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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 777 di lunedì 10 aprile 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

La seduta comincia alle 14,05.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

RICCARDO FRACCARO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 3 aprile 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Baldelli, Baretta, Bellanova, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, Coppola, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Manlio Di Stefano, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fiorio, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Migliore, Orlando, Pes, Piccoli Nardelli, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Russo, Sanga, Sani, Scalfarotto, Sereni, Tabacci, Valeria Valente e Velo sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente novantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione delle mozioni Grillo ed altri n. 1-01563 e Rondini ed altri n. 1-01581 in materia di liste d'attesa per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale ed esercizio della libera professione intramoenia (ore 14,07).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Grillo ed altri n. 1-01563 (Nuova formulazione) e Rondini ed altri n. 1-01581 in materia di liste d'attesa per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale ed esercizio della libera professione intramoenia (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Palese ed altri n. 1-01584, Binetti ed altri n. 1-01585 e Brignone ed altri n. 1-01586 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritta a parlare la deputata Giulia Grillo, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01563 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

GIULIA GRILLO. Grazie, Presidente. Mi trovo qui oggi in quest'Aula per discutere di un tema che, da quando siamo in Parlamento, non è stato mai oggetto di alcun intervento normativo né di alcuna discussione da parte dei cittadini eletti democraticamente dal popolo. È un argomento particolarmente importante perché verte sulle liste d'attesa delle prestazioni sanitarie e sulle prestazioni sanitarie rese nella libera professione, altresì detta intramoenia.

Ritengo che sia piuttosto strano ma anche emblematico che questo Parlamento ma anche questo Governo - questi Governi di questa legislatura - non si siano mai preoccupati di affrontare questo tema; e lo ritengo emblematico perché è chiaro che non rappresenta una priorità per questo Parlamento, ad eccezione ovviamente della mia formazione politica che ha deciso di presentare una mozione in tale direzione, né tanto meno per i Governi a guida Partito Democratico, che si sono succeduti in questi anni, intervenire sul tema delle liste d'attesa. Eppure è strano perché proprio il problema delle liste d'attesa non solo è uno dei problemi principali percepiti dai cittadini e vissuti dai cittadini con peripezie e angosce di ogni tipo, ma è anche uno dei motivi principali di mancato accesso alle prestazioni da parte dei cittadini, che poi si unisce, ovviamente, all'alto costo della prestazione in regime privato qualora il cittadino, appunto, non riesca, per i lunghi tempi di attesa, ad accedere alla prestazione offerta dal sistema pubblico.

Quindi, questo significa che intervenire in maniera massiccia sul tema delle liste d'attesa e sull'intramoenia, che teoricamente dovrebbe essere funzionale allo smaltimento delle liste d'attesa, significa anche intervenire in maniera decisa per consentire ai cittadini di rimanere nell'alveo della sanità pubblica e non favorire, con comportamenti non virtuosi da parte della pubblica amministrazione, la sanità privata per poi sentirci ripetere dai soliti soloni della sostenibilità della sanità pubblica che l'unica soluzione è privatizzare il sistema con forme varie che vengono presentate dai vari “statisti” di turno. Alcuni hanno il coraggio di dire che vogliono direttamente smantellare il nostro servizio sanitario; altri, invece, hanno meno coraggio e, quindi, si nascondono dietro la bandiera della sanità integrativa, che comunque è sempre una privatizzazione peraltro pagata dal pubblico, visto che la sanità integrativa si avvale delle deduzioni fiscali dell'ammontare della prestazione che viene pagata e/o del totale del costo dell'assistenza integrativa annua.

Che il tema delle liste d'attesa non sia - e io così informo anche tutti i cittadini - assolutamente al centro né dell'agenda politica di questi Governi né di quelli che l'hanno preceduto lo testimonia un fatto molto semplice, cioè che l'unico intervento normativo, se così si può dire, del Governo sulle liste d'attesa è il Piano nazionale del contenimento delle liste d'attesa. Questo piano nazionale risale nientemeno che al 2010 e, quindi, oggi stiamo parlando di sette anni fa.

Adesso siamo in attesa di un nuovo piano nazionale, però naturalmente con le dovute comodità di chi deve redigere questo nuovo piano.

Ma la cosa ancora più incredibile è che questo piano nazionale - che era un piano triennale, per cui in Italia si fanno questi piani triennali che poi, però, dal 2012 in poi non vengono aggiornati, come si finisce si racconta - è uno schema d'intesa tra Governo e regioni, e in attuazione di che cosa? Dell'articolo 1, comma 280, della legge 23 dicembre 2005, n. 266. Quindi, con la solerzia tipica di questa specie di macchina mastodontica, che sono il Governo e il Parlamento, dopo cinque anni si è data attuazione al comma 280 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 - che evidentemente era la legge finanziaria -, e si redige questo benedetto piano nazionale di governo delle liste d'attesa. Quindi, vedete quanta priorità è stata data dai Governi negli anni passati - e anche in questi ultimi anni - al governo delle liste d'attesa. Quindi, un unico piano nazionale, vecchio di sette anni, che adeguava una normativa di cinque anni prima e, tra l'altro, anche un piano piuttosto scarso - voglio dire - proprio anche da un punto di vista delle proposte e delle indicazioni, talmente scarso che appunto non si è raggiunto alcun risultato.

A monte di questo va detto che prima c'erano stati vari interventi normativi sempre molto timidi, ma anche vari studi, studi che erano stati fatti nel famoso mattone del sistema mattoni del Servizio sanitario nazionale, il mattone “tempi di attesa”, con pubblicazioni, capitoli, cose meravigliose, concluso nel 2006, ma cui venivano già evidenziati alcuni punti che erano importanti naturalmente per il governo della liste d'attesa. Adesso ne cito uno, perché è carino e perché siamo nel 2017 e, quindi, sono passati 11 anni e praticamente, nonostante tutti questi studi e queste deduzioni, è stato fatto poco o niente. Uno di questi è l'informatizzazione di tutti i medici di medicina generale, che è fondamentale perché la razionalità vorrebbe che il medico di medicina generale fosse colui che si occupa, come sta avvenendo - e adesso lo citiamo - in alcune regioni, della prenotazione della prestazione e questo per vari motivi: innanzitutto, perché tramite il medico di medicina generale è possibile valutare l'appropriatezza della prescrizione, che sicuramente è un tema importante ma che non è certamente la causa dell'allungamento dei tempi delle liste d'attesa, e perché facilita la vita al cittadino che è già malato o, comunque, che già ha un sintomo e - diciamo - non deve sbattere letteralmente da un posto ad un altro o stare ore e ore in attesa telefonica prima che gli risponda qualcuno per prenotare una visita e poi magari sentirsi rispondere che la visita è prenotata dopo 2, 3, 4 o 5 mesi. Quindi, lo dicevano già nello “studio Mattoni” che andavano informatizzati tutti i medici di medicina generale.

Parlavano anche di vincoli di equilibrio istituzionale intramoenia e questo, poi, è stato recepito nel 2007 e, poi, anche ribadito nel “decreto Balduzzi”. Quindi, qualcosa è stato fatto con la registrazione delle attività di intramoenia e il tempo pieno per i medici, ma anche l'incremento delle ore lavorative degli specialisti. Diciamo che, se ci si volesse mettere a controllare in tutte le strutture, si vedrebbe come in molti casi le attività di prenotazione, per esempio, degli esami diagnostici vengono fatte in un arco orario di tempo - anche, per esempio, solo la mattina - pur in presenza di specifiche turnazioni dei medici anche il pomeriggio e pur in presenza ovviamente dei mezzi per fare gli esami diagnostici, con buona pace, invece, degli studi privati convenzionati di radiologia, che spesso poi hanno anche il buongusto di essere allocati vicino all'ospedale così che il cittadino non va a farsi la visita nella struttura pubblica, ma va invece a pagamento - che paghiamo poi sempre noi - nello studio privato, convenzionato naturalmente e magari posizionato accanto all'ospedale. Quindi, diciamo che c'erano tutti gli elementi per poter intervenire.

Ancora più incredibile è quello che viene contenuto nel decreto legislativo n. 124 del 1998. Quindi, stiamo parlando di una legge di quasi vent'anni fa, che, quando l'ho letta, mi è sembrata incredibile, perché ho detto che le leggi ci sono. Questo è un altro problema di questo Paese: il problema di questo Paese è che si sono fatte talmente tante di quelle leggi che ormai non le conosce più nessuno. Perlomeno, vi posso assicurare che, nell'ambito della sanità, che è il settore di cui mi occupo, il problema dell'eccesso normativo è un problema serio; andrebbe fatto un testo unico e andrebbero fatte delle leggi quadro, come, per esempio, sull'intramoenia, che affronteremo tra poco, ma anche sul tema delle liste d'attesa, perché non è possibile governare un Paese se non si è in grado di governare la produzione normativa del Paese stesso.

Il decreto legislativo in questione, il n. 124 del 1998, al comma 12 dell'articolo 3 dice: le regioni disciplinano, anche mediante l'adozione di appositi programmi, il rispetto della tempestività dell'erogazione delle predette prestazioni con l'osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi: assicurare all'assistito la effettiva possibilità di vedersi garantita l'erogazione delle prestazioni nell'ambito delle strutture pubbliche, attraverso interventi di razionalizzazione della domanda - e qui ci rifacciamo all'appropriatezza, per carità, tutto giusto -, nonché interventi tesi ad aumentare i tempi di effettivo utilizzo delle apparecchiature e delle strutture.

Quindi, già nel 1998 il legislatore diceva: signori direttori generali, fate in modo di utilizzare al massimo le strutture e le risorse umane che avete, in modo da incrementare la capacità di offerta delle aziende, eventualmente attraverso il ricorso anche all'attività, ovviamente, libero-professionale, ovvero forme di remunerazione legate al risultato.

Ancora: prevedere, sulla scorta dei risultati delle attività di vigilanza, eccetera, idonee misure - anche qui, il legislatore lo aveva scritto - da adottare nei confronti del direttore generale delle aziende unità sanitarie locali in caso di reiterato mancato rispetto dei termini individuati per l'erogazione delle prestazioni.

Adesso mi piacerebbe sapere in quanti casi siano state applicate misure, diciamo, punitive, tra virgolette, nei confronti dei direttori generali che non hanno consentito il rispetto dei tempi di erogazione delle prestazioni.

Ma, ancora di più, questa legge dice un'altra cosa, e questo lo dico in particolare ai cittadini, che è uno strumento giuridico al quale possono appellarsi qualora l'azienda non garantisca il rispetto dei tempi di attesa, che è il comma 13.

Il comma 13 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 124 del 1998 dice: fino all'entrata in vigore delle discipline regionali di cui al comma 12, quindi all'entrata in vigore della disciplina per cui le regioni dovevano provvedere a ottimizzare al massimo le strutture che avevano per garantire l'erogazione nei tempi di attesa, la legge dice che, qualora l'attesa della prestazione richiesta si prolunghi oltre il termine fissato dal direttore generale, l'assistito può chiedere che la prestazione venga resa nell'ambito dell'attività libero professionale intramuraria, ponendo a carico dell'azienda unità sanitaria locale di appartenenza, nel cui ambito è richiesta la prestazione in misura eguale, la differenza fra la somma versata a titolo di partecipazione al costo della prestazione e l'effettivo costo di quest'ultima.

Detta in parole povere, significa che, se l'azienda sanitaria locale non ha messo in atto tutte le previsioni normative del comma 12, quindi deve dimostrare di averle messe in atto tutte, il cittadino a cui viene risposto che l'erogazione di quella prestazione, per esempio una TAC o una risonanza magnetica, non può essere fatta nei termini previsti per legge, che devono essere adeguatamente pubblicizzati sul sito - anche questo era scritto -, può chiedere, tramite una lettera inviata al direttore generale, di avere quella prestazione effettuata in intramoenia, ponendo a suo carico solo ed esclusivamente il costo del ticket, e quindi a carico dell'azienda il costo accessorio che è ultroneo al ticket.

Questo, il cittadino oggi lo può richiedere ancora, perché il comma 13 è tuttora in vigore, e quindi invito tutti i cittadini che si sentano rispondere che non c'è spazio per prenotare la visita a usare uno strumento normativo che è presente a tutt'oggi.

Ma andiamo avanti: questa mozione cade a fagiolo, a quattro giorni dalla presentazione del rapporto di Transparency Italia sulla corruzione nella sanità; tale rapporto è stato anche criticato da esponenti politici. Chi lo sa fare meglio di Transparency lo faccia, però, al momento, è l'unico rapporto di cui disponiamo e, quindi, utilizziamo questi dati. Da questo rapporto del 2017 si evince che il 51,7 per cento delle aziende sanitarie non si è dotato di adeguati strumenti anticorruzione, come previsto dalla legge n. 190 del 2012.

In particolare, i rischi di corruzione, guarda caso, più frequenti sono proprio: la violazione delle liste d'attesa; la segnalazione dei decessi alle imprese funebri private è il secondo punto; il terzo punto è proprio costituito dai favoritismi ai pazienti provenienti dalla libera professione. Quindi, senza volere, questa mozione va a incidere su due aspetti, il primo e il terzo, di quelli che rappresentano le maggiori aree di corruzione all'interno della Servizio sanitario pubblico.

Quindi, ancor di più si sarebbe dovuto intervenire nel tempo per evitare che ciò accadesse, ma, purtroppo, non è stato fatto. Quindi, vediamo quanto poco sia stato fatto, a partire, come abbiamo già detto, dal Piano nazionale, vecchissimo, del 2010, delle liste di attesa. Un'altra cosa incredibile che abbiamo scoperto, tra virgolette, è che non c'è un obbligo da parte del Ministero di fare una relazione annuale - questo noi lo mettiamo nella nostra mozione - al Parlamento proprio sul rispetto normativo dei tempi di attesa delle prestazioni.

Questo appare incredibile perché, in realtà, i dati ci sono, perché l'Agenas si occupa di monitorare in tempo reale, tramite tutta una serie di strumenti che stanno all'interno del sistema informatico sanitario, i tempi di erogazione delle prestazioni e, quindi, appare quantomeno inverosimile che non sia riferito al Parlamento quale sia lo stato di attuazione non solo del rispetto dei tempi di attesa, ma anche di un altro attore principale di tutto quello di cui stiamo parlando, che è il sistema CUP.

Perché parlo del sistema CUP? Perché, chiaramente, il sistema CUP, ossia centro unico di prenotazione, rappresenta l'altro momento normativo, se così si può dire, perché comunque sono sempre linee guida, rappresenta l'altro momento cardine del governo delle liste di attesa, perché attraverso il centro unico di prenotazione è possibile prenotare la prestazione con diverse modalità, che erano state previste da queste linee guida nazionali, e deve avere la funzione di garantire tutta una serie di cose.

Innanzitutto, anche qui, vediamo una cosa particolare: questo sistema CUP e le linee guida nazionali del sistema CUP risalgono nientedimeno che al 27 ottobre 2009; quindi, anche queste sono un po' vecchiotte. Ma devo dire che, nonostante siano vecchiotte, se ne fosse stato attuato almeno il 20 per cento… In alcune aree del nostro Paese è stato attuato anche il 100 per cento, ma sul sistema di attuazione, purtroppo, del sistema CUP, anche lì, non abbiamo una relazione al Parlamento, quindi abbiamo dei dati che si raccolgono da vari siti. Sono impazzita per più di una settimana per cercare di capire qualcosa e ho avuto difficoltà e, naturalmente, questa mancata trasparenza, ovviamente, delle informazioni non consente neanche poi di fare degli interventi specifici e migliorativi.

Però, per dirne proprio la più semplice, tra gli aspetti organizzativi gestionali del sistema CUP di back office, cioè di quello che si fa dentro il sistema CUP, era previsto che il sistema CUP servisse per la gestione e la programmazione delle agende di prenotazione, che, come vedremo, sono importantissime tanto per le liste di attesa, quanto per l'intramoenia, il supporto ai punti di prenotazione e di erogazione e proprio il monitoraggio per il governo delle liste di attesa.

Quindi, vedete bene come si integri il governo delle liste d'attesa con la realizzazione del sistema CUP, che poi, ripeto, è molto articolato, doveva servire, qualora fosse interamente realizzato, e quindi, naturalmente, c'è anche un problema di finanziamento, quindi capire quanto poi le aziende sanitarie avessero in capo per poterlo effettivamente strutturare, ed è per questo che noi, sempre nella nostra mozione, prevediamo nel DEF un impegno di spesa specifico per quei sistemi CUP che ancora hanno bisogno di implementazione.

Comunque, tra le varie attività che dovevano essere attuate con il sistema CUP c'era quella dell'accesso alla prestazione. Quindi, il cittadino, nel momento in cui deve accedere a una prestazione, per prenotarla aveva diverse possibilità.

Quindi lo sportello, e quello c'è, il telefono, che ahimè rimane lo strumento prevalente: dico “ahimè” perché innumerevoli sono gli episodi di cittadini che stanno ore al telefono, aspettando che qualcuno risponda loro. Prenotazioni effettuate direttamente da operatori sanitari, e questo in parte esiste; prenotazioni effettuate presso le farmacie territoriali tramite postazioni di lavoro presidiate: relativamente a questo non abbiamo contezza di quanti siano i casi. Prenotazioni ad uno sportello CUP sito in strutture convenzionate, e prenotazioni web: ecco, prenotazioni web diciamo che penso che se siamo all'1 per cento, anche lì non ho i dati, ma insomma, se siamo all'1 per cento di prenotazioni web, è già tanto. Tra l'altro, oltre questo, sempre il CUP web, quindi una linea guida di 10 anni fa, doveva prevedere anche la possibilità di agevolare il più possibile il cittadino, quindi far pagare il cittadino in varie modalità - ne dico alcune così vi mettete a ridere - , farlo pagare, oltre che presso la sede, quindi presso lo sportello in cui prenota o presso il servizio presso cui effettua la prestazione, anche tramite uffici postali, ricevitorie e servizi web. Ora, tutte queste cose sembra che facciano ridere; però, la vita del malato è un inferno, ma non è solo un inferno perché è malato; è anche un inferno perché l'accesso alla burocrazia è folle, quindi piccoli interventi… Noi per esempio abbiamo anche proposto adesso, nella nostra finanziaria regionale in Sicilia, il pagamento del ticket anche in altre sedi, come già si fa per i bolli auto, per altre prestazioni, che si pagano per esempio nelle ricevitorie e nelle tabaccheria. Pertanto, per rendere più semplice la vita del cittadino, forse bisognava impegnarsi un attimo di più di quanto non sia stato fatto fino ad oggi.

E arrivo ad un altro punto, ma, a proposito di sistema CUP, prima di passare avanti, voglio raccontare un esempio molto interessante di best practice, se così possiamo dire, che con un po' di volontà si sarebbero potuto trasferire; ciò era indicato anche nello studio Mattoni, ossia individuare (se non ricordo male l'ho letto lì, ma l'ho trovato nella miriade di documenti che ho letto) delle best practice che si erano sviluppate nel frattempo, perché qualcuno che fa delle cose buone esiste, e magari trasferirle in altre realtà.

Il Veneto - che è una delle regioni che sicuramente in questo studio che ho svolto, per lo meno per quanto riguarda la libera professione, sembra essere la migliore - ha realizzato un progetto che si chiama “Oltre il CUP. Servizio digitale di sanità a chilometro zero”. Questo è un progetto secondo me che dovrebbe essere effettuato in tutta Italia, è un progetto sperimentale, quindi ancora piccolino, che però potrebbe diventare un esempio virtuoso da seguire. Allora, in questo progetto, innanzitutto la ricetta è ovviamente dematerializzata, e c'è un doppio vantaggio: abbiamo il vantaggio del cittadino che ha prenotata la prestazione direttamente dal medico di medicina generale, che con un clic, quindi accedendo al sistema che è collegato in rete, prenota direttamente la prestazione, monitorando insieme al paziente anche i tempi di attesa e la sede presso cui verrà poi prenotata la prestazione. Quindi c'è un doppio vantaggio: intanto perché c'è un monitoraggio sull'appropriatezza della prestazione, perché il medico di medicina generale si fa garante dell'appropriatezza di quella prestazione; ma dall'altra parte il cittadino non deve impazzire a cercarsi lui la prenotazione, ma ha qualcuno che… Tra l'altro conosce anche il tema dei tempi di attesa, dei tempi massimi: perché un altro dei grandi problemi della sanità è la famosa asimmetria informativa, cioè il fatto che al cittadino non arrivano tutte le informazioni necessarie a conoscere e ad esigere i suoi diritti, come quello per esempio del tempo massimo di attesa previsto per la prestazione; ed è per questo che in questa mozione chiediamo che su tutti i siti web delle aziende venga messa molto in evidenza (per esempio lo fa molto bene l'ASL di Cuneo) l'area delle liste d'attesa, e al contempo, quando si clicca sui file dei tempi di attesa che sono aggiornati per mese, i tempi di attesa siano raffrontati con i tempi massimi: perché, se sono un cittadino normale, che ovviamente non conosce a memoria la normativa nazionale e regionale (sfido chiunque, anche in questo Parlamento, a dirmi che la conosce), se devo andare a controllare i tempi di attesa, e come fanno moltissime aziende sanitarie mi viene indicato solo il tempo di attesa senza prevedere vicino quello che invece è previsto per legge, io come faccio a sapere se il tempo che mi stai indicando…? Insomma!

