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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 780 di martedì 18 aprile 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI

La seduta comincia alle 15.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

RAFFAELLO VIGNALI, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'11 aprile 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Migliore, Orlando, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Scalfarotto, Tabacci, Valeria Valente e Velo sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Fiorio ed altri; Castiello ed altri: Disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico (A.C. 302-3674-A) (ore 15,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 302-3674-A: Disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 12 aprile 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 12 aprile 2017).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 302-3674-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

La XIII Commissione (Agricoltura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Alessandra Terrosi.

ALESSANDRA TERROSI, Relatrice. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il testo unificato sulla produzione agricola con metodo biologico è frutto di un lungo lavoro istruttorio svolto dalla Commissione agricoltura, iniziato già dalla scorsa legislatura e ripreso all'inizio dell'attuale con la presentazione della proposta n. 302 del collega Fiorio, l'istituzione di un comitato ristretto, l'audizione dei principali esperti del settore e l'elaborazione di un'ipotesi di testo, peraltro inizialmente non formalizzato.

I lavori sul provvedimento hanno poi avuto una battuta di arresto in quanto, in sede europea, veniva avviata una proposta di riforma del settore sulla quale, appunto, la XIII Commissione ha espresso il proprio parere. Considerato comunque che la riforma del settore in ambito europeo ha tardato a trovare una definizione, la Commissione agricoltura ha deciso di riprendere i lavori il 16 febbraio 2017, adottando in sede referente il testo unificato elaborato dal comitato ristretto. La Commissione ha poi esaminato le proposte emendative presentate, approvando numerose modifiche e ha recepito le indicazioni contenute nei pareri della XI Commissione (Lavoro) e della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Il testo che giunge oggi all'esame dell'Aula risulta significativamente diverso rispetto ai testi di partenza. La Commissione ha lavorato nell'ottica di costruire un testo che, da un lato, evitasse inutili ridondanze con la regolamentazione comunitaria e, dall'altro, proponesse un impianto normativo snello ed efficace per essere vero strumento di sostegno al settore. In ragione della delega contenuta nella legge 28 luglio 2016, n. 154, cosiddetto “collegato agricolo”, per la riforma dei sistemi dei controlli, incluso quello relativo alla produzione biologica, è stato ritenuto corretto alleggerire il testo iniziale rispetto a tale tematica. Considerato poi che il Governo sta lavorando alla presentazione di un disegno di legge in materia di somministrazione di alimenti biologici nelle mense scolastiche, è stato ritenuto necessario espungere ogni riferimento a tale materia dal provvedimento in esame.

Vengo rapidamente alla descrizione dell'articolato, non prima, però, di avere argomentato il fatto che questo provvedimento di legge a nostro parere si rende particolarmente utile perché in questi anni il settore ha dimostrato una dinamicità molto elevata ed è cresciuto moltissimo. Non rappresenterò puntualmente questa dinamica né, appunto, i dati inerenti alla crescita, perché lo faranno i colleghi dopo di me negli interventi che seguiranno. L'articolo 1 stabilisce l'oggetto del presente provvedimento e le finalità della stesso. In particolare, al comma 2 definisce la produzione biologica attività di interesse nazionale con funzione sociale, basata prioritariamente sulla qualità dei prodotti, sulla sicurezza alimentare, sul benessere degli animali, sullo sviluppo rurale e sulla tutela dell'ambiente e della biodiversità, che concorre al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell'intensità di emissioni dei gas a effetto serra e fornisce in tale ambito appositi servizi ecosistemici. Gli ecosistemi forniscono all'umanità una serie di vantaggi che vanno sotto il nome di “beni e servizi ecosistemici”. Per lungo tempo non è stato compreso il loro valore né tanto meno computato il loro valore nelle previsioni economiche delle società, poiché questi beni e servizi sono stati sempre disponibili fuori dal mercato e gratuiti.

Da lungo tempo l'Unione europea si è concentrata su programmi che andassero nella direzione di tutelare la biodiversità e, più in generale, gli ecosistemi. Quindi, lo Stato riconosce il beneficio derivante dalla coltivazione con metodo biologico, beneficio dovuto alle minori quantità di input chimici utilizzati e riversati nelle matrici naturali, in particolare suolo e acqua, nonché all'insieme delle pratiche messe in atto che garantiscono la conservazione della complessità degli agroecosistemi. In generale, tali benefici si traducono in quei benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano, benefici ecosistemici appunto, come definiti dal Millennium Ecosystem Assessment.

È noto come i sistemi agricoli ad alto valore naturale, quelli cioè che contribuiscono maggiormente alla tutela della biodiversità e che svolgono un ruolo chiave nel raggiungimento in particolare del terzo obiettivo della strategia europea sulla biodiversità fino al 2020, ossia garantire la sostenibilità dell'agricoltura, della silvicoltura e della pesca in stretto collegamento con gli strumenti previsti dalla PAC, abbiano uno stretto rapporto con l'agricoltura biologica. Nel nostro Paese oltre il 40 per cento della superficie biologica certificata appartiene a un sistema agricolo ad alto valore naturale, AVN altrimenti detto, un valore quasi doppio rispetto a quello rilevato per le superfici coltivate convenzionalmente. Da qui l'importanza della definizione di cui al comma 2. Il comma 3 equipara il metodo di coltivazione biodinamica a quello di coltivazione biologica solo se applicato nel rispetto delle disposizioni del regolamento comunitario n. 834 del 2007.

Gli articoli 2 e 3 individuano le autorità nazionali e locali, rappresentate rispettivamente dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e dalle regioni e province autonome di Trento e Bolzano.

L'articolo 4 disciplina il tavolo tecnico per l'agricoltura biologica. In questo articolo si è voluto riprendere l'esperienza positiva e fattiva maturata dal tavolo tecnico istituito nel 2013 che ha dato vita al piano d'azione attualmente in essere, ricalcandone la composizione e superando l'esperienza del comitato consultivo che nel tempo non aveva dato i risultati sperati. Si è privilegiata, quindi, la nascita di un organismo tecnico competente, in grado di portare il proprio contributo in termini di proposta concreta per il settore. L'articolo 4, infatti, istituisce il tavolo tecnico e ne norma la composizione e i compiti ai commi 1, 2, 3 e 4. Questi ultimi, cioè i compiti, nello specifico sono i seguenti: delineare gli indirizzi e le priorità per il piano di azione; esprimere pareri relativi a provvedimenti sull'agricoltura biologica a livello nazionale ed europeo; proporre interventi per l'indirizzo e l'organizzazione delle attività di promozione dei prodotti biologici, favorendo il coordinamento tra le autorità nazionali e locali e gli operatori, per assicurare la diffusione dei prodotti sul mercato; organizzare annualmente almeno un incontro in cui mettere a confronto le esperienze dei distretti biologici italiani e internazionali. Il successivo e ultimo comma 5 delega ad un decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali le modalità di funzionamento del tavolo tecnico stesso e sottolinea la non attribuzione di compensi ai partecipanti al tavolo.

L'articolo 5 definisce l'adozione del piano d'azione nazionale per l'agricoltura biologica e i prodotti biologici. Gli obiettivi del piano sono finalizzati a sostenere l'attività degli agricoltori che adottano il metodo biologico a partire dalla delicata fase della conversione fino alla individuazione degli strumenti finanziari e tecnici idonei al rafforzamento dell'organizzazione della filiera, con particolare riguardo alle piccole aziende. Il piano deve prevedere azioni specifiche per il monitoraggio dell'andamento del settore che individuino in progress i punti di forza e di debolezza e per l'elaborazione e diffusione delle informazioni tecniche e di mercato utili ai diversi soggetti della filiera, in particolare attraverso lo strumento già attivo del sistema di informazione nazionale per l'agricoltura biologica. Facendo propria l'attenzione della comunità europea all'uso di prodotti fitosanitari e al loro corretto impiego in particolare nella gestione del verde pubblico, fra gli obiettivi del piano vi è anche quello di stimolare gli enti pubblici all'uso di metodi biologici per il contenimento della flora infestante negli spazi di propria competenza. Tra i temi trattati dal piano è ricompreso quello dell'incentivazione della ricerca e della innovazione. È infatti priva di fondamento la teoria secondo la quale fare agricoltura biologica equivale a non adottare alcuna lavorazione o alcun metodo di contenimento della flora antagonista o a non mettere in atto alcun mezzo per la difesa fitosanitaria. È vero esattamente il contrario e le conoscenze in capo all'agricoltore che pratica il metodo biologico devono essere riferite all'agroecosistema nel suo complesso e supportate da riscontri scientifici aggiornati e trasferibili.

All'articolo 8 - passo direttamente all'articolo 8, perché è qui che si parla, appunto, del sostegno alla ricerca tecnologica e applicata - il tema dell'importanza e della necessità della ricerca viene affrontato più compiutamente, riconoscendo l'importanza di promuovere percorsi formativi dedicati agli studenti universitari che possono usufruire di dottorati di ricerca, master e corsi di alta formazione nelle tematiche della produzione agricola e agroalimentare e di acquacoltura effettuate con metodo biologico, riconoscendo la necessità di garantire nel tempo l'offerta formativa già presente e potenziandola dove è possibile. Individuando, inoltre, nell'aggiornamento dei docenti degli istituti tecnici e nella possibilità per gli studenti di svolgere tirocini pratici direttamente nelle aziende biologiche una leva importante di trasmissione della conoscenza teorica e pratica relativa a questo settore.

Consapevoli dell'importanza che la ricerca e l'innovazione, nonché la divulgazione dei risultati ottenuti, hanno ed avranno ancor di più nel futuro per garantire al biologico italiano il ruolo di primo piano che già oggi ricopre a livello europeo, viene ad esse destinata una parte consistente, pari al 30 per cento, delle risorse assegnate al Fondo di cui all'articolo 6 e che illustrerò a breve. Nella stessa lettera d) dell'articolo 8 si specifica, inoltre, la necessità che vengano assegnate somme, individuate nel decreto di riparto previsto sempre all'articolo 6, a progetti di ricerca che abbiano una durata sufficiente a garantire l'ottenimento di risultati certi e divulgabili, e quindi almeno compresa tra tre e cinque anni, a progetti di ricerca che coinvolgano tutti gli attori della filiera, per rimarcare l'importanza che deve essere attribuita all'organizzazione e alla strutturazione del comparto, assicurando un adeguato compenso alle aziende che prendono parte ai progetti.

Anche l'articolo 9 rientra tra quelli che annoverano gli strumenti di pianificazione. In esso si richiama la formazione professionale e la si promuove a beneficio di tecnici e operatori del settore del biologico, nonché dei soggetti pubblici incaricati di svolgere il controllo. Le aziende che adottano il metodo di coltivazione e di allevamento biologico, quelle che entrano in conversione, le aziende che si occupano della trasformazione hanno l'esigenza di avvalersi di tecnici preparati e aggiornati, che sappiano validamente affiancarle negli specifici processi produttivi. I principi di base ai quali organizzare la suddetta formazione professionale vengono demandati ad un decreto che il Ministro delle politiche agricole, agroalimentari e forestali adotterà conformemente a quanto richiesto nel parere dell'XI Commissione lavoro anche con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Anche i contratti di rete di cui all'articolo 7 sono ricompresi tra gli strumenti di pianificazione. Con l'articolo 6-bis del decreto n. 91 del 2014, convertito nella legge n. 116 del 2014, è stato introdotto per le reti di impresa già normate in agricoltura l'accesso ai finanziamenti agevolati per investimenti in ricerca e innovazione tecnologica.

Questo strumento, pertanto, oltre a rappresentare una modalità organizzativa innovativa, che, tuttavia, ha già esempi anche nel settore agricolo, permette alle aziende biologiche di accedere a ulteriori canali di finanziamento. Lo strumento finanziario previsto da questo progetto di legge denominato Fondo per lo sviluppo dell'agricoltura biologica, di seguito definito “Fondo”, viene descritto e normato all'articolo 6. Il Fondo per lo sviluppo dell'agricoltura biologica è destinato al finanziamento delle iniziative previste nel Piano di azione nazionale con la riserva del 30 per cento destinata ai programmi di ricerca. Con decreto ministeriale avviene la ripartizione delle risorse tra le iniziative individuate nel Piano di azione e vengono definite le modalità di funzionamento del Fondo. Lo schema di decreto deve essere inoltrato alle Commissioni per il parere. Il Fondo è alimentato con le entrate derivanti dal contributo per la sicurezza alimentare individuato nel 2 per cento del fatturato dell'anno precedente relativo alla vendita di prodotti fitosanitari autorizzati e fertilizzanti di sintesi, contributo già previsto a legislazione vigente, che, originariamente, ammontava a circa 11 milioni di euro, ma che nel tempo, a seguito dei numerosi tagli lineari disposti dalle leggi finanziarie a partire dal 2008, si è notevolmente ridotto, attestandosi ad una cifra pari a circa 3 milioni di euro.

L'articolo 10 norma i distretti biologici, già presenti nell'articolato originario, nel quale i distretti biologici venivano assimilati ai distretti rurali e ai distretti agroalimentari di qualità, così come definiti ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228. Il tema dei distretti come organizzazione di sviluppo del territorio è ormai da tempo all'attenzione del legislatore, che ha disciplinato, appunto, dapprima i distretti industriali e, quindi, i distretti agricoli nell'articolazione sopra riportata. Il riferimento di legge specifico ai distretti biologici non esiste ancora, sebbene negli ultimi dieci anni sia nato un interesse via via crescente per questo tema sia nel mondo accademico così come in seno all'amministrazione pubblica, che, infatti, ha finanziato i principali progetti di ricerca sviluppatisi in tale materia.

Il primo progetto di ricerca Biodistrict, svolto negli anni 2007-2008, venne finanziato dal Ministero delle Politiche agricole con lo scopo di definire, attraverso l'applicazione di una metodologia scientifica, gli indirizzi generali per la realizzazione dei distretti biologici. Ne sono seguiti altri, il Bioreg e il Dimecobio - non sto, Presidente, ad entrare eccessivamente nel merito, perché rischio di appesantire eccessivamente la discussione -, ma voglio semplicemente dire che l'attenzione al tema dei distretti biologici da parte di istituzioni ed enti di ricerca è maturata in un contesto, quello della realtà agricola italiana, spesso molto dinamico e, talvolta, incline a proporre soluzioni e iniziative per migliorare le condizioni dell'economia di interi territori e dei comparti produttivi che in essi operano. In quasi tutte le regioni italiane sono operativi uno o più distretti biologici, o biodistretti che dir si voglia, nati attraverso l'adozione di disciplinari privati, e, alcuni anni orsono, si è costituita una rete internazionale che raccoglie esperienze analoghe presenti in diversi Paesi, l'International Network of Eco-Regions. È interessante notare come i territori dove ricadono i biodistretti spesso abbiano caratteristiche analoghe a quelle individuate nell'ambito della strategia nazionale per le aree interne per perimetrare queste ultime e spesso facciano parte di quei sistemi definiti sistemi agricoli ad alto valore naturale di cui ho accennato all'inizio di questa relazione.

Spesso, dunque, quando parliamo di distretti biologici, parliamo di territori a vocazione agricola biologica, caratterizzati da grande valore aggiunto in termini paesaggistici e naturalistici, ma anche da fragilità espressa dai parametri socioeconomici che li rappresentano, caratterizzati ancora da grande dinamicità in relazione alla ricerca di soluzioni partecipate ai problemi dell'aria e alla capacità di mettere in atto iniziative spesso innovative per la loro risoluzione.

Nell'articolo 10 la Commissione ha voluto normare una realtà già esistente, molto viva e in costante divenire, definendo, fra l'altro, le finalità per cui vengono istituiti i distretti biologici: non solo tutelare l'agricoltura biologica, ma, più in generale, promuovere l'uso sostenibile delle risorse naturali anche in attività non agricole. E, inoltre, mettere in rete, oltre alle risorse naturali, gli agricoltori con i trasformatori, con i consumatori, con gli operatori turistici, con gli enti locali, perché i primi possano trovare nel loro territorio di riferimento il bacino naturale in cui i loro prodotti possano essere valorizzati e gli altri possano acquistare a prezzi congrui alimenti sani la cui realizzazione tutela salute e ambiente.

Il comitato direttivo individuato quale promotore e proponente il distretto biologico è, appunto, costituito da tutti i soggetti che a vario titolo si occupano di agricoltura bio ed hanno a cuore l'uso sostenibile delle risorse, che vedono nel distretto biologico anche opportunità di promuovere, insieme alle produzioni medesime, tutto il territorio nel quale esse vengono realizzate.

La regione è destinataria della richiesta di riconoscimento del distretto biologico. Nel testo in esame è stata adottata la strategia di riconoscimento bottom-up, acquisendo così i suggerimenti pervenuti dagli auditi, i quali hanno testimoniato il sostanziale fallimento di molte esperienze organizzative analoghe, tramontate proprio perché non pervase da un reale interesse e da un diretto coinvolgimento di chi avrebbe dovuto renderle operative. I requisiti e le condizioni per la costituzione del distretto biologico vengono specificati in un decreto del Ministro, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.

I successivi tre articoli del testo, e cioè l'11, il 12 e il 13, recano rispettivamente organizzazioni interprofessionali nella filiera biologica, intese di filiera per i prodotti biologici e organizzazioni dei produttori biologici.

Le organizzazioni interprofessionali, che raccolgono in una unica struttura almeno una delle principali parti o la totalità della filiera, sono regolamentate ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge n. 51 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 91 del 2015, coerentemente con le disposizioni del regolamento n. 1308/2013. Esse hanno lo scopo di facilitare il dialogo tra gli attori della filiera, promuovendo buone pratiche e trasparenza del mercato; si configurano come strumento di miglioramento delle relazioni a beneficio della competitività e della sostenibilità economica delle produzioni agroalimentari. La normativa comunitaria consente di riconoscere organizzazioni interprofessionali per prodotto, gruppi di prodotto o di settori specifici analiticamente indicati nell'allegato 1 del regolamento n. 1308. Non prevede un riconoscimento per tipologia o per sistemi qualitativi o con caratteristiche trasversali orizzontali per prodotti appartenenti a settori specifici differenti.

La stessa Commissione, tuttavia, lascia la possibilità agli Stati membri di legiferare per la costituzione di organizzazioni interprofessionali multisettoriali, ciò che viene fatto nel presente provvedimento di legge considerando il settore del biologico multisettoriale come un unicum.

Nell'articolo 11 vengono richiamate le caratteristiche che le organizzazioni interprofessionali devono avere e le finalità che devono raggiungere per essere riconosciute dal Ministero, al quale competono anche il controllo e la vigilanza. Talune delle suddette finalità riguardano il miglioramento della conoscenza e della trasparenza del mercato anche attraverso la pubblicazione di dati statistici, il miglioramento del coordinamento per l'immissione dei prodotti sul mercato, la redazione di contratti tipo, la valorizzazione del potenziale dei prodotti biologici, lo svolgimento di ricerche e la promozione del consumo dei prodotti bio.

Così come definita dall'articolo 168 del regolamento n. 1308/2013, viene prevista anche per le organizzazioni interprofessionali del settore biologico la possibilità di estensione delle regole, puntualmente normata nei commi da 8 a 13.

All'articolo 12 viene istituito il tavolo di filiera dei prodotti biologici, che ha, fra l'altro, la facoltà di proporre al Ministero le intese di filiera. Le intese non possono comportare restrizioni alla concorrenza, ma possono prevedere accordi per la programmazione della produzione o del miglioramento della qualità che possano avere come conseguenza la limitazione dei volumi d'offerta. Tale fattispecie è regolamentata per far fronte a eventuali crisi di mercato, che devono essere documentate e protratte nel tempo, e le programmazioni devono essere approvate dal Ministero, che ne verifica la compatibilità comunitaria, sentita l'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Per le organizzazioni di produttori biologici normate all'articolo 13 del testo di legge in esame, vale quanto già riferito per le organizzazioni interprofessionali: le organizzazioni di produttori per singolo prodotto e per specifico settore hanno un riferimento normativo nel regolamento n. 1308 del 2013, ma anche in questo caso il singolo Stato membro può legiferare per organizzazioni di produttori multisettoriali. Le OP devono nascere per iniziativa dei produttori, e l'articolo individua nella commercializzazione in forma associata delle produzioni e nell'attivazione di un programma operativo le finalità di cui almeno una deve essere presente tra quelle statutarie.

L'articolo 14 riconosce agli agricoltori che producono le varietà di sementi biologiche non iscritte al registro delle varietà vegetali e da conservazione, il diritto alla vendita diretta in ambito locale in quantità limitate delle stesse sementi e il diritto al libero scambio. La pratica dello scambio di piccole quantità di sementi in ambito locale riprodotte direttamente dagli agricoltori è alla base del mantenimento della biodiversità, ed è funzionale soprattutto alle aziende biologiche che utilizzano in via prioritaria sementi adattate in un determinato areale di coltivazione.

Presidente, io ho finito. Chiedo cortesemente la possibilità di depositare la relazione integrale.

PRESIDENTE. La ringrazio. Sì, va bene. Il Governo non ritiene di intervenire.

È iscritto a parlare l'onorevole Oliverio. Ne ha facoltà.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente, signora sottosegretario, onorevoli colleghi, l'Aula inizia oggi l'esame di un testo unificato per lo sviluppo del sistema agricolo ed agroalimentare biologico in Italia, frutto di un significativo percorso con interessanti audizioni di molti soggetti della filiera ed i maggiori ricercatori del settore. L'esame di questo provvedimento è stato avviato nel 2013, ad inizio legislatura, poi sospeso in attesa di una riforma europea del settore che ha tardato ad arrivare, e da poco ripreso proprio per ammodernare la normativa sul biologico, dotandola di nuovi strumenti sia sul versante del sistema amministrativo sia su quello riguardante l'organizzazione del mercato, sia su quello delle risorse finanziarie a disposizione.

Viviamo in un'epoca che ha giustamente messo in primo piano la salute: il cittadino finalmente non guarda più alla forma dei prodotti e ai suoi colori, che spesso sono ingannevoli, ma cerca e pretende la sicurezza alimentare. Alimentarsi è un'esigenza fisiologica, ma oggi si punta a nutrirsi bene, con prodotti genuini: anche per questo si è sviluppato in Italia un mercato biologico che consente importanti investimenti anche nel campo della ricerca. Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale applicata all'alimentazione, che si è sviluppata negli ultimi decenni, mentre per tantissimo tempo il cibo addizionato, trattato, modificato veniva considerato paradossalmente come cibo sano. Anche per questo il settore del biologico, secondo gli ultimi dati elaborati dal SINAB relativi all'anno 2015, prosegue il suo trend espansivo: le elaborazioni effettuate indicano infatti un aumento sia del numero degli operatori certificati, sia della superficie coltivata con il metodo biologico. Risulta infatti che in Italia gli operatori certificati sono 59.959, di cui 45.225 produttori esclusivi, 7.061 preparatori esclusivi, 7.366 operatori che effettuano sia attività di produzione che di preparazione, 310 operatori che effettuano attività di importazione. A livello mondiale hanno adottato il metodo biologico circa 2 milioni di produttori, di cui il 17 per cento in Europa. Nel corso del 2015, hanno scelto di convertire la propria impresa oltre 4.500 operatori, più 8,2 per cento rispetto ai dati riferiti all'anno precedente. La superficie coltivata con metodo biologico in Italia è pari a 1.492.000 ettari, con aumento complessivo rispetto all'anno precedente del 7,5 per cento.

