CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 14 gennaio 2014
156.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (VIII e X)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

7-00023 Benamati: Completamento della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e del processo di smantellamento degli impianti nucleari.

NUOVA FORMULAZIONE DELLA RISOLUZIONE

  Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    la normativa italiana definisce rifiuto radioattivo un qualsiasi materiale in forma solida, liquida o gassosa, per il quale non è previsto alcun ulteriore utilizzo e che contiene radioattività a valori superiori ai livelli di esenzione. Per la maggior parte dei materiali, il livello di esenzione è posto a 1 Bq/g, ma nel caso di materiali con emissione di radiazioni alfa, maggiormente pericolose per l'uomo e l'ambiente, tale livello può essere sensibilmente ridotto (0,1 Bq/g o inferiore);
    i rifiuti radioattivi, per il loro successivo trattamento e smaltimento sono classificati in funzione del contenuto di radioattività (da cui discende il necessario grado di isolamento dalla biosfera, quindi la tipologia e il numero di barriere di contenimento da interporre tra rifiuto ed ambiente) e del tempo di decadimento, che determina il periodo di isolamento del rifiuto dalla biosfera, affinché, attraverso il decadimento, perda il suo carico radioattivo;
    la normativa italiana, in coerenza con quella internazionale, ai fini dello smaltimento, classifica i rifiuti radioattivi in:
     a) Ia categoria – i rifiuti che decadono in mesi o al massimo qualche anno. Per questi è sufficiente la conservazione in sicurezza, affinché dopo il decadimento, possano essere smaltiti come rifiuti speciali nel rispetto della normativa in materia di tutela ambientale. La loro origine è riferibile alla produzione di energia nucleare, ma soprattutto al settore della ricerca e medico-sanitario, dove si usa la radioattività nella diagnostica e terapia medica (cura del cancro);
     b) IIa categoria – i rifiuti che hanno un contenuto di radioattività che raggiungerà valori dell'ordine delle centinaia di Bq/g entro qualche centinaio di anni, oppure contengono radionuclidi a vita molto lunga ma in concentrazione di tale ordine. Per questa categoria sono previsti interventi di trattamento e condizionamento, ovvero una serie di processi atti a convertire il rifiuto in una forma solida, stabile e duratura, tipicamente monoliti di cemento con determinate e qualificate caratteristiche, che ne permetta la manipolazione, lo stoccaggio, il trasporto e lo smaltimento, con garanzia di confinamento della radioattività in qualunque condizione. La loro provenienza è riferibile alle centrali nucleari, agli impianti del ciclo del combustibile, ma anche ad installazioni industriali, di ricerca e mediche ed alle sorgenti radioattive dismesse, usate in questi settori;
     c) IIIa categoria – i rifiuti che richiedono migliaia di anni (e più) per raggiungere concentrazioni di radioattività dell'ordine delle centinaia di Bq/g. Rientrano in questa categoria i rifiuti che contengono prodotti di fissione ed elementi transuranici (emettitori di radiazioni alfa e di neutroni) prodotti nei reattori di potenza. Anche il settore industriale, medico e della ricerca apporta un lievissimo contributo con le grandi sorgenti dismesse. I rifiuti di IIIa categoria, Pag. 12per l'isolamento dalla biosfera richiedono processi di condizionamento (trasformazione in monoliti di vetro o cemento) o, nel caso del combustibile esausto, d'incapsulamento in contenitori ad alta integrità;
    la generazione di energia elettrica da un reattore nucleare di media taglia (1.000 megawatt elettrici) produce all'anno circa 300 metri cubi di rifiuti di Ia e IIa categoria e circa 30 tonnellate di combustibile esausto. In Italia sono presenti, quindi, i rifiuti radioattivi proventi sia dall'esercizio delle centrali nucleari operative fra gli anni sessanta ed ottanta sia dalle attività di smantellamento (decommissioning) di quegli stessi impianti. Inoltre i comparti nazionali dell'industria, della ricerca e medico-ospedaliero contribuiscono con quantità significative, alcune centinaia di metri cubi l'anno, a questo inventario;
    i rifiuti radioattivi prodotti in Italia e stoccati sugli impianti o nei depositi temporanei in attesa di essere smaltiti (in una ventina di siti in circa 10 regioni, di cui buona parte gestiti da soggetti pubblici), secondo l'inventario dell'autorità nazionale di controllo ammontano a circa 30 mila metri cubi, ai quali andrà a sommarsi nei prossimi 20 anni un quantitativo analogo o lievemente superiore, proveniente prevalentemente dal programma di smantellamento delle vecchie centrali ed impianti del ciclo del combustibile;
    tali rifiuti sono per la maggior parte di IIa categoria e si pone con urgenza il problema del loro smaltimento definitivo, anche per completare il programma di decommissioning delle centrali chiuse a seguito del referendum del 1987;
    per i rifiuti di IIa categoria, che per decadere necessitano di alcuni secoli, normalmente si adotta lo smaltimento in depositi superficiali, composto da sole barriere ingegneristiche sovrapposte;
    i rifiuti di IIIa categoria ammontano, tra quelli già prodotti e quelli di cui è previsto il rientro dall'estero, a circa 10.000 metri cubi. Per tali rifiuti c’è l'urgenza di immagazzinarli in un deposito centralizzato a lungo termine, mentre si pone il tema delle decisioni sulle disposizioni finali da adottare;
    per tali rifiuti è fondamentale affidarsi non solo alle barriere ingegneristiche, la cui funzionalità non può essere garantita per periodi molto lunghi, ma a barriere geologiche di provata stabilità. In questo caso lo smaltimento avviene in formazioni geologiche, argillose, saline o granitiche, che sono quelle più adatte al contenimento della radioattività;
    per i rifiuti originati dall'industria, dalle attività sanitarie e dalla ricerca industriale l'Enea ha messo a disposizione del Paese un «servizio integrato», prendendo in carico i rifiuti raccolti a livello nazionale da operatori qualificati da Enea stesso, trattati, condizionati ed immagazzinati presso la società partecipata Nucleco Spa, in attesa di essere smaltiti. Tali rifiuti ammontano ad oggi a circa 4.500 metri cubi;
