CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 23 ottobre 2013
109.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (VIII e X)
ALLEGATO

ALLEGATO

7-00034 Mariastella Bianchi: Sospensione delle autorizzazioni per nuove attività di prospezione e coltivazione di giacimenti petroliferi e modifica della normativa sulla materia

NOTA DEL SOTTOSEGRETARIO SIMONA VICARI

  Signor Presidente, rivolgo innanzitutto il mio saluto a Lei e agli Onorevoli membri di quest'Aula e ringrazio l'On. Maria Stella Bianchi per la Sua proposta di risoluzione, che ho cercato di esaminare con la doverosa perizia.
  La tematica, di estrema attualità, è stata recentemente trattata anche dal Ministro Flavio Zanonato, in occasione della sua audizione alla XIII Commissione Ambiente del Senato sulle problematiche ambientali connesse alla prospezione, ricerca, coltivazione ed estrazione di idrocarburi liquidi in mare.
  L'interpellanza in questione, in particolare, tratta di argomenti strettamente connessi con i temi di politica energetica, sui quali questo Governo ha più volte rimarcato l'esigenza e l'opportunità di assicurare la continuità di azione con il precedente esecutivo, ritenendo valide le linee strategiche definite nel documento finale della Strategia Energetica Nazionale (SEN).
  Val la pena di ricordare che la SEN, di cui al Decreto Interministeriale dell'8 marzo 2013, è stata approvata dal Ministro dello sviluppo economico e dal Ministro dell'ambiente grazie a un procedimento partecipativo che ha coinvolto tutti gli attori interessati, amministrazioni centrali e territoriali, la Conferenza Stato-Regioni, le Commissioni parlamentari competenti, gli stakeholder, gli operatori del settore e le associazioni portatrici di interessi diffusi.
  Tale documento si colloca nell'ambito di una programmazione strategica internazionale, quale quella del pacchetto clima-energia 20-20-20 e della Energy Road Map 2050 dell'Unione europea, ed è prioritariamente orientato alla promozione del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili, ma prevede specificamente, sia pur in misura sussidiaria, anche il ricorso alla produzione nazionale di fonti fossili (gas e olio), ritenuto necessario a livello internazionale per garantire la sicurezza strategica degli approvvigionamenti nel processo di transizione verso la decarbonizzazione.
  Il documento SEN, in particolare, contiene una parte relativa allo sviluppo sostenibile della produzione nazionale di idrocarburi, dove si sottolinea la previsione di importanti benefici economici e occupazionali, pur nel rispetto dei più elevati standard internazionali in termini di sicurezza e tutela ambientale.
  Si prevede infatti e con prospettiva al 2020 di garantire il ritorno della produzione nazionale di idrocarburi sui valori tipici della metà degli anni ’90 e, quindi, di attivare almeno 15 miliardi di investimenti totalmente privati, creare 25.000 posti di lavoro stabili e addizionali, ridurre la bolletta energetica di 5 miliardi l'anno, ricavare 2,5 miliardi l'anno di entrate fiscali sia nazionali che locali.
  Tale obiettivo potrà realizzarsi anche grazie al contributo delle risorse presenti nel mare territoriale e nella piattaforma continentale, le più importanti in Europa dopo quelle dei paesi nordici, mediante alcuni importanti progetti di sviluppo, per la maggior parte relativi alla coltivazione di gas naturale, e parallelamente, a una Pag. 67riduzione del 5 per cento delle istallazioni ad oggi presenti in mare, ottenibile grazie all'ottimizzazione della progettazione e all'uso di tecnologie di avanguardia, assicurando così una significativa riduzione dell'occupazione di aree impegnate.
  Il Paese ha a disposizione significative riserve di gas e petrolio; nell'attuale contesto è doveroso fare leva anche su queste risorse, in un settore in cui l'Italia vanta notevoli competenze ed eccellenze, riconosciute a livello globale. D'altra parte, ci si rende conto del potenziale impatto ambientale ed è quindi fondamentale la massima attenzione per prevenire potenziali ricadute negative (peraltro il settore in Italia ha una storia di incidentalità tra le migliori al mondo).
  Per l'Italia il modello di riferimento in questo settore deve essere quello dei Paesi del nord Europa che hanno saputo coniugare un notevole sviluppo industriale, economico e sociale con un'attenzione fortissima ai temi della sicurezza e della salvaguardia dell'ambiente.
