CAMERA DEI DEPUTATI
Lunedì 10 febbraio 2014
176.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Note integrative dell'intervento del senatore Andrea Mandelli.

1. Espropriazione della funzione legislativa del Parlamento e abuso della decretazione d'urgenza.

  Il reato di attentato alla Costituzione imputato al Presidente della Repubblica si fonderebbe, in primo luogo, sull'intenso utilizzo da parte del governo, della decretazione d'urgenza in violazione degli articoli 70 e 77 della Costituzione, cui il Capo dello Stato avrebbe dovuto asseritamente opporsi facendo ricorso alle prerogative concessegli dalla stessa Costituzione.
  Come noto, affinché il Governo sia legittimato ad emanare un decreto-legge è fondamentale che sussistano i presupposti di necessità ed urgenza; la valutazione di questi requisiti spetta al Governo, al Presidente della Repubblica e alla Corte Costituzionale, la quale – è altrettanto noto – ha sviluppato una giurisprudenza che fissa limiti cogenti, sin dalla ormai celebre sentenza n. 360 del 1996.
  Successivamente all'esame in sede di emanazione, effettuato dal Capo dello Stato, si inserisce, inoltre, il controllo parlamentare per il tramite del procedimento di conversione del decreto e, in particolare, attraverso le funzioni di filtro svolte dalle Commissioni Affari costituzionali di entrambe le Camere.
  In questo quadro, non sussistono elementi che evidenziano la responsabilità presidenziale, in quanto l'esame svolto dal Capo dello Stato circa la sussistenza dei requisiti di necessità ed urgenza delle norme contenute nei decreti legge, ha sempre incontrato il voto favorevole delle predette Commissioni; ma a ben vedere, vi è un altro elemento dirimente che esclude (in apicibus) la sola ipotesi di un possibile attentato alla Costituzione, mediante un presunto atteggiamento permissivo o eccessivamente facoltizzante, sulla decretazione d'urgenza adottata dall'Esecutivo.
  La lettura piana dell'articolo 77 della Costituzione è illuminante: «il Governo adotta sotto la sua responsabilità provvedimenti provvisori con forza di legge».
  Ora, non si vede come si possa traslare tale responsabilità governativa sul Capo dello Stato, quasi a pretendere che il Presidente dovesse rifiutarsi di emanare i decreti medesimi; il che, non solo prova troppo, ma suona anche come una sorta di macroscopico errore di interpretazione costituzionale, non appena si tenga conto come, sin dall'inizio del suo primo mandato, il Presidente in carica abbia trasmesso non pochi «messaggi minori» alle Camere, per il tramite dei loro Presidenti, invitando i due rami del Parlamento ad interpretare correttamente, alla luce dei principi di omogeneità e aderenza, il potere emendativo in sede di conversione.
  Particolare e ulteriore aspetto su cui sembra fondarsi l'accusa è la reiterazione, sempre mediante decreto-legge, di norme contenute in un precedente decreto non convertito, in asserito contrasto proprio con la citata sentenza n. 360 del 1996 della Corte Costituzionale.
  Ma, anche in questo caso, non solo va ricordato che il Presidente della Repubblica ha più volte richiamato l'attenzione delle Camere sulla necessità di rispettare scrupolosamente i princìpi e i criteri relativi al contenuto dei provvedimenti d'urgenza, stabiliti dall'articolo 77 della Costituzione e dalla legge a 400 del 1988, ma è appena il caso di far notare che una parziale reiterazione di norme contenute nel decreto-legge, non confliggerebbe affatto con i princìpi stabiliti dalla Corte Costituzionale nella predetta sentenza Pag. 34n. 360/1996, qualora il decreto iterato trovi fondamento su nuovi e autonomi presupposti di necessità ed urgenza.

