CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 24 luglio 2013
61.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-00106 Ferro: Sulle vicende relative alla chiusura dell'agenzia INPS di Guidonia-Montecelio.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'On. Ferro – con il presente atto parlamentare – richiama l'attenzione sulla chiusura – disposta dalla Direzione centrale organizzazione dell'INPS – dell'agenzia di produzione di Guidonia-Montecelio e la sua contestuale trasformazione in «Punto INPS».
  In proposito, è opportuno ricordare, in via preliminare, che – nell'ambito dell'autonomia organizzativa riconosciuta dalla legge – l'INPS può formulare piani di riassetto del decentramento territoriale dei servizi al fine di ottimizzare, in termini di efficacia, efficienza ed economicità, la sua presenza sul territorio, perseguendo comunque obiettivi di prossimità all'utenza.
  Il «Punto INPS» è definito dall'articolo 23 del Regolamento di organizzazione proprio come la struttura che permette di realizzare una maggiore economicità del servizio mantenendo la prossimità all'utenza.
  Secondo quanto appreso dall'istituto, infatti, il «Punto INPS» garantisce economie di costi insediativi e organizzativi mediante l'integrazione logistica e funzionale con altri soggetti pubblici e, al tempo stesso, consente di erogare una gamma di servizi e prodotti individuati sulla base delle specifiche esigenze del territorio di riferimento e della tipologia di utenza, garantendo la qualità del servizio ed il miglioramento della soddisfazione degli utenti.
  Trattasi, in particolare, di una struttura «leggera» che può essere istituita in sinergia con altre Pubbliche Amministrazioni, al fine di realizzare maggiore economie di spesa e prossimità all'utenza.
  Il «Punto INPS» è presidiato esclusivamente da personale dell'istituto e rappresenta il punto di contatto tra la Direzione provinciale (o altra «struttura madre») di riferimento e il cittadino.
  Garantisce servizi «di primo livello» e servizi a ciclo chiuso ed eroga – secondo logiche di «tempo reale» – quei prodotti e servizi che hanno un impatto immediato sul bisogno dell'utente e che sono identificati sulla base di una analisi della domanda del territorio di riferimento, compresa, ove necessario e possibile, l'attivazione dei servizi di consulenza.
  Tutto ciò premesso, con riferimento a quanto rilevato dall'Onorevole interrogante in ordine alla trasformazione dell'Agenzia di Guidonia, l'istituto ha fatto presente quanto segue.
  L'Agenzia di Guidonia garantisce essenzialmente attività di consulenza e le lavorazioni relative alle Linee di prodotto servizio Assicurato/pensionato e Prestazioni a sostegno del reddito.
  Il relativo bacino di utenza – costituito dalla popolazione residente nei comuni di Guidonia Montecelio, Marcellina e Sant'Angelo Romano – è pari a circa 98.000 persone, di cui circa 65.000 costituiscono popolazione attiva e circa 19.000 sono pensionate.
  Le imprese con dipendenti sono circa 2 mila e gli artigiani, i commerciati e le aziende agricole sono circa 4.500.
  La media degli utenti che, allo stato, si recano presso il front office dell'Agenzia di Guidonia è pari a circa 60-70 unità giornaliere. A fronte di tale limitato afflusso di pubblico, destinato a ridursi ulteriormente per effetto del completamento del processo Pag. 132di telematizzazione dei servizi, l'Agenzia di Guidonia opera con diciotto unità lavorative.
  L'INPS ha, inoltre, evidenziato che i comuni di Guidonia Montecelio e Marcellina distano meno di 10 Km dall'Agenzia di Tivoli, con la conseguenza che oltre l'80 per cento del bacino di utenza presidiato dall'Agenzia di Guidonia è addirittura in una situazione di «ipercopertura», ai sensi del Regolamento di attuazione del decentramento territoriale dell'istituto.
  Occorre inoltre rilevare che – nell'attuale contesto socio-economico – è opportuno che gli assetti territoriali dell'INPS siano definiti anche considerando le esigenze di economicità della gestione, tenuto conto anche del fatto che all'istituto sono stati chiesti, per effetto della spending review, risparmi per 477 milioni di euro per l'anno 2013 e per 532 milioni di euro per il 2014.
  Proprio a tale scopo l'INPS ha rivisto la rete di distribuzione dei propri servizi in modo da assicurare il miglior equilibrio possibile tra le istanze dei cittadini e i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa.
  L'Istituto ha inoltre precisato che l'Agenzia di Guidonia è oggi ubicata presso l'immobile di Via dei Mughetti n. 2, detenuto in locazione, con un canone annuo di – 151.788,00. Il relativo contratto – in scadenza al 31 ottobre 2016 – prevede la facoltà di risoluzione anticipata con preavviso di 6 mesi, senza il pagamento di alcuna indennità.
  Il «Punto INPS» di cui si propone la costituzione in luogo dell'attuale Agenzia sarebbe invece istituito in locali messi a disposizione dall'amministrazione comunale di Guidonia o di un Comune limitrofo.
  La trasformazione dell'Agenzia di Guidonia in «Punto INPS» risponde quindi a criteri di economicità consentendo, in ogni caso, all'istituto un risparmio pari ad euro 265.195,00 annui, a fronte di una spesa una tantum per il trasloco delle postazioni di lavoro da Guidonia a Tivoli, quantificata in euro 28.260,00.
  Inoltre, l'istituto ha rappresentato che l'accorpamento delle competenze presso l'Agenzia di Tivoli consentirà di offrire una risposta più articolata alle esigenze degli utenti cittadini/imprese dei comuni di Guidonia, Marcellina e Sant'Angelo Romano, garantendo un governo forte della domanda di servizio nei settori dell'Assicurato pensionato e delle Prestazioni a sostegno del reddito e un concreto controllo dei flussi assicurativi, contributivi e dei conti individuali relativi alle aziende senza dipendenti ed alle aziende agricole, ad oggi non gestite dall'Agenzia di Guidonia.

