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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 594 di lunedì 21 marzo 2016

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PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 12,30.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  RICCARDO FRACCARO. Segretario, legge il processo verbale della seduta del 18 marzo 2016.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Rigoni, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Tabacci, Valeria Valente, Velo e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, recante misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio (A.C. 3606-A) (ore 12,34).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3606-A: Conversione in legge del decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, recante misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio.
  Ricordo che nella seduta del 23 febbraio 2016 sono state respinte le questioni pregiudiziali Paglia ed altri n. 1, Pesco ed altri n. 2, Busin ed altri n. 3 e Laffranco ed altri n. 4.

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(Discussione sulle linee generali – A.C. 3606-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Giovanni Sanga.

  GIOVANNI SANGA, Relatore per la maggioranza. Grazie, signora Presidente. Il provvedimento legislativo di cui oggi iniziamo la discussione generale si articola in quattro parti: la riforma delle BCC, la garanzia sulle cartolarizzazioni delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi, la gestione collettiva del risparmio. I tempi non mi consentiranno una trattazione compiuta, lascerò pertanto agli atti la relazione integrale, della quale chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).
  Le banche di credito cooperativo, o casse rurali, rappresentano nel nostro Paese una grande storia di intelligenza creativa, di dinamismo sociale, di protagonismo comunitario. Le origini risalgono alla fine dell'Ottocento e riprendono alcune esperienze sviluppatesi in Germania per iniziativa di Federico Guglielmo Raiffeisen, borgomastro di un piccolo villaggio montano. In Italia, la prima cassa rurale viene costituita nel 1883 a Loreggia, in provincia di Padova, e sul finire del secolo la presenza si diffonde in diverse regioni. A questo contribuì non poco l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, un vero manifesto dell'impegno sociale dei cattolici dell'epoca, a cui si ispirarono molti dei fondatori. Alla fine dell'Ottocento si contavano in Italia più di 900 casse rurali: è nelle campagne che il fenomeno si radica fortemente, per sottrarre i coltivatori alla piaga dell'usura e garantire il finanziamento alle attività agricole.
  Il modello del credito cooperativo, fondato sulla mutualità e sulla forza dei legami comunitari, attraversa la storia del Novecento con alcune tappe significative: dopo il fascismo, con la Costituzione, dal 1948, l'articolo 45 riconosce il ruolo della cooperazione con finalità mutualistica; nel 1950 si costituisce la Federazione delle casse rurali e artigiane, per dare rilancio alle esigenze di un Paese alle prese con la ricostruzione postbellica; nel 1993, con il Testo unico bancario, le casse rurali si trasformano in banche di credito cooperativo: alla base permane il fondamento della mutualità, che si fonda sul principio della reciprocità in una visione di lungo periodo e intergenerazionale.
  Ho voluto fare questi richiami per sottolineare ulteriormente l'importanza della riforma che stiamo attuando, significativamente per ribadire, come è già emerso nel corso delle audizioni che abbiamo avuto, che siamo ora nel terzo tempo di vita del credito cooperativo, un tempo che porta i segni profondi di una recessione che ha cambiato il nostro modo di fare impresa, ha modificato alcuni connotati della nostra vita sociale e trasformato il contesto economico.
  Negli anni della crisi, il prodotto interno lordo italiano ha perso il 9 per cento, gli investimenti fissi lordi si sono ridotti di circa il 30 per cento, la produzione industriale ha registrato un calo del 25 per cento. Forti sono state le ricadute sul sistema creditizio, con un incremento delle sofferenze, delle perdite su crediti e con riflessi inevitabili sulla redditività del settore. Precedentemente alla crisi, l'attività delle BCC cresce significativamente: tra il 1995 e il 2008 i finanziamenti alle piccole imprese aumentano di quasi 9 punti, mentre i prestiti alle famiglie di 3 punti. Alla base di tutto questo vi sono, certamente, la profonda conoscenza dei mercati locali, la capacità di valutare il merito creditizio e quella di rispondere con tempestività ed efficacia alle esigenze della clientela.Pag. 3
  Poi, la tensione sui mercati finanziari e la difficile congiuntura cambiano radicalmente questo scenario. Negli anni dalla doppia recessione, che ha segnato pesantemente il nostro Paese, le BCC hanno saputo svolgere un ruolo insostituibile, divenendo spesso l'unico riferimento di piccole aziende e di intere filiere produttive in difficoltà: aziende e filiere condizionate dalla domanda interna, non in grado di porsi sui mercati internazionali, che hanno pagato in questi difficili anni un prezzo alto con conseguenze a volte letali.
  La crisi porta tutta la regolamentazione italiana ed europea a spingere in direzione di un rafforzamento patrimoniale del sistema bancario, al fine di aumentare la capacità del sistema stesso di far fronte, con mezzi propri, ai rischi dalla congiuntura. Il modello delle BCC appare, in tal senso, particolarmente esposto, anche se esprime nei numeri dell'articolazione territoriale ancora grande vitalità: 365 banche di credito cooperativo, 4403 sportelli presenti in più di 2700 comuni, circa 37 mila dipendenti, più di 1 milione e 200 mila soci, il patrimonio complessivo delle BCC si attesta a più di 24 miliardi.
  Il Governo, già lo scorso anno, nel corso dall'emanazione del decreto-legge di riforma delle banche popolari, aveva espresso la volontà di avviare al più presto un percorso di innovazione del settore: la scelta, a mio avviso saggia, di un forte coinvolgimento dei rappresentanti del mondo delle BCC e della cooperazione nel suo complesso ha dato i suoi frutti e ha consentito di arrivare, oggi, a un testo condiviso. Penso si possa parlare di un processo di autoriforma, che ha trovato, nel Governo e nel Parlamento, degli interlocutori aperti, che hanno raccolto le istanze più significative, a seguito di un confronto durato diversi mesi. Non si poteva più rinviare un intervento teso a sostenere la competitività, la redditività e la stabilità di un sistema, che, singolarmente, le banche di credito cooperativo non erano più in grado di garantire, vuoi per la loro dimensione strutturale, vuoi per la forma giuridica e quella di cooperativa mutualistica.
  I capisaldi della riforma si possono così sintetizzare: salvaguardia del principio di autonomia della singola BCC, con l'attribuzione all'assemblea dei soci delle singole banche della facoltà di poter nominare i propri organi sociali; rafforzamento della mutualità, con il coinvolgimento dei soci il cui numero minimo passa da 200 a 500 e con l'innalzamento del capitale detenibile dal socio da 50 mila a 100 mila euro; consolidamento della dimensione della cooperazione nel suo insieme, attraverso l'appartenenza del gruppo BCC, condizione necessaria per poter esercitare l'attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo, attraverso il controllo della capogruppo da parte delle BCC stesse, le quali devono detenere la maggioranza del capitale della capogruppo Spa, attraverso la sottoscrizione del contratto di coesione, che disciplina la direzione e il coordinamento dalla capogruppo sul gruppo; e poi il rafforzamento dell'intero sistema, con una soglia minima di patrimonio netto prevista per la capogruppo, che deve essere di almeno un miliardo, con i poteri assegnati alla capogruppo di definizione e attuazione degli obiettivi strategici, da un lato, e dei poteri necessari per l'attività di direzione, dall'altro; la forma giuridica della società per azioni, prevista per la società capogruppo, favorisce l'accesso del gruppo bancario al mercato dei capitali e il rafforzamento patrimoniale dell'intero gruppo, tenuto conto degli impedimenti naturali delle BCC di ricapitalizzarsi, accedendo al mercato dei capitali di rischio.
  Vorrei soffermarmi ancora, Presidente, sul contratto di coesione. Il termine usato dice bene le finalità dello stesso: è lo strumento cardine, quello che formalizza e tiene insieme il gruppo nella diversità e nella specificità delle tanti BCC; costituisce il punto più alto dell'intero impianto su cui si misureranno, da un lato, gli effetti dalla riforma, e, dall'altro, la tenuta del sistema del credito cooperativo. Il contratto definisce, tra l'altro: la banca capogruppo, Pag. 4i poteri della stessa nel rispetto delle finalità mutualistiche, gli indirizzi strategici e gli obiettivi operativi, i poteri per l'attività di direzione e di controllo, i casi in cui la capogruppo può nominare o revocare i componenti degli organi di amministrazione e controllo, i criteri di compensazione, l'equilibrio nella distribuzione dei vantaggi derivanti dall'attività comune e, poi, le garanzie in solido delle obbligazioni assunte dalla capogruppo e dalle altre banche aderenti.
  Nel corso dell'esame in Commissione sono stati apportati miglioramenti e integrazioni di rilievo al testo del decreto, come del resto si conviene nella normale dialettica Governo-Parlamento. Su alcuni di questi passaggi, il dibattito, anche esterno all'ambito istituzionale, è stato vivace, polemico, ma altresì ricco di spunti propositivi. È stata garantita la possibilità per le banche di credito cooperativo presenti nelle province autonome di Trento e Bolzano di costituire autonomi gruppi bancari cooperativi, composti solo da banche aventi sede e operanti esclusivamente nella medesima provincia autonoma, in coerenza con gli ambiti di autonomia riconosciuti nei rispettivi statuti. Si consente inoltre la costituzione, nel gruppo bancario cooperativo, di eventuali sottogruppi territoriali facenti capo a una banca costituita in forma di Spa. Tale soluzione tiene conto delle specificità territoriali del Paese e dell'arricchimento che esse potranno fornire al gruppo anche in termini di maggiore consolidamento del gruppo stesso. Sono state definite meglio le competenze riservate al Ministro dell'economia e delle finanze e alla Banca d'Italia, nell'ambito della riforma delle banche di credito cooperativo. Sono state quindi riscritte le disposizioni contenute nel decreto-legge relative alla cosiddetta way out, accogliendo le proposte sollevate attraverso numerosi emendamenti e inserendo la previsione che, in deroga alla disciplina sulla devoluzione dal patrimonio – da applicarsi nei casi di fusione e trasformazione delle BCC escluse dal gruppo bancario –, la devoluzione non si produce per le BCC che presentino istanza di conferimento delle proprie aziende bancarie a una Spa autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria, purché la banca istante o – in caso di istanza congiunta – almeno una delle banche istanti possiedano alla data del 31 dicembre 2015 un patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro. Si prevede, inoltre, che all'atto del conferimento la Banca di Credito Cooperativo conferente versi allo Stato un importo pari al 20 per cento dal proprio patrimonio netto. Le riserve indivisibili, riconducibili alla BCC, al netto del versamento effettuato, rimarranno nella società cooperativa conferente, la quale acquisisce con le proprie risorse la partecipazione nella società conferitaria. La cooperativa conferente si obbliga a mantenere le clausole mutualistiche nonché ad assicurare ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la Spa conferitaria, di formazione e informazione sui temi del risparmio e di promozione di programmi di assistenza. Tale soluzione consente di contemperare la previsione del vincolo di adesione al gruppo bancario cooperativo con la possibilità, per le banche di credito cooperativo, di scegliere una strada alternativa per il proseguimento della propria attività bancaria, escludendo quindi che tale vincolo si configuri come un obbligo di legge. L'obiettivo è stato bilanciato con l'esigenza di nominare la prospettiva su cui si incentra la riforma della BCC contenuta nel decreto-legge del consolidamento dal sistema bancario cooperativo attraverso la costituzione di uno o più grandi gruppi bancari cooperativi. È stato perciò fissato un limite temporale piuttosto ristretto, pari a 60 giorni, entro il quale le banche di credito cooperativo dovranno presentare istanza alla Banca d'Italia di conferimento delle rispettive aziende bancarie ad una società per azioni autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria. Si prevede un fondo temporaneo delle banche di credito cooperativo di natura transitoria, con lo scopo di supportare la finalità della BCC nel periodo di transizione, che terminerà con la formazione del gruppo bancario cooperativo, così predisponendo uno strumento di sostegno di natura mutualistica e assicurativa.Pag. 5
  Voglio ritornare sulla way out, che è stato il punto dove il confronto si è fatto più duro e serrato. La soluzione trovata rappresenta un buon punto di equilibrio. Le banche con patrimonio netto superiore a 200 milioni sono 14; abbiamo definito le date di riferimento, quella per l'individuazione della soglia dei 200 milioni (31 dicembre 2015), quella entro cui procedere all'istanza (60 giorni). Banca d'Italia, nel corso delle audizioni, aveva sottolineato questo aspetto e i rischi cui saremmo andati incontro nel caso fosse stata confermata la versione iniziale del decreto. Lo schema che si realizza è quello di una cooperativa che scorpora il ramo di azienda bancaria e la conferisce in una società per azioni. La cooperativa dovrà proseguire quindi nell'attività mutualistica, questo resta un vincolo rilevante che consente di dare prospettive alla soluzione trovata. Del resto, era impensabile non prevedere una via di uscita, nel momento in cui si realizza un'operazione straordinaria di portata storica e che fa dell'appartenenza al gruppo il requisito necessario per l'esercizio dell'attività bancaria in forma di BCC.
  Fare banca di comunità nell'era della crisi è senz'altro impresa difficile ma allo stesso tempo affascinante; è una mission riservata solo ad alcuni; da noi, in Italia, solo il credito cooperativo. Se guardiamo una cartina geografica e sovrapponiamo alla stessa l'ubicazione dagli sportelli delle BCC, ci rendiamo conto della loro presenza capillare in tanti piccoli comuni o addirittura frazioni, laddove altre banche si sono ritirate o per scelta di natura strategica o perché i margini tendevano sempre più a ridursi. Le BCC hanno una presenza esclusiva in quasi seicento comuni; le banche ordinarie e le grandi banche si concentrano maggiormente nelle aree urbane e ad alta densità abitativa, produttiva o finanziaria. Possiamo ben dire, Presidente, che, accanto ad una funzione economica certamente insostituibile, il credito cooperativo svolge anche un'essenziale funzione sociale: c’è una correlazione stretta con il territorio, con la piccola impresa, con le famiglie e con le proprie comunità di riferimento, con le quali condividono molto spesso le sorti. La riforma rispetta queste peculiarità, le riconosce, per certi versi le esalta e le tutela, mette in sicurezza un grande patrimonio sul piano dell'attività creditizia, economica e sociale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Sanga, che ha anche risparmiato 5 minuti del suo tempo. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Pesco.

  DANIELE PESCO, Relatore di minoranza. Presidente, a quanto pare, questa proposta di riforma delle banche di credito cooperativo è arrivata in Aula e la stiamo discutendo. È una cosa che ci lascia molto perplessi; non solo noi, ma molti cittadini, soprattutto i cittadini che nelle banche di credito cooperativo hanno creduto e hanno investito, non solo una parte dei loro soldi ma anche del loro tempo e delle loro convinzioni. Erano convinti che le banche di credito cooperativo dovessero continuare a finanziare la piccola e media impresa, ma soprattutto le attività artigianali, le attività del territorio. Con questa proposta di riforma le banche di credito cooperativo vengono obbligate a unirsi, a fondersi, a diventare una holding unica, nella quale il controllo, logicamente, sarà deputato a chi appunto rivestirà il ruolo di capogruppo. Quindi, è praticamente una cessione di sovranità delle piccole BCC ad una grande holding, una cosa che ci lascia molto perplessi, perché in questo modo viene limitata l'indipendenza dell'attività delle singole banche di credito cooperativo. Ci viene detto che questa riforma era essenziale e funzionale alla ripatrimonializzazione delle stesse banche, che è una tesi alla quale noi non crediamo, perché non è detto che sia sufficiente unirsi per ripatrimonializzarsi. Per ripatrimonializzarsi servono finanziamenti, servono soldi. Arriveranno probabilmente capitali dall'esterno, ma è una cosa che secondo noi va contro proprio i principi fondamentali, mutualistici, riferiti alle banche di credo cooperativo. Infatti, le Pag. 6stesse banche, secondo noi, non dovevano godere di capitali, che entreranno logicamente nella grande holding ma andranno anche a guidare la grande holding secondo principi estranei a quelli che sono, come dicevo prima, i principi mutualistici. In pratica, si sta andando a creare un grande nuovo gruppo bancario che entrerà logicamente, in modo diretto, in competizione con gli altri grandi gruppi bancari.
  Noi temiamo che questa competizione potrà vedere degli sconfitti, e forse tra gli sconfitti potremo vedere anche questa grande holding, che probabilmente non sarà strutturata in modo adeguato per riuscire a giocarsi in modo idoneo le proprie carte e stare, quindi, sul mercato. Quando si parla di aggregazioni, temiamo sempre che vi sia qualcuno che poi sarà intenzionato ad acquistare una parte di questa aggregazione, di entrare nel capitale, di comandare: è una cosa di cui abbiamo veramente paura ! In più, abbiamo notato che, con le ultime modifiche introdotte, non è neanche rispettato il fatto che il controllo dovrà essere per forza deputato alle banche di credito cooperativo che partecipano alla holding: potrà anche essere alterato e questo ci lascia veramente molto molto perplessi.
  Ma il fatto è che le banche di credito cooperativo avevano sicuramente delle pecche: in certi ambiti, in certe regioni d'Italia, in certe province, le banche di credito cooperativo avevano dei difetti. Alcune avevano dei difetti, sicuramente, alcune probabilmente hanno erogato finanziamenti che non andavano erogati, alcune probabilmente sono guidate da condizionamenti politici, e non è corretto; ma, allora, dovremmo riuscire a intervenire su quei difetti, riuscire a creare delle norme che tendano a limitare i condizionamenti politici, che tendano a limitare l'erogazione di finanziamenti quando quegli stessi non sono dovuti, quando non ci sono le garanzie sufficienti affinché si possa avere la certezza che essi possano essere restituiti.
  Ebbene, queste situazioni hanno creato, in alcuni casi, forti deficienze, elevate deficienze di capitale; e ora noi diciamo: era per forza necessario aggregarsi in questo modo, creare questa norma ? Che poi viene sbandierata come una norma redatta sulla base della famosa autoriforma chiesta dalle BCC: anche in questo caso non si può, tuttavia, non entrare nel particolare e capire che le banche di credito cooperativo sono state costrette a proporre una propria autoriforma. Perché ? Perché l'anno scorso abbiamo visto bene cos’è successo con le banche popolari: il Governo è entrato a gamba tesa e ha creato una norma secondo la quale alcune banche popolari devono per forza diventare delle Spa, e alle banche di credito cooperativo è stato detto «o fate qualcosa voi in modo autonomo di simile, oppure lo facciamo noi»; e così sono state costrette a scriversi questa proposta di autoriforma, non condivisa, probabilmente, da tutte le banche di credito cooperativo, che è stata tramutata in legge, ma forse in modo non del tutto aderente alle richieste o, quantomeno, alle aspettative delle banche di credito cooperativo stesse.
  Ebbene, la grande holding avrà appunto il compito di guidare tutte le banche di credito cooperativo, diventerà un grande polo bancario nazionale; e noi temiamo che la perdita di autonomia delle piccole banche di credito cooperativo possa veramente andare a ledere i principi costituzionali su cui si basavano le banche di credito cooperativo ! Ci tengo a ricordarli oggi: l'articolo 41 sulla libera iniziativa economica, l'articolo 45 sul riconoscimento della cooperazione, l'articolo 47 sulla tutela e l'incoraggiamento al risparmio; tutti articoli che, secondo noi, con questa riforma vengono meno. Questa riforma, secondo noi, va contro questi articoli, perché, se dico che per forza delle banche di credito cooperativo, nate su istanza dei cittadini che hanno voluto veramente finanziare nel tempo le aziende del territorio, non potranno più avere la loro autonomia, ma dovranno fare riferimento ad un grande gruppo, ad una grande holding, ecco che la libera iniziativa economica, secondo noi, viene meno. Nel momento in cui, per quanto riguarda Pag. 7la cooperazione, si dice che alla fine si creerà una grande holding, dove entreranno anche capitali diversi, e probabilmente una parte della governance dovrà essere ceduta a chiunque interverrà con dei capitali, ecco che, secondo noi, il principio della cooperazione viene meno logicamente. E, nel momento in cui si stabilisce che si entrerà in competizione con i grandi gruppi bancari, ecco dove probabilmente si potranno determinare le cause del fallimento di questa grande holding, e rischiamo di andare ad intaccare anche l'articolo 47 della Costituzione, che dovrebbe, invece, tutelare il risparmio. Insomma, raggruppandosi in questo modo, secondo noi, sono più i rischi dei buoni esiti che potrebbe, invece, avere questa operazione: veramente si sta andando contro i più elementari principi costituzionali.
  Ma non è tutto qui: è stata prevista anche la famosa way out, che consente alle banche di credito cooperativo di starne fuori. Ma in che modo possono starne fuori ? Diventando delle Spa ! In realtà, non diventano direttamente delle Spa: dovranno cedere la propria attività bancaria ad un'altra Spa, o ad una Spa esistente o ad una Spa di nuova «produzione».
  Ebbene, ha senso ? Secondo noi, no ! Perché la cooperativa, che comunque venderà la sua attività bancaria, potrà mettere a disposizione della Spa le proprie riserve, le riserve che ha accumulato nel tempo grazie alle leggi basate sui principi costituzionali del riconoscimento della cooperazione, grazie alle agevolazioni ottenute nel tempo: tali riserve potranno essere utilizzate per finanziare l'attività bancaria di questa famosa Spa; ed è una cosa che, secondo noi, confligge molto con i principi per cui le cooperative sono nate ! Soprattutto se alla fine si prevede che la cooperativa potrà partecipare in questo modo ad una Spa, in modo diretto o in modo indiretto; probabilmente in modo indiretto, ma secondo noi non va bene !
  In più, cosa c’è su questa famosa way out da riconoscere come secondo noi sbagliato ? Il fatto che potrà star fuori da questa grande holding chi avrà più di 200 milioni di euro. In Commissione si è tentato di modificare tale previsione, stabilendo che anche chi è sotto i 200 milioni di euro di patrimonio potrà aggregarsi a chi ha i requisiti, cioè questo patrimonio sopra i 200 milioni di euro, e starne fuori diventando Spa. Ci viene, quindi, un dubbio: non si sta creando una norma uguale per tutti; si sta dicendo che, se tu hai un patrimonio adeguato, puoi starne fuori ed in più potrai godere di eventuali aggregazioni di altre banche di credito cooperativo più piccole; si sta, quindi, redigendo una legge, secondo noi, a vantaggio delle banche di credito cooperativo che magari avevano già l'intenzione di diventare Spa e alle quali si dà l'opportunità di godere anche di integrazioni da parte di altre banche.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  DANIELE PESCO, Relatore di minoranza. Ma non è finita qui: vi è poi tutta la norma riferita alle garanzie sulle cartolarizzazioni, sulla famosa bad bank, di cui abbiamo tanto parlato. Su questo il MoVimento 5 Stelle è profondamente contrario, perché troppi regali sono stati fatti fino ad oggi alle banche: ci mancava solo questa, la garanzia di Stato su delle obbligazioni fatte per finanziare chi andrà a recuperare i crediti delle banche, i crediti deteriorati ! Secondo noi è un'attività privata, quella svolta dalle banche: visto che tutte le banche ormai sono praticamente private, non capiamo perché lo Stato debba entrare in questo modo, andare a garantire l'attività del recupero crediti. Secondo noi non era necessario; semmai lo Stato poteva essere promotore e cercare garanzie private, emissioni di obbligazioni private, con garanzia privata, per andare a finanziare quest'attività: non certo far rischiare i cittadini su un'attività, come quella del recupero crediti, che spesso – ricordiamolo – va a contrastare comunque con il «sostentamento» dei singoli cittadini.

  PRESIDENTE. Onorevole Pesco, scusi, l'ho richiamata perché avevo inteso che avesse dieci minuti: in realtà mi dicono gli Pag. 8uffici che c’è un errore, lei ne ha venti. Ha, quindi, esaurito i suoi dieci minuti, ma se vuole può proseguire. Grazie.

  DANIELE PESCO, Relatore di minoranza. Perfetto.
  Per quanto riguarda sempre la garanzia che verrà posta dallo Stato sulle sofferenze, v’è da dire che questa garanzia è stata estesa addirittura alle finanziarie: le famose finanziarie, società previste dall'articolo 106 del testo unico bancario. Anche in questo caso il MoVimento 5 Stelle è rimasto molto perplesso: perché addirittura ampliare tale attività al novero delle finanziarie ? Sicuramente potrà essere un'attività che serve alle banche per ridurre le proprie sofferenze, per venderle, per cercare di venderle nel modo migliore; ma perché estenderla anche alle finanziarie ? È un quesito al quale, secondo noi, non è ancora arrivata una risposta congrua, una risposta effettivamente concreta, e sul quale le nostre perplessità continuano a restare.
  Ma, in più, pensiamo alla grande mole di sofferenze: attualmente si tratta di più di 200 miliardi al lordo, di 100 miliardi se si scontano, invece, gli accantonamenti operati dalle banche; ebbene, questi 100 miliardi di sofferenze, se pensiamo che potranno essere messi tutti sul mercato, se l'attività di recupero dei crediti potrà concentrarsi in modo diretto su tutti questi 100 miliardi di sofferenze, avremo un mercato delle sofferenze, ma soprattutto un mercato del recupero crediti presumibilmente molto corposo. Secondo noi non ne troverà quindi vantaggio il mercato immobiliare, perché, se alla fine verranno messi sul mercato molti immobili grazie al recupero crediti (per fare cassa si dovranno logicamente vendere tali immobili), temiamo che il mercato immobiliare non ne trarrà assolutamente vantaggio: anzi, secondo noi i valori medi immobiliari ne trarranno delle decurtazioni, e ciò è spaventoso.
  Altra cosa, invece, sarebbe stata riuscire a trovare degli incentivi per le banche a liberarsi appunto delle sofferenze, contingentando però, facendo un piano. Si stabiliva una durata complessiva temporale, nella quale le banche potevano liberarsi delle proprie sofferenze, stabilendo delle quote contingentate sulle quali trovare gli incentivi per dare la possibilità alle banche di liberarsi di questi crediti deteriorati. Secondo noi si sta percorrendo una strada sbagliata.
  Arriviamo, poi, al famoso anatocismo. Ebbene, questo decreto è stato integrato da diversi emendamenti approvati in Commissione, uno, tra l'altro, proprio sull'anatocismo. Ebbene, nell'attuale articolo 120 del testo unico bancario, si prevede in modo chiaro che le quote riferite agli interessi devono essere separate dal capitale, cioè gli interessi vanno calcolati solo sulla quota capitale e non sugli interessi. Tra l'altro, anche il codice civile prevede proprio questa cosa.
  Ebbene, noi eravamo contenti per il fatto che, comunque, non si fosse ancora intervenuti sulle modifiche all'articolo 120 del TUB. Purtroppo, però, vi era un rimando ad una famosa delibera del CICR, che doveva dettare tempi e modi per riuscire ad attuare questa previsione, che era garantista per quanto riguarda i correntisti, era garantista soprattutto per chi sul conto corrente o sul fido non aveva soldi per riuscire a pagare gli interessi; quindi ci andava bene. Il fatto è che è arrivato questo emendamento, a prima firma Boccadutri, il quale stabilisce che le banche, ogni 1o marzo dell'anno, possono rendere esigibili i propri interessi. Cosa vuol dire ? Vuol dire che il correntista è costretto a pagare gli interessi maturati sul proprio conto corrente, naturalmente stiamo parlando di interessi negativi. Dove sta, però, secondo noi il difetto ? Sta nel fatto che la previsione va a ledere logicamente chi sul conto soldi non ne ha per pagare quegli interessi. Ebbene, questi interessi praticamente si andranno a sommare al capitale e, quindi, creeranno altri interessi e questo è praticamente l'anatocismo ! Va bene, avrà una cadenza annuale, però si tratta di anatocismo, cioè di interessi che genereranno altri interessi.
  Secondo noi questo è un altro grande regalo alle banche ! È un regalo che non Pag. 9ci aspettavamo, soprattutto non ce lo aspettavamo in questo decreto, perché proprio in questo decreto sulle BCC e sulle cartolarizzazioni viene introdotto l'anatocismo da parte di un Governo e di una maggioranza che di regali alle banche ne hanno già fatti tanti. Secondo noi non è assolutamente opportuno ! In più viene sbandierato come la fine dell'anatocismo, cioè l'esatto contrario ! Vi preghiamo: non fate queste cose, perché non è giusto nei confronti dei cittadini; dite che fate una cosa, mentre, in realtà, fate il contrario e questo non è giusto ! Logicamente, per chi avrà i soldi sul conto corrente non c’è alcun problema, perché gli interessi verranno pagati e non genereranno altri interessi, ma pensiamo a chi sta peggio, a chi i soldi sul conto corrente non li ha: si troverà il proprio capitale, logicamente debitorio, aumentato di interessi che, alla fine, genereranno altri interessi.
  In più, se andiamo a vedere quali sono gli interessi che i cittadini pagano alle banche e gli interessi che le banche pagano ai cittadini, vi è una discrasia, una differenza così ampia, che ci fa capire come questa norma potrà creare seri problemi a chi magari ha un fido aperto e magari ha difficoltà, visto anche il periodo nel quale stiamo vivendo. Insomma, è una norma che ci lascia molte perplessità e speriamo, come già successo in passato, che al Senato riescano comunque a modificarla.
  Quindi, banche di credito cooperativo, garanzia di Stato secondo noi peggiorate, garanzie di Stato sulle cartolarizzazioni dei crediti deteriorati secondo noi è una roba sbagliata e, in più, questa norma sull'anatocismo. Insomma, secondo noi, questo Governo e questa maggioranza nel rapporto cittadino-istituzioni bancarie sta sbagliando tutto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritto ora a parlare il deputato Renzo Carella. Ne ha facoltà.

  RENZO CARELLA. Signora Presidente, colleghi, oggi discutiamo del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 18 del 14 febbraio 2016. Ai più questo decreto è noto per la riforma del settore bancario cooperativo, ma contiene anche altri elementi: la garanzia dello Stato sulle sofferenze, le disposizioni fiscali relative alle procedure di crisi e le disposizioni in materia di gestione del risparmio.
  Io farò alcune considerazioni sulla parte della riforma del settore bancario cooperativo e, naturalmente, condivido totalmente la relazione dell'onorevole Sanga, che sugli aspetti tecnici è stato molto esauriente e, soprattutto, ha messo in evidenza come questo decreto abbia subito delle modifiche dopo un lavoro lunghissimo in Commissione. Questo testimonia, lo riprenderò dopo, che, quando il Parlamento decide di entrare nel merito delle questioni poste dal Governo, può svolgere tranquillamente il proprio ruolo, così come la Costituzione gli riconosce.
  Voglio fare delle considerazioni rispetto alle banche di credito cooperativo, che sono naturalmente molto diffuse nel nostro Paese e che hanno avuto l'importanza sia economica sia sociale straordinaria.
  L'onorevole Sanga ricorda che in molti comuni, soprattutto piccoli comuni del sud, le grandi banche hanno abdicato al ruolo a favore delle banche di credito cooperativo, e queste hanno svolto, nel corso degli anni, una funzione essenziale e straordinaria; hanno sostenuto l'economia dei territori a cui erano, e sono, profondamente legate. Migliaia di piccole imprese hanno avuto l'accesso al credito grazie a questa presenza. Spesso la conoscenza diretta dell'impresa e dell'imprenditore ha dato fiducia e ha permesso di avere il credito. Pochi sono gli esempi di degenerazione localistica, che pure ci sono stati quando queste banche sono state oggetto di scontro di lobby o di interessi, che magari avevano la loro matrice nella politica di quel territorio, e, proprio quando c’è stato questo, ci sono state appunto degenerazioni, che hanno determinato delle scelte non legate alla serietà dell'impresa Pag. 10e alla sua affidabilità, mettendo, invece, al centro altre considerazioni ed altri elementi.
  La crisi economica, che ancora incombe, e scelte in parte addebitabili, come dicevo prima, alla categoria impongono la necessità dell'integrazione delle cooperative di credito italiano e hanno spinto per una riforma del sistema. Non si vuole sradicare, come abbiamo sentito dire ancora oggi, il sistema di credito cooperativistico, ma c’è bisogno di una sua evoluzione, salvaguardando la tipicità e la peculiarità del modello italiano. Il nuovo contesto competitivo e la necessità di sostenere efficacemente la ripresa economica impongono scelte coraggiose, che questo Governo e la maggioranza che lo sostiene vogliono con coerenza e ambizione cogliere e raggiungere.
  Tutto questo si è fatto attraverso un confronto serrato. Abbiamo sentito qui, da parte del relatore di minoranza, che le banche hanno ragionato per un anno, cercando di proporre un'autoriforma perché avevano la pistola, come dire, puntata; ma tutto questo non è vero ! È cresciuta nei territori la consapevolezza della necessità di una riforma: questo confronto e le proposte elaborate con le banche di credito cooperativo, in dialogo fra loro, e con l'istituzione competente, a cominciare dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalla Banca d'Italia, hanno prodotto un lavoro molto utile. Questo confronto ha fatto maturare una coscienza sulla necessità, non più rinviabile, della integrazione delle cooperative di credito. Si è diffusa la consapevolezza e la necessità di un forte processo di integrazione, che spesso non veniva avvertito perché c'era anche un egoismo di alcune banche a difendere il proprio presidio, per favorire l'efficienza e la competitività, in modo da potersi uniformare alle migliori esperienze europee e internazionali.
  Quello che qui vogliamo ribadire con forza è l'opportunità dell'intervento, rispetto a chi ragiona per slogan; abbiamo sentito ancora oggi, nonostante settimane di discussione in Commissione, che si ragiona per dare elementi ai giornali o alle trasmissioni televisive, riportando il dibattito a un mese, a due mesi fa, senza cogliere l'evoluzione dell'intesa che c’è stata in Commissione, con il contributo di tutti. Però c’è bisogno di animare questo teatrino che disinforma l'opinione pubblica italiana, ma non certo gli operatori del settore e i destinatari di uno strumento più forte e più adeguato a sostegno della propria impresa. Lo scopo è sempre lo stesso, è quello di denigrare, offuscare l'azione di Governo e di questa riforma, l'ennesima che viene portata avanti, perché questa riforma non si trova in un deserto di attività; questa si lega e si aggiunge a tante altre riforme che questo Governo e questa maggioranza, con difficoltà, stanno portando avanti; tutti diciamo che l'Italia deve essere aggiornata, ma nessuno ha avuto e ha il coraggio, come noi stiamo facendo, di portarle avanti.

  PRESIDENTE. Concluda.

  RENZO CARELLA. Tutto questo lo facciamo per il bene del Paese. Questa riforma mantiene i cardini e le finalità mutualistiche, prevede una governance democratica, il radicamento territoriale non viene cancellato, così come il legame con le comunità locali, con le imprese e gli imprenditori che di quei territori sono l'anima e la forza per raggiungere nuovi obiettivi di sviluppo che facciano leva sulla specificità, la peculiarità e le risorse di quel territorio medesimo. La riforma che condividiamo deve mantenere il valore di questa esperienza diffusissima sul territorio nazionale; la riforma ha lo scopo di facilitare il rafforzamento patrimoniale e l'evoluzione e l'adeguamento della governance perché il sistema cooperativo presenta, oggi, delle debolezze. L'obiettivo è rendere il settore in grado di competere a livello europeo, dove ci sono mutamenti sul piano delle regole prudenziali e dell'attività di vigilanza, sapendo, come ha confermato più volte Banca d'Italia, che la prolungata crisi economica, con il conseguente aumento di rischi, ha eroso i profitti, rendendo più vulnerabili le banche di Pag. 11credito cooperativo, caratterizzate da dimensioni contenute. Ecco perché la riforma prevede il gruppo bancario cooperativo, il gruppo avrà al vertice una capogruppo bancaria costituita in forma di società per azioni con un patrimonio netto di almeno un miliardo. Si potevano individuare anche altri tetti, magari mezzo miliardo ed avere una maggiore presenza...

  PRESIDENTE. Concluda.

  RENZO CARELLA. Mi avvio a concludere; emendamenti in tal senso sono stati presentati anche da colleghi del nostro gruppo; alla fine si è deciso per una proposta che presenta una maggiore solidità. Salto qualche pagina, Presidente, per arrivare alla fine. Io credo che sia opportuno il conferimento all'azienda bancaria, a una società per azioni – ferma restando l'indivisibilità delle riserve, anche qui continuiamo ad ascoltare una musica superata per quanto ci riguarda – e la conferma delle clausole mutualistiche nella cooperativa conferente. Concludo, sottolineando il ruolo straordinario e di merito, lo dicevo all'inizio, che la Commissione finanze ha avuto, raccogliendo pareri, perplessità, preoccupazioni, necessità di modifiche che da più parti venivano avanzate. Il testo che sottoponiamo all'approvazione dell'Aula è diverso dal decreto originario; secondo noi è migliore, a dimostrazione che il Parlamento – che non è il passacarte del Governo – se vuole, abbandonando ruoli preconcetti, propagandistici e strumentali, entrando nel merito delle questioni poste dall'Esecutivo, può svolgere e ha una possibilità di svolgere quel ruolo che la Costituzione gli affida di massima assise della democrazia dove, attraverso il confronto, si legifera nell'interesse più alto del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Roberto Occhiuto. Ne ha facoltà.

  ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, Presidente. Quello di oggi è l'ennesimo provvedimento del Governo sul fronte bancario in poco più di un anno. Chi è intervenuto prima di me, l'onorevole Carella, ascriveva a merito del Governo questo iperattivismo sul fronte bancario; noi riteniamo che le riforme, soprattutto quelle che riguardano un sistema così delicato e complesso come quello bancario, non vadano fatte con decreto del Governo, con un decreto-legge, ma, semmai, dando al Parlamento la possibilità di affrontare le questioni, approfondirle nei tempi necessari e, quindi, non sicuramente con strumenti caratterizzati, appunto, dall'urgenza. Io vorrei impegnare una parte del mio tempo, nella discussione sulle linee generali, proprio per ricordare questa frenesia normativa del Governo sul sistema bancario. Allora, risale a gennaio del 2015 il decreto-legge che ha riformato la governance delle banche popolari, imponendo la trasformazione in società per azioni a quelle che avevano un attivo superiore agli otto miliardi. Una riforma strutturale, si disse allora, adottata attraverso lo strumento, lamentammo noi, del decreto-legge, in un contesto, però, assolutamente privo dei requisiti di necessità e di urgenza. In quell'occasione l'atteggiamento del Governo risultò a dir poco ambiguo: era una riforma, quella delle banche popolari, che inizialmente doveva essere prevista all'interno del disegno di legge annuale sulla concorrenza, ma che, invece, improvvisamente, apparve particolarmente urgente. Un'urgenza che noi definimmo sospetta, perché i movimenti dei mercati, nei giorni successivi all'emanazione del decreto, evidenziarono, chiaramente, come l'intervento di riforma approvato dal Consiglio dei ministri fosse stato preceduto da una serie di attività anomale, con sospette operazioni di compravendita di titoli azionari di numerose banche popolari. Vorrei ricordarlo, gli acquisti si erano concentrati su banche di modesta dimensione, come ad esempio la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, il cui valore delle azioni aumentò addirittura del 62 per cento in quattro giorni, a fronte di un andamento delle azioni del comparto bancario che registrava, nello stesso periodo, un aumento dell'8,68 per cento. Pag. 12L'ulteriore stranezza riguardava il requisito dimensionale individuato, ossia un attivo di 8 miliardi di euro, perché 8 ? Perché non 9, oppure 7 ? È così che sono rientrate nelle norme il Credito Valtellinese, la Banca Popolare di Bari, l'ormai famosa, potremmo dire, famigerata, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio. Il caso del richiamato decreto-legge n. 3 del 2015 si intreccia inevitabilmente con la vicenda del successivo decreto-legge n. 183 del 2015 definito «decreto salva banche»; un intervento messo in campo sempre attraverso la decretazione d'urgenza e poi confluito all'interno della legge di stabilità; un intervento strettamente connesso con le procedure di risoluzione avviate dalla Banca d'Italia nei confronti di alcune banche in amministrazione straordinaria – Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, ancora una volta, Cassa di risparmio della provincia di Chieti – che ha determinato la costituzione degli enti – ponte previsti dai provvedimenti di avvio della risoluzione dei suddetti istituti bancari. Le operazioni disposte da quel decreto non prevedono adeguate tutele del capitale investito dai risparmiatori e hanno generato perdite per azionisti e obbligazionisti subordinati, prefigurando una chiara violazione dell'articolo 47 della Costituzione che tutela il risparmio in tutte le sue forme. In sostanza, i 3 miliardi e sette di euro che costituiscono il costo dell'operazione sulle quattro banche fallite sono ricaduti sui risparmiatori, indebolendo tutto il sistema, comprese le banche gestite in modo sano e prudente. Dopo il pasticcio di questo decreto il Governo ha offerto il contentino di una promessa di risarcimento di 100 milioni di euro che non basteranno a tutelare i risparmiatori truffati.
  Secondo i dati forniti dal Tesoro, l'azzeramento del valore delle obbligazioni subordinate oggetto di risoluzione ha riguardato titoli per un valore nominale di circa 340 milioni di euro, distribuiti su una platea di 10.500 obbligazionisti. Il fondo di 100 milioni di euro rimborserebbe, con criteri e procedure non chiare e in tempi tutt'altro che brevi, meno del 30 per cento dei risparmi perduti. Ad ogni modo, il Governo continua a latitare sui decreti attuativi attraverso i quali sarà possibile anche dare avvio al processo di arbitrato: dovevano essere pronti a gennaio, poi a febbraio, ora il sottosegretario Zanetti parla di decreti che saranno definiti entro il 31 marzo.
  Nel frattempo, però, l'Europa, proprio quell'Europa sulla quale si è scaricata la responsabilità di un intervento che ha bruciato i risparmi di tanti obbligazionisti, ha provveduto a sbugiardare l'Esecutivo attraverso una risposta offerta dalla commissaria Vestager ad un'interrogazione presentata da Antonio Tajani. Nell'interrogazione si chiedeva alla Direzione generale della concorrenza se l'erogazione di risarcimenti ai risparmiatori fosse compatibile con la normativa europea sugli aiuti di Stato. Ebbene, la risposta è stata positiva: nella risposta, infatti, si legge che uno Stato membro può decidere di porre in essere un meccanismo di arbitrato affinché gli obbligazionisti possano chiedere un risarcimento per la potenziale vendita impropria di obbligazioni.
  A questo punto, diventa quanto meno problematico e complicato sostenere che la decisione di salvare quei quattro istituti a spese di azionisti e obbligazionisti fosse da imputare all'Europa, in quanto l'intervento dello Stato e la creazione di un fondo pro risparmiatori non può essere in contrasto con la normativa europea. In altre parole, il quadro normativo nazionale, nel dare applicazione alle disposizioni europee in materia di salvataggi bancari, tra l'altro senza prestare sufficiente attenzione nella fase di transizione e anticipandone, di fatto, l'entrata in vigore, si è rivelato confuso e particolarmente oneroso per i risparmiatori, con un Esecutivo che non può assolutamente nascondersi ancora dietro lo spauracchio di un'ipotetica infrazione della disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato, che, come abbiamo visto, nega ogni eventuale contrasto.
  Il risultato che ha prodotto il Governo Renzi è stato quello di aver dato vita ad Pag. 13un insieme di disposizioni confuse, che, nella pratica attuativa del nuovo sistema di regole sui salvataggi bancari, hanno contribuito a creare un inevitabile panico finanziario, evidenziato anche dalle ultime tensioni sui mercati borsistici. In particolare, per il futuro, ciò non potrà che riverberarsi sul credito erogato a famiglie e imprese, che diventerà ancora più caro e più difficile di quanto non sia già, con la connessa fuga degli investitori e l'aumento del rischio sistemico.
  Quanto richiamato è solo l'ultimo atto di vicende poco chiare che hanno interessato il settore bancario italiano nel corso del tempo – si pensi al caso del Monte dei Paschi di Siena – e che potrebbero nuovamente ripetersi, in questa e in altre forme, interessando altre banche italiane, quali Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca o la stessa Monte dei Paschi o Banca Carige e altre ancora. Oggi il Governo, attraverso la maggioranza, ripropone quindi l'ennesimo intervento in tema bancario, e lo fa utilizzando, ancora una volta, lo strumento della decretazione d'urgenza, definendo una riforma del sistema bancario cooperativo in chiara violazione dei principi sanciti dall'articolo 77 della Costituzione.
  Per questo avevamo presentato una pregiudiziale di costituzionalità, che poi, però, è stata puntualmente bocciata dalla maggioranza, e quindi dall'Aula. Sono anni che si dibatte sulle misure concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, ma ecco che, ancora una volta, si inseriscono tali misure nell'ambito della decretazione d'urgenza, anziché all'interno di un disegno di legge destinato a seguire il normale iter parlamentare.
  È la giurisprudenza della stessa Corte costituzionale ad affermare la palese inadeguatezza – e cito – dello strumento del decreto-legge a realizzare una riforma organica e di sistema, che non trova le sue motivazioni in esigenze manifestatesi da non breve periodo, ma richiede, altresì, processi attuativi necessariamente protratti nel tempo che mal si conciliano con l'immediatezza di effetti connaturata al decreto-legge, secondo il disegno costituzionale. È innegabile, dunque, che siamo davanti a una riforma organica e di sistema da cui dipenderà il futuro di quasi il 15 per cento degli sportelli, il 6 per cento degli attivi complessivi del sistema bancario.
  Una riforma che riguarda un settore che impiega 135 miliardi, ma che ha anche sofferenze più alte rispetto a quelle delle altre banche. Si tratta di norme che toccano realtà fortemente e storicamente legate al territorio, con una funzione fondamentale per l'economia reale. Dalle banche cooperative e dalle casse rurali deriva quasi il 20 per cento dei prestiti erogati ad artigiani e piccole imprese italiane, incidendo, quindi, fortemente sull'economia, l'occupazione e la crescita del nostro Paese. L'assenza del requisito dell'urgenza è evidente anche per i tempi lunghi di attuazione e di perfezionamento della riforma, stabiliti proprio dalle procedure determinate dal decreto stesso.
  È, quindi, evidente l'insussistenza dei requisiti di necessità ed urgenza, e quindi il fatto che sarebbe stato più opportuno produrre una riforma di questo genere attraverso un disegno di legge. L'obiettivo di Forza Italia è sempre stato quello di sostenere l'economia reale, mettendo le banche al servizio delle imprese e tutelando gli interessi dei cittadini. Tutti dovremmo essere concordi nel difendere le banche di prossimità, quelle legate agli investimenti nel territorio di origine, come hanno fatto la Francia, l'Olanda e la Germania. Si tratta di un modello bancario fondamentale, non solo per l'economia reale, ma anche per la stabilità finanziaria.
  Sono state, infatti, proprio le banche di prossimità, le popolari e le cooperative, lontane da speculazioni internazionali e trading aggressivi, a permettere al sistema finanziario italiano di resistere durante gli anni più difficili della crisi. Occorre, dunque, impegnarsi anche a Bruxelles per evitare che l'Europa ponga ostacoli alle piccole banche e, attraverso queste, all'economia reale, e, allo stesso tempo, non vogliamo che Bruxelles diventi, però, un pretesto per camuffare scelte sbagliate o Pag. 14operazioni che nulla hanno a che vedere con l'Unione europea e con i vincoli del sistema bancario europeo.
  Nel lavoro svolto sul decreto in Commissione finanze – ne va dato atto al presidente della Commissione e ai gruppi parlamentari che hanno partecipato alla discussione – il provvedimento è stato in qualche modo migliorato rispetto alla proposta del Governo contenuta nel decreto. Il gruppo di Forza Italia, attraverso i suoi emendamenti, ha avuto un atteggiamento comunque propositivo per attuare un processo virtuoso di riforma delle banche di credito cooperativo. Va riconosciuto che alcune proposte sono state accolte, sono stati fatti passi importanti nella tutela del principio mutualistico che regola l'intero sistema cooperativo, inizialmente messo fortemente in discussione da un meccanismo di way out non in grado di tutelare il principio delle riserve indivisibili. La possibilità di percorrere la via d'uscita attraverso le riserve, corrispondendo all'erario un'imposta straordinaria pari al 20 per cento della loro consistenza, andava infatti valutata attentamente, non solo in relazione al disposto di cui all'articolo 45 della Costituzione, ma anche in ordine all'assegnazione di eventuali vantaggi ingiustificati alla luce di un'imposta sicuramente inferiore al complesso delle agevolazioni fiscali ricevute dalla cooperativa nel corso del tempo.
  Ora, per effetto delle modifiche apportate dalla Commissione, le riserve indivisibili riconducibili alle banche di credito cooperativo, al netto di quanto versato allo Stato, restano nella società cooperativa conferente che acquisisce la partecipazione nella società bancaria conferitaria. Pertanto, oggi abbiamo un testo sicuramente più maturo, sicuramente più bilanciato.
  È da accogliere con favore, per esempio, anche l'introduzione di un fondo temporaneo delle banche di credito cooperativo di natura transitoria, per supportare le finalità della banca nel breve periodo di transizione, destinato a terminare con la formazione del gruppo bancario cooperativo. La proposta sostenuta anche da Forza Italia mira, infatti, a favorire, durante la fase di costituzione dei gruppi bancari cooperativi, processi di consolidamento e concentrazione delle banche di credito cooperativo, per il miglioramento dell'efficienza e della competitività delle banche aderenti.
  Ad ogni modo, se il nostro obiettivo è quello di vigilare affinché alle BCC sia permesso di riorganizzarsi mantenendo il legame con il territorio e la loro funzione fondamentale per l'economia reale, non possiamo certo condividere il modus operandi del Governo sul tema delle banche. In questa materia il Governo – sarebbe intellettualmente disonesto chi non lo riconoscesse – ha caratterizzato la sua, per così dire, operosità normativa attraverso un abuso di decretazione d'urgenza, con provvedimenti che a volte hanno generato una pericolosa confusione. Anche su questo testo abbiamo visto avvicendarsi norme ancora una volta legate al territorio in cui il Presidente del Consiglio ama operare, in un contesto in cui è impossibile sottovalutare la costante presenza di un conflitto di interessi, legato ad amici degli amici, che su questo tema sembra caratterizzare l'Esecutivo Renzi come non mai.
  Sul tema delle banche, su cui questo Esecutivo insiste, tralasciando colpevolmente questioni più urgenti e più drammatiche che affliggono la nostra economia, il Governo è stato, l'abbiamo detto, estremamente attento nella sua produzione normativa. Noi però vorremmo, credo lo vorrebbero anche i cittadini, che la stessa operosità normativa che il Governo ha dimostrato sulle banche sapesse dimostrarla sulle questioni che incidono ancora più direttamente sui bisogni e sui bilanci di imprese e di famiglie italiane (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Villarosa. Ne ha facoltà.

