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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 829 di venerdì 7 luglio 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

La seduta comincia alle 9,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FERDINANDO ADORNATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

Sul processo verbale (ore 9,32).

ANGELO TOFALO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELO TOFALO. Grazie, Presidente. Intervengo per rettificare una cosa da me detta ieri in riferimento a un collega che mi aveva preceduto, proprio il collega Laboccetta. Avevo attribuito l'appartenenza al Partito Democratico, me ne sono accorto, riascoltandomi, successivamente, a fine lavori. Ovviamente il collega appartiene alla forza di destra del PdL, quindi non PD, rettifico questo. Ciò restante, il mio pensiero espresso ieri lo riconfermo e lo ribadisco, cioè l'indignazione per un Parlamento che ha votato qui il rientro di una persona uscita poche settimane fa da Regina Coeli, che, a quanto pare, ha fatto addirittura richiesta di entrare in Commissione antimafia, cioè una persona arrestata dall'antimafia, la DDA di Roma, entra in Parlamento e addirittura chiede di entrare in Commissione antimafia. Questo era quanto, per dovere di cronaca e di rettifica.

PRESIDENTE. Prendo atto della sua richiesta di rettifica. Se non vi sono ulteriori osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amici, Michele Bordo, Cicchitto, Dambruoso, Ferranti, Fontanelli, Garofani, La Russa, Manciulli, Marcon, Pes, Pisicchio, Rampelli, Sani, Valeria Valente e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente cento, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 6 luglio 2017, il deputato Luigi Lacquaniti, già iscritto al gruppo parlamentare Misto, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista.

La presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di aver ha accolto la richiesta.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative di competenza volte ad una più efficace tutela delle vittime del reato di stalking, anche alla luce della tragica vicenda della dottoressa uccisa a Val Vibrata di Sant'Omero, in provincia di Teramo - n. 2-01870)

PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Fabbri ed altri n. n. 2-01870 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Marilena Fabbri se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Sì, ha quindici minuti, prego.

MARILENA FABBRI. Grazie, Presidente. Grazie, sottosegretari Bubbico e Ferri. Come preannunciato dal Presidente, questa interpellanza prende spunto dal caso di cronaca, dal tragico caso di cronaca di Ester Pasqualoni, un'oncologa dell'ospedale Val Vibrata di Sant'Omero, in provincia di Teramo, che è stata uccisa nei giorni scorsi davanti all'ospedale, alla fine del suo turno di lavoro. Stava andando verso la sua auto, quando è stata aggredita dal killer, fuggito poi secondo alcuni testimoni a bordo di un'auto. L'aggressione è stata feroce: “L'hanno sgozzata, uno spettacolo straziante” hanno raccontato i colleghi accorsi attorno al corpo a terra. Poi, nei giorni successivi abbiamo letto, purtroppo, le cronache dei giornali.

La dottoressa ha lasciato due figli di 14 e 16 anni. A tal fine, auspico anche che il Senato possa al più presto approvare la norma, la legge sulla tutela degli orfani di crimini domestici, che in questo momento è ferma in Commissione giustizia.

Ad aspettarla, con in mano una roncola, c'era il suo assassino: un delitto premeditato, compiuto lucidamente. Nessuno ha potuto aiutare il medico che, prima di finire a terra in una pozza di sangue, ha chiesto aiuto. Il suo presunto omicida, Enrico Di Luca, è stato trovato suicida.

Negli ultimi anni la vittima lo aveva denunciato due volte, poiché la perseguitava dopo averla conosciuta, perché parente di una paziente della dottoressa Pasqualoni, per stalking. L'uomo – dice un'amica - la perseguitava da diversi anni, la osservava, la seguiva sempre e dappertutto. Si era intrufolato nella sua vita, non sappiamo neanche come, con artifici e raggiri; non era un suo ex, non avevano niente a che fare, era solo ossessionato da lei, dicono amici e conoscenti. Ester da tempo aveva paura, tanto che quasi mai, terminato il turno di lavoro, usciva dall'ospedale da sola, alla macchina si faceva accompagnare sempre da qualcuno; su Facebook aveva rimosso tutte le sue foto e pare vivesse in uno stato costante di angoscia. Questo, come sappiamo, è lo stato di paura e di angoscia in cui vivono gran parte delle donne che subiscono atti di stalking grave, con la minaccia di morte o con atteggiamenti appunto di grande ossessività e di grande interferenza nella vita privata. Le denunce effettuate, però, a quanto si apprende, si è appreso dalla stampa, erano state archiviate.

Al fine di assicurare una più adeguata protezione della vittima del reato, in seguito all'introduzione del reato di atti persecutori, il legislatore ha ravvisato l'opportunità di ampliare lo spettro delle misure cautelari coercitive, inserendo la nuova misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, misura che pare sia stata prevista anche per il Di Luca, ma poi revocata.

In questi casi - riteniamo insieme ai colleghi sottoscriventi l'interpellanza, ma non solo – occorrerebbe, altresì, garantire una formazione specifica interdisciplinare e capillare del personale di presidio e della magistratura inquirente. Sappiamo che in questi anni diversi corsi di formazione specifici sono stati svolti nei confronti di questi operatori delle forze dell'ordine e della giustizia, ma che questo non sia avvenuto ancora in modo capillare sul territorio, tant'è che dalle donne ci vengono ancora denunciati episodi in cui, di fronte alla denuncia, diciamo, si viene dissuase dal procedere.

Riteniamo anche che sia necessaria la creazione di nuclei specializzati sia presso gli organi di Polizia che presso gli uffici giudiziari, soprattutto di procura; che sulla base delle buone prassi già sperimentate sia necessario definire linee guida o protocolli di indagine e di azione da applicarsi sull'intero territorio nazionale, al fine di rendere effettiva, omogenea, efficace e soprattutto tempestiva la tutela preventiva delle vittime e la repressione dei reati di stalking e di violenza di genere, anche alla luce della gravità e della rilevanza che il fenomeno sta assumendo nel nostro Paese; l'attivazione, inoltre, di un registro elettronico delle denunce per stalking e di violenza di genere effettuate presso la Polizia giudiziaria, che vada a confluire in una banca dati in rete accessibile in tempo reale da parte degli operatori coinvolti (forze di Polizia e magistratura), presso il Ministero della giustizia e il Ministero dell'interno, al fine di garantire un adeguato monitoraggio delle iniziative e dei tempi di intervento a tutela delle vittime, nonché per proporre azioni positive correttive o integrative ed eventualmente, ove necessario, integrazioni di organico o dotazione di mezzi. Pensiamo, infatti, che vada definita meglio la filiera degli interventi e delle azioni che possono o debbano essere attivate in questi casi e soprattutto che non vadano lasciati soli gli operatori di Polizia che si trovano a dover accogliere donne impaurite dalle aggressioni o dalla minaccia di aggressioni e che vedono appunto modificare radicalmente la propria qualità e tempi di vita.

Chiediamo, quindi, se i Ministri interpellati, quelli della giustizia e dell'interno - e mi fa piacere che ci siano entrambi i sottosegretari, anche se solo uno risponderà -, non ritengano, anche in considerazione dei fatti esposti, di dover assumere ogni iniziativa di competenza per far piena luce sulla sostanziale inattività delle istituzioni nei confronti delle denunce fatte dalla donna che in seguito è stata barbaramente uccisa e che, purtroppo però, non riguarda solo il caso di Ester Pasqualoni. Inoltre, se non considerino opportuno quanto urgente mettere in campo tutte le iniziative necessarie, quali quelle indicate in premessa, e che prima in qualche modo elencavo in termini esemplificativi, per evitare il ripetersi di tali episodi e soprattutto supportare sia le forze dell'ordine che la magistratura inquirente.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la Giustizia, Cosimo Ferri, ha facoltà di rispondere.

COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Grazie, Presidente. Prendendo spunto da un recente caso di cronaca, con l'atto di sindacato in trattazione, gli onorevoli interpellanti chiedono quali strumenti siano stati predisposti per il contrasto alla violenza di genere, quali iniziative siano state assunte per garantire la specifica formazione del personale di magistratura e delle forze di Polizia e, infine, se sono ravvisabili colpevoli omissioni nella vicenda che ha portato alla morte violenta di una donna di Teramo ad opera di tale Enrico Di Luca.

Con riferimento al caso evocato, il procuratore della Repubblica di Teramo, interpellato in proposito, ha comunicato che le notizie di stampa riportate anche nell'interpellanza in esame, oggi illustrate, non rispondono al vero, non avendo mai la vittima presentato alcuna denuncia per atti persecutori consumati in suo danno. Secondo quanto rappresentato dalla competente autorità giudiziaria, l'unico procedimento iscritto dalla procura non era stato originato da una querela o da una denuncia della vittima, bensì da una segnalazione telefonica effettuata, il 5 aprile 2014, dalla persona offesa ai carabinieri, nel corso della quale i militari venivano informati della presenza di Di Luca Enrico che, con una telecamera, effettuava riprese dalla sua autovettura. Operato il sequestro della telecamera ad iniziativa della Polizia giudiziaria, successivi approfondimenti delle indagini portavano ad escludere che fossero state effettuate riprese della donna, che comunque non formalizzava alcuna denuncia. In considerazione dell'esito degli accertamenti ed in assenza di querela della persona offesa, il procedimento penale era stato archiviato.

La procura di Teramo ha altresì comunicato che, solo nel corso degli approfondimenti seguiti all'omicidio della signora, ha accertato come, su istanza presentata dalla stessa per atti persecutori il 24 gennaio 2014, il questore di Teramo, in data 30 gennaio 2014, aveva emesso un provvedimento di ammonimento nei confronti di Enrico Di Luca, con successivo ritiro cautelativo delle armi dallo stesso detenuto, circostanza confermata dal Ministero dell'interno. Alla luce delle informazioni acquisite ed in assenza di successivi elementi o ulteriori segnalazioni della persona offesa, che potessero evidenziare una situazione di concreto ed attuale pericolo per l'incolumità, non sembrano ravvisarsi allo stato, e salve nuove emergenze, profili di colpevole inerzia da parte delle competenti istituzioni nella tutela della vittima.

Così ricostruita la vicenda specifica, preme evidenziare più in generale che il tema del contrasto alla violenza di genere occupa da sempre un ruolo prioritario per il Governo, per il Ministero della giustizia, e ringrazio anche il Vice Ministro Bubbico, che è qui presente, per il Ministero dell'interno. È evidente che di fronte a casi di questo genere, a morti dovute a comportamenti violenti, tutti noi si debba riflettere e capire come si possa agire di più, non solo nella fase della repressione, ma anche in quella della prevenzione, proprio per evitare questi comportamenti. Quindi il punto è quello di fornire mezzi a tutte le autorità, di creare una rete, e cercare davvero di tutelare la persona offesa anche in sede preventiva, per evitare questi tragici episodi, di fronte ai quali, è chiaro, c'è dolore, forte dolore, e il primo sentimento è quello di unirci anche a tutti i familiari delle vittime.

Quindi questo è il punto! Del resto, c'è una sentenza della CEDU di pochi mesi fa, che introduce un obbligo in positivo da parte dello Stato, proprio di intervenire in sede di prevenzione per evitare la morte; anche la CEDU ha fissato di nuovo un principio forte, che tutti gli Stati sono tenuti a rispettare; e sul quale devo dire il nostro Paese ha fatto molto, farà ancora molto, ma siamo davvero fra i Paesi che in Europa più lavorano su questi temi, e tutta una serie di interventi che sono stati decisi danno atto dell'impegno non solo del Governo, ma di tutto il Parlamento.

Il nostro ordinamento, soprattutto negli ultimi anni, si è infatti progressivamente affinato, grazie a numerosi interventi legislativi che hanno rafforzato gli strumenti di tutela per le vittime. In particolare, si è intervenuti sull'articolo 612-bis del codice penale, adeguando i limiti di pena alla gravità del fatto e rendendo applicabile ai responsabili, ove ne ricorrano le condizioni, anche le più gravi misure cautelari personali. Ricordiamo tutti l'intervento normativo in tema di custodia cautelare in carcere, approvato da questo Parlamento, e anche l'applicazione di questa misura ai reati di cui all'articolo 612-bis quando si parla di custodia cautelare in carcere.

Sempre sul versante processuale, si è intervenuti escludendo il reato di atti persecutori dal novero di quelli in relazione ai quali è possibile applicare l'istituto del proscioglimento per particolare tenuità del fatto. Nella prospettiva di affinare ulteriormente il sistema di tutela, sempre nel 2013 sono state introdotte misure di prevenzione, quali l'ammonimento, finalizzato all'anticipazione della tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica.

Tale strumento preventivo è stato diffusamente applicato, come emerge dai dati comunicati dal Ministero dell'interno, e nel periodo 2011-2016 sono stati emessi complessivamente 6.400 provvedimenti. In questa sede desidero ringraziare tutti i questori, i funzionari e il personale della Polizia di Stato che lavora su questi provvedimenti, e quindi rende efficace anche la tutela preventiva con queste misure che sono state introdotte normativamente.

Ulteriori prospettive su tale fronte si aprono con il progetto di riforma del codice antimafia attualmente in discussione in Parlamento, che prevede tra l'altro l'applicazione, anche ai soggetti indiziati del delitto di atti persecutori, delle misure di prevenzione personali più incisive. Sempre l'obiettivo di tutelare i soggetti più deboli ha ispirato ulteriori recenti iniziative normative del Governo, attraverso le quali si è inteso delineare un vero e proprio statuto delle persone vulnerabili, attraverso una disciplina generalizzata per la protezione, l'assistenza e la tutela di ogni persona offesa dal reato. In attuazione della direttiva “vittime di reato”, il decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015, in vigore dal 20 gennaio 2016, ha infatti apprestato un adeguato apparato difensivo per tutte le vittime di reato, soprattutto le più vulnerabili; sistema ulteriormente affinato con l'adozione del decreto legislativo n. 122 del 2016, che ha istituito un fondo destinato al ristoro patrimoniale delle vittime di reati intenzionali violenti. E tra l'altro su questo fondo occorre precisare che, nella legge europea anche in corso di discussione, reinterverremo, e cercheremo di sanare una questione che si era creata, da quando far decorrere la possibilità di accedere al fondo, e quindi si farà anche per tutto quello che è antecedente al 2005; si fissa e si retrodata anche la tutela, perché c'era un vuoto normativo; così come sempre sul Fondo di rotazione stiamo lavorando, insieme al Parlamento, per cercare di eliminare i limiti di reddito, e quindi c'è un emendamento anche in questo senso alla legge europea. Il Ministero della giustizia col MEF sta cercando di eliminare anche questi limiti, e quindi di rendere ancora più accessibile il Fondo di rotazione alle vittime; così come le altre novità normative, con la legge stabilità del 2017 abbiamo riconosciuto un serio ristoro, e quindi non un maggior ristoro ma un serio ristoro, ai doppiamente orfani a carico del Fondo vittime, e sono in corso di approvazione i decreti ministeriali giustizia e MEF. C'è poi la proposta di legge sugli orfani di crimini domestici, che è al Senato in Commissione, e tutto quello che riguarda anche le garanzie patrimoniali che devono essere adeguate per le vittime con sequestro chiesto dal PM per i beni dell'omicida. Quindi tutti provvedimenti sui quali stiamo lavorando, per tenere sempre alta l'attenzione e dare una risposta efficace.

Sono state inoltre adottate azioni specificatamente volte ad incoraggiare le vittime vulnerabili, e soprattutto le donne, a denunciare i reati consumati in loro danno. Anche l'esperienza di Teramo lo insegna: dalla ricostruzione che ci ha fatto il procuratore della Repubblica, ci fu una telefonata finalizzata alla telecamera che fu prontamente sequestrata, ma poi non fu presentata una denuncia dalla signora (almeno questo risulta da quello che ha detto il procuratore). Questo deve far riflettere, perché noi dobbiamo cercare di intervenire per tutelare la vittima; e anche nel momento e nei primi segnali di pericolosità di alcuni comportamenti da parte della vittima, noi dobbiamo aiutare le donne in difficoltà, dobbiamo proteggerle, dare loro degli strumenti per anche incoraggiarle a rivolgersi alla rete, ai centri di ascolto, all'autorità giudiziaria, alle forze di Polizia sempre più specializzate.

In particolare, merita di essere ricordata l'adozione generalizzata del Progetto “Codice Rosa Bianca” che - già in corso di sperimentazione con il patrocinio dei Ministeri della giustizia e della salute e con la cooperazione istituzionale tra Asl, forze di Polizia e procure della Repubblica - intende assicurare un accesso privilegiato alle cure sanitarie di quanti abbiano subìto maltrattamenti ed abusi.

Con il medesimo obiettivo di delineare un sistema di tutela ad ampio spettro che abbia una connotazione multidisciplinare e che non si esaurisca nella sola risposta repressiva, come la specificità dell'odioso fenomeno della violenza di genere impone, è stato adottato, con DPCM del 7 luglio 2015, il piano d'azione straordinario finalizzato alla prevenzione del fenomeno. In tale ambito è prevista una capillare rete informativa tra forze dell'ordine, presidi sanitari e istituzioni pubbliche. È stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento delle pari opportunità un numero verde nazionale a favore delle vittime degli atti persecutori per un servizio di pronta e prima assistenza psicologica e giuridica. Presso l'Arma dei carabinieri è prevista un'apposita sezione con competenze specifiche e sono stati inoltre istituiti i Fondi di solidarietà a livello territoriale e sportelli di tutela. Particolare attenzione è stata poi riservata al tema della formazione e quanto al personale della magistratura, diversi uffici giudiziari requirenti, tra i quali la stessa Procura della Repubblica di Teramo, hanno istituito gruppi di lavoro specializzati nella tutela delle fasce deboli. Inoltre la Scuola superiore della magistratura assicura ormai da tempo periodiche attività formative e di approfondimento della materia in discussione. Quanto alle forze dell'ordine, sono da tempo operative - ringrazio davvero, di nuovo, l'Arma dei carabinieri, la polizia di Stato e tutte le forze dell'ordine impegnate in questo settore - unità specificamente dedicate alla lotta contro questa forma di criminalità ed è stato altresì intensificata la formazione multidisciplinare degli operatori.

Il complesso delle iniziative illustrate testimonia la costante, effettiva, attenzione riservata alla violenza di genere e anche in questa sede preme dissipare ogni dubbio sul tema che in questi giorni ha agitato il dibattito pubblico circa un presunto indebolimento del sistema delle tutele a seguito dell'approvazione della legge di riforma del processo penale. La strada è, quindi, quella dell'attenzione, della determinazione, di fare passi in avanti e non indietro su una materia che interessa tutti, che davvero si dia un segnale di sicurezza alle tante donne non solo vittime, ma anche a tutte quelle donne che sono vittime e la loro vulnerabilità non emerge a volte anche per la paura di denunciare, la paura di parlarne con qualcuno, il fatto di voler tenere nascoste alcune sofferenze. Quindi, diamo voce a tutte queste persone che hanno bisogno di un intervento forte dello Stato.

PRESIDENTE. La deputata Fabbri ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza. Le ricordo che ha dieci minuti.

MARILENA FABBRI. Grazie Presidente. Grazie sottosegretario Ferri per la sua risposta particolarmente circostanziata e puntuale. Condivido il fatto che in questi anni grandissimi passi in avanti sono stati fatti sul piano normativo proprio per contrastare, anche dal punto di vista culturale, questo odioso fenomeno. Credo che alcune criticità permangano. La prima è quella che, nonostante le azioni messe in campo, che lei ricordava, sia di formazione, che di costituzione di sezioni speciali anche presso i carabinieri o presso la magistratura, ci sia ancora nelle donne una percezione di insicurezza. Quindi dico percezione, magari appunto che non corrisponde al vero in moltissimi casi, che poi porta a non denunciare, come è stato evidenziato in questo caso. Quindi ancora un grandissimo lavoro è sicuramente da fare rispetto al fatto di divulgare che l'atteggiamento delle nostre istituzioni, presenti capillarmente sul territorio, è letteralmente diverso da quello che è stato nel passato, che c'è un atteggiamento di accoglimento e di accoglienza di chi denuncia ai diversi livelli e tipologie di istituzioni a cui ci si rivolge e che è necessario denunciare per ricevere protezione.

Purtroppo ancora molte donne ritengono che denunciare determini un peggioramento della loro situazione di persecuzione e non l'apertura di una porta di tutela, di protezione e di uscita da un incubo. Quindi, credo che su questo noi dobbiamo ancora lavorare; nella nostra interpellanza infatti indicavamo alcune azioni positive proprio perché pensiamo che sul piano normativo sia stato fatto tantissimo, moltissimo, per tutelare le vittime, tutte, non solo quelle di violenza (lei ricordava i decreti legislativi conseguenti alle direttive europee), ma che sia assolutamente necessario monitorare che poi queste norme trovino effettivamente applicazione e che chi è demandato a offrire accoglienza e tutela alle vittime di stalking e di violenza domestica abbia effettivamente tutti gli strumenti a sua disposizione per farlo, sia in termini di personale, di personale formato, e anche eventualmente di azioni che ad oggi non abbiamo pensato, ma che potrebbero essere invece necessarie mettere in campo a tutela delle vittime di stalking e di violenza, proprio per evitare che poi si trasformino in violenza o in violenza domestica. Per il momento la ringrazio e mi ritengo soddisfatta delle risposte e delle azioni che sono state messe in campo.

(Iniziative volte alla concessione della ricompensa al valore civile in favore dell'avvocato Paladino, deceduto nel 2013 a Palinuro mentre prestava soccorso ad alcuni bagnanti - n. 2-01846)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Sarro e Occhiuto n. 2-01846 (Vedi l'allegato A). Chiedo al deputato Sarro se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

CARLO SARRO. Grazie Presidente. Signor rappresentante del Governo, con la mia interpellanza ho ricostruito la triste vicenda avvenuta l'11 agosto del 2013 e che ha visto come protagonista l'avvocato Giuseppe Paladino che proprio quel giorno si recava con la famiglia a Palinuro, una nota località turistica della provincia di Salerno, per trascorrere una tranquilla domenica al mare. Giunto sulla celebre spiaggia delle Saline nel comune di Centola si accorgeva che, nonostante la bandiera rossa segnalasse il divieto di balneazione, un ragazzo ed una ragazza, entrambi giovanissimi, erano entrati in acqua e trascinati al largo dalle correnti non riuscivano più a tornare a riva proprio perché ostacolati dalle onde altissime. Senza esitare un attimo, l'avvocato si tuffava riuscendo a portare in salvo la ragazza e immersosi nuovamente tentava di raggiungere anche il ragazzo, ma colto da improvviso malore era costretto a fermarsi a metà percorso. Lanciato l'allarme dai bagnanti che assistevano alla drammatica scena, numerosi soccorritori, bagnini e volontari, tentavano di salvare il valoroso professionista che ormai non più cosciente affondava e riaffiorava tra i flutti violenti di un mare sempre più agitato.

Trasportato a fatica in spiaggia, all'avvocato Paladino veniva praticato il massaggio cardiaco in attesa dei sanitari del 118, ma purtroppo, dopo qualche minuto, spirava per asfissia da annegamento.

Chi era l'avvocato Paladino? Io ho avuto il privilegio di conoscerlo e di apprezzarne tutte le straordinarie qualità umane. Uomo coltissimo, forbito nel suo linguaggio, grande cultore del diritto e della scienza giuridica, era un uomo di straordinaria generosità ed altruismo come testimonia questo gesto col quale ha sacrificato la sua vita, cioè il bene più prezioso che ciascuno di noi ha e non ha esitato a farlo rispetto a due persone estranee, persone che peraltro lui non conosceva, resosi conto della condizione di imminente pericolo nella quale si trovavano. È stato un figlio, un marito e un padre esemplare. Ha lasciato alla sua famiglia questo ricordo straordinario di una persona davvero di altissima qualità. Alla moglie Monica, ai figli Jacopo e Giuseppe, peraltro nato dopo la sua morte, credo che tutti noi dobbiamo molto. Come dobbiamo ai suoi genitori, ai suoi fratelli, alla sua sorella.

Dobbiamo un riconoscimento, che è testimonianza non solo dell'apprezzamento per il gesto eroico compiuto, ma anche l'indicazione di un esempio civico che deve essere additato a tutti, soprattutto alle giovani generazioni, per indicare davvero che cosa significhi vivere la vita secondo valori. E Pino Paladino era una persona che dei valori aveva fatto proprio patrimonio ed esperienza di vita, non solo come attento e qualificato professionista: lui, nato a Sala Consilina, aveva sempre avuto come suo modello di riferimento quello straordinario conterraneo, che era stato un autentico monumento alla scienza giuridica, Alfredo De Marsico, e su quella tradizione aveva voluto intraprendere la carriera professionale, risultando da subito tra i più brillanti apprezzati protagonisti del foro, e aveva anche manifestato sempre una grandissima attenzione verso il sociale. Voglio ricordare che, appena tre anni prima del suo decesso, si era reso protagonista in Puglia di un altro salvataggio verso dei giovani che erano in difficoltà, sempre in mare, ed era una persona che della generosità aveva proprio fatto la cifra distintiva della sua vita.

Era, tra l'altro, uno dei più attivi protagonisti di una associazione no profit, FRATRES, per la donazione del sangue, i volontari donatori di sangue, quindi aveva continuamente, costantemente e coerentemente espresso nella sua vita la fedeltà e l'aderenza a questi valori.

Da subito questo episodio ha suscitato nell'opinione pubblica una eco vastissima, ma anche tanti riconoscimenti che sono, per così dire, spontaneamente stati offerti alla sua famiglia, io voglio ricordarne soltanto brevemente alcuni tra i più significativi: innanzitutto, il 24 gennaio del 2014, a Roma, in occasione dell'ottava Conferenza nazionale dell'Avvocatura, il Consiglio nazionale forense ha consegnato alla famiglia dell'avvocato una targa quale segno di vicinanza di tutta l'Avvocatura italiana, e alla vedova Monica e ai figli, precedentemente, era stata conferita alla memoria la Toga d'oro; ancora, il presidente della Croce Rossa, il 16 febbraio del 2014, conferiva la medaglia d'oro al merito e il 24 agosto dello stesso anno, sempre alla vedova e ai figli, veniva consegnato il premio Fratelli del mare, consistente in una targa alla memoria, dal Presidente dell'Associazione nazionale marinai d'Italia; il 4 giugno del 2016, si è tenuta la cerimonia nella quale, per la prima volta, è stato conferito il premio a lui intitolato, appunto Pino Paladino, consegnato dal presidente nazionale forense, l'avvocato Andrea Mascherin, all'avvocato che, nell'ultima sessione di esame, ha superato con il voto più alto l'esame di abilitazione professionale. Tutto questo a dimostrazione di come, spontaneamente, da parte della società civile, da parte del mondo dell'associazionismo, da parte della classe forense, che orgogliosamente ha rivendicato l'appartenenza di una figura così eroica tra le proprie fila, sono state manifestate queste attestazioni.

E stupisce che lo Stato, rispetto ad uno dei suoi figli migliori, ancora non abbia provveduto, nonostante la tempestività con la quale, tanto il comune di Sala Consilina, che è il comune di origine dell'avvocato Paladino, quanto il comune di Centola, nel cui territorio sono accaduti i fatti cui ho fatto cenno precedentemente, avevano tempestivamente inoltrato al prefetto di Salerno la richiesta per il riconoscimento della medaglia al merito civile e sebbene siano trascorsi quattro anni dai fatti ed anche dalla formalizzazione della richiesta, ancora nulla è stato comunicato in ordine all'esito del procedimento alla famiglia e alle comunità che attendono di sapere se lo Stato intende conferire questo riconoscimento e, soprattutto, per quali ragioni, ad oggi, ancora nessuna notizia, nessuna informazione sia stata fornita.

Il tutto lascia francamente sorpresi e per molti versi anche stupiti, perché quasi quotidianamente noi ascoltiamo invocazioni, appelli, esortazioni alla solidarietà, ai valori del civismo, esortazioni che vengono pronunciate dalle più alte cariche dello Stato, ma, potremmo dire, a cascata su tutti i territori e in tantissime occasioni, Ebbene, di fronte ad una manifestazione di altissimo senso civico, di fronte ad una espressione così autentica e così straordinaria di generosità, davvero sconcerta che ancora lo Stato non abbia provveduto a tributare un meritato e, a questo punto, anche non più differibile riconoscimento.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro dell'Interno, Filippo Bubbico, ha facoltà di rispondere.

FILIPPO BUBBICO, Vice Ministro dell'Interno. Grazie, signor Presidente. Come ha ricordato l'onorevole Sarro, l'avvocato Paladino è stato protagonista di un gesto eroico, intervenendo nel tentativo di soccorrere in mare del persone in difficoltà e perdendo la vita.

L'avvocato Paladino, all'epoca dei fatti, era sposato e padre di un ragazzo di otto anni, l'altro è sopraggiunto, ed era uno stimato professionista di Sala Consilina, molto conosciuto in zona anche per il suo impegno come volontario in un'associazione no profit, come è stato ricordato.

La sua vicenda avuto un'amplissima eco sugli organi di stampa, che hanno evidenziato il coraggio, l'altruismo e l'elevato valore civico del gesto da lui compiuto nel tentativo di salvare il mare alcuni bagnanti in difficoltà per le avverse condizioni del mare, presso la spiaggia delle Saline nel comune di Centola, l'11 agosto 2013.

A seguito del fatto, su segnalazione del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, la prefettura di Salerno ha avviato il procedimento per il riconoscimento della distinzione onorifica al valore civile e alla memoria dell'avvocato Paladino. A conclusione dell'istruttoria, la prefettura, ritenendo la condotta dell'avvocato meritevole del riconoscimento in relazione alla sua esemplarità e virtuosità, ha trasmesso la proposta di conferimento della distinzione onorifica ai competenti uffici del Ministero dell'Interno per il successivo esame da parte della Commissione per la concessione delle ricompense al valore e al merito civile, il cui parere è obbligatorio, salvo in casi eccezionali.