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ALLEGATO 2

5-00416 Rostellato: Sulle caratteristiche del contratto di lavoro intermittente.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'atto parlamentare dell'On. Rostellato, concerne le forme di monitoraggio attivate dal Ministero che rappresento a fronte dell'utilizzo di contratti di lavoro di natura intermittente, anche al fine di contrastare eventuali ipotesi di lavoro nero.
  Preliminarmente è opportuno chiarire che il lavoro intermittente costituisce un'ipotesi rapporto di lavoro subordinato e, come tale, è soggetto, in caso di attivazione, all'obbligo di comunicazione preventiva sancito dall'articolo 9 bis, comma 2, del decreto-legge n. 510 del 1996, convertito dalla legge n. 608/1996, e da ultimo sostituito dall'articolo unico, comma 1180, della legge n. 296 del 2006 (c.d. legge finanziaria per il 2007).
  Ricordo al riguardo che la comunicazione preventiva rientra in una serie di interventi in materia di lavoro – introdotti dal legislatore fin dal 2007 – che hanno l'obiettivo, da un lato, di semplificare gli adempimenti a carico dei datori di lavoro e, dall'altro, di dare alla Pubblica Amministrazione l'opportunità di conoscere, in tempo reale, le dinamiche del mercato del lavoro.
  Tanto premesso, preciso che al fine di impedire che il datore di lavoro possa usufruire della prestazione del lavoratore intermittente eludendo la normativa sul lavoro irregolare, l'articolo 1, comma 21, della legge n. 92/2012 ha introdotto il comma 3 bis all'articolo 35 del decreto legislativo n. 276/2003.
  Tale disposizione ha stabilito che – prima dell'inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni – il datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata con modalità semplificate.
  Con decreto ministeriale del 27 marzo 2013, sono state altresì individuate le modalità di adempimento dell'obbligo comunicazionale, mediante l'utilizzo del modello «UNI-Intermittente», da compilarsi esclusivamente attraverso strumenti informatici e contenente i dati identificativi del lavoratore e del datore di lavoro nonché la data di inizio e fine della prestazione lavorativa cui la chiamata si riferisce.
  Secondo quanto precisato con circolare ministeriale n. 27 del 2013, il modello deve essere trasmesso via e-mail all'indirizzo di posta elettronica certificata messo a disposizione dal Ministero ovvero per il tramite del servizio informatico reso disponibile sul portale ClicLavoro (www.cliclavoro.gov.it).
  È inoltre possibile trasmettere un sms a un numero di telefonia mobile contenente almeno il codice fiscale del lavoratore. Tale modalità è tuttavia utilizzabile esclusivamente in caso di prestazione da rendersi non oltre le 12 ore dalla comunicazione.
  Preciso inoltre che l'articolo 1, comma 21, lettera b), della legge n. 92 del 2012 contempla una specifica disciplina sanzionatoria legata alla violazione del predetto obbligo comunicazionale ovvero l'applicazione di una sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione, senza Pag. 134possibilità di adottare il provvedimento di diffida di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 124/2004.
  Tale misura sanzionatoria assume, dunque, una funzione prevenzionistica in relazione a possibili fenomeni elusivi in ordine all'utilizzo di prestazioni di lavoro intermittente.
  Da ultimo, tengo a precisare che nell'ambito delle attività di monitoraggio aventi ad oggetto la riforma del mercato del lavoro, anche le prestazioni lavorative di natura intermittente sono poste in osservazione per le opportune valutazioni di cui all'articolo 1 della legge di riforma del mercato del lavoro del 2012.

