CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 12 marzo 2014
197.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-02262 Capezzone: Applicazione della cedolare secca per le locazioni di immobili con finalità turistiche anche nei casi in cui il proprietario dell'immobile si avvalga dell'opera di agenzie immobiliari.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame l'Onorevole interrogante chiede chiarimenti in merito alla possibilità di applicare il regime della cedolare secca ai contratti di locazione di immobili ad uso turistico, nel caso in cui il proprietario si avvalga di una agenzia di mediazione immobiliare, attraverso le seguenti modalità:
   a) conferimento di un mandato con rappresentanza;
   b) conferimento di un mandato senza rappresentanza;
   c) stipulazione di un contratto con l'agenzia e successiva stipula di un contratto di sublocazione tra la medesima agenzia di mediazione e il cliente finale che utilizza l'immobile per uso abitativo.

  L'Onorevole interrogante ritiene che sulla base dell'interpretazione fornita dall'Agenzia delle entrate, con la Circolare n. 26 del 1o giugno 2011, solo per il primo caso troverebbe sicuramente applicazione la cedolare secca, posto che l'Agenzia delle entrate si è limitata ad affermare che non osta all'esercizio dell'opzione per la cedolare secca da parte del locatore l'intervento di un «mero intermediario» tra locatore e conduttore.
  In tale situazione, un medesimo negozio giuridico (affitto di un immobile ad uso abitativo da parte di una persona fisica) potrebbe risultare tassato in modo diverso a seconda della tipologia del rapporto intercorrente tra il proprietario dell'immobile e l'agenzia di mediazione immobiliare, con la conseguente irrazionale discriminazione tra i proprietari.
  Inoltre si verrebbero a creare distorsioni della concorrenza a seconda della qualificazione del rapporto.
  Sulla base di tali premesse, l'onorevole chiede quali iniziative si intenda assumere al fine di chiarire che i contribuenti possono avvalersi del regime della cedolare secca per i redditi derivanti da locazioni di immobili con finalità turistiche, nel caso in cui il proprietario si avvalga dell'opera delle agenzie immobiliari con le modalità prospettate.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria si fa presente quanto segue.
  La cedolare secca è stata istituita dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 23 del 2011, e consiste in un regime facoltativo di tassazione, cui può accedere previa opzione il proprietario o il titolare di diritto reale di godimento di unità immobiliari abitative locate ad uso abitativo. In particolare, in applicazione di detto regime, il canone di locazione relativo ai contratti aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo può essere assoggettato, in base alla decisione del locatore, ad un'imposta, operata nella forma della cedolare secca, sostitutiva dell'IRPEF e delle relative addizionali, nonché delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione. Sono comunque escluse le locazioni effettuate nell'esercizio Pag. 28di un'attività di impresa, o di arti e professioni, considerando anche l'attività esercitata dal locatario.
  Con particolare riferimento alle locazioni effettuate per il tramite di agenzia di mediazione immobiliare, l'Agenzia delle entrate con la circolare n. 26/E del 6 giugno 2011 ha precisato che, in presenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalle disposizioni di riferimento, non osta all'esercizio dell'opzione per la cedolare secca da parte del locatore l'intervento di un'agenzia che operi come mero intermediario tra locatore e conduttore.
  Sulla base di tale interpretazione, l'opzione per la «cedolare secca» può essere effettuata nell'ipotesi di conferimento di un mandato con rappresentanza all'agenzia immobiliare, in quanto il contratto di locazione è concluso in nome e per conto del proprietario dell'immobile, che assume direttamente diritti e obblighi nei confronti del conduttore. In detta ipotesi, l'opzione per il regime sostitutivo della «cedolare secca» comporta l'esclusione dall'applicazione dell'Irpef per i redditi fondiari derivanti dalla locazione, delle imposte di registro e di bollo dovute sul contratto di locazione.
