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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 679 di lunedì 26 settembre 2016

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 11,30.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 23 settembre 2016.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castelli, Castiglione, Causin, Censore, Centemero, Antimo Cesaro, Cirielli, Cominelli, Costa, D'Alia, D'Uva, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Garofani, Gelli, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Martella, Merlo, Migliore, Morassut, Orlando, Palma, Pisicchio, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Zampa, Zanetti e Zolezzi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente novantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Realacci ed altri; Terzoni ed altri: Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti e dei territori montani e rurali, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici (A.C. 65-2284-A) (ore 11,33).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 65-2284-A: Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti e dei territori montani e rurali, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

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(Discussione sulle linee generali – A.C. 65-2284-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che le Commissioni V (Bilancio) e VIII (Ambiente) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la V Commissione (Bilancio), onorevole Misiani.

  ANTONIO MISIANI, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, l'Italia dei piccoli comuni rappresenta un segmento molto rilevante del nostro Paese. Sono 5.627 i comuni con meno di 5 mila abitanti e sono il 70 per cento del totale. Coprono 164 mila chilometri quadrati, il 54 per cento della superficie del nostro Paese, e ospitano poco più di 10 milioni di abitanti, poco meno del 17 per cento della popolazione totale del Paese.
  Sono territori che rappresentano un'Italia forse minore, se guardiamo al dato della popolazione che vi risiede, ma, citando il Presidente Ciampi, non sono «un piccolo mondo antico». Queste piccole comunità locali sono l'elemento fondamentale dell'identità del nostro Paese. Sono spesso caratterizzate da un'elevata qualità della vita, da una forte coesione sociale, racchiudono una parte molto importante del nostro patrimonio paesaggistico, storico e artistico e ospitano tante eccellenze del sistema produttivo italiano.
  Non ci sono solo luci, ma anche ombre in questo universo di comuni, perché i piccoli comuni sono particolarmente colpiti dallo spopolamento, hanno un tasso di natalità inferiore e un tasso di mortalità superiore alla media nazionale, un saldo migratorio negativo, soffrono più degli altri comuni dell'invecchiamento della popolazione e hanno visto, negli anni più recenti, un diradamento e un indebolimento di importanti servizi pubblici. Da ultimo, ma non certo ultimo in ordine di importanza, il digital divide, la dotazione di reti informatiche e di connessioni a banda larga e ultralarga, penalizza questa parte del Paese e rischia di aprire un'ulteriore frattura rispetto alle aree urbane maggiormente dotate.
  La frammentazione amministrativa è indubbiamente un limite per l'organizzazione di questa parte del Paese, anche se il numero elevato di comuni non è un'anomalia italiana. Vorrei ricordare, signor Presidente, che nel 2015 l'Italia contava 8.048 comuni (sono scesi a 7.998 quest'anno), la Germania ne contava 11.169, il Regno Unito 10.332, la Spagna 8.119 e la Francia addirittura 36.678. Questo vuol dire che la frammentazione e l'esistenza di tanti municipi non è un'anomalia italiana, la vera anomalia italiana, invece, è il debole tasso di cooperazione intercomunale. Infatti in Italia solo il 39 per cento dei comuni fa parte di un'unione, in Francia la totalità (tranne 27 di questi 36.678 comuni) fanno parte di istituzioni di cooperazione sovracomunale.
  Il riordino istituzionale non è l'oggetto di questo progetto di legge. Ci sono altri percorsi che il Governo ha avviato, a partire dalla legge n. 56 del 2014, la riforma Delrio, e dagli incentivi rafforzati con la legge di stabilità 2016 per le unioni e le fusioni. Bisognerà tornare su questi temi, perché il percorso è incompiuto. Personalmente però sono convinto che il riassetto istituzionale sia un punto chiave. Va spinto il più possibile per accelerare la cooperazione e per superare la frammentazione, ma sono altrettanto convinto che la riorganizzazione delle istituzioni rappresenti solo un pezzo delle sfide che questa parte d'Italia ha di fronte.
  La sfida più importante che dobbiamo vincere è: ridefinire le vocazioni di questi territori, avviare un diverso modello di sviluppo per rispondere alla crisi e invertire la tendenza all'abbandono, partendo da alcune convinzioni.
  La prima. Non c’è ripresa in questo Paese se non si riducono i divari territoriali. Pag. 3I divari territoriali non vanno letti solo con la chiave tradizionale nord-sud. Ci sono in questo Paese forti divari centro-periferia e aree urbane-piccole comunità locali.
  Seconda convinzione. Il declino demografico, economico e sociale non è un dato ineluttabile. Anche in quell'universo di 5.627 comunità locali ci sono tanti, tantissimi comuni, che sono tornati a crescere negli anni più recenti, in cui sono state messe in campo politiche adeguate per lo sviluppo, a partire dalla progettualità locale.
  Terza e ultima convinzione. Queste comunità locali incrociano, per le caratteristiche che hanno, alcuni dei sentieri più interessanti di un possibile nuovo sviluppo del Paese. Ne cito alcuni: la green economy, l'economia verde, il futuro delle energie rinnovabili, l'economia della cultura e il turismo sostenibile, l'agroalimentare di qualità a chilometro utile, da filiera corta. Insomma, un pezzo significativo della possibile ripresa e del possibile sviluppo sostenibile del Paese passa da questi territori.
  Questa proposta di legge si colloca esattamente in questa prospettiva, fissando una serie di obiettivi. Ne parlerà più dettagliatamente il collega Borghi, che farà una panoramica compiuta. Io mi soffermerò sui temi di più diretta competenza della Commissione di cui faccio parte, la V Commissione (Bilancio). Si tratta dell'articolo 3 e di ciò che prevede. Ne approfitto per ringraziare anche il collega Tino Iannuzzi, che ha compiuto un lavoro preziosissimo per portare in Aula questo progetto di legge.
  La parte di competenza su cui entro nel dettaglio è l'articolo 3, che disciplina l'istituzione di un Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni. Il fondo è finalizzato al finanziamento di investimenti, quindi parliamo di spese in conto capitale e mirate allo sviluppo. Sono investimenti per l'ambiente e i beni culturali, per la mitigazione del rischio idrogeologico, per la salvaguardia e la riqualificazione dei centri storici e la messa in sicurezza di infrastrutture di edifici pubblici, l'insediamento di nuove attività produttive, lo sviluppo economico e sociale. Questi sono i terreni che il progetto di legge indica per la progettualità delle comunità locali, mettendo a disposizione 100 milioni di euro, dal 2017 al 2023, con una dotazione di 10 milioni il primo anno e di 15 milioni per gli anni successivi.
  Ai fini dell'utilizzo di queste risorse viene predisposto un Piano nazionale per la riqualificazione dei piccoli comuni e un elenco di interventi prioritari, tenendo conto che il piano deve assicurare la priorità ai seguenti interventi: la qualificazione e la manutenzione del territorio; la messa in sicurezza e la riqualificazione delle infrastrutture e degli edifici pubblici, con particolare riferimento alle scuole e agli edifici con funzioni socioassistenziali; il tema dell'efficienza energetica delle fonti rinnovabili; la questione dell'acquisizione di qualificazione di terreni ed edifici in stato di abbandono; l'acquisizione di case cantoniere e dei sedimi ferroviari dismessi; il recupero dei centri storici, come dicevo in precedenza, e il recupero dei beni culturali, storici ed artistici.
  I commi 4 e 5 disciplinano i criteri per la presentazione dei progetti e l'aggiornamento annuale del piano. Credo che vada menzionato tra i criteri più significativi che il progetto di legge pone per l'accesso a queste risorse, quello dei tempi per la realizzazione degli interventi e la capacità di coinvolgimento di soggetti finanziatori, pubblici e privati. L'effetto moltiplicatore, quindi, di queste risorse è uno degli elementi fondamentali per dare priorità all'accesso ai 100 milioni del Fondo nazionale per la riqualificazione dei piccoli comuni. I progetti finanziabili vengono individuati con DPCM e le risorse sono ripartite con decreto del Ministero dell'interno. Da ultimo, i commi 8 e 9 dispongono in ordine alla copertura degli oneri e al reperimento di queste risorse.
  Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Queste risorse, i 100 milioni del Fondo nazionale, da soli ovviamente non basteranno a raggiungere tutti gli obiettivi che pone questa proposta di legge. Ma il Pag. 4Fondo, queste risorse che vengono messe sul piatto, aprono una breccia: indicano e evidenziano i terreni di progettualità su cui lo Stato è disponibile a concorrere con le proprie risorse. Poi la loro parte la devono fare le piccole comunità locali, mettendosi assieme, costruendo progetti e lavorando per costruire e per adeguare alla propria realtà dei possibili sentieri di sviluppo sostenibile. È questo, se vogliamo, lo spirito di fondo di questo provvedimento: delineare una nuova prospettiva di sviluppo per le migliaia di piccole comunità locali del nostro Paese. Una prospettiva che deve tradursi in tanti progetti concreti di recupero, di riqualificazione del territorio e degli edifici, di riorganizzazione dei servizi – altro tema fondamentale per invertire il declino economico, sociale e demografico di queste realtà –, di valorizzazione del patrimonio artistico, paesaggistico, culturale di cui sono molto ricche queste comunità.
  Lì c’è un giacimento di possibile sviluppo per questo Paese: questo giacimento deve essere sfruttato con intelligenza, secondo criteri di sussidiarietà, facendo partire dal basso i progetti che possano costruire percorsi di sviluppo, occupazione, nuove prospettive di benessere e di attrattività per questi territori. È un primo passo, signor Presidente, altri ne dovranno seguire: con questo provvedimento, però, poniamo un punto fermo in una strategia di rilancio di quella che, tante volte, il Presidente Ciampi e i suoi successori hanno chiamato, giustamente, la piccola, grande Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione ambiente, onorevole Borghi.

  ENRICO BORGHI, Relatore per la VIII Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi è una giornata importante per questo Parlamento e per le istituzioni repubblicane. Oggi, dopo tre anni di lavoro, portiamo in Aula un provvedimento che va anche al di là degli aspetti specifici con i quali abbiamo voluto coordinare una serie di iniziative, che sono nate da una proposta a prima firma del presidente Realacci e che ha visto, successivamente, portare il loro contributo anche gruppi dell'opposizione.
  Dicevo che va al di là perché, innanzitutto, occorre cogliere un dato: il dato è che finalmente, dopo tanti anni, in quest'Aula, nelle istituzioni repubblicane, nel dibattito nel Paese si tiene conto della peculiarità, della specificità, della caratteristica su cui il nostro Paese è costruito. Infatti, signor Presidente, noi viviamo in un Paese strano, un Paese nel quale milioni e milioni di italiani vivono in aree rurali, in zone interne, in aree montane, ma nel dibattito istituzionale, nella dialettica sui media, nelle prese di posizione collettive sembra quasi che viga una sorta di monolite, una sorta di unica concezione urbana metropolitana che espelle dalla discussione e, conseguentemente, anche dalle decisioni le caratteristiche proprie sulla base delle quali l'Italia è costruita. E così capita, purtroppo, di doversi imbattere nella realtà, quella vera, non quella virtuale, quando la realtà si impone con la propria forza.
  È di qualche giorno fa il drammatico evento del terremoto, un drammatico evento che ha costretto i decisori a rendersi conto che l'Italia non è solo l'Italia dei talk show, dei dibattiti finti, delle polemiche inventate, ma è l'Italia di milioni e milioni di italiani che hanno scelto di vivere in comunità che sono fra loro caratterizzate da una peculiarità: quella di essere piccole, quella di essere distinte, quella di essere lontane dai luoghi delle decisioni, spesso lontane anche dai luoghi dell'erogazione di servizi di cittadinanza.
  E, quindi, questo provvedimento, per la prima volta, dopo tanti anni in cui anche la legislazione del nostro Paese è andata nell'indirizzo di una logica massificante – e questo è, probabilmente, uno dei limiti per i quali non si sono raggiunti quegli obiettivi alla base dei quali la produzione legislativa in questi anni si prefigurava l'esigenza di ammodernamento e di efficienza del servizio –, torna a configurare una caratteristica di peculiarità, di specificità. Pag. 5Infatti, se dovessimo dirla con uno slogan, con un tweet – come va oggi molto di moda – per spiegare il perché noi ci accingiamo a dover dibattere e legiferare in questa direzione, potremmo dire che occorre una risposta diversificata perché mentre le città sono fondate sulla quantità, le aree interne, le zone rurali, i piccoli paesi sono fondati sulla qualità. Non possono, quindi, organizzarsi, non possono avere le stesse regole, non possono essere uniformati dentro una dimensione esclusivamente quantitativa.
  Se immaginassimo l'Italia esclusivamente sotto questo profilo, non solo non ne coglieremmo la sua intima natura identitaria, ma, al contrario, non riusciremmo neppure a configurare quei diritti di cittadinanza di quelle comunità, che, per poter avere quello stesso tipo di opportunità garantite in altre parti del territorio nazionale, hanno bisogno di essere riconosciute per la loro peculiarità.
  Questo provvedimento è una risposta che va in quella direzione: non è un provvedimento corporativo, signor Presidente, onorevoli colleghi. Non è un provvedimento che interviene sulle misure organizzative dei piccoli comuni: è un provvedimento che si rivolge alle comunità di uomini, di donne, in carne ed ossa, che vivono nei territori che hanno questo tipo di caratteristiche. E ci sarà pure anche un motivo per il quale, in quasi il 65 per cento del nostro territorio nazionale, le comunità hanno deciso di organizzarsi sotto forma di piccole municipalità: perché è evidente che la loro caratteristica geografica, la loro caratteristica storica, la loro caratteristica culturale ha fatto sì che il modello di organizzazione della democrazia in quelle realtà fosse tale da essere costituito nella dimensione del piccolo comune.
  Ma, come ha ricordato in precedenza il collega Misiani, non di questo tratta il provvedimento. Tratta, invece, da un lato, della peculiarità di questo tipo di comunità e, dall'altro, di alcune caratteristiche che queste comunità hanno e che possono diventare un punto di riferimento per l'intero territorio nazionale. Sì, perché noi parliamo in questo provvedimento del fatto che il ripopolamento, la salvaguardia, la garanzia della presenza di comunità umane all'interno dei piccoli comuni sia un interesse nazionale.
  Non stiamo, quindi, configurando una norma in funzione di un bisogno particolare: stiamo dando una risposta di carattere collettivo e nazionale, che parte da una caratteristica che, peraltro, è spalmata sull'intero territorio della Repubblica, perché i piccoli comuni si trovano in Valle d'Aosta quanto in Sicilia e, quindi, rispondono ad una esigenza e ad un preminente interesse di carattere nazionale. Lo straordinario patrimonio culturale, ambientale, naturale, architettonico che risiede su queste realtà fa sì che siano un autentico giacimento, un autentico scrigno per l'intera Repubblica.
  Il secondo aspetto, la seconda questione in termini giuridici e di principio che noi sottolineiamo per quanto riguarda il tema dell'interesse nazionale è che sanciamo un aspetto, anche qui, inedito rispetto alla ordinaria produzione legislativa che c’è stata sin qui. Sanciamo, cioè, il tema che l'insediamento e il reinsediamento all'interno di questi territori è una risorsa per l'intera collettività nazionale, perché presidiare questi territori significa svolgere una funzione, sì nell'interesse di quelle realtà circoscritte, ma anche nell'interesse delle realtà che non appartengono a quel bacino, a quella peculiare realtà o a quella peculiare caratteristica zona geografica. Si pensi solo, ad esempio, al tema della tutela dell'assetto del suolo e del riassetto idrogeologico, in cui una presenza di una comunità che governa un ambiente, un territorio, un patrimonio è la condizione per evitare e preservare dissesti idrogeologici i cui costi vanno, poi, complessivamente, a scapito dell'intera collettività. Quindi, garanzia di patrimonio, garanzia di reinsediamento, interesse nazionale.
  Poi, c’è il terzo aspetto, che è caratterizzato dai contenuti di questi tredici articoli. Perché nella vulgata, spesso, superficiale alla quale assistiamo, si sente parlare di queste comunità come una sorta di piccolo mondo antico, come una sorta di Pag. 6retaggio del passato destinato ad estinguersi, come una sorta di cascame che, progressivamente, verrà travolto dalle magnifiche e progressive sorti dell'economia digitale, della Rete e dell'innovazione tecnologica. Niente di più sbagliato, niente di più falso, niente di più miope: in realtà, questi territori rappresentano una delle punte avanzate della modernizzazione del Paese. Basti leggere i contenuti dei provvedimenti che qui abbiamo cercato di costruire per capire le sfide che l'Italia è chiamata a dover fare nell'economia del futuro. Si citava in precedenza il tema dell'economia verde, su cui noi attendiamo una forte risposta e l'occasione è anche questa circostanza per apprezzare ed individuare nei confronti del Governo uno sforzo consistente per il recepimento della COP21 nel nostro ordinamento nazionale. La COP21 e i contenuti dell'economia verde in Italia potranno esistere esclusivamente passando attraverso i territori, attraverso il coinvolgimento delle comunità, attraverso la valorizzazione di quel patrimonio naturale, ambientale ed ecologico che è presente su tutto il nostro territorio nazionale e di cui i piccoli comuni sono ricchi, ricchissimi e in alcuni casi sono anche addirittura – penso al tema della forestazione – proprietari.
  Quindi, basterebbe solo questo per far capire come non stiamo parlando di qualcosa di passato, ma stiamo parlando di qualcosa di straordinariamente avveniristico: è il tema della soft economy, il tema del rapporto tra città e aree interne, tra zone urbanizzate e zone meno urbanizzate nel concetto tra le cosiddette smart cities e le smart land, cioè il fatto con il quale il nostro Paese si possa modernizzare integrandosi e riconoscendo la propria peculiarità. È in questa direzione, per esempio, che il provvedimento dà una significativa apertura rispetto ad un tema, quello del completamento dell'innervamento tecnologico e della banda larga nel nostro Paese, introducendo da un lato un principio molto importante, cioè il fatto che esistano delle zone a fallimento di mercato per le quali è legittimo, in considerazione del fatto che i diritti dei nostri cittadini sono uguali a prescindere dalla dimensione quantitativa delle comunità in cui vivono, che ci possa essere un intervento di carattere pubblico per allineare questi cittadini ad altre zone del Paese. Peraltro, questo tipo di intervento consentirà anche alle zone più popolate di potersi innervare fra loro con delle dorsali ed aumentare, quindi, complessivamente il mercato in questa direzione. Vi sono risorse importanti che il Governo ha stanziato nell'ambito del programma nazionale. Con questo provvedimento noi diciamo che vi è una priorità per questo tipo di comuni, proprio perché essi sono quelli che oggi sono stati lasciati ai margini, rispetto ad una dimensione che ha affidato esclusivamente al mercato le scelte di investimento e, quindi, nelle zone a cosiddetto fallimento di mercato occorre effettuare un'azione di riallineamento.
  Vi è ancora un altro aspetto, scorrendo gli elementi che sono oggi contenuti all'interno di questo provvedimento, che ci fa capire come noi stiamo costruendo una normativa in condizione di mettere il Paese su delle fasi avanzate. Vi è il tema del recupero, della valorizzazione, della riqualificazione dei nostri centri storici, che è un tema drammaticamente portato all'attenzione dagli eventi del terremoto e su cui il Governo, con «Casa Italia», può dare una risposta significativa. Ebbene, il lavoro che il Parlamento ha fatto va in questa direzione e crediamo possa essere utilmente impiegato per consentire quella straordinaria attività di recupero di un grande patrimonio edilizio oggi spesso dismesso per una serie di normative contraddittorie fra loro e che può andare anche in direzione di un provvedimento, già votato da questo ramo del Parlamento e che è relativo al consumo del suolo, che ci può consentire di evitare ulteriori, come dire, danneggiamenti e ulteriori arretramenti rispetto al nostro patrimonio ecologico e ambientale e contemporaneamente consentire di mettere in sicurezza risorse e strumentazioni urbanistiche del nostro territorio, che proprio nei piccoli comuni trovano un loro straordinario giacimento.Pag. 7
  Si pensi all'idea, che introduciamo, di contrasto all'abbandono degli immobili e di contrasto all'abbandono dei terreni; si pensi all'idea della valorizzazione degli itinerari turistico-culturali che attraversano i piccoli paesi e che vanno in una direzione di un turismo ad alto valore aggiunto in grado di coniugare ambiente, qualità della vita e risorse enogastronomiche; si pensi anche agli altri aspetti che in questo provvedimento sono citati e, cioè, l'esigenza che questo tipo di peculiarità e di caratteristica debba essere recepita dalla strumentazione normativa e governativa nell'ambito dei servizi fondamentali, perché noi riteniamo che ci possa essere un futuro per queste comunità se da un lato ne individuiamo, in un'ottica di interesse nazionale, la loro vocazione di prospettiva – ed è quello che ho cercato di descrivere sin qui – e se contemporaneamente creiamo una strumentazione, dal punto di vista dell'erogazione dei servizi di cittadinanza fondamentale, che tenga conto della peculiarità e tenga conto delle caratteristiche. Sulla base di questo provvedimento il Governo, nella redazione dei piani di istruzione e nei piani dei trasporti, dovrà tenere conto della peculiarità di questo tipo di caratteristiche.
  Mi avvio alla conclusione, signor Presidente, sottolineando un ultimo aspetto di questa norma. Questa norma recupera un passaggio costituzionale molto importante rimandando al concetto del governo sussidiario dei territori, nell'idea dello sviluppo e nell'idea dell'organizzazione delle politiche di crescita del nostro Paese. Quindi, configura per le unioni dei comuni e per le unioni dei comuni montani un ruolo importante nella direzione della costruzione e dell'applicazione di questa norma, perché – e credo che sia questa la conclusione alla quale possiamo pervenire – credo abbia ragione Baumann quando ci dice che il futuro appartiene alle comunità che si riorganizzano e sottolinea che «nell'era del digitale e della rete, in cui ciascuno di noi rischia di sentirsi più individuo, più solo e più atomizzato, la riscoperta della comunità è la chiave fondamentale per la riscoperta del futuro dell'intero Paese» (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
  È iscritto a parlare l'onorevole Realacci. Ne ha facoltà.