Ricordo che tale Commissione, presieduta da un prefetto e composta da un senatore e da un deputato designati dai Presidenti delle rispettive Assemblee, oltre che da rappresentanti di varie amministrazioni dello Stato, era stata soppressa dall'articolo 12 del decreto-legge n. 95 del 2012, unitamente a una serie di altri organismi collegiali. Dopo un lungo periodo di in attività, essa è stata ricostituita nel secondo semestre 2015, a seguito della pronuncia con cui il Consiglio di Stato, accogliendo le argomentazioni formulate dall'Amministrazione dell'Interno, aveva manifestato l'avviso che potesse continuare a svolgere la propria attività di consulenza. Nel periodo di forzata inattività si è accumulata un'imponente giacenza, formata da tutte le proposte ancora in istruttoria al momento della soppressione dell'organo collegiale e dalle ulteriori numerosissime richieste nel frattempo pervenute. La Commissione sta, quindi, procedendo ad esaminare progressivamente l'arretrato, partendo dalle istanze maggiormente risalenti nel tempo.

In questo contesto, posso informare gli onorevoli interroganti che, nella seduta di ieri, la Commissione ha valutato positivamente la richiesta di ricompensa al valore civile e alla memoria dell'avvocato Paladino, ai fini della successiva proposta del Ministero dell'Interno al Presidente della Repubblica.

E quindi mi piace comunicare che questa istanza si è conclusa positivamente e che il gesto di assoluto eroismo e di grande generosità compiuto dall'avvocato Paladino, verrà segnalato attraverso questo riconoscimento, perché il suo gesto possa essere ricordato, possa essere apprezzato, possa essere valorizzato.

PRESIDENTE. Il deputato Sarro ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

CARLO SARRO. Signor Presidente, naturalmente apprendo con grande soddisfazione l'informazione del signor Viceministro a proposito della ripresa e della conclusione, almeno del procedimento istruttorio e di proposta finale, del conferimento dell'onorificenza, sia pure un po' tardivamente, per le ragioni che abbiamo comunque appreso di soppressione dell'organo consultivo che avrebbe dovuto pronunciarsi sulla la relativa proposta.

Naturalmente apprendo con grande soddisfazione questa informazione, ricordando che secondo la legislazione vigente, per l'esattezza la legge n. 13 del 1958, i destinatari del conferimento sono quei cittadini che abbiano esposto la propria vita a manifesto pericolo per salvare persone esposte a loro volta di imminente e grave pericolo. Questo per premiare atti di eccezionale coraggio che manifestano preclara virtù civica e segnalarne gli autori come degni di pubblico onore. Credo che davvero oggi, apprendendo questa notizia, possiamo ritenere che anche le finalità previste dalla legge siano perseguite. Credo che questo riconoscimento, e anche l'apprezzamento pubblico solenne da parte dello Stato, sia dovuto in primo luogo alle comunità che hanno espresso questo straordinario cittadino, alla classe forense, che orgogliosamente rivendica appunto l'appartenenza alle proprie fila dell'avvocato Paladino, ma anche alla sua famiglia - e colgo l'occasione per salutare i familiari che sono presenti in tribuna e assistono ai nostri lavori - e in particolar modo ai figli, ai giovani figli dell'avvocato Paladino, e soprattutto perché credo che questo sia un atto dovuto alla sua memoria.

(Iniziative volte a favorire politiche di inclusione e integrazione tra richiedenti asilo e comunità locali, anche alla luce dell'esperienza del CAS “la Vincenziana” di Magenta - n. 2-01861)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Prina ed altri n. 2 -01861 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Prina se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

FRANCESCO PRINA. Presidente, signor Viceministro, questa interpellanza parte da un avvenimento realmente accaduto, per conoscere le intenzioni, i progetti e le indicazioni future che il Ministero dell'Interno impartirà alle prefetture per raggiungere gli obiettivi di integrazione e di inclusione sociale dei rifugiati ospiti nei centri di accoglienza straordinaria.

Infatti, martedì 20 giugno, in occasione della giornata mondiale del rifugiato, avrebbe dovuto svolgersi presso il centro di accoglienza straordinario CAS “la Vincenziana” di Magenta un'iniziativa culturale di festa promossa da alcune associazioni del territorio e patrocinata dall'amministrazione comunale, allo scopo di coinvolgere la cittadinanza sui temi dell'accoglienza, dell'integrazione e dell'inclusione. Questa festa non si è potuta tenere presso la struttura che da due anni ospita i richiedenti asilo, in quanto la prefettura di Milano ha negato alla cooperativa che gestisce il CAS i permessi necessari, obbligando gli organizzatori a trovare in tempi rapidi un'altra sede nelle strutture parrocchiali.

La festa si è svolta nell'oratorio della parrocchia, ma essendo il 20 giugno giornata di Ramadan, molti ragazzi ospiti non hanno porto tutto partecipare, e questo è stato certamente un limite alla festa, che doveva svolgersi come conclusione di un percorso che le associazioni di volontariato e le Caritas del territorio avevano organizzato durante questi due anni. Questa era una festa conclusiva di un percorso, di un percorso molto positivo di coinvolgimento del territorio.

Allora si porta a conoscenza del Ministro che già nei mesi scorsi, espletati gli adempimenti burocratici previsti dalla legge e dai regolamenti di istituto, la predetta cooperativa che gestisce il CAS e alcuni studenti del liceo “Salvatore Quasimodo” di Magenta avevano svolto all'interno del centro di accoglienza speciale, e solo negli ambienti comuni destinati alla formazione, attività di alfabetizzazione e di educazione multiculturale con i giovani ospiti richiedenti asilo.

È doveroso puntualizzare che il fine di integrazione del progetto perseguito dalla scuola e dalla cooperativa non può essere messo a confronto con quello di iniziative aventi uno scopo essenzialmente ispettivo svolte all'interno del CAS da altre forze politiche.

È altresì importante informare il Ministero che, senza un intervento chiarificatore sul tema, difficilmente potranno essere attivati nei locali del CAS, nell'ambito del percorso di alternanza scuola-lavoro, i progetti di alfabetizzazione che gli studenti e i docenti del liceo vorrebbero avviare già dal prossimo anno scolastico. Si fa inoltre presente che l'agenzia ONU per i rifugiati ha attivato, proprio in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, una campagna apposita con l'intento di rafforzare l'incontro tra comunità locali, rifugiati e richiedenti asilo, al fine di promuovere la conoscenza reciproca, a cui si lega in piena sintonia l'iniziativa in questione. Viceministro, questa interpellanza è presentata soprattutto per conoscere le intenzioni future, anche se quanto è avvenuto fa riflettere sul perché è stata negata questa possibilità di svolgere la festa all'interno delle strutture del CAS. Forse ciò è avvenuto per una mancanza di tempo, tempo dovuto all'organizzazione della festa e alla prefettura per capire l'articolazione precisa della festa stessa. L'interpellanza vuol sapere quali sono le intenzioni del Ministero in futuro, e se sia intenzione del Ministero interpellato intervenire presso le prefetture al fine di semplificare le procedure di autorizzazioni legate ad attività promosse in collaborazione tra i gestori del CAS e la società civile, per garantire ed incentivare iniziative nelle sedi di accoglienza come quella descritta in premessa al fine di favorire le politiche di inclusione e di integrazione tra i richiedenti asilo e le comunità locali.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro dell'Interno, Filippo Bubbico, ha facoltà di rispondere.

FILIPPO BUBBICO, Vice Ministro dell'Interno. Signor Presidente, voglio subito dire che l'accesso alle strutture di accoglienza per i richiedenti asilo è consentito a tutti i soggetti indicati nel decreto legislativo n. 142 del 2015, tra cui sono ricompresi anche enti o associazioni che operano nel campo della tutela dei rifugiati, secondo le modalità e le direttive emanate dall'Amministrazione dell'Interno volte a chiarire i diversi aspetti del procedimento autorizzatorio, e fatte salve in ogni caso le limitazioni giustificate dalla necessità di garantire la sicurezza dei locali e dei richiedenti asilo presenti nel centro.

In ordine al fatto da cui trae spunto l'interpellanza, riferisco che, il 7 giugno scorso, il responsabile del centro di Magenta ha inviato alla prefettura di Milano una generica istanza di accesso in favore di soggetti terzi presso la struttura. In risposta alla richiesta della prefettura di dettagliare l'istanza, il 16 giugno il responsabile del centro ha inviato il programma di una iniziativa, che si sarebbe protratta anche nelle ore serali, articolata in un aperitivo e in una mostra multimediale ideata dagli ospiti del centro medesimo in collaborazione con gruppi scout, l'AGESCI, e l'intero liceo classico “Salvatore Quasimodo” nelle sue componenti di alunni e di docenti.

L'iniziativa, alla quale avrebbe dovuto partecipare un elevato numero di persone, associazioni e organizzazioni del privato-sociale, aveva lo scopo di facilitare la reciproca conoscenza tra gli ospiti del centro e la cittadinanza magentina. Atteso il ridotto preavviso dell'istanza presentata dal gestore del centro di accoglienza per una iniziativa complessa che avrebbe potuto anche ingenerare turbative per l'ordine pubblico, considerato che la normativa attuale prevede limiti all'ingresso di soggetti terzi alle strutture in questione, la prefettura non ha potuto rilasciare la prescritta autorizzazione per la data richiesta, assicurando al gestore che l'istanza sarebbe stata istruita in modo da consentire lo svolgimento dell'iniziativa in altra data e, a tal fine, l'istanza medesima è stata già inviata al Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione per le valutazioni di competenza. Questo è quanto ci riferisce la prefettura di Milano. Da questi fatti non emerge una macchinosità delle procedure di autorizzazione in vigore, né, sotto il profilo sostanziale, rileva una mancanza di attenzione alle attività di integrazione dei richiedenti asilo ospitati nel centro di Magenta, posto che la prefettura di Milano si è limitata esclusivamente ad una rigorosa applicazione della normativa e della prassi in tema di accesso a strutture, le cui delicate caratteristiche richiedono l'adozione di idonee accorgimenti e misure preventive.

Per passare ora ai profili di politica migratoria di portata più generale evidenziati nell'atto di sindacato ispettivo, rilevo che, in questi mesi, il Governo sta portando avanti con determinazione, in piena sintonia con l'ANCI, un percorso di accoglienza diffusa. Questa scelta strategica, oltre a garantire una significativa riduzione dell'impatto che il massiccio arrivo di migranti è suscettibile di avere sul territorio, mira a favorire l'efficacia dei percorsi di integrazione e inclusione sociale auspicata esattamente dagli onorevoli interpellanti. In questo ambito, ricordo che proprio la prefettura di Milano si è resa promotrice, nello scorso mese di maggio, di un innovativo protocollo d'intesa con la città metropolitana e i comuni delle zone omogenee. Tale iniziativa ha saputo realizzare un elevato coinvolgimento delle autonomie locali nei processi di accoglienza e integrazione dei migranti e per questo costituisce un modello assunto a riferimento a livello nazionale. Sempre in tema di integrazione, informo che è in corso di avanzata elaborazione da parte del Ministero dell'interno, in collaborazione con tutte le amministrazioni a diverso titolo competenti, il piano nazionale per l'integrazione indirizzato ai titolari di protezione internazionale, i cui benefici potranno essere estesi anche ai cittadini stranieri ad altro titolo residenti in Italia. Il piano, che verrà adottato presumibilmente nel corso di questo mese, individua una scala di priorità di misure e strumenti specifici che supportino l'integrazione dei titolari di protezione internazionale in vari contesti, quali l'inserimento socio-lavorativo, l'accesso all'assistenza sanitaria e sociale, l'alloggio e la residenza, il ricongiungimento familiare, la formazione linguistica, l'istruzione, il riconoscimento dei titoli e il dialogo interreligioso. L'integrazione è dunque un tema sul quale sono concentrati gli sforzi del Governo, un tema rispetto al quale si gioca anche un altro aspetto di vitale importanza per il futuro del Paese, ossia la sicurezza. Per concludere, l'iniziativa proposta aveva sicuramente un grande significato e avrebbe manifestato una grande efficacia in termini di conoscenza, di integrazione, di dialogo tra i migranti e la comunità ospitante. Peccato che dalla tempistica non sia risultata adeguata a rendere possibile un evento positivo, prezioso, virtuoso che noi ci auguriamo possa proporsi in futuro.

PRESIDENTE. Il deputato Prina ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

FRANCESCO PRINA. Grazie, Presidente. Ringrazio il Viceministro per la risposta molto ben articolata e approfondita. La ringrazio veramente e sono soddisfatto. Vorrei puntualizzare qualche argomento. Anzitutto riteniamo che il diniego del permesso da parte della prefettura davvero sia imputabile al poco tempo della richiesta che non ha consentito di fornire dettagli sull'iniziativa. Certo, tuttavia lei acconsentirà che il 20 giugno era la giornata del profugo mondiale per l'ONU ed era la serata importante per fare la festa che rappresentava lo scopo di un cammino perseguito dalle associazioni di volontariato sul territorio. Vorrei dirle che il territorio dell'est Ticino, rispetto all'argomento, è davvero mobilitato. Sono mobilitate le associazioni e i volontariati, le istituzioni, i comuni, le parrocchie e il lavoro è davvero molto grande e molto impegnativo. Evidentemente, la polemica politica non aiuta questo lavoro e soprattutto determinate forze politiche spingono sui giornali e sui media questa polemica che certamente non aiuta ma, al di là di queste polemiche, il volontariato, il terzo settore, sia cattolico sia laico, è davvero molto impegnato per raggiungere gli obiettivi di inclusione e di integrazione sociale che sono anche gli obiettivi soprattutto di questo Ministero. Vorrei concludere l'espressione della mia soddisfazione per la risposta del Viceministro con il plauso alla politica ministeriale di accoglienza diffusa che ci trova altresì impegnati per il raggiungimento dell'obiettivo. Oltre all'accoglienza diffusa e sostenibile dello SPRAR, sul nostro territorio vi è il centro di accoglienza straordinaria. Evidentemente, questo è un approccio molto diverso dall'accoglienza diffusa. L'invito è proprio a fare passi ulteriori per risolvere al più presto la problematica dei centri di accoglienza straordinaria. Le assicuro però tutta la collaborazione del terzo settore e del volontariato e di coloro che ritengono l'inclusione sociale e l'integrazione sociale dei richiedenti asilo uno degli obiettivi prioritari per il futuro dei territori e anche per il futuro della nostra nazione. Quindi, per davvero la ringrazio per la risposta che ha dato e, oltre al ringraziamento, aggiungo il plauso all'estremo impegno del Ministero rispetto al tema dell'immigrazione.

(Iniziative volte a favorire la compensazione del minor gettito derivante ai comuni dalla riduzione delle imposte IMU, TARI e TASI per gli iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (Aire) – n. 2-01864)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Romanini ed altri n. 2-01864 (Vedi l'allegato A). Chiedo all'onorevole Romanini se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Ha a disposizione quindici minuti.

GIUSEPPE ROMANINI. Grazie Presidente, signor Viceministro, come lei sa, a decorre dal 2015, la legge n. 80 del 2014 recante Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015, ha assimilato all'abitazione principale, ai fini dell'esenzione dal pagamento dell'IMU, una sola unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all'AIRE, già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata o data in comodato d'uso. Il comma 2 dello stesso articolo ha previsto che sulla medesima unità immobiliare le imposte comunali TARI e TASI siano applicate, per ciascun anno, in misura ridotta di due terzi. Con il provvedimento del 2014 il Governo, accogliendo in sede di conversione una modifica di origine parlamentare, ha voluto equiparare a prima casa l'immobile posseduto in Italia dai pensionati all'estero.

Gran parte di costoro, dunque, non è più costretta a pagare, come seconda casa, l'unico immobile che possiede in Italia. Inoltre, come ho detto, anche le tasse sui rifiuti sono diminuite consistentemente, in ragione del fatto che si tratta di cittadini che vivono in Italia per periodi molto brevi e dunque producono anche pochi rifiuti. È una norma che dà una mano a tutti quei connazionali che con il lavoro all'estero, spesso durissimo, si sono costruiti la loro abitazione a casa; dimostra sensibilità sociale nei loro confronti e ha l'obiettivo, sacrosanto, di incentivarli a mantenere un legame con il nostro Paese, insomma una buona norma, una norma di civiltà.

A fronte di ciò, però, la stessa legge ha previsto, per compensare i comuni del mancato gettito, il riparto di un contributo pari a 6 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015 e qui sta il problema, che abbiamo voluto segnalare e che si è appalesato solo pochi giorni fa, quando con decreto del Direttore centrale della finanza locale del Ministero dell'interno, decreto del 19 giugno, è stato disposto il riparto tra i comuni del contributo dei 6 milioni a ristoro dei minori gettiti di IMU, Tari e Tasi.

Con il decreto l'impressione è che vi sia stata una macroscopica sottostima del fondo di compensazione destinato ai comuni. Lo stanziamento, ripartito tra l'altro con due anni di ritardo, si è dimostrato largamente insufficiente a compensare i minori incassi e decine di migliaia di euro stanno venendo a mancare nei bilanci di piccoli comuni, normalmente piccoli comuni di montagna, nei quali già assicurare i servizi essenziali è una impresa non semplice. Si tratta proprio di comuni montani, quelli delle aree interne, quelli che sono stati protagonisti, nei decenni passati, di fenomeni di forte spopolamento per emigrazione all'estero. Questi comuni si sono visti corrispondere, con due anni di ritardo, contributi largamente inferiori alle attese e ampiamente insufficienti rispetto al minor gettito fiscale conseguente alle disposizioni di legge.

Almeno questa è l'impressione del sottoscritto, perché non dispongo di dati generali sul fenomeno, ma conosco le segnalazioni accorate dei sindaci dei comuni montani del mio territorio e credo siano sufficienti a chiarire la situazione che per taluni è molto critica.

Esemplificativo è il caso del comune di Bardi, in provincia di Parma. La sindaca mi scrive che, con tre anni di ritardo, scaduti i termini sia per l'approvazione del bilancio di previsione 2017-2019 sia del consuntivo 2016, con la pubblicazione del decreto il suo comune subisce una perdita di gettito di circa 110.000 euro all'anno; il contributo, che è arrivato con il decreto, è di 11.407 euro, a fronte di un gettito stimato di 120.000, come attestato dalla responsabile dell'area economica finanziaria del comune che ho acquisito. Il comune di Bardi ha una popolazione di 2.185 abitanti ed ha 1.517 cittadini iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero al 31/12/2016. Sono via da lungo tempo, ma hanno mantenuto la casa e ogni tanto tornano nel comune di origine; ovviamente non sono tutti pensionati, ma buona parte sì - buona parte sì - in quanto l'emigrazione all'estero ha caratterizzato questi paesi di montagna soprattutto nel secondo dopoguerra, fino agli anni '70 e'80. Bardi, che, come ho detto, conta oggi poco più di 2.000 abitanti, dopo la Seconda Guerra, ne aveva 8.000: questo è il fenomeno. Un minor gettito di oltre 300.000 euro sui tre anni non poteva essere quantificato e tanto meno previsto e sta mettendo in seria difficoltà l'equilibrio finanziario del comune, nonostante la gestione sia sempre stata improntata alla prudenza, al rispetto dei vincoli del Patto di stabilità, al pareggio di bilancio.

Problema analogo è quello che segnala il comune di Albareto, sempre in provincia di Parma, nell'Alta Valle del Taro: la ripartizione del fondo assegna a questo comune 3.500 euro all'anno a fronte di un mancato gettito di quasi 52.000, con un danno complessivo nel triennio che si è appalesato tutto, solo ora, di oltre 150.000 euro. Le condizioni di questo comune sono del tutto simili a quelle di Bardi: 2.150 abitanti, 824 iscritti all'AIRE, anche Albareto ha visto un forte calo demografico, con la popolazione dimezzata a partire dal secondo dopoguerra, quando contava oltre 4.000 abitanti, con un esodo che è stato costante fino ai primi anni Settanta. Tralascio l'esempio di Borgo Val di Taro e di altri ancora. Come dicevo, non dispongo di dati generali, ma credo che questi casi siano sufficientemente esplicativi.

La situazione è tale da aver messo diversi piccoli comuni in grave difficoltà, tanto da paventare per alcuni di essi, il primo che ho citato, il rischio di dissesto finanziario. La domanda, signor Vice Ministro, è questa: se, intanto, sia a conoscenza di questa situazione che si è venuta a determinare dopo la conoscenza dei dati di riparto, da pochissimi giorni, solo da due settimane, e se si ritiene necessario farsi promotori di uno stanziamento integrativo che consenta di compensare integralmente i comuni del minor gettito conseguente all'entrata in vigore della norma che ho citato prima, entrata in vigore con la legge di conversione 23 maggio 2014, n. 80. Grazie.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro dell'Interno, Filippo Bubbico, ha facoltà di rispondere.

FILIPPO BUBBICO, Vice Ministro dell'Interno. Grazie, signor Presidente. La situazione segnalata dall'onorevole Romanini è esattamente quella che abbiamo potuto riscontrare operando una ricognizione in relazione alle realtà presenti in tanti piccoli comuni, e, in modo particolare, la situazione segnalata per il comune di Bardi trova esatta conferma anche sulla scorta delle richieste avanzate dal sindaco di quella cittadina. Il punto è il seguente.

Il Ministero dell'interno dispone la ripartizione tra gli enti locali del contributo complessivo di 6 milioni annui stanziati dal decreto-legge n. 47, come è stato ricordato, e quella ripartizione viene effettuata sulla scorta della chiave di riparto elaborata dal Ministero dell'economia e delle finanze sulla base delle informazioni desumibili dalla banca dati immobiliare integrata gestita dalla Agenzia delle entrate. Appare subito evidente che i 6 milioni annui non sono in grado di soddisfare, di compensare le minori entrate determinate per effetto di quelle esenzioni richiamate nell'interpellanza. Quindi, si pone un problema di uno stanziamento integrativo a favore di quei comuni, stanziamento integrativo che non può essere disposto in assenza di una specifica norma di rango primario che garantisca la copertura.

Il Ministero dell'interno, il Dipartimento per gli affari interni e territoriali condivide questo auspicio, lo sostiene e lo propone nelle diverse sedi, quando vengono formati i procedimenti tesi a definire, diciamo, le regole di finanza pubblica e, in questo senso, c'è da augurarsi che possano essere reperite le risorse necessarie a soddisfare queste richieste, stante la reale difficoltà nella quale i comuni vengono a trovarsi per effetto di quelle minori entrate. Però, i vincoli di finanza pubblica sono tali da imporre e da richiedere a ciascuno di noi quella consapevolezza necessaria a comprendere che la soluzione va ricercata in una dimensione, in un processo che progressivamente possa consentire il recupero integrale delle minori entrate; ma - ripeto - è un lavoro che il Governo vorrà sviluppare insieme al Parlamento nelle sedi proprie e in occasione del varo dei provvedimenti di finanza pubblica. Grazie.

PRESIDENTE. Il deputato Giuseppe Romanini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

GIUSEPPE ROMANINI. Grazie, Vice Ministro. Non so se dichiararmi soddisfatto oppure no. Sono certamente soddisfatto del fatto che c'è consapevolezza e anche condivisione del tema, del problema che si è posto recentemente e inaspettatamente di fronte a questi piccoli comuni, c'è consapevolezza del fatto che i 6 milioni non sono assolutamente sufficienti, come è stato segnalato nell'interpellanza.

Mi è stato detto che il Ministero dell'interno dispone il riparto sulla base di quello che sono gli stanziamenti di bilancio. Non per nulla, gli interpellanti avevano chiamato in causa sia il Ministero dell'interno che il Ministero dell'economia e delle finanze, perché è del tutto evidente che il Ministero dell'interno, in mancanza di un fondo adeguato, non poteva moltiplicare i pani e i pesci: ha distribuito quello che c'era, i 6 milioni sono certamente una cifra non sufficiente. Sono anche consapevole del fatto che, per una diverso stanziamento, nonostante l'urgenza, ci sia bisogno di una norma di rango primario. Però mi dichiaro decisamente soddisfatto per le parole del Viceministro, perché la consapevolezza, la condivisione dell'obiettivo mi fanno sperare che quel processo, richiamato come un processo che riguarda passaggi che coinvolgeranno il Parlamento e il Governo, quando ne avremo occasione, possa sanare questa situazione; la quale, però, in effetti sta determinando nel breve dei problemi molto urgenti, per i quali forse anche il Dipartimento e il Ministero dell'interno possono intervenire a chiarire o a giustificare, non so come, con una norma interpretativa questa condizione, e non considerare, a tutti gli effetti, le carenze di bilancio come una responsabilità dei comuni.

Il fatto che i pensionati residenti all'estero siano esonerati dall'IMU sulla casa di proprietà e da due terzi delle tasse sui rifiuti è, come dicevo, una conquista giusta, con degli obiettivi sacrosanti di incentivare un rapporto che continua anche fra i nostri emigranti e i loro Paesi di origine; però lo Stato si è impegnato a trasferire il corrispettivo del non versato ed è necessario che vi provveda, perché lo Stato non può da una parte porre norme che sono buone per questi cittadini, e dall'altra mettere in una difficoltà così grande comuni che, ripeto, sono i comuni delle aree interne delle fasce marginali della montagna, che già oggi fanno fatica a chiudere i bilanci. Lo Stato ha assunto con questi comuni un impegno chiaro, che non può essere disatteso, e quindi torno a chiedere con forza che si individuino i percorsi, quelli giusti, la modifica delle norme, che va fatta, la modifica dei bilanci, che vanno adeguati, e che rapidamente vengano identificate risorse aggiuntive da destinare alla compensazione del minor gettito fiscale per scongiurare in alcuni casi il rischio di default che molti enti stanno seriamente correndo.

(Iniziative volte a valorizzare le infrastrutture portuali della Sicilia, con particolare riferimento al porto di Augusta, nell'ambito del circuito marittimo della cosiddetta “via della seta” – n. 2-01833)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Zappulla e Laforgia n. 2-01833 (Vedi l'allegato A). Chiedo al deputato Zappulla se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Sì? Ha quindici minuti. Prego.

GIUSEPPE ZAPPULLA. Signor Presidente, signor Vice Ministro, la domanda semplice, ma al contempo vera e precisa, potrebbe essere questa: perché il Governo ha un tale accanimento contro i porti siciliani, e quello di Augusta in particolare? Basta mettere insieme infatti i provvedimenti a vario titolo assunti negli ultimi anni: ne viene fuori il tentativo, e non credo proprio involontario, di indebolire, di svuotare di ruoli e valori il porto megarese. Operazione questa, vedete, davvero strana e singolare; anche perché il porto di Augusta viene fuori da una lunga storia di investimenti e di attività: è stato, con il contributo e l'impegno di tanti, classificato porto core, diventando, per strutture, servizi e potenzialità, uno dei porti di valenza internazionale, appunto uno dei 14 porti core italiani, su cui puntare particolarmente per sviluppare e potenziare le cosiddette autostrade del mare.

Appunto, viene da chiedersi se quella di Augusta la si intende considerare ancora tale, o si vuole depotenziare, facendola diventare un'altra cosa.

La Sicilia, ed Augusta, è terra di accoglienza, di ospitalità, di solidarietà, e da anni sta offrendo lezioni di civiltà e di dignità all'intera Europa. Ma accoglienza non significa occupare il porto di Augusta, non significa impedirne le normali attività commerciali e produttive: CIE, hotspot, che significa, se non cambiare, senza dichiararlo, ma, nei fatti, la vocazione del porto di Augusta? No, e mi rivolgo al Governo ovviamente: non ci siamo proprio! Continuo a mantenere il cuore aperto alla sofferenze e alla disperazione, ma non sono disponibile a vedere di fatto inibite le attività portuale e marittime di Augusta.

Veda, caro Governo, e mi dispiace che a rappresentarlo sia il Viceministro Bubbico, di cui nutro grandissima stima: il porto di Augusta è stato colpevolmente scippato grazie a un gioco scellerato tra le parti, inaccettabile e insostenibile, tra il presidente della regione siciliana e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, del ruolo naturale di sede della nuova autorità portuale di sistema. Perché? Mi chiedo, e continua a chiederselo l'intera comunità di Augusta e della provincia di Siracusa almeno. Perché solo per Augusta si è deciso di derogare dal preciso, rigoroso e inattaccabile criterio dei porti core? Perché avete deciso di smentire i criteri e i parametri dal Governo stesso scelti in piena sintonia con l'Unione europea? Perché avete cambiato inopinatamente idea all'ultimo momento, senza informare e coinvolgere preventivamente il territorio e chi lo rappresenta?

Basta visitare i porti della Sicilia orientale per comprendere che la scelta assunta non risponde a criteri tecnico-economici, di qualità, di organizzazione, di spazi, di banchine, ma sulla geografia politica. Forse qualcuno, invece di misurare le banchine, ha contato il numero degli abitanti e dei potenziali elettori! Non amo le guerre campanilistiche, le osteggio apertamente: considero il progetto di integrazione economica e produttiva dei porti una scelta giusta, una necessità e una straordinaria opportunità di sviluppo e di lavoro. Con Catania bisogna costruire il lavoro comune, integrazione produttiva; bisognerà delle specificità dei due porti fare tesoro e una grande piattaforma logistica nel Mediterraneo per le merci e i passeggeri. Ma è inaccettabile lo schiaffo che ha subìto Augusta, i suoi operatori, la sua economia, la sua classe dirigente: la scelta assunta di procedere in direzione di alternare la sede per due anni la considero più offensiva per l'intelligenza di tutti.

Se, infatti, guardate, il porto di Augusta ha tutte le caratteristiche, se è classificato porto core, se è quello più adeguato, non si capisce per quale motivo debba aspettare due anni. E viceversa: se invece il porto di Catania ha tutte le caratteristiche, perché deve cederlo dopo due anni? Se invece, com'è clamoroso, non è così, non può essere la sede di Catania, non può esserla neanche per un giorno. La verità che comincia ad emergere, è che magari i due anni servono purtroppo (è questa la sensazione) per massacrare il porto di Augusta, depotenziandolo, bloccando risorse e investimenti. Se c'è questa manovra in testa, qualcuno che ce l'ha dovrebbe provare almeno un poco di imbarazzo, e a mio avviso anche molta vergogna. E dico questo, guardate, senza guardare il colore politico dei protagonisti!