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Grazie, Presidente. Siamo qui per l'ennesimo provvedimento, come ricordava qualcuno, Pag. 15sulle banche, sul sistema bancario. Siamo già al settimo provvedimento, abbastanza importante, sul tema e la cosa più grave, secondo noi, è che non si capisce il piano, non si capisce il disegno che vi è alla base di questi provvedimenti perpetrati in questi tre anni o, per meglio dire, forse i cittadini non lo vedono, ma noi l'abbiamo visto ed è abbastanza chiaro. Perché dico che non si vede il disegno ? Perché, Presidente, come lei sa, nel 1942 è stato emanato il nostro codice civile che prevede delle preleggi. Nelle preleggi (ormai, negli anni, sono rimasti dodici articoli) si parla anche della ratio legis. La ratio legis è una cosa fondamentale e, infatti, le preleggi sono quasi a rango della Costituzione, se non pari alla Costituzione. Nelle preleggi si parla di ratio legis per una questione molto semplice: chiunque mette in piedi una legge deve trasmettere la motivazione che sta alla base della legge, anche per cercare di dare la possibilità al giudice e ad altri di riuscire a interpretare quella legge, perché quella legge si può interpretare solo qualora se ne conoscano le motivazioni reali.
  Allora, Presidente, nella classica relazione che si fa nei decreti e nelle proposte di legge io rimango sconcertato da parole del tipo: «il predetto settore – si parla del settore delle banche di credito cooperativo – sembra caratterizzato». Ma cosa significa «sembra caratterizzato» ? Si può mettere in piedi una legge che riforma totalmente il sistema bancario, lo cambia nella natura e nel senso, scrivendo che sembra che ci siano delle problematiche ? Oppure, più avanti si può leggere: «al fine di favorire l'accesso del gruppo bancario cooperativo al mercato dei capitali e la patrimonializzazione delle banche (...)». Quest'altra ratio, quest'altra motivazione, non sta in piedi, perché durante le nostre audizioni abbiamo ricevuto più e più esperti del settore, operatori del settore, che ci hanno chiaramente detto che le banche di credito cooperativo negli ultimi anni si sono patrimonializzate di più, addirittura si parla del 220 per cento in più rispetto alle banche ordinarie.
  Quindi, se la ratio legis di questo decreto-legge è che sembra che ci siano delle problematiche e che si voglia cercare una patrimonializzazione, che però è maggiore nelle banche di credito cooperativo e minore nelle banche di credito ordinario, in base a dati scientifici che noi finora non abbiamo mai visto, allora la ratio e le motivazioni di questa legge sono inesistenti, se non nulle.
  L'ultima motivazione che c’è stata data in Commissione, quando abbiamo sollevato queste problematiche e questi dubbi interpretativi e normativi, è stata quella della presentazione da parte delle banche di credito cooperativo di un piano di riforma. Ma basta leggere i giornali di un paio d'anni fa e ci si rende conto che è stato proprio il Governo a lanciare la proposta di riforma del sistema delle banche di credito cooperativo; così come l'ha lanciata per le banche popolari, lo ha fatto per le banche di credito cooperativo. A quel punto, il sistema delle banche di credito cooperativo ha chiesto: invece di farlo tu Governo, ci pensiamo noi con l'autoriforma. Alla fine si è arrivati, quindi, a una riforma del Governo basata su un'autoriforma, tra virgolette, imposta dallo stesso Governo. Quindi non abbiamo nessuna ratio legis, non abbiamo nessuna motivazione che sta alla base di questo decreto. La motivazione, studiando e leggendo attentamente quello che è accaduto all'interno di questo decreto, è che probabilmente un sistema bancario, che fino al 1993 era indirizzato all'interesse pubblico, e quindi cercava di prendere il risparmio dei cittadini per analizzare le imprese e finanziare le più meritevoli, è stato trasformato nel 1993 in un sistema privato interessato al lucro. Un sistema privato che deve garantire degli utili agli azionisti, perché è nello scheletro, nell'anima di una S.p.A. garantire gli utili agli azionisti, non più fare un interesse pubblico. Infatti, la banca ordinaria si differenzia dalle banche popolari, dalle banche di credito cooperativo, proprio per la funzione sociale, perché le banche di credito cooperativo esistono anche in paesini piccoli nei quali le banche ordinarie non Pag. 16andranno mai proprio perché non riusciranno a garantire, o non sono sicure di poter garantire, un utile ai propri azionisti. Quindi distruggere il mercato delle banche di credito cooperativo, così come quello delle popolari, significa danneggiare i territori. Le banche popolari e le banche di credito cooperativo non erano degli stinchi di santo, questo ci tengo a dirlo, e il sistema aveva dei problemi, ma invece di analizzare e circoscrivere i problemi, e cercare di risolverli, si riforma tutto il sistema. Un sistema che – ripeto – fino al 1993 non scricchiolava. Oggi si cerca di inculcare nella mente dei cittadini che il sistema bancario è un sistema fragile e che le banche possono fallire; fino al 1993, lo sappiamo bene, non era così. Avevamo un sistema quasi totalmente pubblico, lo capisco. Non cerchiamo un sistema quasi totalmente pubblico, ma ogni volta che si solleva in quest'Aula un problema in merito al sistema bancario noi sappiamo che questi problemi fino al 1993 non c'erano. Quanti obbligazionisti hanno pagato per le crisi di una banca con il vecchio sistema della legge bancaria del 1936 ? Ve lo dico io: nessuno. Quante banche sono fallite prima del 1993, fallite nel vero senso della parola, non inglobate o incorporate in altre banche o fuse così come prevedeva la legge bancaria del 1936 ? Quante sono ? Zero. Quante sofferenze il Banco di Napoli ha accumulato e poi i cittadini hanno ripagato negli anni Novanta ? Anche qui: zero. Sono riusciti a rimborsare oltre il 95 per cento (quindi non zero, diciamo il 5 per cento) delle sofferenze. Come ? Contrattando con i clienti, ristrutturando i piani di finanziamento con delle rate magari un po’ più basse e con delle durate magari un po’ più lunghe. Invece, oltre alle banche di credito cooperativo distrutte da questo decreto, in questo decreto, cara Presidente, si fa un'altra cosa diabolica – diabolica  ! – si cerca di far passare che questa famosa bad bank dovrebbe risolvere il problema del recupero crediti delle sofferenze.
  Ma il recupero crediti di quelle sofferenze è un'operazione che, comunque, verrà fatta, verrà messa in atto o da un operatore di recupero crediti o dalla banca stessa. Quello che noi stiamo facendo oggi con i soldi dei cittadini italiani – ed è bene che lo sappiano i cittadini italiani – è prendere e garantire un centro scommesse per le sofferenze bancarie: cioè, noi, con i soldi pubblici, stiamo creando una sala scommesse, nella quale i grandi operatori istituzionali, nazionali ed esteri potranno scommettere su un eventuale recupero crediti di una sofferenza che già esiste. Con la bad bank non si risolve il problema del recupero crediti, semplicemente si fanno vendere queste sofferenze alle banche a dei prezzi assurdi: 17 per cento del valore, sul quale altri – quindi, la banca o qualcun altro – dovranno andare a recuperare, comunque, quel credito, ma, con questa creazione della bad bank, esisterà un mercato nel quale gli investitori istituzionali scommetteranno, Presidente ! Cioè, si parla di ludopatia, si parla di gioco d'azzardo: noi, addirittura, creiamo il gioco d'azzardo nel sistema delle sofferenze bancarie, ma non solo, garantiamo questo sistema di gioco d'azzardo con i soldi dei nostri cittadini.
  Perché non pensare, invece, a un fondo che ristrutturi il debito di questi cittadini che hanno delle sofferenze ? Ma parlo delle famiglie, parlo delle piccole imprese sane che non riescono a pagare, non parlo dei fondi di private equity, nei quali ha investito Banca Popolare di Vicenza, legati ad Alfio Marchini, attuale candidato sindaco qui a Roma. Non parlo di quelle sofferenze, parlo dei mutui che sono non pagati dai cittadini per una difficoltà che l'economia attuale del nostro Paese ci presenta tutti i giorni.
  Quindi, Presidente, concludo qua. Domani, magari, in dichiarazione di voto, entrerò su ogni singolo punto nel decreto, magari anche spiegando quali migliorie – non so di quali migliorie stiano parlando i miei colleghi – siano state apportate al decreto, però, concludo dicendo che, in un Paese civile e democratico, le leggi si presentano con una motivazione ben chiara, perché tutto il resto può fare apparire come qualcosa di conveniente Pag. 17presentato da qualcuno, e questo non deve neanche minimamente sfiorare la mente degli italiani.

  PRESIDENTE. A questo punto sospendo brevemente la seduta, che riprenderà alle ore 14,15.

  La seduta, sospesa alle 13,45, è ripresa alle 14,15.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 3606-A)

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mauro Pili. Prego, ne ha facoltà, onorevole.

  MAURO PILI. Presidente, onorevoli colleghi, non mi soffermerò sui tecnicismi di questo provvedimento – lo hanno già fatto altri colleghi –, perché credo che sia più utile soffermarci solo per un attimo sul perché, ancora una volta, questo Parlamento diventa uno strumento nelle mani delle banche e di chi governa i processi che stanno alla base della gestione finanziaria delle banche.
  Questo provvedimento è l'ennesimo a firma del Governo Renzi (Governo Renzi-Boschi, oserei dire, anche guardando e leggendo le cronache giudiziarie e bancarie di queste settimane), ma non sfuggirà a nessuno che in questi ultimi anni la lobby delle banche è diventata il maggior azionista di questo Parlamento. Un azionista esterno, che detta le regole e le leggi ad una classe politica e dirigente che si mostra sempre più prona e succube di scelte e decisioni che vengono fatte e prese all'esterno di questo Parlamento. È dimostrato nei fatti dal Monte dei Paschi, per arrivare alle banche popolari e a questo ennesimo provvedimento sulle banche di credito cooperativo. Si tratta di provvedimenti che sono funzionali a chi vuole controllare il sistema bancario del nostro Paese seguendo indicazioni che, solo apparentemente, vengono dall'esterno, quindi dall'Unione europea o della BCE, ma che hanno una retrospettiva tutta legata a chi gioca sul sistema bancario del nostro Paese.
  È evidente che tutti i rivoli che sono stati esplorati dal Governo Renzi in questi ultimi provvedimenti sono tutti davanti agli occhi del Paese, tutti funzionali a una logica che vede le banche in mano di pochi e per pochi, funzionale non più alle logiche di partito, come si voleva, magari, qualche tempo fa con il PCI, poi PDS e PD, ma adesso nelle mani di pochi amici di Renzi, che vogliono tentare una scalata, attraverso il Presidente del Consiglio, al controllo, dalle grandi alle piccole banche, del sistema economico-finanziario del Paese.
  Mi consentirà, Presidente, il richiamo alla P2, a quella logica che ha visto, sostanzialmente in un gruppo di uomini, perseguire, attraverso la loggia P2, una gestione attraverso amici, uomini dello Stato, un reticolato di interessi e di poteri che andava, secondo la visione della P2 di allora, dal Parlamento alle istituzioni, i sindacati e i partiti, e che oggi giunge al ganglio economico del sistema finanziario del Paese, ovvero le banche. È una P2, quella che mette in campo questo atteggiamento, questo percorso, questo excursus del Governo Renzi, che riguarda gli amici finanziatori delle sue campagne elettorali, delle sue lobby, delle sue fondazioni, per occupare spazi vitali, come sta avvenendo in questi giorni, in queste ore, Pag. 18per la sicurezza informatica del Paese, per esempio, che vorrebbe essere affidata a un «amichetto», un «compagnetto» del Presidente del Consiglio, Carrai, come superconsulente per la sicurezza informatica.
  Ebbene, è come mettere una volpe a guardia del pollaio. La stessa identica cosa si sta tentando di fare oggi con le banche di credito cooperativo, con l'intento di metterle tutte dentro un recinto per poterle meglio controllare e per assoggettarle a quel sistema del controllo partitocratico, in questo caso delle lobby.
  Sintetizzo il titolo di questo ennesimo decreto: la longa manus del Governo Renzi sulle banche, o meglio, le mani sulle banche, che hanno tentato di sfuggire a quella logica della P2, cioè centralizzare, focalizzare e mettere in campo tutto quello che era necessario mettere in campo di fronte all'atteggiamento di questo Governo rispetto al sistema bancario italiano. C’è una logica, una filosofia di fondo che emerge in maniera molto chiara e molto netta: sottrarre ai territori, mettere in campo, rispetto alle logiche della P2, centralismo di fronte alla capacità dei territori, invece, di potersi governare.
  È questa la ragione fondamentale che mi porta ad esprimere un parere totalmente contrario a questo ennesimo attacco al decentramento dello Stato, al decentramento sui territori che questo Governo mette in campo. Centralizzare anche le banche, centralizzare e rendere davvero assolutamente inaccettabile quello che sta avvenendo sul controllo delle dinamiche politiche, perché a nessuno di noi sfugge la longa manus dei partiti nelle istituzioni bancarie.
  Arriverò a esprimere alcuni passaggi su alcuni casi che vedono coinvolti personaggi di diretta emanazione del Partito Democratico, che, guarda caso, come nel caso della Sardegna, vedono il segretario del partito diventare, a catena, con il presidente del Banco di Sardegna, presidente della fondazione, quindi controllare un sistema direttamente connesso con quella logica, che è appunto alla base del sistema: controllare il credito per controllare l'interesse economico, per controllare quella che sostanzialmente è l'economia, che non è più libera, ma, invece, è assoggettata al controllo di parte.
  Mettere le mani sulle banche (questo provvedimento ne è la testimonianza) punta a due obiettivi: sottrarre ai territori e, quindi, ai cittadini la capacità di governare questo processo; dall'altra, si punta a mettere in campo le condizioni perché siano in pochi a gestire le risorse delle banche, dove, si sa, di fronte ai tassi della BCE, si hanno ancora banche in Italia che speculano e che dichiarano, alla fine dell'ultimo trimestre, ancora utili. Ma come è possibile, in un sistema ormai destituito di qualsiasi potenzialità verso il futuro, avere ancora banche che, non solo dichiarano di utilizzare tutti i fondi per creare sviluppo economico, per dare una marcia in più al credito, ma, anzi, dichiarano utili ? Ciò vuol dire che continuano a speculare sulla povertà, a creare condizioni perché le banche non siano più uno strumento di sviluppo, ma di mortificazione dell'economia, di cancellazione e di sottrazione della libera impresa. Non è un caso che il rapporto che si è creato tra le banche ed Equitalia sia una diretta connessione.
  In Sardegna sono centinaia le imprese agricole, per esempio, che vengono mandate al fallimento da banche nazionali o pseudo-regionali, che fanno dell'anatocismo uno strumento di governo etico, cioè fanno l'esatto contrario di quello che dovrebbero fare, e cioè rendere agevole il credito, non calcolare gli interessi sugli interessi, non rendere un debito un elemento di morte delle imprese, ma, semmai, un elemento che ne consenta il rilancio. È un atteggiamento (questo provvedimento ne è la dimostrazione) che punta a sottrarre al controllo dei cittadini, dei piccoli e medi risparmiatori, il controllo delle banche locali. Cioè, una visione piduista del sistema bancario in linea con l'azione politica di Renzi, del suo Governo e delle sue lobby: rendere tutto più grande per rendere sempre meno possibile il controllo e la verifica, controllare e incidere sulla governance di queste banche.
  Ma queste banche funzionano tutte male ? È necessario per forza arrivare a Pag. 19fare una mega-banca del credito cooperativo, delle banche popolari ? Bisogna per forza ?
  C’è un dato che voglio richiamare: negli ultimi sei anni i tassi di interesse sul credito a breve termine alle imprese locali applicati delle banche locali sono stati mediamente inferiori rispetto a quelli degli altri intermediari. Cioè nelle banche, nelle piccole banche, si è pagato meno il denaro di quanto lo si pagava con le banche grandi; e quindi l'obiettivo delle voraci grandi banche, gestite dalle lobby politiche e partitiche, è quello di cancellare l'unico deterrente che ancora vi era sui territori: il divario che si collocava in tutta Italia nelle aree nazionali tra le banche, tra le major, e quelle locali di 1,5 punti percentuali; esclusa l'eccezione del nord-ovest del Paese, dove il divario era dello 0,4 per cento.
  L'accusa dovrebbe cioè essere il contrario, perché è evidente che, se nelle banche piccole si paga meno il denaro, se è più facile contrarre un mutuo o avere un credito da parte delle banche, non si capisce perché bisogna invertire questa tendenza.
  La Banca d'Italia dice che le banche locali sono sicuramente più attive sul territorio rispetto alle esigenze e alla capacità di dare quel tipo di infrastruttura dinamica necessaria per assolvere all'obbligo di gestire quella partita. La Banca d'Italia, nel suo ultimo rapporto, dice: «A seguito della contrazione del credito determinata dalla crisi economica, proprio le banche locali, laddove presenti, hanno aumentato la loro posizione sul mercato nei confronti degli istituti nazionali». La Banca d'Italia ! E quindi, se è questa la verità che è in campo (e non ho dubbi che lo sia), è evidente che c’è un disegno: cancellare il decentramento finanziario-bancario sui territori, per accentrarlo e rendere le aree povere del Paese ancora più succubi e ancora più limitate nel proprio progetto di sviluppo.
  La Banca d'Italia scrive ancora: «Sempre per via della crisi proprio le banche locali, laddove presenti, non hanno limitato o chiuso i rubinetti del credito, ma hanno proseguito nel concedere prestiti ed agevolazioni alle piccole e medie imprese del loro territorio». E cioè vicinanza ad un tessuto economico che, se è in sofferenza, non deve avere un'ulteriore aggravio legato ad una banca che fa morire l'impresa o l'imprenditore, la quale semmai gli deve essere di coadiuvo, di aiuto e di sostegno.
  Tutte le ragioni tecniche, economiche, finanziarie riportate dalla Banca d'Italia affermano, quindi, sostanzialmente che occorre difendere il radicamento territoriale delle banche. E questo vale per una regione insulare ancora di più, come la Sardegna, di cui voglio succintamente affrontare alcuni casi.
  Dopo il 2000, l'applicazione delle norme della famigerata legge Amato sul sistema creditizio delle banche, delle fondazioni, ha portato ad una degenerazione, con la cancellazione di una banca storica come il Banco di Sardegna, assimilata ad una grande banca, che ha subìto un'OPA, una sostanziale offerta pubblica di acquisto da parte della BPER, la quale sostanzialmente l'ha portata in sé e l'ha fatta diventare una banca dell'Emilia-Romagna: gli stessi depositi sono stati utilizzati per lo sviluppo di altre aree economiche, sottraendole, invece, allo sviluppo della Sardegna. Un grande imbuto, che ha visto il prelievo dall'economia, seppure asfittica, della Sardegna, delle poche risorse, portate poi fuori senza lasciare un segno tangibile sull'economia della regione.
  Ed è evidente che tutto questo è avvenuto perché sulle fondazioni bancarie... Ma perché vi continuate ad occupare degli accorpamenti ed, invece, non avete inserito un solo articolo in cui prevedevate che le fondazioni bancarie non possono essere di diretta emanazione dei partiti politici ? Perché in Sardegna è capitato proprio questo, la diretta emanazione: il segretario del PD diventa presidente della Fondazione Banco di Sardegna, cioè del 49 per cento del Banco di Sardegna ! Per la scalata politica personale di un presidente si vende alla Banca Popolare dell'Emilia-Romagna il capitale, la gestione e la governance di quella banca.Pag. 20
  Per poi fare che cosa ? Per gestire in termini clientelari, personalistici, familistici quella banca; senza alcun controllo della Banca d'Italia, che è vergognosamente assente nei controlli ! Perché capita che il vicepresidente della Fondazione venga nominato alla F2i (aprirò poi un capitolo su quello, su nomine sottobanco molto più importanti di quelle), che il figlio venga nominato segretario generale, che era il segretario dell'allora sottosegretario al commercio estero del Governo allora in carica. Cioè una gestione familistica, una gestione funzionale ad interessi che esulano da quelli economici della Sardegna !
  Vi è una reazione a catena: il presidente della Fondazione Banco di Sardegna che diventa presidente del Banco di Sardegna, il cui fratello è assessore regionale della giunta in carica. C’è un sistema politico, partitocratico che mette le mani sulle banche; ma di questo voi non vi occupate, chiudete gli occhi perché siete complici, artefici e protagonisti di un sistema che fa arrivare le famiglie, le imprese a fallire. Utilizzate le fondazioni e le stesse banche per perseguire il clientelismo politico, per dare soldi a chi vi fa piacere, a chi è asservito a quegli imprenditori che, pur presi da difficoltà economiche, sono costretti a rivolgersi al sistema partitocratico. Di questo non vi siete occupati ! Non ci si occupa della mission principale, storica di queste banche, quello di mantenere e difendere il radicamento territoriale: oggi state venendo meno a quella logica, che doveva dare alle banche la capacità di collegarsi direttamente all'impresa, ascoltare, registrare, tenere sotto controllo il sistema economico per essere artefice e protagonista della ripresa.
  Avete stravolto anche l'originaria legge cosiddetta Amato-Carli, e ne avete fatto un'operazione da «mani sulle banche»; ed appare evidente che vi siete impadroniti dei forzieri, e vi state impadronendo dei forzieri, sapendo che, attraverso quelle banche, finanzierete le pubblicità ai giornali, alle televisioni; sarà uno strumento, attraverso le fondazioni, per elargire prebende a destra e a manca, per finanziare di tutto e di più, per comprare, per utilizzare le fondazioni per pagare tangenti vere e proprie allo scopo di condizionare l'opinione pubblica. Si tratta quindi di un'operazione su larga scala, per sistemare i brontosauri, i dinosauri della politica; basterebbe andare a vedere anche quello che è successo al Banco di Sardegna: cito questo perché è quello che conosco meglio. Insomma, per tessere un sistema puntuale di controllo dell'economia e della finanza, che è poi controllo della politica ed è controllo della democrazia.
  In tutto questo vi sono elementi che non possono essere sottaciuti, come la capacità di quest'operazione del Governo Renzi di rimettere sotto il controllo del suo partito, della sua lobby, il sistema bancario del Paese; e questa cosa la sta facendo attraverso canali come quelli che citavo prima, della F2i, una società parastatale in cui stranamente nascono e crescono iniziative infrastrutturali per il Paese, guarda caso tutte funzionali ad opere che sono puntualmente collocate nel Nord Italia e nei gangli dove si produce interesse economico. Tutto il sistema porta cioè poi a dire, come ha detto altre volte lo stesso Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: bisogna puntare sul privato per costruire le infrastrutture. Ma certamente il privato non andrà ad investire in aree povere del Paese: andrà dove c’è la polpa, e l'osso resterà sempre più osso ! E in questa logica, che voi state perseguendo attraverso le banche per finanziare le infrastrutture col project financing, con le concessioni, non è un caso che ci sono incontri sotterranei con la F2i, che è in campo ormai da tempo in Sardegna, e non solo per gestire l'aeroporto di Cagliari: per mettere le mani sullo sviluppo urbanistico collegato all'aeroporto di Cagliari. Tutti denari delle banche !
  Tutti denari sottratti ad aree povere per essere gestiti nelle aree forti e negli interessi economici che certamente non creano sviluppo economico. Ebbene, io penso che questo progetto scellerato, che voi state portando avanti, sarà la tomba del sistema economico del Paese, che porterà Pag. 21a situazioni come quella del Monte dei Paschi di Siena, con una gestione clientelare partitocratica, per cui si finanziano gli amici degli amici, dove, come è successo nella Banca Etruria, si finanziano soltanto gli amici che magari sono collegati a quella fondazione di Tizio o di Caio o, magari, del Presidente del Consiglio. Si punta soltanto a un'azione mera, di chi non ha visione del sistema economico del Paese, un arrembaggio al potere, un arrembaggio per scopi clientelari piuttosto che sociali ed economici; ed è per questa ragione che io voterò contro questo provvedimento, che non ha avuto, come qualcuno ha sostenuto, l'ascolto delle banche di credito cooperativo. Sono state sentite, ma con quella logica che è lasciata al carcerato: tu entri nel 41-bis, poi, al limite, puoi decidere il colore della stanza, ma quella stanza sarà sempre due per due, non avrà finestre e sarai costretto a subire quello che noi decidiamo.
  Ecco, voi scegliete oggi di imporre al sistema creditizio territoriale di accorparsi, di centralizzarsi non in funzione della loro tutela e della loro sicurezza bancaria e finanziaria, ma in funzione di cancellare quella concorrenza, che, come si è verificato e la Banca d'Italia ha registrato, dava quello strumento di governance importante sul territorio. È una scelta politica, piduista, quella che voi portate avanti. È un'azione che dovrebbe essere, se ci fossero regioni autorevoli e non asservite, contrastata. La Sardegna è una di quelle che ha un governo totalmente asservito, succube – lo stesso Presidente della regione aveva dichiaratamente detto di essere contrario alla nomina del presidente della Fondazione del Banco di Sardegna a segretario del PD – oggi è asservita più che mai a quel sistema e a quella logica, anzi ne è artefice e ne è complice.
  Quindi, non c’è da sperare; c’è da sperare invece che questo progetto naufraghi prima di iniziare, di fronte alla reazione che, io spero, possa esserci delle stesse banche, che possano tutelare quella missione fondamentale di essere vicini ai territori, agli imprenditori e non alle lobby che invece controllano questo provvedimento, che fa davvero delle banche, ancora una volta, uno strumento di potere per clientelismi davvero beceri per il sistema del Paese e, in questo caso, anche per la regione Sardegna, che si trova a dover subire con il silenzio della regione stessa, uno strumento, un provvedimento, un decreto-legge, davvero infausto per il sistema bancario economico del Paese.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rocco Buttiglione. Ne ha facoltà.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie, signora Presidente. Signora Presidente, onorevoli colleghi, con questo provvedimento, ancora una volta, il Governo si addentra sul terreno rischioso e minato del sistema bancario. Le banche non sono molto popolari oggi in Italia, anzi esiste una campagna continua e violenta, di cui sentiamo gli echi anche in queste Aule, che se la prende continuamente con le banche e con i banchieri, non senza qualche ragione, ma forse non avendo esattamente presente qual è la funzione di un sistema bancario in una economia moderna.
  Naturalmente, è comprensibile, l'artigiano, il commerciante, il piccolo imprenditore e anche il grande imprenditore, che va dalla banca e chiede un'estensione del credito per poter sopravvivere e non la riceve, tende a pensare che il direttore della banca sia la causa di tutti i suoi mali. Talvolta è vero, talvolta anche no. Credo che sia sfuggito a molti, anche in quest'Aula, fino ad oggi, il fatto che il sistema bancario italiano ha attraversato un periodo di profonde e gravissime difficoltà, le quali hanno imposto interventi, anche di sostegno, nei limiti di ciò che è consentito dall'ordinamento europeo, per evitare un tracollo che sarebbe stato foriero di danni gravissimi per tutto il sistema italiano.
  Consentitemi di ricordare che molti anni fa, 2500 anni fa circa, proprio da queste parti ci fu una sollevazione del popolo, soprattutto della plebe, che si ribellò contro i patrizi e anche contro la nobilitas, che non erano solo patrizi, ma che erano un po’ i ricchi, quelli che Pag. 22facevano i prestiti e svolgevano un po’ la funzione anche delle banche, qualcuno direbbe degli usurai, e fecero una secessione sul Monte Sacro. Le autorità del tempo, il governo del tempo, mandarono loro come mediatore un nobile rispettato dal popolo, un tale Menenio Agrippa, che raccontò una storia in cui paragonava l'organismo sociale al corpo umano, spiegando che sì le mani, le braccia, le gambe ce l'hanno con lo stomaco che sta lì e assorbe tutte le ricchezze, e sembra non fare niente. Però, è da lì che esse vengono anche poi redistribuite in tutto il sistema, alimentando il sangue e la possibilità per tutto il corpo di vivere.
  Per il sistema economico di una nazione moderna la situazione non è molto diversa: anche qui il sistema bancario ha la funzione di assorbire risorse per ridistribuirle e fare in modo che tutto il sistema possa funzionare.
  Noi abbiamo vissuto una fase in cui questo non è successo in modo corretto perché si sono assommate diverse cause della crisi. La causa, forse più drammatica, scatenante, è stata la nascita ed il diffondersi di un nuovo modo di fare banca. Il modo tradizionale di fare banca prevedeva che il banchiere prende i risparmi della gente per prestarli a chi vuole intraprendere un'attività, oppure a chi ha già un'attività in corso, e quando presta il banchiere è un po’ come un confessore, deve valutare la persona a cui presta, deve valutare il merito di credito, deve valutare se si tratta di una persona perbene, se fuggirà con la cassa oppure se resterà e pagherà il debito al tempo opportuno, deve valutare se è uno bravo e capace, oppure se è un incapace o un megalomane; e, siccome nessuno è totalmente affidabile, deve accantonare riserve che corrispondono al rischio inerente a quel prestito. Buttiglione è una persona perbene, abbastanza bravo, sicuramente restituirà, certo però che, se gli cade una tegola in testa, muore e non restituisce. Allora, siccome la probabilità è abbastanza piccola, accantoneremo una riserva abbastanza piccola.
  È venuto un tempo in cui nuove tecnologie bancarie, elaborate per lo più a Wall Street, ci hanno insegnato che non si fa così, che questo è un modo vecchio, superato, di fare. Ci hanno insegnato che i crediti dubbi, i crediti, non quelli non performing, ma quelli che prevediamo che non saranno performing, li possiamo incartare e rivendere sul mercato.
  Si era avuta una grande distribuzione di utili alle aziende bancarie, accantonamenti ridotti di riserve e mercati inondati da titoli ben camuffati, ma che in realtà erano carta straccia. È come quando c’è un laghetto in montagna e una villetta scarica le fogne nel laghetto: finché lo fa una sola il laghetto assorbe, quando lo fanno tutte il laghetto diventa una fogna.
  Siamo arrivati ad un punto, nel 2007-2008, in cui le banche non sapevano più quale fosse il valore reale dei titoli che loro stesse avevano in portafoglio e non si facevano neanche credito le une con le altre per paura di questo. È stata la grande crisi bancaria, l'Italia ne è stata in larga misura risparmiata.
  Qualcuno, negli anni precedenti, voleva modernizzare il sistema bancario italiano. Ci sono state grandi battaglie per la modernizzazione del sistema bancario italiano; tutto sommato i modernizzatori non hanno vinto ed è stata una fortuna, perché le nostre banche parlavano ancora dialetto, piuttosto che inglese, e non andavano al mercato dei derivati o al mercato gestito dai cosiddetti yuppies (young urban professional), quelli che facevano tanti soldi con le nuove tecnologie bancarie.
  Abbiamo subito anche noi la crisi, perché ovviamente la crisi è stata finanziaria, quella economica ha altre radici, anche se è stata, come dire, fatta esplodere dalla crisi finanziaria, ma aveva radici più profonde, e siamo stati parzialmente risparmiati e abbiamo commesso un errore, questa è la mia opinione personale.
  Quando tutti quanti hanno avuto la possibilità di intervenire con forza per sostenere le proprie banche, noi, essendo stati meno toccati da quella crisi, non lo abbiamo fatto o lo abbiamo fatto solo in una misura molto parziale – il Monte dei Paschi di Siena – e, anche quello, a condizioni non particolarmente vantaggiose. Pag. 23Quindi, quando il sistema si è ripreso, ci siamo trovati che gli altri erano diventati forti e noi eravamo rimasti deboli e lì abbiamo cominciato, noi, a subire una crisi che aveva radici diverse da quelle degli altri e che, in parte, derivava dal clima generale che si era creato, ma, in parte, è derivata da un fattore esterno e due fattori interni: il sistema, essendosi bruciato, ha introdotto nuove categorie di giudizio molto più stringenti, ha chiesto che le banche fossero più capitalizzate, che avessero più soldi e, chiedendogli di essere più capitalizzate, ha anche inventato nuove regole.
  Queste nuove regole, in Italia, sono state recepite male, anche perché sono state capite in ritardo e anche perché sono state negoziate, in buona parte, non tenendo conto degli specifici interessi italiani.
  Talvolta si ha l'impressione che chi ha negoziato non avesse chiara la situazione reale che c'era in Italia. Cos’è successo ? Richiedere di aumentare il capitale proprio, introdurre una particolare responsabilità di alcuni tipi di obbligazioni, erano cose che hanno sconcertato il risparmiatore italiano.
  Il risparmiatore italiano non era abituato a vedere le banche fallire, perché c'era una solidarietà di sistema che non le faceva fallire e perché lo Stato eventualmente interveniva; e, poi, era abituato a considerare le obbligazioni come assolutamente sicure. Adesso, con le nuove regole, le obbligazioni, almeno alcune obbligazioni, quelle primarie, non sono più sicure, sono esposte al rischio. Quanta gente ha comprato queste obbligazioni perché davano un rendimento un poco più alto, senza rendersi conto che ieri non erano esposte al rischio e, oggi, invece, lo sono ?
  D'altro canto, si è richiesto un potenziamento dal punto di vista del capitale proprio o, comunque, delle forme assimilabili a capitale proprio, compreso questo nuovo tipo di obbligazioni – c'erano anche prima, ma con una regolamentazione diversa –, cosa che ha costretto le banche a fare meno credito. Allora, abbiamo avuto un fenomeno strano: gli interessi cadono, perché la Banca centrale europea inonda il sistema di liquidità; se si ha un prestito, magari, lo si ha a condizioni molto buone, ma averlo è difficile, perché la banca può fare meno prestiti. È una delle contraddizioni, anche, del sistema europeo che, con una mano, dice: prestate, per sostenere l'economia, vi do io i soldi, ve li do a zero interessi; e, con l'altra mano, dice: non fatelo, perché, se lo fate, eccedete la quantità di prestiti rispetto al capitale che avete e, quindi, vi esponete a dei rischi.
  È stato il problema del conflitto fra la European Banking Authority e la Banca centrale europea ed è oggi un conflitto interno alla Banca centrale europea tra chi ha il compito della vigilanza microprudenziale e chi, invece, gestisce quelli che potremmo chiamare i livelli globali di erogazione del credito.
  In questo contesto sono emersi anche alcuni nostri, vecchi difetti che abbiamo per lungo tempo smesso di curare, ma che abbiamo anche fatto bene a non curare subito, perché ci hanno in parte difeso da questo nuovo modo di fare banca.
  Noi abbiamo una grande tradizione di credito locale: le banche popolari, le banche di credito cooperativo; si tratta di banche legate al territorio che sono una ricchezza per il territorio, perché sono banche le quali, appunto, non parlano inglese, parlano il dialetto, fanno prestiti sul territorio, non comprano obbligazioni a Wall Street e neanche a Londra e, quindi, sostengono lo sviluppo dell'economia locale.
  La banca del territorio è una grande ricchezza per il territorio ed è un problema nostro, oggi, tutelare questa ricchezza, tutelarla tenendo conto di due cose: innanzitutto che questa ricchezza è legata anche ad alcuni vizi, il legame col territorio significa molte volte l'infeudamento in gruppi di interessi territoriali che possono essere il comune, soprattutto quando il comune rimane per 60 anni nelle mani della stessa parte politica, ma possono anche non essere il comune, ma gruppi di famiglie che hanno ruoli importanti all'interno di quel territorio, possono essere gli amministratori stessi delle banche, Pag. 24soprattutto quando questi sono eletti con sistemi i quali li legano a quelli che lavorano nella banca o, comunque, a cerchie ristrette.
  Tutto questo può generare una gestione allegra, o triste, come abbiamo visto in un numero significativo di casi di banche, le quali sono risultate, alla fine, praticamente insolventi o che, comunque, hanno dato giustificati motivi di sospettare della correttezza del loro modo di operare. Per di più, questo tipo di rafforzamento patrimoniale non è facile da realizzare per tutte le banche e anche qui si potrebbe dire: ma, è proprio necessario questo rafforzamento patrimoniale, nella misura in cui le regole europee lo hanno adottato ? Perché noi abbiamo adottato un po’ in tutta Europa il modello dalla banca mista, ma la banca mista, come fatto giuridico, nella realtà, poi, vede banche che sono prevalentemente banche commerciali e banche che sono prevalentemente banche di affari, e le banche le quali operano sul territorio in una maniera tradizionale hanno evidentemente rischi minori delle banche che trattano capitale speculativo e, quindi, forse, avrebbero avuto anche diritto ad avere un trattamento diverso da quello che è stato adottato. Non so se sarebbe stato opportuno tornare alla distinzione tra banca commerciale e banca d'affari, ma, in ogni caso, questo punto di vista tipico delle piccole banche, delle banche del territorio, noi lo abbiamo forse difeso senza convinzione sufficiente nei tavoli delle trattative, in particolare a Basilea. Ma questa è una considerazione la quale non tocca direttamente il testo che stiamo discutendo.
  Allora, ben venga questa nuova normativa che affronta i problemi del nostro sistema delle banche di credito cooperativo. Di cosa si tratta ? Noi abbiamo un sistema di credito cooperativo; la cooperazione, come la banca del territorio, è una grande ricchezza del Paese, è il modo in cui accede al diritto di intrapresa garantito dalla Costituzione chi non ha i soldi per intraprendere per conto suo. La cooperazione è stato un pilastro dello sviluppo di intere regioni italiane – penso all'Emilia Romagna, ma penso anche, non a tutta la Lombardia, ma a buona parte della Lombardia, penso alla Brianza –; buona parte dell'Italia si è sviluppata attraverso la cooperazione. È anche un grande valore politico e morale perché dice che un sistema di libero mercato non è necessariamente un sistema di capitalismo che esclude la solidarietà, è un sistema all'interno del quale ci possono essere forme di intrapresa le quali sono fondate sulla solidarietà, la solidarietà fra i membri della cooperativa, ma, anche, la solidarietà delle cooperative fra di loro, all'intero di un sistema cooperativo. Cosa avviene adesso ? Con la nuova normativa europea una parte del sistema cooperativo si trova ad essere esposto, perché gli è difficile adempiere ai criteri di cui sopra. Allora, era necessario rafforzare la solidarietà del sistema cooperativo ma, anche, dargli la possibilità, attraverso un'adeguata centralizzazione, di un miglior coordinamento che lo rendesse capace di tenere il mare della concorrenza in un mondo in cui la concorrenza diventa sempre più accesa. Il lavoro del banchiere è un lavoro in cui la competizione è sempre più forte; occorre tenere assieme, coordinare le banche di credito cooperativo, dando loro il sostegno di un società alle loro spalle, la quale abbia insieme funzioni di solidarietà e di controllo; solidarietà e controllo vanno sempre assieme, chi dà solidarietà giustamente deve e vuole controllare, faremmo bene anche a ricordarlo in sede europea quando trattiamo del problema della mutualizzazione e contemporaneamente del controllo della finanza degli Stati membri: non faremo molti passi sulla mutualizzazione se non faremo passi altrettanto chiari sul controllo della finanza degli Stati membri. Qui abbiamo un problema formalmente analogo e la soluzione trovata ci sembra che sia una buona soluzione. Non posso nascondere che all'inizio abbiamo avuto molte perplessità per un aspetto: il progetto originario che ci è stato presentato era un progetto nel quale si ammetteva un diritto di recesso e di trasformazione della banca di credito cooperativo in società per azioni, per le Pag. 25banche di credito cooperativo di dimensioni superiori a una certa soglia, pari a 200 milioni di euro.
  Questo ci aveva lasciato molto perplessi per due ragioni. Una è una ragione di carattere comunitario: le banche di credito cooperativo hanno accumulato le loro riserve indivisibili nel corso di generazioni, e le hanno accumulate con il sacrificio dei soci, i quali non hanno percepito utili, e con il sacrificio dei contribuenti, che non hanno preteso tasse o ne hanno preteso in una misura, diciamo così, contenuta. Questo ha creato le riserve. Ora, è ammissibile che uno paga il 20 per cento delle riserve, quando tutte le riserve hanno questa origine solidaristica, e ne trattiene l'80 per cento, si trasforma in società per azioni e diventa azionista di quella società ? Voi potete immaginare che le azioni dei soci di una cooperativa che facesse questo mestiere avrebbero avuto una crescita di valore molto grande?
  Azioni che oggi valgono poco, perché non hanno titolo alla remunerazione e non danno neanche il potere di controllo – perché poi, alla fine, il sistema di voto non è un sistema che dà il potere di controllo a chi ha il maggior numero di azioni – improvvisamente acquisterebbero potere di controllo e diritto alla retribuzione. In alcuni casi si può immaginare che il valore sarebbe schizzato, si sarebbe moltiplicato per dieci volte. È giusto ? Dal punto di vista dell'ordinamento europeo, evidentemente, non è giusto, perché in questo modo si dà un vantaggio competitivo. Potrebbero anche decidere di distribuire tutto in dividendi, ma, comunque, si dà un vantaggio competitivo alle banche che fanno questo tipo di operazione. Sgravate degli obblighi della cooperazione, mantengono, almeno fino alla data della trasformazione, il capitale accumulato attraverso i privilegi della cooperazione stessa, giusti fino a un certo punto, non giusti da quel momento in poi.
  La soluzione trovata – io avevo presentato, credo, per primo, un emendamento che la indicava – mi sembra equilibrata: rimane il diritto di recesso, ma rimane anche la forma cooperativa e solidale. Si paga una quota di solidarietà al bilancio dello Stato – qui si potrebbe discutere se sia la cosa più giusta, se non andasse usata piuttosto per la solidarietà interna del sistema cooperativo, ma comunque va bene anche il bilancio dello Stato – e il resto rimane riserva indivisibile; e la cooperativa, come tale, acquisisce la proprietà della banca, con facoltà anche di emettere azioni ulteriori per rafforzare la banca stessa.
  Una soluzione equilibrata che credo meriti di essere approvata. Il tempo non mi permette di toccare un'altra questione fondamentale, cioè quella delle cartolarizzazioni. Mi permetto solo di dire una cosa al rappresentante del Governo: il problema vero non è la bad bank, non sono le cartolarizzazioni, che sono pure utili ambedue le cose; il problema vero è il diritto fallimentare. Fin quando il recupero di un credito derivante da fallimento richiede otto o dieci anni, è evidente che il valore di quei crediti sarà molto basso, e quindi un vero mercato dei crediti non performing non si potrà sviluppare bene, che ci sia o non ci sia la bad bank, che ci siano o non ci siano le cartolarizzazioni. Credo che questo debba essere il prossimo obiettivo a cui si dedica l'attenzione del Governo.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alberti. Ne ha facoltà.