Sono stati convertiti al metodo biologico nel 2015 oltre 104 mila ettari, l'area coltivata nel mondo con metodo biologico ha raggiunto 43,1 milioni di ettari, che rappresenta l'1 per cento della superficie agricola totale; l'Unione Europea raggiunge il 5,7 per cento. In percentuale, sul totale della superficie coltivata in Italia il biologico interessa il 12 per cento della SAU nazionale. I principali orientamenti produttivi riguardano i pascoli, il foraggio e i cereali; segue in ordine di estensione la superficie investita ad olivicoltura.

Riguardo alle produzioni animali, i dati evidenziano rispetto al 2014 un aumento consistente, in particolare per bovini (19,6 per cento) e pollame (18,2 per cento), e per equini (il 10,6 per cento) e caprini (l'8,8 per cento).

Con riferimento all'andamento storico, il 2015 registra il record di superficie biologica mai raggiunto nel nostro Paese: il trend di crescita della superficie risulta addirittura maggiore rispetto a quello del numero degli operatori. Le vendite del biologico, secondo i dati Ismea-Nielsen, confermano anche nell'anno 2015 una crescita molto interessante, raggiungendo un 20 per cento in più rispetto all'anno 2014: valore che viene confermato, rafforzandosi anche nel primo semestre 2016 e raggiungendo quota 20,6 per cento. Le vendite del biologico registrano nel 2010 un trend in progressivo aumento, con una media di crescita del periodo 2010-2015 che è dell'11 per cento; nel confronto tra il primo semestre 2015 e 2016 si registra un incremento dello 0,5 per cento dei consumi del biologico: frutta, ortaggi e latte e derivati hanno incrementi compresi tra il 15 e il 18 per cento, mentre i primi tre comparti verso i quali i consumatori hanno orientato maggiormente le loro scelte in fatto di acquisti sono carne (30 per cento), derivati dei cereali (23 per cento) e bevande analcoliche ed alcoliche (21 per cento).

Vini e spumanti scendono al 43 per cento, dopo una variazione 2014-2015 in cui le percentuali di vendite erano più che triplicate. L'interesse sul vino “bio” è da collegarsi all'aumentata qualità del vino offerto e alla maggiore chiarezza del quadro normativo, e di conseguenza delle etichette dei processi di produzione. Le scelte di sostenibilità dei produttori vitivinicoli sono dunque premiate dai consumatori, che confermano la particolare attenzione a stili di consumo più salutari, sia per se stessi che per l'ambiente.

I dati richiamati mostrano che il comparto è in forte crescita, si basa sulla fiducia del consumatore, che sa di trovare un prodotto che non è trattato chimicamente, che non fa uso di OGM e che ricorre a tecniche agricole e di allevamento rispettose dell'ambiente. Proprio al fine di assecondare tale sviluppo, si è ritenuto necessario che la normativa di riferimento, nata in un contesto in cui il metodo biologico rappresentava ancora una nicchia, venisse aggiornata, al fine di dotare gli operatori del settore di tutti gli strumenti necessari per garantire ai consumatori un prodotto di qualità a prezzi competitivi rispetto ai prodotti agricoli tradizionali. Tra le novità più importanti sulle quali si è dettagliatamente soffermata la relatrice, che ringrazio per la competenza e la professionalità con le quali ha seguito sin dall'inizio il provvedimento, segnalo la riorganizzazione degli strumenti di governance amministrativa, attuata attraverso l'istituzione di un tavolo tecnico che dovrà delineare gli indirizzi sui quali predisporre il Piano d'azione nazionale finanziato dal Fondo per lo sviluppo dell'agricoltura. Le priorità sono rivolte all'implementazione della ricerca nel settore, ad incentivare la conversione, anche delle piccole aziende, al biologico, ad attivare adeguate campagne di educazione al consumo. Sono particolarmente soddisfatto del lavoro svolto in collaborazione col Governo in merito alla nuova definizione degli strumenti di organizzazione della produzione: vengono istituiti, così come diceva la relatrice, i distretti biologici, dove potranno convivere agricoltura con metodo biologico ed altre attività economiche, purché rispettose dell'ambiente e del territorio in cui sono inserite.

Per la prima volta in Italia si disciplinano le organizzazioni di produttori e le organizzazioni interprofessionali del biologico: si tratta di organizzazioni cosiddette “multi-prodotto”, che, se anche non disciplinate dall'Unione europea, possono trovare nella legislazione nazionale una propria configurazione, necessaria nel momento in cui si voglia rafforzare la filiera, mantenendo alta la qualità del prodotto.

Si riconosce inoltre l'importanza delle sementi biologiche anche qualora non iscritte nei registri varietali, perché appartenenti alle specie di conservazione o riproduttive di sementi proprie. All'agricoltore viene riconosciuto il diritto alla vendita diretta in ambito locale affinché di esse non venga perduta traccia a tutela delle nostre tradizioni.

Vorrei in conclusione sottolineare, facendo riferimento ai tanti studi accademici, ed in particolare a quelli elaborati dal professor Antonino De Lorenzo dell'Università di Tor Vergata che abbiamo audito in Commissione, che i prodotti agroalimentari biologici che costituiscono il paniere salutare della dieta mediterranea italiana dovrebbero essere promossi come alimenti funzionali per la ricchezza di principi bioattivi in qualità diversa dalle produzioni convenzionali. Un piano alimentare adeguato alla dieta mediterranea italiana di riferimento, ben bilanciato e basato su alimenti biologici che si caratterizzano in particolare per l'assenza di xenobiotici come i pesticidi, di metalli pesanti, delle diossine, e per la ricchezza di micronutrienti come la vitamina C, la vitamina E, e la capacità ossidante totale, grazie anche alle particolari tecniche agronomiche e di allevamento, diminuisce i fattori infiammatori, riduce i marker di stress ossidativo e di rischio cardiovascolare, prevedendo in generale il rischio di patologie cronico-degenerative non trasmissibili.

Anche per questo sarà opportuno, in uno dei prossimi provvedimenti, effettuare una valutazione complessiva che premi i benefici del biologico proponendo un sistema di defiscalizzazione delle produzioni biologiche distinguibili per il valore aggiunto di alta qualità nutrizionale, affinché possa essere meglio attuabile l'opzione della scelta della qualità e della riduzione dei costi di produzione che rappresentano oggi la barriera alla diffusione delle scelte per i consumi consapevoli.

Ritornando infine allo specifico del provvedimento: esso è parte di una strategia complessiva di riforma che sarà completata presto; il Governo infatti sta definendo la riforma sul sistema dei controlli e sta riorganizzando anche il sistema delle mense scolastiche a favore dei prodotti biologici. Si tratta quindi di una triplice azione sulla quale dovrà appoggiare tutto il comparto del biologico per favorire le migliori condizioni e per farlo uscire dalle secche del recinto nel quale era finora rinchiuso. Questo rappresenta un ulteriore tassello che il Parlamento inserisce nell'opera di riforma del sistema agroalimentare italiano portata avanti nel corso di questa fertile legislatura. Penso alla leggi da ultimo approvate in materia di biodiversità agraria, di agricoltura sociale e di contrasto ai fenomeni del cosiddetto caporalato, di lotta agli sprechi alimentari, di normativa sul vino, senza dimenticare i numerosi interventi di carattere fiscale ed organizzativo adottati dal Governo in collaborazione con il Parlamento.

Con l'approvazione di questo provvedimento vogliamo infine ribadire che sono indispensabili un dialogo interdisciplinare e una serie di iniziative informative utili a formare una coscienza del consumo del cibo sicuro e responsabile, al fine di garantire la qualità nutrizionale dell'alimento per favorire uno stato di salute ottimale dei cittadini, attraverso l'adozione di alimentazione e stili di vita salutari. Il cibo è cultura, ma sappiamo che prima di tutto è salute e benessere, ed è a questo che tutte le istituzioni dovranno lavorare per il bene comune e per la valorizzazione della persona. In questa prospettiva, quest'Aula, farà di tutto per raggiungere risultati positivi e significativi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Catalano. Ne ha facoltà.

IVAN CATALANO. Grazie Presidente. Colleghi, il gruppo Civici e Innovatori nel corso della discussione in Commissione agricoltura ha presentato alcuni emendamenti con lo scopo di introdurre elementi innovativi e di sburocratizzare il testo. Sono state accolte due delle nostre proposte. La prima introduce contratti di rete tra gli agricoltori, strumento flessibile e più adatto al settore rispetto alle forme classiche di aggregazione. La seconda rende la struttura del tavolo tecnico più snella.

Siamo soddisfatti per questi due elementi, che costituiscono un sicuro miglioramento rispetto al testo precedente, ma crediamo si possa fare di più e meglio. Rimangono infatti molti punti da migliorare per sburocratizzare un settore come l'agricoltura che, per essere rilanciato, ha estremo bisogno di essere aggiornato, nel senso di una maggiore innovazione e semplificazione. Presidente, se mi autorizza, vorrei consegnare il mio intervento, in quanto puramente descrittivo.

PRESIDENTE. È certamente autorizzato, onorevole Catalano.

È iscritta a parlare l'onorevole Lupo. Ne ha facoltà.

LOREDANA LUPO. Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, quella del biologico è una legge che aspettavamo da tanto, troppo tempo. Non si tratta soltanto di adeguare la normativa nazionale ai regolamenti dell'Unione europea, qua si tratta, soprattutto, di dare una concreta risposta ai produttori del settore, ai consumatori, all'economia rurale italiana, e all'ambiente.

Per meglio comprendere l'importanza del settore di cui stiamo parlando, è bene fare riferimento agli ultimi dati pubblicati nell'annuario del Crea che fotografano in modo chiaro e puntuale la situazione. Nonostante il settore agroalimentare nazionale abbia risentito notevolmente della crisi economica degli ultimi anni, le vendite di prodotti biologici continuano a crescere, anche se a ritmi meno sostenuti rispetto ad altri Paesi europei. Quarto in Europa, dopo Germania, Francia e Regno Unito, il mercato bio italiano nel 2014 ha un valore complessivo stimato di 2,1 miliardi di euro; risulta in aumento del 6,2 per cento rispetto al 2013 ed evidenzia una spesa pro capite di 35 euro, piuttosto bassa rispetto ai valori raggiunti in altri Paesi, ma comunque in linea con la media europea. Secondo il sistema di informazione nazionale sull'agricoltura biologica, l'agricoltura biologica italiana mostra segnali di rafforzamento su più fronti: il biennio 2014-2015 ha rappresentato infatti un periodo di crescita sia per la superficie agricola biologica, che è aumentata del 7,5 per cento, raggiungendo 1,5 milioni di ettari circa, sia per numero di operatori complessivi, coinvolgendo nel 2015 quasi 60 mila soggetti, con un incremento dell'8,2 per cento rispetto al 2014. Tra gli operatori è cresciuto in particolare il numero di soggetti che trasformano e importano, registrando tale categoria un incremento medio del 14,4 per cento. Il dato forse più interessante riguarda l'aumento dei trasformatori nelle regioni del sud, del 15,1 per cento, percentuale solo leggermente più elevata della media nazionale, ma sufficiente a determinare il ribaltamento della precedente situazione duale dell'agricoltura biologica italiana che vedeva il sud della penisola tipicamente produttore e il centronord principalmente trasformatore. Con il 40,9 per cento di operatori che trasformano il 62,6 per cento di produttori, le regioni meridionali e insulari conducono l'agricoltura biologica italiana, con in testa Sicilia, Calabria, Puglia, che risultano anche le regioni italiane più biologiche per estensione, coltivando insieme poco meno della metà, il 46,6 per cento, dell'intera superficie bio italiana.

Ma torniamo alla legge. Questa legge si prefigge un principale obiettivo ossia quello di definire, nell'ambito della produzione agricola agroalimentare e dell'acquacoltura, effettuata con metodo biologico, con l'esclusione della normativa in materia di controlli, il sistema delle autorità nazionali e locali e degli organismi competenti, i distretti biologici e l'organizzazione della produzione del mercato, gli strumenti finanziari per il sostegno della ricerca, per la realizzazione di campagne di informazione e di comunicazione istituzionale, nonché per incentivare l'impegno di prodotti ottenuti con il metodo biologico da parte degli enti pubblici e delle istituzioni. Questa legge si concentra anche su altri fondamentali obiettivi quali favorire l'aggregazione imprenditoriale, l'integrazione tra le diverse fasi della filiera dei prodotti biologici. Prevede la stipula di contratti di rete tra le imprese della filiera biologica, favorisce la costituzione di distretti biologici assegnando loro fondamentali competenze nell'integrazione tra le attività agricole e le attività economiche presenti nell'area del distretto stesso e disciplina le organizzazioni dei produttori e le organizzazioni interprofessionali della filiera biologica conferendo loro una specifica connotazione quali organizzazioni multiprodotto.

Infine, il testo reca un'innovativa disciplina in tema di sementi biologiche, consentendo il diritto di vendita diretta agli agricoltori per piccoli quantitativi sempre nel rispetto della normativa sementiera in vigore.

Ma quelli elencati in precedenza sono soltanto gli aspetti trattati dal testo normativo, vi sono altri aspetti, a nostro modo di vedere, fondamentali, che sono stati trascurati, tralasciati, ignorati e, a volte, eliminati. Durante i lavori del Comitato ristretto, il testo ha cambiato troppe volte forma, soprattutto negli ultimi giorni di approvazione, secondo una logica vetusta, secondo la quale ci si riduce sempre all'ultimo secondo nel trattare quegli argomenti che la politica tradizionale non ritiene interessanti, forse perché non portano tanti voti. Questo atteggiamento non ci ha consentito di poter lavorare adeguatamente nel merito, apportando puntuali controproposte; nonostante ciò, alcune nostre proposte sono state accolte: i componenti del tavolo tecnico restano in carica cinque anni e non possono essere riconfermati per un secondo mandato, i rappresentanti della ricerca scientifica vengono inseriti, si prevede l'affiancamento degli enti di ricerca alle aziende biologiche del territorio attraverso il Fondo per la ricerca, la promozione e il sostegno dei biodistretti e delle attività collegate all'agricoltura biologica come la somministrazione di cibi biologici nella ristorazione pubblica e collettiva, la vendita diretta, l'attività agrituristica, il turismo rurale, le azioni finalizzate alla tutela, alla valorizzazione, alla conservazione della biodiversità agricola e naturale.

Altre proposte, invece, non sono state accolte; mi riferisco alla riconferma, a livello nazionale, di escludere l'impiego di organismi geneticamente modificati, all'esclusione dei rappresentanti dei consumatori nel tavolo tecnico per l'agricoltura biologica, all'indirizzo del fondo per lo sviluppo dell'agricoltura biologica verso la vendita diretta dei prodotti e verso gli enti locali che costituiscono la realizzazione di orti urbani con tecniche agronomiche e biologiche. La proposta più importante che ci è stata bocciata è il divieto, nelle aree di origine dei prodotti biologici o aree dove sono presenti aziende agricole biologiche certificate, di installare centrali o impianti inquinanti, al fine di preservare le caratteristiche qualitative e sanitarie dei prodotti nonché di salvaguardarne l'immagine da un punto di vista commerciale. Ed è questo un controsenso, visto che tra le finalità dei biodistretti c'è la tutela della salute, grazie ad un nostro emendamento, e degli ecosistemi. Altre proposte non sono state accolte, mi riferisco nello specifico alla promozione mirata della lotta biologica attraverso, per contrastare le fitopatie e i parassiti, lo studio dei benefici sull'alimentazione biologica e la ricerca su biomolecole per il contenimento delle specie infestanti.

Ecco, nonostante la Comunità europea sia già intervenuta da vent'anni, con il Regolamento (CEE) n. 2092/91, la normativa nazionale sull'uso dei fitofarmaci nel biologico è ampiamente carente e lacunosa, soprattutto in materia di ristorazione collettiva, dove la stessa Commissione dell'Unione europea ha deciso di non pronunciarsi. Avevamo proposto l'inserimento di un emendamento ad hoc che rimandasse ad un intervento del Ministero con apposito decreto; inoltre, dato che in Italia vi sono 1.196 mense scolastiche, distribuite in tutte le regioni, e che esse possono costituire un principale mercato di sbocco per prodotti biologici, avevamo chiesto l'inserimento di un emendamento che consentiva uno sgravio fiscale da inserire nello stesso decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633: Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto, al fine di far ottenere al settore uno sgravio fiscale. Anche il settore dell'acquacoltura biologica presenta degli aspetti che era opportuno disciplinare con una normativa di carattere nazionale. Il nostro emendamento in tal senso non è stato accolto dalla maggioranza.

Nonostante le diverse criticità appena elencate, nonostante l'occasione sarebbe stata ghiotta per prevedere una normativa peculiare e omogenea del settore, noi lo consideriamo un primo passo importante, un passo in un settore fondamentale per la nostra economia, per i consumatori e per l'ambiente ed è per questo che il MoVimento 5 Stelle la valuta, nel complesso, una legge positiva che voterà favorevolmente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fiorio. Ne ha facoltà.

MASSIMO FIORIO. Presidente, signori del Governo, l'agricoltura biologica non rappresenta più un fenomeno di nicchia intimamente se non esclusivamente collegato a contenuti di natura etica ed ambientale, ma una vera e propria modalità di attuazione di una particolare attività economica, quella del settore primario. Il quadro relativo ai dati e ai numeri del settore ci illustra chiaramente una rilevante dimensione economica, sia dal punto di vista produttivo e delle attività direttamente o indirettamente indotte dall'agricoltura biologica, sia da quello del consumo. L'incidenza del comparto biologico in Italia fotografa un Paese sempre più coscente delle potenzialità e dei benefici che questo tipo di agricoltura porta con sé. In Italia le imprese inserite nel circuito della certificazione biologica sono più di 60.000, di cui più di 45.000 produttori esclusivi. Nel corso del 2015 secondo il rapporto Sinab 2016, 4.500 imprese hanno deciso di convertire le proprie produzioni; rispetto ai dati dell'anno precedente si tratta di un aumento dell'8,5 per cento. Le superfici coltivate secondo il metodo biologico, in Italia, risultano pari a circa un milione e mezzo di ettari, con un aumento complessivo che di anno in anno supera il 7,5 per cento. In termini di SAU, superficie agricola utilizzata, il biologico arriva ad interessare il 12, il 13 per cento dalla SAU nazionale, dato che cresce percentualmente ogni anno. Le aziende agricole biologiche rappresentano circa il 3,8 per cento delle aziende agricole totali. Gli orientamenti produttivi, è stato ricordato prima, anch'essi si stanno ampliando e diversificando: oltre alle colture foraggere e ai pascoli, vi sono naturalmente i cereali, seguono le superfici dedicate all'agricoltura e agli ortaggi; ma sono anche le produzioni animali che evidenziano di anno in anno un aumento consistente, in particolare per bovini e pollame. È ottimo l'andamento delle aziende impegnate nel settore dell'acquacoltura biologica.

Il quadro normativo di riferimento è, naturalmente, quello comunitario, in particolare il Regolamento (CE) n. 834/07 che ha abrogato il Regolamento (CEE) n. 2092/91: vi sono stabiliti i principi e i criteri generali dell'agricoltura biologica, i funzionamenti generali dei sistemi di controllo, le modalità di etichettatura e le regole per l'importazione da Paesi terzi. Ad esso sono seguite alcune norme di applicazione nel 2008 e poi alcune modifiche, ma i vari tentativi di riforma del settore con un nuovo Regolamento - l'attuale, ormai, compie più di dieci anni - sono via, via falliti. Da questo punto di vista l'Italia e le associazioni di rappresentanza italiane hanno sempre obiettato a tentativi di nuovi regolamenti che minacciano di mettere in discussione il sistema dell'agricoltura biologica italiano particolarmente rigoroso e vincolante. Il rischio è che l'Italia e i Paesi mediterranei subiscano una posizione tutta nord europea dove prevale il commercio e non la produzione, supportata dalla posizione e dall'opinione banale e pericolosa che non si può penalizzare chi ha sbagliato. Di Presidenza in Presidenza, però, il nuovo Regolamento non vede la luce; in questo quadro, in questa matassa, che vede l'Italia impegnata nella difesa non solo di una peculiarità produttiva, ma di una visione dall'agricoltura (e da questo punto di vista chiediamo al Ministro di vigilare con sempre più forza rispetto al dibattito, all'esito, quando sarà, del nuovo Regolamento), e in cui l'evoluzione produttiva e le richieste dei consumatori, nazionali e internazionali, aumentano, il nostro Paese non poteva aspettare.

Questa legge, quella che, finalmente, arriva in Aula oggi, per la quale dobbiamo ringraziare il lavoro della relatrice, sempre precisa e puntuale, fa parte di una strategia di intervento nazionale che agisce su più fronti che interagiscono fra loro. La divisione del lavoro, che tra Parlamento e Governo ci si è dati, può, in breve tempo, rispondere ad alcune esigenze e riorientare un settore che, come ho cercato di dire poc'anzi, sta rappresentando una punta di diamante avanzata, le produzioni agricole nazionali, e, soprattutto, può rappresentare l'orizzonte di lavoro per molti giovani che vedono il nuovo rapporto con la terra, in un rinnovato patto tra la terra e l'uomo, non solo una via d'uscita da quella che continuiamo a chiamare crisi e che forse è qualcosa di più profondo, ma un senso nuovo del produrre e del vivere in questo mondo.

Questa legge che, forse è vero, giaceva da troppo tempo nella Commissione agricoltura della Camera e che ha aspettato troppo ed invano il nuovo Regolamento europeo è il perno di iniziative che da un anno a questa parte ha intrapreso anche il Governo.

Penso innanzitutto al Piano strategico nazionale per lo sviluppo del sistema biologico, approvato nel marzo del 2016 dalla Conferenza Stato-regioni: si tratta di un lavoro di partenariato, portato avanti dal Mipaaf, insieme a tutta la filiera, per rispondere alle esigenze del sistema biologico italiano. Il piano, attraverso dieci punti, si pone l'obiettivo di rendere ancora maggiore la crescita del settore, sia da un punto di vista di consumi, che di aumento di superficie coltivata. Tale piano vuole dare un indirizzo strategico preciso allo sviluppo del biologico, così da coordinare al meglio le diverse politiche di sostegno per il settore. Dieci azioni che sono riconducibili a quattro assi portanti: politiche di sviluppo, semplificazione, controllo e vigilanza, e ricerca.

L'altro aspetto su cui il Governo sta predisponendo una iniziativa è l'attuazione della delega, prevista dal cosiddetto Collegato agricolo, approvata qualche mese fa, in particolare il tema dei controlli e dei meccanismi di controllo. Si tratta di un aspetto estremamente delicato, che rappresenta la garanzia dell'intero settore. Abbiamo visto troppe speculazioni, anche esagerazioni, spinte forse da chi vuole male al settore, da chi lo ritiene una minaccia alle posizioni produttive consolidate, da chi pensa di gettare fango su un settore in cui la serietà e la correttezza - dobbiamo ribadirlo - sono la regola.

Certo, un intervento sul tema dei controlli non è più procrastinabile. Noi auspichiamo e siamo pronti a collaborare col Governo ed il Ministero, affinché il decreto sui controlli garantisca sempre meglio e non sia un appesantimento burocratico. D'altra parte, il Parlamento, e la Commissione agricoltura, quando si è trattato di semplificare, non si è mai tirato indietro, anzi ha fatto la sua parte in termini di innovazione e semplificazione, penso al recente testo unico sul vino. Tuttavia, è la legge in discussione oggi il perno su cui ruotano iniziative del Governo, sia in termini di coperture che di iniziative messe in campo nei provvedimenti, sia in termini di innovazioni con cui dialogano le soluzioni del Governo. Innovazioni che sono state introdotte nel corso dalla discussione in Commissione, perché va detto che, rispetto al testo di partenza, l'articolato che arriva oggi in Aula, all'approvazione speriamo brevissima, risulta fortemente arricchito. Non solo migliorato, ma arricchito: arricchimento frutto del lavoro del Comitato in Commissione, ma soprattutto del confronto con la filiera del biologico, che ha collaborato in modo prezioso. Ho parlato di risorse, è meglio dire di certezze di risorse, finalmente. E viene stabilito l'ambito d'uso delle risorse anche in connessione con il Piano strategico nazionale, che non risulterà essere solo una elencazione di intenti.