Torno quindi a chiedere al Governo nazionale e a quello regionale di ripensarci, e di rivedere la scelta: siete ancora in tempo per evitare un'operazione di cui porterete precise, gravissime responsabilità, perché state segnando una ferita profonda che sanguinerà a lungo, violando e calpestando un'intera comunità, mortificando un intero progetto economico produttivo ed occupazionale.

Vedete, quello di cui sto parlando non è cosa diversa dalla vicenda della via della seta, ma è esattamente lo stesso identico argomento, perché, senza la giusta valorizzazione di Augusta, non ci potranno essere spazi, banchine, servizi competitivi. E, in questo contesto, e a suffragare la mia sensazione e denunzia, viene fuori questa vicenda che io considero abbia tratti surreali della cosiddetta via della seta. Apprendo dagli organi di informazione, nei giorni scorsi, che recentemente i rappresentanti del Governo della Cina hanno incontrato i nostri del Governo italiano perché, pare, interessati a conoscere i porti utilizzabili ai fini di una nuova rotta e ondata di traffici marittimi di container anche attraverso l'ampliamento del Canale di Suez. Il Governo italiano pare che, invece di indicare nel porto di Augusta la logica e naturale porta nel Mediterraneo e sede principale, ha segnalato ai rappresentanti della Cina i porti di Genova, di Trieste, di Venezia e non so quali altri. Anche qui, la voglio dire al Viceministro: nessuna ostilità o disconoscimento della valenza di strutture portuali di assoluto prestigio, ma mi si spieghi la ragione che porta il Governo italiano ad escludere la Sicilia, e Augusta in particolare. Le navi portacontainer che escono dal Canale di Suez proveniente dall'Asia si trovano naturalmente davanti alle coste della Sicilia e al porto di Augusta con i sui fondali e banchine, perché dunque non segnalare Augusta come una delle sedi principali? Perché il Governo italiano insiste nel mortificare il sistema portuale e marittimo siciliano con le sue imprese e i lavoratori interessati? Perché si vuole vanificare una concreta e straordinaria possibilità di sviluppo economico ed occupazionale? Ho appreso, sempre da organi di informazione, che il Presidente dell'Europarlamento Antonio Tajani ha dichiarato che nessuno, e per nessuno intende il Governo nazionale e ahimè anche quello siciliano, ha parlato del Porto di Augusta, proponendolo come naturale approdo per la cosiddetta via della seta.

Lo voglio dire con la franchezza che occorre, tutto verificabile e tutto documentabile: il porto di Augusta, in sinergia con Catania e con l'intera portualità della Sicilia orientale, mantiene tutti i servizi, gli spazi, le banchine, i fondali, le strutture, le infrastrutture, le competenze manageriali e imprenditoriali, le professionalità dei lavoratori adeguate a gestire questo nuovo traffico. E se occorrerà, lo voglio dire anche qui con altrettanta franchezza, apportare qualche intervento, qualche potenziamento, non si capisce per quale arcana ragione non è possibile investire in modo mirato, come lo stesso Governo peraltro ha annunziato di fare in altri scali. Mi chiedo quindi, e mi avvio a concludere, se si tratta di pura, ma molto grave distrazione, di confusione geografica, se così la vogliamo chiamare o, come temo, di una scelta precisa tesa a penalizzare ed escludere Augusta e la Sicilia da sviluppi produttivi importanti di crescita e di occupazione. Chiedo quindi al Governo se è a conoscenza di questa incresciosa e surreale situazione, se e come nel caso intende porre rimedio, inserendo e indicando nel porto di Augusta e nella Sicilia la piattaforma logistica portuale e marittima principale, non esclusiva, per carità, ma principale, per i nuovi traffici per la cosiddetta via della seta e per ogni nuovo possibile sviluppo e se, allo scopo ovviamente, è possibile procedere eventualmente con investimenti per gli scali portuali siciliani e di Augusta in particolare.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e docenti del master di giornalismo politico ed economico che seguono i nostri lavori (Applausi). Il Vice Ministro dell'Interno, Bubbico, ha facoltà di rispondere.

FILIPPO BUBBICO, Vice Ministro dell'Interno. Grazie, signor Presidente. Voglio subito dire all'onorevole Zappulla che l'Italia costituisce, convenendo con le sue valutazioni, la porta di ingresso e di uscita per l'Europa e può sicuramente essere definita la cerniera tra l'Europa occidentale e orientale nell'ambito della cosiddetta nuova via della seta. Gli armatori sono alla ricerca di terminali marittimi che consentano dal Mediterraneo di raggiungere le aree più ricche d'Europa alle quali le merci sono destinate.

Da sempre le navi, che rappresentano il vettore di trasporto economicamente più vantaggioso, tendono ad arrivare il più possibile vicino al punto di destinazione finale delle merci, al fine di evitare dannose diseconomie legate a rotture di carico.

Per questo i porti del nord Adriatico e Tirreno rappresentano il naturale approdo per i mercati di riferimento e per la prossimità con i trafori alpini collegati ai corridoi ten-t. Non va dimenticato il fatto che il Mediterraneo è sempre più centrale nelle rotte globali e nelle strategie degli operatori portuali specialmente dopo l'apertura e il raddoppio del Canale di Suez. Il Governo intende quindi investire molto sui porti del Mezzogiorno, sia per accelerare i cantieri fermi, e recuperare i ritardi sulle principali opere, sia prevedendo risorse per i dragaggi e per aumentarne la competitività perché il rilancio e lo sviluppo del Sud rappresentano una piattaforma logistica strategica nel Mediterraneo sicuramente funzionale al rilancio dell'economia.

Alcuni porti sono adatti ad accogliere grandi navi portacontainer, altri porti sono destinati a gestire approdi per le crociere, per il transhipment. Una visione strategica deve puntare ad ottimizzare le potenzialità presenti in ciascuna realtà. Ogni porto quindi deve avere una vocazione specifica e in questo senso tende anche la riforma portuale: presentare i vari porti, i vari approdi, ciascuno con la propria vocazione però come offerta unitaria e integrata; è necessario cioè far capire le opportunità che il grande molo che è l'Italia nel Mediterraneo rappresenta per la logistica del Sud Europa.

Il tema della ripresa degli investimenti nei settori dei trasporti e delle infrastrutture va connesso allo schema di decreto della Presidente del Consiglio dei ministri per il riparto del Fondo investimenti di cui all'articolo 1, comma 140, della legge n. 232 del 2016 che prevede ulteriori risorse a favore delle infrastrutture portuali per 541 milioni di euro. La ripartizione delle risorse fra i diversi interventi sarà effettuata, adottando gli ordinari strumenti di programmazione tra cui il programma di investimenti dalle autorità portuali, nonché sulla base delle linee guida degli investimenti pubblici.

Risultano invece già finanziati i seguenti interventi: per il porto di Augusta è prevista la realizzazione di un terminal attrezzato per traffici per container relativamente al primo lotto; sempre per il porto di Augusta, è previsto l'adeguamento della banchina del porto commerciale per l'attracco di mega navi container; per il porto di Palermo invece sono previsti i completamenti del porto traghetti; per il comune di Pace del Mela i lavori di costruzione di un pontile in località Giammoro e il completamento della bacino di carenaggio.

PRESIDENTE. Il deputato Zappulla ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

GIUSEPPE ZAPPULLA. Io intanto ringrazio il Viceministro per una risposta che evidentemente tende a motivare una scelta che io continuo a considerare non condivisibile. Comprenderà il Viceministro che non c'è un giudizio negativo nei suoi confronti, ma nei confronti ovviamente del Governo. Quindi, sono insoddisfatto, ma tento rapidamente di spiegarne le ragioni.

La logica che esclude Augusta e i porti meridionali dalle nuove rotte della cosiddetta via della seta, è quella di collocarsi quanto più vicino - credo d'aver capito - ai mercati europei. Con questa logica noi dobbiamo chiudere tutti i porti e tutte le attività portuali, marittime e trasportistiche del Mezzogiorno, perché, si sa, è a conoscenza, credo, del Governo italiano che il cuore dei mercati si trova nel centro Europa.

Quindi, con questa logica, sic et simpliciter, noi dovremmo non investire, non puntare, non prevedere; ma non parlo soltanto dei porti, delle attività portuali e marittime. È chiaro che le cose non stanno così, è chiaro che ci sono dei mercati importanti, certo, senza disconoscere le attività e i mercati importanti del centro Europa. Non a caso, io ho parlato del fatto che il porto di Augusta non deve essere l'unico, parlo di uno dei porti principali della Sicilia come piattaforma logistica del Mediterraneo, ma è chiaro che anche gli altri porti meritano di essere, proprio per rispondere a quell'esigenza. Ma ci sono i mercati nazionali, c'è il mercato nazionale che deve essere coperto, c'è il mercato dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e questo, certamente, non possono coprirlo i porti che avete indicato alla Cina.

Quindi, io mi ritengo insoddisfatto, e mi ritengo insoddisfatto pure - ma non è legato alla sua risposta - rispetto al fatto che, peraltro, il Ministro Delrio ha appena annunziato, in questi giorni, che proprio oggi sarà pubblicato il decreto della nomina della sede dell'Autorità portuale su Catania; è vero che sarà pubblicato il decreto, ma, come sappiamo tutti, quando ci sono le volontà politiche si possono cambiare.

Mi riferisco, infine, a un passaggio che io considero fondamentale. Io ho avuto modo di criticare pesantemente il Presidente della regione siciliana, perché, sia sulla vicenda dell'Autorità portuale, ma anche sulla questione importante della via della seta e delle potenzialità che riguardano i porti siciliani, non sta assolvendo al ruolo fondamentale che dovrebbe, promuovendo, stimolando, aprendo anche una forte interlocuzione col Governo nazionale. Probabilmente c'è un problema di disattenzione e di distrazione, forse c'è un problema anche di mancanza di credibilità nel poter assolvere a questo ruolo, ma, per quanto mi riguarda, è battaglia che io continuerò a fare, perché considero e continuo a considerare, sia la questione della via della seta, ma anche le altre cose che ho detto in premessa, punti davvero decisivi di un modello di sviluppo e della possibilità della crescita della mia terra, della nostra regione e di parte del Mezzogiorno nei prossimi mesi e nei prossimi anni.

Sugli investimenti, infine, che lei ha annunziato, erano in larga parte già a conoscenza, ma la ringrazio per la averli elencati e indicati, semmai invito lei e invito il Governo a evitare ulteriori intoppi di natura burocratica nella realizzazione di quegli investimenti.

E se mi è consentito, infine, dirle, signor Vice Ministro, proprio per la stima che nutro nei suoi confronti, chiedo a lei di attivarsi nei confronti del Ministro Delrio, perché sulla vicenda della via della seta, della sede dell'Autorità portuale, delle attività portuali e marittime della Sicilia, del sistema dei trasporti intermodali che riguarda quella parte importante del nostro Paese, ci sia un'attenzione completamente diversa e, per usare un eufemismo, si cambi verso e si cambi il modo di vedere e gli occhi per vedere la Sicilia e quella parte della Sicilia orientale.

PRESIDENTE. A questo punto sospenderei la seduta per circa cinque minuti, che riprenderà alle 11,15.

La seduta, sospesa alle 11,10, è ripresa alle 11,15.

(Iniziative per favorire la realizzazione dell'hub portuale di Venezia, anche ricorrendo a forme di cofinanziamento privato – n. 2-01847)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Rubinato ed altri n. 2-01847 (Vedi l'allegato A). Chiedo alla deputata Simonetta Rubinato se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

SIMONETTA RUBINATO. Grazie, Presidente. Come riepilogato nel testo dell'interpellanza, sussistono tutti i presupposti normativi, procedimentali e contrattuali per procedere alla realizzazione dell'hub portuale di Venezia (sistema portuale offshore-onshore) che è anche il sistema di accesso permanente al porto, previsto come opera complementare al Mose fin dalla delibera del 3 aprile 2003 del Comitato interministeriale di indirizzo, coordinamento e controllo per la salvaguardia di Venezia, il cosiddetto ‘Comitatone'.

Dopo di allora, la legge di stabilità 2013 ha autorizzato l'avvio delle attività finalizzate alla realizzazione di una piattaforma d'altura davanti al porto di Venezia, trasferendo il relativo finanziamento all'Autorità portuale di Venezia; finanziamento che, anche se rimodulato, è stato riconfermato da tutte le leggi di stabilità successive.

Il progetto preliminare della cosiddetta Piattaforma d'altura ha raggiunto la piena maturità amministrativa, con il parere favorevole di compatibilità ambientale del Ministero dell'ambiente; con il decreto del 21 aprile 2014 il Ministero delle infrastrutture ha disposto l'ampliamento della circoscrizione territoriale del Porto di Venezia, includendo la piattaforma d'altura; nel 2014 la conferenza di servizi si è conclusa positivamente; e nel 2015 la regione Veneto ha formalizzato, con delibera di giunta, il decreto di localizzazione.

Il progetto, quindi, è stato trasmesso dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al Cipe per l'approvazione e prescrizioni fin dal 9 agosto 2016. Inoltre, è attualmente in corso la progettazione definitiva, aggiudicata con gara internazionale, qualche mese fa, al gruppo italo-cinese 4C3, che è il quarto general contractor mondiale cinese, il quale ha anche reso nota la sua disponibilità a partecipare alla realizzazione del progetto in questione, attraverso un partenariato pubblico-privato, nelle forme che il Governo italiano vorrà prevedere.

Il 25 novembre 2016, poi, il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore e il sindaco di Venezia hanno firmato il “Patto per lo sviluppo della città di Venezia”, che recepisce al suo interno anche questo progetto, al fine di progettare, in sinergia con gli altri porti del Mare Adriatico, un sistema portuale in grado di competere con i porti del Mare del nord per il trasporto di merci da e per l'Asia attraverso lo stretto di Suez.

La Commissione europea ha cofinanziato, da parte sua, il progetto di fattibilità di questo sistema portuale sin dal 2012, mentre la Banca europea degli investimenti ha ammesso il progetto veneziano alla lista del Piano Junker.

Questo dal lato, diciamo così, del versante interno ed europeo. Sul versante internazionale,   l'opera è stata inserita dal Governo cinese nella strategia «Una cintura, una via», la cosiddetta via della seta, che vede in Venezia il terminale occidentale del XXI secolo.

Io qui vorrei citare - e spero non ci siano problemi da questo punto di vista - un convegno pubblico tenutosi al Senato nel febbraio scorso, promosso dalla rivista di geopolitica Limes, in cui il Presidente del Senato, Grasso, si è così espresso, e mi pare interessante leggere questo passaggio del suo discorso: come è noto il grande progetto della via della seta si propone di connettere la Cina con i Paesi dell'Asia centrale e dell'Europa, per risaldare i legami economici e commerciali con i mercati interessati attraverso un asse terrestre-ferroviario, e uno marittimo, che avrebbero entrambi conclusione a Venezia, e saranno sostenuti da un Fondo di 40 miliardi di dollari. Dunque, un'opportunità straordinaria, anche per attirare investimenti nel nostro Paese e per riacquistare centralità geopolitica, ribadita anche il 14 e 15 maggio scorsi, a Pechino, nel corso di un Forum internazionale proprio su questo tema, in cui il Governo cinese ha pubblicamente confermato il suo interesse per il porto di Venezia.

Ma come risulta dalle concordi cronache giornalistiche e televisive, il Presidente del Consiglio italiano, intervenendo a questo forum, ha candidato i porti di Trieste e Genova a terminali europei della via della seta marittima. Poi, come solo alcune cronache hanno riportato, il Presidente aggiunto anche Venezia, con un accenno al valore simbolico di Venezia nei rapporti tra Italia e Cina. La cosa non può non preoccuparci. Le preoccupazioni e le perplessità aumentano ancor più leggendo, anche da ultimo, un'intervista dell'attuale presidente del porto di Venezia, Pino Musolino, nominato pochi mesi fa, che il 29 giugno, in sintesi estrema, ha dichiarato: il mio compito sarà quello di riportare l'astronave sul pianeta terra; la piattaforma off-shore non serve, lo dice il mercato; non sono contrario alla realizzazione di nuove infrastrutture, ma alla creazione di opere inutili sì. Secondo Musolino - scrive il giornale - non ci sono investitori interessati al progetto della piattaforma off-shore di Venezia: nessuna compagnia che opera nel trasporto container e neppure terminalisti. E con riferimento alla progettazione in corso proprio da parte di quel general contractor cinese che ha ricordato prima, l'attuale presidente del porto dichiara: il piano sarà ultimato entro fine anno, ma non credo vedrà mai la luce.

Credo dunque sia il caso - ed ecco da qui l'interpellanza, sollecitata anche da comitati e associazioni del territorio - di affrontare la questione con trasparenza e nelle sedi istituzionali competenti, da parte di chi ha la responsabilità, governando il Paese, di cogliere un'opportunità di sviluppo straordinario, che credo nell'interesse nazionale, ma certamente, soprattutto, per consentire che all'entrata in funzione del Mose, con la realizzazione della piattaforma d'altura, ci sia l'accessibilità al porto commerciale di Venezia nella fase del gigantismo navale che si sta aprendo a livello internazionale, condizione indispensabile per poter fondare sullo sviluppo portuale e su quello logistico e manifatturiero a Marghera, che dallo sviluppo portuale dipende, la sopravvivenza, prima ancora che il rilancio dell'economia veneziana, ma non solo, senza il quale diverrebbe insolubile nel prossimo futuro il problema del reperimento delle risorse necessarie alla conservazione e mantenimento nel tempo di quel bene culturale che è Venezia, cui sin qui ha provveduto lo Stato con risorse pubbliche attraverso la legge speciale. Ma sappiamo quali sono oggi i finanziamenti della legge speciale, quindi bisogna trovare una fonte alternativa di reddito, di sviluppo, per poter preservare quel bene culturale che è Venezia.

Qui, alla responsabilità del Governo nazionale si aggiungono anche quelle di chi governa la regione Veneto e la città di Venezia, che ci sembrano oggi silenti, anziché resilienti, su un progetto così strategico che, da quanto apprendiamo sulla stampa, rischia invece di essere messo in modo appunto silenzioso su un binario morto. Chiedo pertanto al Governo di fare chiarezza e di darci assicurazioni in questo senso, cioè che, agli investimenti previsti per la via della seta e l'hub previsto dallo stesso progetto cinese, oltre che agli atti legislativi e amministrativi che sono stati assunti nel nostro Paese, a tutto questo percorso, sia data reale attuazione.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro, Filippo Bubbico, ha facoltà di rispondere.

FILIPPO BUBBICO, Vice Ministro dell'Interno. Signor Presidente, in relazione ai quesiti posti, il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ha evidenziato quanto segue.

Primo: la proposta iniziale dell'Autorità portuale di Venezia al MIT prevedeva originariamente la costruzione di un porto artificiale off-shore al largo di Venezia e di un terminale on-shore a Porto Marghera, il tutto dal costo complessivo di quasi 2,2 miliardi di euro, di cui 948 milioni a carico di risorse pubbliche e il resto da reperire con fondi privati attraverso la metodologia del projectfinancing.

Il progetto della piattaforma d'altura e il sistema portuale integrato erano stati concepiti inizialmente per complementare il sistema Mose, togliendo il traffico petrolifero dalla laguna di Venezia, rafforzando il traffico container nel polo dell'alto Adriatico (Venezia-Trieste-Ravenna) e la navigazione fluviale sul Po e canali connessi. Il porto off-shore permetterebbe il carico e lo scarico al largo e il trasporto nella laguna tramite imbarcazioni di medie dimensioni, in grado di entrare nella laguna anche quando le paratoie del Mose saranno chiuse per il maltempo (poche decine di ore all'anno secondo il provveditorato regionale alle opere pubbliche).

Il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, reso con il documento n. 3 del 2015, risulta non favorevole, in particolare per l'insufficienza di analisi delle strutture e del fondale marittimo su cui dovrebbe essere costruito il porto d'altura. Di conseguenza, il progetto è stato restituito per essere rielaborato.

Anche la struttura di missione dello stesso MIT ha espresso numerose perplessità sul progetto, tra cui i dubbi sull'utilizzo di chiatte sperimentali denominate Mama Vessel, che dovrebbero fare da spola tra la piattaforma d'altura e il punto di stoccaggio a Porto Marghera.

Inoltre, non sono disponibili i finanziamenti pubblici se non per una parte molto limitata e relativa solo alle banchine a terra del terminal Montesyndial, mentre, in occasione dell'approvazione di progetti preliminari di infrastrutture, la Corte dei conti richiede al CIPE l'individuazione di tutte le fonti di copertura finanziaria, sia pubbliche che private, dell'intero costo del progetto stesso.

Dalla relazione del MIT risultava che, a seguito di una serie di incontri con l'autorità portuale, la struttura tecnica di missione e il Consiglio superiore, permaneva una grande incertezza sui costi di esercizio del nuovo terminal e sulla sua reale competitività rispetto ad alternative tradizionali, e risultavano anche grandi incertezze su alcuni elementi cardine del progetto.

Pertanto il MIT, nel 2016, ha sottoposto alcune proposte al CIPE, che hanno dato luogo ad interlocuzioni e incontri tra lo stesso Ministero, il DIPE e l'autorità portuale. La proposta, rivista ripetutamente dal Ministero, trasmessa per ultimo al CIPE il 7 novembre 2016, non prevede in questa fase il porto d'altura, ma la sola approvazione della fase A, primo lotto, del progetto preliminare hub portuale di Venezia, piattaforma d'altura al porto di Venezia e terminal container Montesyndial, corrispondente al banchinamento della sponda sud, canale industriale ovest, area Montesyndial, e sistemazione piazzali primo lotto, tenendo conto della possibile utilizzazione diversa della stessa opera sempre con finalità connesse alle attività portuali e indipendentemente dalla realizzazione o meno della piattaforma d'altura. Tale proposta permette di procedere con i lavori per la riconversione e riqualificazione dell'area di crisi industriale di Marghera.

La proposta del Ministero prevede che l'approvazione del progetto preliminare dal terminal container Montesyndial debba avere per oggetto la movimentazione di merci e container e non implica la realizzazione della piattaforma d'altura. Il 18 novembre 2016, il DIPE ha richiesto ulteriore documentazione e chiarimenti istruttori. Il successivo 23 novembre l'argomento è stato sottoposto alla riunione preparatoria del CIPE, quale porto Venezia-terminal Montesyndial-progetto preliminare, nel corso della quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha chiesto il rinvio dell'argomento a causa di un incontro con l'autorità portuale di Venezia cui erano stati richiesti documenti integrativi.

Con nota del 12 gennaio 2017, il presidente dell'Autorità Portuale di Venezia dissentiva dalla proposta presentata dal Ministero, ritenendo che l'approvazione del progetto preliminare non possa che avvenire nel quadro della destinazione e delle finalità dell'opera come sopra delineate, senza introdurre alcuna generica e non definita possibilità ulteriore di utilizzazione, in conformità all'originaria proposta di approvazione, come formulata nel paragrafo 10 della relazione trasmessa al CIPE il 5 agosto 2016.

Inoltre si evidenzia che il Patto per lo sviluppo della città di Venezia, firmato il 26 novembre 2016, non include il Progetto Venezia Offshore-Onshore Port System nella lista delle opere finanziate, ma si limita a concordare, all'articolo 6 comma 5, sull'opportunità di procedere alla verifica di sostenibilità tecnico-economica del progetto infrastrutturale denominato VOOPS in coordinamento con il MIT.

Successivamente, a seguito della riforma del sistema portuale italiano, è stato nominato il presidente dell'Autorità di sistema portuale del mare Adriatico settentrionale nella persona del dottor Pino Musolino. Al momento pertanto è in corso con il nuovo presidente un'attività di verifica con il MIT volta a individuare una possibile soluzione.

PRESIDENTE. La deputata Rubinato ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

SIMONETTA RUBINATO. Grazie, Presidente. Ringrazio anche il Viceministro per essere venuto a rispondere a questa interrogazione. Prendo atto che è una risposta molto tecnica e assai poco politica su un tema che è strategico per Venezia, per il Veneto e credo anche per il Paese. Non fosse altro per il fatto che il colosso 4C cinese, che prima ho citato e che ha vinto la gara internazionale per la progettazione, ha confermato anche questa mattina, poche ore fa in un incontro che si è tenuto a Pechino, la disponibilità a progettare e investire almeno 800 milioni di euro per la realizzazione del porto d'altura come hub di accesso dei traffici da e per l'Europa lungo la via della seta.

Credo che solo questo basti ad evidenziare come non siano per nulla convincenti le perplessità addotte sul progetto stesso, sulla carenza dei finanziamenti pubblici per la sua realizzazione, sulla incertezza relativa ai costi di esercizio del nuovo terminal e sulla sua reale competitività.

Mi permetta anche di dire che, se sono in corso delle verifiche, forse il presidente dell'Autorità portuale non dovrebbe annunciarle già sulla stampa come già concluse, vista la risposta che comunque il Governo tiene aperta una verifica in questa fase.

Dicevo che la risposta è tecnica, ma ci aiuta a chiarire finalmente tanti dubbi politici che avevamo. Da un lato c'è il progetto, la volontà, l'interesse dei cinesi che hanno individuato i terminali mediterranei della via della seta marittima nel porto di Atene, Pireo, e in quello di Venezia e questo è chiaro, è assodato, non ci torno sopra.

È assodato che hanno scelto Venezia non perché è semplicemente simbolica ma perché i cinesi hanno capito da tempo che la geografia, oltre che la storia, di una potenza che è stata millenaria per la sua posizione geopolitica e su essa ha costruito una potenza economica, indica senza possibilità di contraddizioni che il porto ubicato nel punto che minimizza il costo del trasporto tra Cina ed Europa, lungo tutta l'intera catena logistica, è il porto di Venezia.

I cinesi hanno più volte ribadito il loro interesse per l'innovazione tecnologica e organizzativa costituita dalla macchina portuale Offshore-Onshore tanto che hanno concorso e hanno vinto la gara per la progettazione del Venice Offshore-Onshore Port System e che stanno dichiarando ufficialmente, confermandola e reiterandola, la disponibilità a cofinanziare la realizzazione.

Dall'altro lato c'è un lungo e faticoso percorso legislativo e amministrativo che fa sì che ci sia un parere favorevole del CIPE sul progetto già nel maggio del 2011; che ci sia un parere positivo di compatibilità ambientale emesso dalla commissione VIA nel 2013; che il progetto preliminare sia stato trasmesso al Ministero delle infrastrutture; che nella conferenza di servizi dell'ottobre e novembre 2014 sono state acquisite valutazioni e pareri positivi delle amministrazioni interessate; che la realizzazione del porto offshore-onshore di Venezia è tra le opere strategiche trasmesse in via prioritaria al CIPE per l'assegnazione delle risorse finanziarie, che ci sono una parte dei finanziamenti stabiliti in legge di stabilità e che l'opera è inserita nella programmazione delle infrastrutture strategiche. Quindi stiamo parlando anche di atti normativi, legislativi e di rango parlamentare. C'è stato pochi mesi fa, sette mesi fa, un patto a Venezia tra il Presidente del Consiglio dei ministri e il sindaco della città che contempla tra l'altro la necessità di un sistema portuale in grado di competere a livello globale negli scambi commerciali tra Europa ed Asia e conseguentemente l'opportunità di esaurire la verifica di sostenibilità tecnico-economica di tale progetto infrastrutturale. Come è dunque possibile che oggi si metta in discussione tutto questo senza un percorso trasparente e senza argomenti all'altezza della sfida strategica in campo? Sulla base di quale istruttoria tecnica e di quale confronto istituzionale? Non posso dunque dichiararmi soddisfatta e non me ne voglia il Vice Ministro se non per la parte della risposta che annuncia in questa fase la prossima approvazione al CIPE del primo lotto del progetto preliminare che permette di procedere con i lavori per la riconversione e riqualificazione dell'area di crisi industriale complessa di Marghera, cioè il terminal container Montesyndial, che però fa parte integrante del progetto, nonostante nella risposta sia stato detto il contrario, ma gli atti legislativi e normativi dicono altre cose, dicono il contrario. Sottolineo il passaggio della risposta che dice “in questa fase” che è importante perché un percorso legislativo-amministrativo come quello fatto sin qui non può certo essere cancellato mettendolo semplicemente su un binario morto. Né possiamo ignorare che Venezia ha immense aree di retroporto, ha un terminal ferroviario interno eccellente, ha un unico porto che gestisce anche il traffico fluviale; c'è una rete stradale efficiente; questo porto è il punto di maggiore convergenza organizzativa per i commerci via mare con l'Estremo Oriente e si può approfittarne solo con la piattaforma d'altura, un porto offshore che può servire non solo a Venezia ma a tutti gli scali a terra, da Porto Nogaro a Ravenna, un'alleanza con gli altri porti dell'Alto Adriatico - forse anche un'autorità unitaria sarebbe stata quanto mai opportuna - è fondamentale per crescere tutti. Concentrarsi ognuno nel proprio orticello dà invece luogo e realtà piccole e bloccate da troppe miopie come mi pare stia accadendo in questo caso. Dunque - mi avvio verso la conclusione - sollecito il Governo a fare in modo rigoroso la verifica a cui si è impegnato anche nell'ultimo patto tra la città di Venezia e la Presidenza del Consiglio dei ministri, della sostenibilità tecnico-economica del progetto come da impegno assunto e l'esito della ulteriore istruttoria in corso dovrà essere sottoposto al cosiddetto “comitatone” per fare chiarezza dal momento che questo organismo, presieduto dal Presidente del Consiglio e previsto dalla legge speciale su Venezia, è proprio quello che il 21 luglio 2011 ha stabilito che la struttura permanente di accesso al porto di Venezia si realizza solo accoppiando alla conca di navigazione, alla bocca di Malamocco. la piattaforma d'altura nel sistema portuale offshore-onshore come proprio è stato stabilito. Tra l'altro sa bene il Ministero che è in corso una verifica, perché viene effettuata proprio dal MIT, sulla circostanza della probabile inadeguatezza e sottodimensionamento della conca di navigazione che, nelle intenzioni di chi si oppone o comunque è contrario alla realizzazione della piattaforma d'altura, ritiene sia sufficiente per garantire l'accessibilità al porto di Venezia, ma così non è, così non è. L'accessibilità al porto di Venezia oggi è a rischio, senza che sia portato avanti un percorso che è già maturo.