2. Riforma della Costituzione e del sistema elettorale.

  Il successivo elemento di denuncia ha ad oggetto le ripetute sollecitazioni mosse dal Capo dello Stato al Parlamento ai fini dell'approvazione di un disegno di legge costituzionale, presentato alle Camere il 10 giugno 2013, che istituisce una procedura di revisione costituzionale derogatoria degli articoli 72 e 138 della Costituzione.
  Il disegno di legge appare invero in linea con lo spirito della Carta fondamentale; rispetto alle disposizioni statuite ex articolo 138 della Costituzione viene persino previsto un aggravamento procedurale, stabilendo che il referendum confermativo può essere richiesto anche nelle ipotesi in cui le riforme siano state approvate dal Parlamento con la maggioranza dei due terzi, trasformando il referendum confermativo di cui all'articolo 138 della Costituzione, da eventuale in necessario; dal che non può non desumersi un rafforzamento della partecipazione dei cittadini alle decisioni costituzionali e un sostanziale incremento della rigidità della Carta, nonché, in definitiva, un'estensione delle garanzie in sua difesa.
  Le disposizioni del predetto disegno di legge non sono inoltre in contrasto con l'articolo 72 della Costituzione; il disegno di legge costituzionale prevede, infatti, una fase referente sull'esame dei progetti di revisione costituzionale, nonché di quelli ordinari in materia elettorale, la quale, anziché svolgersi in due momenti distinti nei due rami del Parlamento presso le apposite Commissioni, è sfidata all'istruttoria di un unico organo bicamerale di sintesi, il Comitato.
  In questa fase si concentra la facoltà di presentazione degli emendamenti da parte di senatori e deputati, assicurando in tal modo la più ampia partecipazione parlamentare e abbreviando i tempi dell'analisi preliminare e prodromica alle successive delibere in seno alle due Camere.
  Infine, l'articolo di chiusura del disegno di legge costituzionale precisa il carattere speciale della procedura delineata, specificando che per le successive modificazioni della legge o delle leggi costituzionali, eventualmente approvate sulla base del disegno di legge, dovranno osservarsi le disposizioni generali stabilite dalla Costituzione.
  Illegittima sarebbe, altresì, la convocazione, avvenuta in data 24 ottobre 2013, di ministri e forze politiche nel corso dell'esame parlamentare della riforma della legge elettorale.
  Se non che il Capo dello Stato, nell'incontro menzionato, si è limitato a rinnovare il proprio invito ad intervenire sulla legge elettorale il prima possibile, onde evitare la pronuncia di incostituzionalità della Corte Costituzionale (poi in effetti giunta con tutti gli effetti – particolarmente complessi da valutare – delle pronunce di accoglimento in subiecta materia) e, contestualmente, si è riservato di ascoltare tutti i gruppi parlamentari secondo le modalità più opportune.
  In alcun modo, sembra quindi essere stato umiliato, sul piano istituzionale, il luogo naturalmente deputato alla formazione delle leggi che, ovviamente, è cosa ben diversa da quello in cui possono aver luogo le consultazioni informali cui, non di rado, ricorre il Capo dello Stato.

3. Mancato esercizio del potere di rinvio.

  Ulteriore capo d'accusa verte sulla presunta violazione dell'articolo 74 della Costituzione; si eccepisce, in tal senso, che il Presidente sarebbe dovuto intervenire, facendo ricorso all'istituto del rinvio presidenziale, per svolgere la propria funzione di controllo preventivo avverso disposizioni di legge successivamente dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale.
  Al riguardo, va ancora una volta rilevato che la decisione di esercitare o meno il potere di rinvio ha un contenuto politico discrezionale assai marcato, in quanto il Presidente della Repubblica deve opportunamente valutare anche i riflessi mediati Pag. 35o diretti che i suoi atti sortiscono sul complesso delle istituzioni repubblicane. Anche su questo profilo le sue funzioni si differenziano da quelle assolte dalla Corte Costituzionale, la cui attività di giudizio sulla legittimità delle leggi e degli atti aventi forza di legge riveste i caratteri propri della giurisdizione e del controllo di legittimità costituzionale accentrato ed esclusivo. Una successiva pronuncia di incostituzionalità da parte della Consulta non può quindi essere utilizzata quale elemento per sostenere un'omissione di atti dovuti in capo alla Presidenza della Repubblica.
  Sul punto non è neanche necessario evocare la dottrina che si è soffermata diffusamente sulla non sovrapponibilità tra le funzioni presidenziali delineate dall'articolo 74 della Costituzione e il giudizio successivo demandato alla Corte costituzionale sulla compatibilità degli atti aventi forza di legge con la Costituzione.