  La possibilità di accesso al medesimo regime deve essere riconosciuta al proprietario anche nei casi di contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, situati in zone turistiche, conclusi da agenzie immobiliari in esecuzione di un mandato senza rappresentanza.
  Al riguardo, rileva la circostanza che, per il profilo sostanziale delle imposte sui redditi, il proprietario dell'immobile che loca per il tramite di una agenzia immobiliare è comunque titolare di un reddito da locazione, anche nel caso in cui l'agenzia operi sulla base di un contratto di mandato senza rappresentanza.
  Affinché possa trovare applicazione il regime della cedolare secca, è necessario in ogni caso che l'immobile ad uso abitativo sia locato dall'agenzia immobiliare per finalità abitative a soggetti che non esercitino attività di impresa, o arti e professioni. Detti presupposti devono essere espressamente previsti nel contratto di mandato stipulato tra proprietario ed agenzia, quale vincolo per l'agenzia mandataria.
  Sotto il profilo delle imposte indirette, la circostanza che i rapporti con l'inquilino siano gestiti in nome proprio dall'agenzia immobiliare comporta la rilevanza di detta operazione ai fini dell'imposta sul valore aggiunto in regime di imponibilità o esenzione dall'Iva, secondo i chiarimenti forniti con la risoluzione n. 117/E del 2004.
  Ai fini dell'imposta di registro, inoltre, gli articoli 10 e 57 del decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 stabiliscono l'obbligo della registrazione del contratto e del pagamento dell'imposta in capo alle parti e, nel caso di contratto di locazione stipulato in nome proprio dall'agenzia immobiliare, il proprietario dell'immobile non assume la qualifica di «parte contrattuale».
  L'articolo 1705 codice civile stabilisce, infatti, che «Il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato».
  In relazione a tali contratti assume la veste di parte contrattuale l'agenzia immobiliare che agisce in nome proprio e, pertanto, l'obbligo di registrazione e del pagamento dell'imposta di registro grava sulla medesima agenzia immobiliare oltre che sull'altra parte contraente (conduttore).
  Si rammenta, peraltro, che l'obbligo di registrazione in termine fisso non opera, ai sensi dell'articolo 2-bis della Tariffa, parte seconda, allegata al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, per i contratti di «locazioni ed affitti di immobili, non formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata di durata non superiore a 30 giorni complessivi nell'anno».
  In ipotesi di mandato senza rappresentanza, quindi, l'eventuale opzione per la cedolare secca effettuata dal proprietario dell'immobile esplica effetti ai fini delle imposte sui redditi e non anche ai fini dell'imposta di registro, eventualmente dovuta Pag. 29per la registrazione del contratto di locazione, e di bollo; una diversa interpretazione porterebbe, infatti, ad estendere l'effetto sostitutivo previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 23 del 2011 anche ad imposte che gravano su soggetti diversi (agenzia immobiliare) da quelli che accedono al regime della cedolare secca.
  Alla luce delle predette considerazioni, si ritiene che in caso di locazione di immobili turistici sulla base di un contratto di mandato senza rappresentanza, l'opzione per la cedolare secca debba essere effettuata dal proprietario dell'immobile in sede di dichiarazione dei redditi e non esplichi effetti sull'imposta di registro da versare per la registrazione del contratto (ove dovuta) e di bollo.
  Quanto alla comunicazione da parte del locatore della rinuncia all'aggiornamento del canone, con circolare n. 20/E del 2012 è stato precisato che detto obbligo può essere escluso nell'ipotesi di contratti di locazione di durata complessiva nell'anno inferiore a trenta giorni. In relazione a tali contratti di breve durata, per i quali non vige l'obbligo della registrazione in termine fisso, non opera il meccanismo di aggiornamento del canone.
  Ad analoghe conclusioni può giungersi anche con riferimento ai contratti di locazione ad uso turistico di durata inferiore all'anno oggetto della presente nota.
  Per quanto detto, infine, si ritiene che esuli dal campo di applicazione della cedolare secca l'ipotesi della stipula da parte del proprietario di un contratto di locazione con un'agenzia immobiliare, dato che il locatario è un soggetto che esercita un'attività di impresa.

