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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 606 di martedì 12 aprile 2016

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 10,30.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  ROBERTO CAPELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alfreider, Artini, Baretta, Bindi, Catania, Cicchitto, Damiano, Faraone, Gentiloni Silveri, Mazziotti Di Celso, Schullian e Sereni sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente novantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Svolgimento di interrogazioni.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni.

(Elementi ed iniziative in merito alle ricadute occupazionali derivanti dal piano industriale della società Whirlpool – nn. 3-01909 e 3-02172)

  PRESIDENTE. Passiamo alle prime interrogazioni all'ordine del giorno Bossi ed altri n. 3-01909 e Ricciatti ed altri n. 3-02172, concernenti elementi ed iniziative in merito alle ricadute occupazionali derivanti dal piano industriale della società Whirlpool (Vedi l'allegato A – Interrogazioni).
  Le interrogazioni, vertendo sullo stesso argomento, verranno svolte congiuntamente.
  Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Massimo Cassano, ha facoltà di rispondere.

  MASSIMO CASSANO, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Grazie, Presidente. Le interrogazioni al nostro esame vertono tutte sulla situazione occupazionale dei lavoratori della società Whirlpool, pertanto fornirò per esse una risposta congiunta.
  A seguito dell'acquisizione di Indesit Company Spa da parte di Whirlpool Corporation, avvenuta nel dicembre 2014 e perfezionata il 19 febbraio 2015, è stato definito il piano industriale finalizzato a dare attuazione alla fusione delle due realtà e a ridefinire l'assetto industriale e delle sedi amministrative e commerciali in Italia.
  Dopo il necessario confronto con le parti sociali, il Ministero del lavoro e il Ministero dello sviluppo economico, sono stati sottoscritti due accordi: uno sul piano industriale, il cosiddetto accordo quadro, e uno sui programmi straordinari di incentivazione e supporto del piano industriale. Pag. 2Entrambi gli accordi sono stati sottoposti alla valutazione dei lavoratori di tutte le sedi italiane mediante referendum, il cui esito ha registrato l'83 per cento di voti favorevoli.
  La vicenda Whirlpool è stata sin da subito seguita con la massima attenzione dal Governo, tant’è che, a seguito del referendum, l'accordo sul piano industriale è stato formalizzato e reso operativo in data 24 luglio 2015 a Palazzo Chigi, anche alla presenza dei rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero del lavoro, dei rappresentanti delle regioni e delle organizzazioni sindacali.
  Con riferimento all'area industriale di Cassinetta, dove vengono prodotti elettrodomestici da incasso quali forni, frigoriferi e piani di cottura, è stato interessato nel corso degli ultimi cinque anni da un processo di profonda trasformazione e ristrutturazione, che si è conclusa nel 2014 con la specializzazione del sito, il polo EMEA, garantendone un futuro sostenibile e posizionamento competitivo rispetto alla concorrenza. Fra le azioni previste dal piano industriale, vi è la riconversione del sito di Carinaro, che, dalla produzione di frigoriferi da incasso e piani cottura diventerà struttura polo EMEA per le parti di ricambio e accessori.
  Per realizzare le previsioni del piano industriale, si è ritenuto necessario attivare anche strumenti per la gestione del personale, sia di natura conservativa (ammortizzatori sociali, politiche per facilitare il trasferimento tra le diverse sedi del gruppo), che di riduzione (procedura di mobilità, risoluzioni consensuali). Anche questa intesa è stata oggetto di accordo sindacale, siglato in data 2 luglio 2015 da tutte le organizzazioni sindacali ed approvato durante lo stesso referendum per il piano industriale. In tale accordo è stato previsto uno specifico programma di incentivazione all'esodo per ciascun sito, con particolare attenzione a quelli di Carinaro e None, ove, ad oggi, è previsto il maggior numero di esuberi.
  Considerato che nel piano industriale la sola area che non ha esuberi è quella di Cassinetta, sono stati previsti specifici programmi per incentivare i trasferimenti del personale dei siti di None e Carinaro. Rispetto ad una disponibilità, presso il sito di Cassinetta, stimata in circa 120 posizioni ad oggi, solo 50 dipendenti di Carinaro hanno manifestato l'interesse al trasferimento e, di questi, solo 35 sono stati presi in carico a Cassinetta e altri 12 sono in attesa di formalizzare il passaggio.
  Nell'accordo è stata prevista anche la disponibilità a considerare le candidature dei familiari, conviventi e maggiorenni, nella misura massima di una per nucleo familiare, per contratti di somministrazione della durata massima di due mesi, senza alcun impegno di stabilizzazione o assunzione a tempo indeterminato.
  Preciso che la selezione del personale stagionale, in cui sono ricompresi i conviventi dei trasferiti, è basata esclusivamente sulla valutazione delle competenze, l'attitudine e la potenzialità a svolgere una determinata mansione senza che il rapporto di parentela con un dipendente possa costituire un elemento preferenziale. A conferma di ciò, si è rilevato che il numero di familiari ad oggi assunti tramite agenzia di somministrazione è pari a 14, rispetto ai 35 dipendenti trasferiti da Carinaro a Cassinetta, in quanto non tutti i candidati hanno superato la selezione.
  Voglio evidenziare che i rappresentanti della RSU aziendale, sentiti dalla Direzione territoriale del lavoro di Varese, non hanno rilevato l'esistenza, nelle assunzioni anche in somministrazione, di vie preferenziali per alcuna categoria di lavoratori.
  Per quanto concerne l'andamento degli organici presso il sito di Cassinetta, si è ripreso a far ricorso alla somministrazione di manodopera solo nel 2014, a seguito dell'incremento dei volumi e della stagionalità della produzione degli elettrodomestici, che richiede una significativa flessibilità di impiego che si è ritenuto potesse essere garantita, oltre che da soluzioni tecnologiche e organizzative, anche dalla possibilità di ricorrere al contributo di personale stagionale, mediante somministrazione di manodopera.Pag. 3
  È stato fatto presente che il ricorso alla somministrazione di manodopera risponde ad una specifica esigenza, legata alla domanda di prodotti da parte del mercato. In tale contesto, non sono da considerare «significative» le stabilizzazioni/nuove assunzioni avvenute nel corso degli ultimi due anni; le uniche stabilizzazioni effettuate (assunzione diretta di ex dipendenti in somministrazione) hanno interessato 14 persone, rispetto a una media di somministrati pari a 300 unità nel 2015.
  I rappresentanti della RSU aziendale hanno, altresì, rilevato che il cambio di missione produttiva del sito di Carinaro, unitamente a quello di altri siti, dovrebbe determinare un aumento dei volumi produttivi e, conseguentemente, dei livelli occupazionali del sito di Cassinetta, che consentirebbe non solo di assorbire eventuali trasferimenti dalla regione Campania, ma anche nuove assunzioni e/o stabilizzazioni di rapporti di lavoro attualmente somministrati.
  Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha sempre manifestato la propria disponibilità a valutare il ricorso a tutti gli strumenti di sostegno al reddito previsti dalla normativa vigente che possano favorire la salvaguardia dei livelli occupazionali. Al riguardo, segnalo che è stata presentata, da parte della Società, un'istanza per la concessione di Cassa integrazione per riorganizzazione aziendale in favore dei lavoratori dello stabilimento di Carinaro, a decorrere dal 1o gennaio 2016, in favore di numero 553 lavoratori, pari all'intero organico aziendale.
  Preciso che, da informazioni acquisite dalla Direzione territoriale di Caserta, l'organico attualmente in forza presso il sito di Carinaro è pari a 500 unità, di cui: 211 sono i dipendenti che hanno aderito ai piani uscita incentivata; 47 sono stati trasferimenti presso il sito di Cassinetta; 10 sono stati i dipendenti trasferiti presso altre sedi del Gruppo; 37 hanno aderito al programma di prepensionamento.
  Ricordo, inoltre, che la Società ha attivato i contratti di solidarietà difensiva, presso le sedi di Cassinetta, Comerio, Napoli, None, Siena, Comunanza, Fabriano e Milano, esclusivamente per il personale degli uffici amministrativi.
  Nell'evidenziare la rilevanza della vicenda in parola, confermo l'attenzione del Governo, assicurando agli onorevoli interroganti che il Ministero che rappresento continuerà a monitorare i futuri sviluppi della vicenda, anche nella prospettiva di esaminare le principali criticità.

  PRESIDENTE. Il deputato Simonetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interrogazione Bossi ed altri n. 3-01909, di cui è cofirmatario.

  ROBERTO SIMONETTI. Grazie, Presidente. Grazie, sottosegretario, perlomeno per la chiarezza con la quale ha risposto a questa interrogazione. Noi capiamo che la situazione non sia facile e capiamo che sono stati fatti dei percorsi difficili per inglobare Indesit al gruppo Whirlpool. Capiamo che la situazione, come da lei evidenziata, non è una situazione facile per il settore degli elettrodomestici, però, sottosegretario, qui ci sono – e lei li ha elencati – una serie di stabilimenti dislocati in varie parti del Paese che, sostanzialmente, hanno ottenuto qualcosa, hanno ottenuto anche molto da questo accordo fra sindacati, Governo e azienda. Ad Ancona, a Fabriano, ci sono seicento dipendenti; Melano, in Svizzera, sarà l’hub europeo per i piani di cottura per il parco Emea; a Comunanza, ad Ascoli, le lavatrici, sempre per il mercato europeo, del Medio Oriente e dell'Africa; None ha spiegato che è stato inglobato in un'azienda di Torino; a Siena, i congelatori orizzontali.
  Il problema di Varese, però, di Cassinetta, sta nelle parole che lei ha elencato: su trecentoventi, su circa quattrocento interinali che lavoravano nel gruppo, solo quattordici di questi hanno trovato una ricollocazione all'interno del nuovo assetto imprenditoriale. E tanti di questi – nella misura di trentacinque – sono stati sostituiti da personale proveniente da Caserta attraverso degli incentivi: 32 mila euro di incentivo, più una possibilità di assunzione con il contratto a tutele crescenti, quindi, Pag. 4a tempo indeterminato, più l'assunzione del familiare. Poi, se il familiare non ha superato il test attitudinale per le nuove mansioni, questo è un problema loro, non è un problema dell'accordo. È giusto dare occupazione a queste persone che sono di Caserta, ma sarebbe stato più giusto dare occupazione a trentacinque persone che abitavano e che già lavoravano in quel di Varese.
  Noi non capiamo perché ci debba essere questa non dico discriminazione, ma, sostanzialmente, questo doppio peso fra lavoratori, che sono tutti uguali davanti alla Costituzione, ma taluni hanno maggiore tutela ed altri, come lei ha evidenziato, devono al massimo riuscire ad ottenere la cassa integrazione o un incentivo all'esodo, ad andare a trovare lavoro altrove, sapendo benissimo che, purtroppo, lavoro non ce n’è. Noi avremmo preferito, piuttosto che dare dei bonus a persone che non conoscono il territorio, che devono sradicarsi dalla loro famiglia, che devono di fatto trasferire se stessi per il proprio futuro in una lontana parte del Paese, che queste somme fossero destinate a coloro che già risiedevano e già lavoravano in quel di Varese, in quel di Cassinetta di Biandronno.
  C'erano trecentottanta interinali che lavoravano e solo quattordici di questi hanno ottenuto soddisfazione, quindi, ce ne sono altri, più di trecentosessanta, che devono trovarsi un nuovo lavoro, devono trovarsi una nuova occupazione. Non è che si voglia fare una lotta fra poveri – poveri nel senso nel senso nobile del termine –, una lotta fra lavoratori: diciamo che la territorialità deve essere premiata e noi auspichiamo che in futuro, come lei ha detto – che il Governo porrà sempre attenzione alla tematica –, possa dare soddisfazione, con nuovi accordi, a queste persone, in modo tale che possano trovare lavoro dove risiedono e, allo stesso modo, coloro che abitano e vivono Caserta possano trovare lavoro a Caserta e non al nord.

  PRESIDENTE. L'onorevole Ferrara ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interrogazione Ricciatti ed altri n. 3-02172, di cui è cofirmatario.

  FRANCESCO detto CICCIO FERRARA. Grazie, Presidente. Grazie anche al sottosegretario che ci ha portato qui delle informazioni – meglio tardi che mai. Noi avevamo presentato questa interrogazione nel settembre del 2014, più di un anno e mezzo fa: è chiaro che la situazione è cambiata.
  Meno male che è cambiata, perché, grazie allo sforzo dei sindacati e all'iniziativa delle lavoratrici e dei lavoratori, si è riusciti a fare un accordo sindacale che, in qualche modo, nel passaggio anche di alcuni stabilimenti alla Whirlpool, si è tenuto un pezzo di industria italiana in questo Paese. Devo dire anche con un accordo che, tutto sommato, fa anche chiarezza su alcune questioni che, anche in quest'Aula abbiamo discusso: su come gestire i processi di riorganizzazione e di ristrutturazione aziendale, visto che, all'epoca, non è stato utilizzato il Jobs Act e, tuttavia, si è riusciti, in qualche modo, a trovare un equilibrio per garantire i siti produttivi sparsi sul territorio nazionale e, contemporaneamente, utilizzare il ricorso a contratti di solidarietà, che ha consentito di non avere gravi problemi occupazionali; anche se va detto che, in ogni caso, si è trattato di un processo di riorganizzazione che ha portato via centinaia di lavoratori, anche se attraverso meccanismi di prepensionamento.
  Tuttavia, anche in una situazione migliore rispetto a quella del momento in cui abbiamo presentato l'interrogazione, ora ci troviamo a vedere, io credo, che il ruolo del Governo non debba ovviamente allentarsi, perché si tratta ora di vedere se tutti quegli investimenti che l'azienda ha già messo in campo e che dovrà mettere in campo, sia per quest'anno 2016 sia per gli anni 2017-2018, vengano confermati, in modo tale da garantire che quel piano, che è stato frutto di un accordo sindacale, possa veramente essere attuato.
  Quindi, più che ritenermi soddisfatto, ho provato a fare la fotografia dell'esistente. Io credo che sia interesse comune Pag. 5avere un'attenzione su Whirlpool, perché non ci possiamo consentire di perdere anche un'occasione importante, visto che si è pervenuti ad un accordo che, in qualche modo, ha garantito e garantisce i livelli occupazionali e i siti produttivi. Si tratterà – e concludo – di monitorare tutte quelle realtà che vanno sul piano industriale dell'innovazione tecnologica del prodotto per assicurare che quei numeri che l'azienda ha proposto al tavolo sindacale, che è frutto di quell'accordo, siano sostanzialmente garantiti.

  PRESIDENTE. Saluto gli alunni e i docenti dell'Istituto comprensivo statale di via Tor de’ Schiavi 175 di Roma e gli alunni e i docenti dell'Istituto di istruzione superiore «Leonardo da Vinci-Ripamonti», in provincia di Como, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

(Iniziative di competenza per l'avvio delle indagini, da parte della Commissione umanitaria internazionale, in merito agli attacchi aerei che hanno colpito il centro traumatologico Kunduz in Afghanistan, gestito da Medici senza frontiere – n. 3-01864)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Zampa ed altri n. 3-01864, concernente iniziative di competenza per l'avvio delle indagini, da parte della Commissione umanitaria internazionale, in merito agli attacchi aerei che hanno colpito il centro traumatologico Kunduz in Afghanistan, gestito da Medici senza frontiere (Vedi l'allegato A – Interrogazioni).
  Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Mario Giro, ha facoltà di rispondere.

  MARIO GIRO, Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Ringrazio l'onorevole Zampa per aver attirato l'attenzione di quest'Aula su questo tema e sul tema degli attacchi alle strutture sanitarie, in particolare alla luce di recenti incidenti che si sono verificati non solo a Kunduz, in Afghanistan, ma anche in altri teatri di guerra, coinvolgendo la fondamentale questione del rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario nei conflitti.
  Vorrei, innanzitutto, ribadire che l'Italia riconosce pienamente l'alto valore dell'operato svolto da Medici senza frontiere presso l'ospedale di Kunduz e, in generale, nell'intero territorio dell'Afghanistan, il cui contributo è stato pubblicamente riconosciuto non solo dalle autorità italiane, ma anche dal Presidente americano Obama, dal Segretario generale della NATO Stoltenberg.
  Il Governo italiano ha espresso vivo rammarico per la tragedia, definita dal Ministro Gentiloni «un errore tragico ed ingiustificabile». Io stesso ho ricevuto una delegazione di MSF alla Farnesina per ribadire questo concetto.
  Nelle dichiarazioni ufficiali rilasciate subito dopo il bombardamento, cordoglio per l'accaduto è stato manifestato anche dai Governi degli Stati Uniti e dell'Afghanistan, nonché dalla stessa NATO, che hanno fatto stato della volontà di fare luce su questo tragico episodio.
  Normalmente, le procedure standard seguite dalla NATO sono in teoria volte a ridurre al minimo le possibilità che vittime civili vengano coinvolte nel corso di operazioni militari e che nessuna azione della stessa NATO può essere in alcun modo indirizzata contro strutture sanitarie, e in particolare contro ospedali.
  Si mira, infatti, a garantire il pieno rispetto dei principi del diritto internazionale umanitario, con particolare riferimento alle Convenzioni di Ginevra del 1949. Da parte degli Stati Uniti è stata, pertanto, subito avviata un'inchiesta interna, il cui esito è stato reso noto a fine novembre dal comandante della missione a guida NATO Resolute Support e delle forze USA in Afghanistan, il generale Campbell.
  Dall'indagine interna sono emersi numerosi errori e falle procedurali, oltre ad un malfunzionamento dei sistemi di bordo, che hanno portato l'equipaggio dell'aereo che ha colpito la struttura di MSF Pag. 6a scambiare l'ospedale per la sede locale dell’intelligence afgana, in quel momento occupata dai talebani. Il generale Campbell ha peraltro confermato che le coordinate dell'ospedale erano state prese in carico dal comando di Resolute Support e inserite nell'elenco delle cosiddette no-strike facilities.
  L'inchiesta ha altresì rilevato una chiara violazione delle regole di ingaggio da parte del comandante delle forze speciali che ha ordinato l'attacco, rispondendo alla richiesta di aiuto delle forze di sicurezza afgane, e tutto il personale più direttamente coinvolto nell'episodio è stato sospeso dal servizio in attesa della formalizzazione dei provvedimenti amministrativi e disciplinari, nonché eventualmente della giustizia ordinaria. Gli esiti dell'inchiesta USA appaiono analoghi con gli accertamenti effettuati parallelamente da un secondo team, il team congiunto NATO-Afghanistan, le cui conclusioni sono state presentate dal comandante supremo alleato in Europa, il generale Breedlove, e pubblicate online, con esclusione, ovviamente, delle parti classificate.
  È pertanto evidente la piena volontà di tutte le parti coinvolte di acclarare gli eventi bellici che hanno condotto all'attacco della struttura sanitaria di Kunduz e di accertare le relative responsabilità, a prescindere dall'avvio di una commissione internazionale indipendente d'inchiesta da parte delle Nazioni Unite. Le indagini in corso hanno infatti permesso di evidenziare chiaramente quali lacune siano intervenute nella catena di comando e controllo tra le forze impiegate nella difesa di Kunduz, formulando una serie di raccomandazioni di immediata adozione al fine di evitare in futuro che simili tragedie possano ripetersi.
  Il Segretario generale della NATO ha del resto pubblicamente ribadito questa assoluta necessità. Da parte italiana, continueremo a sostenere in ambito Nazioni Unite, anche in raccordo con i partner dell'Unione europea, la necessità che venga integralmente garantito il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario nei conflitti in corso, condannando fermamente eventuali violazioni perpetrate dalle parti.

  PRESIDENTE. L'onorevole Zampa ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interrogazione.

  SANDRA ZAMPA. Grazie Presidente, grazie al Viceministro Giro per la risposta puntuale e rispetto alla quale mi dichiaro soddisfatta. Siamo consapevoli che il Governo ha posto grande attenzione e sensibilità a un fatto così grave. Lo ha ricordato lei stesso: si tratta di una vicenda che ha davvero colpito l'opinione pubblica per la sua estrema gravità. Non è pensabile che un atto di violenza così inaccettabile venga compiuto in scenari, tra l'altro, attraversati già da una violenza estrema e dove fatti e vicende come questa possono, tra l'altro, creare nell'opinione pubblica un'idea molto grave e certamente non aiutare la creazione di un clima di pace.
  In seguito a questo bombardamento, in realtà, ci sono state 22 vittime, di cui 12 medici, dieci pazienti e, tra questi, dei bambini. Io faccio mie le parole che sono state pronunciate da Emergency riguardo a questa pagina tragica. Un atto di violenza inaccettabile, perché l'ospedale è un luogo di cura, e, come tale, va sempre tutelato. Ciò è possibile solo, evidentemente, se gli ospedali vengono rispettati da tutte le parti, come previsto dalla citata Convenzione di Ginevra.
  Il mio auspicio è che il Governo si faccia parte attiva e comunque continui a seguire questa vicenda, e che la commissione indipendente possa essere costituita e, soprattutto, porti alla luce con la stessa evidenza dei fatti tragici a cui ci riferiamo e accerti la verità in tutti i suoi aspetti.
  È evidente per tutti che è una condizione indispensabile non solo perché le organizzazioni internazionali possano lavorare in sicurezza, ma anche perché il mondo, l'opinione pubblica, guardi agli interventi e possa sostenerli a condizione, appunto, che non si debba mai più assistere a vicende come questa.

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(Stato di attuazione della «Strategia per la crescita digitale 2014-2020» – n. 3-01843)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Liuzzi ed altri n. 3-01843, concernente lo stato di attuazione della «Strategia per la crescita digitale 2014-2020» (Vedi l'allegato A – Interrogazioni).
  Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Angelo Rughetti, ha facoltà di rispondere.