Da questo punto di vista, il ruolo della ricerca e, dunque, il suo sostegno è fondamentale: l'agricoltura biologica necessita dalla ricerca più che mai. L'azione 10 del Piano strategico rimane lettera morta se questa legge non entra in vigore al più presto. Tale azione è rivolta alla predisposizione di un Piano nazionale per la ricerca e l'innovazione, anche grazie al coinvolgimento delle imprese agricole, per favorire un approccio partecipato in cui il trasferimento dell'innovazione è reale e concreto.

Mi preme sottolineare il tema del controllo e della certificazione, con il miglioramento del sistema, anche attraverso soluzioni permesse dalla tecnologia telematica. Ma sono soprattutto gli articoli 8 e 9 della legge, che si concentrano sul piano del sostegno alla ricerca tecnologica e della formazione. Da questo punto di vista, il nostro Paese assolutamente ha necessità di avere professionisti esperti del settore e, dunque, di un sistema di formazione all'altezza di queste esigenze.

Ciò che rende effettivamente moderna e innovativa questa legge è l'attenzione rivolta al tema dei meccanismi di aggregazione delle aziende e alla conseguente immissione di prodotto nel mercato. Il tema dell'istituzione delle organizzazioni interprofessionali nella filiera del biologico, ossia il tema dell'istituzione delle OP del biologico, delle organizzazioni di prodotto, non può che essere interpretata come l'esigenza di stringere rapporti tra gli attori del settore, al fine di essere all'altezza di un mercato esigente, sapendo di partire da una pluralità di posizioni molto diverse in termini di dimensioni aziendali e di capacità produttive. Si tratta di novità in grado di far fare un salto di qualità al settore biologico.

Vorrei sottolineare anche un altro tema: quello dei distretti biologici. Quando fu depositata la proposta di legge che è in discussione oggi, e non mi riferisco a questa legislatura, il tema dei distretti biologici era agli esordi. Da allora, vi è stato un proliferare straordinario. Un tale interesse non può essere spiegato in maniera univoca, anche in considerazione della grande varietà di percorsi che hanno portato all'istituzione di distretti biologici anche in assenza di chiarezza normativa.

In generale si può dire che viene identificata nella filiera biologica la chiave d'interpretazione dello sviluppo locale. La creazione di un distretto biologico assegna alle filiere agroalimentari il ruolo di principale motore del processo di sviluppo locale. I dati sui distretti biologici dimostrano in alcuni casi l'effettiva maggiore propensione di investimento delle aziende coinvolte e la ricaduta positiva sul territorio. La legge ne definisce finalmente le finalità e gli aspetti di gestione.

Ho voluto insistere sulla portata innovativa dalla legge in discussione in termini di capacità di essere adeguata ad un mercato che chiede più biologico, ma anche ad un settore che è in grado di essere un volano di sviluppo più ampio e anche alternativo. Non si può non cogliere questo aspetto, che nell'agricoltura biologica si ha profonda pratica, alternativa alla modalità produttiva della modernità, finora vissuta. Ma l'agricoltura biologica non è ancora solo pratica o tecnica, è piuttosto una forma di vita, che richiede passione, tenacia, umiltà ed empatia con la natura. Si tratta di un'esperienza complessa, in grado di far maturare un senso della casa comune. Se l'economia e la legge (nòmos) della buona amministrazione della casa (òikos), l'agricoltura biologica, nel suo orientamento di fondo, costituisce il paradigma di un'economia fedele all'umanità e custode della natura.

Allo stesso modo, essa non è solo una tecnica: questo modo di vivere l'agricoltura non è nemmeno riducibile ad una nicchia nel contesto dell'agricoltura moderna, inserita nel contesto del mercato globale. Semmai, è il seme di un altro modo di lavorare, di provvedere ai bisogni e di generare reddito. È una visione complessa ed insieme un'opera sistematica, che porta a riunire economia ed ecologia. Quest'ultima, l'ecologia, non va intesa come freno, limitazione o correttivo all'iniziativa economica, l'ecologia diventa il senso dell'economia, la quale significa prendersi cura dei bisogni umani e degli aspetti naturali.

Se davvero consideriamo l'opera della coltivazione biologica non come una variante marginale della produzione industriale di qualsiasi bene, bensì come l'impulso esemplare per trasformare la logica del sistema, non si può non riconoscerne il valore fortemente etico. L'etica è molto più che una lista di principi e regole morali, diventa la capacità, il dovere di abitare il mondo, senza distruggerlo e senza distruggerci. Quando parliamo di abitare il mondo e poniamo l'agricoltura biologica e questa legge nella prospettiva di un nuovo modo di abitare il mondo, non intendiamo un romantico ritorno alla natura, sentito con il rimpianto dei bei tempi andati, ci riferiamo piuttosto ad un profondo rinnovamento, che porta alla luce inedite alleanze tra noi e il mondo, tra l'umanità e la natura.

Noi crediamo che questa legge sia coerente con un ampio lavoro svolto dal Parlamento e in cui ha avuto un ruolo da protagonista la Commissione agricoltura. Non è questa la sede per fare un bilancio dell'attività, ma è vero che si è svolto, in modo appassionato, un lavoro rivolto alla delineazione, se non di un paradigma, almeno di un profilo di agricoltura che ha nella modifica del rapporto tra uomo e terra, tra umanità e natura, un ideale di riferimento. Penso a leggi che hanno avuto buon esito, come quelle della tutela della biodiversità, penso a quella sull'agricoltura sociale, ma penso anche a leggi ancora sospese, come quella del consumo di suolo. Siamo sicuri che questa legge troverà una soluzione nel più breve tempo possibile, quindi un ringraziamento alla relatrice per il grande lavoro svolto.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 302-3674-A )

PRESIDENTE. La relatrice credo che non intenda replicare, poi avrebbe anche finito i tempi, ma insomma non mi sembra intenzionata a replicare. Il Governo stesso non mi sembra intenzionato a replicare e quindi il seguito del dibattito è felicemente rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Disposizioni per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e Raffaello Sanzio e dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri (A.C. 4314-A); e dell'abbinata proposta di legge: Gianluca Pini ed altri (A.C. 4252) (ore 16).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 4314-A: Disposizioni per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e Raffaello Sanzio e dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri; e dell'abbinata proposta di legge n. 4252.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 12 aprile 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 12 aprile 2017).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4314-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, presidente Flavia Piccoli Nardelli.

FLAVIA PICCOLI NARDELLI, Relatrice. Presidente, onorevoli colleghi, la Commissione cultura riferisce sul disegno di legge n. 4314, che intende celebrare i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e di Raffaello Sanzio - che cadono rispettivamente nel 2019 e nel 2020 - e i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, nel 2021. Al disegno di legge n. 4314 è stata abbinata una proposta di legge di iniziativa parlamentare sulle celebrazioni in onore di Dante. L'esame in sede referente si è svolto dal 21 marzo al 12 aprile di quest'anno e ha registrato una larga condivisione da parte delle diverse forze politiche.

La proposta di legge che presentiamo oggi riporta alcune norme necessarie per garantire le celebrazioni previste in occasione delle tre importanti ricorrenze. Il provvedimento è volto a dare adeguato risalto nazionale e internazionale alla celebrazione della vita, del pensiero e delle opere del sommo poeta Dante e di due artisti di straordinario rilievo, quali Leonardo e Raffaello, protagonisti indiscussi della rigogliosa stagione del nostro Rinascimento maturo e modelli assoluti del genio italiano nel mondo.

Voglio solo ricordare che, proprio poche settimane fa, a Firenze, è stata firmata la Dichiarazione dei Paesi del G7 della cultura e sia il Ministro Franceschini sia il sindaco di Firenze, Dario Nardella, hanno giustamente sottolineato l'importanza evidente per l'economia italiana della promozione culturale.

Le celebrazioni prevedono attività di alto valore scientifico, programmate e realizzate a cura di tre comitati nazionali, che il disegno di legge mira a istituire. Le relative attività avranno rilevanti e positivi riflessi sulla conoscenza scientifica e sulla ricerca, ambiti nei quali il nostro Paese lavora per garantire l'eccellenza e la promozione dei nostri migliori talenti.

La misura introdotta dal provvedimento si configura come aggiuntiva rispetto a quanto già previsto dalla normativa vigente, i cui tempi e le cui modalità non appaiono in questo caso adeguati alle esigenze di cui abbiamo parlato. Come sappiamo, la legge n. 420 del 1997 consente infatti al Ministero competente di tutelare e valorizzare la tradizione culturale italiana, anche attraverso l'istituzione e il sostegno economico di comitati nazionali celebrativi di eventi di particolare rilievo per la storia e la cultura della nostra nazione.

Tuttavia, questo provvedimento presenta alcuni profili critici rispetto al caso di cui stiamo parlando, perché, in primo luogo, presuppone la possibile competizione fra una pluralità di domande per la concessione di risorse volte a finanziare diverse iniziative celebrative; in secondo luogo, prevede tempi di presentazione dell'istanza di istituzione del comitato da parte dei soggetti promotori, nonché per la procedura di valutazione affidata alla consulta e per l'espressione del parere delle Commissioni parlamentari, che non sembrano compatibili con gli scopi di programmazione snella e coordinata degli interventi da attuare, che invece il disegno di legge intende raggiungere.

Inoltre, la scarsità di risorse destinate ai comitati nazionali, fissata, per il 2017, in 1 milione e mezzo di euro circa, non consente di realizzare un programma culturale impegnativo di ampio respiro, quale l'importanza delle celebrazioni previste richiede.

Ne deriva che, in assenza di una previsione normativa specifica, il soggetto che potrebbe essere individuato è il comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale, che opera presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con funzioni di coordinamento delle iniziative connesse alla celebrazione di ricorrenze afferenti ai temi dell'identità nazionale, della cittadinanza e della memoria, per il recupero della storia e delle origini italiane.

I tre comitati, previsti dal disegno di legge n. 4314, collaboreranno tra loro e con il comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale, al fine di divulgare e valorizzare un patrimonio culturale unico e universale, superando possibili frammentazioni. Lavoreranno alla realizzazione di un percorso mirato alla creazione di un'offerta culturale ricca ed eterogenea in termini di formazione, ricerca, divulgazione, conoscibilità delle opere degli artisti, valorizzazione turistica dei luoghi ad essi legati e sviluppo delle competenze degli studenti nel settore dei beni culturali.

Si istituisce, a questo scopo, una cabina di regia composta dai rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

I finanziamenti previsti per i comitati saranno destinati alla realizzazione di progetti di ricerca scientifica, pubblicazione di materiali inediti, all'organizzazione di convegni, seminari, mostre, rappresentazioni teatrali, pubbliche letture ed eventi da svolgere nelle principali città luoghi di vita e delle opere dei tre grandi artisti ricordati, con massima attenzione, come dicevamo, al coordinamento con le università, con gli istituti e con le scuole di ogni ordine e grado.

I programmi comprenderanno anche operazioni di restauro e di conservazione dei luoghi più rappresentativi e di riordino del materiale storico, artistico, archivistico, museografico e culturale afferente alle opere alle figure di Leonardo da Vinci (Anchiano, 15 aprile 1452; Amboise, 2 maggio 1519), Raffaello (Urbino, 28 marzo o 6 aprile 1483; Roma, 6 aprile 1520) e Dante Alighieri (Firenze, fra il 21 maggio ed il 21 giugno 1265; Ravenna, 14 settembre 1321). In particolare, ciascun comitato dovrà elaborare un programma culturale relativo all'opera e ai luoghi legati alla figura da celebrare, in una prospettiva di internazionalizzazione e di innovazione tecnologica, anche con l'uso di strumenti digitali.

L'occasione celebrativa dovrà anche essere un'opportunità per l'affermazione del principio della cittadinanza globale. Da questo punto di vista, siamo tutti consapevoli che spesso taluni autori italiani sono quasi più famosi all'estero che nel nostro Paese. Non è evidentemente il caso di Dante (le tre cantiche della Commedia sono studiate, una per ciascun anno, nel triennio conclusivo delle scuole superiori), ma già forse Leonardo e Raffaello, sebbene celebrati in Italia, all'estero danno luogo a una vera e propria mania, alimentata dalle nuove tecnologie e dalle potenzialità che ci mettono a disposizione.

Questi centenari devono essere anche, quindi, l'occasione per riguadagnare un orgoglio nazionale, inteso in un'accezione diversa e più alta. Se le opere di Dante, Raffaello e Leonardo hanno parlato all'umanità, è perché la cultura italiana ha una vocazione inclusiva, che consente ai nostri concittadini di definirsi davvero cittadini del mondo.

È sulla base di queste considerazioni che la Commissione ha ritenuto di approvare il disegno di legge che stanzia complessivamente, per quattro annualità, dal 2018 al 2021, la somma di 3.450.000 euro.

Per completezza, va precisato che in Commissione cultura si è aperto un vivace dibattito in ordine ai cosiddetti monumenti nazionali. Secondo una tesi finora risultata maggioritaria, il conferimento del titolo di monumento nazionale a un luogo o un bene immobile sarebbe precipua prerogativa legislativa, giacché solo il procedimento parlamentare garantisce quella meditazione e quella dialettica necessarie per una stima così alta di un bene.

Un'altra tesi, viceversa, ha opinato che il riconoscimento di monumento nazionale non possa essere esposto all'arbitrio di una maggioranza parlamentare, ma debba seguire criteri oggettivi e imparziali. Di qui l'idea che il riconoscimento di monumento nazionale debba avvenire con provvedimento amministrativo.

In passato, sono state seguite entrambe le vie. Governo e Commissione, per evitare ulteriori discussioni, hanno ritenuto di aderire alla seconda impostazione, con l'emendamento approvato all'articolo 5.

Confido in una rapida approvazione del provvedimento e vi ringrazio per la vostra attenzione.

PRESIDENTE. Prendo atto la rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

È iscritta a parlare l'onorevole Malisani. Ne ha facoltà.

GIANNA MALISANI. Presidente, anch'io ripercorrerò a sommi capi i contenuti del disegno di legge che oggi andiamo a discutere, con il quale il Governo ha inteso garantire un adeguato risvolto nazionale e internazionale alla celebrazione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e di Raffaello Sanzio, rispettivamente ricadenti nel 2019 e nel 2020, e dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, ricadente nel 2021.

Si è inteso operare con questo disegno ad una programmazione triennale con la più vasta divulgazione del pensiero e delle opere dei due artisti e del poeta tra i più grandi geni dell'umanità. Le attività di alto valore scientifico saranno programmate e attuate da tre comitati nazionali dei quali si prevede l'istituzione. Si è scelto di operare con una strada speciale e ulteriore rispetto al vigente assetto ordinamentale, che prevede tempi e modalità non idonei per questo evento.

Sulla legge n. 420 del 1997, che consente al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di tutelare e valorizzare la tradizione culturale italiana, ha già anche riferito la presidente della Commissione. Vorrei solo sottolineare che i tempi procedurali ordinari, che scandiscono puntualmente le modalità di presentazione dell'istituzione dei comitati da parte dei soggetti promotori, la valutazione della Consulta e il parere delle Commissioni parlamentari, non sembrano idonei all'evento programmato.

Si sottolinea, inoltre, l'esigenza di una disponibilità finanziaria nel capitolo di bilancio dedicato ai comitati nazionali, perché per il 2017 sono previsti circa un milione e mezzo di euro che, non consentirebbero un sostegno adeguato a questo programma culturale così impegnativo.

Inoltre, si fa rilevare che, in assenza di una specifica previsione normativa, anche il Comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale operante presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con il compito di coordinare la pianificazione, eccetera, eccetera, non sarebbe in grado di sostenere questo programma così ambizioso.

Quindi, la specificità del presente disegno di legge risiede nell'interazione della programmazione culturale e nel coordinamento delle conseguenti attività di ciascuno degli istituendi comitati, che non opereranno in questo caso in modo singolo, come avviene normalmente, ma, al fine di divulgare e valorizzare il patrimonio culturale unico e universale di cui è già stato citato il contenuto, dovranno collaborare alla realizzazione permanente di un percorso mirato all'arricchimento dell'offerta culturale in termini di ricerca, formazione, divulgazione e conoscibilità delle opere degli artisti, di valorizzazione turistica, anche dei luoghi in cui essi hanno vissuto e operato, nonché delle competenze degli studenti dei settori dei beni culturali.

I piani e i programmi di attività saranno sottoposti all'approvazione del Mibact e, al fine di assicurare il raggiungimento delle finalità richiamate attraverso azioni condivise dalla diverse amministrazioni interessate, è prevista l'istituzione di una cabina di regia formata da tre componenti in rappresentanza dalla Presidenza del Consiglio, del Miur e del Mibact.

A ciascun comitato è attribuito un contributo di 1.150.000 euro per il periodo dal 2018 al 2021 per complessivi 3.450.000 euro. I contributi sono ripartiti e assegnati secondo criteri stabiliti dal Mibact.

Alla copertura degli oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa per il funzionamento degli istituti afferenti al settore culturale di cui alla legge di stabilità del 2016, che, a tal fine, ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro annui. Questi comitati che verranno composti avranno ciascuno un massimo di 15 membri, compreso il presidente, scelto tra esponenti della cultura italiana e internazionale di comprovata competenza e conoscenza delle figure da celebrare, ovvero siano particolarmente coinvolti nella celebrazione per l'ambito territoriale o istituzionale in cui agiscono. I membri dei comitati, designati per un terzo dal Miur, sono nominati dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e hanno diritto solamente al rimborso delle spese effettivamente sostenute.

Mi soffermo, però, Presidente, sull'ultimo punto sollevato dalla presidente Piccoli Nardelli, cioè sull'articolo 6 inserito in sede referente dalla Commissione cultura, relativo alla dichiarazione di monumento nazionale. È una questione, come ha detto la presidente, molto dibattuta e con questo articolo 6 disponiamo che la dichiarazione di interesse culturale, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 42 del 2004, il codice dei beni culturali, relativo a cose immobili e mobili di cui all'articolo 10, comma 3, lettera d), a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose, può - questo è il punto - comprendere anche, su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di monumento nazionale qualora le cose indicate, di cui abbiamo fatto l'elenco prima, rivestano altresì un valore testimoniale o esprimano un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale.

A tal fine, si novella lo stesso articolo 10, comma 3, lettera d), del citato codice dei beni culturali. Al riguardo si ricorda che, in base all'articolo 13 del codice, la dichiarazione di interesse culturale accerta la sussistenza dell'interesse richiesto dall'articolo 10, comma 3, ai fini della definizione di bene culturale, sottoponendo così il bene alle disposizioni di tutela dettate dal codice stesso.

La dichiarazione di interesse culturale è adottata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo a conclusione di un procedimento avviato dal soprintendente. Con riferimento alla dichiarazione di monumento nazionale, invece, attualmente il codice non prevede una specifica procedura da porre in essere, limitandosi l'articolo 54 a disporre che sono inalienabili quali beni del demanio culturale “gli immobili dichiarati monumenti nazionali a termini della normativa all'epoca vigente” o all'articolo 129 a far salve le leggi aventi specificatamente ad oggetto monumenti nazionali.

In proposito si rileva che un'ampia disamina della questione relativa alla dichiarazione di monumento nazionale si riscontra nella circolare 5 giugno 2012, n. 13, indirizzata dalla direzione generale del paesaggio, le belle arti, l'architettura del Mibact alle direzioni regionali nella quale si ricorda che l'istituzione di monumenti nazionali risale a un complesso di norme della seconda metà del diciannovesimo secolo e che, in particolare, la legge n. 1089 del 1939 introduceva la nuova nozione di interesse storico-relazionale, accertabile attraverso la procedura della notifica per le cose immobili riconosciute di interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere.

Con l'articolo 6 si è inteso quindi semplificare e razionalizzare le procedure volte a dichiarare monumento nazionale, che comunque nel tempo anche recente non si sono ridotte. Si veda, ad esempio, il riconoscimento di monumento nazionale della Basilica Palladiana del 2014, della Casa Museo di Gramsci a Ghilarza e diversi decreti del Presidente della Repubblica adottati su proposta del Mibact, evidenziando anche l'utilizzo di strumenti di vario rango normativo, leggi di iniziativa parlamentare e decreti del Presidente della Repubblica su proposta del Mibact stesso.

Quindi, concludendo, al fine di superare la eterogeneità delle soluzioni normative adottate, con l'articolo 6 si riconduce la dichiarazione di monumento nazionale ad una delle tipologie di beni culturali previste dal codice, in particolare attraverso la modifica dell'articolo 10, comma 3, lettera d), aggiungendo ad esso un periodo: “Se le cose rivestono altresì un valore testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il provvedimento di cui all'articolo 13 può comprendere, anche su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di monumento nazionale”.

Sottolineo infine a questo proposito che la previsione non determina nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

La dichiarazione, infatti, non è altro che una ulteriore specificazione di quella che, tecnicamente, è la dichiarazione di interesse culturale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dallai. Ne ha facoltà. È una discussione sostanzialmente monocolore. Prego.

LUIGI DALLAI. Grazie, Presidente. Il disegno di legge n. 4314 va certamente considerato con favore per ciò che le norme stabiliscono e per quello che le stesse sottendono. Attraverso la costituzione dei comitati nazionali e lo stanziamento preposto di circa 3 milioni e mezzo di euro, come ricordato precedentemente, si propone infatti di finanziare iniziative di alto valore culturale e formativo rivolte all'intero corpo sociale attraverso i canali istituzionali della formazione sia scolastica che universitaria e tramite il coinvolgimento degli enti locali.

Sono proposte finalizzate certamente alla migliore conoscenza delle figure degli scienziati, artisti e letterati richiamati dal provvedimento, cioè Leonardo da Vinci, Raffaello Sanzio e Dante Alighieri, ma anche, per loro tramite, destinate ad aprire squarci sulle molte tematiche e le diverse sfaccettature che caratterizzano ciascuna di queste eccezionali personalità e, forse, su come esse possano essere declinate e calate oggi nel nostro contesto storico e sociale.

Parlare di Raffaello e di Lonardo, celebrandone i 500 anni dalla morte, e di Dante, celebrandone i 700 anni dalla morte, vuol dire in realtà partire da figure concrete di uomini per parlare di arte, letteratura, architettura ed ingegneria, ma anche di società, inclusione, frontiere, politica, lingua, formazione e opportunità. Vuol dire, insomma, parlare di territori, di percorsi di identità all'interno di questi stessi territori.

Le cornici cronologiche in cui queste figure sono vissute ed hanno sviluppato il proprio ingegno sono diverse: se Raffaello e Leonardo si iscrivono nel contesto culturale e storico del Rinascimento italiano, Dante, cioè il padre della lingua italiana, è l'espressione del più risalente Medioevo. Differenti sono anche i campi nei quali le personalità eccezionali di Raffaello, Leonardo e Dante svilupparono il loro talento: pittore e architetto il primo; ingegnere, pittore, scultore, maestro di molte e rare virtù il secondo, che si definì “omo sanza lettere”, ma capace di sviluppare dall'esperienza una nuova scienza e di calarla in infinita sperimentazione; letterato, politico, filosofo il terzo, uomo di parte, uomo di pensiero, ma anche d'azione, si potrebbe definire al giorno d'oggi.