  ERMETE REALACCI. Grazie, Presidente. È la quarta volta in quattro legislature che questo provvedimento approda alla Camera; viene approvato a larga maggioranza – lei lo ha sempre sottoscritto ed è anche tra i sottoscrittori di questa proposta di legge – e poi si ferma al Senato, a proposito di bicameralismo paritario. Siccome sono stato sempre il promotore, uno potrebbe pensare che è una testardaggine maniacale che spinge in questa direzione. Ebbene, i colleghi relatori hanno spiegato perché non è così. Questo provvedimento, che è leggero dal punto di vista dei finanziamenti – si parla di 100 milioni di euro in più anni, destinati soprattutto alle comunità che sono in maggiore difficoltà – è invece una normativa fondamentale per indicare un'idea di Paese ed è importante che, tra i primi che hanno sostenuto e accompagnato questo provvedimento, vi sia proprio il Presidente Ciampi, che non è certo sospettabile di avere disattenzione, per esempio, rispetto ai temi dell'economia e della modernità dell'Italia.
  È una legge fondamentale perché, come è stato detto anche dal collega Misiani e dal collega Borghi, non stiamo parlando di un piccolo mondo antico, che poi tanto piccolo non è perché qui parliamo di oltre 10 milioni di cittadini che vivono in questi posti e di almeno 10 milioni che con questi posti hanno un rapporto privilegiato rispetto alla loro identità. È un provvedimento che parla, invece, di un'idea di Italia. Spesso questo provvedimento si è fermato perché si confondeva, come ha spiegato bene il collega Borghi, con una legge di riordino istituzionale. Qui voglio essere molto chiaro: è giusto che ci sia una Pag. 8razionalizzazione istituzionale, è giusto che si mettano insieme comuni, che ci siano politiche di area vasta, ma molte volte dei finti modernizzatori, dei modernizzatori con la testa rivolta indietro, hanno confuso questo con l'indebolimento dell'identità – e, invece, le identità sono un pezzo importante per la sfida del futuro – e questo è accaduto trasversalmente: è accaduto anche nel partito di cui faccio parte. Io ricordo, se non sbaglio, che i colleghi del MoVimento 5 Stelle sono arrivati con un programma che prevedeva lo scioglimento dei piccoli comuni; poi fortunatamente abbiamo cambiato idea assieme, si è fatto un lavoro comune non solo con il MoVimento 5 Stelle ma anche con le altre forze politiche e c’è oggi un provvedimento ampiamente condiviso.
  È un provvedimento che ha sempre avuto una forte pressione esterna fin da quando è nato. La Legambiente, innanzitutto, ma anche Coldiretti, Confcommercio e tanti altri mondi hanno visto in questo provvedimento proprio la sottolineatura di un occhio diverso sul Paese. Diceva Proust che «un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre ma avere nuovi occhi», cioè cercare di capire cos’è dell'Italia che ci può aiutare ad affrontare il futuro e qualche volta questo si vede più dall'esterno. Mi ha colpito un'intervista di qualche settimana fa di Daniel Libeskind, che è il grande architetto che, per capirci, ha ricostruito Ground Zero a New York, il quale ha detto che i piccoli centri italiani racchiudono il DNA dell'umanità: La loro evoluzione parla della dignità dell'essere umano perché tutto, scala, edifici e strade, è nato per facilitare le relazioni; è il senso di una cultura che mette l'uomo e i suoi bisogni al centro, creando dialogo e sprigionando colore e bellezza. È così ! Dobbiamo guardare con questi occhi i piccoli centri.
  È anche importante dire che questi piccoli centri non sono poi destinati ad attività tra virgolette minori. Diceva Carlo M. Cipolla che la forza dell'Italia è costruire all'ombra dei campanili cose che piacciono al mondo. Le misure, che noi prevediamo qui, non sono solo le misure destinate a tenere assieme le comunità, come ricordava il collega Borghi, perché scuole, presidi sanitari, uffici postali vanno razionalizzati in maniera diversa se si parla di una città, di un piccolo centro o di un'area di montagna, ma sono rivolte anche a sfidare il futuro: la banda larga, nuovi insediamenti da parte di comunità di imprese favorite da giovani, la possibilità di accedere a patrimoni dismessi come sono quelli delle case cantoniere, delle ferrovie abbandonate; le fonti rinnovabili, la mobilità dolce, sono tutti elementi che ci parlano di una nuova economia fortemente competitiva. Era vero allora, è vero ancor più oggi. Ciampi accompagnava questa legge prima della crisi, dopo la crisi questo è ancora più rafforzato. Nel corso di questi anni abbiamo visto fenomeni di grande interesse, abbiamo visto moltiplicarsi per esempio le forme di turismo dolce, cammini storici, percorsi ciclistici; abbiamo visto crescere un'imprenditoria giovane, soprattutto in agricoltura, che scommette sulla qualità e sull'identità del territorio. Vorrei ricordare che il 93 per cento delle DOP e delle IGP ha a che vedere con i piccoli comuni e il 79 per cento dei vini di maggiore qualità ha a che vedere con i piccoli comuni, cioè stiamo passando a dei prezzi straordinariamente competitivi. E oggi per competere nel mondo serve la banda larga e puoi anche dialogare in un mondo globalizzato e vendere i tuoi prodotti se mantieni le radici nel territorio e produci qualità e bellezza. Io mi auguro che questa legge possa essere approvata per esempio per il 2017, che è stato individuato dal Ministro Franceschini, dal MiBACT, come anno dei borghi, non per contemplare il passato, non per accompagnare verso una dolce morte il piccolo mondo antico ma per scommettere sul futuro. La forza di questa legge si vede anche nei momenti difficili, lo ricordava il collega Borghi; abbiamo visto tutti nella vicenda di Amatrice e di quei borghi colpiti quanto le comunità sono importanti e quanto sono importanti anche per la difesa in positivo dell'identità. Siamo all'indomani di un referendum in Svizzera che ha segnato un ulteriore passo avanti Pag. 9nel degrado dell'Europa, anche se la Svizzera non fa parte dell'Unione europea, ma nell'idea che uno tuteli la propria identità se alza i muri. È esattamente il contrario, c’è una bellissima frase di La Pira, un grande sindaco di Firenze, che ha detto una volta che solo gli animali privi di spina dorsale hanno bisogno del guscio, cioè solo chi non ha identità non è in grado di aprirsi. Ci sono in questi borghi, oltre a esperienze straordinarie sulle rinnovabili e sull'agricoltura di qualità, su imprese innovative, anche esperienze di integrazione avanzata, proprio perché chi è forte è in grado di accogliere e fa della diversità un punto di forza. Ora da cosa bisogna ripartire ? Non è un'istituzione, non è un finanziamento, non è una legge, molti di questi territori a volte rinascono per la spinta di imprese, di società, di amministratori che amano il loro territorio e scommettono su questo. Vorrei ricordare in particolar modo Angelo Vassallo, che era il sindaco di un piccolo comune, che collaborò alla stesura di questa legge, era un mio amico anche personale e che ha portato quel territorio al successo proprio perché lo amava ed innovava, e inventava cose, creava occasioni. Mi piace pensare che noi stiamo anche rispondendo a un bel messaggio che il Presidente Ciampi, proprio quando partì il percorso di questa legge, inviò a me che allora ero presidente di Legambiente in occasione della Festa nazionale dei piccoli comuni, perché, scrisse Ciampi: questi borghi, questi paesi, rappresentano un presidio di civiltà, sono parte integrante e costitutiva della nostra identità, della nostra patria; possono essere un luogo adatto alle iniziative di giovani imprenditori. L'informatica e le tecnologie possono favorire questo processo, può diventare anche questa grande avventura un'opportunità da cogliere. È questo lo spirito della legge, una scommessa dell'Italia nella crisi che va avanti perché fa l'Italia, perché mette a frutto i propri talenti, perché sfida il futuro non perdendo la propria anima, ma anzi scommettendo su questa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Terzoni. Ne ha facoltà.

  PATRIZIA TERZONI. Signor Presidente, ringrazio tutti i colleghi che hanno affrontato questa proposta di legge, in particolare anch'io vorrei ringraziare Tino Iannuzzi perché più di tutti si è impegnato a colloquiare con il Governo per ottenere qualcosa di più. Inizio il mio discorso con una lettera che mi è arrivata pochi giorni dopo che ho depositato la mia proposta di legge sui piccoli borghi; noi cerchiamo di chiamarla «piccoli borghi» perché questa proposta di legge – poi vedremo in seguito – non si riferisce solo ai comuni sotto i 5 mila abitanti ma anche alle frazioni di comuni più grandi ma che hanno le stesse caratteristiche di questi piccoli comuni.
  La lettera è così: «Egregia onorevole Terzoni, sono un nuovo consigliere del comune di Palanzano, un piccolo comune di mille e cento abitanti sull'Appennino parmense. Sono a conoscenza della proposta di legge presentata da lei e da altri onorevoli del suo partito riguardo la valorizzazione delle piccole comunità. Ho 25 anni e sono perdutamente innamorato delle mie terre, sono cresciuto in queste stradine tranquille e vorrei che mia figlia ed i miei nipoti potessero fare altrettanto, ma il futuro, qui come in altre piccole realtà locali, non è roseo. Le problematiche che descrivete nella vostra proposta sono reali e giornaliere per chi vive in questi piccoli paesi a oltre 50 chilometri dalla città: mancanza di lavoro in zona, spopolamento ed invecchiamento della popolazione, terreni agricoli poco produttivi, servizi ridotti al minimo. Il potenziale certo non manca, abbiamo un passaggio naturale fantastico che non ha niente da invidiare alle migliori località ma che negli anni non siamo mai riusciti a sfruttare. Abbiamo fonti di energie rinnovabili che, se sfruttate, darebbero energia in abbondante esubero rispetto a quella utilizzata nelle comunità ma la cosa migliore che abbiamo sono senza dubbio i valori impiantati nelle persone che rimangono ad Pag. 10abitare qui, tra mille difficoltà. Valori antichi e puri, per alcuni forse arcaici ed inutili ma per chi li tocca con mano sicuramente attuali e fondamentali. Sono orgoglioso di essere un montanaro e ora sono ancora più orgoglioso di rappresentare questa gente. Quando ho letto la vostra proposta di legge ho capito che forse qualcosa sta cambiando davvero, forse non siamo più i dimenticati d'Italia, forse qualcuno ha ancora i nostri valori. Del resto il profumo di cambiamento è ormai nell'aria; noi, una lista di giovani slegati da vecchi partiti abbiamo sfidato e vinto contro la vecchia casta che ha governato e lasciato cadere queste zone, una sorta di Davide contro Golia. Lo stesso credo lo si possa dire a livello nazionale, finalmente sembra che i giovani possano prendersi sulle spalle le sorti di questo Paese che ne ha tanto bisogno». Ecco questo momento lo voglio dedicare a lui e a tutti gli amministratori che operano con grande fatica e in mezzo a mille difficoltà nei piccoli borghi italiani, a tutti coloro che si sentono i dimenticati d'Italia e purtroppo molto spesso a ragione. L'iter di questa proposta di legge è iniziato nel 2014 e da allora il lavoro per giungere alla discussione in Aula è stato quasi giornaliero, è stato un lavoro fatto soprattutto di incontri per ascoltare tutte le diverse e variegate realtà che hanno a cuore il destino delle piccole comunità, perché naturalmente l'obiettivo della legge non può e non deve essere limitato alla salvaguardia e valorizzazione dei piccoli borghi inteso come luogo fisico ma piuttosto deve mirare al miglioramento delle condizioni di vita delle comunità che vivono e operano in questi territori e all'abbattimento degli ostacoli che impediscono soprattutto alle nuove generazioni di scegliere di rimanere a vivere in quei piccoli borghi. Quella di rimanere a vivere nei piccoli borghi non deve essere più una scelta ritenuta coraggiosa così come non lo deve essere più decidere di andare a vivere in quei posti. C’è un altro messaggio che ho ricevuto quando ho iniziato ad affrontare la stesura della proposta di legge; a mandarmelo è stato Franco Arminio, che mi ha scritto: «Difficile portare i turisti nei paesi dell'Italia interna, ci vogliono nuovi residenti. Non ne servono neppure tanti ma devono essere residenti forti. Che significa ? Significa persone che vengono nei paesi a fare la loro vita, non a finirla. Significa persone che riprendono dal margine la sfida dell'impensato, il paese non come luogo dove tirare i remi in barca ma come luogo di apertura a nuove immaginazioni, non un luogo di ripiegamento nostalgico ma sagra del futuro, l'arcaico più arcaico e la modernità più avanzata che procedono insieme e danno ai paesi una forza che non hanno mai avuto, poesia e politica, azione e contemplazione, intimità e distanza. Quello che era separato si intreccia, si mette assieme senza avere mete predefinite. Non è il caso di parlare di sviluppo e neppure di decrescita, ogni luogo produce una sua idea dell'abitare, non ci sono parole taumaturgiche, la salvezza non è la comunità ma non è neppure la tecnologia. Bisogna usare quello che abbiamo e anche quello che non abbiamo, bisogna usare un'idea della vita e anche un'idea della morte. Cosa significano queste parole rispetto quello che deve fare la politica ? Come si deve lavorare per destinare i fondi comunitari disponibili da qui al 2020 ? Il punto di partenza non sono i progetti, il punto di partenza è sostenere le nuove residenze, sostenere chi si sposta nell'Italia interna portando in quei luoghi il proprio ingegno. Può essere un caseificio o un'agenzia pubblicitaria, l'importante è che ci sia un lavoro vero, l'importante è che il modello non sia la modernità incivile che ha distrutto gran parte dell'Italia negli ultimi decenni. I piccoli paesi dell'Italia interna non sono luoghi da far diventare come il resto dell'Italia, non vanno visti come luoghi da riempire; se il modello è portare lo sviluppo che abbiamo conosciuto fin qui è meglio che questi luoghi siano del tutto abbandonati. L'incuria per molti aspetti rischia di essere meno dannosa della politica, bisogna investire sulla gomma più che sulla matita. I piccoli paesi non hanno bisogno di nuove strade, di nuove piazze, di nuovi lampioni, di nuove panchine; Pag. 11hanno bisogno di produrre latte e uova, hanno bisogno di giovani che lavorano la terra. Bisogna incoraggiare nuove forme di artigianato; bisogna incoraggiare le cooperative di comunità. Non è importante essere in pochi o in molti, ma come le persone organizzano la loro vita. Nei piccoli paesi occorre avviare politiche che congedino il modello consumista e individualista. Gli obiettivi non devono essere misurabili in chiave strettamente economica: un'economia dolce e comunitaria può essere un buon antidoto alla crescente miseria spirituale. L'Italia si salva se si salva l'Italia intera. Bisogna finanziare i germi di una nuova civiltà: quella che io chiamo un nuovo umanesimo delle montagne. Non si può continuare a finanziare la distruzione del paesaggio, non si può guardare all'Appennino come un luogo da omologare all'Italia delle pianure (che appare sempre più grande garage di macchine e palazzi, di carcasse e carne)»: queste sono le parole di Franco Arminio. Credo che in queste parole ci sia l'intera traccia che dovremmo seguire per raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti: l'abbandono delle terre delle aree interne del Paese costituisce un'emergenza che va affrontata con politiche rigorose che necessitino di adeguate risorse pubbliche. Si tratta come sempre di fare una scelta: come utilizzare i soldi. Le grandi scelte infrastrutturali e i grandi investimenti pubblici in termini di creazione di servizi hanno, come noto, privilegiato le aree sviluppate dell'Italia contribuendo ad aumentare il divario economico e di prospettive sociali di una parte importante del territorio nazionale. L'intero sistema appenninico, le aree interne della Sicilia e della Sardegna e perfino alcune aree pedemontane della fascia alpina sembrano destinate ad un impoverimento demografico, economico e sociale senza apparente possibilità di inversione di tendenza. In particolare l'ultimo censimento ISTAT del 2011 mostra un declino demografico preoccupante sia in termini assoluti che in merito all'invecchiamento della popolazione. Il fenomeno è ben più marcato nei comuni a dimensione demografica minore e la presente proposta di legge privilegia i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti. In considerazione poi delle caratteristiche insediative e storiche dei sistemi montani e collinari basati su un'articolazione molto diffusa di centri abitati gravanti sul comune capoluogo, la proposta di legge estende il campo di applicazione alle frazioni con popolazione residente inferiore a 5.000 abitanti, anche se il comune di appartenenza nel suo complesso supera nel suo insieme la soglia di 5.000 abitanti. Negli ultimi quattro anni, inoltre, sulla base della legislazione sul contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica è stato operato un drastico taglio lineare sul sistema dei servizi urbani. Tra i molti servizi penalizzati da questa politica di risparmio vanno evidenziati il settore sanitario e quello scolastico. Nelle aree interne sono stati chiusi sistematicamente servizi pubblici che rappresentavano spesso l'unico elemento di socializzazione e scambio culturale. Gli edifici postali sono stati diminuiti nel numero e nelle ore di erogazione di servizio anche in alcuni storici presidi dello Stato. Come le sedi del Corpo forestale dello Stato sono state chiuse e quelle rimaste, da gennaio, a causa della scelta di questo Governo di sopprimere il Corpo forestale dello Stato, non ci saranno più. Colpi intollerabili ha subito anche il sistema di trasporto pubblico che consentiva almeno il raggiungimento di alcuni servizi localizzati nei centri maggiori. Il sistema ferroviario secondario è stato pressoché abbandonato sull'altare dell'alta velocità e anche il trasporto capillare su gomma è stato fortemente ridimensionato. È del tutto conseguente che a questa drastica diminuzione del tenore della presenza pubblica in termini di servizi si sia verificata una sempre più preoccupante diminuzione delle attività economiche private. Il piccolo commercio urbano e segmento dell'artigianato sono ridotti ai minimi termini. La piccola industria è pressoché scomparsa. Il generale stato dell'economia vede poi un altro fenomeno preoccupante: sulla base della cancellazione della pianificazione urbanistica, tutti gli investimenti privati nel settore Pag. 12edilizio hanno privilegiato le aree più forti del Paese dove ancora funziona il meccanismo della rendita immobiliare assoluta. Il grande patrimonio immobiliare invenduto – circa 1,5 milioni di alloggi secondo i calcoli ISTAT – insieme alla crisi del settore che è iniziata nel 2008 hanno portato una generalizzata diminuzione del valore degli immobili localizzati nelle aree interne dell'Italia. Mediamente il decremento dei valori immobiliari è in misura tra il 30 e il 40 per cento rispetto al 2008. La popolazione delle aree interne somma dunque tre grandi elementi di crisi: alla generale crisi economica e produttiva del Paese e alla demolizione del welfare urbano si somma infatti la caduta del valore del bene casa. Una crisi senza precedenti rischia di travolgere irreversibilmente un'area di fondamentale importanza per il Paese: le aree interne infatti rappresentano una miniera di cultura di patrimoni inestimabili di storia, archeologia, architettura e urbanistica. L'altra fondamentale importanza del sistema delle aree interne è relativa al sistema ambientale costituito da importanti aree di biodiversità e dall'esistenza dei bacini idrici che riforniscono della preziosa risorsa idrica le aree costiere del Paese: anche questa funzione fondamentale per l'equilibrio naturale e idrogeologico italiano è messa in discussione dalle dinamiche di spopolamento. Se finisce infatti il presidio umano diventeranno sempre più diffusi e devastanti i fenomeni di dissesto e l'esigenza di porvi rimedio. Ma, al di là di questi pur decisivi problemi, il problema delle aree interne si pone principalmente come fondamentale criterio culturale per delineare un futuro differente per l'Italia.
  La crisi del sistema economico dominante o, per meglio dire, il fallimento che attraversiamo ha le radici nel disordine, nell'accaparramento e nello spreco delle risorse naturali, nell'intensità di trasformazioni che hanno squilibrato ambiente e società. La cultura delle aree marginali del Paese può diventare in questo senso il paradigma di una nuova fase dello sviluppo dell'Italia basato sul rispetto della natura e delle risorse naturali e culturali dei luoghi. Del resto, di fronte al quadro di abbandono che abbiamo cercato di delineare, sono già presenti germi di questa nuova cultura che in molti luoghi urbani dell'Appennino e delle aree interne cerca di delineare un futuro, una cultura che, come nell'esperienza paesologica di Franco Arminio, sembra ancora limitata a ristrette aree. Al contrario sta emergendo sempre più diffusamente la richiesta di una svolta nelle politiche sociali e territoriali del Paese. Il testo unificato in discussione si iscrive all'interno di questa cultura e tende a fornire una risposta all'abbandono decretato da un'economia di rapina che privilegia la speculazione alla vita delle persone in carne e ossa, tenta insomma di fornire strumenti per avviare quella imponente opera di ricostruzione dell'economia e della vitalità delle aree interne messa in discussione in questi anni di incultura neoliberalista. È un testo unificato condiviso da tutti, anche se si poteva fare molto di più se solo il Governo avesse appoggiato le proposte anche condivise di tutto il Parlamento. Speriamo che nel prosieguo della discussione degli emendamenti si possa ottenere qualcosa di più ma in ogni caso questo è l'inizio per cambiare rotta e far rivivere le nostre aree interne (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Giovanna Sanna. Ne ha facoltà.