In conclusione, pensiamo che il Governo debba mantenere anche a Venezia la parola data nel rispetto più scrupoloso delle regole di uno Stato di diritto e, infine, che tutti insieme, Governo e Parlamento, dobbiamo rispondere a una domanda - e naturalmente anche le autorità territoriali, che non sono da meno -, dobbiamo almeno provare a rispondere a una domanda: abbiamo qualcosa in contrario a far fare una proposta di finanziamento privato di rilevante parte dell'opera? Riteniamo oppure no di dare ai cinesi la possibilità di convincerci con i fatti e cioè con progetti e con risorse che questa infrastruttura si può fare ed è una infrastruttura di interesse strategico nazionale per il sistema portuale dell'alto Adriatico, ma non solo, per lo sviluppo economico del nostro Paese e soprattutto per la salvaguardia di Venezia, di un bene culturale così prezioso a cui non possiamo pensare possano provvedere risorse pubbliche. Non sarà più possibile in futuro e non sarà certo il turismo a darci la risposta in questo senso. Soltanto un rilancio del sistema dell'economia portuale e manifatturiera dell'area metropolitana di Venezia può consentire, per il futuro, di prenderci cura di quel patrimonio prezioso, culturale prima di tutto, che è la città di Venezia. Grazie.

(Intendimenti relativi alla commercializzazione di medicinali contrassegnati da bollini difettosi, a salvaguardia della tracciabilità del farmaco – n. 2-01852)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Binetti ed altri n. 2-01852 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Binetti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Sì, ha quindici minuti, prego.

PAOLA BINETTI. Signor Vice Ministro, la volta scorsa, il 15 marzo di quest'anno, poco più di tre mesi fa, io ho presentato un'interpellanza analoga e in quell'occasione il Ministro di riferimento fu il Ministro della salute, l'onorevole Lorenzin, la quale ebbe a dichiarare: bollini farmaci, basta attacchi, il nostro sistema è un riferimento mondiale. L'Italia dispone di un sistema di anticontraffazione, tracciatura e verifica dei farmaci che è un modello di riferimento a livello mondiale, la cui indiscussa efficacia ha indotto l'Unione europea a prorogare fino al 2025, 6 anni dopo gli altri Stati membri, i termini per l'implementazione del Regolamento che prevede l'introduzione del sistema Data Matrix. Questa è la risposta che il Ministro Lorenzin mi ha dato tre mesi fa.

Da dove nasceva l'interrogazione? Nasceva dal fatto che si erano verificate delle osservazioni sulla reale, diciamo, difettosità dei bollini; sostanzialmente i difetti sembravano abbastanza banali, questi bollini si staccavano e questi bollini non avevano al loro interno, nel modo in cui erano stati stampati, quello che rappresenta, per tutto il mondo farmaceutico, il simbolo per eccellenza: i due serpenti intorno all'asta centrale. La domanda che ci si poneva era: è l'Istituto poligrafico inadeguato a stampare i bollini? Questi bollini sono sostanzialmente dei bollini fallati e quindi, come tali, dei bollini che non sono in grado di garantire quello che è l'obiettivo di fondo, che è la tracciabilità dei farmaci, nonché l'idea che questi farmaci che noi prendiamo hanno una filiera che ne garantisce la qualità soprattutto sull'obiettivo salute, oppure c'è una vera e propria operazione di frode, cioè qualcuno stampa bollini che non sono quelli del Poligrafico dello Stato e in qualche modo li usa per svendere in Italia prodotti farmaceutici che in realtà, non essendo tracciabili, potrebbero venire da qualunque posto.

Conosciamo tutti le problematiche relative ai farmaci contraffatti, sappiamo il rischio che rappresentano per la salute ed esiste una lotta reale, che è una volta alla difesa del marchio, una lotta a difesa del brand specifico di quel farmaco, ma è anche e soprattutto una lotta a difesa della salute.

Non a caso il quesito, allora, venne posto al Ministro della salute, la quale praticamente disse: no problem, avete posto un problema che non esiste, noi siamo perfetti nel nostro sistema, a tal punto che l'Unione europea ci riconosce addirittura un prolungamento di questo sistema per tempo. Interessante, signor Vice Ministro, la data: io feci l'interrogazione il 15 marzo e - a parte la risposta avuta in Aula - il 16 marzo il Ministro risponde così alla stampa. E fin qui potrebbe sembrare che mi ero semplicemente sbagliata, cosa che succede a tutti noi, per carità, hai preso un abbaglio oppure hai innestato una cultura del sospetto laddove invece il problema non esiste. Peccato.

Non le nascondo che questa volta sono molto contenta. Io non avevo rivolto l'interrogazione a lei e al Ministro dell'interno, l'avevo rivolta nuovamente alla Salute, però, sono molto contenta che ci sia - non dico lei come persona, a cui va tutta la mia stima - una competenza altra a rispondere di questo, perché le voglio soltanto ricordare alcune date, soltanto così, per caso. Meno di un mese dopo, 19, 20 aprile, succedono, con una velocità veramente incredibile, atti di ispezione che raggiungono prevalentemente la Campania. Il mio non è un atto d'accusa alla Campania, semplicemente, evidentemente, in Campania sono stati fatti questi accertamenti e approfondimenti e si sono trovate queste situazioni. Mi piacerebbe che gli stessi accertamenti e approfondimenti venissero fatti anche in altre regioni, ma io parlo di quello che so, parlo di quello che è successo a Salerno, parlo di quello che è successo ad Avellino, parlo di quello che è successo a Napoli stesso, cioè sono stati trovati farmaci e bollini contraffatti, meno di un mese dopo la risposta del Ministro.

Quindi, due delle due una: poteva essere che io mi fossi sbagliata, ma è abbastanza plausibile pensare che il Ministro si sia sbagliato nella sua risposta, cioè che abbia dato, come a volte succede, come lei mi insegna, risposte d'ufficio che non prendono in considerazione seriamente il problema che il parlamentare pone, non tanto perché si ha il problema personale, perché non sono andata io a fare queste indagini, ma il problema che a noi parlamentari viene posto dai cittadini, i quali in generale, prima di questo, cercano e ci offrono dati che siano in qualche modo documentati, anche perché, se i dati non fossero documentati, gli uffici non riceverebbero queste interrogazioni o queste interpellanze. Quindi, mi permetta di leggerle alcune delle cose che sono veramente interessanti. Non leggerò tutti questi fogli, ma solo per dirle che è stato un lavoro abbastanza puntuale e puntuto.

La data di questo è il 20 di aprile, quindi, come vede, poco più di un mese: si fa sempre più delicato e controverso il caso, per ora circoscritto alla sola Campania, dei bollini farmaceutici difettosi. Ieri i NAS hanno effettuato un altro sequestro, il terzo a carico di un distributore del salernitano, circa 5.000 le confezioni bloccate, che, aggiunte a quelle individuate la settimana scorsa nel magazzino di un grossista dell'avellinese, portano il totale a 15.000. I difetti riscontrati dai militari sono sempre gli stessi: le fustelle applicate sulle scatole non hanno i tre strati adesivi previsti dalle norme e il numero identificativo può essere cancellato facilmente dalla superficie.

Come ha risposto il Poligrafico interpellato, sono due i criteri che permettono di identificare un farmaco - potremmo dire il suo nome e il suo cognome -, cioè il nome del farmaco e il numero del farmaco. Questo ci permette di avere un doppio controllo: qualitativo sul tipo di prodotto, quantitativo su quanti se ne sono prodotti. Dovrebbe essere utile anche ai fini di eventuali evasioni fiscali nel caso che venissero denunciati numeri diversi da quelli che sono stati previsti. Le stesse irregolarità riportate nella denuncia che, agli inizi di aprile, aveva fatto scattare la prima ispezione dei NAS - inizi di aprile vuol dire un paio di settimane dopo la nostra interrogazione - nei confronti di una farmacia del salernitano, poco più di 230 le confezioni sequestrate, dalle quali i carabinieri sono poi risaliti a due distributori e a una seconda farmacia di Benevento. Potremmo dire che non c'è stata città della Campania che non sia stata toccata da questo scandalo. Il che vuol dire che non c'è una sola persona, non c'è una sola intelligenza, vuol dire che c'è una rete strutturata e organizzata che ha lanciato un vero e proprio attentato alla tutela della nostra salute, e, diciamolo pure, agli interessi commerciali corretti delle aziende produttrici dei farmaci. Non solo: chi ha visto il verbale dei militari assicura che sotto custodia sono finiti anche farmaci acquistati direttamente dai produttori senza passaggi intermedi. Ohibò: noi siamo sempre inclini ad attribuire la responsabilità a qualcun altro, ma quando la filiera è così corta corta corta, le responsabilità sono meglio identificabili ma appaiono anche di gran lunga più gravi.

Al momento non si sa molto di più, ma c'è già quanto basta per rendere improbabile l'ipotesi che dietro al caso ci sia un tentativo di falsificazione o contrabbando dei farmaci. A parte le altre anomalie, è da pensare che quasi l'80 per cento dei prodotti sequestrati appartenga alla categoria dei farmaci che in qualche modo sono quelli da banco, che non sono mai stati nel mirino dei criminali, interessati soltanto a farmaci di alto costo, dunque remunerativi. Ebbene, questa volta abbiamo visto che i farmaci più facilmente interessati erano proprio farmaci a basso costo, come se in un certo senso questo abbassasse il livello di controllo e il livello di attenzione, e ne facilitasse lo smercio: un po' come quando è più facile falsificare i 10 euro o, poniamo, i 50 euro che non i 100 euro o i 500 euro, su cui l'attenzione di tutti immediatamente sarebbe richiamata dal costo della moneta.

Gli elementi in sostanza parrebbero spingere in una direzione, e cioè che non sia un caso di bollini contraffatti, ma di bollini fallati, usciti cioè non conformi dalla catena di produzione del Poligrafico dello Stato. Ecco, sottosegretario, la domanda vera è proprio questa: bollini fallati, e quindi in qualche modo responsabilità del Poligrafico? Che nella famosa risposta a suo tempo data il 15 marzo alla mia precedente interrogazione invece garantiva assolutamente sulla qualità delle macchine, sulla correttezza delle procedure, sulla sicurezza di ciò che si metteva in commercio. Oppure bollini falsificati? In un caso o nell'altro la domanda è inquietante. Che poi tutto questo si concentri nella regione Campania, pone altri e nuovi problemi, a cui mi auguro lei possa e voglia dare risposta.

PRESIDENTE. Il Viceministro dell'interno, Filippo Bubbico, ha facoltà di rispondere.

FILIPPO BUBBICO, Vice Ministro dell'Interno. Signor Presidente, voglio subito dire all'onorevole Binetti che io mi limiterò ad illustrare una risposta elaborata dal Ministero della salute. Rispetto alle questioni che ha posto, conoscendo la serietà e il rigore che caratterizzano il suo impegno politico ed istituzionale, posso garantirle che per le competenze del Ministero dell'interno, e quindi l'attività delle forze di polizia, come lei stessa ha avuto modo di segnalare, le attività di controllo, di verifica vengono effettuate in maniera piuttosto pervasiva.

Nel darle la risposta, parto esattamente dalle considerazioni che lei ha sviluppato in relazione alla precedente interpellanza, quando fu segnalato che il bollino viene realizzato, come lei ha ricordato, dall'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, viene classificato come carta valori, e quindi è uno strumento estremamente rigoroso, verificato dal Ministero dell'economia e delle finanze, e presenta tutte le caratteristiche proprie di uno strumento che non può essere contraffatto e non dovrebbe essere contraffatto. Proprio per questi motivi, viene ricordato che il nostro Paese ha ottenuto una proroga fino ad ulteriori sei anni rispetto alla prima scadenza fissata dal regolamento comunitario 2016/161, recante norme dettagliate sulle caratteristiche di sicurezza presenti sull'imballaggio dei medicinali per uso umano, in attuazione della direttiva 62/2011.

Va precisato che la vicenda esposta è all'esame della magistratura inquirente, che sta curando l'indagine, riportata dalle notizie di stampa riferite appunto nell'interpellanza. A questo riguardo, l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha comunicato che sta collaborando fattivamente con gli organi di Polizia giudiziaria, fornendo tutte le informazioni necessarie, tra le quali anche le e-mail citate dal giornale onlineCronache della Campania e menzionate nell'atto ispettivo in esame, dalle quali si evince proprio l'efficacia del sistema di controllo di qualità interno sulle produzioni dei bollini farmaceutici. Ciò allo scopo, che è innanzitutto dell'Istituto, di verificare se trattasi di farmaci prodotti illegalmente o meno.

L'Istituto ha precisato infatti che il sospetto che possano essere stati prodotti bollini non a norma è del tutto privo di qualsivoglia fondamento: alla luce degli interventi tecnologici operati a partire dall'aprile 2016, l'eventuale cancellazione del numero presente sul bollino può avvenire solo con fraudolente e drastiche aggressioni, che debbono essere considerate al pari di tutte le contraffazioni, manomissioni che hanno ad oggetto le carte valori. In ogni caso, a riprova dell'efficacia del sistema di controllo di qualità interno sulle produzioni di bollini farmaceutici, il medesimo Istituto ha comunicato che le bobine individuate inizialmente come difettose sono state immediatamente verificate, così come sono stati rilevati e risolti eventuali problemi tecnici.

Infine, detto Istituto ha evidenziato che, al fine di garantire maggiore sicurezza e tutela pubblica, ha concluso, a fine 2016, il processo di internalizzazione dell'intera produzione di bollini farmaceutici attraverso un controllo diretto su tutta la filiera, assicurando con efficacia la copertura dei fabbisogni nazionali. Ciò ha consentito di addivenire tra l'altro ad un miglioramento del sistema di controllo e di annullamento dei farmaci venduti, anche in concomitanza con la diffusione della ricetta elettronica.

Tenuto conto di quanto esposto, e soprattutto che i difetti che hanno reso necessario l'intervento dei NAS non sono in ogni caso attribuibili al Ministero della salute, posto che questo non dispone di poteri di verifica sulle attività svolte dall'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, trattandosi di ente com'è noto vigilato dal Ministero dell'economia e delle finanze, va comunque detto che, sulla vicenda segnalata, gli sviluppi giudiziari verranno monitorati dal Ministero della salute, al fine di valutare l'adozione di eventuali misure atte a garantire la sicurezza dei bollini farmaceutici, e con essa la salute dei cittadini, che rappresenta una priorità fondamentale, trattandosi di bene primario.

PRESIDENTE. La deputata Paola Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

PAOLA BINETTI. Come ha esposto con chiarezza il Viceministro, è evidente che il problema permette diversi piani di lettura. Il primo piano di lettura è quello che assume l'Istituto Poligrafico dello Stato in chiave di autodifesa, sostenendo che l'internalizzazione di tutti i processi di produzione dei bollini, essi avverranno all'interno dell'Istituto Poligrafico; e questo io già avevo avuto modo di sentire che era possibile anche in virtù di macchinari, di dispositivi di altissima qualità e di ultimissima generazione. Quindi il Poligrafico dello Stato dice: io garantisco che tutto quello che si produce qui dentro è di tale qualità da non rendere possibile la contraffazione.

Il punto vero è che, come dicevano gli antichi, contra factum non valet argumentum. Cioè, il problema è che i bollini difettosi ci sono. Nella mia interpellanza c'è anche il riferimento esplicito ad un video, in cui si vede perfettamente come è possibile cancellare, anche senza dover ricorrere a misure drastiche, il numero di riferimento e come è possibile staccare il bollino stesso. Quindi il fatto esiste, nessuno però sia ben chiaro sta accusando, e meno che mai io, l'Istituto Poligrafico dello Stato di un'operazione che potrebbe risultare ambigua, cioè scarsamente qualificata sotto il profilo del prodotto o, peggio ancora, di un'operazione che presenta dei buchi attraverso i quali qualche misterioso hacker potrebbe inserirsi per far uscire dal Poligrafico dello Stato prodotti che, uscendo dal Poligrafico dello Stato, non rispondono alla qualità dei prodotti del Poligrafico dello Stato.

Questa è una chiave di lettura possibile, ma vorrei che fosse abbastanza chiaro che nessuno accusa il Poligrafico dello Stato, anzi, nella primitiva interpellanza di riferimento, io partivo dal punto di vista che il Poligrafico dello Stato aveva fatto degli investimenti economici per acquisire questi materiali di ultima generazione, questi macchinari di ultima generazione, che avrebbe potuto in qualche modo risparmiare addirittura se avesse lasciato che i bollini fossero prodotti com'era fino a poco tempo prima da imprese private. Prodotti da imprese private è evidente che avrebbero forse comportato delle economie di spesa, ma certamente molte meno garanzie sotto il profilo della sicurezza, del controllo, sotto il profilo di quelle che noi possiamo chiamare vere e proprie misure di prevenzione rispetto alla contraffazione. Insisto: a me non è solo la contraffazione del bollino quello che interessa, a noi è il rischio che la contraffazione del bollino, di fatto, nasconda un'operazione molto più pericolosa, che è la contraffazione del farmaco. Il bollino in fondo è soltanto un'etichetta che io attacco su una scatola e l'attacco perché voglio che mi dica che quel farmaco risponde esattamente alle caratteristiche che ci sono non tanto sul bollino, quanto nel famoso bugiardino che è dentro ogni confezione di farmaci e che mi dice esattamente cosa c'è, a che cosa serve, quali sono i suoi benefici, quali sono i suoi rischi, quali sono i dosaggi a cui è possibile assumerlo in sicurezza e quali invece rappresentano delle aree di pericolo.

Quindi il punto vero è che, volendo difendere il Poligrafico dello Stato, volendo anche difendere una politica che ha portato all'interno del Poligrafico dello Stato l'intero processo di produzione dei bollini, volendo credere che il Poligrafico dello Stato produca solo eccellenze, allora però questi bollini da dove vengono fuori? Giustamente lei dice che c'è una azione giudiziaria in atto di controllo. Ma allora questa azione giudiziaria in atto non può essere minimizzata né dal Ministero della salute, né dal Ministero dell'economia, né dal Ministero dell'interno.

Questo dovrebbe rappresentare una spia, uno di quei punti in cui - dovrebbe convergere un interesse chiamiamolo così interministeriale, perché è economico, perché è di salute, perché è di legalità. Ci dovrebbe essere un interesse forte a dire “non si può”. Non è soltanto dire “cosa ti importa, si toglie il bollino, pazienza”; ma pazienza no, perché, dietro quell'apparente cosa minima, il rischio è gravissimo. E il rischio - insisto - per noi Viceministro non è, non me ne voglia, solo per la frode economica che si crea (non più tardi di pochi giorni fa qualcuno, credo che sia stato Cantone, ha proprio chiaramente rivelato, e in qualche modo confermato, il rischio della corruzione in sanità e non sappiamo in capo a chi porre questa accusa, così pulita, così lucida, così lineare, così chiara, della sottrazione di risorse alla tutela della salute).

Il principale problema come medico, come membro della Commissione affari sociali, come persona che si occupa di sanità da tempo, è che tutto questo veramente danneggi la salute e io la salute la danneggio perché metto in commercio prodotti che non contengono i principi attivi che dicono di contenere, contengono principi altri, spesso principi pericolosi di per sé per salute, e la danneggio perché davvero, se vogliamo che il nostro Sistema sanitario nazionale conservi quella dimensione di stima che gli deriva proprio dalla sua gratuità e dalla sua universalità, dobbiamo fare in modo che il prodotto, cioè l'oggetto farmaco, che viene somministrato sia perfettamente tracciabile. Ci mancherebbe altro che tracciamo tutte le uova, come giustamente il mercato europeo ci invita a fare, tracciamo qualunque prodotto, e non tracciamo i farmaci.

Non è possibile. Allora il mio è un ringraziamento al Viceministro e, se ho ben capito, al messaggio implicito che dice “io in questo momento ho letto un documento preparato dal Ministero della salute, ma in qualche modo mi faccio carico anche io di questo problema”. Di questo io la ringrazio e mi auguro con tutto il cuore di non leggere domani sui giornali, come è successo la volta scorsa, “no problem” perché invece il problema c'è ed è esploso esattamente il giorno dopo la denuncia.

(Intendimenti in merito all'implementazione del Piano nazionale di contrasto dell'antimicrobico-resistenza – n. 2-01860)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Busto ed altri n. 2-01860 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Mantero se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario o se si riservi di intervenire in sede di replica.

MATTEO MANTERO. Grazie Presidente. Buongiorno Viceministro. Siamo di nuovo a parlare dell'antimicrobico-resistenza in questa Aula dopo sei mesi dall'approvazione della mia e di altre mozioni sul tema, perché il Ministero in questi sei mesi non ha fatto nulla. Francamente trovo davvero svilente che il sottosegretario Faraone anche oggi non sia presente in Aula ad ascoltare l'interpellanza, come non era presente quando abbiamo illustrato la mia e le altre mozioni su questo tema. Questo ci rende palesi due cose. La prima, quanto il tema, un tema così importante, sia poco considerato dal Ministero e dal sottosegretario, e la seconda è che chiaramente per il sottosegretario farsi spostare dal Ministero della Cultura al Ministero della sanità sia stata solamente una mossa propagandistica ed elettorale perché ha le elezioni siciliane, quindi aveva bisogno di parlare di sanità per farsi per farsi conoscere meglio. La rilevanza che dà a temi così importanti dimostrano appunto queste due cose.

Cosa è l'antimicrobico-resistenza? L'antimicrobico-resistenza è lo sviluppo di batteri resistenti agli antibiotici più comunemente in commercio e che quindi sono di fatto inattaccabili con le armi che abbiamo a disposizione. L'antimicrobico-resistenza è direttamente collegata all'abuso di antibiotici; se si usano tanti antibiotici sia ha un aumento dell'antimicrobico-resistenza, questo è dimostrato. Nei Paesi in cui si usano meno antibiotici a tutti i livelli c'è un tasso di antibiotico-resistenza minore, come dicevo, a tutti i livelli, quindi dal livello ospedaliero, al livello nosocomiale, a livello della medicina generale, compresa anche l'automedicazione perché purtroppo ancora molto spesso vengono ancora dati antibiotici a pazienti senza prescrizione medica, o avendo le confezioni di antibiotici più pastiglie, più dosi di quelle che sono necessarie, vengono poi spesso utilizzate dai pazienti autoprescrivendosele di fatto se ritengono di poterne avere bisogno.

Ma ancora, un uso massiccio degli antibiotici viene fatto nella medicina veterinaria. In Italia il 71 per cento di antibiotici vengono utilizzati negli allevamenti e tra l'altro la stragrande maggioranza di quelli vengono utilizzati per trattamenti di massa ovvero non isolando i singoli capi malati, ma su tutto l'allevamento. Quindi il 94 per cento degli antibiotici viene utilizzato per trattamenti di massa dell'antibiotico negli allevamenti anche come prevenzione perché le condizioni di allevamento sono tali da non poter prescindere dall'utilizzo degli antibiotici. Questo abuso di antibiotici accelera un processo selettivo naturale che è quello dello sviluppo di batteri che hanno resistenza ai più comuni antibiotici. E questo fenomeno - che uno studio inglese, che ormai abbiamo già citato più volte, dice che porterà nel 2050 la mortalità da batteri antibiotico resistenti ad essere la prima causa di morte al mondo, più di quella per tumori e più di quella per diabete, con 10 milioni di decessi nel 2050 - è già adesso un problema per il nostro Paese. Noi abbiamo registrato negli scorsi anni 280 mila casi di infezioni da batteri antibiotico-resistenti, dal 7 al 10 per cento dei pazienti si ammala per infezione da batteri antibiotico-resistenti e abbiamo registrato, lo scorso anno, un numero di morti stimato dai 5 ai 7 mila per infezioni che non siamo stati in grado di combattere con i comuni antibiotici, perché, appunto, non sono più efficaci. Quindi, 5-7 mila morti l'anno anche a causa della negligenza di questo Governo.

Ora, dopo sei mesi dall'approvazione delle nostre mozioni, e dopo anche sei mesi dall'ispezione del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, che è avvenuto proprio a gennaio di quest'anno, e di cui mi avete mandato - nella relazione per l'attuazione della mozione approvata - un estratto, di cui vi andrò a leggere alcune parti, in cui appunto l'ECDC ci bacchetta sonoramente, il Governo ha fatto poco o nulla. Io ho trovato veramente interessante leggere nella relazione che mi avete mandato la mezza paginetta in cui spiegate quello che sta facendo, il quasi nulla che sta facendo il Governo e poi l'altra parte della relazione, in cui, invece, riportate le bacchettate che ci sono state date, quali sono i dati che lo stesso Ministero ci fornisce e il giudizio che è stato dato sull'azione che ha fatto il nostro Paese per quanto riguarda il problema della resistenza agli antibiotici. Ne leggo alcune parti, poi andiamo avanti. Allora, l'ECDC, nelle conclusioni del suo intervento, dice: la situazione dell'antimicrobico-resistenza nelle regioni e negli ospedali italiani rappresenta una grave minaccia per la salute pubblica del nostro Paese. Infatti, gli enterobatteri resistenti ai carbapenemi e l'Acinetobacter hanno raggiunto livelli di iper-endemia e insieme allo stafilococco aureo, resiliente alla meticillina, uno degli antibiotici che sta diventando inservibile, fanno dell'Italia uno dei Paesi europei con il più alto tasso di resistenza agli antibiotici. Ancora, dicono: sembra che i dati relativi all'antimicrobico-resistenza siano accettati e considerati ineluttabili. È così e non si può fare nulla! Se il fenomeno dell'antimicrobico-resistenza non sarà limitato nel breve futuro, non ‘tra', nel breve futuro, alcuni interventi chirurgici chiave saranno compromessi, perché questo è un altro dato fondamentale: oltre ad essere importanti per le infezioni che sviluppiamo quando entriamo un contatto con un batterio che ci infetta, sono fondamentali per la profilassi nelle operazioni chirurgiche, perché altrimenti il rischio di infezioni batteriche delle ferite da operazioni chirurgiche sarebbe estremamente elevato. Rendendo inservibili gli antibiotici, di fatto, rischiamo di mettere a rischio operazioni chirurgiche anche banali e rischiamo di prenderci un'infezione non più curabile quando andremo dal dentista a farci togliere un dente. Vado avanti. Mancano - dice l'ECDC - procedure di supervisione e audit per verificare i progressi delle regioni, soprattutto quelle con quadri più critici. E ci dice anche cosa dobbiamo fare, ho trascurato alcune parti ma il tono è sempre questo: il Ministero della salute deve dichiarare l'antimicrobico-resistenza come grave minaccia per la salute pubblica del Paese - deve!, dice - e individuare risorse ad hoc e supportare la predisposizione nel breve e nel lungo termine. Il Piano nazionale per il contrasto all'antimicrobico-resistenza rappresenta un'opportunità per definire una roadmap ed è necessario che venga finalizzato e approvato rapidamente, includendo azioni, indicatori e obiettivi. Quindi, il Piano nazionale per il contrasto all'antimicrobico-resistenza non è l'obiettivo, è il primo passo per risolvere il problema. Noi non lo abbiamo ancora fatto, il Ministro lo continua ad annunciare, ma, comunque, di fatto, ancora nulla si è mosso.

E ancora dice: è necessaria l'individuazione, sia a livello nazionale, sia a livello regionale, di fondi dedicati. E poi prosegue su questo tema: ...un sistema di accreditamento dei laboratori di microbiologia, bisogna implementare le campagne di comunicazione multisettoriali, quindi anche verso i cittadini, per spiegare qual è il problema relativo all'abuso e all'autoprescrizione degli antibiotici.

Ora leggo e vengo alla parte di quello che ha fatto il Governo. Il Ministero mi dice: è certamente da migliorare il monitoraggio dell'appropriatezza sia delle prescrizioni che dell'uso. Quindi, ammette - e lo dice dopo - che il 40 per cento degli antibiotici sono prescritti inappropriatamente. Quindi, è da migliorare sia la prescrizione, che l'uso successivo. Poi dice: si sta predisponendo il Piano nazionale per il contrasto all'antimicrobico-resistenza, si sta predisponendo, con calma, ci mettiamo lì e lo predisponiamo! Poi ancora: è stato avviato - questo è stato avviato, quindi siamo già a buon punto - un dialogo con le associazioni professionali coinvolte nella prescrizione e vendita di antimicrobici con l'AIFA, allo scopo di fare una cosa rivoluzionaria, ovvero per controllare il fenomeno dell'automedicazione con l'auspicio di arrivare al limite di una confezione di antibiotici nella stessa prescrizione e di un numero di dosi per confezione limitate e corrispondenti alla durata della prescrizione medica. È rivoluzionario. Nel 2015 è stata approvata la dose unica del farmaco e voi avete avviato un dialogo con le associazioni con l'auspicio che si possa approvare una cosa che è già stata approvata nel 2015. Se non sbaglio, siete al Governo, gestite il Ministero della salute, se condividete che deve essere venduto un numero di dosi di antibiotico corrispondente alla durata della prescrizione medica, fate sì che da domani si venda un numero di antibiotico corrispondente alla durata della prescrizione medica, non avviate un dialogo con le associazioni.

Delle campagne informative, ci dite che appare necessario che le iniziative di comunicazione e di educazione della popolazione su questa delicata tematica abbiano un carattere di continuità e permeabilità maggiore. Quindi, anche qua, ammettete appunto che non avete in pratica concluso nulla.