Quindi, il minimo sindacale è che venga indicato, oltre al tempo di attesa per quella prestazione, anche accanto qual è il tempo d'attesa previsto dalla normativa nazionale e/o regionale.

Parlavo di questo esempio virtuoso, relativo all'ASL di Belluno presso 13 medici di medicina generale, che si sta estendendo anche alle ASL veneziana e di Este, il quale è stato portato avanti in collaborazione, va detto, anche con altre strutture, come il Centro veneto ricerca e innovazione per la sanità digitale. Quindi aree del Paese in cui ci si sta chiedendo come migliorare la vita del cittadino, e migliorare anche in senso organizzativo l'erogazione della prestazione, ci sono e andrebbero studiate in maniera seria e prese ad esempio.

Quindi il monitoraggio e il CUP web, l'attuazione di tutte linee guida presenti nel sistema CUP del 2009 rappresentano già una linea di demarcazione per garantire i cittadini, insieme ad un'operazione trasparenza, l'esigibilità del diritto, qualora il cittadino non abbia la prestazione, come previsto dal comma 13, articolo 3, del decreto legislativo n. 124 del 1998: sono una serie di misure che noi attuiamo per ridurre le liste di attesa. Insieme ad un'altra misura, che è la misura sanzionatoria. Anche questa, incredibilmente, oltre ad essere prevista già inizialmente dal decreto legislativo n. 124 del 1998, era contenuta persino nella legge sulla libera professione, che viene utilizzata naturalmente per le liste d'attesa, che era la legge n. 120 del 2007, poi modificata dal decreto-legge cosiddetto Balduzzi.

In particolare, cosa dice il comma 7 dell'articolo 1? Il comma 7 dell'articolo 1 dice che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, eccetera, assicurano il rispetto delle previsioni di cui ai commi precedenti, che sono quelli della libera professione, anche mediante l'esercizio di poteri sostitutivi (di poteri sostitutivi, quindi il commissario ad acta) e la decurtazione della retribuzione di risultato, pari ad almeno il 20 per cento, ovvero la destituzione del direttore generale nell'ipotesi di grave inadempienza. Quindi è il direttore generale delle aziende policlinici e istituti di cui al comma 5. Io credo non sia stato mai utilizzato questo riferimento normativo, cioè il commissario ad acta per gli inadempimenti sulla libera professione che serve anche per la gestione delle liste d'attesa, e né tantomeno la decurtazione dell'onorario del 20 per cento. E prevediamo anche che il rispetto dei tempi delle liste d'attesa, nonché delle previsioni normative sulla libera professione, sia uno degli obiettivi strategici da porre ai direttori generali, il cui inadempimento può prevedere appunto l'applicazione di queste sanzioni previste per legge.

Ma arriviamo all'intramoenia. Perché abbiamo unito in questa mozione questi due temi? Perché sono ormai innumerevoli i casi in cui il cittadino vede purtroppo con i suoi occhi delle cose strane, vede e sente. Alcune delle cose più comuni sono: chiamo il numero verde, o comunque il numero per prenotare, e mi dicono che, se usufruisco della prestazione col servizio che si chiama dal punto di vista giuridico “istituzionale”, quindi la normale prestazione che mi eroga il servizio pubblico, ci vogliono cinque mesi; se invece vuole, mi dice la signorina o il signore della linea telefonica, se vuole, può fare la prestazioni in intramoenia pure dopodomani. Allora il cittadino dice: scusi, ma com'è possibile? Se ci vogliono cinque mesi per usufruirne non a pagamento, perché l'intramoenia comunque è a pagamento… Anche se un pagamento che teoricamente è calmierato, ma poi vedremo che non è calmierato, e questo è un meccanismo che sta danneggiando profondamente il servizio pubblico. Dice: no, se lo fa in intramoenia… Allora giustamente il cittadino dice: com'è possibile?

E quindi il cittadino dice: basta, eliminiamo l'intramoenia, perché evidentemente l'intramoenia è diventato un modo solo per fare guadagnare i medici che fanno l'intramoenia. In realtà, non è proprio così, nel senso che la normativa sull'intramoenia aveva previsto tutta una serie di misure che dovevano essere attuate affinché l'intramoenia diventasse un'opportunità, uno strumento utile, uno strumento di governo proprio delle liste di attesa, utile da sfruttare da parte della struttura. Tra l'altro, l'intramoenia è successiva a un rapporto di esclusività che il medico fa con l'azienda; il medico dice: io lavoro solo per il pubblico. Oggi il 95 per cento dei medici dipendenti del Servizio sanitario pubblico lavorano solo per il pubblico, quindi hanno un rapporto di esclusività. Di questo 95 per cento circa la metà esercita l'intramoenia. Perché è importante questo rapporto di esclusività?

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

GIULIA GRILLO. Stiamo finendo? Trenta minuti avevo.

PRESIDENTE. Ne ha passati ventinove, onorevole Grillo.

GIULIA GRILLO. Dovevo dire un sacco di cose. Comunque, l'intramoenia doveva servire proprio a questo. In realtà, la relazione al Parlamento presentata nel 2016 che si riferisce al 2014 ha evidenziato tutta una serie di criticità molto gravi. Ne dico due velocissime: esistono ancora molte regioni che fanno esercitare nelle aziende la libera professione extramuraria cioè quella effettuata negli studi professionali che non sono collegati in rete. Questo non era previsto per legge e quindi devono essere tutti collegati in rete e deve essere tracciabile la fatturazione, cioè se io cittadino vado a farmi una visita in intramoenia presso uno studio privato non devo pagare il medico, ma devo pagare l'azienda, e comunque quella prestazione deve essere tracciata.

Rimanderò l'ulteriore discussione alle dichiarazioni di voto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Comunque, onorevole Grillo, se lei vuole, può consegnare se ha delle…

GIULIA GRILLO. Era tutto nella mia testa.

PRESIDENTE. Avverto che sono state testé presentate le mozioni Fossati ed altri n. 1-01587 e Vargiu ed altri 1-01588 (Vedi l'allegato A) che, vertendo su materia analoga alle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

È iscritta a parlare la deputata Paola Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01585. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Mi spiace molto ho solo cinque minuti, non posso prendermi il tempo che si è presa la collega Grillo, per cui dovrò essere necessariamente molto schematica. Allora la prima cosa importante è che il tema delle liste d'attesa è un tema che è comparso recentemente, nel momento in cui sono stati contingentati i tempi di presenze di lavoro dei medici; fino a pochi anni fa la dedizione dei medici al loro lavoro ospedaliero era una dedizione incondizionata, che permetteva di avere come parametro di riferimento quanto lavoro c'è da fare e non quanto tempo debbo impiegare per svolgere questo lavoro. Quindi è una risposta che, in qualche modo, viene incontro a delle esigenze di contingentamento del tempo del medico, di rispetto dei suoi tempi di lavoro professionale, ma sottrae tempo ed energie al servizio diretto ai pazienti. Da questo punto di vista l'attività intramoenia permette al medico di continuare a lavorare oltre l'orario - chiamiamolo così - sindacale, entrando in un ordine di idee che è quello di rendere la propria competenza a disposizione contestualmente dell'azienda e dei pazienti, mettendoci del suo e ricavandone quello che è un equivalente sul piano economico, pattuito, concordato, discusso, eccetera.

D'altra parte questo permette al paziente due cose estremamente importanti: la prima è quella di scegliere il medico da cui vuole essere visitato; quindi di esercitare un diritto di libertà che significa molto spesso anche un diritto di continuità nel processo di cura, di non trovare in ambulatorio ogni volta un medico diverso e invece di poter accedere alla medesima persona che lo conosce, che se ne prende cura e che lo segue. D'altra parte permette anche all'azienda di ottimizzare l'uso delle sue strutture (penso per esempio ai grandi impianti di radiologia) anche oltre gli orari strettamente previsti, mettendo in condizione attraverso questo sistema (il sistema appunto del lavoro intramoenia) di far girare le macchine molto di più e molto più a lungo. Quindi una interpretazione virtuosa del tema dell'intramoenia dovrebbe rispondere a questo doppio criterio: rispetto della dignità del medico che lavora oltre l'orario di servizio, se vuole, quando vuole, quanto vuole, diritto del paziente a scegliere il medico da cui essere curato e diritto dell'azienda a sfruttare al massimo la potenzialità degli strumenti di cui dispone.

Sono tre obiettivi che possiamo considerare obiettivi virtuosi del sistema. Che cosa succede, però? Non sempre tutto ciò che potrebbe essere bello e potrebbe funzionare nel migliore dei modi funziona così. Concretamente, per esempio: noi sappiamo che molto spesso il paziente che accede anche a un servizio ambulatoriale spesso prenota una visita e poi non effettua quella visita, oppure vengono richieste delle visite che non corrispondono a criteri di appropriatezza, criteri di urgenza, eccetera, per cui si satura il Servizio sanitario nazionale con prestazioni che non sempre corrispondono alle richieste più congrue e quindi anche ad un rispetto più esteso comunque dei diritti dei pazienti.

Nello stesso tempo, i medici che cosa possono fare? Finché lavorano nell'intramoenia garantita all'interno delle strutture rispondono evidentemente anche dell'uso degli strumenti, dell'uso di tempi e di spazi, che sono sotto il controllo diretto dell'azienda, ma molte volte le aziende non sono in grado di garantire questo ai pazienti, per cui è scattato il modello dell'intramoenia allargata, vengono convenzionati studi o strutture che sono al di fuori dell'ospedale. In questo caso il controllo che si esercita diventa un controllo molto più limitato, diventa un controllo che può sfuggire sia al profilo strettamente economico, sia anche a quello che è il profilo di una corretta convenzione per cui c'è un ordine reale con i pazienti.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

PAOLA BINETTI. Mi avvio alla conclusione, mi dispiace molto, comunque non posso farci altro. Voglio dire soltanto questo per concludere: questo sistema avrebbe potuto garantire miglioramenti reali per tutti, medici, pazienti e strutture. Di fatto, nello stesso tempo, si presta a manipolazioni che tolgono alla struttura la capacità di sfruttarlo, al paziente la possibilità di accedervi per via gratuita invece di dover ricorrere ad un sistema a pagamento, e al medico possono offrire il diritto di continuare a lavorare, ma anche il rischio che questo diritto si converta in una sorta di indebita prestazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rocco Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01584. Ne ha facoltà.

ROCCO PALESE. Grazie, signor Presidente. A me dispiace che ho poco tempo, occorrerebbe per questo problema, che è un problema molto serio dal punto di vista assistenziale delle prestazioni in riferimento alla salute della popolazione del nostro Paese, molto più tempo. Io mi auguro che in Commissione possa esserci magari un momento di riflessione maggiore.

Signor Presidente, sono due le circostanze che minano alla base la condizione nel nostro Paese, con il Servizio sanitario nazionale, dell'accesso universalistico. Una è riferita alle risorse, al fabbisogno, se effettivamente tutte le situazioni del ticket mettano nelle condizioni tutta la popolazione a poter usufruire delle prestazioni. L'altra è la tempistica. Quando vengono erogate queste prestazioni? Ora non c'è dubbio che la situazione delle liste di attesa nasce all'epoca del Governo di sinistra, con la Bindi, che fece la legge n. 229, una norma ideologica, quella che, per superare la divisione che c'era rispetto al servizio che veniva erogato dai medici all'interno del Servizio sanitario nazionale, soprattutto quello ospedaliero, dove c'era il tempo determinato cioè il tempo pieno, tira fuori la cosiddetta esclusività del rapporto che è una norma ideologica. Questo ha consentito negli anni una disparità di organizzazione all'interno delle regioni pazzesca, certe volte anche all'interno stesso delle stesse regioni, all'interno delle ASL e addirittura, qualche volta, anche dei distretti, perché impatta sulla situazione dell'organizzazione.

Signor Presidente, ci sono state tante proroghe prima che fosse attuata l'esclusività del rapporto dell'intramoenia che in molte regioni rimane completamente inattuata.

In molte regioni, nonostante il fatto che i Governi nazionali, di vario colore, abbiamo più volte (non solo dal punto di vista normativo) stanziato nelle leggi di stabilità delle risorse, ex articolo 20, per la ristrutturazione, strutturale e tecnologica, del patrimonio strutturale del Servizio sanitario nazionale, purtroppo non sono state neanche utilizzate queste risorse che dovevano servire a creare strutture, ambienti e tecnologia per consentire l'espletamento dell'attività. Invece, a tutt'oggi, molte di queste attività vengono svolte in ambulatori privati e quant'altro. Penso che la situazione sia veramente arrivata a un punto tale che non sarebbe male che questi bistrattati e disattenti partiti del nostro sistema, in maniera globale, mettessero come punto nel programma come poter cercare di intervenire su questo problema estremamente sensibile. Il problema riguarda anche la tempistica. Ci sono situazioni veramente incredibili per cui una mammografia, spesso e ben volentieri, viene fissata a due anni di distanza, qualche ecografia a sei mesi, per non parlare della risonanza magnetica e della TAC.

Signor Presidente, mi autodenuncio: essendo medico, spesso e volentieri nella mia regione il CUP lo debbo fare io, personalmente; la gente, soprattutto il lunedì e il martedì, mi chiama per capire dove deve fissare un esame, addirittura non si riesce a capire dove fare alcuni esami di risonanza magnetica particolari, con mezzo di contrasto o senza mezzo di contrasto, e così via, per non parlare di quello che accade dal punto di vista dell'organizzazione in riferimento agli interventi chirurgici, di sala operatoria, si arriva alla situazione per cui gli anestesisti ci sono fino alle ore 14 e dalle ore 14 in poi vengono pagati in maniera diversa, con prestazioni che poi dovrebbero essere svolte in regime di plus orario o altro, che non si riesce a capire.

Tutto questo che cosa comporta, alla fine? A chi non ha risorse o a chi non è nelle condizioni di pagare subito, se si va a chiedere una TAC, si risponde “fra tre mesi”, “due mesi” quando va bene, se però gli stessi interlocutori, le stesse persone prenotano presso la stessa struttura a pagamento, in attività intramuraria, la si fa nel giro massimo di ventiquattro ore. Questo crea un'ingiustizia e anche una stortura. Quale, signor Presidente, soprattutto qui nella capitale, dove è molto avanzata questa situazione? Alla fine, la gente che ha possibilità, invece di fare prenotazioni, CUP e tutto quello che si vede, va direttamente nelle strutture a pagamento cosiddette “lowcost”, ma non sono lowcost, perché hanno un costo grosso modo pari al ticket. Ecco perché riteniamo che questa mozione presentata da tutti possa essere un punto di partenza di riflessione affinché venga di nuovo affrontato il problema, per vedere di dare una spinta soprattutto nelle regioni dove non è mai partita per bene questa situazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fossati, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01587. Ne ha facoltà.

FILIPPO FOSSATI. Presidente, il tema dell'intramoenia, il tema che discutiamo con le mozioni presentate, è un tema centrale nell'organizzazione sanitaria del Paese, e viene connesso - tutte le mozioni intervengono su questa connessione - al tema più generale delle liste d'attesa. Vorrei su questo fare un attimo una riflessione, ricordando che non dobbiamo - io credo non sia corretto - stabilire una relazione automatica e prevalente tra lo svolgersi dell'attività intramoenia e la crescita delle liste d'attesa. Le liste d'attesa sono prodotte da una pluralità di motivi, a partire dall'inappropriatezza delle indicazioni. Noi sappiamo, soprattutto per alcuni interventi diagnostici, per esempio, quanto sia clamorosa l'incidenza di risultati negativi, che è una spia evidente della poca qualità dell'indicazione del medico prescrittore. E a partire da questo dato eclatante, a monte, poi attraversiamo, per far crescere le liste d'attesa, i vari aspetti organizzativi del sistema, e, quando si parla di aspetti organizzativi, il più delle volte sono legati ad aspetti economici. Cosa intendo dire? È chiaro che, se un reparto è in crisi di dotazione organica, quel reparto non riuscirà a garantire tempi di attesa per le prestazioni sostenibili, e lì crescerà la lista.

Se in una struttura ospedaliera o in una struttura ambulatoriale, che ha bisogno però di tecnologie, di tecnologie diagnostiche, l'efficienza delle macchine è un'efficienza in calo, c'è un'obsolescenza delle macchine, lì avremo, oltre una qualità bassa, anche le liste di attesa che si allungano. Cito questi aspetti - e ancora non siamo all'intramoenia, questi elementi vengono tutti accanto o prima - perché manifestano una difficoltà del Sistema sanitario nazionale, che è generale, ma che dobbiamo tenere, però, sempre in primo piano. Siamo di fronte ad un sistema sottofinanziato, ormai da anni, anche quando la cifra assoluta delle destinazioni pubbliche è uguale o in leggero aumento rispetto a quella dell'anno precedente, perché ciò rappresenta sempre una diminuzione rispetto ai livelli del 2007-2008; ma soprattutto, il dato è un sottofinanziamento rispetto al Prodotto interno lordo. Si misura così il livello di spesa sanitaria di un Paese, e l'Italia è negli ultimissimi posti d'Europa per finanziamento del sistema in rapporto al PIL: non tocchiamo il 7 per cento del PIL, siamo sotto il 7 per cento, che è considerata la soglia realistica credibile di una possibilità di buon finanziamento del sistema.

È un sistema in cui ancora teniamo in piedi un blocco del turnover molto rigido, che non consente il rinnovamento della classe medica e degli operatori sanitari, e soprattutto non lo consente dove ce ne sarebbe bisogno, perché come tutti i meccanismi di blocco del turnover è un meccanismo non intelligente, che non seleziona la destinazione delle risorse dove ce n'è bisogno. Questo è il quadro, quindi la vera svolta va costruita su questo aspetto, sull'aspetto di un nuovo, intelligente, governato, finanziamento del sistema. Dentro questo contesto si pone il tema della libera professione degli addetti. E teniamo presente l'origine: è stato sottolineato questo aspetto dell'uso della libera professione per governare i ritardi nelle liste d'attesa, ma ricordiamoci che il problema della libera professione intramuraria è stato un problema relativo ad un aspetto molto profondo del rapporto medico-paziente e delle possibilità che un cittadino dovrebbe avere dentro il Sistema sanitario nazionale, che è quello della libertà di scelta. Noi non abbiamo voluto, fin dalla costruzione del Sistema sanitario nazionale universalistico e poi nelle successive riforme che hanno approfondito e dettagliato l'organizzazione del sistema sul territorio, rinunciare a dare questa possibilità al cittadino, e questo è un tema molto sentito dagli operatori. Il rapporto medico-paziente non è se realizzabile e scomponibile in atti che non tengono conto del rapporto di cura e dell'alleanza che si instaura nel paziente, e non può essere una struttura complessivamente intesa a rappresentare questo tipo di fiducia e di affidamento. Il rapporto con il singolo medico è un rapporto importante. L'intramoenia serve a questo, serve a dare la possibilità al cittadino, a determinate condizioni, di mantenere un rapporto terapeutico con il medico prescelto per le sue capacità, per la sua chiara fama, per i motivi per cui un'alleanza con il medico si instaura.

Allora dobbiamo tener presente questo aspetto, che è un aspetto che ha consentito quel dato che veniva riferito anche dal primo intervento - molto informato - dell'onorevole Grillo: ha consentito a questo Paese di avere una fedeltà al sistema da parte del 95-96 per cento degli operatori, che oggi scelgono l'esclusività di rapporto con il Sistema sanitario nazionale.