4. Seconda elezione del Presidente della Repubblica.

  Caratteri di incostituzionalità sarebbero infine rinvenibili anche nel doppio mandato accettato dal Presidente della Repubblica il quale violerebbe, nella forma e nella sostanza, il testo della Carta.
  Sul piano formale non è invero rinvenibile un esplicito contrasto con il testo costituzionale il quale, all'articolo 85, individua unicamente la durata dell'incarico presidenziale e ne regola i casi di prorogatio, senza nulla statuire su un asserito limite di rieleggibilità per un secondo mandato. Contro ogni ipotesi che intendesse trarre il limite dall'interpretazione sistematica, convergono tali e tanti elementi che non conviene neanche soffermarvisi diffusamente. Basti dire dei lavori preparatori della Costituente, della traccia che si evince dall'articolo 88, secondo comma, della Costituzione, che stabilisce l'affievolimento dei poteri in semestre bianco, proprio al fine di evitare che il Capo dello Stato possa condizionare il proprio collegio di (ri)elezione.
  Né, al contrario, potrebbe invocarsi l'argomento fattualistico per cui la durata di sette anni del mandato presidenziale confligge con la possibilità di una successiva rielezione; a tacer d'altro, il settennato consente di svincolare il Presidente dalle maggioranze che lo hanno eletto, esaltandone la posizione di imparzialità e accostandolo al ruolo di garanzia che, non a caso, è anche dei giudici costituzionali che restano in carica per nove anni. Inoltre, la lunga permanenza in carica conferisce al Capo dello Stato l'acquisizione della esperienza necessaria per svolgere i delicati compiti che tale ruolo impone e segnatamente ad assolvere alla funzione di magistratura di persuasione che la Costituzione gli assegna. Pertanto, lo scopo del settennato non risiede certo nel precludere una seconda elezione e il fatto che non vi sia stata mai, nella storia repubblicana, una seconda elezione non implica certo che esista un divieto inespresso nell'ordinamento costituzionale italiano.
  Appare anche ultroneo soffermarsi sulle condotte relative al potere di grazia e di commutazione delle pene. L'atto di denuncia, infatti, trascura che la grazia è sempre atto controfirmato ai sensi dell'articolo 89, della Costituzione; che davvero non si comprende come possa parlarsi di attentato alla Costituzione, quando il Capo dello Stato ebbe solamente modo di riferirsi alle procedure necessarie alla richiesta della grazia, come accadde con la nota del 13 agosto 2013.
  Quanto poi al noto conflitto di attribuzione sollevato dalla Presidenza della Repubblica circa la questione dell'utilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni telefoniche cui abbia preso parte il Capo dello Stato, è sufficiente rilevare che la sentenza n. 1 del 2013, della Corte costituzionale, ha sostanzialmente accolto le tesi sostenute dalla Presidenza, così che appare incongruo tentare di ricondurre il conflitto medesimo ad un'attività «intimidatoria» e, ancor meno plausibilmente, a una condotta riconducibile all'attentato alla Costituzione.

Pag. 36

ALLEGATO 2

Intervento depositato dal deputato Sofia Amoddio.