Aggiungo che, qua dentro, nella vostra relazione, non c'è una parola, anzi c'è una parola - una! - relativa agli allevamenti intensivi e all'uso di antibiotici negli allevamenti, quando, come vi ho detto prima, l'abuso di antibiotici negli allevamenti è la parte preponderante: il 71 per cento degli antibiotici venduti nel nostro Paese viene utilizzato negli allevamenti e gli allevamenti sono il focolaio maggiore di sviluppo di batteri resistenti agli antibiotici. Ed è dimostrato che Paesi stranieri, come l'Olanda, che ha ridotto l'uso di antibiotici negli allevamenti, è il Paese europeo con il più basso numero di infezioni antibiotico-resistenti. Quindi, le due cose sono strettamente collegate e voi mettete due parole qua dentro, due parole!

Quindi, è imbarazzante la relazione che mi avete mandato, provate a darvi un voto, non so, quattro e mezzo, il ragazzo si applica ma non ce la fa, ma non si applica neanche, tra l'altro! È imbarazzante la maniera in cui affrontate l'argomento, appunto, con superficialità e anche con snobismo in quanto il sottosegretario non si presenta neanche per sentire la nostra interpellanza, come, ripeto, non si è presentato neanche per sentire l'illustrazione della mozione che è stata approvata. Evidentemente adesso è impegnato nella campagna elettorale siciliana, quindi ha altre cose più importanti da fare che pensare ai 6-7 mila morti l'anno da antibiotico resistenza.

Io trovo veramente una differenza importante su come vi siete impegnati, ad esempio, per la questione dei vaccini, con un Piano nazionale che è già pronto, con campagne informative che vanno avanti a spron battuto, con un decreto d'urgenza, quando non c'è un'urgenza relativa ai vaccini o infezioni, se non una piccola recrudescenza del morbillo, e non fate nulla, invece, per intervenire su un problema in cui l'urgenza è chiara e acclarata, in cui si rischia di compromettere la salute dei nostri cittadini, non solo adesso ma anche per le generazioni future. Ci son diversi quesiti nella nostra interpellanza, ma la domanda che vogliamo fare, in realtà, è molto più semplice, e li racchiude un po' tutti. La domanda è questa: che cosa state aspettando, quanti morti ci dovranno essere perché il Ministero della salute capisca che ci troviamo di fronte ad una emergenza e faccia qualcosa di concreto?

PRESIDENTE. Il Vice Ministro, Filippo Bubbico, ha facoltà di rispondere.

FILIPPO BUBBICO, Vice Ministro dell'Interno. Presidente, le questioni poste nell'interpellanza illustrata ora dall'onorevole Mantero sono complesse e riguardano anche temi sui quali la riflessione non può considerarsi conclusa né esaustiva. Sono gli interrogativi che gli operatori della scienza si pongono continuamente; si tratta di capire in che direzione possano e debbano essere applicati i principi di precauzione, perché è evidente che taluni interventi e l'uso di determinati farmaci, di determinate molecole, favoriscono il superamento di condizioni di difficoltà, di condizioni di malessere, ma possono determinare anche l'insorgenza dei fenomeni che sono stati segnalati. È evidente quindi che occorre mantenere un giusto equilibrio, che occorre continuamente aggiornare i quadri normativi di riferimento, che occorre sempre alimentare un pensiero critico, perché appunto si possano misurare gli effetti in termini positivi e le conseguenti derivazioni di natura negativa che taluni trattamenti possono determinare.

Intanto pare importante sottolineare che dal 1° gennaio 2006 l'uso di antibiotici nel campo dell'alimentazione animale è consentito esclusivamente per scopo terapeutico - un tempo, l'uso di antibiotici era quasi come un intervento di natura preventiva, determinando quei fenomeni che vengono esaminati e ai quali l'interpellanza fa riferimento -, e conseguentemente a quella disposizione è stata organizzata un'attività di verifica sul corretto uso dei medicinali veterinari attraverso l'iniziativa e l'attività dei servizi veterinari locali e l'intervento dei carabinieri, attraverso le sezioni specializzate, a garantire la tutela della salute animale con le ricadute sulla salute umana. Proprio queste attività di controllo e di verifica consentono di nutrire una ragionevole speranza che talune modalità vengano completamente superate, anche attraverso una nuova e diversa responsabilità che i soggetti interessati, in modo particolare gli operatori del settore zootecnico, possono realizzate. Va poi ricordato che il Parlamento europeo ha votato una risoluzione sui temi della resistenza agli antibiotici che favorisce, chiede e stimola la riflessione dei Paesi membri in ordine alla capacità di varare una strategia specifica per contrastare il fenomeno della resistenza agli antimicrobici.

Sono stati prodotti manuali di biosicurezza, linee-guida per la corretta gestione, sia in campo animale che nell'uso umano, e il Ministero della salute ha intrapreso varie iniziative, anche attraverso l'introduzione di un sistema di tracciabilità informatizzato lungo tutta la filiera del medicinale veterinario, e un sistema di monitoraggio integrato per la categorizzazione del rischio per le aziende del settore. Tra le misure volte ad arginare il fenomeno della resistenza agli antibiotici, va ricordato che è in fase avanzato l'iter di approvazione di una norma, nell'ambito del disegno di legge europea, per rendere obbligatorio il sistema di tracciabilità in tutto il territorio nazionale. La ricetta elettronica, unitamente ai registri di trattamento, permetterà infatti l'automazione dei processi di raccolta dei dati in ciascuna azienda, consentendo una reale verifica dell'effettivo impiego di antibiotici nelle diverse specie e categorie animali. In tal modo, sarà possibile monitorare i livelli di riduzione degli antibiotici e verificare il raggiungimento degli obiettivi nelle regioni e nelle province autonome. Il sistema di monitoraggio integrato consentirà inoltre la raccolta, l'elaborazione e il confronto delle informazioni su diversi aspetti di sanità e benessere animale. Questo sistema favorirà anche l'identificazione e la classificazione dell'azienda che possano comportare un rischio per lo sviluppo e la diffusione di batteri antibiotico resistenti. Tutto questo confluirà in un sistema di analisi ed elaborazione dei consumi di medicinali veterinari e permetterà di rendere più efficaci le azioni e gli indirizzi da emanare.

Come già è stato ricordato, il Ministero della salute ha elaborato un Piano nazionale di contrasto all'antimicrobico resistenza. Va ricordato che il nostro Paese è tra i primi promotori, in ambito internazionale, ad avviare questa iniziativa. Con il piano si intende garantire una gestione unitaria delle problematiche, tanto della salute umana quanto di quella animale, individuando per ciascuna area d'azione i relativi obiettivi e le azioni da intraprendere, sia a livello centrale che regionale, nonché la definizione di indicatori di processo, al fine di misurare le attività di monitoraggio. Lo schema di piano, peraltro discusso con le autorità internazionali e verificato da un gruppo di lavoro multisettoriale, verrà a breve sottoposto al parere del Consiglio superiore della sanità, e a seguire verrà trasmesso in Conferenza Stato-regioni, al fine di acquisire l'intesa prevista. Si ha fiducia quindi che, attraverso l'applicazione dell'elaborando Piano nazionale di contrasto all'antimicrobico resistenza, le preoccupazioni segnalate nell'interpellanza possano essere risolte offrendo agli operatori e ai cittadini un quadro di riferimento di maggiore certezza.

PRESIDENTE. Il collega Mirko Busto ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

MIRKO BUSTO. Presidente, questa risposta io la trovo - perdonatemi - intollerabile. Mi dispiace. So che lei non c'entra nulla, è qua per caso, del resto è del Ministero dell'Interno, neanche si è degnato di venire qua qualche responsabile del Ministero della salute. Ma voglio ricordare a quest'Aula, seppur mezza vuota, completamente vuota, quello che dice Margaret Chan, direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità: l'antibiotico-resistenza per la salute globale è paragonabile a un lento tsunami; è la più grande minaccia alla medicina moderna. Di fronte a tale affermazione, all'Organizzazione mondiale della sanità che se ne sta occupando, dopo essersi occupata con focus group specifici di Ebola e dell'Aids e che oggi si occupa di antibiotico-resistenza, noi abbiamo la risposta del Vice Ministro dell'interno che ci viene a leggere un foglio che dice che sostanzialmente non si è fatto nulla. Questo è intollerabile, non è sensato e, nello stesso momento, noi abbiamo in televisione il Ministro Lorenzin ogni giorno a parlarci di un decreto allo stesso modo intollerabile sui vaccini. Noi stiamo parlando di 6.000-7.000 morti all'anno solo in Italia per antibiotico-resistenza e noi abbiamo zero dibattito politico, zero interesse, zero azione: ma stiamo scherzando? Voi state giocando con la vita delle persone. Stiamo parlando di 25.000 morti per infezione e resistenza all'antibiotico; stiamo parlando di 700.000 come numero annuale di possibili decessi al mondo a causa della resistenza antibiotica; stiamo parlando di 10 milioni di morti stimati entro il 2050. Stiamo parlando della possibilità di compromettere l'efficacia di prestazioni terapeutiche umane, operazioni chirurgiche, nel prossimo futuro per la difficoltà a rispondere e a curare infezioni batteriche da batteri resistenti agli antibiotici. Stiamo parlando di una situazione gravissima, inimmaginabile e il tono della vostra risposta è una cantilena noiosa sul fatto che non si è fatto nulla. È intollerabile! In più quello che diceva il collega Mantero: parlate di tutto ma non parlate di allevamento intensivo. Lo capisco: può dare fastidio al settore economico; può dare fastidio alle multinazionali della farmaceutica che producono, come è stato ricordato, il 71 per cento degli antibiotici italiani che viene utilizzato nell'allevamento. Certo dà meno fastidio parlare di vaccini a chi aiuta l'industria farmaceutica. Però qua stiamo parlando di salute delle persone: non stiamo parlando di interessi commerciali; non stiamo parlando di industria. Il Ministero della salute protegge la salute dei cittadini e non protegge la salute dell'industria farmaceutica o dell'allevamento: ve lo mettete in testa? Ce l'avete presente che c'è una differenza in questo? Ora è stato ricordato che finalmente oggi cominciano a muoversi i primi passi per l'introduzione della ricetta elettronica nella somministrazione degli antibiotici anche negli allevamenti. Ripeto i primi passi: ha ricordato lei che nel 2006 è stato introdotto il divieto di utilizzo o, meglio, il divieto di utilizzo dell'antibiotico per favorire la crescita degli animali, mentre oggi tale utilizzo dovrebbe essere correlato soltanto alla prevenzione di patologie. Dal 2006 - oggi siamo nel 2017 - non è stato fatto nulla per monitorare, grazie a un sistema come quello che ha ricordato in base al quale adesso avremo forse finalmente undici anni per non fare nulla, ecco non è stato fatto nulla per poter monitorare con chiarezza, con sicurezza quanto è diminuito l'utilizzo degli antibiotici negli allevamenti. Non è stato fatto nulla. Quindi di fatto quella misura del 2006 potrebbe essere e di fatto è completamente inutile; continua a essere fatto tutto allo stesso modo e allo stesso modo gli allevamenti intensivi continuano a essere il focolaio della creazione di nuovi batteri resistenti come testimonia la letteratura internazionale. Dunque o noi ci mettiamo in testa che bisogna ripensare una serie di cose; bisogna ripensare anche il modo in cui alleviamo gli animali o noi ce lo mettiamo in testa nonostante possa dar fastidio a qualcuno oppure accade ciò che sta accadendo già adesso: il mercato sta andando in un'altra direzione; le grandi aziende si stanno muovendo favorite da report finanziari che dicono che forse un giorno il legislatore europeo si sveglierà e, poiché il problema è fondamentale ed è importantissimo, imporrà qualcosa.

Le aziende cominciano a muoversi verso prodotti senza antibiotici ma questo noi non lo possiamo lasciare alla libera imprenditoria perché può non essere la soluzione. Infatti se lei mantiene una condizione di allevamento in cui gli animali sono tenuti coperti dalle proprie feci, ammassati uno sopra l'altro e, quindi, si ammalano, non dare l'antibiotico non è la soluzione perché magari costa di più, perché muore qualche animale in più, ma il problema rimane. Oggi non possiamo lasciare la risposta soltanto all'industria; non possiamo lasciare la risposta soltanto al marketing che darà il prodotto “antibiotic free”, noi dobbiamo intervenire come legislatori perché il problema ci riguarda tutti. Siete sordi e ciechi: non avete una visione di futuro, non siete capaci a guardare neanche all'interesse della collettività e della salute delle persone; vi muovete soltanto seguendo l'interesse delle multinazionali che vi sostengono. Questa è la realtà. È per questo che non c'è un intervento serio in questa direzione. Ora ci sono molte cose che si possono dire: vi leggo una frase dell'EFSA e di EMA all'interno di un opinion, in un documento: l'unica soluzione praticabile sembra essere ripensare il modello di allevamento in modo da tutelare salute e benessere animale.

C'è un altro grande tema di cui dovreste cominciare a preoccuparvi ed è un tema economico. Non vi piace preoccuparvi della salute dei cittadini, non vi interessa? Volete preoccuparvi soltanto dell'economia e del fattore produttivo? Adesso vi do una notizia che vi dovrebbe far alzare le orecchie. Il contrasto all'antimicrobico resistenza, oltre a salvare migliaia di vite umane, rappresenterebbe un enorme vantaggio economico. Secondo una relazione del 2016 commissariata dal Governo britannico, Review on antimicrobial resistance, l'impatto economico della resistenza agli antibiotici provocherà una riduzione dal 2 per cento al 3,5 per cento del prodotto interno lordo mondiale entro il 2050. Stiamo parlando di cento trilioni di dollari USA. Si tratta di economia: volete guardare anche solo all'economia? Guardate anche solo ai soldi, agli interessi e non alla salute: è quanto stiamo rischiando. È difficile, è una cosa difficile da fare? Non avete la forza di fare un cambiamento, non avete la forza di fare un monitoraggio serio? Allora andate a casa perché vuol dire non saper fare la politica perché la politica è questo: avere un'idea di dove si vuole andare e traghettare il Paese in una direzione, muoverlo, aiutarlo ad andare in tale direzione. Non è aspettare che ci vadano le grandi aziende senza mai disturbarle: questo non è politica ma è vivacchiare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

(Intendimenti in ordine alla revisione dei criteri di compilazione del registro del disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività (ADHD) - n. 2-001872)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Binetti ed altri n. 2-01872 (Vedi l'allegato A). Chiedo alla collega Binetti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Ha a disposizione quindici minuti.

PAOLA BINETTI. L'interpellanza urgente in esame - mi spiace che ancora una volta il Vice Ministro Bubbico sia chiamato in causa a rispondere su temi che credo esulino dalla sfera, non credo forse del suo interesse, ma sicuramente della sua attività pubblica - riguarda in realtà lo Stato che attraversa in questo momento la salute mentale dell'infanzia.

La sindrome da ADHD notoriamente è una sindrome che riguarda il disturbo dell'attenzione dei bambini. Detto così potrebbe sembrare un sintomo abbastanza facile, un sintomo anche che tutti noi siamo disposti a guardare con una certa benevolenza. Potrebbe ricordare i cosiddetti bambini vivaci, i bambini disobbedienti, i bambini un po' ribelli, quei bambini che una volta non più di pochi decenni fa si definivano in classe bambini caratteriali ma, in realtà, la sindrome di ADHD, pur dietro questa etichetta, che raccoglie soprattutto il parametro dell'attenzione, rivela una difficoltà dei bambini a integrarsi nel contesto classe e ad avere difficoltà ad essere armonizzati insieme al gruppo classe e, quindi, pone non pochi problemi alle insegnanti. Ma precedentemente questi stessi problemi li ha posti anche alla famiglia. Sono bambini che a volte sono difficili da gestire anche nel contesto familiare. Non si tratta soltanto del cosiddetto bambino capriccioso, del bambino che vuol fare di testa sua, del bambino disobbediente. Si tratta di bambini che veramente sia i genitori sia gli insegnanti non sanno come prendere. Questi bambini, di cui non di rado quando si riesce a calcolare il quoziente intellettivo ci si trova davanti a quozienti intellettivi anche di gran lunga superiori alla media, sono però bambini che, messi davanti alla possibilità di acquisire obiettivi e performances di tipo scolastico, di tipo sociale, sono sempre ai limiti, quando non si pongono oltre questi stessi limiti.

Sono bambini che non restano solo bambini, sono anche bambini che crescono, sono bambini che diventano adolescenti, diventano adolescenti problematici, e sono adolescenti che diventano adulti e quindi diventano anche adulti problematici. Non nascondo che molto spesso, dietro a certi comportamenti di adulti - non dico che siano tutti così -, però quando vedo certi episodi anche di violenza che sottendono forme di femminicidio, di cui tante volte in queste Aule si parla, e capiamo che dietro questa sindrome c'è la sindrome di chi ha paura di essere abbandonato, di chi ha paura di essere lasciato, mi chiedo sempre che bambino è stato questo adulto, che adolescente è stato questo adulto, che capacità ha avuto di fare suoi i criteri che definiscono una normale socializzazione, una normale integrazione nel gruppo.

Di fatto, il tema dei bambini diagnosticati come ADHD, che poi diventano adulti, è un tema molto complesso, di cui devo dire che mi ha sempre sorpreso che non sia mai stato fatto uno studio prospettico. Eppure si potrebbe fare, perché per i bambini diagnosticati esplicitamente con sindrome ADHD esistono dei registri. Senonché questi registri, per la complessità che richiedono, per i costi che comportano e anche, a volte, per il mancato finanziamento di queste stesse misure, vengono utilizzati in modo minimale. Per esempio, nel registro che riguarda i soggetti con sindrome ADHD vengono registrati solo quei soggetti che assumono farmaci e farmaci specifici. Farmaco per antonomasia, che alle volte si somministra ai bambini con sindrome ADHD, per esempio, è il Ritalin. Siccome il Ritalin è un farmaco difficile non solo da somministrare in atto, è un farmaco molto complesso, e si vuole che a somministrarlo e a prescriverlo siano soltanto i neuropsichiatri infantili, o comunque persone con un profilo di competenza specifica ben identificato, poiché, come è noto, per chi ha seguito nel tempo l'evoluzione di questi bambini, questo farmaco comporta anche il rischio di idee suicidarie - sono bambini che più facilmente vanno incontro a episodi di depressione, quando arriva l'età dell'adolescenza, e successivamente a suicidi o a tentativi di suicidi - è bene che ci sia un farmaco che controlli questo parametro. Ma il parametro non esaurisce tutta la più ampia coorte di bambini che presentano una sintomatologia di ADHD.

Come sempre succede in neuropsichiatria infantile, la domanda di fondo è: ma questo è un fatto, come dire, biologico, organico, genetico, o è un fatto culturale, comportamentale relazionale? È una delle domande classiche nella psichiatria: è un problema di natura o è un problema di cultura, è un problema organico o un problema contesto-dipendente. Non esiste una risposta, ci può essere una percentuale maggiore di componente organica rispetto a percentuali maggiori di competenza situazionale o contestuale.

Quello che è certo, e che è in fondo alla base anche di questa interpellanza, è il fatto che da tanto tempo per la salute mentale dell'infanzia non si fa nulla: sono pochi i neuropsichiatri infantili, sono pochi i servizi di neuropsichiatria infantile e non ci si rende conto che il neuropsichiatra infantile non può essere ridotto, per così dire, alla visita che misura soltanto i parametri organici e poi fa la prescrizione farmacologica. Se vogliamo che la neuropsichiatria infantile risponda oggettivamente ai bisogni di salute dell'infanzia e consideriamo i bisogni della salute mentale dell'infanzia bisogni altamente complessi, chi ha la regia di questi interventi mantiene rapporti ampi e continuativi con la famiglia, mantiene rapporti con la scuola, mantiene rapporti con figure di riferimento, che possono essere chi si occupa di pet therapy, piuttosto che di musicoterapia, piuttosto che di atelier artistici piuttosto anche di semplice attività, che di semplice ha ben poco, di semplice attività sportiva verso la quale si cerca di orientare la vivacità iniziale di questi ragazzi, salvo poi verificare che sono capaci di prestazioni isolate brillantissime, ma non sono capaci di inserirsi per esempio all'interno di un progetto di allenamenti, all'interno di un gioco di squadra, eccetera.

Ora, la domanda che ci si pone in questi casi è come venire incontro, in chiave preventiva, alle famiglie, perché perlomeno quella componente che rappresenta l'elemento di disagio emotivo dei bambini venga realmente prevenuta attraverso un clima familiare sereno, armonico.

Sappiamo tutti quanti, ça va sans dire, che ci troviamo davanti a famiglie della più diversificata formazione. Anche nelle famiglie che in qualche modo garantiscono legami stabili, perché magari sono bambini che vivono in una famiglia in cui c'è un padre e una madre sposati, anche socialmente parlando, dietro un accordo formale, sappiamo come in quelle famiglie molte volte ci possano essere delle sacche di tensioni legate a preoccupazioni economiche, legate a preoccupazioni di salute, legate a un'instabilità del contesto, che certamente non garantisce il benessere e la serenità dei bambini.

Ma queste sono comunque una minoranza, perché di famiglie separate, famiglie divorziate, famiglie allargate, famiglie di tutti i tipi, generi e specie, ne troviamo a tal punto che ci sono alcune persone che vorrebbero sostituire il termine “famiglia”, con quello che comprende di prototipico, di archetipico con il termine molto più generico “famiglie”, laddove “famiglie” sta per qualsivoglia tipo di legame che, per qualsivoglia precarietà di tempo, di luogo e di spazio, mette insieme alcune persone. È chiaro che in questo contesto i bambini non possono che registrare l'instabilità - instabilità dei tempi, dei ritmi, dei rituali - ed è chiaro che la loro attenzione viene di volta in volta focalizzata o da questa cosa o da quell'altra, ma non riesce ad avere canali organici ordinari.

A tutto questo aggiungiamo le difficoltà che, disgraziatamente, anche una certa stampa ci rimanda con frequenza, che sono quelle che si verificano a scuola. Proprio in questi giorni, più di un episodio era riportato dalla grande stampa di insegnanti veramente aggressivi nei confronti dei bambini. Siamo tutti d'accordo che siamo alla fine dell'anno scolastico e che il lavoro dell'insegnante è uno dei lavori più preziosi, più importanti, ma anche più usuranti che ci sia, però gli episodi sono, peraltro, documentati attraverso le telecamere nelle classi, nelle aule. Noi stessi abbiamo votato un disegno di legge un po' di tempo fa in cui si parlava proprio della possibilità, non della necessità, della possibilità di inserire nelle classi le telecamere, perché i genitori, con il sospetto che i figli vengano maltrattati in aula, volevano, come dire, avere conferme di tutto questo. Chiaro che anche in questo contesto di classi, in cui gli insegnanti sono instabili, nel senso che cambiano con frequenza, insegnanti che sono stressati, insegnanti che sono sottoposti a un'usura complessa della loro vita, non sono in grado di garantire una qualità di rapporto.

Quindi, riproporre il tema: fino a che punto c'è una competenza organica e biologica, fino a che punto nell'instabilità di questi bambini il contesto gioca un ruolo preponderante, è molto difficile. Tanto difficile, però, che richiede misure importanti, anche le misure del rendimento scolastico. È di questi giorni la pubblicazione dei dati Invalsi, in cui facciamo cattiva figura - a parte che facciamo cattiva figura anche perché i parametri utilizzati non sono esattamente quelli che rispondono ai criteri di valore che si usano nelle nostre classi, anche quelle di migliore tradizione -, ma facciamo brutta figura, anche perché non c'è nulla che risponda a questo bisogno dei minori: non c'è nelle scuole un servizio psicologico adeguato, non c'è la possibilità di usufruire di servizi psicologici al di fuori della scuola, ma accessibili. Accessibili vuol dire che sono riconosciuti e messi a disposizione dei ragazzi e delle famiglie in modo gratuito. Dover andare dallo psicologo, dover accedere a un servizio complesso che preveda interventi multidimensionali è un costo che la stragrande maggioranza delle famiglie, trattandosi peraltro di coppie giovani, non si può permettere.

Quindi il tema della salute dell'infanzia è un tema che richiede, ancora una volta, un intervento a 360 gradi, che comincia con la famiglia, che si applica alla scuola, che coinvolge i contesti sociali, sportivi, in cui il bambino si muove, che cerca di evitare quell'apparente misura di compensazione che è il bambino che in qualche modo stabilisce una dipendenza assoluta dalla sua Play Station.

Porre la domanda in questo caso sulla possibilità di mantenere i registri; ma sulla possibilità di rivederne in qualche modo lo stile, da un lato allargandone l'applicazione a bambini che presentano una sintomatologia di ADHD, anche se fortunatamente non assumono farmaci. Riuscire ad estendere questi registri, perlomeno per poter seguire questi bambini nel momento in cui entrano nell'adolescenza, ma anche per poter capire che ne è quando diventano adulti, questo significa, è un modo, non un modo risolutivo, non è il modo per eccellenza o per antonomasia, però è un modo per porre la questione all'attenzione del Ministero della salute, ma anche a tutta la nostra società. E in questo senso, sì, anche per quello che riguarda il Ministero dell'interno, perché poi il disagio minorile molte volte si traduce in comportamenti che diventano di pertinenza dei contesti sociali, ambientali. Tutto questo è un modo per dire: signori, pigliamo sul serio questo argomento della salute mentale, perché è la più bella, la più ampia e anche la più dignitosa delle misure per dare ragione di una generazione di ragazzini sani, forti, armonicamente cresciuti, emotivamente equilibrati, motivati anche a vivere la propria vita come un'avventura positiva.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro dell'Interno, Filippo Bubbico, ha facoltà di rispondere.

FILIPPO BUBBICO, Vice Ministro dell'Interno. Signor Presidente, voglio subito dire che personalmente condivido le preoccupazioni e anche agli auspici che l'onorevole Binetti ha ora formulato. E voglio subito assicurare che da parte del Ministero della salute viene confermato l'impegno a favorire l'implementazione di una rete di natura specialistica e interdisciplinare, con il coinvolgimento diretto delle realtà regionali, capace di garantire non solo l'attività di diagnosi, ma capace di combinare quelle relazioni positive tra servizi sanitari, dipartimenti di neuropsichiatria infantile, dipartimenti di salute mentale e istituzioni scolastiche, con una nuova e diversa consapevolezza da parte delle famiglie rispetto agli obblighi derivanti dalla funzione genitoriale e familiare, soprattutto nella fase di crescita e di formazione dei minori.

In questo senso il Ministero della salute annette particolare importanza all'animazione dei tavoli interministeriali e di raccordo con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, perché possa essere individuato il disagio giovanile e possano essere letti i disturbi nella fase evolutiva. Queste iniziative il Ministero intende svilupparle e rafforzarle per aumentare la diffusione delle informazioni, tanto da rendere consapevoli tutti i soggetti che a vario titolo possono intervenire per leggere in tempo utile l'emergere di fenomeni di disagio.

Quanto al Registro nazionale della ADHD, gestito dall'Istituto superiore di sanità, va ricordato che esso, nato nel 2007 come strumento di farmacovigilanza per il monitoraggio dei farmaci di nuova immissione in commercio nel nostro Paese per il trattamento della patologia in questione, deve evolvere nella dimensione indicata, è auspicabile che evolva nella direzione indicata. Infatti il Registro ha permesso di valutare in dieci anni di attività sia il profilo di sicurezza dei farmaci, sia l'appropriatezza d'uso dei farmaci stessi, relativamente ad individui di determinate fasce d'età inserite nel Registro, in quanto sottoposti a trattamento multimodale esattamente come ricordato; ma è importante che quel Registro subisca l'evoluzione auspicata.

È intenzione del Ministero della salute di valutare, sentito l'Istituto superiore di sanità e l'Aifa, le iniziative più opportune da intraprendere per rendere l'attuale strumento più snello, più maneggevole, in modo da migliorare la valutazione d'esito dei trattamenti, non solo farmacologico ma anche psicosociale: perché è di quelle competenze che abbiamo tanto bisogno, e quelle sono risorse fondamentali, più importanti delle risorse di natura farmacologica.

Questo nell'ottica di favorire una maggiore e più convinta adesione del personale sanitario, che in vario modo interviene nel processo, e garantire i trattamenti più appropriati, evitando che disturbi anche di natura comportamentale possano essere confinati nella dimensione sanitaria, quando invece devono essere letti in una dimensione più organica, multifattoriale, multidimensionale e multidisciplinare. Questo è l'impegno che il Ministero della salute segnala di assumere, ed è l'auspicio che noi formuliamo, perché queste sindromi possano essere evitate: anche per garantire quella crescita equilibrata capace di evitare non solo devianze, ma anche quelle situazioni che suscitano non poche preoccupazioni per il benessere psicofisico dei cittadini, e soprattutto dalle fasce minorili.

PRESIDENTE. La deputata Paola Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

PAOLA BINETTI. Della risposta siamo soddisfatti: la ringrazio, Vice Ministro. Quello che ci aspettiamo è che la soddisfazione comprenda anche i positivi servizi che il combinato disposto del Ministero della salute e del MIUR, Ministero dell'Istruzione dell'università e della ricerca, rendano disponibili sul piano operativo.

Alle volte succede che più si innova e meno si innova realmente. Quando io cominciato il mio lavoro professionale di neuropsichiatria infantile, tantissimi anni fa, c'erano le famose (qualcuno se lo ricorda, ma vedo pochi capelli bianchi) équipe medico-psicopedagogiche, che erano delle équipe in cui c'era il neuropsichiatra, c'era lo psicologo, c'era il pedagogista, c'era l'insegnante esperto, e insieme si strutturavano le misure di intervento che non erano solo sul singolo bambino, il bambino in una classe veniva segnalato per i suoi problemi, ma si esplicitavano anche all'interno del suo contorno, si riorganizzava in qualche modo attraverso metodologie didattiche innovative, eccetera, la vita, perché questi bambini non dovessero - come dire? - andar fuori dalla classe, comunque essere isolati all'interno della classe, ma diventassero attivatori di un processo di innovazione, anche di positiva vivacizzazione dell'attività didattica. Si sono fatte cose molto interessanti recentissimamente in chiave diversa, ma non in contrasto con quello che sto per dire: abbiamo ricordato tutti, perché era un anniversario, il lavoro fatto, preziosissimo, da don Milani alla scuola di Barbiana con un gruppo di ragazzini, che in un altro momento sarebbero sembrati bambini marginalizzati, o marginali, e viceversa sono stati una ricchezza positiva, non solo per loro, ma anche come provocazione positiva a capire di che cosa hanno realmente bisogno questi bambini; e di responsabilità forte, vuoi per la famiglia che però non va lasciata sola, vuoi per gli insegnanti, che nemmeno vanno lasciati soli.