Pag. 30

ALLEGATO 2

5-02263 Busin: Modalità di determinazione degli ammortamenti a fini tributari per le imprese titolari di impianti fotovoltaici.

TESTO DELLA RISPOSTA

  In merito al documento di sindacato ispettivo in esame si riferisce quanto segue.
  Nella circolare n. 36 del 19 dicembre 2013, l'Agenzia delle Entrate ha fornito ai soggetti che intendono installare gli impianti fotovoltaici direttive mirate sia al corretto trattamento tributario dei relativi investimenti, sia a chiarire gli eventuali obblighi a carico dei soggetti possessori, per le corrette modalità di dichiarazione in catasto.
  Con riferimento a queste ultime, sono state fornite indicazioni relative alla rappresentazione grafica dei manufatti costituenti le unità immobiliari interessate, compresi gli impianti, nonché elementi di carattere quantitativo al fine di distinguere le installazioni per le quali sussiste l'obbligo di dichiarazione in catasto da quelle per le quali detto obbligo non sussiste.
  Al riguardo l'onorevole interrogante chiede chiarimenti correlati ai menzionati criteri quantitativi, con specifico riferimento al limite di 3 kW per unità immobiliare e al calcolo dell'investimento finalizzato a valutare se, con riferimento all'epoca censuaria 1988-1989, lo stesso risulta inferiore al 15 per cento del valore catastale dell'immobile. Infatti, qualora la produttività o la percentuale calcolata risulti inferiore ai valori menzionati, non sussiste alcun obbligo in materia di dichiarazione catastale.
  Il valore di 3 kW è stato indicato in coerenza con i principi di ordinarietà, posti a base dell'estimo catastale, tenendo presente che il fabbisogno energetico usualmente richiesto per le unità abitative maggiormente diffuse sul territorio nazionale non supera il suddetto limite.
  Inoltre, l'Agenzia rileva come detto limite sia riferito a ciascuna unità immobiliare servita dall'impianto stesso: in caso, quindi, di pertinenze autonomamente censite in catasto, detto limite risulterà notevolmente aumentato.
  Anche per valori diversi ai 3 kW, la circolare suddetta individua ulteriori due ipotesi che escludono l'obbligo di dichiarazione in catasto:
   la potenza nominale complessiva, espressa in chilowatt, non è superiore a tre volte il numero delle unità immobiliari le cui parti comuni sono servite dall'impianto, indipendentemente dalla circostanza che sia installato al suolo oppure sia architettonicamente o parzialmente integrato ad immobili già censiti al catasto edilizio urbano;
   per le installazioni ubicate al suolo, il volume individuato dall'intera area destinata all'intervento (comprensiva, quindi, degli spazi liberi che dividono i pannelli fotovoltaici) e dall'altezza relativa all'asse orizzontale mediano dei pannelli stessi, è inferiore a 150 m3 in coerenza con il limite volumetrico stabilito dall'articolo 3, comma 3, lettera e) del decreto ministeriale 2 gennaio 1998. n. 28.
  Sotto altro profilo, l'Agenzia osserva come laddove l'incremento di valore capitale conseguente alla realizzazione dell'impianto fotovoltaico risulti inferiore al 15 per cento, non sussiste l'obbligo della presentazione della dichiarazione dell'aggiornamento catastale. Ciò in linea con quanto già chiarito in relazione a qualunque intervento edilizio con la circolare n. 1 del 3 gennaio 2006 dell'Agenzia del Territorio.

Pag. 31

ALLEGATO 3

5-02264 Gebhard: Esclusione del reato di omesso versamento IVA in caso mancanza di liquidità del contribuente causata dalla crisi economica.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento di sindacato ispettivo in esame, gli Onorevoli interroganti chiedono al Ministro dell'economia e delle finanze se non ritenga opportuno, nell'attuale contesto economico, escludere il reato di omesso versamento IVA in caso di crisi di liquidità, riconducibile ad una «situazione accertata di crisi economica globale o aziendale», in sede di esercizio della delega di cui all'articolo 8 del testo unificato sulla «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita». Ciò anche alla luce della recente giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. pen., n. 2614 del 21 gennaio 2014), che ammette la non punibilità in sede penale dell'omesso versamento dell'IVA ove sia dimostrata l'impossibilità incolpevole ad adempiere.
  Al riguardo, l'Agenzia delle Entrate fa presente quanto segue.
  Secondo il combinato disposto degli articoli 10-bis e 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – recante «Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto» – è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta.
  Si ricorda che il reato di omesso versamento dell'Iva, originariamente non previsto dal decreto legislativo n. 74 del 2000, è stato introdotto successivamente dall'articolo 35, comma 7, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, al fine di tutelare l'interesse dell'Erario alla tempestiva ed efficace riscossione di un tributo già accertato a seguito della corretta autodichiarazione, e di garantire il versamento dell'IVA incassata «per suo conto», attraverso il meccanismo di rivalsa e detrazione, dal soggetto passivo IVA.
  Al riguardo, le sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sentenza del 12 settembre 2013, n. 37424, hanno chiarito che «Il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall'acquirente del bene o del servizio) l'IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria.
  «... Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo (termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo n.d.a.), ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta (...) di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.
  I medesimi principi sono stati ribaditi dalla terza sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza del 21 gennaio 2014, n. 2614, richiamata anche dagli interroganti.Pag. 32
  Secondo la Cassazione, la mancanza di liquidità esclude la configurabilità del delitto di omesso versamento dell'IVA qualora l'imputato dimostri in giudizio che il mancato pagamento sia dipeso dall'impossibilità incolpevole di effettuarlo. La Corte ha, infatti, chiarito che, sul piano prettamente probatorio, la prova del dolo (generico e non specifico) «è insita... nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta...».
  Non è, invece, penalmente rilevante l'ipotesi in cui il contribuente ometta il versamento di imposte diverse dall'IVA e dalle ritenute, quandanche risultanti dalla propria dichiarazione. In questo caso la sua condotta non è considerata dal legislatore riprovevole come nel caso in cui ometta di versare le somme da lui riscosse (IVA e ritenute) per conto dell'erario statale.
  Ne deriva che la generica deduzione in ordine alla crisi economica non esclude l'elemento psicologico e, quindi, la responsabilità penale dell'imputato accusato del delitto di omesso versamento di IVA. Occorre, invece, che ricorra una «reale impossibilità incolpevole all'adempimento».
  Secondo l'orientamento della Suprema Corte, in breve, la configurabilità del reato può escludersi non quando il contribuente dimostri che la carenza di liquidità è conseguenza della crisi economica, ma solo nel caso di reale impossibilità incolpevole dell'adempimento (ad esempio qualora l'incasso dell'Iva di cui è stato omesso il versamento non sia effettivamente avvenuto).
  L'esclusione del reato di omesso versamento IVA in caso di crisi di liquidità, pertanto, deve essere provata dal contribuente nel caso specifico e può essere «accertata» solo dal giudice, anche sotto il profilo dell'eventuale sussistenza della causa di esclusione della punibilità della «forza maggiore» di cui all'articolo 45 del codice penale.

