costituzione di zone omogenee per specifiche funzioni con organismi di coordinamento collegati agli organi della città metropolitana: tale soluzione appare ancor più soddisfacente in quanto la costituzione delle zone omogenee deve avvenire su proposta e comunque d'intesa con la regione, anche se la mancata intesa con la regione può essere superata dalla conferenza metropolitana a maggioranza dei due terzi;
    è tuttavia opportuno che la Commissione di merito introduca principi di organizzazione concernenti tali zone omogenee, atti a prestare effettive garanzie di autonomia a beneficio dei comuni che versano nella predetta situazione di estraneità alla conurbazione metropolitana;
   rilevato che:
    l'articolo 2, comma 2, prevede che nelle province con più di un milione di abitanti possano essere costituite città metropolitane ulteriori rispetto a quelle individuate direttamente dalla legge;
    tale possibilità rischia di dare luogo ad un'ingiustificata moltiplicazione delle città metropolitane, anche in assenza di un'effettiva realtà metropolitana, ed appaiono pertanto condivisibili le proposte emerse nel dibattito nella Commissione di merito (emendamento 2.501 del relatore) per la soppressione del citato comma 2;
    peraltro, nei territori che non sono vere e proprie aree metropolitane, ma che presentano conurbazioni tali da ingenerare alcuni dei problemi di governo propri delle aree metropolitane, si pone effettivamente la questione dei rapporti tra le grandi città e i comuni satellite: tale questione potrebbe essere affrontata demandando al legislatore regionale l'individuazione di apposite forme di cooperazione tra i comuni appartenenti a tali conurbazioni, attivabili dai comuni capoluogo di provincia, previa intesa con la regione e con i comuni satellite interessati; in questo modo si introdurrebbe un meccanismo flessibile di cooperazione diverso dall'unione e funzionale alle specifiche esigenze del governo urbano e nel contempo si recupererebbe alla legislazione regionale uno spazio di governo del territorio e di codeterminazione delle politiche urbane;
   rilevato che:
    in base all'articolo 4, comma 4 (e all'emendamento 4.43 del relatore), lo statuto può prevedere l'elezione diretta del sindaco (oltre che del consiglio metropolitano), nelle forme che saranno disciplinate con legge statale;
    l'elezione diretta può essere prevista a condizione che il territorio del comune capoluogo sia stato articolato in più comuni (su proposta del consiglio e previ svolgimento di un referendum e istituzione dei nuovi comuni con legge regionale) o, per le città metropolitane con più di tre milioni di abitanti, che il comune capoluogo abbia articolato il proprio territorio in più zone dotate di autonomia amministrativa e lo statuto della città metropolitana abbia previsto le zone omogenee;
    l'elezione diretta del sindaco metropolitano – implicando la possibile compresenza Pag. 206di un sindaco metropolitano e di un sindaco del comune capoluogo entrambi eletti direttamente dai cittadini – rischia di dare vita a situazioni di ambiguità o a conflitti non superabili tra le due figure;
    nell'ottica di evitare tale rischio, la soluzione prospettata nel provvedimento appare equilibrata nella misura in cui individua nell'elezione indiretta del sindaco metropolitano l'opzione di base, consentendo tuttavia l'elezione diretta dell'organo a condizione che il comune capoluogo si divida in più comuni o (in caso di città metropolitane con più di tre milioni di abitanti) che articoli il proprio territorio in più zone dotate di autonomia amministrativa;
   rilevato che:
    appare condivisibile la previsione dell'articolo 17, comma 6, del testo approvato dalla Camera, che – integrando il disegno di legge originario del Governo – demanda alle leggi statali o regionali di sopprimere gli enti o le agenzie operanti nei servizi a rete di rilevanza economica e di attribuirne le funzioni alle province; prevede inoltre misure premiali per le regioni che riorganizzano le funzioni relative ai servizi in questione con la soppressione di uno o più enti o agenzie;
    proposte avanzate nel dibattito nella Commissione di merito condivisibilmente sopprimono nel predetto comma 6 le parole «a rete», ampliando l'ambito di estensione della norma a tutti i servizi di rilevanza economica (emendamento 17.501 del relatore), e prevedono che i sindaci di città metropolitana e i presidenti di provincia predispongano un piano triennale di attuazione della legge, il quale deve comprendere la riorganizzazione degli enti e del sistema di partecipazioni societarie secondo obiettivi di economicità e di efficienza (articolo aggiuntivo 28.01 del relatore);
    sarebbe peraltro opportuno coinvolgere nella riorganizzazione degli enti anche le autonomie funzionali;