    la Sogin Spa è, invece, incaricata, oltre di portare a termine il piano di smantellamento degli impianti nucleari obsoleti e fuori servizio, di progettare e realizzare un deposito nazionale superficiale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi di IIa categoria e realizzare un deposito temporaneo a lungo termine per quelli di terza categoria;
    il deposito, secondo le indicazioni previste nella legge n. 99 del 2009 e nel decreto legislativo n. 31 del 2010, dovrà essere corredato da un parco tecnologico;
    sempre il decreto legislativo n. 31 del 2010, prevede che il parco tecnologico sia dotato di strutture comuni per i servizi e per le funzioni necessarie alla gestione di un sistema integrato di attività operative, di ricerca scientifica e di sviluppo tecnologico, di infrastrutture tecnologiche per lo svolgimento di attività connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile irraggiato, tra cui la caratterizzazione, il trattamento, il condizionamento e lo stoccaggio, nonché lo svolgimento di Pag. 13tutte le attività di ricerca, di formazione e di sviluppo tecnologico connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi. Come già ricordato, Sogin è incaricata di realizzare il parco tecnologico ed in particolare anche il deposito nazionale e le strutture tecnologiche di supporto;
    nell'ambito della legge n. 99 del 2009, è stata istituita l'Agenzia per la sicurezza nucleare la quale ai sensi di quanto previsto del decreto legislativo n. 31 del 2010, come modificato dal decreto legislativo n. 41 del 2011, fungeva da soggetto attuatore e di controllo sia per la realizzazione di nuovi impianti (incluso il parco tecnologico) sia per le attività di decommissioning;
    in termini di gestione di rifiuti, a seguito del referendum popolare di giugno 2011, i compiti dell'Agenzia sono risultati circoscritti alle attività di sistemazione «definitiva» di quanto già esistente. Una più chiara definizione dei compiti dell'Agenzia, in questo senso, era avvenuta con il decreto legislativo n. 185 del 2011, di recepimento della direttiva 2009/71/EURATOM costituendo per la prima volta, dopo molti anni, un riferimento unitario e certo per questo settore;
    l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, dispone la soppressione dell'Agenzia per la sicurezza nucleare assegnando alcune funzioni autorizzative ai Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di fatto determinando la necessità di un riordino funzionale del settore;
    per quanto attiene alle metodologie alternative di trattamento delle scorie nucleari ad alta attività ed a lunga vita, tipiche della filiera nucleare, una maggiore riduzione di queste potrebbe essere perseguita mediante trattamenti con i sistemi nucleari sottocritici guidati da acceleratori (ADS – accelerator driven system) che sono attualmente in fase di sviluppo a livello europeo e mondiale;
    gli accelerator driven system, essendo reattori sottocritici con sorgente di neutroni esterna, possono essere sfruttati più efficacemente per la trasmutazione degli attinidi, che sono gli elementi maggiormente responsabili per la lunghissima durata e della radiotossicità di questi materiali. Con tali sistemi, quindi, il combustibile nucleare esausto può essere trasmutato con la quasi esclusiva produzione di prodotti di fissione a breve vita, smaltibili in depositi superficiali;
    l'Italia possiede un consistente patrimonio di conoscenze e competenze immediatamente fruibili, infrastrutture e laboratori di prova all'avanguardia pubblici e privati, per lo sviluppo del reattore veloce di quarta generazione raffreddato al piombo, sia per lo sviluppo dei sistemi ADS (accelerator driven system) raffreddati con piombo liquido. L'insieme di tali progetti, oltre a quelli maggiormente mirati all'aumento della sicurezza operativa nella gestione dei materiali e dei rifiuti radioattivi, potrebbe proficuamente essere sviluppato in futuro;
    il Paese è quindi impegnato, da diversi anni e mediante diversi attori (Enea, Ansaldo e altro), ad operare su una consistente quantità di rifiuti radioattivi provenienti sia da varie attività economiche e sociali quanto dai vecchi reattori nucleari che hanno operato nel territorio nazionale;
    la modifica delle normative di riferimento operata nel corso della precedente legislatura a partire dalla cosiddetta «legge sviluppo», n. 99 del 2009 e proseguita con diversi decreti legislativi ed in ultimo con il decreto-legge n. 201 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha creato un quadro nuovo e, per certi aspetti, complesso nel settore della gestione dei materiali radioattivi;
    tale situazione è comunque passibile di ulteriori modifiche dalla direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio europeo del 19 luglio 2011, che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e Pag. 14sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi, che dovrà essere recepita nella legislazione italiana entro il 23 agosto 2013;
    tale direttiva prevede, tra l'altro, che gli Stati membri istituiscono e mantengono un quadro legislativo, regolamentare e organizzativo nazionale («quadro nazionale») per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi che attribuisce la responsabilità e prevede il coordinamento tra gli organismi statali competenti;
    il quadro nazionale, che deve essere trasmesso alla Commissione al più presto e comunque non oltre il 23 agosto 2015, deve comprendere tutti gli elementi riguardanti il programma nazionale per l'attuazione della politica di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, il regime nazionale per la sicurezza, la suddivisione delle responsabilità tra gli organismi coinvolti nelle diverse fasi di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, i requisiti nazionali per l'informazione e la partecipazione del pubblico ed il regime di finanziamento;
    esistono diversi luoghi e situazioni nel Paese in cui stoccaggi temporanei di rifiuti radioattivi (in specie ove caratterizzati da elevata radiotossicità) potrebbero destare preoccupazioni relativamente agli effetti sulla pubblica salute di eventuali danni conseguenti ad eventi calamitosi in condizioni particolarmente avverse,