  ANGELO RUGHETTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, Presidente. Rispondo all'interrogazione in oggetto, n. 3-01843, dell'onorevole Liuzzi riguardo all'attuazione della Strategia per la crescita digitale.
  Al riguardo, segnalo innanzitutto che il Dipartimento per la funzione pubblica, mediante l'Agenzia per l'Italia digitale, ha il compito di garantire la realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana e di coordinare l'attuazione del Piano di crescita digitale del Paese con le amministrazioni centrali e locali, definendo la strategia operativa di implementazione dei progetti che vi sono contenuti, alcuni dei quali, in ragione della loro importanza strategica nell'ottica di rafforzamento della cultura digitale dei cittadini e delle imprese, sono già stati avviati.
  Sottolineo, in particolare, due aspetti di metodo che il Governo si è dato nell'applicazione della strategia. Il primo aspetto riguarda la strategia della crescita digitale, che riguarda non soltanto lo Stato, ma tutti i livelli di governo del Paese. Quindi, la strategia della crescita, da questo punto di vista, non è la somma delle azioni fatte da ciascun ente che appartiene ai livelli di governo della Repubblica, ma è un piano, un progetto Paese, che viene definito insieme a tutti gli altri livelli di governo della Repubblica e portato avanti. In questo senso, uno dei primi atti che il Governo ha proposto è stato la sigla di un accordo insieme a comuni, province e regioni, in Conferenza unificata, nel giugno del 2014, dove sono state definite le priorità, le azioni da realizzare, le risorse da mettere a disposizione e i tempi di esecuzione.
  Il secondo aspetto riguarda, invece, le scelte che sono state fatte dentro la strategia. A differenza del passato, l'indicazione che il Governo, insieme agli altri livelli istituzionali, ha deciso è quella di non mettere il sistema pubblico in tutte le filiere di attività. Il sistema pubblico ha deciso di impegnarsi per rimuovere una serie di ostacoli che non consentono un accesso semplice e facile al sistema digitale, e, da questo punto di vista, la scelta ha portato ad individuare alcuni prodotti e alcune azioni che sono strategiche. Il primo aspetto, che riguarda l'infrastruttura e il progetto banda larga, è l'azione che va a cogliere questo elemento. Il secondo tema è la facilità e la semplicità nella sicurezza per accedere ai servizi online che mette in campo la pubblica amministrazione, e, da questo punto di vista, poi dirò meglio del progetto SPID.
  Il terzo è quello di condividere la base dei dati, che rappresentano appunto il minimo comun denominatore che riguarda la nostra Repubblica e che è composta dall'anagrafe della popolazione residente, che sappiamo passare da un sistema frammentato proprio di ogni singolo ente e che invece si trasforma in una banca dati di carattere nazionale. Quindi, questi sono i due aspetti di metodo che sono stati scelti.
  Venendo, invece, alle singole linee di intervento, posso dire che, dal mese di marzo 2016, è operativo il Sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale, cosiddetto SPID, che rappresenta la nuova infrastruttura di login e che permette ai cittadini e alle imprese di accedere con un'unica identità a tutti i servizi online della pubblica amministrazione, garantendo una radicale semplificazione per il cittadino e innalzando i livelli di sicurezza dell'accesso ai servizi.
  Nella fase di primo avvio dello SPID sono già attivi oltre 300 servizi online della pubblica amministrazione. Peraltro, per garantire l'operatività del sistema nel suo complesso, l'Agid ha avviato, fin dal settembre 2015, le procedure per l'accreditamento nel registro dei gestori di identità digitale, vigilando insieme al Garante per Pag. 8la Privacy sul loro operato. In ogni caso, l'adesione a SPID di tutta la pubblica amministrazione italiana è prevista entro il mese di dicembre 2017, così come appunto indicato nell'Agenda digitale.
  In secondo luogo, il sistema dei pagamenti elettronici, cosiddetto pagoPA, obbligatorio per tutte le pubbliche amministrazioni sottoposte alla norma del codice dell'amministrazione digitale, chiamate ad aderire in qualità di enti beneficiari dei pagamenti, è già perfettamente funzionante dall'anno 2012. Attualmente sono circa 10.023 le pubbliche amministrazioni e i gestori di pubblici servizi che hanno formalmente aderito a pagoPA e sono 331 le amministrazioni che hanno già concluso la procedura di attivazione e, quindi, sono già operative sul sistema dei pagamenti elettronici.
  Terza linea di azione, che citavo in premessa, riguarda l'Anagrafe nazionale della popolazione residente, cosiddetta ANPR. Entro la fine del 2016 prenderà il posto delle oltre ottomila anagrafi dei comuni italiani, costituendo un riferimento unico per la pubblica amministrazione, le società partecipate e i gestori di servizi pubblici. Con l'ANPR si realizza, infatti, un'unica banca dati con le informazioni anagrafiche della popolazione residente a cui faranno riferimento non solo i comuni, ma l'intera pubblica amministrazione, tutti i soggetti interessati ai dati stessi ed in particolare appunto i gestori dei pubblici servizi.
  Infine, l'obiettivo di introdurre la fatturazione elettronica nella pubblica amministrazione italiana è stato positivamente raggiunto nel rispetto delle scadenze di legge. Infatti, dal 6 giugno 2014, data di avvio dell'obbligo della fatturazione elettronica per ministeri, agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza e assistenza, fino al 30 novembre 2015, sono stati quasi 23 milioni le fatture elettroniche gestite dal Sistema di interscambio. Nel complesso, dal gennaio 2015, oltre il 90 per cento dei file fattura gestiti dal suddetto sistema sono stati correttamente inoltrati all'amministrazione di riferimento, mentre circa il 10 per cento sono stati scartati a causa della presenza di varie tipologie di errori e solo lo 0,2 per cento non sono stati recapitati per l'impossibilità di identificare o raggiungere l'ufficio destinatario. I numeri richiamati dimostrano, quindi, l'assoluta funzionalità del sistema di fatturazione elettronica.
  Quanto appena ricordato dimostra, infine, che la pubblica amministrazione italiana sta operando per la digitalizzazione totale dei propri processi interni, puntando a stimolare la creazione e l'offerta di servizi per la crescita digitale di cittadini e di imprese e per cercare di recuperare il gap con gli altri Paesi europei, che viene appunto sottolineato nell'interrogazione, gap accumulato a causa dei ritardi degli anni passati.
  Assicurare la sincronizzazione di tutti gli interventi previsti nell'ambito della strategia per la crescita digitale 2014-2020 sarà una delle chiavi di accesso del Paese e consentirà di superare il circolo vizioso degli anni passati: la carenza di servizi online che ha determinato la scarsa domanda di connettività e la scarsa connettività che, a sua volta, ha determinato la carenza nell'offerta e nella utilizzazione dei servizi. Sappiamo che il digitale è uno degli strumenti che può fare la differenza, perché può aumentare o diminuire la distanza esistente fra territori, fra cittadini ed imprese, e per questo l'azione del Governo su questo campo sarà sempre più forte e determinata.

  PRESIDENTE. L'onorevole De Lorenzis ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla interrogazione Liuzzi ed altri n. 3-01843, di cui è cofirmatario.

  DIEGO DE LORENZIS. Grazie Presidente, grazie sottosegretario. Io, ovviamente, non posso assolutamente dirmi soddisfatto. Il sottosegretario ha citato grandi paroloni, parlava di importanza strategica e di progetto Paese; in realtà, dalle sue parole tutto ciò che si evince sono soltanto buoni propositi, quello che appunto era previsto, ma andiamo con ordine. Intanto partiamo dalla parte relativa alle infrastrutture, il cosiddetto Piano Pag. 9per la banda ultra larga; risulta che con riferimento al piano di 12 miliardi, di cui 7 pubblici, in realtà sia stata firmata nella Conferenza Stato-regioni l'intesa per ripartire i fondi di sviluppo e coesione per le aree svantaggiate, quelle cosiddette a fallimento di mercato. Perché, Presidente, gli operatori stanno facendo a gara per cablare Milano, ma poi gli altri 7.300 comuni su 8.000, in realtà, hanno, come è stato evidenziato, una carenza infrastrutturale che impedisce anche di chiedere dei servizi digitali. Questo viene poi strettamente collegato all'offerta dei servizi; per anni il nostro Paese ha pensato che la digitalizzazione della nazione fosse soltanto la digitalizzazione della pubblica amministrazione e ci sono stati dei precedenti altrettanto fallimentari, come per esempio la carta d'identità elettronica, nata nel 1997, adottata soltanto da 130 amministrazioni e con 4 milioni di carte erogate. Poi è stata la volta della carta nazionale dei servizi, cioè fondamentalmente una tessera sanitaria munita di un chip, che però è inutile perché non ci sono i servizi associati, e poi la posta elettronica certificata, come non ricordarla; dal 2009 al 2014, 2 milioni di cittadini hanno avuto un canale certificato per comunicare con la pubblica amministrazione, peccato che questo progetto sia andato in soffitta perché il 90 per cento dei cittadini non sapevano come utilizzarlo e cosa farsene, visto che magari la pubblica amministrazione era la prima a non rispondere e a non guardare i messaggi di posta certificata.
  Vi è, quindi, una grande confusione, si è partiti con questo progetto di digitalizzare l'Italia, si guarda sempre molto alla pubblica amministrazione e invece di partire con tutti gli sportelli, per esempio, di Poste Italiane, che è uno degli identity provider, ossia uno di quei soggetti deputati a identificare, ad autenticare il cittadino che vuole utilizzare questi servizi, si passa, come dire, a una fase di start-up e di avvio che però vede coinvolti pochi soggetti. Chi sono i soggetti coinvolti ? Intanto, appunto, gli identity provider; sono soltanto tre, Tim, Poste Italiane e InfoCert. Su questi tre soggetti anche il Consiglio di Stato ha avuto modo di fare dei rilievi, dicendo che la condizione per cui imporre il capitale sociale minimo di 5 milioni non è un indice attendibile per discriminare i soggetti che abbiano affidabilità organizzativa, tecnica e finanziaria, tant’è che, addirittura, i magistrati del Consiglio di Stato scrivono che questo vincolo rappresenta un'illegittimità per irragionevolezza, quindi certificano che il Governo scrive dei provvedimenti in alcune parti assolutamente irragionevoli. Il Consiglio di Stato poi in realtà interviene dicendo che questo processo, legato appunto al sistema pubblico di identità digitale, non è assolutamente legato, per esempio, a quello della posta elettronica certificata, quindi, anche qui, c’è un totale scollamento tra quello che è stato fatto, quello che si potrebbe in qualche modo coordinare e quello che invece viene pensato dal Governo.
  Vengo ancora ad un altro argomento che riguarda sempre il sistema pubblico di identità digitale. Si sono coinvolti dei soggetti esclusivamente privati e a me sembra che il Governo non tenga assolutamente conto degli scandali; penso al Datagate di pochi mesi fa, come se appunto questo non ci abbia insegnato nulla. Ancora, Presidente, si è parlato dell'Anagrafe nazionale per la popolazione residente, quindi immaginiamo un bel progetto in cui appunto il cittadino si identifica in un sistema informatico e poi può navigare nei siti della pubblica amministrazione, richiedere certificati o effettuare pagamenti. Ebbene, peccato che si è partiti a dicembre 2015 con due comuni; a febbraio 2016 sono entrati degli altri comuni, che però non si sa quanti sono e quali sono. Veramente voi sperate che, entro otto mesi, quindi alla fine a dicembre 2016 di quest'anno, tutti gli 8 mila comuni saranno in grado di fornire quei servizi essenziali della pubblica amministrazione ai cittadini ?
  A me sembra sinceramente di aver sentito ancora molte promesse, molte buone intenzioni, e pochi fatti, Presidente.

Pag. 10

  PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.
  Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle 15 con il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione.
  La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 11,15, è ripresa alle 15,05.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente novantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: S. 1429-B – Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato, approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal Senato) (A.C. 2613-D).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato, approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal Senato, n. 2613-D: Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione.
  Ricordo che nella seduta dell'11 aprile si è conclusa la discussione generale ed è intervenuto in sede di replica il Presidente del Consiglio dei ministri, mentre i relatori vi hanno rinunciato.
  Avverto che trattandosi di seconda deliberazione su una proposta di legge costituzionale, a norma del comma 3 dell'articolo 99 del Regolamento, si procederà direttamente alla votazione finale.

(Dichiarazioni di voto finale – A.C. 2613-D)

  PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Mara Mucci. Ne ha facoltà.

  MARA MUCCI. Presidente, colleghi, questo è l'ultimo passaggio che ci vede qui in Aula a parlare di riforme costituzionali; vedo anche la Ministra Boschi in ascolto. Una riforma che comporta grandi modifiche alla nostra Costituzione, nonché all'assetto del nostro Stato: 39 articoli, che è indubbio che vanno a cambiare notevolmente l'assetto della nostra Costituzione, Pag. 11nonché delle istituzioni che la compongono. Modifichiamo il 35 per cento degli articoli e il 58 per cento della sua Parte II; modifiche – tra l'altro, questo fa un po’ sorridere – votate da un Parlamento che all'inizio di questa legislatura non è stato in grado di eleggere il Presidente della Repubblica e ha visto la rielezione di Giorgio Napolitano, e promosse da un Governo al quale, sappiamo, la fiducia è stata votata da un Parlamento eletto con il Porcellum, dichiarato poi incostituzionale dalla Consulta. Diciamo quindi che siamo partiti con notevoli difficoltà, almeno su questo possiamo essere tutti d'accordo.
  Oggi modifichiamo in modo profondo la Costituzione, apportando modifiche di entità rilevante che incidono anche sui nostri lavori quotidiani: parlo del superamento del bicameralismo paritario, che nel tempo ha contribuito sicuramente ad una notevole incertezza legislativa, fonte anche di destabilizzazione del Governo, fonte anche di discussioni tra le diverse Camere, che erano votate con leggi elettorali che davano maggioranze differenti, e sulla base anche di territori differenti, perché il Senato è eletto su base regionale. La staffetta, che io considero anacronistica, che noi viviamo tutti i giorni, ci ha portato a vedere diverse volte progetti di legge impantanatisi poi in un ramo piuttosto che nell'altro: appunto perché maggioranze differenti e persone diverse portavano avanti le proposte. Quindi di fatto penso che già vivessimo un monocameralismo latente, in quanto spesso e volentieri i progetti di legge venivano discussi in una Camera e poi veniva posta la fiducia nell'altra. Sicuramente quindi queste modifiche costituzionali vanno a snellire il procedimento, in quanto la parte maggiore del procedimento legislativo avverrà soltanto qui alla Camera: saranno soltanto 22 i temi che saranno posti al confronto del dibattito in un assetto di bicameralismo.
  Tutto questo è garanzia di buona legiferazione, mi chiedo ? Io non credo basti questo per avere una legiferazione migliore: sicuramente si deve partire da un'analisi più interna, interna anche al dibattito dei gruppi parlamentari, dei partiti politici. Penso anche alla capacità di migliorare l’accountability nei confronti dell'elettore, piuttosto che quindi responsabilizzare gli eletti; e penso anche ad un'informazione che dev'essere sicuramente di qualità superiore e indipendente rispetto al dibattito che avviene in queste Aule. Tutto questo ritengo possa essere ossigeno nell'atmosfera spesso pesante della politica.

  PRESIDENTE. Colleghi, per favore... Grazie. Prego, continui pure.

  MARA MUCCI. L'iter legislativo, dicevo, cambia profondamente: alla Camera resta piena facoltà legislativa, e il Senato potrà emendare progetti di legge della Camera, ma la Camera potrà respingerli a maggioranza semplice o talora assoluta.
  Viene ridefinito profondamente l'assetto del Senato, composto da consiglieri regionali. L'obiettivo in questo caso del Governo immagino fosse quello di valorizzare le autonomie territoriali dello Stato, riducendo i momenti di contrasto tra la sede centrale e quelle decentrate. Ieri il Presidente Renzi però ha ripetuto un'osservazione che è stata fatta anche in seno alla Commissione affari costituzionali in queste Aule, che non è detto comunque che i momenti di contenzioso caleranno o saranno ridotti; però sicuramente una ridefinizione del Titolo V e dei vari temi che devono affrontare le assemblee locali, certamente viene apportata con questa modifica costituzionale, e io spero abbia la sua efficacia.
  Dicevo che viene modificato l'assetto del Senato: un assetto che vorrebbe fare emergere un canale preferenziale per le istanze territoriali, un luogo di confronto che non sia la Conferenza Stato-regioni, bensì più ampio, come quello di un'Assemblea senatoriale. Per fare questo, però, a mio avviso serviva un legame forte tra i senatori e le istituzioni locali che questi rappresentano: mi chiedo se questo avverrà. La mia risposta è «snì»: ad esempio i consiglieri regionali non fanno parte dell'esecutivo delle regioni, non vi è vincolo Pag. 12di mandato imperativo, in base all'articolo 67 dalla Costituzione, che rimane come l'originale; stride quindi in questo caso la coesistenza della rappresentanza territoriale con la conservazione del principio di divieto di mandato imperativo. Ciò a mio avviso potrebbe essere un ostacolo nel rapporto che dovrebbe instaurarsi invece con gli enti locali, che dovrebbero portare le proprie istanze in modo anche più forte attraverso l'Assemblea senatoriale, che poi può incidere nel processo legislativo.
  Dicevo che 22 sono le categorie di leggi che restano bicamerali. È evidente come, oltre al cambiamento, vi siano anche elementi che non aiutano però la chiarezza di come qualitativamente e sostanzialmente sarà in futuro l'apparato amministrativo dello Stato. Credo che questa riforma noi impareremo a conoscerla vivendola. Saranno necessari indubbiamente dei correttivi, sarà necessario anche un Regolamento del Senato che possa essere all'altezza e in grado di far lavorare pienamente i senatori che, ricordiamo, hanno comunque un altro compito, perché sono anche all'interno delle istituzioni territoriali, altrimenti questo assetto non avrebbe un significato. Però ci siamo interrogati, ci siamo interrogati a lungo se non sarebbe stato meglio un vincolo maggiore, un vincolo di mandato con le assemblee territoriali, che potesse comunque rendere il rappresentante delle istituzioni, con un criterio di maggiore accountability, responsabile del proprio operato, però rappresentante e portatore delle istanze territoriali in modo più forte, se vogliamo; ma questo lo vedremo. Come funzionerà questo nuovo Senato e quanto potrà incidere sui progetti di legge che porterà avanti la Camera, come sarà anche organo di controllo, se vogliamo, dell'operato dalla Camera, lo impareremo vivendolo.
  Viene poi dettata una nuova procedura per quanto riguarda la dichiarazione dello stato di guerra: su questo non sono d'accordo, preferivo un bicameralismo su questo punto. Viene rivisto, come dicevo, il Titolo V della Costituzione, fonte di grandi contenziosi, di intasamento per la Corte costituzionale: un Titolo V molto discusso, molto criticato. Tutto questo dipendeva dalla difficoltà di tracciare linee nette tra i differenti ambiti previsti dall'attuale articolo 117 della Costituzione; vedremo anche qui se queste modifiche porteranno beneficio.
  Vi è una modifica anche per quanto riguarda la procedura di elezione del Presidente della Repubblica, dei giudici della Corte costituzionale; si introduce un procedimento legislativo «motorizzato», secondo il quale entro 70 giorni la Camera dovrà approvare i disegni di legge che il Governo considera importanti nell'attuazione del proprio programma. Su questo punto io sono d'accordo, troppo spesso c’è stato un alibi per porre questioni di fiducia o maxiemendamenti, questo diciamo che andrà a risolvere il problema, posto che, comunque, la qualità della nostra legiferazione non dipende dalla quantità di leggi che noi portiamo avanti, ma dal dibattito indipendente, serio, indipendente anche dal consenso elettorale, che potrà ciascuno di noi portare in seno a queste Aule. La riforma interviene, quindi, su punti deboli, ma lascia criticità: bene, lo Statuto delle opposizioni che vedremo se i Regolamenti riusciranno ad attuare. Manca, secondo me, un'analisi a monte rispetto alla riforma delle regioni; rispetto all'accorpamento di regioni, potevamo fare un discorso più ampio prima di rivedere l'assetto istituzionale di Camera e Senato, perché è indubbio che anche le istituzioni locali, territoriali, e parlo delle regioni, in questi anni, hanno accusato il colpo di una delegittimazione forte, di una mancanza anche di credibilità stessa. Quindi, magari, un riferimento futuro agli accorpamenti andrà fatto. Però vengo al nodo cruciale che per me è il più importante: dire «referendum» non basta, il referendum che avremo presto su queste riforme, in quanto queste riforme non sono state votate con la maggioranza qualificata, porta con sé un problema anche di democrazia e di Stato di diritto. A questa monumentale riforma – in virtù della sua composizione e della genesi, anche, che vi ha portato – una consultazione secca sul Pag. 13«sì» o sul «no» non mi vede soddisfatta. Siamo chiamati a votare, con un voto unico, grandi modifiche alla nostra Costituzione che è difficile ricondurre ad una scelta tra «sì» e tra «no», una scelta insufficiente, impropria, proprio per l'eterogeneità della riforma. Il tema non è schierarsi pro o contro il Governo, il problema è posto a livello più alto, ovvero è un problema di democrazia e di Stato di diritto. La riforma non è un monolite da digerire tutt'uno, ma va, appunto, discussa e andrebbe discussa per temi, anche dividendo i temi di riforma in macro aree. Oggi ha scritto un bell'articolo Ainis sul Corriere che vi invito a leggere, ed emergerebbero, in questo caso, diverse categorie del contesto distinto, in un unico requisito non si dà libertà di scelta, ma si favorisce solo il cambiamento o la conservazione che sta più a cuore all'elettore. Questa non è, a nostro avviso, una libertà di scelta. Stessa sorte se al referendum si continuerà a dare il significato accessorio di plebiscito sull'operato del Governo Renzi; così è troppo facile. La logica del plebiscito pro o contro nega in partenza al referendum la possibilità di essere un esercizio democratico; la consultazione di un popolo deve essere informata e il popolo deve essere libero di scegliere. Il referendum è consultazione di un popolo, appunto, che, però, deve essere messo nelle condizioni giuste ed è indubbio che modificando 39 articoli della Costituzione sarà complicato poi spiegarne il significato.

  PRESIDENTE. Concluda.

  MARA MUCCI. Concludo dicendo che, quindi, chiederemo e chiediamo che venga portato avanti il referendum per parti separate, che si indica un comitato per la libera espressione del voto in seno a questa riforma e che si metta anche il cittadino nella possibilità di raccogliere le firme per chiedere referendum e quesiti separati.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Matteo Bragantini. Ne ha facoltà.

  MATTEO BRAGANTINI. Onorevole Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi e colleghe, come già è stato detto più di una volta, questa è una riforma nata male, sia per quanto riguarda come è venuta nella struttura che come è venuta nella parte finale, dove ci sono tantissime parti che non ci piacciono, che rappresenteranno, a mio avviso, dei problemi e speriamo di risolverli. È nata male perché, a nostro avviso, una riforma costituzionale, se vogliamo veramente fare una riforma per il bene dello Stato e la tutela dell'Italia, non deve partire per iniziativa del Governo o di una maggioranza, perché se parte per iniziativa del Governo o di una maggioranza, necessariamente, si entrerà in una dinamica elettorale e governativa e non in una dinamica per fare le riforme per lo Stato.
  Era già successo nel 2001, quando è stata fatta una riforma costituzionale da parte del PD; è stata fatta nel 2006, dove, sempre il PD, che aveva votato a favore della riforma costituzionale «devolution», alla fine, ha votato contro e ha fatto campagna contro quella riforma, perché diceva che alcuni punti gli piacevano, altri no, ad esempio quello che prevedeva che la diminuzione dei parlamentari sarebbe avvenuta dopo una legislatura, dunque nel 2011. Dicevano: è troppo distante. E, dunque, nel 2006 si è persa un'occasione, si è votato contro una riforma costituzionale e cosa è successo ? Che dopo dieci anni stiamo facendo un'altra riforma costituzionale e, dunque, anche se ci sono tanti punti negativi – noi abbiamo tentato di modificarla sia nel primo passaggio qui alla Camera, sia nel secondo passaggio –, noi riteniamo che in questo voto finale, dove c’è semplicemente un «sì» e un «no» – dunque se si vota «no» si ritorna, come nel gioco dell'oca, alla casella di partenza – è meglio un «sì» sofferto a una riforma che va finalmente ad abolire il bicameralismo perfetto, piuttosto che ritornare al punto di partenza e, magari, fra dieci anni ricominciare la manfrina, con, però, l'auspicio e la richiesta a tutte le forze politiche che il prima possibile – ovviamente ormai nella futura legislatura Pag. 14– si vada veramente a rimediare agli errori di questa riforma e a fare una riforma costituzionale con un'Assemblea costituente, sganciata totalmente da dinamiche parlamentari, ordinarie ed elettorali, e così, forse, finalmente, andremo a fare una riforma che funzioni. Anche ieri ho sentito il Premier che diceva che forse si poteva fare un Senato con dei delegati delle regioni e non delegati o indicati dalle forze politiche che governano le regioni; ma questa era la proposta che avevano fatto tutte le forze politiche, tutti, a parte, probabilmente, e di sicuro, Forza Italia che con il patto del Nazareno aveva fatto questa richiesta. Ma tutte le forze politiche avevano detto che il Senato, se è un Senato delle regioni, se è un Senato delle autonomie, doveva essere rappresentato dalle regioni con vincolo di mandato e doveva andare a sostituire la Conferenza Stato-regioni, bisognava fare un sistema alla tedesca; questo avrebbe funzionato maggiormente, questo era il sistema auspicato da tutti. Per la volontà – e questo è un errore della maggioranza – di mettere la bandierina politica sulla riforma costituzionale, è stata fatta una riforma costituzionale con molte problematiche e con una tensione al proprio interno durante la discussione dovuta, semplicemente ed esclusivamente, al fatto che chi vota «no» è contro questo Governo, chi vota «sì» è a favore di questo Governo. Non è così che si dovrebbero affrontare le riforme; le riforme si dovrebbero affrontare con un «sì» e un «no» se la riforma va bene o male o se la maggior parte della riforma va bene o male, non se si è per il Governo o contro il Governo. Io capisco che dal punto di vista politico-elettorale anche Renzi ci sta giocando, ma non si sta facendo il bene dello Stato.
  Per questo motivo, anche se questa riforma, come ho detto prima non ci piace, e non mi dilungo con tutti i motivi per i quali non ci piace, noi voteremo a favore perché non vogliamo ritornare alla casella di partenza, non vogliamo rimanere nello status quo dove ci sono un bicameralismo perfetto su tutte le materie, dove in ogni caso qualsiasi legge elettorale si farà, anche per il Senato, ci saranno due maggioranze differenti e dunque vuol dire che ci sarà sempre e comunque un problema di governabilità di questo Stato, problema che stiamo vivendo ormai da troppo tempo e che, dunque, almeno con le prossime riforme, tenteremo di sistemare.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Pia Locatelli. Ne ha facoltà.