Naturalmente, detto questo, quindi ricordato il valore della pratica della libera professione intramuraria, noi dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti di legge, gli strumenti regolamentari e gli strumenti organizzativi perché questa attività sia corretta nel senso della trasparenza, nel senso della conoscenza, nel senso del rapporto con i cittadini e con gli altri colleghi dentro una struttura, dentro un reparto ospedaliero o dentro un sistema ambulatoriale e che sia non solo compatibile - in questo caso certamente il problema va posto - ma anche di sostegno a politiche aziendali che limitino l'allungamento delle liste d'attesa. E bisogna farlo con tutti gli strumenti che sono già nella disponibilità dei direttori sanitari e nella disponibilità delle regioni: rispetto al sistema di prenotazione, la possibile centralizzazione del sistema di prenotazione nelle mani di responsabili di procedimento che gestiscono le agende singole, che in molte realtà già non esistono più con un'autogestione totale da parte del reparto o del singolo medico ma in molte situazioni e in molte regioni d'Italia le liste d'attesa vengono ormai gestite complessivamente da un contesto più centralizzato di presidio aziendale o, talvolta, per qualche patologia anche regionale; il controllo sui volumi dell'attività intramoenia; il rapporto sull'organizzazione interna dei presidi ospedalieri e dei presidi ambulatoriali perché la gestione degli spazi è una gestione che spesso, se non è costruita bene, induce effetti non voluti. Si punta infatti ad attrezzare una sala operatoria, un contesto chirurgico ospedaliero per rispondere a determinate tipologie e livelli di prestazioni e si lascia indietro un altro tipo di prestazione, ad esempio il day surgery. Quindi l'organizzazione interna riveste un ruolo decisivo per gestire l'alternanza e la compresenza tra intramoenia e attività istituzionale. Quindi, è necessario il governo del sistema con tutti gli strumenti che tendenzialmente, anzi volendo di fatto, sono già a disposizione. In questo senso è necessaria una regia nazionale ed è davvero un dato - non mi piacciono gli aggettivi esagerati - ma insomma è un po' scandaloso che tutti sanno e tutti affermiamo che il tema principale di difficoltà del Sistema sanitario nazionale, è l'allungarsi delle attese per i cittadini che poi portano i cittadini a dover intervenire con i propri soldi o per l'intramoenia o per il ricorso al privato ma il piano nazionale di Governo delle liste d'attesa non è stato ridefinito dal 2012. Questo non si spiega e deve essere messo immediatamente all'ordine del giorno: la realizzazione di un intervento che, come tutti i piani nazionali, indica linee-guida e si dà strumenti di gestione, insieme alle regioni, perché poi le cose vengano attuate. Questo è il punto: riuscire a mettere in campo tutti gli strumenti che ci sono perché chi lo fa ottiene risultati. Penso ad una regione come l'Emilia-Romagna che ha dimostrato, sia sulle prestazioni ambulatoriali e in gran parte anche su quelle chirurgiche, che i tempi possono rimanere più bassi dei tempi di legge: sui 30 o sui 60 giorni per le varie tipologie e ce l'ha fatta in un anno e mezzo, utilizzando però tutti gli strumenti, compresa - attenzione - l'assunzione di nuove figure professionali, soprattutto dirigenti medici, per diversi milioni di euro che, nell'economia regionale, sono stati messi a disposizione di questo rafforzamento. Dobbiamo pensare ad una svolta che rifinanzia il sistema, che non fa correre i cittadini fuori, peraltro sempre a spese dello Stato: basta con le detrazioni, basta con la facilità degli accreditamenti senza controllo. Noi abbiamo bisogno di dare fiducia agli operatori del pubblico. Non calcherei la mano sulla parte punitivo-sanzionatoria: è uno degli strumenti che abbiamo a disposizione ma sarebbe buffo dare l'idea che il problema sia chi fa l'intramoenia secondo la legge quando nel suo presidio ospedaliero, nel suo presidio ambulatoriale le cose non funzionano e i posti di lavoro vengono tagliati senza alcuna logica dal punto di vista del servizio che deve essere dato.

E quindi attenzione a questo equilibrio e concludo su un punto: siamo maturi probabilmente, anzi sicuramente (dovrebbe essere all'ordine del giorno dell'iniziativa di Governo) per tornare anche al fondamento della legge di riforma sanitaria. Ricordavo all'inizio per quale motivo è stata prodotta l'idea e la pratica dell'intramoenia e perché si è scelto di condizionare ad esso l'esclusività dei medici ma adesso ci troviamo a trenta, anzi dal 1978, siamo a quarant'anni quasi di vita del Sistema sanitario nazionale, e da molti anni i medici hanno scelto la strada dell'esclusività. Sono stati incentivati e sono incentivati ancora con il sistema di vent'anni fa e con la stessa quota di risorse. Il contratto dei dirigenti medici è scaduto da otto anni. Noi possiamo tornare in sede di contratto a discutere del ruolo degli operatori e dei dirigenti medici dentro il sistema e probabilmente in quella sede sarebbe possibile pensare ad un'esclusività rafforzata, ad un'idea di utilizzo delle risorse tempo, professionalità e competenza dei medici del sistema per raggiungere gli obiettivi di sistema. In questo contesto potremmo dare più soddisfazione sia economica sia professionale ai nostri operatori e andare anche a superare o per lo meno a rendere soltanto legato al tema della libertà di scelta quello che è un sistema come l'intramoenia che ha una sua utilità ma, nel modo in cui viene applicato adesso, lascia questo amaro in bocca ai cittadini che si vedono costretti a pagare per esigere tempi ragionevoli per il trattamento della loro patologia.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Milanato. Ne ha facoltà.

LORENA MILANATO. Grazie, Presidente. Le mozioni al nostro esame oggi pongono in evidenza un tema di assoluta rilevanza per la tutela della salute dei cittadini. L'annosa questione delle liste d'attesa per le prestazioni sanitarie purtroppo ancora oggi rappresenta un problema di grande importanza e attualità per molti servizi sanitari nazionali. Il cuore della questione, come è già stato detto, risiede nel cronico eccesso di domanda rispetto all'offerta di prestazioni sanitarie a fronte delle limitate risorse disponibili con pazienti e cittadini che percepiscono le lunghe liste d'attesa come un importante disservizio. Il formarsi di liste d'attesa rappresenta peraltro un fenomeno con caratteristiche di elevata complessità e alta imprevedibilità influenzato dall'interazione di molti e diversi fattori relativi alla domanda e all'offerta di prestazioni. Ad ogni modo, a nostro avviso, non è corretto voler legare il malfunzionamento delle aziende sanitarie e dei meccanismi che regolano le liste d'attesa a quello che i medici che operano nel pubblico fanno nel proprio tempo libero, decidendo fuori dall'orario di lavoro di svolgere la libera professione intramoenia. Per attività libero-professionale intramoenia (Alpi) si intende l'attività che la dirigenza del ruolo sanitario medico e non medico, individualmente o in équipe, esercita fuori dall'orario di lavoro in favore e su libera scelta dell'assistito pagante ad integrazione e supporto dell'attività istituzionalmente dovuta. L'Alpi viene esercitata in strutture ambulatoriali interne o esterne all'azienda sanitaria, pubbliche o private non accreditate con le quali l'azienda stipula delle apposite convenzioni. A livello nazionale la disciplina sull'attività libero-professionale intramoenia è contenuta nella legge 3 agosto 2007, n. 120. La legge vuole quindi garantire ai cittadini la possibilità di scegliere lo specialista a cui rivolgersi per una prestazione soggetta al pagamento di un compenso liberalmente stabilito dal professionista ma approvato però dalla direzione sanitaria. Secondo quanto previsto dalla legge ogni azienda sanitaria, azienda ospedaliera, universitaria, policlinico universitario o anche gli istituti IRCCS di diritto pubblico predispone un piano aziendale concernente, con riferimento alle singole unità operative, i volumi di attività istituzionale e di attività libero-professionale intramuraria. L'Alpi è autorizzata a condizione che non comporti un incremento delle liste d'attesa per attività istituzionale e non contrasti quindi o pregiudichi i fini istituzionali dei servizi sanitari nazionali o regionali.

A nostro avviso l'attività intramoenia dovrebbe quindi essere uno strumento tecnico da utilizzare proprio per l'abbattimento delle liste d'attesa.

Per quanto riguarda le possibili situazioni di conflitto alle direzioni degli ospedali, la legge richiede un'attività di prevenzione delle situazioni che determinano l'insorgenza di un conflitto d'interesse o di forme di concorrenza sleale e fissazione delle sanzioni disciplinari e dei rimedi da applicare in caso di inosservanza, anche con riferimento all'accertamento delle responsabilità dei direttori generali per omessa vigilanza. Infine, viene richiesto il progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, al fine quindi di assicurare che il ricorso a quest'ultima sia conseguenza di libera scelta del cittadino.

Purtroppo, negli anni la gestione diretta della libera attività professionale dei medici ha incontrato notevoli difficoltà legate alla disponibilità di spazi pubblici adeguati per questa attività e per evidenti ostacoli burocratici dovuti ai numerosi adempimenti richiesti.

È poi evidente che non è stato curato né implementato in maniera adeguata un processo di riorganizzazione, che avrebbe dovuto essere coerente con il cambiamento del comparto della sanità e che non ha in alcun modo agevolato la libera professione dei medici.

È quindi importante svolgere una riflessione sulla libera attività dei medici, ma non per mettere ulteriori paletti volti ad evitare possibili abusi. La riflessione in merito alla disciplina che oggi regola l'attività intramoenia è fondamentale soprattutto per riconoscerne appieno i diritti, visto che fino ad ora non hanno trovato un'adeguata e piena realizzazione.

Una migliore organizzazione dell'attività intramoenia non potrà che essere positiva per lo smaltimento delle liste d'attesa e, in particolare, nel caso in cui la libera professione sia effettivamente parametrata al volume delle prestazioni svolte nella struttura sanitaria di appartenenza. Non è quindi il caso, a nostro avviso, di strumentalizzare l'attività intramoenia per giustificare liste di attesa dovute a carenze organizzative del sistema sanitario.

Dal punto di vista organizzativo è poi necessario un piano di misure utili ad affrontare, in maniera seria e strutturale, il fenomeno delle liste d'attesa, che sia imperniato, dal lato dell'offerta, su iniziative di riorganizzazione dei servizi in modo da ottenere, laddove è possibile, incrementi di capacità produttiva senza aggravio di spesa e, dal lato della domanda, invece, su percorsi di miglioramento dell'appropriatezza prescrittiva e di gestione delle priorità cliniche.

Si tratterebbe anche di avviare un vero e proprio cambiamento culturale, che deve interessare tutte le componenti coinvolte nel sistema, dai pazienti ai medici prescrittori, dagli specialisti delle strutture erogatrici agli apparati amministrativi delle aziende, oltre che ai sistemi di prenotazione CUP.

È necessario agire su vari livelli, in modo da contemperare le esigenze di carattere economico con il diritto del cittadino a ricevere le prestazioni appropriate di cui ha bisogno in tempi congrui rispetto al proprio stato clinico. Devono quindi essere messe in atto misure in grado di garantire l'accesso a tutte le informazioni sulla disponibilità delle prestazioni nonché, in un più facile accesso alla prenotazione, l'ampliamento delle capacità produttive delle aziende erogatrici, in particolare per quanto riguarda le visite o prestazioni necessarie ad emettere le diagnosi, le famose “prime visite”, la riduzione della domanda inappropriata e la salvaguardia del diritto del cittadino ad ottenere le prestazioni in tempi congrui alla continuità di cura per le patologie croniche.

Questi potrebbero essere solo alcuni punti da cui partire e saranno inseriti nella mozione in corso di presentazione da parte di Forza Italia, su cui ci auguriamo ci sia uno scambio proficuo con il Governo, con l'obiettivo di trovare soluzioni per tutelare un pronto accesso alle prestazioni per i pazienti che ne hanno più bisogno e che possono più opportunamente trarre beneficio dall'implementazione di soluzioni che aumentino equità, correttezza, appropriatezza ed efficienza dell'intero sistema sanitario nazionale

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Il Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 2705 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale (Approvato dal Senato) (A.C. 4394) (ore 15,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 4394: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale.

Ricordo che nella seduta del 6 aprile 2017 sono state respinte le questioni pregiudiziali Daniele Farina ed altri n. 1, Molteni ed altri n. 2 e Rampelli ed altri n. 3.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4394)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la II Commissione (Giustizia), deputato Giuseppe Guerini.

GIUSEPPE GUERINI, Relatore per la II Commissione. Grazie, Presidente. L'Aula esamina oggi, come da lei ricordato, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 13 del 2017. Io mi soffermerò naturalmente sugli ambiti di competenza della Commissione giustizia in quanto gli ambiti e i profili più riguardanti la I Commissione e il Ministero dell'Interno verranno trattati dal collega Naccarato.

Quindi, inizio, come d'uso, dall'articolo 1. Ricordo che questo decreto istituisce, presso alcuni tribunali ordinari, delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea. Il decreto-legge prevedeva originariamente l'istituzione di sezioni specializzate in quattordici tribunali ordinari, che venivano individuati sulla base dei dati relativi al numero delle domande di protezione internazionale esaminate nel biennio 2015-2016 dalle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione.

Poi, in sede di conversione innanzi all'altro ramo del Parlamento, il Senato, si è deciso di ampliare sostanzialmente la previsione che ricordavo poc'anzi delle quattordici sedi e si è previsto quindi che le sezioni specializzate siano istituite presso ogni tribunale distrettuale, quindi in ogni tribunale che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello; i giudici che compongono queste sezioni vengono scelti fra magistrati che sono dotati di specifiche competenze.

Infatti, questa predisposizione si connette strettamente a quella successiva, di cui all'articolo 2, dove viene previsto che la composizione delle sezioni specializzate non determina un aumento dell'organico. Pertanto, le sezioni dovranno essere composte da giudici che sono già in servizio e vengono scelti in quanto sono dotati di specifiche competenze in materia.

Per quanto riguarda la formazione dei magistrati che vogliono ottenere una specializzazione in materia, viene prevista l'organizzazione dalla Scuola superiore della magistratura in collaborazione con le ASL e l'UNHCR di specifici corsi di formazione.

Passando quindi in rassegna l'articolo successivo, cioè l'articolo 3, viene stabilito che la competenza per materia delle sezioni specializzate, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, è suddivisa in un elenco che prevede, alla lettera a), la competenza per le controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno in favore di cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari; alla lettera b) per le controversie in materia di allontanamento dei cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari e, inoltre, per le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale e per i procedimenti per la convalida del provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento e la proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale e per le controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria, nei casi di cui all'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo n 25 del 2008.

Ovviamente, queste sono le due questioni più rilevanti ai fini e ai sensi anche del titolo del decreto-legge che è oggi in discussione, che appunto si prefigge come obiettivo quello dell'accelerazione delle procedure di riconoscimento della protezione internazionale.

Inoltre, vi era nel testo originario del Governo una lettera e) che prevedeva la competenza per le controversie in materia di diniego del nullaosta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, ma, nel corso della conversione di questo decreto-legge al Senato, è stata introdotta una lettera e-bis) con la quale viene assegnata alle sezioni specializzate anche la competenza per le controversie che hanno ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti adottati dall'autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale, quella che nel nostro ordinamento viene rubricata come “Unità Dublino”.

Le sezioni specializzate sono inoltre competenti in materia di accertamento dello stato di apolidia e anche in materia di accertamento dello stato di cittadinanza italiana e, naturalmente, per tutti i procedimenti che prevedano e presentino ragioni di connessione con quelle dei commi 1 e 2.

All'articolo 4 viene individuata la competenza territoriale e anche qui, rispetto al testo licenziato dal Consiglio dei Ministri, si è avuta una modifica in sede di conversione al Senato, laddove infatti è stato previsto che le sezioni specializzate, anche in virtù del cambiamento e dell'ampliamento del loro numero, seguono, come criteri di competenza territoriale, in primo luogo, sostanzialmente in base al luogo in cui ha sede l'autorità che ha adottato il provvedimento impugnato e, secondariamente, in base al luogo in cui ha sede la struttura di accoglienza governativa del sistema di protezione, ovvero il centro di identificazione e di espulsione in cui è presente il ricorrente; infine, la competenza è stabilita rispetto al luogo in cui il richiedente ha la propria dimora.

Per quanto attiene, invece, all'articolo 5, che non è stato assolutamente modificato dal Senato, e quindi ci arriva con la stessa formulazione che è stata licenziata in sede di decreto-legge, viene attribuita ai presidenti delle sezioni specializzate la competenza riservata dalla legge al presidente del tribunale.

E, poi, si arriva all'articolo 6, che è sostanzialmente uno dei perni attorno a cui ruota tutto il provvedimento, perlomeno, ripeto, per quanto attiene, ovviamente, alle specifiche competenze e ai profili che vengono in rilievo per quanto riguarda la mia Commissione, cioè la Commissione giustizia, e per quanto riguarda l'ambito della giustizia.

All'articolo 6, infatti, al comma 1, nelle lettere da a) ad e), vengono introdotte modalità più celeri, più rapide, in materia di notificazione degli atti ai richiedenti la protezione internazionale, e quindi a colui che richiede la protezione internazionale, e rispetto alla verbalizzazione dei colloqui innanzi alla commissione nazionale e alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Inoltre, viene introdotta la videoregistrazione e, quindi, viene stabilito che venga videoregistrato il colloquio personale con il quale il richiedente esercita il proprio diritto di chiedere al nostro Paese la protezione internazionale e anche la successiva trascrizione mediante l'ausilio di mezzi automatici di riconoscimento vocale, al posto della tradizionale verbalizzazione.

Ovviamente, come dicevo in sede di presentazione del decreto, questo è uno dei perni attorno a cui ruotano le modifiche introdotte da questo decreto, anche perché l'obiettivo finale è quello, a parità di diritti e nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali, di cercare di procedere ad un'accelerazione e a una facilitazione, a rendere più agevoli le procedure giurisdizionali per il riconoscimento della protezione. Quindi, questo è uno dei provvedimenti su cui si incentra tutto il decreto ed è quello, appunto, della nuova e ampia rilevanza che viene assegnata alla videoregistrazione.

Quindi, sempre seguendo nella disamina dell'articolo 6, le lettere b) e c) dispongono, invece, riguardo al colloquio personale del richiedente presso la commissione. Questa nuova disciplina, come andavo dicendo poc'anzi, si incentra sulla videoregistrazione con mezzi audiovisivi del colloquio personale innanzi alle commissioni e anche la trascrizione in lingua italiana grazie all'aiuto di mezzi automatici di riconoscimento vocale.

La videoregistrazione non viene disposta - non viene effettuata, meglio - o quando non è possibile per motivi tecnici, naturalmente, oppure, in virtù di una modifica introdotta nel corso dell'esame al Senato, quando in sede di colloquio è l'interessato, quindi il richiedente la protezione internazionale, a chiedere attraverso un'istanza motivata di non avvalersi della videoregistrazione. In questo caso, introdotto, appunto, dal Senato, la decisione spetta poi, rispetto all'accettazione o al diniego della possibilità di non procedere alla videoregistrazione, alla commissione territoriale stessa.

Qualora il colloquio non possa essere videoregistrato, viene, ovviamente, comunque redatto un verbale sottoscritto dal richiedente e si applicano le disposizioni del decreto legislativo n. 25 del 2008 e ovviamente, anche rispetto al motivo per il quale il colloquio non può essere videoregistrato, viene dato atto nel verbale.

In ogni caso, il rifiuto di sottoscrivere il contenuto del verbale e le motivazioni del rifiuto di sottoscriverlo vengono registrati nel verbale stesso e non impediscono che poi l'autorità adotti una decisione.

Nel caso, invece, ordinario, qualora si sia proceduto con la videoregistrazione, al posto del verbale del colloquio vi è la trascrizione di quanto emerso in sede di videoregistrazione. La trascrizione viene successivamente rivista dal componente della commissione che ha condotto il colloquio, ovviamente insieme al richiedente che è stato soggetto della videoregistrazione con l'interprete.

Il richiedente la protezione internazionale ne ottiene comunque una lettura in una lingua a lui comprensibile, e in ogni caso attraverso l'ausilio di un interprete. Infine, il verbale della trascrizione viene sottoscritto dal presidente della commissione o dal componente della commissione stessa che ha condotto il colloquio e in calce viene dato atto di tutte le osservazioni del richiedente e dell'interprete, anche in merito all'eventuale sussistenza di errori di trascrizione o di traduzione, che non siano stati direttamente recepiti nel verbale della trascrizione.

Il verbale stesso, unitamente alla videoregistrazione di cui sopra, vengono resi disponibili all'autorità giudiziaria entro venti giorni dalla notificazione del ricorso e, sia della trascrizione sia della videoregistrazione, viene conservata una copia informatica presso un apposito registro che viene istituito presso il Ministero dell'interno.

Quindi, questo è l'articolo 6, che, come dicevo poco fa, rappresenta uno dei perni intorno a cui si muove questa nuova disciplina che viene introdotta per cercare di rendere più rapida la definizione del contenzioso piuttosto pesante che si è accumulato in questi ultimi anni rispetto alle richieste di protezione internazionale.

La seconda misura fondamentale, sempre, ripeto, per quanto riguarda le competenze della giustizia, introdotta in questo provvedimento, arriva, invece, nelle lettere successive del medesimo articolo 6, laddove viene disciplinato il procedimento che deve essere seguito ai fini dell'impugnazione dei provvedimenti relativi al riconoscimento della protezione internazionale.

Infatti, a questo riguardo, viene modificato l'articolo 35 del decreto legislativo, più volte citato, n. 25 del 2008 e viene sostanzialmente previsto che per queste controversie si applicherà - si applica, trattandosi di decreto-legge - il rito camerale a contraddittorio scritto e a udienza eventuale, mentre oggi ricordo che si applica il rito sommario di cognizione.

Più specificamente, la lettera f) modifica l'articolo 35 del decreto legislativo n. 25 del 2008, che riguarda le procedure di impugnazione delle decisioni sulla revoca o cessazione dello status di rifugiato, che vengono decise in linea generale con il rito camerale di cui all'articolo 737 e seguenti del codice di rito, e quindi, prevedendo l'applicazione a queste controversie del rito camerale, vi è in questo ambito una deroga esplicita ed espressa a quanto previsto dall'articolo 742-bis del codice di rito, in virtù del quale le disposizioni del codice si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio che non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone. Questa è evidentemente una materia che riguarda lo stato delle persone e quindi viene prevista una deroga esplicita rispetto alla procedura applicabile a queste controversie.

Quindi, tornando più specificamente al procedimento del quale si è parlato poc'anzi come di un procedimento in deroga rispetto a quanto previsto in linea generale, viene trattato in camera di consiglio e per la decisione il giudice si avvale anche delle informazioni sulla situazione sociale, politica ed economica del Paese di provenienza del richiedente asilo, che vengono costantemente elaborate ed aggiornate dalla commissione nazionale per la protezione internazionale. Si tratta, come ricordavo prima, di un rito camerale ad udienza eventuale, poiché l'udienza per la comparizione delle parti non è obbligatoria, ma viene fissata quando il giudice, visionata la videoregistrazione del colloquio personale con il richiedente, ritiene necessario che venga disposta l'audizione dell'interessato oppure ritiene indispensabile richiedere chiarimenti alle parti oppure dispone consulenza tecnica d'ufficio oppure anche l'assunzione dei mezzi di prova.