Contesti culturali differenti ed anche differenti territori videro questi grandi ingegni varcare continuamente i molti confini che caratterizzavano la vita degli uomini di quel tempo per cogliere opportunità oppure fuggire difficoltà o, ancora, cercare protezione; in alcuni casi, confini che divennero invalicabili, esili assoluti e dolorosi.

Queste personalità, certamente uniche per la loro grandezza e per gli infiniti echi che il loro lascito culturale ha avuto ed ha nella nostra società, possono essere considerate dei paradigmi assoluti, che travalicano per questo il limite imposto dal loro tempo, divenendo per noi tutti - italiani ed europei - riferimenti culturali fondanti della nostra identità. Ripercorrere la vita e le opere di questi grandi uomini ci permette di viaggiare nel nostro Paese, nelle numerose città che essi visitarono, dove svolsero la loro formazione e dove il loro ingegno produsse i suoi meravigliosi frutti.

Seguirne le vicende terrene vuol dire ricordare la peculiarità tutta italiana delle molte municipalità a lungo contrapposte, delle corti del Rinascimento, delle aspre contese politiche, delle relazioni diplomatiche che sono da sempre andate ben oltre gli odierni confini nazionali, legando l'Italia inscindibilmente al resto d'Europa. Dalla loro vicenda umana impariamo che i confini sono un limite all'ingegno e che l'arte è da sempre la nostra prima ambasciatrice. Lorenzo il Magnifico basò sulle indubbie capacità di Leonardo e su quelle degli artisti migliori riuniti presso di lui alcune delicate attività diplomatiche che gli stavano più a cuore.

Ripercorrere le vicende umane di questi artisti vuol dire ricordare che la formazione deve sempre tendere all'eccellenza e, dunque, dobbiamo agire oggi in tal senso. Pur nella loro eccezionalità, le vite di Dante, Raffaello e Leonardo ci insegnano che è cruciale riconoscere e valorizzare il talento. Un tempo furono i principi e i signori a garantire la protezione degli artisti, oggi è dovere ed interesse della Repubblica garantire le migliori opportunità ai talenti in formazione, qualunque essi siano e da dovunque essi provengano.

La loro unicità ci insegna che è fondamentale abbracciare il nuovo e non esserne intimoriti, rompere gli schemi, perché è dalla novità e dalla sperimentazione che si genera conoscenza e progresso. Così nella lingua di Dante, così come nella pittura di Raffaello e nell'espressione artistica ed ingegneristica di Leonardo, noi ancora oggi riconosciamo il segno del nuovo, il suo valore esplosivo, l'importanza fondamentale di una rottura che fa perno sulla tradizione, per poi superarla e andare oltre.

Da questo esempio dobbiamo promuovere anche noi, sempre, un'idea prospettica del sapere e, conseguentemente, pensare che è necessario progettare strumenti innovativi per permettere il pieno dispiegamento del potenziale insito in ciascuno di noi.

Per tutto ciò che abbiamo detto sin qui, plaudendo dunque all'iniziativa e alle disposizioni in essa contenute, ci auguriamo che i comitati previsti da questo provvedimento operino interpretando al meglio gli infiniti motivi di interesse che la celebrazione di queste importanti ricorrenze propone: che esse divengano, cioè, occasione di studio e di riflessione certamente, ma anche di operativa realizzazione di iniziative volte al massimo coinvolgimento del nostro corpo sociale, perché la vera scommessa di capitale importanza per tutti noi è stimolare in ogni occasione il senso critico e, con esso, renderci tutti maggiormente consapevoli della nostra identità, della lunga storia di civiltà che ci ha preceduto, capire da dove veniamo, quali sono i nostri riferimenti culturali e storici. Questo ci permette non solo di capire chi siamo oggi, ma ci aiuta soprattutto ad immaginare dove vogliamo andare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Preziosi. Ne ha facoltà.

ERNESTO PREZIOSI. Grazie, Presidente. Il disegno di legge presentato dal Governo manifesta con ogni evidenza la volontà di garantire un adeguato risalto nazionale ed internazionale all'opera, al pensiero, alla vita di queste tre figure sicuramente eccezionali ed eminenti ed è anche opportuna la strada scelta, come una misura ulteriore speciale rispetto a quanto si potrebbe fare in base alla normativa vigente, perché credo che questo possa conferire un'utilità maggiore a quello che è l'impegno di studio e di ricerca che verrà dedicato da qui alla scadenza di questi anniversari.

La specificità, inoltre, del disegno di legge risiede proprio nell'interazione della programmazione culturale nel coordinamento delle conseguenti attività di ciascuno dei comitati di cui si prevede l'istituzione; comitati che, quindi, non opereranno in modo frammentario ed individuale, ma che, al fine di divulgare e valorizzare questo patrimonio unico e davvero universale, dovranno lavorare collaborando con il Comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale. Anche questo mi pare un passaggio importante e pregevole. Il tutto per realizzare un percorso mirato all'arricchimento dell'offerta culturale in termini di formazione, ricerca e divulgazione.

Vi è un aspetto che mi sta particolarmente a cuore e che ritengo opportuno sottolineare in questa sede: perché la politica si interessa della cultura? Perché la sostiene e contribuisce con disegni di legge come questo a finanziarla? Il rapporto cultura-politica vive una fase delicata della sua storia, anche come esito di una duplice e speculare crisi che sta attraversando: da un lato, più di un politico tende ad appropriarsi della cultura o evidenziandone in maniera eccessivamente stringente e strumentale il rapporto con il territorio in chiave di sviluppo turistico magari, oppure pensando di poterne utilizzare, in una fase invasiva della comunicazione, i benefici effetti in termini di ritorno di immagine.

Il patrimonio culturale di un Paese, così come si è stratificato storicamente nel tempo, può altresì divenire un fattore importante, e oggi per certi versi decisivo, di acculturazione popolare, di identità e, quindi, in definitiva, di cittadinanza. La cultura può favorire il sentirsi parte di uno Stato, far cogliere lo spessore profondo di diritti e doveri che tale relazione comporta. Ciò è ancora più vero oggi, in un tempo in cui la mobilità interna del Paese e l'apporto e la presenza di potenziali nuovi cittadini, frutto anche dei flussi migratori, pongono un tema di inclusione accanto e, vorrei dire, prima di quello di cittadinanza.

Le nostre città e i nostri territori devono offrire, rendere fruibile la cultura di cui dispongono come elemento di identificazione e di cittadinanza: ci sono in proposito pagine molto belle di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, che parlava di vocazione delle città. Per questo la politica nel suo insieme, ai vari livelli, deve interessarsi di cultura e destinare ad essa risorse ingenti, curandosi anche delle modalità di utilizzo delle stesse, anche con riferimento all'opera di ricerca e divulgazione. È quanto mi pare fa la disposizione in oggetto e di questo possiamo esserne grati.

Non dovrebbe essere necessario mettere in rilievo la motivazione che ha fatto includere Raffaello Sanzio tra i tre grandi considerati dal disegno di legge. La sua statura è universalmente riconosciuta e, accanto alle doti personali, affinate con rapidità nella sua breve vita, ci racconta di un ambiente, anche di un ambiente territoriale, geografico: nonostante ciò che è intervenuto nella trasformazione di un territorio per quanto riguarda il paesaggio rurale, ancora oggi il Montefeltro costituisce un'unità molto importante e molto interessante da questo punto di vista, ma anche come riferimento all'ambiente culturale in cui Raffaello è nato e cresciuto.

Se oggi è di tutta evidenza il rapporto tra Raffaello e Urbino, così non è sempre stato. Per molto tempo, infatti, lo si è trascurato, se non negato, a partire proprio dal Vasari, che, insieme ad altri, ha contribuito a relativizzare sia l'influsso paterno di Giovanni Santi sia quello dell'ambiente e della cultura urbinate, mettendo, invece, in primo piano, nella formazione di Raffaello, il rapporto con il Perugino, prima, e l'influsso dell'ambiente fiorentino, poi.

La critica, oggi suffragata da nuovi studi e da importanti scoperte e soprattutto dalla ricomposizione delle raccolte, ha stabilito il legame profondo tra Raffaello e la sua città natale. In quella piccola città, collocata sulla dorsale appenninica del Centro Italia, proprio in quegli anni, nel 1507, Guidobaldo I di Montefeltro istituisce l'Ateneo: una stagione ricca, se si pensa a cosa significa l'Ateneo per quella città.

Attorno a quella città e alla sua università, in quell'epoca, maturano numerosi ingegni di grande portata. Si pensi ai matematici come Luca Pacioli, Guidobaldo Del Monte, gli architetti Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini, rappresentanti di quell'Umanesimo scientifico, che costituì una delle più feconde stagioni, destinate ad avere un'influenza notevole anche nella moderna civiltà europea.

Ancora oggi quell'Ateneo è il segno di una vocazione internazionale, che la città conserva sino a quando gli spiriti più illustri dell'epoca convenivano alla corte di Federico II e di Guidobaldo di Montefeltro. E accanto all'Ateneo esiste, ormai dal 1869, l'Accademia Raffaello, proprio con il compito di conservare e promuovere il genio di Raffaello.

Gli anni in cui egli opera nella città urbinate sono quelli, come dire, successivi all'aver appreso l'insegnamento nella bottega del padre Giovanni Santi, all'interno di quella temperie artistica che Urbino vive attraversando la prima decade del XVI secolo. E incrocia poi i prodromi del Rinascimento a Firenze. Ma l'avvio, come dicevo, è tutto urbinate. Infatti, il padre Giovanni Santi, anch'egli pittore, insieme ai primi insegnamenti, lo incoraggia a studiare le opere che proprio Piero della Francesca aveva realizzato ad Urbino. Raffaello, così, comincia a prendere dimestichezza col disegno e la prospettiva e, di fronte alla bravura dimostrata, il padre stesso si adopera per inserirlo nella bottega dove lavorava un altro grande maestro, il Perugino. Qui Raffaello assimila la grazia tipica delle sue opere e, insieme, apprende dal Pinturicchio il gusto decorativo.

La sua opera, come sappiamo, rivela una bellezza ideale classica, una bellezza destinata a divenire canone, canonica appunto, destinata a passare nel gusto dei secoli, a divenire elemento di civiltà e ad influire nel nostro ideale di bellezza. È un bello che non si distingue dal bello di natura e dal bello artistico. Al centro dell'arte di Raffaello sta, infatti, la concezione dell'arte come imitazione della natura, ma non limitandosi alla sola descrizione.

Pietro Bembo gli dedicherà un epitaffio, che ancora oggi compare sulla sua tomba al Pantheon di Roma: qui giace Raffaello dal quale la natura temette mentre era vivo di essere vinta, ma ora che è morto teme di morire. Omaggio, quindi, a questa creatività grande di questo artista, cui fa eco una sentenza di Goethe: Raffaello è sempre riuscito a fare quello che gli altri vagheggiavano di fare.

Un grande rettore dell'università di Urbino, che è stato tale per molti lustri, Carlo Bo, in una pubblicazione del 2001, intitolata proprio “Raffaello, bellezza e verità”, e in “Città dell'anima”, ha avuto modo di notare come l'arte moderna abbia in seguito spostato il senso del valore della bellezza, modificandone profondamente la linea di traiezione. Ha scritto Carlo Bo che Raffaello ci aveva lasciato un'immagine completa dell'uomo, del suo carnale e del suo spirituale. L'arte nuova prima ha separato e poi ha scomposto e sezionato all'infinito le due suggestioni. Quel suo equilibrio felice, quasi naturale, era stato attento o tenuto da una saldatura assoluta, fino a ricostituire una sorta di paradiso ritrovato, fino a rinnovare l'uomo.

Che cosa dice Raffaello con l'illustrazione di questa sublime armonia? Che il fragile - scrive Bo -, il corruttibile della vita, riassunto nel fuoco e nella luce della bellezza, è riscattato dalla nozione di verità. Il corporale, il carnale, viene presentato come un momento e un punto di passaggio e, però, tutto deve essere pronto per la trasfigurazione.

Vi è un'attualità struggente - vorrei dire concludendo - nell'opera del pittore. La sua bellezza invita a guardare più in alto. Raffaello racconta un mondo che ha ancora un senso, uno scopo, degli obiettivi ed è un mondo aperto, in cui bisogna far confluire le forze della natura e quelle soprannaturali.

Concludeva Bo in quel suo saggio: il mondo senza Dio, la bellezza che non riesce a guardare in alto, è il mondo della corruzione inevitabile.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 4314-A)

PRESIDENTE. La relatrice immagino non intenda replicare, anche perché, essendo stata la discussione monocolore, diciamo che la replica risulta quasi pleonastica.

Il Governo intende intervenire? No.

A questo punto il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Marcon ed altri n. 1-01589, concernente la questione dell'inserimento del cosiddetto Fiscal compact nei Trattati europei, nonché le politiche economiche e di bilancio dell'Unione europea (ore 16,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Marcon ed altri n. 1-01589, concernente la questione dell'inserimento del cosiddetto Fiscal compact nei Trattati europei, nonché le politiche economiche e di bilancio dell'Unione europea (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 12 aprile 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 12 aprile 2017).

Avverto che sono state presentate le mozioni Capezzone ed altri n. 1-01600, Caso ed altri n. 1-01601, Melilla ed altri n. 1-01602 e Brunetta n. 1-01604 (Vedi l'allegato A), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare l'onorevole Marcon, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01589. Ne ha facoltà.

GIULIO MARCON. Grazie, Presidente. Colleghi e colleghe, signori del Governo, vorrei molto brevemente illustrare i contenuti di questa mozione, poi il collega Stefano Fassina approfondirà molti dei temi che questa mozione pone.

È una mozione che ha un'origine e l'origine è sostanzialmente una scadenza, una scadenza prevista dall'articolo 16 del trattato intergovernativo, chiamato appunto “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'unione economica e monetaria”, o Patto di bilancio europeo.

L'articolo 16 di questo trattato prevede che, entro cinque anni dall'entrata in vigore - ricordo che il Fiscal compact è entrato in vigore il 1° gennaio 2013 -, questo venga inserito nell'ordinamento comunitario e, di conseguenza, che avvenga la sua trasformazione, entro il 31 dicembre 2017, da accordo intergovernativo in parte integrante degli ordinamenti fondativi dell'Unione europea. Si tratta, quindi, di un passaggio importante, un passaggio simbolicamente e politicamente importante.

È un passaggio anche molto delicato, perché il dibattito sul Fiscal compact è stato in questi anni molto approfondito, molto variegato, e le critiche che sono state rivolte al Fiscal compact, ai contenuti di questo trattato, alle scelte che sono state fatte a suo tempo, sono ormai oggetto di un dibattito quasi continuativo, quasi permanente.

Noi abbiamo posto, con questa mozione, una serie di punti. Il punto principale è insieme a tutta una parte introduttiva, che approfondisce una serie di temi, legati, appunto, a come si è costruita l'Unione europea e a come si è dato vita all'unione monetaria e alle contraddizioni che hanno accompagnato la costruzione appunto dell'Unione europea e dell'unione monetaria. Il punto fondamentale di questa mozione è sostanzialmente contenuto nel primo comma delle richieste, di quello che si chiede al Governo di impegnarsi a fare, ovvero impegnare il Governo, intervenendo in tutte le sedi europee, affinché ci sia una radicale riscrittura dei trattati, per ridurne le contraddizioni con i principi delle Costituzioni e, quindi, in assenza di questa riscrittura, prevedere che ci sia sostanzialmente il consenso italiano all'inserimento del trattato intergovernativo nei trattati europei. Quindi utilizzando quel potere, quel diritto di veto, che per questa specifica situazione, per questa specifica fattispecie, è possibile utilizzare.

Naturalmente, la nostra mozione, con un complesso di argomentazioni, svolge delle critiche molto severe e molto puntuali a come si è costruita l'unione monetaria e, in generale, a come si è costruita l'Unione europea negli ultimi anni e, in particolare, ovviamente, con riferimento al trattato del Fiscal compact e alle politiche economica e monetaria di convergenza, che hanno avuto una pesante conseguenza nella costruzione anche dell'unione politica di questo continente.

Cosa abbiamo rilevato? Abbiamo rilevato che queste politiche e questo paradigma non hanno funzionato.

Sono politiche e un paradigma che hanno fatto pagare sostanzialmente ai lavoratori e ai cittadini le scelte economiche e monetarie, che hanno favorito sostanzialmente un'impostazione, impostazione che noi abbiamo definito neoliberista o, comunque sia, legata alla svalutazione del lavoro, al privilegio dato ad alcuni indirizzi di politica economica e finanziaria tutti a favore di un impianto, appunto, fondato sul rigore monetario, fondato sui tagli della spesa. Vorrei ricordare che, proprio in questi anni, le direttrici sulle quali si sono costruite queste politiche sono state molto chiare, molto evidenti e sono contenute anche nei documenti di economia e finanza, ne stiamo discutendo l'ultimo in queste ore, che il nostro Paese si è dato, perché, insomma, i quattro assi che abbiamo ben conosciuto sono stati quelli del taglio alla spesa, del taglio alla spesa pubblica e, prevalentemente, del taglio alla spesa sociale, della precarizzazione e svalutazione del lavoro, abbiamo trasformato il mercato del lavoro in un mercato dei lavoratori, poi, delle privatizzazioni, contenute anche, ad esempio, nell'ultimo DEF appena depositato e, per ultimo, della scelta degli investimenti privati, cioè la scelta di privilegiare attraverso una politica di sgravi e di aiuto alle imprese la ricetta degli investimenti privati - d'altronde il piano Junker va in quella direzione -, strada che non ha portato benefici dal punto vista della crescita e del lavoro. Infatti, ricordo che queste politiche non solo non hanno prodotto dei benefici sostanziali dal punto di vista della crescita economica, della creazione di lavoro, di maggiore benessere sociale collettivo, ma hanno anche aggravato la situazione del debito.

Mediamente, nei Paesi dell'Eurozona lo stock di debito rispetto al PIL, all'inizio della crisi, era intorno al 60 per cento, oggi, siamo quasi al 95 per cento; non solo quelle politiche non hanno funzionato per produrre maggiore occupazione, maggiore crescita e maggiore benessere, ma hanno addirittura alimentato il debito, perché ovviamente in assenza di crescita, in assenza di politiche espansive, questo, ha provocato un aggravamento della situazione del debito. Va detto che la costruzione, ovviamente, di questa Europa in questo modo è avvenuta su presupposti sbagliati, perché si è fatta la moneta unica, ma non si sono fatte politiche economiche e fiscali unitarie. Non si sono superati, anzi si sono accentuati gli squilibri regionali ed economici, si è affrontato il tema del debito con un'impostazione completamente sbagliata e si sono fatte scelte politiche restrittive, politiche di rigore, di tagli, senza fare la scelta che si sarebbe dovuta fare e che hanno fatto, in parte, altri Paesi, a partire dagli Stati Uniti, nel corso della crisi, cioè quella di politiche espansive, di sostegno della domanda, politiche monetarie capaci di produrre una svolta anche rispetto alle difficoltà economiche e finanziarie che il nostro Paese - in questo caso l'Italia, ma, insomma, l'Europa nel suo complesso - stava attraversando.

Quindi, l'Italia ha scelto di non rimettere in discussione queste scelte, questi vincoli, nonostante a parole si siano dette molte cose, anche l'ex Premier Renzi, più volte, ha detto che bisognava sbattere i pugni sul tavolo, contestare le scelte europee, poi, di fatto, non è successo niente e questo è stato un grave danno, anche rispetto alle scelte che l'Italia avrebbe potuto fare e non ha fatto. Ricordo altri Paesi che, magari, potevano avere dei fondamentali migliori rispetto all'Italia, ma parliamo di un Paese come la Spagna che ha superato il 100 per cento di debito, di stock di debito rispetto al PIL, o la Francia che è quasi arrivata al 100 per cento, che, però, in questi anni hanno avuto politiche anche di sostegno alla domanda di investimenti, utilizzando un rapporto deficit/PIL che andava oltre ai vincoli che il Trattato imponeva. Ricordo che sia la Francia sia la Spagna hanno superato in questi anni il rapporto deficit/PIL, il rapporto del 3 per cento. E ricordo che sono state fatte politiche di investimenti pubblici, anche rispetto alla creazione di posti di lavoro, che hanno seguito questo tipo di impatto.

Quindi, noi con questa mozione che cosa chiediamo? Chiediamo di cambiare rotta, di riscrivere in modo radicale i trattati e se questo non avviene, come ricordavo prima, di mettere il veto, di opporci alla trasformazione di questo trattato intergovernativo in un trattato fondativo dell'Unione europea. Noi, a suo tempo, abbiamo fatto delle scelte gravi, abbiamo deciso di inserire, all'articolo 81 della Costituzione, in poche ore, il principio del pareggio di bilancio, nessuno ce lo chiedeva ma abbiamo costituzionalizzato, siamo stati tra i pochi a farlo, il principio del pareggio di bilancio.

Abbiamo fatto una scelta grave e da questo punto di vista il fatto che queste politiche non abbiano funzionato dovrebbe indurci, appunto, a un ripensamento molto serio, molto radicale e, quindi, pensiamo che l'occasione del fiscal compact sia un'occasione importante per dire parole chiare su questa vicenda. Abbiamo visto che l'attuale segretario del Partito Democratico, nonché ex Premier, ha detto delle parole molto importanti, molto impegnative; ha detto, solo qualche giorno fa: “Nel 2017 il fiscal compact, le regole del pareggio di bilancio dovrebbero entrare nei trattati. Io sono nettamente contrario a questa ipotesi. Nel 2017, l'Italia dirà di no al suo inserimento nei trattati”. Siccome queste sono parole dell'ex Premier, attuale segretario del PD che probabilmente vincerà le primarie il prossimo 30 aprile, ci aspettiamo atteggiamenti conseguenti. Quindi, questa mozione è anche un banco di prova per chi fa queste affermazioni. Ricordo che solo un mese fa i deputati del Partito Democratico a Strasburgo hanno detto di sì a una mozione che andava esattamente nella direzione opposta, una mozione molto complessa, con molti punti, molto articolata, però quella mozione, quella risoluzione del Parlamento europeo, dei deputati del PD che fanno parte della delegazione del PD nel Partito Socialista Europeo, diceva che appunto, invece, questo trattando del fiscal compact andava trasformato, inserito nel Trattato fondativo costituente dell'Unione europea, quindi, dicevano esattamente la cosa opposta. Vedremo quale sarà, poi, alla fine, la decisione che il Partito Democratico prenderà rispetto a questa mozione. Noi auspichiamo che ci sia, dalle parole ai fatti, una coerenza, ci sia un impegno a rompere questa gabbia di fronte a una insostenibilità, quella che abbiamo definito un'insostenibilità, di questa costruzione dell'Unione europea, dell'unione monetaria che non ci porta da nessuna parte, come il Titanic che sta andando verso un epilogo drammatico rispetto alle scelte che sono state fatte in questi anni, che può portare a conseguenze veramente dolorose e dure per tanta parte della popolazione europea.