  Vorrei iniziare con alcuni rilievi di ordine generale:
   l'iniziativa di denuncia del mov. 5 stelle appare strumentale, perché si usa uno strumento giuridico-costituzionale, pur legittimo, al solo fine di ottenere che si discuta il caso in esame ed ottenere le prime pagine dei media;
   vi è una confusione continua fra piano politico e piano giuridico, con conseguente inefficacia dell'argomentazione;
   l'esposizione dei fatti, nell'atto di denuncia del mov. 5 stelle è totalmente generica e non consente in nessuna maniera di dimostrare il dolo specifico necessario per integrare la sussistenza della fattispecie criminosa dell'attentato alla Costituzione da parte del Presidente della Repubblica;
   credo di potere affermare proprio per l'enorme rispetto che ho per le istituzioni e quindi anche per questo comitato che occorre rispettare le procedure. Ai sensi della legge n. 219/89 il comitato prima di decidere se aprire qualunque indagine, se rileva la manifesta infondatezza della denuncia, e si specifica che l'infondatezza non deve essere politica, ma si tratta di infondatezza giuridica, dispone l'archiviazione.

  Il movimento 5 stelle deve esimersi dall'esprimere giudizi in ordine al senso di responsabilità e di senso etico dei componenti di questo comitato, affermando che molti di noi non hanno letto o approfondito i punti della denuncia oppure quando sostengono che non bisogna essere approssimativi o frettolosi: nessuno di noi vuole esserlo. Ma non si può accettare come ha fatto il mov. 5 stelle che si presentino elementi di sospetto in ordine a comportamenti del Presidente della Repubblica dicendo «non sappiamo, non capiamo e quindi indaghiamo» perché ai sensi dell'articolo 90 della COST. «Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione» e per iniziare una indagine occorre che ci siano gli elementi costitutivi soggettivi ed oggettivi di un reato.

Il primo punto del documento del mov. 5 stelle denuncia un abuso della decretazione di urgenza:

  Si lamenta l'espropriazione della funzione legislativa da parte del Governo attraverso l'abuso della decretazione d'urgenza, elemento che, ad avviso del movimento, avrebbe comportato una torsione presidenzialista della nostra forma di governo.
  Si tratta di una critica politica che non può attribuirsi al capo dello Stato. La decretazione di urgenza si è utilizzata nell'ultimo quarantennio e non si comprende in quale modo la lamentata modifica tacita della Costituzione potrebbe essere imputata al Capo dello Stato, il quale non ha poteri interdittivi in materia. Ai sensi dell'articolo 87 comma 4 il capo dello Stato autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del governo. Il rifiuto della decretazione costituirebbe in buona sostanza un abuso in senso presidenziale, che il documento del mov. 5 stelle, con molta confusione tende a denunciare.Pag. 37
  Ai sensi dell'articolo 77 della COST. I decreti-legge devono essere presentati lo stesso giorno alle camere per la loro conversione e ciò è sempre avvenuto, pertanto nessun attentato alla costituzione nel caso in esame si è verificato.

Punto 2 del documento:

  Si lamenta che il Capo dello Stato avrebbe incalzato e sollecitato il Parlamento all'approvazione di un disegno di legge costituzionale volto a derogare all'articolo 138 della COST.
  È evidente, anche in questo caso, come la critica politica, pienamente legittima, all'esercizio del potere di esternazione da parte del Presidente della Repubblica, si tramuti nel tentativo di dimostrazione di una responsabilità del reato di attentato alla Costituzione, del tutto inefficace. In realtà gli atti in questione rientrano pienamente nella responsabilità dell'indirizzo politico di maggioranza ed il Capo dello Stato non ha posto in essere nessun comportamento che configuri un attentato al dettato costituzionale.