L'udienza, inoltre, può essere fissata - e questo è un passaggio che è stato introdotto in sede di conversione del decreto in Senato - quando la videoregistrazione del colloquio con i richiedenti non viene resa disponibile o quando l'impugnazione viene fondata su elementi che non sono stati dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado.

Quindi, il Senato ha qui integrato, richiedendo l'udienza anche quando, su richiesta specifica del ricorrente, il giudice ritenga che la trattazione in udienza sia essenziale ai fini della decisione. Il contraddittorio viene garantito per iscritto: il ricorrente può, infatti, depositare una nota difensiva entro i venti giorni successivi alla scadenza per il termine della notificazione del ricorso e, entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso, il tribunale decide sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione con un decreto. Ovviamente, la decisione può essere di rigetto del ricorso oppure di riconoscimento al ricorrente dello status di rifugiato o di persona a cui viene accordata la protezione sussidiaria.

Il decreto, anche qui, deroga a quanto previsto con riguardo ai procedimenti camerali e, in generale, all'articolo 739 del codice di procedura civile, non è reclamabile, ma è esclusivamente ricorribile per Cassazione entro il termine di trenta giorni e, in caso di rigetto, la Corte di cassazione decide sull'impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso.

Come più volte ripetuto, l'articolo 6 è sostanzialmente l'articolo che contiene i due pilastri su cui si basa il nuovo tentativo di garantire una più celere definizione del contenzioso, anche ovviamente mantenendo invariate tutte le garanzie costituzionali che presiedono la necessità di riconoscere a questi procedimenti il più alto grado di copertura e di garanzia rispetto alle domande che vengono fatte, trattandosi e attenendo anche appunto a stato delle persone, diritti personalissimi, come quello riguardo alla propria protezione internazionale.

Vorrei semplicemente sottolineare un paio di aspetti, rispetto alla scelta del Governo di prevedere un unico grado di merito. Nella relazione illustrativa del disegno di legge, che citerò qui testualmente, una delle motivazioni alla base di un provvedimento di questo tipo viene rinvenuta nel fatto che i flussi dei procedimenti di protezione internazionale attualmente registrati presso le Corti d'appello sono tali da non consentire la costituzione di sezioni specializzate presso il giudice di secondo grado. Sempre nella medesima relazione, viene osservato che comunque la mancata previsione dell'appello è pienamente compatibile con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea: viene infatti citata e ricordata nella relazione illustrativa la sentenza resa nella causa Samba Diouf, laddove la Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato che il diritto ad un ricorso effettivo ai sensi della legislazione europea non si riferisce ad un certo numero di gradi di giudizio. Il principio della tutela giurisdizionale effettiva attribuisce quindi al singolo richiedente il diritto di adire ad un giudice, ma non gli attribuisce il diritto a più gradi di giudizio.

La relazione illustrativa fa inoltre riferimento, e quindi ricorda quali siano nei Paesi europei, i sistemi giudiziari dei Paesi membri nei quali le richieste di riconoscimento giurisdizionale sulle decisioni prese sulla protezione internazionale si articolino su un numero variabile di gradi di giudizio. Viene ricordato appunto nella relazione illustrativa che per esempio in Francia, Spagna, Paesi Bassi e Belgio, con riguardo alle controversie in materia di asilo, l'esame è un diritto, viene riservato esclusivamente al primo grado, mentre il procedimento di secondo grado può avere ad oggetto esclusivamente profili di legittimità. Quindi, anche da questo punto di vista, la soppressione del grado di appello per quanto riguarda questa specifica materia, ancorché ponendosi come derogatoria rispetto all'impianto generale del nostro ordinamento civile, si pone assolutamente in linea con quanto previsto dalla normativa europea; inoltre, si pone assolutamente in linea anche con quanto previsto dalla giurisprudenza della nostra Corte costituzionale, poiché il doppio grado di giurisdizione in materia civile non ha, non sembra trovare una specifica copertura costituzionale. Vi è una serie di sentenze che attestano questa massima: una delle più recenti risale al 2013, e si prevede che la garanzia del doppio grado di giudizio (ovviamente non relativamente a questa materia, ma è in relazione in generale al discorso della compatibilità costituzionale del doppio grado di giurisdizione), la Corte costituzionale lo afferma nel 2013, non gode di per sé di una copertura costituzionale, quindi non appare fondato il rilievo sulla incostituzionalità della mancata previsione del doppio grado di giudizio.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIUSEPPE GUERINI, Relatore per la II Commissione. Avendo quindi esaminato le principali misure del provvedimento, che sono appunto quelle contenute nell'articolo 6, mi limito a leggere poi le rubriche dei successivi articoli di competenza negli ambiti della giustizia: all'articolo 10 viene modificato l'articolo 20-ter del decreto legislativo n. 30 del 2007, in relazione al diritto dei cittadini dell'Unione europea di permanere e di circolare liberamente nel territorio dello Stato, e viene attribuita la competenza in materia di convalida dei provvedimenti di allontanamento al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale e libera circolazione, di cui all'articolo 1.

L'articolo 11 invece assegna al Consiglio superiore della magistratura il compito di predisporre un piano straordinario di applicazioni extradistrettuali, anche in deroga alle disposizioni in materia di applicazione di magistrati. L'articolo 13 autorizza il Ministero della giustizia ad avviare procedure concorsuali per il biennio 2017-2018, anche attraverso lo scorrimento delle graduatorie in corso di validità.

L'articolo 16 stabilisce che si applichi il rito abbreviato nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative ai provvedimenti di espulsione. E infine, l'articolo 21 disciplina l'applicazione delle disposizioni del decreto-legge e stabilisce i termini di applicazione, prevedendo che al 17 agosto 2017 entrerà in vigore la riforma per quanto concerne il giudice competente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione affari costituzionali, onorevole Naccarato.

ALESSANDRO NACCARATO, Relatore per la I Commissione. Presidente, il decreto-legge è parte integrante della strategia della maggioranza di Governo sull'immigrazione: interviene sui flussi, realizza un nuovo modello di accoglienza, rimpatri e integrazione, e pone in modo chiaro il punto di essere severi con chi non rispetta le regole e di integrare invece chi le rispetta.

Per quanto riguarda la parte del decreto-legge di diretta competenza della I Commissione, l'articolo 8 modifica il decreto legislativo n. 142 del 2015, recante norme in materia di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Le modifiche riguardano: l'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente del richiedente protezione internazionale presente nei centri di accoglienza; il mantenimento per il richiedente protezione internazionale che sia oggetto di un provvedimento di respingimento, e non solo di un provvedimento di espulsione, della misura restrittiva del trattenimento, qualora si ravvisi che la domanda sia stata presentata allo scopo di ritardare o impedire il respingimento o l'espulsione; la partecipazione del richiedente protezione internazionale al procedimento di convalida del provvedimento di trattenimento nei centri di permanenza per il rimpatrio (ex CIE), ove possibile a distanza, mediante collegamento audiovisivo; e infine le prospettive di impiego di richiedenti protezione internazionale in attività di utilità sociale.

La lettera b) dell'articolo 8 interviene sull'azione dilatoria dell'espulsione, introducendo la medesima previsione per il destinatario di un provvedimento di respingimento, per introdurre misure idonee ad evitare il rischio di fuga di stranieri che possano presentare richieste pretestuose e strumentali. La lettera b) introduce al punto 3 la previsione che la partecipazione del richiedente protezione internazionale al procedimento di convalida del provvedimento di trattenimento nei centri per il rimpatrio avvenga, ove possibile, a distanza, mediante collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza e il centro dove è trattenuto, comunque assicurando la contestuale, effettiva e reciproca visibilità e udibilità delle persone presenti, e sempre consentendo la presenza di un difensore o suo sostituto nel luogo ove si trovi il richiedente. Un operatore della Polizia di Stato è presente nel luogo dove si trova il richiedente, ne attesta l'identità, il dato dell'osservanza delle disposizioni che assicurano contestuale visibilità e possibilità di udire delle persone coinvolte nel colloquio, redige verbale delle operazioni svolte. Le specifiche tecniche relative alla modalità di realizzazione del collegamento audiovisivo sono stabilite d'intesa tra i Ministri della giustizia e dell'interno entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto.

La lettera b-bis), introdotta nel corso dell'esame al Senato, prevede che non possono essere trattenuti nei centri di permanenza per i rimpatri i richiedenti asilo le cui condizioni di vulnerabilità, e non solo di salute, siano incompatibili con il trattenimento.

La lettera d) introduce nel decreto legislativo n. 142 del 2015 il nuovo articolo 22-bis, relativo alla partecipazione dei richiedenti protezione internazionale su base volontaria in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali. Questo è un punto molto importante, che prende avvio anche da numerose esperienze positive che in molti comuni si sono realizzate nel corso di questi anni. La disposizione, nel rinviare alla normativa vigente in materia di lavori socialmente utili, individua nel prefetto, d'intesa con i comuni e con le regioni e le province autonome, il soggetto promotore di tale tipo di attività, anche con la stipula di protocolli di intesa con i comuni, con le regioni e le province autonome, e con le organizzazioni del terzo settore. L'impiego dei richiedenti protezione internazionale su base volontaria in attività di utilità sociale in favore della collettività locale si svolge nel quadro delle disposizioni normative vigenti.

L'articolo 9 modifica il Testo unico dell'immigrazione, il decreto legislativo n. 286 del 1998. In particolare introduce modalità di annotazione dello status di protezione internazionale sul permesso di soggiorno di lungo periodo per i titolari di protezione internazionale rilasciata da uno Stato diverso da quello che ha rilasciato il permesso di soggiorno; rende possibile l'allontanamento dello straniero con permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo e titolari di protezione internazionale verso lo Stato membro che ha riconosciuto la protezione internazionale, ovvero verso altro Stato non dell'Unione europea in presenza di motivi di sicurezza dello Stato o di ordine e sicurezza pubblica; e infine prevede la trasmissione con modalità informatica della domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare e la riduzione da 180 a 90 giorni del termine per il suo rilascio.

L'articolo 12 autorizza il Ministero dell'interno ad assumere fino a 250 unità di personale a tempo indeterminato per il biennio 2017-2018, da destinare agli uffici delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e della commissione nazionale per il diritto di asilo. La necessità di aumentare le risorse umane degli uffici delle commissioni richiamate deriva dagli impegni connessi all'eccezionale incremento del numero delle richieste di protezione internazionale e con la finalità di far fronte alle esigenze di servizio per accedere alla fase dei colloqui.

L'articolo 14 prevede l'incremento di 20 unità per le sedi in Africa del contingente di personale a contratto, impiegato presso le sedi diplomatiche e consolari, per le accresciute esigenze connesse al potenziamento della rete nel continente africano, derivanti anche dall'emergenza migratoria. Per tali finalità è autorizzata la spesa di 203 mila euro per il 2017, di 3.554.000 euro per il periodo 2018-2025 e di 485 mila euro a decorrere dall'anno 2026. È previsto inoltre un incremento di spesa di 2 milioni e mezzo di euro per l'anno 2017, e di 5 milioni di euro a decorrere dal 2018 per l'invio nel continente africano di personale dell'Arma dei carabinieri per i servizi di sicurezza delle rappresentanze diplomatiche e consolari.

L'articolo 15 inserisce un nuovo comma 6-bis all'articolo 4 del Testo unico sull'immigrazione, riguardante l'inserimento di alcune particolari tipologie di informazioni nel sistema d'informazione Schengen (il sistema di informazione Schengen è un sistema automatizzato per la gestione e lo scambio di informazione tra i Paesi aderenti alla convenzione di Schengen). L'articolo 17 introduce disposizioni in materia di identificazione degli stranieri soccorsi in operazioni di salvataggio in mare o rintracciati come irregolari in occasione dell'attraversamento della frontiera. Si prescrive che lo straniero venga condotto presso appositi punti di crisi e che qui sia sottoposto a rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico e al contempo riceva informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito. A tal fine è introdotto un nuovo articolo 10-ter al Testo unico sull'immigrazione. Le nuove disposizioni sono conseguenti al quadro normativo europeo in materia di identificazione dei migranti che si fonda principalmente sul Regolamento dell'Unione europea n. 603 del 2013. In base alla disposizione in esame, i punti di crisi possono essere allestiti nelle strutture di cui al decreto legge n. 451 del 1995, ossia i cosiddetti centri di accoglienza istituiti nel 1995 dalla “legge Puglia” e nelle strutture di prima accoglienza disciplinate dal decreto legislativo n. 142 del 2015. Secondo questa disciplina, quei centri adempiono infatti alle esigenze, oltre che di prima accoglienza, di espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica dello straniero. Presso i punti di crisi, il cittadino straniero è sottoposto all'operazione di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico. Al contempo, lo straniero riceve informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito. Come misura di deterrenza rispetto al reiterato rifiuto dello straniero di sottoporsi al rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, il comma 3 prevede che tale rifiuto costituisce rischio di fuga ai fini del trattenimento nei centri di cui all'articolo 14 del Testo unico dell'immigrazione. Il trattenimento è disposto dal questore caso per caso, ed ha efficacia fino a un massimo di 30 giorni dall'adozione del provvedimento, salvo ne cessino prima le esigenze.

L'articolo 18 stabilisce che il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno è tenuto ad assicurare la gestione e il monitoraggio, attraverso strumenti informatici, dei procedimenti amministrativi in materia di ingresso e soggiorno irregolare, anche attraverso l'attivazione di un sistema informativo automatizzato che dovrà essere interconnesso con i centri e i sistemi indicati, assicurando altresì lo scambio di informazioni tempestivo con il sistema di gestione e accoglienza del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione dello stesso Ministero dell'interno. L'articolo attribuisce infine alla competenza della procura distrettuale le indagini per i delitti di associazione per delinquere finalizzati a tutte le forme aggravate di traffico organizzato di migranti.

L'articolo 19 interviene con la finalità di rafforzare l'effettività delle espulsioni e di potenziare una rete di centri di permanenza per i rimpatri. In primo luogo i centri di identificazione ed espulsione sono configurati come centri di permanenza per i rimpatri, qualificati come strutture a capienza limitata dislocate in tutto il territorio nazionale, sentiti i presidenti di regione, con una rete volta a raggiungere una capienza totale di 1.600 posti. A tali centri si applicano le disposizioni sulle visite di cui all'articolo 67, della legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario.

Ricordo che il decreto legislativo n. 286 del 1998 prevede che, quando non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione ed espulsione più vicino. Tra le situazioni che legittimano il trattenimento rientrano, oltre all'arresto in flagranza e al fermo, anche quelle riconducibili alla necessità di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero di acquisire i documenti per il viaggio e la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo. L'obiettivo di questa norma è realizzare strutture di capienza limitata in grado di assicurare condizioni di trattenimento che garantiscano l'assoluto rispetto della dignità della persona.

L'ampliamento della rete dei centri di permanenza per i rimpatri dovrebbe incrementare la capienza attuale, che di fatto è di circa 360 posti, fino a 1.600 posti. Si tratta dunque di un incremento di 1.240 posti che avverrà nell'arco di un periodo ben determinato. Il comma 2 prevede la proroga, previa convalida del giudice di pace, di ulteriori 15 giorni del periodo massimo di trattenimento nei centri, nei casi di particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio, con riferimento allo straniero che sia già stato trattenuto presso le strutture carcerarie per 90 giorni e ulteriormente trattenuto nel centro per 30 giorni. Inoltre, nel caso in cui sia stata disposta l'espulsione a titolo di sanzione o alternativa alla detenzione, ma non sia possibile disporre il rimpatrio per cause di forza maggiore, si prevede che l'autorità giudiziaria disponga comunque il ripristino dello stato di detenzione per il tempo strettamente necessario all'esecuzione del provvedimento di espulsione. Il provvedimento inoltre interviene sull'espulsione a titolo di sanzione o alternativa alla detenzione, disciplinata dall'articolo 16 del Testo unico dell'immigrazione. Tale articolo prevede che il giudice possa sostituire la pena detentiva con la misura dell'espulsione nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo, quando ritiene di dover irrogare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrano le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena, ovvero nel pronunciare sentenza di condanna per il reato di ingresso e soggiorno illegale nello Stato, qualora non ricorrano cause ostative che impediscono l'esecuzione immediata dell'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

L'articolo 19-bis, introdotto nel corso dell'esame al Senato, stabilisce che le disposizioni del decreto-legge non si applicano ai minori stranieri non accompagnati. Disposizioni specifiche e di particolare tutela nei confronti dei minori stranieri non accompagnati sono infatti dettate dal testo approvato in via definitiva dalla Camera il 29 marzo 2017, recante misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati.

L'articolo 20 pone in capo al Governo la presentazione alle competenti Commissioni parlamentari di una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni del decreto-legge con particolare riferimento agli effetti prodotti e ai risultati conseguiti. Il Governo provvede a tale adempimento entro il 30 giugno di ogni anno per gli anni 2018, 2019 e 2020.

L'articolo 21 disciplina l'applicazione delle disposizioni del decreto ai procedimenti amministrativi o giudiziari in corso, fissando al 17 agosto 2017 l'entrata in vigore della riforma per quanto concerne il giudice competente e nuovi procedimenti giudiziari in materia di protezione internazionale e immigrazione; fino ad allora continueranno ad applicarsi le disposizioni previgenti.

L'articolo 21-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, proroga al 15 dicembre 2017 la sospensione degli adempimenti e dei versamenti fiscali contributivi e assicurativi obbligatori per i datori di lavoro privati e per i lavoratori autonomi operanti nel territorio dell'isola di Lampedusa. La norma inoltre demanda ad un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate il compito di definire le modalità e termini per effettuare gli adempimenti tributari diversi dai versamenti.

In conclusione, osservo che il decreto si inserisce nella strategia e nella programmazione dell'Unione europea per il governo dell'immigrazione. In particolare, il 2 marzo 2017, la Commissione europea ha presentato la comunicazione per una politica dei rimpatri più efficace nell'Unione europea, un piano d'azione rinnovato e questo piano d'azione ha introdotto una serie di elementi che sono puntualmente indicati e ripresi anche nel decreto-legge in esame.

Si tratta, infine, Presidente, di un provvedimento molto importante, perché riforma la legislazione sull'immigrazione e contribuisce a costruire un sistema basato su alcuni punti chiave: la creazione di centri di identificazione per chi deve essere espulso, sparsi su tutta la penisola; il fatto che i rifugiati debbano essere accolti per non più di sei mesi; la possibilità di lavorare e, quindi, di integrarsi nella comunità.

Chi fugge da guerre e carestie deve essere aiutato, difeso, accolto, si tratta di un principio di civiltà giuridica e di umanità irrinunciabile, che segna la differenza tra i sistemi democratici e i sistemi autoritari. Per questo, l'immigrazione deve essere governata senza creare allarmismi e paure, superando le gestioni improvvisate ed emergenziali del passato e realizzando un sistema che, con tempi rapidi e procedure efficaci, riesca a distinguere chi ha il diritto di restare e chi deve essere rimpatriato.

L'obiettivo è favorire un nuovo modello di accoglienza il più possibile diffusa, che si può realizzare all'interno della politica dell'Unione europea con la collaborazione e il coinvolgimento delle regioni e dei comuni: il decreto-legge in esame va in questa direzione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Presidente, volevo intanto ringraziare i due relatori, per avere illustrato in maniera molto autorevole ed efficace il provvedimento del Governo che è in sede di conversione.

Voglio solo aggiungere che, appunto, oggi l'Aula è chiamata a convertire in legge uno dei primi impegni del Governo di questo nuovo anno, cioè affrontare il tema immigrazione nell'ottica dell'efficienza e della tutela della molteplicità dei diritti e degli interessi coinvolti.

Si parla di accoglienza in un'accezione moderna, declinando la nozione in termini di integrazione e, al tempo stesso, coniugandola necessariamente con le esigenze di sicurezza.

Il punto è proprio quello, come è stato detto dai due relatori: cogliere questo nuovo piano - varato anche dalla Commissione europea -, dove l'Italia, con questo provvedimento, è uno dei primi Paesi a mettersi in regola, ma, nello stesso tempo, a pretendere e a chiedere che ci siano dei tempi certi per quanto riguarda l'iter dello status di rifugiato, proprio per garantire quella dignità umana e quei diritti alle persone che hanno diritto ad essere accolti.

Pertanto, il comune denominatore di questo testo complesso è quello di garantire la protezione internazionale accertando con rapidità i diritti, con il risvolto necessario che occorre tuttavia accelerare anche i rimpatri, quando ne ricorrano i presupposti di legge.

Nel dettaglio, dal versante della giustizia, mi preme sottolineare come l'azione sia stata ancora una volta condotta sul doppio binario della semplificazione e della specializzazione, senza che questo significhi violazione di diritti, come lo stesso Ministro ha più volte dichiarato.

Per le controversie in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini in ambito Unione europea, si prevedono sezioni specializzate presso i tribunali ordinari nella sede capoluogo del distretto di corte d'appello, in modo da rendere più agevole l'espletamento dei nuovi compiti. I magistrati dovranno essere dotati di specifiche competenze: titolo preferenziale per coloro che già se ne sono occupati e sessioni obbligatorie, almeno una volta all'anno, di corsi organizzati dalla Scuola superiore della magistratura in collaborazione con l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo.