Chiudo dicendo che in questa mozione non c'è solamente, ovviamente, questa richiesta, la richiesta formulata al punto a) in cui si impegna il Governo a mettere il veto nel caso non ci sia una radicale riscrittura del fiscal compact, ma c'è tutta una serie di altre cose: invitiamo il Governo a promuovere la rimozione delle disposizioni pro-cicliche come quelle contenute nel fiscal compact, delle regole di bilancio, chiediamo una mutualizzazione dei rischi del Quantitative Easing, l'introduzione a livello europeo di politiche di bilancio, di compensazione dei disallineamenti dei cicli economici dei vari Stati membri, chiediamo una conferenza europea sui debiti sovrani, chiediamo un aumento percentuale delle dotazioni di bilancio messe a disposizione del bilancio europeo, appunto, per le sue politiche e tante altre cose. Chiediamo tante altre cose che vanno, appunto, nella direzione di un cambio radicale di paradigma delle politiche europee, di cambio radicale delle scelte fatte in questi anni per passare da un'Europa fondata sostanzialmente sulla svalutazione del lavoro, in un'Europa capace di trasformarsi in un'Europa sociale e dei diritti e capace di promuovere politiche espansive che vadano nella direzione di un'effettiva crescita e di un effettivo benessere della popolazione di questo continente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caso, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01601. Ne ha facoltà.

VINCENZO CASO. Grazie, Presidente. Nel preambolo alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea si legge: l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà. L'Unione europea si è, invece, trasformata in una gabbia fatta di assurdi vincoli di austerità per le popolazioni che la compongono, vincoli che non permettono ai Paesi di investire né in benessere dei cittadini né a favore dell'ambiente né in politiche di salvaguardia del lavoro e né in emozione.

È sotto gli occhi di tutti che la politica economica europea nel suo complesso non è riuscita a risolvere i problemi di decadimento sociale e i mancati i livelli minimi di benessere dei cittadini, accentuati dalla crisi sopraggiunta a partire dal 2007. Tali politiche di austerità hanno prodotto, come risultato, una riduzione della domanda aggregata e, direttamente e indirettamente, hanno indebolito il potere di acquisto dei lavoratori.

Ma, oltre ad essere dannose, queste politiche di austerity sono tarate anche su vincoli ormai anacronistici. Sappiamo da dove deriva il famoso numero magico del 3 per cento del rapporto deficit-PIL: deriva da una mera espressione algebrica e serviva a stabilizzare il rapporto debito-PIL al valore medio 60 per cento dei primi Paesi, che, negli anni Novanta, sono entrati nell'Unione monetaria; tutto ciò a condizione che il PIL reale crescesse attorno al 3 per cento annuo. Quindi, tale obiettivo, quel 60 per cento del rapporto debito-PIL, e tale ipotesi - un 3 per cento di crescita annua del PIL - si sono rivelati, nei trascorsi venticinque anni, palesemente irrealistici.

Questo parametro, nato nel 1992 come parametro di Maastricht, nel 1997 viene ripreso nel Patto di stabilità e crescita e poi viene nuovamente riutilizzato nel Fiscal compact. Tale numero mantra non era nato da considerazioni di tipo politico e anche poco economiche e, a maggior ragione, non lo è più dopo venticinque anni dal suo primo utilizzo, ma sembra ormai quasi essere riutilizzato sistematicamente, quasi fosse un feticcio.

Non possiamo più attendere. Abbiamo bisogno di invertire questa rotta subito. È impensabile voler continuare a seguire queste scellerate politiche, quando ormai è palese che bisogna trovare strade alternative. L'alternativa c'è ed è stata più volte invocata, sia da noi, ma anche da accademici di taratura internazionale. Dobbiamo uscire fuori dalla trappola dell'austerity e iniziare politiche di investimenti in innovazione nei quali gli obiettivi siano, seppur ambiziosi, chiari, definiti e di lungo periodo.

Innanzitutto, per fare ciò, dobbiamo liberarci dal fardello del pareggio di bilancio in Costituzione, inserito con tanta fretta. L'Italia non è un'impresa in liquidazione, nella quale bisogna annullare la capacità di fare investimenti, in quanto non c'è più futuro, dismettendo o privatizzando, come preferite, gli asset produttivi, creando lavoratori a basso costo e precari, a fronte di un ripianamento del debito o, peggio, a fronte di un dover rientrare in sterili parametri che non hanno significato.

La scadenza è prevista per il 31 dicembre di quest'anno e noi lo chiediamo chiaramente a questo Governo: dobbiamo porre il veto affinché il Fiscal compact non rientri all'interno dei trattati. Dobbiamo assolutamente invertire la rotta, insieme agli altri popoli europei, decidendo di muoverci tutti insieme per il benessere sociale ed economico dei cittadini.

Il debito non è e non può diventare un fardello che rallenta la ripresa economica; si può gestire in modo differente, si può decidere per una gestione autonoma del debito da parte degli Stati, riducendo progressivamente, attraverso il miglioramento economico del Paese, e si può decidere che tale miglioramento sia compatibile con il benessere dei cittadini e mai il contrario, come è avvenuto fino ad ora.

Il PIL è un parametro utilizzato per indicare la crescita di un Paese, ma è un dato strano, in quanto al suo interno contiene, come abbiamo visto, anche attività illecite, attività inquinanti e difficilmente rappresenta il benessere reale della popolazione.

Per questo, il Governo deve scegliere di non seguire numeri mantra e scellerate politiche di austerità, ma di rendere vincolanti, ad esempio, gli indici di benessere, con i quali abbiamo visto fare un piccolo, piccolissimo passo all'interno del DEF, ma assolutamente siamo ancora in una fase molto, molto iniziale, e deve anche impegnarsi, magari, ad approvare quel reddito di cittadinanza, ancora fermo al Senato, ormai divenuto una misura non più rimandabile per garantire la dignità dei nostri concittadini, asfissiati dalla crisi e dalle scellerate cure di austerity.

Abbiamo sentito tantissime volte, in particolar modo anche dall'ex Premier, scagliarsi con parole contrarie al Fiscal compact e alle politiche di austerity, ma dobbiamo avere il coraggio di passare dalle parole ai fatti, anche perché poi, come dimostra anche il DEF che seguiremo nelle prossime settimane, alle parole non sono mai corrisposti, poi, i fatti, che ci vedono ancora una volta sottoposti ai vincoli dell'austerity e a tutte le raccomandazioni che ci vengono fatte dall'Unione europea e che noi continuiamo a seguire pedissequamente.

Ci vuole coraggio, sicuramente, per cambiare questo paradigma, ma è una cosa che va fatta assolutamente. Non abbiamo altre possibilità. Ce lo chiedono i nostri cittadini. Questa politica non può continuare ad andare contro gli interessi dei cittadini, per continuare a seguire, invece, gli interessi dei grandi poteri economici, che comportano, invece, solo dei provvedimenti di austerità e di danno nei confronti della vita dei cittadini. Per fare questo, però, bisogna avere anche le mani libere e bisogna completamente cambiare questo paradigma.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Melilla, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01602. Ne ha facoltà.

GIANNI MELILLA. Grazie, signor Presidente. Ormai si discute da anni, sia a livello parlamentare, sia nella società civile, della necessità di porre con forza il tema della revisione del Fiscal compact, relativamente ai parametri e ai vincoli legati alla riduzione del debito, del rapporto deficit-PIL e della distinzione netta, nell'ambito del Patto di stabilità, delle risorse di parte corrente da quelle in conto capitale per gli investimenti.

Già nel gennaio 2014, la Camera dei deputati ha approvato tre mozioni firmate sia da parlamentari di maggioranza che di opposizione, sulle quali il Governo ha espresso un parere favorevole, con cui si evidenziava l'opportunità e si impegnava in tal senso l'Esecutivo ad agire in sede europea per un riesame degli attuali meccanismi posti a presidio delle regole della governance economica, al fine della introduzione di una maggiore flessibilità degli obiettivi di bilancio a medio termine e di liberare risorse da destinare alle politiche di sviluppo e alla crescita.

Ciò nonostante, al netto degli sforzi profusi dal Governo in sede europea, sforzi spesso solo verbali, sino ad oggi è stato perpetuato un approccio estremamente miope e rigido nella gestione della politica di bilancio e dell'integrazione europea, perché si è continuato a governare secondo i principi di austerità, impraticabili, che hanno solo aggravato crisi e recessione, con l'interdizione di ogni forma di eurobond, garantiti pro quota dagli Stati nazionali, e una contraddizione evidente tra politica fiscale restrittiva e politica ultra espansiva della BCE, che avrebbe dovuto compensarne gli effetti con la sola leva monetaria.

A ciò si aggiungono i risultati modesti del Piano Junker, l'arretramento degli investimenti pubblici e del loro potenziale traino degli investimenti privati, gli altissimi livelli di disoccupazione, soprattutto giovanile, e il dilagare di una gravissima sofferenza sociale e di povertà diffusa.

In tale contesto, appare quanto mai urgente che il Governo italiano assuma una posizione forte, puntando alla eliminazione di quei paletti rigidi che oggi bloccano la crescita e gli investimenti pubblici in infrastrutture e trasporti, ricerca e innovazione, formazione, politiche per il lavoro e green economy. Come si ricorderà, anche l'ex Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, nel corso di un comizio svoltosi il 29 ottobre 2016, quindi pochi mesi fa, in Piazza del Popolo, a Roma, ha dichiarato: noi diciamo che, siccome nel 2017, casualmente, a Roma si riuniranno i Capi di Governo e in Unione europea arriva a scadenza il tema del fiscal compact, noi non accetteremo di inserirlo nei Trattati dell'Unione europea. Il riferimento al citato articolo 16 del fiscal compact appariva chiaro, in quanto esso prevede, come è noto, che al più tardi entro cinque anni - ovverosia entro quest'anno - dalla data di entrata in vigore del presente Trattato, 1° gennaio 2013, sulla base di una valutazione dell'esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottati, in conformità del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente Trattato nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea.

Del resto, appare a tutti chiara la necessità di avviare un confronto critico teso ad una revisione profonda del fiscal compact e delle regole europee del bilancio. Il criterio con cui affrontare questo lavoro è noto, e dovrebbe essere quello, come più volte auspicato, dell'eliminazione dei vincoli di bilancio di tutte le spese pubbliche, definite con estrema cura e precisione, di investimento, secondo regole e monitoraggi costruiti in modo rigoroso a livello comunitario ed applicato da organismi comunitari del tutto indipendenti dai Governi e dagli apparati ministeriali. Per questa quota di investimenti nazionali riconosciuti come spese di investimento, dovrebbe inoltre risultare agevole costruire forme di copertura comunitaria a debito e o forme di garanzia diretta ed indiretta del bilancio comunitario, a cui occorrerebbe garantire uno zoccolo fiscale europeo significativo. Una strada per trovare una soluzione c'è, ed è possibile. Il Governo italiano ha l'opportunità e la possibilità di chiedere e ottenere una modifica del fiscalcompact che vada nella direzione di una regola aurea relativa a spese di investimento, anche nazionali, concordate e controllate dalla Commissione, al fine di evitare abusi e usi impropri. Solo in questo modo, l'Italia, ma noi diciamo, come Movimento democratico progressista, l'intera Europa, potranno tornare a crescere e ristabilire un clima di consenso presso la popolazione europea.

L'avvento di Trump e ancor prima la Brexit, il ritorno di politiche protezionistiche e di scenari geopolitici che si sperava definitivamente chiusi negli archivi del passato non lasciano dubbi circa l'assoluta necessità di una svolta europea in questo senso. I lavoratori, i loro diritti, le tutele, il welfare subirebbero effetti devastanti da un improvviso ritorno alle monete nazionali, alle barriere doganali e valutarie, alle svalutazioni competitive, all'inflazione galoppante, a un debito pubblico sempre più alto. Per il nostro Paese la situazione appare molto delicata, per diversi fattori, che sono sotto gli occhi di tutti: negli ultimi mesi lo spread è cresciuto di circa 80 punti base; la crescita rimane stentata, siamo ancora quasi alla stagnazione; e la performance dell'Italia continua a occupare l'ultimo posto tra i principali Paesi europei. La Commissione europea ha chiesto una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro proprio per questi motivi. A fine anno, o forse anche prima, verrà meno l'alleggerimento quantitativo o facilitazione quantitativa della BCE, quindi i tassi di interesse potranno salire, con effetti preoccupanti sui nostri conti con la manovra del prossimo anno.

Occorre dunque una nuova strategia da declinare a livello europeo che, oltre a mettere in sicurezza i conti, punti ad indirizzare tutte le risorse disponibili ad un massiccio programma di spese per investimenti. Noi del Movimento democratico progressista proponiamo almeno mezzo punto del PIL l'anno per i prossimi tre anni, puntando sul lavoro e su un grande piano di valorizzazione e di messa in sicurezza del territorio. La nostra mozione vuole impegnare il Governo a battersi, costruendo le opportune alleanze, affinché il fiscal compact sia modificato appunto nella direzione di una regola aurea sugli investimenti, anche nazionali, da esercitare almeno entro il limite del 3 per cento; oppure, in caso contrario, a contrastare con decisione l'inserimento del fiscal compact nei Trattati. Volgiamo che il Governo intraprenda ogni iniziativa di competenza, presso le sedi europee, volte a modificare le regole sulla misurazione del pareggio strutturale attraverso un metodo di calcolo condiviso tra la Commissione europea, il Fondo monetario internazionale e l'OCSE, e in particolare a riconsiderare alcuni parametri particolarmente astrusi e penalizzanti per l'Italia, in base ai quali, per il nostro Paese, è considerato di equilibrio, rispetto a possibili tensioni inflazionistiche, un livello di disoccupazione anche oltre il 10 per cento per i prossimi anni, con la conseguenza di comprimere drasticamente la possibilità di politiche espansive e anticicliche. Dovrebbero essere quindi rivisti i criteri in base ai quali la Commissione calcola i disavanzi strutturali. In particolare, si dovrebbe proporre di rivedere il sistema di calcolo insieme a FMI ed OCSE, come ho detto, in modo da avere valutazioni condivise a livello internazionale.

Infine, il Governo deve adottare iniziative, presso le competenti sedi europee, affinché la Germania ridimensioni il proprio surplus commerciale entro il limite indicato dai Trattati in vigore. Siamo preoccupati, signor Presidente, perché nel DEF si individua il famigerato pareggio di bilancio strutturale già nel 2019, ma non si prende in alcuna considerazione la possibilità di non ratificare il fiscal compact nei Trattati europei entro l'anno di scadenza del 2017. Portare l'indebitamento dal 2,1 per cento nel 2017 all'1,2 nel 2018 significa che la prossima legge di bilancio dovrà contenere le misure per rendere effettivi gli obblighi finalizzati al pareggio di bilancio, con effetti drammaticamente recessivi per l'economia italiana, confermati, del resto, da tutti i commentatori, nazionali ed internazionali, e anche dallo stesso Governo. Per questo chiediamo che il Parlamento confermi quello che ha già discusso in passato, cioè la decisione di rivedere profondamente il fiscal compact, nel senso di non accomodarsi ad una ratifica assolutamente negativa per il futuro del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Brunetta, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01604. Ne ha facoltà.

RENATO BRUNETTA. Signor Presidente, colleghi, ci troviamo oggi, a cinque anni di distanza dalla firma del cosiddetto fiscal compact - attualmente, lo ricordo, ancora un accordo internazionale -, a discuterne l'inserimento nell'ambito dei Trattati europei, come previsto dall'articolo 16 dello stesso. All'origine, il fiscal compact avrebbe dovuto essere un atto europeo. Si pensava a un regolamento per compattare - il copyright è di Mario Draghi - in un testo unico tutte le normative che erano state adottate nel periodo della grande crisi dell'eurozona (six-pack, two-pack), ma secondo i rappresentanti del Regno Unito un regolamento avrebbe avuto un'influenza eccessiva anche per i Paesi non euro, limitando, per esempio, la libertà di circolazione dei servizi finanziari, quindi si opposero.

Fu proprio per superare questa impasse, dunque, che si usò la formula dell'accordo internazionale, la stessa utilizzata in precedenza anche per Schengen, e fu inserito l'articolo 16, per cui, a cinque anni dalla data della firma, quindi nel 2017, cioè oggi, si sarebbe valutata la possibilità di recepire l'Accordo internazionale nell'ambito dei Trattati, come è effettivamente accaduto in altra sede e con altri tempi per Schengen. L'appuntamento dei cinque anni di cui si discute, pertanto, non è una scadenza, non è un rinnovo, non è neanche un tagliando-controllo. Al massimo, quello che un Paese può fare è, come per ogni accordo internazionale, ritirare la firma e uscire dal fiscalcompact; resta comunque come Stato dell'Unione Europea vincolato a tutte le regole del six-pack e del two-pack, che rimangono in vigore. L'unico vincolo di cui ci si libererebbe sarebbe l'equilibrio di bilancio, se non fosse che, per quanto riguarda l'Italia, lo abbiamo inserito nella nostra Costituzione, quindi saremmo tenuti a rispettarlo comunque, salvo nuove modifiche costituzionali. L'uscita dal fiscalcompact, infine, preclude la possibilità di ricorso, qualora ve ne fosse bisogno, alle risorse del Fondo “salva-Stati”. Il gruppo di Forza Italia ha deciso pertanto di tenere una posizione che superi tutto questo, proponendo in questa fase del dibattito di sospendere tutta la regolazione del dopo Maastricht, di tornare cioè allo spirito originario del Trattato, con la sospensione delle norme che ne hanno modificato l'impianto iniziale, in primis appunto il fiscalcompact.

Cosa significa tutto questo? Tornare a Maastricht significa recuperare la lezione di Guido Carli. Fu su proposta dell'allora Ministro del tesoro, infatti, che nel testo del Trattato fu inserita una clausola che consentiva agli Stati che non rispettavano i paletti di Maastricht di realizzarli non attraverso un piano di rientro a tappe forzate, che avrebbe richiesto misure di politica economica restrittive e controproducenti, bensì adottando politiche virtuose che comportassero miglioramenti progressivi, l'idea geniale della tendenzialità. Il Patto di stabilità del 1997 e le modifiche successive hanno cambiato tra l'altro illegittimamente proprio questo punto fondamentale del Trattato, inviso ovviamente ai tedeschi, in quanto contrario alla loro rigida dottrina calvinista e alla loro ossessione nei confronti dell'inflazione. Così facendo è stato dato in un periodo di crisi un segnale alla speculazione e ai mercati che si sono scatenati a scommettere sulla prevedibilità del non rispetto di quei paletti considerati troppo rigidi e per questo irrealizzabili da questo o quello Stato. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, soprattutto negli ultimi anni. È ora di tornare invece all'Europa vera, solidale, illuminata, lungimirante, per la crescita, vincendo così anche i populismi e gli estremismi che sono derivati da una gestione irresponsabile della crisi stessa. Sì dunque alla genialità di Maastricht, ma basta agli egemonismi e ai ricatti tedeschi. Se faremo tutto questo, i mercati ci premieranno, avremo un'Italia e un'Europa più forti, in grado di affrontare le sfide e le difficoltà più grandi. Abbiamo le idee e gli strumenti per ridisegnare il nostro futuro, o ne saremo travolti. Il Trattato di Maastricht fu firmato il 7 febbraio 1992, ma il passaggio clou di tutte le negoziazioni fu l'Ecofin, riunione dei Ministri economici e finanziari, nel 21 settembre 1991. Su proposta italiana dell'allora Ministro del tesoro, Guido Carli, nel testo fu inserita una clausola che, con riferimento ai parametri fissati, consentiva agli Stati di tener conto della tendenza ad avvicinarsi al valore di riferimento e di eventuali cause eccezionali o temporanee di scostamento da quei parametri. Significa che gli Stati che non rispettavano i paletti di Maastricht non dovevano realizzarli attraverso un piano di rientro a tappe forzate, che avrebbe richiesto misure di politica economica restrittive, come abbiamo già detto, bensì adottando politiche virtuose che comportassero miglioramenti progressivi, vale a dire senza stress eccessivo e controproducente, bensì, come abbiamo detto, impegnandosi a sforzi graduali e compatibili con lo stato dell'economia e del tessuto sociale e produttivo del Paese, senza costringerlo a imprese impossibili.

Viene cioè fissato l'obiettivo, ma il suo conseguimento è affidato alle politiche che ciascun Governo addotta autonomamente, tenendo conto delle specificità e delle concrete condizioni della propria economia, per cui il grado di conseguimento dell'obiettivo varia da Paese a Paese e di anno in anno. “I criteri di convergenza economica rispetto a debito, deficit, inflazione e tassi di interesse da inserire nel Trattato non devono essere applicati in maniera meccanica, e occorre lasciare la possibilità di sviluppare un'attenta valutazione politica”, annunciò profeticamente in una conferenza stampa soddisfatto Guido Carli. I parametri dunque furono fissati, ma con tutta la dose necessaria di flessibilità. Il deficit, ad esempio, doveva essere minore o uguale al 3 per cento del PIL certo, ma andava comunque tutto bene anche se gli Stati dimostravano che il rapporto diminuiva in modo sostanziale e continuo nel tempo raggiungendo livelli sempre più vicini al valore di riferimento. Allo stesso modo, il debito non doveva superare il 60 per cento del PIL, a meno che il Paese non dimostrasse di essere in grado di ridurre quel rapporto in misura sufficiente avvicinandosi al valore di riferimento con un ritmo adeguato: quella che fu chiamata la clausola “Ciampi”. Purtroppo, però, pochi anni dopo, nel 1997, il Trattato di Maastricht è stato modificato proprio in questo punto fondamentale, ma non attraverso un nuovo trattato, che avrebbe comportato la ratifica dei Parlamenti nazionali o un referendum popolare, com'era già avvenuto per Maastricht, bensì attraverso regolamenti, che non necessitano di alcun via libera popolare diretto o indiretto per via parlamentare. Con il Patto di stabilità, quindi, dei regolamenti sono stati elevati al rango di Trattati, allorquando essi possono solo disciplinare l'applicazione delle disposizioni previste dai Trattati, senza mai entrare però in contraddizione con questi ultimi. I regolamenti in questione, che costituiscono il Patto di stabilità, sono il n. 1466/97 e il n. 1467/97, del 7 luglio 1997, entrati in vigore a marzo 1998. Con un colpo di mano, introducono quel principio di rigidità che Guido Carli era riuscito ad evitare. Pertanto, il rispetto dei vincoli di bilancio diventa forzato e indipendente dai Governi e dalle politiche che si intendono implementare, nonché incurante delle fasi di congiuntura economica sfavorevole. Inoltre, vengono inseriti i meccanismi di sorveglianza e sanzionatori che, oltre a far venir meno la filosofia portante del Trattato di Maastricht, tolgono di fatto agli Stati membri la piena autonomia nelle scelte di politica economica. Si realizza così, con strumenti giuridicamente inadeguati - ripetiamo: due regolamenti e non un trattato - il primo vero scippo di sovranità degli Stati nazionali da parte dell'Europa o di certa Europa, anzi, per essere precisi, di Germania e Francia. Il tutto senza alcun dibattito politico-parlamentare, d'altronde i regolamenti non lo richiedevano: tattica perfetta dell'asse franco-tedesco, asse sempre più egemone. Il Patto di stabilità resta in vigore fino al 6 dicembre 2011 e, pochi giorni dopo, il 13 dicembre 2011 ne entra in vigore uno nuovo e rinforzato. Le misure in esso contenute, denominate six-pack, sono descritte in cinque regolamenti e una direttiva, approvata dal Parlamento europeo a novembre 2011: stessi principi dei due precedenti regolamenti, stessi meccanismi di sorveglianza e sanzionatori. Anche in questo caso, al Consiglio europeo del 17 giugno 2010 qualcuno fece inserire una clausola di flessibilità sulla linea di quanto fatto in passato da Guido Carli, l'allora Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, che insistette a lungo affinché nel percorso di avvicinamento agli obiettivi di bilancio si tenesse conto dei cosiddetti fattori rilevanti, vale a dire delle specificità delle economie dei singoli Paesi e del ciclo economico. In particolare, la proposta di Berlusconi era incentrata sulla previsione di attribuire importanza maggiore ai livelli dell'andamento e alla sostenibilità globale dell'indebitamento degli Stati, e che pertanto nel calcolo del rapporto debito/PIL si comprendesse al denominatore, oltre al debito pubblico, anche quello di famiglie e imprese.