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ALLEGATO 3

5-00674 Fiano: Decreto attuativo per talune agevolazioni contributive di cui alla legge n. 92 del 2012.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'On. Fiano – con il presente atto parlamentare – chiede al Governo di riferire in ordine all'adozione del decreto di attuazione dell'articolo 4, comma 11, della legge n. 92/2012 (legge di Riforma del mercato del lavoro) che ha previsto – fra l'altro – agevolazioni contributive in favore dei datori di lavoro che assumono donne svantaggiate.
  In particolare, la legge n. 92 del 2012 ha demandato a tale decreto il compito di individuare le aree e i settori di attività caratterizzati da particolari indici di disagio lavorativo a carico delle donne, sì da giustificare il riconoscimento di benefìci economici particolarmente importanti in caso di assunzione di lavoratrici definite «svantaggiate» ai sensi della normativa comunitaria.
  Al riguardo devo osservare in via preliminare, che – lo scorso 16 aprile – il Ministero che rappresento ha provveduto ad adottare – di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze – il «decreto-quadro» di cui all'articolo 4, comma 11 della citata legge 92 del 2012.
  Il decreto in questione è stato già pubblicato sul sito Internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  Il predetto decreto (che attua in via generale la richiamata previsione di legge) prevede che, entro il 31 dicembre di ogni anno, vengano individuati – con apposito decreto direttoriale – i settori o le professioni caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 per cento la disparità media uomo-donna, sulla base dei dati Istat relativi alla media annuale dell'anno più recente disponibile. Tali settori o professioni sono validi ai fini della concessione degli incentivi previsti dall'articolo 4, comma 11, della legge n. 92/2012.
  È evidente al riguardo che non è stato possibile emanare fin da subito un decreto – per così dire – omnibus (ossia, valevole per un tempo indefinito e per un numero ampio di ipotesi), dal momento che il decreto in questione deve necessariamente «fotografare» situazioni che si modificano nel tempo e che, quindi, devono essere esaminate con cadenza periodica.
  Pertanto, si è reso necessario emanare prima un «decreto-quadro» (a firma del Ministro) il quale ha fissato le condizioni per l'attuazione della legge di riforma e, in seguito, alcuni decreti annuali, a firma dei competenti direttori generali, i quali individueranno in concreto le aree e i settori in cui potranno operare i benefìci in questione.
  Ora, per quanto riguarda il decreto direttoriale «a valle», volto ad individuare in concreto – per l'anno 2013 – i settori e le professioni caratterizzati da un differenziale nei tassi di occupazione e disoccupazione uomo-donna che superi la soglia del 25 per cento, faccio presente che esso è in avanzato stato di predisposizione, essendo già stati acquisiti i necessari elementi tecnici dall'ISTAT.
  Nei prossimi giorni, la competente Direzione generale del Ministero che rappresento trasmetterà lo schema di decreto al Ragioniere Generale dello Stato per la controfirma e la definitiva emanazione.Pag. 136
  Da ultimo, faccio presente che il Ministero del lavoro ha già dato il formale assenso alla circolare dell'INPS con la quale vengono fornite istruzioni operative alle sedi territoriali sulla concessione delle agevolazioni previste dai commi da 8 ad 11 dell'articolo 4 della cosiddetta legge Fornero (ivi compresa, quindi, la disposizione su cui si concentra l'atto parlamentare in oggetto).

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ALLEGATO 4

Indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile.

DOCUMENTO INTERLOCUTORIO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

Premessa.