Il CSM ha adottato una risoluzione con la quale ha messo a punto linee guida per i dirigenti volte a cambiare passo nell'organizzazione per riconoscere priorità ai procedimenti in questa materia.

Si prevede, inoltre, un piano straordinario di applicazioni straordinarie di magistrati, per gestire al meglio questa emergenza. Per garantire uniformità, con cadenza annuale, sarà assicurato lo scambio di esperienze e prassi tra i presidenti delle sezioni specializzate.

Sul piano del rito applicabile, rispetto al decreto-legge iniziale, si prevede che le controversie in materia di protezione internazionale di cui all'articolo 35 del decreto legislativo n. 25 del 2008 siano decise dal tribunale collegiale, ciò per garantire una maggiore estensione delle garanzie. Per le notificazioni degli atti e provvedimenti del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale, si prevede che ciò avvenga nelle forme del documento informatico e mediante posta certificata del centro o struttura, con consegna al destinatario da parte del responsabile.

Ed è vero che si elimina un grado di giudizio, ma si consente al contempo la massima emersione delle peculiarità della situazione individuale in sede di accertamento dei requisiti per accordare protezione internazionale. Questo si pone in linea con quanto stabilito di recente dalla CEDU, la Grande Camera, 15 dicembre 2016, nella sentenza Khlaifia contro Italia, a proposito del significato della normativa sovranazionale sui colloqui individuali (articolo 4, del protocollo 4, della Convenzione CEDU).

Le prescrizioni di tale disposizione sono soddisfatte ogni volta che il migrante abbia la possibilità reale ed effettiva di presentare le proprie argomentazioni e quando tali argomenti siano esaminati in modo adeguato dall'autorità dello Stato membro. Questa garanzia viene attuata sia nella procedura amministrativa sia dinanzi al tribunale, per questo si prevede - come ha detto bene il relatore Guerini - l'audizione videoregistrata dinanzi alle commissioni territoriali, con rilettura del colloquio alla presenza dell'interprete, e la trascrizione delle osservazioni dell'interessato. Entro il termine di quattro mesi dal ricorso, il tribunale deve decidere. I tempi sono essenziali e ben indicati e delineati in questo provvedimento, perché dai tempi della risposta della giustizia dipende il diritto allo status di rifugiato, la dignità ad una procedura veloce e anche il procedere velocemente al rimpatrio per chi non ha diritto.

Il rito camerale diventa la regola. È possibile qui richiamare la ratio sottesa al decreto-legge n. 168 del 2016, sulla riforma del rito in Cassazione. Di recente, la Cassazione civile, con l'ordinanza n. 395 del 10 gennaio 2017, ha escluso profili di incostituzionalità quanto a violazione dei diritti di difesa e ad un giusto processo.

In estrema sintesi, concludendo, basti ricordare che l'attuazione del modello di giusto processo europeo è rimessa al legislatore ordinario nazionale, al quale spetta declinare il principio di pubblicità nell'ambito delle diverse procedure giudiziali; il principio di oralità va, inoltre, interpretato nell'ottica del principio del contraddittorio, quest'ultimo avente copertura costituzionale.

Inoltre, rispetto al decreto-legge, sono state ampliate le ipotesi in cui il tribunale deve disporre l'udienza: se la videoregistrazione non è disponibile, se l'interessato abbia richiesto udienza e ciò sia ritenuto essenziale ai fini del decidere, se l'impugnazione si fonda su elementi di fatto non dedotti nella procedura di primo grado. Il ricorso in Cassazione, infine, costituisce l'ultima garanzia di legittimità imprescindibile, a maggior ragione in materia di diritti soggettivi così delicata.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vazio. Ne ha facoltà.

FRANCO VAZIO. Onorevole signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, la relazione illustrativa del disegno di legge di conversione individua tre ragioni di straordinaria necessità ed urgenza, di cui si è dato conto in sede di discussione delle questioni di pregiudizialità: prevedere misure per la celere definizione dei procedimenti amministrativi innanzi alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e per l'accelerazione dei relativi procedimenti giudiziari, nel rispetto del principio di effettività, in ragione dell'aumento delle domande di protezione internazionale e dell'incremento del numero delle impugnazioni giurisdizionali; adottare misure idonee ad accelerare l'identificazione dei cittadini stranieri per far fronte alle crescenti esigenze connesse alle crisi internazionali in atto e alla necessità di definire celermente la posizione giuridica di coloro che sono condotti nel territorio nazionale in occasione di salvataggi in mare o sono comunque rintracciati nel territorio nazionale; infine, potenziare la rete dei centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e di assicurare al Ministero dell'Interno le risorse necessarie per garantire l'effettività dell'esecuzione dei provvedimenti di espulsione e di allontanamento dei cittadini stranieri in posizione di soggiorno irregolare.

Il fenomeno migratorio ha da sempre caratterizzato la storia dell'umanità, ma la nostra fase storica ne sta vivendo la drammaticità, le contraddizioni e le sfide in maniera eccezionale, e così sarà per numerosi decenni a venire.

Nessun Paese dell'Europa o del mondo può da esso considerarsi estraneo o indifferente. È quindi naturale, necessario ed anche urgente interrogarsi su quali strumenti utilizzare e soluzioni determinare per affrontare i drammi, i problemi e anche le sfide che questo fenomeno produce e induce.

Sono tre le direttrici fondamentali su cui concentrare gli sforzi. La prima è l'impegno a fermare, a ridurre i flussi, ad azioni di contrasto nei confronti dei trafficanti di uomini e controllo delle frontiere. La seconda è l'accoglienza intesa come sistema e gestione delle strutture ed, infine, l'accoglienza per chi scappa da guerre e violenze e il rimpatrio per chi non ha diritto di restare.

Per quanto riguarda la prima direttrice di intervento, noi tutti sappiamo, per i dati che ci vengono quotidianamente forniti, che la partita si gioca soprattutto oltre i nostri confini ed in particolare quasi esclusivamente in Africa. Maggiore sarà in quei Paesi la crescita di una cultura democratica, di una giustizia sociale e di un sistema economico che garantisca condizioni di vita dignitosa, migliore sarà il Governo del fenomeno migratorio perché minore sarà il numero di coloro che vorranno scappare dalle loro terre di origine. Avere un progetto per l'Africa che incentivi e favorisca interventi di carattere economico, di carattere sociale e che mirino a raffreddare i conflitti è certamente utile perché si agisce all'origine delle sofferenze e si tenta di operare e risolvere almeno in parte le ragioni che in larga misura determinano la crescita inarrestabile del fenomeno migratorio.

In questo contesto, signor Presidente, dobbiamo quindi salutare come ottime notizie gli accordi che il nostro Paese ha concluso nei mesi scorsi con il Niger, la Tunisia e la Libia, accordi che hanno come oggetto il tema dei flussi migratori, del contrasto ai trafficanti di uomini e del controllo delle frontiere. Tali accordi assumono poi maggior rilievo quando - questo è il caso di quello sottoscritto il 2 febbraio scorso con la Libia - essi vengono fatti propri dall'intera comunità europea, dall'Unione europea: la firma è stata il 3 marzo 2017 a Malta.

Per quanto, invece, concerne le altre due direttrici, gestione del sistema accoglienza, da una parte, e accoglienza e rimpatri, dall'altra, il decreto-legge di cui oggi l'Aula discute la conversione fornisce strumenti innovativi, prevede nuovi e maggiori investimenti sia in termini di risorse economiche sia in termini di nuove e qualificate assunzioni di personale, norme che si inseriscono in un processo virtuoso già avviato dal Ministero dell'Interno che rafforza tali politiche.

In tali processi e politiche si inseriscono gli accordi conclusi su base volontaria con i comuni e con l'ANCI al fine di superare i grandi centri di accoglienza e l'accordo siglato con l'Anac per dare una giusta regolamentazione agli stessi centri attraverso anche l'approvazione di un contratto-tipo per la loro gestione. Infatti, aumentare gli investimenti e gli accordi premiali per i comuni che volontariamente si mettono a disposizione per rafforzare l'accoglienza diffusa e, dall'altro, avere un contraente unico, tracciare i servizi e aumentare la capacità ispettiva del Ministero sono le precondizioni indispensabili per costruire una nuova e forte strategia dell'accoglienza e del rispetto delle regole.

Risulta evidente, signor Presidente, che le ragioni di necessità e di urgenza che ho descritto in apertura del mio intervento e di cui il decreto-legge rappresenta esplicitazione costituiscono una risposta adeguata, ragionevole e, al tempo stesso, efficace per affrontare un fenomeno di proporzioni davvero eccezionali.

I relatori hanno descritto analiticamente ed efficacemente le norme cui ho fatto riferimento. Quindi, mi soffermerò solo su alcune di esse che per novità e forza, secondo me, consentiranno di dare risposte che prima d'ora erano nei fatti impossibili.

Era necessario accelerare in modo significativo, come ha dato conto anche il rappresentante del Governo, i tempi per ottenere l'accertamento dello status di rifugiato e di richiedente asilo per rispondere alle domande giudiziali in riferimento alle controversie che l'articolo 3 del decreto-legge ci illustra. Il lavoro complesso svolto dalle commissioni territoriali e dai giudici ordinari ed i tempi necessari per ottenere risposte esecutive ed efficaci, oggi anche superiore a due anni, non sono oggettivamente più accettabili. Non lo sono per coloro che chiedono e aspettano con ansia una risposta, ma non lo sono neppure per i comuni che su base volontaria vogliono offrire la loro collaborazione: essi hanno diritto di sapere chi ospitano, se profughi o stranieri irregolari, per quanto tempo e con quali garanzie. Aver acquisito, in forza degli accordi conclusi su base volontaria cui prima ho fatto cenno, sostegni e risorse che possano essere destinate anche ai propri cittadini rappresenta certamente una novità importante ma tutto ciò per quelle comunità non può prescindere dalla conoscenza dell'identità di questi stranieri e del tempo durante il quale permarranno.

Aver, quindi, previsto un rito camerale semplificato che permetterà di contenere le decisioni dei giudici entro quattro mesi dalla proposizione del ricorso; aver previsto l'inappellabilità delle decisioni e la sola ricorribilità in Cassazione delle stesse risponde efficacemente alle emergenze e alle necessità di cui ho detto in precedenza senza intaccare le garanzie di un giusto procedimento e i diritti di difesa delle parti. Anzi, aver costituito sezioni specializzate in materia di immigrazione presso ogni corte d'appello caratterizzate dall'appartenenza ad esse di giudici esperti, formati e competenti per le trattazioni delle suddette questioni garantirà ulteriormente alle parti equilibrio, uniformità e celerità nei processi. Il nostro sistema giudiziario già conosce tali giudici specializzati: le sezioni del lavoro e le sezioni tribunali dell'impresa costituiscono esempi illuminanti ed apprezzati che dimostrano quanto la specializzazione possa influire sulla qualità delle decisioni e sui tempi in cui le sentenze vengono pronunciate. È una strada peraltro che la magistratura e l'avvocatura auspicano anche per altre diverse discipline, il che contribuisce a rafforzare tale scelta.

Parlando, invece, delle commissioni territoriali, si deve apprezzare che il loro deciso rafforzamento anche in termini di risorse umane è una risposta assolutamente giusta e coerente. L'articolo 12 del decreto-legge, infatti, autorizza il Ministero dell'Interno ad assumere fino a 250 unità di personale a tempo indeterminato da destinarsi al servizio delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e della commissione nazionale per il diritto d'asilo, mentre l'articolo 14 prevede l'aumento di venti unità di personale dipendente presso le sedi diplomatiche e consolari in Africa. Non vi è dubbio, infatti, che di fronte all'enorme aumento delle domande di protezione internazionale nel quadriennio 2013-2016 che sono passate da 26.620 alle attuali 123.600, l'unica risposta adeguata per ridurre i tempi delle delibazioni delle suddette domande fosse, da un lato, implementare l'organico delle commissioni e, dall'altro, intervenire nei Paesi di origine dei migranti e, quindi, sull'organico delle sedi consolari e diplomatiche in Africa.

Con riguardo ai temi della sicurezza e dell'identificazione degli stranieri regolari il decreto-legge in esame affronta con grande determinazione questioni importanti, ben sapendo che conoscere e identificare rappresentano il primo e il fondamentale passo nella direzione della prevenzione ed allo stesso tempo costituiscono anche il presupposto per evitare strumentalizzazioni o superficiali banalizzazioni che alla fine si ripercuotono solo in capo a chi senza colpe e con tutti i diritti chiede una protezione internazionale. In questo contesto assume, quindi, estremo rilievo l'articolo 17 che prescrive il rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico dello straniero, sia per i casi di attraversamento della frontiera, sia nei casi in cui lo stesso venga rintracciato sul territorio nazionale e si trovi nella condizione giuridica di irregolarità ed, anche, e soprattutto, che il persistente rifiuto a sottoporsi a tali procedure possa costituire pericolo di fuga, ai fini del trattamento nei centri di cui all'articolo 14 del Testo unico sull'immigrazione. Tale prescrizione e quanto stabilito al successivo articolo 18, e cioè l'interconnessione del sistema informativo automatizzato gestito dal dipartimento della pubblica sicurezza con il centro elaborazioni dati interforze, con il sistema informativo Schengen e con il sistema automatizzato di identificazione delle impronte AFIS, gestito dalle forze di polizia, rappresentano uno strumento di conoscenza, di analisi e di prevenzione assolutamente straordinario.

Del resto, in un contesto internazionale che favorisce e alimenta situazioni di radicalizzazione e devianza, l'attività di contrasto a fenomeni criminali quali il terrorismo non può prescindere, non può assolutamente prescindere da un'efficace azione di prevenzione e conoscenza della quale le suddette norme e procedure costituiscono un insostituibile strumento.

Un'ultima considerazione voglio riservarla ai centri di permanenza per i rimpatri che vanno a sostituire i CIE di vecchia e triste memoria. Triste memoria, sì, sia per quanto attiene al loro sistema di gestione, sia per le precarie condizioni in cui erano costretti a vivere i migranti, sia, infine, per quanto riguarda la loro efficacia. Oggi, grazie al lavoro svolto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul tema dell'accoglienza, identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, di cui voglio qui ringraziare tutti i componenti, abbiamo piena conoscenza di questa triste memoria che, se non ci appartiene come coloro i quali l'hanno costituita, è certamente una triste memoria per noi. E se il Governo ha mutato strategia ciò è anche dovuto a questa consapevolezza documentata. Non si è solo cambiato il nome, anche se questa circostanza ha la sua importanza, riguardo ai fini, ma si sono previste nuove regole di gestione e nuovi stanziamenti; non più pochi ed enormi centri di accoglienza, ma strutture di medie o piccole dimensioni, allocate su tutto il territorio nazionale, in siti individuati dopo aver sentito i presidenti di regione o delle province autonome, strutture dove il rispetto per la dignità per la persona non sia una condizione eventuale, come, purtroppo, abbiamo avuto modo di prendere atto, e dove, invece, i tempi del trattenimento massimo siano assolutamente definiti.

Il tempo a disposizione mi induce a contenere il mio intervento, nonostante vi siano ancora molti aspetti che dovrebbero essere meritoriamente segnalati, come l'impiego dei richiedenti protezione internazionale in attività di utilità sociale o il ripristino dello stato di detenzione per il tempo strettamente necessario, ovviamente, a dare esecuzione all'espulsione dello straniero irregolare nei confronti del quale sia stata disposta l'espulsione a titolo di sanzione o di misura alternativa alla detenzione, quando il rimpatrio non sia stato, invece, possibile.

Presidente, onorevoli colleghi, mi avvio, quindi, alla conclusione, sicuro di aver sostenuto un provvedimento che efficacemente rafforza l'azione del nostro Paese in relazione ad un fenomeno di proporzioni davvero imponenti. Questo provvedimento rappresenta, una volta ancora, il segno di come alle parole noi facciamo seguire i fatti, di come si possa coniugare accoglienza e rispetto delle regole.

L'Italia deve essere orgogliosa per quello che ha saputo fare sino a oggi, orgogliosa, veramente orgogliosa, spesso da sola, con una generosità straordinaria, con uomini e donne che hanno saputo anteporre i Valori con la lettera maiuscola rispetto alle semplificazioni e alle urla propagandate dalla politica opportunista e populista, alla ricerca solo di facili consensi e non certo di soluzioni. Questo decreto fornisce gli strumenti adeguati per fare di più e meglio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rondini. Ne ha facoltà.

MARCO RONDINI. Grazie, Presidente. Inizia, oggi, in Aula alla Camera, la discussione sul provvedimento che converte in legge il cosiddetto decreto Minniti. Una discussione che verrà, però, strozzata dalla posizione della questione di fiducia annunciata e scontata per un Governo, quello Gentiloni, che si conferma, per la linea politica adottata in materia di immigrazione, come la fotocopia dell'Esecutivo che lo ha preceduto, mostrando quel cedimento al politicamente corretto che scarica e scaricherà il costo sociale ed economico sulle spalle dei cittadini italiani. Del costo sociale ci dà conto la cronaca, ogni giorno; l'illusione che differenze culturali e religiose irriducibili possano risolversi attraverso un percorso di integrazione, sempre evocato, si scontra con la realtà dei quartieri ghetto, dove la convivenza pacifica e l'arricchimento che dovrebbe derivare dalla contaminazione del nostro modo di intendere la vita grazie al portato culturale dell'immigrato è irrintracciabile, se non nei sogni utopici dei cantori della società meticcia, incubo che tormenta le nostre comunità.

I laboratori dove si realizzano, grazie ad amministrazioni locali compiacenti, i vostri esperimenti sono un fallimento. Ne cito brevemente uno per tutti: a Pioltello, comune dell'hinterland milanese, su 37.000 abitanti il 25 per cento della popolazione è costituita da stranieri, ma al quartiere Satellite di Pioltello la percentuale è molto più alta, si stima che gli italiani siano solo il 30 per cento, su un totale di circa 10.000 abitanti, concentrati in poco più di un chilometro quadrato. Sono queste le realtà che, poi, andranno ad ospitare gli immigrati che voi accogliete a braccia aperte. Il Satellite è una specie di paese nel paese e ogni famiglia di stranieri sembra aver portato con sé gli usi e i costumi della propria terra, senza compiere grandi sforzi di adattamento. Sono circa 100 le nazionalità diverse che convivono in questa realtà, cosa che ha portato anche il commissario prefettizio che ha gestito il comune di Pioltello fino all'anno scorso in uno slancio all'insegna del politicamente corretto ad affermare che ciò sia un elemento di ricchezza e di unicità. Già, ricchezza e unicità di cui i cittadini di Pioltello farebbero volentieri a meno e che si traduce in tensioni sociali al limite del sostenibile. Già territorio della malavita organizzata nostrana, il Satellite di Pioltello, oggi, si confronta con i magrebini che gestiscono lo spaccio, con gli albanesi che rappresentano i quadri intermedi della nuova malavita e con gli ecuadoriani che si contendono il controllo delle strade. A rendere più variopinto il contesto, quel contesto del Satellite, vi è, e non poteva mancare, la solita moschea abusiva, animata da personaggi come Omar, un egiziano che dice candidamente alla stampa di aver tagliato un orecchio ad un tunisino che lo aveva insultato; ecco, questo, in breve, è uno dei tanti esempi di fallimentare politica di integrazione tentata che si potrebbero fare e di cui è disseminata tutta la penisola e sono quelle realtà alle quali consegnerete l'accoglienza dei nuovi immigrati che state portando qui ogni giorno.

Ecco che allora diciamo al Governo e, in particolare, al Ministro Minniti che dovrebbe garantire la sicurezza delle nostre comunità che il provvedimento oggi in esame non fermerà l'alluvione migratoria che si finge di voler regolare; le centinaia di migliaia di immigrati clandestini presenti sul territorio andranno ad alimentare situazioni, come dicevo prima, come quella che ho citato, ad esempio, e tutte quelle situazioni di illegalità di cui ci danno conto le inchieste e la cronaca, dal fenomeno del caporalato alla prostituzione, allo spaccio di stupefacenti. Insomma, si tratta di una massa di persone che rappresentano e rappresenteranno un serbatoio per la criminalità organizzata e che, comunque, ben che vada, si ritroveranno ad alimentare tensioni ed emarginazione sociale.

Vi è, poi, il costo economico di cui ci ha dato conto il sottosegretario Morando nel corso di un'audizione presso la Commissione d'inchiesta, stime confermate anche dalla legge di bilancio: 4 miliardi per il solo 2016 per l'accoglienza, al netto delle spese che i contribuenti sostengono per quanto riguarda la giustizia. Dal 2013 ad oggi, sono oltre 10 miliardi quelli spesi dai contribuenti italiani: già, perché solamente 480 milioni sono il contributo che arriva dall'Unione europea.