impegnano il Governo a:

   recepire con completezza la direttiva 2011/70/EURATOM che fra l'altro prevede l'istituzione di un organismo di regolazione che deve rispondere pienamente ai requisiti, fra cui quello di autonomia, riportati all'articolo 6, commi 1 e 2 della direttiva stessa;
   dotare l'organizzazione di cui al capoverso precedente delle necessarie risorse umane e finanziarie per l'espletazione del suo compito;
   promuovere la realizzazione del deposito nazionale per la messa in sicurezza di tutti i rifiuti radioattivi approntando e rendendo pubblici celermente i criteri per la localizzazione del sito;
   porre in atto ogni azione di propria competenza per il completamento, in tempi rapidi e certi, del processo di smantellamento degli impianti nucleari che hanno operato nel paese;
   promuovere per quanto di competenza, nel quadro delle della disciplina legislativa di settore vigente, opportune modalità di collaborazione fra Sogin ed il sistema industriale nazionale di settore, al fine di aumentarne la competitività nel futuro mercato mondiale che si va aprendo in tale ambito;
   sostenere attività di ricerca su forme avanzate di trattamento di trasformazione dei rifiuti radioattivi (ad esempio sistemi sottocritici sostenuti da acceleratore) tesi a limitarne la radiotossicità nel tempo alleggerendo quindi le problematiche connesse al deposito.
(7-00023)
«Benamati, Borghi, Mariani, Bobba».