  FERDINANDO ALBERTI. Grazie, Presidente. Nel mio intervento mi soffermerò principalmente, anzi, quasi esclusivamente, sulla questione della riforma delle BCC. Allora, come è nata questa riforma ? Da quando è arrivato il provvedimento in Commissione, io e i miei colleghi del MoVimento 5 Stelle avevamo subito palesato i nostri timori e le nostre perplessità su questo provvedimento.
  Voi direte: sai che novità, il MoVimento 5 Stelle che dubita su un decreto del Governo Renzi ! Però, io, personalmente, ho modificato un po’ la mia percezione su questo decreto.
  Infatti, all'inizio, avevamo inteso – e questa, comunque, continua ad essere una Pag. 26chiave di lettura ancora valida – che questa riforma fosse stata imposta dal Governo sulle banche di credito cooperativo secondo una forma di ricatto: o fate voi un'autoriforma come dico io oppure fate la fine delle popolari, vedasi l'ultimo decreto sulle banche popolari dell'anno scorso. Poi, però, hanno incominciato a scriverci alcune banche popolari, soprattutto in contrasto con quella che era la visione unica, il pensiero unico portato avanti da Federcasse, l'associazione che dovrebbe rappresentare la stragrande maggioranza delle banche di credito cooperativo, che ha scritto, appunto, questa autoriforma, che poi è stata presa dal Governo e praticamente attuata al 99 per cento.
  Queste mail ponevano alcuni dubbi sull'onestà di Federcasse e dei dirigenti di Federcasse, e abbiamo cominciato, io, personalmente, ho cominciato a dubitare anche di Federcasse, nonostante Federcasse fosse venuta in audizione in Commissione finanze a raccontare che il sistema del credito cooperativo è solido, è sano, non ha bisogno di alcuna riforma, e ha portato alcuni numeri, la stessa Federcasse. Il Governo continua a sostenere anche oggi che è necessaria una riforma delle banche di credito cooperativo per renderle più stabili, per essere più competitive, e un po’ cozzano le visioni tra Federcasse e il Governo e la maggioranza.
  Ma, a quel punto, sinceramente, mi trovavo un po’ in difficoltà: a chi credere, a Federcasse, che contraddice in alcuni punti il Governo stesso, ma che comunque approva il decreto sulla riforma, oppure al Governo e alla maggioranza, che dicono «guardate che questa riforma proviene dal basso, l'hanno scritta le BCC» ? Allora, cosa abbiamo fatto ? La cosa più semplice: abbiamo scritto ai direttori delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo. Gli abbiamo mandato una mail, io sono partito dal mio territorio, ho mandato una decina di mail alle banche più vicine a dove abito e adesso vorrei leggervi la risposta di un direttore di una BCC. La leggerò tutta, perché è importante leggerla tutta, e vi prego veramente di stare ad ascoltare: «Onorevole Alberti, non ho il piacere di conoscerla e nemmeno conosco la sua area politica di appartenenza, ma la ringrazio da subito per la sensibilità che dimostra sulla problematica di cui all'oggetto e, soprattutto, per la chiarezza e la perspicacia dei quesiti che pone». Questo l'ho letto non tanto per far vedere quanto sono bravo, ma per farvi capire che tra me e chi scrive non c’è alcun legame. «Le anticipo, per correttezza, che le risposte ai quesiti e le argomentazioni che formalizzerò a supporto, e che da oltre un anno ho cercato di segnalare, inascoltato, agli organi associativi del credito cooperativo – leggasi Federcasse – non rispecchiano il punto di vista maggioritario degli esponenti delle BCC italiane, anche perché il nostro mondo, purtroppo, è composto da realtà assai disomogenee, sia in termini dimensionali – ad esempio, banche con 5-10 sportelli, banche con 40-50 sportelli oppure banche con patrimonio da 20 a 50 milioni, banche con patrimonio da 100 a 200 milioni, una quindicina oltre i 200 milioni e altro ancora – sia in termini di virtuosa ed efficace gestione. Ad ogni buon conto, i principali aspetti positivi e negativi che connotano le BCC italiane penso si possano così sintetizzare. I positivi: banche locali, storia ultracentenaria, vicine alle fasce più deboli e alle PMI, agili e snelle. Durante gli anni recessivi post 2008 si sono distinte per un forte supporto ai rispettivi territori, anche sostituendosi – non sempre in modo appropriato, peraltro – alle banche di grandi dimensioni. Aspetti negativi: rischio di autoreferenzialità degli esponenti di governance, strutture centrali, sia associative che imprenditoriali, molto costose e inefficienti. Il grosso problema sta proprio nelle strutture di vertice: queste dovrebbero essere sane, efficienti e supportare in modo adeguato e virtuoso le BCC nell'ambito di un'organizzazione a rete che potrebbe consentire loro di operare con servizi centralizzati validi e adeguate economie di scala e di scopo.
  Viceversa, si sono ripiegate su se stesse, con una visione che privilegia il potere del comando anziché la mission del servizio, dettata da una classe dirigente – la chiamerei Pag. 27oligarchia cooperativa – che sostanzialmente impera da oltre venticinque anni. Il supporto dato ai propri territori di riferimento, e quindi al Paese, dalle BCC negli ultimi dieci anni è riuscito ad attenuare molti disagi e problemi alle micro-piccole imprese, ma, al tempo stesso, ha comportato un rilevante deterioramento degli attivi di queste banche, che svolgono quasi esclusivamente attività tipica di intermediazione (raccolta da famiglie/impieghi (finanziamenti) alle famiglie ed imprese).
  Molte di esse, secondo Bankitalia, circa un centinaio sui 360, si trovano ora con livelli patrimoniali troppo bassi e/o con asset di crediti deteriorati non adeguamenti svalutati. Questa problematica, unitamente alla filosofia finanziaria attualmente imperante in tutto il mondo (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e, di riflesso, Bankitalia) che vuole perseguire in tempi rapidi un drastico ridimensionamento del numero delle banche, ha indotto le citate autorità, fisicamente nella veste di Bankitalia, a richiedere un urgente intervento in questa direzione.
  Ho fatto questa premessa per consentirle di avere un quadro di riferimento effettivo del perché si vuole questa riforma, dopo quella delle banche popolari, ed anche per evidenziarle la mia convinzione che tutto quel che è stato predisposto ha precisi connotati machiavellici finalizzati a perseguire l'obiettivo sostanziale di smantellare in tempi celeri il credito cooperativo, anche se in evidente clamorosa violazione di alcuni sacrosanti profili costituzionali, quali quello della cooperazione, articolo 45, quello inerente le iniziative economiche e la concorrenza, articolo 41 e quello riferito alla libertà alla libertà di associazione e non, articolo 18.
  Ancora oggi mi chiedo come sia possibile in un Paese che si fonda sui valori della libertà e dalla democrazia perpetrare un disegno tale per cui, nell'intento di curare e sostenere un gruppo di realtà che grosso modo rappresentano il 25 per cento del totale delle BCC, vengono costrette anche tutte le altre, senza sostanziali possibili alternative, ad aderire, rispondendone in solido e senza possibilità futura di recesso, ad un gruppo bancario (devo sottolineare che ovviamente la facoltà di recesso è stata inserita, ma di fatto è inapplicabile) dove la capogruppo: sarà una S.p.A.; verrà partecipata dalle BCC, ma contemporaneamente le controllerà in modo permanente e drasticamente invasivo, in quanto il gruppo dovrà avere chiari connotati di consolidamento contabile nel rispetto della normativa a tal proposito vigente; sarà potenzialmente esposta in futuro ad attenzioni ed appetiti esterni con finalità sicuramente diverse a quelle originarie del credito cooperativo, dal momento che Bankitalia raccomanda di prevedere la possibilità che le BCC possano scendere sotto la soglia di maggioranza partecipativa e tenuto realisticamente conto che potrà risultare un ghiotto bocconcino, il terzo gruppo bancario italiano, ad un costo sostanzialmente irrisorio, ricordiamo che il capitale previsto è solo di un miliardo di euro. Se il fine vuole essere quello di mettere in sicurezza le BCC in difficoltà, la modalità con cui lo si vuol perseguire mi sembra quanto meno discutibile, se non addirittura paradossale. Oppure, volendo pensar male, il vero disegno è quello di fare in modo di consegnare questo comparto, storicamente radicato nei territori italiani in mano a interessi o esponenti con ben altra forza, intenti e vocazione.
  Della way-out ogni giorno si parla, sembra diventata la favola del momento. Evidenzio alcune considerazioni: non mi soffermo sull'entità dell'aliquota del 20 per cento inerente l'affrancamento delle riserve indivisibili, dico solo che trovo paradossale che per mantenere un'autonomia giuridico-imprenditoriale un'entità debba pagare, capisco la necessità del Governo di fare gettito, ma questa via mi sembra più ricattatoria che garantista; il fatto che venga prevista solo per poche BCC, con patrimonio di almeno 200 milioni, e non per tutte è quanto meno discutibile e si commenta da sé; qualora gli emendamenti preannunciati dovessero consentire indirettamente anche alle BCC Pag. 28più piccole di beneficiarne, mi domando come sarebbe percorribile ed esercitabile una simile azione in soli sessanta giorni, prevederla ma al lato pratico non consentirne l'attuazione la assimilerebbe ad una doppia presa in giro (sono le stesse cose che dicevamo, magari il Viceministro si ricorda, in Commissione); infine l'affrancamento delle riserve indivisibili prospettato dalla way-out viene considerato da molti sostenitori della riforma, e fra questi molti farisei della cooperazione che si stracciano le vesti gridando allo scandalo, come una palese violazione del dettato costituzionale.
  A tal proposito domando: obbligare tutte le BCC a sottomettersi in solido con i propri patrimoni, riserve indivisibili comprese, affidando il proprio futuro senza vie d'uscita ad una S.p.A., potenzialmente aggredibile e conseguentemente governabile dall'esterno, non è forse peggio ? Perché Federcasse si preoccupa di far blindare il più possibile la riforma dalla stessa in larga parte concepita per evitare possibili vie di fuga ? Se, come sostiene, è il frutto di un ampio lavoro condiviso con tutte le BCC, non dovrebbero nutrire particolari timori per eventuali diserzioni. Il suo comportamento, le sue preoccupazioni, lasciano pertanto trasparire chiaramente come stiano effettivamente le cose ed evidenzino inequivocabilmente i metodi subdoli e ipocriti con cui ha condotto e gestito la stesura dell'autoriforma»; come volevasi dimostrare.
  Ma questo forse è uno dei pezzi più belli: «L'evidente autoreferenzialità dell'attuale classe dirigente associativo-imprenditoriale, anche grazie ad una accorta e selezionata politica di distribuzione delle poltrone (i massimi esponenti attuali sono maestri in tal senso), da un lato ha consentito di consolidare il proprio potere dirigista sul movimento e dall'altro, purtroppo, le ha permesso di promuovere un processo di graduale inefficientamento a danno di un discreto numero di BCC, sostanzialmente ridotte a passive strutture periferiche in attesa di eventi e di disposizioni comportamentali, i cui esponenti vivono in un quotidiano desiderio di deresponsabilizzazione che vorrebbero imporre a tutti. Ma non tutte le BCC sono nella condizione di dover tacitamente e passivamente assistere alla proprio dipartita, ci sono anche quelle, ufficialmente poche, ma potenzialmente molte, che si agitano e si dibattono per evitare il proprio concentramento nel campo del gruppo unico, magari, con il motto «la cooperazione rende liberi», e perseguire percorsi alternativi anche se non ritenuti ottimali, ma considerati il minore dei mali, qual è la way out diretta o concordata. Federcasse lo sa e ne teme le potenziali penalizzanti conseguenze rispetto al proprio disegno. Sa benissimo che, in mancanza di vincoli specifici, le BCC più grandi, e/o più efficienti, e/o con esponenti intellettualmente onesti e liberi da impegni di poltrona, potrebbero decidere al momento opportuno di svincolarsi dall'obbligo di aderire ad un gruppo e di farsi dirigere e coordinare da una S.p.A., adottando il percorso alternativo della way out con lo spin-off del ramo bancario in una S.p.A., che se non altro consentirebbe loro di mantenere il potere di governance in capo alla cooperativa originaria. A quel punto verrebbe messa fortemente in discussione la stessa solidità e capacità prospettica del gruppo bancario unico, che potrebbe ritrovarsi quali aderenti le BCC meno solide e meno rispondenti patrimonialmente, oltre a quelle governate degli esponenti direttamente o indirettamente collegati all'attuale potentato oligarchico che regge il ponte di comando. Sempre più sono convinto che solo la politica vera, quella con la P maiuscola, passa salvare il movimento del credito cooperativo. Come (qua ci sono alcune proposte) ? Smarcandosi dal potere corrente che vuole smantellare acriticamente tutto quello che è piccolo e potenzialmente più fragile; salvaguardando le realtà che potenzialmente possono garantire stabilità e coesione sociale, tra queste le BCC; attivando una riforma che persegua un effettivo efficientamento del credito cooperativo e non il suo smantellamento, quindi prevedendo un ragionevole ridimensionamento numerico delle BCC (possiamo essere anche Pag. 29d'accordo); la possibilità e non l'obbligo per le BCC che lo vorranno di aderire ad uno o più gruppi bancari cooperativi, con maggioranza del capitale inderogabilmente in capo alle BCC però; la facoltà di sostegno reciproco entro certi limiti, onde non compromette la singola stabilità delle BCC nell'ambito della mutualità e solidarietà e dei veri valori cooperativi; l'obbligo per le BCC di dotarsi di organi di gestione non pletorici, quindi snelli e numericamente contenuti; l'obbligo per le BCC che non rispettano certi parametri oggettivi di sostituire i propri esponenti di governance con verifiche annuali (tutti argomenti che potevano essere discussi, se ci fosse stata la possibilità, in Commissione).
  Per quanto ovvio si renderà inderogabilmente necessario ed urgente sostituire l'attuale classe dirigente centrale, sia in sede associativa sia imprenditoriale, con nuovi esponenti espressione delle BCC più solide, efficienti e virtuose». Ancora una volta questo direttore punta l'attenzione sulla governance delle singole BCC e non su una questione di stabilità delle singole banche. «In conclusione per non correre il rischio di non dare integrale riscontro ai quesiti a lei posti, richiamo qui di seguito i passaggi interrogativi della sua e-mail e le rappresento le mie sintetiche osservazioni». Andiamo velocemente. «Le decisioni adottate da Federcasse sono il frutto del lavoro di una classe dirigente che non si pone come obiettivo vero la messa in sicurezza del credito cooperativo ma il consolidamento e l'accentramento delle potenzialità patrimoniali e prospettiche di relazione delle BCC a favore di pochi e selezionati esponenti che si ritroveranno in mano il potere di direzione e coordinamento delle stesse e con il rischio che questo potere possa passare in breve tempo a potentati esterni portatori di interessi ben diversi... Banca d'Italia non fa altro che perseguire le linee direttrici dettate dalla Banca centrale europea sull'onda delle indicazioni che negli ultimi anni il Fondo monetario internazionale ha sistematicamente emanato ma che sono in evidente e clamoroso contrasto con il dettato costituzionale italiano». Proseguendo: «Purtroppo ancora oggi nessuna BCC conosce effettivamente e integralmente il testo della proposta di autoriforma depositata a suo tempo dall'autorità di governo di Federcasse. Tutto quello che si conosce è il frutto delle comunicazioni ufficiali del Governo e del Parlamento, del testo del decreto di riforma pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, delle memorie di Federcasse e Banca d'Italia depositate alle audizioni alla Camera, oltre che di quanto pubblicato sulla stampa». Ponevo anche una domanda diretta, specifica che leggo: ritiene inoltre che far confluire tutte le BCC sotto i 200 milioni di patrimonio netto in una holding avente natura di società per azioni fosse uno degli obiettivi originari dell'autoriforma ? E la risposta è: «Se per autoriforma intende quella predisposta da Federcasse, le ribadisco che il vero obiettivo di quest'ultima è, a mio modo di vedere e per le motivazioni in precedenza addotte, obbligare tutte le BCC, anche quelle di maggiori dimensioni, ad aderire ad un unico gruppo e di fatto trasformarle coattivamente da associate-controllanti libere e autonome in partecipanti-controllate in ambito consolidato e di poterne disporre a piacimento nell'ambito delle finalità della classe dirigente di riferimento». Un'altra domanda: ritiene altresì che il cosiddetto way-out, che obbliga le BCC ribelli a trasformarsi in vere e proprie S.p.A., sia la struttura migliore per affrontare e risolvere i problemi del settore ? Risposta: «Assolutamente no, è un sostanziale ricatto per coloro che vorranno scegliere il minore dei mali vale a dire pagare per non farsi scippare la BCC, pur dovendosi poi snaturare con la procedura dello spin-off e dar vita ad una S.p.A. comunque esposta ai rischi indicati nel quesito sottostante». Non teme l'ingresso di capitali e soci esterni al mondo cooperativo e che questo possa snaturare la funzione mutualistica della banca cooperativa ? Risposta: «È un rischio molto serio e per nulla remoto, soprattutto se a guidare e governare il processo di riforma saranno coloro che ne hanno predisposto il progetto come realisticamente tutto lascia prevedere». Un'altra domanda: ritiene Pag. 30che i problemi paventati dal Governo per quanto riguarda la stabilità del settore bancario siano credibili e imputabili in parte alle BCC ? Risposta: «Il mondo delle BCC ha le proprie colpe, alcune molto gravi, e in tal modo ha favorito e avallato le richieste di intervento e di riforma di cui stiamo discutendo. La crisi congiunturale degli ultimi anni ha poi contribuito ad enfatizzare i punti deboli del credito cooperativo, quindi un grande mea culpa deve venire dal nostro interno anche perché purtroppo e paradossalmente la debolezza attuale e prospettica di molte BCC è diventata la forza incontrastata degli attuali referenti nazionali». Anche in questa risposta, è vero, non è tutto oro quello che luccica: ci sono delle colpe, le ammettono ma punta ancora l'attenzione sui referenti dell'associazione delle BCC e chi effettivamente governa all'interno di questa associazione. Quali soluzioni alternative proporrebbe per risolvere questi eventuali problemi ? «Ripensare un attimo ai valori costituzionali della libertà di impresa e di associazione (e non) e, nel rispetto di questi, salvaguardare l'attuale assetto delle BCC favorendone un ragionevole ridimensionamento numerico e al tempo stesso consentendo a quelle che lo desiderano di potersi raggruppare e coordinare sotto una o più capogruppo inderogabilmente partecipate in maggioranza dalle stesse BCC aderenti.
  Parallelamente attivare tutto quanto necessario e opportuno per fare in modo che le BCC più virtuose, oggettivamente individuate, divengano un benchmark di riferimento per tutte le altre e, al tempo stesso, esprimano una classe dirigente a livello associativo e imprenditoriale con la contestuale rimozione dell'attuale. Con volontà, buona fede e onestà intellettuale ed anche disponibilità al sacrificio da parte di tutti gli attori coinvolti, in primis il personale dipendente e le rappresentanze sindacali, per un obiettivo prospettico comunemente condiviso, sono certo che il credito cooperativo potrebbe diventare non dico il fiore all'occhiello ma comunque un buon esempio dell'auspicata rinascita italiana». Conclude il direttore: «Perdoni gli eccessi dialettici ed i toni a volte troppo accalorati: sono il frutto del violento contrasto del mio stato d'animo che ormai quotidianamente si dibatte fra l'entusiasmo di una professione che amo e in cui credo (ho quasi sessant'anni) e l'amarezza di un realistico, probabile e imminente smantellamento del lavoro e dell'impegno di generazioni, di uomini, di comunità ! Nel rinnovarle il mio più sincero ringraziamento per l'attenzione che sta dedicando alla nostra riforma, le auguro un buon lavoro e la saluto con viva cordialità». Presidente, all'interno di questa lettera c'erano molti punti che nemmeno noi sposiamo in toto ma su cui si poteva ragionare. La nostra domanda è la seguente: perché il Governo ha voluto ascoltare solo i referenti di Federcasse e non – certo era un po'complicato però poteva essere fatto – una rappresentanza anche di queste BCC come questo direttore di banca, sicuramente dirigente: è un direttore generale di una delle BCC, ce ne saranno sicuramente molti altri che la penseranno nella stessa maniera. E quindi oggi dire e spacciare questa riforma, questo decreto-legge come una riforma che proviene dal basso, cioè che proviene da 360 e passa BCC, è una menzogna. Questa riforma proviene esclusivamente forse da quattro o cinque teste che fanno parte, che sono a capo della Federazione delle BCC che comandano, controllano e impongono. Quindi voi avete ascoltato una casta per riformare un settore ad immagine e somiglianza di voi stessi e di quella casta. Avete istituzionalizzato una casta occulta, ora l'avete istituzionalizzata mettendola a capo dell'unico gruppo bancario che nascerà – perché di fatto sarà uno solo: è inutile che ci raccontiamo la favola che potranno essere più gruppi bancari – ce ne sarà uno solo, una sola holding e gli avete messo in mano tutto il potere, anzi in realtà questo potere ce l'avevano già in mano: di fatto l'avete istituzionalizzato, l'avete reso legale per decreto-legge. Presidente, mi scuso magari per non aver letto bene, forse sarebbe stato più chiaro un oratore con una capacità di lettura un Pag. 31po’ migliore della mia ma spero che il messaggio sia arrivato e spero che possiate riflettere su queste parole.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signora Presidente, nel giro grosso modo di un anno, il Parlamento è chiamato ancora una volta a pronunciarsi su un provvedimento che riguarda il sistema bancario. È l'ennesimo provvedimento che il Governo pone all'attenzione del Parlamento. Abbiamo iniziato male questo approccio con le necessarie riforme eventualmente da fare sul sistema bancario. Abbiamo iniziato con un decreto-legge che è arrivato di punto in bianco cioè un anno fa sulla riforma delle popolari. Poi, soprattutto nell'ultimo periodo dell'anno, c’è stato il cosiddetto decreto salva-banche (Banca Etruria, Marche, Ferrara, Carichieti) che successivamente è stato trasferito, traslato nella legge di stabilità. Ma questo decreto-legge salva-banche in parte è figlio del fallimento della riforma sulle popolari perché di questo si tratta.
  Il provvedimento sulla riforma delle popolari che è stato fatto, è stato fatto esclusivamente – perlomeno così è stato detto in Parlamento nelle audizioni – per una necessità di riordino e di riforma, ma era principalmente calibrato a tentare il salvataggio di alcune banche popolari che erano in grande difficoltà. E su questo provvedimento, sul decreto salva banche, si è ancora in attesa dei decreti attuativi. Ancora siamo alle prese con la questione dei 100 milioni di euro di fondo di solidarietà, se siano sufficienti o meno. E lo sappiamo tutti che non sono sufficienti. E riteniamo, da questo punto di vista, che quanto previsto dalla Costituzione sia sovraordinato anche ai trattati europei. Mi sbaglio oppure no che ciò che riguarda le Costituzioni e ciò che è previsto nelle Costituzioni dei singoli Stati è sovraordinato anche rispetto ad alcune situazioni dei trattati europei ? L'articolo 47, che conoscono tutti, sancisce che la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito e favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto o indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese. Siamo sicuri che autonomamente il nostro Paese, il nostro Governo, che ci rappresenta, e il Parlamento non siano nelle condizioni, in base a quello che prevede la nostra Costituzione e rispetto a tutte le riforme che sono in essere anche all'interno dell'Europa o della BCE, di aumentare questo fondo per poter dare attuazione all'articolo 47 della Costituzione e ristorare tutti ? Anche perché, se non mi sbaglio, se non ho letto male, ultimamente pure l'Europa non è che sia così intransigente in riferimento a questo aspetto e a questo problema, visto che all'interrogazione dell'onorevole Tajani c’è stata, se non proprio una totale apertura, una parziale apertura.
  E in tutto questo contesto arriva l'ennesima riforma e anche questo è un problema perché si deve fare una rivisitazione di tutto se c’è bisogno, altrimenti noi poi qui, ogni due mesi, ogni tre mesi, dobbiamo parlare sempre delle banche e delle riforme delle banche. Si è fatta la cosiddetta riforma delle BCC. È fin troppo evidente che il concetto che, signora Presidente, molti si sono fatti e che è davanti agli occhi di tutti è innanzitutto un concetto di carattere generale, ossia che c’è qualche cosa che non funziona, sia per quello che riguarda la vigilanza, sia per quello che riguarda questi stress-test di cui di tanto in tanto si sente parlare. Non capiamo fino a che punto poi hanno una validità vera e asseverata dalla realtà. Spesso e ben volentieri noi abbiamo sentito negli anni, in maniera anticipata, rispetto a quelli che sono stati i provvedimenti, antecedente, da parte del Governo, che la Banca d'Italia assicurava in tutti i sensi il sistema nei confronti di qualsiasi Governo che c’è stato, sostenendo che il sistema di credito del nostro Paese era un sistema solido, senza problemi, senza rischi, che non aveva bisogno di niente sostanzialmente, che le cose andavano Pag. 32bene così. Per non parlare anche di alcune sviste per quello che riguarda la situazione Consob. E così siamo scivolati in un contesto per cui gli altri Paesi, in particolare la Germania, la Spagna, l'Irlanda e così via, si sono messi a posto da questo punto di vista, perché con risorse pubbliche hanno sistemato tutte le loro situazioni. Poi è arrivato il provvedimento del bail-in che non consente più al nostro Paese di fare ciò. Nessuno si è chiesto o ha chiarito perché mai le istituzioni preposte, in particolare la Banca d'Italia, non abbiano illustrato, illuminato, indicato ai Governi che si sono succeduti che anche il sistema di credito nostro era nelle stesse medesime condizioni forse di questi altri e che avremmo potuto a suo tempo porre rimedio in maniera diversa rispetto alla situazione traumatica con cui si è proceduto nelle vicende.
  Tutto questo con una vittima certa, signora Presidente, che sono i creditori, i cittadini. Infatti, queste riforme si stanno facendo in tutto e per tutto per le banche, ma io non vedo che ci sia una grande attenzione, quella che è prevista dalla Costituzione, in particolare all'articolo 47, a difesa e a tutela dei cittadini. Anche queste riforme, ripeto, sia quella delle banche popolari, che già da più di un anno è in vigore, sia anche questa, non hanno come finalità vera quella della tutela del risparmiatore e quant'altro. Si cerca di rimettere ordine con il Presidente del Consiglio che di tanto in tanto dice che le banche sono troppe e che bisogna accorparle e con la Banca d'Italia che è finita adesso, in quest'ultimo periodo, nel silenzio tombale dopo essere stata responsabile, anche dei commissariamenti che sono stati fatti negli anni e non mi riferisco solo alle quattro banche, ma a Banca Etruria, Banca Marche, Ferrara, Chieti, alla Popolare di Vicenza, Carige, Tercas, eccetera, eccetera, cioè a quante ce ne sono e anche ad altre che mi sfuggono. Il sistema qual era ? Quello di un commissariamento che durava tre, quattro anni; lì poi emergeva una gestione quasi sempre delittuosa e quasi sempre comunque contro i risparmiatori e contro qualsiasi principio di trasparenza, di legalità e quant'altro. E, poi, dopo quattro anni cominciavano, i vari commissari della Banca d'Italia, a tirar fuori qualche notizia, seguita dalla solita indagine in un tempo utile a fare andare tutto in prescrizione. Questo è il sistema che hanno utilizzato. E, quindi, da questo punto di vista, tutte queste riforme non affrontano e non risolvono ancora questo problema, quello, cioè, di una vigilanza vera e quello di sanzionare per bene, al di là di quelli che sono gli aspetti che poi le indagini della magistratura cercheranno di mettere in luce, sperando che li mettano in luce.
  Emerge un altro aspetto, che è un aspetto territoriale. A me dispiace, però io immagino che se tutte queste banche, invece di trovarsi nel centro-nord, almeno una fosse stata nel Mezzogiorno, sarebbe successo un finimondo. Davanti a una situazione di questo genere – e mi avvio alla conclusione, signora Presidente – denunciamo in quest'Aula che nella Commissione di merito il sottoscritto, ma anche altri, abbiamo presentato alcuni emendamenti direttamente collegati alla materia, che riguardavano banche e un'altra parte fiscale. In maniera incredibile questi emendamenti non sono stati ammessi e non conosciamo i motivi oscuri del perché non siano stati ammessi. Io lascio a lei questa riflessione.
  Un'ultima annotazione che corre l'obbligo fare: leggo di questo problema, che è stato reintrodotto, dell'anatocismo. Se è quello che viene riportato, anche questo è un problema serio. Altro che a favore dei risparmiatori e quant'altro ! Apparentemente le modifiche che sono state fatte hanno un unico vincitore: Zoggia. Hanno un unico vincitore perché all'interno del PD non so che cosa è successo o che cosa la lettera di Gotor con gli altri venti ha provocato. Cito questo episodio per un motivo molto semplice, ossia perché quando la maggioranza o il Governo hanno problemi di tenuta, sicuramente poi trovano il rimedio, le formule e viene superata l'Europa, viene superata la BCE, viene superata la Federal Reserve. Viene superato tutto quando c’è da determinare Pag. 33alcune cose. Però in questo caso noi riteniamo che ancora una volta si è agito in maniera parziale. Anche noi abbiamo riserve molto profonde sul funzionamento, su come è stata fatta e sul funzionamento e sull'attuazione di questa ennesima riforma. Per questo motivo, abbiamo un giudizio estremamente negativo. Anche se fosse stata la riforma migliore del mondo, pur condivisa da noi, signora Presidente, vi è la circostanza che due emendamenti che erano pertinenti e direttamente collegati alla materia non sono stati ammessi dal presidente della VI Commissione, insieme all'ufficio di presidenza della Commissione e agli uffici. Essi hanno ritenuto in maniera inspiegabile di non ammetterli e questo sarebbe stato motivo sufficiente, per la violenza che è stata perpetrata nei confronti del Parlamento o di alcuni parlamentari, per far meritare sicuramente un voto netto e contrario.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Federico Ginato. Ne ha facoltà.

  FEDERICO GINATO. Grazie, Presidente. Con questo decreto diamo un nuovo assetto ad un settore, quello del credito cooperativo, che da oltre un secolo rappresenta una delle esperienze più interessanti e vitali del nostro mondo bancario. Vorrei qui solo ricordare – lo ha già fatto l'onorevole Sanga nella sua relazione – che la prima cassa rurale ed artigiana nasce a Loreggia, in provincia di Padova, nel 1883, ma già alla fine del secolo le casse rurali saranno 900, per poi raggiungere l'apice di 3.500 nel 1922. Sono spesso fondate da parroci, preoccupati di migliorare le condizioni di vita dei propri concittadini, e si sviluppano grazie all'opera di migliaia di soci e di tanti piccoli banchieri popolari, che anticipano di un secolo figure come quelle di Muhammad Yunus, il banchiere dei poveri, fondatore di una delle più interessanti esperienze di microcredito a livello mondiale. Le casse rurali ed artigiane, infatti, nascono con degli obiettivi solidaristici e mutualistici, per dare credito a chi difficilmente lo otteneva, per combattere l'usura, per unire le risorse di tanti piccoli risparmiatori e utilizzarle per lo sviluppo equilibrato delle proprie comunità, per modernizzare interi settori che si affacciavano a un'economia che non era più solamente quella destinata alla mera sussistenza.
  Nell'erogare credito si affidano più sulla conoscenza diretta del socio, sulla reputazione più che sulla solidità delle garanzie. Ne ha già parlato bene l'onorevole Buttiglione. Erano forse altri tempi, ma si tratta indubbiamente di una grande storia, della quale questa riforma cerca di farsi carico, recependo molte delle proposte avanzate dalla stessa Federazione nazionale delle banche di credito cooperativo. Si tratta di una riforma che ci restituisce un movimento del credito cooperativo unito. Non era un risultato scontato. Nella patria dei mille campanili, ogni singola BCC rappresenta indubbiamente delle forti identità territoriali, che costituiscono spesso la grandezza del Paese, ma che, altrettanto spesso, rischiano di sfociare in localismi deleteri, che ne rappresentano anche la debolezza.
  L'assetto di un gruppo bancario unico o di più gruppi bancari unici, con le soglie di un patrimonio di un miliardo, consentirà alle BCC di poter contare su un forte punto di riferimento a livello centrale, che avrà principalmente compiti di indirizzo e di controllo. Solo nel caso in cui una singola banca dovesse avere dei problemi e proporzionalmente alle dimensioni di questi problemi sarà giustificabile un intervento più marcato sul fronte non solo della governance, ma anche della messa a disposizione di capitali eventualmente necessari al mantenimento di una situazione economica di equilibrio. L'autonomia delle BCC, cioè, viene garantita a condizione che questa vada di pari passo con la garanzia di una sana e prudente gestione.
  Si tratta di un'autonomia, oltretutto, – lo dico anche all'onorevole Alberti – ulteriormente rafforzata dall'approvazione, in sede di conversione, di un mio emendamento che introduce la possibilità di creare sottogruppi territoriali facenti capo a una Spa bancaria, sottoposta a direzione e coordinamento della capogruppo. È Pag. 34un'opportunità in più, che si mette a disposizione di quelle banche o federazioni di banche che intendono valorizzare esperienze territoriali di condivisione di servizi, volte a migliorarne la qualità e a generare importanti economie di scale.
  Chiarito, dunque, che questa riforma non è una gabbia costruita per mortificare l'indipendenza delle BCC, credo sia anche giusto sottolineare la bontà della soluzione raggiunta sulla cosiddetta way out durante il lavoro in Commissione. Le possibilità di non aderire al gruppo bancario unico sono chiaramente definite nei modi e nei tempi. I paletti sono stati ben spiegati nell'intervento del relatore; mi limito a sottolineare che, con la riformulazione di alcuni emendamenti, viene sancito che il patrimonio costruito con il lavoro di tanti soci e che ha goduto di importanti benefici fiscali, rimarrà, in ogni caso, sotto il controllo cooperativo e solamente la licenza bancaria potrà essere attribuita a una Spa, previo il pagamento di una tassa del 20 per cento sul patrimonio.
  La cooperazione bancaria, dunque, viene ampiamente tutelata da questa riforma. È una cooperazione che non si sostanzia solamente nel permanere del sistema di elezione delle cariche sociali, basato su «una testa, un voto», ma continua a godere di importanti benefici fiscali, a fronte dell'obbligo di destinare il 70 per cento degli utili a riserva.
  Si tratta di un obbligo che – lo ricordo – è all'origine dell'ottimo livello di patrimonializzazione delle BCC e che rappresenta uno dei cardini di un fare banca che non mira e non deve mirare alla massimalizzazione degli utili, ma alla massimalizzazione della qualità dei servizi destinati ai propri soci, i quali non acquistano le azioni per ricavarne una remunerazione importante, ma per entrare in un sistema solidale che li possa aiutare a cogliere le opportunità di crescita economica e a superare le avversità di congiunture negative come quelle che abbiamo vissuto negli ultimi anni. Questo è ciò che distingue le BCC dal resto delle altre banche e ne fa il secondo pilastro del sistema bancario.
  Va anche detto che le suddette caratteristiche sarebbe stato bene lasciarle – a mio modesto parere – anche in capo alle banche popolari, che, invece, sono state oggetto, nel corso dei decenni, di trasformazioni che ne hanno modificato profondamente la natura e che sono state tra le cause della crisi che alcune di esse stanno vivendo. In banche spesso di rilevanza sistemica, come le popolari, e con decine di migliaia di soci, i legislatori che ci hanno preceduto si sono illusi di riuscire a mantenere la coesistenza tra un sistema di voto capitario e la massima remunerazione del capitale investito dai soci; il tutto spesso in assenza di una quotazione che ne determinasse valori di marcato: un ibrido che, in troppi casi, non ha purtroppo funzionato.
  Tutto ciò ci deve indurre ad una riflessione seria su come tutelare quella che alcuni economisti definiscono la «biodiversità bancaria», che è rappresentata, in assenza di una chiara separazione tra banche di investimento e banche commerciali, dalla specifica identità di banche che hanno funzioni diverse, ma che spesso sono positivamente complementari e sussidiarie rispetto al nostro sistema economico. In questo senso, dovremmo sforzarci di ragionare su quello che potrebbe essere il terzo pilastro del sistema bancario, cioè quello legato al mondo della finanza etica: un mondo particolarmente innovativo, capace finora di stabilire modalità originali di erogazione del credito e di impiego di capitali con effetti particolarmente positivi per il nostro tessuto sociale ed imprenditoriale. Sono effetti che andrebbero moltiplicati attraverso politiche di incentivazione fiscale – vado a terminare –, che non devono essere viste come distorsione del mercato, ma come l'apertura di nuove opportunità per costruire quel bene comune che spesso le normali regole di mercato semplicemente non riescono a garantire. Questo deve essere un punto importante di un'azione di riforma del sistema finanziario, che deve anche garantire una maggiore trasparenza verso i clienti e gli investitori, una vigilanza forte e indipendente, una chiara individuazione Pag. 35delle responsabilità, unitamente a un meccanismo sanzionatorio, che non appaia solo virtuale.
  Su questi campi, alcune cose sono già state fatte, ma resta sicuramente la necessità di una visione più complessiva e omogenea, che ci dovrà guidare nel lavoro dei prossimi mesi. Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti – Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Davide Zoggia. Ne ha facoltà.

  DAVIDE ZOGGIA. Il provvedimento per la riforma delle banche di credito cooperativo è nato da un'esigenza reale: c'era effettivamente la necessità di salvaguardare, rafforzare e innovare un sistema di aziende di credito che è decisivo per il sostegno al finanziamento delle economie locali, in particolare piccole e medie imprese. Altro fondamentale obiettivo era quello di migliorare la governance, talvolta molto carente, di queste banche.
  Nel proporre questo provvedimento, a mio modesto avviso, il Governo aveva commesso alcune leggerezze, alcuni errori – voglio credere in buona fede –, che potevano compromettere la buona riuscita della riforma. Lo dico perché l'errata impostazione, se non fosse stata corretta per tempo, non solo avrebbe comportato danni per il sistema delle banche di credito cooperativo, ma avrebbe potuto diventare un pericoloso detonatore per l'intero movimento cooperativo, che in Italia – vale la pena ricordarlo qui, citando i dati dell'ultimo rapporto Eurispes – rappresenta l'8,5 per cento del PIL. Si tratta di un settore vitale della nostra economia, che, nel corso della durissima crisi economica, ha mantenuto l'occupazione.
  Quindi, con i nostri emendamenti e con un paziente e prezioso lavoro di ascolto e di coinvolgimento, abbiamo migliorato il provvedimento. Una rete di oltre 360 istituti, con più di 4.400 sportelli, con 1.248.000 soci, presente in oltre 2.700 comuni e con 37 mila dipendenti, meritava questo rispetto e questo impegno.
  Devo ringraziare la disponibilità del relatore, di tutta la Commissione Finanze e il buon approccio del Viceministro Morando. Quando ci si ascolta, senza dubbio, si migliora, anche se forse resta qualcosa ancora da fare.
  Desidero qui citare alcuni dei punti più importanti – il nostro lavoro ha contribuito a migliorare il provvedimento e lo ha reso più armonico e più efficace –: viene mantenuta, come primo punto, l'indivisibilità delle riserve; il provvedimento presentato dal Governo, in prima battuta, rendeva invece possibile che i soci di oggi diventassero di fatto gli azionisti della Banca, anche se le riserve erano state accantonate per generazioni, e con lo scopo di mettere in comune le risorse per un obiettivo mutualistico. Se questa norma non fosse stata cambiata, avrebbe costituito un precedente e una ragione per svuotare il sistema delle imprese cooperative, così come l'avevamo conosciuto nel nostro Paese; ora, la riforma prevede il mantenimento dell'indivisibilità delle riserve accumulate. Secondo punto: la riforma che approda oggi in Aula prevede che sia mantenuta la vocazione mutualistica, cioè la ragione di fondo per la quale sono state accumulate le risorse che oggi consentono alle BCC di avere un patrimonio. Terzo punto: la way out, la via d'uscita, prevista nel testo presentato dal Governo, avrebbe consentito alle BCC di evitare l'aggregazione senza opportune procedure di verifica e di controllo; un controsenso se si pensa che il provvedimento nasce principalmente dall'esigenza di rafforzare il sistema di un mercato bancario dove la robustezza patrimoniale è un requisito essenziale e dove le norme europee – e non solo – prevedono criteri prudenziali di solidità sempre più elevati. Gli emendamenti approvati in Commissione hanno corretto questa stortura, prevedendo procedure più stringenti e un controllo più stretto di questo passaggio da parte della Banca d'Italia. Quarto punto: in Commissione è stato anche deciso di Pag. 36dimezzare i tempi, da centoventi a sessanta giorni, per l'eventuale via d'uscita, un passaggio che varrà soprattutto per le BCC che non hanno ad oggi i requisiti per decidere di non aderire, ma che vorrebbero aggregarsi, o fra di loro o a un istituto già più grande. Quinto punto: abbiamo previsto anche, per chi aderisce all'aggregazione di sistema, la facoltà di recesso. Sesto punto: abbiamo infine migliorato il provvedimento anche per quanto riguarda il tema delle sofferenze e dell'anatocismo. Abbiamo quindi ottenuto molti miglioramenti, anche se non tutti quelli che ritenevamo necessari. Il dibattito in Aula – mi auguro – ci consentirà di lavorare per migliorare ancora, ad esempio sul tema del prelievo tributario del 20 per cento uguale per tutti, nel caso di trasformazione del ramo bancario in Spa, e naturalmente pensiamo che i colleghi del Senato possano migliorare ancor di più la riforma.
  Quindi, auspico una discussione e un confronto e mi auguro che il Governo, se ovviamente le dinamiche parlamentari lo consentiranno, non ponga la questione di fiducia, ma questo ovviamente non dipende esclusivamente dal Governo.
   Credo infine che sia stato fatto un buon lavoro e che il sistema bancario italiano potrà – se lo porteremo in porto in questa maniera – trarre delle utilità dal lavoro che stiamo facendo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lodolini. Ne ha facoltà.