Noi ci aspettavamo un vero cambio di marcia da parte di questo Esecutivo in materia di immigrazione: annunciato in pompa magna, il cosiddetto decreto Minniti che vi apprestate a convertire in legge, ripreso dalla stampa, nelle parole degli estensori degli articoli, ma anche in quelle riportate come pronunciate dal Ministro, pareva essere improntato da quel rigore che la cosiddetta emergenza immigrazione richiedeva. Nulla di tutto ciò. Vengono introdotte norme che dovrebbero rendere più rapidi i tempi di esame ed eventuali ricorsi sulle richieste d'asilo, da un lato, eliminando un grado di giudizio e, dall'altro, aumentando l'organico delle commissioni territoriali, con l'assunzione di 250 persone, che, fra l'altro, è una misura che fortemente la Lega ha preteso ed ottenuto al Senato; poi, istituite delle sezioni specializzate presso i tribunali. Oggi - vale la pena ricordarlo -, un richiedente asilo può presentare ricorso avverso il diniego della commissione territoriale e, in genere, grazie anche ai tre gradi di giudizio, permane all'interno delle strutture d'accoglienza sino a trenta mesi, con relativo costo, naturalmente, per i contribuenti.

Queste misure che adottate, forse, velocizzeranno i tempi di esame delle richieste, ma non superano quell'anomalia tutta italiana - che andava superata in questo provvedimento se si aveva il coraggio di farlo - della protezione umanitaria, che - ce lo dicono i dati - è quella che viene accordata nella maggior parte dei casi quando la richiesta è accolta. Vi ricordo qualche numero per riportarvi alla realtà e per farvi rendere conto che, forse, quella protezione umanitaria che è accordata solo in Italia andava assolutamente superata. Ebbene, dal 2013 ad oggi, gli immigrati che sono arrivati sul nostro territorio e che hanno formalizzato una richiesta di asilo sono circa 330 mila; di questi 330 mila, la maggior parte, naturalmente, ha avuto un diniego e, fra quelli che hanno visto invece accogliere la propria richiesta, su 110 mila persone sono ben 55 mila le persone che si sono viste accordare la protezione umanitaria. Quindi, un'anomalia tutta italiana che permette a molti stranieri che giungono sul nostro territorio di beneficiare di diritti ai quali dovrebbero accedere solo coloro ai quali viene riconosciuta la protezione internazionale sussidiaria oppure lo status di rifugiato. Non avete manifestato neanche questo coraggio, quello di superare questa anomalia.

Veniamo ora ad un altro capitolo annunciato che avrebbe dovuto trovare sostanza in questo provvedimento e, cioè, il giro di vite che si doveva dare in tema di espulsioni, annunciato sulla stampa partendo dai numeri: qualche migliaio di espulsioni, dal gennaio del 2014 ad oggi, a fronte di quasi 600 mila immigrati sbarcati. Ebbene, quei buoni propositi che avete annunciato si sono tradotti riaprendo i CIE, ai quali cambiate nome, diventando i Centri di permanenza per il rimpatrio: uno per regione, con una capienza totale di 1.600 posti. Uno strumento che avete smantellato - quello dei CIE -, fra l'altro, azzerando, nel corso degli anni, anche quel fondo per i rimpatri che serviva per dar seguito alle espulsioni. Uno strumento, dicevo, che avete smantellato, in quanto oggi alla vostra furia buonista ne sono sopravvissuti solo quattro, che ospitano poco più di 300 immigrati.

Ebbene, rivalutate quello strumento, cambiandogli nome, come dicevo, ma prevedendo una capienza di soli 1.600 posti: è evidente che la misura è totalmente inadeguata, intanto, per la mole del fenomeno della clandestinità. Vi ricordo ancora qualche numero: dal 2013 ad oggi, in Italia, sul nostro territorio, siete riusciti a portare 570 mila persone. Ebbene, di queste 570 mila persone, solamente 330 mila hanno formalizzato una richiesta di asilo. Questo ci dice che 230 mila persone circa non hanno mai formalizzato alcuna richiesta e sono libere di poter circolare sul nostro territorio a tutti gli effetti dei clandestini; e quelle 230 mila persone dovrebbero trovare spazio all'interno di quei centri di permanenza e rimpatrio che, però, hanno una capienza di soli 1.600 posti.

Ci dovrete spiegare come farete a risolvere questo problema, che si sarebbe dovuto risolvere alla radice, magari, cominciando ad allestire dei centri, vista l'emergenza, magari più grandi o, magari, un numero maggiore di centri con l'unico fine del riconoscimento e del rimpatrio del clandestino presente sul nostro territorio; cosa che non avete fatto. Invece, avete cercato di rassicurare l'opinione pubblica annunciando in pompa magna, come dicevo prima, questo provvedimento che, poi, però, si traduce in norme che ben poco hanno a che vedere con la volontà di risolvere questo problema.

Abbiamo provato, fra l'altro, con diverse proposte emendative che non ci è stato permesso neanche di discutere, a migliorare il testo, ma nel corso dell'esame, come dicevo, delle Commissioni è stato praticamente impossibile modificare questo testo; ed ora, con la posizione della questione di fiducia, il nostro tentativo viene completamente sterilizzato. Vi è mancato, come dicevo, il coraggio di affrontare la situazione o, forse, non vi interessa e l'unico obiettivo che perseguite è quello di tenere a bada l'opinione pubblica, che si deve assuefare attraverso la quotidiana inoculazione di immagini che devono disarmarla e farla arrendere ad un destino che gli annunciate come ineluttabile: l'idilliaca società multiculturale.

Il trucco giocato mediaticamente in maniera abile si è sciolto e il rigore annunciato è scomparso; il trucco si è sciolto come neve al sole e il volto maleodorante e politicamente corretto giocato sulla pelle della sicurezza e della pace sociale delle nostre comunità è riemerso. Pannicelli caldi sono quelli che voi adottate con questo provvedimento, inutili, conditi con il linguaggio del rispetto di un corpaccione normativo nazionale ed internazionale, a cui si rimanda per giustificare l'ingiustificabile; misure insufficienti, dicevo, che, invece, proseguiranno a garantire un flusso che è diventato alluvione. Non bastano quegli accordi bilaterali, ai quali ha fatto cenno anche chi è intervenuto prima di me, con il Niger, la Tunisia e l'Egitto, perché, forse, non lo ricordano, ma la maggior parte degli immigrati che arriva sul nostro territorio proviene dall'Africa subsahariana e la maggior parte arriva dalla Nigeria e non sicuramente dal Niger, dalla Tunisia e dall'Egitto.

È una risposta inadeguata: cercate di obbligare i comuni ad aderire ad un sistema - il sistema SPRAR -, promettendogli di mantenere un rapporto di 2,5 immigrati ogni mille abitanti, consapevoli del fatto che quel rapporto lo andrete ben presto a modificare. Solo per l'anno in corso, avete previsto - e lo avete anche dichiarato sui giornali - un arrivo in Italia di 250 mila persone: ebbene, come si può pensare che anche qualora i comuni aderissero alla vostra idea stravagante di accoglienza diffusa possano riuscire ad ospitare un numero come quello che solo quest'anno arriverà in Italia, rispettando quel parametro del 2,5 ogni mille abitanti, ce lo dovrete spiegare.

Non riuscite a spiegarcelo, perché sapete e siete consapevoli del fatto che cercherete di obbligare comunque i comuni, volente o nolente, ad ospitare e ad accogliere anche chi non ha diritto assolutamente all'accoglienza.

E poi vi è un'altra misura che è introdotta in questo provvedimento, che naturalmente discende dalla vostra idea di fare accettare all'opinione pubblica sempre e comunque l'immigrato: l'impiego in lavori di pubblica utilità per i richiedenti asilo.

È una misura - e lo sapete bene – demagogica, da Minculpop, che serve per imbonire l'opinione pubblica e che ci mostrerà qualche migrante magari intento a spalare la neve o a tagliare l'erba, immagini che servono appunto per imbonire un'opinione pubblica che cercate in ogni modo di disarmare.

In particolare, anche questa misura si risolverà come una misura appunto utile solo a questo scopo, ma che non si tradurrà, nei numeri, in qualcosa di realmente significativo.

Vi faccio solo un esempio: a San Zenone al Lambro, un comune alle porte di Milano, da un accordo fra il prefetto e il Sindaco, è discesa la possibilità di fare accedere i 200 ospiti di una struttura d'accoglienza presso quel comune ai lavori di pubblica utilità.

Ebbene, su 200 persone hanno risposto solamente in 4 perché, come ha commentato giustamente qualche residente, sono clandestini, ma non sono persone che si vogliono far utilizzare per la vostra propaganda.

Chiudo dicendo che torneremo, in quel poco spazio che ci lasciate, magari negli interventi di dichiarazione di voto su un provvedimento al quale avete già deciso di apporre la questione di fiducia, sulla questione.

Annuncio che per noi questo provvedimento è un provvedimento assolutamente teso - e lo ribadisco - ad imbonire l'opinione pubblica, ma non a risolvere i problemi.

Il costo della vostra dissennata politica in materia di immigrazione, portata avanti dal 2013 ad oggi, lo pagheranno le prossime generazioni, lo pagherà la pace sociale che voi sacrificate sull'altare del politicamente corretto, perché è innegabile che la pace sociale poggia sull'omogeneità di chi compone le comunità e in particolare sul fatto che i componenti di quella comunità si riconoscano in una tavola di valori.

Come fate, come fate a pensare anche solo lontanamente che chi è portatore di una cultura e di una religione che si basa su principi completamente antitetici a quelli sui quali si basano le nostre comunità democratiche occidentali, ce lo dovrete spiegare.

Voi sarete i responsabili delle prossime tensioni sociali che si scateneranno nel Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gregorio Fontana. Ne ha facoltà.

GREGORIO FONTANA. Grazie Presidente. Colleghi, ci apprestiamo a discutere un provvedimento che è stato lungamente atteso e specialmente più volte annunciato con grandi slogan e che si è rivelato non solo completamente inappropriato per dirimere la questione migranti, ma ha svelato la totale sordità del Governo.

Come è noto e più palesemente alla Camera rispetto al Senato, non è stata data la possibilità alle forze di opposizione di poter discutere le proposte emendative presso le Commissioni referenti.

Giuste o sbagliate, il Governo ha dimostrato di essere sordo al dialogo e cieco innanzi alle possibili soluzioni che, con grande spirito di collaborazione, erano state offerte.

Il gruppo di Forza Italia aveva messo a disposizione la propria esperienza perché conosce bene il fenomeno migratorio e l'ha saputo gestire durante i Governi a guida del Presidente Berlusconi, sia a livello interno che sul piano internazionale, con un contrasto deciso e puntuale al traffico di esseri umani ed all'immigrazione clandestina, sancito anche grazie ad importanti accordi bilaterali, nonché grazie al potenziamento e all'affinamento di tutti gli strumenti per la lotta alla criminalità organizzata.

I Governi Berlusconi riuscirono a dare una stretta decisa al fenomeno migratorio e i numeri parlano chiaro.

Ora, per riparare ai danni di quelle che sono state politiche buoniste e confuse attuate dai successivi Governi di centrosinistra, abbiamo preparato un pacchetto di proposte che ci auguriamo possano essere vagliate almeno in quest'Aula.

Forza Italia ha proposto, solo per fare qualche esempio ragionato, di rafforzare le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e questo perché queste Commissioni sono il primo anello della catena di verifica delle ragioni dei richiedenti asilo; è nelle Commissioni territoriali che si smaltisce tutto il lavoro di identificazione, di vaglio delle richieste di asilo, di dialogo con il migrante.

Questo decreto aumenta gli incarichi delle Commissioni, ma non ne potenzia significativamente né l'organico né i mezzi da mettere a disposizione delle stesse.

Indire un concorso con le lungaggini e le tempistiche tipiche dei concorsi non è certo la misura di pronto impiego che ci aspettavamo.

Se si pensa che ad oggi, per ogni Commissione, ci sono solo quattro componenti in grado di definire le pratiche di competenza, a fronte dei 24.280 sbarchi registrati solo dall'inizio del 2017, si capisce che il Governo non ha alcuna intenzione di risolvere il problema dei migranti.

La carenza d'organico e le pastoie procedurali sono inaccettabili, a fronte delle continue richieste che hanno comportato un fisiologico calo delle audizioni giornalieri delle Commissioni.

La pressione del volume del lavoro è affidata a un numero così esiguo di componenti, che ha ricadute anche sul livello qualitativo delle valutazioni del contenzioso.

Avevamo anche proposto di aumentare il numero delle Commissioni sul territorio nazionale, prevedendone almeno una per provincia, e di rafforzare sia l'organico dei collegi giudicanti sia del personale amministrativo, per creare organismi in grado di verificare in tempi rapidi, rapidissimi, se lo straniero ha diritto o meno all'asilo o alla protezione sussidiaria.

Sempre a titolo di esempio, avevamo proposto l'istituzione di un organismo di controllo, composto dalle diverse Forze di polizia, per verificare la gestione amministrativa dei centri d'accoglienza, lautamente sostenuti dallo Stato ma enclave inaccessibili quando si tratta di verificarne l'efficienza e di vederne i libri contabili.

Ma si sa, gli slogan fanno presto a passare: i fatti di Cona, Manfredonia e Cesena, tanto per citarne alcuni, non sono serviti: dinanzi alle condizioni di degrado in cui versano i migranti in alcuni centri, il Governo preferisce voltare lo sguardo.

Avevamo anche proposto di ridefinire le regole che in Italia disciplinano la concessione della protezione internazionale, abolendo la protezione umanitaria per tutti, lasciandola in piedi esclusivamente per i minori stranieri non accompagnati.

Questo tipo di protezione infatti fu prevista dalla legge Turco-Napolitano, perché pensata per flussi migratori degli anni Novanta, che avevano dimensioni infinitamente inferiori a quelli di oggi.

Oggi invece è usata come una sorta di sanatoria mascherata per i migranti economici, con conseguente smisurato ampliamento della presenza dei migranti sul territorio.

Inoltre, la misura non è conforme alle norme e alle procedure dell'accoglienza europea.

Forza Italia non è sola nel ripetere che solo chi può stare in Europa può stare in Italia: a confermarlo è stato anche recentemente il monito contenuto nella relazione del Rappresentante speciale per le migrazioni e i rifugiati del Consiglio d'Europa, Boček, che a metà marzo dichiarò testualmente: “L'utilizzo di clausole legali basate su ragioni umanitarie per l'immigrazione economica rischia di incoraggiare i flussi di migranti irregolari via mare dal Nordafrica. Il sistema di rimpatri volontari” continua Boček “e delle espulsioni forzate è debole e rischia di incoraggiare l'afflusso di un sempre maggior numero di migranti economici irregolari”.

Le accuse all'Italia sono state pesanti: rimpatrio a pochissimi immigrati, è lenta nel ricollocare chi ha diritto all'asilo e non ha costruito centri d'accoglienza adeguati. Il Governo Gentiloni rispose in quell'occasione che ci sarebbe voluto il mago Merlino per risolvere la questione. Oggi noi rispondiamo che basterebbe, invece, abolire, ad esempio, l'obsoleta norma della protezione umanitaria, per fare un grande passo in avanti, adeguandoci così al resto dell'Europa.

Avevamo anche proposto di fornire adeguati strumenti alle forze dell'ordine. Proprio agli inizi di marzo, in un'intervista rilasciata ad uno dei maggiori quotidiani, il Ministro dell'Interno Minniti ebbe a dire: l'ISIS sta perdendo terreno a Mosul e a Raqqa, non è escluso che i suoi militanti in fuga non possano unirsi alle rotte dei migranti.

Una dichiarazione che destò grave allarme e che avvalora, di fatto, i fondati sospetti di una contaminazione tra immigrazione clandestina e terrorismo. Dotare le forze dell'ordine degli strumenti necessari, per arginare la paura fortemente percepita dai cittadini italiani, che nel flusso dei migranti si nascondano militanti jihadisti, intenzionati a seminare il terrore nelle nostre città, dovrebbe essere, quindi, il primo obiettivo del Governo.

Abbiamo chiesto, a tal proposito, al Governo di inserire anche delle misure precise, per aumentare da 24 ore a 72 ore il fermo per identificazione e dotare le forze di polizia di mezzi moderni ed adeguati.

In particolare, sulla prima misura, abbiamo chiesto a gran voce, perché è chiaro a tutti che la mancata identificazione di gran parte dei migranti contribuisce a rendere più confuso e opaco il quadro nel quale le nostre forze di sicurezza devono operare, per difendere il nostro Paese dalla minaccia terroristica. È, quindi, necessario concedere più tempo alle forze dell'ordine, per l'identificazione di un fermato, senza ledere le garanzie costituzionali, ma rafforzando gli strumenti in mano alle forze dell'ordine per svolgere il loro compito, soprattutto in un contesto come quello attuale, quando spesso il fermato è un migrante senza documenti. L'esigenza, come risulta dagli atti parlamentari, si pone soprattutto - ripeto - nelle procedure di identificazione di chi entra clandestinamente nel nostro Paese.

Un'altra grave lacuna, ignorata fino ad oggi dalla maggioranza, è quella legata alla totale assenza del Governo accanto al ruolo dei sindaci. Troppo comodo è scaricare sui primi cittadini doveri e responsabilità che spettano allo Stato, specialmente su temi così sensibili. Eppure, spesso i sindaci sono lasciati soli a gestire il fenomeno migratorio, sia in termini economici che a livello burocratico.

In particolare, per dimostrare solidarietà ai primi cittadini, Forza Italia aveva proposto tre misure.

Con la prima si sarebbe permesso ai sindaci di utilizzare una quota del gettito d'imposta municipale per finalità di accoglienza e assistenza ai minori stranieri non accompagnati, che costituiscono la parte veramente più vulnerabile dei flussi migratori. Dare diritti a tutti, senza sottrarli in particolare ai minori.

Avevamo, inoltre, chiesto di introdurre l'anagrafe centralizzata dei migranti, gestita dalle prefetture direttamente, per esonerare i comuni di questo gravoso compito, in termini sia economici sia funzionali, e di gestire quindi i profili burocratici del fenomeno migratorio e, in particolare, quel che riguarda la gestione delle pratiche relative alle richieste di residenza.

Avevamo anche chiesto di prevedere un parere obbligatorio dei sindaci quando, anche loro malgrado, sul territorio comunale vengono requisiti o comunque destinati, da parte delle prefetture, immobili per farne dei centri di accoglienza.

Ed infine avevamo chiesto l'inserimento di un'altra norma di buonsenso: permettere ai sindaci, ai consiglieri comunali e ai consiglieri regionali l'accesso nei centri d'accoglienza ubicati sul territorio, senza passare da permessi prefettizi.

È bene ricordare che, nel corso di un'audizione, tenuta al Senato, un sindaco, proprio impegnato in prima linea sulla gestione dell'accoglienza, il sindaco di Lampedusa, lamentava l'impossibilità di entrare dentro un centro all'interno del proprio comune. Noi abbiamo ritenuto, invece, che l'accesso alle varie tipologie di strutture, in cui sono trattenuti o ospitati gli stranieri, è un essenziale strumento di garanzia e controllo esterno sulle modalità e sulle condizioni di trattenimento.

Ed infatti una delle più gravi lacune del pacchetto varato dall'attuale Governo sta proprio nella totale mancanza di trasparenza, su come vengono gestiti i centri di accoglienza. Tutto tace su come vengono spesi i soldi degli italiani, da quando il migrante sbarca in Italia: rimpalli di competenze, lacune normative, remissioni. Ma quanto ci costano gli immigrati in realtà? E come sono gestiti i centri d'accoglienza, i CAS, i nuovi centri per il rimpatrio? Oggi in Italia ospitiamo 175 mila richiedenti asilo, ripartiti in centri di prima accoglienza, in centri di accoglienza straordinaria, i cosiddetti CAS, nel sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati, i cosiddetti SPRAR.

Ecco, in questi numeri, in questa situazione, c'è una questione importante, che è appunto quella del monitoraggio dei centri di accoglienza, che non è minimamente trattata. Questi centri, questa enormità di numero, quasi 8 mila centri di accoglienza tra tutte le categorie che ho elencato prima, è una moltitudine che spesso è incontrollata. E la prova di questa mancanza dei controlli è che, su oltre appunto gli 8 mila centri di accoglienza, sono state applicate solo in trenta casi penali a gestori inadempienti. D'altronde, bisogna anche mettersi nei panni di chi giornalmente rappresenta il Governo sul territorio, le prefetture, a cui solitamente viene demandato questo compito ispettivo: oltre alla cronica carenza del personale, non hanno alcuna disponibilità di esperti in questo specifico settore.

I fatti di cronaca sono ormai pieni di notizie sulla mala gestione dei nostri soldi, da parte di pseudo cooperative, associazioni o società, più o meno fittizie, che si improvvisano benefattrici del sistema di immigrazione per i loro interessi. È dei primi di marzo, per esempio, la notizia che riportava l'intervento dei carabinieri a Benevento, per il sequestro di un centro di prima accoglienza, perché un immobile era stato adibito a centro accoglienza, benché fosse un ex conigliera, ovviamente tutto questo in totale assenza di permesso di abitabilità. È un fatto che si ripete, purtroppo, spesso sul territorio italiano ed è incredibile che non ci sia un rigoroso controllo sugli immobili adibiti a centri di accoglienza.

Quanto si spende, quindi, per la gestione del fenomeno migratorio? Non lo sappiamo, eppure, quando c'è da chiedere soldi, il Governo non si tira mai indietro. È un nostro diritto, penso, avere dati in totale trasparenza, sapere quanto costano ai cittadini le procedure per il primo soccorso, per i centri di permanenza, per il funzionamento, per la gestione delle commissioni territoriali, quanto costano i ricorsi intentati dai migranti davanti ai giudici, che rallentano ulteriormente la macchina della giustizia.