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ALLEGATO 2

7-00023 Benamati: Completamento della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e del processo di smantellamento degli impianti nucleari.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLE COMMISSIONI (8-00032)

  Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    la normativa italiana definisce rifiuto radioattivo un qualsiasi materiale in forma solida, liquida o gassosa, per il quale non è previsto alcun ulteriore utilizzo e che contiene radioattività a valori superiori ai livelli di esenzione. Per la maggior parte dei materiali, il livello di esenzione è posto a 1 Bq/g, ma nel caso di materiali con emissione di radiazioni alfa, maggiormente pericolose per l'uomo e l'ambiente, tale livello può essere sensibilmente ridotto (0,1 Bq/g o inferiore);
    i rifiuti radioattivi, per il loro successivo trattamento e smaltimento sono classificati in funzione del contenuto di radioattività (da cui discende il necessario grado di isolamento dalla biosfera, quindi la tipologia e il numero di barriere di contenimento da interporre tra rifiuto ed ambiente) e del tempo di decadimento, che determina il periodo di isolamento del rifiuto dalla biosfera, affinché, attraverso il decadimento, perda il suo carico radioattivo;
    la normativa italiana, in coerenza con quella internazionale, ai fini dello smaltimento, classifica i rifiuti radioattivi in:
     a) Ia categoria – i rifiuti che decadono in mesi o al massimo qualche anno. Per questi è sufficiente la conservazione in sicurezza, affinché dopo il decadimento, possano essere smaltiti come rifiuti speciali nel rispetto della normativa in materia di tutela ambientale. La loro origine è riferibile alla produzione di energia nucleare, ma soprattutto al settore della ricerca e medico-sanitario, dove si usa la radioattività nella diagnostica e terapia medica (cura del cancro);
     b) IIa categoria – i rifiuti che hanno un contenuto di radioattività che raggiungerà valori dell'ordine delle centinaia di Bq/g entro qualche centinaio di anni, oppure contengono radionuclidi a vita molto lunga ma in concentrazione di tale ordine. Per questa categoria sono previsti interventi di trattamento e condizionamento, ovvero una serie di processi atti a convertire il rifiuto in una forma solida, stabile e duratura, tipicamente monoliti di cemento con determinate e qualificate caratteristiche, che ne permetta la manipolazione, lo stoccaggio, il trasporto e lo smaltimento, con garanzia di confinamento della radioattività in qualunque condizione. La loro provenienza è riferibile alle centrali nucleari, agli impianti del ciclo del combustibile, ma anche ad installazioni industriali, di ricerca e mediche ed alle sorgenti radioattive dismesse, usate in questi settori;
     c) IIIa categoria – i rifiuti che richiedono migliaia di anni (e più) per raggiungere concentrazioni di radioattività dell'ordine delle centinaia di Bq/g. Rientrano in questa categoria i rifiuti che contengono prodotti di fissione ed elementi transuranici (emettitori di radiazioni alfa e di neutroni) prodotti nei reattori di potenza. Anche il settore industriale, medico e della ricerca apporta un lievissimo contributo con le grandi sorgenti dismesse. I rifiuti di IIIa categoria, Pag. 16per l'isolamento dalla biosfera richiedono processi di condizionamento (trasformazione in monoliti di vetro o cemento) o, nel caso del combustibile esausto, d'incapsulamento in contenitori ad alta integrità;
    la generazione di energia elettrica da un reattore nucleare di media taglia (1.000 megawatt elettrici) produce all'anno circa 300 metri cubi di rifiuti di Ia e IIa categoria e circa 30 tonnellate di combustibile esausto. In Italia sono presenti, quindi, i rifiuti radioattivi proventi sia dall'esercizio delle centrali nucleari operative fra gli anni sessanta ed ottanta sia dalle attività di smantellamento (decommissioning) di quegli stessi impianti. Inoltre i comparti nazionali dell'industria, della ricerca e medico-ospedaliero contribuiscono con quantità significative, alcune centinaia di metri cubi l'anno, a questo inventario;
    i rifiuti radioattivi prodotti in Italia e stoccati sugli impianti o nei depositi temporanei in attesa di essere smaltiti (in una ventina di siti in circa 10 regioni, di cui buona parte gestiti da soggetti pubblici), secondo l'inventario dell'autorità nazionale di controllo ammontano a circa 30 mila metri cubi, ai quali andrà a sommarsi nei prossimi 20 anni un quantitativo analogo o lievemente superiore, proveniente prevalentemente dal programma di smantellamento delle vecchie centrali ed impianti del ciclo del combustibile;
    tali rifiuti sono per la maggior parte di IIa categoria e si pone con urgenza il problema del loro smaltimento definitivo, anche per completare il programma di decommissioning delle centrali chiuse a seguito del referendum del 1987;
    per i rifiuti di IIa categoria, che per decadere necessitano di alcuni secoli, normalmente si adotta lo smaltimento in depositi superficiali, composto da sole barriere ingegneristiche sovrapposte;
    i rifiuti di IIIa categoria ammontano, tra quelli già prodotti e quelli di cui è previsto il rientro dall'estero, a circa 10.000 metri cubi. Per tali rifiuti c’è l'urgenza di immagazzinarli in un deposito centralizzato a lungo termine, mentre si pone il tema delle decisioni sulle disposizioni finali da adottare;
    per tali rifiuti è fondamentale affidarsi non solo alle barriere ingegneristiche, la cui funzionalità non può essere garantita per periodi molto lunghi, ma a barriere geologiche di provata stabilità. In questo caso lo smaltimento avviene in formazioni geologiche, argillose, saline o granitiche, che sono quelle più adatte al contenimento della radioattività;
    per i rifiuti originati dall'industria, dalle attività sanitarie e dalla ricerca industriale l'Enea ha messo a disposizione del Paese un «servizio integrato», prendendo in carico i rifiuti raccolti a livello nazionale da operatori qualificati da Enea stesso, trattati, condizionati ed immagazzinati presso la società partecipata Nucleco Spa, in attesa di essere smaltiti. Tali rifiuti ammontano ad oggi a circa 4.500 metri cubi;