  EMANUELE LODOLINI. Grazie, Presidente. Per rafforzare il settore bancario, il Governo ha seguito una strategia strutturale nel solco del piano delle riforme avviato fin dal 2014 e basato fondamentalmente su tre assi: ritorno alla crescita, dopo tre anni di recessione – perché con l'economia in crescita sarà più facile ridurre le sofferenze – riduzione dei tempi di recupero dei crediti, in Italia storicamente più alti che altrove, e, terzo punto, banche più grandi, più forti e più trasparenti che dovranno gestire con maggiore efficienza i crediti deteriorati. E, dunque, il tema del consolidamento del settore bancario attraverso la riforma delle maggiori banche popolari, la riforma delle fondazioni bancarie e la riforma delle banche di credito cooperativo. La scelta di un forte coinvolgimento dei rappresentanti delle BCC e del mondo dalla cooperazione ha consentito di arrivare oggi in Aula con un testo sul quale c’è stato un confronto vero, non finto: si può parlare e si deve parlare di un processo di autoriforma che ha trovato nel Governo e nel Parlamento degli interlocutori veri e sinceri, che hanno raccolto le istanze più significative attraverso un confronto iniziato – è vero – un anno fa.
  Le banche di credito cooperativo – l'ha ricordato bene chi mi ha preceduto, a partire dal relatore Sanga, che ringrazio per il lavoro fatto – nascono in Europa sul finire del 1800, con un modello fondato sul localismo e motivazioni etiche di ispirazione cristiana.
  Una storia straordinaria, che parla dunque di dinamismo, di valori e parla di territorio. Hanno svolto negli anni passati, nel momento della massima stretta creditizia, un ruolo importante, in particolare per le piccole e medie imprese, ma è giusto riformarle perché, pur essendo un patrimonio del Paese, anche i patrimoni del Paese – come ha giustamente ricordato il presidente di Confcooperative, Gardini – non rimangono sempre intatti, ma possono essere messi in discussione dal cambiamento e dalla crisi.
  Non si poteva, dunque, più rinviare un intervento a sostegno della competitività e della stabilità di un sistema che, singolarmente, queste banche non erano più in grado di sostenere, sia per la forma giuridica di cooperativa mutualistica, sia per il peso della crisi che hanno dovuto sopportare.
  Il movimento cooperativo e il credito cooperativo, del resto, hanno bisogno di cambiare per rafforzarsi e in questo cambiamento ci siamo mossi lungo tre direttrici fondamentali: la salvaguardia del principio di autonomia della singola Pag. 37banca, il rafforzamento della mutualità e il controllo della capogruppo da parte delle BCC stesse.
  Voglio motivare meglio però il perché di questa riforma: negli anni successivi allo scoppio dalla grande crisi finanziaria del 2008, mentre gran parte delle banche medio-grandi riducevano i loro prestiti, le BCC hanno continuato a dar credito a famiglie e piccole imprese; la crisi però è stata lunga, è stata profonda, ma oggi molti di quei crediti, che hanno dato ossigeno alle comunità locali, si sono trasformati in sofferenze, cioè crediti dal difficile recupero, gli NPL, che pongono almeno due problemi, sui quali la riforma andrà ad incidere e a migliorare la situazione: il primo, la montagna di NPL necessita di essere smaltita, anche attraverso vendite o forme di cartolarizzazione, processi certamente gestibili meglio da una capogruppo, che non dalle singole BCC. Secondo: l'emergere di quei NPL impone presso molte BCC la raccolta di nuovi capitali per rispettare i requisiti di patrimonializzazione minima; anche in questo caso, dunque, contribuisce a risolvere il problema la possibilità di accedere al mercato di capitali attraverso la capogruppo, che, in quanto Spa, potrà raccogliere capitali anche da non soci; dunque, la capogruppo unica, può risolvere più agevolmente la questione degli NPL e accedere più facilmente al mercato dei capitali e quindi portare finanza dai grandi mercati di capitale alle piccole banche.
  Vi è un altro punto importante: il sistema delle BCC è l'unica rete nazionale di credito mutualistico ove le singole consorelle spesso si fanno concorrenza tra di loro. Il caso è unico perché, se si appartiene a un sistema bancario mutualistico, si condividono strutture centrali che forniscono servizi non producibili economicamente a livello della singola. La logica vorrebbe – come avviene altrove – che poi nessuna BCC vada a far concorrenza ad un'altra BCC e questa anomalia verrà risolta con questa nostra riforma.
  La holding avrà tutto l'interesse ad operare in modo efficace, prestando vera attenzione a quelle stesse banche che conferiscono il capitale; si innesca così un meccanismo virtuoso nella governance che va in due direzioni, dall'alto verso il basso e viceversa, evitando così quella frammentazione che caratterizza oggi il credito cooperativo e garantendo, allo stesso tempo, il collegamento con le aree di provenienza.
   Nel riformare il sistema, abbiamo fatto attenzione a mantenere la mutualità, che rappresenta il valore fondamentale, ma – attenzione – anche l'autonomia del rapporto con i territori. Dalle discussioni interne al sistema delle BCC, ma anche sui media, fatti salvi appunto i principi mutualistici, con l'opportuna introduzione dei possibili sottogruppi regionali a salvaguardia proprio dei territori, appare chiaro che lo snodo su cui si determinerà la valutazione sulla riforma discenderà sostanzialmente dalla scrittura dell'accordo di coesione.
  Sarà dunque utile darsi tempi rapidi e certi per l'emanazione del decreto attuativo da parte del MEF, per permettere l'adesione al gruppo dopo la conoscenza dell'articolato del patto di coesione. Diversamente, si potrebbe incorrere in rischi di richiesta di sospensione o di illegittimità. In sostanza, non si può chiedere di sottoscrivere un atto costitutivo di società, senza uno statuto, o più semplicemente un'assicurazione senza un contratto di cui siano note alle parti coperture e condizioni.
  Qui, nel patto di coesione, dovrebbe essere il MEF a tenere conto e a risolvere la questione vista come possibile attacco o interferenza sull'autonomia dei soci delle piccole BCC sui poteri di nomina, rispetto dei principi contabili e autonomia delle banche di credito cooperativo e delle casse rurali.
  Nessuno vuole dunque indebolire un fiore all'occhiello del sistema bancario, come il credito cooperativo. L'obiettivo, semmai, è quello di valorizzarlo, rafforzando, tenendo insieme le varie realtà territoriali in un contenitore, ma allo stesso tempo mantenendo intatta la specificità locale di ciascun istituto.Pag. 38
  Del resto, il decreto approvato dal Governo e discusso, approfondito, migliorato in Commissione va già in questa direzione e punta su tre pilastri: identità, maggiore coesione e migliori e più opportunità di sviluppo.
  Sono state introdotte migliorie importanti nell'esame in Commissione: il riconoscimento del principio dell'indivisibilità delle riserve e la definizione di una way out che, con parametri più stringenti temporali ed economici, permette di salvaguardare il modello cooperativo.
  Poi vi sono altre situazioni, la garanzia statale per le cartolarizzazioni delle sofferenze e la logica dell'anatocismo. Guardate, qui siamo innanzi ad un passo avanti importante che ha assunto la Commissione. Anche se non completamente risolutivo, questo emendamento, l'emendamento Boccadutri, è stato fermo undici giorni in Commissione, dal 7 al 17 marzo e poi, una volta messo al voto in Commissione, ha visto un pronunciamento favorevole di tutti i gruppi presenti, tranne uno, che non ha votato contrario rispetto all'emendamento Boccadutri ma, si è astenuto.
  Quindi, mi pare evidente, dinanzi a questo atteggiamento tenuto in Commissione, la strumentalità della posizione che si viene ad assumere, perché l'emendamento ha stabilito in maniera chiara che il cliente avrà tempo per pagare gli interessi debitori fino al 1o marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati, cioè l'impresa potrà prima far fronte, con la propria liquidità, ad altre emergenze, poi pagare gli interessi e, solo e soltanto se non pagati e proprio per continuare ad avere un'operatività, il cliente potrà autorizzare l'addebito in conto capitale, proprio come se si trattasse di un nuovo affidamento.
  Chi sostiene che questo non sia un vantaggio credo dovrebbe sapere anche quali siano le conseguenze: la mancata concessione di credito, se non a fronte di enormi garanzie collaterali, il blocco dell'operatività con segnalazione alla Centrale rischi fino al ripianamento di tutti gli interessi non pagati e via, via.
  Inoltre – chiudo, Presidente – l'emendamento ha stabilito che gli interessi creditori, quelli a favore del cliente, sono disponibili sui conti correnti immediatamente, cioè il 1o gennaio di ogni anno, e non due mesi dopo, e se il cliente non preleverà le somme frutto di interessi, questi inizieranno a produrre nuovi interessi creditori a suo favore. Chiudo, Presidente, davvero. Nel caso delle BCC, l'obiettivo di questa riforma deve essere quello di mantenere le peculiarità storiche di questa categoria affinché, anche in una prospettiva resa più complessa dalla nascita dei meccanismi europei di vigilanza e di risoluzione, non sia messa in pericolo la funzione finora svolta di sano sostegno delle economie locali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paglia. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI PAGLIA. Signora Presidente, questo decreto ha avuto una gestazione sotto molti aspetti piuttosto lunga, nel senso che raggruppa in sé la riforma del credito cooperativo in Italia, che arriva dopo una fase articolata di processo di autoriforma interno al mondo delle banche di credito cooperativo, che è stato poi messo a disposizione come progetto e come proposta alla politica, e, dall'altro lato, il sistema delle garanzie sulle cartolarizzazioni, cioè la conclusione finale di quel lunghissimo dibattito, troppo lungo probabilmente, avuto dall'Italia e dal Governo italiano con l'Unione europea e che è passato sotto il nome di bad bank, ovvero il tentativo da parte del Governo italiano di dare una soluzione che si sperava – dirò poi perché dal mio punto di vista non lo è – definitiva al tema dei crediti deteriorati che appesantiscono il bilancio delle banche italiane, con i noti risultati che forse non è il momento di ripetere.
  Nonostante questa lunga storia, che quindi avrebbe potuto, dal nostro punto di vista, e avrebbe dovuto consentire di arrivare a soluzioni in tutto e per tutto positive, credo che l'occasione non sia stata colta.Pag. 39
  Partiamo dalla parte che riguarda le banche di credito cooperativo.
  Il disegno che c'era stato illustrato, il percorso di autoriforma, proponeva essenzialmente che si andasse a costituire un grande gruppo bancario di credito cooperativo, che all'interno di questo gruppo unico, dovessero entrare di conseguenza tutte le BCC italiane, che queste venissero inserite in un percorso di mutualismo interno tale da garantirne la solidità e anche la sopravvivenza di quelle che avessero eventualmente accumulato oggi o dovessero avere un domani problemi di bilancio, concorrendo quindi alla stabilità complessiva del sistema bancario italiano e che, una volta entrate, da lì non si uscisse. Questi erano i pilastri del tipo di proposta che c'era stata fatta e che il Governo evidentemente non ha accolto. Noi sappiamo qual era la criticità che inizialmente anche dalla Banca d'Italia veniva posta, cioè la criticità rispetto al modello del gruppo unico era il fatto che, si diceva, non viene tutelata a sufficienza la concorrenza, cioè tutte le banche di credito cooperativo di ieri e anche quelle eventualmente fondate domani sarebbero obbligate per legge a fare parte di un unico gruppo. Tuttavia, a questa carenza ipotetica di concorrenza, il Governo ha dato in prima battuta la risposta più sbagliata, quella del way out iniziale, fortunatamente corretto, cioè quella per cui una banca può decidere di non aderire al gruppo, restarne fuori, a patto che abbia almeno 200 milioni di euro di patrimonio netto e che sia disposta a devolverne il 20 per cento all'erario dello Stato. Fatto questo, poter uscire, trasformarsi in Spa e fare proprie le riserve accumulate negli anni. Questa ipotesi è stata fortunatamente modificata, credo grazie al contributo di tutte le forze parlamentari, al fatto che il Governo stesso si è reso conto che evidentemente non era la migliore fra le proposte possibili e anche a un intervento «pesante» fatto da tutto il mondo cooperativo, perché si andava a mettere in discussione uno dei pilastri fondamentali, cioè il sistema della solidarietà interna, il sistema del passaggio generazionale e il tema fondamentale che quelle riserve erano state accumulate in anni, anche attraverso principi di esenzione fiscale, e che quindi non era possibile che i soci attuali, casualmente soci attuali, venissero messi nella condizione di entrarne in possesso. Si è quindi giunti ad una soluzione diversa. Quello che abbiamo sostenuto noi e credo sia in qualche modo la visione corretta è che il Governo abbia deciso di arrivare ad una prospettiva multigruppo in Italia, ma multigruppo in che senso ? Nel senso che c’è un gruppo di credito cooperativo con almeno 1 miliardo di attivi, quindi sostanzialmente un gruppo unico, per chi decida di farne parte, più la possibilità, per quelle banche che abbiano sempre il requisito dei 200 milioni di euro di patrimonio netto ma dovessero decidere entro i prossimi sessanta giorni di non farne parte, di uscirne, portando con sé eventualmente anche tutte le altre banche piccole che dovessero decidere di aggregarsi, anziché al gruppo unico fatto secondo quello che la legge determina, ad uno di questi altri mini gruppi fatti da queste banche con 200 milioni di euro di attivo. Questo è quello che si andrà a determinare nei fatti, augurandosi – almeno da parte mia – che le banche che decidono di optare per non entrare nel gruppo di credito cooperativo siano una minoranza. Perché dico questo ? Dico questo perché, se aveva senso l'impostazione originaria, cioè quella del gruppo unico e di mettere tutti dentro perché in questo modo si rafforzava anche la solidità complessiva di sistema – e nel dire che non c'era alcun tipo di facoltà di recesso, si andava a stabilire una volta per tutte che quello era il perimetro e che quindi quello era l'ambito entro cui si esercitava il rafforzamento complessivo patrimoniale del sistema – noi oggi continuiamo a consentire, almeno in una prima fase, a chi voglia starne fuori – e non sappiamo quanti siano, ma sappiamo che potenzialmente sono i soggetti più grandi – di non farne parte. In questo modo rischiamo di determinare un sistema che nasce più debole, perché eventualmente, se tutte le società con più patrimonio decideranno di Pag. 40starne fuori e dovessero eventualmente attirare a stare fuori insieme a loro anche nuclei consistenti di piccole banche, magari perché più solide, magari perché non attratte dall'idea di andare a compensare in senso solidaristico eventuali situazioni di difficoltà, ecco che rischieremmo di andare a fare un'operazione non di rafforzamento sistemico, che è quella che sta alla radice di un meccanismo che, come era impostato regionalmente, appunto anche noi condividevamo, ma di fare il suo contrario, cioè di fare un piccolo e poco solido gruppo che vada a radunare tutte le banche di credito cooperativo. Peraltro questa cosa viene ulteriormente rafforzata dal fatto che, anche se con dei disincentivi molto pesanti, per ragioni che io francamente continuo ad oggi a non comprendere, è stata inserita da un emendamento della maggioranza anche la facoltà di recesso postumo, cioè il fatto che comunque anche le banche che abbiano deciso di aderire a questo gruppo, possano un domani uscire unilateralmente a patto di trasformarsi in società per azioni e quindi di perdere tutte quelle che erano le riserve accumulate negli anni.
  È chiaro che il disincentivo è forte e, tuttavia, è una possibilità che viene lasciata e che, quindi, contribuisce a non fissare una volta per tutte un ambito determinato.
  Ci sono altre modifiche che sono state inserite dalla maggioranza e che mi hanno fatto dire – e lo ribadisco anche oggi – che questo era un decreto che partiva con un problema molto grande, cioè con un errore grande che era quello del way out come impostato originalmente, ma che l'errore iniziale è stato cambiato profondamente determinandone, però, altri diversi: non solo la facoltà di recesso, di cui parlavo, ma soprattutto – soprattutto, e questo è un punto che io continuo a ritenere determinante, nonostante la maggioranza non abbia voluto farsene carico – è stata inserita la possibilità, con un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di andare ad intervenire rispetto a quella che è la soglia minima di patrimonio delle S.p.A., cioè del gruppo bancario, che dovrebbe essere detenuta dal sistema delle banche di credito cooperativo. Noi avevamo scritto nel provvedimento, come anche richiesto dal sistema, che quella soglia fosse almeno del 51 per cento e la cosa ha evidentemente un senso, perché nel momento in cui tu vai a determinare una S.p.A. e vai a determinare un gruppo, in cui c’è un rapporto ambivalente, cioè il gruppo è controllato dalle banche di credito cooperativo che mantengono il loro assetto originario di banche di credito cooperativo, allo stesso tempo la holding può influire pesantemente, a seconda di quello che sarà scritto nel contratto di coesione, sulla governance, sull'andamento, sulle strategie delle banche di credito cooperativo che stanno alla base.
  Quindi, il fatto di avere la garanzia che il 51 per cento di quella holding fosse nelle mani delle BCC stesse aveva – e dal mio punto di vista ha e non a caso gli abbiamo dato forza di legge – il senso di dire che comunque il controllo su questo meccanismo veniva, per l'oggi e per il domani, assicurato al sistema del credito cooperativo. Inserire la facoltà per il Ministro dell'economia e delle finanze in condizioni di relativa eccezionalità – e noi sappiamo che negli ultimi anni anche questo Governo ci ha abituato che quando si tratta di inserire riforme che abbiano a che fare con le banche si è sempre nel campo dell'eccezionalità: abbiamo riformato le popolari perché c'era un eccezionale bisogno; stiamo riformando le banche di credito cooperativo perché c’è un eccezionale bisogno – permetterà domani al Ministro dell'economia e delle finanze – il Ministro dell'economia e delle finanze, non il Governo nel suo insieme, non il Parlamento –, con un suo decreto, di dire che questo gruppo può scendere al 40, al 30, al 25, al 20, con questo andando a determinare una situazione in cui si parte dal sistema attuale di tante piccole o grandi banche di credito cooperativo autonome che si aggregano, danno vita ad un S.p.A., ne vengono in qualche modo controllate e un domani potrebbero non avere più il controllo delle S.p.A. che le controlla, Pag. 41con il risultato finale di trasformare di fatto il sistema delle banche di credito cooperativo in una grande S.p.A., gestita secondo logiche diverse, gestita secondo le logiche di chi assumerà o dovesse assumere il controllo di maggioranza di quel gruppo.
  Ora io non sto facendo della fantascienza. Io posso anche, diciamo, dare credito al fatto che questo Governo non abbia quell'intenzione e forse, se l'avesse avuta, l'avrebbe scritta addirittura nel provvedimento. Però, i Governi cambiano, come sempre; cambiano i Governi e cambiano le maggioranze parlamentari. Io non credo che una potestà simile dovesse essere data ad una firma del Ministro dell'economia e delle finanze. Credo che questo non sia assolutamente corretto. Forzare un provvedimento in uno dei suoi punti fondamentali sulla base di un atto amministrativo – nemmeno di un atto amministrativo collegiale – è un errore grande, anche perché si va ad intervenire su un settore importante e vitale del credito italiano.
  Credo sia stato un errore, anche perché va ad impattare rispetto ad un'altra architrave della riforma per come era stata pensata originariamente, cioè permettere che la holding possa commissariare i livelli di governo delle singole BCC non più in casi motivati ed eccezionali, come era detto originalmente, ma semplicemente adducendo una motivazione, cioè cassando il tema dell'eccezionalità. Credo sia stato un errore, perché io mi sarei sentito di difendere questa riforma se il contratto di coesione avesse previsto di lasciare molta autonomia alle BCC e alla base.
  Credo che fosse molto intelligente l'ipotesi iniziale – e poi vedremo quanto e come si potrà verificare nei fatti ma, appunto, normative come queste non la facilitano – di prevedere un grado elastico di autonomia che si rapportasse con la capacità della singola banca di mantenere solida la propria situazione patrimoniale e redditizia, la proprie attività corrente, e quindi perdendo progressivamente autonomia a mano a mano che si andassero a verificare fenomeni di non corretta gestione.
  E qui, però, voi capite che per mettere da parte la holding semplicemente adducendo motivazioni e la possibilità di commissariare le BCC sottostanti rafforza di molto – decisamente di molto – l'idea di chi pensa che noi non stiamo andando di fatto a fornire un sistema di garanzia complessivo al mondo delle BCC, ma le stiamo progressivamente, in realtà, trasformando in filiali di una banca unica e questo, se questo dovesse essere l'esito di medio periodo, sarebbe un esito molto sbagliato, perché noi in Italia non abbiamo bisogno di andare a determinare il terzo gruppo bancario del Paese. Quello può essere, diciamo, interessante per volumi, ma più di tutto abbiamo bisogno di mantenere quella che sempre è stata definita la biodiversità bancaria, che già in parte venne ferita l'anno scorso con il decreto sulla popolari, perché quel meccanismo, pur con grandissime difficoltà – appunto, lo Stato ha anche delle sofferenze – ci ha consentito, tuttavia, di attraversare una fase che poteva essere molto difficile, ancor più di quanto lo sia stata per la capacità del sistema finanziario, di trasmettere credito all'economia reale.
  Avere modelli diversi di banca, anche in concorrenza fra loro, ha aiutato questo Paese, ha aiutato un Paese industriale, qual è l'Italia, ad attraversare la crisi e ora andare dietro solo ad una questione di natura contabile-patrimoniale per cui si determina che l'unica cosa importante di una banca è la solidità patrimoniale quindi la dimensione e la capacità di autofinanziarsi sul grande mercato dei capitali – quindi, sostanzialmente essere una S.p.A. – mentre tutte le altre considerazioni, quelle che dovrebbero legare il credito all'economia passano in secondo piano, è sbagliato. È un'adesione ad un modello voluto sotto molti aspetti dalla BCE che si impone anche in Italia ma che poi noi giustamente, quando facciamo i dibattiti laterali, tutti assieme dichiariamo sbagliato. Nei dibattiti laterali c’è una consapevolezza diffusa che un modello che Pag. 42in Italia volesse solo grandi banche, interessate unicamente alla propria solidità patrimoniale, sarebbe un sistema che rischierebbe di uccidere l'economia reale. Questo lo sappiamo tutti ! Poi, però, nei fatti, nei fatti legislativi, anche con questo provvedimento facciamo passi che rischiano di andare esclusivamente in quella direzione.
  Allora, ben venga – ben venga: bene sarebbe venuto – se avessimo disegnato un sistema che si fosse preoccupato soltanto – e, ripeto, vi erano gli elementi, che io vedevo nello schema di riforma originario, quello proposto dalle BCC medesime – un rafforzamento di una solidarietà interna ad un sistema esistente che mettesse al riparo dal bail-in le banche più in difficoltà, per essere molto chiari. Ma io temo che il prezzo che si va a pagare con questa riforma, con le modifiche che il Governo e la maggioranza hanno voluto imporre su quella riforma, siano molto pericolose, al punto tale di rischiare di snaturare complessivamente quella che era l'impostazione originaria.
  Le banche che faranno way out manterranno certo il patrimonio indiviso all'interno della cooperativa madre, ma il trasferimento dell'attività bancaria ad una S.p.A. controllata non è tema indifferente. Esercitare l'attività bancaria in forma di credito cooperativo o in una forma di S.p.A. non è la stessa cosa. Una banca di credito cooperativo ha dei vincoli rispetto alle modalità con cui impiega i suoi attivi; una S.p.A. no. Una banca di credito cooperativo ha dei limiti nei suoi soci. Una S.p.A. può essere messa in vendita in parte o in tutto e, quindi, diventare altro da quello che è oggi.
  Per uno qualunque dei nostri territori non è la stessa cosa avere una BCC insediata o avere una S.p.A. magari controllata al 51 per cento da qualcuno che sta a trecento chilometri di distanza. Non è la stessa cosa perché le dinamiche con cui la raccolta e gli impieghi si coordinano e, di conseguenza, il tipo di credito può arrivare all'economia locale, sono molto diverse se c’è una banca di credito cooperativo o se c’è una S.p.A. Anche per questo la nuova formula del wayout non ci convince: per tale motivo e non ci convince perché non riusciamo assolutamente a comprendere quale sia la ragione che ha portato il Governo, anche in un'ottica in cui le riserve rimangono indivisibili, a imporre comunque nel caso di wayout una tassa, perché credo così vada chiamata, del 20 per cento sul patrimonio netto. Infatti ad oggi questa facoltà è consentita al mondo cooperativo non bancario, senza che il mondo cooperativo non bancario debba pagare alcunché nel momento in cui decida di esercitare la propria attività attraverso un S.p.A. invece che in proprio. E allora perché si fa questo, cioè si impone una tassa di questo tipo esattamente all'interno del comparto bancario per il quale, come sappiamo perché è ciò di cui stiamo parlando nel provvedimento, la solidità patrimoniale è particolarmente importante ? Che senso ha che ieri quella banca avesse un patrimonio netto di 100 e che, alla fine di questa operazione, qualora decidesse di esercitare il wayout abbia un patrimonio netto di 80 ? Qual è esattamente la ragione ? Non credo francamente sia nemmeno una ragione di entrate erariali, perché non credo che il Governo sia alla ricerca di una copertura per qualcosa, perché in questo provvedimento non sono le entrate che contano. È un disincentivo ? È un disincentivo: è il tentativo di farle entrare all'interno del gruppo, anziché andare fuori e tuttavia credo avremmo potuto ragionare di altro. Ripeto: avremmo potuto ragionare di altro perché così non si capisce. Lo ripeto: io sono affezionato all'idea che, quando possibile, ci debba essere una linearità giuridica fra le disposizioni e non capisco appunto in cosa si debba ritenere che essa stia. Infatti, alla fine, i soci decideranno e non decideranno necessariamente con l'idea di dover salvaguardare o meno quel 20 per cento del patrimonio. Credo che nei ragionamenti dei soci prevarranno spesso ragionamenti, almeno per me, non sempre condivisibili ma che sono quelli dell'autonomia tout court, dell'autonomia a tutti i costi. E l'idea che non si deve entrare lì dentro perché lì dentro si verrà controllati Pag. 43e certo, per la ragione che ho detto prima, il modo in cui è stato scritto il decreto-legge e sono stati attribuiti i poteri a quella holding non serviranno certo a fugare i dubbi o a incentivare chi ha il timore di perdere la propria autonomia ad entrare lì dentro. Mi immagino in questo momento un amministratore di una BCC che abbia più di 200 milioni di patrimonio netto che potrebbe pensare, da un lato, di convincere i propri soci a starsene fuori pagando il 20 per cento del patrimonio netto o ad entrare con la possibilità dal giorno dopo di essere commissariato lui, l'amministratore. Non credo ci voglia molta fantasia per capire quale può essere l'effetto finale di una simile dinamica.
  Per quanto riguarda l'altro corno di questo provvedimento cioè le garanzie sui crediti cartolarizzati dalle banche, su cui sarò molto più rapido, non c’è molto da dire. Non credo sia un provvedimento contro cui si possa spendere un eccesso di parole. Anzi avrà una sua utilità, l'avrà. È stata anche quantificata: 5 per cento in più del valore di cessione degli attuali crediti deteriorati. Non è certo quello che ci si aspettava. Non è quel provvedimento che in Italia abbiamo aspettato per un anno e che avrebbe dovuto consentire alle banche di liberarsi rapidamente dei propri crediti deteriorati, delle proprie sofferenze per ricominciare a dare credito all'economia.
  Soprattutto c’è un punto politico su cui credo vadano spese alcune parole e mi avvio a concludere. Qui l'ossessione da cui è animata la Commissione europea e il Governo italiano è quella di creare un mercato dei non performing loans cioè creare un mercato dei crediti deteriorati. Ora creare un mercato dei crediti deteriorati significa far sì che qualcuno venda quei crediti – le banche – qualcuno li acquisti a basso prezzo perché quel qualcuno pensa di potersi rifare molto rapidamente sui debitori con più efficacia di quanto facessero le banche. Ora deve essere molto chiaro che, dopo una crisi economica lunga anni, i debitori che hanno in tasca crediti deteriorati sono spesso famiglie che hanno avuto difficoltà a pagare mutui e debiti, imprese che hanno avuto problemi di liquidità e difficoltà a pagare mutui e debiti e, quindi, quando noi andiamo a parlare di creare un mercato efficiente che in breve tempo risolva questa difficoltà, noi stiamo andando a parlare esattamente di questo: di andare a prendere le case alle famiglie, di andare a prendere i capannoni alle imprese, di metterli in vendita e liquidare e fare proprio rapidamente. Voi sapete, credo, che a quanto pare attualmente in Italia – la fonte è Il Sole 24 Ore quindi credo abbia una qualche attendibilità da questo punto di vista – i crediti che hanno più mercato sono i crediti non quelli in sofferenza, quelli incagliati, ma quelli un po’ prima di andare a sofferenza collegati a medie imprese italiane con difficoltà dei pagamenti. Tali crediti vengono acquistati da fondi di equity che lo fanno con lo scopo di prendere il controllo delle imprese. Quindi imprese in parziali difficoltà che, attraverso questo sistema, vengono prese e acquistate a fini speculativi da fondi di equity internazionale, quindi messe evidentemente nella condizione di smettere di operare da un punto di vista industriale come facevano fino al giorno prima. Questi sono i crediti che hanno più mercato in Italia in questo momento: quelli che si vendono bene. Io non credo – questo è il senso di una nostra proposta che abbiamo fatto sui crediti – che abbiamo bisogno di incentivare un mercato dei crediti: abbiamo bisogno piuttosto di incentivare lo smaltimento dei crediti, non un mercato dei crediti e questa è la ragione per cui noi non saremmo stati contrari ad una bad bank cioè all'idea che vi fosse un intervento pubblico che andasse a prendere quei crediti e sgravarne le banche e farli propri. Il punto era – lo abbiamo sempre detto – andare a determinare che tipo di crediti, quali crediti. La domanda da cui eravamo partiti è la seguente: ci sono crediti in sofferenza all'interno del sistema bancario che possono avere uno scarso valore di mercato ma possono avere un forte valore sociale ? Noi riteniamo di sì: ci sono immobili residenziali, ad esempio, vuoti che potrebbero Pag. 44essere acquistati a basso prezzo in questo momento dallo Stato per farne edilizie residenziali; ci sono immobili occupati da famiglie che non riescono a pagare il mutuo che potrebbero essere acquisiti dallo Stato e riaffittati a quelle stesse famiglie a canone sociale per evitare che vengano messe in mezzo alla strada. Ci sono pezzi di capannoni industriali, artigianali, commerciali che potrebbero essere presi dallo Stato per fare politica industriale e andare nella direzione vera di mettere i giovani in questo Paese nelle condizioni di avere spazi di co-working, ad esempio. Credo che queste cose si possano fare: si possono fare con fondi pubblici certo, non creando un mercato ma cercando risorse che vadano incontro a bisogni. Infatti vedete che in questo Paese in questo momento ci sono milioni di persone che non sono assolutamente nella condizione di soddisfare i loro bisogni: non ci stanno sul mercato. Almeno un terzo di questo Paese sul mercato non ci sta: non sta sul mercato della casa nel senso che non è in grado di occuparne una adeguata alle proprie necessità; non sta sul mercato del lavoro nel senso che non ce l'ha o, quando c’è l'ha, è precario e intermittente; non sta ormai nemmeno sul mercato della sicurezza sociale; non sta sul mercato dello studio. Non ci sta sul mercato. Ogni volta che noi approviamo un provvedimento, dovremmo chiederci: ci stiamo rivolgendo a quella parte ? Temo che questo provvedimento si rivolga a quella parte ma in senso negativo, non rafforzandola dal punto di vista sociale ma indebolendola ulteriormente, rischiando di metterla ancora una volta dalla parte della vittima, non dalla parte a cui lo Stato e il pubblico tende la mano.
  Questo è il motivo per cui non ci piace, non tanto il provvedimento, non tanto la misura in sé, ma la filosofia che la ispira, che consideriamo totalmente regressiva e che dovrebbe essere cambiata in profondità. Ma dato che la politica ha delle ragioni – e ho finito –, per cambiare una politica in profondità bisogna evidentemente cambiare chi quella politica fa perché non è possibile, come diceva qualcuno, indossare un vestito vecchio su spalle nuove, ma bisogna cambiare anche le spalle se si vuole cambiare il vestito (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Fregolent. Ne ha facoltà.

  SILVIA FREGOLENT. Grazie signora Presidente. Il decreto-legge n. 18 del 2016 si inserisce nell'ampio disegno del Governo finalizzato alla ristrutturazione e all'innovazione della normativa italiana concernente l'intero sistema bancario, con l'obiettivo di rafforzarlo, renderlo più resistente agli shock e mettere gli istituti nelle condizioni di finanziare adeguatamente l'economia reale per sostenere la crescita. Dopo la trasformazione delle maggiori banche popolari in società per azioni, l'autoriforma delle fondazioni di origine bancaria, la semplificazione delle procedure di recupero crediti e delle procedure di insolvenza per ridurre i tempi, l'adeguamento allo standard europeo del trattamento fiscale e delle svalutazioni, con la riforma delle BCC, di cui si è a lungo dibattuto negli ultimi anni, si aggiunge un ulteriore tassello. Il provvedimento al nostro esame introduce nell'ordinamento gli strumenti necessari per il rafforzamento e il consolidamento del sistema del credito cooperativo, considerata la sua attuale fragilità, che permetteranno di rispettare gli elevati standard patrimoniali e di governance richiesti dal quadro normativo e di reggere le sfide del nuovo contesto regolamentare e di supervisione. La disciplina approvata preserva le finalità mutualistiche confermando il valore del modello cooperativo per il sistema bancario nazionale e le modifiche apportate al testo costituiscono il frutto di una riflessione approfondita sulle proposte emendative presentate da tutti i gruppi politici. Il nodo centrale della riforma, come detto, consiste nell'obbligo per le BCC di aderire ad un gruppo bancario cooperativo che abbia come capogruppo una società per azioni, Spa, con un patrimonio non inferiore a un miliardo di euro. La società capogruppo Pag. 45svolge attività di direzione e di coordinamento sulle BCC in base ad accordi contrattuali chiamati contatti di coesione che disciplinano i poteri della capogruppo. Alla luce del dibattito sorto attorno alla cosiddetta way out, il lavoro della Commissione e del Governo si è incentrato sulla necessità di contemperare il vincolo di adesione al gruppo bancario cooperativo con la possibilità per le banche di credito cooperativo di scegliere una strada alternativa per il proseguimento della propria attività bancaria rimanendo comunque nella prospettiva su cui si incentra la riforma delle BCC, contenuta nel decreto-legge, del consolidamento del sistema bancario cooperativo attraverso la costituzione di uno o più grandi gruppi bancari cooperativi. Il confronto ha consentito di pervenire ad una soluzione positiva e condivisa secondo la quale l'obbligo di devoluzione del patrimonio, da applicarsi nei casi di fusione e trasformazione delle BCC che hanno optato per il recesso o che sono state escluse dal gruppo bancario cooperativo, non si produce per le BCC che presentino, entro sessanta giorni, istanza di conferimento delle proprie aziende bancarie a una Spa autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria e versino allo Stato un importo pari al 20 per cento del proprio patrimonio netto. Al fine di rafforzare il principio mutualistico nell'ambito delle attività della cooperativa conferente, questa mantiene le riserve indivisibili al netto del versamento effettuato allo Stato e sarà obbligata a proseguire le proprie attività mantenendo finalità mutualistiche. La sua attività è volta inoltre ad assicurare ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la Spa conferitaria, di formazione e informazione sui temi del risparmio e di promozione di programmi di assistenza e sarà oggetto di costanti verifiche. In tal modo, si concilieranno gli obiettivi di libertà di scelta con quelli di rafforzamento e modernizzazione del sistema bancario e a mutualità prevalente nel pieno rispetto all'articolo 45, primo comma, della Costituzione che tutela la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata, attribuendo alla legge il compito di promuovere e favorirne l'incremento con i mezzi più idonei ed assicurandone il carattere e le finalità.
  Anche se la questione della definizione della way out è stata quella più nota, durante l'esame della Commissione sono state apportate ulteriori e significative modifiche rispetto al testo originario del provvedimento. Ne ricordo qualcuna, come hanno già fatto alcuni colleghi: la possibilità di costituire sottogruppi territoriali; la facoltà di dar vita ad autonomi gruppi nelle province autonome di Trento e di Bolzano; la ripartizione delle competenze tra MEF e Banca d'Italia per l'emanazione della normativa secondaria; la previsione di un fondo temporaneo delle BCC per supportare la banca nel periodo di transizione.
  Ma veniamo ad alcuni elementi di polemica. Grazie a un emendamento del PD, come ha ricordato il mio collega Lodolini prima, votato positivamente da tutti i gruppi politici di maggioranza e di opposizione, con la sola astensione del MoVimento 5 Stelle, è stata definitivamente risolta e chiarita la disciplina dell'anatocismo, ossia la contabilizzazione degli interessi sugli interessi per conti correnti, conti di pagamento e sui finanziamenti a valere sulle carte di credito, stabilendo che la maturazione degli interessi non potrà essere inferiore ad un anno, escludendo la pratica trimestrale, che gli interessi debitori a carico del cliente saranno esigibili dopo sessanta giorni e non più immediatamente, mentre gli interessi creditori, quelli a favore del correntista, saranno immediatamente disponibili. Si tratta di un passo in avanti notevole e una norma che rende più agevole l'attuazione del divieto di anatocismo ponendo fine alla scarsa chiarezza e limitando, quindi, il contenzioso legale. Si è così definita una disciplina primaria chiara, inequivoca e coerente con gli ordinamenti dei principali Paesi europei che garantisca la certezza del diritto nei rapporti di credito, assicurando comunque al cliente le necessarie tutele nelle relazioni bancarie. Tutela e rilancio del credito sono le finalità che Pag. 46stanno guidando l'azione di questo Governo e di questa maggioranza. A chi per ragioni di propaganda e di demagogia ci accusa di fare gli interessi delle banche o a chi anche in quest'Aula questa mattina cerca di giustificare la propria ventennale inoperatività in materia, vorrei ricordare che favorire la stabilità finanziaria e la solidità del sistema bancario significa soprattutto favorire la possibilità che esso possa assolvere alla sua principale funzione: soddisfare i bisogni dell'economia, trasmettendo credito alle imprese e ai cittadini. L'Italia è uno dei Paesi occidentali con i maggiori tassi di propensione al risparmio e un elevato stock di ricchezza ed è, pertanto, necessario cercare di indirizzare almeno una parte della ricchezza delle famiglie italiane verso lo sviluppo del Paese. In questo senso, andava anche una mia proposta emendativa finalizzata ad introdurre il Fondo di investimento alternativo per lo sviluppo delle piccole e medie imprese, il FIA di sviluppo, canalizzando i risparmi degli italiani verso le piccole e medie imprese. Mi rendo conto che la complessità delle questioni affrontate durante l'esame del decreto e la ristrettezza dei tempi non hanno purtroppo consentito di affrontare la questione in questa sede, ma auspico che ce ne sia presto la possibilità per aggiungere un'ulteriore misura per il rilancio dello sviluppo del sistema economico e imprenditoriale.
  Ringrazio anch'io il relatore, il Governo e il gruppo del Partito Democratico, tutte le forze di opposizione e di maggioranza che hanno voluto impegnarsi nel migliorare il testo iniziale e lascio alle solite polemiche le persone che evidentemente non hanno analizzato bene com’è arrivato il provvedimento e com’è arrivato alla conclusione. Penso che il lavoro fatto da parte di tutti sia stato veramente eccellente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 3606-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore di minoranza, onorevole Pesco, non ritiene di dover replicare. Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, onorevole Sanga. Prego.

  GIOVANNI SANGA, Relatore per la maggioranza. Presidente, soltanto due precisazioni. La prima sulla gestione delle sofferenze, anche rispetto agli interventi che ho ascoltato. Sappiamo che in Italia sono stimate in circa 210 miliardi di euro le sofferenze bancarie lorde che, al netto dei fondi di rettifica, sono di circa 90 miliardi di euro. Il Capo II del provvedimento in esame interviene e cerca di affrontare la questione in oggetto. Però, a differenza di quanto è stato detto, dal relatore di minoranza in particolare, non si istituisce nessuna bad bank specifica, ma si ricorre a dei veicoli specializzati nel settore e si tratta, cioè, di società veicoli di crediti pecuniari. Lo Stato interviene sì con una garanzia, ma la garanzia è rilasciata solo a favore dei titoli senior. Inoltre, l'accesso alla garanzia ha una durata di solo diciotto mesi e la garanzia, lo sottolineo, è onerosa e verrà, quindi, richiesto alle banche un corrispettivo per la concessione della garanzia stessa.
  La seconda puntualizzazione – per la verità, già l'onorevole Lodolini e l'onorevole Fregolent sono stati molto precisi in materia –: per via dall'emendamento sull'anatocismo, che abbiamo approvato, si stabilisce che il calcolo annuale degli interessi sarà quello che viene regolarmente fatto e non più quello trimestrale. Questo vale non solo per l'attività bancaria, ma anche per i finanziamenti a valere sulle carte di credito. E per fugare ogni equivoco, leggerei soltanto le tre righe dell'emendamento che è stato riportato nel testo che oggi andiamo a discutere: gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre ulteriori interessi e sono calcolati esclusivamente Pag. 47sulla sorte capitale. Penso basti questo per fugare molti dei dubbi che, qui e anche fuori, sono stati sollevati e per chiarire la posizione in merito.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo. Prego, Viceministro.

  ENRICO MORANDO, Viceministro dell'economia e delle finanze. Grazie, signora Presidente. Naturalmente, vorrei anch'io ringraziare il relatore, il presidente della Commissione e tutti i membri della Commissione finanze della Camera per il lavoro che è stato svolto, che, a proposito di questo decreto, è stato un lavoro particolarmente significativo, perché il testo A che arriva all'esame dell'Aula è significativamente diverso, su punti rilevanti, rispetto al testo originario del decreto. Infatti, accade – e questa volta, obiettivamente, è accaduto – che il Governo abbia riconosciuto che un suo provvedimento, complessivamente difendibile e infatti dal Governo attivamente difeso nei lavori parlamentari che si sono svolti fin qui, contiene, tuttavia, pur essendo complessivamente difendibile e quindi impegnandosi per la sua difesa, una norma sbagliata. Una norma sbagliata perché magari è inefficace rispetto all'obiettivo perseguito e in ogni caso dichiarato, oppure sbagliata perché, addirittura, per certi aspetti è contraddittoria rispetto all'obiettivo fissato e dichiarato. È questo il caso del provvedimento in tema di riforma delle banche di credito cooperativo.
  Si tratta, prima di tutto, di un provvedimento che noi consideriamo utile, anzi addirittura necessario, per il conseguimento di uno scopo che credo sia assolutamente condiviso, cioè il rafforzamento e la stabilizzazione di questa componente fondamentale del sistema del credito italiano. Il sistema del credito italiano complessivamente, attraverso un'azione di riforma che si deve sviluppare sulla base di un complesso di interventi, naturalmente, deve essere messo al riparo dai rischi che su di esso incombono, che sono seri, consentendo al sistema del credito nel suo complesso – in questo caso, in particolare, con riferimento alla sua componente di credito cooperativo – di partecipare da protagonista alla ripresa verso quella crescita economica significativa e duratura che ci manca da tanto tempo, anche a causa del persistente contingentamento del credito. È una situazione che si è determinata negli anni durissimi e lunghissimi della recessione economica successiva al 2007 e al 2008 e che determina un fenomeno, per certi aspetti, drammatico, cioè la sostanziale incapacità della politica monetaria ultra espansiva della Banca centrale europea di trasferirsi all'economia reale, come si dice con un'espressione che tende a sottolineare come economia reale quel che riguarda la vita di ognuno di noi: il livello dell'occupazione, il livello dei salari, il livello dei consumi e così via.
  La soluzione fondamentale, che è il pilastro fondamentale del provvedimento al nostro esame, cioè l'aggregazione delle banche di credito cooperativo in forti gruppi di credito cooperativo, esce rafforzata dall'esame della Commissione e non certo smentita. Ed è appena il caso di far notare che, date le dimensioni complessive del patrimonio netto di tutte le banche di credito cooperativo italiane, il limite minimo fissato ad un miliardo è certamente assai rilevante, perché vogliamo ottenere l'aggregazione, ma è ampiamente compatibile, in termini matematici, con la possibilità che i gruppi siano anche più di uno. Lo voglio sottolineare, in rapporto alle critiche che sono state avanzate circa la sostanziale obbligatorietà del gruppo unico: dipenderà, a questo proposito, dalle scelte che le banche di credito cooperativo faranno, ciascuna per sé e ciascuna mettendosi in relazione con le altre.
  Ma, in questo contesto in cui il pilastro fondamentale dell'intervento è stato confermato, non c’è dubbio che si sono manifestate due robuste valutazioni critiche fin dall'inizio, fin dal momento dell'emanazione del decreto. La prima ha riguardato la via d'uscita dalla ipotesi centrale che ho appena illustrato. Sostanzialmente, la via d'uscita ipotizzata nel testo del decreto passava attraverso l'affrancamento Pag. 48oneroso delle riserve: di questo si trattava. La seconda robusta valutazione critica ha riguardato – si è detto – un non sufficiente riconoscimento delle diverse articolazioni territoriali del sistema delle banche di credito cooperativo, che ovviamente hanno un rapporto fortissimo con il territorio e che hanno, quindi, acquisito una presenza sul territorio nazionale che è, tuttavia, fortemente articolata, con caratteristiche anche significativamente diverse, a seconda dei diversi territori.
  Sul primo punto, fin dall'inizio, il Governo si è detto pronto a discutere di soluzioni diverse, incentrate sulla piena conferma della intangibilità delle riserve e della loro imprescindibile destinazione a fini mutualistici. Fin dall'inizio si è, dunque, profilata la soluzione che poi è stata adottata dalla Commissione, con il pieno consenso del Governo, approvando un emendamento presentato, come primo firmatario, dal deputato Pelillo, che è diventato il riferimento per la definizione della soluzione di questo primo fondamentale elemento di valutazione critica rispetto al testo originario del Governo. La soluzione è stata già lungamente descritta e adesso la riassumo in estrema sintesi: la cooperativa resta cooperativa; quindi, restando cooperativa, mantiene la prevalente finalità mutualistica; la cooperativa mantiene il pieno controllo delle sue riserve, il totale controllo del totale delle sue riserve; se ritiene naturalmente di adire alla via d'uscita, conferisce l'attività bancaria ad una Spa, che la stessa cooperativa controlla; paga una tassa, pari al 20 per cento del suo patrimonio netto, per dar vita a questo processo.
  All'inizio, in Commissione, lo stesso deputato Pesco – lo cito perché era relatore di minoranza – ha detto che – cito letteralmente – «il conferimento dell'attività bancaria ad una Spa, con mantenimento delle riserve presso la cooperativa, potrebbe» – ha usato il condizionale – «essere una soluzione». Poi, nel corso della discussione, si è corretto e ha proposto una posizione del tutto diversa, ribadita qui oggi, secondo la quale il conferimento del ramo d'azienda, cioè dell'attività bancaria, è una soluzione addirittura peggiore – così dice l'onorevole Pesco – di quella originaria. Più che una posizione riferita all'applicazione del cosiddetto metodo scientifico, a cui siamo stati diffusamente sollecitati nel corso della discussione – il deputato Pesco mi consentirà di fare una piccola battuta naturalmente – a me, questo sembra il metodo dell’ipse dixit applicato alla rovescia, e cioè una soluzione può andar bene, finché il Governo, correggendo se stesso, non la adottata; a quel punto, diventa addirittura la soluzione pessima, non forse la soluzione che può andare bene.
   Sul secondo limite, molto rapidamente, quello cioè circa il riconoscimento dell'articolazione territoriale, il testo della Commissione riconosce, non solo la specificità del sistema delle banche di credito cooperativo delle due province a statuto speciale, e cioè la provincia di Bolzano, con il meccanismo del Raiffeisen (ho imparato qualcosa oggi e non sapevo che derivasse dal nome del borgomastro, della prima cittadina, paese tedesco, in cui si è dato vita a questa esperienza; si impara sempre qualcosa quando si ascoltano tutti gli interventi), quindi non solo abbiamo riconosciuto la specificità particolarissima del sistema delle banche di credito cooperativo della provincia di Bolzano e della provincia di Trento – sia pure nella provincia di Trento in un contesto nel quale bisognerà che quel sistema adotti modificazioni per poter adire alla possibilità di utilizzare la previsione di legge, così come è stata portata dalla Commissione in Aula – ma ciò che non è stato sufficientemente rilevato nel dibattito fuori di qui, e invece oggi è stato molto sottolineato, si dà luogo a una possibilità originariamente non prevista, e secondo me era un errore assai serio, e cioè alla possibilità di costruire preaggregazioni su base territoriale con soggetti che poi aderiscono al gruppo bancario cooperativo più grande.
   Infine, molto rapidamente qualche osservazione sulle garanzie dello Stato sui titoli frutto di cartolarizzazioni, che abbiano come sottostante sofferenze bancarie e crediti deteriorati. Il relatore di Pag. 49minoranza, il deputato Pesco, ha sottolineato una posizione del tutto alternativa, ha detto: «Lo Stato deve restarne fuori», lo cito anche in questo caso tra virgolette e credo che riconoscerà che la citazione è corretta, ma lo Stato in Italia, per la verità – lo ha detto richiamando la storia in modo efficace, a mio giudizio, il deputato Buttiglione – ne è stato fuori; da questa storia – giusto o sbagliato che sia stato (e mi dispiace per l'anacoluto) – è stato fuori e abbiamo visto qual è stato il risultato; il risultato è che, in un contesto nel quale già il credito tardava e rischiava di non fluire dalla banca centrale alle banche, fino all'economia reale, abbiamo determinato, a causa del volume enorme delle sofferenze, un aggravamento della situazione di contingentamento del credito, con ormai una difficoltà, per le imprese che lavorano per il mercato interno ad avere credito, che è diventata veramente drammatica; non per tutte le imprese, ma in particolare per quelle imprese il cui mercato, quello interno, è caduto nel giro di pochissimi anni del 10 per cento, perché noi abbiamo avuto una caduta del reddito medio pro capite in Italia, tra il 2008 e il 2014, del 10 per cento ed è quindi chiaro che anche imprese perfettamente produttive hanno avuto un tale ridimensionamento dei mercati di riferimento da indurre in quelle imprese una drammatica difficoltà.
  Per queste imprese, il problema non è il tasso di interesse; per queste imprese, che hanno difficoltà di esito dei loro prodotti, il problema è che il credito non arriva in assoluto. Perché non arriva in assoluto ? Per tante ragioni, comprese quelle che riguardano la cattiva gestione di molti istituti bancari che hanno fatto crediti senza verificare il merito di credito – e su questo siamo perfettamente d'accordo, deputato Pesco – del soggetto prenditore del credito stesso. Ma non c’è dubbio che, esplosa la crisi – perché prima tutti ci ricordiamo il tentativo, con i soldi dalle banche, di comperare Il Corriere della Sera da parte di soggetti improbabili, mettiamola così, quindi non ci stiamo inventando che il credito è stato determinato in Italia secondo logiche di trasparenza, di valutazione perfetta, del merito di credito e solo la crisi ha determinato la difficoltà: no, anche prima della crisi noi abbiamo avuto scelte di gestione del credito nella valutazione del merito di credito dei prenditori assolutamente inadatte a garantire principi di correttezza – quando è esplosa la crisi, poi, è stato il volume delle sofferenze, abbinato alla continua richiesta, sacrosanta per certi aspetti, di migliorare i propri requisiti di capitale verso le banche, a determinare il blocco, il terrore di fare nuovo credito perché c’è il rischio di determinare nuove sofferenze. È qui che noi abbiamo lavorato per trovare una soluzione, prendendoci certamente delle responsabilità; è più facile dire: «ci pensino loro» ! Lo Stato italiano, tuttavia, nel momento in cui altri intervenivano su questo versante, giusto o sbagliato che sia stato, ha evitato di intervenire, quindi ha fatto quello che lei dice che dovremmo fare anche adesso. Quando ci siamo posti il problema di come superare il contingentamento del credito, perché vogliamo tornare a crescere e, se non si supera il contingentamento del credito, non si torna a crescere, abbiamo per forza dovuto affrontare il problema di come si riduce il volume delle sofferenze. Una delle soluzioni – non è l'unica certamente e non è forse nemmeno la più rilevante – è quella di avere una quota di queste sofferenze che vanno sul mercato per trovare un esito, perché così accade in tutti i Paesi del mondo; sarebbe ragionevole che ciò avvenisse anche in Italia e sarebbe in ogni caso utile. Abbiamo tuttavia – lei dice – messo soldi dello Stato: certamente, nel Fondo di garanzia oggi c’è una copertura e la legge di contabilità prevede che ci sia – e noi l'abbiamo perfettamente rispettata – ma, attenzione, il contesto è tale per cui quella garanzia viene posta a condizioni «di mercato», per cui essa viene remunerata, giusta o sbagliata che sia, ed è stata questa la condizione che abbiamo dovuto accettare in Europa per poter fare l'intervento, perché altrimenti non ci sarebbe stato concesso. Il deputato Paglia sostiene – con qualche fondamento a mio giudizio – che non sarà risolutivo, perché già ci sono dei Pag. 50calcoli che dicono che il valore delle sofferenze sarà migliorato in maniera significativa, ma non enorme. Può darsi che questi calcoli siano fondati – io magari spero in qualcosa di più di quel più 5 per cento di cui si è parlato in queste settimane – ma non voglio impiccarmi ad un numero. Già il fatto che si dica che il prezzo delle sofferenze migliora è già un fatto significativo; questo è quello che vogliamo ottenere, ma l'abbiamo ottenuto – ci tengo a sottolinearlo – non sulla base di un utilizzo indiscriminato di risorse pubbliche per offrire garanzie indiscriminate, ma sulla base di valutazioni molto rigorose sulla qualità di quei titoli e sulla base di garanzie che sono remunerate, apposte dallo Stato, ma previa remunerazione.
   Infine, voglio ricordare che l'emendamento in Commissione è stato dichiarato inammissibile con una scelta di cui il Governo naturalmente non è né parte attiva, né giudice ( e ci mancherebbe altro) e voglio confermare qui, perché il deputato Ginato e altri ne hanno parlato, che in altra sede, non questa, per la ragione che ho appena detto, ed è corretta la decisione, a mio avviso, del Presidente di dichiarare inammissibile questo emendamento, non c’è dubbio che una qualche forma di riconoscimento nei confronti di quegli istituti di credito che adottano scelte di governance e modalità di rapporto con l'economia che garantiscono gli interessi di carattere generale assai più efficacemente – mi riferisco alla Banca etica e alle banche che hanno questo profilo – per fare in modo che queste banche abbiano una qualche forma di riconoscimento di questo loro specifico ruolo nel migliorare la qualità del sistema del credito nel nostro Paese come in altri Paesi, è qualcosa al quale il Governo continua ad essere favorevole. Non è questo il provvedimento in cui possiamo inserirlo, ne abbiamo preso atto tutti assieme senza fare polemiche tra di noi, ma quell'ordine del giorno, sul quale io espressi parere favorevole al momento della legge di stabilità, che recava questa proposta, io continuo a considerarlo utile e vede l'impegno del Governo per arrivare ad un esito positivo.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Sospendiamo brevemente la seduta per una pausa tecnica di cinque minuti.