  GIOVANNA SANNA. Grazie, Presidente. Così come già detto dai miei colleghi questo testo unificato, tra l'altro, è uno dei pochi di iniziativa parlamentare arrivati in Aula. Si tratta del testo che intende valorizzare i piccoli comuni che, come sappiamo, rappresentano il 70 per cento del totale dei comuni italiani e rappresentano il 54,2 per cento del territorio nazionale. Voglio sottolineare soprattutto quest'ultimo dato reale: il 54 per cento del territorio nazionale fa capo ai piccoli comuni e in diverse regioni questa incidenza arriva addirittura all'82 per cento come nel Molise, al 78 per cento del Piemonte e al 70 per cento della Sardegna. Pag. 13Che cosa significa questo dato ? Significa che quando si parla di tutela dell'ambiente e di territorio, di rischi idrogeologici da prevenire e fronteggiare si parla in gran parte dei casi di territori che fanno capo proprio ai piccoli comuni. E questa realtà è densa di conseguenze in termini di fragilità operativa e amministrativa, di estrema esiguità di risorse e di mezzi e a volte di inadeguatezza strutturale rispetto ai compiti fondamentali di protezione dei territori e degli ecosistemi. E purtroppo a volte scopriamo queste realtà soltanto quando avvengono fenomeni terribili come terremoti, alluvioni, frane. Quando di colpo i riflettori dei mass media gettano fasci di luce su realtà locali fatte spesso di piccoli comuni, di piccoli borghi, di comunità locali che vivono e lavorano in quell'Italia rurale e montana a volte spesso ignota all'informazione e all'opinione pubblica. Questa Italia dei 5.600 piccoli comuni non è un'Italia uniforme: conosce realtà assai diverse per livello di sviluppo, condizioni di vita, tradizioni storiche e culturali ma è indubbio che in essa oggi coesistono molte opportunità e anche alcune criticità. Tra le opportunità vi sono in certi casi una ottima qualità della vita, un ambiente naturale e storico ricco di attrattori anche sotto il profilo turistico e le nuove possibilità che oggi sono offerte da Internet e dalle nuove tecnologie per la vita delle persone e per le piccole imprese, che consentono di ridurre quel tradizionale isolamento e di potersi collegare e connettere con il mondo, con i mercati e con le realtà anche lontane. Tra le criticità vi sono molto spesso il fenomeno dello spopolamento che tocca specialmente le giovani generazioni, a volte l'abbandono e il degrado di molta parte del vecchio patrimonio edilizio e abitativo. La crescente difficoltà a mantenere servizi essenziali come le scuole, i presidi sanitari, le stazioni dei carabinieri, gli sportelli bancari e gli uffici postali e così via. Sappiamo bene che alcune strutture e servizi per ragioni di sostenibilità economica devono per forza riorganizzarsi sulla base di ambiti più adeguati e in questo senso va la scelta delle unioni dei comuni e dei servizi da organizzare su base sovracomunale, dal ciclo dei rifiuti ai servizi amministrativi e tributari. Questo processo è giustificato quando si tratta di attività che devono competere sul mercato o di servizi pubblici che hanno rilevanza economica e gestione imprenditoriale. Ma il discorso è diverso se parliamo di servizi quali l'istruzione obbligatoria o la tutela della sicurezza, che devono essere garantiti a tutti a prescindere dal territorio in cui si nasce e si vive. Il nostro compito di legislatori, come quello degli amministratori locali, deve essere quello di far leva sulle opportunità positive esistenti nei piccoli centri e di dare maggiori strumenti per affrontare e ridurre quelle criticità e i fattori di disagio. Questa proposta di legge in esame cerca di dare una serie di risposte su questo terreno. Ovviamente, non si affronta in questa sede la materia ordinamentale dei piccoli comuni, che è già stata modificata con la legge Delrio del 2014 e con alcune leggi regionali successive.
  Un'altra questione volutamente non inserita nella proposta di legge riguarda un punto di innovazione che io credo sia, però, necessario, anche se da trattare in altra sede. Mi riferisco agli strumenti normativi che oggi non consentono di affrontare in termini efficaci il tema del riuso del vecchio patrimonio edilizio abbandonato, così diffuso nei piccoli comuni. In molti casi si tratta di vecchie abitazioni in abbandono da lungo tempo, a rischio di crollo, di cui è difficile o persino impossibile rintracciare e radunare i proprietari, divenuti tali per successioni ereditarie, spesso numerosi, senza rapporti fra di loro o dispersi nei vari paesi. Con le opportune innovazioni normative, anche rispetto ad alcune disposizioni del codice civile, è ormai necessario dare al comune strumenti di intervento in queste fattispecie, laddove siano accertati e protratti nel tempo il silenzio e l'inerzia dei titolari della proprietà.
  Seppur circoscritta nei suoi contenuti, questa proposta in esame contiene molte disposizioni innovative ed utili per sostenere e valorizzare i piccoli comuni. Io mi Pag. 14limito ad evidenziarne alcune, come, ad esempio, all'articolo 2, la facoltà dei piccoli comuni di istituire, anche in forma associata, dei centri multifunzionali per la fornitura di una pluralità di servizi pubblici, al fine di razionalizzare l'organizzazione e i relativi costi, superando la prassi per cui ad ogni servizio deve corrispondere una propria struttura e una propria organizzazione. L'articolo 3, come diceva il collega Misiani, prevede l'istituzione, presso il Ministero dell'economia, del Fondo per lo sviluppo dei piccoli comuni, per finanziare investimenti diretti alla tutela dell'ambiente e dei beni culturali, alla riqualificazione dei centri storici, alla messa in sicurezza delle scuole e delle infrastrutture stradali, e la connessa predisposizione di un piano nazionale interministeriale per la ripartizione e l'utilizzo di questo Fondo, sulla base dei progetti presentati dai piccoli comuni, fissando ex ante le priorità e i criteri per la selezione dei progetti. L'articolo 4 prevede la possibilità per i piccoli comuni di individuare e approvare, nell'ambito dei propri centri storici, delle zone di particolare pregio, nelle quali realizzare interventi integrati, pubblici e privati, finalizzati al recupero e alla riqualificazione urbana, anche avvalendosi delle risorse del citato Fondo nazionale. All'articolo 8 è attribuita ai piccoli comuni la precedenza nell'accesso ai finanziamenti pubblici previsti per la realizzazione di programmi di e-government, con priorità ai collegamenti informatici nei centri multifunzionali. L'articolo 13 prevede che i comuni aderenti a unioni di comuni o a unioni di comuni montani svolgono le funzioni di programmazione in materia di sviluppo socio-economico e quelle relative all'impiego delle occorrenti risorse finanziarie, ivi comprese quelle derivanti dai fondi dell'Unione europea, escludendo espressamente il ricorso alla creazione, in tali ambiti, di nuovi soggetti, agenzie o strutture comunque denominate. All'articolo 14 sono previsti due specifici piani destinati alle aree rurali e montane, uno per i trasporti e l'altro per l'istruzione.
  Concludendo, signor Presidente, credo che possiamo considerare la presente proposta di legge un primo passo nella costruzione di una nuova politica nazionale per i piccoli comuni, una politica nazionale che sappia combinare in modo virtuoso il necessario sforzo per la riorganizzazione efficiente dei servizi e delle strutture pubbliche con la consapevolezza della funzione dei piccoli comuni nella struttura territoriale, ambientale, storica e culturale dell'Italia, riconoscendo e valorizzando il loro prezioso contributo di presidio vitale del nostro tessuto nazionale, specie nelle aree rurali, collinari e montane (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Presidente, approda in Aula un provvedimento molto sentito, voluto dalla nostra comunità, perché interessa i piccoli comuni. In Italia, su 8 mila comuni, circa 5 mila hanno meno di 5 mila abitanti e lì risiede il 20 per cento dei cittadini. In Sicilia, su 329 comuni, 205 sono piccoli comuni e vi risiede il 10 per cento della comunità.
  È un disegno fortemente voluto dal mondo della cultura e dell'informazione. Ricordo un inserto del Corriere della Sera: «La piccola grande Italia». È stato voluto fortemente da Legambiente, che ha portato avanti una forte campagna, e, più volte, nelle precedenti legislature e nell'attuale legislatura, il collega Ermete Realacci si è fatto promotore di proposte che speriamo in questa legislatura abbiano un esito positivo.
  Io voglio, però, partire dalle difficoltà che hanno queste comunità. Sono le difficoltà della quotidianità: in questi comuni è difficile trovare la posta funzionante, è difficile che ci sia un'edicola con le testate giornalistiche nazionali, a volte è difficile anche fare benzina, per non parlare della scuola. Si è aperto il nuovo anno scolastico e abbiamo assistito – per questo abbiamo, in alcuni casi, protestato – alla riduzione Pag. 15delle classi, alle multiclassi. Tanti bambini debbono recarsi in comuni limitrofi anche per frequentare le scuole dell'obbligo.
  Io credo, quindi, che, partendo dalla quotidianità, si debba, però, mettere l'accento sul problema vero che hanno i piccoli comuni ed è il problema demografico, anche al sud. La SVIMEZ ci dice che quella che era la culla d'Italia, il Mezzogiorno, ora si è fermata nella natalità. Anzi, in maniera simbolica, si dice che in quel territorio scompare una città media, perché tanti giovani debbono lasciare le comunità meridionali per trovare lavoro altrove.
  Sottolineate queste difficoltà, però, io convengo con ciò che è stato detto dai colleghi del Partito Democratico: i piccoli comuni sono la spina dorsale del Paese, sono i luoghi dove è presente identità, cultura, dove c’è civismo. È da lì che dobbiamo ripartire se dobbiamo ricostruire il Paese. In tal senso, io credo si debba pensare a un'ipotesi di sviluppo. Si è parlato di una agricoltura sostenibile. Io credo che, anche nei mesi scorsi, la nostra battaglia, quella che abbiamo fatto per difendere il prezzo del grano duro, che, in modo particolare, arriva proprio dalle aree interne di alcune regioni meridionali, abbia avuto il significato di ribadire l'importanza di alcune produzioni. Vi è la necessità che venga fronteggiata anche una spinta speculativa di coloro i quali, per favorire una certa industria agroalimentare, hanno voluto che arrivasse grano da oltreoceano, creando difficoltà ai produttori proprio delle are interne. Così come non c’è dubbio – è stato detto, io lo voglio ribadire – il pregio ambientale e architettonico di alcuni centri storici può favorire un certo tipo di turismo alternativo, ma per fare questo è necessario – come ha più volte sostenuto il nostro Presidente del Consiglio, anche a seguito dei problemi e dei disastri che abbiamo avuto – rafforzare le politiche del consolidamento del territorio. Mi avvio alla conclusione. Io ho voluto ribadire l'importanza dello sviluppo che possono avere questi territori, ma proprio per questo si deve porre il problema della raggiungibilità di queste comunità, anche perché chiudono stazioni ferroviarie, diminuiscono anche le autolinee private, la rete stradale è vetusta, a volte dissestata, bisogna difendere in quelle comunità i presidi che ci sono di salute; non è campanilismo difendere in un'area disagiata un ospedale con il pronto soccorso. Ma se dobbiamo ipotizzare uno sviluppo, dobbiamo superare le difficoltà della quotidianità; non deve essere un'impresa trovare un ufficio postale in cui ritirare una raccomandata, non deve essere un'impresa trovare un giornale a testata nazionale in un'edicola; sono questi i problemi che, se superati...

  PRESIDENTE. Deve concludere perché ha finito il tempo.

  GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Concludo, Presidente. È per questo che innanzitutto bisogna dare in quelle comunità dei diritti di cittadinanza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto. Ne ha facoltà.

  ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, Presidente. Il provvedimento che oggi discutiamo di iniziativa parlamentare è atteso da molto tempo. Già nella scorsa legislatura, parliamo di aprile 2011, quando c'era una maggioranza anche di colore diverso in questa Aula, si era giunti all'approvazione di un testo da parte di questo ramo del Parlamento, senza però poi trovare il via libera definitivo da parte del Senato, anche per motivi di copertura economica.
  Io ritengo sia una buona cosa che oggi si provi ancora ad approvare una legge tanto attesa sul nostro territorio da parte di tantissimi amministratori, ma ancor di più da parte di tantissimi cittadini che vivono in comuni piccoli, con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e credo che il merito vada ascritto a tutti i gruppi parlamentari che hanno sostenuto questo lavoro, ma – lo dico da una collocazione diversa in quest'Aula – soprattutto credo Pag. 16che il merito vada ascritto alla tenacia e alla difesa appassionata di questo tema da parte del presidente Realacci e di quanti in questa e nelle altre legislature precedenti si sono impegnati perché una legge che avesse questo oggetto potesse essere approvata.
   Il tema del sostegno e della valorizzazione dei comuni con popolazione inferiore o pari a 5.000 abitanti assume un'importanza strategica in un Paese come il nostro, dove ben 5.000 comuni – lo dicevano quanti sono intervenuti prima di me – rientrano in questa categoria, coprendo circa il 72 per cento del totale della popolazione. Molti piccoli centri vivono oggi situazioni di marginalità economica e sociale e sono caratterizzati da disagio insediativo, da un indice di vecchiaia della popolazione e collocati in zone montane con difficoltà di comunicazione rispetto ai centri abitati di maggiori dimensioni. Molti poi risentono di un aggravamento, di problemi di dissesto ambientale, generati anche dall'abbandono dei cittadini. È evidente, infatti, come la riduzione o addirittura l'assenza di popolazione in diverse zone abbia comportato di fatto il venir meno della manutenzione generale del territorio, di quella manutenzione diffusa che solo i residenti di un comune e di un territorio possono svolgere quotidianamente. Mi riferisco alla cura dei boschi, degli alvei dei piccoli corsi d'acqua di montagna, al rimboschimento dei versanti privi di copertura arborea. L'assenza dell'uomo in vaste zone di montagna e collinari ha quindi acuito i fenomeni di dissesto del territorio, aumentando smottamenti, frane, alluvioni, determinando pericoli per la popolazione a valle e maggiori oneri per la finanza pubblica e per la difesa del suolo.
  Quindi, reputo assai positivo che in questo testo si qualifichi l'insediamento o il reinsediamento in questi comuni come una risorsa, come un investimento per il Paese, troppe volte chiamato a confrontarsi con i fenomeni di dissesto idro-geologico solo quando questi si verificano a causa del deficit di manutenzione diffusa sui territori e solo quando questi poi generano un effetto economico ben più rilevante sul bilancio dello Stato e, quindi, sulle tasche dei cittadini.
   Questa proposta di legge potrebbe essere, quindi, un buon punto di partenza per creare uno schema di sviluppo alternativo rispetto ad una deriva di impoverimento dei piccoli centri, che ha trovato una nuova triste fase anche a seguito dello scioglimento di fatto delle province e comunque del loro totale depauperamento, senza un'adeguata politica di ulteriore o diverso decentramento.
  In sostanza, questi piccoli centri un tempo avevano nella provincia il livello sussidiario subito più prossimo a loro. Ora c’è una sorta di distanza abissale spesso fra questi piccoli centri e l'interlocutore amministrativo più importante che è la regione.
  La politica ha, quindi, il dovere di offrire una risposta adeguata al pericolo di desertificazione del nostro territorio, con specifiche misure dirette a contrastare il fenomeno dello spopolamento delle aree montane e di alta collina ed è proprio in tale direzione che si muove questo provvedimento, il cui obiettivo è quello di sostenere lo sviluppo economico, sociale e ambientale dei piccoli comuni, favorendo l'adozione di misure a vantaggio sia dei cittadini che vi risiedono, sia delle attività produttive, con riferimento in particolare al sistema dei servizi essenziali, con l'obiettivo di contrastare lo spopolamento e di incentivare l'afflusso turistico.
  Vi sono però limiti più strutturali che la politica e il Governo in particolare dovrebbero considerare. Innanzitutto, il tema delle risorse: il Piano nazionale per la riqualificazione dei piccoli comuni contenuto nel testo unificato è molto ambizioso, assai ambizioso, prevede una molteplicità di interventi, alcuni estremamente onerosi, me ne rendo conto. Diceva qualcuno dei relatori, intervenendo all'inizio, che questo fondo potrebbe essere utile, come dire, per generare un effetto moltiplicativo, potrebbe essere utile a costituire la parte di cofinanziamento, o comunque ad accendere l'idea di intervenire su un determinato contesto, ma resta evidente Pag. 17che il finanziamento che il presidente Realacci ha con molta onestà definito leggero, di 10 milioni per il primo anno e di 15 milioni per gli anni che verranno fino al 2023, è un finanziamento che in qualche modo non è adeguato all'ambizione degli obiettivi che la legge si propone.
  C’è, quindi, un limite – mi rendo conto – difficile da superare, un limite che andava considerato anche in ordine alla necessità di produrre uno strumento che comunque è uno strumento di grande utilità.
  Mi rendo conto che forse c’è la necessità di scegliere tra l'approvazione di una legge che fosse appunto lo strumento e il rinvio ad una legge migliore, ma forse di più difficile approvazione. Resta il fatto però che questo fondo meriterebbe di essere aumentato.
  Un secondo limite strutturale riguarda poi la politica d'insieme che questo Governo attua nei confronti dei piccoli comuni. Io ritengo che ci siano troppi interventi – non mi riferisco soltanto a questo Governo, ma anche ai precedenti – che a volte sono interventi spot, in un quadro troppo poco chiaro rispetto al destino di piccoli centri; in particolare, il tema della riqualificazione urbana è stato oggetto di diversi interventi in questa legislatura, il programma dei 6 mila campanili – ce lo ricordiamo – è del 2013, successivamente rifinanziato, e aveva già previsto la destinazione dei contributi statali a favore dei comuni con popolazioni inferiori ai 5 mila abitanti, nonché a favore delle unioni composte da piccoli comuni. Così come il cosiddetto decreto «Sblocca Italia» istituiva un nuovo e più ampio programma denominato «cantieri in comune», che in qualche modo assorbiva l'iniziativa dei 6 mila campanili, a cui sono stati destinati complessivamente 500 milioni di euro. Anche la legge di stabilità del 2015 aveva previsto un piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate, nonché uno specifico fondo per l'attuazione del suddetto piano, con una dotazione complessiva di 200 milioni di euro, anche se non direttamente esclusivamente indirizzati ai piccoli comuni.
  Si tratta, quindi, di una serie di iniziative che forse nella prospettiva, in futuro, meriterebbero di essere canalizzate, come dire, in un unico strumento, come potrebbe essere appunto lo strumento che oggi noi andiamo a produrre attraverso l'approvazione – mi auguro – di questo testo. Infatti, questi interventi citati sono solo alcuni degli interventi già previsti ma mai messi a sistema. Magari questo provvedimento avrebbe potuto costituire l'occasione per una disamina complessiva della questione, per mettere insieme una serie di disposizioni in grado di raggiungere con efficacia i nobili e condivisibili obiettivi di sostegno e di sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale dei piccoli comuni, per offrire una risposta seria ed efficiente alle comunità che li animano.
  Quindi, certamente, un plauso sincero e sentito va a quanti hanno sostenuto questo testo di legge, ai relatori, al presidente Realacci, perché rappresenta uno strumento importante.
  Qualche dubbio vi è in ordine all'entità del finanziamento e poi anche in ordine ad un'altra questione, che pure è stata evocata nel dibattito di questa mattina. Mi rendo conto che questa non può essere una legge che costruisce un ordinamento differenziato. Sarebbe stato più complesso licenziare un progetto di legge che affrontasse anche questo tema. Forse sarebbe stato di pregiudizio all'approvazione di una legge che invece, comunque, costituisce uno strumento virtuoso e utile per i piccoli comuni. Resta il fatto che probabilmente una legge che costituisca un ordinamento differenziato è comunque una legge necessaria, se è vero che questi comuni sono – ed è vero – così tanti e se è vero che hanno dei problemi specifici caratteristici. Io ho ascoltato anche l'intervento del relatore Borghi e lo ho apprezzato, quando faceva riferimento alla specificità di questi comuni.
  È vero anche che questo problema dell'ordinamento differenziato è un problema Pag. 18che prima o poi andrà affrontato, senza i luoghi comuni del passato. Ha ragione anche qui l'onorevole Borghi, quando dice che in passato sull'altare del riordino istituzionale si sono sacrificate, a volte, le identità, che costituiscono invece il patrimonio, il DNA, del nostro Paese. Però questo è un tema che rimane aperto, che questo progetto di legge in qualche modo non chiude. Per cui io considero questo testo come un primo passo importante, ma altri vanno evidentemente svolti, nella direzione di costruire anche le condizioni affinché, chi amministra questi comuni, lo possa fare con serenità. Mi riferisco ai problemi che hanno in termini di personale, mi riferisco ai problemi legati all'armonizzazione dei bilanci e anche alla rigidità dei bilanci dei piccoli comuni, alla necessità spesso di guardare alla possibilità di rinegoziare i mutui con un occhio diverso da quello con cui si guardano realtà più importanti, che hanno possibilità di manovra all'interno del bilancio più consistenti. Ecco, questi sono tutti quanti i temi aperti, che questa proposta di legge non chiude.
  Mi rendo conto che non poteva chiuderli, ma io non vorrei che l'approvazione di questo testo unificato concludesse la discussione su un tema, che non si esaurisce con l'approvazione della legge stessa. In sostanza questo testo, per quanto mi riguarda, è un primo passo. L'auspicio è che non venga considerato da alcuno il passo conclusivo di un percorso che deve essere ancora lungo, perché così importanti sono i piccoli comuni del nostro Paese, così importanti anche per recuperare e valorizzare il DNA del nostro Paese (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mura. Ne ha facoltà.

  ROMINA MURA. Grazie, Presidente. Piccoli comuni e, ancora di più, aree interne e rurali, spopolamento e desertificazione di ampie porzioni del nostro territorio nazionale sono temi da sempre oggetto di attenzione accademica, convegnistica, seminariale e letteraria.
  Sono temi rispetto ai quali il legislatore, e, più in generale il decisore pubblico, è intervenuto, invece, sino a qualche anno fa, in modo residuale e, nelle migliori delle circostanze, con una visione parziale e settoriale. Penso alla legislazione in materia di gestione associati, unioni e fusioni, come hanno detto i colleghi, che ha determinato condizioni nuove e anche discrete opportunità, per la definizione di nuove formule, modalità e spazi per lo sviluppo del governo locale, anche quello di piccole dimensioni.
  L'attenzione è stata invece insufficiente se l'analisi si sposta sul modello di sviluppo alternativo, che nella dimensione piccolo comune si sarebbe dovuto incentivare, a cui, invece, eccetto rare esperienze nate e nella maggior parte dei casi anche concluse a livello locale, non si è mai dato corso. La disattenzione non si è tradotta tanto in una scarsa assegnazione di risorse, risorse che pure ci sono state, sebbene in modo frammentario ed episodico, bensì in una totale mancanza di visione e strategia. Tant’è che oggi l'Italia dei piccoli comuni, che si sovrappone perfettamente all'Italia del disagio abitativo e insediativo, risulta piuttosto estesa e caratterizzata da problematicità di grande impatto e rilievo.
  Si tratta di 5.627 piccoli paesi, come si è già detto, di cui 4 mila inseriti in aree interne. Sono comuni, quelli delle aree interne, in particolare lontani dai centri di erogazione dei servizi e inseriti in territori con bassi livelli di dotazione infrastrutturale, nei quali a partire dagli anni Sessanta si sono presentati, in maniera sempre più consistente, fenomeni di emigrazione, non compensati da altrettanti fenomeni di immigrazione, fino ad arrivare allo spopolamento e alla desertificazione umana e produttiva attuali, che hanno modificato pesantemente le dinamiche di sviluppo degli stessi e, insieme, dei relativi contesti regionali, fino a produrre gli speculari fenomeni di oggi (alti livelli di antropizzazione nelle città e più in generale nelle zone costiere, contro desertificazione umana e produttiva nelle zone interne e rurali; alti indici di consumo del Pag. 19suolo nelle aree urbane contro l'abbandono del suolo, di quello agricolo in particolare, nelle aree interne), la cui interazione ha prodotto e produce oggi costanti e gravi fenomeni di dissesto idrogeologico e di degrado del patrimonio culturale e paesaggistico, nonché di mortificazione del capitale umano, che il nostro Paese non si può più permettere.
  E non credo sia un caso, come dimostrano i dati del Ministero dell'interno, che nei territori interessati da fenomeni di spopolamento e disagio abitativo si verifichino in misura maggiore e sempre crescente fenomeni di criminalità e atti intimidatori contro le istituzioni e, in particolare, contro gli amministratori locali.
  La legge di cui oggi discutiamo ha il merito di introdurre finalmente, dopo decenni di interventi slegati da una strategia complessiva, una visione di insieme, inclusiva e organica, e una piattaforma di politiche strutturali, capaci di innescare, se attuate e gestite con logica di sistema, effetti moltiplicatori e ricadute di lungo periodo. Non a caso, l'articolo 3 del testo unificato istituisce il Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni, con una denominazione che segnala il cambio di passo e di visione. E gli articoli che a questo seguono si concentrano, rispetto ai sistemi territoriali considerati, sulla valorizzazione dei fattori produttivi, sull'attenuazione dell'impatto negativo degli elementi di fragilità, sulla riorganizzazione dei servizi essenziali e delle relative modalità di fruizione, che incidono pesantemente sui principali diritti di cittadinanza (scuola, sanità, mobilità e accesso alla rete) e, quindi, sulla qualità di vita dei residenti.
  Si tratta di fattori produttivi che possono innescare meccanismi di sviluppo virtuosi, dal recupero e dalla riqualificazione dei centri storici e del patrimonio architettonico pubblico e di quello abitativo privato anche in funzione turistica, al superamento del gap infrastrutturale e di servizi, sia in termini di miglioramento delle modalità di accesso ai territori e di riduzione delle distanze fisiche, sia in relazione alla possibilità di accesso effettivamente universale alla rete e alle connessioni veloci e ultraveloci, sebbene si risieda in aree cosiddette a fallimento di mercato, incrociando in tal senso la scelta di intervento del Governo e delle regioni, attraverso il Piano degli investimenti per la banda ultralarga nelle cosiddette aree bianche, in un contesto – questo è lo sforzo da compiere nel corso di questa nuova fase politica – di integrazione, complementarietà e sinergia tra differenti misure legislative e differenti livelli di programmazione e riorganizzazione istituzionale, investimento, attribuzione di risorse, siano esse ordinarie o aggiuntive. Penso, in particolare, alla strategia nazionale per le aree interne, ai piani di sviluppo rurale approvati dalle regioni italiane per il periodo di programmazione 2014-2020, alle politiche regionali e nazionali indirizzate alle aree crisi non industriali e a quelle previste nei documenti di bilancio annuali e pluriennali, alle politiche di riduzione dei costi dell'amministrazione pubblica e di riorganizzazione dei servizi, che, come ribadisce chiaramente la legge, non possono essere attuate sulla base esclusive di parametri numerici, senza considerare i contesti territoriali in cui vengono calate.
  Rispetto ai contenuti del testo in esame, che ha l'ambizione di rimettere in gioco più della metà del territorio nazionale, vorrei soffermarmi su un aspetto che ritengo dirimente rispetto all'ambizione medesima e in funzione del quale ho presentato anche alcuni emendamenti al testo di legge e anche una proposta di legge specifica: decremento demografico e spopolamento. Il provvedimento in esame, in diversi passaggi e nella sua impostazione complessiva, assume l'impegno di contrastare lo spopolamento. D'altro canto, l'emorragia demografica, per molte comunità considerata inesorabile, rappresenta il segnale di debolezza più evidente e distruttivo del presente, ma anche del futuro dei piccoli comuni. Chi mai investirà o andrà a risiedere in un comune prossimo alla marginalizzazione e, talvolta, all'estinzione ?
  Ritengo, allora, che il piano nazionale di cui all'articolo 3, che denominerei piano Pag. 20nazionale per la riqualificazione e il ripopolamento dei piccoli comuni, proprio a significare l'avvio di politiche attive finalizzate, oltre a bloccare lo spopolamento, anche, appunto, ad attivare nuovi processi di ripopolamento, sarebbe opportuno contemplasse, fra gli interventi prioritari, anche specifici progetti di ripopolamento.