  Il presente documento intende proporre una riflessione sulle prime risultanze dell'indagine conoscitiva al fine di orientare le valutazioni della Commissione, e dei suoi componenti, nell'ambito dell'esame parlamentare (già avviato al Senato) del decreto-legge n. 76 del 2013.
  Benché la gran parte delle audizioni si siano svolte prima della pubblicazione del decreto-legge in Gazzetta ufficiale e, quindi, abbiano avuto ad oggetto (oltre alle anticipazioni giornalistiche del decreto medesimo) soprattutto misure normative previgenti (a partire dalla legge n. 92 del 2012, di riforma del mercato del lavoro), dalla gran parte delle valutazioni proposte dagli auditi è possibile desumere, per la loro valenza generale, indicazioni operative di indubbia utilità nell'ambito del dibattito in corso, nell'ottica di una valutazione informata e consapevole anche dei contenuti del decreto-legge n. 76 del 2013.
  Ai contenuti meramente ricognitivi delle audizioni si sommano, quindi, specifici elementi valutativi, di natura più squisitamente politica, su alcuni dei principali temi oggi all'attenzione delle forze politiche e del Parlamento in materia di lavoro.

Disoccupazione: dimensioni e natura del fenomeno.

  La disoccupazione in Italia presenta caratteristiche peculiari, in termini quantitativi e qualitativi. Innanzitutto, dal confronto con gli altri Paesi europei emerge che nel nostro Paese il rischio di rimanere disoccupati è molto più alto per i giovani (sino a 4 volte) rispetto alle altre classi di età. Inoltre, gli scoraggiati (ossia coloro che non sono classificati tra i disoccupati in quanto hanno abbandonato la ricerca attiva di un impiego) sono – caso unico in Europa – più numerosi (2,9 milioni) rispetto ai disoccupati (2,7 milioni). Nel complesso, tuttavia, si può stimare che i soggetti in situazione di disagio occupazionale (includendovi, cioè, anche i part time involontari e i lavoratori che beneficiano di uno strumento di sostegno al reddito) siano circa 7 milioni.
  L'analisi su base territoriale, pur facendo emergere, in maniera abbastanza omogenea, i medesimi problemi su tutto il territorio nazionale, mostra una differenziazione tra il centro-nord e il Mezzogiorno.
  La crisi occupazionale si lega soprattutto a una carenza di domanda di lavoro, in calo costante dall'avvio della crisi. Non può essere trascurato, tuttavia, il fenomeno inverso, quello della carenza di offerta di lavoro, che riguarda soprattutto taluni profili professionali (skill mismatch e skill gap). Si tratta dei cosiddetti lavori dimenticati (infermieri, panettieri, falegnami, baristi e camerieri, tecnici informatici, operai specializzati) pari a circa 150.000 posti di lavoro disponibili e non coperti.
  L'ampia diffusione di contratti di lavoro a termine e flessibili (con un alto tasso di ricadute nella precarietà anche di lavoratori con rapporti a tempo indeterminato), Pag. 138conducono a carriere lavorative, soprattutto dei più giovani, caratterizzate da frammentarietà e discontinuità, mettendo a rischio l'accumulo di anzianità contributiva e, in prospettiva, l'ammontare degli assegni pensionistici.

Apprendistato.