  PIA ELDA LOCATELLI. Grazie, signora Presidente. Come abbiamo già detto in diverse occasioni, la legge di riforma costituzionale, oggi al sesto ed ultimo passaggio parlamentare, non è propriamente quella voluta dai socialisti: non lo è nei contenuti, migliorati, comunque, nei diversi passaggi tra Camera e Senato, e non lo è per il metodo. Il metodo, appunto: ancora una volta, ribadiamo che sarebbe stato senza dubbio meglio adottare la strada maestra di un'Assemblea costituente, che, svincolata dall'esame di altri provvedimenti, avrebbe potuto dedicare più tempo e andare più in profondità in un clima complessivo di maggiore serenità, pur senza escludere il confronto, anche aspro.
  Sarebbe stato anche un modo per costruire un importante collegamento, come ci ha detto ieri il collega Tabacci, cioè una continuità, con la prima Assemblea costituente, cercando, oggi come allora, di costruire una riforma il più possibile condivisa. Purtroppo, siamo rimasti gli unici a sostenere la necessità di questo confronto.
  Noi socialisti fummo i primi a lanciare l'idea di una grande riforma, era il 1979, così come fummo gli unici, nel corso della conferenza di Rimini, rimasta nella memoria comune per il tema dei meriti e dei bisogni, a proporre il superamento di due Camere con uguali poteri, ossia uno dei cardini dell'attuale riforma, suscitando, allora, un'opposizione virulenta. La stessa opposizione che ci fu nella Commissione bicamerale del 1997, formata da 70 parlamentari, e, tra questi, il segretario nazionale del PSI, che avanzò la stessa proposta.Pag. 15
  Fummo ancora noi a parlare di trasformazione del Senato in Camera delle regioni, sul modello del Bundesrat tedesco, composta da rappresentanti dei governi regionali e con compiti di garanzia e controllo. Le buone idee, evidentemente, non muoiono, e oggi si pone fine alla lunga esperienza del bicameralismo paritario, ai ripetuti passaggi di provvedimenti tra Camera e Senato e ad un iter legislativo lungo e farraginoso. Con questa riforma ciò non accadrà più ed è soprattutto per questo motivo che il gruppo socialista, che ha affrontato senza pregiudizi il dibattito e il processo di revisione costituzionale, voterà a favore del provvedimento, nonostante numerose perplessità e qualche affermazione demagogica di troppo.
  È stato detto, ad esempio, che la riforma del Senato, non prevedendo indennità per i suoi senatori, è positiva perché comporta una riduzione della spesa pubblica. A noi questo sembra un messaggio sbagliato, populista. Il Senato va modificato e ridimensionato, ma non per una questione di costi. La democrazia ha un costo e sarebbe inaccettabile rinunciare ad una parte della democrazia in nome del risparmio. Certo, avremmo preferito che il nuovo Senato ricalcasse maggiormente il modello del Bundesrat tedesco, così come avremmo preferito un maggiore equilibrio numerico tra le due Camere, da raggiungersi attraverso uno snellimento di questa Camera, oppure la modifica del sistema di designazione dei componenti del Consiglio superiore della magistratura, anche per garantire il superamento delle correnti, o, ancora, l'eliminazione dell'autodichia nella gestione del personale.
  Ma l'Aula ha scelto diversamente e noi lo accettiamo. Tornando all'oggi, dobbiamo riconoscere che il testo è migliorato sia nelle funzioni assegnate al Senato, ora più autorevole nel rappresentare i territori, sia nel metodo di scelta dei nuovi senatori e nuove senatrici, ci auguriamo, per il quale si dovrà provvedere con una legge successiva. È, inoltre, positivo che vi sia una relazione fiduciaria esclusivamente tra Governo e Camera, così come è positivo il tentativo di semplificazione dell'apparato della Repubblica, con la soppressione del CNEL e delle province, anche se, a riguardo di queste ultime, la situazione ha bisogno di ulteriori chiarimenti e provvedimenti.
  E, infine, particolarmente cara a me, è positiva l'introduzione del principio di parità e non discriminazione tra donne e uomini nelle leggi elettorali, avvenuta con la modifica dell'articolo 55 della Costituzione, che prevede per le leggi che stabiliscono le modalità di elezione della Camera la promozione dell'equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza. Anche in questo caso, la nostra preferenza sarebbe stata diversa: piuttosto che promozione avremmo preferito garanzia dell'equilibrio di genere nelle leggi elettorali, insieme alla previsione di norme transitorie per la prima elezione del Senato.
  Insomma, restiamo dell'avviso che si poteva fare meglio e, soprattutto, che si doveva tentare, più di quanto abbiamo fatto, di ricercare una maggiore condivisione con le opposizioni. Riteniamo che per le riforme vadano fatti tutti gli sforzi possibili per arrivare alla massima condivisione, ma non ci siamo riusciti, anche se va detto che la responsabilità non è certamente solo della maggioranza. Voteremo questa riforma della Costituzione anche perché non vogliamo lasciare alibi a nessuno per giustificare le difficoltà del Paese attribuendole ad una mancata riforma costituzionale.
  Allo stesso tempo, chiediamo, ancora una volta, la modifica della legge elettorale per garantire, insieme alla governabilità, che è fattore importante, la rappresentanza. L'equilibrio tra rappresentanza e governabilità è ancor più fondamentale rispetto ai singoli fattori, ma, proprio perché riteniamo che questa riforma serve al Paese, non possiamo non ribadire la nostra preoccupazione per la sua sopravvivenza. Lo abbiamo già detto ieri durante la discussione sulle linee generali: la scelta del Presidente del Consiglio di esporsi in prima persona, legando strettamente l'esito del referendum del prossimo ottobre alla durata del suo Governo, è una forzatura che si dovrebbe evitare.Pag. 16
  Non serve il tifo pro o contro: stiamo parlando di modifica della Carta costituzionale. E trasformare il voto referendario in una sorta di plebiscito è un errore che abbiamo già visto fare e che certamente non porta nulla di buono. Al referendum vince o perde il Paese, non Matteo Renzi, e il Paese non ha bisogno di prove: ha bisogno di essere riformato. Vorrei, infine, richiamare l'attenzione dell'Aula e del Governo nel suo insieme ad un tema e ad un impegno molto caro a noi socialisti. È stato detto nei precedenti passaggi in questa Camera che il voto di oggi non è il fischio che mette fine alla partita, mi sembra fosse il collega Cuperlo.
  E siamo profondamente convinti che questa riforma non rende inutile il lancio di una nuova fase costituente; e so che questa proposta può suscitare sorpresa, ma noi siamo convinti che, dopo la riforma del Senato, noi socialisti siamo convinti che, dopo questa riforma, che ha aperto il cantiere, resti da ristrutturare l'intero edificio istituzionale, così come resta da chiarire, a proposito di questo edificio istituzionale, un'ambiguità di fondo, che da anni serpeggia, senza mai essere chiaramente affrontata, tra presidenzialismo e parlamentarismo.
  Quante volte abbiamo sentito ripetere, non più tardi di ieri, in quest'Aula, che questo Governo è illegittimo perché il Primo Ministro non è stato votato dai cittadini. Ma è delle repubbliche presidenziali o semipresidenziali l'elezione diretta del Premier ! D'altro canto, non dobbiamo stupirci della confusione, avendo da anni accettato, nei simboli dei partiti, il nome del candidato Premier. Ma ci sono molte altre questioni da regolare: per esempio, l'ampiezza della cessione di sovranità nei confronti dell'Unione europea, che non può essere definita da un paio di articoli, l'11 e l'81, oppure la razionalità degli assetti del potere locale, che non si può determinare solo con l'abolizione delle province. Oppure, l'omogeneità fra sistemi elettorali locali, in particolare quelli regionali, e sistema elettorale nazionale.
  Noi temiamo, ad esempio a proposito di rappresentanza di genere – e cito Simonetta Sotgiu, una magistrata impegnata su questi temi, ora in pensione – che vi sarà lesione del riequilibrio della rappresentanza sancito dall'articolo 117 della Costituzione. Il Parlamento italiano, infatti, ha dettato precise norme per l'elezione di province, comuni e città metropolitane, rispettose del principio di parità, ma non ha seguito lo stesso criterio per l'elezione dei consigli regionali, limitandosi a richiamare genericamente il principio del rispetto del riequilibrio di genere nella rappresentanza, ma un richiamo generico, che non ha vincolato molte regioni.
  E, poi, dobbiamo confermare importantissimi i princìpi della prima parte della Costituzione, che non sono affatto scontati in una situazione in cui, oltre alla coesione sociale, sembra a rischio la stessa coesione culturale della nazione. Ho finito, ma, prima di concludere, pur rischiando di andare fuori tema, colgo l'occasione per rivendicare il ruolo dei partiti, magari impegnandoci a dare attuazione all'articolo 49 della Costituzione. In quest'ultimo quarto di secolo il ruolo dei partiti è stato travisato, dando al concetto di partito un significato divisivo, secondo il quale si è tanto più partito quanto più ci si colloca o di qua o di là. Noi socialisti continuiamo a sostenere che il concetto di partito è invece unitivo e tale deve essere la loro azione in particolari momenti di grande solennità istituzionale, come quello della riforma di oggi, come insegna la grammatica della politica democratica. Per questa ragione crediamo che sia indilazionabile l'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione mentre ci accingiamo a cambiarne tanti articoli.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Renata Bueno. Ne ha facoltà.

  RENATA BUENO. Grazie Presidente Boldrini. Cara Ministra Boschi, cari colleghi, veramente non mi ero preparata per intervenire, ma ieri sera sentendo in quest'Aula il relatore Sanna che ha parlato di tutto il lavoro svolto negli ultimi mesi e, soprattutto, sentendo anche il nostro Pag. 17Primo Ministro Matteo Renzi che elencava tecnicamente tutti i punti affrontati e soprattutto il risultato che si raggiungerà nei prossimi mesi e nel futuro per tutti i cittadini di questo Paese, io ho ritenuto indispensabile manifestare qui queste emozioni. Emozione non solo per me, che sono qui per la prima volta in questo Parlamento in rappresentanza del Sudamerica, ma anche per il Sudamerica appunto, dove la democrazia sta passando un momento molto importante. Pensare che oggi qui siamo al voto finale di un'Assemblea Costituente, che questa Camera dei deputati compirà l'atto finale, che poi rimane soltanto in attesa di questo referendum confermativo, ma soprattutto pensare che anche il Brasile passa per un momento di crisi politica e un momento molto delicato, in cui la democrazia è stata chiamata in causa tramite l’impeachment dell'attuale Presidente Dilma Rousseff; è un momento delicato sì, ma anche lì la Costituzione garantisce a tutti i cittadini brasiliani il diritto di sciogliere la Presidenza della Repubblica e di convocare in seguito nuove elezioni. Sono due momenti delicati, qui molto positivi, perché vedo e credo nel futuro di questo Paese, credo nel futuro di un Paese governato da un Primo Ministro giovane, un Primo Ministro molto determinato e, soprattutto, un Primo Ministro che ha un Governo forte alle spalle, e pensare anche al Sudamerica, dove attraverso il Brasile passa anche lì per una maturità politica che sicuramente cambierà la realtà di quel Paese e che garantirà anche così il futuro di tutti i cittadini che se lo meritano.
  Noi che siamo italiani rappresentanti degli italiani che vivono all'estero, siamo qui sicuramente molto attenti a queste riforme, soprattutto perché noi con la riforma del Senato perderemo anche i nostri rappresentanti al Senato. Nelle interpretazioni delle leggi che verranno ad essere cambiate sicuramente non avremo più i nostri senatori, però anche perdendo questa importante rappresentanza per noi vale la pena pensare che l'Italia guadagna e che guadagniamo tutti noi (Applausi dei deputati del Gruppo Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani)).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Plangger. Ne ha facoltà.

  ALBRECHT PLANGGER. Signora Presidente, signora Ministra, rappresentanti del Governo, il voto dalla Camera dei deputati, che conclude l'iter parlamentare della riforma costituzionale, apre il nostro sistema istituzionale e legislativo ad un nuovo modello parlamentare e di Governo. Ciò non ha precedenti nella storia repubblicana, giacché sono stati numerosi i progetti e le Commissioni bicamerali che non hanno avuto alcun esito nel corso delle precedenti legislature.
  Le autonomie speciali hanno coerentemente contribuito alla riforma che porta il sistema parlamentare e di Governo oltre il bicameralismo paritario, configura il Senato come nuova Camera di rappresentanza delle autonomie territoriali e interviene nella revisione dell'attuale Titolo V della Costituzione, incidendo sulle sue criticità, anche se con un assetto a nostro giudizio eccessivamente centralista. Siamo chiamati oggi in quest'Aula ad un giudizio generale sull'esito parlamentare positivo e le prospettive dalla riforma costituzionale, perché tale giudizio ha un valore assoluto rispetto alle possibili e certamente legittime priorità ed impostazioni di parte. Riteniamo che tale giudizio sia stata la ragione profonda dell'intervento di ieri del Presidente del Consiglio, che condividiamo pienamente.
  La riforma dalla seconda parte della Costituzione è realtà, ed è un dato unico nella nostra storia parlamentare. Giudizio complessivo che in primo luogo richiama il referendum costituzionale, che il Governo e le forze parlamentari, che hanno sostenuto la riforma, hanno posto quale momento ultimo e fondamentale. Si innova il sistema parlamentare con un Senato che avremmo auspicato ancora più delineato come Camera territoriale. Si introduce un ruolo più incisivo e responsabile Pag. 18del Governo e nel contempo si rafforza il rapporto tra Esecutivo e Parlamento attraverso il voto di fiducia conferito alla sola Camera dei deputati. Si semplifica il procedimento legislativo senza comprimere, ma anzi riconoscendo pienamente, i diritti delle forze parlamentari di opposizione. L'esclusione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Bolzano e Trento dall'applicazione del nuovo Titolo V e la delega per l'adeguamento degli statuti di autonomia ad una futura legge costituzionale, introducendo la clausola pattizia anche in Costituzione, sono i punti decisivi che abbiamo sostenuto e che oggi riteniamo debbano essere valorizzati. Si salvaguardano competenze e poteri delle autonomie speciali e si introduce una riformulazione dell'articolo 116 della Costituzione, che ha valore per le regioni e le province a statuto speciale e richiama le regioni a statuto ordinario a perseguire gli obiettivi di governo responsabile e virtuoso, che come autonomie speciali abbiamo conseguito e che per tale ragione costituiscono titolo di esempio.
   Il Presidente del Consiglio ha indicato nel pensiero e nell'azione del Presidente Emerito Giorgio Napolitano la ragione di svolta del processo di riforma costituzionale. Ha ragione, perché mai altri come Napolitano hanno saputo e in modo così determinante voluto porre la questione della riforma dalla Costituzione come ineludibile e indispensabile assunzione di responsabilità, indicando le conseguenze che sarebbero derivate dall'assenza di una reale e convergente unità d'intenti. Con il medesimo spirito il Presidente Napolitano è intervenuto anche alcuni giorni fa contro la costruzione di una barriera al Brennero, anche su tale aspetto stiamo con lui.
  Le minoranze linguistiche confermano dunque il loro voto favorevole alla riforma costituzionale.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Ignazio Abrignani. Ne ha facoltà.

  IGNAZIO ABRIGNANI. Grazie signora Presidente. Membri del Governo, onorevoli colleghi, si conclude oggi il percorso della riforma che più di ogni altra ha segnato gli ultimi due anni di attività parlamentare e, direi, l'intera legislatura. Il testo di legge di riforma costituzionale che è oggi all'esame di questa Camera sarà quello su cui gli italiani e le italiane saranno chiamati a dare il giusto definitivo nel referendum del prossimo autunno. Credo sia quindi giusto ripercorrere, seppur brevemente, le tappe principali del cammino che ci ha portato a questo articolato, un cammino burrascoso ma ricco di spunti che può aiutarci a capire come e perché si sia giunti a certe soluzioni poi adottate.
  Tutto ha avuto inizio il 18 gennaio 2014, il giorno in cui i leader del centrosinistra e del centrodestra strinsero un accordo – poi noto come patto del Nazareno – per arrivare all'approvazione di due riforme, quella della legge elettorale e quella della Costituzione, che doveva prevedere delle modifiche al Titolo V e la trasformazione del Senato della Repubblica. Solo questi erano i contenuti di quel celebre patto, un accordo tra i due homines novi della politica italiana, appunto Berlusconi e Renzi, per giungere a quella riforma delle istituzioni repubblicane ormai attesa da almeno trent'anni. A quell'accordo seguì poi un Consiglio dei ministri, del 31 marzo 2014, in cui fu approvato il disegno di legge di iniziativa governativa, in particolare del Ministro delle riforme, Maria Elena Boschi, che dava avvio concreto all'idea delle riforme. Dobbiamo però oggi precisare, per la giusta considerazione del lavoro parlamentare, che quel testo a subìto molte modifiche; questo grazie all'ottimo lavoro svolto dentro e fuori le Aule parlamentari, in occasione della prima lettura al Senato, conclusasi nell'agosto del 2014, e soprattutto in occasione della prima lettura alla Camera, conclusasi nel marzo scorso.
  Queste non sono perciò solo le riforme di Matteo Renzi, non sono solo le riforme del Governo, sono riforme migliorate in maniera esponenziale grazie al confronto che vi è stato in Parlamento e soprattutto tra Partito Democratico e Forza Italia; un confronto purtroppo interrottosi, a mio Pag. 19parere, per un grave errore politico di quello che fino a pochi mesi fa è stato il mio partito. Mi spiego meglio. Se guardo alla composizione del Senato, vedo che il testo presentato dal Governo prevedeva un Senato composto dai presidenti delle regioni, dai sindaci dei comuni capoluogo, da due consiglieri regionali, a cui si sarebbero dovuti aggiungere 21 senatori di nomina presidenziale: un testo sbagliato. Il testo su cui oggi discutiamo, invece, grazie al lavoro fatto in Parlamento, prevede un totale di 100 senatori, di cui 95 eletti dai consigli regionali con una ripartizione regione per regione e cinque di nomina presidenziale; per cui, i sindaci eletti, anziché svariate decine, saranno solo 21. Un risultato del genere è stato raggiungibile solo grazie al canale diretto di dialogo che esisteva tra il Partito Democratico e Forza Italia; eppure, è inutile non considerare ciò uno straordinario successo proprio di Forza Italia: la prima proposta di legge a prevedere un Senato composto da 100 membri risale al 1996 e fu presentata dall'allora deputato Silvio Berlusconi.
  Anche l'innovazione sul quorum dell'elezione del Presidente della Repubblica lo si deve esclusivamente al lavoro parlamentare. Anche su questo, nella proposta del Governo, non c'era un'indicazione precisa. È bene ricordarlo: il Presidente dovrà essere eletto dal Parlamento in seduta comune con il sostegno di almeno i tre quinti dei votanti; in pratica, senza il concorso decisivo di almeno una parte dell'opposizione, sarà impossibile eleggere il garante massimo delle istituzioni repubblicane. Chi taccia di autoritarismo questa riforma dovrebbe prenderne atto. Purtroppo, però, alla seconda lettura del Senato, la riforma, a nostro parere, è stata leggermente peggiorata. Però, se oggi in quest'Aula si discute un testo peggiore, la responsabilità è proprio di chi ha fatto saltare quel percorso autorevole intrapreso nel gennaio 2014. Mi riferisco in particolare ai passi indietro fatti sul metodo di elezione del Senato voluti dalla minoranza del Partito Democratico e che non ci sarebbero stati se le opposizioni non si fossero smarcate. Con le modifiche al quinto comma dell'articolo 2, si è scelta una soluzione che non introduce l'elezione diretta, ma pone dei limiti a quella indiretta: una situazione complessa che rimanda la soluzione della questione alla legge bicamerale che dovrà entrare nel dettaglio. Non credo sarà facile sbrogliare questa matassa e, lo dico chiaramente, avremmo preferito la conferma del testo approvato in prima lettura.
  Negli altri Paesi, la cosiddetta elezione di secondo grado esiste in Germania, Spagna e Belgio, nella Camera alta, e certamente non si potrà dire che Germania, Spagna o Belgio siano Paesi antidemocratici. Però, nell'interesse del Paese, è comunque bene accantonare il bene per invocare il meglio. Per questo, nonostante alcune criticità che vanno riconosciute, il giudizio di Alleanza Liberalpopolare, alla fine, rimane decisamente positivo. Dopo un dibattito che si trascina da almeno trent'anni, arriveremo finalmente all'ammodernamento del sistema istituzionale, alla riduzione dei costi della politica, alla semplificazione del procedimento legislativo e alla ridefinizione delle competenze dello Stato e delle regioni. Un'esigenza, quest'ultima, resa più cogente dalla modifica del Titolo V imposta con una riforma costituzionale della sinistra del 2001 a colpi di maggioranza, e purtroppo dal referendum ideologico che nel 2006 annullò la prima vera organica riforma della Costituzione voluta dal centrodestra e approvata dal Parlamento. Dal 1982 ad oggi, dall'VIII legislatura fino alla XVII, nella storia repubblicana non c’è stata una legislatura in cui non si sia affrontato il nodo delle riforme costituzionali.
  Tutti i progetti di riforma, presentati o abbozzati, si sono posti il problema di giungere a una riforma della Parte seconda della Costituzione, partendo però sempre dagli stessi temi. Quest'Aula pone oggi, così, un altro tassello verso l'attuazione dell'ordine del giorno che l'onorevole Perassi presentò durante i lavori dell'Assemblea costituente, un ordine del giorno che in questa Assise, negli ultimi mesi, è stato più volte citato. Il combinato disposto della già approvata riforma elettorale e Pag. 20delle riforme costituzionali che stiamo oggi approvando in via definitiva ci consegnerà un Governo più stabile, perché sostenuto da una maggioranza certa ed omogenea, e un parlamentarismo senza degenerazioni, perché fondato su una netta distinzione dei ruoli tra una Camera titolare del rapporto di fiducia con l'Esecutivo ed un Senato rappresentativo delle regioni e degli enti locali.
  Questa riforma, però, non si limita a risolvere solo la questione della stabilità del Governo e degli eccessi del parlamentarismo: noi oggi scriviamo la parola «fine» sulla storia delle province; aboliamo il CNEL, un ente costoso di cui la maggioranza degli italiani ignora persino l'esistenza e che non ha mai esercitato quel ruolo propositivo nei confronti del Parlamento che i costituenti gli avevano affidato; oggi risolviamo anche la stortura delle materie concorrenti fra Stato e regioni, che tanto lavoro ha dato alla Corte costituzionale negli ultimi quindici anni, dopo la sciagurata riforma del Titolo V apportata nel 2001. Finalmente ridiamo alla competenza esclusiva dello Stato materie come la produzione e il trasporto dell'energia, le infrastrutture, le grandi reti di trasporto e, in particolare, mi permetta di citare il ripristino al potere dello Stato della promozione del nostro Paese nel settore del turismo. Tanti soldi spesi dalle regioni in Paesi che a mala pena conoscono l'Italia hanno contribuito a far arretrare il nostro Paese nella scala delle presenze turistiche; battaglie combattute da Basilicata o Lombardia contro manifestazioni di comunicazione di Francia, Spagna o Germania sono sempre state battaglie impari e le abbiamo sempre perse. Ora non sarà più così.
  Alleanza Liberalpopolare è nata proprio perché le riforme vedessero la luce, e tra le riforme quella costituzionale rappresenta sicuramente la più importante. Ci dispiace che a questo voto si opporranno alcuni deputati che hanno combattuto per anni battaglie comuni alle nostre, che trovano risposte anche in questa riforma della Carta fondamentale. Voglio leggere, a tal proposito, un documento che già conoscevo dai primi mesi del 1994: la nuova legge elettorale, il Mattarellum, pure ispirato al sistema maggioritario, non prevede meccanismi che consentano agli elettori di votare per un Governo, oltre che per un candidato e un partito, in modo da terminare o rendere automatica la formazione di una maggioranza, come avviene nella maggior parte dei Paesi democratici; la formazione o la dissoluzione della maggioranza governativa continua ad essere affidata ai mutevoli accordi o disaccordi tra i gruppi e i partiti in Parlamento, né sono stati introdotti nel sistema costituzionale strumenti di stabilizzazione che tendono a far coincidere la durata in carica del Governo con la legislatura parlamentare; occorre infine rivedere gli equilibri tra i rami alti delle istituzioni, in modo da rendere possibile la formazione di Esecutivi stabili ed efficienti. Queste parole, che ricordo risalire al 1994, sono parte integrante del programma elettorale che Forza Italia propose ai suoi lettori in vista della sua prima competizione elettorale, e proprio in quel programma, tra gli obiettivi da raggiungere, si poteva leggere: trasformare il Senato in una Camera delle regioni. Proprio per non cambiare idea, purtroppo, noi siamo stati costretti a cambiare il partito, ma citando chi ha voglia anche di cambiare dico: non è il compromesso il problema, ma il compromesso stesso è la vera morale della politica, come diceva Papa Ratzinger ai politici tedeschi.
  Per tutte queste ragioni, in coerenza con la nostra storia di uomini impegnati in politica, in coerenza con le nostri idee e i nostri valori, voteremo «sì» a questo legge di riforma costituzionale, come voteremo «sì», senza indugio, domani, al referendum confermativo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Andrea Maestri. Ne ha facoltà. Inviterei anche i colleghi a non voltare le spalle alla Presidenza, per una questione di cortesia istituzionale. Grazie. Prego, deputato.