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  ROMINA MURA. Concludo. La proposta di legge che oggi discutiamo e che, entro la fine di questa settimana licenzieremo e manderemo al Senato, rappresenta un tassello fondamentale, una cornice all'interno della quale ricucire il dramma di questo Paese, con politiche articolate e organizzate in modo da riconnettere oltre il 55 per cento del territorio nazionale con il resto del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Menech. Ne ha facoltà.

  ROGER DE MENECH. Grazie, Presidente. Ma perché ci troviamo, oggi, a discutere di una legge sui piccoli comuni e sulla loro valorizzazione ? Perché dietro c’è una lobby dei piccoli comuni ? No, io credo perché c’è una nuova consapevolezza: che, dal dopoguerra ad oggi, la cultura, la politica, la società del nostro Paese sono state fortemente influenzate dai grandi centri urbani. C’è stata una sorta di Italia urbano-centrica e questo provvedimento – il merito va sicuramente al presidente Realacci, che da un po’ di anni la porta all'attenzione del Parlamento –, secondo me, ha questo valore fondamentale, al di là degli articoli, dei tredici articoli e delle norme puntuali: ha il valore di rimettere al centro il fatto che queste zone una volta venivano definite marginali – anche il lessico ha la sua importanza – mentre, oggi, invece, abbiamo individuato come aree interne, come scrigno, termine perfetto per definire la grande potenzialità, dal punto di vista anche dell'attrazione economica, che hanno questi luoghi, che, per un certo periodo, sono stati sfruttati. Io sono un montanaro e provengo da una di queste zone: la montagna bellunese. Fra un po’, ci sarà l'anniversario di una data storica – ahimè, in maniera tragica –, che è il 9 ottobre 1963: culmine per il sottoscritto dello sfruttamento delle aree di montagna, uno sfruttamento avvenuto senza avere una visione rispetto allo sviluppo di queste aree.
  Allora, l'importanza di questo provvedimento è esattamente questa: rimettere al centro le politiche, perché solo una montagna abitata può essere una montagna che fa delle politiche per fermare quello che è il grave – e il più grave – problema che vivono queste zone, che è lo spopolamento, la crisi demografica e il fatto che questi luoghi perdono popolazione. Si deve rimettere al centro un nuovo rapporto, un rapporto più sano, io lo definisco, fra l'uomo e il territorio in cui vive, in cui puntiamo a riportare in quei luoghi il governo del territorio.
  Il governo del territorio è importante non soltanto per i luoghi che abbiamo descritto, ma anche per le grandi metropoli, anche per le aree di pianura, perché è chiaro che una montagna disabitata e non popolata è una montagna rischiosa anche per i territori di pianura. È chiaro, lo diciamo sempre: il dissesto, il dissesto parte dalle montagne, parte dalle periferie, parte dai luoghi meno densamente abitati e, poi, si traduce in tragedia, spesso, anche nelle pianure.
  E tutto questo come lo costruiamo ? Secondo me, con questa norma che è un buon punto di partenza, ma con una consapevolezza: questa norma deve avere la capacità di permeare tutte le norme che questo Parlamento porta avanti. Non possiamo pretendere che sia un'unica norma, un unico progetto di legge a mettere in moto le politiche più articolate per le aree interne del nostro Paese e, in particolare, per le zone di montagna.
  Noi dobbiamo avere la consapevolezza che, in ogni elemento che produciamo da un punto di vista legislativo in questa Camera e al Senato, dobbiamo tenere in Pag. 21considerazione che c’è un pezzo di Paese che è diverso – lo dico così –, che non può essere gestito come la pianura e che ha bisogno – sono molto d'accordo con uno degli interventi che mi hanno preceduto – di politiche specifiche, di riportare la particolarità di quei territori.
  La particolarità fa sì che le alleanze siano un elemento fondamentale: in questi luoghi, noi abbiamo bisogno di alleanze orizzontali, dentro i territori, di fare quindi una rete di sistema. Non possiamo più lavorare con gli enti locali che lavorano da una parte, il mondo dell'agricoltura dall'altro e l'industria: abbiamo bisogno di una sinergia più forte. E, poi, abbiamo bisogno delle alleanze – quelle, secondo me, più complicate e più difficili da raggiungere – strutturali, verticali, fra questi luoghi e le grandi metropoli, che, ripeto, devono avere tutto l'interesse a costruire politiche.
  Questo provvedimento è un buon punto di partenza, che deve partire anche da un'altra considerazione e cioè, che tutto l'arco alpino è in crisi demografica, a parte due zone: le province autonome di Trento e di Bolzano. Guardate che non è un problema solo di risorse: è un problema di politiche che pratichiamo in quei luoghi, è proprio un problema culturale rispetto a quei luoghi. Allora, in questo senso, noi dobbiamo riconoscere a quei luoghi che vivere in quegli ambienti è più complicato, è più difficile e che abbiamo bisogno, quindi, di maggiori trasferimenti e di norme specifiche. Solo con questo possiamo riportare in quei luoghi la politica e riportare, quindi, il governo del territorio. Tutto il provvedimento è strutturato – e mi vede veramente convinto nel sostenerlo – in questo senso.
   I servizi fondamentali: non c’è luogo abitato che non metta a disposizione dei propri cittadini i servizi. Qui dobbiamo anche, però, declinare questi servizi in una forma moderna: abbiamo parlato spesso di poste in quest'Aula e nelle Commissioni. Io credo sia corretto difendere fino in fondo gli uffici postali, ma è altrettanto corretto sapere che noi dobbiamo declinare questo servizio – lo prendo come esempio – in un'ottica moderna. È impensabile difendere l'ufficio postale degli anni Cinquanta. Allora, dentro questa norma io intreccio il multiservizio con la banda larga e ultralarga; un grande piano che il Governo – dobbiamo anche dirlo – sta già portando avanti in maniera positiva, soprattutto, sulle «aree bianche», a fallimento di mercato. Ecco, dentro il concetto di mantenimento del servizio, c’è anche una declinazione in forma moderna. E io quello che ho detto per gli uffici postali voglio dirlo per gli altri grandi fattori di sviluppo rispetto al mantenimento dei servizi, che sono la sanità, l'istruzione e i trasporti.
  Noi dobbiamo cercare di costruire una rete di questi servizi, sapendo che non possiamo avere scuole dappertutto, ma dobbiamo pretendere che i cittadini di quei luoghi possano andare nei migliori centri di formazione e di istruzione, garantendo loro il vitto, l'alloggio e il trasporto verso quei luoghi di grande conoscenza. Così possiamo fermare lo spopolamento.
  Questo provvedimento, ripeto – e ringrazio il presidente Realacci per averlo riportato, uso questo termine, all'attenzione del Parlamento –, è un punto di partenza: però prendiamo questo provvedimento, approviamolo più velocemente possibile, facciamolo approvare al Senato e, poi, lo poggiamo sopra i banchi di questo Parlamento e dei rappresentanti del Governo, perché questa legge, come dicevo, deve permeare l'attività di queste istituzioni in tutti i provvedimenti che avremo in futuro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche – A.C. 65-2284-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Misiani, l'onorevole Borghi ed il rappresentante del Governo rinunciano alle repliche.Pag. 22
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Locatelli, Malisani, Nicchi, Buttiglione, Fitzgerald Nissoli, Palese, Matteo Bragantini ed altri n. 1-01291, Rosato ed altri n. 1-01292, Spadoni ed altri n. 1-01348, Centemero ed altri n. 1-01350 e Artini ed altri n. 1-01352 concernenti iniziative in relazione al riconoscimento del genocidio del popolo yazida (ore 13).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Locatelli, Malisani, Nicchi, Buttiglione, Fitzgerald Nissoli, Palese, Matteo Bragantini ed altri n. 1-01291 (Nuova formulazione), Rosato ed altri n. 1-01292 (Nuova formulazione), Spadoni ed altri n. 1-01348, Centemero ed altri n. 1-01350 e Artini ed altri n. 1-01352 concernenti iniziative in relazione al riconoscimento del genocidio del popolo yazida (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Locatelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01291 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  PIA ELDA LOCATELLI. Grazie, signor Presidente. Quella yazida è una storia di violenze e massacri perpetrati da wahabiti, sunniti durante l'Impero ottomano, fino alle guerre irachene del 2003, quando una campagna di bombardamenti da parte di militanti sunniti uccise centinaia di yazidi. Le persecuzioni continuano oggi con una ferocia inaudita e alla base di queste persecuzioni ci sono ragioni per noi incomprensibili. Gli yazidi non fanno parte di una delle grandi religioni monoteiste; la loro non è contemplata dal Corano tra le religioni del Libro. Per questo, a differenza delle genti del Libro, gli ebrei e i cristiani, che hanno potuto evitare la morte per mano dell'Isis convertendosi all'Islam o pagando la tassa islamica o andando in esilio, gli yazidi non hanno avuto nessuna possibilità di scelta diversa dalla conversione per sfuggire al massacro sistematico: convertirsi o essere sterminati. Le persecuzioni sono raccolte e raccontate nel rapporto del 2015 dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, che ha dichiarato la responsabilità di Daesh per il genocidio yazida davanti alla Corte penale internazionale. Il rapporto documenta come il genocidio ebbe inizio con il massacro di almeno 700 uomini – in questo caso proprio uomini – di uno dei villaggi del Sinjar e con la cacciata di 200 mila yazidi dalle loro case. Almeno 40 mila in fuga rimasero intrappolati sui monti del Sinjar, con davanti l'unica scelta possibile: la morte per disidratazione ed il consegnarsi al boia di Daesh. Il rapporto dice che nessun gruppo religioso mai è stato sottoposto a forme di distruzione come quelle cui è stata sottoposta questa popolazione.
  Le Nazioni Unite hanno stimato che nel 2015 migliaia di esponenti della popolazione yazida sono stati perseguitati, rapiti, massacrati e migliaia di donne sono state ridotte in schiavitù. Di queste oltre 3.500 sono tuttora prigioniere dell'Isis. Le accuse delle Nazioni Unite oltre al genocidio includono crimini di guerra verso i civili, bambini inclusi, e crimini contro l'umanità, per cui si invoca il Consiglio di sicurezza e si chiede di ricorrere alla Corte penale internazionale perché persegua i responsabili. L'intento genocidiario si è reso evidente oltre che con i massacri, documentati dalle fosse comuni di sole vittime yazide, dalla politica di stupro sistematico e di riduzione in schiavitù delle donne e ragazze, deportate in massa in luoghi controllati da Daesh dove sono state vendute sulla piazza pubblica come schiave per 150 dollari. Migliaia di donne sono state costrette con forza a contrarre matrimonio con i guerriglieri dell'Isis e molte di queste schiave sessuali, poco più Pag. 23che bambine, non hanno retto all'umiliazione e hanno preferito suicidarsi. Anche i bambini yazidi sono stati rapiti e rivenduti, in un crescendo di violenze sistematiche testimoniate anche in un rapporto di Amnesty International.
  Ecco, tutte queste notizie ci sono state raccontate da Nadia Murad, una yazida irachena poco più che ventenne audita nel maggio scorso al Comitato permanente per i diritti umani della Commissione esteri della Camera. Nadia Murad è una delle giovani donne yazide vittime dell'Isis sottratta alla sua famiglia, violentata ripetutamente, ma riuscita a fuggire dopo tre mesi grazie all'aiuto di una famiglia musulmana. Siamo orgogliosi di aver offerto a Nadia l'occasione di parlare alla Camera dei deputati offrendole una nuova occasione per la sua infaticabile attività per sensibilizzare la comunità internazionale sulla tragedia della sua comunità. In conclusione dell'audizione ci ha chiesto di impegnarci affinché la distruzione sistematica di quella popolazione fosse riconosciuta come genocidio. Abbiamo preso questo impegno e siamo qui per darne attuazione. Nel frattempo Nadia ha continuato la sua azione di denuncia in giro per il mondo e pochi giorni fa, in occasione della Giornata internazionale della pace, è stata nominata ambasciatrice di buona volontà per la dignità dei sopravvissuti alla tratta di esseri umani da parte dell'ufficio Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine. Ne siamo felici ed orgogliose.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gribaudo, che illustrerà anche la mozione Rosato ed altri n. 1-01292 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria.