  La seduta, sospesa alle 16,55, è ripresa alle 17.

Discussione sulle linee generali della proposta di inchiesta parlamentare: Gelli ed altri: Modifiche alla deliberazione della Camera dei deputati 17 novembre 2014, recante istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza, nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei centri di identificazione ed espulsione (Doc. XXII, n. 62-A).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione sulle linee generali della proposta di inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 62-A: Modifiche alla deliberazione della Camera dei deputati 17 novembre 2014, recante istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza, nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei centri di identificazione ed espulsione.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è pubblicato in calce al Resoconto stenografico della seduta del 18 marzo 2016.

(Discussione sulle linee generali – Doc. XXII, n. 62-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.Pag. 51
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Fiano.

  EMANUELE FIANO, Relatore. Signora Presidente, la proposta in esame modifica la delibera del 17 novembre 2014, con la quale la Camera ha istituito la Commissione monocamerale d'inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza, nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei centri di identificazione e di espulsione. In particolare, prevede una proroga della durata dei lavori fino alla fine della legislatura e un'integrazione dei compiti della Commissione nei limiti dell'ambito dell'oggetto già stabilito, motivata sia dall'esigenza di approfondire maggiormente un fenomeno che negli ultimi mesi ha assunto dimensioni crescenti, sia dalla necessità di tener conto delle novità introdotte successivamente all'istituzione della Commissione, in particolare con il decreto legislativo n. 142 del 2015, che ha riformato il sistema di accoglienza dei migranti. La proposta si compone di un articolo unico che, nei suoi commi, novella in più punti la deliberazione del 17 novembre 2014. Il comma 1 novella l'articolo 1 della delibera istitutiva concernente le funzioni della Commissione, introducendo tre modifiche principali. La prima riguarda la durata dei lavori della Commissione, attualmente fissata in un anno a decorrere dalla sua costituzione (il termine è al 26 marzo 2016), che è prorogata sino al termine della XVII legislatura. La seconda modifica attiene ad un'integrazione degli obiettivi dell'inchiesta e dei compiti della Commissione, volti ad estendere la prospettiva dell'inchiesta ai mutamenti intercorsi successivamente all'istituzione dell'organo parlamentare e a specificare quanto emerso dall'esperienza dei primi mesi di attività. Pertanto, si prevede al comma 1, dell'articolo 1, che l'inchiesta ha ad oggetto non solo il sistema di accoglienza e di identificazione, ma anche il sistema di espulsione dei migranti. Si chiarisce che rientra nel mandato inquirente dalla Commissione anche l'accertamento sulle risorse pubbliche impegnate. In sede referente è stato precisato che l'inchiesta si limiti all'accertamento delle risorse utilizzate non per fronteggiare il fenomeno migratorio nel suo complesso ma per il sistema di accoglienza. Si integra l'articolo 1 con i nuovi commi 2-bis e 2-ter, che dettagliano i compiti della Commissione descritti al comma 2, sulla base dei filoni d'inchiesta in cui la stessa ha strutturato i suoi lavori già nei primi mesi di attività, dividendosi in gruppi di lavoro tematici. In sintesi si prevede che la Commissione accerta le modalità di svolgimento della procedura di identificazione, accerta l'efficacia del sistema di esame e valutazione delle domande di protezione internazionale, verifica le misure adottate in tema di profilassi e assistenza sanitaria, valuta complessivamente il sistema di accoglienza anche acquisendo, con la collaborazione degli enti territoriali interessati, gli elementi per considerare le ricadute di carattere sociale. A tale proposito, dall'esame in sede referente è emerso come in base a tale formulazione del testo debba intendersi – io sono particolarmente legato a questa specificazione – che la valutazione della Commissione d'inchiesta riguarda tutto il sistema di accoglienza e quindi anche il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati denominato sotto la sigla di SPRAR. Valuta le procedure per l'affidamento degli appalti relativi ai servizi di gestione dei centri, indaga sulle modalità di protezione dei minori stranieri non accompagnati e delle altre categorie di soggetti vulnerabili, accerta le misure del trattenimento dei migranti nei CIE e valuta modifiche per rendere più efficienti le procedure di rimpatrio e di allontanamento. Indaga sulla gestione e verifica l'entità delle risorse pubbliche interne Pag. 52ed internazionali stanziate per il sistema di accoglienza dei migranti. Inoltre il nuovo comma 2-ter assegna alla Commissione un compito ulteriore, che consiste nella raccolta di informazioni e dati statistici sul sistema di accoglienza e di identificazione in possesso di amministrazioni pubbliche, agenzie ed enti non governativi ai fini della diffusione pubblica, secondo modalità da definire insieme all'ufficio di presidenza della Commissione.
  Con la terza modifica viene eliminato dal corpo dell'articolo 1 ogni riferimento testuale ai centri d'identificazione ed espulsione, i CIE, ai centri di accoglienza, CDA, e ai centri di accoglienza per richiedenti asilo, CARA. Tale modifica deriva dall'opportunità di aggiornare la delibera con le novità introdotte dal decreto legislativo n. 142 del 2015, che ha ridisegnato complessivamente il sistema di accoglienza, articolandolo in diverso modo. Infatti, mentre prima i centri destinati all'accoglienza ed al trattenimento di immigrati erano riconducibili alle tre tipologie di strutture richiamate prima, CDA, CARA e CIE, con l'adozione del decreto di recepimento delle nuove direttive dell'Unione europea sono state ridisegnate le strutture di prima accoglienza, mediante una riconversione degli attuali centri quali hub temporanei. A tal fine, tutti i riferimenti ai CDA, CARA e CIE sono soppressi o sostituiti dall'espressione «centri di accoglienza e di trattenimento dei migranti», con il quale termine si vuole intendere il complessivo sistema di accoglienza.
  Nella seduta del 17 marzo 2016 la Commissione affari costituzionali ha deliberato... anzi, ritorno un attimo al comma 2, Presidente. Il comma 2 dell'articolo unico della proposta, con una novella all'articolo 2, comma 5, della delibera istitutiva, affianca, alla relazione finale prevista al termine dei lavori, l'obbligo per la Commissione di redigere anche relazioni intermedie con cadenza annuale e questo, evidentemente, per mettere in condizione il Parlamento di verificare il lavoro dalla Commissione e al fine di poter far determinare al Parlamento, in ordine alle risultanze del lavoro di inchiesta della Commissione, eventuali scelte legislative.
  In sede referente è stato precisato che la relazione annuale deve essere presentata entro il 31 dicembre di ogni anno. In riferimento all'attività svolta dalla Commissione fino al 31 giugno 2016, il termine per la presentazione della relazione alla Camera – pertanto, del lavoro fin qui svolto – è stato fissato al 30 aprile 2016. Il comma 3 dispone che le risorse messe a disposizione della Commissione per il 2015 dalla delibera istitutiva, pari a 90.000 euro, siano confermate anche per gli anni successivi. Infine, il comma 4 modifica il titolo della delibera.
  Come dicevo, nella seduta del 17 marzo 2016 la Commissione affari costituzionali della Camera ha deliberato di conferire il mandato al relatore di riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame. Nel corso dell'istruttoria sono state apportate alcune parziali modifiche, volte a definire meglio, appunto, i tempi per la predisposizione delle relazioni sull'attività svolta e sui risultati dell'inchiesta nonché a delimitare ulteriormente il contenuto delle inchieste e, in particolare, come è emerso dal dibattito, al fine di evitare sovrapposizioni tra il Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e di vigilanza in materia di emigrazione, che deve occuparsi complessivamente del fenomeno migratorio, e la Commissione parlamentare di inchiesta, di cui ci occupiamo oggi, che deve indagare sulle questioni relative al sistema di accoglienza.
  Nella seduta del 17 marzo 2016 la Commissione bilancio ha espresso parere favorevole sul provvedimento e pertanto con questo, signora Presidente, termino la relazione.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
  È iscritto a parlare il deputato Federico Gelli. Ne ha facoltà.

  FEDERICO GELLI. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, intervengo brevemente Pag. 53sul documento in oggetto in quanto riguarda la Commissione della quale sono stato chiamato a svolgere il ruolo di presidente, sia pur da poche settimane. Tuttavia, ritenevo importante intervenire, non solo per ringraziare i colleghi per la loro fiducia che mi hanno attribuito, ma anche per ringraziare il presidente uscente, Gennaro Migliore, che ha assunto un nuovo incarico nel Governo, e per esplicitare, in maniera chiara e senza dubbi, l'importante contesto e l'importante lavoro che è stato fatto in questi mesi, un intenso lavoro di questa importante Commissione, e la qualità dell'impegno profuso dai suoi componenti.
  La scelta di proporre come primo firmatario del documento di modifica alla deliberazione istitutiva nasce proprio da questa conoscenza, da questa diretta conoscenza del lavoro fatto e nella volontà di assicurare che il prezioso contributo fornito all'azione del Parlamento possa continuare al di là del termine originario che era stato previsto.
  Il documento, quindi, è molto diverso rispetto ai classici documenti, dove si introduce la frase canonica: «La durata della Commissione è prorogata fino al (...)» ed è per questo che vorrei spiegare le ragioni e i motivi per i quali non ci siamo limitati alla mera proroga del termine. Infatti, questa iniziativa vuole coniugare da una parte il convincimento e la necessità di prolungare il termine dei lavori della Commissione, anche per permettere di finire compiutamente i segmenti delle indagini che sono stati avviati. È per questo – io credo – che ci sia la necessità di articolare in modo puntuale il lavoro che è stato fatto fino ad oggi e l'esperienza di questi primi mesi dell'attività di questa Commissione.
  I colleghi della Commissione, sia di maggioranza sia di opposizione, sono testimoni di questa fase importante di composizione del documento, che poi è stato inviato ovviamente alla Commissione referente e oggi ne discutiamo appunto in Aula. Si tratta di una valutazione complessa: l'obiettivo è stato quello di pervenire alla massima convergenza possibile su di un testo che, al di là della strada condivisa dall'azione di governo parlamentare, superasse le mere logiche di schieramento. È proprio su questo che io credo sia necessario riflettere, perché il lavoro che è stato fatto è il frutto veramente di una condivisa e globale partecipazione di tutte le rappresentanze dei gruppi nella Commissione.
  Ringrazio anche per questo motivo i deputati di opposizione che hanno ritenuto di firmare la proposta di modifica della deliberazione istitutiva della Commissione, ma ringrazio anche coloro che non lo hanno fatto, perché comunque hanno permesso di fornire un contributo costruttivo alla predisposizione del testo all'esame dell'Assemblea. A tal riguardo, voglio solo puntualizzare un aspetto che io ritengo importante: da alcune forze dell'opposizione era emersa la necessità di ampliare e di sancire in maniera chiara le funzioni della Commissione rispetto all'anno di lavoro svolto. La Lega Nord aveva addirittura assunto un'iniziativa parlamentare all'inizio, pochi mesi dopo l'istituzione di questa Commissione, una Commissione, cioè, parallela che focalizzasse in maniera particolare i meccanismi di controllo dell'uso delle risorse pubbliche nella gestione dei centri di accoglienza dei migranti.
  In realtà, questa funzione era in qualche modo già insita nel lavoro che la Commissione parlamentare di cui stiamo parlando oggi aveva fatto, per cui sostanzialmente è stato inglobato anche questo ragionamento e questo approfondimento, non solo perché riteniamo che sia doveroso e necessario ma perché può essere effettivamente uno dei filoni di azione e di intervento. Per questo motivo il documento che oggi andiamo a discutere integra in qualche modo la delibera istitutiva e ne comprende anche alcuni degli argomenti e dei temi che sono stati evidenziati nel corso dell'anno di lavoro, a partire proprio da quello proposto dalla Lega Nord sull'approfondimento dell'uso delle risorse economiche, nazionali e internazionali, impegnate nel sistema di accoglienza.Pag. 54
  Insomma, la modifica della delibera precisa che l'inchiesta procederà ad accertare le modalità di impiego, l'efficace utilizzo, nel quadro di una verifica ad ampio spettro, della complessità della gestione dei centri, dell'efficienza degli stessi, del procedimento di affidamento, delle convenzioni stipulate con gli enti gestori. Insomma, tutti elementi fondamentali che devono ovviamente essere di valido aiuto nell'esprimere un giudizio complessivo e una valutazione complessiva sulle politiche in questo settore. Pur mantenendo, ovviamente, ogni forza politica, ogni gruppo politico la propria posizione, io credo che questo sia lo spirito con il quale dobbiamo continuare a lavorare nella Commissione e sono convinto che questo metodo e questa volontà permarranno anche per il prossimo futuro, per il lavoro prossimo futuro.
  Mi soffermo brevemente anche rispetto ad un ultimo aspetto importante, quello della metodologia dell'indagine, perché credo che su di esso si impegni, in qualche modo, il documento oggetto del nostro esame.
  Per assolvere al nostro mandato, al mandato inquirente, la Commissione infatti ha bisogno di prendere sempre di più rapida conoscenza delle evoluzioni e soprattutto delle dimensioni del fenomeno che si sono andate modificando nel corso dei mesi, a maggior ragione in questi ultimi mesi rispetto anche alle vicende di cronaca odierna. Non stiamo parlando di un fenomeno, di una fotografia del passato, non stiamo parlando di un episodio del passato: stiamo parlando di una vicenda che ha una continua evoluzione nelle sue fenomenologie e nelle sue manifestazioni. Queste sono le dimensioni che il fenomeno è andato ad assumere con particolare riferimento anche all'attività di dotarsi di strumenti conoscitivi che precedentemente non erano disponibili e che, in qualche modo, sono un elemento cardine del nostro lavoro attraverso quindi l'acquisizione di maggiori dati ed evidenze statistiche. Credo che proprio il tema dell'evidenza del compendio statistico sia un elemento centrale del nostro lavoro e l'importanza è che questo compendio sia il più completo possibile, il più aggiornato possibile perché possa veramente diventare anche uno strumento di diffusione non solo per il lavoro dei componenti della Commissione ma per l'intero dibattito pubblico e ovviamente possa essere in qualche modo comunicato nel più ampio modo possibile. Nella Commissione si stanno discutendo anche le modalità per offrire questa opportunità all'intero contesto del nostro Paese. Credo che questa volontà, questa capacità di intervento della nostra Commissione – ed è uno dei motivi per il quale oggi la Commissione chiede la proroga della propria esistenza – sia anche legata ad un lavoro estremamente impegnativo e complesso e – veniva detto dal relatore – giustifica l'ampliamento con una serie di articoli che vanno a specificare meglio i filoni di indagine, i nuovi gruppi di lavoro che poi verranno accorpati. Insomma si tratta di un percorso che, a mio avviso, ha bisogno di più tempi ma ha bisogno di strutturare in maniera per così dire importante una serie di relazioni intermedie ed è per questo che siamo qui a evidenziare l'importanza della cadenza periodica che è stata anche suggerita dalla Commissione affari costituzionali per fornire aggiornati strumenti conoscitivi all'istituzione parlamentare sulle tematiche di pressante attualità ed in costante evoluzione. Insomma intendiamo organizzare i lavori della Commissione per porre tempestivamente a disposizione del legislatore essenziali e qualificati elementi di conoscenza il più possibile aggiornati per ogni sua valutazione anche in ordine a possibili interventi di riforma normativa. Termino per riferire che, entro poche settimane (la data che è stata stabilita è stata concordata in I Commissione) il 30 aprile 2016, avremo la possibilità di fare questa prima fotografia del lavoro svolto fino ad oggi e mi riferisco in maniera particolare ad alcune elementi di conoscenza che l'Aula, a mio avviso, dovrà acquisire che sono gli esiti dell'inchiesta e che sono l'elemento avanzato che è stato prodotto fino ad oggi sul tema dell'identificazione e sull'applicazione Pag. 55del noto approccio hotspot nella fase di prima accoglienza e fotosegnalazione dei migranti.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  FEDERICO GELLI. Mi avvio a concludere, Presidente. Credo che sia un nostro dovere come Paese basare sui nostri principi di accoglienza e di doveroso soccorso il nostro impegno istituzionale con lo spirito che non solo ha animato la democrazia del nostro Paese ma credo che sia anche lo spirito migliore per la costruzione di un'Unione europea che si è sempre più orientata alla tutela dei diritti inviolabili dell'uomo anche nei confronti di chi non è cittadino europeo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gregorio Fontana. Ne ha facoltà.

  GREGORIO FONTANA. Onorevoli colleghi, la proposta di istituire una Commissione d'indagine sui profili interni del fenomeno dei migranti e dei richiedenti asilo nasceva in un periodo segnato da gravi scandali riguardanti la gestione dei centri d'accoglienza. Il nome originario della Commissione esprime a ben vedere la base ideologica, detto senza intento polemico, della proposta di inchiesta. Si partiva dalla premessa che la gestione dei flussi migratori delle richieste di protezione internazionale fosse assegnata da un mix tra repressione poliziesca e scarsa professionalità del personale addetto all'accoglienza. Si leggeva allora sulla stampa di sinistra dell'inaccettabile internamento di esseri umani che nessuna colpa avevano se non quella di scappare dalla fame, dalla miseria, dalla guerra. Si chiedeva un'indagine sugli abusi e i maltrattamenti inflitti ai migranti e ai richiedenti asilo.
  Così, secondo quelle ricostruzioni, l'Italia, in un contesto europeo segnato da un complessivo irrigidimento della fortezza Schengen contro il sud del mondo, si distingueva per spirito repressivo. Ora le cose, come abbiamo visto, per fortuna stanno in maniera alquanto diversa. Non abbiamo trovato terribili aguzzini che si accaniscono contro poveri migranti, abbiamo trovato organizzazioni di volontari che operano meritoriamente con efficienza e solidarietà ma soprattutto abbiamo constatato come le nostre forze dell'ordine, pur con organici e mezzi inadeguati, abbiano dato e continuino a dare a prezzo di enormi sacrifici prova di grande professionalità e di grande spirito di umanità nello svolgimento del loro lavoro, anche sul fronte della gestione del problema dei flussi migratori. Come Forza Italia dunque non possiamo che esprimere la nostra soddisfazione e confermare la nostra solidarietà agli uomini e alle donne delle forze dell'ordine, troppo spesso messe sul banco degli imputati a prescindere da ogni reale responsabilità solo perché indossano una divisa. Peraltro ci siamo anche resi conto nel corso dell'indagine che lo spettro dei problemi con cui dovevamo confrontarci era molto più ampio e più complesso di quello prospettato nella denominazione originaria dell'inchiesta. Anche grazie all'impegno di chi ha presieduto la Commissione fino a qualche settimana fa, l'onorevole Gennaro Migliore, che ha condotto i lavori con senso di equilibrio e con spirito di apertura al confronto concreto sui fatti e non su tesi precostituite, la Commissione ha man mano arricchito il proprio patrimonio di conoscenze, ampliandolo lo spettro dei propri interessi. Mi auguro che anche il nuovo presidente, onorevole Gelli, possa continuare con questo spirito. Come parlamentari, in particolare nel ruolo di opposizione, abbiamo contribuito a questo lavoro di ampliamento allo scopo di conoscere e rendere pubblico nelle forme dovute quel che sta accadendo, proponendo di volta in volta le nostre soluzioni per la gestione del fenomeno dei migranti. Molti in questo senso sono i nodi venuti al pettine. In primo luogo risulta essere stato ampiamente sottovalutato il fenomeno dell'intreccio criminogeno tra malaffare e pseudo-buonismo multiculturalista efficacemente denominato da un libro uscito da pochi giorni Pag. 56Profugopoli, un libro di Mario Giordano. Intorno al fenomeno dei migranti richiedenti asilo si è formato un vero e proprio business che fa leva sulla buona fede di molti italiani per dar vita ad associazioni e attività finto-solidaristiche finalizzate invece esclusivamente al profitto. Gli esempi non mancano, cari colleghi, e non mi riferisco solo agli esempi citati dal libro che potrebbe utilmente essere acquisito agli atti della Commissione, ma alle innumerevoli inchieste di natura giudiziaria, oltre che giornalistica, di cui oggi si dà ampiamente conto in tutte le sedi. Di qui dunque l'esigenza di inserire tra i compiti della Commissione, come è stato proposto sia da Forza Italia che da altri colleghi dell'opposizione, quelli relativi all'approfondimento dei meccanismi di controllo e dell'uso delle risorse pubbliche per l'affidamento dei centri di accoglienza. Per questo giudichiamo positivamente il fatto che nel Documento di proroga della Commissione siano stati inseriti nuovi obiettivi che hanno portato giustamente ad individuare una nuova missione e quindi a formulare una nuova denominazione della Commissione stessa. Ma questa valutazione positiva sul Documento al nostro esame non va interpretata come un'apertura di credito nei confronti del Governo e della maggioranza. È esattamente il contrario. Intendiamo questa Commissione come un utile potenziale strumento di controllo sull'operato dell'Esecutivo, sul fronte della gestione proprio dei problemi connessi ai flussi migratori. Non abbiamo dato e non daremo certo tregua al Governo, convinti come siamo che i problemi che abbiamo riscontrato anche durante i lavori della Commissione non nascono per caso ma sono il risultato di scelte politiche sbagliate, fatte all'insegna molto spesso dell'improvvisazione. Certamente, come si diceva, la Commissione di cui oggi si discute si muove in un ambito ben preciso e circoscritto che non riguarda né la politica europea né quella internazionale del Paese.
  Peraltro, una Commissione d'inchiesta non può avere certo la velleità di risolvere le problematiche generali dell'immigrazione. Su questi fronti si misura la politica e certamente lavorano altri organi parlamentari, come, ad esempio, le Commissioni di merito, la Commissione affari costituzionali, la Commissione esteri, la Commissione speciale Schengen. Tuttavia, in sede di discussione generale, non si può non cogliere l'occasione per rilevare come anche nel lavoro della Commissione migranti siano venuti al pettine i nodi del velleitarismo e della confusione che spesso ha caratterizzato l'azione di questo Governo. In particolare, la nostra attenzione si è soffermata su due questioni tra loro strettamente legate: le procedure rispettivamente di identificazione dei migranti e richiedenti asilo e di valutazione delle domande di protezione internazionale per un verso e, per l'altro, il funzionamento dei meccanismi di rimpatrio dei migranti. Nel primo caso, è venuta in rilievo la totale inadeguatezza dell'attuale disciplina di identificazione che espone l'Italia, com’è noto, a pesanti censure da parte dell'Unione europea. Nel secondo caso, abbiamo constatato il carattere obsoleto dell'attuale normativa che si è rivelata lenta e macchinosa, tale da arrecare pregiudizio, sia agli interessi nazionali, sia ai diritti di protezione internazionale, a tutto vantaggio dei malintenzionati che restano sul nostro territorio nazionale.
  A questo proposito, vale la pena ricordare qui per inciso il preoccupante problema dei flussi migratori provenienti dai Balcani, ovvero da una regione nella quale la presenza jihadista, com’è noto, è ormai consolidata anche in alcune enclave e anche sotto il profilo militare. A parte questo aspetto che comunque rischia di assumere connotati estremamente allarmanti con l'aggravarsi della crisi in Medio Oriente, c’è da dire in generale che l'aumento incontrollato della popolazione immigrata nei nostri territori ha un impatto negativo sulla qualità della vita della popolazione, sia per quel che riguarda i servizi pubblici, sia per quel che riguarda i rischi della sicurezza. Questo ormai lo dicono a gran voce non solo gli esponenti del centrodestra, ma anche molti amministratori della sinistra. Pertanto, è necessario Pag. 57che le procedure di identificazione degli immigrati regolari e di quanti hanno diritto alla protezione internazionale siano rapide ed efficienti. Proprio su questo tema Forza Italia ha presentato due proposte di legge volte rispettivamente al potenziamento e alla riqualificazione delle commissioni territoriali e dall'altra al rafforzamento degli strumenti in mano alle forze di polizia per l'identificazione dei richiedenti la protezione internazionale.
  Altra questione venuta immediatamente in rilievo nei lavori della Commissione e più in generale nel fenomeno dell'immigrazione riguarda la disponibilità di dati sicuri, aggiornati e trasparenti, cioè leggibili. Tale disponibilità è assolutamente necessaria, come ricordava l'onorevole Gelli poco fa, perché i cittadini possano avere contezza di quello che sta accadendo e perché il Parlamento possa operare in piena consapevolezza. Su questo piano a mio parere c’è ancora molto da fare poiché sicuramente ad oggi qualche passo in avanti è stato fatto, ma molte ombre ci sono ancora.
  Signor Presidente, il Governo ha sbandierato per mesi accordi e soluzioni a livello europeo che si sono rivelati puri palliativi e a volte delle vere e proprie patacche, come quello relativo alla ricollocazione dei migranti che riguardava solo una percentuale minima di questi ultimi. Per non parlare della colossale bufala mediatica degli hotspot, un sistema che non decolla e il cui mancato funzionamento espone a nuove pesanti sanzioni da parte di Bruxelles. Con tutta la buona volontà delle forze dell'ordine e delle agenzie umanitarie, l'Italia resta l'anello debole dell'Europa per le gravi inefficienze di questo Governo. È una situazione che rischia di aggravarsi proprio in vista dell'evoluzione della politica europea sul fronte dell'immigrazione, nonché dell'evoluzione della situazione del quadro geopolitico euro-mediterraneo. Ciascun Paese in Europa di fatto resta orientato alla tutela dei propri interessi nazionali e l'Italia rischia di fare la fine del classico vaso di coccio tra i vasi di ferro, sprovvista com’è di una solida ed efficiente struttura di gestione dei flussi migratori.
  Si prenda ad esempio il recente piano Unione europea-Turchia. In sostanza, attraverso quell'accordo si cerca di razionalizzare i flussi nei Balcani. Questo comporterà necessariamente un aumento della pressione sul fronte Adriatico, sul quadrante sud-est. In altre parole, aumenterà la pressione dei flussi sull'Italia. Lo spiega con estrema chiarezza un rapporto di una nota agenzia di intelligence, Stratfor, pubblicato la scorsa settimana. Il rapporto si intitola: «Sarà l'Italia la prossima Grecia ?». Nel testo si spiega che il drenaggio dei flussi migratori nell'area balcanica a seguito dei vari muri eretti nei Paesi dell'area porterà in aprile, con l'inizio del bel tempo, a un consistente aumento dei flussi verso l'Italia, in particolare attraverso la rotta Adriatica. Secondo questo rapporto, anche se i negoziati tra Unione europea e Turchia si sviluppassero positivamente, la pressione sull'Italia non diminuirà, anzi aumenterà, perché il nostro Paese rappresenta per molti migranti un percorso alternativo per raggiungere l'Europa. Lo scenario evocato dall'agenzia ha qualcosa certamente di apocalittico visto che viene prospettata una situazione analoga a quella dei primi anni Novanta quando a migliaia dall'Albania raggiungevano le nostre coste. Immaginiamo cosa potrebbe succedere ora visto che le coste albanesi rappresentano il terminale nord-occidentale di una delle aree più turbolente del pianeta, teatro di disastri geopolitici umanitari che generano flussi di migranti e richiedenti asilo di dimensioni bibliche. Le turbolenze del Medio Oriente e del Nordafrica, in particolare in Libia, stanno entrando in casa nostra e noi siamo del tutti impreparati a gestirle, più o meno come la Grecia che a poche ore dall'accordo di Ankara ha dichiarato il default delle proprie strutture di accoglienza e di identificazione. La Commissione migranti, come si diceva, non si occupa di tali tematiche, bensì delle loro ricadute interne, in particolare per quel che riguarda le procedure di identificazione, Pag. 58accoglienza ed espulsione. Ma è proprio per questo che anche in questa sede Forza Italia non farà sconti al Governo e alla maggioranza. Se c’è un fronte, colleghi, sul quale la politica degli annunci e delle slide non paga è proprio quello dei flussi migratori perché qui sono in gioco i diritti e la vita di migliaia di persone, nonché la sicurezza nazionale e lo stesso stile di vita dei nostri cittadini. Non permetteremo che una questione di tale gravità venga affrontata all'insegna dell'improvvisazione, del pressappochismo e utilizzeremo ogni strumento parlamentare – e questa Commissione è tale – per far luce sui fatti e per difendere l'interesse del Paese e della sicurezza degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Beni. Ne ha facoltà.

  PAOLO BENI. La ringrazio, Presidente. In riferimento alla proposta di proroga della Commissione d'inchiesta sui centri di accoglienza dei migranti che oggi discutiamo, dico subito che ritengo necessario, non solo prorogare il mandato della Commissione, ma anche aggiornarlo e ampliarlo alla luce delle nuove esigenze emerse. Infatti, se noi guardiamo indietro a quando la Commissione iniziò il suo lavoro o ancor prima quando ne deliberammo l'istituzione, è evidente quanto rapida e impetuosa sia stata in poco più di un anno l'evoluzione della materia oggetto dell'inchiesta. I flussi migratori verso l'Italia di profughi richiedenti asilo in fuga dalle aree di conflitto del Nordafrica e del Medio Oriente hanno avuto un incremento eccezionale a partire dalla metà del 2014. Poi, nel corso del 2015, l'esodo è cresciuto ulteriormente e ha investito l'intera Europa e ha assunto contorni sempre più drammatici. Noi sappiamo che questo fenomeno ha un forte impatto emotivo nella percezione dell'opinione pubblica italiana e ha implicazioni sempre più significative sul piano culturale e sociale e su quello delle scelte politiche e di Governo, tanto sul fronte interno, che su quello delle relazioni internazionali del nostro Paese.
  Per questo devo dire che, fin dall'avvio dei lavori, ai componenti della Commissione è apparsa chiara la necessità di interpretare il proprio mandato andando a verificare, sì, le condizioni di trattenimento dei migranti nei centri, ma non solo, anche l'efficacia e la tenuta dell'intero sistema sottoposto a una così inedita pressione.
   Oltretutto, mentre continuavano ad aumentare gli arrivi, stavano cambiando le stesse norme su accoglienza e procedure del riconoscimento della protezione internazionale, in forza delle direttive dell'Unione europea nn. 32 e 33 del 2013, recepite dal decreto legislativo n. 142 del 2015. E ancora oggi la materia è tutt'altro che consolidata, tant’è che la stessa nomenclatura usata nella legge istitutiva di questa Commissione, che oggi, non a caso modifichiamo, (CARA, CPSA, CIE) non è più rispondente all'attuale articolazione dei centri, mentre altre definizioni, che oggi comunemente usiamo o che vengono imposte dal dibattito politico europeo (CAS, hub, hotspot), non hanno ancora una precisa fonte di riferimento né di legittimazione nel nostro ordinamento legislativo. Quindi, alla luce dei mutamenti in corso, c’è l'esigenza di rimodulare la prospettiva dell'indagine per rivisitare la materia nella sua complessità: le modalità di prima accoglienza, di identificazione, la protezione dei minori e dei soggetti più fragili, i modelli di organizzazione dei centri, i requisiti e le procedure per la loro gestione, gli standard dei servizi da fornire e, poi, i tempi e le procedure dell'esame delle domande di asilo, la questione dei rimpatri, infine, non ultimo per ordine di importanza, il tema dei costi a carico dello Stato di tutto questo.
  L'indagine fin qui svolta dalla Commissione, grazie a una mole ingente di materiali, di audizioni e di sopralluoghi, ha consentito di mettere a fuoco le scelte di fondo fatte dal nostro Paese, evidenziandone i molti aspetti positivi e anche alcuni elementi di criticità. Di fronte all'afflusso straordinario degli ultimi anni, il Governo Pag. 59italiano non ha fatto ricorso a misure di emergenza; ha scelto di gestire l'accoglienza con mezzi ordinari, nel rispetto dei diritti delle persone che arrivavano e delle procedure previste. In accordo con regioni ed enti locali, si è deciso di superare il modello seguito in passato, che prevedeva di concentrare i migranti in grandi strutture da migliaia di posti, privilegiando, invece, in alternativa, l'accoglienza di piccoli gruppi distribuiti sul territorio nazionale. Noi pensiamo che quella del superamento dei grandi centri sia una scelta molto condivisibile, perché queste strutture offrono condizioni di permanenza spesso non dignitose ai migranti, perché queste strutture comportano più problemi sul piano dell'impatto nei territori della sicurezza, dell'allarme sociale, perché queste strutture, nella loro gestione, hanno evidenziato anche falle sul piano della trasparenza e della legalità, come è emerso da alcune indagini in corso.
  Allora, sarebbe inutile perseverare in un approccio emergenziale quando siamo di fronte a un fenomeno ormai da tutti riconosciuto come costante e ampiamente prevedibile. Meglio allestire un sistema di accoglienza permanente, strutturato, articolato nel territorio, governato con un coordinamento stabile delle funzioni di Governo, prefetture, regioni, enti locali e anche delle associazioni del territorio. È a questo obiettivo che il nostro Paese ha dedicato notevoli sforzi nell'ultimo anno, con risultati indubbiamente buoni. Non c’è velleitarismo, confusione. Vorrei dire all'onorevole Fontana che non c’è neanche la «profugopoli», che si è detto. Direi: risultati buoni, ma anche migliorabili ed è ovvio che siano migliorabili.
  Beninteso, al netto delle questioni legate alle norme europee, che sono il vero problema che abbiamo di fronte nel rendere più efficiente il sistema italiano, ma che non affronto in questa sede perché non sono oggetto di discussione oggi, io indico perlomeno tre punti. Primo: migliorare il funzionamento delle commissioni per l'esame delle richieste di protezione; tempi di attesa più brevi; procedure più snelle.
  Secondo: sostituire gradualmente i vecchi centri con i progetti della rete SPRAR, un modello meno impattante e più sostenibile, grazie al coinvolgimento preventivo delle comunità locali, degli enti locali e delle associazioni. Terzo: adottare procedure più efficaci e trasparenti per l'affidamento dei centri, per la definizione di standard uniformi di gestione e sui servizi da erogare, di modalità più efficaci di controllo e di verifica.
  Su questi aspetti la Commissione ha già rilevato alcune problematicità, che sono state dette anche dall'onorevole Gelli. Attualmente c’è una evidente disomogeneità nelle procedure di affidamento dei centri; non c’è uniformità nei modelli gestionali adottati dalle varie strutture che gestiscono questi centri. Ho ricordato la differenza fra i progetti SPRAR e i relativi standard qualitativi, con i centri di accoglienza temporanei. Il costo giornaliero per migrante è sostanzialmente uniforme sul territorio nazionale, ma non sempre lo sono i servizi offerti e, a parità di spesa, ci sono anche squilibri non accettabili sul piano quantitativo e qualitativo. Le procedure di rendicontazione e controllo non sempre sono uniformi. Questi problemi sono particolarmente evidenti nel caso dei CAS, proprio in virtù della natura straordinaria e temporanea di queste strutture, ma è bene che ci rendiamo conto che queste strutture sono tutt'altro che marginali, visto che coprono oggi i due terzi dell'accoglienza complessiva. Quindi va migliorato questo sistema.
  Resta, infine, da approfondire e verificare – credo che questo debba essere oggetto della Commissione – la compatibilità con la legislazione italiana di alcune delle recenti norme adottate dall'Unione europea su gestione degli hotspot, identificazioni, distinzione fra migranti economici e richiedenti asilo, rimpatri e trattenimento forzato in attesa dei rimpatri. Sono buoni motivi – concludo, Presidente – per valutare l'opportunità di una riscrittura complessiva e organica delle norme su questa materia, dalle procedure di accoglienza e identificazione alle modalità Pag. 60di affidamento e gestione dei centri, alle procedure giurisdizionali per l'asilo, alla gestione dei rimpatri.
  Concludo. Queste sono questioni in rapida evoluzione, sono anche questioni che riguardano un tema decisivo per il futuro del Paese, come è stato ricordato da tutti. Per questo io credo che il lavoro di questa Commissione sia necessario affinché il Parlamento possa avere quegli elementi di conoscenza, costantemente aggiornati, che gli consentano di garantire il suo apporto di analisi e anche di proposta legislativa e normativa sulla materia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – Doc. XXII, n. 62-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alle repliche.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Senaldi ed altri; Quintarelli ed altri; Allasia ed altri; Borghese e Merlo: Disposizioni per l'introduzione di un sistema di tracciabilità dei prodotti finalizzato alla tutela del consumatore (A.C. 1454-2522-2868-3320-A) (ore 17,46).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 1454-2522-2868-3320-A: Senaldi ed altri; Quintarelli ed altri; Allasia ed altri; Borghese e Merlo: Disposizioni per l'introduzione di un sistema di tracciabilità dei prodotti finalizzato alla tutela del consumatore.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1454-A ed abbinate)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la X Commissione (Attività produttive) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Caterina Bini.

  CATERINA BINI, Relatrice. Grazie, Presidente. Signor rappresentante del Governo, colleghi, la proposta di legge oggi all'esame dell'Assemblea è volta a migliorare l'accesso alle informazioni che consentono la tracciabilità dei prodotti, al fine di promuovere il diritto all'informazione dei consumatori e tutelarne gli interessi. L'intervento legislativo è, altresì, finalizzato a promuovere e incentivare i produttori che volontariamente si dotino di tecnologia per la tracciabilità dei propri prodotti.
  La proposta di legge il cui esame in sede referente è iniziato nel dicembre del 2013 è stata oggetto di un'approfondita istruttoria che ha impegnato a lungo la Commissione, anche al fine di superare possibili incompatibilità tra le disposizioni proposte e la disciplina europea in materia di tutela del made in Italy.
  Molte delle obiezioni sono state superate attraverso la finalizzazione del testo all'obiettivo di garantire la massima informazione sull'origine dei prodotti, dei loro componenti, del loro assemblaggio e della loro lavorazione, a tutela dei consumatori piuttosto che del made in Italy. Sono stati invece evitati i richiami all'origine italiana dei prodotti e, o ad eventuali registri nazionali. Ritengo tuttavia che la mancanza di riferimenti all'italianità dei prodotti, al fine di evitare qualsiasi problema dal punto di vista della compatibilità comunitaria, non faccia venire Pag. 61meno l'effetto obiettivo del provvedimento, inteso ad incentivare e a sostenere le produzioni nazionali. Immagino infatti che le imprese italiane saranno quelle maggiormente interessate ad aderire volontariamente ad un sistema di agevolazioni economiche che assicuri la massima informazione sui prodotti italiani. Le previsioni di agevolazione, volte a garantire la massima trasparenza e la piena informazione sui prodotti, e non specificatamente sull'origine italiana, va a favore dei consumatori e può essere ricondotta agli obiettivi più generali di tutela dei consumatori che la disciplina europea persegue e garantisce. Un'adesione di tipo volontario al sistema di incentivi finalizzati al sostegno della tracciabilità dei prodotti appare inoltre coerente con alcuni principi di derivazione europea, ovvero il cosiddetto gold-plating, che prescrive di evitare che la normativa nazionale adotti regole standard più stringenti di quanto venga richiesto a livello di normativa europea, nonché il principio di riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, che sarebbero gravate da un sistema obbligatorio di tracciabilità dei prodotti.
  Il testo unificato approvato dalla Commissione è stato notificato lo scorso 27 gennaio alla Commissione europea, esclusivamente agli effetti della direttiva europea n.1535 del 2015, relativa alla procedura di informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione. Il periodo di astensione obbligatoria dall'approvazione finale del provvedimento scadrà il prossimo 28 aprile.
   Passando al merito del provvedimento, la proposta di legge consta di cinque articoli e si propone di migliorare l'accesso alle informazioni che consentano la tracciabilità dei prodotti, al fine di promuovere il diritto all'informazione dei consumatori e tutelarne gli interessi.
   Oltre ad assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, la legge si propone di contribuire a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori, all'articolo 1. Le disposizioni più rilevanti della proposta di legge sono negli articoli 2 e 3, che disciplinano rispettivamente l'introduzione di sistemi di tracciabilità mediante l'uso di codici non replicabili e la previsione di contributi per l'introduzione dei medesimi sistemi. L'articolo 2, in particolare, prevede l'introduzione di un sistema volontario di autenticazione e di tracciabilità dei prodotti, che possa consentire al consumatore di conoscere l'effettiva origine dei medesimi attraverso adeguate informazioni sulla qualità e sulla provenienza dei componenti, delle materie prime, sul processo di lavorazione delle merci e dei prodotti intermedi e finiti. Queste informazioni saranno collegate a un codice identificativo non replicabile, che conterrà riferimenti, riscontrabili anche per via telematica, ai dati del produttore, dell'ente certificatore della filiera del prodotto, dei distributori che fornisce il sistema di codici identificativi, nonché l'elencazione di ogni fase di lavorazione.
  Sotto il profilo tecnico, il citato codice identificativo consisterà in un segno unico e non riproducibile, ottimizzato per il sistema mobile e le sue future evoluzioni e per le applicazioni per smartphone e tablet e i loro futuri sviluppi tecnologici. Sono rimesse ad un regolamento del Ministro dello sviluppo economico la definizione delle specifiche tecniche delle applicazioni volte ad assicurare la tracciabilità attraverso i codici identificativi citati, le modalità operative per le certificazioni e le modalità di accreditamento dei produttori delle medesime applicazioni, nonché le tecnologie utilizzabili. Sempre il medesimo Regolamento stabilirà le modalità di collaborazione con le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e con le associazioni di categoria interessate per la verifica periodica a campione del rispetto delle disposizioni da parte delle imprese che aderiscono al sistema. Si tratta pertanto di un sistema volontario di tracciatura che le imprese potrebbero decidere di adottare che – come tutti i sistemi volontari – prevede un controllo rimesso agli stessi soggetti aderenti tramite le loro associazioni.Pag. 62
   L'articolo 3 prevede i contributi per gli investimenti sostenuti dalle imprese che aderiscono al sistema di tracciabilità appena descritto. I contributi possono essere attribuiti a micro piccole e medie imprese, a distretti produttivi, a forme aggregative di imprese, quali consorzi, anche in forma di società, a raggruppamenti temporanei di impresa, a contratti di rete, alle start-up innovative, nonché a imprese agricole e della pesca.
  Gli importi sono concessi entro i limiti del regime de minimis, ossia non più di 200.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari, ovvero per aiuti concessi sotto forma di erogazione diretta di una sovvenzione, o di contributi in conto interessi. Per gli aiuti dati in forma diversa, come prestiti, conferimenti di capitale o prestazione di garanzia, le soglie e le condizioni sono previste dall'articolo 4 del Regolamento europeo n. 1407 del 2013 sul regime de minimis e limitatamente alle imprese agricole e della pesca del Regolamento europeo n. 1408 del 2013 e del Regolamento europeo n. 717 del 2014. I contributi sono concessi fino ad una quota pari a 20 milioni di euro, a valere sui fondi di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 69 del 2013, come rideterminato dall'articolo 1, comma 243, della legge n. 190 del 2014, che prevede finanziamenti e contributi a tasso agevolato per gli investimenti in macchinari, impianti, beni strumentali d'impresa, attrezzature nuove di fabbrica ad uso produttivo, nonché per gli investimenti in hardware, in software e in tecnologie digitali. Si rimette ad un Regolamento, adottato con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la definizione dei criteri e delle modalità di assegnazione delle agevolazioni, prevedendosi comunque il positivo esito della procedura di informazione presso la Commissione europea, quale condizione per l'applicazione della disciplina di cui si tratta. L'articolo 4 reca la disciplina delle sanzioni, stabilendo che, salvo il fatto costituisca più grave reato, sia punito ai sensi dell'articolo 517 del codice penale, che sanziona il diritto di vendita dei prodotti industriali con segni mendaci, «chiunque appone a prodotti destinati al commercio i codici di cui alla presente legge, che contengano riferimenti non corrispondenti al vero, ovvero pone in vendita o mette altrimenti in circolazione i medesimi prodotti». L'articolo 4-bis prevede la clausola di invarianza finanziaria; l'articolo 5 disciplina infine l'entrata in vigore della legge.
  Il sistema di tracciabilità presenta tre peculiarità: consente a tutti i cittadini un'informazione puntuale, trasparente e dettagliata sui prodotti, evita contraffazioni e frodi e consente alle imprese di garantire la qualità dei prodotti e dei materiali attraverso un sistema in grado potenzialmente di promuoverne la diffusione sui mercati globali.
   Auspico pertanto una rapida conclusione dell’iter approvativo del testo in esame.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  ANTONIO GENTILE, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Onorevole Presidente, debbo innanzitutto ringraziare la relatrice, l'onorevole Bini, per l'ottimo lavoro svolto assieme a tutta la Commissione. Debbo fare una precisazione: il Ministero dello sviluppo economico, una volta che ha completato l'iter in Commissione, lo ha notificato immediatamente alla Commissione europea, ai sensi della normativa in materia; successivamente, la Commissione europea, nell'ambito della procedura di infrazione n. 2016/0043/I ha richiesto alle autorità italiane di chiarire tre punti. Il primo: se il sistema volontario di tracciatura includa i prodotti di consumo. Il secondo punto: se sia applicabile, sia al settore non alimentare, che alimentare. Terzo punto: se il sistema volontario di tracciatura sia applicabile ad entrambi i prodotti, nazionali ed importati.
  Al riguardo, debbo precisare che gli approfondimenti effettuati dai competenti uffici del MISE, ai fini della risposta alla Commissione europea, hanno evidenziato alcune criticità per il prosieguo dell'iter Pag. 63parlamentare del provvedimento in esame, che rendono quindi pertanto necessaria una commissione urgente, prevista a breve per concordare con i rappresentanti delle altre amministrazioni interessate e anche del Ministro per i rapporti con il Parlamento, i contenuti da trasmettere alla Commissione europea, come si vede, la richiesta di un motivato ritardo rispetto al termine originario fissato per l'8 marzo. Naturalmente il tutto dovrà avvenire – e questo è mio impegno – nei prossimi giorni.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Angelo Senaldi. Ne ha facoltà.