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  ANDREA MAESTRI. Signora Presidente, Ministra Boschi, onorevoli colleghi, questa è la penultima occasione, prima del referendum, per opporsi a un disegno di revisione costituzionale che ha i tratti, ad un tempo irrisolti e drammatici, di un Picasso sfregiato dalla mano di un folle. Cercherò di lumeggiare, per farne l'ultima, pubblica, vibrata denuncia, solo i tratti più osceni di questa opera d'arte al contrario.
  Passeremo dal bicameralismo perfetto al bicameralismo differenziato, ma in realtà pasticciato, intermittente, eventuale. Tutto fuorché un serio superamento delle attuali criticità del law-making process. Avremo un Senato monstrum, a metà tra il dopolavoro regionale e il museo, quello che Renzi ha forse pensato davvero di insediare a Palazzo Madama. Assisteremo ad una forte compressione dell'iniziativa popolare sulle leggi con l'aumento da 50 a 150 mila delle firme necessarie. Avremo un articolo 97 dove giustamente ai principi tradizionali del buon andamento e dell'imparzialità dell'azione amministrativa si aggiungerà quello della trasparenza. Peccato, però, Ministro Boschi, che il combinato disposto con la riforma Madia sulla pubblica amministrazione disveli una grande ipocrisia proprio in tema di trasparenza dato che il diritto di accesso dei cittadini agli atti amministrativi a fronte dell'inerzia della pubblica amministrazione sarà subordinato alla presentazione di un ricorso al tribunale amministrativo regionale e al pagamento di un contributo unificato di 300 euro. Insomma, trasparenza a pagamento, Ministro Boschi, nonostante l'articolo 97 riformato. Avremo una ricentralizzazione di molte materie in capo allo Stato che l'articolo 117 collocava nell'alveo della competenza concorrente Stato-regioni. Ad esempio, la materia della produzione, del trasporto e della distribuzione di energia. Di fatto, si costituzionalizza la filosofia dello «sblocca Italia» piegando l'interesse pubblico a quello dei privati, delle cricche e delle consorterie in nome di un'accelerazione quasi futuristica e ossessiva dei processi decisionali. È sotto gli occhi di tutti che la politica oggi si limita ad emendare scelte prese altrove, dettate da portatori di interessi. E a questo sistema la riforma Boschi dà nientemeno che la copertura costituzionale. Arriveremo puntualissimi con tutti i cittadini di buona volontà all'appuntamento del referendum (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alternativa Libera-Possibile).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Segoni. Ne ha facoltà.

  SAMUELE SEGONI. Grazie Presidente. Presidente, membri del Governo, colleghi, questa riforma ci vede nettamente contrari ed è per questo che Alternativa Libera rimarrà in Aula a votare convintamente un «no» ad una riforma che svilisce e tradisce lo spirito stesso della nostra Costituzione, a partire dal metodo. Subito il dibattito politico è stato caratterizzato da un susseguirsi di prove di forza, colpi di maggioranza, fino ad arrivare ad un referendum confermativo che viene venduto o fatto percepire come un plebiscito pro o contro Renzi. Anche colloquiando con gli stessi parlamentari di maggioranza spesso viene fuori che non sono perfettamente convinti del merito della questione, ma è soltanto un discorso di cambiare, giusto perché è da tanto tempo che non si cambia, perché la Costituzione è vecchia e deve essere rinnovata. Quindi «un tanto per cambià» come si suol dire. Un cambio della Costituzione che viene effettuato da un Parlamento di nominati, un Parlamento eletto con un Porcellum, un sistema elettorale che prevede una scarsa rappresentatività della società, del Paese, della cittadinanza, dell'elettorato all'interno delle Camere, in cui, ad esempio, 2,5 milioni di elettori non sono rappresentati da nessuno qua dentro in Parlamento. Quindi, già da questo si capisce che le forze in campo che hanno operato per questa riforma costituzionale sono caratterizzate da un forte disequilibrio, da un forte sbilanciamento e il disequilibrio e lo sbilanciamento ritorneranno più avanti nel mio discorso a dimostrare come si sta nella sostanza cambiando la nostra Costituzione.Pag. 22
  Parliamo subito del Senato che spesso dalla maggioranza e dal Governo stesso viene descritto come il principale argomento per cui si fa questa riforma della Costituzione. Viene, diciamo così, venduto come una moneta di scambio all'opinione pubblica. Si dice che si va a limitare il Senato per ridurre i costi della politica, quando in realtà viene soltanto tagliato il numero dei senatori, quando tutto quel ramo del Parlamento, il Senato, l'istituzione, rimane. Rimane quindi tutto l'apparato, tutti gli uffici, la maggioranza dei lavoratori all'interno. Quindi i costi alla fine cambieranno di pochissimo. L'unica cosa che viene limitata non sono i costi, ma viene limitata la democrazia.
  Poi si è fatto in questo periodo tanto un parlare di bicameralismo e monocameralismo. Questa situazione ibrida che è stata partorita dalla maggioranza e dal Governo è stata definita a volte come un bicameralismo imperfetto, a volte come un monocameralismo imperfetto. L'unica cosa su cui c’è consenso sostanzialmente è l'imperfetto, l'imperfezione di questa soluzione, un vero e proprio pasticcio in cui il Senato, come detto, permane, esiste sempre come organo di secondo livello che è deputato a gestire un grande numero di temi, talvolta anche con dei tempi strettissimi. Per alcune questioni il Senato è chiamato ad esprimersi in dieci giorni. Ora ditemi voi come fa un ramo del Parlamento di secondo livello, quindi costituito da persone che essenzialmente di mestiere nella vita farebbero altro, come gli amministratori locali o come i lavoratori all'interno dei consigli regionali o delle giunte regionali, in soli dieci giorni a scendere nel merito delle questioni e a poter lavorare bene. Ecco, questa riforma predilige più la velocità, il poter lavorare velocemente, piuttosto che il fare le cose bene. E lo vediamo anche nel combinato disposto con la legge elettorale che genera una fortissima concentrazione del potere sul capo del partito a capo della Camera unica, la Camera dei deputati. Quindi, una grande concentrazione di potere nelle mani di una sola persona o comunque di un ristretto gruppo di persone.
  Si ha un'ulteriore riconferma di ciò nello svilimento degli organi di garanzia che diventano più facili da eleggere in modo da poter piazzare più agevolmente le proprie pedine all'interno delle istituzioni, dell'apparato istituzionale. Quindi, l'apparato istituzionale italiano ridotto a una sorta di Monopoli dove si vanno a fare sostanzialmente dei giochi di potere, dei giochi di forza e, per il tramite dello Stato e della Camera, l'uomo forte al comando va ad entrare in pieno titolo nella sala dei bottoni e si prende, tra l'altro, una grande quantità di bottoni da premere, una grande quantità di leve da spingere o da tirare, togliendoli ad altri organi dello Stato, strappandoli, per esempio, anche alle regioni e agli enti territoriali. E parlo, per esempio, delle energie, delle materie delle infrastrutture, dell'ambiente, dove lo Stato va a farla da padrone con questa riforma arrivando addirittura, non soltanto al livello delle competenze, ma anche mettendo in gioco una clausola che si chiama «la clausola di supremazia dello Stato». Sostanzialmente, per ritornare al discorso che facevo prima, si va ad accentrare tutto il decisionismo nelle mani di poche persone, nelle mani statali di uno Stato gestito da poche persone.
  Questo è concorde con il disegno che negli anni si è venuto a creare di allontanare le decisioni dai cittadini e dalle comunità e di spostarle sempre più lontano da essi. Tra l'altro, questo fatto di voler gestire in proprio, a livello statale, a livello di piccolo gruppo di potere, le materie dell'energia, delle infrastrutture e dell'ambiente è un po’ un leitmotiv di questo Governo Renzi che si è caratterizzato, nel corso della sua azione di Governo, per l'aver cercato, e a volte essere riuscito, a mettere in atto tutta una serie di scorciatoie per tagliare fuori dalle decisioni che impattano sui territori i territori stessi e per decidere tutto in ambiti molto ristretti, molto lontani dal territorio, come in sede di Consiglio dei ministri ad esempio. Questa è proprio una concezione Pag. 23che noi rifiutiamo, una concezione sbagliata, segno di una mentalità malata.
  È facile osservare che è molto più semplice disfare piuttosto che costruire, è molto più semplice alterare gli equilibri piuttosto che trovare un equilibrio perfetto, un equilibrio che fino a poco tempo fa a livello internazionale veniva riconosciuto alla nostra Costituzione. Ma il problema è proprio questo: abbiamo una classe politica che si fa vanto del disequilibrio, si fa vanto dello sbilanciamento in nome del decisionismo e del personalismo: c’è il mito del voler fare veloce, fare velocemente, decidere velocemente, piuttosto che bene, piuttosto che accuratamente, piuttosto che ponderatamente.
  Ecco che quindi questo Governo ci sta spingendo in discesa, in discesa a velocità folle, e io spero che il Paese si scuota da questo torpore, e capisca velocemente che sta andando nella direzione sbagliata: se così non fosse, ci sarebbe poi da dover, dopo essere andati in discesa in maniera così veloce, risalire una lunga e faticosa salita per tornare ad essere una nazione governata da istituzioni normali (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alternativa Libera-Possibile).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Daniele Capezzone. Ne ha facoltà.

  DANIELE CAPEZZONE. Signora Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, come Conservatori e Riformisti diciamo che è un tema che ci appassiona, quello delle riforme istituzionali, ma che ci delude profondamente per come è stato sviluppato. Lo diciamo con franchezza da subito: crediamo che su questo ci sia stato un grave errore di impostazione del Governo, che ha fatto perdere all'Italia un anno e mezzo inchiodando l'agenda politica e istituzionale prima all'Italicum e poi al Senato, con il pasticcetto che sta venendo fuori. Il Presidente del Consiglio disse che quella delle riforme era a suo avviso la password per sbloccare il sistema; e qui sta l'errore blu a nostro avviso: la password per sbloccare il sistema sarebbe stata un'operazione shock su tasse, spese e debito pubblico per rilanciare l'economia ed evitare il tunnel del declino; e invece si è perso l'anno buono, il 2015, in cui l'Italia avrebbe potuto usufruire di condizioni economiche esterne irripetibili.
  Dopodiché, venendo al merito, l'operazione complessiva tra Italicum e riforme istituzionali è pericolosa e sbagliata. Vedete, signori del Governo, in questa parte dell'Aula, qui fra noi Conservatori e Riformisti, non troverete cultori dello status quo costituzionale: anzi, riteniamo che tanta parte degli errori in particolare della sinistra italiana, siano derivati per decenni proprio da un approccio immobilista, e direi feticista rispetto alla Costituzione del 1946-48; e purtroppo, per le note ragioni storiche (comprensibile paura per l'eredità del ventennio fascista, eccetera), quella Costituente non fece tesoro della proposta di Calamandrei ed altri, di un vero passaggio al presidenzialismo e ad una Repubblica decidente: si scelse purtroppo una Repubblica dei veti, dei freni, della paralisi.
  Ora quindi, settant'anni dopo, che cosa si doveva fare a nostro avviso ? Andare al cuore del problema ! E cioè, prima scegliere lealmente una forma di Stato e una forma di Governo. Lo dico con semplicità: decidere se andare a Washington, se andare a Londra, se andare a Parigi, naturalmente adattando i vestiti e il modello al corpo che doveva indossarlo; poi, solo poi, scegliere un sistema elettorale. E invece si è fatto il contrario: Renzi non ha affrontato in modo limpido il tema della forma di Stato e della forma di Governo, ma lo ha fatto surrettiziamente, attraverso la legge elettorale. Morale: avremo ancora istituzioni deboli così com'erano, e invece avremo un partito fortissimo, che in ultima analisi potrà determinare tutto senza bilanciamenti e senza contrappesi, dal Quirinale alla Corte costituzionale; peraltro – e questo è il tema che voi stessi, nel vostro stesso interesse dovreste considerare – scaricando nel gioco interno delle correnti del partito vincitore contraddizioni Pag. 24pericolose, perché destinate ad essere affrontate non sul piano istituzionale, con adeguati checks and balances, ma con prove di forza extra-istituzionali, tra correnti di partito.
  Venendo ad aspetti più puntuali, noi abbiamo critiche di fondo. Intanto il Senato era meglio abolirlo, se si voleva fare una cosa chiara e seria; se non lo abolisci, allora, per elementari ragioni di democrazia, lo devi almeno eleggere: altrimenti avrai senza legittimazione democratica una seconda Camera, che diventerà fatalmente una contro-Camera, cioè un'Assemblea che, per acquisire rilievo politico, cercherà di contrapporsi sistematicamente alla prima Camera. Pensate se un giorno riconquisterà la maggioranza alla Camera il centrodestra: secondo voi cosa faranno al Senato le maggioranze regionali prevalentemente di sinistra ? Giocherebbero al gioco del veto, della contrattazione continua, del ricatto politico. Ma questo accadrà anche se vincerete di nuovo voi ! Ecco perché era migliore la nostra impostazione: o lo abolisci, quel Senato, o lo eleggi. E invece, ai tempi del Nazareno, il PD, e purtroppo anche pezzi di centrodestra, che ora strillano, combinarono questo capolavoro.
  Noi Conservatori e Riformisti in tutti i passaggi abbiamo proposto in positivo emendamenti per una vera transizione alla Terza Repubblica, tutti e sempre respinti; in particolare, tre temi centrali. Primo: proponevamo un tetto alle tasse e alla spesa in Costituzione, per stabilire, all'interno della Costituzione, che ci dev'essere un limite preciso al di là del quale la tassazione e la spesa pubblica non possono andare, perché dev'essere lo Stato a servire i cittadini e non viceversa. Prendo un minuto su questo. Nel 2011-2012 si inserì in Costituzione il principio del pareggio di bilancio; un solo liberale a quel tempo prese la parola, Antonio Martino, per esprimere perplessità, che ovviamente non furono ascoltate. Il Parlamento di allora dimenticò un principio di fondo: il tema non è il pareggio di bilancio, il tema è il livello a cui fai il pareggio di bilancio. Se fai il pareggio di bilancio con tasse e spesa oltre il 50 per cento, allora sei nella Bulgaria degli anni Settanta; se invece, come noi vorremmo, lo fai con tasse e spesa poco sopra il 30 per cento, massimo ad un terzo, allora sei in uno Stato liberale. Avete detto «no».
  Secondo tema: proponevamo il presidenzialismo, con l'elezione popolare diretta del Capo dello Stato, senza farlo eleggere dai partiti. La forma di Stato, la forma di Governo: avete detto «no».
  Terzo tema: dicevamo, Senato abolito o eventualmente elettivo. Avete detto «no».
  E ora arriva il referendum, che sarà ridotto ad un rodeo al quale il Presidente del Consiglio conta di arrivare accompagnato e assistito da una RAI alla venezuelana. Anche questo, signori del Governo, è un segno di arroganza e insieme di debolezza: sei debole nel Paese perché in economia non stai combinando granché, e allora che fai ? Occupi il potere, metti le mani sulle aziende di Stato, lottizzi la RAI peggio di tutti i tuoi predecessori (e non era facile fare peggio di tutti i predecessori, praticamente nessuno escluso), e cerchi di lanciare un referendum-plebiscito accompagnato da una RAI formato Caracas. Non so se vincerete, ma perderete comunque, perché qualunque sia l'esito del referendum, apparirà chiaro che si tratterà di un parlare d'altro, di una vostra PlayStation di palazzo rispetto alla reale situazione economica del Paese.
  Concludo, signora Presidente. Fra qualche anno sarà impietoso il confronto tra la Costituzione del 1946-48, della quale pure come ho già detto non siamo certamente adoratori, e invece questo pasticcetto. Nella Costituente del 1946-48 c'erano giganti a discutere, da De Gasperi a Togliatti, da Croce a Einaudi, da Nenni a Saragat a Calamandrei; stavolta, signori del Governo, questo prodotto costituzionale resterà come un sigillo di superficialità e incompetenza di questa classe dirigente, e mi spiace per voi, come lo ha ben definito Mauro Mellini, in particolare del suo nocciolo etrusco (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Conservatori e Riformisti).

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  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Rocco Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signora Presidente, l'Aula oggi è chiamata in ultima lettura a esprimersi su una modifica profonda della Costituzione. Io non ho alcuna difficoltà, avendolo sostenuto da sempre, signora Presidente, a dire che è un errore gravissimo produrre e attuare modifiche così profonde alla Costituzione, come è stata quella del Titolo V del 2001, come fu anche quella proposta dal centrodestra nel 2005-2006, e così come è questa volta: perché modifiche così profonde della Costituzione avrebbero avuto obbligatoriamente necessità di essere fatte, prodotte, come fu la Costituzione-madre, da un'Assemblea costituente. Un grave errore ci fu nel 2001, si continua a sbagliare anche oggi e sono errori di metodo che poi si riflettono nel merito. Noi abbiamo avuto le bicamerali, tutte fallite, le riforme a maggioranza, bocciate dal referendum, ma riteniamo che degli errori nel contesto delle riforme costituzionali siano stati fatti nel nostro Paese, perché si trattava di riforme prive di equilibrio, di equilibrio tra i poteri e di equilibrio nella gestione delle funzioni direttamente connesse con la vita quotidiana dei cittadini. Si è convinti, a proposito della legge costituzionale n. 1 del 1999 – quella che ha previsto l'elezione diretta dei presidenti delle regioni e che non è stata una riforma costituzionale che ha previsto solo la disposizione dell'elezione diretta dei presidenti di regione –, che sia stato un bene affidare al sistema delle regioni tutta l'autonomia che gli è stata affidata ? Perché rispetto al Titolo V, è ancora più federalista la riforma costituzionale n. 1 del 1999, con l'autonomia delle regioni a farsi le leggi elettorali, a farsi tutte le disposizioni che hanno ritenuto, regolamentari e non, in riferimento alla tassazione continua, che è stata in aumento, quella locale, e all'esplosione della spesa, con l'abolizione, soprattutto, dei controlli. La modifica del Titolo V ha creato più danni delle due guerre mondiali al nostro Paese e alla finanza pubblica, di questo ne sono tutti convinti; ha provocato una serie enorme di conflitti rispetto a tutta quella che è stata la situazione del decentramento dei centri di costo; l'autonomia, la responsabilità, signora Presidente, non c’è dubbio che è un valore, un valore assoluto, ma nel nostro Paese, in questi ultimi 22 anni, sono state recepite, l'autonomia e la responsabilità, da parte della periferia, con riferimento a tutto ciò che è pubblica amministrazione, non come responsabilità e autonomia nella gestione oculata delle risorse pubbliche, ma soprattutto come anarchia: ognuno ha potuto fare quello che ha voluto, tanto che non c’è nessuna difficoltà a collegare anche l'aumento dei fenomeni di corruzione a questo. L'unico federalismo che è andato in vigore, purtroppo, nel nostro Paese, non avendo fatto il federalismo vero, il federalismo fiscale, cioè vero, equilibrato, solidale, è solo il federalismo della corruzione. In tutto questo contesto, si è passati a questa riforma. Tra le situazioni che si sono previste si parla del superamento del bicameralismo perfetto, dell'accelerazione dei tempi di approvazione rispetto al procedimento legislativo; io non ritengo, leggendo il testo, che ciò possa accadere. Noi abbiamo semplicemente, con questa riforma – il Governo che l'ha proposta e la maggioranza che se l'approverà da sola, oggi, questa riforma – provocato una sola conseguenza, quella che il conflitto che c’è stato, a causa delle modifiche del Titolo V, tra le regioni e lo Stato e viceversa per situazioni a tutti note, si trasferirà nel nuovo Senato. La cosa più logica sarebbe stata, sia per la riduzione dei costi sia per dare un segnale vero di fine a tutta questa situazione di conflitto che sicuramente si innescherà, quella di abolire completamente il Senato. Quella sì sarebbe stata una riforma seria, non che noi facciamo rimanere una struttura che non si capisce che cosa dovrà fare. Una cosa accadrà sicuramente: che il conflitto che finora c’è stato tra Stato e regioni si trasferirà in quell'Aula, con regioni, comuni, enti locali e quant'altro che si contrapporranno comunque, perché quando ci sarà una legge di ristrutturazione Pag. 26e di contenimento di finanza pubblica, quell'Aula esprimerà parere contrario, sempre, e allora ci sarà sicuramente la continua situazione che si passerà dal bicameralismo perfetto al bicameralismo del ricatto, del baratto, perché questo accadrà, con un'unica vittima che è la tasca dei cittadini.
  È quello che, sempre, si è determinato in questi ultimi anni. Io credo che bisogna essere molto più trasparenti, da questo punto di vista, perché ieri, signora Presidente, lei era presente, ha seguito tutti i lavori dell'Aula, il Presidente del Consiglio, tra le note positive che ha citato, ha ricordato proprio quella del superamento della modifica del Titolo V. Io dico, invece, che si ingarbuglia ancora di più, perché sarebbe stato molto meglio definire le attuali competenze e ciò che accade tirarlo fuori per bene nella Conferenza Stato-regioni o nella Conferenza unificata. Sarebbe stato sufficiente quello. Adesso noi abbiamo tre livelli: la Camera, il Senato che non si capisce che cosa dovrà fare o come verrà anche composto ed eletto, e peggio ancora i governi che comunque si dovranno confrontare tra Governo centrale e governi regionali, all'interno della Conferenza Stato-regioni. Sono modifiche che non risolvono il vulnus principale che era quello di fare una riforma che doveva correggere le modifiche del Titolo V del 2001; non interviene in maniera decisa, in maniera pertinente, c’è qualche timido tentativo di centralizzare l'energia, ma di che cosa parliamo, signora Presidente, da centralizzare, e per bene, sarebbe stata la spesa pubblica. Da centralizzare per bene sarebbero stati i 110 miliardi del Fondo della sanità, dove la corruzione regna giorno dopo giorno e dove non si fa niente. Noi avremmo fatto sicuramente cosa saggia, nella modifica del Titolo V, se fossero stati reintrodotti i controlli preventivi sulla spesa pubblica; allora, sì, che, forse, qualche segno di cambiamento ci sarebbe stato. Perché l'abolizione dei controlli fatta, prima, in parte, dalla «Bassanini» e, poi, successivamente, dalla modifica del Titolo V, ha provocato l'esplosione della spesa nel nostro Paese, soprattutto quella a livello locale, con le addizionali che non ci si capisce più niente, tra regioni, comuni, le province stesse che questa riforma dice di abolire; bene, le province vengono abolite, ma dopo che sono state trasformate, dopo che sono stati presi in giro tutti, dopo che i costi continuano ad aumentare e dopo che la tassazione addizionale di competenza delle province sull'assicurazione delle auto è stata elevata al massimo, dappertutto; di questo noi dobbiamo parlare, altro che di riforma epocale. Non modifica assolutamente nulla, peggiora, dal punto di vista di queste situazioni che riguardano i rapporti e le funzioni svolte, senza avere nessuna certezza di miglioramento. E che dire poi ? Che il vero vulnus che c’è nel nostro Paese, rispetto a tutto quello che riguarda la rivisitazione della finanza pubblica, non è stato toccato per niente, è stato completamente eluso il problema dei problemi delle regioni a statuto speciale. Lo sappiamo perfettamente che le regioni a statuto speciale ricevono una valanga di risorse rispetto a tutte le altre in riferimento a delle modifiche che sono state apportate a suo tempo. Ora di tutto questo non si parla, non c’è niente, quindi, perché noi dovremmo dare l'apporto o consentire queste riforme ? Per questo la componente dei Conservatori e Riformisti è molto critica, perché non si tratta di una riforma necessaria del Paese, la si è voluta fare, ritengo che sia una riforma monca, perché non si è affrontato un altro problema, un altro tema, che non è solo caro al centrodestra ma è tipico delle democrazie moderne, che è quello del presidenzialismo; non si pone rimedio rispetto a tutto quello che riguarda gli altri aspetti principali dell'equilibrio dei poteri dello Stato all'interno di una riforma snella, di uno snellimento forte delle procedure. È per questo motivo, ma anche per i tanti altri che rispetto al merito sono emersi e per i tanti altri che emergeranno nel Paese, che la nostra posizione, quella dei Conservatori e Riformisti, così come ribadito, poco fa, anche dal mio collega Capezzone, è di netta contrarietà. Nel merito questa riforma è una riforma sbagliata, una riforma Pag. 27timida, una riforma di cui il Paese aveva, sì, bisogno, ma se fosse stata molto più profonda e più equilibrata (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Conservatori e Riformisti).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Ignazio La Russa. Ne ha facoltà.