Pag. 33

ALLEGATO 4

5-02265 Causi: Effetti di un incremento dal 21 al 23 per cento dell'aliquota della cedolare secca sui redditi di locazione.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, gli Onorevoli interroganti, fatta una preliminare premessa sugli effetti finanziari derivanti dall'applicazione del regime della cedolare secca, sulla base dei dati diffusi dall'Agenzia delle Entrate, ipotizzano che un aumento dell'aliquota (dall'attuale 21 per cento al 23 per cento) non pregiudicherebbe l’appeal del regime agevolativo e consentirebbe di incrementare il gettito erariale al fine di destinare tali maggiori entrate a politiche di contrasto alle «tensioni abitative».
  Di conseguenza il Dipartimento delle Finanze, interpellato in merito alla stima degli effetti finanziari derivanti dall'incremento dal 21 per cento al 23 per cento dell'aliquota base della cedolare secca prevista per i contratti a canone libero, ha rappresentato che, ipotizzando che tale variazione di aliquota non comporti sostanziali mutamenti nella platea dei soggetti che hanno optato per il regime della cedolare secca, vi sarebbe un incremento di gettito pari a 103 milioni di euro su base annua.
  In particolare, gli effetti finanziari derivanti dalla disposizione in esame, ipotizzano un incremento pari ad euro 97.900.000,00 relativamente all'anno 2014, e di euro 103.000.000,00 rispettivamente al biennio 2015 e 2016.

Pag. 34

ALLEGATO 5

5-02266 Paglia: Rilievi della Commissione europea sull'operazione di rivalutazione delle quote della Banca d'Italia.
5-02267 Pesco: Problematiche relative alla rivalutazione delle quote della Banca d'Italia con particolare riferimento all'utilizzo delle riserve della stessa Banca.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con le interrogazioni a risposta immediata in Commissione dell'onorevole Paglia e dell'onorevole Pesco ed altri si pongono quesiti in ordine all'operazione di ricapitalizzazione delle quote della Banca d'Italia.
  Al riguardo, si conferma che la Commissione Europea – Direzione generale per la concorrenza, ha fatto pervenire una richiesta di informazioni relativa alla complessiva rivisitazione della disciplina di partecipazione al capitale della Banca d'Italia, recata dal decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, convertito in legge 29 gennaio 2014, n. 5.
  La nota richiede una disamina della metodologia prescelta per la determinazione della misura del capitale e dei dividendi, oltre che precisazioni sulla procedura e sulla determinazione del prezzo di acquisto e di rivendita in caso di eventuale buy-back e successiva cessione delle proprie quote da parte della Banca d'Italia.
  Con il citato decreto-legge n. 133 del 2013 è stata risolta l'ambiguità sui diritti economici dei partecipanti originata dal previgente quadro giuridico ed è stata determinata una definitiva rivalutazione del valore del capitale a suo tempo conferito dai soggetti partecipanti, incrementato a 7,5 miliardi di euro, mentre il meccanismo di remunerazione è basato esclusivamente sui dividendi, a valere sull'utile netto di esercizio, nella misura massima del 6 per cento del capitale. Il valore complessivo del capitale, nonché la misura massima dei dividendi, sono stati determinati sulla base delle raccomandazioni di una Commissione di esperti nominata da Banca d'Italia.
  Con specifico riferimento ai diritti patrimoniali dei partecipanti, si precisa che l'articolo 6 del decreto-legge in questione (133/2013) è chiarissimo nel delimitare il valore del capitale e dei dividendi. Peraltro, anche lo statuto della Banca d'Italia stabilisce che i diritti patrimoniali dei partecipanti sono limitati al valore del capitale e ai dividendi, nella misura massima del 6 per cento del capitale (cfr articolo 3 dello statuto come risultante dall'aggiornamento di dicembre).
  In relazione alla citata richiesta, si procederà quanto prima, in collaborazione con la Banca d'Italia, alla predisposizione degli elementi informativi da fornire alla Commissione Europea.