  Il contratto di apprendistato, nonostante gli investimenti fatti negli ultimi anni, resta marginale e ancora non rappresenta lo strumento privilegiato di accesso al lavoro per i giovani. Benché dopo l'Accordo interconfederale del 18 aprile 2012 si sia assistito a una lieve ripresa, l'apprendistato resta sottoutilizzato rispetto alle sue potenzialità, legate ai benefici economici e normativi previsti dal decreto legislativo n. 167 del 2011 e dalla legge di riforma del mercato del lavoro. I dati sembrano dimostrare, inoltre, che il ricorso all'apprendistato da parte dei datori di lavoro trova in tali benefici la motivazione principale, mentre la formazione in azienda, in un'ottica di investimento individuale finalizzata all'assunzione stabile del lavoratore, continua a rappresentare un elemento marginale (sintomatico, in tal senso, è anche l'alto tasso di ritorno al precariato tra gli apprendisti stabilizzati). A ciò si aggiunge l'instabilità normativa, cui si legano in particolare le difficoltà che derivano dalla competenza legislativa concorrente riconosciuta alle regioni e, conseguentemente, dalla coesistenza, sul territorio nazionale, di una pluralità di sistemi normativi differenziati.
  Le ragioni dello scarso utilizzo dell'apprendistato vanno tuttavia ricercate soprattutto nel fatto che tale forma contrattuale non si inserisce organicamente all'interno del sistema scolastico e formativo del Paese, diversamente da quanto accade nei sistemi duali (Germania e Austria), dove i due percorsi (scolastico e lavorativo) hanno pari dignità e l'apprendistato rappresenta effettivamente il canale di accesso al lavoro per la maggioranza dei giovani. Nei sistemi duali, la fascia di età degli apprendisti è molto più bassa che nel nostro Paese e le retribuzioni sono più contenute (ciò che tuttavia si concilia con il fatto che si tratta di retribuzioni percepite da studenti contemporaneamente impegnati in un percorso scolastico).
  Se la realizzazione di un sistema duale analogo a quello tedesco richiederebbe un generale ripensamento del sistema scolastico, evidentemente non realizzabile (per quanto auspicabile) in tempi brevi, ciò nondimeno appare necessario interrogarsi sull'opportunità di introdurre nuove misure volte a garantire un più esteso accesso alla formazione aziendale, a valorizzare il ruolo di scuole e università per il collocamento degli apprendisti nel tessuto produttivo locale, a promuovere un più esteso ricorso a forme di alternanza scuola-lavoro. Inoltre, nel definire la disciplina di altre fattispecie contrattuali e incentivi all'assunzione e stabilizzazione di giovani, occorre prestare particolare attenzione per evitare sovrapposizioni e incoerenze. Infatti, è stato osservato da più parti come talune norme contenute nel decreto-legge n. 76 del 2013 rischiano di «cannibalizzare» il contratto di apprendistato, riducendone la convenienza relativa rispetto ad altre forme contrattuali oggetto di nuovi e più ampi benefici.

Centri per l'impiego e Youth Guarantee.

  La qualità dei servizi offerti dai Centri per l'impiego è nel complesso ampiamente insoddisfacente, nonostante alcune positive eccezioni, collocate in particolari aree del Paese. I Centri per l'impiego intermediano appena l'1,6 per cento della nuova manodopera (dati Istat, 2012). Tre giovani NEET su quattro non hanno avuto contatto con i Centri per l'impiego negli ultimi sette mesi, mentre tra coloro che ad essi si sono rivolti più della metà lo hanno fatto (nel medesimo arco temporale) con un unico contatto.
  Dai confronti internazionali sulla ripartizione della spesa per le politiche del lavoro, emerge che il livello di investimenti pubblici nei Servizi per l'inserimento nel mercato del lavoro si colloca sensibilmente Pag. 139al di sotto della media europea (appena un quinto). Inferiore alla media europea (sebbene in termini assai meno evidenti) risulta anche la spesa per Politiche attive, mentre la spesa per Integrazioni al reddito e, in particolare, la spesa per Pensionamenti anticipati, sopravanzano la media europea.
  Le difficoltà dei Centri per l'impiego si legano alla grave carenza di personale (appena 7.500 addetti, molti dei quali precari, a fronte dei 77.000 della Gran Bretagna e 115.000 della Germania), a un quadro di competenze normative e amministrative disarticolato (strutturato su tre livelli – Stato, regioni e Province – e, soprattutto, segnato dalla mancanza di un soggetto a livello nazionale con funzioni di coordinamento dell'intero sistema), alla scarsa interoperabilità degli uffici, alla mancanza di un efficace raccordo con gli altri operatori pubblici (scuola, università) e privati (agenzie per il lavoro e sistema della bilateralità).
  La Youth Guarantee prevede, com’è noto, che ogni giovane di età inferiore a 25 anni riceva un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio, entro quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema di istruzione. A ben guardare, si tratta di livelli di prestazioni del tutto assimilabili a quelli già definiti, a livello nazionale, dal decreto legislativo n. 181 del 2000 e rimasti sostanzialmente sulla carta.
  L'attivazione delle risorse della Youth Guarantee rappresenta una grande occasione per mettere finalmente mano alla riforma dei Centri per l'impiego, con l'obiettivo di incrementarne i livelli di efficienza. Occorrono interventi rapidi ed efficaci, che facciano leva su meccanismi volti a premiare le strutture più efficienti, sulla base di indicatori che tengano conto non tanto dell'attività di intermediazione genericamente svolta, quanto dei risultati occupazionali effettivamente ottenuti. Tale mutamento richiede, non v’è dubbio, la disponibilità di adeguate risorse, in primo luogo umane. A tal fine appare opportuno, a fronte dei limiti derivanti del processo di contenimento dei costi del pubblico impiego, considerare in via prioritaria l'attivazione di processi di mobilità interna alla pubblica amministrazione, operando tutte le razionalizzazioni possibili al fine di convogliare risorse umane sull'emergenza occupazionale. Senza un'ampia e solida «infrastruttura» del mercato del lavoro, del resto, la stessa attivazione della Youth Guarantee nel nostro Paese appare fortemente a rischio.