  IGNAZIO LA RUSSA. Caro Presidente, cari colleghi, noi stiamo discutendo la riforma della Carta costituzionale che, oggi, giunge a compimento e questo dovrebbe essere, è, uno dei momenti più nobili di un'attività parlamentare; nella storia ci sono state addirittura rivoluzioni per ottenere la Carta costituzionale.
  Lo Statuto Albertino, nel 1848, assunse il significato di un cambiamento epocale: i cittadini cominciavano ad avere dei diritti. E, dopo la guerra, la nostra Costituzione volle riaffermare il principio di democrazia e di libertà che, nella fase tra le due guerre, era stato compresso in Italia, come in altri Paesi che avevano scelto una via totalitaria. Adesso, noi, dopo anni, dopo tentativi ripetuti, dopo bicamerali, dopo possibilità di imboccare strade diverse, arriviamo al grande evento, cambiamo la Costituzione.
  Ma, leggendo il testo, ci accorgiamo che è la prima volta che cambia il testo di una Costituzione, almeno in Italia, e va nella direzione opposta: anziché allargare i diritti dei cittadini, i diritti di partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, li restringe, li restringe inesorabilmente. Non solo, ma rende assai più complicato e più farraginoso un percorso legislativo che era dei nostri padri costituenti, sia pure con un bicameralismo perfetto che andava modificato, se non altro espresso con una scelta chiara e precisa. L'avete guardato, cari colleghi ? Sono sicuro che pochi di voi hanno guardato questa riforma nei dettagli.
  Se ci fossero Le Iene e ci interrogassero, non so quanti di voi saprebbero dire come è cambiato l'articolo 70. L'articolo 70 della Costituzione diceva testualmente: la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere, punto. Guardate quanto è lungo adesso: due pagine, due pagine ! E si dice che non c’è più il bicameralismo perfetto. È vero, c’è un bicameralismo inconcludente e confusionario, in cui, incredibilmente, sono sette le tipologie. Per una parte di materia resta tutto come è; per una parte bisogna che il 30 per cento dei senatori chieda di poter discutere anche loro; per un'altra parte, automaticamente, il Senato può intervenire; per una parte ancora, quella di bilancio, lo può fare entro quindici giorni, e non entro 30.
  Due pagine di dettato costituzionale, anziché due righe ! Ed era inevitabile ? No, bastava cancellare il Senato, bastava cancellarlo e sarebbero rimaste due righe: la funzione legislativa è esercitata dalla Camera dei deputati, punto. No ! E perché si è tenuto in piedi il Senato, per rispetto dei cittadini ? Magari ! Ci sarebbe stata una logica. Ma tutto si è tenuto in considerazione, tranne il diritto di partecipazione dei cittadini, perché il Senato c’è ancora, con qualche numero minore, ma con eguali, grossomodo, costi di struttura, con l'unica differenza che non sono più i cittadini ad eleggerlo, sono i consiglieri regionali.
  E, allora, cominciano i calcoli: chi ci guadagna in questa cosa ? Le regioni ? O i partiti che pensano di avere una maggioranza o un approccio consociativo nei consigli regionali ? Non lo sappiamo ! Sicuro, chi ci perde sono i cittadini, che non esprimono più i senatori, che continuano ad avere un peso rilevantissimo, rilevantissimo, nell'iter legislativo. Fosse solo questo !
  Il problema è che, se si mette insieme questa riforma costituzionale con la legge elettorale, che dà la possibilità di avere una grande maggioranza anche a un solo partito che per avventura avesse il 20 o anche, in ipotesi, meno del 20 per cento dei voti, voi capite che lo squilibrio a danno della partecipazione e a favore di una sostanziale dittatura oligarchica – che è assai peggio della dittatura di uno solo, che, come diceva Pirandello, almeno sa di essere uno e rispondere ai cittadini, non Pag. 28che io lo voglia o lo desideri –, che può approfittare del combinato disposto di questo nuovo testo costituzionale con il testo della legge elettorale e può disporre di una maggioranza che decide i componenti della Corte costituzionale, i componenti del CSM, che può avere un grandissimo peso nell'elezione del Presidente della Repubblica.
  Non può eleggerlo da solo, ma pensate adesso la difficoltà che c’è nel mettere insieme i partiti della coalizione, quando, invece, lì un solo partito, se solo aggiunge 90 senatori... non li può avere tutti e 90, ne avrà 50, quindi deve solo trovare 40 deputati, 40 deputati di un altro partito, e decide da solo anche il Presidente della Repubblica. Se non è uno stravolgimento dei diritti del cittadino questo, mi chiedo quale è ! Pensate che l'avvisaglia l'avevamo avuta con l'eliminazione delle province: è stato il tentativo, la prova.
  Avete presente, nell'anguria, che in certi posti fanno la prova per vedere se è rossa ? L'anguria è stata la provincia: hanno fatto la piccola prova, hanno estratto un pezzettino, hanno visto che i cittadini hanno accettato. Sono abolite le province ! Sono abolite ? No, solo che li eleggono i consiglieri comunali. E hanno fatto lo stesso, e stiamo facendo lo stesso, con i tempi ristretti, con l'assenza di vera empatia con l'opinione pubblica. Ma possibile che cambiamo la Costituzione e lo facciamo quasi di nascosto ? Dice Renzi: «poi ci sarà il referendum», che, badate bene, vuole trasformare in una specie di referendum pro o contro Renzi. Ministro Boschi, se così fosse, allora Renzi dovrebbe avere il coraggio di dire, come sta facendo con il referendum delle trivelle, che, se per caso quel referendum, anche se non è previsto, non raggiunge il 50 per cento dei partecipanti, la sua è una sconfitta.
  E, invece, lo dice perché sa che basta qualche voto, anche un solo voto a favore, nel silenzio di tutti gli altri, perché passi. Che altro tentativo volete che sia di, in qualche modo, cambiamento delle regole del rapporto democratico tra potere e cittadino. Vedete, c'era una proposta che abbiamo fatto, non con la pretesa che venisse approvata, ma con la pretesa che venisse almeno dibattuta e discussa seriamente – e mi rivolgo a lei, per questo l'ho sottratta ai suoi colloqui con il mio amico, Ministro alla famiglia, che è seduto vicino a lei – su cui lei ha aperto, l'altro giorno, in qualche modo, uno spiraglio, per subito richiuderlo, immagino.
  C'era una proposta, che avevamo fatto, che è quella voluta dagli italiani in maggioranza, dall'85 per cento degli italiani, dicono i sondaggi: è l'elezione diretta del Capo dello Stato, in cui, senza infingimenti, senza nuovi articoli 70, senza Senati fintamente aboliti, senza premio di maggioranza, venisse scelto il Capo dello Stato, anche solo con gli attuali, non pochi, poteri che la Carta gli riserva. Se ne è discusso in quest'Aula ?

  PRESIDENTE. Concluda.

  IGNAZIO LA RUSSA. La ringrazio, Presidente. Non se ne è discusso, perché in quest'Aula non stiamo cambiando la Costituzione per dare più potere ai cittadini, non stiamo cercando di renderli più partecipi alla vita pubblica, non stiamo cercando di garantire più diritti ai nostri concittadini: stiamo cercando di assicurare a chi oggi comanda e a una ristretta oligarchia la possibilità di continuare a farlo senza neanche avere la fiducia degli italiani.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Gian Luigi Gigli. Ne ha facoltà.

  GIAN LUIGI GIGLI. Signora Presidente, signora Ministro, siamo all'ultimo passaggio di un percorso che è durato alcuni anni e con il quale mettiamo mano, alla fine, al più corposo intervento di revisione della Costituzione negli ultimi settant'anni; praticamente, dalla sua creazione. Era una riforma costituzionale che forse poteva essere svolta per altre strade, ma che certamente era quanto mai necessaria. Necessaria perché, come da tutte le parti era stato ormai rilevato, il meccanismo Pag. 29del bicameralismo paritario aveva mostrato tutti i suoi limiti, limiti non già di costi, che sarebbero risibili, anche perché, come è stato detto giustamente, la struttura del Senato alla fine rimane in piedi, ed è quello il costo principale, ma ha mostrato i suoi limiti dal punto di vista invece della rapidità del processo legislativo, con rimandi continui, fino a veri e propri fenomeni carsici con i quali alcuni provvedimenti legislativi finivano per perdersi, salvo riapparire a distanza.
  Vi era poi certamente un problema non risolto del rapporto tra la rappresentanza e la governabilità di questo Paese, rapporto che aveva avuto numerosi momenti di tensione, numerosi momenti anche di contraddizione rispetto agli interessi generali del Paese e che aveva finito alcune volte per essere affrontato nel modo sbagliato, diciamo, dell'ostruzionismo fine a sé stesso o, all'inverso, attraverso l'abuso talora proprio dello strumento del decreto-legge. Infine, vi era l'esigenza di un regionalismo che andava completamente ripensato, perché certamente anche per oggettivi limiti nell'esercizio della funzione di governo regionale e anche perché la riforma del Titolo V del 2001 aveva mostrato la possibilità di dar vita proprio ad una serie di contenziosi infiniti, che avevano ingolfato la stessa Corte costituzionale, certamente era ormai un regionalismo che andava ripensato, anche se a nostro avviso altrettanto certamente esso non andava e non deve essere archiviato.
  Ora, le modalità e i contenuti della riforma, al di là della strada scelta, quella appunto dell'intervento attraverso una proposta forte dell'Esecutivo, hanno risentito certamente di alcune anomalie politiche di questa legislatura. L'inesistenza di una maggioranza politica in Parlamento si è tradotta in un patto con una parte dell'opposizione, quello che è andato sotto il nome di Patto del Nazareno, disdetto poi per motivi estranei al contenuto delle riforme a causa di un mutato approccio al tema da parte di uno dei contraenti di quel patto, le cui conseguenze abbiamo visto ancora ieri in quest'Aula.
  Come dicevo, dal punto di vista delle modalità e dal punto di vista dei contenuti, abbiamo purtroppo alcuni eventi che si sono prodotti che certamente forse avrebbero potuto trovare una migliore soluzione. Quanto alle modalità si è arrivati certamente alla fine del percorso con una situazione di conflitto globale, fino all'uscita ieri dall'Aula delle opposizioni, un conflitto tra Governo ed istituzioni, che hanno finito per paventare in maniera certamente esagerata e strumentale un rischio per la democrazia stessa e per la tenuta della democrazia in questo Paese.
  Quanto ai contenuti, abbiamo notato certamente debolezze e contraddizioni che, forse, se si fosse avuta la possibilità di una procedura più serena, di un confronto più sui temi e meno gridato, forse avrebbero potuto trovare una soluzione diversa e avrebbero troppo trovare soprattutto una migliore soluzione. Faccio solo alcuni esempi.
  Da parte nostra continuiamo a pensare che il ruolo del Senato, quale rappresentante delle istituzioni territoriali, avrebbe dovuto trovare un'altra soluzione, non già perché, come alcune forze politiche hanno richiamato, è uno scandalo in sé l'elezione di secondo livello, noi non ci troviamo nulla di scandaloso nel meccanismo delle elezioni di secondo livello, ma avrebbe dovuto trovare un'altra soluzione perché anche nell'attuale configurazione certamente essa pone un problema di rappresentatività. Il Senato non rappresenta fino in fondo le istituzioni territoriali che vorrebbe rappresentare, cioè innanzitutto le regioni, così come la scelta del sindaco-senatore ancor più appare priva di qualche elemento di rappresentatività.
  Più in generale resta irrisolto il problema di quale sia la persona o il corpo a cui i nuovi senatori risponderanno. Il problema che abbiamo ripreso più volte, anche con lei, sia in Commissione che in quest'Aula, della cosiddetta accountability, cioè a chi rendono conto i senatori. Resta irrisolto anche il tema della conflittualità tra gli impegni in consiglio regionale e quelli in Senato per i senatori-consiglieri e tra la guida di alcune grandi città, presumibilmente Pag. 30all'interno delle quali verranno scelti i sindaci-senatori e gli impegni appunto del Senato. Tuttavia, dobbiamo dire con molta chiarezza e molta forza che oggi un fallimento del percorso di riforma, in questa fase e in questo momento dell'evoluzione del processo, avrebbe il senso di una sconfitta generale della politica, di questa classe politica, di questo Parlamento, di tutti noi che a questo tema abbiamo in fondo dedicato il significato di questa legislatura e accrescerebbe, soprattutto, ancora di più il solco pesante che si è determinato nel corso degli anni tra le istituzioni e la comunità e tra i partiti e la gente comune. È nell'interesse generale dunque valorizzare gli aspetti positivi di questa riforma costituzionale, aspetti positivi che risiedono, come ho detto, certamente nella fine del bicameralismo perfetto e risiedono altrettanto certamente in una possibilità, per chiunque sarà chiamato alla guida di questo Paese, di esercitare la funzione di governo in una maniera che è certamente più all'altezza della situazione. Il tema della governabilità ha trovato una risposta forte e penso soprattutto al meccanismo del procedimento legislativo a data certa, che dovrebbe portare ad una effettiva riduzione della decretazione d'urgenza e al tempo stesso garantire quelle che sono le priorità del programma di governo. Poi è nell'interesse di tutti anche valorizzare il tentativo di ridurre l'ambito delle materie di legislazione concorrente.
  Dobbiamo, quindi, adottare un approccio realistico, valutare questi aspetti positivi pur avendo chiaro ai nostri occhi che in futuro potranno certamente essere ripensate, e dovranno forse essere ripensate, alcune soluzioni previste nel testo. In particolare noi riteniamo che sarà necessario rimettere mano ad alcuni aspetti; per il Senato, come ho detto ai problemi di funzionamento, ai problemi di rappresentanza, ai problemi di accountability, nell'attuale configurazione il Senato non corrisponde alle caratteristiche di un Senato dei territori e lo stesso Presidente Renzi ieri si è detto interessato ad una ridefinizione del meccanismo dei voti dei senatori secondo criteri di delegazione. Rimane poi ancora tutto il tema, più volte discusso anche con lei personalmente, di quello che sarà il futuro della Conferenza Stato-regioni, che vedremo se riusciremo a ridurre davvero a funzioni di coordinamento amministrativo.
  Occorreva ripensare il regionalismo, il riordino in senso centralista dei poteri e la scomparsa delle competenze concorrenti sono la risposta al sostanziale fallimento del regionalismo, ma non possono prefigurare l'assetto a regime in un Paese plurale come il nostro. Sarà dunque necessario configurare forme nuove e più audaci di regionalismo differenziato, fondate sul principio di autonomia responsabile, per le quali le esperienze delle regioni a statuto speciale, o almeno di alcune, possono costituire modelli validi. L'abolizione delle province inoltre, richiama il bisogno di definire i criteri per enti di area vasta tra i comuni e le regioni, che avranno comunque bisogno di esserci. Vi è l'esigenza di un equilibrio tra rappresentanza, pluralismo e governabilità.

  PRESIDENTE. Concluda.

  GIAN LUIGI GIGLI. Ho finito, Presidente. La questione riguarda l'intreccio tra riforma costituzionale e Italicum: vanno trovate soluzioni adeguate, o nel senso di una revisione della legge elettorale o nel senso di radicali riforme sul piano delle infrastrutture politiche e dei meccanismi della rappresentanza. Siamo convinti, infatti, che o si supera l'attuale forma di partito oppure «l'operazione premio alla lista» rischia di aprire un nuovo tipo di deficit di rappresentanza o addirittura di ritorcersi, come sottolineava l'onorevole Tabacci, contro magari chi l'ha immaginato. In conclusione, siamo di fronte a un passaggio necessario, e noi, senza tifoseria, ma senza nemmeno ostracismi e demonizzazioni, voteremo a favore di questa riforma presidenziale (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Solidale-Centro Democratico).

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  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Cristian Invernizzi. Ne ha facoltà.

  CRISTIAN INVERNIZZI. Signora Presidente, onorevole Ministro, membri del Governo e onorevoli colleghi, per una singolare coincidenza, così come anche la storia ci ha spesso abituato, l'Aula dalla Camera esprimerà un voto definitivo sulle riforme costituzionali proprio nel trentaduesimo anniversario dalla fondazione della Lega Lombarda. Trentadue anni fa Umberto Bossi, a cui va pubblicamente il ringraziamento da parte della Lega Nord per questo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con Salvini), proprio da un notaio di Varese decise di fondare, nel silenzio, nello scetticismo quasi totale, per non dire proprio totale, di tutta la classe politica di allora e dei grandi mass-media, un partito che, dopo trentadue anni, è ancora presente e che, allora come oggi, ha tra i suoi principi fondativi proprio quello di dare all'Italia – allora alla Lombardia, ma ancora oggi – un diverso assetto istituzionale, in grado di proiettare le nostre comunità nel nuovo millennio, quello che stiamo vivendo ora, con ha capacità di reggere, come sistema Stato, il confronto con i nostri più immediati competitori, che non sono – almeno fino ad oggi, speriamo che sia così anche nei prossimi anni – gli Stati africani o del Terzo mondo ma Stati quali la Germania, la Gran Bretagna, la Francia, insomma Stati che hanno un'organizzazione costituzionale stabile da decenni e che hanno dimostrato, anche in questo momento di crisi, chi meglio e chi peggio, di poter affrontare con una certa fiducia questo periodo e guardare con speranza al futuro.
  Oggi voi voterete – perché già vi annuncio che il gruppo della Lega Nord non parteciperà al voto finale – una Costituzione che nelle vostre intenzioni dovrebbe accompagnare l'Italia per i prossimi decenni, mentre secondo noi così non sarà. Soprattutto, questa Costituzione nasce male e, lo sapete anche voi prima di me, ciò ci fa pensare che questa legislatura non sarà l'ultima ad affrontare un tema importante come quello della riforma costituzionale. È una riforma costituzionale pessima, che ha anche una genesi assolutamente sbagliata. Stavamo parlando di storia (trentadue anni fa la nascita della Lega Lombarda), allora parliamo di storia più recente: poco più di due anni fa, 18 gennaio 2014, il patto del Nazareno, quando appunto nella sede dal Partito Democratico si incontrarono l'allora neoeletto segretario del Partito Democratico, Renzi, con il presidente di Forza Italia, alla presenza, secondo quanto riportato dai giornali, di Guerini e di Letta, e discussero di questa riforma costituzionale, qualcosa che, come tutti noi possiamo capire, ha qualcosa di sbagliato, perché una riforma costituzionale non nasce nel segreto di una stanza. Sarebbe tra l'altro anche bello e utile sapere, a distanza di due anni, quali furono effettivamente i termini dell'accordo dal patto del Nazareno, cosa si discusse effettivamente in quella stanza, cosa effettivamente Berlusconi e Renzi si dissero. Sarebbe bello saperlo perché, fino a prova contraria, siamo deputati della Repubblica e oggi siamo chiamati a votare il risultato di quell'accordo. Non lo sappiamo, non sappiamo cosa si dissero, e non sappiamo quale fu effettivamente il centro di quella discussione.
  Sono passati quasi due anni da allora e oggi il Presidente Renzi si vanterà – così come ha già iniziato a fare da tempo, o comunque da qualche giorno, anche perché obiettivamente il Governo esce da una settimana che potremmo definire eufemisticamente abbastanza difficile – del grandioso risultato portato a casa, unico nella storia repubblicana, di una riforma costituzionale. A parte il fatto che questo non è vero, lo diciamo anche al Ministro Boschi, che continua a ripetere che sono settant'anni che l'Italia aspetta questo momento. La XVII legislatura non è l'unica legislatura costituente che c’è stata in questi anni. Vorrei ricordare che nella legislatura 2001-2006 c’è stata la riforma portata avanti dall'allora maggioranza di Governo composta da Forza Italia e Lega Pag. 32Nord, e allora fu molto diverso. Chi è presente in questi banchi e allora partecipò a quella riforma può dirlo, e il metodo fu molto diverso. Innanzitutto, non vi fu un accordo segreto ma un accordo tra coloro che allora vinsero le elezioni, Berlusconi e Bossi, e i cittadini, che votarono un programma e, sulla base di quel programma, l'allora maggioranza portò avanti questa riforma.
  Oggi non è così, oggi siamo all'esito di un processo che definire imbarazzante per qualunque riforma di qualunque Costituzione sarebbe riduttivo. Abbiamo assistito a cambi repentini all'interno delle Commissioni: il Governo, il segretario del partito di maggioranza relativa ha cambiato i commissari all'interno delle Commissioni, perché i commissari, deputati eletti sulla base di una Costituzione vigente che non prevede il vincolo di mandato, probabilmente non avrebbero acconsentito a quanto il novello duca di Firenze, invece, insisteva di fare. Quindi, abbiamo visto un segretario di partito e Presidente del Consiglio prendersela direttamente con il proprio partito; abbiamo visto un Presidente del Consiglio schifare qualunque contributo da parte dalle minoranze. Ieri ho sentito, in sede di discussione sulle linee generali, esponenti del Partito Democratico accusare la minoranza – l'opposizione, sarebbe meglio dire – di non aver voluto partecipare al processo di riforma costituzionale, ma dico che, innanzitutto, al famoso patto del Nazareno non avete invitato nessuno se non Berlusconi (la Lega Nord, per esempio, non è stata invitata); in secondo luogo, in sede di discussione siete arrivati con un pacchetto già preconfezionato a firma Boschi e ci avete detto «prendere o lasciare»; gli unici problemi che sono nati, le uniche piccolissime modifiche le avete fatte semplicemente perché al vostro interno, all'interno del Partito Democratico, la minoranza ha battuto i pugni e poi si è portata a casa – l'abbiamo già detto in sede di discussione sulle linee generali, così come è stato ricordato prima – un accordo sull'elezione dei senatori che urla vendetta di fronte a qualunque costituzionalista mondiale, perché affermare che i senatori devono essere eletti sulla base del voto espresso dai cittadini è chiaramente una ripetizione. Ci mancherebbe altro, da chi dovrebbero essere eletti i senatori ? In che modo dovrebbero essere eletti, se non sulla base del voto dei cittadini ?
  Ma al di là di questo, onorevole Presidente, vorrei semplicemente spiegare perché non partecipiamo al voto. Innanzitutto, perché il Presidente del Consiglio, che viene in Aula e dice che con questa riforma costituzionale si gioca tutto, ci fa ridere; a noi della Lega Nord soprattutto, così come ai sessanta milioni di cittadini italiani, frega sostanzialmente zero del futuro politico del Presidente del Consiglio. Non è che a ottobre parleremo del fatto che la carriera politica di Renzi debba proseguire o meno. Speriamo che non prosegua, ce lo auguriamo tutti, e faremo di tutto perché questo accada. Ciò perché, l'ho già detto in Commissione, però lo ripeto anche qui, il Presidente Renzi non è De Gaulle. Il Presidente Renzi vorrebbe essere De Gaulle; il Presidente Renzi vorrebbe essere ricordato nella storia come De Gaulle, che traghettò la Francia dalla Quarta Repubblica alla Quinta Repubblica, ma il Presidente Renzi non ha la storia di De Gaulle, non ha il carisma di De Gaulle e sicuramente non avrà il futuro di De Gaulle. Gli piacerebbe, ma così non è. Mio nonno diceva e ripeteva sempre una legge di vita, cioè che i cimiteri sono pieni di persone indispensabili. Nessuno è indispensabile, men che meno oggi è indispensabile il Presidente Renzi e la sua democrazia decidente.
  Pertanto, visto che il Presidente Renzi pone come condizione per il proseguimento della sua carriera politica – mi avvio alla conclusione – il fatto che i cittadini italiani a ottobre o comunque questo autunno votino favorevolmente la sua riforma, noi ci sentiamo di consigliare una cosa: prenoti tranquillamente per questo inverno la settimana bianca a Courmayeur, ma non faccia affidamento sul volo di Stato quest'anno. Quest'anno a Courmayeur, Presidente Renzi, e noi faremo di tutto perché così sia, ci andrà con Pag. 33la sua macchina perché a ottobre noi faremo di tutto per far capire agli italiani che del futuro politico del Presidente Renzi, della sua maggioranza e di una Costituzione nata sul Patto dal Nazareno noi non sappiamo cosa farcene e noi ne facciamo volentieri a meno (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con Salvini).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie Presidente. Signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, Scelta Civica voterà a favore di questa riforma. Voterà a favore della riforma perché pensiamo che ne esca un assetto istituzionale migliore per il nostro Paese; non il migliore evidentemente perché come sempre quando si parla di questi argomenti è necessario discutere, è necessario il compromesso, sono necessari gli accordi politici. E questo processo legislativo che si conclude oggi è partito con un accordo politico, è partito con un accordo tra la maggioranza e un pezzo rilevante dell'opposizione rappresentato da Forza Italia a cui si devono anche una serie di modifiche al testo iniziale, modifiche in buona parte, da parte nostra come Scelta Civica, anche non condivise – penso alla modifica della composizione del Senato –, ma comunque modifiche che facevano parte del normale dibattito parlamentare. Abbiamo sentito, invece, poi ieri e sentiremo sicuramente nella dichiarazione di voto di Forza Italia la lamentela sul fatto che questo percorso si svolge con la sola maggioranza, con decisioni della sola maggioranza, senza l'opposizione. E questo sarebbe assolutamente lecito, sarebbe un tipo di argomento utilizzabile, se il dissenso, se la divisione delle strade tra maggioranza e opposizione, si fossero verificati sul merito. La realtà è che questa riforma era partita – e cito il senatore Romani nella sua dichiarazione di voto favorevole – da un alto accordo sulle istituzioni in un nuovo clima e si è arenato, si è bloccato sul fallimento di un tentativo di baratto che era «vedere Presidente della Repubblica-avere riforme». Ecco, nella Costituente nessuno ha pensato mai di condizionare il contenuto di una riforma alle alte cariche dello Stato. La realtà è che del tutto legittimamente Forza Italia ha deciso di uscire da questa discussione sulla base di questo solo argomento: Sergio Mattarella non era il giusto Presidente della Repubblica.
  Per quel che riguarda l'altra grande forte opposizione che si oppone a questa riforma, che è il MoVimento 5 Stelle, e che anch'essa ha accusato continuamente la maggioranza di non aver voluto discutere, la realtà è che l'impostazione del MoVimento 5 Stelle è stata fin dall'inizio contraria a questa riforma. Il Presidente Di Maio scrisse una lettera dicendo che il bicameralismo perfetto è un sistema virtuoso da preservare. Ora è evidente che la scelta in quel momento poteva essere quella di decidere che il bicameralismo perfetto andava mantenuto, ma era altrettanto evidente che se si vuole riformare un aspetto della nostra Costituzione che da sempre, fin dalla Costituente, è stato ritenuto un problema, non si poteva scendere a compromessi con chi di fatto era semplicemente contrario a qualsiasi riforma. Compromessi poi ce ne sono stati molti perché il testo uscito dal Parlamento è notevolmente diverso da quello che vi era entrato; in alcuni casi è migliorato, in altri no. Io spero che magari in futuro su alcuni aspetti si possa ritornare. Ma la contestazione che abbiamo sentito in questi giorni e in questi mesi sul processo, che sicuramente non è stato quello ideale, è stata dovuta fondamentalmente a due aspetti: al fatto che i due principali partiti di opposizione erano uno pregiudizialmente contrario e l'altro era favorevole, ma se n’è scordato per ragioni di puro interesse di parte.
  Venendo al merito, perché ho detto che questa riforma migliora l'assetto istituzionale ? Migliora l'assetto istituzionale perché elimina il bicameralismo perfetto, come è stato detto da tanti in questi Pag. 34giorni. E io credo che il tema non sia quello della velocità, ma quello dell'efficienza e della qualità della legislazione. Questa legislatura è uno spot per l'eliminazione del bicameralismo perfetto perché nel palleggio tra Camera e Senato quasi tutti i provvedimenti sono peggiorati per compromessi che si sono dovuti fare, non tra parti politiche, ma addirittura tra membri di Commissione dello stesso partito alla Camera e al Senato. È un assurdo ed è assurdo che qualcuno ancora pensi che quello sia un meccanismo virtuoso. Si modifica la composizione del Senato, si riduce il numero dei senatori ed è sicuramente un fatto positivo. Noi avremmo voluto, come Scelta Civica, un Senato, come molti altri, in stile Bundesrat. Il fatto che il Senato sia stato composto su base proporzionale in questo modo, ripeto, è un regalo, tra virgolette, dell'avvio della trattativa e dell'apertura all'opposizione. Ce lo siamo portato appresso. La scelta era: rinuncio e riparto o completo la riforma in un modo che non è quello ottimale. Noi pensiamo che sia meglio chiudere la riforma in un modo non ottimale che non modificare un qualcosa che non funziona e che è evidente che non funziona.
  Si è detto poi che la nuova struttura porta al Premier forte, al Premier dominante. Poco fa è intervenuto l'onorevole La Russa. La realtà è che la combinazione dell'Italicum e di questo sistema fa sì che per arrivare alla maggioranza per eleggere il Presidente della Repubblica in teoria a chi ha 340 parlamentari servirebbero 98 senatori e non è proprio facilissimo. L'introduzione dei tre quinti apportata al Senato per l'elezione del Presidente della Repubblica, che noi personalmente non abbiamo condiviso perché pensiamo che si rischi il blocco del sistema, però sicuramente conferma il fatto che qui nessuno può controllare l'elezione del Presidente della Repubblica, nessuno può controllare l'elezione dei giudici della Corte costituzionale. La situazione è se possibile più garantita di prima. Poi si dice: ma l'Italicum dà a chi vince il controllo assoluto sui parlamentari. La realtà è che l'Italicum dà a chi vince 240 parlamentari eletti con le preferenze. Il problema semmai è un problema di autonomia e schiena dritta dei parlamentari, ma su quella non c’è riforma costituzionale che possa intervenire.
  L'altro aspetto fondamentale della riforma è la modifica del regionalismo e dei rapporti tra Stato e regioni. Noi abbiamo sofferto per anni di un sistema impostato su delle norme sbagliate che andavano corrette. Il riportare il commercio estero, le infrastrutture, l'energia, il turismo, i beni culturali, materie importantissime, nel controllo dello Stato, l'introdurre la clausola di supremazia, sono cose che consentiranno a questo Paese di lavorare in maniera più efficiente. Voglio citare anche un contributo diretto di Scelta Civica: l'introduzione del principio di trasparenza della pubblica amministrazione in Costituzione. Mai come in questi anni c’è bisogno di trasparenza. Non c’è pubblica amministrazione, credo al mondo, che abbia più bisogno di trasparenza della nostra. Il Governo sta cercando di apportarne con l'introduzione di nuove norme, ma sancire a livello costituzionale questo principio è una cosa per noi fondamentale.
  Concludendo, questa riforma, come ho detto all'inizio, non è la riforma migliore possibile, non è in ogni suo aspetto la riforma che noi volevamo, ma cura due aspetti fondamentali del nostro sistema istituzionale, che sono quello del bicameralismo paritario e del rapporto Stato-regioni. Migliora nettamente il funzionamento delle istituzioni sotto questi due aspetti e per questo Scelta Civica voterà a favore (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 17,02).

  PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Pag. 35

Si riprende la discussione.

(Ripresa dichiarazioni di voto finale – A.C. 2613-D)

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Adornato. Ne ha facoltà.

  FERDINANDO ADORNATO. Signora Presidente, grazie. Signora Ministro, la prima volta che sono entrato in quest'Aula avevo un groppo alla gola all'idea del peso che la storia e quale storia e quanta storia era passata qui dentro. Dopo un po’ di anni ho imparato purtroppo a capire che la storia volentieri se ne circolava fuori da quest'Aula e solo raramente rientrava. Sempre di più tanto da creare una frizione tra questo Palazzo e i cittadini.
  Ma oggi no, oggi la storia torna a far capolino in quest'Aula e credo che chi voterà questa riforma debba sentire tutto l'orgoglio di questo ritorno della storia e dispiace che le opposizioni, al consueto atteggiamento antipolitico, abbiano oggi aggiunto un atteggiamento antistorico, che è ancora più grave, e abbiano deciso di uscire dall'Aula, dicendo che questa è una riforma improvvisata. Vediamo, improvvisata: che data vogliamo scegliere come inizio di questa discussione ? Lasciando da parte che il bicameralismo voleva essere superato già dai padri costituenti, ma più recentemente quale data vogliamo scegliere per capire se la discussione è improvvisata o no ? Il 1976, quando molti dicevano che Moro e Berlinguer, dopo il compromesso storico, avrebbero voluto dar vita a un nuovo sistema istituzionale ? Il 1978-1979, quando Bettino Craxi lancia l'idea della grande riforma dello Stato ? No, mettiamoci d'accordo sul 1983, quando istituzionalmente si insedia la prima Commissione Bozzi: 1983; trentatré anni, è una discussione improvvisata ? Dodici anni in più del regime fascista, tredici anni in più del regime napoleonico: è una discussione improvvisata e, perché non fosse improvvisata, l'Italia deve aspettare cento anni, dopo aver discusso, per varare una riforma ? Ma non solo finora ogni tentativo di riforma è stato ostaggio della guerra civile ideologica che ha diviso destra e sinistra nell'ultimo ventennio. La sinistra ha riformato il Titolo V per pochi voti, creando innumerevoli disastri che oggi questa riforma comincia a cambiare, contro la destra. Poi la destra ha fatto la sua riforma bocciata dalla sinistra nelle urne del referendum confermativo: una guerra civile e ideologica. Ecco perché oggi la storia fa di nuovo capolino, perché per la prima volta non si va a voti di maggioranza sinistra contro destra, ma si va a voti di una maggioranza che unisce forze plurali, forze diverse: le forze dei moderati insieme a quelle del PD e le forze dei moderati sono soltanto numericamente di meno qui in quest'Aula perché c’è stato il tradimento del patto del Nazareno da parte di Forza Italia, altrimenti anche numericamente si sarebbe verificata questa nuova evoluzione della storia in questa Aula. Inoltre tutte le opposizioni non sono uguali. Non posso non avere rispetto per la posizione di SEL perché riconosco un pensiero antico, uno storicismo di estremismo parlamentare al quale va il mio rispetto. È anche luciferinamente coerente la posizione dei Cinquestelle: essi puntano – lo dicono – al fatto che la recessione economica non venga superata e che alla recessione economica si unisca la recessione politica, mostrando la politica tutta la sua impotenza, perciò sono contro le riforme perché con le riforme la politica dimostra di non essere impotente e di poter cambiare questo Paese. Ma Forza Italia ? Forza Italia no, cari colleghi, non è comprensibile, non c’è coerenza ma non dico solo perché ha tradito il patto del Nazareno ma perché il suo atteggiamento ha tradito venti anni di battaglie dei moderati riformatori per cambiare la Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC)). Do you remember, Berlusconi ? Do you remember il sogno di cambiare l'Italia ? E Zagrebelsky che diceva: c’è un uomo solo al comando, cosa che dice ancora oggi. C’è un uomo solo al comando, c’è una deriva plebiscitaria: dico Zagrebelsky per dire un insieme Pag. 36di aree e di forze. E, se una volta Zagrebelski marciava contro Berlusconi, che tristezza oggi vedere che Berlusconi marcia assieme a Zagrebelski: come se Dubcek avesse marciato poi accanto a Breznev. Non c’è coerenza in questo. La verità, se vogliamo ragionare e non andare avanti a colpi di slogan, gli uni contro gli altri, è che la fine della prima Repubblica pretendeva un globale ripensamento delle nostre istituzioni e, invece, la montagna ha partorito topolini quando di destra, quando di sinistra e comunque senza aver risolto il problema. Non ci accorgiamo che la storia è uscita fuori anche perché il pensiero politico è diventato anoressico e invece la guerra del potere, la lotta per il potere è diventata bulimica. Sognavamo (vi ricordate, all'inizio degli anni Novanta) di andare tutti a Filadelfia insieme ai referendum di Mario Segni, a Londra, male che andava a Parigi. Ci siamo, invece, ritrovati in una Beirut di macerie, una libanizzazione della politica e della democrazia entrata in stato confusionale, in un caos sistemico. Credo che vada dato atto al Partito Democratico e a Matteo Renzi di aver posto un argine a questo caos sistemico, avendo creato quel PD che molti di noi – compreso chi parla – sognavano all'inizio negli anni Novanta.
  Bene, ma la riforma apre dei grossi problemi anche istituzionali. Noi non ci vorremmo limitare solo a superare il bicameralismo paritario e la forma di Governo con un presidenzialismo o un semipresidenzialismo: è ora di ripensare il numero delle regioni perché così la democrazia non funziona, si centralizza solo la burocrazia statale. Ma si apre – questo voglio sottolineare in questo momento per non dire cose che sono state già dette – un grande problema politico, cari colleghi e, Ministro Boschi, vorrei che lei ci riflettesse insieme a Matteo Renzi. Se noi facciamo questa riforma istituzionale – e la faremo perché il referendum sono certo che darà la vittoria – dobbiamo porci insieme un grande problema politico: non si esce da questo caos sistemico solo con la riforma istituzionale, ma si esce da questo stato sistemico anche se noi italiani siamo capaci di tornare a quel sogno di Filadelfia e di avere una vera democrazia dell'alternanza. Possiamo immaginare che il bipolarismo italiano sia oggi PD contro Cinquestelle ? Possiamo immaginare questo futuro ? Ieri mancava la sinistra perché era attardata in guerre ideologiche contro gli innovatori del centrodestra. Oggi manca la destra che sta nel buio più totale e non sa che fare contro gli innovatori che oggi, anche prendendo le stesse parole d'ordine, si sono trovati – questo è un merito di Matteo Renzi – dietro a Matteo Renzi. Ma ecco perché arriva il voto dei moderati, anche se pur numericamente recintato qui in Aula, ma non nel Paese, perché non credo che i moderati si dimenticano venti anni di battaglie quando moderati significava essere riformatori e perciò abbiamo fatto comitati per il «sì» che si batteranno insieme a quelli del PD per il referendum. Ma non si decide – questo voglio dire – con il referendum e con questa riforma il destino di un leader o il destino di un Governo o non si decide soltanto questo. Matteo Renzi fa bene in qualche misura a personalizzare – la politica è fatta anche così, non ci scandalizziamo – ma basta non ignorare che qui si decide il destino di una nazione, non di un leader o di un Governo soltanto e, se si decide il destino di una nazione, gli anni che andranno dal referendum al 2020 decideranno del nostro sistema se il bipolarismo sarà ancora una volta anomalo e Filadelfia resterà ancora una volta un sogno tra PD e Cinquestelle o, invece, se questa fiammella che noi oggi accendiamo votando questa riforma e poi votando il referendum, diventerà la fiamma vera di una democrazia dell'alternanza cioè il Partito Democratico, che finalmente ha saputo andare oltre la sinistra, come molti volevano, e un partito liberale, popolare, un soggetto moderato che sappia rappresentare l'altro lato dello schieramento politico. Solo in questo momento, solo allora la riforma istituzionale diventerà pienamente a regime, pienamente sistema, pienamente funzionalità democratica. Si decide il destino di una nazione e questa nazione è ancora a rischio. Berlusconi e Pag. 37Salvini da questo punto di vista, sono il vecchio, sono ormai omologati alla sinistra dei veti e dei tabù. Ecco che allora se pure – lo ripeto – vi sono numeri ancora non significativi o anche se alle prossime elezioni politiche resteranno non tanto significativi, bisogna sapere che piuttosto che maledire il buio che si è aperto nel centrodestra, è meglio accendere una candela. Ecco perché noi votiamo «sì», ecco perché voteremo «sì» al referendum perché accendiamo questa candela delle riforme; accenderemo la riforma al referendum, l'abbiamo accesa questa candela appoggiando il Governo Letta e rompendo gli schemi pregiudiziali contro un Governo di unità nazionale; l'accendiamo oggi perché io penso (e non credo di sognare) che la democrazia italiana un giorno avrà quello che merita: il Partito Democratico che sfiderà un grande partito liberal-popolare e il populismo sarà stato sconfitto dal senso di responsabilità nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC)).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato D'Attorre. Ne ha facoltà.

  ALFREDO D'ATTORRE. Grazie, signora Presidente, mi consenta innanzitutto di esprimere sconcerto e amarezza per quello che è avvenuto ieri, per l'atteggiamento del Presidente del Consiglio che è venuto qui, non ha ascoltato un intervento, ha preferito rimanere alla buvette mentre si teneva la parte conclusiva del dibattito e poi ha avuto la faccia tosta di dire che le opposizioni si erano sottratte al confronto. Credo che ci troviamo di fronte a un comportamento del tutto inadeguato per chi ha questa responsabilità istituzionale; è un comportamento che denota, chiarisce definitivamente, qualora ce ne fosse bisogno, l'idea del Parlamento che ha il Presidente del Consiglio.
  Non tornerò oggi sulle critiche di metodo e di merito che abbiamo fatto a questo iter di riforma; d'altra parte ieri il Presidente del Consiglio ha risposto a obiezioni che si è fatto da solo, non avendo partecipato al dibattito e quindi il confronto diventa anche difficile. Voglio solo dire una cosa: è stato davvero imbarazzante, credo per tutti, questo parallelo con i lavori dell'Assemblea costituente. Ora, credo che ciascuno possa misurare l'abisso di statura e di leadership tra quei personaggi che seppero distinguere la divisione rispetto al Governo, la diversa collocazione internazionale rispetto a un lavoro comune sulla Costituzione, rispetto all'atteggiamento di chi, in ogni passaggio di questo iter, ha minacciato i parlamentari di mandarli a casa se non si faceva come diceva il Governo. Voglio anche dire alla Ministra Boschi con tranquillità: lasciate riposare in pace Terracini e Dossetti (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà), non li scomodate con le citazioni forzate e anche un po’ sconclusionate, tornate alla vostra dimensione: questa riforma della Costituzione la state facendo con Alfano e Verdini (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà), questa è la vostra dimensione ! Lasciate stare in pace i padri costituenti. Il parallelo corretto ieri lo ha fatto il deputato del PD Ferrari quando, provando a difendere il suo partito dall'accusa di una riforma imposta dal Governo, ha detto non è una novità, c’è un precedente, il precedente del 2005, la riforma fatta dal centrodestra. Io voglio ricordare che cosa disse il centrosinistra in quella occasione, quali furono le parole con le quali chi intervenne a nome del centrosinistra concluse il suo intervento il 20 ottobre del 2005: «Ancora una volta, in questa occasione, emerge la concezione che è propria di questo Governo e di questa maggioranza, secondo la quale chi vince le elezioni possiede le istituzioni, ne è il proprietario. Questo è un errore, una concezione profondamente sbagliata. Le istituzioni sono di tutti, di chi è al Governo e di chi è all'opposizione. La cosa grave è che questa volta, vittima di questa vostra concezione, è la nostra Costituzione». Sono le parole pronunciate da Sergio Mattarella (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà) e lo dico non per tirare in Pag. 38ballo la funzione di terzietà e di equilibrio del Presidente della Repubblica, ma per misurare l'abisso che separa quella cultura delle istituzioni, che fu una delle cifre più alte dell'Ulivo e del centrosinistra, e la pratica e i comportamenti che voi avete messo in campo.
  D'altra parte un'amnesia diffusa sembra essersi imposta nel PD. Ieri ho interrotto il collega Sanna, mi è spiaciuto farlo, perché addirittura ha provato a dire che nel programma elettorale della coalizione Italia Bene Comune c'era un'idea quasi di un presidenzialismo, di un rafforzamento totalmente a favore dei poteri del Governo. Anche qui basterebbe leggere le carte. Leggo un estratto di quel programma che sì rivendico, onorevole Sanna; io ho dato una mano a concorrere, assieme ad altri, a scriverlo. Quel programma col quale anche lei è stato eletto scrive: «La sola vera risposta al populismo è la partecipazione democratica. La crisi della democrazia si combatte non con meno, ma con più democrazia, più rispetto delle regole, una netta separazione dei poteri, una vera democrazia paritaria e l'applicazione corretta e integrale di quella Costituzione che rimane tra le più belle e avanzate del mondo». Questo è il programma col quale anche lei Ministra Boschi è stata eletta nel 2013 (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà), altroché Costituzione che si attendeva di cambiare da settant'anni; questo è il programma con il quale tutti i parlamentari di Italia Bene Comune sono stati eletti !
  D'altra parte è vero quello che avete detto: questa riforma è effettivamente la madre di tutte le riforme che avete fatto, per il suo legame con la legge elettorale che sarà uno degli oggetti centrali sul referendum, lo ricordano i colleghi che hanno avanzato pesanti obiezioni sulla legge elettorale. L'unico modo per mandare in soffitta l'Italicum è sconfiggere questo disegno nel referendum costituzionale di ottobre. Ma lo è anche per il legame con le altre riforme economiche sociali. Infatti, per fare quello che avete fatto sul lavoro, sulla scuola, sulle concessioni autostradali, quello che avete fatto in materia di mancata tutela del risparmio pubblico, certo che bisognava indebolire il modello di democrazia partecipata previsto dalla seconda parte della Costituzione.
  Questo, sappiate, sarà il cuore della nostra campagna. Voi volete destrutturare la seconda parte della Costituzione, perché il vostro vero obiettivo è disattivare la prima parte, come avete mostrato concretamente con la vostra azione di Governo in questi due anni. E chi ha titolo, lo dico anche qui al collega Ferrari che rivendicava addirittura – ahimè – una continuità tra questa riforma e la lotta partigiana, chi ha pieno titolo politico, culturale e morale per rivendicare quell'eredità, l'eredità della Costituzione repubblicana e antifascista, mi riferisco all'ANPI, sarà schierato nei comitati per il «no» (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà) per impedire che questa riforma passi. Comincia una stagione diversa finalmente, comincia una stagione, a partire da domenica prossima, in cui la parola torna ai cittadini. Ieri abbiamo perfino ascoltato il Presidente del Consiglio che ha avuto la spudoratezza di rivendicare il fatto che la nuova riforma abbassa il quorum per la validità del referendum, nello stesso momento in cui invita i cittadini a non partecipare, invita i cittadini all'astensione. È dovuto intervenire il Presidente della Corte costituzionale, Paolo Grossi, insigne storico del diritto e faro della cultura giuridica italiana, per ricordarvi che cosa dice la Costituzione, che cosa dice l'articolo 48: il voto è un dovere civico, il voto è un dovere civico (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà) ! Prima di provare a stravolgerla questa Costituzione, provate a rispettarla. Domenica avremo un primo passo, avremo un primo test, in cui ci sarà un pronunciamento dei cittadini che non sarà certo soltanto sui temi importantissimi del referendum, la tutela del mare e dell'ambiente, una politica energetica che guardi al futuro e non al passato, ma sarà a questo punto, per quello che è emerso, anche un pronunciamento per la pulizia e Pag. 39la trasparenza della politica. Sarà anche un pronunciamento di un pezzo di società italiana che dice «no» alla vostra idea di politica e democrazia, quella che invita i cittadini a starsene a casa, perché così magari poi le vostre trattative con i petrolieri, con i banchieri, con i concessionari autostradali, con un pezzo di grande industria, riuscite a farle con più tranquillità (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico – Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà). Allora più trasparenza, più pulizia della politica ! Provate ad ascoltare Ministra Boschi la voce dei cittadini, provate ad ascoltarla e magari evitate anche nel momento in cui la magistratura sta lavorando di voler dare l'idea di ostacolare il lavoro dei magistrati, di introdurre una stretta delle intercettazioni. Il Governo pensi piuttosto a ritirare quell'emendamento vergogna – l'emendamento di Tempa Rossa, che si è rivelato del tutto funzionale agli interessi privati (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà), agli interessi privati di pochi.
  Quello che è avvenuto qui è chiaro, lo testimonia questo dibattito, quante voci critiche, perplesse abbiamo ascoltato anche nell'ambito della maggioranza, non c’è convinzione su questa riforma. Avete piegato i parlamentari, anche della maggioranza, semplicemente con la minaccia dello scioglimento anticipato della legislatura. Ma i cittadini, cara Ministra Boschi, voteranno per convinzione e con convinzione, si terranno la Costituzione repubblicana.
  Noi vi lasciamo qui a portare a termine questa prevaricazione del Governo sul Parlamento e ci impegneremo tra i cittadini, perché con la forza della partecipazione popolare si possa restituire centralità, dignità e autonomia al Parlamento; viva la Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà) !

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Brunetta. Ne ha facoltà.