    la Sogin Spa è, invece, incaricata, oltre di portare a termine il piano di smantellamento degli impianti nucleari obsoleti e fuori servizio, di progettare e realizzare un deposito nazionale superficiale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi di IIa categoria e realizzare un deposito temporaneo a lungo termine per quelli di terza categoria;
    il deposito, secondo le indicazioni previste nella legge n. 99 del 2009 e nel decreto legislativo n. 31 del 2010, dovrà essere corredato da un parco tecnologico;
    sempre il decreto legislativo n. 31 del 2010, prevede che il parco tecnologico sia dotato di strutture comuni per i servizi e per le funzioni necessarie alla gestione di un sistema integrato di attività operative, di ricerca scientifica e di sviluppo tecnologico, di infrastrutture tecnologiche per lo svolgimento di attività connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile irraggiato, tra cui la caratterizzazione, il trattamento, il condizionamento e lo stoccaggio, nonché lo svolgimento di Pag. 17tutte le attività di ricerca, di formazione e di sviluppo tecnologico connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi. Come già ricordato, Sogin è incaricata di realizzare il parco tecnologico ed in particolare anche il deposito nazionale e le strutture tecnologiche di supporto;
    nell'ambito della legge n. 99 del 2009, è stata istituita l'Agenzia per la sicurezza nucleare la quale ai sensi di quanto previsto del decreto legislativo n. 31 del 2010, come modificato dal decreto legislativo n. 41 del 2011, fungeva da soggetto attuatore e di controllo sia per la realizzazione di nuovi impianti (incluso il parco tecnologico) sia per le attività di decommissioning;
    in termini di gestione di rifiuti, a seguito del referendum popolare di giugno 2011, i compiti dell'Agenzia sono risultati circoscritti alle attività di sistemazione «definitiva» di quanto già esistente. Una più chiara definizione dei compiti dell'Agenzia, in questo senso, era avvenuta con il decreto legislativo n. 185 del 2011, di recepimento della direttiva 2009/71/EURATOM costituendo per la prima volta, dopo molti anni, un riferimento unitario e certo per questo settore;
    l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, dispone la soppressione dell'Agenzia per la sicurezza nucleare assegnando alcune funzioni autorizzative ai Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di fatto determinando la necessità di un riordino funzionale del settore;
    per quanto attiene alle metodologie alternative di trattamento delle scorie nucleari ad alta attività ed a lunga vita, tipiche della filiera nucleare, una maggiore riduzione di queste potrebbe essere perseguita mediante trattamenti con i sistemi nucleari sottocritici guidati da acceleratori (ADS – accelerator driven system) che sono attualmente in fase di sviluppo a livello europeo e mondiale;
    gli accelerator driven system, essendo reattori sottocritici con sorgente di neutroni esterna, possono essere sfruttati più efficacemente per la trasmutazione degli attinidi, che sono gli elementi maggiormente responsabili per la lunghissima durata e della radiotossicità di questi materiali. Con tali sistemi, quindi, il combustibile nucleare esausto può essere trasmutato con la quasi esclusiva produzione di prodotti di fissione a breve vita, smaltibili in depositi superficiali;
    l'Italia possiede un consistente patrimonio di conoscenze e competenze immediatamente fruibili, infrastrutture e laboratori di prova all'avanguardia pubblici e privati, per lo sviluppo del reattore veloce di quarta generazione raffreddato al piombo, sia per lo sviluppo dei sistemi ADS (accelerator driven system) raffreddati con piombo liquido. L'insieme di tali progetti, oltre a quelli maggiormente mirati all'aumento della sicurezza operativa nella gestione dei materiali e dei rifiuti radioattivi, potrebbe proficuamente essere sviluppato in futuro;
    il Paese è quindi impegnato, da diversi anni e mediante diversi attori (Enea, Ansaldo e altro), ad operare su una consistente quantità di rifiuti radioattivi provenienti sia da varie attività economiche e sociali quanto dai vecchi reattori nucleari che hanno operato nel territorio nazionale;
    la modifica delle normative di riferimento operata nel corso della precedente legislatura a partire dalla cosiddetta «legge sviluppo», n. 99 del 2009 e proseguita con diversi decreti legislativi ed in ultimo con il decreto-legge n. 201 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha creato un quadro nuovo e, per certi aspetti, complesso nel settore della gestione dei materiali radioattivi;
    tale situazione è comunque passibile di ulteriori modifiche dalla direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio europeo del 19 luglio 2011, che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e Pag. 18sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi, che dovrà essere recepita nella legislazione italiana entro il 23 agosto 2013;
    tale direttiva prevede, tra l'altro, che gli Stati membri istituiscono e mantengono un quadro legislativo, regolamentare e organizzativo nazionale («quadro nazionale») per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi che attribuisce la responsabilità e prevede il coordinamento tra gli organismi statali competenti;
    il quadro nazionale, che deve essere trasmesso alla Commissione al più presto e comunque non oltre il 23 agosto 2015, deve comprendere tutti gli elementi riguardanti il programma nazionale per l'attuazione della politica di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, il regime nazionale per la sicurezza, la suddivisione delle responsabilità tra gli organismi coinvolti nelle diverse fasi di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, i requisiti nazionali per l'informazione e la partecipazione del pubblico ed il regime di finanziamento;
    esistono diversi luoghi e situazioni nel Paese in cui stoccaggi temporanei di rifiuti radioattivi (in specie ove caratterizzati da elevata radiotossicità) potrebbero destare preoccupazioni relativamente agli effetti sulla pubblica salute di eventuali danni conseguenti ad eventi calamitosi in condizioni particolarmente avverse,