Politiche per l'occupazione e incentivi pubblici.

  Le modalità attraverso le quali è possibile intervenire per promuovere l'occupazione mediante l'utilizzo di risorse pubbliche sono state oggetto di un ampio dibattito. Taluni ritengono preferibile adottare misure generalizzate di riduzione del costo del lavoro (intervenendo sul cosiddetto cuneo fiscale) che riguardino lo stock e non solo i flussi lavorativi. Altri, al contrario, soprattutto considerando il contesto di vincoli di bilancio assai stringenti, auspicano la concentrazione delle poche risorse disponibili su platee definite, in un'ottica di politiche del lavoro segmentate. Con specifico riferimento alla disoccupazione giovanile è stato osservato, in particolare, che l'evidenza empirica consiglierebbe di estendere gli interventi ai giovani da 29 a 34 anni, trattandosi di una fascia di età per la quale non sono previsti specifici benefici (l'apprendistato è rivolto a giovani fino a 29 anni) e mediamente caratterizzata da maggiori carichi familiari.
  Per quanto concerne gli incentivi finalizzati a nuove assunzioni o alla stabilizzazione di lavoratori flessibili, è stato osservato come il legislatore sia spesso vittima di una presunzione di efficacia, che porta a ricondurre a un incentivo tutti gli effetti che si osservano successivamente alla sua introduzione. Si tratta di una prospettiva fuorviante, che induce sistematicamente a sovrastimare gli effetti degli interventi, conducendo spesso a sprechi di risorse pubbliche. Non tutto quello che Pag. 140si osserva a seguito di un intervento normativo (in termini di assunzioni e stabilizzazioni), infatti, è ad esso legato da un nesso di causalità. Un'ormai consolidata letteratura, fondata sull'analisi cosiddetta «controfattuale» (tesa cioè ad indagare cosa sarebbe comunque accaduto in assenza dell'intervento), mostra che gli effetti netti degli incentivi per l'occupazione sono spesso assai inferiori a quanto comunemente si ritiene. A tali conclusioni sono giunti, ad esempio, importanti studi aventi ad oggetto il credito d'imposta per le assunzioni a tempo indeterminato di cui all'articolo 7 della legge n. 388 del 2000 (cosiddetto bonus sud). Un analogo intervento della regione Piemonte del 2007 (voucher di 5.000 euro per la stabilizzazione di lavoratori precari) ha mostrato scarsa efficacia (l'addizionalità è risultata pari al 10 per cento, con il risultato che ogni assunzione stabile aggiuntiva è costata, in realtà, 50.000 euro). Anche con riguardo all'intervento di recente disposto dall'articolo 24, comma 27, del decreto-legge n. 214 del 2011 (12.000 euro per la stabilizzazione di rapporti di lavoro flessibile) le prime analisi giungono a conclusioni analoghe, in quanto circa i due terzi delle risorse impegnate sono andate a datori di lavoro che, secondo le stime, avrebbero comunque proceduto ad assunzioni o stabilizzazioni (il costo reale per ogni nuova assunzione/stabilizzazione è stato quindi pari, in realtà, a 30.000/40.000 euro).
  Per quanto la letteratura fin qui prodotta consenta di formulare alcune valutazioni di carattere generale, che inducono a ritenere di scarsa efficacia incentivi temporanei sui flussi, resta il problema di fondo della valutazione delle politiche pubbliche, su cui l'Italia registra un grave ritardo. Occorre acquisire consapevolezza che già in sede di definizione di un nuovo intervento normativo il legislatore deve precostituire gli strumenti che consentano l'analisi controfattuale, al fine di poter operare valutazioni attendibili della reale efficacia degli interventi rispetto agli obiettivi e, sulla base di esse, apportare progressivamente i correttivi necessari (secondo il metodo che ha contrassegnato le riforme Hartz in Germania).
  Alla luce di quanto fin qui esposto, perplessità suscitano le misure previste dall'articolo 1 del decreto-legge n. 76 del 2013, ove si prevede un incentivo per l'assunzione/stabilizzazione di giovani tra 18 e 29 anni in possesso di determinati requisiti, in una fascia di età che si sovrappone con quella dell'apprendistato e prevede la presenza di almeno una su tre condizioni (privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; privi di diploma di scuola media superiore o professionale; soli con una o più persone a carico). Tali condizioni – pur comprensibili – possono creare dei paradossi. Ad esempio, chi completa il percorso di studi è svantaggiato rispetto a chi abbandona precocemente gli studi stessi, cosa che favorisce indirettamente il già alto livello di abbandono scolastico. Di conseguenza, fermo restando quanto previsto nell'ambito della Garanzia per i giovani sui tirocini post titolo di studi, si ritiene opportuno eliminare ogni condizionalità, assicurando così la massima possibilità di accesso agli incentivi per le assunzioni.