  RENATO BRUNETTA. Signora Presidente, onorevoli colleghi, signori Ministri, noi diciamo «no» a questa riforma della Costituzione per ragioni che riguardano anzitutto il cuore stesso della nostra democrazia. Il Governo Renzi che si è intestato questo orrore ha usato la Costituzione contro se stessa, ha usato il voto di parlamentari che, a norma di sentenza della Corte Costituzionale, non dovrebbero sedere in quest'Aula, lei compresa, Ministra Boschi; ha usato questi parlamentari per modificarla. È come costruire il palazzo della democrazia truccando i calcoli del cemento armato, o meglio ancora, fare rinascere la Costituzione con una violenza, colpendola nella sua essenza. Ricordo che la riforma della Costituzione repubblicana comporta un esercizio di sovranità che necessita di un Parlamento autorevole, pienamente legittimato dal voto popolare, in grado di rappresentare democraticamente tutti i cittadini. L'attuale Parlamento è invece stato eletto in forza di una legge elettorale che la Consulta ha giudicato incostituzionale; tale circostanza, indebolendo significativamente la legittimità morale e politica del riformatore costituzionale, avrebbe dovuto indurre, signora Presidente, le Camere ad intervenire solo attraverso un'ampia condivisione dell'impianto di riforma. Come si fa a fingere di non capire ? Ripeto: il processo parlamentare, che ha fatto arrivare fin qui per l'ultimo voto questa riforma, è in se stesso lesivo dei valori fondanti che devono presiedere a un passo così decisivo della vita della Repubblica, trasformandolo in un atto eversivo, eversivo anche se per fortuna il popolo avrà il diritto di dire di «no». Questo articolo, il 138 della Costituzione, che prevede il referendum, è stato davvero una saggia uscita d'emergenza voluta dai padri costituenti e ci impegneremo perché questo accada, nonostante Renzi abbia voluto falsificare anche il significato del referendum, facendolo coincidere con se stesso, con un plebiscito sul suo nome. Nei fatti, questa riforma è diventata un ologramma di Renzi e noi ci impegneremo a farlo svanire. Certo, noi abbiamo un giudizio variamente negativo Pag. 40sui contenuti e il Presidente ieri si è vantato davanti a un'Aula quasi vuota di aver voluto, per una volta, entrare nel merito, ma il merito di una riforma costituzionale in un Paese democratico, signora Ministra Boschi, coincide con il metodo con cui si è arrivati ad elaborarlo: i contenuti esprimono la forma mentis di chi li ha voluti. Una minoranza nel Paese, che è maggioranza solo grazie a un furto di democrazia, denunciato dalla Corte costituzionale, e aggiungo anche da sessanta senatori eletti nello schieramento opposto, sta imponendo una riforma che, in congiunzione di una legge elettorale su misura, vuole dare un potere senza contrappesi a quella stessa minoranza che l'ha fatta votare dalle Camere senza averne il diritto. La Costituzione di uno Stato, di una Nazione, di un popolo, almeno in Occidente, riflette e deve riflettere valori condivisi dalla larghissima parte di quel popolo. Così è accaduto in Italia nel 1947, oggi vediamo accadere il contrario. Poteva non essere così, c’è stato un momento di questo processo di riforma che ha avuto un altro respiro e Renzi lo ha troncato, mi riferisco al Patto del Nazareno: il Patto del Nazareno si poneva infatti come soluzione ad un vulnus costituzionale venutosi a creare dopo la sentenza della Corte. Berlusconi e Forza Italia accettarono il ruolo di interlocutori, la legittimità di un processo di riforma costituzionale era così recuperata per la forza, non tanto dei numeri parlamentari, ma dei voti popolari. La rottura del Patto in sé, persino al di là delle versioni fantasiose fornite dallo stesso Renzi, la fine di quel Patto, per il fatto stesso che si è rotto, ha eliminato qualsiasi giustificazione morale e politica a questa riforma, rivelandone la natura strumentale alla corsa di un uomo solo al comando verso un regime sulla sua misura. E questa è diventata la riforma di una minoranza che è diventata maggioranza solo sulla carta, non per il volere dei cittadini. È vero, la Consulta ha fatto salvo l'attuale Parlamento, malgrado esso fosse stato eletto con una legge incostituzionale, ma non bisogna dimenticare su quali ragioni essa è pervenuta a tali conclusioni: non perché il Parlamento fosse legittimamente composto, ma perché, di fronte alla constatazione drammatica del vizio delle elezioni, un valore superiore sarebbe dovuto prevalere, quello della continuità dello Stato. Oggi, in discussione, è la legittimità storico-politica dell'operazione in corso, perché tale legittimità, se viziata, può corrodere il senso di appartenenza ad un comune destino politico del popolo italiano, quel destino che è scritto nella nostra Carta fondamentale, in cui tutti sono chiamati a riconoscersi.
  Per questo, intendiamo rispondere alla replica tecnica punto per punto del Presidente del Consiglio svolta ieri, con un'unica grande questione metodologica, signora Ministra Boschi: un Parlamento privo della legittimazione giuridica, politica e morale ci consegna una riforma viziata ab origine e di per sé già fallita, un Parlamento irrimediabilmente illegittimo ci consegna una Costituzione che divide, anziché unire, frutto di una serie di forzature politiche e regolamentari inaccettabili, che produrrà l'ennesima lacerazione, l'ennesima occasione di conflitto. Noi, signora Ministra Boschi, la nostra riforma l'avevamo fatta validare dal voto politico del 2001. E il tutto è ancora più grave, surreale e scorretto nei confronti dell'intero Paese perché avviene in un tempo in cui la democrazia è sospesa, con un Governo, il suo Governo, Ministra Boschi, con un programma, questo sì, che non è mai stato validato dagli elettori, con un programma di riforma costituzionale che non è mai stato validato degli elettori e che, oggi più che mai, mostra tutti i suoi conflitti interni, i ricatti che riceve dall'esterno e a cui consapevolmente soggiace, la sua incapacità di gestire la crisi e le vere questioni che attanagliano il nostro Paese.
  Davanti a una violenza costituzionale siffatta, Forza Italia non può che dire di «no» con fermezza e con semplicità. Il nostro «no» è a questo Governo, a questa maggioranza, a questa riforma, alla Costituzione ad immagine e somiglianza di un Presidente del Consiglio che non è il Presidente dei cittadini italiani, che non è il Presidente di tutti gli italiani. La Carta Pag. 41costituzionale di oggi e di domani deve continuare ad essere un patrimonio comune di tutto il popolo italiano, la Carta costituzionale deve essere e continuare ad essere la Carta di tutti. Per questo, il gruppo di Forza Italia non parteciperà al voto, con l'impegno solenne a sostegno dei comitati per il «no» al referendum, per mandare a casa il Governo Renzi e per tornare alla democrazia (La Presidenza consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della dichiarazione di voto. Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Danilo Toninelli. Ne ha facoltà.

  DANILO TONINELLI. La ringrazio, Presidente. Diciamolo subito: nell'intervento del Presidente del Consiglio fatto ieri, in mezzo alle tante inesattezze e alle tantissime falsità, una cosa è stata detta correttamente: era una giornata storica, una giornata storica non per il Paese, non per la democrazia, non per il Parlamento, come ha affermato il Presidente del Consiglio, ma una giornata storica per i banchieri...

  PRESIDENTE. Scusate, colleghi, nel defluire, se potete abbassare il tono della voce.

  DANILO TONINELLI. Una giornata storica, Presidente, per coloro che, grazie a queste riforme che accentrano il potere nelle mani del Presidente del Consiglio che va a braccetto con i poteri forti dei lobbisti, dei banchieri e dei finanzieri, potranno avere quell'emendamento più facilmente, potranno scrivere loro stessi quelle leggi. Quelle persone oggi festeggeranno questa riforma e, insieme a loro, sa chi festeggerà ? Festeggeranno i consiglieri regionali, coloro che prenderanno il treno dalla loro regione e verranno a Roma, in qualità di senatori che si vestiranno dell'immunità; festeggerà, ad esempio, quel Mantovani, festeggerà ad esempio quel Rizzi della regione Lombardia da cui provengo, che sono stati arrestati per reati contro la pubblica amministrazione e che, grazie alla casacca di senatori, verranno a Roma per l'immunità. Questa è una giornata storica, per queste persone è una giornata storica.
   Per questi motivi, Presidente, io non posso rivolgermi ai membri di questa maggioranza, che hanno il fucile puntato nei confronti della Costituzione; io mi rivolgo, Presidente, a quei cittadini – e sono tanti e sono milioni di cittadini – che credono nei principi fondamentali della nostra Costituzione, che si ricordano che cos’è la Costituzione, si ricordano chi l'ha scritta e perché è stata scritta, non per rubarci la democrazia, ma per darci la democrazia, per uscire da un periodo buio di violenza e di regime e per dare democrazia e libertà ai cittadini. Quindi, Presidente, piano piano, andiamo ad affrontare e a smontare pezzo per pezzo la retorica dei figli deformatori, che siete voi, dei nostri padri costituenti.
  Il primo punto: il Presidente del Consiglio e i figli deformatori affermano che questa revisione è legittima; stiamo attenti a chiamarla «revisione» perché riforma porta in sé un'accezione di cambiamento in positivo e questa è una regressione della democrazia e della libertà e non porterà sviluppo democratico sociale ed economico. Ebbene, «questa revisione è legittima». Ci sono tre punti e tre secondi per dire che questa revisione di un terzo degli articoli della Costituzione è illegittima: la prima motivazione è che la maggioranza che la propone e che si accinge a sparare col proprio dito sul pulsante «via dalla Costituzione» è illegittima ed incostituzionale nella propria composizione numerica. Perfino la prima firmataria, Presidente, la Ministra Guidi è un'abusiva: la sua poltrona di parlamentare, di deputata della Repubblica non è tale, perché lei è stata eletta con un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale, così come altri 148, principalmente del Partito Democratico. E arriva da lì quella riforma, arriva Pag. 42da una maggioranza incostituzionale. Come fa una maggioranza incostituzionale ad essere legittimata a cambiare le regole democratiche fondamentali del nostro Paese ?
  Vengo ora al secondo aspetto, Presidente. Questa riforma viene approvata grazie alla trasmigrazione di ben 250 parlamentari della Repubblica eletti con una casacca partitica, con un colore politico, e che sono passati da altre parti. È grazie ad uno di questi trasmigratori, tra l'altro condannato in concorso in corruzione e plurindagato, Verdini (e i suoi), che al Senato, pochi mesi fa, questa riforma è stata approvata in seconda lettura, approvata con i voti di un condannato che è stato eletto, tra l'altro, in un'altra forza politica e che poi è migrato.
  Terzo punto. Questo è un Governo sotto sfiducia, Presidente, un Governo sotto sfiducia per uno scandalo che ha la stessa portata di Tangentopoli e all'interno del quale ci sono parlamentari, come la Ministra Boschi, ci sono Ministri che si sono dimessi, ci sono consiglieri e presidenti di regione, sindaci, impiegati pubblici, funzionari. C’è di tutto e ci siete dentro voi ed è appena iniziato questo scandalo; si chiama «Trivellopoli», e voi avrete una mozione di sfiducia la prossima settimana e questo Parlamento, al Senato, non ha dato la possibilità di votare prima quella. Le sembra normale che oggi questo Parlamento voti definitivamente la riforma di 40 dei 139 articoli della Costituzione e magari domani chi propone questa modifica, schifosa e offensiva per la Costituzione, anche per la sgrammaticatura (è un antilingua, così come l'avete scritta), se ne vada a casa ? A noi sembra che non sia legittimo tutto questo.
  Il secondo aspetto, Presidente. «Questa revisione non tocca i principi fondamentali della nostra Costituzione, primo fra tutti la sovranità popolare». Come vi permettete, come si permette il Presidente del Consiglio di dire che non va a toccare i principi fondamentali ? Ma voi lo sapete che i senatori non saranno più eletti dal popolo ? E, quindi, non è stata toccata la sovranità popolare ? Non è stato toccato l'articolo 1 della Costituzione ? I senatori non sono più eletti dal popolo, ma i senatori sono nominati dai consiglieri regionali, che sono la classe politica più corrotta della storia della Repubblica ! E non è stata toccata la sovranità popolare...
  Con l'Italicum le liste sono bloccate, Presidente. I segretari di partito, capi politici, nominano il 75 per cento di coloro che occuperanno l'unica Camera politica che, se passa questa «deforma della Costituzione», rimarrà in vita. E non sono stati toccati i principi fondamentali della Costituzione ? Si sono innalzate da 50 a 150 mila le firme necessarie per le leggi popolari e voi avete il coraggio di dire che non sono stati toccati i principi fondamentali. Siete vergognosi !
  Il terzo aspetto è quello che il Presidente del Consiglio andò a sbandierare in diretta televisiva appena insediato: «Sino al 2014 si risparmierà un miliardo di euro». Ha poco da ridere la Ministra Boschi, c’è da piangere. Dunque, «si risparmierà un miliardo di euro». I soldi che si risparmiano sono zero, Presidente. Il Senato, con tutta la sua macchina burocratica, rimane in piedi e se ne spenderanno tanti in corruzione, perché coloro che diverranno senatori – l'abbiamo già detto – saranno quei consiglieri regionali tra cui, magari, ci sono persone sotto processo, indagate o addirittura condannate. E sa cosa succederà, Presidente ? Che queste cento persone – e la maggioranza assoluta fa 51 al Senato – terranno in mano Costituzione, legge elettorale, referendum e ordinamenti locali, perché su queste leggi fondamentali della democrazia c’è il bicameralismo paritario. Quindi, questi svenderanno un voto per una riforma della Costituzione e della legge elettorale, svenderanno un voto perché loro hanno, in quel momento, il coltello dalla parte del manico. Sono 51 persone, tra cui la maggior parte consiglieri regionali, che tengono in pugno la Costituzione. E secondo voi questo è un risparmio.
  Il quarto aspetto: «La revisione di questa Costituzione migliorerà la macchina pubblica rendendo più semplice ed efficiente il potere legislativo» affermano Pag. 43la Ministra Boschi e il suo compare, il Presidente del Consiglio Renzi. Presidente Boldrini, oggi l'articolo 70 della Costituzione è composto da una riga e mezza.
  Il vostro articolo è composto da 79 righe e il titolo è: «Formazione delle leggi». Si formano le leggi in dieci modi diversi; oggi si formano in un modo, domani se ne formeranno in 10. Si creerà il caos e nel caos ci si bloccherà ulteriormente, si regredirà nello sviluppo economico. Quando le imprese guarderanno alla finestra dell'Italia vedranno che le modalità per scrivere le leggi sono infinite e gli intralci del Senato, nei confronti della Camera, saranno infiniti. Sarà ancora più complicato produrre le leggi, più complicato scriverle meglio, in maniera più leggibile e comprensibile. Si bloccherà l'economia e si fermeranno ancora i diritti civili dei cittadini.
  Ma, allora, perché questa maggioranza di figli deformatori, questa maggioranza e questo Governo, che è talmente analfabeta costituzionalmente parlando, si fanno promotori di una riforma del patto sociale che lega i cittadini, del patto di convivenza sociale ? Perché l'hanno fatto ? Presidente, ci permettiamo di dirlo noi perché questa riforma è stata portata avanti, perché questa revisione è stata portata avanti per accentrare il potere, Presidente, per mettere il potere nelle mani di pochi, per permettere che l'emendamento «Tempa Rossa» diventi una prassi scontata, diventi un'immediatezza, per non permettere che la democrazia blocchi il processo decisionale di coloro che sono portatori di interessi dei potenti. Avete fatto 11 provvedimenti in un anno sulle banche; state facendo provvedimenti a favore delle compagnie petrolifere; non fate un provvedimento a favore dei cittadini e, limitando gli spazi di democrazia e accentrando il potere in pochi, voi cosa farete ? Fate in modo che quegli aiuti alla parte forte della società, che calpesta i diritti dei cittadini, sarà più facile portarli avanti.
  Il secondo motivo, Presidente, è un motivo subdolo, è un motivo vergognoso. Il motivo è lo stesso per cui avete scritto l'Italicum. Un vostro ex Viceministro in diretta televisiva affermava: «L'Italicum è stato scritto per non far vincere il MoVimento 5 Stelle». Ebbene, Presidente, questa deforma, questa revisione della Costituzione è stata scritta per non far governare il MoVimento 5 Stelle, perché al Senato ci sarà la maggior parte di consiglieri regionali del centrosinistra e di questa maggioranza che, quindi, non permetteranno al MoVimento 5 Stelle, che vincerà ugualmente le elezioni con l'Italicum, di governare al Senato e di poter intervenire sulla riforma della Costituzione, per far tornare migliori le cose, o sulla legge elettorale. Sono queste le motivazioni per le quali è stata effettivamente fatta questa modifica della Costituzione.
  Ma, signora Presidente, anche se questa maggioranza ha i soldi e l'informazione dalla sua parte, sta commettendo un enorme errore: sta sottovalutando i cittadini italiani, l'intelligenza dei cittadini italiani, dei milioni di cittadini italiani che hanno capito che questa vostra richiesta di modifica non porta a nulla. Saranno quei cittadini, che ad ottobre andranno alle urne, a votare contro questa riforma...

  PRESIDENTE. Concluda.

  DANILO TONINELLI. ... perché sanno perfettamente che questo non è un andare avanti, ma sono il peggiore conservatorismo e antipolitica che ci possano essere.
  Noi, Presidente – e concludo –, non vogliamo sporcarci le mani con questo obbrobrio e lo lasciamo votare solo a voi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Ettore Rosato. Ne ha facoltà.

  ETTORE ROSATO. Grazie, signora Presidente. Cari colleghi, care colleghe, con il voto di oggi si premia l'ambizione di quanti hanno creduto che si potesse cambiare davvero il Paese e lo si può fare partendo da quest'Aula, la stessa che 70 anni fa votò una Costituzione forte e giusta. Dire che quello che stiamo facendo Pag. 44sia un momento storico non è un abuso letterario. Questa è la conclusione di un percorso iniziato molti anni fa. «Il Senato dovrà essere trasformato in una Camera delle regioni», recitava la tesi n. 4 del programma dell'Ulivo del 1996; «i senatori dovranno essere e restare esponenti delle istituzioni regionali». Se quelle tesi per qualcuno sono valse allora, non si capisce perché oggi non valgano. Eppure, si è trattato solo di passare dalle parole ai fatti. Insomma, trasformare il Senato, mettere mano alla seconda parte della Costituzione, così come oggi facciamo – lo dico ai colleghi di Sinistra Italiana – era ed è un progetto di sinistra. Mai a sinistra qualcuno lo contestò veramente e oggi chi lo fa usa un pretesto per attaccare la maggioranza. Sì, un pretesto, perché abbiamo fatto una buona riforma, più condivisa di quanto abbiamo ascoltato ora.
  I punti cardine, infatti, sono stati fissati nella «commissione dei saggi» insieme alle altre forze politiche del centrodestra, come il dibattito che si è sviluppato e il voto finale che ne è seguito in prima lettura hanno potuto testimoniare.
  Lo aveva bene sottolineato, anzi rivendicato, Paolo Romani, nella sua dichiarazione di voto dell'8 agosto 2014, quando rivendicava il valore di una riforma scritta insieme; una collaborazione che, come sappiamo, poi svanisce non sul merito della riforma ma quando la destra non accetta più di votare il Presidente della Repubblica, un uomo delle istituzioni come Sergio Mattarella. Che sia una riforma condivisa lo testimoniano anche le tante modifiche apportate al testo, perché tra i milioni di emendamenti presentati abbiamo lavorato insieme per trovare le cose coerenti e condivisibili, a prescindere da chi le aveva presentate; non è certo questa la sede, ormai, per articolare il contenuto della riforma. Lo ha fatto molto bene il nostro relatore, Fiano, che ringrazio per la competenza e l'impegno che ha messo nel provvedimento, così come gli altri colleghi che sono intervenuti nella discussione sulle linee generali. Però, alcuni aspetti mi preme ribadirli: è una riforma che cambia profondamente le nostre istituzioni senza toccare i principi fondamentali e la forma di Governo; nessun potere in più al Presidente del Consiglio, nessuno, in nessuna formula, però via il bicameralismo, fiducia solo alla Camera, taglio di un terzo dei parlamentari – quello che si è sempre promesso e non si è mai fatto –, via il CNEL, le province, un nuovo rapporto tra Stato e regioni; nasce il Senato delle autonomie, vero luogo di rappresentanza territoriale, con eletti scelti direttamente dai cittadini, come scrivevamo nel 1996: consiglieri regionali che restano tali e fanno anche i senatori. È una riforma che, come PD, sentiamo veramente nostra. Non è solo nostra, certamente, ma è molto nostra. Consentitemi su questo di dare merito anche alle voci dissonanti interne al gruppo del Partito Democratico, che ci sono state, anche forti; queste voci e le modifiche che ne sono derivate hanno consentito di arrivare ad una sintesi più alta, che oggi tutti possiamo sostenere con più forza.
  Ciò premesso, so bene che non è una riforma perfetta; le riforme perfette non esistono, le riforme perfette restano nei cassetti, non arrivano mai all'approvazione. Ognuno di noi, dal proprio punto di vista, potrebbe scorgerne limiti e difetti, qui però ognuno di noi ci ha messo la passione e la competenza per costruire la migliore mediazione possibile. Per questo, fatemi anche ringraziare i presidenti delle Commissioni che si sono succeduti, il presidente Sisto e il presidente Mazziotti Di Celso, e con loro naturalmente tutti gli uffici del Parlamento che hanno lavorato, tutti gli uffici della Camera. Nel dibattito abbiamo sentito interventi e osservazioni appassionate, interventi di merito, alcuni condivisibili, altri meno; soprattutto in Commissione, abbiamo sentito molti interventi di merito appassionati, ognuno ci ha messo del suo. Ne porto e ne portiamo grande rispetto, anche per chi oggi è uscito dall'Aula. È il modo più bello di vivere la nostra Costituzione, lì proprio dove in essa si legge la difesa del pluralismo, della Pag. 45diversità, del dissenso, delle minoranze, prerogative e diritti che escono rafforzati dal nostro lavoro.
  Siamo un grande Paese che ha delle solide basi democratiche proprio nella Carta costituzionale, che oggi siamo qui a difendere, ad adeguare, in quello spirito che i costituenti hanno previsto. Anche per questo, ho un grande rammarico nel vedere i banchi vuoti di un pezzo delle opposizioni. È una scelta incoerente, proprio incoerente, rispetto al loro dovere di rappresentanza. Oggi, invece, c’è un riscatto della buona politica. Andiamo al voto dopo tante promesse mancate, sono state ricordate qui in tanti interventi. Andiamo al voto nella legislatura che è iniziata nell'incapacità di eleggere un Presidente della Repubblica e costretti a richiamare il Presidente Napolitano a questo incarico. Siamo qui anche per mantenere quell'impegno preso in quest'Aula, preso all'indomani della sua rielezione. Ci siamo arrivati con tanta determinazione e tenacia, in questi due anni di lavoro del Parlamento, dei nostri gruppi, come ha ricordato il Presidente Renzi nel suo intervento di ieri, ma anche del Governo, in particolare del Ministro Boschi; chi ha lavorato in Parlamento lo sa. Classe 1981, giovane e donna: in questi luoghi bisogna essere doppiamente bravi. Senza la sua competenza, la sua capacità di ascolto e determinazione oggi non saremmo a questo punto delle riforme.
  Adesso ci aspetta il responso dei cittadini. Lo avevamo detto dall'inizio del nostro percorso: ci vuole comunque il referendum. È il giudizio dei cittadini quello che conterà davvero; un giudizio sul merito, non sulla politica del Governo o sul Presidente del Consiglio; un giudizio su quello che noi oggi approviamo.
  Siamo certi che comprenderanno la posta in gioco: tenere fermo il Paese nel passato o permettergli di voltare pagina. Noi vogliamo voltare pagina e, nel voltare pagina, vogliamo stare a testa alta in Europa, guidando anche lì il cambiamento. Per questo, annuncio il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Giuseppe Lauricella. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE LAURICELLA. Presidente, avrei voluto esprimere in quest'Aula oggi le ragioni, la ratio e la natura delle scelte che ci hanno condotto al testo di riforma che ci accingiamo ad approvare, ricordando però sin d'ora che l'eventuale richiesta di referendum sposterà l'approvazione al momento del voto referendario, affidando al popolo la decisione finale. Condividendo e attendendomi alla decisione dei gruppi e nel rispetto anche della dichiarazione del mio capogruppo, le chiedo di essere autorizzato a consegnare il testo del mio intervento.

  PRESIDENTE. D'accordo (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Adriana Galgano. Ne ha facoltà.