Recuperare questo concetto di rete, che comincia sicuramente dal dialogo tra i due Ministeri, ma abbraccia operativamente proprio a cascata tutti i servizi, potrebbe essere un auspicio reale. E credo sia un auspicio tanto più importante se si pensa a situazioni di cui pure abbiamo parlato qui in Aula recentemente, come il famoso problema dei minori non accompagnati, come il problema dell'abbandono scolastico, il problema della dispersione scolastica: tutte realtà composite che vanno affrontate veramente in una logica che sia interdisciplinare, multiprofessionale, eccetera. Sembra un paradosso quello che sto per dire, ma realmente cinquant'anni fa si faceva così, all'inizio degli anni Settanta perlomeno si faceva così. E poi abbiamo disperso un patrimonio di conoscenze e di competenze; forse la colpa è stata dei tagli, forse è subentrata qualche teoria nuova, ma di fatto abbiamo lasciato soli insegnanti, famiglie e bambini. Mi auguro che si possa recuperare questa cultura dell'insieme, questa cultura sistemica, che non vuol dire sistematica perché ha bisogno invece di adattarsi continuamente al contesto, però sistemica sì, che ci permetta di dimostrano alle nuove generazioni che ci importano, che ci interessano, che siamo disposti a prenderci cura di loro.

(Intendimenti riguardo alla stabilizzazione del personale impiegato negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), anche al fine di garantirne la continuità – n. 2-01874)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Quartapelle Procopio ed altri n. 2-01874 (Vedi l'allegato A). Chiedo alla deputata Quartapelle Procopio se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie Presidente. L'interpellanza, che è firmata da più di trenta colleghi di varie regioni e di vari gruppi, riguarda la situazione dei lavoratori cosiddetti atipici degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Gli IRCCS sono sostanzialmente ospedali di eccellenza che fanno insieme cura e ricerca scientifica. Questa natura mista del loro lavoro è quello che effettivamente permette un servizio di eccellenza, in particolare nella cura di patologie rare e gravi.

Gli IRCCS sul territorio nazionale sono quarantanove, ventuno dei quali sono effettivamente istituti pubblici. La parte di cura dell'IRCCS dipende dal Ministero della salute e le persone che ci lavorano sono assunte a tempo indeterminato come appunto dipendenti pubblici del Ministero della salute. La parte invece di ricerca è finanziata con contributi variabili del MIUR, contributi pubblici, bandi europei, bandi di fondi privati. Il fatto che ci siano dei fondi variabili fa sì che i lavoratori della parte di ricerca scientifica siano assunti con contratti atipici: borse, partite IVA, co.co.co., con ovviamente delle limitazioni rispetto ai loro diritti da un lato e dall'altro lato alla programmazione della loro vita. Con il decreto legislativo n. 75 del 2017 è stato inserito però un divieto per la pubblica amministrazione di stipulare contratti atipici, co.co.co. in particolare. L'obiettivo del decreto legislativo era giusto, cioè quello di eliminare la precarietà nella pubblica amministrazione. Si condivide l'obiettivo generale del decreto legislativo, ma questo riferito al caso degli IRCCS effettivamente mette in pericolo il funzionamento di queste strutture, perché gli IRCCS da un lato non hanno gli strumenti finanziari e strutturali per il personale della ricerca e dall'altro non possono bandire concorsi per l'assunzione del personale sul lato della ricerca.

Il 20 di giugno sono state proclamate le agitazioni nei ventuno IRCCS pubblici per segnalare la preoccupazione dei 3.500 dipendenti, quindi un numero abbastanza notevole. Poi se ci si riferisce in particolare alla Lombardia, i lavoratori sono mille in un settore che è un settore di eccellenza anche produttiva per questa regione. C'è già stata una risposta all'interrogazione della collega Donata Lenzi da cui emerge che ci siano da parte del Ministero della salute una serie di proposte normative per il riconoscimento del personale della ricerca sanitaria, ma noi chiediamo al Ministero della funzione pubblica oggi esattamente come si intenda intervenire per scongiurare il pericolo che gli IRCCS corrono alla fine dell'anno, quando questi contratti non si potranno più fare, e 3.500 persone rischiano di non poter più lavorare nelle condizioni in cui lavorano oggi, che non sono magari le condizioni più giuste da un certo punto di vista, ma sono le condizioni in cui questi istituti hanno operato fino ad oggi. Quindi la domanda è: come il Governo intende lavorare per evitare una chiusura di un settore produttivo importante che ha a che fare molto con il servizio ai cittadini.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro dell'Interno, Bubbico, ha facoltà di rispondere.

FILIPPO BUBBICO, Vice Ministro dell'Interno. Grazie Presidente. Anche in questo caso, io personalmente condivido le preoccupazioni, considerata anche la rilevanza delle attività cui fa riferimento l'interpellanza, non solo in termini di appropriatezza e di qualità delle cure sanitarie, delle cure mediche, ma di quella relazione positiva che nel corso degli anni si è realizzata tra attività di ricerca, attività di cura e accrescimento delle competenze specifiche che il sistema riceve attraverso gli apporti che i singoli progetti di ricerca riescono a garantire.

La risposta è formulata dal Ministero della Salute, voglio anticiparlo, quindi non so in che termini la questione sia valutata dal Ministero della funzione pubblica.

Esiste questo problema, il Ministero della salute è consapevole di questa preoccupazione. Infatti si ricorda che la proposta normativa di cui stiamo parlando è orientata a un decisivo miglioramento della qualità e dell'efficienza delle attività di ricerca sanitaria, avendo introdotto all'interno del sistema sanitario i principi della Carta europea dei ricercatori, di cui alla legge n. 124 del 2015, relativi al personale operante negli enti di ricerca pubblici. Essa inoltre consentirà per gli istituti di cui parliamo, per gli IRCCS, la possibilità di avvalersi del personale che ha ormai acquisito notevole competenza nel settore della ricerca. A questo fine, il Ministero della salute ha già avviato una rilevazione delle diverse figure professionali coinvolte nell'ambito delle attività di ricerca sanitaria. Sono state definite le due distinte aree del personale di ricerca: l'area ricercatore e l'area professionalità della ricerca. È stata altresì avviata una ricognizione puntuale di tutto il personale di ricerca reclutato dagli IRCCS per contratti di lavoro a tempo determinato atipici, quali co.co.co., co.co.pro., assegni di ricerca, eccetera. Va rammentato che la norma in questione delinea per tale personale un percorso di sviluppo professionale che, se concluso positivamente, permette l'ingresso nei ruoli del Servizio sanitario nazionale.

In merito alle ulteriori richieste formulate dagli interpellanti si è ritenuto di acquisire i necessari elementi informativi da parte del Dipartimento della funzione pubblica con il quale il Ministero della salute ha intrapreso un intenso percorso di collaborazione in relazione alle problematiche in esame. Al riguardo, il Dipartimento della funzione pubblica ha ritenuto di fornire le seguenti precisazioni. Innanzitutto, il divieto di contratti di collaborazione continuativa, già introdotto dal decreto legislativo n. 81 del 2015 e ribadito dal decreto n. 75 del 2017, per risolvere il problema del precariato e chiudere le procedure di infrazione a livello europeo, entrerà in vigore solo per i contratti stipulati dopo il 31 dicembre 2017 e non intaccherà i rapporti in corso a quella data. Quindi, i programmi già avviati potranno concludersi, questo mi sembra possa desumersi da questo orientamento. Inoltre, diversamente da quanto affermato dagli interpellanti, tutte le forme di lavoro flessibile, anche da ultimo previste dal decreto legislativo n. 75 del 2017, sono aperte anche agli istituti di ricerca, ivi compresi i contratti di collaborazione previsti dall'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2011, attribuiti a esperti di particolare e comprovata specializzazione per prestazioni di natura altamente qualificata, come nel caso dei ricercatori dell'IRCCS. Non sussistono quindi i paventati pericoli di paralisi della meritevole e apprezzatissima attività di ricerca svolta da tali istituti.

Infine, il Dipartimento della funzione pubblica e il Ministro Madia condividono appieno gli sforzi del Ministero della salute per migliorare le condizioni del personale della ricerca degli IRCCS, tanto che hanno aperto un tavolo tecnico, già riunitosi presso il Dipartimento della funzione pubblica, e sono in corso interlocuzioni con gli stessi istituti al fine di chiarire la portata applicativa del testo unico sul pubblico impiego, come novellato dal decreto n. 75 del 2017 e per trovare ogni possibile soluzione ai problemi del personale degli IRCCS posti dall'interpellanza. Insomma, viene confermato l'impegno perché le preoccupazioni segnalate possano essere risolte, garantendo stabilità nell'attività di ricerca e di cura di questi importanti istituti che contribuiscono, in maniera significativa, a migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie, oltre che garantire risultati importanti sul fronte della ricerca scientifica.

PRESIDENTE. La deputata Quartapelle Procopio ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Io ringrazio molto il sottosegretario anche per le parole di vicinanza e di attenzione personali poste sulla vicenda. Certamente il Governo è uno, quindi il fatto che risponda il Ministero della salute invece della Funzione pubblica dovrebbe essere rassicurante. Al tempo stesso, però, credo sia abbastanza evidente che serve un concorso di azioni da parte di vari Ministeri ed è per questo che l'interpellanza era rivolta alla funzione pubblica e non al Ministero della salute, che ha già risposto e aveva già risposto, ovviamente, come c'era da aspettarsi, manifestando attenzione e preoccupazione e segnalando alcune cose che si stanno facendo. Serve fare un lavoro di concerto, servono risorse e, quindi, serve coinvolgere il MEF, ma serve, in particolare, coinvolgere la Funzione pubblica, per verificare la compatibilità della disciplina del pubblico impiego e degli obiettivi della riforma della pubblica amministrazione con la soluzione prospettata dal Ministero della salute, che è una soluzione di cui si sta discutendo da anni e che torna sul tavolo nel momento in cui il Ministero della funzione pubblica ha effettivamente preso delle decisioni che mettono in discussione l'assetto esistente e che al Ministero della salute, effettivamente, andava bene.

Mi sembra ottimo capire che è in corso un lavoro di indagine, un lavoro di ricognizione di quanti contratti, tipologie, e il tavolo tecnico in corso. Mi preme, però, sottolineare una cosa: è vero che i contratti in essere non scadono il 31 dicembre del 2017, ma è anche vero che spesso questi sono contratti annuali o di poche annualità e, quindi, non possiamo non immaginare che nel 2018, se non si arriva alla paralisi, si arriva, comunque, a una situazione effettivamente di stallo di un settore che ha un sacco di persone impiegate su progetti che sono annuali o che andranno a terminare nel 2018. E quindi io ritengo che il tavolo tecnico non debba essere un tavolo esclusivamente per prospettare alcune soluzioni, ma debba essere un tavolo che, nel breve periodo, in vista della legge di bilancio, arrivi a formulare alcune proposte operative, che poi possono trovare, appunto, il sostegno parlamentare più ampio, come dimostra il fatto che ci sono stati vari atti di sindacato ispettivo firmati da vari gruppi politici per arrivare a una soluzione della questione.

La questione deve essere risolta guardando ad alcuni elementi: sicuramente valorizzare il merito e, in questi istituti, in particolare nell'ambito della ricerca, c'è molta eccellenza della ricerca italiana, questo non lo dobbiamo dimenticare. Dobbiamo, appunto, stabilizzare la possibilità di fare ricerca in questi settori, che sono dei settori chiave per il futuro anche del nostro Paese e dobbiamo provare a trovare delle soluzioni che mantengano o rafforzino la capacità di fare ricerca.

Io mi auguro, davvero, che, insomma, si eviti un po' il rischio che c'è in queste situazioni, cioè che, per risolvere un problema più ampio, quello della precarietà nella pubblica amministrazione, si creino altri problemi in settori che non sono stati debitamente normati e debitamente tenuti in considerazione. Quindi, davvero buon lavoro al Governo, al Governo tutto, non è un problema solo del Ministero della salute, è un problema anche di MEF e di Funzione pubblica, e ci auguriamo che, siccome c'è solo un Governo, si possa rispondere in modo congiunto.

(Chiarimenti in ordine alla sussistenza dei presupposti per la revoca del rettore dell'Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, anche alla luce di recenti vicende giudiziarie – n. 2-01842)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Saltamartini ed altri n. 2-01842 (Vedi l'allegato A). Chiedo alla deputata Saltamartini se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Prego, ha quindici minuti.

BARBARA SALTAMARTINI. Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, come probabilmente saprà e avrà saputo, leggendo i giornali, presso l'Università degli studi di Roma di Tor Vergata sono state effettuate cinquantasette chiamate di professori, soprattutto associati ma anche ordinari, ai sensi dell'articolo 24, comma 6, della legge n. 240 del 2010, senza alcuna procedura di valutazione comparativa tra i ricercatori a tempo indeterminato e i professori associati che fossero in servizio presso il medesimo ateneo ed in possesso della prescritta abilitazione scientifica nazionale.

Le relative procedure sono state riservate ad un solo candidato, individuato dai dipartimenti che hanno attivato la procedura di chiamata attraverso delibere riservate, perché non pubblicate, né sul sito web di ateneo, come invece è chiaramente previsto dall'articolo 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010, al quale si rinvia, né altrove.

Due ricercatori a tempo indeterminato, Giuliano Grüner di diritto amministrativo e Pierpaolo Sileri di chirurgia generale, entrambi in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale di professori di prima fascia nei rispettivi settori concorsuali, hanno proposto due ricorsi al Tar del Lazio, nella sede di Roma, di contenuto sostanzialmente identico, contestando che era stata loro preclusa la possibilità stessa di partecipare a due procedure di chiamata come professori associati: la prima, relativa al settore concorsuale 12/D1 - diritto amministrativo, è stata riservata a Marco Macchia, allievo diretto del pro rettore vicario, il professore Claudio Franchini, e la seconda, relativa al settore concorsuale 06/C1 - chirurgia generale, è stata riservata a Paolo Gentileschi, figlio di Ezio, già direttore della scuola di specializzazione in chirurgia generale presso l'Università di Tor Vergata.

Il ricorso proposto da Pierpaolo Sileri è stato accolto dalla recente sentenza del Tar del Lazio, la quale ha disposto l'annullamento dell'intera procedura di chiamata di Paolo Gentileschi; mentre, per l'analogo ricorso proposto da Giuliano Grüner, è stata fissata l'udienza di discussione nel merito in data 10 ottobre prossimo.

Nella richiamata sentenza del Tar del Lazio è scritto, tra le altre cose, che la stessa nutre piena condivisione al punto che «ritiene di dovere fare proprie» le «conclusioni cui è pervenuto il T.A.R. Lombardia-Milano con la sentenza n. 2440 del 20 novembre 2015». Le conclusioni di quest'ultima sentenza del Tar lombardo, emesse in una fattispecie sostanzialmente identica a quella che riguarda i ricercatori Grüner e Sileri sono le seguenti: «il Collegio reputa opportuno, anche in ragione dell'omissione della pubblicità della procedura di chiamata di cui si tratta, mandare alla segreteria per la trasmissione di copia degli atti e della presente sentenza alla procura della Repubblica presso il tribunale di Milano per le valutazioni di propria competenza».

La predetta sentenza del Tar è stata ovviamente appellata dall'ateneo resistente, sia dal controinteressato in quel processo innanzi al Consiglio di Stato, il quale, con una recente sentenza, ha respinto gli appelli, confermando pienamente la sentenza del Tar meneghino, con la seguente motivazione: «(...) Questo Collegio ritiene di poter evidenziare che tutta la vicenda contenziosa si incentra sul valore da assegnare alla locuzione contenuta in fine del comma 5 dell'articolo 24: “Alla procedura è data pubblicità sul sito dell'ateneo”. È pacifico, come affermato nella sentenza impugnata, che nessuna pubblicità sul sito dell'ateneo è stata data alla procedura su cui si controverte. (...) Entrambi i soggetti appellanti affermano che la pubblicità di cui alla norma in esame sia in una forma di pubblicità notizia. La conseguenza di questa qualificazione sarebbe che tale notizia potrebbe essere stata data dopo la conclusione della procedura e, poiché nessun limite temporale viene indicato nella norma, potrebbe non esser comunicata mai con la conseguenza, correttamente individuata dalla sentenza impugnata, di un'inammissibile abrogazione della norma in via interpretativa» e, ovviamente, di seguito, altre indicazioni che emergono dalla sentenza.

A seguito di questo, entrambi i ricercatori, purtroppo, dopo aver presentato i propri ricorsi, hanno subito pressioni fortissime, da parte del rettore, il professore Giuseppe Novelli, affinché ritirassero i ricorsi stessi. Nell'aprile del 2016, i due ricercatori hanno denunciato tali comportamenti del rettore alla procura della Repubblica di Roma, la quale ha concluso le indagini in data 22 febbraio 2017, contestando al rettore il delitto di tentata concussione ai danni di Giuliano Grüner e il delitto di istigazione alla corruzione ai danni di Pierpaolo Sileri.

La vicenda ha avuto, come era ovvio, una vasta eco sui mezzi di informazione, ci sono articoli pubblicati su Il Fatto Quotidiano, nonché un servizio de Le Iene, che è andato in onda sulla rete Italia1. Questi articoli e questi servizi hanno riportato, tra l'altro, anche l'audio di una registrazione intervenuta tra il rettore e uno dei due ricercatori Giuliano Grüner, nella quale il primo dice al secondo, utilizzando tra l'altro un turpiloquio a dir poco imbarazzante, queste frasi: “O ritira il ricorso oppure noi qui non ci parliamo. Per i prossimi anni, per quello che mi riguarda, si cerchi un altro ateneo. Finché faccio io il rettore, lei qui non sarà mai professore. O ritira il ricorso oppure deve sparire da qui. Sulla chiamata, sì, beh, certo, mi opporrò con tutte le mie forze. Auguri, le faccio tanti auguri per la sua carriera, le auguro che sia fortunato e che faccia carriera, ma altrove”.

Segue anche un'altra registrazione, in cui viene appunto registrata una conversazione che si è tenuta tra per Pierpaolo Sileri e la direttrice generale del policlinico di Tor Vergata, lo dottoressa Tiziana Frittelli. Quest'ultima, riferendosi al rettore, dice a Sileri: “Qui con lui sei è morto; tanto con lui qui sei morto”. Le associazioni Rete 29 aprile e Roars hanno ripubblicato il tutto sui propri siti, chiedendo le dimissioni del rettore, mentre il servizio de LeIene, nel quale il rettore produce una figura oggettivamente pessima, si trincera alle domande dell'inviato con il classico “io non so nulla, non so nulla”. In realtà, poi, si avvale della polizia per impedire di ricevere altre domande dall'inviato stesso. Il video apparso sulla rete Italia1 è diventato virale sui socialnetwork, a partire da YouTube, e sta circolando in tutto il mondo accademico, destando scandalo e preoccupazione.

Rispetto ai due ricorsi, uno appunto già vinto dal Sileri e l'altro ancora in essere, ci chiediamo quali iniziative intenda assumere, ovviamente per propria competenza, il Ministero, anche al fine non solo di contribuire a far luce sulla gravissima vicenda di cui ho trattato, ma soprattutto anche per intervenire, nei modi e nei termini previsti, per rimuovere il rettore Novelli, prima che intervengano altri eventuali procedimenti della magistratura, penale, amministrativa e anche contabile, perché lo stesso, con il suo comportamento, ha arrecato un danno gravissimo al prestigio e alla reputazione, non solo dell'ateneo di Tor Vergata, ma dell'istituzione universitaria tutta, oltre che ovviamente un danno cagionato ai due ricercatori, Sileri e Grüner, ma, si presume, anche alle altre 55 chiamate che sono state fatte, che, evidentemente, se formulate nello stesso modo e se adempiute con lo stesso metodo con cui sono state fatte queste due che hanno estromesso i due ricercatori, possono avere procurato danno ad altrettanti ricercatori e comunque ad altrettante persone che avevano diritto di poter concorrere per gli incarichi che sono stati fissati e assegnati.

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per l'Istruzione l'università e la ricerca, Gabriele Toccafondi, ha facoltà di rispondere.

GABRIELE TOCCAFONDI, Sottosegretario di Stato per l'Istruzione l'università e la ricerca. Presidente, con riferimento all'interpellanza parlamentare appena presentata, si rappresenta quanto segue. Anzitutto, va segnalato che questo Ministero ha provveduto ad acquisire dall'università ogni opportuno elemento di informazione con riguardo ai fatti in argomento. Dalla relazione pervenuta dall'università emerge che, in merito alle frasi pubblicate da Il Fatto Quotidiano e da altri siti web e addebitate al professor Novelli, già oggetto di denunce in sede penale, non vi è allo stato alcuna decisione definitiva della magistratura giudicante. In particolare, in relazione alle procedure di chiamata bandite dall'università “Tor Vergata” che hanno visto l'esclusione dei ricercatori Grüner e Sileri, e la conseguente presentazione da parte di entrambi di separati ricorsi dinanzi al TAR del Lazio, finalizzati all'annullamento delle procedure di chiamata, occorre precisare quanto segue. Il ricorso proposto dal dottor Paolo Sileri è stato accolto con sentenza n. 3720 del 2017. Il giudice amministrativo ha dapprima riconosciuto che, in linea di principio, la chiamata può essere individuale, ossia senza alcuna procedura pubblica che permetta ai soggetti qualificati di partecipare né alcuna procedura comparativa, dal momento che viene prescelto un soggetto valutato sulla base dei soli titoli e quindi nominato alla sola condizione di raggiungere il punteggio predefinito dalla stessa Commissione.N.75

Il TAR ha tuttavia rilevato che il caso di specie si caratterizzasse per una circostanza peculiare, costituita dalla presenza all'interno del dipartimento di due candidati in possesso dei requisiti di accesso alla procedura di cui trattasi. Pertanto, ha annullato la procedura impugnata, in applicazione dei principi in tema di trasparenza e imparzialità della selezione di cui al DPR n. 117 del 2000, concernente le modalità di espletamento delle procedure per il reclutamento del personale universitario, sottolineando che il regolamento di chiamata dei professori predisposto dall'università “Tor Vergata” non prevedeva tale caso.

Quanto al ricorso presentato dal dottor Giuliano Grüner, risulta che il TAR del Lazio ha rigettato la domanda cautelare ed ha rinviato all'udienza di merito, che sarà tenuta nel prossimo ottobre. In ogni caso, gli organi dell'ateneo hanno provveduto a modificare il regolamento di chiamata dei professori, prevedendo l'istituzione di una commissione istruttoria con il compito di valutare i curricula dei candidati, di effettuare la comparazione e di proporre al dipartimento il candidato da sottoporre a valutazione. In merito al contenuto degli articoli comparsi su il Fatto Quotidiano e su Il Messaggero, in relazione all'esito della citata sentenza del TAR, si segnala che l'università di Tor Vergata ha chiesto la rettifica, e che entrambe le testate giornalistiche l'hanno pubblicata. Quanto alle notizie apparse sul sito Roars, anche in questo caso l'università ha chiesto di rimuoverle, e il sito ha provveduto in tal senso dopo due giorni. Non risulta invece che le altre procedure coeve alle due impugnate siano state oggetto di ricorsi amministrativi o giurisdizionali.

In ultimo, con particolare riguardo al procedimento penale pendente nei confronti del professor Novelli, si segnala che il Ministero sta acquisendo dagli uffici tutta la documentazione riguardante i fatti posti a base del capo di imputazione, al fine di effettuare la valutazione di competenza in ordine all'opportunità di costituirsi parte civile. Come è noto, si tratta di attività processuale che la parte offesa può esercitare sino all'inizio del dibattimento.

PRESIDENTE. La collega Barbara Saltamartini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

BARBARA SALTAMARTINI. Presidente, ringrazio il sottosegretario Toccafondi per la sua risposta, per la quale sono contenta che il Ministero si sia già mosso - secondo ovviamente le proprie possibilità - rispetto a questa vicenda, dove, mi permetta di dirlo, il primo elemento è che sicuramente si tratta di una vicenda dove i principi di trasparenza e imparzialità della selezione non sono stati rispettati. Credo sia assolutamente fondamentale, invece, garantire questi principi, in ogni selezione di personale, in ogni ricerca di personale, perché sono i requisiti che, tra l'altro, permettono a chi ha merito e titoli di poter concorrere al pari di tutti, cosa che sembrerebbe in questo caso non essere avvenuta.

Sottosegretario, al di là di quelli che saranno gli esiti del procedimento penale - ovviamente non sta a noi qui entrare nel merito, gli organi competenti approfondiranno il tema e quindi decideranno se condannare in via definitiva il professor Novelli, il rettore dell'università “Tor Vergata” o meno -, qui è indubbio che i fatti di cui stiamo parlando sono gravissimi e documentati tutti per tabulas. Il secondo ateneo di Roma, uno dei più importanti d'Italia, dà cattedre secondo una modalità intuitupersonae, attraverso delibere segrete, senza alcuna valutazione comparativa, e con il rettore che si permette di minacciare quei ricercatori che, per il solo fatto di aver proposto ricorso al TAR contro questo modusoperandi, vengono, possiamo anche dirlo, mobbizzati - perché questa è un'iniziativa di mobbing anche all'interno dell'ateneo stesso - e vengono tenuti distanti da quello che invece potrebbe essere il loro naturale percorso di carriera all'interno dell'ateneo stesso.

Quindi in tal senso ci auguriamo che il Ministero da lei rappresentato in Aula faccia tutti i dovuti passaggi per arrivare ad una soluzione del problema. E mi creda non mi sento neanche troppo tranquilla per il fatto che l'Ateneo ha provveduto a modificare il regolamento di chiamata dei professori prevedendo l'istituzione di una commissione istruttoria. Mi farebbe piacere sapere con quali criteri viene formalizzata la commissione istruttoria; infatti, se la commissione istruttoria viene presieduta dal rettore stesso o da chi, attraverso il rettore o per conto del rettore, probabilmente ha individuato in questo metodo non pubblico di selezione segreta la possibilità di far crescere al proprio interno del personale, di sicuro non mi sento tranquillizzata nelle procedure di selezione. Su questo credo che, invece, il Ministero e in realtà ovviamente gli organi di controllo dello stesso rispetto a queste materie dovrebbero porre in essere ogni possibile iniziativa per evitare che si possa procedere in maniera del tutto discrezionale rispetto a procedure di selezione del personale. Ciò detto, quello che sta accadendo in questo ateneo purtroppo è solo uno dei fatti che vengono sottoposti all'attenzione non solo del nostro gruppo parlamentare ma di tanti parlamentari circa i criteri di selezione anche negli altri atenei rispetto alle quali forse varrebbe la pena una volta per tutte di rendere totalmente pubbliche e trasparenti le procedure di selezione. Solo in questo modo si può far cadere la preoccupazione che all'interno degli atenei, e in generale di ogni luogo di lavoro, l'amico dell'amico, il figlio del grande professore o del grande barone possano accedere ad alcuni ruoli e quindi crescere nei profili della propria carriera professionale e personale; tralasciando invece magari chi, a parità di titoli, di competenze e di qualità, ha avuto la sfortuna di non essere figlio di nessun barone, di non essere figlio di nessun rettore, di non avere grandi amici all'interno di alcuna struttura che sta facendo la selezione per il proprio personale e quindi di fatto gli verrà reso impossibile accedere a quel titolo, a quel percorso professionale, a quella crescita di carriera. In tal senso mi aspetto che il Ministero si muova con più determinazione e me lo aspetto veramente anche perché - lo dico da romana - Tor Vergata è veramente un'eccellenza e che Tor Vergata venga macchiata da una simile vicenda, che sta solo e soltanto nella responsabilità del rettore, grida vendetta. Mi auguro veramente che in tal senso si possa fare luce sulla tristissima, gravissima, vergognosa vicenda e si possa soprattutto riportare alla serietà ogni processo di selezione all'interno dell'Ateneo, anche magari dando la possibilità a chi era stato escluso di poter effettivamente partecipare di nuovo alla selezione stessa.

(Iniziative normative in relazione al contenzioso riguardante la procedura selettiva per dirigente scolastico, promossa in base alla legge n. 107 del 2015, alla luce dell'ordinanza n. 3008 del 2017 del Consiglio di Stato – n. 2-01863)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Cimbro ed altri n. 2-01863 (Vedi l'allegato A). Chiedo alla collega Cimbro se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ELEONORA CIMBRO. Grazie, Presidente. Grazie al sottosegretario presente, il 21 giugno il Consiglio di Stato ha depositato l'ordinanza n. 3008 del 2017 con cui ha disposto la sospensione del giudizio e l'invio alla Corte Costituzionale degli atti relativi al contenzioso riguardante il concorso per dirigente scolastico in merito alla procedura di sanatoria introdotta nella legge n. 107 del 2015, meglio conosciuta come “Buona scuola”.

La legge n. 107 del 2015 aveva previsto una procedura riservata rivolta ad alcune categorie di concorrenti delle procedure concorsuali del 2004, 2006 e 2011 al fine di sanare la loro posizione in seguito alla miriade di contenziosi avviati nel corso degli anni che avevano portato tra l'altro alla rinnovazione della procedura svolta in Sicilia nel 2004. Ricordiamo che questi contenziosi molto spesso sono stati generati di recente anche in Lombardia e in Toscana da errori della pubblica amministrazione che nel caso, per esempio, della Lombardia addirittura ha utilizzato buste trasparenti per coloro che hanno partecipato al concorso per la selezione per accedere a queste posizioni.