  ANGELO SENALDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il progetto di legge per l'introduzione di un sistema di tracciabilità dei prodotti finalizzato alla tutela del consumatore nasce da due constatazioni evidenti: la crescita del fenomeno della contraffazione da una parte e le nuove possibilità offerte dalla tecnologia dall'altra. Tutte le analisi, le ricerche e le statistiche relative al problema della contraffazione e dell'usurpazione dei marchi forniscono dati sempre più allarmanti, gli ultimi interventi dell'UAMI, l'Ufficio per l'armonizzazione del mercato interno, cioè l'Agenzia europea per la proprietà intellettuale, parlano di perdita di vendite in Italia dovuta alla contraffazione di prodotto per circa 5 miliardi, con una sottrazione di almeno 80 mila posti di lavoro. L'inchiesta di Confartigianato di pochi giorni fa rivela come dal 2008 al 2014 la multinazionale del falso sia costata 88 mila disoccupati ed abbia prodotto una mancanza di fatturato alle nostre imprese di più di 10 miliardi. A livello globale il mercato della contraffazione viene valutato in 200 miliardi di dollari, con una previsione di raddoppio entro il 2020. Stime che vengono considerate per difetto, vista la difficoltà di misurare un fenomeno illecito, che non possiamo derubricare a semplice fatto amministrativo, ma che investe organizzazioni e catene criminali sempre più strutturate, che vedono nella vendita di prodotti contraffatti un affare più redditizio, anche rispetto allo spaccio della droga; 1 euro investito in contraffazione produce più di dieci volte tanto ed ha un minore impatto mediatico rispetto ad altre pratiche delittuose. La diffusione del commercio via internet è un'ulteriore detonatore e moltiplicatore della problematica, attraverso la parcellizzazione degli acquisti e delle consegne. Ricordo solo il recente oscuramento disposto dall'Antitrust di 174 siti che vendevano prodotti contraffatti di marchi famosi. Ma non parliamo solo di capi di alta moda, pensiamo al settore della piccola pelletteria, della calzatura, del vino, dei farmaci, dell'occhialeria, dei ricambi d'auto, dei gioielli e della bigiotteria, delle parti meccaniche, delle valvole e così via. Un fenomeno pervasivo come quello descritto può essere combattuto anche attraverso l'introduzione di nuove modalità di etichettatura dei prodotti, che ne garantiscano la tracciabilità, offrano informazioni estese ai consumatori ed assicurino l'autenticità in una sorta di alleanza virtuosa tra imprese e cittadini. Grazie allo sviluppo tecnologico e alla diffusione dei terminali telefonici di ultima generazione, possiamo dotare ogni singolo pezzo prodotto di un codice, di un'etichetta, di un chip impossibile da contraffare o replicare. Attraverso la rete internet è possibile che ogni acquirente e consumatore verifichi la provenienza della merce, la filiera produttiva e la verifica dei luoghi di origine e di produzione. Per questo motivo si è ritenuto di promuovere, attraverso un intervento economico, l'introduzione di questi sistemi di tracciabilità per le piccole e medie imprese, che più di tutti necessitano di sostegno per l'innovazione digitale legata ai nuovi metodi di etichettatura. Il lavoro di Commissione inoltre ha esteso anche il sostegno alle imprese agricole, alla pesca, ai distretti produttivi, ad altre forme aggregative d'impresa quali i consorzi, ai raggruppamenti temporanei d'impresa, ai contratti di rete e alle start-up. Abbiamo tenuto volutamente ampio lo spettro delle possibilità tecnologiche, perché il velocissimo sviluppo dell'informatica e della stampa può offrire in tempi brevi nuove e non Pag. 64prevedibili soluzioni. Dobbiamo agire e promuovere la conoscenza dei consumatori nei loro acquisti, sapendo che spesso merci di dubbia provenienza in cui le materie prime utilizzate certamente non salubri, le regole previste dalla legislazione del Paese di produzione espongono a rischi per la salute delle persone. In questo senso la proposta di legge svolge una funzione quasi educativa, di stimolo all'informazione consapevole e di volano, perché sempre più aziende introducono una totale trasparenza della loro filiera produttiva. Inoltre può essere garanzia dell'opera dell'ingegno, della qualità e della capacità del nostro Paese nel mondo, perché i sistemi di verifica sono accessibili da tutti e in tutte le parti del globo. Siamo certi che, anche con una semplice e diretta metodologia, si possono realmente tutelare le nostre merci e le nostre filiere di qualità, grazie alla compartecipazione del cliente finale.
  Il lavoro di verifica e di limatura del progetto di legge è stato intenso e puntiglioso, grazie all'impegno della relatrice della Commissione attività produttive, con l'obiettivo di evitare qualsiasi opzione che potesse trovare intralcio nella normativa comunitaria, che ha già bloccato leggi italiane che avevano la diretta finalità di tutelare il made in Italy.
  Mi si permetta di sottolineare una contraddizione evidente della politica europea, che, da una parte, si pone l'obiettivo di ritornare alla percentuale del 20 per cento del prodotto interno lordo generato dalla manifattura e, dall'altra, blocca la definizione della normativa comunitaria del made in, quasi lasciando spazio alle merci provenienti da Paesi esterni all'Unione e limitandosi ad una funzione commerciale.
  Per cercare di non incorrere in infrazioni, abbiamo mantenuto su base volontaria l'adesione delle aziende al sistema di tracciabilità, sottolineando l'importanza della tutela del consumatore e della salvaguardia della salute, sapendo che nel confronto la qualità e la bellezza italiana non hanno paragoni. Siamo certi che le associazioni imprenditoriali, le imprese, le forze dell'ordine, così impegnate nel contrasto alla criminalità, e gli stessi cittadini potranno beneficiare di una nuova modalità di controllo e di autenticazione degli acquisti, facendo fare un salto di qualità alla nostra consapevolezza e alla lotta alle truffe contraffattive.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Russo. Ne ha facoltà.

  PAOLO RUSSO. Signora Presidente, ragioniamo di una norma che vorrebbe introdurre un sistema di tracciabilità dei prodotti, sistema di tracciabilità finalizzato alla tutela del consumatore. Quindi proviamo a riprendere il tema della tracciabilità dei prodotti, dell'origine dei prodotti, provando a prenderlo dal «corno» dei consumatori, prenderlo cioè da quella esigenza – che mi pare pur evidente – di un consumatore che deve essere reso sempre più consapevole nell'accezione più piena del termine. Quindi, sistemi di tracciabilità, sistemi di tracciabilità anche moderni, che rendono finalmente al centro del processo di scelta il consumatore. Insomma, attraverso questo modello, il consumatore potrà scegliere e acquistare esattamente ciò che vuole, non troverà differenze misurate tra ciò che avrebbe desiderato e ciò che poi realmente sceglie ed acquista.
  È, quindi, una norma sul piano del principio più che positiva, una norma che ha una ratio e che anche una finalità straordinariamente positive nei due aspetti. Il primo aspetto, quello che è stato or ora celebrato, cioè il consumatore che diventa consapevole; l'altro aspetto, ancora più rilevante e importante per il nostro Paese, quei 10, 12, 18, 17 secondo le varie statistiche che ci vengono fornite, di miliardi di euro che rappresentano l’Italian sounding, da una parte, e la contraffazione, dall'altra. Quindi, una norma che ha una finalità intrinseca positiva, ma che è anche un'azione e un esercizio diretto in chiave di risorse che diventano risorse del Paese, risorse nazionali, che diventano per alcuni aspetti ricchezza del Paese, ricchezza delle imprese, ma anche ricchezza Pag. 65del sistema pubblico. Tutto questo, però, confligge, senza trovare una risposta – devo dire che anche la precisazione che il Governo puntualmente ha fatto quest'oggi indica ancor più chiaramente che questo conflitto vi è e vi è tutto –, non solo con i limiti del regolamento n. 952 del 2013, quello, se volete, famigerato, quello che consente sulle norme tecniche, ma confligge anche con un'idea diversa che noi dovremmo avere rispetto all'idea prevalente dell'Europa.
  Noi abbiamo già una norma, peraltro approvata a larghissima maggioranza, all'unanimità quasi, nella scorsa legislatura, che già prevedeva la tracciabilità dei prodotti e l'origine stessa di quei prodotti, norma puntualmente sanzionata da quell'Europa che vuole il nostro Paese capace sì di esprimere delle eccellenze, ma devono essere men che di nicchia, men che marginali sul piano dei numeri, devono essere vicende che appartengono alla storia di un luogo singolo e non possono rappresentare, secondo quell'Europa, un modello culturale che noi, invece, vorremmo fosse.
  E, allora, rispetto a questa Europa matrigna, devo dire, su questa norma possiamo esprimere un giudizio critico e negativo ? Ci è difficile, è poca roba. Devo dire: come vogliamo considerarla ? Timida ? Con un profilo di ritrosia straordinario ? Con un profilo di prudenza (escludo inutilità) ? Insomma, una norma sostanzialmente limitata nel suo esercizio, nella sua funzione, nella sua capacità di estrinsecare quelle potenzialità che, viceversa, tutte si leggono in questa norma.
  Io non contesto la volontarietà, l'adesione volontaria. Capisco che è un éscamotage per consentire a chi è virtuoso nel nostro Paese, a chi ha voglia di mettere in campo l'orgoglio nazionale sul piano non soltanto delle origini ma anche sul piano dalla manifattura, a chi ha voglia di rappresentare questo valore con spirito di orgoglio e chi ha voglia di far questo trova in questa norma uno strumento, un'opportunità, trova, insomma, l'occasione per celebrare una concreta azione.
  Ma sul fatto che sia volontaria, dobbiamo provare, magari migliorando la norma, ad evitare e ad escludere che l'adesione possa essere una sorta di diversivo, una sorta, cioè, di adesione sì volontaria, ma attraverso un'adesione parziale al percorso. Dobbiamo prevedere che non solo ci sia un decreto con un regolamento, ma che ci sia addirittura un modello tipo nel quale infilarsi, nel quale infilare dati, in modo tale da avere la certezza che non vi sia un'azione diversiva e in modo tale che ognuno aderisca a modo suo, rappresentando nella sua logica le parti e le origini di taluni componenti e non di tal altri.
  Magari proviamo – e penso anche alla parte alimentare – a dare qualche elemento di maggiore certezza; proviamo a non consentire che si dia il profilo della filiera partendo dai quantitativi minori di un prodotto, ma partendo semmai da quantitativi maggiori. Proviamo, insomma, a mettere in campo un'idea che possa dare un percorso di certezza nell'ambito di questa difficoltà nel ragionare con un'Europa che vuole una filiera agroalimentare che sia massificata, che sia dei grandi marchi, che non sia delle eccellenze, che non sia dei marchi di territorio, che non sia delle straordinarie eccellenze del nostro Paese.
  E poi – e ripeto – qualche accenno critico mio è volto solo a migliorare la norma che, ho precisato, ritengo una norma sul piano della finalità utile, meno sul piano dell'esercizio, se non apportiamo una serie di correttivi, una serie di correttivi che migliorino la performance. Ma se non prevediamo un modello esemplificativo, incorreremo in questo errore.
  E, allora, bisogna prevedere che accanto ai 180 giorni utili perché il MISE metta in campo il decreto del regolamento, in quei 180 giorni provvede il MISE, magari d'accordo con il MIPAAF, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ad un modello tipo esemplificativo per consentire, a prova di semplicità, a tutte le imprese che hanno voglia di partecipare a questa grande iniziativa di Pag. 66orgoglio nazionale di partecipare a questo percorso, ma in un percorso di assoluta trasparenza e senza furbizie.
  E poi ? E poi non possiamo non prevedere. Infatti, trascorsi i 180 giorni che succede se il MISE diventa lento ? Io lo escludo e, peraltro, ho troppa stima del rappresentante del Governo per ipotizzare che il MISE possa, dopo 180 giorni, ritardare l'adozione di un decreto, di un regolamento del genere. Ma potrebbe accadere e che accade ? Che facciamo ? Aspettiamo ? È evidente che dobbiamo creare una condizione attraverso la quale sia possibile la nomina di un commissario ad acta. Chi la deve chiedere ? Le associazioni dei consumatori ? Insomma facciamo, troviamo un sistema per costruire un percorso che abbia, nelle sue criticità, le soluzioni, altrimenti il rischio è che nelle pressioni, nelle sollecitazioni che, voglio dire, già nel passato sono giunte, tutto questo sia legittimo. Il rischio è che nulla accada. Quindi, mi permetterei di provare a suggerire di introdurre nella norma la possibilità dell'adesione a questa norma anche da parte dei consorzi dei prodotti a marchio, dei prodotti DOP, dei prodotti IGP.
  E poi vengo ad un'ultima questione, continuando ad esprimere un giudizio sostanzialmente positivo rispetto a questa norma. Proprio perché è volontaria, è una grande operazione di trasparenza che offriamo al sistema delle imprese del nostro Paese. Se volete, è una grande operazione di modernità; se volete, è anche una grande operazione di dignità; se volete, di orgoglio; se volete, è un'operazione e più che una norma è una leva. Ci sono poche risorse – va bene – ma, insomma, anche questo transeat.
  Ma proviamo a dare una cosa, una cosa vera. Allora, io suggerirei – e questa non è una discriminazione, è soltanto quella consapevolezza che bisogna dare al consumatore – di provare ad obbligare: tutti quelli che non aderiscono al sistema volontario dovranno scrivere in etichetta, in modo chiaro ed inequivoco, magari a carattere più grande di quello utilizzato per l'etichetta stessa, «questo prodotto non aderisce al sistema italiano di tracciabilità volontaria». Dobbiamo pensare ad un'azione che svolga anche una funzione di mallevadore da questo punto di vista, maieutica per alcuni aspetti: provare a trascinare tutte le imprese in questa iniziativa con una penalità che non è una penalità, perché è evidente che non è una penalità; è un atto di verità, è un atto di assoluta verità ed è un atto di assoluta responsabilità nei confronti del consumatore, al quale consumatore mi pare questa norma si appelli e si orienti.
  Per questa ragione noi proviamo ad esprimere un giudizio complessivamente positivo, sebbene aspetteremo il dibattito di questi di questi giorni e anche l'esame degli emendamenti per poter esprimere un giudizio finale e compiuto.
  Ma, ripeto, crediamo che il vero tema centrale sia il rapporto con l'Europa, nella quale probabilmente avremmo e dovremmo provare a mettere in campo maggiore energia sul piano politico, sul piano della rappresentanza. Questa è l'Europa che intanto ha garantito e ha reso possibile che quell'olio tunisino giunga senza dazi, 35.000 tonnellate, nel nostro Paese. Questa è l'Europa che poco si interessa di quanto concentrato di pomodoro entra nel nostro Paese e di quanto ne entra in Europa per poi diventare prodotto europeo. Questa è un'Europa che si è interessata poco quando approvammo una norma per evitare che ci fossero le aranciate senza le arance. Questa è la stessa Europa che prova a misurare la sua affezione per l'agricoltura provando a garantire che il pomodoro San Marzano DOP possa essere coltivato anche in Belgio. È questa l'Europa che abbiamo di fronte e con questa norma – devo dire una norma piccolina, una norma fragilina da questo punto di vista – proviamo ad aggredire questa politica dell'Europa sbagliata. Ovviamente ho la consapevolezza che, se questo Parlamento insieme prova a fare un lavoro del genere e anche più forte, sarà anche più forte nell'esprimere queste ragioni non soltanto qui nel Paese ma anche in Europa.

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  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Kronbichler. Ne ha facoltà.

  FLORIAN KRONBICHLER. Grazie, signora Presidente, cari colleghi, questo testo arriva in Aula dopo un lunghissimo iter avviatosi il 18 dicembre 2013 che ha visto in Commissione lo svolgimento di una serie di audizioni con la partecipazione di rappresentanti importanti ed autorevoli. Si è giunti quindi al superamento di molte – ripeto: molte – delle obiezioni sul testo originario, in particolare quelle riguardanti i profili di compatibilità con la disciplina europea, che sono state superate per garantire la massima informazione sull'origine dei prodotti, i loro componenti, il loro assemblaggio e la loro lavorazione a tutela dei consumatori piuttosto che a tutela del made in Italy. In questo modo una disciplina al momento coerentemente ispirata a questo obiettivo non dovrebbe incorrere in alcuna sanzione da parte delle istituzioni europee come in passato è accaduto, ad esempio, con la legge cosiddetta legge Reguzzoni-Versace. La X Commissione (Attività produttive), quindi, ha ritenuto di evitare i richiami all'origine italiana dei prodotti e/o ad eventuali registri nazionali al fine di evitare che i contributi previsti all'articolo 3 del testo potessero ricadere tra gli aiuti di Stato non compatibili con il mercato interno, intesi come misure che favoriscono talune imprese e meno altre e questo vale pure per le produzioni. Eliminando i riferimenti all'italianità dei prodotti non dovrebbe comunque venire meno l'effetto obiettivo del provvedimento volto ad incentivare e a sostenere le produzioni nazionali, soprattutto in considerazione del fatto che le imprese italiane dovrebbero essere quelle maggiormente interessate ad aderire volontariamente ad un sistema di tracciabilità sostenuto da contributi che assicuri la massima informazione sui loro prodotti.
   La previsione di contributi volti a garantire un sistema di tracciabilità e la massima trasparenza e la piena informazione sui prodotti non solo di origine italiana va in ogni caso a favore dei consumatori e può essere ricondotta agli obiettivi più generali di tutela dei consumatori che la disciplina europea garantisce. Sul testo, quindi, ha pesato il fatto che ancora non è stato adottato a livello europeo il cosiddetto regolamento sul made in e, considerate le possibili difficoltà dovute ai profili di compatibilità comunitaria, il testo, come emendato ed approvato dalla X Commissione, può considerarsi ad oggi un buon compromesso.
  Pone le basi per la tutela del made in Italy attraverso sistemi di tracciabilità dei prodotti di cui le imprese possono volontariamente dotarsi. Al contempo il testo evita le ricadute negative avvenute a seguito dell'approvazione di diverse leggi di data anteriore. Resta aperta – lo ripetiamo – la questione relativa alla necessità di impegnare il Governo ad attivarsi affinché in sede di Unione europea si addotti il regolamento in materia di made in. Come SEL Sinistra italiana riteniamo in ogni caso di sostenere con forza la necessità della difesa del made in Italy a partire anche dall'occasione fornita dal provvedimento in esame, anche chiedendo formalmente al Governo italiano un'azione maggiormente incisiva in sede di Unione europea affinché si adotti il regolamento sul made in, oggi improcrastinabile. Ciò darebbe ulteriore sostanza al provvedimento in esame ed intendiamo porre la questione anche in sede di discussione in aula del provvedimento in esame. Voglio segnalare sin d'ora che in sede di discussione in Commissione sono stati approvati due emendamenti presentati dal gruppo SEL che, come il primo emendamento, hanno approvato, esplicitato e meglio definito le finalità della legge in esame e, con il secondo emendamento approvato, si è aggiunta la lettera c-bis) all'articolo 3, prevedendo che ai contributi alle imprese per il sostegno agli investimenti relativi all'adesione al sistema di tracciabilità abbiano accesso anche le imprese start up innovative. Il gruppo SEL Sinistra italiana in ogni caso proporrà in Aula una serie di emendamenti di merito tendenti a migliorare ulteriormente il testo. Tra questi: primo, che il diritto all'informazione dei Pag. 68consumatori sia finalizzato non solo a contribuire alla tutela della salute ma a garantirla secondo la riaffermazione della prerogativa degli Stati membri ad introdurre misure di protezione più rigorose per la tutela dei consumatori; secondo, il diritto per i consumatori ad una completa informazione sui prodotti; terzo, la possibilità di aumentare le risorse destinate ai contributi alle imprese che sostengono oneri per gli investimenti relativi all'adesione al sistema di tracciabilità; quarto ed ultimo la pubblicazione sul sito del Ministero dello sviluppo economico dell'elenco delle imprese che hanno volontariamente aderito al sistema di tracciabilità.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fantinati. Ne ha facoltà.

  MATTIA FANTINATI. Signor Presidente, signori del Governo, colleghi deputati, siamo qui oggi a discutere un testo unificato sulla tracciabilità dei prodotti, un argomento sicuramente interessante che effettivamente, come ha già illustrato anche chi è intervenuto prima di me, in Commissione è stato ampiamente trattato tramite audizioni, tramite emendamenti e attraverso tutto il lavoro della Commissione per arrivare in Aula oggi. Effettivamente è un tema molto interessante se consideriamo anche che la crisi persistente di questi anni ha colpito profondamente le nostre imprese e, contrariamente anche a quanto va a sbandierare questo Governo, non intravediamo ancora una luce in fondo al tunnel. Di pari passo in questo periodo è aumentato il fenomeno della contraffazione, legato anche alla concorrenza sleale: la contraffazione è concorrenza sleale non solo quando viene compiuta da aziende all'estero, ma anche da aziende italiane. Anche come membro della Commissione contraffazione molto spesso si è visto che tante aziende che usano metodi di contraffazione, quindi per accaparrarsi una quota del mercato, sono aziende italiane.
  Infatti, i Paesi come l'Italia, che è la seconda manifattura in Europa e la quinta nel mondo, quindi ad ampia vocazione manifatturiera, con prodotti di qualità e prestigio e prodotti di lusso, sono quelli effettivamente più colpiti. Combattere la contraffazione significa difendere la tutela della salute pubblica, la salvaguardia del sistema imprenditoriale italiano e la lotta alla criminalità organizzata, considerato anche che nell'ultimo periodo, negli ultimi anni, il business della criminalità organizzata si è spostato molto sulla contraffazione e loro lo considerano un po’ il nuovo business. Effettivamente, le cifre parlano molto chiaro.
  I numerosi studi effettuati sulle merci sequestrate dalla Guardia di finanza e dalle forze dell'ordine hanno evidenziato che spesso i prodotti contraffatti rilasciano sostanze tossiche e peraltro dannose per la salute. È una piaga in costante aumento perché non esiste un bene in commercio che non venga contraffatto, dal settore della moda ai prodotti tessili, dagli utensili ai toner delle stampanti, passando per i giocattoli dei nostri bambini, per gli alimenti e per i pezzi di ricambio per le auto, senza tralasciare le sigarette. Non esiste un settore merceologico immune alla contraffazione, con grave danno per la salute dei cittadini. I prodotti contraffatti, infatti, non presentano caratteristiche qualitative tali da garantire la salute dei consumatori perché molte volte contengono sostanze nocive e pericolose. Le imprese che lavorano nella totale legalità e trasparenza stentano a sopravvivere a causa delle imprese che invece attivano produzioni illegali. Quest'ultime inoltre non pagano tasse e contributi e non rispettano alcuna regola o diritto elementare dei lavoratori. Quella dei beni contraffatti è una vera e propria industria, un mercato enorme gestito dalla criminalità organizzata che, attraverso l'organizzazione della produzione del prodotto, la sua distribuzione ed infine la vendita alimenta le proprie casse e i propri guadagni fortificandosi sempre di più. Talvolta la contraffazione è addirittura il core business di bande criminali.
  Secondo le stime delle associazioni di categoria, il valore della contraffazione per il mercato italiano, come si evince dalla relazione finale della Commissione parlamentare Pag. 69anticontraffazione della scorsa legislatura, si attesterebbe attorno ai 6,5-7 miliardi di euro, mentre a livello mondiale, secondo le stime dell'OCSE, addirittura l'8 per cento dei prodotti commerciali sono contraffatti, con 250 miliardi di dollari di controvalore. Il mercato dell'illecito e della contraffazione ha risvolti negativi, sia sociali, che economici. Il Censis sottolinea come la sconfitta del fenomeno della contraffazione fornirebbe la nascita di 130 mila posti di lavoro. Purtroppo, le imprese sane e oneste hanno meno mercato per i loro prodotti, proprio perché una parte di esso è invaso da prodotti frutto della contraffazione e della pirateria in campo commerciale. Quindi, queste aziende oneste, producendo e vendendo meno di quanto potrebbero, assumono di fatto meno lavoratori di quanto potrebbero, senza tralasciare le conseguenti perdite per il bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali che sempre Censis ha stimato in più di 5 miliardi di euro. Infatti, come sottolineo nuovamente, l'industria del falso non paga le tasse. A mio modo di vedere e non sono certo l'unico a pensarlo, urge la necessità di modificare l'approccio culturale che induce i cittadini a continuare a comprare merce contraffatta disinteressandosi degli effetti collaterali negativi; effetti, come abbiamo visto, dannosi per la propria salute, per quella delle imprese italiane, per quella dei lavoratori del comparto e per l'economia nazionale. Certo, esistono consumatori che vengono tratti in inganno, ma ve ne sono molti altri che sono ben consapevoli al momento dell'acquisto di un prodotto contraffatto che comprano ugualmente credendo di fare un buon affare. Ma l'unica a fare un affare è la criminalità organizzata perché dietro il volto magari disperato di chi tenta di vendere un prodotto contraffatto c’è la violenta abilità della mafia, della camorra e della ’ndrangheta. Serve, come abbiamo sostenuto, una vera presa di posizione per veicolare un modello di pensiero diverso, un comportamento più responsabile degli acquisti che faccia emergere troppe conseguenze negative di un acquisto pericoloso e minaccioso come quello dei beni contraffatti. Assistiamo con particolare attenzione alla contraffazione che colpisce anche il settore dell'agroalimentare, perla indiscussa del nostro made in Italy, nonché architrave dell'attesa ripresa italiana. Quasi quotidianamente abbiamo notizie di sequestri di prodotti taroccati in questo settore. Per quanto sia encomiabile il lavoro delle donne e degli uomini preposti al contrasto della contraffazione, la lotta appare difficilissima, non solo per la pericolosità delle organizzazioni criminali che hanno a disposizione risorse e mezzi ingenti, ma anche perché il campo di battaglia non si limita al perimetro dei nostri confini, ma si estende al di fuori dei nostri confini, in Europa e in tutto il mondo.
  Ecco perché, a tal proposito, credo che una collaborazione fra autorità italiane e internazionali in questo campo potrebbe essere rafforzata.
  Pertanto, dopo questo lungo mio discorso sulla contraffazione, veniamo alla proposte legge. Per noi, quindi, ogni proposta di legge, ogni iniziativa, ogni cosa che rende un cittadino, un consumatore più consapevole oppure che si occupa in qualche modo di arginare la contraffazione è sicuramente ben vista. Con questa legge, è vero, si vuole offrire agli imprenditori, in particolare alle piccole e medie imprese, la possibilità di ottenere contributi se applicano ai loro prodotti etichette, codici a barre e microchip di nuova generazione e non replicabili. Così facendo, si cerca di determinare una maggior diffusione di tali strumenti, così da contrastare la contraffazione e al contempo garantire la tracciabilità e autenticità e aumentare la possibilità per i consumatori di fare acquisti sulla base di informazioni verificate e velocemente verificabili.
  Se poi andiamo a leggere anche nel testo di legge sono previsti finanziamenti e contributi a tasso agevolato in relazione alle spese da affrontare per dotarsi di nuovi strumenti e sistemi identificativi di nuova generazione. Le applicazioni per smartphone e tablet sono particolarmente efficaci per conoscere l'effettiva origine del prodotto e per ricevere adeguate informazioni Pag. 70sulla qualità e provenienza dei componenti delle materie prime, nonché sul processo di lavorazione e di commercio dei prodotti intermedi e finiti.
  Alla luce di queste considerazioni, veniamo a ciò che effettivamente secondo noi su questa proposta di legge e su questo tema si poteva fare di più. Effettivamente – e ripeto ciò che magari chi è intervenuto prima di me ha già in qualche modo illustrato – secondo noi si poteva fare molto di più; questa proposta di legge non è efficace quanto magari una vera tracciabilità dei prodotti potrebbe esserlo. Effettivamente, vengono dati degli incentivi alle imprese che in modo volontario possono dotarsi di questi sistemi. Noi quello che diciamo è che questo è un primo passo, ma non è un passo assolutamente sufficiente per garantire l'informazione e la tracciabilità dei prodotti. Avevamo chiesto anche, tramite i nostri numerosi emendamenti, che effettivamente la fallace indicazione sia un imbroglio e quindi deve essere ripristinata come reato penale.
  Quello che noi, in conclusione, sosteniamo è che effettivamente questo è un primo passo, però per noi è troppo poco; sembra quasi una scoperta dell'acqua calda. Si può fare di più; forse si voleva fare di più, ma credo che questo sia soltanto un piccolo passo e non quello che permette ai nostri cittadini e ai nostri consumatori di fare uno screenshot, una foto con il proprio tablet e conoscere la vera tracciabilità di ogni prodotto.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche della relatrice e del Governo – A.C. 1454-A ed abbinate)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, che rinuncia. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, ma anch'egli rinuncia.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2016, sul Programma di lavoro della Commissione per il 2016 e sul Programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea (Doc. LXXXVII-bis, n. 4-A) (ore 18,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2016, sul Programma di lavoro della Commissione per il 2016 e sul Programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea (Doc. LXXXVII-bis, n. 4-A).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 18 marzo 2016.
  Avverto, inoltre, che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione – Doc. LXXXVII-bis, n. 4-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
  Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Marina Berlinghieri. Prego, onorevole.

  MARINA BERLINGHIERI, Relatrice. Grazie, Presidente. La XIV Commissione politiche dell'Unione europea ha svolto l'esame congiunto del programma di lavoro della Commissione per il 2016. È il momento di andare oltre l'ordinaria amministrazione della relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2016 e del programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea.
  L'attività conoscitiva ha riguardato l'audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega agli affari europei, Sandro Gozi, nonché i rappresentanti della Conferenza Pag. 71dei presidenti delle assemblee legislative delle regioni e delle province autonome e ha consentito di acquisire elementi utili di valutazione. Sono state trasmesse, inoltre, ai sensi della legge n. 234 del 2012, le risoluzioni approvate dalle regioni Lazio e Friuli-Venezia Giulia. Tutte le Commissioni permanenti, nonché il Comitato per la legislazione, per i profili ricadenti nell'ambito delle rispettive competenze, hanno espresso i pareri, dei quali si dà conto in questa relazione.
  Va rilevato, innanzitutto, che in questa occasione il Parlamento è stato messo nelle condizioni di fornire un contributo utile entro il primo semestre dell'anno, cui sono riferiti i documenti programmatici, avendo il Governo trasmesso la relazione programmatica nel mese di dicembre 2015, entro i termini di legge. Si tratta di un dato particolarmente positivo, che consente di definire una cornice strategica coerente per la politica europea del nostro Paese, articolata intorno a grandi obiettivi e linee di intervento prioritarie.
  Il programma di lavoro della Commissione, il secondo del suo mandato, presentato il 27 ottobre 2015, si pone in una linea di continuità rispetto agli orientamenti politici dell'anno precedente, ribadendo l'impegno a favore delle dieci priorità indicate negli orientamenti politici presentati dal Presidente Juncker nel luglio 2014.
  Unitamente al discorso sullo stato dell'Unione, il programma della Commissione riporta lo stato dell'arte delle principali misure messe in atto finora dalla Commissione e prospetta le prossime azioni che si intendono intraprendere. La Commissione europea sottolinea che gli eventi dell'ultimo anno, tra cui la crisi greca, la pressione migratoria sempre più forte alle frontiere europee, gli attacchi terroristici, l'instabilità che regna nel vicinato dell'Unione europea, hanno rafforzato la determinazione a puntare su queste priorità e a optare per un metodo di lavoro che vada oltre l'ordinaria amministrazione, basato su una coraggiosa azione pragmatica e sull'impegno a collaborare con il Parlamento europeo e con il Consiglio per conseguire i risultati che gli europei si attendono.
  Ci si trova di fronte – è evidente a tutti – ad una fase decisiva per il futuro dell'istituzione europea e della stessa Unione europea. Da come l'Europa saprà affrontare i fenomeni migratori e il pericolo terrorista, ma anche dall'esito della questione Brexit, si deciderà il futuro della costruzione europea.
  In tale quadro, la capacità concreta di produrre la discontinuità a cui la Commissione si è impegnata diventa decisiva per superare la crisi del rapporto tra Europa e cittadini europei e tornare a far percepire l'Europa come una opportunità e non come un vincolo o un problema. A tal fine, nella relazione programmatica viene attribuita importanza primaria al tema di un ritorno a una piena adesione al progetto europeo, che deve tornare ad essere percepito dai cittadini come utile, efficace e a loro vicino.
  Per il raggiungimento di questo obiettivo, è importante il lavoro che il nostro Paese sta svolgendo, anche in vista del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma del 1957.
  Il programma di lavoro si suddivide in dieci capitoli, corrispondenti a determinate priorità politiche, e reca sei allegati. In particolare, nel corso dell'esame in Commissione, ci si è soffermati sul primo, che raccoglie le 23 iniziative legislative che saranno proposte dalla Commissione europea nell'arco del 2016.
  La relazione programmatica del Governo per l'anno 2016 è, invece, strutturata in cinque parti: gli impegni che il Governo intende assumere sulle questioni istituzionali e macroeconomiche; le priorità da adottare nel quadro delle politiche orizzontali, quali le politiche per il mercato unico e la competitività; la dimensione esterna dell'unione, politica estera e di sicurezza comune, allargamento, politica di vicinato e di collaborazione con Paesi terzi; le strategie di comunicazione e di formazione sull'attività dell'Unione europea e la partecipazione italiana all'Unione europea; il ruolo di coordinamento delle Pag. 72politiche europee svolto dal Comitato interministeriale per gli affari europei e il tema dell'adeguamento del diritto interno al diritto dell'Unione europea, con specifico riguardo alle attività di prevenzione e soluzione delle procedure di infrazione. Sono, infine, allegate al testo quattro appendici, con riferimento ai documenti programmatici delle istituzioni europee.
  Il programma di diciotto mesi delle tre Presidenze (olandese, slovacca e maltese), presentato il 3 dicembre 2015, riprende la struttura dell'agenda strategica adottata dal Consiglio europeo del 27 giugno 2014. Si compone di cinque capitoli: occupazione, crescita e competitività; un'Unione che responsabilizza tutti i suoi cittadini e li protegge; verso un'Unione dell'energia, dotata di una politica lungimirante in materia di clima; libertà, sicurezza e giustizia; l'Unione come attore forte sulla scena mondiale.
  Obiettivo primario, secondo il trio di Presidenze, rimane quello della crescita economica e della creazione di posti di lavoro. Le iniziative che figurano nel programma del Consiglio coincidono, in gran parte, con quelle della Commissione.
  L'esame congiunto dei richiamati i documenti, insieme alle puntuali indicazioni recate nei pareri espressi dalle Commissioni permanenti nei rispettivi settori di interesse ed emerse nel corso dell'attività conoscitiva, consente di individuare, nell'ambito delle condivisibili priorità indicate dalla Commissione europea, alcune iniziative cui attribuire particolare rilevanza. Si tratta di iniziative per la cui analisi puntuale rimando alla relazione completa, che deposito agli atti.
  In sede di relazione per l'Aula, signora Presidente, onorevoli colleghi, mi preme sottolineare come l'esame dei documenti programmatici del Governo e delle istituzioni dell'Unione rappresenti un'occasione unica per svolgere alcune considerazioni di carattere generale sulle strategie politiche dell'Unione europea e sulle priorità del nostro Paese al riguardo. La riflessione su tali atti è particolarmente utile per il nostro Paese, che, anche rispetto ai maggiori partner, patisce le conseguenze di processi decisionali estremamente farraginosi e spesso gravati dalla difficoltà di ricondurre le singole decisioni entro un quadro più ampio e coerente di strategie e di indirizzi.
  L'Unione europea vive una fase estremamente difficile. Da più parti si afferma che si tratterebbe del momento di maggiore difficoltà dall'avvio del processo di integrazione. L'anniversario della stipula dei Trattati di Roma, che cadrà il prossimo anno, offrirà l'opportunità di verificare l'idoneità dell'attuale assetto dell'Unione europea e delle sue politiche a rispondere adeguatamente alle sfide e ai problemi che siamo chiamati ad affrontare. Si tratta di sfide e problemi di dimensioni globali, che – lo abbiamo detto tante volte – non possono essere affrontati dai singoli Stati, ma richiedono necessariamente una risposta comune.
  L'impressione generale è che la Commissione Junker abbia avviato la sua attività mossa da una seria intenzione di segnare una svolta rispetto alla precedente Commissione, concentrando le sue iniziative su alcune grandi questioni; anche la scelta delle priorità è apparsa pienamente condivisibile. All'individuazione di queste priorità ha contribuito, peraltro, in misura decisiva l'iniziativa di alcuni Paesi membri, tra i quali, in primo luogo, l'Italia, che ha ripetutamente segnalato l'esigenza di un'azione più decisa da parte dell'Unione europea per ricollocarla al centro degli scenari internazionali e consentire al complesso dei Paesi membri di recuperare tassi accettabili di crescita e di realizzare effettivamente gli obiettivi che erano indicati nella Strategia Europa 2020, a cominciare dalla riduzione della quota di popolazione a rischio di povertà e dell'aumento dell'occupazione, che sino ad ora hanno trovato soltanto una limitata attuazione.
  L'indicazione di obiettivi e priorità condivisibili si accompagna, tuttavia, all'evidente difficoltà della Commissione europea di proseguire con coerenza lungo le linee indicate. È diffusa l'impressione che la Commissione europea abbia perso la sua capacità di azione di fronte alle resistenze e alle perplessità manifestate da Pag. 73alcuni Paesi membri. Mi riferisco alle vicende che hanno fino ad oggi rallentato il programma di ricollocamento dei migranti, per l'attuazione dell'agenda sulla migrazione, ai contrasti che stanno segnando il completamento del progetto dell'unione bancaria, che implica una parziale mutualizzazione e a talune contraddittorie pronunce delle istituzioni europee relativamente ai progetti di collaborazione con i Paesi fornitori in materia energetica.
  Inoltre, la perdurante crisi economica, soltanto parzialmente in via di soluzione, considerate le gravissime conseguenze sul piano produttivo e sociale che essa ha determinato, l'instabilità dei mercati finanziari che espone alcuni Paesi europei a rischio di attacchi speculativi, il rafforzamento della competitività dei sistemi economici europei, di fronte la concorrenza agguerrita delle cosiddette economie emergenti, pongono l'Unione europea di fronte al centrale il problema della crescita. Se l'Europa crescesse di più, la crisi migratoria peserebbe di meno, sia sotto il profilo finanziario che dal punto di vista dei timori e delle ansie che suscita nei cittadini dei Paesi membri. Eppure, dobbiamo registrare la situazione paradossale per cui le istituzioni europee continuano a reagire con scetticismo alle richieste italiane perché si riorientino le politiche europee verso la crescita: crescita della domanda interna, in primo luogo, attraverso un rilancio degli investimenti. Infatti, economie mature come sono quelle europee non possono fondare le loro prospettive di sviluppo soltanto sulle esportazioni. Senza una crescita della domanda interna, il tasso di inflazione non tornerà ai livelli fisiologici che il Presidente della BCE spera di conseguire e l'Europa resterà destinata ad una triste e prolungata fase deflazionistica, mentre non si esclude all'orizzonte una nuova crisi, che metterebbe ancora più in difficoltà il nostro continente, che non ha ancora recuperato il terreno perso in questi anni, a differenza, per esempio, degli Stati Uniti. Proprio le scelte della BCE ci dimostrano che la volontà politica può cambiare l'interpretazione delle regole, rendendole dinamiche e rispondenti alle esigenze dei tempi. Occorre quindi svolgere un'azione di forte sollecitazione perché la Commissione europea non rinunci al ruolo decisivo che i trattati le conferiscono, di motore dell'iniziativa legislativa, e non subisca la pressione verso il sistema intergovernativo che attualmente, per l'evidente squilibrio che si registra all'interno dell'Unione Europea, privilegia nettamente alcuni Stati membri a scapito di altri.
   Per questo motivo, l'esame dei documenti programmatici rappresenta per il Parlamento italiano un'opportunità decisiva per contribuire a fornire al Governo utili indicazioni affinché, nelle sedi negoziali europee, gli interessi primari del nostro Paese possano trovare adeguato spazio e non vengano sacrificati.
  Proprio in forza delle indicazioni che scaturiscono dall'analisi dei documenti programmatici, il nostro Paese, quale attore principale del cambiamento, è chiamato a chiedere con forza che vengano sostenute politiche volte ad incrementare gli investimenti nei settori strategici e che si possano sperimentare ulteriori strumenti di sostegno alla crescita dell'Unione.
  Sotto tale profilo e sulla base delle priorità individuate, occorre sostenere un'eventuale rimodulazione delle risorse, partendo dalla revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale 2014-2020 e da quella dell'attuale sistema europeo delle risorse proprie, sulla base dei risultati del gruppo di lavoro, che saranno presentati nel mese di giugno 2016. Il sessantesimo anniversario della stipula dei Trattati di Roma, che cadrà nel marzo del 2017, offrirà un'opportunità per verificare l'idoneità dell'attuale assetto dell'Unione europea e delle sue politiche a rispondere adeguatamente alle sfide e ai problemi che l'Europa ha di fronte e che non possono essere affrontati dai singoli Stati, ma richiedono necessariamente una risposta comune.
  Ecco perché, in tema di rilancio dell'integrazione europea e di funzionamento delle istituzioni dell'Unione, Parlamento e Governo dovranno adoperarsi affinché sia dato seguito alle proposte attualmente in Pag. 74discussione presso la Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo sul miglioramento del funzionamento dell'Unione, sfruttando le potenzialità del Trattato di Lisbona. È necessario valorizzare le istituzioni parlamentari, sia per quanto concerne il Parlamento europeo, sia per quanto riguarda i Parlamenti nazionali, e semplificare l'articolazione istituzionale dell'Unione per recuperare il consenso e la legittimazione dell'Unione europea presso i cittadini, senza dimenticare la difesa dei valori fondamentali dell'Unione, nonché la conclusione del processo di adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. È utile che il Governo continui, come ha fatto negli ultimi mesi, a perseverare nella sua richiesta di maggiore flessibilità, sia nella gestione dei conti pubblici e nelle politiche di investimento comuni, sia nell'applicazione delle regole riguardanti il saldo dei bilanci pubblici. Dobbiamo insistere per il completamento dell'Unione bancaria, con l'introduzione del terzo pilastro, della garanzia comune europea sui depositi bancari, in aggiunta ai due pilastri già attuati del Meccanismo unico di vigilanza utopia e del Meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie.
   Infine, in tema delle politiche di migrazione, l'Italia ha più volte espresso la propria perplessità nei confronti di misure tampone, incapaci di dare una soluzione concreta al dramma che molti popoli stanno vivendo. Per questo, occorre, da un lato, continuare a lavorare perché vi sia una strategia europea condivisa nei fatti, perché si superi e si riveda il Trattato di Dublino e, dall'altro, vi sia un forte investimento in ricerca. La crisi dei migranti e, più in generale, il fenomeno dei flussi migratori, che va oltre l'emergenza attuale, vanno affrontati con un enorme sforzo di ricerca e innovazione indirizzati a un forte cambiamento culturale nella mentalità dei cittadini europei.
   Per concludere, dunque, l'Italia deve continuare ad essere in prima linea, protagonista, di intesa con i Paesi che fanno parte dell'attuale Consiglio di Presidenza e con i Paesi fondatori, nella promozione di iniziative politiche e informative sul rilancio del progetto dell'Unione. Dobbiamo arrivare pronti al sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma per celebrare degnamente quello che non è solo un momento storico importante, ma anche una tappa fondamentale nel percorso di riscoperta e rilancio dell'integrazione europea (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Area Popolare (NCD-UDC)).

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
  È iscritta a parlare la deputata Vanessa Camani. Ne ha facoltà.