   considerato che:
    appare necessario incentivare il più possibile, attraverso il ricorso a strumenti normativi quali le unioni e le fusioni di comuni, il superamento della attuale frammentazione del territorio nazionale in comuni per lo più piccoli,
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   1) appare opportuno rimettere alla potestà legislativa delle regioni la disciplina di determinati aspetti dell'ordinamento della città metropolitana, in modo da assicurare a quest'ultimo la flessibilità necessaria in considerazione della varietà e delle specificità delle realtà metropolitane esistenti sul territorio nazionale;
   2) appare opportuno limitare inizialmente l'istituzione delle città metropolitane ai soli territori costituenti vere e proprie aree metropolitane, nel contempo configurando tale passaggio come fase sperimentale di congrua durata, al cui esito si possa valutare l'opportunità di trasformare in città metropolitane anche altre aree del territorio che presentino conurbazioni importanti;
   3) sia eliminata la possibilità, prevista dall'articolo 3, comma 9, che comuni del territorio provinciale che non intendono aderire alla città metropolitana possano rimanere costituiti in provincia;
   4) si introducano principi di organizzazione concernenti le zone omogenee di cui all'articolo 2, comma 8, lett. c), atti a prestare effettive garanzie di autonomia a beneficio dei comuni che versano in una situazione di estraneità alla conurbazione metropolitana, ad esempio individuando una denominazione apposita e inequivoca («comprensori» o «circondari» o «zone autonome» o altra idonea a distinguerle da altre figure); stabilendo per i comuni in questione il riconoscimento di forme di autonomia amministrativa all'interno della città metropolitana; prevedendo la presenza Pag. 207di un rappresentante unitario presso gli organi metropolitani e di un organo competente per l'esercizio delle funzioni assegnate alla zona, entrambi espressivi dei comuni ricompresi nella zona medesima; e demandando allo statuto della città metropolitana di definire, previa intesa con la regione ai sensi dell'articolo 2, comma 8, lettera c), la restante disciplina della materia, ivi compresa quella relativa alle funzioni zonali, al coordinamento degli organi zonali con quelli metropolitani e alle modalità per assicurare la compatibilità tra la zona omogenea e le eventuali unioni di comuni interne alla medesima;
   5) si sopprima l'articolo 2, comma 2, nel contempo prevedendo che la legge regionale possa individuare forme di cooperazione (denominabili, ad esempio, «area urbana di» o «polo urbano di» o con altra formula idonea a identificare la peculiarità di tale figura associativa) liberamente attivabili dai comuni appartenenti a conurbazioni significative, ma diverse dalle aree metropolitane vere e proprie, in conformità ai seguenti principi (espressamente finalizzati a garantire il coordinamento di tale figura con la disciplina statale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lett. p) della Costituzione relativa ai comuni e alle città metropolitane): popolazione del comune capofila non inferiore a 250.000 abitanti; presenza di comuni circonvicini che intrattengano con il comune capofila rapporti di stretta integrazione in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali; popolazione totale dell'area non inferiore a 500.000 abitanti; elezione indiretta degli organi di governo nell'ambito dei sindaci, assessori e consiglieri dei comuni associati; riconoscimento al sindaco del comune capofila del ruolo di vertice dell'ente;
   6) all'articolo 17, comma 6, appare opportuno sopprimere le parole «a rete», ampliando l'ambito di estensione della norma a tutti i servizi di rilevanza economica; in generale, appare opportuno prevedere che i sindaci di città metropolitana e i presidenti di provincia predispongano un piano triennale di attuazione della legge, che comprenda la riorganizzazione degli enti e del sistema di partecipazioni societarie secondo obiettivi di economicità e di efficienza, fermo restando che sarebbe utile coinvolgere nella riorganizzazione in questione anche le autonomie funzionali;
   7) quanto alle unioni e fusioni di comuni, appare opportuno prevedere che la disciplina statale in materia sia integrata da una disciplina regionale, a tal fine demandando alla regione il compito di individuare forme cogenti di incentivazione alle unioni e fusioni di comuni in modo da tenere conto della specificità territoriale di ogni regione, nel contempo dettando una disciplina statale che possa fungere, per un verso, da normativa di principio per la legislazione regionale e, per l'altro verso, secondo il principio di cedevolezza, da normativa di diretta applicazione per le regioni che non abbiano adottato propri provvedimenti in materia.