  CHIARA GRIBAUDO. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, quella che ci apprestiamo a discutere oggi è una mozione molto importante; lo è per chi, come molte di noi oggi qui in quest'Aula, nel mese di maggio ha incontrato alla Camera appunto la delegazione yazida guidata da Nadia Murad. Questo è un passaggio particolarmente significativo e lo è specialmente per chi di noi ha potuto ascoltare le loro voci e la loro dolorosa e forte testimonianza. Lo viviamo, quindi, con solennità e con intima emozione. Ci eravamo impegnati con loro ed oggi manteniamo quell'impegno.
  Con questa mozione noi denunciamo le efferate violenze compiute dall'ISIS nei confronti della minoranza yazida e le chiamiamo con il loro nome: genocidio. Lo facciamo in conformità alla risoluzione ONU n. 260 del 1948, che definisce come tale «ciascuno degli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale etnico, razziale o religioso». Quella yazida è una comunità etnico-religiosa di origine curda di circa 800 mila persone; 750 mila vivono nel Kurdistan iracheno. Due anni fa, la notte tra il 3 e il 4 agosto 2014, questo territorio intorno al monte di Sinjar veniva circondato dalle forze del Daesh. I testimoni diretti hanno visto gli uomini di al-Baghdadi incappucciati di nero entrare nelle case e trarne fuori tutti, uomini, donne, vecchi e bambini. Centinaia morirono subito. Nei giorni seguenti continuò una vera e propria caccia: chi venne catturato fu costretto a scegliere tra convertirsi all'Islam o morire. Nel villaggio di Kocho gli jihadisti sgozzarono circa seicento uomini che avevano rifiutato di convertirsi.
  Anche Nadia Murad viene dal villaggio di Kocho. Lì ha visto morire con i propri occhi sua madre e suoi sei fratelli. Presa come bottino di guerra è stata portata con le altre donne a Mosul e acquistata come schiava. Dopo il primo tentativo di fuga per punizione è stata stuprata da sei miliziani fino a perdere conoscenza; alla fine è riuscita a scappare e ad arrivare in Europa, dove ha trovato asilo. Nadia aveva allora 19 anni; oggi ne ha 21. Nel dicembre 2015 è intervenuta al Consiglio di sicurezza dell'ONU per aprire finalmente gli occhi delle nazioni sugli orrori di cui è stata testimone. Ora viaggia in tutto il mondo per parlare a nome del suo popolo e per raccontare la tragedia che sta vivendo. Secondo stime ufficiali sono oltre 5 mila le vittime yazide, anche se altre fonti Pag. 24parlano addirittura del doppio; si contano, invece, più di 7 mila donne, anche minorenni, rapite, schiavizzate e sistematicamente stuprate. «È necessario che si sappia quello che ci è successo», ci ha raccontato Nadia, «in modo che il mondo si renda conto della sofferenza di oltre 3.500 donne e ragazze che tuttora sono in schiavitù e vengono stuprate ogni ora e ogni giorno». È necessario che si sappia del genocidio subito da una comunità pacifica e impotente, come pure di tutto il dolore che colpisce ogni minoranza e chiunque non condivida l'interpretazione dell'Islam portata avanti dallo Stato islamico.
  Nel novembre del 2015 il Sinjar è stato in parte liberato dall'ISIS, ma nonostante questo i massacri non sono finiti. Ancora ai primi di giugno 2016 a Mosul 19 yazide sono state bruciate vive dentro una gabbia di metallo per essersi rifiutate di concedersi come schiave sessuali ai combattenti del califfato che ha lì la sua capitale in Iraq. Sempre le parole di Nadia indicano, quindi, con chiarezza l'obiettivo che abbiamo da perseguire: «La violenza deve finire; nessun'altra ragazza deve subire quello che ho subito io. Ho perso tutto ciò che avevo una volta: la famiglia, gli amici, la patria, i sogni. Li ho persi e migliaia di yazidi hanno perso i propri cari. Tutte le minoranze rimpiangono la propria terra». La patria storica che rimpiangono gli yazidi ancora prigionieri o costretti a fuggire è il Kurdistan; lì è nato il loro culto antichissimo ed originale. Anche per questo non è la prima volta che il popolo yazida subisce massacri in nome della religione che professa; sono stati accusati di essere apostati, libertini e adoratori del diavolo. Secondo il loro conto siamo anzi alla settantatreesima persecuzione, quella definitiva, che vuole cancellarli dalla faccia della terra. Nel 2014 ci fu molto clamore mediatico per il massacro del Sinjar. Già nel marzo 2015, infatti, il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha consegnato un rapporto nel quale denunciava chiaramente la gravità delle azioni commesse in Iraq nei confronti degli yazidi, classificandoli come crimini contro l'umanità. Lo stesso rapporto affermava che i responsabili del Daesh avrebbero dovuto rispondere dei genocidi davanti alla Corte penale internazionale; eppure, due anni dopo misuriamo ancora il silenzio e, ahimè, l'inefficacia dell'azione internazionale.
  Ma qualcosa sembra muoversi, anche grazie a questo prezioso lavoro di Nadia Murad. Nel 2016 il Parlamento europeo ha infatti approvato una risoluzione che in modo analogo classifica come genocidio le esecuzioni sistematiche e le violenze dei guerriglieri dell'ISIS ai danni delle minoranze religiose in Iraq e in Siria. Un passo positivo, ma finché non finiranno tutte le sofferenze delle minoranze religiose in Iraq e in Siria non potremmo dirci soddisfatti. Nel suo ultimo discorso alle Nazioni Unite, qualche giorno fa il Presidente Obama ha parlato degli orrori di uno Stato Islamico che ha atterrito chiunque abbia incrociato sulla propria strada. Davanti ai delegati il Presidente ha ricordato nuovamente lo stupro su madri, figlie e sorelle usato come un'arma di guerra. I bambini innocenti uccisi a colpi di arma da fuoco, i corpi gettati nelle fosse comuni, le minoranze religiose affamate a morte. Lo stesso giorno il Consiglio di sicurezza aveva in discussione una risoluzione per sottolineare la responsabilità degli Stati nel combattere l'estremismo violento, ma, ha ammonito Obama, le risoluzioni devono essere seguite da impegni concreti perché siamo noi i responsabili quando non ci dimostriamo all'altezza. Sono parole che vogliamo fare nostre, sentendo tutta la responsabilità che esse comportano. Ecco perché il Parlamento italiano deve dare oggi un segnale forte e concreto. La risoluzione che proponiamo impegna innanzitutto il Governo a promuovere ogni iniziativa volta al riconoscimento del genocidio yazida nelle competenti sedi internazionali e l'avvio di un provvedimento contro i responsabili presso la Corte penale internazionale. In secondo luogo impegna ad adoperarsi in seno all'Organizzazione delle Nazioni Unite, d'intesa con gli altri Paesi dell'Unione europea, per far cessare ogni violenza nei confronti della popolazione yazida. La nostra mozione Pag. 25chiede poi al Governo di assumere iniziative per realizzare corridoi umanitari al fine di favorire l'arrivo di aiuti internazionali a sostegno della popolazione civile colpita dalle violenze. Ultimo punto, non certo per importanza, indica la necessità di soccorrere, attraverso specifiche iniziative di assistenza umanitaria e sanitaria, le vittime della violenza. Onorevoli colleghi, il Presidente della Commissione delle Nazioni unite lo ha detto chiaramente: il genocidio continua e lo Stato Islamico non nasconde la sua intenzione di distruggere questa minoranza religiosa. Anche a noi allora spetta continuare il nostro impegno perché, come dicono gli attivisti yazidi, occorre che il tempo non copra queste tragedie e i drammi inenarrabili. Per tutte queste ragioni, a nome del Partito Democratico, mi auguro che ci possa essere unanime convergenza da parte di quest'Aula; lo dobbiamo alle sofferenze e al coraggio di donne come Nadia Murad e soprattutto alle molte che ancora attendono di essere salvate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, la prima domanda che mi sono posta davanti a questa nostra mozione è cercare di capire un po’ di più e un po’ meglio chi sono gli yazidi. Confesso che prima di questo momento non ho avuto molte occasioni per farlo e ho scoperto che sono un'etnia antichissima, che linguisticamente appartengono al ceppo curdo, che la loro identità è definita soprattutto dalla professione di fede. Un popolo quindi in cui la dimensione religiosa e la dimensione etnica finiscono con l'avere delle implicazioni molto forti e molto profonde, soltanto che la fede che loro professano è la fede di una minoranza e di una minoranza che non è contemplata dal Corano, una minoranza che quindi li pone in difficoltà davanti al popolo islamico in mezzo al quale loro vivono e crea quindi delle difficoltà che hanno, come dire, tracce lunghissime nel tempo. È un popolo che è sempre stato oggetto di violenza, oggetto di persecuzioni, ma sono state violenze e persecuzioni in qualche modo circoscritte nello spazio e nel tempo, caratterizzate soltanto da questo filo rosso che percorre tutta la storia di un popolo che da sempre è stato minoranza e minoranza non riconosciuta e minoranza non integrata; questo finché siamo arrivati anche, come è stato detto dai colleghi e dalle colleghe che mi hanno preceduto, a tutta la lunga storia dell'Impero Ottomano che per definizione era un impero di religione islamica e quindi come tale ben poco tollerante rispetto a quelle che sono religioni diverse dalla propria, ma tutto questo ha assunto un ritmo, una velocità, una capacità di distruzione veramente impressionante proprio con l'arrivo del Daesh. Da questi popoli musulmani è scaturita una lotta volta veramente alla distruzione e all'annientamento di un popolo, non soltanto singole azioni perpetrate ai danni di questo popolo ma una volontà di annientamento totale e completo. Erano circa 600 mila gli yazidi nel momento in cui nella loro vita incorse questa aggressione, che all'inizio sembrava una delle tante aggressioni isolate e circoscritte, ma che invece ha assunto un ritmo senza sosta.
  Cosa abbiamo avuto ? Abbiamo avuto un'invasione che ha praticamente deportato, obbligando quelli che non venivano deportati dagli stessi combattenti dell'Isis a una fuga, a una fuga rispetto alla quale nelle montagne che li circondano molti di loro sono morti, sono morti per disidratazione, sono morti per mancanza di aiuto, per mancanza di soccorso. Ma, arrivando ai punti in cui avrebbero potuto trovare qualcuno che si prendesse cura di loro, in realtà sono stati fatti oggetto di vendita, sono stati fatti oggetto di nuove forme di schiavismo. Questa è una storia, quindi, che si intreccia molto strettamente ad una linea che questa legislatura ha percorso anche in Italia e anche in Europa con molta attenzione; la storia, potremmo dire, in modo particolare del genocidio delle donne, perché sono state le donne in questo genocidio ad aver subìto maggiormente gli stupri, la violenza, in alcuni casi Pag. 26sono state date come spose bambine a titolo risarcitorio a soldati che combattevano nell'esercito nemico, ma più spesso sono state veramente trattate come schiave, ridotte a uno stato di prostituzione che ha umiliato non soltanto la loro condizione fisica e personale ma ne ha umiliato profondamente il senso della dignità. Da questo punto di vista possiamo davvero considerare una fortuna – che pure è stata accennata dai colleghi – la fuga di questa giovane donna che quando era stata fatta prigioniera, Nadia, aveva solo 16 anni, attualmente ne ha poco più di venti; cinque anni a volte nella vita possono essere una storia intera, la storia in terra di una popolazione. Storia che ha potuto raccontare in dettaglio come testimone viva e come testimone che sulla sua pelle ha pagato di persona tutte queste violenze. Se è così che abbiamo potuto assistere e sentire dalla sua viva voce quali sono state queste caratteristiche del genocidio yazida, che poi peraltro finiscono col coincidere con la definizione di genocidio che nel 1948 era stata data, quello che noi abbiamo è che ci sono state operazioni di stupro sistematico, la vendita nella pubblica piazza come schiave per 150 dollari, sono state, come dire, marcate da un costo specifico, sono state costrette a contrarre matrimonio, non è stata una loro scelta. Noi abbiamo in attesa qui di essere discussa anche un'altra mozione a proposito delle spose bambine, ma in questo caso questa qui più che un matrimonio è un'ennesima violenza. Molte di queste schiave hanno un'età compresa tra i 12 e i 15 anni, quindi molte di queste muoiono anche nel momento in cui danno alla luce i primi figli e molte volte questi figli vengono loro sottratti e vengono anche avviati precocemente a divenire dei bambini soldato. Non ci stupisce che in condizioni di questo genere molte di queste giovani donne abbiano preferito suicidarsi. Quindi, noi abbiamo veramente l'umiliazione pesantissima della donna che in culture diverse, in civiltà diverse, in collocazioni anche culturali diverse continua a pagare il prezzo più alto di questa umiliazione che nasce dalla sopraffazione e dalla violenza. Nel mese di gennaio del 2015 il Santo Padre ha lanciato un appello affinché si ponga fine alle persecuzioni e alla sofferenza del popolo yazida e di altre minoranze del nord dell'Iraq e si ripristinino la giustizia e quelle che possiamo considerare le condizioni di una vita libera e pacifica, ma anche l'appello del Santo Padre è caduto nel vuoto. Quello che a noi interessa in questo momento è dire, come quando parliamo di genocidio, e sappiamo anche che c’è una sorta di gelosia a mantenere il termine genocidio riservato a un popolo, a quello che noi siamo abituati nella storia a definire il popolo eletto. Abbiamo assistito quest'anno al riconoscimento anche del genocidio del popolo armeno, del genocidio nel Ruanda, del genocidio nell'ex Jugoslavia con il popolo serbo e oggi ci troviamo davanti all'ennesima forma di genocidio e ci chiediamo fino a che punto il popolo occidentale potrà rimanere in silenzio, anche se il fatto stesso che se ne discuta in quest'Aula, anche se un'Aula deserta, è un riconoscimento della dignità di questo popolo; però parlare di genocidio nel terzo millennio significa veramente che l'uomo ha abdicato alla sua dignità di cittadino del mondo, ha abdicato alla sua dignità di sentire sulle proprie spalle la responsabilità del destino di tanti altri uomini, quindi a schierarsi definitivamente dalla parte della pace.
  Nella Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio che risale al 1948, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite intendeva proprio come genocidio una serie di atti commessi con l'intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale e religioso e in questo caso tutte queste variabili del gruppo nazionale, etnico, razziale e religioso sono presenti in questa minoranza yazida la quale, quindi, a tutti gli effetti può essere riconosciuta come vittima di genocidio. Sappiamo anche che tutti gli atti di violenza che abbiamo descritto, il fatto che i bambini maschi siano stati avviati a programmi di educazione militare e di riconversione ideologica, che le donne siano state, per dir così, Pag. 27sedotte e non abbandonate ma sedotte e rivendute come schiave sul mercato, ci porta poi ad avere una conferma ancora più drammatica nel ritrovamento di cinquanta fosse comuni in alcune zone dell'Iraq che fino a poco tempo fa erano controllate dall'Isis e che hanno confermato la sistematica eliminazione delle tribù della minoranza yazida. Abbiamo fosse comuni in cui questi corpi sono stati buttati senza alcun rispetto per le loro identità, per il loro nome, per il loro cognome come se non ci sia mai più nessuno che pianga sulla loro sorte e che in qualche modo voglia restituire a questo popolo l'onore e la dignità. A me di tutta questa tragedia quello che colpisce più di tutto è che possa avvenire oggi sotto gli occhi distratti dell'Occidente. Perché mi colpisce questa cosa ? Perché con la stessa drammaticità ho negli occhi quello che forse tra un po’ chiameremo l'ennesimo genocidio. Penso alle immagini che solo ieri sera ci sono state rimandate da Aleppo, una città in cui la morte è entrata in tutti gli angoli, ha invaso tutti gli spazi di quella che una volta era una città di antichissima tradizione e anche di antichissima continuità di popolazione e di abitazioni. Ci sono ancora oggi questi genocidi: riconoscendo il genocidio del popolo yazida in qualche modo poniamo anche un'ipoteca su possibili futuri genocidi che non vorremmo che mai più si verificassero e per tale ragione impegniamo il Governo, anche in coordinamento con gli altri Paesi dell'Unione europea ed evidentemente con le Nazioni Unite, a riconoscere formalmente questo genocidio perché soltanto rafforzando questa denuncia possiamo dire mai più. Credo che risuonino nelle nostre orecchie le parole di Giovanni Paolo II quando diceva: «mai più, mai più la guerra !» ma, nonostante questo, la guerra continua a esserci ancora e noi oggi vorremmo dire «mai più, mai più !» altre forme di genocidio, pur sapendo che sono in atto non solo questa del popolo yazida ma quella, come dicevo prima, che riguarda il popolo della Siria. Quindi noi vorremmo che l'impegno del riconoscimento del genocidio non si fermasse a un impegno formale ma che in qualche modo mettesse i mezzi per far cessare ogni tipo di violenza. Inoltre, certamente vorremmo passare a una fase più propositiva, vorremmo che davvero a questo popolo arrivassero gli aiuti umanitari, che ci fossero corridoi umanitari o in qualunque altro modo ma che, dovunque c’è una persona yazida, non si senta sola, non pensi di essere stata prima perseguitata dal Daesh e poi abbandonata dal resto del mondo. Vorremmo recuperare in qualche modo la nostra dignità di uomini prendendoci cura di queste persone che versano in condizioni veramente drammatiche e che noi non vorremmo che mai più nessuno fosse obbligato a sperimentare.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Malisani. Ne ha facoltà.

  GIANNA MALISANI. Grazie, Presidente. Le mozioni che domani siamo chiamati a votare sono molto importanti per la comunità degli yazidi perché hanno chiesto con forza anche in questo Parlamento e continuano a chiedere l'attenzione internazionale verso quello che è stato definito genocidio. Gli yazidi sono una comunità religiosa, non musulmana, che affonda le sue radici nello zoroastrismo, presente prevalentemente in Iraq nel distretto del Sinjar, nordovest del Paese, ma anche in Georgia, Azerbaijan e in una comunità coesa in Germania. La popolazione yazida al momento presente nel Kurdistan iracheno è di circa 400.000 unità, distribuite nei campi di sfollamento. Circa 100.000 sono partiti sulle rotte migratorie per raggiungere l'Europa dopo i fatti del 2014.
  Da sempre infatti perseguitati, oggetto di violenze e massacri per ben 74 volte nella storia, hanno subito un vero e proprio sterminio iniziato il 3 agosto 2014 da parte di Daesh quando è stata attaccata la comunità di Sinjar e Mosul. L'obiettivo di Daesh era di sterminare gli yazidi, considerati infedeli. Il rapporto dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato la responsabilità di Pag. 28Daesh per il genocidio del popolo yazida di fronte alla Corte penale internazionale. La comunità yazida è stata posta di fronte alla scelta se convertirsi o essere sterminata. Le vittime dell'attacco non erano solo yazidi ma anche cristiani, sciiti e altre minoranze religiose ma il trattamento riservato agli yazidi, perché non rientranti secondo il Corano tra le genti del Libro sacro, è stato quello della conversione o della morte: non hanno potuto pagare la tassa islamica o andare in esilio. Il rapporto delle Nazioni Unite documenta il massacro degli uomini uccisi, la cacciata dalle loro case, la fuga sul monte Sinjar di almeno 40 mila yazidi dove molti hanno rischiato di morire per disidratazione e alcuni, soprattutto bambini, sono morti. Le Nazioni Unite hanno stimato che nel 2015 5 mila yazidi sono stati massacrati e 7 mila donne e bambine dai nove ai trenta anni sono state ridotte in schiavitù. Hanno rapito le donne-bambine per farne schiave sessuali e i bambini per portarli nei campi di addestramento. Le donne sono state stuprate, hanno subìto molestie sessuali, mutilazioni e sono state spinte al suicidio, schiavizzate e trattenute come bottino di guerra. Gli attacchi subiti da Daesh contro il corpo, l'identità e il pensiero delle donne vengono perpetrati in modo crudele: una vera e propria guerra contro le donne, un femminicidio lo possiamo definire. Invito a leggere la testimonianza, già citata dalle mie colleghe, portata alla Commissione affari esteri di questo Parlamento il 5 maggio scorso da Nadia Murat, ventun'anni sopravvissuta alla prigionia delle mani di Daesh, ripetutamente e continuamente violentata per tre mesi. Alcune donne dicevo sono state liberate, circa 2.500. Le altre, con molti bambini, sono ancora prigioniere. I bambini yazidi anche piccolissimi sono stati rapiti e venduti come schiavi come testimoniato nel rapporto di Amnesty International. Nella controffensiva sono state ritrovate solo nei territori liberati circa cinquanta fosse comuni di sole vittime yazida che documentano l'intento genocidiario. A Dohuk, provincia estrema del Kurdistan gremito di profughi, due magistrati hanno costituito un centro di documentazione per il crimine di genocidio. Sono Sail Khider Khalaf, procuratore, e Ayman Mostafà, giudice. Vogliono impedire che il tempo confonda le tracce. Il centro ha la responsabilità di documentare nel dettaglio le storie individuali, offrire un supporto legale, documentare le violazioni, gli stupri, i suicidi, identificare le fosse comuni e le vittime, preservare i reperti, rendere istituzionalmente efficace il processo di ricostruzione e ricerca per il perseguimento dei responsabili mediante la Corte penale internazionale. Il rapporto del 2015 dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato la responsabilità di Daesh per il genocidio del popolo yazida davanti alla Corte penale internazionale. Vi è un'iniziativa tesa a richiedere al Security Council delle Nazioni Unite un'inchiesta formale sui crimini, rapimenti, torture e uccisioni di massa e si chiede di ricorrere alla Corte penale internazionale perché persegua i responsabili. Il genocidio è definito in conformità alla risoluzione n. 260 del 1948 con la quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio come ciascuno degli atti commessi con l'intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Le violenze efferate compiute dall'ISIS nei confronti della minoranza yazida si configurano come atti riconducibili a tale definizione in quanto non c’è dubbio che si possono definire come un tentativo di annientamento. C’è una diaspora yazida che vivrà per vedersi riconosciuta la propria catastrofe, che non è avvenuta cento anni fa, ma sta avvenendo. Per questo è importante che l'Italia promuova, nelle competenti sedi internazionali, come chiediamo nelle mozioni, ogni iniziativa volta al formale riconoscimento del genocidio del popolo yazida e ad assicurare ogni sforzo per la sottoposizione dei responsabili alla giurisdizione della Corte penale internazionale. Pag. 29Così hanno chiesto le delegazioni yazide sentite da questo Parlamento nello scorso mese di maggio, una, quella già citata, di Nadia Murad e l'altra guidata dall'onorevole Dakhil Saeed, yazida, appartenente al Parlamento federale iracheno.
  Sarà anche importante che il Governo, nell'ambito del rifinanziamento delle missioni internazionali, metta in atto o confermi specifiche iniziative di assistenza umanitaria volte al soccorso delle vittime di violenza. Nell'ambito delle iniziative già sostenute dall'Italia, voglio ricordare il progetto sociale femminile Jinda, gestito da UNICEF, costituito nel 2015 su finanziamento del Ministero degli esteri, che ha già assistito in loco 620 donne liberate da Daesh, grazie al quale le donne usufruiscono di assistenza sanitaria e psicologica e attività formative tese al loro reinserimento nella comunità. Ricordo che il reinserimento è molto difficile, signor sottosegretario, perché vengono spesso rifiutate dopo l'esperienza di violenze subite da Daesh. Ricordo anche il progetto di cash transfer diretto alle minoranze per l'assistenza essenziale delle famiglie superstiti, per un totale di 6.040 nuclei familiari.
  Il riconoscimento del genocidio richiederebbe un aiuto, per la fornitura di strumenti adeguati, anche al centro di documentazione che prima ho citato, quello di Dohk, affinché vengano documentate le violenze e i crimini e l'identificazione delle fosse comuni. Credo che sia importante anche sostenere e ampliare il progetto partito nel 2015, grazie all'impegno di volontari e alla stessa regione del Friuli-Venezia Giulia, del ponte sanitario mirato all'assistenza sanitaria infantile di casi incurabili nei campi di sfollamento; si potrebbe ampliare, signor sottosegretario, a problematiche specifiche per le donne liberate.

  PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
  Prendo atto che il Governo non intende intervenire.
  Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta. Colleghi, sospendiamo la seduta fino alle 14 e proseguiremo con il resto degli argomenti all'ordine del giorno.

  La seduta, sospesa alle 13,35, è ripresa alle 14.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione.
  I deputati in missione sono complessivamente novantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della mozione Rampelli ed altri n. 1-01344, concernente iniziative a favore delle popolazioni e dei territori colpiti dal sisma del 24 agosto 2016, nonché per la prevenzione dei rischi derivanti dai terremoti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Rampelli ed altri n. 1-01344, concernente iniziative a favore delle popolazioni e dei territori colpiti dal sisma del 24 agosto 2016, nonché per la prevenzione dei rischi derivanti dai terremoti (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni Terzoni ed altri n. 1-01358, Zaratti ed altri n. 1-01359, Carrescia ed altri n. 1-01360 e Saltamartini ed altri n. 1-01361, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