Fino ad ora il Governo si è volutamente sottratto al confronto. E, allora, pongo l'ennesima domanda in quest'Aula al Governo: quanto incide realmente questo decreto sul fenomeno migratorio? Di quanto verranno diminuiti i tempi di permanenza presso i centri di accoglienza? Quanti migranti in meno sbarcheranno sulle nostre coste o attraverseranno le nostre frontiere grazie a questo decreto? Ebbene, io penso che non sia possibile per il Governo dare queste risposte, perché questo decreto non risponde a nessuna di queste domande.

Un decreto che si preoccupa con dovizia e attenzione della lingua straniera che dovranno parlare i magistrati, ma che non versa un euro sulle nuove sezioni di tribunale istituite e non assume un magistrato in più, con il risultato di gravare ulteriormente sul lavoro dei tribunali. Questo è un decreto, quindi, che non sana neanche le lungaggini presso le commissioni territoriali.

Vi invito a fare un calcolo: considerando le richieste pendenti ad oggi, pari a 122.684, i richiedenti esaminati nell'ultimo anno sono 113.193; anche se non sbarcasse più nessuno, quindi più nessuno facesse richiesta di asilo, le Commissioni definirebbero l'arretrato in quasi un anno e mezzo solo per avere il primo esito.

Questo è un decreto che non si preoccupa del fatto che, di fronte a 500.000 persone arrivate via mare sul nostro territorio, la richiesta di protezione è stata avanzata solamente da 270.000 e questo ci dice che 230.000 persone non hanno avanzato la richiesta di protezione. Che fine hanno fatto queste 230.000 persone? L'istituzione dei centri per il rimpatrio, con una capienza di sole 1.600 persone, può essere lo strumento sufficiente per affrontare il rimpatrio di queste persone? Di fatto, 430.000 sono i clandestini in Italia e, con ogni probabilità, questi 430.000 - anzi con certezza - ingrossano fenomeni illegali come il caporalato e la prostituzione. Questi dati vengono confermati anche dalla Commissione europea, quando afferma che ci sono quasi 1 milione e mezzo di clandestini arrivati in Europa e che gli Stati membri devono provvedere al più presto al rimpatrio.

Un altro punto importante è la questione dei ricollocamenti: su questo si apre un'altra pagina che parla di errori politici e gravi sottovalutazioni. Quando si parla della ricollocazione, si fa riferimento a una decisione del Consiglio del 22 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale.

Questa decisione muove dalla premessa che il problema della ricollocazione sia un problema di gestione delle istanze di protezione internazionale. In base, appunto, all'articolo 3 di questa decisione, infatti, è soggetto a ricollocazione chi appartiene a una nazionalità per la quale la percentuale di decisione di riconoscimento della protezione internazionale è pari o superiore al 75 per cento delle decisioni sulle domande di protezione adottate in primo grado.

Per l'Italia questo significa essere alleggerita di una quota pressoché insignificante della pressione umana che da sud va verso nord. Infatti, secondo i dati dell'Eurostat, la soglia del 75 per cento è stata superata, oltre che dagli apolidi, dai siriani e dagli eritrei, dai rifugiati del Burundi, dai rifugiati delle Maldive, dell'Oman e del Qatar, ma, per esempio, non ci sono neanche i rifugiati iracheni. Totale: solo 7.458, pari al 6,9 per cento dei richiedenti asilo in Italia, potrebbero avere diritto alla ricollocazione. In linea di massima, la ricollocazione, quindi, non ha alcuna incidenza né sull'impegno economico della Repubblica per richiedenti asilo né sull'effettiva presenza di persone irregolari sul nostro territorio.

Proprio alla luce di questi dati è necessario aggiornare e razionalizzare il quadro legislativo interno, cosa che non è stata fatta ad oggi da questo decreto.

Quando si affrontano i problemi legati all'immigrazione, non si può prescindere da alcune considerazioni di politica estera, argomento sul quale il Governo mostra un evidente affanno.

L'Italia oggi siede al Consiglio di sicurezza dell'ONU, quindi abbiamo anche la possibilità e il modo di far sì che ci siano quelle iniziative diplomatiche che noi chiediamo che vengano assunte affinché si passi più rapidamente possibile alla terza fase della missione internazionale Eunavfor Med Sophia, guidata in maniera encomiabile dalla nostra Marina Militare.

Ci sono stati chiesti i mezzi, la formazione, l'impegno della nostra Marina, i 300 milioni tanto sbandierati per il Piano Africa, con Libia, Tunisia e Niger (di cui peraltro stiamo attendendo gli effetti), eppure - un altro caso di accordi internazionali molto efficace - la Turchia è riuscita a negoziare un finanziamento pari a complessivi 6 miliardi, che di fatto ha messo sotto controllo e interrotto la rotta balcanica.

Onorevoli colleghi, Forza Italia ha ribadito anche in questa occasione, come ho detto all'inizio, proposte concrete elaborate con l'esperienza di Governo degli anni passati, che avevano di fatto affrontato e risolto il problema degli sbarchi e creato le condizioni per una piena integrazione di chi, avendo un lavoro in Italia, è stato inserito legalmente nel tessuto sociale ed economico nazionale o di chi fuggiva davvero dalle guerre o da calamità.

Forza Italia, a questo punto, ha un solo augurio: per il bene dell'Italia e per la stima che questa Assemblea deve dimostrare anche ai sacrifici giornalieri delle forze dell'ordine, per la tutela della dignità dei profughi che provengono dai teatri di guerra, ci auguriamo che il Governo ritorni sui suoi passi, non ponga la questione di fiducia su questo provvedimento e sia pronto a confrontarsi in un dialogo maturo e collaborativo, dal quale noi non ci sottrarremo e che saremo pronti ad affrontare (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Roberta Agostini. Ne ha facoltà.

ROBERTA AGOSTINI. Presidente, arriva alla Camera un provvedimento importante e complesso, che, per il tema che affronta, credo avrebbe dovuto essere discusso ed esaminato con grande attenzione anche dalle Commissioni competenti, prima ancora che dall'Aula.

Sappiamo che così purtroppo non è stato e per noi questo rappresenta un primo e assai rilevante elemento critico. Affrontiamo in modo troppo veloce e ristretto un grande tema, che è quello delle migrazioni, che avrebbe bisogno, invece, di uno sguardo lungo, di uno sguardo strategico e di scelte politiche lungimiranti.

L'Italia si è distinta in questi anni per il ruolo positivo che ha avuto nel soccorso in mare di tante vite umane, nel sostenere migliaia e migliaia di persone disperate, che rischiavano la propria vita pur di fuggire da fame, violenza, persecuzioni e guerra, ma è difficile parlare senza pensare ai morti durante la traversata nel Mediterraneo oppure alle tante storie tragiche che leggiamo sui giornali che le persone hanno vissuto prima di imbarcarsi.

Questa situazione non è contingente o emergenziale, ha un impatto forte sulla nostra società ed è un fenomeno strutturale, che va affrontato con strumenti adeguati di governo, che siano sia politici sia culturali.

Questo decreto credo rappresenti una risposta molto parziale, troppo parziale, per certi versi sbagliata al problema del governo dei flussi migratori. Il decreto contiene alcune previsioni che ritengo positive, come ad esempio le disposizioni volte a potenziare gli organismi amministrativi che esaminano le domande di protezione internazionale attraverso l'assunzione di personale qualificato, da impiegare presso le commissioni territoriali e la commissione nazionale; la formazione dei magistrati specializzati in materia; il potenziamento della rete diplomatica. Così come credo che il Senato abbia migliorato alcuni aspetti sul piano delle garanzie, aumentando ad esempio il numero delle sezioni specializzate o prevedendo che sulle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale le sezioni specializzate giudichino in composizione collegiale, ma questi puntuali aspetti positivi sono messi pesantemente in ombra da altri rilevanti elementi negativi, che disegnano un quadro nel complesso non condivisibile e sul quale abbiamo presentato diversi emendamenti e anche ordini del giorno.

È giusto puntare a migliorare le procedure di esame delle domande e velocizzare l'iter ma l'eliminazione di un grado di giudizio si configura, credo, con un'oggettiva riduzione delle garanzie processuali in un sistema come il nostro nel quale la garanzia del doppio grado è prevista anche per controversie di gravità minore rispetto a quelle di cui discutiamo, dato che parliamo di persone che potrebbero rischiare torture, persecuzioni o la vita stessa in caso di rientro nel loro Paese. In questo modo si configura dunque una giustizia speciale per determinate categorie di persone così come non appare chiara affatto la fisionomia dei nuovi centri per il rimpatrio. Da anni ormai - lo testimonia il lavoro della Commissione d'inchiesta sui CIE e quello della Commissione diritti umani del Senato - è stata documentata la situazione drammatica in termini di violazione dei diritti umani e di privazione della libertà nei CIE che si sono rivelati un sistema costoso ed inefficace. Il cambio di nome dovrebbe imporre anche un cambio radicale di gestione e di prospettiva anche sul piano delle norme che, invece, il decreto-legge non contiene. Continua a non essere definito con sufficiente chiarezza non solo chi debba essere trattenuto nei nuovi CPR ma anche quali sono le condizioni e cosa si deve fare per evitare il ripetersi di trattamenti disumani. Ci sono altri aspetti sui quali abbiamo presentato alcuni ordini del giorno, oltre che emendamenti puntuali, che dovrebbero rientrare, credo, in una revisione della strategia di governo del fenomeno migratorio. Occorrerebbe una nuova disciplina dei cosiddetti hotspot anche raccogliendo l'invito del Consiglio d'Europa e di altre istituzioni europee che ci chiedono di disciplinare le fasi di prima accoglienza e di identificazione dei migranti. Gli hotspot hanno una natura giuridica incerta che rischia di indebolire non solo il diritto d'asilo come diritto umano universale ma anche di creare opacità rispetto agli affidamenti agli enti. Per questo presenteremo anche ordini del giorno specifici. Ritengo che sia necessario intervenire normativamente per una revisione della strategia dei flussi migratori con una rivisitazione delle norme del testo unico dell'immigrazione che impediscono un ordinato programma di regolarizzazione e un inserimento controllato dei migranti. Ci sono alcuni provvedimenti che potevano essere adottati subito a partire dalla cancellazione del reato di immigrazione clandestina che si è rivelato fallimentare sul piano della deterrenza, come ha affermato lo stesso Ministro della giustizia Orlando, e che ha costituito, come ha dichiarato il procuratore nazionale antimafia Roberti, anche un ostacolo per le indagini poco compatibile con il nostro quadro costituzionale. Era possibile attivare corridoi umanitari, moltiplicare l'esperienza dei corridoi umanitari per garantire canali di accesso legali e controllati per chi scappa da persecuzioni e guerre, per stroncare la tratta di esseri umani e le stragi nel Mediterraneo.

Infine ritengo che costruire una politica di integrazione e di riconoscimento politico, sociale, umano per chi vive, lavora, paga le tasse, si sente ed è a tutti gli affetti un cittadino italiano è la migliore politica di sicurezza che possiamo mettere in campo e, da questo punto di vista, credo che sarebbe necessario approvare il prima possibile la legge sullo ius soli, ferma da troppo tempo al Senato, per riconoscere la cittadinanza a chi nasce e cresce nel nostro Paese. Troppo spesso consideriamo e dibattiamo i problemi legati all'immigrazione che sono gravi, complessi e rischiano di alimentare la percezione di insicurezza, la paura dei cittadini italiani. Parliamo di sbarchi e lasciamo sullo sfondo invece le potenzialità che l'immigrazione porta con sé. Secondo il rapporto della Fondazione Leone Moressa la ricchezza prodotta dai 2.300.000 occupati stranieri ha raggiunto 125 miliardi di euro pari all'8,6 per cento del prodotto interno lordo. Con i 10 miliardi di euro dei contributi previdenziali dei lavoratori stranieri si paga la pensione a 620.000 italiani.

Ritengo che ci sia un dibattito alto, politico, culturale che riguarda le sfide che l'immigrazione ci pone e che noi dobbiamo affrontare come un vero dibattito pubblico nel Parlamento e nel Paese. Purtroppo la ristrettezza dei tempi del decreto-legge, la decretazione su una materia così complessa non ce lo consente e credo che alzare le barriere e non costruire invece una politica efficace di integrazione che invece è indispensabile e necessaria - un esempio di questo lo abbiamo avuto nelle settimane scorse approvando una buona legge invece sui minori stranieri non accompagnati - non concentrarsi invece su una politica anche di relazioni di pace costruttive con i Paesi dell'altra sponda del Mediterraneo rischia di alimentare le paure, le incertezze nella percezione dell'opinione pubblica e di non affrontare e risolvere per davvero i problemi posti dall'immigrazione. Quindi il decreto-legge presenta una serie di problemi e di aspetti molto negativi sui quali noi avremmo voluto concentrarci…

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Agostini.

ROBERTA AGOSTINI. Ho concluso, Presidente.

PRESIDENTE. No, non era per lei: richiamavo l'onorevole Palese che parlava con il rappresentante del Governo. Prego.

ROBERTA AGOSTINI. …aspetti sui quali avremmo voluto concentrarci di più nelle Commissioni per poter dare anche il nostro contributo costruttivo. Purtroppo così non è stato e quindi anche questo problema aggrava il giudizio che abbiamo sul decreto-legge.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcon. Ne ha facoltà.

GIULIO MARCON. Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, colleghi e colleghe, vorrei intanto dire che il provvedimento in discussione in realtà deve essere letto insieme all'altro, il decreto-legge sulla sicurezza urbana, di cui questa Camera si è già si è già occupata. Deve essere letto insieme all'altro provvedimento perché entrambe le misure in realtà rispondono alla stessa filosofia che si potrebbe definire securitaria, legata a un'idea un po' poliziesca di problemi così gravi, così importanti, problemi sociali, umani, umanitari come quelli legati, da una parte, al tema dell'immigrazione, di chi scappa dalle guerre, e, dall'altra, a chi si trova in condizioni di marginalità sociale, di povertà nelle nostre città. D'altronde questa è un'impostazione che si è consolidata nel corso degli anni in una sorta di via penale ai problemi sociali, di criminalizzazione dei problemi legati alla povertà, al disagio, alla sofferenza, alle condizioni di ingiustizia nel mondo. Tale via penale è stata sperimentata in questi anni sul tema delle tossicodipendenze e sul tema delle migrazioni. Abbiamo avuto leggi come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi. Da tempo il tema della criminalizzazione o, comunque, della via poliziesca o dell'ordine pubblico rispetto ai temi della marginalità sociale, di problemi legati anche alle guerre e alla povertà nel mondo si è consolidato non solo nel nostro Paese ma, ancora prima del nostro Paese, in altri Paesi tra cui gli Stati Uniti. Si potrebbe dire che bisogno c'era dell'urgenza, che bisogno c'era di approvare due decreti in modo così repentino, considerando anche i dati che lo stesso Ministero dell'interno ci ha fornito nelle settimane scorse: la diminuzione dei reati e il tema degli sbarchi, che naturalmente è un tema serio, ma può essere governato e gestito soprattutto in un ambito europeo. Noi definiamo tali provvedimenti, compreso questo in esame, provvedimenti pubblicitari ed elettorali.

È un provvedimento che sostanzialmente usa il tema così drammatico di chi scappa dalle zone di guerra, di chi scappa dalle condizioni di violazioni dei diritti umani per dare un messaggio alla pancia di questo Paese, un messaggio alla percezione del tema della sicurezza di una parte della nostra società. Tali provvedimenti pubblicitari e di carattere elettorale rischiano di fare il paio con quello che fanno altre forze politiche non di Governo né di maggioranza come la Lega: una sorta di gara con la Lega e con Salvini, una gara che prevede anche in qualche modo una sorta di impegno a spararla più grossa, a usare la faccia più feroce, a mettere per strada la ruspa più grande.

Quando - l'altro giorno, due giorni fa, ieri, è uscita l'intervista - il Ministro dell'interno Marco Minniti dice che l'accoglienza trova il limite nell'integrazione, dice una cosa che con diverse parole hanno detto gli esponenti della Lega in questi anni; in realtà non è l'accoglienza che trova il limite nell'integrazione, ma sono le politiche del Governo che dovrebbero trovare un limite nella Costituzione, nella Dichiarazione universale dei diritti umani, nel diritto umanitario internazionale. E l'accoglienza non deve trovare un limite, ma deve trovare un dovere di rispetto del diritto delle persone che scappano dalle guerre e in questo modo occorre, anche, accogliere l'invito che Papa Francesco solo due mesi fa ci ha fatto. Papa Francesco, all'incontro sulle migrazioni, ha detto che i quattro verbi che noi dovremmo sempre tenere presente sono: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Sembra che con questo decreto, in realtà, i verbi siano altri: imprigionare, espellere, escludere. Ecco perché dico che fare la faccia feroce non risolve i problemi, non ha risolto i problemi quando è stato previsto il reato di clandestinità, non si sono risolti i problemi quando sono stati istituiti i CIE, non si sono risolti i problemi quando sono stati fatti i blocchi navali e devo dire che, da questo punto di vista, questo provvedimento ha un titolo un po' truffaldino, perché si parla di accelerare le procedure, in realtà non si accelerano i procedimenti in materia di protezione internazionale, ma si limitano le procedure per vedere riconosciuto il diritto di protezione delle persone che scappano dalle guerre. Ovviamente, è stato ricordato più volte, c'è l'annullamento del grado di appello, c'è il primo grado, di fatto, senza contraddittorio o molto limitato, a discrezionalità del giudice, la videoregistrazione; tutto questo noi lo riteniamo incostituzionale e non è un caso che non un esponente di Sinistra Italiana-Possibile, ma un esponente del Partito Democratico, il presidente della Commissione diritti umani del Senato, Luigi Manconi, abbia definito tutto ciò: una forma di diritto etnico.

D'altronde, già nel decreto “sicurezza” si fa la pulizia etnica, si fa la pulizia etnica dei centri storici di tutte le persone che danno fastidio, danno fastidio alla tranquillità, al decoro e, quindi, già in quel provvedimento c'è la previsione di una sorta di pulizia etnica e qui si prevede un diritto etnico, un diritto differenziale, un diritto di serie B rispetto a delle persone che dovrebbero essere, invece, maggiormente tutelate, tutelate perché sono indifese, perché scappano dalle guerre, perché cercano un rifugio nel nostro Paese. E poi, in questo decreto, c'è il rilancio dei centri di detenzione, dei centri per il rimpatrio; abbiamo già avuto brutte esperienze dai CIE, quello che sono stati, uno per tutti vicino a questa città, Ponte Galeria, dove il livello di disumanità, il livello anche di umiliazione delle persone è sotto gli occhi di tutti e chi ha potuto visitare quel centro si è reso conto delle condizioni drammatiche che vivono i rifugiati e le persone che sono ospitate in quel centro. Il rilancio, appunto, dei centri di detenzione con la nuova formulazione, il nuovo nome di centri per il rimpatrio, ha un rischio; il rischio, appunto, che si moltiplichino i casi di illegalità, di disumanità, di cattiva gestione. Adesso, abbiamo anche la previsione di una sorta di lavoro socialmente utile “volontario”, tra virgolette, che ricorda molto il lavoro obbligatorio delle workhouse inglesi dell'Ottocento, di cui ci ha raccontato bene Charles Dickens; ma anche Jack London, americano, nel “Il popolo dell'abisso” ci ha detto come funzionavano queste workhouse e queste forme di lavoro obbligatorio; qui c'è il rischio che questo lavoro, che è visto come volontario, poi venga tramutato e venga, in qualche modo, travestito in questa forma.

Ecco perché noi diciamo di “no” a questo provvedimento, diciamo che è un provvedimento che tradisce quello che la nostra Costituzione dice, la protezione delle persone che scappano dalle guerre, il diritto d'asilo, tradisce le dichiarazioni, non solo quella universale per i diritti umani, ma tutte quelle che proteggono i rifugiati e i richiedenti asilo, chi scappa dalle guerre. Per questo noi vogliamo dire, in conclusione, che la mancanza di un dibattito alla Camera su questo provvedimento, la mancanza di un confronto, la mancanza, anche, di un contraddittorio con chi ha proposto questo provvedimento è una cosa grave, perché si tratta di una misura molto delicata e molto importante.

E per questo noi saremo, domani, alle cinque del pomeriggio, a piazza Montecitorio, fuori da quest'Aula, insieme alle associazioni e alle organizzazioni dei migranti, alle associazioni per i diritti umani che protesteranno contro l'approvazione di questo decreto. Si tratta di un passaggio grave, di un passaggio che vogliamo stigmatizzare con tutta la forza possibile, perché in questo modo non si garantisce accoglienza a chi scappa dalle zone di guerra, non si garantisce che queste persone possano trovare nel paese di Cesare Beccaria il rispetto del diritto e dei diritti umani, ma si mettono nelle condizioni le forze di polizia, la magistratura e le forze di sicurezza di violare i diritti di queste persone e questo non è possibile, questo non lo accettiamo ed è per questo che annuncio già che voteremo contro questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Laffranco. Ne ha facoltà.