  Consapevole dell'importanza di queste potenzialità, che possono certamente contribuire in maniera significativa alla crescita del PIL, il Governo si è già attivato verso un riordino della materia, come è avvenuto, ad esempio, con il Decreto Ministeriale 9 Agosto 2013, il quale recepisce pienamente il decreto legislativo n. 128 del 2010 (c.d. Correttivo Ambientale). Il DM 9 agosto ha ridimensionato le «zone marine», riducendole circa alla metà con la chiusura alle nuove attività delle aree tirreniche e di quelle entro 12 miglia da tutte le coste e aree protette, con la contestuale individuazione di una nuova area marina nel mare delle Baleari, contigua ad aree di ricerca spagnole e francesi, spostando l'asse della ricerca petrolifera in nuove aree lontane dalle coste e limitrofe a quelle già ampiamente interessate da attività svolte da Paesi vicini.
  Proprio con riferimento ai profili di tutela ambientale, difatti, l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 128/2010 – che ha introdotto, nella normativa di riferimento, il comma 17 dell'articolo 6 del D.Lgs. 152/06 (c.d. Codice dell'ambiente) – fissava originariamente il divieto delle attività di ricerca, di prospezione e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, nelle zone poste entro dodici miglia dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette (oltre che, per i soli idrocarburi liquidi, nella fascia marina compresa entro cinque miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l'intero perimetro costiero nazionale), con la conseguenza che, dovendo questa disposizione essere applicata anche ai procedimenti autorizzatori in corso, si determinava al tempo un blocco dei procedimenti di conferimento off-shore violativi di tali nuovi limiti.
  In particolare, nella risoluzione in oggetto si pone l'accento sulle successive modifiche intervenute sul citato comma 17 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006, prima ad opera dell'articolo 24, comma 1, lett. a), del decreto-legge n. 5 del 2012, con il quale si è inteso confermare l'efficacia dei titoli minerari già rilasciati anteriormente al decreto legislativo n. 128 del 2010 anche ai fini del rilascio delle eventuali relative proroghe, e poi ad opera dell'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012. Tale articolo, rubricato come «Disposizioni in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi», ha, infatti, parzialmente modificato il comma 17 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (c.d. Codice dell'ambiente), introdotto con il decreto legislativo n. 128 del 2010 (c.d. correttivo ambientale), stabilendo:
   l'uniformità nell'individuazione delle aree interdette alle attività minerarie, sia ad olio che a gas, ovvero nelle zone di mare entro dodici miglia dalla linea di costa e dalle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale;
   la sussistenza dei procedimenti concessori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010;
   la validità dei titoli abilitativi rilasciati e di tutti i procedimenti autorizzatori connessi e conseguenti agli stessi;Pag. 68
   la previsione generalizzata, per i procedimenti cui si riferisce la norma, della sottoposizione a valutazione di impatto ambientale.

  Le modifiche apportate all'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012 hanno consentito, quindi, di ripristinare il diritto allo sviluppo di attività per le quali, nel 2010, risultavano già eseguiti investimenti o in corso istruttorie di domande di permesso di ricerca e di coltivazione, mantenendo comunque elevati standard di tutela ambientale.
  In tal modo si è eliminato sia un potenziale contenzioso, con gli operatori che avevano già realizzato infrastrutture, causato dalla revoca dei relativi affidamenti e in cui l'Amministrazione difficilmente avrebbe potuto prevalere, sia il rischio, per l'Amministrazione, di sostenere i costi di decommissioning per lo smantellamento e il ripristino di impianti produttivi mai entrati in esercizio (argomento del quale parlerò nel seguito).
  Tutto ciò premesso, occorre, però, precisare che questo meccanismo di riattivazione dei procedimenti autorizzatori, già pendenti al tempo dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, per nulla ha inciso sulla severità delle relative istruttorie.
  La norma, in buona sostanza, nel rigoroso rispetto delle leggi in materia di ambiente e sviluppo e, non da ultimo, anche in ragione dei fondamentali criteri di equità sostanziale, ha solo permesso una riapertura procedimentale per le istanze pendenti al di qua dei nuovi limiti fissati e così come incardinate alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, senza consentire, però, surrettiziamente anche una ricerca ed uno sfruttamento in tali aree, in deroga al procedimento di valutazione ambientale.
  Anzi, a ben vedere, il procedimento amministrativo per il conferimento dei titoli minerari off-shore, sia come luogo di valutazioni tecnico-scientifiche sia come luogo di contemperamento degli interessi coinvolti, ne è parso notevolmente rafforzato, dal momento che l'Amministrazione procedente è tenuta a raccogliere anche i pareri dei Comuni interessati entro l'arco delle dodici miglia.