Pag. 30

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare l'onorevole Massimiliano Bernini, che illustrerà anche la mozione Terzoni ed altri n. 1-01358 di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO BERNINI. Grazie, Presidente, colleghi, membri del Governo, il sisma che alle 3,36 del 24 agosto 2016 ha colpito le aree interne delle regioni Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo e, in modo particolare, le province di Rieti, Ascoli Piceno e Perugia è l'ottavo terremoto di magnitudo superiore a 5,6 verificatosi in Italia dal 1980, anno del terribile sisma dell'Irpinia. Ingente è il numero delle vittime e i danni al patrimonio immobiliare pubblico e privato, alle infrastrutture e alle opere d'arte, con disagi a livello sociale ed economico difficilmente quantificabili, benché il Governo il 23 settembre scorso abbia fatto una prima stima di circa 4 miliardi.
  Dopo la tragica esperienza dell'Irpinia venne istituita la carta della sismicità del Paese, che consente di individuare le aree a maggior rischio e, per ogni area, il grado di rischio e il periodo di ritorno. Grazie a questo lavoro sappiamo ad esempio che in Italia circa 24 milioni di persone vivono in zone ad elevato rischio sismico e che negli ultimi centocinquant'anni gli eventi sismici con conseguenze distruttive si sono verificati in media una volta ogni cinque anni, o meglio negli ultimi cinquant'anni i terremoti gravi sono stati otto, concentrati tra il 1968 e il 2016. Riporto questi semplici dati perché su un punto dobbiamo essere onesti intellettualmente, accettando questo assioma: i terremoti non si possono prevedere con precisione, ma in modo generico sì, oppure: non possiamo prevedere quando una scossa si verificherà, ma sappiamo per certo dove si verificherà. Questo non lo dice il MoVimento 5 Stelle, ma la scienza in modo assolutamente inequivocabile. Ma allora, alla luce di tutte queste informazioni e delle nuove tecniche di rilevamento ed elaborazione dei dati, come mai, di fronte ad ogni evento sismico, per ultimo quello che ha colpito il centro Italia, ci scopriamo sempre così immensamente fragili e impreparati ? Insomma, perché questo Paese e le istituzioni non riescono proprio ad imparare dai propri sbagli e dalle proprie sottovalutazioni ? Noi del MoVimento 5 Stelle vorremmo invertire questa tendenza e per questo abbiamo depositato la presente mozione molto articolata, visto che conta 60 impegni, frutto del confronto con esperti, amministratori e cittadini. Naturalmente siamo consapevoli del fatto che una mozione non è sufficiente, serve subito una legge-quadro sulle calamità, quindi anche sui terremoti, in grado di guidare tutte le operazioni necessarie, che detti le competenze specifiche e i tempi necessari per l'attuazione e l'erogazione dei fondi. Senza quest'atto normativo, ogni sisma che si verificherà sembrerà essere sempre il primo sisma, con una macchina che ogni volta riparte da zero, con esperimenti, varianti e aggiornamenti, facendo poi riferimento a fantomatici modelli che richiamano esperienze del passato, che difficilmente però si adattano alle peculiarità tipiche di ogni cratere.
  Nel formulare gli impegni della nostra mozione, abbiamo tenuto conto di alcuni dati a dir poco allarmanti (si ricorda ad esempio come l'80 per cento del costruito risalga a prima del 1981, quindi è antecedente all'obbligo del rispetto delle normative antisismiche per le costruzioni): dell'assenza di una mappatura dei fabbricati a rischio, compresi quelli pubblici – lo denuncia il Consiglio Nazionale dei geologi –, del fatto che il 15 per cento delle scuole statali presenta lesioni strutturali, mentre solo il 35 per cento delle scuole campionate possiede il certificato di agibilità statica, del fatto che un istituto scolastico su tre si trovi in zone ad elevata sismicità e soltanto l'8 per cento sia stato progettato secondo la normativa antisismica (lo dice il quattordicesimo rapporto di Cittadinanzattiva Pag. 31sulla sicurezza, qualità e accessibilità a scuola, presentato il 21 settembre scorso).
  L'obiettivo degli impegni della nostra mozione è duplice: da una parte, far fronte all'emergenza terremoto che ha colpito il centro Italia, dall'altra, attivare una efficace prevenzione del rischio sismico, affinché simili eventi naturali non assumano più simili proporzioni. Impegniamo perciò nella costituzione di un fondo di rotazione nella legge di stabilità, al fine di supportare anche gli interventi minori per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo, danneggiati dall'evento sismico e a garantire la ricostruzione di tutti gli edifici danneggiati dal sisma, ivi comprese le seconde case, fondamentali per il ripristino del tessuto urbano originario, con copertura totale dei danni subiti.
   Nel frattempo, per tutti coloro che hanno perso la propria abitazione, anche se affittuari, vanno trovate soluzioni abitative dignitose, che garantiscano di rimanere in prossimità delle loro residenze, potendo scegliere tra un contributo di autonoma sistemazione o il modulo provvisorio. Queste misure sono fondamentali al fine di prevenire l'abbandono delle aree colpite dal sisma e quindi la disgregazione irreversibile del tessuto sociale originario. Fondamentale è disporre anche la sospensione e rimodulazione del piano di ammortamento dei mutui sulle case inagibili fino al ripristino dell'agibilità dell'edificio senza oneri aggiuntivi per il mutuatario. Sempre nell'ottica di prevenire la disgregazione del tessuto sociale, bisogna sostenere la ripresa delle attività produttive danneggiate attraverso indennizzi e sostegni al reddito. Fondamentale è far fronte a un elemento di forte criticità che si riscontra nelle aree colpite dal sisma del 24 agosto: che ai titolari degli esercizi commerciali situati nei centri abitati non più agibili venga data la possibilità di proseguire la propria attività in box o moduli produttivi provvisori. Inoltre, vista la vocazione agricola delle zone colpite dal territorio, è necessario installare immediatamente – per questo abbiamo indicato perentoriamente la data del 15 ottobre – delle strutture di ricovero anche provvisorie per gli animali da allevamento in prossimità delle aziende, degli impianti di mungitura mobili, nonché di provvedere alla fornitura di foraggio e mangimi zootecnici. Ci giungono infatti molte segnalazioni di come ciò non stia affatto avvenendo e, a parte gli spot del Ministro Martina, insieme alla Coldiretti, e degli altri proclami delle giunte regionali, molte aziende zootecniche sono sprovviste di ricoveri e alimenti per gli animali. La situazione diverrà insostenibile al sopraggiungere dell'inverno, quindi tra poche settimane, quando molti animali periranno a causa delle intemperie o saranno svenduti o regalati dagli allevatori che non li vogliono veder morire, mettendo di fatto in ginocchio l'economia di quei comprensori che sussiste proprio grazie al settore primario. Dovete fare presto.
  Servono inoltre moduli abitativi per l'intero nucleo familiare, da installare in prossimità delle aziende per far sì che l'attività possa essere condotta normalmente, senza oneri aggiuntivi dovuti agli spostamenti.
  Tra le altre misure a sostegno del settore agricolo ed agroindustriale – che come abbiamo visto è l'elemento di coesione economico-sociale delle zone rurali – c’è la copertura con risorse nazionali della quota di cofinanziamento regionale dei programmi di sviluppo rurale 2014-2020, l'anticipo dei pagamenti PAC, l'attivazione di strumenti finanziari da parte dell'ISMEA ed altro ancora. A favore dei lavoratori subordinati, dipendenti e autonomi, di piccole e medie ditte e imprese familiari, impossibilitate a prestare l'attività lavorativa a seguito degli eventi sismici, impegniamo il Governo ad attivare forme di sostegno al reddito con relativa contribuzione figurativa e la sospensione dei pagamenti dei contributi previdenziali e assistenziali dei premi Inail e la deroga della disciplina dei criteri, requisiti e condizioni ordinari di accesso alla Naspi per i lavoratori stagionali.Pag. 32
  A favore delle amministrazioni locali bisogna escludere dai vincoli del pareggio di bilancio, per gli anni 2016-2020, le risorse provenienti dallo Stato e le relative spese di parte corrente in conto capitale, sostenute dalla regione, dalla provincia e dai comuni, nonché le risorse proprie di tali enti impiegate per far fronte all'emergenza sismica e alla ricostruzione degli edifici pubblici.
  Necessarie anche sono tutte le iniziative per istituire un fondo di compensazione per i mancati introiti da imposizione fiscale, (IMU, Tasi e Tares) per tutti i comuni del cratere, nonché la proroga dell'entrata in vigore dell'obbligo di gestione associata e obbligatoria delle funzioni comunali, oltre ad un contributo straordinario sulla base dei maggiori costi sostenuti o delle minori entrate derivanti dalla situazione emergenziale, per assicurare la continuità dei servizi primari garantiti dalle multiservizi.
  Per quel che concerne la ricostruzione, chiediamo che ci si avvalga della collaborazione dei comuni, delle imprese locali, delle parti sociali, degli ordini tecnici e dei cittadini e che quest'ultimi possano avere contezza dello stato di avanzamento dei lavori e delle disposizioni attraverso appositi sportelli unici. È fondamentale che le aziende che intendano partecipare ai lavori di ricostruzione, anche su immobili privati, siano inserite nella white list verificandone la regolarità attraverso le prefetture.
  Come precedentemente accennato, è assolutamente fondamentale investire nella prevenzione e nella sicurezza degli edifici per contenere la devastazione dei futuri terremoti. Proponiamo perciò di istituire la settimana della sicurezza e della prevenzione sismica, di organizzare esercitazioni e simulazioni periodiche antisisma, che coinvolgano la popolazione partendo dalle scuole, di mettere a conoscenza di ogni cittadino i piani comunali di emergenza e di utilizzare la comunicazione sociale, per promuovere la cultura della gestione del rischio sismico. Altresì importante è il monitoraggio di tutti i piani comunali di emergenza esistenti per verificarne la correttezza e l'aggiornamento oltre l'attivazione dei poteri sostitutivi nei confronti degli enti locali inadempienti. E, ancora, servono strumenti normativi e fiscali per l'adeguamento e il miglioramento antisismico delle costruzioni. Bisogna completare la verifica sismica delle opere infrastrutturali e degli edifici strategici e rilevanti, prevista dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 marzo 2003, n. 3274, e che si introducano agevolazioni fiscali, anche del 100 per cento in dieci anni, e si preveda la stabilizzazione dell'ecobonus anche per gli interventi di adeguamento sismico.
  Infine, Presidente, è assurdo che non vi sia ancora un categorico divieto alla realizzazione di impianti di stoccaggio ed estrazione di idrocarburi, di edifici pubblici e scuole, di invasi, acquiferi eccetera, in corrispondenza di faglie sismogenetiche attive. Per questo, nella nostra mozione chiediamo che siano previste delle misure specifiche per la messa in sicurezza di alcuni sistemi di captazione e invasi.
  In merito al reperimento delle risorse economiche per il sisma, chiediamo al Governo se ha provveduto a presentare la domanda per l'accesso ai finanziamenti del fondo di solidarietà dell'Unione europea per le grandi calamità, se ha individuato risorse sui fondi strutturali e di investimento europei relativi alla programmazione 2014-2020 e se stia pensando ad una tassazione del gioco d'azzardo o alla riduzione delle indennità di parlamentari, sindaci, presidenti di regione, consiglieri comunali e regionali eccetera, tutte misure che ci troverebbero assolutamente concordi.
  Concludo, Presidente, ricordando brevemente gli altri impegni della nostra mozione, come quello di realizzare un'efficace rete di assistenza psicologica nei confronti dei familiari delle vittime delle persone coinvolte nella calamità, che resti operativa anche dopo la fase emergenziale e nel periodo della ricostruzione, e di provvedere all'installazione di MAP (moduli abitativi provvisori) a risparmio energetico, evitando così che gli inquilini debbano Pag. 33sobbarcarsi onerose bollette Enel, come è capitato durante il sisma del 2012.
  Visto che all'indomani del terremoto del 24 agosto il Premier Renzi invocava lo spirito di coesione nazionale, sono e siamo convinti che tutti gli impegni di tutte le mozioni verranno accolti senza riformulazioni. Altrimenti, dovremo prendere atto dell'ennesima promessa non mantenuta o, peggio, dell'ennesimo spot governativo.
  Concludo ricordando che oggi, 26 settembre, ricorre l'anniversario di un altro sisma, quello delle Marche e dell'Umbria del 1997. Speriamo perciò che si faccia tesoro, una buona volta, di tutti gli errori e di tutte le sottovalutazioni.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaratti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01359.

  FILIBERTO ZARATTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, a circa un mese dal sisma, la situazione resta difficilissima, soprattutto perché l'inverno in quelle zone è molto precoce. Abbiamo ancora 3.027 persone che sono alloggiate in alberghi o nelle strutture allestite per dare ricovero, appunto, a queste persone che sono state vittime di questo devastante terremoto.
  Abbiamo di fronte una situazione, come dicevo, emergenziale, che purtroppo è un poco conseguente e abbastanza, come dire, frequente nelle nostre politiche, perché, insomma, di fronte a eventi catastrofici come questo, la risposta del nostro Paese è sempre difficile, è sempre confusa, è sempre controversa.
  Abbiamo avuto – questo secondo me va sempre ricordato – una prova di grande maturità da parte delle associazioni, del volontariato e dei corpi dello Stato predisposti dalla Protezione civile, che sono intervenuti con grande efficacia e con grande capacità nelle ore seguenti al sisma. Da questo punto di vista il Paese ha dato una grande dimostrazione di capacità e di solidarietà. Vorrei ricordare qui le centinaia e le migliaia di italiani, che già nella mattinata seguente al sisma si sono messi in fila davanti al pronto soccorso e davanti agli ospedali di tutto il nostro Paese per cercare di donare il sangue, per dare appunto quella dimostrazione di un Paese coeso, di un Paese che riesce ad esprimere solidarietà.
  Ecco, questi segnali positivi, secondo me, vanno inseriti in una politica più complessiva, una politica che ci permetta finalmente di fare quel salto di qualità, che fino ad oggi non c’è stato. Tante volte se n’è parlato, sono state approvate tante mozioni da quest'Aula del Parlamento, tanti provvedimenti sono stati discussi, ma sostanzialmente poco è cambiato. Abbiamo un quadro per cui negli ultimi anni sono stati stanziati unicamente circa 965 milioni, dal 2009 a oggi, per quanto riguarda la prevenzione del rischio sismico. A distanza di tre anni dalla ripartizione di questi fondi statali alle regioni è stato completato soltanto un terzo degli interventi per la messa in sicurezza sismica degli edifici pubblici e, per la metà, i lavori non sono ancora partiti.
  A fronte di questo quadro, abbiamo un'esigenza e una necessità di mettere in sicurezza il patrimonio edilizio del nostro Paese, sia quello pubblico che privato, che è enorme. Soltanto la messa in sicurezza degli edifici pubblici costerebbe circa 40 miliardi di euro, una cifra che salirebbe di altri 90 miliardi se si intervenisse anche negli edifici privati.
  Quindi si capisce che siamo di fronte a una grande sfida, quella della messa in sicurezza del Paese, quella della messa in sicurezza dei nostri cittadini e quella anche, per così dire, dell'inizio di una nuova politica di sviluppo ed economica, che può creare, contemporaneamente alla messa in sicurezza, anche una nuova occasione di sviluppo, una nuova occasione di lavoro.
  Ora le cifre sembrano enormi, bisogna ricordare, però, che dal 1968, anno del terremoto del Belice, i terremoti sono costati al nostro Paese 150 miliardi di euro oltre a 5 mila vittime. Questo significa che un'efficace e utile politica di prevenzione e di interventi nel nostro Paese, non soltanto sarebbe utile, non soltanto sarebbe indispensabile, perché, ovviamente, diminuirebbe i rischi di morte di tante centinaia Pag. 34e migliaia di cittadini, ma sarebbe anche economicamente vantaggioso. Si può fare ? Io penso che si possa fare. Questo Governo ha dimostrato che quando c’è la volontà politica di tirare fuori danaro, risorse, si può fare, perché sono stati tirati fuori 10 miliardi di euro per la famosa vicenda degli 80 euro, sono stati reperiti 4 miliardi di euro per l'eliminazione dell'IMU dalla prima casa. Quindi, quando c’è la volontà di intervenire seriamente, le risorse si trovano.
  Quello che noi chiediamo al Governo è di avere la stessa volontà che si è dimostrata nelle occasioni precedenti, come ho detto, anche per mettere in campo un'efficace prevenzione dal punto di vista del rischio sismico del Paese, perché credo che sia la volta buona, questa, davvero la volta buona, che sia l'elemento fondamentale e necessario.
  Non possiamo più permettere che i cittadini del nostro Paese continuino a vivere in case insicure; non possiamo permettere che, periodicamente, si corra con la Protezione civile, si vadano a piangere i morti, si contino i danni e si vada a vedere le macerie, così come ne abbiamo viste, qualcuno di noi dal vivo, altri in televisione.
  Io penso che questo sforzo di buona volontà il Governo lo debba fare e per questo abbiamo presentato questa nuova mozione: per cercare di fare il punto della situazione e per cercare di dare un contributo; un contributo di idee, un contributo di proposte, che ci possa permettere, insieme, di affrontare questo tema, se c’è la volontà, a cominciare intanto dall'utilizzo delle risorse che sono disponibili. Caro sottosegretario, voi avete il fondo che serve per far fronte alle esigenze indifferibili che, attualmente, dispone di 518 milioni di euro per il 2016, 985,53 milioni di euro per il 2017 e 519 milioni di euro per il 2018: ma quali sono spese più indifferibili di quelle necessarie a dare un alloggio a queste persone che si trovano in situazioni di disagio ? Più di queste, quali sono le spese indifferibili da mettere in campo ? Quali sono ? Perché non mettete mano a quel fondo ?
  Noi avevamo avuto la disponibilità, durante il dibattito, del Viceministro Morando, che ci aveva detto che effettivamente l'idea poteva essere utile, ma, il giorno dopo, la Ministra Boschi, rispondendo ad una nostra interrogazione, ci ha detto che non se ne parla nemmeno. Prima di tutto, mettetevi un attimino d'accordo su che cosa volete fare: in quest'Aula non è che si possono dire due cose diverse e contrarie a distanza di 24 ore. Io penso che sarebbe, invece, un segnale positivo, importante, quello di mettere mano a questi fondi per esigenze indifferibili e, una volta tanto, utilizzarli davvero per un'esigenza indifferibile, cioè quella di sostenere ed aiutare i cittadini del nostro Paese.
  Abbiamo chiesto di mettere in moto quel meccanismo che riguarda la possibilità di accendere un mutuo su Cassa depositi e prestiti per avere la disponibilità della somma necessaria a mettere in campo i progetti veri di ricostruzione; un mutuo contratto dallo Stato, che, poi, lo Stato può restituire in dieci anni a Cassa depositi e prestiti. Perché questo ? Perché è ovvio che se noi abbiamo a disposizione immediatamente l'intera cifra per mettere in campo la ricostruzione, questa ricostruzione può avvenire in tempi rapidi e non ci troveremo di fronte a situazioni come quella de L'Aquila, dove, a distanza di tanti anni, abbiamo ancora uno dei centri storici di una delle città più importanti e più belle d'Italia che è ancora completamente vuoto e da ricostruire.
  Quindi, le proposte che noi facciamo sono proposte concrete, che guardano all'interesse del Paese e che mettono in campo, appunto, anche la possibilità di immaginare uno sviluppo diverso per il nostro Paese in generale, per l'Italia, cioè quello di cominciare a mettere in campo delle opere pubbliche che servono al Paese, che servono ai cittadini e che, contemporaneamente, possano dare anche quell'impulso ad un'economia che, in qualche modo, è in grande difficoltà.
  Quello che noi proponiamo, signor sottosegretario, signor Presidente, è una vera grande opera pubblica per il Paese, una Pag. 35grande opera pubblica che metta in sicurezza le nostre scuole, che metta in sicurezza i nostri comuni, che metta in sicurezza le case dei nostri cittadini. Ci sarà la possibilità di fare una cosa utile e, contemporaneamente, finalmente, di cominciare a creare lavoro vero, non quello finto del Jobs Act.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carrescia, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01360. Ne ha facoltà.