Punto 3 del documento:

  Si lamenta che il Capo dello Stato non avrebbe esercitato il potere di rinvio ex articolo 74 Cost. prima di promulgare alcune leggi definite successivamente incostituzionali quali il lodo Alfano legge n. 124/2008 e il c.d legittimo impedimento legge n. 51/2010.
  Anche in questo capo di accusa il travisamento dell'istituto è totale: il potere di rinvio è una prerogativa discrezionale del Capo dello Stato e solo al suo apprezzamento ne è demandato l'utilizzo. Legare poi questa disposizione con la competenza della Corte costituzionale non ha alcun senso giuridico. La circostanza che alcune leggi, promulgate dal Presidente, siano dichiarate incostituzionali dalla Corte è un meccanismo perfettamente fisiologico nel nostro sistema, dove i compiti del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale, e i controlli da essi espletati, sono molto diversi. Inoltre, in nessun modo una dichiarazione di incostituzionalità può ridondare in responsabilità giuridica del Presidente. La contestazione politica del mancato intervento preventivo in sede di rinvio, non può essere sufficiente a fondare una responsabilità ex articolo 90 Cost. che richiede una tassatività della fattispecie penale e pertanto richiede la sussistenza di elementi soggettivi ed oggettivi, mancanti nel caso in esame.

Punto 4 del documento:

  Si lamenta che il Capo dello Stato accettando la rielezione, avrebbe violato i principi fondamentali della Costituzione.
  Nella Costituzione non è riportato alcun divieto di rielezione e di accettazione di un secondo incarico. Responsabile semmai sarebbe la stessa maggioranza del Parlamento in seduta comune che ha rieletto il Presidente, che dovrebbe ora metterlo in stato d'accusa. L'inammissibilità della richiesta è talmente evidente da non meritare ulteriori risorse argomentative.

Punto 5 del documento:

  Si lamenta un improprio uso del potere di grazia negli atti di clemenza posti in essere dal capo dello Stato in data 21 dicembre 2012 per il dott. Sallusti ed in data 5 aprile 2013 per il col. Romano.
  Ebbene, anche in questo caso la critica politica, molto generica, non è certo adeguata a fondare alcun giudizio di responsabilità ex articolo 90 Cost., essendo il potere di grazia, anche in virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 200/2006, un potere eminentemente ed esclusivamente presidenziale, il cui uso può essere contestato dal Ministro della giustizia in sede di conflitto di attribuzione.
  Durante la sua prima Presidenza dal 15 maggio 2006 al 22 aprile 2013, il Presidente Napolitano ha adottato 23 provvedimenti di clemenza individuale.Pag. 38
  Per tutti i provvedimenti, compresi quelli indicati nella denuncia del movimento 5 stelle sono state rispettate tutte le procedure.
  Nei procedimenti indicati vi era stato il parere favorevole del Ministro competente, pur ricordando che il capo dello Stato non è vincolato a tale parere.
  Inoltre ritengo opportuno sottolineare che non occorre un obbligo di motivazione da parte del Presidente della Repubblica nell'emettere il provvedimento di clemenza (articolo 87 COST.) e la sentenza della Corte costituzionale n. 200/2006 ha sancito la piena discrezionalità dei Presidente della Repubblica relativamente a tali atti.

Punto 6 del documento:

  Si lamentano invasioni da parte del Capo dello Stato in relazione all'autonomia e indipendenza della magistratura, concretatesi nel processo Stato-Mafia.
  Si fa riferimento alla vicenda conclusasi con il conflitto di attribuzione fra Quirinale e Procura di Palermo conclusosi con la «vittoria» del primo. È evidente anche in questo caso l'infondatezza dell'argomentazione: si vorrebbe incriminare il Presidente della Repubblica per atti che sono stati riconosciuti legittimi dalla stessa Corte costituzionale che dovrebbe giudicarlo colpevole di attentato alla Costituzione.
  In conclusione, ai sensi dell'articolo 8 comma 2 legge n. 219/89 chiedo che il comitato si esprima per la manifesta infondatezza della notizia di reato e venga emessa una ordinanza motivata di archiviazione perché mancano i presupposti soggettivi ed oggettivi per dare corso alla apertura di una indagine.