  ADRIANA GALGANO. Signora Presidente, membri del Governo, voterò contro la riforma costituzionale, per molti motivi. Ne cito due per tutti, particolarmente significativi. La riforma contiene diversi pasticci: non cancelliamo il Senato, anzi manteniamo a una Camera non elettiva competenze importanti come quella europea, con la conseguenza di indebolire la nostra posizione in Europa, e non ne abbiamo certo bisogno; il nuovo testo è in diverse parti incomprensibile in italiano e rende incerto il diritto degli elettori. Cito, a titolo di esempio, il comma 5 dell'articolo 2: La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma. Colleghi, qualcuno di Pag. 46noi ha il coraggio di sostenere che in questo comma è chiaro e comprensibile che spetta agli elettori scegliere i consiglieri regionali che andranno a fare i senatori ? Io no davvero.
  Scrivere leggi che i cittadini comprendano con facilità dovrebbe costituire una condizione irrinunciabile perché possa essere loro imposto il rispetto delle leggi. Dovremmo sentirci obbligati prima di tutto dalla nostra coscienza a formulare sempre norme chiare e comprensibili a garanzia della stessa libertà dei cittadini, ma soprattutto in una Costituzione. Non lo abbiamo fatto e per me non è proprio possibile votarla. Altro che sentire orgoglio, caro collega Adornato, io sento il peso della molta normativa sgangherata con la quale opprimiamo tutti i giorni i cittadini e che adesso pretendiamo di elevare a Costituzione. Segnalo anche che, se avessimo voluto essere più veloci ed efficienti da subito, bastava fare la riforma del Regolamento della Camera e del Senato. Mi domando e vi domando: come mai siamo così restii ad utilizzare e potenziare la funzione legislativa delle Commissioni, che nei Parlamenti contemporanei è una delle vere chiavi di volta della velocità e dell'efficienza ? Si usano la velocità e l'efficienza per giustificare una compressione pasticciata dei diritti degli elettori, quando la velocità e l'efficienza le avremmo potute ottenere in altro modo molto più semplice. Così avremmo potuto concentrarci sulla qualità di ciò che facciamo, perché la qualità della politica e del suo operare è la vera sfida oggi per il nostro Paese. L'esperienza infatti insegna che velocità senza qualità crea spesso molti più problemi di quanti pensava di risolverne. Voterò quindi contro convintamente.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Eugenia Roccella. Ne ha facoltà. Colleghi, per favore, abbassate il tono della voce. Prego, deputata Roccella.

  EUGENIA ROCCELLA. Grazie Presidente. Io intervengo per portare in quest'Aula la voce dei cittadini che non sono in quest'Aula e che hanno riempito per due volte, prima a gennaio e poi a giugno, prima la piazza di San Giovanni e poi la piazza del Circo Massimo. La voce di questi cittadini, più di un milione, non è stata ascoltata nel merito, cioè nell'opposizione al testo di legge sulle unioni civili e oggi vorrei leggere il comunicato che è uscito da parte di Massimo Gandolfini, che è il portavoce del Family Day...

  PRESIDENTE. Mi scusi, però, deputata, non capisco l'inerenza di questo suo intervento con quanto stiamo trattando ora.

  EUGENIA ROCCELLA. Se mi lascia finire lo capisce perché è su questo. È una dichiarazione di voto anche personale. Allora, l'appello di Massimo Gandolfini, portavoce del Family Day e presidente del Comitato «Difendiamo i nostri figli» è questo: «Faccio un appello a tutti i deputati che hanno a cuore il futuro della democrazia in Italia: votate no alla riforma costituzionale. La recente vicenda dell'approvazione del DDL Cirinnà al Senato – io l'avrei definito più correttamente il DDL Renzi-Alfano-Verdini – senza che sia stato possibile un dibattito serio e rigoroso su una legge estremamente delicata e divisiva come quella sulle unioni civili induce a un comportamento di garanzia nei confronti della tutela del dibattito democratico parlamentare. Qualora passasse la riforma con un'unica Camera sentiamo l'enorme pericolo che leggi di grande peso etico e antropologico potrebbero essere approvate con un atto di imperio da parte del Governo. Pertanto, facciamo un forte appello a tutti i deputati perché si oppongano a una riforma che renderebbe di fatto il Governo decisore unico delle leggi dello Stato. La storia delle unioni civili sia di monito a tutti e per tutti». Ecco, personalmente e anche come rappresentante del Movimento Idea aderisco a questo appello e, quindi, voterò contro la riforma.

  PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

Pag. 47

(Votazione finale ed approvazione – A.C. 2613-D)

  PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
  Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge costituzionale, già approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato, approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal Senato, n. 2613-D, di cui si è testé concluso l'esame. Ricordo che per l'approvazione occorre la maggioranza assoluta dei componenti la Camera.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Carbone, Catania, Burtone, Di Salvo, Cassano, Vecchio, Dellai...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:
  S. 1429-B – «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione» (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato, approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal Senato) (2613-D):

   Presenti  370   
   Votanti  368   
   Astenuti    2   
   Maggioranza assoluta dei      
    componenti  316   
    Hanno votato  361    
    Hanno votato no   7.

  La Camera approva (Vedi votazioni – Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Area Popolare (NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia, Democrazia Solidale-Centro Democratico, Misto-Minoranze Linguistiche, Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie-ALA-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero e Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) – Liberali per l'Italia (PLI)).

  (I deputati Giulietti e Gasparini hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole).
  Colleghi, la seduta non è terminata e, dunque, invito a rimanere chi vuole rimanere e a defluire gli altri. Devo dare delle comunicazioni a quest'Aula.

Modifica nella composizione del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

  PRESIDENTE. Comunico di aver chiamato a far parte del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica il deputato Lorenzo Guerini in sostituzione del deputato Paolo Vitelli, cessato dal mandato parlamentare.

Modifica nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare.

  PRESIDENTE. Comunico che il presidente del gruppo parlamentare Misto, con lettera pervenuta in data odierna, ha reso noto che il deputato Matteo Bragantini è stato nominato vicepresidente del gruppo in rappresentanza della componente politica Fare !-PRI.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Mercoledì 13 aprile 2016, alle 15:

  Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

  La seduta termina alle 17,55.

Pag. 48

TESTO INTEGRALE DELLE DICHIARAZIONI DI VOTO FINALE DEI DEPUTATI RENATO BRUNETTA E GIUSEPPE LAURICELLA SUL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE (A.C. 2613-D)

  RENATO BRUNETTA. Signora Presidente, onorevoli colleghi !
  Votiamo no, noi diciamo no a questa riforma della Costituzione. Per ragioni che riguardano anzitutto il cuore stesso della nostra democrazia. Il Governo Renzi, che si è intestato questo orrore, ha usato la Costituzione contro se stessa. Ha usato il voto di parlamentari che a norma di Costituzione non dovrebbero sedere in quest'Aula per modificarla. È come costruire il palazzo della democrazia truccando i calcoli del cemento armato. O meglio ancora: vuole far rinascere la Costituzione con una violenza, colpendola nella sua essenza.
  Ricordo che la riforma della Costituzione repubblicana comporta un esercizio di sovranità che necessita di un Parlamento autorevole, pienamente legittimato dal voto popolare, in grado di rappresentare democraticamente tutti i cittadini.
  L'attuale Parlamento è invece stato eletto in forza di una legge elettorale che la Consulta ha giudicato incostituzionale. Tale circostanza, indebolendo significativamente la legittimità morale e politica del riformatore costituzionale, avrebbe dovuto abilitare le Camere ad intervenire solo attraverso un'ampia condivisione dell'impianto di riforma, senza scardinare il sistema della forma di Stato e di governo vigenti, cosa che invece non è avvenuta.
  Come si fa a fingere di non capire ?
  Ripeto.
  Il processo parlamentare che ha fatto arrivare fin qui per l'ultimo voto parlamentare questa riforma è in se stesso lesivo dei valori fondanti che devono presiedere a un passo così decisivo della vita della Repubblica, trasformandolo di fatto in un atto eversivo.
  Eversivo però fino a un certo punto, perché per fortuna il popolo ha diritto di dire no. Questo articolo della Costituzione che prevede il referendum è stato davvero una saggia uscita d'emergenza voluta dai padri costituenti.
  E ci impegneremo perché questo accada. Nonostante Renzi abbia voluto falsificare il significato del referendum, facendolo coincidere con se stesso, con un plebiscito sul suo nome. Nei fatti, questa riforma è diventata un ologramma di Renzi, e noi ci impegneremo a farlo svanire.
  Il referendum è il modo ex post con cui Renzi vuole legittimare la maniera antidemocratica con cui ha afferrato il timone del governo e ha imposto una riforma fatta per ribaltare l'idea stessa di democrazia parlamentare, trascinando il nostro sistema verso gravi rischi autoritari.
  Certo noi abbiamo un giudizio variamente negativo sui contenuti, e il presidente ieri si è vantato davanti a un'aula vuota di aver voluto per una volta entrare nel merito. Ma il merito di una riforma costituzionale in un Paese democratico coincide con il metodo con cui si è arrivati ad elaborarlo. I contenuti esprimono la forma mentis di chi li ha voluti.
  Una minoranza nel Paese, che è maggioranza solo grazie a un furto di democrazia denunciato dalla Corte costituzionale, sta imponendo una riforma che in congiunzione di una legge elettorale su misura, vuole dare un potere senza contrappesi a quella stessa minoranza che l'ha fatta votare dalle Camere senza averne il diritto.
  La Costituzionale di uno Stato, di una nazione, di un popolo almeno in Occidente riflette valori condivisi dalla larghissima parte di quel popolo, così è accaduto in Italia nel 1947. Oggi vediamo accadere il contrario. Poteva non essere così. C’è stato un momento di questo processo di riforma che ha avuto un altro respiro. E Renzi lo ha troncato.
  Mi riferisco al famoso Patto del Nazareno.
  Il cosiddetto Patto del Nazareno si poneva infatti come soluzione ad un vulnus costituzionale venutosi a creare dopo la sentenza della Corte. Berlusconi e Forza Italia accettarono il ruolo di interlocutori. Pag. 49La legittimità di un processo di riforma costituzionale era così recuperata per la forza non tanto dei numeri parlamentari ma dei voti popolari.
  Purtroppo, con il consenso dello stesso Napolitano, quando si è reso conto di poter contare sullo scisma di comodo e il passaggio al suo campo di 60 senatori transfughi, oltre che su numeri gonfiati alla Camera grazie al premio elettorale incostituzionale, Renzi si è tuffato nell'ultimo miglio della sua corsa. Ma chi sta vincendo questa corsa è dopato, è stato sleale. E ora toccherà al popolo mandarlo a casa.
  La rottura del Patto in sé, persino al di là delle versioni fantasiose fornite dallo stesso Renzi, la fine di quel Patto, per il fatto stesso che si è rotto, ha eliminato qualsiasi giustificazione morale e politica a questa riforma, rivelandone la natura strumentale alla corsa di un uomo solo al comando, verso un regime sulla sua misura.
  E questa è diventata la riforma di una minoranza che, grazie alla sovra rappresentazione parlamentare fornita da una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, è divenuta maggioranza solo sulla carta.
  È vero, la Consulta ha fatto salvo l'attuale Parlamento, malgrado esso fosse stato eletto con una legge incostituzionale, ma non bisogna dimenticare su quali ragioni essa è pervenuta a tali conclusioni. Non perché il Parlamento fosse legittimamente composto, ma perché di fronte alla constatazione drammatica del vizio delle elezioni, un valore superiore sarebbe dovuto prevalere: quello della continuità dello Stato.
  Questo Parlamento, insomma, è legittimato a funzionare solo in ragione dell'emergenza di salvaguardare la vita dello Stato. Ma se questa è la ragione, la legittimazione ad esistere del Parlamento attuale non è illimitata e piena. Il mandato parlamentare è dunque limitato a conservare lo Stato, e non può spingersi fino a cambiarne i connotati, con un violento colpo di mano di una minoranza che artificiosamente è divenuta maggioranza, mediante l'intervento costituzionale ai massimi livelli. Questo nei fatti si traduce in un tradimento del limitato mandato che, a seguito della sentenza della Corte, grava su questo parlamento illegittimo.
  Proprio sulla base di quanto affermato, oggi non sono solo in discussione questo o quell'aggiustamento tecnico, che peraltro hanno suscitato tante perplessità tra moltissimi costituzionalisti. Oggi in discussione è la legittimità storico-politica dell'operazione in corso. Perché tale legittimità, se viziata, può corrodere il senso di appartenenza ad un comune destino politico del popolo italiano: quel destino che è scritto nella nostra Carta fondamentale, in cui tutti sono chiamati a riconoscersi.
  Quindi intendiamo rispondere alla replica «tecnica», «punto per punto» del Presidente del Consiglio, svolta ieri in un'Aula in cui erano presenti circa 160 membri della sua claque personale, con un'unica grande questione metodologica: un parlamento privo della legittimazione giuridica, politica e culturale ci consegna una riforma viziata ab origine, e di per se già fallita; un parlamento irrimediabilmente illegittimo, ci consegna una Costituzione che divide anziché unire, frutto di una serie di forzature politiche e regolamentari inaccettabili, che produrrà l'ennesima lacerazione, l'ennesima occasione di conflitto, con l'aggravio che essa parte dai livelli apicali dell'ordinamento.
  E il tutto è ancora più grave, surreale e scorretto nei confronti dell'intero Paese, perché avviene in un tempo in cui la democrazia è sospesa, con un Governo con un programma che non è mai stato votato dagli italiani, e che oggi più che mai mostra tutti i suoi conflitti interni, i ricatti che riceve dall'esterno e a cui consapevolmente soggiace, la sua incapacità di gestire la crisi, e le vere questioni che attanagliano il Paese. La nostra mozione di sfiducia presentata al Senato contiene tutti questi elementi: elementi sui quali il Governo dovrà rispondere dinanzi ai cittadini italiani, gli stessi chiamati nel prossimo autunno a decidere il destino di questa riforma attraverso il referendum confermativo.Pag. 50
  Poche battute sui contenuti della riforma, su cui tanto è stato detto nel corso della discussione generale di ieri, e su cui tanto diremo nel corso dei prossimi mesi, per premettere agli italiani di comprendere a fondo perché è necessario votare no al referendum costituzionale.
  Se è vero che sull'equilibrio complessivo della riforma inciderà il meccanismo di elezione dei senatori che dovrà essere elaborato dal legislatore sulla base di una formula equivoca contenuta nel testo di riforma, è altrettanto vero che ancor più drammaticamente lacerante, fino a rasentare la crisi costituzionale, è la sommatoria tra riforma costituzionale e il cosiddetto «Italicum», ovvero la legge che regola l'elezione della Camera dei deputati.
  Questo «combinato disposto» ci consegna di fatto un sistema che sarà oggetto di contestazione perenne. L’«Italicum», infatti, aggiunge all'azzeramento della rappresentatività del Senato e al centralismo che depotenzia il pluralismo istituzionale, l'indebolimento radicale della rappresentatività della Camera dei deputati. E ne esce indebolita la stessa Costituzione. Un sistema complessivo che risulterebbe quindi privo di bilanciamento, ovvero di quei pesi e contrappesi necessari per garantire l'equilibrio politico istituzionale tra poteri, e tra le diverse forze politiche in campo, a piena garanzia del popolo sovrano.
  Non basta l'argomento del taglio dei costi, che più e meglio poteva perseguirsi con scelte diverse. Né basta l'intento dichiarato di costruire una più efficiente Repubblica delle autonomie, smentito dal complesso e farraginoso procedimento legislativo, e da un rapporto Stato-Regioni che solo in piccola parte realizza quegli obiettivi di razionalizzazione e semplificazione che pure erano necessari, determinando, senza valorizzare per nulla il principio di responsabilità, per contro fortissimi rischi di inefficiente e costoso neo-centralismo.
  C’è stato un momento in cui avevamo davvero sperato di dare avvio ad una grande stagione di riforme condivise, ma il dialogo con il Presidente del Consiglio si è rivelato nei fatti un percorso senza via d'uscita, ingabbiato nell'egoismo di Matteo Renzi, troppo impegnato a far quadrare la sua traballante maggioranza e il suo desiderio di controllo maniacale sul destino delle nostre istituzioni, a discapito di qualsiasi valore.
  Trasformando di fatto la discussione sulla riforma in una direzione del PD, o al massimo in una riunione di maggioranza, il Presidente del Consiglio ha lanciato un messaggio chiaro: il partito viene prima del Paese, la poltrona viene prima del Paese. Davanti a tale modus operandi, Forza Italia non può che dire «no»: con fermezza, con semplicità, il nostro «no» è a questo Governo, a questa maggioranza, a questa riforma, alla Costituzione ad immagine e somiglianza di un Presidente del Consiglio che non è il Presidente dei cittadini italiani. La Carta costituzionale di oggi e di domani deve continuare ad essere un patrimonio comune di tutto il popolo italiano; la Carta costituzionale deve continuare ad essere la Carta di tutti. Per questo, il Gruppo Forza Italia non parteciperà al voto, con l'impegno solenne a sostegno dei comitati per il «no» al referendum, per mandare a casa il Governo Renzi e per ritornare alla democrazia.

  GIUSEPPE LAURICELLA. Il disegno di legge che siamo, oggi, chiamati ad approvare in seconda lettura è frutto di un lungo e discusso percorso che ha visto modificare, in alcuni aspetti – anche radicalmente – l'originaria proposta presentata dal governo.
  Le modifiche apportate – grazie alla tenacia di quanti hanno sempre concepito questo compito con il senso di responsabilità istituzionale e dei principi costituzionali che ancora caratterizzano la nostra Costituzione – hanno evitato, almeno nei punti essenziali, una distorsione che avrebbe potuto dare effetti certamente negativi, sia sul piano della rappresentanza, sia sul piano delle garanzie.
  Voglio essere chiaro: mi rifiuto di stare al gioco di chi ancora oggi continua a qualificare ostruzionistica ogni posizione o ogni genuina forma di contributo. Almeno, Pag. 51per quel che è ed è stato il mio atteggiamento, ho soltanto cercato di suggerire e sostenere quelle correzioni che ho ritenuto essenziali per mantenere il nostro sistema nell'alveo dei principi democratici e delle libertà fondamentali, anche attraverso la salvaguardia dei diritti della minoranza parlamentare.
  Qui si sta parlando e stiamo modificando la Costituzione della nostra Repubblica e, dunque, non si tratta di essere fedeli comunque ad una posizione piuttosto che ad un'altra, ma si tratta di essere fedeli al principio democratico e alla dignità del nostro Paese.
  Si tratta anche – come ho tenuto a ripetere in ogni occasione – di pensare ad un sistema che garantisca il miglioramento e l'efficienza delle nostre istituzioni, ma pensandolo nell'interesse della maggioranza come della minoranza, sapendo che domani il rapporto potrebbe essere invertito e nessuno debba, a quel punto, pentirsi di non aver garantito il diritto e la capacità di condivisione delle minoranze, sia nell'azione di Governo, sia nell'azione degli organi di garanzia costituzionale.
  Quando tocchiamo temi come la rappresentanza, il ruolo delle due Camere, il modo di eleggere il Presidente della Repubblica e i giudici costituzionali, le competenze dello Stato e delle regioni, stiamo incidendo sul sistema fondamentale che regolerà la vita istituzionale dei prossimi decenni, con tutti gli effetti politici, economici e sociali, conseguenti.
  I nostri Padri costituenti, quando concepirono la Costituzione che oggi stiamo cambiando, non pensarono ad essi stessi o all'interesse di Governo contingente ma offrirono alle generazioni di allora e a quelle future un modello democratico, fondato sulla solidarietà e sulla libertà, che, insieme al sistema proporzionale, diede voce a tutte le parti politiche e sociali, dalle più grandi alle più piccole. Quel sistema pluralistico fece crescere l'Italia.
  Non so se, oggi, noi ci siamo riusciti. Lo vedremo. Lo spero.
  Siamo stati tutti d'accordo nel superare il bicameralismo paritario, prevedendo il rapporto di fiducia tra una Camera e il governo.
  Probabilmente, in nome della non condivisibile spending review istituzionale se applicata agli organi legislativi dello Stato, avremmo potuto diminuire il numero dei deputati a 530 e prevedere un Senato dimezzato, ma con membri eletti con sistema proporzionale e diretto, senza sbarramenti, ed altri di rappresentanza territoriale e di categorie (sull'idea suggerita a suo tempo da Ambrosini e da Mortati), facendolo divenire una camera in cui avrebbero trovato rappresentanza tutte le componenti politiche, sociali ed economiche, comunque fuori dal rapporto di fiducia.
  Avremmo potuto introdurre un sistema di rappresentanza e di espressione tipo Bundesrat, con voto unico.
  Abbiamo, per fortuna, superato – anche se non del tutto – la presenza dei sindaci, che l'esperienza francese ci aveva sconsigliato.
  In compenso, nei vari passaggi parlamentari, è migliorata l'identità del Senato, che in alcuni casi avrà gli stessi poteri legislativi della Camera.
  Non senza difficoltà, in nome della condivisione delle scelte che riguardano gli organi di garanzia costituzionale e politica, abbiamo restituito un ruolo alle minoranze nell'elezione del Presidente della Repubblica e non abbiamo modificato le vigenti norme costituzionali in tema di elezione dei giudici costituzionali, che, atteso il sistema elettorale introdotto, avrebbe altrimenti creato una potenziale prevaricazione da parte del partito di maggioranza.
  Non siamo, però, riusciti ad eliminare una incoerenza evidente: la presenza dei senatori di nomina presidenziale che nulla hanno a che vedere con un Senato di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Per senso di dignità istituzionale, avrei mantenuto soltanto gli ex Presidenti della Repubblica, spostandoli magari alla Camera dei deputati.Pag. 52
  Erano state suggerite altre modifiche, sempre nel segno dell'equilibrio del sistema. Per esempio, si era proposto di prevedere il divieto per il governo di porre la questione di fiducia su disegni di legge-delega presentati dal governo stesso: un modo per evitare che il delegato predisponga la delega e poi eviti ogni ingerenza del parlamento ponendo pure la questione di fiducia.
  Di contro, abbiamo evitato di introdurre espressamente nella Costituzione il «voto bloccato», prevedendo che dovrà essere il regolamento parlamentare a stabilirne modalità, limiti e omogeneità in ordine al disegno di legge del Governo, magari indicando anche il numero massimo di volte, cui il governo potrà ricorrere a tale procedura.
  Non abbiamo introdotto il controllo preventivo di costituzionalità sulle leggi ma siamo riusciti a prevederlo per le leggi che disciplinano l'elezione dei membri di Camera e Senato. Anzi, transitoriamente, tale controllo è previsto anche per la legge elettorale già entrata in vigore per l'elezione della sola Camera.
  Avrei preferito che in tema di autorizzazione alla ratifica dei trattati con l'Unione europea, oltre a prevedere l'approvazione delle due Camere, si fosse data la possibilità di richiedere un referendum «confermativo», in modo da far partecipare il Popolo in scelte di tale importanza che spesso, come abbiamo ormai compreso, sono passate senza la dovuta consapevolezza e con norme che hanno prodotto il sistema che oggi stiamo faticosamente cercando di cambiare. D'altro canto, mi auguro che siamo riusciti, comunque, a mantenere quel residuo di sovranità che ci possa far ancora resistere ai continui tentativi di annientare la volontà della rappresentanza e, dunque, del Parlamento. Insomma, spero che siamo ancora in tempo – e, soprattutto, consapevoli – per non cedere al sentimento di fastidio che a livello europeo si è espresso nei confronti dei Parlamenti, che si vorrebbe fossero ridotti a meri organi di ratifica delle scelte esterne, le loro.
  Lo richiamai, l'anno scorso, in commissione ma penso che vada la pena tenere presente il monito di Spencer, secondo cui «la funzione del liberismo in passato fu quella di porre un limite ai poteri del re. La funzione del vero liberismo in futuro sarà quella di porre un limite ai poteri del Parlamento».
  E per tali ragioni che – dovendola affrontare – preferisco avere una riforma della Costituzione discussa e costruita dal Parlamento, piuttosto che – come si era tentato nel 2013 – una riforma che, a seguito della manomissione dell'articolo 138, avrebbe esautorato il Parlamento, chiamato a quel punto alla mera ratifica.
  Infine, da partito di maggioranza non richiederei il referendum costituzionale, in quanto concepito quale strumento della minoranza. Ma se il Partito democratico dovesse comunque richiederlo, significherebbe spostare la definitiva approvazione della riforma, affidandola al Popolo direttamente al momento del voto referendario.

ERRATA CORRIGE

  Nel resoconto stenografico della seduta dell'11 aprile 2016:
   a pagina 88, prima colonna, alla ventesima, trentesima, trentaquattresima, trentottesima e quarantatreesima riga e seconda colonna alla terza, settima e decima riga, sostituire il numero «LII» con il seguente «LVII»;
   a pagina 88, seconda colonna, alla sesta riga, sostituire la parola «dell’» con la parola «all’».

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 1)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Ddl cost. 2613-D - voto finale 370 368 2 316 361 7 28 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.