impegnano il Governo a:

   recepire con completezza la direttiva 2011/70/EURATOM che fra l'altro prevede l'istituzione di un organismo di regolazione che deve rispondere pienamente ai requisiti, fra cui quello di autonomia, riportati all’ articolo 6, commi 1 e 2, della direttiva stessa;
   dotare l'organizzazione di cui al capoverso precedente delle necessarie risorse umane e finanziarie per l’ espletazione del suo compito;
   promuovere la realizzazione del deposito nazionale per la messa in sicurezza di tutti i rifiuti radioattivi approntando e rendendo pubblici celermente i criteri per la localizzazione del sito;
   porre in atto ogni azione di propria competenza per il completamento, in tempi rapidi e certi, del processo di smantellamento degli impianti nucleari che hanno operato nel paese;
   promuovere per quanto di competenza, nel quadro delle della disciplina legislativa di settore vigente e nel rispetto della diversità dei ruoli tra Sogin e le imprese di settore, opportune modalità di collaborazione fra Sogin ed il sistema industriale nazionale di settore, al fine di aumentarne la competitività nel futuro mercato mondiale che si va aprendo in tale ambito;
   sostenere, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, attività di ricerca internazionale su forme avanzate di trattamento di trasformazione dei rifiuti radioattivi (ad esempio sistemi sottocritici sostenuti da acceleratore) tesi a limitarne la radiotossicità nel tempo alleggerendo quindi le problematiche connesse al deposito.
(8-00032) «Benamati, Borghi, Mariani, Bobba».