Pag. 39

ALLEGATO 3

Intervento depositato dal deputato Franco Vazio.

  Il Procedimento di messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, scaturito dalla denuncia presentata dal senatore Vincenzo Maurizio Santangelo e dal deputato Federico D'Incà, ed oggi all'esame del Comitato Parlamentare, merita una seria riflessione.
  Non volendomi attardare sul merito delle censure oggetto della denuncia presentata, in quanto esse appaiono ictu oculi infondate ed assolutamente inconsistenti, credo invece che si debba stigmatizzare, affinché resti agli atti, la strumentalità della denuncia e la gravità dei comportamenti ad essa relativi e conseguenti.
  Si tratta di una denuncia particolarmente significativa perché rafforzata sotto il profilo politico da un Movimento Politico, da un Gruppo Parlamentare costituito sia alla Camera che al Senato, che è dotato di una consistenza rilevante.
  L'articolo 90 della Costituzione rappresenta una norma di Alta Garanzia dove si afferma che il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni tranne che per ALTO TRADIMENTO o per ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE.
  Si tratta di due ipotesi – violazioni gravissime che mettono in pericolo lo Stato e la sua Costituzione.
  Due ipotesi-violazioni che minano le fondamenta delle regole democratiche e repubblicane del nostro Paese e che travalicano le ragioni del nostro vivere insieme, perché estendono ed affondano i loro effetti anche oltre i nostri confini.
  Se così è, risulta evidente come l'articolo 90 della Costituzione rappresenti un limite invalicabile ed allo stesso tempo uno strumento di eccezionale importanza a cui riservare un'eccezionale attenzione nel suo utilizzo.
  Ebbene nel nostro caso l'nconsistenza del merito della denuncia si ricollega inevitabilmente ad un utilizzo dell'articolo 90 della Costituzione deviato e diretto surrettiziamente solo ad instaurare un dibattito politico tendente alla delegittimazione delle istituzioni.
  Chiedere l'applicazione del suddetto articolo 90 con superficialità denota uno scarsissimo rispetto per la Carta Costituzionale e per le garanzie dalla stessa approntate, una preoccupante indifferenza per la dignità delle Istituzioni e la consapevole accettazione della perdita di autorevolezza delle Istituzioni stesse del nostro Paese di fronte agli Stati Esteri.
  Norme di tale rilevanza istituzionale devono essere utilizzate solo in caso di effettiva necessità e non come avviene nel nostro caso assunte per fomentare surrettiziamente una discussione politica che invece dovrebbe essere sostenuta in altre sedi e con altri strumenti.
  Il problema non è tanto e non solo quello di sbagliare strada, ma invece quello, decisamente più grave, di speculare sulle istituzioni e con le norme poste a garanzie delle stesse.
  I nostri Padri Costituenti pensarono a norme vincolanti e solenni e le posero a garanzia della nostra Carta Costituzionale.
  Le discussioni, i dibattiti e anche le polemiche tra i partiti e nei partiti devono trovare la loro sede naturale nella sede istituzionale della politica.
  Mai può accadere che tali discussioni, dibattiti e polemiche trovino ragione, terreno o amplificazione in procedimenti solenni, come la messa in stato d'accusa, pensati e consacrati per la tutela dello Stato e della sua Costituzione.
  Comportarsi diversamente, sostenere processi e discussioni politiche deviate, per strumenti utilizzati e per fini perseguiti, Pag. 40costituisce nei fatti una ferita gravissima all'integrità delle garanzie costituzionali.
  Ai cittadini compete un giudizio sulle azioni compiute dagli uomini e dai partiti politici, a noi componenti del Comitato Parlamentare si impone l'obbligo etico e giuridico di procedere immediatamente all'archiviazione della presente denuncia nei confronti del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella speranza anche di porre rimedio ad un grave vulnus subito dalla nostra Costituzione.