  Tali affermazioni possono essere confermate anche con riguardo alla procedura prevista all'articolo 82-sexies della legge n. 239 del 2004. Infatti, gli Uffici territoriali del Ministero svolgono una procedura autorizzativa che attiene agli aspetti di sicurezza delle attività di manutenzione ordinaria, che devono essere prese in considerazione in corso di rilascio delle concessioni e dei permessi e che non comportano nessuno sversamento in mare. Eventi di questo tipo dovrebbero, infatti, essere denunciati come incidenti alle autorità di vigilanza, capitanerie di porto e autorità giudiziaria per gli accertamenti di responsabilità.
  Inoltre, anche per quello che riguarda le procedure di VIA e VAS, si evidenzia che l'esito dei procedimenti per le autorizzazioni dei permessi di prospezione e di ricerca nonché i procedimenti per le concessioni di coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi in mare, anche se di competenza del Ministero dello sviluppo economico, è subordinato all'esito della Valutazione di Impatto Ambientale quale procedura endoprocedimentale obbligatoria e vincolante, di competenza del Ministero dell'Ambiente con il concerto del Ministero dei beni delle attività culturali e del turismo, sentite le regioni interessate.
  Quanto al citato decommissioning, preciso che esso costituisce l'insieme delle operazioni finalizzate alla messa in sicurezza e alla rimozione degli impianti utilizzati per l'attività di coltivazione di idrocarburi, ivi compresa la chiusura mineraria dei pozzi da porre in essere una volta conclusa l'attività mineraria.
  Già al momento della richiesta del rilascio della concessione l'operatore deve predisporre il programma di decommissioning e ripristino dei luoghi e accantonare i relativi costi.
  Inoltre, se ritenuto necessario e per ulteriore garanzia, il Ministero richiede al proponente idonee garanzie finanziarie atte a coprire tali costi.Pag. 69
  Le attività di decommissioning sono, quindi, interamente a carico del titolare della concessione di coltivazione e si svolgono sotto la vigilanza del competente Ufficio territoriale UNMIG del Ministero.
  Quanto alle affermazioni sull'inquinamento cagionato dalle attività di coltivazione degli idrocarburi in mare, secondo i più accreditati studi1 sull'impatto delle attività petrolifere, l'inquinamento da idrocarburi del Mediterraneo non è connesso alla presenza di piattaforme petrolifere. Infatti nei cinquant'anni di attività mineraria nei mari italiani, relativa prevalentemente alla produzione di gas metano, non si sono mai verificati incidenti che abbiano provocato deterioramento ambientale.
  La contaminazione del mare Mediterraneo deriva per la maggior parte dal trasporto marittimo e in misura minore dalle attività in terraferma. Le sostanze eventualmente rilasciate dalle navi nel caso di lavaggi di cisterne e incidenti entrano nella catena alimentare per un raggio anche di molti chilometri, che dipende dalla composizione e dalla quantità degli idrocarburi e dalle condizioni meteo-marine. Sono oltre 2.000 i traghetti, 1.500 i cargo e 2.000 le imbarcazioni commerciali, di cui 300 navi cisterna, che operano giornalmente in Mediterraneo, con un traffico annuo complessivo di circa 200.000 imbarcazioni di grandi dimensioni.

  1 A. Ronza et al, A quantitative risk analysis approach to port hydrocarbon logistics, Journal of Hazardous Materials vol A128 (2006) pp. 10-24;
  R. Enei, A. Vendetti, Assessing Sensitiveness to Transport: the Mediterranean case, ISIS, maggio 2009;
  Legambiente, L'inquinamento da idrocarburi nel Mar Mediterraneo, Clean Up the Med, Maggio 2007;
  M. Cutarella, Mappe di rischio da sversamento di idrocarburi per il mar tirreno, Università di Bologna;
  R. Deyme et al., Vertical fluxes of aromatic and aliphatic hydrocarbons in the Northwestern Mediterranean Sea, Environmental Pollution vol 159 (2011) pp.3681-3691.
  Si precisa, ancora, che l'alterazione degli equilibri marini rappresentata dalle piattaforme italiane a gas presenti nel medio ed alto Adriatico è paragonabile a quella delle strutture per l'itticoltura, mentre diverso ne risulta l'effetto sugli habitat naturali. Infatti, le strutture sommerse delle piattaforme rappresentano le sole zone di salvaguardia delle specie ittiche, come dimostrato dall'area di ripopolamento ittico antistante Ravenna, costituita da piattaforme petrolifere dismesse e sommerse, dichiarato Sito di Interesse Comunitario (SIC). Le piattaforme marine basate su costruzione metallica sono barriere artificiali e si possono annoverare tra le iniziative di valorizzazione della fascia costiera. Difatti, esse consentono una riduzione di mortalità a livello delle forme giovanili che non vengono pescate, incrementando la disponibilità di cibo e favorendo la protezione dei riproduttori.