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ALLEGATO 3

7-00084 Terzoni: Iniziative del Governo nazionale per la verifica dei procedimenti autorizzatori regionali relativi alla realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

NUOVA FORMULAZIONE DELLA RISOLUZIONE

  Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    i contenuti della Direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili sono stati disattesi nell'atto di recepimento da parte dello Stato italiano ma soprattutto nella stesura delle leggi regionali che hanno il compito di regolamentare la materia in tema di iter autorizzativi. Sono stati infatti molteplici i pronunciamenti della Corte costituzionale con i quali queste sono state contestate in toto o parzialmente su aspetti fondamentali;
    detti pronunciamenti però sono spesso arrivati in maniera tardiva e sono intervenuti quando molte autorizzazioni erano state già concesse o addirittura, le centrali già costruite ed entrate in funzione. Da un'attenta analisi di tali pronunciamenti si evince che le omissioni hanno riguardato soprattutto:
    gli aspetti legati alla comunicazione e alla informazione dei cittadini, come invece previsto dall'articolo 14 comma 6 della direttiva europea e come stabilito dalla Convenzione di Aarhus approvata con la decisione 2005/370/CE (sentenza n. 93 del 2013, regione Marche);
    la necessità di individuare correttamente nell'ambito del territorio regionale le aree non idonee all'installazione di centrali biogas e/o biomasse secondo quanto dettato dall'articolo 16 punto 4, del decreto ministeriale con il quale sono state dettate le linee guida per le autorizzazioni degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, o l'esistenza di particolari condizioni di inquinamento da altre fonti (sentenza n. 85 del 2012, regione Veneto);
    norme di semplificazione delle autorizzazioni che hanno escluso alcuni progetti ai procedimenti di VIA che in base alla Direttiva europea 2011/92/UE dovrebbero invece riguardare tutti gli impianti di qualsiasi tipo e potenza (sentenza n. 93 del 2013 regione-Puglia);
    le inadempienze da parte delle regioni hanno portato ad esempio alla realizzazione di centrali in comuni già sottoposti a procedura di infrazione da parte dell'Europa per superamento del limite imposto delle concentrazione delle PM 10 per più di 35 giorni l'anno. Una situazione paradossale che non viene sanata nemmeno quando, in conseguenza dei pareri della Corte, le regioni si vedono costrette a formulare delle modifiche alle proprie leggi. Tutto questo naturalmente a discapito dei cittadini che si ritrovano a dover convivere con le centrali e con la consapevolezza di aver subito un danno ingiusto rafforzata dall'ufficialità dei pareri espressi. Un danno che risulta essere sia di tipo sanitario che di tipo patrimoniale visto che inevitabilmente gli immobili localizzati nei pressi delle nuove centrali subiscono una diminuzione del loro valore e che le produzioni agricole, condotte magari con metodi biologici, realizzate in un raggio di diversi chilometri possono perdere le certificazioni di qualità conquistate con anni di lavoro e impegno;Pag. 20
    segnaliamo che nella regione Umbria è tuttora vigente una legge che regolamenta gli iter autorizzativi per la realizzazione di impianti destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili che presenta le stesse criticità rilevate dalla Corte costituzionale negli aspetti legati alla comunicazione e alla informazione dei cittadini;
    la costruzione di questo tipo di centrali, in maniera particolare nel caso di potenze pari o superiori a 1 MW, non rappresentano affatto un'opportunità per le attività agricole del territorio ma anzi ne possono determinare un impoverimento devastante. Pensiamo soprattutto all'alterazione del mercato dell'affitto dei terreni che vedono triplicare il loro canone a discapito delle aziende, soprattutto a vocazione zootecnica, che non riescono ad essere più concorrenziali perdendo così la disponibilità dei terreni stessi;
    non esiste un controllo sulla provenienza dei materiali utilizzati per la produzione di energia e non sono previsti studi preliminari per determinare il livello di approvvigionamento possibile nell'area interessata dall'insediamento delle centrali. Di conseguenza nella quasi totalità dei casi si assiste al prelievo degli stessi in stazioni distanti dal centro di produzione di energia determinando un valore negativo nel bilancio delle emissioni di CO2 andando in contrasto con quanto previsto dalla Direttiva 28/2009/CE nella quale si indica in maniera molto esplicita che anche in progetti di questo tipo uno degli obiettivi principali da raggiungere è la riduzione dell'emissione di gas clima-alteranti e a quanto enunciato nel COM 10 Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo dove è stato affermato con chiarezza che bisogna tenere in forte considerazione il bilancio totale delle emissioni compresa la produzione di CO2 nell'atto di trasportare il materiale per l'alimentazione delle centrali;
    in molti casi mancano le indicazioni per regolamentare le modalità di smaltimento e gestione del così detto digestato ossia del materiale che resta dopo la fermentazione anaerobica che avviene all'interno delle centrali. Questo infatti contiene una altissima concentrazione di nitrati e a fronte di una produzione di circa 15 mila tonnellate all'anno può essere utilizzato come ammendante solo in quantità limitate per non rischiare di ottenere l'effetto contrario ossia di rendere sterili i terreni;
    non ultimo si segnala il problema dell'emissione in atmosfera di circa 10 tonnellate annue di ossidi di azoto (NOx) in atmosfera per impianto a biogas da 1 MW di energia di picco (30 tonnellate di NOx per analogo impianto a biomasse legnose), emissioni importanti di ossidi di zolfo (SOx) e altri gas con i noti effetti sull'incremento del particolato secondario (PM2.5 in particolare);
    l'articolo 117 della Costituzione recita che «lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali». Mentre nell'articolo 120 si legge che «Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica»,