In particolare, con la citata ordinanza, il Consiglio di Stato si è pronunciato sul ricorso presentato da dieci docenti catanesi avverso la procedura di cui al decreto n. 499 del 2015 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Si rammenta che la suddetta procedura, prevista dalla legge n. 107 del 2015, ha consentito ad un centinaio di professori siciliani, rientranti nelle categorie di cui ai commi 87, 88, 89 dell'unico articolo della legge cosiddetta “buona scuola”, di partecipare nell'estate del 2015 ad un corso di formazione ad hoc per dirigenti scolastici con conseguente poi esame finale per accertare l'idoneità a svolgere il ruolo di dirigenti scolastici.

I docenti catanesi che hanno fatto ricorso hanno da sempre lamentato la disparità di trattamento subita dal Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca. Infatti, pur essendo anche loro interessati da un giudizio pendente parimenti ai colleghi di cui ai succitati commi della legge n. 107 del 2015, sono stati ugualmente esclusi dal sopracitato corso di formazione. In questa situazione si ritrovano anche tanti altri aspiranti dirigenti scolastici di cui ci siamo occupati, per esempio, relativamente al concorso 2011. Il Ministero e l'ufficio scolastico regionale della Sicilia hanno motivato l'esclusione dei dieci professori asserendo che il loro ricorso aveva per oggetto il corso per dirigenti scolastici del 2011 e non quello del 2004 come invece previsto dei suddetti commi 87, 88 e 89 della cosiddetta “buona scuola”. È bene ricordare questi commi perché sono stati poi l'inizio di tutta la vicenda che portiamo ancora una volta in Aula all'attenzione del Governo.

Tre sono i punti fondamentali che a parere del Consiglio di Stato sono rilevanti ai fini della questione di legittimità. Si legge, infatti, dall'ordinanza che la giurisprudenza di codesta Corte interpreta il requisito del pubblico concorso di cui all'articolo 97, comma 4, nel senso che esso sia rispettato ove l'accesso al pubblico impiego avvenga per mezzo di una procedura con tre requisiti di massima sui quali, fra le molte, si ricorda la sentenza della Corte Costituzionale 24 giugno 2010 n. 225 e quella del 13 novembre 2009 n. 293. In primo luogo, essa deve essere aperta nel senso che vi possa partecipare il maggior numero possibile di candidati; in secondo luogo, deve trattarsi di una procedura di tipo comparativo volta cioè a selezionare i migliori tra gli aspiranti; infine, deve trattarsi di una procedura congrua nel senso che essa deve consentire di verificare che i candidati posseggano la professionalità necessaria a svolgere le mansioni caratteristiche, per tipologia e livello, del posto di ruolo che aspirano a ricoprire.

Il Collegio ha ritenuto pertanto non adeguata al contesto una procedura di reclutamento così ristretta in quanto limita in modo irragionevole la possibilità di accesso dall'esterno. Il Consiglio di Stato, sempre richiamando la sentenza n. 293 del 2009, ha pertanto affermato che tali limitazioni possono trovare giustificazioni solo attraverso una specifica necessità funzionale dell'amministrazione o in virtù di peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico, cosa che nel caso di specie non è avvenuta in quanto non integrano valide ragioni di interesse pubblico né l'esigenza di consolidare il precariato né quella di venire incontro a personali aspettative degli aspiranti.

Noi riteniamo che il Governo su questo debba fare chiarezza rispetto all'ordinanza che ci permette anche oggi in quest'Aula di riportare l'attenzione su una questione che riguarda le reggenze che avremo anche a partire da questo settembre 2017, che è un tema che più volte, non solo la sottoscritta ma anche altri parlamentari di tutte le forze politiche presenti in questo Parlamento, hanno provato a sottoporre all'attenzione del Parlamento e anche del Governo; e lo si è fatto con ordini del giorno, con la presentazione di emendamenti su più testi, con interrogazioni presso le Commissioni competenti sia alla Camera che al Senato, attraverso diverse conferenze stampa che sono state fatte sia alla Camera che al Senato e attraverso, appunto, il coinvolgimento di tutte le forze politiche presenti in Parlamento.

Perché, vedete, al di là del fatto che si sia commesso un errore introducendo questa norma, questa sanatoria all'interno della cosiddetta “buona scuola”, di fatto, essendoci questo precedente, noi dobbiamo, come classe politica dirigente, arrivare a dare una risposta al problema che ci ritroveremo nell'immediato, tra due mesi, all'inizio dell'attività scolastica.

Perché, se i numeri non sono un'opinione, rispetto a delle proiezioni che sono state fatte di recente, noi avremo dalle 1.400 alle 1.700 reggenze su tutto il territorio nazionale. Solo per citare alcune regioni: in Veneto, 126 reggenze; in Piemonte, 116 reggenze; in Lombardia, 121 reggenze; in Emilia Romagna, 123 reggenze; in Calabria, 65 reggenze; 50 in Puglia; 27 in Sardegna. L'elenco è lungo perché le regioni sono tante in Italia, ma il dato vero è che noi sottoponiamo la scuola pubblica italiana ad un ulteriore stress, che è quello di gestire, attraverso gli ottimi dirigenti scolastici che abbiamo su tutto il territorio nazionale, due o più sedi con risorse sia economiche che anche umane che sono sempre più irrisorie rispetto alle grandi sfide che la scuola pubblica italiana deve affrontare in questo momento.

Allora, noi diciamo: l'amministrazione, anzi, la politica ha deciso, con la legge n. 107, la cosiddetta “buona scuola”, di creare aspiranti dirigenti di serie A e aspiranti dirigenti di serie B; ha deciso di intervenire creando un precedente e non ha saputo dare risposte, perché, ad oggi, non è stato bandito un nuovo concorso per il reclutamento di dirigenti scolastici e mi risulta che ci sia un tentativo da parte di qualche senatore sul “decreto vaccini” di inserire degli emendamenti per trovare una soluzione al grave problema delle reggenze che noi ci ritroveremo, appunto, nel mese di settembre, cioè tra due mesi.

A metà luglio stiamo tentando nel “decreto vaccini” di inserire degli emendamenti per porre rimedio a questo problema. Perché è un problema il fatto che ci siano dei dirigenti scolastici che, in mancanza di risorse, debbano gestire una, due o più sedi, con tutti i problemi che sappiamo esistano nella scuola pubblica. E quali sono gli emendamenti che si stanno tentando di inserire in questo “decreto vaccini” che nulla ha a che fare, peraltro, con la scuola pubblica italiana, ma, magari, qualcuno saprà darmi risposte convincenti? O aumentare la retribuzione dei dirigenti scolastici, come se fosse solo un problema di retribuzione, quando, invece, di fatto, c'è un problema di responsabilità, perché un dirigente scolastico, di fatto, si è ritagliato la funzione di controllore, di esecutore, di mero esecutore di tutta una serie di funzioni burocratiche e non può più fare quello che dovrebbe fare un dirigente scolastico, che non è semplicemente occuparsi dell'amministrazione, ma anche dell'educazione, dei percorsi formativi che la scuola che dirige propone ai tanti studenti presenti su tutto il territorio nazionale. Per cui, gli stessi dirigenti scolastici hanno detto: basta, non fateci fare più i reggenti su altre scuole, non ci interessa avere un incremento del nostro salario, perché non è un problema di soldi.

Oppure, si prevede che, nello staff del dirigente scolastico, lo stesso dirigente scolastico possa individuare delle figure ad hoc che possano svolgere questa funzione. Ricordiamoci che alle elementari si tratta di persone che, a volte, non hanno nemmeno una laurea. Capisco che questo non è importante nemmeno per svolgere altre funzioni, ma, di fatto, noi andiamo a privare lo staff del dirigente scolastico anche di figure importanti che, in questi mesi, sono state tanto decantate: questo 10 per cento in più di personale a disposizione delle scuole per poter far funzionare meglio la scuola. Ecco noi, all'interno di questo contingente aggiuntivo, cerchiamo di trovare delle figure che possano svolgere questa funzione, a volte, magari, anche senza aver avuto esperienza.

Io credo che, al netto delle opinioni che possiamo avere rispetto a queste proposte, se la politica arriva, quasi a metà luglio, a dare una risposta di questo tipo ad un problema che noi conosciamo, e che conosciamo bene ormai da due anni, siamo veramente alla frutta: perché abbiamo avuto due anni di tempo per poter bandire un nuovo concorso, perché l'altra risposta che è stata data più volte è che, appunto, si stava lavorando per poter indire un altro concorso, cosa che non è avvenuta; più volte sono state fatte delle proposte da questo Parlamento alla Camera e anche al Senato per trovare una soluzione: abbiamo chiesto che coloro che hanno superato almeno una prova selettiva e che hanno un contenzioso aperto, esattamente come prevedono questi commi della legge n. 107, potessero accedere ad un corso di formazione ad hoc con selezione finale attraverso un esame per poter risolvere questo problema. Tutto ciò non è stato fatto, non è stata fatta nessuna proposta concreta e, ad oggi, noi ci ritroviamo in questa situazione.

Perché dico questo? So che può dare fastidio avere chi sta cercando, dopo due anni di cosiddetta “buona scuola”, di mettere in evidenza le cose che non funzionano, però ho ascoltato con grande attenzione e ho anche recuperato le slide che di recente, il 4 luglio, la nostra Ministra ha predisposto per spiegare che è tutto sotto controllo per l'avvio dell'attività scolastica a settembre. In particolare, sono rimasta colpita dalla slide n. 9, che si occupa di mobilità, dove si dice, rispetto all'accordo sulla mobilità, che ha fissato nuove regole per contemperare il diritto delle docenti e dei docenti alla mobilità con quello delle alunne e degli alunni ad avere continuità didattica, che i trasferimenti avvengono sul 30 per cento dei posti, anziché sul 100 per cento come l'anno scorso, esclusivamente su base volontaria, anziché forzata come nel 2016-2017.

Noi, oggi, siamo a fare delle proposte che sono l'esatto contrario di quanto avvenuto l'anno scorso. Allora io mi chiedo: siamo di fronte ad un'amministrazione, ad un Governo bipolare oppure siamo di fronte alla presa d'atto che ciò che valeva l'anno scorso non vale quest'anno e che, quindi, sono stati fatti degli errori gravissimi rispetto all'applicazione della cosiddetta “buona scuola”? Perché se io dico che la mobilità è solo forzata nel 2016-2017 e l'anno dopo dico che è esclusivamente su base volontaria, mi chiedo chi ha deciso che l'anno precedente fosse esclusivamente forzata; e rispetto anche alla possibilità di avere il 30 per cento dei posti, anziché il 100 per cento - abbiamo un 70 per cento che balla -, mi chiedo: ma l'amministrazione precedente, la politica, l'anno scorso, dov'era quando ha preso queste decisioni che sono state smentite dalla nuova Ministra l'anno successivo?

Quindi, io con grande preoccupazione mi rivolgo a lei, sottosegretario, a partire da questa questione, questa vicenda dei dirigenti scolastici, perché quest'ordinanza, di fatto, mette in evidenza, anche qui, un errore dell'amministrazione. Mi rivolgo a lei per dirle: cerchiamo davvero sulla “buona scuola” di dire, come ha fatto il segretario, nonché Premier, del Partito Democratico, che è stato un fallimento; che è necessario rivedere tutta quella legge, che non ha funzionato, che a distanza di due anni non ha funzionato. Matteo Renzi l'ha detto subito: c'è qualcosa che non va, abbiamo sbagliato. Forse, è l'unico provvedimento su cui c'è stata anche una presa di posizione da parte del segretario del partito, nonché Premier.

E dico a lei, e mi rivolgo, quindi, al Governo: cerchiamo davvero di cambiare rotta rispetto a questo provvedimento, perché, se noi arriviamo, un altro anno, ad avere una scuola pubblica in Italia che, anziché creare dei cittadini che possano affrontare le sfide di una situazione mondiale sempre più complessa, contribuisce a creare cittadini di serie A e cittadini di serie B, veramente non abbiamo capito che cosa significa avere una scuola pubblica italiana che funzioni.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione l'università e la ricerca, Gabriele Toccafondi, ha facoltà di rispondere.

GABRIELE TOCCAFONDI, Sottosegretario di Stato per l'Istruzione l'università e la ricerca.

Grazie, Presidente. Al fine di inquadrare correttamente la vicenda oggetto dell'interpellanza appare opportuno ricostruire i principali aspetti giuridici che la riguardano. In particolare, con l'ordinanza n. 3008 del 2017, il Consiglio di Stato ha sollevato, in primo luogo, la questione di legittimità costituzionale dei commi da 87 a 90 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, ovvero dell'intero intervento legislativo che ha disciplinato la procedura straordinaria di immissione in ruolo dei dirigenti scolastici, per presunta violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui agli articoli 3, 51 e 97, ultimo comma, della Costituzione e del diritto ad un equo processo, di cui alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In sintesi, per il giudice amministrativo, la procedura di cui alle norme in esame rappresenta, all'evidenza, un'eccezione alla regola del pubblico concorso, perché è aperta soltanto a soggetti ben determinati e non alla generalità degli aspiranti in possesso dei requisiti di professionalità richiesti per il ruolo da ricoprire e non è sorretta dai presupposti necessari per legittimarla, né sarebbero individuabili, nel caso di specie, le eccezionali ipotesi derogatorie ai principi generali previste dalla giurisprudenza costituzionale.

Il Collegio dubita ancora della conformità del comma 88, lettera b), della legge n. 107, all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che prevede il diritto ad un equo processo ed assume rango costituzionale nel nostro ordinamento, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, il comma 88, lettera b), della normativa in esame, come si è visto, consente a coloro i quali abbiano in corso un contenzioso non ancora definito relativo ai concorsi 2004 e 2006 di partecipare, per ciò solo, alla procedura selettiva riservata in esame. In tal modo attribuisce loro la possibilità di conseguire il bene della vita a cui aspirano nel giudizio in corso con modalità più agevoli di quelle ordinarie e senza riguardo all'esito del giudizio stesso, interferendo così con l'esito relativo.

La sezione ha poi sollevato, in secondo luogo, ovvero per il caso in cui la questione di cui sopra venisse ritenuta non fondata, la questione di legittimità costituzionale del solo comma 88 dell'articolo 1 della legge n. 107, giacché tale norma consente di partecipare alla procedura straordinaria ai soggetti i quali abbiano avuto una sentenza favorevole almeno nel primo grado di giudizio ovvero non abbiano avuto, alla data di entrata in vigore della legge in questione, alcuna sentenza definitiva nell'ambito dei concorsi per il reclutamento dei dirigenti scolastici indetti con decreto direttoriale 22 novembre 2004 e DM 3 ottobre 2006, e non anche a coloro che, nelle medesime condizioni, hanno partecipato al concorso indetto con il decreto direttoriale del 13 luglio 2011.

Tanto premesso, occorre evidenziare che, nella pendenza del giudizio di costituzionalità testé richiamato, di nessuna utilità per questi ultimi sarebbe un eventuale intervento normativo che modificasse il comma 88, lettera b) della legge n. 107, includendoli espressamente tra i destinatari della disposizione. L'eventuale modifica normativa nel senso auspicato, infatti, in nulla aiuterebbe i ricorrenti, già partecipanti al concorso indetto con il decreto direttoriale 13 luglio 2011, a conseguire il bene della vita a cui aspirano ovvero la partecipazione alla procedura straordinaria di immissione in ruolo in parola. Questa resterebbe sempre condizionata, negli stessi identici termini attuali, dai differenti possibili esiti della questione di costituzionalità.

Nel caso in cui fossero dichiarati incostituzionali i commi da 87 a 90 della legge n. 107, resterebbe integralmente caducato il citato decreto n. 499 meramente attuativo degli stessi e, di conseguenza, verrebbe meno l'intera procedura straordinaria di immissione in ruolo, a cui i ricorrenti chiedono di poter partecipare. Qualora venisse dichiarata fondata la questione di legittimità sollevata dal giudice amministrativo in via subordinata, ovvero quella relativa al solo comma 88 e la Corte costituzionale dovesse reputare che detto comma è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui esclude dalla procedura straordinaria i concorrenti del 2011, gli appellanti potrebbero automaticamente beneficiare anch'essi di detta procedura dal momento che il loro ricorso, nella parte in cui è fondato su tale profilo di incostituzionalità, dovrebbe essere accolto dal Consiglio di Stato. Infine, nel caso in cui la questione relativa al solo comma 88 venisse dichiarata non fondata, verrebbe dimostrato che la norma sottoposta allo scrutinio di costituzionalità, nella parte in cui ha differenziato le sorti dei concorrenti dei diversi concorsi, non viola alcun parametro costituzionale e dunque non necessita di correttivi.

Posto ciò, considerata la sospensione del giudizio di appello operata dal Consiglio di Stato e la contestuale rimessione della suddetta questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale, questo Ministero ritiene opportuno attendere l'esito del vaglio di costituzionalità della suddetta procedura straordinaria per il reclutamento dei dirigenti scolastici di cui alla legge n. 107 del 2015, rinviando solo all'esito ogni valutazione circa eventuali opportune misure da adottare.

PRESIDENTE. La collega Cimbro ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza. Ha dieci minuti.

ELEONORA CIMBRO. Grazie, Presidente. Ringrazio anche il sottosegretario per aver dato questa risposta molto burocratica, che ha richiamato norme, leggi, commi, senza però dare una risposta politica e io mi sarei aspettata anche una risposta politica al problema che è stato sottoposto. Capisco che questa cosa possa creare nervosismo anche rispetto a chi è presente in Aula e rappresenta il Governo su altre questioni che noi riteniamo essere fondamentali per il nostro Paese, come il lavoro, l'occupazione e quant'altro, però io credo che un rappresentante del Governo, rispetto al tema delle reggenze che ci saranno a settembre - perché da lì parte, origina questa interpellanza -, forse avrebbe potuto anche spiegarci qual è l'indirizzo, visto che la Ministra non l'ha detto nella conferenza stampa che è stata fatta il 4 luglio e siamo ormai a un mese e mezzo, due, dall'inizio dell'anno scolastico.

Forse sarebbe stato bello ascoltare anche una presa di posizione da parte sua che ci riferisse rispetto all'intendimento del Governo su come affrontare questa emergenza, perché, se voi non considerate il tema delle reggenze un'emergenza del sistema scolastico pubblico, c'è da preoccuparsi. Al di là del fatto che questo precedente è stato creato da voi con la legge n. 107, la cosiddetta “Buona scuola”, perché di certo io che non ho votato, insieme a tanti altri colleghi, pur facendo parte allora del Partito Democratico, quella norma, non sono stata artefice della creazione di questo precedente. Però, siccome questo precedente è stato creato da voi, siccome questo precedente è stato sostenuto e voluto dal Partito Democratico, oggi abbiamo un'ordinanza che ci dice che, forse, chi ha posto questa questione non ha tutti i torti, vorrei capire appunto qual è la proposta di risoluzione rispetto al tema delle reggenze, avendo a disposizione degli aspiranti dirigenti scolastici, che hanno superato almeno una prova, che hanno un contenzioso aperto, che hanno sostanzialmente tutte le stesse caratteristiche che sono state individuate per la deroga che è stata introdotta nella legge n. 107.

Inoltre, non ho avuto risposta nemmeno rispetto a questi emendamenti che sono stati presentati al Senato, perché è vero che noi siamo qui alla Camera, ma io sono certa, sottosegretario, che lei conosca perfettamente quello che sta avvenendo anche al Senato, di questi emendamenti che sono stati presentati sul decreto “Vaccini” su cui c'è stato un ampio dibattito nelle varie Commissioni competenti, non solo rispetto alla possibilità di avere la copertura economica, ma anche rispetto alla possibilità che poi questa cosa si possa fare, ecco mi sarei aspettata anche su questo un aggiornamento da parte sua.

Perché dico questo? Perché, evidentemente, la situazione è sfuggita di mano: la legge n. 107, la cosiddetta “Buona scuola”, ha portato, per rispondere al tema della stabilizzazione del precariato, ad uno scontro epocale tra la politica e il mondo della scuola. Mi dispiace che questa cosa sia avvenuta per mano di un partito, il Partito Democratico, che è un partito - dovrebbe essere un partito - di centrosinistra, che per la prima volta finalmente, dopo anni, aveva rimesso al centro la scuola come punto fondamentale del proprio programma politico.

Vede, molti di noi allora - lo dico davvero con grande amarezza, ma anche, a distanza di due anni, con qualche elemento in più di valutazione -, molti di noi ai tempi provarono a dire: guardate che, se dobbiamo stabilizzare il precariato lo possiamo fare in un altro modo, perché c'era il problema dell'Europa che ci richiamava su questo tema, possiamo farlo in un altro modo, con più calma, dando quel tipo di risposta e quindi magari non utilizzando solo le graduatorie ad esaurimento, ma attingendo da tutti i contenitori che purtroppo in questi decenni sono stati creati rispetto alle abilitazioni degli insegnanti. E lo facciamo, lo dobbiamo fare solo sulla base del fabbisogno, sulla base delle competenze: perché vede, per questa fretta di stabilizzare per rispondere all'Europa, di fatto noi abbiamo immesso nel mondo della scuola anche tanti docenti che non sono mai stati nemmeno un giorno a scuola, e abbiamo discriminato invece docenti che per tanti anni hanno dedicato risorse, energie e tempo alla scuola (mi riferisco per esempio anche ai docenti di terza fascia). Ecco, forse in quel momento fermarsi due anni fa e dire: bene, dobbiamo dare delle risposte all'Europa, lo facciamo, ma lo facciamo con cognizione di causa, cercando di immettere in ruolo professori di cui abbiamo bisogno, maestri di cui abbiamo bisogno; e non sulla base semplicemente dell'esaurimento di una graduatoria, lo facciamo sulla base anche dell'esperienza maturata sul campo; e poi lasciare ad un secondo momento la riflessione sulla riforma della scuola, cercando di coinvolgere chi nella scuola lavora, chi nella scuola opera, non soltanto dirigenti scolastici e docenti ma anche famiglie, e quindi gli stessi studenti, per cercare di elaborare una norma che davvero fosse all'altezza delle sfide del futuro; ecco, molti di noi queste cose provarono a dirle due anni fa.

Questi sono i risultati: proprio oggi sono stati pubblicati anche i risultati delle prove Invalsi, che hanno dato la fotografia di un'Italia divisa in due, un'Italia del Nord che funziona, dove appunto chi ha la fortuna di vivere in contesti privilegiati può avere una formazione di un certo tipo, e un'Italia - e quindi una scuola - di serie B, che produce studenti di serie B, che nascono in contesti meno fortunati e sono destinati ad avere risultati, anche testati dalle prove Invalsi, che mettono in evidenza questa disparità.

Ecco, noi abbiamo contribuito in questi due anni a rafforzare questa disparità: in nome di questo efficientismo, di una meritocrazia portata agli eccessi, abbiamo abdicato al nostro ruolo di classe politica dirigente di considerare la scuola pubblica e la scuola dell'obbligo come una risorsa, un'opportunità anche per chi nasce in situazioni, in contesti che non permettono di avere quella capacità di riuscire ad affrontare le sfide del futuro e del presente, non solo dell'Italia ma dell'Europa e di tutto il mondo. Ecco, noi abbiamo contribuito ad accrescere queste disparità, e la cosa davvero mi rammarica molto; soprattutto perché questa decisione, che è una decisione politica importante, è stata fatta sull'onda del “facciamo qualcosa, dobbiamo dare delle risposte”, e quindi forse si è agito con troppa fretta, con troppa superficialità, non tenendo conto di quelle che sono oggettivamente le ripercussioni. Cito solo l'esempio dell'alternanza scuola-lavoro: noi come facciamo a fare alternanza scuola-lavoro in regioni dove il lavoro non c'è? E io vengo dalla Lombardia, dalla fortunata Lombardia, dove i nostri studenti per fortuna, essendoci tante imprese, possono fare l'alternanza scuola-lavoro, possono formarsi, hanno infrastrutture, escono dalle scuole e sono in due minuti nei musei più belli, che presentano programmi e capacità e progetti per accrescere anche la cultura a portata di mano; e ci sono invece realtà sul nostro territorio nazionale che non sono così, che non sono organizzate così bene, che hanno bisogno di essere aiutate proprio a partire dalla scuola.

Per non parlare poi del tema dell'integrazione: è una scuola che dovrebbe essere proprio in questa fase storica anche capace di integrare, e che quindi ha bisogno di più risorse, di più strumenti, che ha bisogno non di livellare gli studenti, ma di dare a tutti un'opportunità, a prescindere da dove arrivano, da qual è la loro origine, da qual è la loro situazione familiare. Ecco, noi abbiamo contribuito a creare una scuola di serie A e una scuola di serie B, come ben fotografata anche dai risultati dell'Invalsi: perché se è vero che noi personalmente non siamo d'accordo sull'Invalsi, però sicuramente è un dato, un dato oggettivo.

Penso allora che sia arrivato il momento davvero di dire: abbiamo sbagliato, la cosiddetta “Buona scuola” non è una legge ben fatta, abbiamo fallito, non siamo stati in grado di dare risposte adeguate alle sfide di questo Paese, e quindi rimettiamo a posto ciò che abbiamo distrutto. E lo dico con grande tristezza, perché arrivavamo da un periodo, da una fase storica dove prima con la riforma Gelmini, e prima ancora con la riforma Moratti, la scuola pubblica italiana è stata massacrata, non solo in termini di risorse economiche, ma soprattutto in termini di visione: visione che certa politica ha voluto dare anche della nostra società.

Ecco, io mi sarei aspettata da un partito di centro-sinistra e da un Governo di centro-sinistra la capacità…

PRESIDENTE. Concluda.

ELEONORA CIMBRO. …di dare una visione diversa alla nostra scuola, perché la nostra scuola è la base del futuro di questo Paese.

(Iniziative di competenza volte ad evitare l'annunciata cessione del ramo aziendale dei call center da parte della società Wind Tre – n. 2-01836)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Pellegrino ed altri n. 2-01836 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Pellegrino se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Sì? Ha quindici minuti. Prego.

SERENA PELLEGRINO. Presidente, Viceministra, questa interpellanza urgente è stata presentata il 13 giugno, subito dopo che a Genova e in altre città italiane lavoratori di Wind 3, circa 900 in tutta Italia, avevano portato nelle piazze e davanti ai negozi Wind la protesta contro la paventata cessione del ramo aziendale dei call center della Tre, e per sensibilizzare i cittadini sui rischi occupazionali per i dipendenti dei call center, con cui ho potuto parlare direttamente perché ho partecipato personalmente a queste iniziative. Purtroppo, anche a causa dell'indisponibilità dei rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico a rispondere alle interpellanze urgenti, possiamo solo oggi - ripeto, solo oggi, signor Presidente - svolgere la funzione di sindacato ispettivo mediante la quale il Parlamento esercita il proprio ruolo di controllo sull'attività di governo. D'altro canto, e per fortuna, sembrerebbe proprio che, da come è stato riportato dagli organi di informazione, sia stata raggiunta proprio alcuni giorni fa un'intesa tra azienda e sindacati sulla cessione del ramo d'azienda dei call center di Cagliari, Palermo, Roma e Genova, del colosso delle telecomunicazioni nato dalla fusione di Wind e H3G. Attendiamo perciò di conoscere dal Mise, nella sua risposta, i dettagli dell'intesa, ma mi si permetta prima di ricordare quanto è accaduto nelle ultime settimane.

Questa vicenda si inserisce in un quadro, quello del settore delle telecomunicazioni in Italia, dove ad enormi ricavi corrispondono preoccupanti contrazioni occupazionali e perdite di diritti e tutele contrattuali. È il caso di Wind Tre come quello di Ericsson, dove la perdita di un appalto sulla manutenzione della gestione delle reti ha determinato la procedura di licenziamento di circa 350 dipendenti in Italia (ricordo che dietro ogni dipendente c'è una famiglia); o in precedenza Fastweb e Vodafone, o come per i call center Almaviva, Uptime e Gepin. Riguardano un settore strategico dell'economia italiana, che dovrebbe essere osservato con particolare attenzione da parte del Governo, a tutela sia dell'interesse nazionale che di quello delle lavoratrici e dei lavoratori interessati.

Ecco quanto è accaduto nello specifico. Il 22 maggio 2017 sono state convocate presso la sede di un'industria a Roma le segreterie nazionali di SLC CGIL, FISTel, CISL e UILCOM UIL, unitamente alle segreterie territoriali e al coordinamento delle rappresentanze sindacali unitarie, per la presentazione del piano industriale del nuovo colosso delle comunicazioni denominato Wind Tre. L'azienda ha comunicato che dopo l'operazione di fusione si è confermata quale primo operatore mobile in Italia, vantando la migliore rete sul territorio nazionale, e che tale risultato positivo raggiunto aveva trovato riconoscimento anche sul mercato: il dio! Nella relazione dell'azienda, il servizio clienti è stato presentato come un elemento che si innesta in maniera unica in questo piano industriale, per sostenere lo sviluppo dell'azienda attraverso la qualità, con il duplice obiettivo di consolidare il livello di eccellenza e realizzare un servizio clienti efficiente.

Alla luce di queste premesse aziendali e della rilevanza strategica che in questo quadro si è voluta attribuire almeno a parole al customer care, nel corso dell'incontro a sorpresa viene comunicato che è intenzione di Wind Tre di procedere all'esternalizzazione del servizio clienti customer ex Tre nella sua componente operativa, mediante lo strumento giuridico della cessione del ramo d'azienda, ad azienda outsourcer, che a quella data doveva ancora essere individuata. Restano fuori da questo percorso le attività di business, credito, controllo di gestione e i processi core. Come ricordavo, dopo la decisione della Wind Tre di esternalizzare i call center, i dipendenti sono scesi in piazza e i sindacati hanno indetto uno sciopero nazionale di otto ore il 14 giugno, il blocco degli straordinari dei turni programmati di notte, e la reperibilità dal 15 al 25.