  Lo stesso Ministro Zanonato, in occasione della citata audizione presso la XIII Commissione Ambiente del Senato, ha riportato un dato davvero significativo e assolutamente inconfutabile: la maggior parte delle installazioni in mare si trova al largo della costa romagnola, che è al tempo stesso la zona d'elezione per il turismo balneare nazionale e internazionale. Quest'ultimo punto, a ben guardare, potrebbe comunicare a noi tutti che l'attività estrattiva di per sé non è pregiudizievole all'attività turistica, se condotta in modo ambientalmente sostenibile, come avviene in Italia.
  Venendo, quindi, alle affermazioni di natura «tecnica» riportate nella risoluzione parlamentare, si precisa che per la perforazione sono usati esclusivamente fanghi bentonitici a base di acqua (non esistono fluidi «perforanti»). Lo smaltimento dei fanghi avviene, in mare come per la terraferma, mediante trasporto a terra, sotto il controllo delle autorità competenti. Inoltre, l'olio estratto nell’offshore è particolarmente denso e come tale non corrosivo.
  Per quanto riguarda, poi, in particolare, i singoli progetti di sviluppo richiamati, il Pag. 70Ministero dello sviluppo economico, in ottemperanza a quanto fissato nella SEN, non procederà al rilascio di titoli in aree ambientalmente sensibili.
  Riguardo al Progetto «Eleonora», specifico che si tratta di un permesso di ricerca in terraferma rilasciato dagli uffici competenti della regione Sardegna, competente in virtù dello statuto speciale della regione. Risulta che è stata presentata istanza per la modifica del programma lavori e per l'autorizzazione alla realizzazione del pozzo esplorativo.
  Quanto agli aspetti più prettamente legati alla «sicurezza» delle installazioni in mare, informo l'Aula che proprio poche ore fa ho presieduto all'apertura del tavolo di recepimento della nuova direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni di ricerca e coltivazione degli idrocarburi in mare: l'Italia, quale Paese Membro promotore di tale iniziativa, sin dal 2011 ha partecipato attivamente a tutti i tavoli tecnico-politici che hanno caratterizzato la fase ascendente della direttiva che «ha come obiettivo quello di fissare elevati standard minimi di sicurezza per la prospezione, la ricerca e la produzione di idrocarburi in mare, riducendo le probabilità di accadimento di incidenti gravi, limitandone le conseguenze e aumentando, così, nel contempo, la protezione dell'ambiente marino.»
  L'impegno mio e del Governo, anche su diretta sollecitazione del Commissario europeo Oettinger, è volto ad un recepimento efficace e che avvenga in tempi molto brevi, stante la strategicità del tema.
  A tal proposito, val la pena di rimarcare il ruolo attivo del mio Ministero per la promozione di un innalzamento degli standard di sicurezza su entrambe le sponde del Mar Mediterraneo. Negli ultimi mesi vari Paesi extra UE (Israele, Cipro, Libano) hanno fortemente sviluppato il settore della ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle loro acque. Pertanto, il Ministero dello sviluppo economico pone assoluta rilevanza sul tema della ratifica italiana del «Protocollo per la protezione del Mare Mediterraneo contro l'inquinamento derivante dall'esplorazione e coltivazione dello piattaforma continentale, del fondo del mare e del suo sottosuolo» (detto «Protocollo offshore» in seno alla Convenzione di Barcellona), divenuta ancora più impellente dopo la ratifica dell'Unione Europea del Dicembre del 2012. Attualmente, è in via di ultimazione la procedura d'esame del disegno di legge di ratifica del Protocollo offshore. A tal proposito, segnalo solo che, in sede di istruttoria tecnica, gli uffici di questo Ministero, in collaborazione con le altre amministrazioni coinvolte e, in particolare, con il Ministero dell'ambiente, hanno verificata l'adeguatezza della legislazione italiana rispetto ai principi di diritto internazionale.
  Concludendo, possiamo affermare che l'Italia può vantare un'esperienza sessantennale sui temi della sicurezza offshore ed è depositaria di esempi eccellenti di best practices sul tema, con un know-how tecnologico e performance di sistema che ci vengono riconosciuti a livello globale.