  PIERGIORGIO CARRESCIA. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, signor sottosegretario, poco più di un mese, nella notte del 24 agosto, alle 3,36, si è registrata una forte scossa di terremoto con epicentro nel comune di Accumoli; nel Lazio, alla quale ne sono seguite molte altre localizzate in particolare nei comuni al confine fra quattro regioni dell'Italia centrale, che hanno riguardato le Marche, l'Umbria e l'Abruzzo; 297 le vittime oggi accertate, diverse centinaia i feriti, alcune migliaia coloro che hanno dovuto abbandonare la propria abitazione; distrutti interi centri abitati, con danni ingentissimi al patrimonio pubblico e privato. Desidero, innanzitutto, esprimere alle famiglie delle vittime di questa terribile tragedia, facendomi interprete del sentire di tutti i componenti del gruppo del Partito Democratico, il più vivo e sincero cordoglio e la più profonda partecipazione al dolore, come pure esprimo la vicinanza e la solidarietà a tutti coloro che sono stati colpiti dal sisma e che vivono in questo periodo gravi difficoltà.
  Prima di entrare nel vivo dell'illustrazione della mozione che abbiamo presentato, voglio ricordare il prezioso e generoso lavoro del personale della Protezione civile, dei Vigili del fuoco, dell'Esercito, delle forze dell'ordine, della Croce Rossa, del personale sanitario e di tutti i volontari che sono accorsi sui luoghi del terremoto. Questo sta a significare una cosa: che lo Stato, in tutte le sue articolazioni, è stato presente, presente ed efficiente. La sinergia con il sistema delle autonomie locali ha funzionato e sta funzionando: una fase emergenziale che è stata vissuta con grande capacità, professionalità e con una coesione che è andata oltre le poche sterili polemiche aleggiate, purtroppo, anche oggi, in quest'Aula. Dobbiamo far sì che la sinergia fra le istituzioni sia prassi quotidiana, perché è un importante punto di partenza per gestire e superare le difficoltà attuali e porre le basi per la ricostruzione successiva. E una democrazia matura e consapevole è più forte, quando è sorretta da un simile responsabile atteggiamento.
  Una tragedia così grande esige risposte adeguate e, in questo senso, esprimo l'apprezzamento e il sostegno all'azione forte e pronta del Governo, che ha operato e sta operando con tempestività e risolutezza per affrontare la prima emergenza e per predisporre le basi per gli interventi successivi. La presenza stessa del Presidente del Consiglio sui luoghi della tragedia è stata una forte e significativa testimonianza di alto profilo istituzionale ed umano, testimonianza rafforzata da quella degli altri membri del Governo; straordinaria per tempestività e sostanza d'intervento, la risposta della nostra Protezione civile. L'Italia tutta si è stretta intorno alle popolazioni delle regioni colpite dal terremoto, a quelle del Lazio e delle Marche che hanno pagato questa calamità più di ogni altre in termini di vite umane e di distruzioni, ma anche a quelle di Umbria e Abruzzo, che hanno subito danni agli edifici pubblici e privati.
  In un momento difficile va sottolineato l'impegno costruttivo dei cittadini e degli amministratori, di quei sindaci che sono in prima linea fra la gente, in prima linea a cogliere esigenze, a dare risposte, a segnare la presenza delle istituzioni; un impegno che ha mosso la solidarietà del Paese con aiuti concreti e con grande generale generosità.
  Gran parte dell'Italia centrale ha subito una ferita lacerante, sconvolgente. Anche la mia regione – le Marche –, ancora una volta, è stata colpita dal terremoto, dopo quello di Ancona nel 1972 e del Piceno nel 1987 e dopo quello devastante nel Fabrianese del 1997, il terremoto di Marche e Pag. 36Umbria. Ora è toccato ai territori montani e pedemontani dell'ascolano, delle province di Macerata e Fermo e, in parte, anche di quelle dell'anconetano. È difficile trovare parole giuste per affrontare una tragedia di questo tipo di fronte alle immagini che abbiamo visto, alle vittime, a paesi e frazioni ridotti a cumuli di macerie. Un sisma che ha colpito tanti piccoli borghi e centri: sarebbe un torto citarne alcuni e non altri. Mi limito soltanto a quelli dell'Alta valle del Nera – a Visso, Ussita, Castelsantangelo – o dell'Alto maceratese – Ripe San Ginesio, Sarnano –, che sono eccellenze di bellezza, gioielli fra le bellezze d'Italia. Ma questi borghi sono un territorio fragile in un Paese che già di per sé è ad alto rischio sismico. E allora dobbiamo reagire; dobbiamo reagire subito e pensare al domani prossimo e al futuro più lontano ponendoci tre obiettivi e questo è il senso della nostra mozione. Occorre gestire bene la fase emergenziale, ricostruire, prevenire. Gestire bene la fase emergenziale: la nomina a commissario di Vasco Errani, con la sua capacità ed esperienza e la costante presenza sui territori già dai primi giorni, è una garanzia, ma sta ora al Parlamento e al Governo consegnargli adeguati strumenti operativi e risorse. Ricostruire, e qui dobbiamo intenderci: non vanno solo ricostruite le infrastrutture e gli edifici pubblici e privati e riefficientati i servizi, ma va ricostruita e rilanciata un'intera economia della fascia appenninica. Ci sono comuni che hanno visto devastati i propri centri storici e frazionali e quelli che, pur avendo subito meno danni, hanno visto il proprio tessuto economico devastato dal sisma; ve ne sono altri che hanno avuto danni ad edifici, scuole, residenze per anziani, strutture sanitarie o sportive, che sono necessarie per ogni comunità. La ricostruzione deve essere attenta a tutti, modulata sull'effettiva risposta ai danni subiti. Non va speso, come ha ripetutamente dichiarato il commissario Errani, né un euro di più ma neppure un euro di meno e tutto con equità per i danni subiti e con la massima trasparenza. Prevenire: dobbiamo migliorare il nostro sistema di prevenzione dei rischi sismici e intervenire sia per la messa in sicurezza dell'esistente sia per migliorare le tecniche di costruzione di nuovi edifici. Un Paese moderno deve saper scrivere il proprio futuro e la prevenzione sismica, così come quella dell'assetto idrogeologico, è parte essenziale di un serio programma per l'Italia sicura. Servono, dunque, risposte dal Governo e dal Parlamento.
  Con questa mozione intendiamo sollecitare diversi e numerosi impegni all'Esecutivo, garantendo tutto il nostro supporto. Per definire questi impegni siamo partiti dalla realtà, da un contesto socio-economico che è quello tipico delle aree interne dell'Appennino dell'Italia di mezzo, fortemente sbilanciato sui settori tradizionali dell'agricoltura, del turismo diffuso, del commercio, dell'artigianato e della piccola impresa. La gran parte delle attività produttive connesse e collegate a tali comparti ha un mercato strettamente legato al territorio e alla sua fruizione. È stimabile per il 2016 in queste aree una sensibile caduta del PIL pro capite, con un impatto importante che si protrarrà nel medio termine su un'area molto vasta. Anche i territori limitrofi ai comuni del cosiddetto «cratere» stanno risentendo inevitabilmente dell'effetto domino che si è innescato nell'immaginario collettivo: partenze anticipate dai luoghi di soggiorno, disdette delle prenotazioni a medio termine, mancate prenotazioni stimate; sono tutte conseguenze del sisma e del suo protrarsi.
  L'agenda tecnica della ricostruzione del nucleo più fortemente investito dal sisma va inserita, perciò, in un'ampia e forte strategia di sviluppo a breve e medio termine, che eviti l'abbandono dei territori colpiti e li renda nuovamente attrattivi puntando sulla cultura, sull'ambiente e sulle attività turistiche sia del comparto ricettivo sia dell'indotto e sui giovani che possono restare o scegliere di andare a popolare queste aree. La ricostruzione, quanto più rapida possibile, degli edifici pubblici e privati, di abitazioni, prime e seconde case e sedi di attività produttive rappresenta lo snodo centrale, la conditio Pag. 37sine qua non della strategia. Consentire ai residenti di tornare nelle proprie case, di fruire di scuole sicure e dei servizi essenziali è prioritario, anche in un quadro di tenuta della coesione sociale dei territori. Occorre non dimenticare il ruolo delle seconde case dei non residenti nel sistema complessivo degli interventi e del ruolo che esse hanno. Una delle peculiarità dei borghi delle aree interne è segnatamente quella di moltiplicare, nella stagione turistica o nei periodi di vacanza legati alla festività, i dimoranti rispetto ai residenti, proprio grazie a questa tipologia di abitazioni. Un effetto che, in realtà, altro non è che se non conseguenza a lungo termine dello spopolamento dei territori avvenuto nei decenni passati, in esito ai mutamenti economici strutturali avvenuti in Italia. Le seconde case hanno una valenza oggettivamente misurabile in termini di ricadute positive sulle attività turistiche, commerciali e artigianali anche di carattere esponenziale, cioè non limitata ai soli proprietari, e questo grazie a una consolidata prassi di utilizzo che trova spazio nei rapporti di parentela e relazioni amicali quando non nella locazione che, a sua volta, origina servizi di carattere immobiliare. È una prassi, è un sistema che contribuisce, di fatto, a un rilevante fenomeno di rilevanza turistica tipico, peraltro, di tutte le aree interne e basato su un modello di accoglienza diffusa, che poi è la spina dorsale di quell'economia.
  Non possiamo, però, limitarci alla sola ricostruzione; dobbiamo, come Parlamento, dare anche altre risposte che ci competono e penso, ad esempio, all'approvazione della «proposta di legge Braga» recante la delega al Governo per il riordino delle disposizioni in materia del sistema nazionale di coordinamento della protezione civile, che mi auguro il Senato licenzi al più presto. Dobbiamo, comunque, intanto utilizzare i prossimi strumenti legislativi, come la legge di stabilità, per dare riscontri immediati e possibili.
  Penso, fra tutti, alla necessità di rendere strutturale l'ecobonus per i lavori di messa in sicurezza e l'adeguamento antisismico degli edifici. Dobbiamo guardare con lungimiranza al futuro e a un territorio che sia sicuro e la prima sicurezza deve essere nelle abitazioni. Il progetto «Casa Italia», annunciato dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e confermato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, in sede di audizione in Commissione ambiente, è un'ottima risposta, una prospettiva che va riempita di contenuto specifico e di risorse. Il coinvolgimento del senatore Renzo Piano e delle migliori intelligenze del Paese perché anche nel settore sismico vi sia una pianificazione organica pluriennale degli interventi è un altro positivo segnale.
  La consapevolezza che occorre agire sul tema della conoscenza e poi delle risorse e dei finanziamenti è un punto di partenza. Per il Partito Democratico il tema degli interventi di messa in sicurezza sismica e di prevenzione del dissesto idrogeologico deve essere e sarà una priorità. Nel 2013 è stato istituito un gruppo di studio per la proposizione di uno o più ipotesi di interventi legati alla classificazione del rischio sismico, gruppo che ha terminato pochi mesi fa il lavoro preliminare finalizzato proprio all'incentivazione fiscale degli interventi, ossia a promuovere la ristrutturazione e la riduzione del rischio. Potremo, perciò, a breve disporre di uno strumento d'incentivazione e di riqualificazione sismica dei nostri edifici, utile sia per disegnare, in maniera sempre più precisa ed efficace, i futuri piani di protezione civile, sia per dare ai cittadini la possibilità di una scelta oggettivamente più consapevole per le diagnosi degli edifici e per gli interventi da fare. Ecco perché, come dicevo, dobbiamo con una politica pluriennale rispondere alle emergenze – leggasi interventi nei territori interessati dal sisma del 24 agosto – e mettere in sicurezza i luoghi a maggior rischio, quelli di servizio pubblico in particolare, mettendoli appunto in sicurezza totale, e pianificare le risorse per miglioramenti sostanziali che impediscano di dover piangere altre vittime. Le indicazioni sulle prime linee di azione esposte in audizione Pag. 38in Commissione ambiente dal sottosegretario De Vincenti sono pienamente condivisibili.
  E, allora, nel dettaglio la nostra mozione pone una serie di impegni. Essa nasce dall'ascolto dei territori, degli amministratori comunali, delle regioni, della gente colpita dal sisma nonché dai contributi delle associazioni di categoria e dalle esperienze del volontariato che ha vissuto la fase emergenziale fin dalle prime ore. Ben 297 sono state le perdite umane, 390 i feriti, ingenti i danni, come si è detto, in diverse realtà: nell'ascolano, a Fermo, a Macerata e nell'alta valle del Nera, in quella del Velino, nella zona di Norcia, in provincia di Perugia. Insomma, quattro regioni sono state coinvolte, con conseguenze significative che hanno trovato delle ottime risposte perché se all'inizio del mese di settembre le persone assistite erano 4.548 ieri, invece, erano 2.468. Ho sentito altri numeri, ma questi sono quelli reali e questo è un dato significativo della capacità di risposta che c’è stata in questa occasione.
  Ingenti sono i danni alle infrastrutture di collegamento, in particolare alla viabilità secondaria e a quelle destinate a erogare servizi pubblici essenziali. Da una prima sommaria stima l'ipotesi è che i danni ammontino a circa 4-5 miliardi di euro. L'entità dei danni, anche se non ancora integralmente stimata, varia in relazione alla natura geologica del territorio colpito, al forte degrado o alla vulnerabilità di edifici. Dove, come in Umbria o nelle Marche, a seguito del terremoto del 1997 si è ricostruito con attenzione, non si registrano gli effetti di crolli di altri territori e fortunatamente neppure vittime, segno che quando si fa prevenzione i ritorni positivi ci sono. Ho sentito, purtroppo, ben altra e distorta valutazione da parte del collega del MoVimento 5 Stelle, che non conosce la realtà di quella ricostruzione. È una ricostruzione che è stata fatta senza che ci siano stati problemi di trasparenza, di indagini o quant'altro e che ha visto ricostruite intere realtà che sono ritornate quelle che erano vent'anni fa, prima del terremoto.
  Tornando a noi, con la delibera del Consiglio dei Ministri del 25 agosto 2016 è stato dichiarato lo stato di emergenza e sono stati stanziati 50 milioni di euro per i primi interventi; con un decreto del 1o settembre sono stati sospesi i termini di versamento per gli adempimenti tributari nel periodo che va fino al 16 dicembre 2016 per i contribuenti con residenza o sede operativa nel territorio di quello che per ora è stato individuato, con un termine tecnico, come il «cratere». Nel decreto si prevede la possibilità di estendere ad altri comuni, con successivo provvedimento, la sospensione dei termini e degli adempimenti tributari. Un'estensione dell'area del «cratere» è necessaria e su questo chiediamo al Governo grande attenzione. Chiediamo grande attenzione perché quelle realtà che hanno subito forti danni devono essere tutte ricomprese nell'epicentro e quanto accaduto deve far riflettere sul contesto geologico del nostro Paese, perché vaste zone del territorio nazionale sono ad elevato rischio; è già stato detto che la Protezione civile già dal 2003 ha classificato i comuni in zone sismiche. Nella zona sismica 1 e 2 c’è circa il 44 per cento del territorio nazionale, 2.097 comuni, e vi vivono stabilmente oltre 22 milioni di persone. Insomma, abbiamo una realtà che merita grande e forte attenzione, come è stato detto anche dal collega Zaratti: sono stati spesi tra il 2010 e il 2012 più di 3 miliardi all'anno per riparare i danni dei terremoti e nel dopoguerra la spesa ha raggiunto 180 miliardi, tante risorse spese dopo gli eventi, poche per la prevenzione. Dobbiamo cambiare passo perché i terremoti fanno danni agli edifici, ai capannoni industriali, alle infrastrutture, ai beni culturali che sono una nostra grande risorsa. Quanto ai beni culturali, in soli vent'anni i terremoti hanno danneggiato oltre 5 mila beni, 5.738 beni. Il rischio sismico minaccia gran parte dei centri storici delle città, circa 14 mila beni culturali secondo l'ISPRA sono esposti a rischio frane e 28 mila e oltre ad alluvioni e oltre 300 risultano danneggiati da questo ultimo drammatico evento. Ecco allora che va data una risposta, il Governo Pag. 39ha annunciato la definizione di un piano a medio termine, «Casa Italia», per incentivare la prevenzione antisismica. È un provvedimento con misure urgenti per risarcire i danni causati dal terremoto; noi lo valutiamo positivamente e riteniamo che sia essenziale definire priorità di intervento in collaborazione e in pieno coordinamento con le regioni coinvolte. Tutto va fatto non solo per i territori ma anche con i territori, con le loro rappresentanze istituzionali e, voglio sottolinearlo con forza, per evitare la desertificazione produttiva e lo spopolamento di intere aree occorre programmare in una logica di sistema una strategia che sia mirata e che preveda sul fronte del turismo l'attivazione di interventi integrati, anche di carattere strutturale e non solo emergenziale, per supportare le imprese in difficoltà, per creare e sviluppare nuove attività, per sostenere il trasferimento tecnologico, valorizzare produzioni di eccellenza, promuovere e supportare le potenzialità del sistema turistico locale con particolare riferimento ai valori culturali e del paesaggio e dell'ambiente in generale. Il turismo ambientale è una grande risorsa, sono aree – quelle colpite dal terremoto – in cui insistono i parchi nazionali dei Monti Sibillini e del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Allora in questo contesto il Partito Democratico sollecita il Governo a proseguire sulla linea intrapresa e indica una serie di impegni, ciascuno importante, come quello di disporre la tempestiva integrazione dei comuni del cratere, provvedere a una gradualità nel rimborso dei tributi sospesi, disporre la sospensione del pagamento dei tributi anche per tutti coloro che sono stati evacuati a seguito di ordinanza, anche se non ricompresi nell'area del cratere inizialmente individuata e per tutte le imprese che hanno subito danni, a predisporre in tempi brevi strutture temporanee per le attività commerciali, artigiane e agricole per assicurare continuità all'esercizio dell'impresa di tali comuni. Nessuna impresa deve cessare la propria attività, neppure per poche settimane, perché rischia di non riaprire più e questo non ce lo possiamo permettere. Occorre prevedere l'attivazione di finanziamenti, mutuando dall'esperienza dell'Emilia-Romagna quella della Cassa depositi e prestiti per il rilancio delle attività produttive o anche quella di concedere pieno accesso al Fondo centrale di garanzia per agevolare la concessione di finanziamenti commisurati ai danni emergenti per l'impresa a seguito del sisma; prevedere il risarcimento dei danni alle imprese nella misura integrale dei costi sostenuti al netto di eventuali contributi o indennizzi pubblici o privati; assicurare piena tutela ai lavoratori delle imprese dei comuni la cui economia è stata compromessa dal sisma, in particolare nei settori del commercio, del turismo, dell'agricoltura, dell'industria, dell'artigianato che non hanno accesso agli ammortizzatori sociali ordinari o che li hanno esauriti, rafforzando ed estendendo con risorse adeguate le misure bilaterali attive nei territori interessati con ammortizzatori sociali in deroga sia per i lavoratori dipendenti che per i titolari di impresa, per almeno un anno o un anno e mezzo.
  È importante – questa è un'idea che proponiamo al Governo – valutare l'opportunità di istituire una zona economica speciale o almeno una zona franca nelle aree interessate dal sisma che hanno oggettive difficoltà di rilancio delle attività produttive, accelerare la riparazione dei danni e l'adeguamento sismico o la ricostruzione ex novo delle opere pubbliche strategiche per le quali sia stata acclarata l'inadeguatezza strutturale – a titolo esemplificativo e certamente non esaustivo, quello di scuole, municipi, residenze per anziani, stalle comunali destinate a uso delle comunità – nonché a prevedere deroghe al pareggio di bilancio per spese urgenti e interventi straordinari e indifferibili anche mediante l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione con risorse certe e di immediata erogazione; a dare priorità nell'ambito dei piani per la realizzazione della rete per la banda larga alle zone colpite dal sisma, potenziare le infrastrutture viarie e ferroviarie di collegamento nelle aree e nelle regioni colpite dal terremoto; consentire l'utilizzo dell'avanzo di Pag. 40amministrazione per tutti gli enti locali coinvolti; valutare l'opportunità di concedere la facoltà di assumere dipendenti, nei limiti del turnover, per i comuni del cratere; adottare provvedimenti anche in favore dei sindaci dei comuni coinvolti dal sisma che siano lavoratori dipendenti per poter usufruire di un periodo di aspettativa retribuita e, per gli altri, soluzioni che consentano loro di esercitare a tempo pieno le funzioni per il periodo emergenziale. La presenza del sindaco sui territori in questo momento e in questi mesi è essenziale e necessaria. Destinare le risorse dell'8 per mille alla ricostruzione, parte delle risorse dell'8 per mille alla ricostruzione e per i beni artistici; dare priorità agli interventi nelle aree interessate dal sisma all'accesso di provvidenze ordinarie già previste a legislazione vigente; accompagnare le iniziative regionali con un progetto nazionale di comunicazione sui principali mercati turistici internazionali che renda percepibile la bellezza dei territori che sono il cuore dell'Italia di mezzo, attraverso la programmazione di azioni e eventi coordinati dal Ministero dei beni culturali sul modello di quanto già previsto per i progetti di eccellenza, per gli impianti sportivi, perché anche lo sport è necessario per consolidare la presenza in queste in queste località; favorire l'accesso a fondo perduto al credito agevolato per i comuni colpiti dal sisma e per quelli che erano concessionari o gestori di impianti sportivi produttivi di reddito; l'esenzione dall'obbligo di alimentazione del Fondo di solidarietà per i prossimi cinque anni. Rifinanziare il Fondo per le aree interne al fine di destinare nuove e ulteriori risorse e quelle non impegnate per interventi nelle aree interessate. Dare seguito con sollecitudine all'impegno di predisporre il piano «Casa Italia» per incentivare la prevenzione antisismica con misure urgenti per risarcire i danni causati dal terremoto alle abitazioni principali e alle seconde case. Istituire un'anagrafe dei beni vincolati o comunque meritevoli di tutela esposti a rischio sismico. Ricorrere, per quanto possibile, alle imprese del territorio nella ricostruzione e nel pieno rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza, di antimafia, di anticorruzione, con procedure di massima trasparenza. Concludo: gli impegni che chiediamo al Governo, del quale abbiamo apprezzato la linea di azione delineata in questi mesi e gli obiettivi a più lunga scadenza che il Presidente Renzi ha indicato, sono concreti e possibili. Il gruppo del Partito Democratico sente forte la responsabilità di dare risposte sollecite con serietà e trasparenza e dare fiducia, speranza e certezza alle popolazioni, alle imprese, agli amministratori locali, ai quali non ci stancheremo mai di dire grazie. La dignità con cui i cittadini di queste regioni tante volte martoriate da eventi calamitosi hanno saputo reagire e la coesione sociale forte che c’è in queste aree, la capacità, il coraggio, la tenacia della gente sono un grande stimolo per noi tutti per fare, per fare bene e per fare presto. Il nostro impegno per ricostruire quanto il sisma ha distrutto e per prevenire altre tragedie non verrà mai meno e sarà uno degli obiettivi prioritari per tutto il gruppo parlamentare, per il partito, per i suoi amministratori ad ogni livello (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rampelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01344. Ne ha facoltà.

  FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, quasi sindaco. Le chiedo preliminarmente...

  PRESIDENTE. Onorevole Rampelli, la prego... grazie.

  FABIO RAMPELLI. ... ove fosse possibile, se può avvisarmi al conseguimento dei dieci minuti, anzi, se può proprio interrompermi, in moda tale che possa mantenere i dieci minuti per la dichiarazione di voto integri. Grazie. Quindi, insomma, cominciamo da qui a far correre il cronometro, se possibile. Colleghi deputati, noi abbiamo presentato questa mozione, l'avevamo annunciato settimane fa, non per metterci come al solito nelle Pag. 41condizioni di fare l'analisi critica di quello che è accaduto nel sisma tragico del 24 di agosto nel centro Italia e che ha colpito, come abbiamo avuto modo di riscontrare, la regione Lazio, la regione Marche, la regione Umbria, tutta quella fascia appenninica che è storicamente fragile. Lo abbiamo fatto perché era nostra intenzione dare corso anche ad alcune dichiarazioni, quindi in punta di convergenza tra diverse forze politiche, Governo compreso, e cercare di individuare un percorso che potesse trasformare i gargarismi sulla prevenzione degli eventi sismici in fatti concreti. Parto da un presupposto che è noto a tutti: l'Italia, per la sua configurazione geomorfologica, è esattamente collocata nel punto di convergenza tra la placca africana e la placca euroasiatica e questo è il motivo per cui negli ultimi centodieci anni abbiamo avuto la bellezza di sessanta terremoti. Siamo ampiamente avvisati. Non possiamo avere la presunzione – perché questo è incalcolabile – di sapere in quale giorno di quale anno e in quale luogo specifico ci sarà un evento simile a quello del 24 agosto o a quello del 2002 o a tutti gli altri che sono stati ampiamente citati dai colleghi, ma sicuramente sappiamo che ci saranno altri terremoti, perché l'Italia è la terra nell'Unione europea maggiormente soggetta a questo genere di fenomeni. Di più: sappiamo dal 2003, dall'ordinanza dell'allora Presidente del Consiglio, che il nostro territorio si può dividere in quattro aree di rischio. C’è una zona 1, ad alto rischio, che comprende 708 comuni; c’è una zona a medio rischio, la zona 2, che comprende circa 2.340 comuni; c’è una zona a rischio più modesto, che comprende 1.560 comuni, e queste tre sono le zone maggiormente da porre sotto attenzione. Poi c’è una quarta zona, a rischio molto basso, che comprende circa 3.500 comuni. Ricordo a me stesso che i comuni in Italia sono circa 8.000 e che l'incidenza tra alta, media e comunque consistente fascia di rischio è una cifra che supera abbondantemente la metà. Dunque, se la Presidenza del Consiglio dell'epoca, con tale ordinanza, che nel 2006 è stata aggiornata con altra ordinanza che ha consentito di mappare meglio queste aree di rischio, ha pensato di fare questo egregio e utile lavoro, giocoforza conseguentemente dobbiamo mettere quelle persone, quelle famiglie che sanno di avere la propria abitazione in un'area ad alto, a medio o comunque a consistente rischio sismico, di lavorare per salvare la pelle. Infatti la prima necessità di cui si deve far carico uno Stato, secondo la propria Costituzione che lo vincola alla tutela della salute e della vita dei propri cittadini, o è di intervenire per fare un enorme e probabilmente inverosimile e impossibile – ho ascoltato gli interventi: vorrei sapere dov’è che potranno mai uscir fuori le risorse per farlo – consolidamento statico di tutti gli edifici ricadenti in aree a rischio o addirittura interventi idrogeologici. Ci vorrebbero centinaia di miliardi e si impiegherebbero secoli, probabilmente non decenni ma almeno un secolo. Quello che possiamo fare se vogliamo essere consequenziali rispetto agli avvisi dati ai cittadini che vivono in queste aree sismiche è azzerare le tasse in cambio di lavori di ristrutturazione che prevedano una messa in sicurezza seguendo le norme antisismiche. Questa è l'unica cosa che possiamo fare oggi per domani. C’è una fase sicuramente emergenziale, sottosegretario, che ci impone di agire con tutti i crismi all'insegna dell'efficienza, della velocità, della sobrietà. C’è una fase della ricostruzione che vale per Amatrice, per Arquata, per Accumuli, vale per tutte le tante frazioni, ognuna delle quali ha il diritto – e abbiamo il dovere di consentirlo – di ricostruirsi, di vivere di luce propria, di rispettare nella ricostruzione i caratteri stilistici, urbanistici e architettonici.
  Infatti, una ragione, l'unica ragione per la quale ancora popolazioni legate per motivi storici a quelle località lì tornano è proprio per le condizioni ambientali, storiche, le tradizioni che verrebbero meno nel caso in cui, invece, si decidesse di ricostruire dei nuovi insediamenti moderni, che snaturerebbero i luoghi e strapperebbero loro letteralmente l'anima e quindi cancellerebbero il motivo stesso per essere frequentati sia da chi è ad essi Pag. 42affezionato sia da turisti occasionali. Questa è l'emergenza e nell'emergenza abbiamo collocato le nostre proposte come era ovvio e giusto che fosse, anche queste di assoluto buonsenso. Ad esempio tutti sappiamo che tra le gigantesche, enormi e numerose opere pubbliche previste (le grandi infrastrutture e le medie infrastrutture) dal Governo italiano, dai Governi italiani, c’è un evidente conflitto rispetto alla capienza delle casse dello stesso Stato. Dobbiamo dare priorità alla realizzazione delle opere ricadenti nelle aree sismiche: poiché non possiamo farle tutte, ci vuole un criterio oggettivo e il criterio oggettivo, comprensibile quindi a ogni latitudine geografica, a ogni regione, a ogni provincia, a ogni comune, a ogni categoria sociale, è dare priorità alla realizzazione di queste infrastrutture nelle aree sismiche. Perché non è vero che gli interventi di soccorso sono stati tempestivi e non per colpa dei vigili del fuoco o della Protezione civile o dei volontari o dell'Ares 118 o della Croce Rossa. Non sono stati tempestivi perché è stato praticamente impossibile trasferire i soccorsi in tempo reale, in tempo utile per salvare più vite. È il capo della Protezione Civile che ci ricorda che i primi sono arrivati alle 7 del mattino, ma nelle frazioni prima di sette-otto ore – è sempre lui che parla, non Fabio Rampelli – non si è vista un'anima viva. La nostra macchina dei soccorsi per carità è stata perfetta, eccezionale – non finiremo mai di ringraziare tutti coloro i quali si sono fatti in mille pezzi per portare le proprie braccia oltre che la propria solidarietà, e quindi la propria possibilità di salvare vite umane –, ma in quelle zone si arriva male perché non ci sono strutture di collegamento veloci, non ci sono aeroporti, non ci sono eliporti, non c’è la linea del ferro, non arriva il treno a Rieti. La via Salaria, che è un'importante consolare, è in perenne stato di manutenzione e i lavori, che finalmente furono decisi qualche anno fa, sono stati interrotti per ragioni di carattere amministrativo, per i soliti bisticci, per le accuse varie, ovviamente per le inchieste della magistratura, e quindi c’è stato anche in quel caso un gravissimo problema che si è potuto constatare purtroppo tardivamente rispetto alle difficoltà narrate. C’è stato il problema dei collegamenti: i gestori di telefonia mobile non sono interessati a fare investimenti in comuni di 700, 800, 1.000, 3.000 abitanti. Qualcuno glielo deve dire, lo deve inserire nella convenzione tra quelli e lo Stato il fatto che devono realizzarli lì, anche lì per la tutela della vita. A questo serve la classificazione delle zone. Quanto costa ? Zero euro. Ci vuole solo la sensibilità e la concentrazione per sottolinearlo al momento giusto. Infatti quando si hanno delle difficoltà, e c’è un terremoto che ti cambia la vita, che almeno ci sia l'opportunità di avvisare attraverso una telefonata o un messaggio i propri cari o, meglio ancora, i soccorsi appunto.