Il 27 giugno, dopo due giorni di trattative, a Roma è stata raggiunta l'intesa tra Wind Tre, Comdata e sindacati sulla cessione del ramo d'azienda dei call center delle quattro città e, a partire dal 5 luglio, i lavoratori vengono trasferiti da Wind Tre a Comdata senza soluzione di continuità e mantenendo l'anzianità di servizio. Il contratto di cessione del ramo d'azienda tra le due società avrà una durata di sette anni. L'intesa siglata dopo la trattativa impegna Comdata, virgolettato: “a garantire la stabilità occupazionale per tutta la durata del contratto di appalto e il mantenimento delle quattro sedi dei call center di Cagliari, Palermo Genova e Roma”.

Ma chi è Comdata? Comdata è forse l'unica multinazionale del ramo dei call center nel nostro Paese controllata dal Fondo Carlyle. Ha interessi in Sudamerica, ha appena comprato una società in Turchia, ha una sede in Spagna e, come molte concorrenti, in Romania. Si è aggiudicata quello che è considerato il ramo aziendale più delicato, quello in cui la pressione delle delocalizzazioni all'estero e delle gare al massimo ribasso, indette anche da società pubbliche, preoccupa gli addetti ai lavori. D'altronde i problemi occupazionali nei call center sono ormai storia antica e dolorosa. Già nel 2004 il business italiano ha toccato i 4,3 miliardi di euro e la competitività si è sempre giocata su forme contrattuali che hanno creato squilibri nella concorrenza. Esternalizzazioni e lavoro a progetto sono stati finora i principali fattori di precarizzazione nell'ambito delle attività di call center.

Vorremmo perciò conoscere oggi, quindi il 7 luglio, due giorni dopo del 5 luglio, dal Governo, quali atti ha messo in essere per assicurare l'occupazione e le garanzie contrattuali ai dipendenti dei call center Tre.

PRESIDENTE. La Vice Ministra dello Sviluppo economico, Teresa Bellanova, ha facoltà di rispondere.

TERESA BELLANOVA, Vice Ministra dello Sviluppo economico. Grazie Presidente. In merito all'argomento oggetto dell'interpellanza, faccio presente quanto segue. Wind Tre, azienda nata a seguito di un processo di fusione che ha interessato Wind Telecomunicazioni S.p.A. e H3G S.p.A., costituisce il primo operatore nel mercato mobile in Italia con 30,9 milioni di clienti, pari a una quota di mercato di oltre il 37 per cento e ha una telefonia fissa di circa 2,7 milioni di clienti. Dalla fusione delle due società sono scaturite delle fisiologiche sovrapposizioni strutturali anche in termini di risorse. Successivamente alla fusione Wind Tre ha gestito il processo di integrazione degli organici esclusivamente su base volontaria, utilizzando risorse proprie con le quali sono stati incentivati dipendenti che hanno manifestato interesse. L'operazione di cessione di ramo si inquadra dunque in questo ambito: il ramo d'azienda svolge servizi di assistenza amministrativo-commerciale e di assistenza tecnica di primo livello, principalmente informazioni sulla copertura della rete di telecomunicazioni.

La società Wind Tre ha precisato di aver compiuto un'attenta verifica dei soggetti imprenditoriali che operano nel settore al fine di ricercare una controparte qualificata, solida finanziariamente, dotata di comprovata e pluriennale esperienza nel settore e di idonea struttura imprenditoriale, alla quale poter affidare lo svolgimento del servizio di call center.

La scelta della società è caduta su Comdata, azienda da anni attiva nei settori della progettazione e gestione in outsourcing di sistemi e servizi di Crm. Comdata è, secondo quanto evidenziato da Wind Tre, tra le aziende più stabili del settore sotto il profilo finanziario ed è in via di espansione anche oltre i confini nazionali. L'azienda ha nel proprio organico 36.000 dipendenti (di cui 6.514 dipendenti in Italia al 30 aprile 2017, organico cresciuto nel 2015 e nel 2016 di un più 7,3 per cento), presso 60 sedi dislocate in quattordici nazioni di diversi continenti con 15 sedi in Italia. Nel 2016 ha registrato ricavi per quasi 600 milioni di euro. Tale azienda peraltro è in Italia attualmente leader del mercato con una quota del 20 per cento in termini di ricavi.

Il 22 maggio scorso, a seguito delle richieste avanzate dalle organizzazioni sindacali, Wind Tre ha presentato il proprio business plan e in tale circostanza, come previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro del settore delle telecomunicazioni sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, ha anticipato l'intenzione di procedere alla cessione di ramo d'azienda, avendo come oggetto il call center 133 per la clientela consumer delle brand Tre illustrandone le motivazioni. Il 9 giugno 2017 Wind Tre insieme a Comdata ha attivato la procedura di consultazione sindacale prevista dalla normativa di legge finalizzata all'individuazione di soluzioni atte a fornire ogni più opportuna garanzia occupazionale e di continuità al personale coinvolto. L'obiettivo, contestualmente alla cessione del predetto ramo d'azienda, era quello di sottoscrivere un contratto con durata settennale di fornitura da parte di Comdata di servizi di call center per lo svolgimento dei quali la predetta società si sarebbe avvalsa del ramo d'azienda acquisito. Questa decisione avrebbe comportato un consolidamento dei rapporti commerciali già esistenti tra le due società e determinerà un significativo rafforzamento della posizione di Comdata nel mercato di contact center in Italia.

Con specifico riferimento a quanto detto in premessa e più in particolare alla preoccupazione espressa dagli onorevoli interpellanti relativamente al mantenimento delle garanzie occupazionali e contrattuali dei dipendenti, faccio presente che in data 27 giugno 2017 le società Wind Tre S.p.A. e Comdata S.p.A. e le rappresentanti sindacali unitarie di Genova, Cagliari Roma e Palermo, assistite da SLC-CGIL, Fistel Cisl, UILCOM UIL, nazionali e territoriali, unitamente al Coordinamento nazionale delle rappresentanti sindacali unitarie di Wind Tre, hanno sottoscritto un verbale di accordo con il quale, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2112 del codice civile, si è previsto il trasferimento a Comdata dei dipendenti Wind Tre occupati nel ramo d'azienda call center 133 a far data dal 5 luglio 2017. Tutti i lavoratori sono stati trasferiti a Comdata senza soluzione di continuità e con mantenimento dell'anzianità di servizio, del livello di inquadramento e della pausa retribuita per la refezione nell'ambito delle otto ore per il personale full-time turnista. La società Comdata garantirà la stabilità occupazionale per tutta la durata del contratto di appalto di servizi di durata settennale con riferimento ai lavoratori che ex articolo 2112 del codice civile passeranno alle sue dipendenze per effetto della cessione di ramo d'azienda, oltre ad assicurare il mantenimento dell'attuale sede di lavoro dei lavoratori trasferiti di Cagliari, Genova, Palermo e Roma per tutta la durata del predetto contratto di appalto di servizi. Comdata in considerazione dello sviluppo previsto del business si è poi impegnata ad accogliere le richieste di incremento fino a 6 ore giornaliere da parte dei part-time attualmente in servizio con contratti a quattro o cinque ore giornaliere.

L'accordo prevede anche che in caso di cessazione anticipata del contratto, Wind Tre applicherà la clausola sociale di garanzia in favore di questi lavoratori, impegnandosi a individuare un nuovo operatore che garantisca la salvaguardia dei posti di lavoro secondo quanto disposto dalla contrattazione nazionale di categoria, nell'ottica di perseguire il mantenimento dei livelli occupazionali e di trattamento per il periodo anzidetto. I lavoratori interessati dal trasferimento del ramo d'azienda manterranno inoltre l'iscrizione al fondo di previdenza complementare secondo le modalità e le condizioni previste del vigente contratto collettivo nazionale di lavoro delle telecomunicazioni e rivestiranno la qualifica di socio beneficiario del fondo di solidarietà Wind Tre per tutta la durata del contratto di appalto di servizi ivi inclusi eventuali rinnovi. Per l'anno 2017, gli stessi lavoratori potranno beneficiare del pagamento del premio di risultato di Wind tre qualora i risultati consuntivati consentano di procedere alla sua erogazione. L'accordo prevede altresì che agli stessi lavoratori Comdata riconosca tre giorni di permesso retribuito su base annua per malattia del bambino fino agli otto anni di età e che fino al trentaseiesimo mese di vita del bambino le mamme lavoratrici non prestino servizio di sabato.

Da quanto appena esposto, emerge che i termini dell'accordo hanno, quindi, posto attenzione agli aspetti occupazionali e contrattuali relativi ai lavoratori coinvolti nella cessione del ramo d'azienda. Concludo, assicurando che per gli aspetti di propria competenza il Governo e, in particolare, il MISE continuerà a seguire con attenzione gli sviluppi di questa importante operazione nel settore dei call center e riconoscerà, ovviamente, come è nostro dovere fare, l'autonomia delle parti di procedere alla contrattazione.

PRESIDENTE. La collega serena Pellegrino ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

SERENA PELLEGRINO. Grazie, Presidente. Ringrazio la sottosegretaria per i dettagli che ci ha fornito, di cui ovviamente noi in buona parte, come nell'illustrazione ho ampiamente detto, eravamo a conoscenza. Chissà, forse è anche per questo che il MISE non ci ha risposto proprio in quei giorni, perché c'era la trattativa in corso. E a questo punto possiamo anche dire che il fatto che i dipendenti siano scesi in piazza e che abbiano manifestato in maniera chiara le loro preoccupazioni, evidentemente, ha funzionato. È come dire, i corpi intermedi che si vogliono cancellare dalla trattativa come i sindacati, invece, in realtà funzionano ancora perfettamente, e anche le manifestazioni di intenti da parte di coloro che si stanno vedendo derubare i loro diritti.

Adesso però dobbiamo attendere il vaglio, sottosegretario, dei lavoratori in assemblea, che sicuramente vedranno e analizzeranno tutti i loro diritti, che sono stati cancellati loro e che sono stati costretti, di fatto, a cedere. Io, così, non le dico, ma, per esempio, la maternità facoltativa, i permessi per esami universitari, la possibilità di avere il turno bloccato per chi ha un secondo lavoro, certo, sono tutte cose che dovranno essere discusse. Ma sa qual è la cosa che mi ha lasciato veramente più perplessa, sottosegretaria, per quello che riguarda la parte economica? Hanno perso il premio di produttività, che è pari a 800 euro annui, e, udite udite, il buono pasto è passato da 7 euro a 6 euro: evidentemente, ai dipendenti un po' di dieta viene concessa.

Ci si permetta, comunque, di approfondire il fenomeno delle cessioni di ramo d'azienda, che riteniamo abbia del paradossale nel nostro Paese: da un lato, la norma che disciplina i diritti dei lavoratori in caso di trasferimento, cioè l'articolo 2112 del codice civile, sancisce un principio fondamentale affinché tali operazioni non ledano l'interesse dei lavoratori, imponendo che il rapporto di lavoro debba proseguire senza soluzione di continuità, vale a dire con gli stessi diritti maturati presso l'azienda cedente; dall'altro, l'interpretazione prevalente vuole che il lavoratore non possa opporsi al trasferimento, nel senso che non può decidere di restare dov'è. La morale della favola è che le aziende riescono a liberarsi agevolmente di masse di lavoratori, ponendo in essere operazioni di cessioni di attività su larga scala, spesso a prevalente impiego di lavoratori con uno scarso trasferimento di mezzi di produzione. E quindi il destino dei lavoratori è, giocoforza, segnato: non saranno più dipendenti della grande azienda, ma di una società di outsourcing, che sopravvive soltanto per concessione di chi li ha ceduti, trasformatosi da datore di lavoro in appaltante che paga un corrispettivo all'acquirente per riottenere il risultato prodotto dai lavoratori esternalizzati sotto forma di servizio.

Magari i problemi non arrivano subito, sottosegretario, e questo è purtroppo il lato per così dire subdolo delle cessioni. I primissimi anni, figuriamoci i primi due mesi, entro cui i ceduti, terribile questa parola, devono decidere se impugnare la cessione: nella maggior parte dei casi i lavoratori non riescono quasi a percepire la differenza, tutto prosegue in modo più o meno lineare, anche perché la legge, sempre l'articolo 2112 del codice civile, sancisce che i lavoratori non possono essere licenziati in conseguenza del trasferimento - virgolettato: “il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento” -, pian piano, però, possono arrivare seri problemi, perché chi li ha ceduti e ha stipulato il contratto di appalto, può decidere, ad un certo momento, di concederlo a un'altra società, oppure può decidere di ridurre il corrispettivo, costringendo l'outsourcer a battere cassa con i lavoratori, sino al caso più estremo della dichiarazione di esuberi. La stabilità occupazionale è, di fatto, compromessa. Per questa ragione, i lavoratori protestano duramente ed è per lo stesso motivo che ricorrono in giudizio per chiedere l'accertamento dell'illegittimità dell'operazione traslativa, con la speranza di riottenere il posto di lavoro nella società di origine.

Non è un caso che, per evitare eventuali ricorsi dei lavoratori, Wind Tre si è impegnata a sottoscrivere con i lavoratori che ne fanno richiesta, come lei ci ha detto, un accordo individuale che preveda l'erogazione di un importo lordo pari a 9,5 mensilità, a fronte della rinuncia ad ogni pretesa del rapporto di lavoro intercorso e perché si accetti la cessione del contratto con effetto dal momento della cessione del ramo d'azienda. La giurisprudenza, in materia di cessione di ramo d'azienda nel settore dei call center, si è molto arricchita negli ultimi anni, dal caso Vodafone al caso Fastweb, i giudici del lavoro hanno messo in evidenza un fatto di estrema importanza che aiuta a comprendere la differenza tra operazioni genuine e operazioni realizzate con l'intento di ridurre il costo del lavoro, dunque con finalità espulsive.

In sintesi, non è possibile che un ramo possa essere considerato funzionalmente autonomo, che è uno dei due requisiti fondamentali per considerare la cessione legittima, l'altro è quello della preesistenza: è necessario che vengano ceduti, assieme agli operatori, i principali strumenti di lavoro, ossia i software applicativi, altrimenti si tratta di una operazione che ha ad oggetto un gruppo di lavoratori non in grado di produrre un autonomo risultato produttivo, continuando di fatto a dipendere da chi li ha ceduti. La domanda che bisogna porsi è se un fenomeno di così ampia portata possa continuare ad essere discusso nelle aule di tribunale, visto che sembra essere diventata una vera e propria piaga sociale.

Sì, in Italia le esternalizzazioni rappresentano una grande piaga sociale, dal settore pubblico a quello privato, una quantità enorme di lavoratori perdono il posto o vivono in condizioni di costante precarietà a causa di scelte organizzative, che in molti casi si sono tradotte, sottosegretario, in un ingiustificato arricchimento da parte di soggetti dal discutibile valore imprenditoriale. La speculazione ha un unico e preciso significato, ma assume diverse forme: c'è la speculazione finanziaria, quella di mercato e quella sul lavoro. Quest'ultima si realizza quando l'unica vera fonte di profitto di alcuni pseudo imprenditori deriva dallo sfruttamento del lavoro e non dalla creazione di valore per sé e per la collettività, ricordo il primo articolo della nostra Costituzione.

Sottosegretario, non crede che sia arrivata l'ora di mettere mano a una regolamentazione più stringente in questo settore? Io confido in lei, nella sua biografia, nel suo passato e in quello che lei è portatrice anche all'interno di questo Governo. Per parte nostra, noi vigileremo e continueremo a seguire sia l'evoluzione della situazione venutasi a creare, sia il futuro lavorativo dei dipendenti di questo call center.

(Iniziative nei confronti di Industria Italiana Autobus a salvaguardia dei livelli produttivi e occupazionali della ex Bredamenarinibus – n. 2-01845)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Civati ed altri n. 2-01845 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Marcon se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario o se si riservi di intervenire in sede di replica.

GIULIO MARCON. Grazie, Presidente. Signora sottosegretaria, vorrei illustrare brevemente questa interpellanza su un'azienda che rischia di chiudere entro la fine dell'anno, così come alcune fonti di stampa riportano. Il 90 per cento degli attuali dipendenti in produzione sono in cassa integrazione straordinaria, il 30 per cento degli impiegati, anch'essi, sono in cassa integrazione. Si chiama Industria italiana autobus, ma è conosciuta come la ex Bredamenarinibus, un'azienda importante, un'azienda che ha fatto la storia del nostro sistema industriale, capace di produrre per l'appunto autobus, prevalentemente per il trasporto pubblico. Ricordo che, negli anni Ottanta e Novanta, erano 32 le aziende in Italia che producevano autobus, erano 11.000 i dipendenti, mentre oggi siamo ridotti ad avere sostanzialmente due stabilimenti, uno ad Avellino (chiuso) e l'altro, quello della Industria Italiana Autobus, a Bologna, che rischia di chiudere. Rischia di chiudere perché purtroppo le scelte fatte in questi anni sono scelte che hanno impoverito il sistema industriale del nostro Paese, non c'è stata una politica industriale, e questo ha favorito la svendita di importanti pezzi del nostro patrimonio industriale, nonché la delocalizzazione di molti stabilimenti. E poi c'è la specificità di questa vicenda: questa industria, questo pezzo importante del nostro sistema industriale, faceva parte di Finmeccanica, era una delle aziende più importanti di Finmeccanica. Sappiamo da tempo che Finmeccanica ha deciso, se non di smantellare, di impoverire pesantemente tutta la parte civile di produzioni e di lavorazioni, prevale per l'appunto la produzione militare, e quello che è stato smantellato, che è stato impoverito, riguarda la produzione di beni - in questo caso autobus - che dovrebbero rappresentare una delle produzioni che il nostro Paese è capace di portare avanti, facendo riferimento a un grande bisogno che c'è in Italia, che è quello del rinnovamento del parco mezzi, soprattutto del trasporto pubblico locale, appunto. Ricordo che quasi il 30 per cento degli autobus utilizzati per il trasporto pubblico locale è obsoleto e andrebbe sostituito, ed è inefficiente dal punto di vista ecologico. Quindi, c'è un bisogno di rinnovamento, c'è un bisogno di potenziamento del trasporto pubblico locale, e quello che noi abbiamo fatto in questi anni è stato smantellare il sistema produttivo che faceva autobus. Quindi, come ricordavo: negli anni Novanta, 11.000 addetti, 32 aziende; oggi siamo ormai alla scomparsa delle imprese che fanno autobus per il trasporto pubblico locale.

La vicenda, vorrei ricordarla brevemente, è quella di una vendita: Finmeccanica a un certo punto decide, tra il 2013 ed il 2014, di alienare la sua partecipazione, di vendere a un soggetto privato, che poi dà vita appunto alla Industria Italiana Autobus. Siamo nel 2014. In questo passaggio, in cui Finmeccanica lascia alla BredaMenarinibus e si dà vita appunto alla Industria Italiana Autobus, interviene il Governo di allora, che, con le parti, stipula un accordo, e in questo accordo ci sono degli impegni, ed è questo l'oggetto principale di questa interpellanza, di fronte a un'impresa che rischia di chiudere e al rischio che i lavoratori vengano licenziati. In questo accordo, questo protocollo, appunto del 2014, firmato presso il Ministero dello sviluppo economico, il Governo si impegna su tre punti. Il primo punto riguarda gli investimenti e l'occupazione; e cito testualmente: pertanto nel sito bolognese si deve dare continuità agli investimenti, per completare il percorso di progettazione, industrializzazione, commercializzazione e costruzione dell'intera gamma urbana ed interurbana, eccetera eccetera. Secondo punto: sviluppo di mercato; e qui si dice: il Governo si impegna in tal senso, anche attraverso gli stanziamenti, per un importo di 700 milioni, all'interno della legge di stabilità, subordinatamente all'approvazione del Parlamento. Terzo punto: monitoraggio; e anche qui il Governo si impegna a convocare le parti almeno quadrimestralmente, e in ogni momento su richiesta di una delle parti, per un esame dello stato di avanzamento del progetto nonché degli impegni sottoscritti dai soggetti interessati.

Vado a concludere. Di fronte a questa situazione, cioè un'impresa che rischia di chiudere entro l'anno, lavoratori che rischiano di essere licenziati, un Paese che rischia di perdere un altro pezzo importante del suo sistema industriale e produttivo che interviene su un bisogno importante di questo Paese, che è quello appunto di darsi un sistema adeguato di trasporto locale, cosa ha fatto il Governo per rispettare questi impegni assunti nel 2014? E cosa intende fare per far sì che gli impegni che anche il proprietario aveva preso rispetto al Governo e alle rappresentanze dei lavoratori vengano portati avanti e vengano rispettati? Questi impegni non sono stati rispettati, rischiamo per l'appunto - lo dico per l'ennesima volta - di vedere centinaia di lavoratori e di famiglie buttate in condizioni drammatiche per la perdita del posto di lavoro. Rischiamo di perdere questo importante stabilimento e questo importante sito industriale. Quindi, chiediamo alla Viceministra e al Governo di risponderci su cosa è stato fatto e su cosa si intende fare soprattutto per risolvere questo problema così drammatico.

PRESIDENTE. La Vice Ministra dello Sviluppo economico, Teresa Bellanova, ha facoltà di rispondere.

TERESA BELLANOVA, Vice Ministra dello Sviluppo economico. Presidente, come tutti sappiamo, Industria Italiana Autobus è il più importante costruttore di autobus italiano: progetta, costruisce e commercializza un'ampia gamma di veicoli, e come è noto è nata a gennaio 2015 da un'iniziativa del gruppo Del Rosso e di Finmeccanica Spa, oggi Leonardo. In quanto tale, il Governo segue sempre con molta attenzione l'evolversi della situazione industriale della società e dei suoi lavoratori. Detto questo, sul quesito posto da parte degli onorevoli interpellanti, vorrei rispondere innanzitutto in merito al rilancio dell'industria italiana in materia di trasporto.

Negli ultimi tre anni, dopo una lunga stagione caratterizzata da risorse discontinue e incerte, il Governo ha imposto un deciso cambio di passo in merito al settore del trasporto, e in particolare del trasporto pubblico locale. Voglio ricordare, in primis, che per il solo rinnovo delle flotte autobus la legge di bilancio 2017 stanzia per i prossimi sedici anni 3 miliardi 700 milioni di euro di finanziamenti. In particolare, la norma prevede la realizzazione del Piano strategico nazionale per la mobilità sostenibile, destinato al rinnovo del parco di autobus dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, alla promozione e al miglioramento della qualità dell'aria con tecnologie innovative. È previsto anche un programma di interventi finalizzati ad aumentare la competitività delle imprese produttrici di beni e di servizi nella filiera dei mezzi di trasporto pubblico su gomma e dei sistemi intelligenti per il trasporto, attraverso il sostegno agli investimenti produttivi. Si tratta di investimenti finalizzati alla transizione verso forme di produzione più moderne e sostenibili, con particolare riferimento alla ricerca e allo sviluppo di modalità di alimentazione alternativa. Sempre in merito al settore del TPL e in particolare al comparto autobus, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è fatto promotore di modalità alternative di acquisizione centralizzata dei mezzi e successiva messa a disposizione degli operatori. In particolare, il decreto del MIT del 23 gennaio 2017 ripartisce tra le regioni complessivamente 150 milioni di euro - 50 per ciascuno degli anni dal 2017 al 2019 - per il rinnovo dei parchi autobus, risorse che in via sperimentale saranno utilizzate attraverso una centrale unica di committenza nazionale identificata in Consip.

Tali risorse contribuiscono alla copertura dei costi per l'acquisto dei mezzi, unitamente al cofinanziamento assicurato da ciascuna regione, oltre che dagli enti locali e dalle stesse aziende in autofinanziamento. Considerando la dotazione del fondo di 150 milioni di euro nel triennio, e l'impegno delle regioni, si potranno realizzare investimenti per circa 260 milioni di euro tra il 2017 e il 2019. Infine, l'articolo 27 della legge n. 50 del 2017, la cosiddetta “manovrina”, ridetermina la dotazione del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale in 4,7 miliardi di euro per l'anno 2017 e 4,9 miliardi di euro a decorrere dall'anno 2018. La stessa norma stabilisce i criteri per la ripartizione del suddetto Fondo nazionale i quali sono tra l'altro volti a far sì che i servizi di trasporto pubblico locale e regionale siano affidati con procedure ad evidenza pubblica, penalizzando le regioni e gli enti locali che non procedono al loro tempestivo espletamento, nonché a incentivare il perseguimento degli obiettivi di efficienza e di centralità dell'utenza nell'erogazione del servizio.

Per quanto riguarda la situazione di Industria italiana autobus, ribadisco l'impegno del Ministero dello sviluppo economico a fare in modo che vengano mantenuti tutti gli obblighi assunti in sede di accordo nel 2014, atti anche a garantire la tutela dei lavoratori occupati. In tal senso sottolineo che è all'esame della commissione ministeriale istituita ai sensi dell'articolo 42 del decreto legislativo n. 148 del 2015 l'istanza che consentirà di prorogare il ricorso alla cassa integrazione fino al 31 dicembre 2018 in modo tale da consentire la realizzazione del piano industriale da parte di Industria italiana autobus garantendo allo stesso tempo un'adeguata copertura reddituale per i lavoratori dell'azienda. Inoltre sta procedendo, secondo le previsioni, il programma di investimento oggetto del contratto di sviluppo stipulato tra Invitalia e Industria italiana autobus con l'avvio dei conseguenti investimenti utili per realizzare e migliorare gli impianti necessari alla produzione di autobus.

Si ricorda che Industria italiana autobus, il cui piano industriale prevede un punto di equilibrio economico di 450-500 autobus prodotti all'anno, dispone di tutte le potenzialità per essere competitiva sul mercato e per aggiudicarsi le commesse necessarie a raggiungere tale obiettivo. A tal fine, per dare continuità al costante lavoro di monitoraggio e di questa delicata vicenda da parte del Ministero dello sviluppo economico, ho provveduto a far convocare un nuovo incontro per il giorno 13 luglio prossimo venturo. Sarà cura del Governo e mia personale tenere aggiornato il Parlamento in merito agli sviluppi della situazione.

PRESIDENTE. Il collega Marcon ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

GIULIO MARCON. Grazie, signora Viceministra. Grazie anche per l'informazione che ci ha voluto dare riguardo all'incontro del 13 luglio: consideriamo sicuramente un fatto positivo che il Governo riprenda in mano con più determinazione lo svolgersi della vicenda, perché lei ci ha cortesemente illustrato ed esposto tutta una serie di iniziative e gli stanziamenti che il Governo ha previsto soprattutto nei prossimi anni e nei prossimi decenni. Va rilevato tuttavia che la situazione del sito industriale di questa impresa ad oggi non ha avuto alcun beneficio da questi interventi tanto è vero che le condizioni in cui versano soprattutto i lavoratori le abbiamo più volte ricordate.

Noi pensiamo che il Governo anche su questa vicenda come in altre vicende debba dotarsi di una vera politica industriale: l'idea che la politica industriale è fatta dal mercato e dalle imprese, che magari sono beneficiate di sgravi o di altri interventi che alleggeriscono il peso fiscale sulla loro attività, si è dimostrata inefficace e non ha funzionato. Serve una politica industriale, una politica pubblica; soprattutto sulle questioni del trasporto su gomma servono interventi e una strategia che sia chiara e ben definita e su questa vicenda specifica noi pensiamo che, in questi due anni da quando è nata l'Industria italiana autobus, ci sia stata una latitanza o, perlomeno, una forte disattenzione del Governo rispetto alla vicenda tanto è vero che sono maturate in malo modo una serie di condizioni che hanno portato alla situazione attuale.

Tra l'altro ci risulta che in realtà autobus vengano prodotti e vengono fabbricati, ma non in Italia, dalla stessa azienda e dallo stesso soggetto privato che è leader dentro l'industria italiana autobus. Quindi la questione tocca il tema della delocalizzazione in particolare in Turchia e in altri Paesi dove gli autobus vengono prodotti per essere acquistati nel nostro Paese. Chiediamo al Governo - siamo contenti che il 13 luglio ci sarà la riunione - di prendere pesantemente in mano la vicenda dell'impresa, interloquire pesantemente con il soggetto privato sul quale noi esprimiamo una valutazione non positiva per come si è comportato in questi due anni; intervenire pesantemente quindi anche rispetto agli impegni che sono stati presi e che non sono stati mantenuti. Gli spazi di mercato ci sono: non so se lo ricordava lei, ma già per il 2017 ci sono impegni per la produzione di oltre 300 autobus. La regione Emilia-Romagna credo abbia fatto una convenzione per la produzione di oltre 600 autobus nei prossimi anni, quindi il mercato c'è. Si tratta di utilizzare gli spazi che il mercato offre, di non dare alcun alibi a chi vuole delocalizzare in altri Paesi e in questo modo impoverire il tessuto produttivo. Quindi noi speriamo che dalle parole della Viceministra di questa mattina gli impegni nei prossimi mesi vengano rispettati, i lavoratori possano tornare a lavorare e l'impresa che è stata così importante nel nostro Paese torni ad avere il ruolo che merita.

(Interpellanza Giuditta Pini n. 2-01873)

PRESIDENTE. Dovremmo ora passare all'interpellanza urgente Giuditta Pini ed altri n. 2-01873 concernente chiarimenti in ordine ai rilievi geofisici relativi ad attività di ricerca di idrocarburi nelle zone “Fantozza” e “Bugia” in provincia di Modena e di Reggio Emilia. Avverto che, in data odierna, la deputata Giuditta Pini ha ritirato l'interpellanza in oggetto, presentando contestualmente un'interrogazione a risposta scritta di analogo contenuto.

È così esaurito lo svolgimento di interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 10 luglio 2017, alle 12:

1.  Discussione sulle linee generali del disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, recante disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A. (C. 4565-A)

Relatori: SANGA, per la maggioranza; SIBILIA, di minoranza.

2.  Discussione sulle linee generali del disegno di legge:

Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017. (C. 4505-A)

Relatrice: BERLINGHIERI.

3.  Discussione sulle linee generali della proposta di legge:

FIANO ed altri: Introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista. (C. 3343-A)

Relatori: VERINI, per la maggioranza; FERRARESI, di minoranza.

La seduta termina alle 14,45.