Dalla legge di riforma del mercato del lavoro al decreto-legge n. 76 del 2013.

  La legge n. 92 del 2012 ha rappresentato l'ultima tappa di un percorso di riforme legislative del mercato del lavoro avviatosi nel 1997 con l'approvazione del cosiddetto «pacchetto Treu».
  A giudicare dai dati sull'occupazione, la situazione attuale sembra essere ritornata la medesima di allora. Le riforme attuate negli ultimi 16 anni sembrano non avere avuto effetto sul mercato del lavoro e sulla nostra economia.
  I continui e repentini cambiamenti del quadro normativo rendono difficile alle imprese programmare le proprie politiche occupazionali. L'annuncio di nuovi incentivi normativi e benefici economici (che spesso precedono di mesi l'effettiva entrata in vigore delle misure) porta le aziende a Pag. 141rinviare scelte occupazionali già programmate, con il risultato di ritardare assunzioni che sarebbero state invece effettuate. La concreta operatività degli interventi, poi, è messa a repentaglio dal fatto che le riforme rinviano a numerosi provvedimenti attuativi, spesso adottati con ritardo e/o parzialmente. In questo senso il decreto-legge n. 76 del 2012 non sembra garantire un quadro di maggiore affidabilità e certezze, in quanto per la gran parte delle disposizioni in esso contenute è previsto il rinvio a successive norme attuative.
  Per quanto concerne l'attuazione della legge n. 92 del 2012, dai primi dati del monitoraggio (forniti dall'ISFOL) emerge una significativa riduzione dei contratti a tempo indeterminato (più sensibili all'andamento economico), a fronte di un incremento dei contratti a termine (soprattutto di breve durata e, quindi, senza causale), per effetto del travaso da altre forme contrattuali flessibili e parasubordinate (per le quali il legislatore ha introdotto correttivi volti a contenerne l'uso incongruo).
  Nel complesso, appare che la riforma, pur modificando la composizione delle forme contrattuali, non abbia aiutato a rafforzare, nel suo complesso, il mercato del lavoro in un periodo di crisi.
  Taluni correttivi alla legge n. 92 del 2012 appaiono opportuni.
  In particolare, la riduzione dei periodi di sospensione tra successivi contratti a termine appare utile e condivisibile.
  Una complessiva riflessione dovrebbe essere avviata, poi, sul lavoro autonomo, al fine di comprendere che se il contrasto al fenomeno delle false partite IVA passa anche attraverso la conversione dei rapporti di lavoro e, quindi, aliquote contributive più alte, l'aggravio contributivo per i veri lavoratori autonomi non iscritti a ordini professionali (con il passaggio dal 27 per cento al 28 per cento dell'aliquota contributiva da versare alla gestione separata INPS nel 2014) appare ingiustamente penalizzante e andrebbe attentamente valutato.
  Nel complesso, il decreto n. 76 del 2013 reca interventi non sempre coerenti tra loro. Soprattutto per quanto attiene alle norme finalizzate a promuovere l'occupazione giovanile, gli incentivi di cui all'articolo 1 e la riforma dei tirocini formativi si rivolgono a una platea in buona misura sovrapponibile a quella dell'apprendistato, con il rischio di comprometterne definitivamente il dichiarato ruolo strategico di strumento di accesso privilegiato dei giovani nel mondo del lavoro.