  PRESIDENTE. Concluda.

  FABIO RAMPELLI. Concludo. Gli ospedali non possono essere riclassificati se ricadono in zona sismica: devono funzionare e devono avere il pronto soccorso e l'emergenza; devono poter essere pronti in tempo reale ad ospitare popolazioni in difficoltà perché colpite dagli eventi sismici. Mi auguro che il Governo voglia raccogliere la nostra richiesta di rettifica della lista dei comuni che sono stati inseriti nella delibera di qualche settimana fa, che si voglia certamente andare sulla strada della rapida ricostruzione, che si vogliano certamente conservare i caratteri stilistici, come dicevo, dei comuni che sono stati distrutti.

  PRESIDENTE. Onorevole Rampelli, siamo arrivati.

  FABIO RAMPELLI. Mi auguro, e concludo, che la sospensione dei tributi non sia per un anno, due anni o tre anni, ma che viga fino alla ricostruzione avvenuta; mi auguro che venga estesa a tutti quei comuni, così come proposto, e a quelle famiglie che vorranno e potranno svolgere attività di ristrutturazione a proprio carico, ma a tasse zero. Questi sono degli obiettivi che si possono facilmente raggiungere: Pag. 43mi auguro che tutti i partiti e i gruppi che hanno presentato delle mozioni trovino le condizioni, perché non ci si può dividere sul terremoto, per fare una proposta unica. Io sono disponibile...

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Rampelli.

  FABIO RAMPELLI. Come firmatario della prima mozione, sono disponibile a un lavoro di sintesi, da questo punto di vista.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Verini. Ne ha facoltà.

  WALTER VERINI. Grazie, Presidente. Credo che sia una discussione molto importante quella che il Parlamento sta affrontando. I contenuti delle mozioni, a partire da quella, naturalmente, del mio gruppo, sono contenuti in larga parte condivisibili; e io voglio ringraziare, non formalmente, tutti coloro che ci hanno lavorato, in particolare il nostro Piergiorgio Carrescia, che, con impegno e anche con grande tenacia, ha elaborato una proposta di documento davvero efficace. Quella di un mese fa, poco più di un mese fa, è una tragedia che ancora sulla pelle di tutti noi ha provocato e sta continuando a provocare brividi, un dolore ancora vero, una ferita apertissima, drammaticamente aperta.
  La mia regione, l'Umbria, non ha avuto in quelle ore, direttamente, lì, in loco, delle vittime, e tuttavia alcuni umbri sono morti, perché si trovavano nelle zone laziali dove il terremoto ha provocato quasi 300 vittime. È stata colpita in Umbria soprattutto la zona della Valnerina, una zona che, con Norcia e altre frazioni, già ha conosciuto in passato la forza violenta e distruttrice dei terremoti. La mozione – lo ha detto bene Carrescia – che abbiamo presentato richiama alcuni obiettivi e impegni sui quali il Governo, fin dal primo momento, sta lavorando insieme ai comuni, insieme alle regioni. Però è giusto che anche il Parlamento faccia la sua parte, si pronunci, impegni il Governo, assuma le proprie responsabilità per le decisioni che dovremo o sostenere, per i provvedimenti che prenderà l'Esecutivo, o promuovere, per il lavoro di medio periodo che attende anche Camera e Senato.
  Quindi, è giusto che si discuta, è giusto che si approvino mozioni che possano definire quel percorso, dopo il superamento della fase emergenziale, per una ricostruzione che sia seria, trasparente: una ricostruzione, certo, edilizia, anche delle seconde case, ma anche e soprattutto, oltre che edilizia, economica, urbanistica, sociale, scolastica, culturale e turistica. Ma anche l'impegno che ci dobbiamo prendere è per trarre lezione da questa nuova tragedia, avviare quello che all'Italia è davvero sempre mancato: un serio piano di prevenzione, di messa in sicurezza del territorio, del patrimonio edilizio abitativo, dell'assetto idrogeologico, troppo spesso violentato da una sconsiderata politica di gestione e consumo del territorio, di costruzione senza regole, di uno sviluppo solo quantitativo, di uno sviluppo che troppo spesso, per dirla con Pasolini, non ha coinciso con il progresso.
  I punti fondamentali della nostra mozione sono già stati ricordati e riguardano, innanzitutto, tutti quei territori che sono stati colpiti quella terribile notte, a partire dalle zone di Amatrice, di Accumoli e di Arquata; anche la mia regione, dicevo, è stata colpita essenzialmente in quei comuni della Valnerina.
  La cosiddetta fase emergenziale si sta completando e anche questa terra attende con speranza la concretizzazione più rapida possibile di una ricostruzione che rispetti l'identità di quel territorio, che ridia al più presto tutte le risposte, fiscali, di sostegno finanziario all'attività economica, alle imprese, alle attività produttive, a quelle commerciali e turistiche che sono andate distrutte o che hanno subito gravi colpi. O la ricostruzione prevede l'insieme di questi aspetti o non sarebbe vera ricostruzione, ma, se si può dire avendo davanti agli occhi e nel cuore il dolore straziante di quelle comunità, noi crediamo che si possa avere fiducia. Lo Pag. 44diciamo per alcuni fatti: citavo l'impegno complessivo dello Stato, che è stato immediato.
  Fin dai minuti successivi, la macchina si è messa in moto: il Governo, con i suoi vertici, ha coordinato subito, sul campo, il lavoro immediato; così è stato per i presidenti delle regioni interessate, per i sindaci che si sono rimboccati le maniche. La Protezione civile ha svolto e sta svolgendo il suo lavoro con straordinaria capacità e tutte, tutte le forze dell'ordine e della sicurezza sono state davvero esemplari, compiendo il proprio dovere ben al di là e oltre il proprio dovere. Ed è giusto, naturalmente, citare in primis i vigili del fuoco, il cui intervento ha consentito di salvare tante persone e di prevenire ulteriori pericoli e danni dai crolli avvenuti in seguito al permanere angoscioso delle scosse in questo mese.
  Poi, citiamo i volontari che in centinaia sono accorsi da tutta Italia per solidarietà, per dare una mano senza chiedere niente, e la grande catena di solidarietà che in tutto il Paese si è consolidata, con tante iniziative per raccogliere fondi e altro materiale per le popolazioni, a partire dai bambini, che sono i primi a dover tornare a sorridere, e a partire dalle scuole, che sono tornate a funzionare. Concludendo, Presidente, la linea già avviata dal Governo a stretto contatto con le regioni e le autonomie locali è quella giusta: superamento dell'emergenza, anche di fronte alla stagione invernale, nessuno sradicamento. Ho riflettuto sulla volontà di quelle popolazioni, che dicono: «non ci mandate via, non ci sradicate». E non c’è solo un giusto e un legittimo attaccamento identitario alle proprie radici: c’è anche la volontà, gelosa e giusta, di tenere insieme quella coesione sociale che caratterizza quei borghi e quelle realtà di quell'Italia di mezzo operosa, serena, che ha problemi, perché ha molti problemi, ma che certamente ha nella coesione sociale uno dei propri capisaldi.
  La messa in opera di adeguate abitazioni provvisorie, la ricostruzione rapida e transitoria, il sostegno alle attività produttive, a partire da quelle agricole, zootecniche, economiche e sociali, e un impegno reale a fare tutto con trasparenza, efficienza, efficacia, evitando possibili rischi di infiltrazioni che bisogna sempre monitorare, infiltrazioni criminali, e sostenendo il lavoro, nel rispetto delle regole, delle imprese locali: ecco, questo insieme di cose, questo Stato presente, questa volontà di guardare anche oltre le emergenze, di investire sulla prevenzione, anche coinvolgendo il meglio della cultura urbanistica del nostro Paese in quel grande piano di messa in sicurezza del territorio, di prevenzione antisismica, rappresenta un segno concreto di voler trarre una lezione da questa nuova tragedia e dalle inadeguatezze, anche, che hanno caratterizzato il passato.
  Mi riferisco, in questo senso, anche alla mia regione: ho sentito qualche accenno, prima, in un intervento del rappresentante del MoVimento 5 Stelle, che mi pareva, francamente, campato in aria, perché, dopo i precedenti e drammatici terremoti che hanno riguardato l'Umbria, insomma, tutti hanno ammesso che la ricostruzione che c’è stata in Umbria è stata una ricostruzione seria, partecipata e trasparente, e, se non si sono ripetute in questa circostanza delle tragedie, è anche per il tipo di ricostruzione, intelligente e leggera, che ha prevenuto drammi che in passato si sono verificati o che si sono verificati adesso in altre regioni. Un'ultima cosa: fin qui il clima, a livello nazionale e tra le comunità, anche politiche, locali, è stato improntato a serietà e correttezza.
  Noi ci auguriamo davvero che si consolidi. Davanti a queste cose, davanti al dolore delle comunità, una classe dirigente non può, non deve litigare per meschine ragioni di parte, ma non può, né deve farlo neppure davanti all'impegno di prospettiva sia della ricostruzione delle zone terremotate che davanti a quello, di più lungo e impegnativo cimento, di ricostruire davvero un Paese che sia più sicuro e più vivibile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il presidente Baldelli. Ne ha facoltà.

Pag. 45

  SIMONE BALDELLI. La ringrazio, Presidente Giacchetti, noi oggi affrontiamo il tema delle mozioni in materia di terremoto e ricostruzione. Credo che sia un passaggio importante che fa seguito ad altri momenti che questo Parlamento ha dedicato a questa tragica vicenda: il momento della riunione delle Commissioni congiunte di Camera e Senato, con il Governo che ha riferito sui primi soccorsi, sul primo momento di intervento che c’è stato, sul bilancio tragico delle vittime e dei feriti, delle abitazioni che sono state evacuate, delle perdite che ci sono state anche in termini, proprio, di infrastrutture; c’è stato il momento del dolore, la commemorazione che in questa Assemblea abbiamo svolto tutti quanti noi, insieme alla Presidente Boldrini, con i gruppi parlamentari. Io in quell'occasione ho detto che queste tragedie, purtroppo, ci mettono tutti quanti di fronte a una riflessione di carattere generale: episodi come questi tirano fuori il peggio dai peggiori e il meglio dai migliori. Hanno tirato fuori il meglio da coloro che si sono rimboccati le maniche e sono partiti volontari, li abbiamo ringraziati, così come abbiamo ringraziato la Protezione civile, i vigili del fuoco, i dipendenti del Servizio sanitario, le Forze dell'ordine, le Forze armate, tutti coloro che hanno contribuito al primo intervento e anche al mantenimento delle condizioni di sopravvivenza, la Croce rossa e tanti altri, non voglio elencarli tutti con il timore di dimenticare qualcuno. Hanno, purtroppo, tirato fuori anche il peggio in quelli che sono partiti per rubare nei posti dove c’è stata questa tragedia e io credo che una riflessione comune sul reato di sciacallaggio o, perlomeno, sull'aggravante – e non sono io certamente uno di quelli che ama infarcire i nostri codici di ulteriori fattispecie –, forse, potrebbe essere fatta.
  C’è stata la sensazione che qualcuno volesse fare una specie di passerella, per altri aspetti c’è stata la testimonianza seria, rigorosa, con un sentimento veramente di grande empatia e di grande vicinanza e conforto per le vittime, della presenza del Presidente della Repubblica. Ci sono state iniziative di solidarietà, messe in campo da privati e anche dalle istituzioni, penso alle tante raccolte fondi, penso al sindaco di San Benedetto che ha voluto ospitare l'intera popolazione sfollata di uno dei comuni principalmente colpiti. Penso a quelli che hanno pubblicato numeri falsi per rubare sulla solidarietà, numeri di codici di conti bancari falsi intestati a società fasulle e hanno rubato questi soldi.
  Allora, ecco, di fronte a tutto questo, oggi siamo, come accennavo prima, in un passaggio intermedio. Oggi, dopo il primo intervento, dopo il primo decreto della Protezione civile, dopo l'individuazione dei primi territori colpiti, i primi soccorsi e tutto il resto, siamo in una fase precedente a quella che, ci auguriamo di qui a pochissimo tempo, il Governo metterà in campo in relazione a un decreto-legge, immagino, che riguarderà le zone colpite, che riguarderà molti dei provvedimenti che possono essere messi in campo. Provvedimenti che riguarderanno l'aspetto infrastrutturale, l'aspetto delle attività produttive e ci auguriamo che siano realmente ispirati ad un criterio di continuità, che prevedano la garanzia della continuità della vita materiale per cittadini, famiglie, imprese, anziani, bambini; persone che da un momento all'altro hanno perso tutto o quasi e che versano in condizioni difficili. Tutto ciò per un territorio che ha caratteristiche importanti di dignità e di operosità; un territorio che non vive a ricasco del pubblico, ma che chiede al pubblico, quando è necessario, un intervento di sostegno perché la circostanza lo richiede e lo impone.
  Allora, tutti quanti possiamo esercitarci in una lunga serie di ipotesi di azioni da mettere in campo. Io credo che il Governo, per un verso – anche perché si tratta, come dire, purtroppo per noi, di interventi che conosciamo e di emergenze che si conoscono – abbia già grossa parte delle idee chiare su quali possano essere molti degli aspetti da mettere in campo, anche se ben venga il contributo di tutti coloro che avranno modo di depositare e partecipare alla scrittura di queste mozioni. Io Pag. 46per parte mia, per parte nostra, credo che sia opportuno sottolineare un aspetto, l'avevamo detto all'inizio del dibattito che c’è stato su questa tragedia: facciamo in modo che quando si spengono i riflettori non ci siano popolazioni e persone, soprattutto, comunità che rimangano abbandonate e rimangano fuori dall'attenzione dello Stato, dall'attenzione delle istituzioni, dall'attenzione di chiunque abbia, per propria ragione sociale, il dovere di recare ristoro, conforto e sostegno a queste popolazioni. Per questo io credo che sarà importante che non ci si dimentichi di nessuno. Le regioni colpite sono diverse: l'Abruzzo per alcuni aspetti, l'Umbria, le Marche, il Lazio. Ecco, ci sono territori e province dove si reclama soccorso, dove si reclama un sostegno, perché non sono rientrate nella prima perimetrazione, diciamo così, del soccorso, territori del maceratese, penso a Camerino, Acquacanina, Bolognola, Fiastra, Muccia, Serravalle di Chienti, Monte Cavallo, Fiordimonte, Pieve Torina, Ussita, Visso, Castelsantangelo sul Nera, Pievebovigliana e, ancora, Macerata, San Severino e altri comuni. Ci sono famiglie che sono state costrette a lasciare la propria abitazione, scuole, territori, non solo nella parte del maceratese, del fermano, penso a Servigliano, a Falerone, nell'ascolano tutta la fascia subalpina, abbiamo territori che vanno inclusi, di cui dobbiamo ricordarci, e ce li abbiamo, incredibilmente, anche in altre regioni che sono state colpite dalle conseguenze del sisma, perché molto vicine all'epicentro, zone in cui, per fortuna, non si sono registrati morti, ma che hanno fatto registrare danni importanti e che hanno bisogno di essere considerate.
  Io, quindi, spero e mi auguro che all'interno di questo quadro – noi lo faremo presente anche nella nostra mozione – si tengano presenti questi territori. C’è un discorso di sistema che va fatto anche a livello europeo; io credo in iniziative come quella che c’è stata stamani e che hanno voluto organizzare i vicepresidenti del Parlamento europeo, gli onorevoli Tajani e Sassoli, con la rappresentanza della BEI, con i rappresentanti delle regioni, c'era il presidente della regione Marche Ceriscioli, per una consultazione e l'avvio di tavoli tecnici per fare in modo di poter cogliere opportunità che l'Unione europea ha già in campo. Ricordo che il Fondo di solidarietà per le catastrofi naturali è un Fondo che esiste dal 2002 e l'Italia è già riuscita, purtroppo, per altre vicende analoghe a richiedere un miliardo e 300 milioni da questo Fondo. Abbiamo l'esigenza di andare a chiedere flessibilità non solo sui primi soccorsi e sulle ricostruzioni immediate e – se si riesce a fare sistema con i nostri deputati europei, con le nostre istituzioni, con la Protezione civile, nell'augurio che svolga presto e bene il compito di certificazione che è propedeutico alla richiesta a Bruxelles di questi Fondi – mi auguro che si riesca ad ottenere il massimo del sostegno dalle istituzioni europee. C’è il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, che nell'esperienza dell'Emilia-Romagna servì per i territori agricoli dissestati. Ancora, la possibilità di intervenire con aiuti di Stato, se siamo bravi ad ottenere dalla Commissione europea la deroga necessaria; e poi via via così discorrendo, su altre voci, altre opportunità che ci dà l'Europa e che io credo debbano essere colte.
  È allora necessario fare sistema in Europa, ma è necessario anche fare sistema in Italia. In questo senso, non posso che ribadire quello che già il presidente del mio partito, Silvio Berlusconi, ebbe modo di dire ancor prima che giungesse da Palazzo Chigi l'appello alla collaborazione su questo tema: io credo che al di là degli slogan, dei nomi curiosi con i quali possiamo chiamare questa o quell'altra operazione di ricostruzione, la responsabilità delle forze politiche di maggioranza e di opposizione si misuri anche in circostanze come queste. E noi siamo disposti a fare la nostra parte, in sostegno non al Governo, ma in sostegno alle popolazioni colpite, perché abbiamo una responsabilità sulle nostre spalle, anche da parlamentari, ancorché privi di strumenti operativi. Perché questo è: non siamo certamente nelle condizioni di portare un contributo operativo; Pag. 47possiamo semplicemente ascoltare con discrezione, senza far troppe passerelle, con quella serietà che è dovuta a chi rappresenta il Paese in questo incarico; essere tramite e sostegno alle iniziative di difesa, di protezione, di continuità dei territori colpiti. Lo faremo con serietà e responsabilità.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo della discussione.
  Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta (ore 15,22).

  PIA ELDA LOCATELLI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  PIA ELDA LOCATELLI. Signor Presidente, ieri, 25 settembre, ricorreva il centoventesimo anniversario della nascita di Sandro Pertini: un socialista, una di quelle persone speciali che hanno fatto grande l'Italia. Partigiano, Padre costituente, Presidente della Repubblica, oltre che di questa Camera; ma per noi, prima di tutto un socialista. Ed è bene ricordarlo e ribadirlo perché troppo spesso, nelle celebrazioni e nelle commemorazioni che si svolgono in suo nome, questo aspetto viene dimenticato, più probabilmente volutamente omesso.
  Se date un'occhiata oggi al Corriere, La Stampa, Il Secolo XIX, la Repubblica non troverete traccia della militanza e della fede socialista di Sandro Pertini; come viene omessa e dimenticata tutta quella parte di storia che ha visto i socialisti protagonisti. Si ricordano le persone, certo: Turati, Matteotti, Nenni, Pertini appunto, ma non si nomina mai il Partito Socialista Italiano. È giusto invece ricordare quanto il socialismo abbia dato a questo Paese in termini di idee, riforme, leggi e persone. Come ha ricordato il nostro segretario Riccardo Nencini, Pertini amava dire che a ciò che aveva fatto nella vita era stato spinto dalla fede socialista: non l'aveva mai abbandonata, senza di essa sarebbe stato zoppo.
  Eppure, nelle celebrazioni organizzate tra sabato e domenica nella e dalla regione Liguria, del socialista Sandro non c'era menzione. Il presidente Toti ha giustificato il mancato invito agli esponenti del PSI affermando che si trattava di una manifestazione aperta a chiunque volesse parteciparvi, citando le decine di iniziative per ricordare un grande ligure e un grande Presidente, un grande protagonista della storia del nostro Paese, ma non un grande socialista. Sono voluta intervenire per questo: perché almeno in quest'Aula, che lo ha visto tante volte protagonista, la storia non venga cancellata.

  ROCCO PALESE. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, la ringrazio per avermi concesso la parola, per segnalare un grave disservizio del trasporto pubblico locale nella regione Puglia, ed in particolare nella provincia di Lecce.
  Signor Presidente, sin dall'inizio dell'anno scolastico in molti comuni della provincia di Lecce gli studenti non possono usufruire di treni o di autobus del trasporto pubblico locale, regolarmente finanziato con i soldi dei cittadini da parte della regione, a causa di disservizi da parte della Sud Est e responsabilità enormi della regione Puglia.
  Gli studenti non possono quindi andare a scuola e frequentare regolarmente le lezioni, così come ampiamente riportato dalla stampa locale: agli studenti non viene garantito il sacrosanto diritto allo studio previsto dalla Costituzione. Si ipotizza addirittura l'interruzione delle lezioni di alcune scuole ! Il prefetto di Lecce per domani ha convocato il dirigente scolastico, Pag. 48per la grave situazione che si è venuta a creare e per cercare di sbloccarla.
  Signor Presidente, per il suo tramite, per quelle che sono le possibili competenze, si sollecita anche un intervento da parte del Governo, sia sulla Sud Est, che è di proprietà per intero del Governo, e sia sulla regione. Anche perché è fin troppo nota l'ottima, leale collaborazione tra il governo regionale ed il Governo nazionale, ed in particolare tra il Presidente Renzi e il presidente Emiliano.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 27 settembre 2016, alle 11:

  1. – Svolgimento di interrogazioni.

  (ore 14)

  2. – Seguito della discussione delle mozioni Locatelli, Malisani, Nicchi, Buttiglione, Fitzgerald Nissoli, Palese, Matteo Bragantini ed altri n. 1-01291, Rosato ed altri n. 1-01292, Spadoni ed altri n. 1-01348, Centemero ed altri n. 1-01350 e Artini ed altri n. 1-01352 concernenti iniziative in relazione al riconoscimento del genocidio del popolo yazida.

  3. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   REALACCI ed altri; TERZONI ed altri: Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti e dei territori montani e rurali, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici (C. 65-2284-A).
  – Relatori: Misiani, per la V Commissione; Borghi e Tino Iannuzzi, per l'VIII Commissione.

  4. – Discussione delle mozioni Cariello ed altri n. 1-01347 e Marcon ed altri n. 1-01355 concernenti iniziative in materia di revisione della spesa pubblica.

  5. – Seguito della discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-01344, Terzoni ed altri n. 1-01358, Zaratti ed altri n. 1-01359, Carrescia ed altri n. 1-01360 e Saltamartini ed altri n. 1-01361 concernenti iniziative a favore delle popolazioni e dei territori colpiti dal sisma del 24 agosto 2016, nonché per la prevenzione dei rischi derivanti dai terremoti.

  La seduta termina alle 15,30.