PIETRO LAFFRANCO. Grazie, Presidente. L'argomento di cui parliamo oggi dovrebbe essere un argomento molto importante: il governo del fenomeno migratorio e il provvedimento varato dal Governo. Senza polemica sarei, anzi, sono curioso di vedere, caro Presidente, se domani i quotidiani nazionali pubblicheranno una foto di quest'Aula vuota con la stessa enfasi con cui pubblicarono la foto dell'Aula vuota in occasione della discussione del testamento biologico. Evidentemente ci sono degli argomenti che vengono ritenuti più importanti di altri, mi si lasci passare la battuta, ma, forse, sarebbe il caso che tutti, noi per primi, ci mancherebbe, fossimo un po' più seri e un po' meno strumentali.

Detto questo, che mi pareva il caso di osservare in questa circostanza, se noi fossimo in un film o in una fiction o in uno sceneggiato, in una serie televisiva di queste che vanno per la maggiore, io adesso dovrei prendere e cominciare a disquisire sui contenuti di questo decreto, però, noi sappiamo perfettamente che il quarto Governo non eletto dai cittadini, perché il Governo Gentiloni è il quarto Governo non eletto dai cittadini dopo quello Monti, quello Letta e quello Renzi, anche quello Renzi non è stato eletto dai cittadini, ha intenzione, tra pochissimi minuti, di apporre l'ottantatreesima questione di fiducia di questa legislatura. Allora, siccome di farmi prendere in giro non è che io abbia proprio tantissima voglia, comincerò col dire una cosa di tipo politico e cioè che sono assolutamente certo - lo dico al sottosegretario Amici - che il mio gruppo voterà contro la questione di fiducia che verrà posta dal Governo e voterà contro la questione di fiducia, intanto, per un motivo, come dicevo, di carattere politico, perché noi siamo chiaramente e nettamente plasticamente all'opposizione di questo ennesimo Governo non eletto dai cittadini, e, poi, voteremo contro, anche, per le questioni di merito che cercherò, molto sommariamente, di toccare e che, assai più puntualmente di me, ha già toccato, argomentandole perfettamente, il collega Fontana.

La coppia di decreti che hanno viaggiato tra Camera e Senato, incrociandosi, su sicurezza urbana e su immigrazione erano stati annunciati dal Ministro dell'interno e dal Ministro della giustizia come la soluzione ai problemi della sicurezza, della legalità e del contrasto all'immigrazione. In verità, almeno per quello che riguarda questo decreto, il decreto immigrazione, che è in vigore dal 17 febbraio, abbiamo visto che è stato assolutamente efficace, infatti, abbiamo, ogni giorno, oltre 2.000 sbarchi. Congratulazioni! È un provvedimento legislativo con un'efficacia straordinaria. Anzi, voglio qui ricordare che il nostro gruppo al Senato, perché su questa vicenda dovremo andare assolutamente fino in fondo, ha chiesto che si svolga rapidissimamente un'indagine conoscitiva sul ruolo delle organizzazioni non governative che stanno trasportando in Italia e in Europa migliaia di clandestini ogni settimana, svolgendo un ruolo assolutamente ambiguo, arrivando nelle acque territoriali libiche, avvisando le organizzazioni del traffico di persone e alimentandone sostanzialmente le attività illegali.

È un tema importante perché, ormai, i migranti - questi migranti clandestini - entrano nel nostro Paese essendo accolti assai più vicino alle 12 miglia dalle coste libiche, su imbarcazioni attrezzatissime, anche con droni, da parte di ONG che portano questi stessi migranti verso le navi della Marina Militare italiana o di altre nazioni poste a presidio dei confini, le quali si trovano di fatto nell'unica strada di accompagnarli, poi, in Italia: cioè, come dire, abbiamo chi favorisce il traffico di immigrazione clandestina.

Allora, la quantità dei migranti, come dicevo poc'anzi, è nettamente aumentata: nel 2015, ne avevano contati 153 mila, nel 2016, 181 mila, contando solo quelli sbarcati e non quelli arrivati in Italia attraverso altre rotte, sia di acqua che, soprattutto, terrestri. Al contrario, i famosi ricollocamenti verso altri Paesi d'Europa sono enumerabili in poche centinaia, sui 160 mila previsti in sede europea.

Qui mi si consenta di fare una brevissima parentesi: per essere credibili in Europa, per andare a trattare in Europa, per avere dall'Europa un trattamento giusto ed equo, da quell'Europa che ci impone spesso delle regole che sacrificano gli interessi delle nostre famiglie e delle nostre imprese, dovremmo essere capaci noi di governare determinati fenomeni; ma, se non siamo in grado di governare questi fenomeni, come possiamo, poi, pretendere da parte dell'Europa il rispetto delle regole? Perché qui la cosa clamorosa è che l'Europa ci impone regole capestro su vicende di natura economica, ma, poi, quando si tratta di rispettare proprie decisioni, come quelle relative ai riallocamenti, l'Europa si impegna in modo blando, e devo dire che l'Italia stessa non è nelle condizioni di spingere, perché spesso non ha fatto neanche essa il proprio dovere quanto ad applicazione delle normative.

Questo decreto, di cui oggi dovremmo trattare, se non fossimo, come dicevo, in una fiction, è un decreto - il quesito è questo - che risponde alle necessità di questo Paese? Cioè, è un decreto, ad esempio, che consente di confiscare e sequestrare le navi che trasportano migliaia e migliaia di migranti ogni mese? Francamente, non ci sembra che, ad esempio, a questa domanda la risposta sia positiva.

Quello che voglio dire è che questo decreto oggi in esame in questa frequentatissima Aula non risolve l'insieme delle questioni dell'immigrazione.

Noi avevamo presentato, sia al Senato che oggi alla Camera, poche, ma qualificanti, proposte che, ovviamente, il Governo ha badato bene a non prendere in considerazione, mettendo la questione di fiducia prima al Senato e, poi, alla Camera, di fatto impedendo il dibattito. Ma io mi chiedo: se voi che oggi, qui alla Camera, avete una maggioranza di oltre 400 parlamentari su 630 non avete il coraggio di affrontare il dibattito, con questo genere di numeri, onestamente, da un punto di vista politico, che cosa state facendo? Non capisco neanche quale sia l'obiettivo: perché fornire alle opposizioni così tanti argomenti? Perché non avete neanche la volontà di rispondere alle nostre obiezioni, alle nostre osservazioni, alle nostre proposte?

Noi ne abbiamo fatte, ripeto, poche, ma qualificanti: avevamo chiesto che la sede delle verifiche sulle domande d'asilo non fosse il tribunale, ma fosse la corte d'appello; avevamo chiesto di allungare il tempo di fermo per l'identificazione dei clandestini; l'istituzione del registro pubblico delle moschee e l'albo nazionale degli imam; avevamo chiesto una più stringente definizione delle motivazioni di protezione umanitaria che rischiano, spessissimo, di essere un éscamotage per estendere a dismisura gli ingressi dei clandestini; avevamo anche proposto una serie di norme riguardanti l'inasprimento della pena per il reato di false dichiarazioni e anche il mancato rilascio del permesso di soggiorno per lo straniero o l'apolide che nei cinque anni precedenti fosse stato condannato per taluni reati.

La risposta del Governo, onorevole sottosegretario, è l'apposizione probabilissima, tra pochissimi minuti, dell'ottantatreesima questione di fiducia. La conclusione un po' banale forse, un po' strumentale magari, ma, piuttosto oggettiva, certamente non confutabile, è che quello che abbiamo in esame oggi è un provvedimento evanescente, di pura propaganda.

Il Ministro Minniti sembrava essersi presentato bene, perché lo conosciamo per essere un politico avveduto, ma, in realtà, dobbiamo sempre ricordare che il Ministro Minniti - lo dico a qualche collega un po' superficiale nelle valutazioni - è un uomo di sinistra, che sta in un partito di sinistra, che fa parte di un Governo di sinistra: quando mai potrà governare efficacemente un fenomeno drammatico come quello dell'immigrazione con l'autorevolezza, la forza e l'efficacia delle norme che servirebbero? Ma non esiste al mondo!

Il Ministro Minniti, con il Ministro Orlando, un po' distratto da altre vicende, come le primarie - certo, se si fosse distratto un po' di più avrebbe anche ottenuto di più magari, ma questo è un dettaglio che non mi riguarda -, hanno proceduto alla stesura di un decreto che, per qualche aspetto, rende un po' più rapide le procedure di esame delle richieste d'asilo, ma il tema fondamentale non lo affronta; anche perché abbiamo letto, in questi giorni, e abbiamo osservato lo svolgimento di tutta una serie di vertici a livello internazionale: chiacchiere tante, fatti praticamente nessuno.

Gli arrivi proseguono, i costi sono giganteschi - poi ci tornerò rapidamente - e si lesinano i mezzi alle forze di polizia. Oggi, nel giorno del centosessantacinquesimo anniversario dalla fondazione della Polizia di Stato, il Governo, invece di dare i famosi 80 euro di aumento, meritatissimi da parte delle forze di polizia - quando arriveranno non si sa -, discute se mettere i codici identificativi sulle tute di poliziotti e carabinieri, quasi che fossero la controparte dei teppisti che devono contrastare.

Francamente, io ho la sensazione che stiate navigando a vista anche in questo tema e che abbiate il timore di entrare nel merito, perché nel momento in cui si entra nel merito, si debbono dare delle risposte puntuali ad osservazioni che, non perché provengano da noi, sono semplicemente oggettive e di buonsenso.

Andando verso la conclusione rapidamente, non possiamo che osservare come, sul fronte dell'immigrazione, il bilancio del Governo Gentiloni sia un bilancio, in questa prima fase, assolutamente fallimentare. Il Ministro Minniti propone 1.600 posti nei nuovi centri di trattenimento: ma se nelle ultime tre settimane sono sbarcati 8 mila migranti, cosa ci facciamo con questi 1.600 posti? Il quintuplo degli sbarcati solo in tre settimane. Poi, magari, quando qualche piccolo paese del nord-est, del nord-ovest o del sud si ribella, apriti cielo: non vogliono l'accoglienza. Ma non vogliono l'accoglienza di che? Un Paese di centoventi cristiani dovrebbe accogliere cinquanta immigrati clandestini, che non si sa, poi, che fine faranno, se avranno l'asilo, se non avranno l'asilo? La maggior parte si allontanerà ed entrerà nel variegato mondo della clandestinità, ingrossando, purtroppo, in buona parte, le fila della criminalità di basso livello.

Noi vogliamo che quell'indagine conoscitiva sulle ONG richiesta in Senato vada avanti; vogliamo che ci sia finalmente autorevolezza da parte del Governo, perché vada, con i fatti e non con le chiacchiere, in Europa a sostenere con proposte precise la lotta al terrorismo, la difesa dei nostri confini. Ma anche su questo: da che mondo è mondo o, meglio, da quando esistono gli Stati - non quelli moderni, ma anche quelli più antichi -, la protezione dei propri confini esterni è ciò che denota precipuamente la sostanza di uno Stato. Ma se non siamo capaci di difendere i nostri confini, di cosa vogliamo parlare? Che non vuol dire isolarsi, non vuol dire chiudersi, nella società della connessione non vuol dire affatto chiudersi: vuol dire fare entrare chi si ritiene giusto, fare entrare e rimandare e non fare entrare chi non si ritiene giusto fare entrare. La regolamentazione dei flussi migratori, quindi il contrasto all'immigrazione clandestina, la concorrenza, di argomenti ce ne sono tanti.

Allora, di fronte a questo fallimento delle politiche dell'immigrazione - che ci costano, lo ha detto Matteo Renzi, quindi sarà vero, no? Quello che dice lui è tutto vero - 4 miliardi l'anno, noi diciamo con semplicità: perché non usarne una parte per aiutarli a casa loro? Perché non stringere degli accordi seri e intelligenti con tutta una serie di Paesi ed evitare che molti di questi migranti arrivino direttamente? Poi, quelli che hanno per davvero diritto all'asilo ci mancherebbe!

Ma sapete, è anche un po' ipocrita pensare ai richiedenti asilo quando la nostra politica estera, ad esempio sulla vicenda della Siria, è così evanescente e fallimentare come quella di questo Governo. Parliamo dei richiedenti asilo e non muoviamo un dito né dinnanzi alle azioni degli Stati Uniti, né a quelle della Russia, né a quelle del regime di Bashar al-Assad, come diamine si chiama quello strano dittatore.

Insomma, io penso che non siate assolutamente nelle condizioni di governare questo fenomeno. Questo decreto non risolve nulla, altre sono le politiche - come ha ricordato il collega Fontana - che noi facemmo e che avevano drasticamente ridotto gli arrivi dei clandestini, ma io sono convinto che quelle politiche noi presto torneremo a farle e allora più accordi bilaterali, espulsioni più rapide, blocchi delle partenze, anche di natura navale: sono tutti impegni urgenti per un'Italia che si dimostri certamente accogliente, ma certamente ancor più sicura e attenta alle esigenze dei nostri cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Daniele Farina. Ne ha facoltà.

DANIELE FARINA. Grazie, Presidente, io già giovedì scorso, in occasione della questione pregiudiziale, ho avuto modo nel dettaglio di parlare di questo provvedimento e soprattutto dei motivi per cui confligge con la nostra Costituzione.

Devo dire che quindi c'è la possibilità di estendere un po' il ragionamento.

Credo che i figli della paura non sono solo quelli che attraversano il Mediterraneo in fuga, ma anche i due decreti, n. 13 e n. 14 del 2017 del Governo, ovvero Minniti contro i poveri e Minniti contro i profughi: paura di perdere il controllo della condizione sociale interna, l'uno, e di essere in balia del contesto internazionale, l'altro; e poi diciamo c'è un mix fra entrambi, tant'è vero che sono stati presentati inizialmente come un unicum, con un unico decreto.

Ma per i cittadini italiani, per il futuro dell'Italia, trovo assai meno pericolosi i figli in carne ed ossa che scappano dalla guerra e dalla fame che i figli del cattivo legislatore.

“Espelleremo chi si radicalizza” tuona il Governo e, dopo ogni tragico attentato, ovviamente, è affermazione condivisibile. Peccato che il terrorista poco c'entri con i figli del mare: uno su un milione - dicono le cifre - e devo dire che oggi mi sembra che sia la sede europea che il Governo l'abbiano confermato nell'analisi degli attentati compiuti in Europa, perché il resto dei terroristi - a parte quell'uno su un milione - è prevalentemente figlio d'Europa.

Sezioni specializzate sulla materia migrante, sulla protezione internazionale: per la verità, ne esistono, di sezioni specializzate, parecchie nei tribunali della Repubblica, ma si occupano di temi: il diritto d'impresa ad esempio o quello di famiglia.

Queste sezioni, invece, avranno base etnica: tribunali speciali in difesa non dello Stato, ma della razza, nei quali togliamo, ma solo per loro, i migranti, un intero grado di giudizio, l'appello, nonostante il doppio grado di giudizio sia previsto nel nostro ordinamento per la maggior parte delle controversie civili e parliamo, nell'ambito di controverse civili, spesso di cose assai minori del diritto alla protezione internazionale.

Al giudizio speciale associate strutture speciali: via i CIE, viva i CIE, chiamati ovviamente in altro modo, più piccoli, su base regionale, ma portatori degli stessi problemi e della stessa inefficace.

E poi un tentativo di definizione dell'indefinibile, di quelle strutture molto più grandi che con termine diciamo legato alla connettività in lingua straniera, chiamiamo hotspot.

I cattivi maestri che gridano all'invasione si contorcono - l'abbiamo sentito anche in quest'Aula - per il buonismo della sinistra che vorrebbe accogliere tutti. Sono un poco più prudenti sulle parole del Papa, ma questi sono motivi non di fede, quanto elettorali.

Peccato che l'attuale situazione sia il prodotto della legislazione Bossi-Fini-Maroni-Alfano e ora, purtroppo, Minniti, un disastro dettato, questo, da un vizio ideologico, lontano, soprattutto, anni luce dall'impostare soluzioni concrete.

“Prima gli italiani”, si è sentito anche questo. Peccato che, l'anno scorso, a fronte di 150.000 invasori, abbiamo registrato 120.000 evasioni, ovvero italiani che scappano all'estero, nostrani migranti economici, insomma.

Se poi, invece di guardare solo alle elezioni prossime venture, spingessimo lo sguardo più in là, ai tassi di natalità, ad esempio, scopriremmo che, senza flussi migratori, fra sessant'anni il territorio italiano sarebbe semispopolato, e in parte lo è già, basta che qualcuno si prenda la briga di fare un giro dell'Appennino.

Un continente di 500 milioni di abitanti, l'Europa, che ha questo tipo di problemi demografici - Braudel l'avrebbe chiamato entro una grande depressione - avrebbe un campo largo di soluzioni verso la spinta migratoria e invece, silente, si chiude, non programma, non affronta, anzi subisce le partizioni interne, i muri qua e là eretti, i divieti, le restrizioni.

E maggior prudenza avrebbe dovuto avere l'Europa, la politica estera d'Europa, se esistesse, su quello che accade ai confini: le avventure d'Afghanistan, d'Iraq, di Libia, in ultimo di Siria, stanno alla base di molti dei nostri problemi.

Questioni epocali e globali affidate per noi ad un decreto del Governo Gentiloni: se non fosse dramma tutto questo, ci sarebbe forse anche da sorridere, ma purtroppo dramma è.

Voi avete in aggiunta espropriato la Camera dei deputati della sua prerogativa di discutere le leggi, provvedimento questo trasmesso dal Senato per la conversione il 28 marzo e qui non c'entra il bicameralismo, ma è molto evidente la volontà del Governo e infatti, finita questa nostra discussione generale, porrete la questione di fiducia.

Provvedimento, questo decreto, che suscita il plauso delle destre italiane, nonostante qualche finzione e la non belligeranza del MoVimento 5 Stelle (comunque voterà), che però non ci è dato sapere, perché il MoVimento non partecipa a questa nostra discussione generale.

Noi abbiamo provato a disegnare le alternative nella coscienza che su questi temi hanno fatto più le associazioni, i singoli, i volontari che i Governi.

Agli italiani un invito: diffidate di questi generali sulla collina, ma probabilmente non ce n'è bisogno, perché lo fanno, già (Applausi dei deputati del gruppo ApplausiSinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 4394)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la Commissione affari costituzionali, onorevole Naccarato, che ha quattro minuti e che però non vedo, quindi presumo che vi abbia rinunziato.

L'onorevole Guerini non ha praticamente più tempo, quindi se vuole proprio telegrafico. No?

Il Governo intende replicare? No.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 4394)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione, nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato, e delle proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge (Vedi l'allegato A).

La V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere (Vedi l'allegato A), che è in distribuzione.

(Posizione della questione di fiducia - Articolo unico - A.C. 4394)

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire la Ministra per i rapporti con il Parlamento, senatrice Anna Finocchiaro.

ANNA FINOCCHIARO, Ministra per i Rapporti con il Parlamento. Grazie, signor Presidente. Onorevoli deputati, a nome del Governo, autorizzata dal Consiglio dei Ministri, pongo la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti e articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge n. 4394, di conversione del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, nel testo delle Commissioni, identico a quello approvato dal Senato.

PRESIDENTE. La ringrazio.

A seguito della posizione dalla questione di fiducia, la Conferenza dei Presidenti di gruppo è convocata tra quindici minuti presso la Biblioteca del Presidente, al fine di stabilire il prosieguo dei nostri lavori. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 17,35, è ripresa alle 18,45.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Comunico che nell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, a seguito della posizione della questione di fiducia da parte del Governo sul disegno di legge n. 4394 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale (approvato dal Senato - scadenza: 18 aprile 2017) si è convenuta all'unanimità la seguente organizzazione dei lavori.

La votazione per appello nominale avrà inizio domani, martedì 11 aprile, a partire dalle ore 16, previe dichiarazioni di voto a partire dalle ore 14.

Seguirà l'esame degli ordini del giorno, il termine per la presentazione dei quali è fissato alle ore 10 di domani.

Le dichiarazioni di voto finale e il voto finale sul disegno di legge di conversione del decreto-legge avranno luogo mercoledì 12 aprile a partire dalle ore 9.

Seguirà, a partire dalle ore 11,15, un'informativa urgente del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Siria.

Dopo l'informativa avrà luogo il seguito dell'esame delle mozioni Grillo ed altri n. 1-01563 e Rondini ed altri n. 1-01581 in materia di liste d'attesa per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale ed esercizio della libera professione intramoenia.

A partire dalle ore 15 avrà luogo lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.

Al termine, a partire dalle ore 16,30, avrà luogo il seguito dell'esame delle mozioni Dell'Aringa, Palladino ed altri n. 1-01319, Cominardi ed altri n. 1-01533, Palese ed altri n. 1-01534, Sberna ed altri n. 1-01535, Placido ed altri n. 1-01538, Simonetti ed altri n. 1-01539, Rizzetto ed altri n. 1-01541, Francesco Saverio Romano ed altri n. 1-01543 e Baldassarre ed altri n. 1-01564 concernenti iniziative in materia di politiche attive del lavoro, con particolare riferimento al potenziamento dei centri per l'impiego.

Si è altresì convenuto che nella parte antimeridiana della seduta di giovedì 27 aprile avranno luogo le Comunicazioni del Governo in vista del Consiglio europeo straordinario del 29 aprile.

Il programma s'intende conseguentemente aggiornato.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 11 aprile 2017, alle 14:

  Seguito della discussione del disegno di legge:

  S. 2705 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale (Approvato dal Senato) (C. 4394).

Relatori: NACCARATO, per la I Commissione; GIUSEPPE GUERINI, per la II Commissione.

La seduta termina alle 18,50.