Prendendo in considerazione l'indebitamento aggregato infatti l'Italia è seconda solo alla Germania e, rivedendo in tal senso i parametri del “six-pack”, sarebbe chiamata ad uno sforzo di riduzione del debito pubblico ridotto almeno alla metà rispetto alle manovre del 3 per cento annuo del PIL per vent'anni previste dalle regole attuali e che oggi ci strozzano. È nato così il Fiscal compact, approvato dai Capi di Stato e di Governo a Bruxelles il 2 marzo 2012 e ratificato in Italia il 19 luglio 2012. Nonostante esso rechi “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria”, neanche il Fiscal compact ha però il rango di trattato in grado di modificare Maastricht, in quanto non è stato adottato all'unanimità, essendo mancato il voto del Regno Unito.

Per questo oggi, a cinque anni di distanza, ci troviamo a valutare, come previsto dall'articolo 16, la possibilità di recepire l'Accordo internazionale nell'ambito dei trattati europei. Per questo oggi noi chiediamo al Governo di cogliere l'occasione per farsi promotore della nostra proposta, quella, cioè, di sospendere tutte le modifiche intervenute successivamente al Trattato di Maastricht attraverso strumenti legislativi inadeguati e, secondo noi, illegittimi, che hanno squilibrato il sistema europeo, in primis, appunto, il Fiscal compact, e di tornare all'impianto originale del 1992. Tornare all'impianto originario di Maastricht non è scappare dall'Europa, ma salvare l'Europa.

Cominciamo finalmente a fare oggi quello che non è stato fatto nei dieci anni della crisi: non dobbiamo avere paura. Il maggior pericolo è l'implosione dell'Unione e dell'euro a causa della bassa crescita, della disoccupazione crescente, dell'egoismo, dell'allargamento degli squilibri e delle asimmetrie, dell'impotenza geopolitica in ragione della debolezza economica. Non dobbiamo avere paura: torniamo a Maastricht, ma eliminiamo tutti i parametri che hanno costretto Maastricht ad un Trattato che sta distruggendo la nostra Europa (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Presidente, colleghe e colleghi, vorrei innanzitutto ringraziare i presentatori di queste mozioni: grazie ad esse mettiamo al centro della discussione parlamentare la costruzione di una nuova governance europea, in particolare, in materia economica e finanziaria. Un argomento importante, forse il più importante, oggi, nell'attuale fase storica, soprattutto per i Paesi dell'area euro. Mi siano concesse due digressioni storiche: la prima riguarda gli Stati Uniti. Il dollaro nacque come moneta dei nuovi Stati Uniti nel 1785, ma soltanto trent'anni dopo, venne affiancato da un bilancio federale e da regole di integrazione finanziaria fra i Paesi federati. Ci volle una guerra, la guerra del 1812, la cosiddetta Seconda guerra di indipendenza. In mancanza di un bilancio federale, la giovane repubblica fu messa in ginocchio per l'assenza di risorse con cui sostenere l'esercito. La nuova capitale, Washington, fu invasa e distrutta da un'armata inglese. La nazione fu salvata dalla decisione inglese di concentrare il suo sforzo bellico sull'Europa contro Napoleone e dalle insperate vittorie dell'Armata del sud del generale Jackson. Dopo questa vicenda gli Stati Uniti integrarono la loro finanza e fecero un bilancio federale.

L'euro è entrato in circolazione quindici anni fa, ma gli Stati che lo hanno adottato entrando nell'Unione economica e monetaria non ne hanno altri quindici per completare il progetto: devono fare presto. Non hanno neppure bisogno - io auspico e spero - di una vera guerra guerreggiata: dovrebbe essere più che sufficiente la tempesta che si è abbattuta sull'Europa, il rischio di una sua disintegrazione, il crescente clima antieuropeo nelle opinioni pubbliche, la sfida neoisolazionista della nuova amministrazione americana con i suoi aspetti inediti, poiché condita da una certa aggressività e non, come è accaduto in passato nella storia, dalla dottrina del non intervento.

La seconda digressione è su quanto è avvenuto in Europa e in Italia nel 2011-2012. Nell'estate del 2011, il rischio di default sul debito pubblico italiano è stato reale, non inventato. L'intervento della Banca centrale europea è stato essenziale per evitarlo e la sua condizionalità era inevitabile per una questione prettamente politica e, cioè, per l'incrinatura che esisteva, e che esiste ancora, nel rapporto di fiducia fra Paesi finanziariamente forti e loro opinioni pubbliche e Paesi finanziariamente deboli e loro opinioni pubbliche.

Questo è un punto storico-politico su cui auspico che il giudizio della storia possa portare a una minore divergenza di opinioni di quella che oggi esiste. Sarebbe non solo politicamente, ma anche intellettualmente disonesto dimenticare le condizioni di fragilità finanziaria del nostro Paese in relazione non solo al fabbisogno di finanziamento del debito pubblico, ma anche al gap di finanziamento del settore creditizio. Come sappiamo, fra depositi e impieghi in Italia, c'è un gap da ricoprire, con finanziamenti da trovare sui mercati internazionali, che varia fra i 100 e i 200 miliardi di euro all'anno.

In ogni caso, in quelle condizioni così drammatiche, in cui l'Italia, tra l'altro, era molto debole sul piano dell'agibilità e della contrattazione politica, io continuo a ritenere che i risultati ottenuti siano stati positivi. Primo: il Fiscal compact è un Trattato provvisorio, come è stato più volte detto, che deve essere ricontrattato entro il 2018 dell'architettura europea. Positive sono a nostro modo di vedere in questa direzione le risoluzioni Verhofstadt e Bresso-Brok approvate dal Parlamento europeo, oltre che i nuovi accordi fatti a Roma in occasione del sessantesimo anniversario, con l'ampliamento delle possibilità di cooperazione rafforzata. Un punto questo importante per la costruzione delle istituzioni necessarie a gestire una nuova politica economica nell'ambito dei Paesi dell'euro.

Secondo: la costituzionalizzazione dell'impegno al rigore della finanza pubblica, che continua ad essere chiamato e raccontato come regola del pareggio di bilancio, si è trasformato in realtà in una regola molto più sostenibile e, cioè, l'equilibrio di bilancio al netto del ciclo economico e del “una tantum”.

Per fare il salto di qualità nelle politiche economiche europee le parole chiave sono tre: bilancio federale, condivisione dei rischi, utilizzare i motori interni di crescita europea, superando la dottrina di tipo mercantilista. Un bilancio federale integrato, gestito da un Tesoro dei Paesi euro, può permettere all'Unione di intervenire in modo asimmetrico e, cioè, aiutare i Paesi quando vengono colpiti in modo specifico, ad esempio, con un sussidio europeo di disoccupazione, come proposto dall'Italia nel “documento Padoan” da più di un anno. Può gestire le azioni necessarie a superare altre asimmetrie, come, ad esempio, gli squilibri macroeconomici che derivano dalla persistenza di elevati avanzi di bilancio dei pagamenti. In questo caso, ricordo il caso della Germania, dove redditi e domanda interna potrebbero e dovrebbero aumentare. Può superare, grazie ad una gestione diretta e non mediata dagli Stati, la sfiducia dei Paesi forti nei confronti degli apparati statali e politici dei Paesi deboli.

Un bilancio federale europeo può finanziarsi rendendo europea la base imponibile delle imposte sulla società, eliminando, fra l'altro, questo tipo di concorrenza fiscale all'interno dell'Unione. Si tratta di un obiettivo da sempre perseguito dall'iniziativa di politica estera italiana, rilanciato nel recente rapporto del gruppo di lavoro Monti, a cui la risoluzione Verhofstadt fa riferimento e si tratta, grazie alla Brexit, di un obiettivo oggi più realisticamente perseguibile, perché, come sappiamo, è stato soprattutto il Regno Unito a frenare in tutti questi anni sulla armonizzazione delle politiche fiscali.

Condivisione dei rischi significa completamento dell'unione bancaria, assicurazione europea sui depositi, rafforzamento delle capacità e del ruolo del meccanismo europeo di stabilità, ESM, ad esempio, nella gestione delle crisi bancarie e nella gestione dello smaltimento dei crediti deteriorati nel settore bancario e, in prospettiva, anche nella gestione dei debiti sovrani tramite una sua trasformazione in fondo monetario europeo.

E poi, infine, la questione culturale e politica più importante: superare un approccio di tipo mercantilista e accendere i motori interni di crescita, in particolare sul fronte della domanda interna, anche domanda di consumo e non solo domanda di investimenti. Ci sono Paesi, ad esempio la Germania, che possono permettersi un aumento dei consumi. La domanda di investimenti, invece, va aumentata in tutti i Paesi. E, per quanto riguarda gli investimenti, sono necessarie sia politiche di livello europeo, finanziate dal tesoro europeo, sia politiche di livello nazionale, andando verso la golden rule e, cioè, escludendo le spese per investimenti e altre spese definite in alcuni comparti strategici dai parametri di finanza pubblica validi ai fini delle politiche di coordinamento europeo.

È chiaro che tutto ciò non ha nulla a che fare con la questione dello “zero virgola”. Vista in questa prospettiva, la discussione sull'aggiustamento finanziario che la Commissione europea ha chiesto all'Italia è surreale. Attenzione, però, sbaglia la Commissione sullo zero virgola, ma sbaglierebbe anche l'Italia a non tenere conto dei vincoli che derivano dall'appartenenza all'Unione. Ecco, questi vincoli, in realtà, se maturerà il passo avanti federale necessario alla salvezza dell'euro, aumenteranno e cresceranno le zone della decisione pubblica, da trasferire ad ambiti di sovranità di tipo federale. L'Italia non può chiedere agli altri la condivisione dei rischi, se non è disponibile a contropartite politiche di rilievo importante. Nessuno in Italia può cullare l'illusione di rilanciare il Paese con qualche flessibilità aggiuntiva dello zero virgola e non proseguendo, invece, un lavoro di lunga lena e di medio termine per la riforma e la modernizzazione delle strutture portanti del sistema Paese.

Il problema italiano non è congiunturale, non si risolve invocando banali keynesismi di breve periodo. Il problema italiano è strutturale, dipende dalla domanda, ma dipende anche dalle debolezze della struttura produttiva (bassa produttività, nanismo d'impresa, arretratezza nel settore dei servizi, poca innovazione tecnologica).

Sulle proposte di profonda innovazione della governance europea, io auspico il massimo di convergenza tra le forze politiche italiane. Si tratta di dare forza a un'azione cruciale per gli interessi del Paese, un obiettivo che deve portarci tutti a non indulgere né su posizioni puramente accademicistiche o ideologiche né su posizioni di mero opportunismo protestatario. Le proposte italiane saranno tanto più forti nella trattativa dei prossimi mesi, quanto più compatto l'intero Paese sarà percepito intorno ad esse.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fassina. Ne ha facoltà.

STEFANO FASSINA. Grazie, Presidente. Parto da dove ha concluso il suo intervento l'onorevole Marcon e provo a ribadire quali sono gli obiettivi che Sinistra Italiana ha voluto proporre alla Camera nella discussione della mozione sul Fiscal compact.

Indubbiamente vi è un obiettivo di carattere puntuale e cioè un “no”, un veto del Governo italiano al trasferimento del trattato internazionale, appunto definito Fiscal compact, nei trattati europei. È questo l'oggetto della discussione che la Commissione e il Parlamento europeo devono svolgere entro la fine di quest'anno. Non è prevista nessuna ricontrattazione dei contenuti, tant'è che, come noto, il 16 febbraio scorso il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione, votata anche dal Partito Democratico a Bruxelles, nonostante le prese di posizione del segretario uscente Matteo Renzi a proposito del Fiscal compact nel suo trasferimento nei trattati. Il Parlamento europeo, con il voto del Partito Democratico, ha votato una risoluzione per l'inclusione del Fiscal compact nei trattati europei.

Questo è l'obiettivo puntuale, poi c'è un obiettivo più generale, sul quale vorrei soffermarmi e sul quale sono intervenuti in una bella discussione, che ho davvero apprezzato, i colleghi che mi hanno preceduto.

L'obiettivo di carattere generale è quello di fare una valutazione, empiricamente fondata, degli effetti dei trattati europei e del Fiscal compact. Infatti, credo che dovremmo, una volta per tutte, avere il coraggio dell'onestà intellettuale e riconoscere da cittadini europei, da policy maker europei prima che italiani, che l'impianto sul quale si reggono i trattati e il Fiscal compact, è un impianto insostenibile. Per una ragione semplice, che più che economica direi algebrica. Il liberismo mercantilista non è generalizzabile. Per definizione, determina, come vediamo, un deficit cronico strutturale di domanda aggregata. Il liberismo mercantilista, l'ordoliberismo nella sua versione tedesca, può essere praticato da un Paese o da più Paesi, fintanto che vi sono le condizioni che consentono ad altri Paesi di importare quell'eccesso di produzione rispetto alla domanda interna dei Paesi esportatori. Ma, appunto, per definizione, non è generalizzabile. Ha retto in questi anni per una ragione semplice, perché, nonostante tutte le difficoltà, gli Stati Uniti sono continuati ad essere il consumatore di ultima istanza, anche con Obama. Abbiamo assistito al paradosso di un'Eurozona con un significativo avanzo commerciale, che grazie al quantitative easing, prodotto dalla Banca centrale europea, svaluta la sua moneta e, appunto, approfitta del consumatore di ultima istanza, che sono stati gli Stati Uniti.

È evidente che l'avvento di Trump rende molto più complicato questo modello e rende ancora più evidente l'insostenibilità, non per l'Italia, dove ci sono quelli che parcheggiano in doppia fila, come mi è stato ribadito anche qualche settimana fa, dove ci sono tutte le inefficienze che conosciamo, ma è insostenibile per tutti, perché appunto genera un deficit cronico di domanda. La situazione di deflazione, nella quale ci barcameniamo e che è stata affrontata con misure eterodosse, considerato lo statuto della BCE, è l'indicatore e la conseguenza fisiologica. Quindi, questo è il punto. Noi non siamo di fronte a qualche Paese che fa le bizze rispetto all'amara medicina, che dovrebbe bere e che invece non beve, con effetti negativi sulla crescita e sull'occupazione. Noi siamo di fronte a una sistema che fisiologicamente, per caratteristiche intrinseche, genera equilibrio precario di sottoccupazione, deficit cronico di domanda aggregata e, inevitabilmente, aumento del debito pubblico.

Ecco, la discussione sul Fiscal compact dovrebbe servire a guardare in faccia i dati di realtà e a valutare se vi sono le condizioni politiche nell'Eurozona per correggere la rotta. Potrei sottoscrivere, potremmo sottoscrivere, l'agenda che ha proposto il collega Causi. Il punto politico sono le condizioni di praticabilità. I trattati europei, il Patto di stabilità e crescita, i regolamenti che prima ha richiamato il collega Brunetta, il Fiscal compact, non sono accidenti, sono il frutto non dei capricci dei burocrati di Bruxelles, ma sono il frutto della declinazione dell'interesse nazionale del Paese leader, che non mi pare abbia alcuna intenzione di andare nella direzione che veniva auspicata né da chi oggi, in Germania, diciamo è sul fronte conservatore, né, dall'altra parte, da chi si propone come alternativa progressista. Quindi, questo è il punto che dovremmo valutare, con grande lucidità e con grande serietà politica.

E di fronte a questo scenario dovremmo insistere sulle correzioni necessarie, lo chiamiamo piano A, affinché la moneta unica possa funzionare positivamente per l'interesse dei lavoratori. Allora, nella nostra mozione diamo alcune indicazioni, elenchiamo alcuni punti irrinunciabili, affinché ci possa essere una radicale correzione di rotta e l'impianto dell'Eurozona, l'impianto dell'Unione europea possa funzionare in senso progressivo. È necessaria, non si scappa, una riscrittura dei trattati nei quali l'obiettivo della piena e buona occupazione dovrebbe avere almeno lo stesso livello di rilevanza della concorrenza e della stabilità dei prezzi. Noi siamo di fronte, nell'Unione europea, a una contraddizione profonda tra la “Costituzione” rappresentata dai trattati, dai regolamenti e dagli accordi internazionali connessi, come appunto il fiscal compact, tutti incentrati sulla concorrenza e sulla stabilità dei prezzi, e le Costituzioni nazionali, nate dopo la seconda guerra mondiale che, invece, puntano ad avere come obiettivo la piena e buona occupazione e la dignità del lavoro.

Quindi, occorre una correzione dei principi di fondo, non della governance, non è un problema di governance, è un problema di impianto culturale, è un problema di principi fondativi che vanno rivisti. Allora, in questo quadro andrebbe smontato il fiscal compact ed eliminate quelle caratteristiche che sono di fatto pro cicliche, cioè aggravano le condizioni dell'economia e della finanza pubblica che, invece, vorrebbero mitigare. Il collega Marcon ha ricordato come dal 2008 in avanti, grazie alle politiche raccomandate dalla Commissione, sulla base, appunto, dei principi del fiscal compact e del Patto di stabilità e crescita, il debito pubblico medio nell'Eurozona è aumentato di 30 punti percentuali e la maggior parte dei Paesi non ha ancora recuperato il livello di economia reale che aveva nel 2008. Quindi, bisogna eliminare gli elementi pro ciclici.

Poi, tra i punti che richiamiamo ce n'è un altro fondamentale che riguarda la Banca centrale europea; la BCE è l'unica banca centrale che ha come unico e assoluto obiettivo la stabilità dei prezzi. Neanche i fautori più feroci delle politiche neoliberiste, da Reagan alla Thatcher, si sarebbero mai sognati di introdurre, di fare introdurre nello statuto delle loro banche centrali soltanto la stabilità dei prezzi. L'obiettivo della buona e piena occupazione è un obiettivo che deve trovare ospitalità dentro lo statuto della Banca centrale europea che deve diventare prestatore di ultima istanza, perché è l'unica condizione per poter sostenere la domanda interna europea. Questo è il punto, non regge, ma non regge non solo per l'Italia, non regge in generale, un'area che è ancora tra le più ricche del pianeta, con 500 milioni di abitanti, che punta a crescere attraverso le esportazioni. È necessario, invece, ribaltare il modello, puntare alla domanda interna europea, tanto più in un contesto internazionale dove, lo ripeto, gli Stati Uniti non saranno più il consumatore di ultima istanza, dove la Cina, nonostante le correzioni al margine, rimane un'economia tirata dalle esportazioni.

Poi, nel quadro degli obiettivi da perseguire intorno alla ridiscussione del fiscal compact, noi riteniamo sia necessario predisporre, come è stato fatto dopo la seconda guerra mondiale, per affrontare il debito pubblico tedesco, preparare, in modo serio, una conferenza europea sulla sostenibilità dei debiti pubblici, perché è evidente che vi sono diversi Paesi che, nello scenario ipotizzabile di crescita nominale reale e di inflazione, non hanno debiti pubblici sostenibili. Il dato, purtroppo, sarà tanto più evidente quanto prima verrà meno la dose massiccia di immissione di moneta che la Banca centrale europea compie ogni mese.

In questo quadro, poi, riteniamo che vada applicata la cosiddetta Golden Rule, che vadano esclusi dal computo del deficit gli investimenti produttivi, certamente filtrati da un comitato, da un'autorità terza che ne valuti l'effettiva qualità, ma per potenziare la domanda interna è necessario sostenere gli investimenti pubblici, attraverso, appunto, una Golden Rule sui bilanci nazionali e attraverso interventi di carattere relativo all'Eurozona. Non si può in questo quadro abbandonare la prospettiva degli eurobonds, dei project bond, o utilizzare risorse che possono venire da un'applicazione sistematica, effettiva della tassa sulle transazioni finanziarie a finanziamento, appunto, di investimenti che non possono marciare con la moltiplicazione dei pani e dei pesci prevista dal cosiddetto Piano Juncker, che, a oramai tre anni dal suo avvio, produce risultati assolutamente marginali.

Poi, è evidente che vi sono aspetti più specifici che elenchiamo negli impegni che chiediamo al Governo; riguardano, ad esempio, la gestione dei flussi dei migranti, che non è un'emergenza, ma è un dato, purtroppo, strutturale e che non può essere caricato soltanto sulle spalle di un Paese. È un fenomeno che mette alla prova, appunto, la capacità europea di risposta. Ancora, vi sono sul versante interno modifiche da fare alla nostra Costituzione, per evitare gli eccessi che in una situazione, quella sì, emergenziale, sono stati compiuti, come appunto l'introduzione, all'articolo 81, dell'equilibrio di bilancio e la conseguente cosiddetta legge rinforzata del dicembre del 2012. Mi avvio a concludere, ma questa non è una discussione di carattere accademico; stiamo discutendo della vita degli uomini e delle donne di questo Paese. Stiamo discutendo del Documento di economia e finanza che in queste ore ha cominciato il suo percorso nelle Commissioni bilancio di Camera e Senato. Si tratta di un documento che riflette, in modo pedissequo, la linea del sostegno all'offerta, in un quadro che, ancora una volta, è mercantilista. Noi abbiamo bisogno, invece, di sostenere gli investimenti.

Noi diciamo che è necessario un social compact che sostenga gli investimenti pubblici in rapporto con i comuni e che consenta, quello sì, di avere effetti positivi sulla crescita e l'occupazione.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

STEFANO FASSINA. Concludo Presidente. È evidente che per far questo è necessario sospendere il fiscal compact. Noi riteniamo che vada sospeso per un triennio il fiscal compact, che vadano cancellati gli aumenti previsti dell'IVA e delle accise e vada utilizzato almeno mezzo punto di PIL su investimenti pubblici per il rilancio dell'economia, dell'occupazione e anche per la stabilizzazione del debito pubblico. Certo, sono obiettivi ambiziosi, ma è innanzitutto fondamentale che il Parlamento condivida l'analisi dell'insostenibilità dell'impianto e delle regole dell'agenda dell'Eurozona; poi, i passi che si possono fare si misurano sulla base dei rapporti di forza, ma se noi continuiamo a fingere che siamo sulla strada giusta e che c'è bisogno di un po' più di tempo e di un po' più di determinazione per arrivare all'obiettivo, credo che andremo a sbattere e certamente Sinistra Italiana non vuole questo.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Il Governo non mi sembra intenzionato ad intervenire e quindi continueremo il seguito della discussione in altra seduta.

Intervento di fine seduta (ore 17,53).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Presidente, intervengo per sollecitare il Governo a dare immediatamente una risposta ad una mia interrogazione, che riguarda la crisi economica e sociale che sta vivendo il Venezuela. In questo Paese si è aggravata fortemente la condizione socioeconomica, mancano gli alimenti essenziali per la comunità, gli ospedali sono privi anche di medicine salvavita. In questo Paese, inoltre, ci sono delle scelte operate dal Governo, che stanno riducendo fortemente gli spazi di democrazia e di libertà. È un Paese, il Venezuela, in cui è presente una grande comunità italiana, che ha dato tanto e ha ricevuto da quel grande Paese. Pur tuttavia, oggi si trova in condizione di crisi ed è per questo che chiediamo al Governo di intervenire. Sappiamo che il mondo vive una condizione complessa, che ci sono regioni in cui ci sono vicende tragiche, però quel Paese merita un intervento dell'Italia, del Governo italiano nelle sedi internazionali, perché quantomeno si appronti un piano umanitario. Sappiamo che il Governo venezuelano si oppone a tutto ciò, lo consideriamo irresponsabile ed è proprio per questo, Presidente, che chiediamo l'intervento del Governo: non si aspetti la tragedia di una guerra civile.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Mercoledì 19 aprile 2017, alle 10,30:

  (ore 10,30 e ore 16,30)

1.  Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

MANTERO ed altri; LOCATELLI ed altri; MURER ed altri; ROCCELLA ed altri; NICCHI ed altri; BINETTI ed altri; CARLONI ed altri; MIOTTO ed altri; NIZZI ed altri; FUCCI ed altri; CALABRO' e BINETTI; BRIGNONE ed altri; IORI ed altri; MARZANO; MARAZZITI ed altri; SILVIA GIORDANO ed altri: Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. (C. 1142-1298-1432-2229-2264-2996-3391-3561-3584-3586-3596-3599-3630-3723-3730-3970-A)

Relatori: LENZI, per la maggioranza; CALABRÒ, di minoranza.