  VANESSA CAMANI. Signora Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, siamo chiamati oggi a discutere attorno a documenti fondamentali che rappresentano nel loro complesso gli indirizzi politici su cui Unione europea e Italia si impegnano a lavorare nei prossimi mesi.
  La Camera dunque partecipa alla fase finale di una vera e propria sessione europea di fase ascendente, un processo deliberativo che ha visto coinvolte tutte le Commissioni parlamentari, a partire ovviamente dalla XIV, e che oggi con il dibattito in Aula porterà l'Assemblea a confrontarsi e ad esprimersi sulle linee di azione proposte dalla Commissione europea e sulle priorità di intervento dell'Italia in sede comunitaria. Un passaggio politico molto rilevante che affrontiamo in tempi utili per poter incidere in maniera efficace nel dibattito politico europeo, grazie all'impegno nel Governo, che ha trasmesso la relazione programmatica a dicembre dello scorso anno e cioè entro i limiti di legge.
   Affrontiamo questa discussione in un momento in cui il dibattito europeo appare fortemente condizionato da una domanda di cambiamento che si leva dai cittadini europei, preoccupati della violenza della crisi economica e dalla instabilità dello scenario internazionale. Alcuni segnali di risposta a questa aspettativa Pag. 75sono già visibili. La stessa Commissione europea, ribadendo gli orientamenti politici dello scorso anno, presentati dal Presidente Juncker al momento del suo insediamento, sottolinea come gli eventi recenti hanno rafforzato la determinazione a puntare sulle priorità con un metodo di lavoro che vada oltre l'ordinaria amministrazione. Appare evidente infatti come l'Europa abbia finora mostrato limiti concreti nell'affrontare, con la necessaria tempestività e con la dovuta efficacia, le grandi minacce che gravano sul nostro continente e come, di conseguenza, si siano rese meno solide le basi di fiducia e di credibilità delle stesse istituzioni comunitarie. Nel contesto globale di crisi, la bassa crescita e la disoccupazione rappresentano il problema economico e politico principale dell'Unione europea e da questa analisi si deve partire perché, seppure è importante l'iniziativa di Draghi per combattere la deflazione è chiaro che essa da sola non sarà sufficiente, se non sarà accompagnata da scelte di politica economica e che spingano convintamente su investimenti, su creazione di infrastrutture e sulla riduzione della pressione fiscale.
   Da questo punto di vista, pur esprimendo apprezzamento rispetto al Piano Junker, riteniamo tuttavia che la sua potenzialità rimanga ancora debole e lenta.
  Sul punto, l'Italia sta facendo la sua parte; il nostro Paese infatti, al pari della Francia, risulta essere al primo posto per il maggior numero di progetti finanziati dalla BEI, con ben sette opere, per un totale di 1,8 miliardi assegnati, progetti che testimoniano l'impegno del nostro Governo ad indirizzare risorse ed energie verso settori strategici, quali le infrastrutture, l'ambiente, il supporto alla PMI e alla Mid Cap, e soprattutto verso l'Agenda digitale. Siamo convinti che l'impegno della UE per lo sviluppo di un'economia digitale potrà consentire di espandere i mercati e di creare nuova occupazione. Sosteniamo quindi l'ambizioso programma del Governo per il conseguimento degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana, ma oggi da questa Europa serve di più. Di fronte al crollo degli investimenti a livello di eurozona, con un dato che segna un meno 15 per cento dall'inizio della crisi, serve mettere in campo una pluralità di strumenti che stimolino l'economia in maniera più efficace. Per questo, riteniamo assolutamente corretta la richiesta del Governo italiano di valutare anche la possibilità di ricorrere alle emissioni di debito congiunte, recuperando l'idea di eurobond o di project bond europei.
  Anche sul versante delle politiche di bilancio serve fare di più. Abbiamo apprezzato e condiviso, da questo punto di vista, il cambio di paradigma della Commissione europea, come rappresentato nelle comunicazioni sulla flessibilità del gennaio dello scorso anno, un obiettivo ottenuto grazie al pervicace impegno del nostro Governo e che ha consentito agli Stati membri l'utilizzo di debito europeo per finanziare politiche nazionali di investimento e di riforma. Questo principio deve continuare ad essere praticato con coerenza e determinazione, ancorato su elementi chiari, non oggetto di ulteriori negoziazioni. Ci aspettiamo dalle istituzioni europee meno scetticismo, anche rispetto alla richiesta italiana di modifica del fiscal compact, un meccanismo fiscale che sta dimostrando tutta la sua inadeguatezza rispetto ad una fase economica caratterizzata da bassa crescita e bassa inflazione, così come pensiamo sia necessario rivedere le misure previste nella strategia UE 2020, un intervento che oggi deve ricalibrare le proprie azioni, indirizzandole con maggior precisione a favore dell'occupazione e dell'inclusione sociale.
  Con un tasso di disoccupazione, in particolare quella di lunga durata, che tocca livelli preoccupanti in tutta l'Eurozona, e con un aumento drammatico della quota di popolazione a rischio povertà diviene necessario da un lato promuovere azioni di politiche attive per il lavoro, con investimenti nel capitale umano lungo tutto l'arco della vita e con particolare sostegno all'occupazione giovanile, e dall'altro presidiare fortemente il fronte della sicurezza sociale. Lo sforzo deve andare nella direzione di mantenere i diritti alle prestazione di disoccupazione e ai familiari Pag. 76per chi si sposta nell'Unione, potenziando e anzi, se possibile, estendendo i sistemi di inclusione e sicurezza sociale, anche vincendo le resistenze di alcuni Stati membri su questo punto. Del resto il mercato del lavoro europeo presenta ancora forti squilibri e diseguaglianze, il cammino verso una comunità europea percepita realmente come tale passa anche dal rafforzamento concreto della sua dimensione sociale. Si deve quindi poter offrire un sostegno reale ai Paesi colpiti da forti aumenti della disoccupazione ciclica, anche attraverso l'istituzione di un sussidio di disoccupazione europeo, uno strumento fuori dal controllo degli Stati nazionali e capace di allentare nei Paesi più a rischio le conseguenze della crisi. Appare insomma evidente la necessità di adeguare la programmazione finanziaria UE ai mutati scenari economici, politici e sociali e bisogna farlo anche attraverso una precisa revisione del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, assegnando finanziamenti mirati alle nuove priorità. Ma questo lavoro di riallocazione delle risorse deve essere propedeutico ad un ulteriore salto di qualità delle politiche economiche europee, serve rivedere l'attuale sistema delle risorse proprie per definire un quadro che assicuri semplicità, trasparenza, equità e controllo democratico. I tempi sono maturi perché l'Unione si doti di un'autonoma capacità fiscale, adeguata alle sfide ambiziose e ai compiti indicati, in grado di rispondere agli shock, in grado di contenere gli effetti ciclici, in grado di stabilizzare il quadro macro-economico. All'interno di questa prospettiva si inserisce pienamente il percorso in corso di completamento verso l'Unione economica e monetaria e in particolare verso l'Unione bancaria, per realizzare un quadro organico di regolamentazione del settore finalizzato a garantire la stabilità e la trasparenza da un lato e la tutela dei risparmiatori e degli investitori dall'altro. In questo senso negli ultimi mesi il nostro Paese si sta dedicando con determinazione all'adeguamento del nostro sistema legislativo ai principi e ai criteri dell'Unione bancaria, manca però ancora un importante tassello al completamento del percorso: il Sistema europeo di garanzia sui depositi bancari. Metterlo a punto significherebbe migliorare in maniera significativa il funzionamento e la stabilità del quadro finanziario comunitario, ma su questa partita, come su altre per la verità, l'Europa rischia di essere vittima del vuoto di un reale governo comune, un vulnus che rischia di produrre effetti molto pericolosi per la tenuta del sistema, un vulnus che da una parte rischia di accentuare l'isolamento dei Paesi di frontiera, più esposti alle turbolenze finanziarie, e che dall'altra parte rischia di lasciare spazio, come elemento ordinativo, alle convenienze prettamente nazionali che stanno esattamente agli antipodi di quel ragionamento di condivisione della responsabilità che dovrebbe stare invece alla base della costruzione europea. Serve al contrario, anche in questo caso, che si lavori per definire una volta per tutte e una volta per tutti una lettura realmente europea dei processi in corso, che offra una soluzione complessiva e generale del sistema. Questo approccio deve essere la cifra attraverso cui orientare tutte le scelte politiche delle istituzioni comunitarie, così come ha cercato di fare il nostro Paese ponendo al centro della discussione europea prima il tema della flessibilità e dell'emergenza migranti e ora quello del Fiscal compact e del quadro finanziario, cercando di andare oltre la dimensione delle convenienze nazionali o peggio ancora partitiche o elettorali e lavorando per una governance autenticamente europea, esattamente come è stato fatto un anno fa attorno alla grande questione delle migrazioni che, come sottolinea oggi la stessa Commissione europea, rappresenta la priorità più urgente per tutta la comunità europea, destinata a rimanere per anni in cima alla nostra agenda politica. In un tempo in cui l'Europa sembrava volgere altrove lo sguardo rispetto all'enorme massa di donne e di uomini che spingevano alle nostre frontiere, l'Italia ha richiamato le istituzioni comunitarie a sostenere insieme lo sforzo comune per una responsabilità condivisa. Da allora è stato Pag. 77fatto molto, dalla proposta dell'Agenda europea sulla migrazione del maggio 2015 ai programmi per la ricollocazione, dal potenziamento dell'Agenzia Frontex alla definizione dei punti di crisi, dai provvedimenti sui rimpatri alle azioni per la lotta contro il traffico di esseri umani.
  Ma i numeri che abbiamo di fronte ci dicono come quanto fatto finora non sarà sufficiente. Secondo Frontex nel 2015 hanno attraversato irregolarmente le frontiere esterne dell'Unione europea 1,83 milioni di persone e le stime fornite da EASO per l'anno in corso raccontano di un esodo destinato a proseguire. L'accordo con la Turchia raggiunto la settimana scorsa in sede di Consiglio europeo rappresenta un piccolo passo avanti per allentare il dramma che si sta consumando in queste ore in terra greca, ma oggi l'approccio non può più limitarsi alla gestione più o meno efficace degli aspetti emergenziali. Le istituzioni comunitarie così come i rappresentanti dei Governi nazionali riuniti nei Consigli europei devono dimostrare la forza e il coraggio per proporre una strategia improntata alla responsabilità, alla solidarietà, alla leale collaborazione e alla fiducia reciproca. Si proceda dunque rapidamente alla riforma del Regolamento di Dublino, al ripensamento complessivo della gestione delle frontiere esterne comuni, abbandonando l'illusione che la sospensione temporanea di Schengen possa risolvere le criticità. Si costituisca una guardia di frontiera europea, si sostengano i Paesi più esposti, si rafforzino le attività di rimpatrio e, sull'opposto versante, si rinnovi in profondità l'approccio europeo in materia di migrazione legale, di politiche di integrazione e di cooperazione internazionale. Appare dunque evidente la portata storica delle sfide che l'Europa ha di fronte a sé, di cui la vicenda migranti costituisce un esempio paradigmatico. Una sfida che riguarda certamente la qualità e l'efficacia delle risposte concrete che l'Unione europea sarà a proporre, ma che anche investe in profondità la capacità che le istituzioni comunitarie avranno di rilanciare il percorso di integrazione. Il Partito Democratico nutre profonde speranze attorno al progetto europeo e ci impegneremo affinché il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma dell'anno prossimo diventi un'occasione straordinaria di riscatto. Chiediamo quindi al Governo di continuare a svolgere nelle sedi comunitarie una forte azione di sollecitazione affinché la Commissione europea non rinunci al suo ruolo decisivo, non si limiti a subire le pressioni verso un sistema intergovernativo e rilanci con forza una governance realmente sovranazionale. Oggi insomma serve ridare slancio e prospettiva al progetto europeo, rafforzando la legittimità delle istituzioni comunitarie e aprendo una fase di confronto per un miglioramento del funzionamento dell'Unione europea che consenta, a chi lo vuole, di approfondire e accrescere l'integrazione. Serve far tornare a camminare in mezzo alle persone l'ideale europeo come una grande unica comunità di valori, di opportunità e di tutele. Definiamo la nostra dimensione europea come quella in cui realizziamo liberamente i nostri progetti di vita. Dalla politica questo si aspettano le nuove generazioni, quella gioventù che è nata e cresciuta dentro la grande dimensione della Comunità europea e che dentro l'Europa immagina il proprio futuro, la cosiddetta generazione Erasmus, per usare una definizione che connota una generazione sulla base di un'esperienza di studio che rappresenta però soprattutto un'esperienza di vita e che ha contribuito a formare l'identità sovranazionale di questa nuova generazione. E pensando ai nostri giovani europei e al terribile incidente che ha coinvolto questa notte gli studenti Erasmus, anche italiani, esprimo a nome del Partito Democratico la nostra più sentita vicinanza alle famiglie delle sette ragazze italiane vittime di questa terribile tragedia. A queste famiglie desideriamo far giungere il nostro cordoglio e la nostra solidarietà. Anche per loro e per tutti i ragazzi che in Europa sognano naturalmente il loro futuro, noi dobbiamo impegnarci per costruire e rafforzare lo spazio di libertà che l'Unione europea può rappresentare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Elvira Savino. Ne ha facoltà.

  ELVIRA SAVINO. Signora Presidente, oggi sono in discussione la Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea ed il Programma di lavoro della Commissione per il 2016, abbiamo dunque l'occasione di discutere sul contributo che il nostro Governo avrebbe dovuto dare alla soluzione dei principali problemi dell'Europa e che l'Europa sta affrontando e anche dell'attività che la Commissione europea intende svolgere nell'anno in corso. Con riferimento al programma di lavoro della Commissione, ciò che colpisce di più è purtroppo il totale scollamento tra le dichiarazioni di principio e gli atti legislativi varati tra i programmi molte volte condivisibili e le singole politiche attuate.
  Su molti temi sui quali l'Europa sta segnando il passo – e mi riferisco all'immigrazione, alla sicurezza bancaria, alla crescita e all'occupazione – siamo costretti ad assistere spesso solo a generiche dichiarazioni di intenti, che non producono poi alcun risultato concreto. Dalla lettura del programma della Commissione emerge chiaramente che, sebbene si parta sempre da obiettivi ambiziosi e da un quadro logico che dovrebbe essere implementato nel suo insieme per dare risultati concreti e di lunga durata, si finisce poi limitandosi ad attuare soltanto le politiche che sono meno avversate; si individuano, cioè, dei grandi obiettivi ma si affrontano concretamente soltanto le questioni che rispondono a situazioni emergenziali o che interpretano gli interessi di qualche Governo europeo.
  Per quanto riguarda poi le iniziative di REFIT, che è il programma di controllo dell'adeguatezza e dell'efficacia della regolamentazione della Commissione europea, anche qui i problemi sono sempre gli stessi. L'obiettivo di REFIT dovrebbe essere quello di adottare misure per rendere la legislazione della UE più semplice e per ridurre i costi della regolamentazione. Questa attività dovrebbe servire a creare un contesto normativo chiaro, stabile e prevedibile per sostenere la crescita e l'occupazione. C’è invece, come ho detto prima, un forte scollamento fra l'ottimo proposito di semplificazione e molte delle iniziative di REFIT, che spaziano in un campo troppo vasto: dalla divisione dell'accisa applicata al tabacco alle decisioni in materia matrimoniale o in materia di responsabilità genitoriale. Emblematico è il caso, nelle così dette proposte prioritarie in sospeso contenute nel programma, della «necessità di avere un mercato interno più profondo e più equo, con una base industriale più solida» (cito testualmente).
  Si può davvero pensare che un mercato interno più efficiente e una base industriale più solida si possono costruire soltanto attraverso una proposta di imposta sulle transazioni finanziarie, così come appunto suggerito nel programma della Commissione ? Secondo noi non è con nuove imposte che si consolida il mercato europeo e comunque un'imposta sulle transazioni finanziarie che non fosse applicata allo stesso modo in tutti i mercati finanziari avrebbe un effetto assai negativo proprio su quei mercati che la applicano, perché indurrebbe ovviamente gli investitori a spostarsi sui mercati meno tassati. Altro esempio: per avere un'unione economica e monetaria più profonda e più equa la Commissione si propone prioritariamente di portare a casa l'approvazione della proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'istituzione di una piattaforma europea per il rafforzamento della cooperazione volta a prevenire e a scoraggiare il lavoro sommerso. Può essere questa la priorità dell'Europa in materia di politica economica ?
  Anche sul tema dei migranti abbiamo chiesto di rivedere le clausole del regolamento di Dublino 3 per coinvolgere tutti gli Stati dell'Unione europea nella gestione dei richiedenti asilo e dei migranti che varcano i confini europei, in particolare nelle attività di accoglienza e di identificazione, superando l'attuale principio del Paese di primo approdo, che ci vede evidentemente eccessivamente coinvolti, e Pag. 79ci siamo trovati con un accordo con la Turchia che, nei fatti, scarica il problema dei rifugiati su un Paese che già è in guerra nel proprio territorio anche contro l'Isis.
  Certo, capiamo l'emergenza, eppure nel programma non si parla di modificare le regole di Dublino ma, piuttosto e soltanto, di correggere le carenze e le debolezze evidenziate dal sistema di Dublino, rafforzando il ruolo dell'ufficio europeo di sostegno per l'asilo. Che fine ha fatto tutta la discussione sugli hotspot e i centri di smistamento nazionali ? Perché non si parla delle ricollocazioni fallite ? La verità è che nei fatti l'Europa ha deciso di demandare ai Paesi di frontiera esterna, cioè all'Italia e alla Grecia, i compiti di gestione dell'immigrazione. La chiave, quindi, non è mettere in discussione Schengen, ma piuttosto valutare il potenziamento dei controlli delle frontiere esterne a Schengen. Purtroppo, per l'ennesima volta l'Italia e le sue esigenze di sicurezza sono state tralasciate. Infatti, le conclusioni del Consiglio europeo del 17 e 18 marzo 2016 sul tema dell'immigrazione hanno confermato l'insufficienza dell'Europa in tema di contrasto all'immigrazione clandestina. È necessario, pertanto, tracciare un quadro europeo logico che prenda le distanze da una politica ondivaga. In poco meno di un anno l'azione della UE in materia di immigrazione ha visto ben 42 incontri e riunioni ai massimi livelli in Europa e ben 16 provvedimenti differenti adottati.
  L'azione dell'Europa è insufficiente tra l'altro anche sui temi dell'occupazione, della crescita e della competitività. Mancano gli opportuni investimenti. Infatti, dovrebbe essere chiaro a tutti ormai la scarsa efficacia del cosiddetto «piano Juncker», che avrebbe dovuto muovere investimenti per 315 miliardi di euro, con un effetto leva di ben 15 volte. Invece, siamo lontanissimi da quel moltiplicatore dell'investimento sia in Europa sia in Italia, dove oltretutto 1,8 miliardi sono stati largamente assegnati alle aziende a partecipazione pubblica o a ex monopolisti. Siamo, quindi, lontanissimi anche dai 410 miliardi di PIL aggiuntivo nell'Unione e lontanissimi dal milione e 300 mila nuovi posti di lavoro. Il «piano Juncker» evidentemente non basta: non è sufficiente, sono poche le risorse, non è adeguato il suo meccanismo di funzionamento. Servono, piuttosto, risorse fresche, che si potrebbero trovare approfittando della Banca europea degli investimenti e dei tassi di interesse, che oggi sono molto bassi e che rimarranno bassi nei prossimi anni. Occorre, in sostanza, un grande piano di investimenti di almeno 1.000 miliardi che l'Europa deve avere il coraggio di porre in essere per innescare crescita e occupazione.
  Va risolto, inoltre, il grave problema di competitività dell'Europa rispetto al resto del mondo e, soprattutto, rispetto ai Paesi emergenti. È necessario investire in aree strategiche come infrastrutture, istruzione, ricerca e innovazione, che hanno un effetto moltiplicatore dello stesso investimento. Per fare tutto questo avremmo bisogno di un Governo autorevole in Europa. Per esempio, per quello che attiene alla crisi del sistema bancario, avremmo bisogno di un Governo che avesse l'autorevolezza per costruire alleanze tra i partner europei al fine di far cadere il veto tedesco sulla garanzia europea comune sui depositi bancari. In un colpo solo si risolverebbe il problema delle banche e si riuscirebbe ad evitare il rischio della vendita in blocco dei titoli di Stato italiani, con le conseguenze drammatiche che abbiamo già avuto modo di conoscere sull'economia e, soprattutto, sulla nostra democrazia.
  Ancora, per esempio, servirebbe un Governo che avesse l'autorevolezza per pretendere che la Germania si adegui alle raccomandazioni che l'Europa le ha rivolto in ordine alla necessità di ridurre l'eccessivo surplus della sua bilancia commerciale, vale a dire la prevalenza delle esportazioni – netta prevalenza delle esportazioni – sulle importazioni, perché non si capisce come mai le raccomandazioni della Commissione debbano essere oro colato per il nostro Paese e carta straccia per gli altri. Se la Germania, così come chiesto dalla Commissione europea, Pag. 80diminuisse la pressione fiscale aumenterebbe la domanda interna, quindi i consumi, gli investimenti, i salari, le importazioni e, di conseguenza, la crescita, e questo genererebbe crescita in tutta Europa, aumenterebbe di quel tanto che basta il tasso di inflazione e si ridurrebbe il divario tra bund e titoli di altri debiti sovrani. Tutta l'economia dell'Europa tornerebbe così sostenibile. La verità, però, è che purtroppo oggi non abbiamo niente di tutto questo: non abbiamo né un Governo italiano autorevole in Europa, né l'Europa che i cittadini italiani vorrebbero.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rocco Buttiglione. Ne ha facoltà.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Signora Presidente, onorevoli colleghi, prima di tutto desidero felicitarmi con il Governo per il fatto che per la prima volta credo nella storia del Parlamento questo documento arriva all'esame parlamentare in tempo utile perché il Parlamento possa dare effettivamente delle indicazioni per l'azione che il Governo deve svolgere nel corso di queste tre presidenze, l'una collegata con l'altra. Vedo qui il sottosegretario Gozi: credo che il merito in buona parte sia suo e gliene sono profondamente grato, perché noi abbiamo una buona legislazione in materia di partecipazione dell'Italia alle politiche dell'Unione europea, ma abbiamo fatto una grande fatica a farla funzionare. Adesso vedo che si comincia ad ingranare, vedo che si è fatto anche un buon lavoro in Commissione e questo credo che faciliti a tutti il compito di capire come la politica italiana sia incastonata dentro un orizzonte europeo. Senza capire qual è la situazione europea, tutto quello che noi diciamo sulla realtà nazionale suona falso.
  Colgo, inoltre, l'occasione per un'osservazione che mi sta profondamente a cuore. In questa documentazione che il Governo ci offre, in queste indicazioni che il Governo ci offre e anche nelle indicazioni che noi diamo al Governo manca una cosa secondo me importantissima: la democrazia è in pericolo in Europa. L'Europa vive – e noi anche – una situazione simile a quella della Repubblica romana nel I secolo avanti Cristo: le strutture erano mirate sul Governo dalla città-Stato e bisognava invece governare un impero.
  Tutti sanno com’è andata a finire la crisi della Repubblica romana: si è dovuto scegliere tra la democrazia e l'efficienza della gestione dell'impero e si è scelta l'efficienza della gestione dell'impero. Si fosse scelta la democrazia, Roma sarebbe crollata molto prima. Vogliamo trovarci davanti a questa scelta ? Io ricordo lord Ralf Dahrendorf, non dimenticato maestro della sociologia e della politica europea, che in un convegno a Londra diceva una volta: «l'Unione Europea è sbagliata perché non c’è un demos europeo, non c’è un popolo europeo». E io gli risposi che il popolo, il demos, è qualcosa che si crea, è il risultato di una volontà politica. Il popolo di Atene nasce dalla decisione di sunoikein, abitare assieme, la sunoikia, e quello romano lo stesso. C'erano tre tribù originariamente: i Tizi, i Ramni, i Luceres e gli uni erano sabini, gli altri erano latini, gli altri erano etruschi e hanno fatto Roma perché hanno creato delle istituzioni comuni ma hanno creato anche un'opinione pubblica comune. Noi in Italia abbiamo una Presidenza del Consiglio che ha il compito istituzionale di lavorare a diffondere la conoscenza sull'organizzazione politica europea e sui valori fondanti di questa organizzazione: questo compito, signor sottosegretario, non viene svolto. Non abbiamo un'opinione pubblica europea in Italia, non ce l'abbiamo per la verità neanche in altri Paesi: c’è un embrione tra Francia e Germania, dovuto in gran parte ad ARTE, la televisione franco-tedesca. Dovremmo prendere un'iniziativa perché, se non si crea un'opinione pubblica europea, la democrazia europea non potrà crescere e allora saremo lacerati fra i tecnocrati di Bruxelles, che sanno quali sono le dinamiche globali e le cose che si possono fare e quelle che non si possono fare e hanno capacità di Governo ma non capiscono i problemi della piccola gente, e i movimenti populistici, che capiscono i problemi della piccola gente e pensano che Pag. 81si risolvano battendo i pugni sul tavolo (prima o poi si fanno male alle mani, ma certo non sfondano il tavolo). E invece le grandi forze popolari, la vita della democrazia, dipendono dalla capacità di ascoltare la povera gente e di parlare ai burocrati di Bruxelles, dando loro direttive politiche per cui le opportunità che offre la globalizzazione vengano usate con la preoccupazione di non lasciare fuori nessuno, che tutto il popolo italiano possa partecipare a queste opportunità. Su questo rivolgo un appello accorato che non è contenuto nella risoluzione che pure io voterò ma che credo bisognerebbe cominciare a mettere al centro della nostra preoccupazione: costruire l'Europa a partire dalla cultura, come diceva Jean Monnet. Questi, prima di morire, diceva: «se dovessi ricominciare adesso, partirei non dall'economia ma dalla cultura» e la cultura non è solo una qualche omogeneizzazione di programmi scolastici. La cultura è, prima di tutto la formazione di una opinione pubblica europea che oggi non c’è: senza opinione pubblica europea non ci può essere vera democrazia europea e allora saremo condannati ad una tecnocrazia che non riusciamo a controllare veramente, perché ci mancano gli strumenti per una discussione popolare. Lo vediamo già in questo Parlamento in cui la discussione sui temi europei, per quanto l'evidenza mostri quanto sia importante, quanto sia ogni anno più importante, stenta a decollare veramente e non riusciamo ad avere una piena consapevolezza delle questioni sulle quali siamo chiamati poi a pronunciarci. Detto questo, devo dire che ho partecipato con grande interesse al lavoro della XIV Commissione. Ho visto il recente documento della Presidenza del Consiglio e del Ministro dell'economia e ho visto anche una certa connessione tra le cose che abbiamo discusso e le cose riflesse in quel documento. Quindi, forse anche il rapporto Parlamento-Governo comincia a funzionare. Signor sottosegretario, lasci però che io dica un elemento di profonda insoddisfazione: ho trovato quel documento soltanto in lingua inglese. Ma è possibile ? Il Governo italiano ? Come facciamo a difendere nel mondo i diritti della lingua italiana come lingua internazionale se poi, sul sito della Presidenza del Consiglio, si trova questo documento così importante, così ben fatto, solo in lingua inglese. Faccia fare una traduzione, almeno questo, perché l'italiano non è solo la nostra lingua: è anche una grande lingua internazionale, è una lingua ufficiale dell'Unione europea e allora i documenti si mandano in italiano. Si fa una traduzione di cortesia in inglese, se si vuole, ma si mandano in italiano anche agli stranieri. Perdoni questo sfogo che non è nazionalistico ma fa parte, credo, della politica di maggiore assertività dell'Italia in Europa promossa dal Presidente Renzi.
  Veniamo ad alcuni contenuti: bene la rivendicazione di una revisione del bilancio.
  La gentile collega che ha parlato poco fa diceva: tante volte abbiamo l'impressione che si parla, si parla, si parla ma si fa poco. Be’ c’è un motivo: se il bilancio è all'osso, uno può parlare ma non può spendere. Per spendere ci vuole un bilancio adeguato. Abbiamo fatto questo bilancio europeo in condizioni drammatiche, in condizioni nelle quali l'imperativo era risparmiare, risparmiare, risparmiare e tagliare, tagliare, tagliare: abbiamo risparmiato e abbiamo tagliato. E tutti i grandi progetti che avevamo – portare l'Europa nell'economia della conoscenza, fare dell'Europa il luogo con la massima produttività mondiale, sfruttare a fondo i vantaggi del più grande mercato mondiale – sono rimasti delle intenzioni perché non ci sono gli strumenti per farlo. Abbiamo fatto un bilancio all'osso, sono arrivate delle emergenze che richiederebbero spese straordinarie e abbiamo questa scadenza della revisione di mezzo termine del bilancio: usiamola a fondo tanto più che altri non la vogliono usare. C’è la tendenza, la tentazione, anche nella bozza per i diciotto mesi, di passare la questione sotto silenzio. E se noi la lasciamo passare sotto silenzio adesso, la possibilità di aprire il tema per dire: davanti ai problemi dell'immigrazione ci vuole uno stanziamento straordinario dell'Unione europea, Pag. 82non lo potremmo porre o lo poniamo adesso o nel 2017, nel 2018 e nel 2019 non lo potremmo porre perché ci diranno: e con quali soldi ? Ma non è solo questo. È stato detto giustamente il Piano Juncker è una bella cosa ma gli mancano i muscoli. Certo, quella è un'occasione per porre il problema.
   C’è un'altra questione che io avrei gradito vedere e che non ho visto però l'ho trovata nel documento, quello in inglese della Presidenza. Questo IFM: era uno strumento straordinario fatto quando si pensava che la Banca centrale europea non fosse capace di affrontare la situazione, anzi che non dovesse affrontare la situazione, che bisognasse proibirle di affrontare la situazione. Con genialità tipicamente italiana Mario Draghi è riuscito, senza contravvenire alle regole dei Trattati, a trovare il modo di intervenire con una certa efficacia. A che serve l'IFM adesso ? Ma perché non utilizzare quelle disponibilità per dare forza all'idea non tanto di eurobond, parola equivoca, quanto di project bond, un debito pubblico che si crea in un momento in cui il denaro non costa nulla, non costa letteralmente nulla o poco più che nulla, se si fa un investimento di lungo periodo con la possibilità di prendere in prestito denaro e spenderlo per realizzare un grande programma di miglioramento della competitività europea che può essere solo europeo. Infatti avere una rete efficiente non è un problema che interessa quelli di Catanzaro per la rete di Catanzaro e quelli di Stoccolma per la rete di Stoccolma perché l'economia di domani è un'economia in cui a Stoccolma vendi cose a Catanzaro e compri cose da Catanzaro e, se la rete di Catanzaro non ti funziona, ne hai dei danni anche a Stoccolma e viceversa. È necessaria una rete europea: riprendere l'iniziativa di un programma grandi reti materiali e soprattutto immateriali. Ma non possiamo introdurre quella vecchia idea – vi ricordate Lisbona non i Trattati ma Lisbona 2000 – del 3 per cento di investimento sulla ricerca scientifica: un obiettivo che non abbiamo mai realizzato perché abbiamo affidato la sua realizzazione ad una procedura di una serie di conferenze sostanzialmente nelle quali ci incitavamo a vicenda a fare cose che nessuno aveva veramente intenzione di fare. Ma non potremmo riprenderlo magari collegando la spesa del programma comune europeo alla spesa nazionale come si è fatto un po’ tendenzialmente con il Piano Juncker ma non trovando l'aggancio giusto, secondo me, anche se l'idea è giusta. Tu spendi e io spendo: per ogni milione che tu dedichi alla ricerca e ti aggiungo un altro milione. Queste sono le cose che ci servono per rilanciare l'economia europea perché, vedete – qui tocchiamo un altro punto – sento spesso da parte dei miei colleghi di sinistra una nostalgia per le economie keynesiane: l'austerità non va bene, bisogna fare economie in cui la spesa pubblica traina. Io penso che c’è del vero ma anche del falso: nel 1936 John Maynard Keynes pubblica il suo famoso libro The general Theory of Employment, Interest and Money, una teoria dell'impiego, dell'interesse e della moneta e dice: ma con c’è un sacco di denaro che nessuno vuole e c’è un sacco di disoccupati; perbacco lo Stato prendo a prestito del denaro e occupi i disoccupati.
  In quel modo non funziona più perché il moltiplicatore keynesiano non funziona. La propensione al risparmio è troppo forte, abbiamo troppi debiti e, quindi, usiamo i soldi per pagare i debiti e buona parte dei soldi che ci rimangono in tasca li spendiamo per comprare merci straniere. Ma se facessimo un grande programma di investimenti, noi, da un lato, sosterremmo i consumi perché per fare gli investimenti devi distribuire salari, assumere gente e così via, ma, dall'altro lato, miglioreremmo la competitività del sistema e allora questi denari rientrerebbero sotto forma di maggiori imposte di un'economia che funziona a pieno regime. Ecco, noi credo che dovremmo introdurre una nuova prospettiva, anche di visione teorica, dentro il dibattito europeo, se vogliamo davvero rilanciare la crescita senza che questa sia una crescita di corto respiro che, come ci profetizzano i nostri amici tedeschi, ricade poi immediatamente all'interno di un ciclo di inflazione, di Pag. 83basso sviluppo e di ripetizione degli errori del passato che ci hanno portato nella crisi presente. In ogni caso, sono lieto di vedere che qualcosa si muove. Eppur si muove !

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Kronbichler. Ne ha facoltà.

  FLORIAN KRONBICHLER. Mi sono spostato qua per non farle venire il torcicollo, signor Viceministro. Buonasera. Grazie Presidente. Cari colleghi, apriamo appunto questa discussione sul Programma di lavoro della Commissione europea per il 2016. Il mio contributo alla discussione parte dagli elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria svolta nella XIV Commissione politiche dell'Unione europea e dai pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva. Il punto di partenza del Programma di lavoro sono le dieci priorità politiche individuate dalla Commissione europea e poc'anzi elencate qui esaustivamente e correttamente dalla collega Berlinghieri. Quindi, non sto qui a ripeterle. In buona sostanza, le novità principali rispetto al Programma di lavoro della Commissione europea per il 2015 riguardano, stringi stringi, le azioni relative all'immigrazione, allo sviluppo di un mercato unico digitale, alla sostenibilità energetica, allo sviluppo di competenza e allo sviluppo di un piano di tassazione e azione sull'IVA. Eppure, il progetto europeo sta soffrendo una crisi senza precedenti e gli eventi dell'ultimo anno hanno ulteriormente acuito l'insufficienza delle politiche europee attuate sino ad oggi. Elenco fra questi la crisi greca, la pressione migratoria sempre più forte alle frontiere dell'Unione europea, gli attacchi terroristici e, infine, l'instabilità politica che regna nel vicinato dell'Unione. Non a caso, davanti all'intensità e alla durata eccezionale della crisi, cresce sempre più il consenso verso proposte populiste che fanno prevalere sul bene comune gli interessi nazionali se non addirittura localisti di lobbies varie. Ciò dovrebbe imporre con maggiore forza il tema della revisione, sia delle politiche economiche dell'austerità portate avanti dagli organismi dirigenti dell'eurozona, sia dell'attuale politica, da parte dell'Unione europea, di quella che è stata denominata crisi dei migranti; crisi che potenzialmente rischia di demolire le già deboli fondamenta democratiche dell'Europa stessa. A ciò aggiungo che anche le recenti misure straordinarie messe in atto dalla Banca centrale europea rischiano di rivelarsi insufficienti se non accompagnate da massicce dosi di spese anticicliche. È necessario un riferimento all'occupazione, alla crescita e agli investimenti: proporre un nuovo green New Deal continentale che stanzi almeno mille miliardi di euro con risorse pubbliche di carattere aggiuntivo rispetto a quelle già stanziate durante il precedente semestre europeo. Solo così è possibile rispondere alla domanda di occupazione di circa 5, 6 milioni di persone in cerca di occupazione in tutta Europa.
  Va promossa una revisione dell'attuale politica dell'austerità sostenendo l'utilizzo di eurobond per attuare un piano straordinario di investimenti pubblici in infrastrutture, green economy, agricoltura biologica e contadina, riassetto idrogeologico dei territori, valorizzazione del patrimonio artistico, potenziamento dell'istruzione e della ricerca pubblica, messa in sicurezza degli edifici scolastici, asili nido, riqualificazione delle città, efficienza energetica degli immobili, innovazione tecnologica e agenda digitale. Questo è un elenco appunto per dar retta, rafforzandolo, diciamo così, al pregiudizio del collega Buttiglione sulla sinistra.
  Altro obiettivo indispensabile è rafforzare l'impegno sociale dell'Unione europea, incluso un meccanismo di reddito minimo garantito e un regime di indennità minima di disoccupazione per l'area dell'euro. In riferimento all'unione dell'energia resiliente e alle politiche in materia di cambiamenti climatici, chiediamo al Governo di definire una politica industriale a livello europeo che agevoli la transizione verso consumi drasticamente ridotti di combustibili fossili. All'uopo deve assumere iniziative per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei promessi 1,5 gradi. In considerazione dell'accordo raggiunto Pag. 84in sede di Conferenza internazionale sul clima COP 21 l'autunno scorso a Parigi, è dovere nostro: definire un'efficace politica industriale e nuovi modelli di investimento; assumere iniziative vincolanti per l'adozione di azioni sempre più decise a sostegno della riconversione ecologica dell'intera economia; avviare da subito un graduale, ma rapido programma di azzeramento dei sussidi alle fonti fossili dirottando le corrispondenti risorse liberatesi verso le fonti rinnovabili.
  E arrivo all'accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, il famigerato TTIP. Ritengo preoccupante – e al qui presente Viceministro Gozi dovrebbe arrivare la pelle d'oca – la posizione del Governo, del suo Governo Renzi, in proposito. È semplicemente velleitario ciò che si permette di sostenere nella relazione che ci ha fornito; si arroga lì a dire che l'intera Unione europea sia a favore, anzi che preme a firmare il più presto possibile, possibilmente entro l'anno, questo accordo scellerato. È l'interesse dell'amministrazione americana, lo sappiamo, e sarà l'interesse del Governo nostro, ma di sicuro non lo è di importanti Paesi della Comunità quali la Francia, la Germania, la Danimarca, l'Austria e neanche dei Paesi Bassi che al momento detengono la Presidenza dell'Unione. Il nostro Governo commette un perfido falso mettendo, sempre nella relazione, in bocca al Premier olandese ciò che in verità è la posizione e secondo me il desiderio solo del nostro Governo, del nostro Presidente del Consiglio Renzi. Insomma, dice ciò che il nostro Governo presenta in questa sua relazione come la posizione italiana di fronte al TTIP. Sta scritto testualmente e cito: «L'accordo ha l'appoggio totale e incondizionato del Governo italiano che sperava in una sua conclusione entro la fine del 2015». Appoggio totale e incondizionato. Nessun altro Governo europeo, eccetto forse qualcuno di quei pochi democratici dell'est, si permette oggi di dare al TTIP un giudizio altrettanto spudorato. Purtroppo, il Presidente Renzi se ne rallegrerà. L'opinione pubblica italiana non dimostra oggi la sensibilità, come la cogliamo in Paesi del centro e del nord Europa, nei confronti dei lati problematici degli accordi transatlantici quali TTIP e TiSA.
  Nessun rappresentante di Governo di quei Paesi si permetterebbe oggi di parlare di appoggio totale e incondizionato. Difatti, nel frattempo pure il Presidente della Commissione europea si sente in dovere di fare marcia indietro e di porre delle condizioni: la condizione di maggior trasparenza, in primis. Il gioco a nascondino intorno ai contenuti dell'accordo TTIP è semplicemente offensivo per uno Stato democratico. Il Presidente del Bundestag tedesco Lammert, già l'anno scorso, ha posto la condizione che almeno i parlamentari del suo Paese potessero prendere visione degli atti, minacciando che altrimenti non avrebbe neanche portato al voto l'articolato. Nel frattempo al Bundestag fu installato un unico box di lettura, una specie di cabina elettorale, dove i membri del Bundestag possono prendere visione dei documenti singolarmente, senza fare copie né prendere le notizie e con il divieto di parlarne con altri. I parlamentari e i media, all'unisono, parlano di autentica farsa e, più che fugare i sospetti, la trasparenza, quella trasparenza permessa, contribuisce a confermare tutte le riserve che noi nutriamo in proposito.
  Un accordo bilaterale che ha bisogno di tanta segretezza non può che suscitare sospetti e provocare l'opposizione. Qui, nel nostro Paese, non siamo ancora arrivati nemmeno allo status di pseudo informazione dalla Germania. La commissaria europea al commercio Malmström, in audizione alla Commissione esteri e politiche europee, su mia precisa domanda, ha promesso che un tale box di lettura sarebbe stato messo a disposizione pure per i parlamentari italiani. Il Governo – si sente dire – avrebbe l'intenzione di installare tale cabina al Ministero degli affari esteri. È da Natale che io e colleghi del MoVimento 5 Stelle stiamo ripetutamente chiedendo alla Farnesina se fosse finalmente possibile andare a vedere i documenti TTIP. Niente, continua ad esserci negato. Faccio appello a questo Parlamento e all'orgoglio di ogni singolo parlamentare: Pag. 85non facciamo passare il TTIP a scatola chiusa. I cittadini, e noi parlamentari in loro rappresentanza, hanno il diritto di sapere. Non lasciamoci umiliare.
  Mi avvio a concludere. Con riguardo al dramma politico delle migrazioni, è urgente promuovere l'apertura immediata di corridoi umanitari di accesso in Europa. Garantiamo canali di accesso legali e controllati, attraverso i Paesi di transito, ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti. Mettiamo fine alle stragi in mare e in terra. Invitiamo il Governo a proporre un reale diritto di asilo europeo. Il regolamento di Dublino, che obbliga i migranti a richiedere asilo al primo Paese comunitario che incontrano, è fallito, va superato. Vado a concludere. Promuoviamo il principio di un'accoglienza dignitosa, dunque la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti sparsi in Europa, e proponiamo un piano europeo straordinario per l'accoglienza di profughi. Implementiamo rapidamente il programma di ricollocamento, ad oggi dimostratosi un fallimento. Proponiamo in sede di Consiglio europeo la revisione dell'accordo tra Unione europea e Turchia sulla gestione dei rifugiati e l'immediata sospensione degli accordi con tutti i Governi che non rispettano i diritti umani e le libertà. Proponiamo, infine, interventi di cooperazione allo sviluppo locale sostenibile nelle zone più povere, a partire dal continente africano, e sosteniamo un grande piano straordinario di investimenti pubblici dell'Unione europea per un'economia di pace, per il lavoro dignitoso e per la riconversione ecologica in parti del mondo che ne hanno disperato bisogno.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Battelli. Ne ha facoltà.

  SERGIO BATTELLI. Grazie, Presidente. Sottosegretario Gozi, la relazione programmatica dell'Italia all'Unione europea è stata prevista dalla legge n. 234 del 2012, all'articolo 13, comma 1, volto a prescrive che il Governo presenti alle Camere, entro il 31 dicembre dell'anno precedente, una relazione comprendente gli orientamenti e le priorità che il Governo intende portare avanti in tema di integrazione europea, in relazione ai profili istituzionali e a ciascuna politica dell'Unione europea, con particolare e specifico rilievo per le prospettive e le iniziative relative alla politica estera e di sicurezza comune e alle relazioni esterne dell'Unione europea.
  Mi focalizzerò ora su alcuni punti della vostra relazione. Primo punto: Ministro delle finanze europeo. La crisi economica non è affatto finita e nel cosiddetto «Report dei cinque Presidenti» viene data come unica risposta il completamento dell'unità economica e monetaria dell'Europa, che deve passare anche attraverso l'unità fiscale e, successivamente, come appena accennato, attraverso l'istituzione di un Ministro delle finanze dell'Unione europea. Questo, oltre a non portare alcun beneficio tangibile, sarebbe l'ulteriore dimostrazione che i Governi vogliono allontanare sempre di più le decisioni dai cittadini.
  Secondo punto: ne avete già parlato in quest'Aula, quindi voglio dire anche la nostra, la visione del MoVimento 5 Stelle sulla questione Piano Junker. Si è fatto un gran parlare di questo Piano di investimenti per l'Europa: oltre 300 miliardi, sulla carta, di investimenti aggiuntivi per il triennio 2015-2017. Ma, ad oggi, in Italia gli unici progetti finanziati sono sempre i soliti: grandi opere e grandi aziende. Prima la collega Camani ha parlato giustamente di sette opere che sono state finanziate da questo progetto, però – credo che si vergogni un po’ – non ha detto quali opere sono state finanziate. Quindi ve lo diciamo noi. Parliamo delle autostrade venete; parliamo di industria chimica e industria pesante; parliamo anche del petrolchimico di Milazzo, che ogni anno uccide e fa ammalare centinaia di siciliani. Questo finanzia il piano ad oggi; questo finanzia il piano ad oggi.
  L'Italia ha un tessuto economico che si basa per l'85 per cento sulla piccola e micro impresa, quella vera. Qualche mese fa, lo stesso Draghi, in audizione qui alla Camera, ha confermato praticamente lo Pag. 86stesso dato percentuale, per quanto riguarda il tessuto economico europeo. Quindi, oggi più che mai c’è bisogno di investire nelle piccolissime aziende, mentre il piano che prende il nome dal Presidente fiduciario delle grandi corporation e delle grandi multinazionali va da tutt'altra parte. Questo è chiaro: va da tutt'altra parte. Il piano Juncker non ha nessun senso, l'abbiamo contestato in tutte le sedi, ma voi vi ostinate a dire che sia fondamentale. Quindi, mi spieghi, sottosegretario, per chi è fondamentale a questo punto. Me lo dica, per chi è fondamentale ?
  Terzo punto: immigrazione. Sembra ridondante, eppure è così: ancora immigrazione. Secondo l'OIM, sono entrati oltre un milione di migranti all'interno dell'Unione europea, quattro volte in più rispetto al 2015. Se non si mette mano immediatamente a Dublino, l'Italia sarà schiacciata e lasciata sola. Ricordiamo sempre che la solidarietà tra i popoli e gli Stati membri era e dovrebbe essere la colonna portante del progetto Unione europea. Credo che a volte questo si dimentichi.
  Quarto punto, altra colonna portante del progetto Europa: Schengen. I trattati, le successive modifiche e le convenzioni collegate hanno istituito, nel tempo, un sistema volto ad abolire le frontiere interne, sostituendole con un'unica frontiera esterna, individuando, in tal modo, un territorio dove viene garantita la libera circolazione delle persone. Entro tale spazio si applicano regole e procedure comuni in materia di visti, soggiorni brevi, richieste d'asilo e controlli alle frontiere. Queste norme, ma soprattutto la libertà di circolazione garantita, rappresentano una delle maggiori conquiste dell'Unione europea. Questo è bene chiarirlo. È uno dei pilastri della condivisione su cui si poggia l'Unione stessa. Negli ultimi mesi, però, a causa della pressione migratoria e di scontri di natura politica, che vedono contrapposti alcuni Stati membri, si assiste ad un moltiplicarsi della sospensione dei menzionati accordi, che si traducono in unilaterali chiusure delle frontiere nazionali. Sei dei ventisei Paesi membri dello spazio Schengen (Germania, Austria, Slovenia, Francia, e, dopo gli attentati di Parigi e dall'inizio del 2016, anche Svezia e Danimarca) hanno reintrodotto controlli temporanei alle frontiere. Questa è stata una delle più grandi sconfitte dell'Unione europea, dopo il fallimento dell’austerity. Dobbiamo impedire la frantumazione della Comunità europea sulla libera circolazione delle persone, ricostruendo un'Europa basata sulla solidarietà, non sulla finanza, come è oggi.
  Il quinto punto che reputo veramente problematico è il punto sulla Turchia. Vi invito a riflettere, invito quest'Aula a riflettere sul fatto che ci apprestiamo a finanziare un Paese dove la stampa viene censurata e controllata dal Governo e dove gli oppositori politici vengono arrestati e caricati dalla polizia. La preclusione nei confronti di un accordo con la Turchia non è assoluta, ma troviamo folle che, per sopperire alla difficoltà evidente di un'Europa senza risposte e senza idee, il Consiglio europeo faccia finta di non sapere che oggi in Turchia mancano le basi della democrazia e il rispetto dei diritti umani, in primo luogo quelli dei migranti, quindi prima di ogni tipo di accordo, l'Europa doveva e deve pretendere il rispetto dei principi fondamentali. Ma, come se niente fosse, nella notte tra il 17 e il 18 marzo, il Consiglio dei ventotto ha trovato un accordo che prevede, punto uno, il respingimento dei migranti in Turchia: i migranti e i profughi sulla rotta balcanica sanno rimandati in Turchia, tra questi anche i profughi siriani, compresi quelli che hanno fatto domanda di asilo in Grecia. Punto due: canali umanitari, per ogni profugo siriano che viene rimandato in Turchia dalle isole greche, un altro siriano verrà trasferito dalla Turchia all'Unione Europea attraverso dei canali umanitari indefiniti, non si sa ancora bene. Punto tre: liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, la Turchia chiede anche la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, a partire dal 1o giugno di quest'anno; entro ottobre, potrebbe non essere più necessario per i turchi chiedere un visto per entrare nell'Unione europea. Pag. 87Punto quattro: aiuti economici alla Turchia, l'Unione europea ha deciso di accelerare il versamento di 3 miliardi di euro, 3 miliardi di euro, di aiuti alla Turchia, già approvati nel vertice di novembre per la gestione dei campi profughi; inoltre, l'Unione vuole mobilitare fino a un massimo di altri 3 miliardi di euro fino al 2018, parliamo quindi di un massimo, a questo punto, di 6 miliardi di euro. Infine, punto cinque: adesione della Turchia all'Unione europea, che si preparerà a decidere l'apertura di nuovi capitoli sull'adesione della Turchia all'Unione europea non appena possibile. Questo è quello che ha partorito il Consiglio europeo. Però forse l'Europa si è completamente dimenticata che la Turchia non riconosce la Convenzione di Ginevra sui profughi, non la riconosce, la Turchia non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati 1951. Nell'accordo notturno per bypassare questo piccolo dettaglio è stata inserita una clausola che vi leggo: «L'Unione europea accetta l'impegno di Ankara, che i migranti tornati in Turchia verranno protetti in base agli standard internazionali». Questo è scritto nell'accordo. Ma affinché sia rispettata la Convenzione di Ginevra l'Europa deve pretendere che Ankara la ratifichi subito, altrimenti sarà un'enorme deportazione di massa. Lo stesso Parlamento europeo, che per una volta, da destra a sinistra, ha detto la stessa cosa, ha definito l'accordo indecente, inaccettabile e profondamente problematico. Sulla stessa linea anche l'UNHCR, tanto caro alla Presidente Boldrini. Ma può l'Europa accettare questo ? Può l'Europa non preoccuparsi di questo ? Per noi è una cosa inaccettabile, indecente. Poi, certo non possiamo pretendere che Renzi faccia la voce grossa, visto che in Italia la democrazia l'ha abbattuta come i birilli al bowling. Italicum, riforme costituzionali, Jobs Act, Sblocca Italia, addirittura astensione al referendum sulle trivellazioni: sono solo alcuni esempi, ma potrei andare avanti ben oltre il tempo che la Presidente mi può concedere. Sesto punto: mercato unico digitale; molte proposte, anche condivisibili, ma per sostenere tale mercato occorre un serio investimento nella banda larga, a livello nazionale; senza rete e senza Internet che funziona a dovere, il nostro destino sarà, come al solito, che l'Europa andrà da una parte e noi saremo fermi al palo. Sottolineo l'importanza di arrivare ad un quadro normativo europeo sul diritto d'autore e magari il Governo coglierà l'occasione per abolire il maledetto monopolio SIAE che abbiamo in Italia, un carrozzone burocrate, già superato da alcune normative comunitarie, quindi smontiamo subito la SIAE e ripartiamo utilizzando la tecnologia del 2016, non quella degli anni Ottanta, dove la SIAE si è arenata tristemente. Settimo punto: mi collego all'ampio dibattito che ha fatto il mio collega Florian e quindi parliamo del TTIP; è in arrivo, a questo punto, una mazzata, ma non sappiamo dove ci colpirà, non lo sappiamo, in quanto ad oggi nessuno lo sa; magari il Governo sì, magari il Governo ha letto i negoziati, visto che è così sicuro di portarli avanti. Anche a dicembre siamo andati alla Farnesina perché la commissaria europea Malmström aveva detto che, entro dicembre, si sarebbe aperta questa sala di lettura, di cui alla Farnesina non conoscono l'esistenza, quindi magari se ci dite dove la volete aprire, perché la commissaria si era impegnata proprio ad aprire questa sala di lettura, ma ad oggi nessuna notizia. Quindi nessuno è riuscito a mettere gli occhi su questi negoziati; figuriamoci mano, quindi non sappiamo perché il Governo oggi è così sicuro di portare in porto questo trattato.
  Vogliamo vedere subito cosa stanno facendo, vogliamo che i cittadini siano coinvolti ora. I nostri prodotti, le nostre leggi e il nostro ambiente è messo a rischio dall'abbattimento dei dazi doganali con gli Stati Uniti e dall'istituzione di questo tribunale che deciderà se le norme imposte da alcuni Paesi siano limitative e causino danni economici alle multinazionali. La legge sottoposta alla volontà del mercato, il diritto che si piega all'economia e alla finanza: siamo alla follia totale con questo Trattato. Noi ci opporremo a questo, a tutto questo, ve lo diciamo già da oggi, con Pag. 88tutte le forze. Ve lo preannunciamo visto che alcune agenzie hanno già detto che si cercherà di arrivare a un accordo finale entro quest'estate, quindi colgo l'occasione sottosegretario – dato che mi ricordo che le avevo chiesto in audizione in Commissione perché veramente il Governo è così sicuro di portarlo avanti e lei mi aveva detto addirittura che lo firmerebbe a occhi chiusi – per dirle che non mi ha più risposto, quindi magari io aspetto qui, mi siedo e mi risponde oggi, che mi sembra la sede adeguata. Comunque, nella vostra relazione, indicate questo trattato come necessario e vantaggioso per la nostra economia, quindi ripeto che vorrei veramente una risposta del Governo su questa cosa. Potremmo andare avanti ore e smontare la vostra relazione pezzo per pezzo, punto per punto; la vostra visione di un mondo diverso e moderno non c’è, state barattando quel poco che ci rimane in cambio di qualche punto percentuale, state minando la stabilità di un Paese che vacilla sempre di più, state continuano ad aiutare chi vi ha garantito un bacino di voti e state abbandonando i cittadini, come sempre.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Annunzio di risoluzioni – Doc. LXXXVII-bis, n. 4-A)

  PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Berlinghieri, Alli, Capua e Sberna n. 6-00223, Battelli ed altri n. 6-00224, Kronbichler ed altri n. 6-00225, Fedriga ed altri n. 6-00226, Occhiuto ed Elvira Savino n. 6-00227 (Vedi l'allegato A – Risoluzioni – Doc. LXXXVII-bis, n. 4-A), che sono in distribuzione.
   Il rappresentante del Governo ha comunicato alla Presidenza che interverrà in sede di replica e anche per esprimere il parere sulle risoluzioni presentate in altra seduta.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica (ore 19,55).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 3302, 3329-A e 3330.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Discussione del disegno di legge: S. 1829 – Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra la Repubblica italiana e la Repubblica orientale dell'Uruguay riguardante lo svolgimento di attività lavorativa da parte dei familiari conviventi del personale diplomatico, consolare e tecnico-amministrativo, fatto a Roma il 26 agosto 2014 (Approvato dal Senato) (A.C. 3302).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 3302: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra la Repubblica italiana e la Repubblica orientale dell'Uruguay riguardante lo svolgimento di attività lavorativa da parte dei familiari conviventi del personale diplomatico, consolare e tecnico-amministrativo, fatto a Roma il 26 agosto 2014.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3302)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Fabio Porta.