impegna il Governo:

   anche al fine di prevenire e/o deflazionare il cospicuo contenzioso giudiziario amministrativo insistente in tema di impianti a biomassa, ad acquisire elementi sull'attività autorizzativa esperita dalle regioni nei confronti di impianti che producono energia da fonti rinnovabili quali biogas, biomassa ed eolico, in osservanza del principio contenuto nel Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 10 settembre 2010 «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili» che espressamente richiede allo Stato (così come alle regioni e agli enti locali) di aggiornare le richiamate Pag. 21linee guida anche sulla scorta dei risultati del monitoraggio sulla loro concreta applicazione e che tale azione concorra prioritariamente alla mitigazione degli impatti degli impianti sull'ambiente;
   a valle dell'attività ricognitiva di cui sopra, ad esercitare, l'eventuale potere sostitutivo di cui all'articolo 120, comma 2o della Costituzione che consente al Governo di sostituirsi alle regioni e agli altri enti locali, ogniqualvolta si rilevi il rischio di violazioni della normativa comunitaria o un pericolo grave per la sicurezza o l'incolumità pubblica, con particolare riferimento alla verifica di assoggettabilità alla Via degli impianti in questione;
   a definire i rischi microbiologici del digestato, i rischi di compromissione della qualità dei prodotti alimentari, e quindi, anche in base a queste risultanze, ad intervenire con le opportune iniziative normative ed amministrative, affinché siano emanate delle linee per dettare il corretto uso e smaltimento del digestato prodotto dalle centrali biogas, come risultato della fermentazione anaerobica che avviene all'interno dei digestori, tenendo conto inoltre dell'incremento esponenziale delle centrali e dei relativi reflui con ipotizzati rischi per la qualità dei terreni agricoli e le acque di falda oltre ai numerosi incidenti che hanno determinato nel nostro Paese sversamento di digestato in mare e in corsi d'acqua;
   a valutare la possibilità di rivedere l'inserimento di questa sostanza tra quelle autorizzate nell'ambito dell'agricoltura biologica, come richiesto dalle associazioni che riuniscono le aziende agricole, appunto, biologiche;
   a richiamare l'attenzione in sede europea, nella discussione relativa agli «End-of-waste criteria for Biodegradable waste» da adottarsi ai sensi della Direttiva 2008/98/CE, circa i rischi legati ad un utilizzo diretto, senza previ trattamenti aerobici, del digestato in tutte le sue forme, e sostenere quindi la necessaria qualificazione del digestato stesso come rifiuto.