2.  Seguito della discussione delle mozioni Vezzali ed altri n. 1-01511, Di Vita ed altri n. 1-00293, Lenzi ed altri n. 1-01437, Cimbro ed altri n. 1-01494, Rondini ed altri n. 1-01567, Gregori ed altri n. 1-01568, Palese ed altri n. 1-01570, Vargiu ed altri n. 1-01572, Calabrò e Bosco n. 1-01573, Gigli ed altri n. 1-01574, Rampelli ed altri n. 1-01575 e Centemero e Occhiuto n. 1-01576 concernenti iniziative volte alla prevenzione dell'HIV/AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili.

3.  Seguito della discussione della proposta di legge:

DAMBRUOSO ed altri: Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista. (C. 3558-A)

Relatori: POLLASTRINI, per la maggioranza; LA RUSSA, di minoranza.

4.  Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 119-1004-1034-1931-2012 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: D'ALI'; DE PETRIS; CALEO; PANIZZA ed altri; SIMEONI ed altri: Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e ulteriori disposizioni in materia di aree protette (Approvata, in un testo unificato, dal Senato). (C. 4144-A)

e delle abbinate proposte di legge: TERZONI ed altri; MANNINO ed altri; TERZONI ed altri; BORGHI ed altri. (C. 1987-2023-2058-3480)

Relatore: BORGHI.

5.  Seguito della discussione delle mozioni Lupi ed altri n. 1-01525, Palese ed altri n. 1-01545, Sorial ed altri n. 1-01546, Franco Bordo ed altri n. 1-01548, Allasia ed altri n. 1-01550 e Marcon ed altri n. 1-01555 concernenti iniziative volte all'estensione dei cosiddetti poteri speciali del Governo al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle aziende italiane di rilevanza strategica.

6.  Seguito della discussione dei disegni di legge:

Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Emirati Arabi Uniti, nell'ambito della cultura, arte e patrimonio, fatto a Dubai il 20 novembre 2012; b) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Malta in materia di cooperazione culturale e di istruzione, fatto a Roma il 19 dicembre 2007; c) Accordo di cooperazione scientifica e tecnologica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Montenegro, fatto a Podgorica il 26 settembre 2013; d) Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnica tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Senegal, fatto a Roma il 17 febbraio 2015; e) Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica slovacca sulla cooperazione in materia di cultura, istruzione, scienza e tecnologia, fatto a Bratislava il 3 luglio 2015; f) Accordo di collaborazione nei settori della cultura e dell'istruzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Slovenia, fatto a Roma l'8 marzo 2000. (C. 3980-A)

Relatore: FEDI.

S. 2194 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo di Barbados per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, fatta a Barbados il 24 agosto 2015 (Approvato dal Senato). (C. 4226)

Relatrice: LA MARCA.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo di Costa Rica sullo scambio di informazioni in materia fiscale, con Allegato, fatto a Roma il 27 maggio 2016. (C. 4254)

Relatrice: LA MARCA.

Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo euromediterraneo nel settore del trasporto aereo tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, e il Governo dello Stato d'Israele, dall'altro, fatto a Lussemburgo il 10 giugno 2013; b) Accordo sullo spazio aereo comune tra l'Unione europea e i suoi Stati membri e la Repubblica moldova, fatto a Bruxelles il 26 giugno 2012; c) Accordo sui trasporti aerei fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, gli Stati Uniti d'America, d'altro lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, con Allegato, fatto a Lussemburgo e Oslo il 16 e il 21 giugno 2011, e Accordo addizionale fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, riguardante l'applicazione dell'Accordo sui trasporti aerei fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, gli Stati Uniti d'America, d'altro lato, l'Islanda, d'altro lato, e il Regno di Norvegia, d'altro lato, fatto a Lussemburgo e Oslo il 16 e il 21 giugno 2011. (C. 2714)

Relatore: FEDI.

7.  Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

FIORIO ed altri; CASTIELLO ed altri: Disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico.

(C. 302-3674-A)

Relatrice: TERROSI.

8.  Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e Raffaello Sanzio e dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. (C. 4314-A)

e dell'abbinata proposta di legge: GIANLUCA PINI ed altri. (C. 4252)

Relatrice: PICCOLI NARDELLI.

9.  Seguito della discussione della proposta di legge:

ERMINI: Modifica all'articolo 59 del codice penale in materia di legittima difesa. (C. 3785-A/R)

e delle abbinate proposte di legge: MOLTENI ed altri*; LA RUSSA ed altri; MAROTTA e SAMMARCO;   MOLTENI ed altri; FAENZI; GELMINI ed altri; GREGORIO FONTANA ed altri; FORMISANO e PORTAS; MOLTENI ed altri.

(C. 2892-3380-3384-3419-3424-3427-3434-3774-3777)

Relatori: ERMINI, per la maggioranza; LA RUSSA e MOLTENI, di minoranza.

*Tutti i deputati firmatari della proposta di legge hanno ritirato la propria sottoscrizione dopo la conclusione dell'esame in sede referente.

10.  Seguito della discussione delle mozioni Marcon ed altri n. 1-01589, Capezzone ed altri n. 1-01600, Caso ed altri n. 1-01601, Melilla ed altri n. 1-01602 e Brunetta n. 1-01604 concernenti la questione dell'inserimento del cosiddetto Fiscal compact   nei Trattati europei, nonché le politiche economiche e di bilancio dell'Unione europea.

11.  Seguito della discussione delle mozioni Rosato ed altri n. 1-01508, Binetti ed altri n. 1-01558, Cominardi ed altri n. 1-01559, Rampelli ed altri n. 1-01561, Ricciatti ed altri n. 1-01562 e Palese ed altri n. 1-01571 in materia di robotica ed intelligenza artificiale.

  (ore 15)

12.  Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

La seduta termina alle 17,55.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: ALESSANDRA TERROSI, IVAN CATALANO (A.C. 302-3674-A)

ALESSANDRA TERROSI, Relatrice. (Relazione – A.C. 302-3674-A). Il testo unificato che oggi approda in discussione generale, recante "Disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico" è frutto del lavoro effettuato sulla proposta n. 302 Fiorio ed altri, presentata il 16 marzo 2013 e su quella n. 3674 Castiello, presentata in data 15 marzo 2016.

Già nella precedente legislatura, la Commissione Agricoltura della Camera dei deputati avviò l'esame di alcuni progetti di legge in materia (C. 1629, 1695, 2545, 2604 e 2880), pervenendo all'elaborazione di un testo unificato, scelto poi come testo base. Su tale testo, la Commissione procedette alla più ampia consultazione di tutti i soggetti in grado di fornire un utile contributo alla migliore definizione del provvedimento. A tal fine, si svolsero numerosi incontri, in sede di audizioni informali, con le rappresentanze delle organizzazioni professionali agricole, delle organizzazioni del settore biologico, delle organizzazioni dell'industria alimentare, delle imprese sementiere e zootecniche, dei produttori di fertilizzanti e di agrofarmaci, nonché con i rappresentanti di alcune associazioni di studio e ricerca e di movimenti attivi nel settore della produzione alimentare. Il provvedimento, tuttavia, non arrivò a conclusione.

Breve cronistoria dei lavori in Commissione agricoltura.

La proposta di legge n. 302 Fiorio ed al. viene incardinata il 4 giugno 2013.

Il 12 giugno viene nominato il Comitato ristretto e, dopo deliberazione della Commissione, a partire dal 17 giugno inizia un ciclo di audizioni rivolte al settore agricolo, con il coinvolgimento delle organizzazioni professionali e delle associazioni del biologico, al settore della ricerca e della sperimentazione, a quello dell'agroalimentare nonché ai soggetti a vario titolo coinvolti nella delicata fase del controllo.

Il primo ciclo di audizioni, effettuate contemporaneamente anche sul documento (COM(2014)180final) recante proposta di revisione del Regolamento europeo 834/97, che costituisce la base normativa comunitaria per il settore, nonché sul documento (COM(2014)179 final) recante comunicazione della Commissione Europea riguardante il Piano di azione per il futuro della produzione biologica nella UE, si è concluso il 30 luglio 2014.

Proprio per l'avvio in sede europea della discussione sulla revisione della normativa relativa al biologico, i lavori della Commissione sul provvedimento in esame hanno subito una battuta di arresto.

A questo è seguito un secondo ciclo di audizioni svoltesi dal 4 al 18 maggio 2016, volte a favorire l'approfondimento dei temi riguardanti la genetica e la compatibilità delle tecniche che la stessa adotta, con il metodo di produzione biologico.

In data 15 marzo 2016 è stata presentata la proposta n. 3674 Castiello esaminata ed abbinata alla proposta n. 302 Fiorio e al., in data 4 ottobre 2016.

Il 14 febbraio 2017 la Commissione ha adottato il testo base e il 14 marzo si è proceduto all'esame e alla votazione degli oltre cento emendamenti presentati.

Da ultimo lo scorso 12 aprile sono stati approvati in Commissione, oltre ad alcune correzioni di forma, due emendamenti della relatrice di recepimento rispettivamente della osservazione contenuta nel parere favorevole espresso dalla Commissione XI Lavoro e della osservazione a corredo del parere favorevole espresso dalla Commissione XIV Politiche della Unione europea.

Considerazioni generali sul testo unificato

Il testo che giunge oggi all'esame dell'Aula risulta significativamente diverso rispetto ai testi di partenza.

La Commissione ha lavorato nell'ottica di costruire un testo che da un lato evitasse inutili ridondanze con la regolamentazione comunitaria e dall'altro lato proponesse un impianto normativo snello ed efficace per essere vero strumento di sostegno al settore.

Si è reso necessario, infatti, innanzi tutto l'adeguamento alla normativa europea, ad esempio in tema di produzioni zootecniche, di vino biologico e di acquacoltura biologica, comparti ai quali erano dedicati specifici articoli del testo originario e per i quali nel frattempo sono stati emanati Regolamenti comunitari.

Nell'ottica di una collaborazione fattiva, che ha contraddistinto il rapporto con il Governo per tutta la durata del lavoro in Commissione, e onde evitare sovrapposizioni normative non certo utili al settore, è stato ritenuto corretto alleggerire il testo iniziale rispetto al tema dei controlli e a quello della somministrazione di alimenti biologici nelle mense scolastiche, ritenuti comunque molto importanti per lo sviluppo e il sostegno alla agricoltura biologica.

L'approvazione da parte del Parlamento della legge 28 luglio 2016 n. 154 (c.d. collegato agricolo), assegna infatti al Governo all'articolo 5, comma 2, lettera g la delega per il riordino del sistema di controllo, tra gli altri, anche per l'agricoltura biologica.

Infine, i riferimenti alla somministrazione di alimenti biologici nelle mense scolastiche contenuti nell'articolo 6 lettera g) del testo base, sono stati espunti dopo l'avvenuta manifestazione da parte del Governo di voler emanare a breve sulla stessa materia un proprio disegno di legge.

Considerazioni generali sul comporto.

Negli anni in cui è maturata la discussione sul testo, durante i quali la Commissione ha audito molti degli attori che si occupano di agricoltura biologica, il settore è cresciuto considerevolmente sia in termini di quantità delle produzioni realizzate sia come superficie investita a biologico.

Secondo i dati reperibili sul Sistema nazionale per l'agricoltura biologica SINAB, che da 16 anni è attivo e produce biostatistiche, al 31 dicembre 2015 le imprese inserite nel sistema di certificazione erano poco meno di 60.000 con una crescita rispetto all'anno precedente (2015 su 2014) del 8,2 per cento. Nello stesso periodo la SAU biologica è aumentata del 7,5 per cento arrivando a poco meno di 1,5 milioni di ettari, parti al 12 per cento della SAU nazionale.

Va sottolineato il carattere anticiclico dell'agricoltura biologica negli anni del recente passato in cui, come noto, tutti i settori produttivi sono stati investiti da una grave crisi: le aziende che adottano il metodo biologico, mediamente, hanno resistito meglio delle altre, vuoi per le caratteristiche di multifunzionalità che le distingue, vuoi perché mediamente si tratta di aziende a conduzione più giovane e spesso più femminile delle altre, vuoi perché sono aziende con una spiccata vocazione alla innovazione o perché spesso si tratta di aziende orientate alla esportazione.

Per tutte queste motivazioni, quello che fino a qualche anno fa era ritenuto un settore di nicchia, oggi rappresenta una parte importante della nostra economia agricola.

Per questo è stato giusto dedicargli il lavoro svolto fino a qui e per questo è importante che venga al più presto approvata la legge della quale oggi iniziamo la discussione.

Analisi degli articoli del testo.

Al Capo I NORME GENERALI è ascritto il primo articolo del testo.

L'Art. I stabilisce l'oggetto della presente legge e le finalità della stessa. In particolare al comma 2 definisce la produzione biologica "attività di interesse nazionale con funzione sociale, basata prioritariamente sulla qualità dei prodotti, sulla sicurezza alimentare, sul benessere degli animali, sullo sviluppo rurale e sulla tutela dell'ambiente e della biodiversità che concorre al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell'intensità di emissioni di gas a effetto serra stabiliti dall'art. 7 Bis paragrafo 2 della direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 1998 e fornisce in tale ambito appositi servizi eco-sistemici. Lo Stato favorisce e promuove iniziative volte a incentivare la costituzione di organismi e punti di aggregazione del prodotto e di filiere biologiche". Il comma 3 dell'art. 1 equipara il metodo di coltivazione biodinamica a quello di coltivazione biologica solo se applicato nel rispetto delle disposizioni del reg. 834/2007.

Gli ecosistemi forniscono all'umanità una serie di vantaggi che vanno sotto il nome di beni e servizi eco sistemici. Per lungo tempo non è stato compreso il loro ruolo né tantomeno computato il loro valore nelle previsioni economiche della società poiché questi beni e servizi sono stati sempre disponibili, fuori dal mercato e gratuiti. Da lungo tempo l'UE si è concentrata su programmi che andassero nella direzione di tutelare la biodiversità e, più in generale gli ecosistemi. Già nel 2008 lo studio scaturito dal vertice di Potsdam, evidenziò che uno scenario immutato a quella data avrebbe comportato entro il 2050 una perdita di biodiversità pari al 7% del PIL. Da allora la politica comunitaria, in particolare in campo agricolo, sia nel I sia nel II pilastro è stata sempre più orientata a promuovere pratiche agricole sostenibili.

Quindi lo Stato riconosce il beneficio derivante dalla coltivazione con metodo biologico, beneficio dovuto alle minori quantità di input chimici utilizzati e riversati nelle matrici naturali, in particolare suolo e acqua, nonché all'insieme delle pratiche messe in atto che garantiscono la conservazione della complessità degli agroecosistemi. In generale tali benefici si traducono in quelli che il Millennium Ecosystem Assestement ha definito "quei benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano", catalogandoli in quattro categorie:

I. I servizi di fornitura o approvvigionamento che forniscono cibo, acqua, legname, combustibile e ogni altra materia prima compreso il materiale genetico;

2. I servizi di regolazione che regolano il clima, la qualità dell'aria e delle acque, la formazione del suolo, il ciclo dei rifiuti, la diffusione della malattie mitigando i rischi naturali di erosione, di inondazioni ecc;

3. 1 servizi culturali che includono benefici immateriali quali eredità e identità culturale, l'arricchimento spirituale, i valori estetici e ricreativi;

4. 1 servizi di supporto che comprendono, fra gli altri, la creazione di habitat e la conservazione della biodiversità.

E' noto come i sistemi Agricoli ad Alto Valore Naturale, quelli cioè che contribuiscono maggiormente alla tutela della biodiversità e che svolgono un ruolo chiave nel raggiungimento in particolare del terzo obiettivo della Strategia Europea sulla Biodiversità fino al 2020 ossia "garantire la sostenibilità dell'agricoltura, della silvicoltura e della pesca" in stretto collegamento con gli strumenti previsti dalla PAC, abbiano uno stretto rapporto con l'Agricoltura biologica. Nel nostro Paese oltre il 40% della superficie biologica certificata appartiene a un sistema agricolo AVN, un valore quasi doppio rilevato per le superfici coltivate convenzionalmente.

Gli articoli 2 e 3, riferiti al CAPO II AUTORITÀ NAZIONALI E LOCALI, individuano le Autorità nazionale e locali, rappresentate rispettivamente dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali cui sono assegnate l'indirizzo e il coordinamento e dalle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano cui spettano le attività tecnico-scientifiche e amministrative relative alla produzione agricola, agroalimentare e all'acquacoltura effettuate con metodo biologico.

Il CAPO III reca ORGANISMI DI SETTORE e comprende il solo Art. 4 che norma il Tavolo tecnico per l'agricoltura biologica.

Questo articolo definisce il superamento del Comitato consultivo per l'agricoltura biologica già istituito con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali n. 10568 del 10 dicembre 2008 e del Tavolo tecnico istituito con decreto n. 631 del 9 aprile 2013 (comma 2). Definisce contestualmente la istituzione del Tavolo tecnico per l'agricoltura biologica e ne norma la composizione e i compiti (commi 1, 3, 4). Questi ultimi nello specifico sono i seguenti:

delineare gli indirizzi e le priorità per il Piano di azione; esprimere pareri relativi a provvedimenti sulla agricoltura biologica a livello nazionale e europeo; proporre interventi per l'indirizzo e l'organizzazione della attività di promozione dei prodotti biologici favorendo il coordinamento tra le autorità nazionale e locali e gli operatori per assicurare la diffusione dei prodotti sul mercato; organizzare annualmente almeno un incontro in cui mettere a confronto le esperienze dei distretti biologici italiani e internazionali.

Il successivo e ultimo comma 5 delega ad un decreto del Ministro per le politiche agricole

agroalimentari e forestali le modalità di funzionamento del Tavolo tecnico stesso e sottolinea la non attribuzione di compensi ai partecipanti al Tavolo stesso.

In questo articolo si è voluto riprendere l'esperienza positiva e fattiva maturata dal Tavolo tecnico istituito con il decreto del 2103, che ha dato vita al Piano d'azione attualmente in essere, ricalcandone la composizione, superando l'esperienza del Comitato consultivo che nel tempo non aveva dato i risultati sperati. Si è privilegiato quindi la nascita di un organismi tecnico, competente, in grado di portare il proprio contributo in termini di proposta concreta per il settore.

Il CAPO IV STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE E DI FINANZIAMENTO comprende gli articoli da 5 a 8.

L'Art. 5 definisce l'adozione del Piano d'azione nazionale per l'agricoltura biologica e i prodotti biologici. Il Piano ha valenza triennale e viene aggiornato ogni anno in relazione agli obiettivi raggiunti e alle azioni realizzate. Gli obiettivi del Piano, elencati al comma 2, sono finalizzati a sostenere l'attività degli agricoltori che adottano il metodo biologico, a partire dalla delicata fase della conversione fino alla individuazione degli strumenti, finanziari e tecnici, idonei al rafforzamento della organizzazione della filiera con particolare riguardo alle piccole aziende.

Il Piano deve prevedere azioni specifiche per il monitoraggio dell'andamento del settore che individuino in progress i punti di forza e di debolezza del settore stesso e per la elaborazione e diffusione delle informazioni, tecniche e di mercato, utili ai diversi soggetti della filiera, in particolare attraverso lo strumento, già attivo, del Sistema di informazione nazionale per l'agricoltura biologica (SINAB).

Mirano, inoltre, a individuare le azioni più appropriate per migliorare il sistema di controllo e di certificazione al fine di garantire i consumatori, ma anche l'intero comparto produttivo, nonché a proporre azioni di formazione ed educazione al consumo e di informazione sui prodotti biologici, sulle loro caratteristiche e su come vengono ottenuti, rivolte al consumatore stesso, attraverso l'attuazione di programmi e misure gestiti direttamente dal Ministero o dalle Regioni e che richiamano alla disponibilità e all'impiego di risorse comunitarie.

Facendo propria l'attenzione della Comunità europea all'uso dei prodotti fitosanitari e al loro corretto impiego in particolare nella gestione del verde pubblico, fra gli obiettivi del piano vi è anche quello di stimolare gli enti pubblici all'uso di metodi biologici per il contenimento della flora infestante negli spazi di propria competenza.

Fra i temi trattati dal Piano è ricompreso quello dell'incentivazione della ricerca e della innovazione, entrambe fondamentali perché il settore biologico sia competitivo e adottabile su un quantitativo sempre maggiore di SAU. È infatti priva di fondamento la teoria secondo la quale fare agricoltura biologica equivale a non adottare alcuna lavorazione o alcun metodo di contenimento della flora antagonista o a non mettere in atto alcun mezzo per la difesa fitosanitaria. È vero esattamente il contrario e le conoscenze in capo all'agricoltore che pratica il metodo biologico devono essere riferite all'agroecosistema nel suo complesso e supportate da riscontri scientifici aggiornati e trasferibili.

All'Art. 8, Sostegno alla ricerca tecnologica e applicata, il tema della importanza e della necessità della ricerca viene affrontato più compiutamente, riconoscendo la importanza di promuovere percorsi formativi dedicati agli studenti universitari che possano usufruire di dottorati di ricerca, master e corsi di alta formazione nelle tematiche della produzione agricola e agroalimentare e di acquacoltura effettuate con metodo biologico riconoscendo la necessità di garantire nel tempo l'offerta formativa già presente e potenziandola ove possibile; e individuando nell'aggiornamento dei docenti degli istituti tecnici e nella possibilità per gli studenti di svolgere tirocini pratici direttamente nelle aziende biologiche, una leva importante di trasmissione della conoscenza, teorica e pratica, relativa a questo settore.

Le lettere b) e c) del presente articolo sanciscono l'importanza che rivestono il Consiglio Nazionale

delle Ricerche CNR e il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi della economia agraria CREA, in materia di ricerca in agricoltura biologica. Gli enunciati in esame pertanto esprimono l'esigenza che sia nell'ambito del riparto del fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca finanziato dal MIUR, sia nel piano triennale delle attività del CREA, si destini una quota parte delle risorse assegnate a progetti per la ricerca e la innovazione in agricoltura biologica.

Consapevoli della importanza che la ricerca e l'innovazione nonché la divulgazione dei risultati ottenuti hanno ed avranno ancor di più nel futuro, per garantire al biologico italiano il ruolo di primo piano che già oggi ricopre a livello europeo, viene ad esse destinata una parte consistente, pari al 30% delle risorse assegnate al Fondo di cui all'articolo 6 che illustrerò a breve.

Nella stessa lettera d) dell'articolo 8, si specifica inoltre la necessità che vengano assegnate somme, individuate nel decreto di riparto previsto sempre all'art. 6: a progetti di ricerca che abbiano una durata sufficiente a garantire l'ottenimento di risultati certi e divulgabili e quindi almeno compresa tra tre e cinque anni; a progetti di ricerca che coinvolgano tutti gli attori della filiera, per rimarcare l'importanza che deve essere attribuita alla organizzazione e alla strutturazione del comparto; assicurando un adeguato compenso alle aziende che prendono parte ai progetti.

Anche l'Art. 9 rientra tra quelli che annoverano gli strumenti di pianificazione. In esso si richiama la Formazione professionale e la si promuove a beneficio di tecnici e operatori del settore del biologico nonché dei soggetti pubblici incaricati di svolgere il controllo.

Le aziende che adottano il metodo di coltivazione e di allevamento biologico, quelle che entrano in conversione, le aziende che si occupano della trasformazione, hanno l'esigenza di avvalersi di tecnici preparati e aggiornati che sappiano validamente affiancarle negli specifici processi produttivi. Come già detto, un comparto in crescita costante da diversi anni come quello dell'agricoltura biologica deve essere supportato prima di tutto attraverso una buona assistenza.

I princìpi in base ai quali organizzare la suddetta formazione professionale, vengono demandati ad un decreto che il Ministro delle politiche agricole agroalimentari e forestali emanerà di concerto con il ministro del lavoro e delle politiche sociali previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trenta e di Bolzano.

Anche i contratti di rete di cui all'art. 7 sono ricompresi tra gli strumenti di pianificazione. Con l'art. 6-bis del decreto 91/2014 convertito nella legge n. 116/2014, per le reti di impresa già normate in agricoltura è stato introdotto l'accesso ai finanziamenti agevolati per investimenti in ricerca e innovazione tecnologica. Questo strumento pertanto, oltre a rappresentare una modalità organizzativa innovativa che tuttavia ha già esempi anche nel settore agricolo, permette alle aziende biologiche di accedere a ulteriori canali di finanziamento.

Lo strumento finanziario previsto da questo progetto di legge, denominato Fondo per lo sviluppo dell'agricoltura biologica, di seguito definito Fondo, viene descritto e normato all'articolo 6.

II Fondo per lo sviluppo dell'agricoltura biologica è destinato al finanziamento delle iniziative previste nel Piano d'azione nazionale, con la riserva del 30% destinata ai programmi di ricerca. Con decreto ministeriale avviene la ripartizione delle risorse tra le iniziative individuate nel Piano d'azione, e vengono definite le modalità di funzionamento del Fondo. Lo schema di decreto deve essere inoltrato alle Commissioni competenti per il parere.

Il Fondo è alimentato con le entrate derivanti dal contributo per la sicurezza alimentare individuato nel 2 per cento del fatturato dell'anno precedente relativo alla vendita di prodotti fitosanitari autorizzati e fertilizzanti di sintesi, contributo già previsto a legislazione vigente, che originariamente ammontavano a circa 11 mln di euro ma che nel tempo, a seguito dei numerosi tagli lineari disposti dalle leggi finanziarie a partire dal 2008, si è notevolmente ridotto attestandosi con una cifra pari a circa 3 mln di euro.

Il capo V disposizioni in materia di organizzazione della produzione e del mercato annovera gli articoli dal 10 al 14.

L'Art. 10 norma i Distretti biologici, già presenti nell'articolato originario nel quale i distretti biologici venivano assimilati ai Distretti rurali e ai Distretti agroalimentari di qualità, così come definiti ai sensi dell'art. 13 del Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 228.

Il tema dei Distretti come organizzazione dello sviluppo del territorio, è ormai da tempo all'attenzione del legislatore che ha formato dapprima i Distretti industriali e quindi i Distretti agricoli nella articolazione sopra riportata.

Il riferimento di legge specifico ai Distretti Biologici non esiste ancora sebbene negli ultimi dieci anni sia nato un interesse, via via crescente, per questo tema sia nel mondo accademico così come in seno alla amministrazione pubblica che, infatti, ha finanziato i principali progetti di ricerca sviluppatisi su tale materia. Il primo progetto di ricerca, BioDistrict, svolto negli anni 2007-2008, venne finanziato dal Ministero delle politiche agricole, con lo scopo di definire, attraverso l'applicazione di una metodologia scientifica, gli indirizzi generali per la realizzazione dei distretti biologici. Successivamente, negli anni 2009-2011, il progetto BioReg, ha avuto l'obiettivo, partendo dai risultati ottenuti nel precedente progetto, di mettere a punto un lavoro specifico su tre casi studio relativi ad altrettante Regioni italiane — Marche, Piemonte e Sicilia — dando spazio a processi partecipativi e verificando l'applicazione della metodologia individuata per la costituzione di distretti biologici. Entrambi i progetti sopra ricordati sono stati realizzati dal Dipartimento di Economia e Impresa dell'Università degli Studi della Tuscia.

Da ultimo, sempre il Mipaaf, con il coordinamento di ISMEA, la partecipazione dello IAMB di Bari e della Università di Bologna, ha finanziato il progetto denominato DIMECOBIO, nell'ambito del quale un focus di approfondimento è stato dedicato ad indagare la struttura, le dinamiche di sviluppo e le performance socio-economiche dei bio-distretti.

L'attenzione al tema dei Distretti Biologici da parte di Istituzioni e Enti di Ricerca, è maturata in un contesto, quello della realtà agricola italiana, spesso molto dinamico e talvolta incline a proporre soluzioni e iniziative per migliorare le condizioni della economia di interi territori e dei comparti produttivi che in essi operano.

In quasi tutte le Regioni italiane è operativo uno o più distretti biologici, nato attraverso l'adozione di disciplinari privati e alcuni anni or sono si è costituita una rete internazionale che raccoglie esperienze analoghe presenti in diversi Paesi. (International Network of EcoRegions).

È interessante notare come i territori dove ricadono i biodistretti spesso abbiano caratteristiche analoghe a quelle individuate nell'ambito della Strategia nazionale per le aree interne per perimetrare queste ultime e, spesso, facciano parte di quei sistemi definiti Sistemi agricoli ad Alto Valore Naturale di cui ho accennato all'inizio di questa relazione.

Spesso dunque quando parliamo di Distretti biologici parliamo di territori a vocazione agricola biologica, caratterizzati da grande valore aggiunto in termini paesaggistici e naturalistici ma anche da fragilità espressa dai parametri socio-economici che li rappresentano. Caratterizzati ancora da grande dinamicità in relazione alla ricerca di soluzioni partecipate ai problemi dell'area e alla capacità di mettere in atto iniziative spesso innovative per la loro risoluzione.

Nell'articolo 10 la Commissione ha voluto normare una realtà già esistente e molto viva e in costante divenire definendo, fra l'altro, le finalità per cui vengono istituiti i Distretti biologici: non solo tutelare l'agricoltura biologica ma più in generale promuovere l'uso sostenibile delle risorse naturali anche in attività non agricole. E inoltre mettere in rete, oltre alle risorse naturali, gli agricoltori con i trasformatori, con i consumatori, con gli operatori turistici, con gli enti locali perché i primi possano trovare nel loro territorio di riferimento il bacino naturale in cui i loro prodotti possano essere valorizzati e gli altri possano acquistare a prezzi congrui alimenti sani la cui realizzazione tutela salute e ambiente.

Il comitato direttivo individuato quale promotore e propositore del distretto biologico è appunto costituito da tutti i soggetti che a vario titolo si occupano di agricoltura biologica ed hanno a cuore l'uso sostenibile delle risorse, che vedono nel Distretto biologico anche la opportunità di promuovere insieme alle produzioni biologiche, tutto il territorio nel quale esse vengono realizzate. La Regione è destinataria della richiesta di riconoscimento del Distretto biologico: in questo nel testo in esame è stata adottata la strategia di riconoscimento bottom-up, acquisendo così i suggerimenti pervenuti dagli auditi i quali hanno testimoniato il sostanziale fallimento di molte esperienze organizzative analoghe, tramontate proprio perché non pervase da un reale interesse e da un diretto coinvolgimento di chi avrebbe dovuto renderle operative.

I requisiti e le condizioni per la costituzione del Distretto biologico, vengono specificati in un decreto del Ministro previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.

I successivi tre articoli del testo, e cioè 1'11, il 12 e il 13, recano rispettivamente Organizzazioni Interprofessionali nella filiera biologica, le Intese di filiera per i prodotti biologici e le Organizzazioni di produttori biologici.

Le organizzazioni interprofessionali, che raccolgono in una unica struttura almeno due delle principali parti o la totalità della filiera, sono regolamentate ai sensi dell'Art. 3 del DL 51/2015, convertito con modificazioni dalla legge 91/2015 coerentemente con le disposizioni del Reg. (UE) 1308/2013. Esse si configurano come strumento di miglioramento delle relazioni tra le varie parti della filiera e di equilibrio e trasparenza del mercato a beneficio della competitività e della sostenibilità economica delle produzioni agroalimentari.

La normativa comunitaria consente di riconoscere organizzazioni interprofessionali per prodotto, gruppi di prodotto o di settori specifici analiticamente indicati nell'allegato I del Reg. (UE) 1308/2013; non prevede un riconoscimento per tipologia o per sistemi qualitativi o con caratteristiche trasversali, "orizzontale" per prodotti appartenenti a settori specifici differenti: la stessa Commissione, tuttavia, lascia la possibilità agli Stati membri di legiferare per la costituzione di Organizzazioni Interprofessionali multi-settoriali, ciò che viene fatto nel presente provvedimento di legge considerando il settore del biologico, multi-settoriale, come un unicum. Nell'articolo 11 vengono richiamate le caratteristiche che le OI devono avere e le finalità che devono raggiungere per essere riconosciute dal Ministero, al quale competono anche il controllo e la vigilanza. Talune delle suddette finalità riguardano: il miglioramento della conoscenza e della trasparenza del mercato anche attraverso la pubblicazione di dati statistici sui costi di produzione, sui prezzi, sui volumi e attraverso l'analisi sui possibili sviluppi del mercato; il miglioramento del coordinamento per la immissione dei prodotti sul mercato, in particolare attraverso studi e ricerche di mercato, esplorando potenziali mercati d'esportazione e diffondendo i prezzi pubblici di mercato; la redazione di contratti-tipo per la vendita di prodotti agricoli biologici ad acquirenti o per la fornitura di prodotti trasformati a distributori e rivenditori al minuto; la valorizzazione del potenziale dei prodotti biologici rafforzandone la competitività; lo svolgimento di ricerche volte a innovare, razionalizzare la produzione, la trasformazione e la commercializzazione; la promozione del consumo di prodotti biologici.

Così come definita dall'art. 168 del Reg. 1308/2013, viene prevista anche per la Organizzazione interprofessionale del settore biologico, la possibilità di estensione delle regole, puntualmente normata nei commi da 8 a 13.

All'Art. 12 viene istituito il Tavolo di filiera dei prodotti biologici che ha, fra l'altro, la facoltà di proporre al Ministero le intese di filiera che mirano a:valorizzare le produzioni agricole primarie, i prodotti e i sottoprodotti derivanti dalle diverse fasi della filiera biologica; a favorire lo sviluppo dei processi per ottimizzazione dei costi di produzione; a conservare il territorio, le risorse naturali, la salute pubblica e la biodiversità; a promuovere la istituzione e lo sviluppo dei distretti biologici.

Le intese non possono comportare restrizioni alla concorrenza ma possono prevedere accordi per la programmazione della produzione o del miglioramento della qualità che possano avere come conseguenza la limitazione dei volumi d'offerta. Tale fattispecie è regolamentata per fare fronte a eventuali crisi di mercato che devono essere documentate e protratte nel tempo e le programmazioni devono essere approvate dal Ministero che ne verifica la compatibilità comunitaria, sentita l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).

Per le Organizzazioni dei produttori biologici normate all'art. 13 del testo di legge in esame, vale quanto già detto per le OI: le organizzazioni di produttori per singolo prodotto o per specifico settore hanno un riferimento normativo nel Reg. (UE) 1308/2013 ma anche in questo caso il singolo Stato membro può legiferare per OP multi-settoriale.

Le OP devono nascere per iniziativa dei produttori e l'articolo individua nella commercializzazione in forma associata delle produzioni e nella attivazione di un programma operativo, le finalità di cui una almeno deve essere presente tra quelle statutarie. Con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, previa intesa nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni, sono definiti i criteri e i requisiti in base ai quali le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano riconoscono le organizzazioni dei produttori biologici e le loro associazioni. Il Ministero è competente al riconoscimento delle Associazioni dei Produttori Biologici quando associano OP riconosciute in regioni diverse. Con il medesimo decreto sono altresì definite le modalità con le quali le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano le attività di verifica in merito alla sussistenza di tali requisiti e sulla loro permanenza.

La pratica dello scambio di piccole quantità di sementi, in ambito locale, riprodotte direttamente dagli agricoltori, è alla base del mantenimento della biodiversità ed è funzionale soprattutto alle aziende biologiche che utilizzano in via prioritaria sementi adattate in un determinato areale di coltivazione.

L'Art. 14 Sementi Biologiche, modificato con un emendamento durante l'esame del testo in Commissione, apporta una modifica a quanto previsto dalla legge 1096/71 aggiungendo il comma 6-bis con il quale si riconosce agli agricoltori che producono le varietà di sementi biologiche, da conservazione, nei luoghi dove tali varietà hanno evoluto le loro proprietà caratteristiche, il diritto alla vendita diretta e in ambito locale nonché il diritto al libero scambio delle stesse sementi o di materiale di propagazione relativo a tali varietà.

Allo stesso modo è consentito agli agricoltori che producono sementi biologiche non iscritte al registro varietà vegetali o sementi di varietà da conservazione o da riproduzione aziendale di selezioni proprie il diritto di vendere direttamente ad altri agricoltori, in ambito locale, in quantità limitata, le medesime sementi o materiali di propagazione purché prodotti in azienda, nonché il libero scambio e gli altri diritti previsti dagli articoli 5, 6 e 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura.

Il capo VI disposizioni finali si compone dell'Art. 15 Abrogazioni e dell'Art. 16 Norme di Salvaguardia.

IVAN CATALANO. (Intervento in discussione sulle linee generali – A.C. 302-3674-A). Signor Presidente, Onorevoli colleghi!

Il gruppo Civici e Innovatori, nel corso della discussione in Commissione agricoltura, ha presentato alcuni emendamenti con lo scopo di introdurre elementi innovativi e di sburocratizzare il testo. Sono state accolte due delle nostre proposte.

La prima introduce i contratti di rete tra gli agricoltori, strumento flessibile e più adatto al settore rispetto alle forme classiche di aggregazione.

La seconda rende la struttura del tavolo tecnico più snella.

Siamo soddisfatti per questi due elementi che costituiscono un sicuro miglioramento rispetto al testo precedente, ma crediamo si possa fare di più e meglio.

Rimangono infatti molti punti da migliorare per sburocratizzare un settore come l'agricoltura, che per essere rilanciato ha estremo bisogno di essere aggiornato nel senso di una maggiore innovazione e semplificazione.

Presidente se mi autorizza vorrei consegnare il mio intervento che illustra semplicemente il provvedimento.

La produzione biologica si configura come un metodo di produzione, cioè come un sistema generale di gestione dell'azienda agricola e di realizzazione delle produzioni agroalimentari basato su interazione tra le migliori pratiche ambientali, alto livello di biodiversità, salvaguardia delle risorse naturali e applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali. In tale metodo possono essere individuate due funzioni sociali importanti: la prima è quella di rispondere alla domanda di consumatori che richiedono prodotti biologici; la seconda è quella di fornire beni che contribuiscono alla tutela dell'ambiente, al benessere degli animali e allo sviluppo rurale.

La normativa europea, attraverso la disciplina della produzione con metodo biologico ha voluto garantire, al tempo stesso, la fiducia del consumatore, evitando forme di concorrenza sleale, e l'efficace funzionamento del mercato interno. A tal fine, è stato istituito un sistema di controllo che copre tutte le fasi della filiera del biologico, dalla produzione a livello di azienda agricola alla trasformazione alimentare, dalla distribuzione all'importazione e alla vendita al dettaglio. Ogni operatore, in questa filiera, deve rispettare lo stesso insieme di norme in materia di produzione, trasformazione, distribuzione, etichettatura e controllo di prodotti biologici.

La Corte dei conti europea ha approvato la relazione speciale n. 9 del 2012 sull'efficacia del sistema dei controlli nel settore, formulando talune raccomandazioni in ordine alla necessità di rafforzare il ruolo di vigilanza da parte delle autorità competenti sugli organismi di controllo, di armonizzare la definizione delle infrazioni, delle irregolarità e delle sanzioni corrispondenti, di aumentare i controlli, al fine di garantire che gli operatori soddisfino i requisiti regolamentari relativi alla tracciabilità.

Il testo unificato, come modificato durante l'esame in sede referente dalla Commissione agricoltura, si compone di 15 articoli e reca norme relative alla produzione agricola ed agroalimentare con metodo biologico, con esclusione di quella relativa al settore dei controlli. Come è noto la produzione agricola biologica è regolata dalla normativa comunitaria e più specificamente dal regolamento (CE) n. 834/07 e dal suo regolamento di applicazione (CE) 889/08.

L'articolo 1 definisce l'oggetto e le finalità. Quanto al primo viene meglio specificato che il campo di intervento interessa la definizione del sistema delle autorità nazionali e locali, i distretti biologici e l'organizzazione della produzione e del mercato nonché gli strumenti finanziari per la ricerca e per la realizzazione di campagne di informazione. L'articolo 2 specifica, poi, che per autorità nazionale si intende il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, chiamato a svolgere attività di indirizzo e di coordinamento per l'attuazione della normativa europea in ambito nazionale. L'articolo 3 individua nelle autorità locali le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le quali sono chiamate a svolgere le attività tecnico-scientifiche ed amministrative relative alla produzione con metodo biologico. Lo stesso articolo dispone che tali attività siano svolte dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano "nel rispetto delle competenze primarie e concorrenti loro spettanti". Quanto alle finalità, il comma 2 dell'art. 1 definisce la produzione biologica attività di interesse nazionale con funzione sociale, in quanto attività economica basata, tra l'altro, sulla qualità dei prodotti, sulla sicurezza alimentare, sul benessere degli animali e sulla riduzione delle emissioni inquinanti. Il comma 3 equipara il metodo di agricoltura biodinamica al metodo biologico nei limiti in cui il primo rispetti tutti i requisiti previsti a livello europeo per produrre biologico.

Con l'articolo 4 viene istituito il Tavolo tecnico per l'agricoltura biologica al quale viene affidato il compito di delineare indirizzi al Ministro e definire le priorità per il Piano d'azione nazionale per l'agricoltura biologica nonché di esprimere pareri sui provvedimenti di carattere nazionale ed europeo in merito alla produzione biologica. Il Tavolo propone, altresì, interventi per l'attività di promozione dei prodotti biologici e organizza almeno un incontro annuale per confrontare le esperienze dei distretti biologici

L'articolo 5 prevede che il Dicastero agricolo adotti il Piano d'azione nazionale per l'agricoltura biologica contenente interventi per: agevolare la conversione al biologico, con particolare riferimento alle piccole imprese agricole; sostenere la costituzione di forme associative per rafforzare la filiera del biologico; incentivare il biologico attraverso iniziative di informazione ed educazione al consumo; monitorare l'andamento del settore; migliorare il sistema di controllo e di certificazione; incentivare enti pubblici ad utilizzare il biologico nella gestione del verde; incentivare fa ricerca.

L'articolo 6 istituisce il Fondo per lo sviluppo dell'agricoltura biologica (in realtà già previsto a legislazione vigente ma con diverse finalità) destinato al finanziamento del Piano d'azione, con una riserva del 30 per cento alla ricerca. Il Fondo è alimentato dal contributo annuale dovuto per la sicurezza alimentare nella misura del 2 per cento del fatturato dell'anno precedente relativo alla vendita di prodotti fitosanitari; tale contributo è già previsto a legislazione vigente ed è destinato al finanziamento del Fondo. Innovativa risulta, invece, l'introduzione di sanzione in caso di mancato pagamento del contributo. L'articolo 6-bis prevede che anche nell'ambito della filiera biologica possano essere costituiti contratti di rete mentre l'art. 7 delinea le modalità attraverso le quali operare il sostegno alla ricerca tecnologica ed applicata nel settore. A tal fine viene prevista la promozione di specifici percorsi formativi, la destinazione di quota parte delle risorse dell'attività del CNR alla ricerca in campo biologico, la previsione di specifiche azioni di ricerca nel piano triennale del Consiglio per la ricerca in agricoltura nonché la destinazione, come già accennato, del 30 per cento delle risorse del Fondo per lo sviluppo dell'agricoltura biologica alla ricerca nel settore.

L'articolo 8 è volto a promuovere la formazione professionale nel settore mentre gli articoli 9, 10, 11 e 12 dettano nuove ed innovative disposizioni in materia di organizzazione della produzione e del mercato, fornendo una definizione di: distretti biologici (art.9), intendendosi per tali i sistemi produttivi locali nei quali sia significativa la produzione con metodo biologico o con metodologie culturali locali. Si caratterizzano per un'integrazione tra attività agricole ed altre attività economiche e per la presenza di aree paesaggistiche rilevanti. I partecipanti al distretto possono costituire un Comitato direttivo che avanza la richiesta di riconoscimento alla regione di appartenenza; intese di filiera (art.10) volte a: valorizzare le produzioni ottimizzando i costi di produzione; garantire la tracciabilità; promuovere le attività connesse; e agevolare Io sviluppo dei distretti biologici. Le intese possono prevede accordi per una programmazione della produzione o per un programma di miglioramento della qualità che abbia come conseguenza diretta una limitazione del volume di offerta. L'intesa è comunicata al Ministero previa verifica della compatibilità comunitaria; organizzazioni di produttori biologici (art. 11) che sono riconosciute dalle regioni secondo criteri che saranno definiti con decreto del Ministro delle politiche agricole, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni. Vengono indicati i requisiti richiesti alle organizzazioni perché le stesse possano essere riconosciute; organizzazioni interprofessionali (art. 12) aventi le finalità di migliorare la trasparenza delta produzione, anche mediante la pubblicazione di dati statistici, di meglio coordinare le modalità di immissione dei prodotti sul mercato e di redigere contratti tipo per la vendita di prodotti. Con decreto del Ministro delle politiche agricole è riconosciuta una sola organizzazione interprofessionale a livello nazionale o a livello della medesima circoscrizione economica. Sono stabiliti i requisiti per il riconoscimento, tra i quali, è previsto quello di rappresentare una quota dell'attività economica pari ad almeno il 30 per cento del valore dei prodotti della filiera biologica nazionale o, nel caso di organizzazione operanti in una sola circoscrizione, il 40 per cento del valore dei prodotti della filiera nella circoscrizione o il 25 per cento a livello nazionale. Le organizzazioni interprofessionali possono richiedere che alcuni accordi siano resi obbligatori anche nei confronti dei non aderenti la stessa organizzazione. Le regole devono aver avuto almeno 1'85 per cento del consenso degli interessati. il Ministero decide sulla richiesta di estensione delle regole; in caso positivo, le stesse regole si applicano a tutti gli operatori del settore biologico anche se non aderenti all'organizzazione.

L'articolo 13, infine, prevede che gli agricoltori che producono varietà di sementi biologiche iscritte nel registro nazionale delle varietà da conservazione nei luoghi dove tale varietà di sono sviluppate hanno diritto alla vendita diretta ed in ambito locale e possono procedere al libero scambio delle stesse. Per le sementi non iscritte ad alcune registro evolute ed adattate nell'ambiente di coltivazione è riconosciuto il diritto di vendita diretta agli altri agricoltori in ambito locale in una quantità limitata di sementi.