  FABIO PORTA, Relatore. Presidente, deputati, rappresentante del Governo, il disegno di legge di ratifica reca l'esecuzione Pag. 89dell'accordo sottoscritto nell'agosto del 2014 tra Italia e Uruguay, volto a consentire l'esercizio di attività lavorative ai familiari e ai conviventi del personale delle rispettive missioni diplomatiche e rappresentanze consolari, nonché delle delegazioni presso la Santa Sede.
   L'accordo, che è stato già approvato dall'altro ramo del Parlamento il 10 settembre scorso, elaborato sulla base di un modello standard, ricalca altri accordi recentemente approvati, tra i quali quello relativo all'Argentina. Il testo è finalizzato a rafforzare le relazioni tra Italia ed Uruguay, che sono particolarmente sviluppate, come ha dimostrato il forum parlamentare Italia-America latina, al quale ha preso parte una significativa delegazione uruguaiana.
   L'accordo, nello specifico, è inteso a facilitare la partecipazione dei familiari dei diplomatici alla vita sociale del Paese che li ospita, senza con ciò venire meno al ruolo istituzionale che sono chiamati a svolgere in qualità di familiari del personale accreditato e senza configurare alcuna forma di privilegio a favore di persone che non godono di immunità.
   L'intesa si applica ai coniugi non separati, ai figli a carico di età compresa tra i 18 e i 26 anni e ai figli diversamente abili a prescindere dall'età.
  Nell'auspicare una rapida approvazione del provvedimento, sottolineo che dalla sua attuazione non derivano oneri o minori entrate a carico del bilancio dello Stato e, non essendo la prima volta che sono relatore di una ratifica di accordi tra Italia e Uruguay, cosa che faccio sempre con piacere perché è un Paese al quale mi legano forti vincoli di amicizia e anche legami storici e politici, approfitto anche di questa occasione per sollecitare nuovamente Governo e Parlamento a ratificare un accordo firmato nel 1998, quindi quasi vent'anni fa, in materia di sicurezza sociale, già ratificato dall'Uruguay ma non ancora dal Parlamento italiano.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che rinuncia.
  Non vi sono iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e la Santa Sede in materia fiscale, fatta nella Città del Vaticano il 1o aprile 2015 (A.C. 3329-A) (ore 19,58).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica n. 3329-A: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e la Santa Sede in materia fiscale, fatta nella Città del Vaticano il 1o aprile 2015.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3329-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Francesco Monaco.

  FRANCESCO MONACO, Relatore. Signora Presidente, la Convenzione in materia fiscale tra l'Italia e la Santa Sede, firmata il 1o aprile scorso, recepisce, in linea con il processo in atto verso l'affermazione a livello globale della trasparenza nel campo delle relazioni finanziarie, il più aggiornato standard internazionale in materia di scambio di informazioni di natura fiscale, al fine di disciplinare la cooperazione amministrativa tra le autorità competenti delle due parti contraenti. Pag. 90Tale cooperazione ai fini fiscali è ora possibile anche in relazione alle riforme introdotte dalla Santa Sede a partire dal 2010 e con la creazione da parte della stessa Santa Sede di istituzioni con specifiche competenze in materia economica e finanziaria. Non è un caso – ed è da apprezzare – che il primo accordo bilaterale sullo scambio di informazioni sottoscritto dalla Santa Sede sia proprio con il nostro Paese. La Convenzione dà anche attuazione a quanto previsto dal Trattato lateranense – andiamo indietro di un secolo – relativamente all'esenzione delle imposte per gli immobili della Santa Sede indicati nello stesso Trattato. Nel rinviare l'esame in Commissione per la descrizione più analitica dall'articolato, in questa sede mi limito a richiamare che il provvedimento istituisce a regime un sistema di tassazione dei proventi e delle attività finanziarie detenute presso enti che svolgono professionalmente un'attività di natura finanziaria nello Stato dalla Città del Vaticano da parte di taluni soggetti residenti in Italia. In particolare si tratta di persone fisiche e giuridiche che concorrono alla realizzazione delle finalità della Chiesa cattolica, nonché di persone fisiche che, in ragione del rapporto di servizio con la Santa Sede, fruiscono del regime di esenzione fiscale stabilito appunto dall'articolo 17 del Trattato del Laterano. Il nuovo sistema semplifica l'adempimento spontaneo degli obblighi tributari per i soggetti interessati alla Convenzione attraverso l'individuazione di un rappresentante fiscale in Italia. In coerenza con il passaggio al nuovo regime di adempimento degli obblighi tributari, si stabilisce un meccanismo di regolazione delle posizioni fiscale dei soggetti interessati dalla Convenzione relativamente a tutti gli anni ancora accertabili ma non oltre l'anno d'imposta 2013. Si è reso necessario conciliare i tempi necessari all'entrata in vigore della Convenzione con la necessità di adempiere agli obblighi di corresponsione dell'imposta per i periodi 2014-2015 non regolarizzabili, senza pregiudicare tuttavia l'obiettivo di semplificazione degli adempimenti. La Convenzione prevede pertanto la possibilità che i soggetti interessati possano anticipare l'applicazione del nuovo regime anche per il periodo transitorio – una sorta di norma transitoria – nei periodi di imposta 2014-2015, esprimendo tale opzione entro i medesimi termini previsti per la presentazione dell'istanza di regolarizzazione.
  Restano salve le disposizioni previste dall'articolo 14 del Trattato del Laterano, che stabilisce alcune garanzie specifiche in favore di alcuni edifici tassativamente indicati negli articoli dal 13 al 16 dello stesso Trattato e situati quasi tutti, a eccezione di quelli indicati nello stesso articolo 16, comma 1, nelle zone cosiddette extra territoriali ovvero beneficiarie delle immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici degli Stati esteri. Concludo sottolineando, come già avvenuto nel corso dell'iter in Commissione, che l'accordo registra doverosamente un processo di risanamento virtuoso avviato da parte delle massime istituzioni ecclesiastiche già, come dicevo, nel 2010, nel corso del pontificato di Benedetto XVI. Quanto alle garanzie che la Convenzione assicura a specifici immobili – di cui ho già riferito – esse si spiegano alla luce delle disposizioni tuttora vigenti nel trattato del 1929, che nel risolvere la cosiddetta «questione romana», a fronte della penalizzazioni territoriali subite dal Vaticano, prevedeva talune garanzie in funzione risarcitoria. Da questo punto di vista la stessa Corte di cassazione italiana ha riconosciuto l'inadempienza dell'Italia su tale terreno alla luce della piena vigenza del Trattato. Auspico pertanto una rapida approvazione di questo provvedimento, che è perfettamente in linea con il processo in atto verso l'affermazione a livello globale della trasparenza nel campo delle relazioni finanziarie e recepisce il più aggiornato standard internazionale in materia di scambio di informazioni fiscali. Avendone dato una versione piuttosto sintetica, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del Pag. 91testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Prendo atto che vi rinuncia. Non vi sono iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Principato di Monaco sullo scambio di informazioni in materia fiscale, con Protocollo, fatto a Monaco il 2 marzo 2015 (A.C. 3330) (ore 20,05).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3330: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Principato di Monaco sullo scambio di informazioni in materia fiscale, con Protocollo, fatto a Monaco il 2 marzo 2015.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3330)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Rabino.

  MARIANO RABINO, Relatore. Signora Presidente, colleghi deputati, signor sottosegretario Gozi, l'Accordo al nostro esame è stato sottoscritto il 2 marzo scorso dalle autorità fiscali del nostro Paese e del Principato di Monaco ed è modellato sugli standard dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in tema di scambio di informazioni fiscali, per cui lo Stato al quale sono richieste le informazioni non può rifiutarsi di fornire allo Stato richiedente la collaborazione amministrativa per mancanza di interesse ai propri fini fiscali, né opporre il segreto bancario. All'accordo si accompagna un protocollo che costituisce parte integrante dell'accordo medesimo, il quale prevede l'effettuazione di richieste di gruppo. Il predetto protocollo consente di presentare richieste in relazione a categorie di comportamenti che fanno presumere l'intenzione di contribuenti di nascondere al fisco italiano patrimoni e attività detenuti irregolarmente nel Principato di Monaco. L'Accordo ha un effetto positivo sull'esito della voluntary disclosure, in quanto allarga la platea dei potenziali aderenti alla regolarizzazione dei capitali. In sostanza, per effetto della sottoscrizione tempestiva dell'Accordo rispetto alla tempistica prevista dalla voluntary disclosure, il Principato di Monaco, impegnandosi allo scambio di informazioni, viene equiparato ad un Paese non black list. Ci sono diverse disposizioni e, come ha fatto il mio collega in precedenza, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti). Concludo ricordando, come è già emerso in Commissione, che il provvedimento rientra in una strategia di accordi bilaterali siglati dall'Italia in materia fiscale nell'intento di abolire definitivamente dal suolo europeo i cosiddetti paradisi fiscali. Si tratta di un processo che avviene sulla base di richieste provenienti dagli stessi Paesi interessati, come accade per il Principato di Monaco, passato dalla lista grigia a quella bianca dell'Unione europea, proprio grazie all'accordo siglato con l'Italia.
  Concludo raccomandando a mia volta una rapida approvazione del disegno di legge, che costituisce un altro fondamentale tassello per bloccare le vie di fuga ai capitali e per assicurare la più ampia adesione da parte dei contribuenti italiani, con conti e beni detenuti legittimamente all'estero, alla voluntary disclosure.

Pag. 92

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Rabino. Prendo atto che il rappresentante del Governo non intende ora intervenire.
  Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 22 marzo 2016, alle 10:

  (ore 10, con votazioni non prima delle ore 12)

  1. – Seguito della discussione del disegno di legge:
  Conversione in legge del decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, recante misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio (C. 3606-A).
  — Relatori: Sanga, per la maggioranza; Pesco e Busin, di minoranza.

  2. – Seguito della discussione della proposta di inchiesta parlamentare:
  GELLI ed altri: Modifiche alla deliberazione della Camera dei deputati 17 novembre 2014, recante istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza, nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei centri di identificazione ed espulsione (Doc. XXII, n. 62-A).
  — Relatore: Fiano.

  3. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   SENALDI ed altri; QUINTARELLI ed altri; ALLASIA ed altri; BORGHESE e MERLO: Disposizioni per l'introduzione di un sistema di tracciabilità dei prodotti finalizzato alla tutela del consumatore (C. 1454-2522-2868-3320-A).
  — Relatrice: Bini.

  4. – Seguito della discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2016, sul Programma di lavoro della Commissione per il 2016 e sul Programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea (Doc. LXXXVII-bis, n. 4-A).
  — Relatrice: Berlinghieri.

  5. – Seguito della discussione dei disegni di legge:
   S. 1829 – Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra la Repubblica italiana e la Repubblica orientale dell'Uruguay riguardante lo svolgimento di attività lavorativa da parte dei familiari conviventi del personale diplomatico, consolare e tecnico-amministrativo, fatto a Roma il 26 agosto 2014 (Approvato dal Senato) (C. 3302).
  — Relatore: Porta.

  Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e la Santa Sede in materia fiscale, fatta nella Città del Vaticano il 1o aprile 2015 (C. 3329-A).
  — Relatore: Monaco.

  Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Principato di Monaco sullo scambio di informazioni in materia fiscale, con Protocollo, fatto a Monaco il 2 marzo 2015 (C. 3330).
  — Relatore: Rabino.

  La seduta termina alle 20,10.

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TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GIOVANNI SANGA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE (A.C. 3606-A)

  GIOVANNI SANGA, Relatore per la maggioranza. Il provvedimento legislativo di cui oggi iniziamo la discussione generale si articola in quattro parti:
   la riforma delle BCC;
   la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze;
   il regime fiscale relativo alle procedure di crisi;
   la gestione collettiva del risparmio.

  I tempi non mi consentiranno una trattazione compiuta. Lascerò pertanto agli atti la relazione integrale.
  Le Banche di Credito Cooperativo-Casse Rurali rappresentano nel nostro Paese una grande storia: di intelligenza creativa, di dinamismo sociale, di protagonismo comunitario.
  Le origini risalgono alla fine dell'Ottocento e riprendono alcune esperienze sviluppatesi in Germania, per iniziativa di Federico Guglielmo Raiffeisen, borgomastro di un piccolo villaggio montano.
  In Italia la prima Cassa Rurale viene costituita nel 1883 a Loreggia, in provincia di Padova e sul finire del secolo la presenza si diffonde in diverse regioni.
  A questo contribuì l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, un vero manifesto dell'impegno sociale dei cattolici dell'epoca, a cui si ispirarono molti dei fondatori.
  Alla fine dell'Ottocento si contavano in Italia più di novecento Casse Rurali. È nelle campagne che il fenomeno si radica fortemente, per sottrarre i coltivatori alla piaga dell'usura e garantire il finanziamento alle attività agricole.
  Il modello del credito cooperativo, fondato sulla mutualità e sulla forza dei legami comunitari, attraversa la storia del Novecento con alcune tappe significative.
  Dopo il fascismo, con la Costituzione del 1948, l'articolo 45 riconosce il ruolo della cooperazione con finalità mutualistica.
  Nel 1950 si costituisce la Federazione delle Casse Rurali e Artigiane, per dare rilancio alle esigenze di un Paese alle prese con la ricostruzione post-bellica.
  Nel 1993 con il Testo Unico Bancario le Casse Rurali si trasformano in Banche di Credito Cooperativo.
  Alla base permane il fondamento della mutualità che si fonda sul principio della reciprocità in una visione di lungo periodo e intergenerazionale.
  Ho voluto fare questi richiami per sottolineare ulteriormente l'importanza della riforma che stiamo attuando, significativamente per ribadire, come già emerso nel corso delle audizioni che abbiamo avuto, che siamo ora nel «terzo tempo» di vita del Credito Cooperativo.
  Un tempo che porta i segni profondi di una recessione che ha cambiato il modo di fare impresa, ha modificato alcuni connotati della nostra vita sociale e trasformato il contesto economico.
  Negli anni della crisi:
   il Prodotto Interno Lordo Italiano ha perso il 9 per cento;
   gli investimenti fissi lordi si sono ridotti di circa il 30 per cento;
   la produzione industriale ha registrato un calo del 25 per cento.

  Forti sono state le ricadute sul sistema creditizio con un incremento delle sofferenze, delle perdite su crediti e con riflessi inevitabili sulla redditività del settore.
  Precedentemente la crisi, l'attività delle BCC cresce significativamente.
  Tra il 1995 e il 2008 i finanziamenti alle piccole imprese aumentano di quasi 9 punti, mentre i prestiti alle famiglie di 3 punti.
  Alla base di tutto questo vi sono certamente la profonda conoscenza dei mercati locali, la capacità di valutare il merito creditizio e quella di rispondere con tempestività ed efficacia alle esigenze della clientela.Pag. 94
  Poi la tensione sui mercati finanziari e la difficile congiuntura cambiano radicalmente questo scenario.
  Negli anni della doppia recessione che ha segnato pesantemente il nostro Paese, le BCC hanno saputo svolgere un ruolo insostituibile divenendo spesso l'unico riferimento di piccole aziende e di intere filiere produttive in difficoltà.
  Aziende condizionate dalla domanda interna, non in grado di porsi sui mercati internazionali, che hanno pagato in questi difficili anni un prezzo alto con conseguenze a volte letali.
  La crisi porta tutta la regolamentazione, italiana ed europea, a spingere in direzione di un rafforzamento patrimoniale del sistema bancario, al fine di aumentare la capacità del sistema stesso di far fronte con mezzi propri ai rischi della congiuntura.
  Il modello delle BCC appare in tal senso particolarmente esposto anche se esprime nei numeri della articolazione territoriale ancora grande vitalità: 365 Banche di Credito Cooperativo, 4.403 sportelli presenti in più di 2.700 comuni, circa 37.000 dipendenti, più di 1.200.000 soci. Il patrimonio complessivo delle BCC si attesta a più di 24 miliardi.
  Il Governo già lo scorso anno, nel corso dell'emanazione del decreto legge di riforma delle Banche Popolari aveva espresso la volontà di avviare al più presto un percorso di innovazione del settore.
  La scelta, a mio avviso saggia, di un forte coinvolgimento dei rappresentanti del mondo delle BCC e della cooperazione nel suo complesso ha dato i suoi frutti e ha consentito di arrivare, oggi, con un testo condiviso.
  Penso si possa parlare di un processo di autoriforma che ha trovato nel Governo e nel Parlamento degli interlocutori aperti che hanno raccolto le istanze più significative, a seguito di un confronto durato diversi mesi.
  Non si poteva più rinviare un intervento teso a sostenere la competitività, la redditività e la stabilità di un sistema che singolarmente le Banche di Credito Cooperativo non erano più in grado di garantire, vuoi per la loro dimensione strutturale, vuoi per la forma giuridica, quella di cooperativa mutualistica.
  I capisaldi della riforma si possono così sintetizzare.
  Salvaguardia del principio di autonomia della singola BCC, con l'attribuzione all'Assemblea dei soci delle singole banche della facoltà di poter nominare i propri organi sociali.
  Rafforzamento della mutualità, con il coinvolgimento dei soci, il cui numero minimo passa da 200 a 500 e con l'innalzamento del capitale detenibile dal socio da 50.000 a 100.000 euro.
  Consolidamento della dimensione della cooperazione nel suo insieme attraverso:
   a) l'appartenenza al gruppo BCC, condizione necessaria per poter esercitare l'attività bancaria in forma di Banca di Credito Cooperativo;
   b) il controllo della capogruppo da parte delle BCC stesse, le quali devono detenere la maggioranza del capitale della capogruppo SpA;
   c) la sottoscrizione del contratto di coesione che disciplina la direzione e il coordinamento della capogruppo sul gruppo.

  Rafforzamento dell'intero sistema:
   a) con una soglia minima di patrimonio netto previsto per la capogruppo che deve essere di almeno un miliardo;
   b) con i poteri assegnati alla capogruppo di definizione e attuazione degli obiettivi strategici da un lato e dei poteri necessari per l'attività di direzione dall'altro.

  La forma giuridica della società per azioni prevista per la società capogruppo favorisce l'accesso del gruppo bancario cooperativo al mercato dei capitali e il rafforzamento patrimoniale dell'intero gruppo, tenuto conto degli impedimenti naturali delle BCC di ricapitalizzarsi accedendo al mercato dei capitali di rischio.Pag. 95
  Vorrei soffermarmi ancora sul contratto di coesione.
  Il termine usato dice bene le finalità dello stesso.
  È lo strumento cardine, quello che formalizza e tiene insieme il gruppo nella diversità e nella specificità delle tante BCC.
  Costituisce il punto più alto dell'intero impianto su cui si misureranno da un lato gli effetti della riforma, dall'altro la tenuta del sistema del credito cooperativo.
  Il contratto definisce tra l'altro:
   la banca capogruppo;
   i poteri della stessa nel rispetto delle finalità mutualistiche;
   gli indirizzi strategici e gli obiettivi operativi;
   i poteri per l'attività di direzione e di controllo;
   i casi in cui la capogruppo può nominare o revocare i componenti degli organi di amministrazione e controllo;
   i criteri di compensazione e l'equilibrio nella distribuzione dei vantaggi derivanti dall'attività comune;
   le garanzie in solido delle obbligazioni assunte dalla capogruppo e dalle altre banche aderenti.

  Nel corso dell'esame in Commissione sono stati apportati miglioramenti e integrazioni di rilievo al testo del decreto, come del resto si conviene nella normale dialettica Governo-Parlamento.
  Su alcuni di questi passaggi, il dibattito, anche esterno all'ambito istituzionale, è stato vivace, polemico ma altresì ricco di spunti propositivi.

  1. È stata garantita la possibilità per le Banche di Credito Cooperativo presenti nelle province autonome di Trento e Bolzano di costituire autonomi gruppi bancari cooperativi, composti solo da banche aventi sede e operanti esclusivamente nella medesima provincia autonoma, in coerenza con gli ambiti di autonomia riconosciuti nei rispettivi Statuti.
  Si consente inoltre la costituzione nel gruppo bancario cooperativo di eventuali sottogruppi territoriali facenti capo a una banca costituita in forma di SpA. Tale soluzione tiene conto delle specificità territoriali del paese e dell'arricchimento che esse potranno fornire al gruppo, anche in termini di maggiore consolidamento del gruppo stesso.
  2. Viene esplicitamente ammessa la possibilità di recedere dal contratto (in precedenza vietata).
  3. Si prevede che le azioni di finanziamento possano essere sottoscritte dalla capogruppo in deroga al vincolo di territorialità e ai limiti di partecipazione stabiliti per i soci ordinari.
  4. Sono state definite meglio le competenze riservate al Ministro dell'economia e delle finanze e alla Banca d'Italia nell'ambito della riforma delle Banche di Credito Cooperativo, attribuendo in via esclusiva alla Banca d'Italia le funzioni di vigilanza alle quali risulta preposta e affidando al Ministro dell'economia e finanze la definizione degli aspetti relativi all'adeguatezza dimensionale e organizzativa del gruppo bancario operativo.
  5. Sono quindi state riscritte le disposizioni contenute nel decreto-legge relative alla cosiddetta way out, accogliendo le proposte sollevate attraverso numerosi emendamenti, e inserendo la previsione che, in deroga alla disciplina sulla devoluzione del patrimonio da applicarsi nei casi di fusione e trasformazione delle BCC escluse dal gruppo bancario cooperativo, la devoluzione non si produce per le banche di credito cooperativo, che presentino istanza di conferimento delle proprie aziende bancarie a una SpA autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria, purché la banca istante o, in caso di istanza congiunta, almeno una delle banche istanti, possiedano, alla data del 31 dicembre 2015, un patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro.
  Si prevede inoltre che all'atto del conferimento la Banca di Credito Cooperativo Pag. 96conferente versi allo Stato un importo pari al 20 per cento del proprio patrimonio netto.
  Le riserve indivisibili riconducibili alla BCC – al netto del versamento effettuato allo Stato – rimarranno nella società cooperativa conferente, la quale acquisisce con le proprie risorse la partecipazione nella società conferitaria.
  La cooperativa conferente si obbliga a mantenere le clausole mutualistiche, nonché ad assicurare ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la SpA conferitaria, di formazione e informazione sui temi del risparmio e di promozione di programmi di assistenza.
  Tale soluzione consente di contemperare la previsione del vincolo di adesione al gruppo bancario cooperativo con la possibilità, per le banche di credito cooperativo, di scegliere una strada alternativa per il proseguimento della propria attività bancaria, escludendo quindi che tale vincolo si configuri come un obbligo di legge.
  L'obiettivo è stato bilanciato con l'esigenza di non minare la prospettiva, su cui si incentra la riforma della BCC, contenuta nel decreto-legge, del consolidamento del sistema bancario cooperativo attraverso la costituzione di uno, o più, grandi gruppi bancari cooperativi. È stato perciò fissato un limite temporale piuttosto ristretto, pari a 60 giorni, entro il quale le banche di credito cooperativo dovranno presentare istanza alla Banca d'Italia di conferimento delle rispettive aziende bancarie ad una società per azioni autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria.
  6. Si prevede un Fondo temporaneo delle banche di credito cooperativo, di natura transitoria, con lo scopo di supportare la finalità della BCC nel periodo di transizione che terminerà con la formazione del gruppo bancario cooperativo, così predisponendo uno strumento di sostegno di natura mutualistico-assicurativa.
  Il comma 1 dell'articolo 3 bis dispone che nella suddetta fase, l'obbligo di aderire a un gruppo bancario cooperativo per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria in forma di BCC è assolto, anche al fine di non doversi trasformare in S.p.A. o deliberare la liquidazione, fino alla data di adesione della banca di credito cooperativo ad un gruppo bancario cooperativo, dall'adesione della stessa ad un Fondo temporaneo delle banche di credito cooperativo, promosso dall'Associazione Nazionale del Credito Cooperativo, mediante strumento di natura privatistica.
  Il Fondo opera in piena autonomia decisionale quale strumento mutualistico-assicurativo e può favorire processi di consolidamento e concentrazione delle banche di credito cooperativo.
  Vorrei sottolineare il riconoscimento ulteriore che viene da questa disposizione alle strutture associative del Credito Cooperativo che devono mantenere a mio avviso un ruolo essenziale.
  Voglio ritornare sulla way out. È stato il punto dove il confronto si è fatto più duro e serrato.
  La soluzione trovata rappresenta un buon punto di equilibrio.
  Le banche con patrimonio netto superiore a 200 milioni sono 14. Abbiamo definito le date di riferimento:
   quella per individuare la soglia dei 200 milioni;
   quella entro cui procedere all'istanza.

  Banca d'Italia, nel corso delle audizioni, aveva sottolineato questo aspetto e i rischi cui saremmo andati incontro nel caso fosse stata confermata la versione iniziale del decreto.
  Lo schema che si realizza è quello di una cooperativa che scorpora il ramo di azienda bancaria e la conferisce in una società per azioni.
  La cooperativa dovrà proseguire quindi nell'attività mutualistica.
  Questo resta un vincolo rilevante che consente di dare prospettive alla soluzione trovata.
  Del resto era impensabile non prevedere una via di uscita nel momento in Pag. 97cui si realizza un'operazione straordinaria di portata storica e che fa dell'appartenenza al gruppo il requisito necessario per l'esercizio dell'attività bancaria in forma di BCC.
  Fare banca di comunità nell'era della crisi è senz'altro impresa difficile ma allo stesso tempo affascinante.
  È una mission riservata solo ad alcuni.
  Da noi, in Italia, solo al Credito cooperativo.
  Se guardiamo una cartina geografica e sovrapponiamo alla stessa l'ubicazione degli sportelli delle BCC ci rendiamo conto della loro presenza capillare in tanti piccoli comuni o addirittura frazioni, laddove altre banche si sono ritirate o per scelte di natura strategica o perché i margini tendevano sempre più a ridursi.
  Le BCC hanno una presenza esclusiva in quasi 600 comuni. Le banche ordinarie e le grandi banche si concentrano maggiormente nelle aree urbane e ad alta densità abitativa, produttiva o finanziaria.
  Possiamo ben dire che accanto ad una funzione economica, certamente insostituibile, il credito cooperativo svolge anche una essenziale funzione sociale.
  C’è una correlazione stretta con il territorio, con la piccola impresa, con le famiglie e con le proprie comunità di riferimento, con le quali condividono molto spesso le sorti.
  La riforma rispetta queste peculiarità, le riconosce, per certi versi le esalta e le tutela.
  Mette in sicurezza un grande patrimonio, sul piano dell'attività creditizia, economica e sociale.
  La sfida a cui tutti siamo chiamati, ciascuno per le proprie responsabilità, è quella di consentire alle Banche di Credito Cooperativo nel tempo presente e futuro di svolgere il proprio ruolo, prezioso e fondamentale.
  In questa legislatura molti sono stati i provvedimenti volti a rifondare il sistema bancario italiano, come conseguenza della crisi economico-finanziaria e alla luce dell'attuale contesto socioeconomico e di vigilanza.
  Il decreto-legge n. 3 del 2015 ha inteso riformare le banche popolari, prevedendo, tra l'altro:
   l'introduzione di limiti dimensionali per l'adozione della forma di banca popolare, con l'obbligo di trasformazione in società per azioni delle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro;
   una disciplina delle vicende straordinarie societarie (trasformazioni e fusioni) che si applica alle banche popolari, con lo scopo di introdurre una normativa uniforme per tutte le banche popolari, sottraendo agli statuti la determinazione delle maggioranze previste per tali vicende societarie;
   l'introduzione della possibilità, per tali istituti, di emettere strumenti finanziari con specifici diritti patrimoniali e di voto;
   l'allentamento dei vincoli sulla nomina degli organi di governo societario, con l'attribuzione di maggiori poteri agli organi assembleari;
   l'introduzione di limiti al voto capitario, consentendo agli atti costitutivi di attribuire ai soci persone giuridiche più di un voto.

  Per quanto riguarda le fondazioni bancarie, il Ministero dell'economia e delle finanza e l'ACRI hanno firmato un protocollo d'intesa che definisce in modo più analitico i parametri di riferimento cui le fondazioni conformeranno i comportamenti, con l'obiettivo di migliorare le pratiche operative e di rendere più solida la governance.
  Tra i principi cardine contenuti nel protocollo vi sono la diversificazione degli investimenti, il divieto generale di indebitamento e il divieto di utilizzo dei derivati. In relazione alla governance, l'organo di amministrazione, il presidente e l'organo di controllo durano in carica per un periodo massimo di quattro anni, rinnovabile una sola volta.
  Il decreto legislativo n. 72 del 2015 ha apportato modifiche al Testo Unico Bancario e al Testo Unico della Finanza volte a recepire la direttiva 2013/36/UE sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale. Il decreto legislativo ha altresì operato una complessiva riforma del sistema sanzionatorio in materia bancaria e finanziaria. Pag. 98
  La Banca d'Italia ha quindi dato avvio all'attuazione in Italia della direttiva emanando le disposizioni di vigilanza per le banche; il nuovo quadro regolamentare è finalizzato a rafforzare gli assetti di governance delle banche italiane. Le norme confermano la chiara distinzione di compiti e poteri tra gli organi societari, l'adeguata dialettica interna, l'efficacia dei controlli e una composizione degli organi societari coerente con le dimensioni e la complessità delle aziende bancarie.
  Per quanto riguarda invece il risanamento degli istituti creditizi, i decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 2015 hanno recepito la direttiva 2014/59/UE che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. In particolare:
   il decreto legislativo n. 181 introduce nel Testo Unico Bancario disposizioni relative ai piani di risanamento, alle forme di sostegno all'interno dei gruppi bancari, alle misure di intervento precoce;
   il decreto legislativo n. 180 reca la disciplina in materia di predisposizione di piani di risoluzione, avvio e chiusura delle procedure di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione, gestione della crisi di gruppi crossborder, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo di risoluzione nazionale.

  Il legislatore italiano, in tema di risoluzione delle crisi bancarie, è poi puntualmente intervenuto con il decreto-legge n. 183 del 2015, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, il cui testo è poi confluito nella legge di stabilità 2016 (articoli 1, commi 842-854 della legge n. 208 del 2015).
  Tali norme, nel quadro delle procedure di risoluzione delle crisi bancarie, sono state reputate necessarie a consentire la tempestiva ed efficace attuazione dei programmi di risoluzione di alcuni istituti bancari, segnatamente della Cassa di risparmio di Ferrara Spa, della Banca delle Marche Spa, della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e della Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa, tutte in amministrazione straordinaria. In particolare sono dettate misure e procedure specifiche ed eccezionali per la costituzione di quattro enti ponte, in corrispondenza delle summenzionate banche.
  Il Capo II del provvedimento reca misure volte a definire un meccanismo per smaltire i crediti in sofferenza presenti nei bilanci bancari da attuare mediante la concessione di garanzie dello Stato nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione che abbiano come sottostante crediti in sofferenza (Garanzia cartolarizzazione crediti in sofferenza – GACS).
  Come ben sappiamo, nel nostro Paese, le sofferenze lorde ammontano a 210 miliardi, quelle al netto delle rettifiche a 90 miliardi.
  Per effetto delle modifiche apportate durante l'esame in Commissione, sottostante delle operazioni di cartolarizzazione possono essere i crediti in sofferenza degli intermediari finanziari (iscritti all'albo di cui all'articolo 106 del Testo Unico Bancario) aventi sede in Italia. Inoltre è specificato che tali soggetti rivestono, nell'ambito dell'operazione di cartolarizzazione, il ruolo di società cedenti.
  In estrema sintesi, oggetto della garanzia dello Stato sono solo le cartolarizzazioni cosiddette senior, ossia quelle considerate più sicure, in quanto sopportano per ultime eventuali perdite derivanti da recuperi sui crediti inferiori alle attese. Non si procede al rimborso dei titoli più rischiosi se prima non sono integralmente rimborsate le tranches di titoli coperto dalla garanzie di Stato. Le garanzie possono essere chieste dalle società che cartolarizzano e cedono i crediti in sofferenza, a fronte del pagamento di una commissione periodica al Tesoro, calcolata come percentuale annua sull'ammontare Pag. 99garantito. Il prezzo della garanzia è di mercato, come anche ribadito dalla Commissione europea al fine di non dar vita ad aiuti di Stato. Si prevede che il prezzo della garanzia sia crescente nel tempo, allo scopo di tener conto dei maggiori rischi connessi a una maggiore durata dei titoli e di introdurre nel meccanismo un incentivo a recuperare velocemente i crediti. Al fine del rilascio della garanzia, i titoli devono avere preventivamente ottenuto un rating uguale o superiore all’investment grade da un'agenzia di rating indipendente e inclusa nella lista delle agenzie accettate dalla BCE secondo i criteri che le agenzie stesse sono tenute ad osservare. Con la presenza della garanzia pubblica si intende facilitare il finanziamento delle operazioni di cessione delle sofferenze senza impatti sui saldi di finanza pubblica.
  I crediti da cedere sono trasferiti alla società cessionaria per un importo non superiore al valore contabile netto alla data della cessione, in luogo della precedente formulazione che faceva invece riferimento al valore netto di bilancio.
  È stato parzialmente modificato il regime del rimborso degli interessi dei titoli mezzanine; nella formulazione originale della norma esse erano obbligatoriamente antergate al rimborso del capitale dei titoli senior, mentre ora esse possono essere antergate al rimborso del capitale dei titoli senior.
  Infine, si chiarisce che il soggetto incaricato della riscossione dei crediti ceduti deve essere diverso dalla società cedente e non appartenere allo stesso gruppo. L'eventuale decisione della società cessionaria o dei portatori dei Titoli di revocare l'incarico di tale soggetto non deve determinare un peggioramento del rating del Titolo senior da parte dell'ECAI.
  I pagamenti delle somme dovute ai prestatori di servizi e di quelle dovute alle controparti di contratti di copertura finanziaria possono essere condizionati a obiettivi di performance nella riscossione o nel recupero, in relazione ai portafogli di credi ceduti, ovvero siano – a determinate condizioni – postergati al completo rimborso del capitale dei titoli senior.
  Il Capo III reca norme fiscali relative alle procedure di crisi. In particolare, l'articolo 14 consente di escludere da tassazione, in quanto non costituiscono sopravvenienze attive, i contributi ricevuti a titolo di liberalità dalle imprese soggette a procedure concorsuali – fallimento, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione del debito, liquidazione coatta amministrativa – e a procedure di amministrazione straordinaria ovvero di gestione di crisi per gli enti creditizi fino ai 24 mesi successivi alla chiusura della procedura. L'articolo 15 disciplina il trattamento ai fini Ires e Irap da applicare alle operazioni di cessione di diritti, attività e passività di un ente sottoposto a risoluzione a un ente ponte. In sostanza, il trattamento fiscale della cessione di attività e passività da un soggetto sottoposto a risoluzione ad un ente ponte viene equiparato a quello attualmente previsto in caso di fusioni o di scissioni.
  L'articolo 16 prevede l'applicazione dell'imposta di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa sui trasferimenti di immobili nell'ambito di vendite giudiziarie effettuati dalla data di entrata in vigore del provvedimento fino al 31 dicembre 2016.
  Nel corso dell'esame in sede referente i trasferimenti immobiliari nell'ambito di vendite giudiziarie emessi a favore di soggetti che non svolgono attività d'impresa sono anch'essi assoggettati alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro, in caso di acquisto della prima casa.
  È inserito l'articolo 17-bis, che modifica la norma del TUB (articolo 120 del decreto legislativo n. 385 del 1993) che assegna al CICR (comitato interministeriale per il credito e il risparmio) il compito di stabilire le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, al fine di vietare il meccanismo di capitalizzazione degli interessi (anatocismo). In primo luogo si chiarisce che la periodicità nel conteggio degli interessi non può essere inferiore ad un anno, disponendo quindi il divieto della capitalizzazione infrannuale degli interessi, in Pag. 100armonia con quanto previsto dalla proposta di delibera CICR avanzata dalla Banca d'Italia e con quanto statuito dalla giurisprudenza. In secondo luogo si prevede che gli interessi debitori maturati (in luogo della attuale previsione che fa riferimento, incongruamente, agli interessi «periodicamente capitalizzati»), compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre ulteriori interessi, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale.
  Sono stati inoltre inseriti l'articolo 17-ter, in materia di assegni bancari, l'articolo 17-quater, sulla remunerazione del conto corrente di Tesoreria relativo alla Cassa Depositi e Prestiti, e l'articolo 17-quinquies sui pagamenti effettuati con mezzi diversi dal contante o dal conto corrente postale.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FEDERICO GINATO IN SEDE DI DISCUSSIONE GENERALE DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE (A.C. 3606-A)

  FEDERICO GINATO. Con questo decreto diamo un nuovo assetto ad un settore, quello del Credito Cooperativo, che da oltre un secolo rappresenta una delle esperienze più interessanti e vitali del nostro mondo bancario.
  Vorrei qui solo ricordare, come già fatto dall'onorevole Sanga, che la prima Cassa Rurale ed Artigiana nasce a Loreggia, in provincia di Padova, nel 1883 ma già alla fine del secolo le Casse rurali saranno 900 per poi raggiungere l'apice di 3.540 nel 1922.
  Sono spesso fondate da parroci, preoccupati di migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini e si sviluppano grazie all'opera di migliaia di soci e di tanti piccoli banchieri popolari che anticipano di un secolo figure come quelle di Muhammad Yunus, il banchiere dei poveri fondatore di una delle più interessanti esperienze di microcredito a livello mondiale.
  Le Casse rurali ed Artigiane, infatti, nascono con degli obiettivi solidaristici e mutualistici: per dare credito a chi difficilmente lo otteneva, per combattere l'usura, per unire le risorse di tanti piccoli risparmiatori e utilizzarle per lo sviluppo equilibrato della propria comunità, per modernizzare interi territori che si affacciavano ad un'economia che non era più solamente quella destinata alla mera sussistenza.
  Nell'erogare credito si affidano più sulla conoscenza diretta del socio, sulla reputazione più che sulle solidità delle garanzie.
  Erano forse altri tempi ma si tratta indubbiamente di una grande storia della quale questa riforma cerca di farsi carico recependo molte delle proposte avanzate dalla stessa Federazione nazionale delle Banche di Credito Cooperativo.
  Una riforma che ci restituisce un movimento del credito cooperativo unito. Non era un risultato scontato: nella patria dei mille campanili ogni singola BCC rappresenta indubbiamente delle forti identità territoriali che costituiscono spesso la grandezza del Paese ma che, altrettanto spesso, rischiano di sfociare in localismi deleteri che ne rappresentano anche la debolezza.
  La scelta di uno o più gruppi bancari con la soglia di patrimonio di un miliardo consentirà alle Bcc di poter contare su un forte punto di riferimento a livello centrale che avrà principalmente compiti di indirizzo e controllo. Solo nel caso in cui una singola banca dovesse avere dei problemi, e proporzionalmente alla dimensione di questi problemi, sarà giustificabile un intervento più marcato sul fronte non solo della governance ma anche della messa a disposizione dei capitali eventualmente necessari al mantenimento di una situazione economica di equilibrio.
  L'autonomia delle BCC viene dunque garantita, lo dico all'onorevole Alberti, a condizione che questa vada di pari passo con la garanzia di una sana e prudente gestione.
  Un'autonomia ulteriormente rafforzata dall'approvazione in sede di conversione di un mio emendamento che introduce la possibilità di creare sottogruppi territoriali Pag. 101facenti capo ad una spa bancaria sottoposta a direzione e coordinamento della capogruppo.
  È un'opportunità in più che si mette a disposizione di quelle banche o federazioni di banche che intendono valorizzare esperienze territoriali di condivisione di servizi volte a migliorarne la qualità e a generare importanti economie di scala.
  Chiarito dunque, che questa riforma non è una gabbia costruita per mortificare l'indipendenza delle BCC, credo che sia anche giusto sottolineare la bontà della soluzione raggiunta sulla cosiddetta way out durante il lavoro in Commissione.
  Le possibilità di non aderire al Gruppo Bancario Unico sono chiaramente definite nei modi e nei tempi. I paletti sono stati ben spiegati nell'intervento del relatore.
  Mi limito a sottolineare che con la riformulazione degli emendamenti Ginato e Pelillo viene sancito che il patrimonio costruito con il lavoro di tanti soci e che ha goduto di importanti benefici fiscali rimarrà in ogni caso sotto il controllo cooperativo e solamente la licenza bancaria potrà essere attribuita ad una spa previo il pagamento di una tassa del 20 per cento sul patrimonio.
  La cooperazione bancaria viene dunque ampiamente tutelata da questa riforma. Una cooperazione che non si sostanzia solamente nel permanere del sistema di elezione delle cariche sociali basato «sulla testa, un voto» ma continua a godere di importanti benefici fiscali a fronte dell'obbligo di destinare il 70 per cento degli utili a riserva.
  Obbligo che è all'origine dell'ottimo livello di patrimonializzazione delle BCC e che rappresenta uno dei cardini di un fare banca che non mira e non deve mirare alla massimalizzazione degli utili ma alla massimalizzazione della qualità dei servizi destinati ai propri soci.
  I quali, non acquistano le azioni per ricavarne una remunerazione importante ma per entrare in un sistema solidale che li possa aiutare a cogliere le opportunità di crescita economica e a superare le avversità di congiunture negative come quelle che abbiamo vissuto negli ultimi anni.
  Questo è ciò che distingue le BCC dal resto delle altre banche e ne fa il secondo pilastro del sistema bancario. Va anche detto che le suddette caratteristiche sarebbe stato bene lasciarle, a mio modesto parere, anche in capo alle Banche Popolari che invece sono state oggetto, nel corso dei decenni, di trasformazioni che ne hanno modificato profondamente la natura e sono tra le cause della crisi che alcune di esse stanno vivendo.
  In banche spesso di rilevanza sistemica e con decine di migliaia di soci, i legislatori che ci hanno preceduto si sono illusi di riuscire a mantenere la coesistenza tra un sistema di voto capitario e la massima remunerazione del capitale investito dai soci, il tutto spesso in assenza di una quotazione che determinasse il valore di mercato delle azioni.
  Un ibrido in troppi casi non ha funzionato.
  Tutto ciò ci deve indurre ad una riflessione seria su come tutelare quella che alcuni economisti definiscono la biodiversità bancaria e che è rappresentata, in assenza di una chiara separazione tra banche d'investimento e banche commerciali, dalle specifica identità di banche che hanno funzioni diverse ma che spesso sono positivamente complementari e sussidiarie rispetto al nostro sistema economico.
  In questo senso, dovremmo sforzarci di ragionare su quello che potrebbe essere il terzo pilastro del sistema bancario, cioè quello legato al mondo della finanza etica. Un mondo particolarmente innovativo, capace finora di stabilire modalità originali di erogazione del credito e di impiego di capitali con effetti particolarmente positivi per il nostro tessuto sociale e imprenditoriale. Effetti che andrebbero moltiplicati attraverso politiche di incentivazione fiscale che non devono essere viste come distorsioni del mercato ma come l'apertura di nuove opportunità per costruire quel bene comune che spesso le normali regole di mercato semplicemente non riescono a garantire.
  Questo deve essere un punto importante di un'azione di riforma del sistema Pag. 102finanziario che deve anche garantire una maggiore trasparenza verso i clienti e gli investitori, una vigilanza forte ed indipendente, una chiara individuazione delle responsabilità unitamente ad un meccanismo sanzionatorio che non appaia solo virtuale. Su questi campi alcune cose sono già state fatte ma resta sicuramente la necessità di una visione più complessiva e omogenea che ci dovrà guidare nel lavoro dei prossimi mesi.
  In ogni caso, è bene essere consapevoli che anche una finanza perfettamente regolata e vigilata, con gestione sana e prudente, non è indenne da una crisi che coinvolge l'intera economia reale e facilmente contagia o viene contagiata dal mondo finanziario. È ampiamente noto che i crediti deteriorati e le sofferenze hanno raggiunto livelli non più sostenibili dal nostro sistema bancario. È quindi senz'altro opportuna l'azione del Governo che ha inserito nel decreto legge la possibilità di prestare una garanzia statale sulla cartolarizzazione dei crediti in sofferenza, un'opportunità che speriamo possa essere accolta positivamente dal mercato e che aiuti ad alleggerire il bilancio delle banche italiane migliorando il prezzo di dei crediti che si intendono cedere.
  A questo proposito ricordo anche che esiste una differenza di parecchi punti percentuali tra il valore di carico delle sofferenze nei bilanci bancari e la valutazione che dà il mercato dei potenziali acquirenti. Una forbice di valore, si parla di una cifra attorno ai 40 miliardi di euro, che rischia di trasformarsi in ulteriori perdite e che può essere ridotta attraverso misure finalizzate alla riduzione dei tempi di recupero dei crediti, tempi che attualmente superano abbondantemente i 7 anni e che non possiamo più permetterci. Dati dell'ABI ci dicono che per ogni anno di riduzione la forbice di prezzo potrebbe calare di un 12/13 per cento.
  Su questo tema il Parlamento ed il Governo sono già intervenuti con la riforma delle procedure concorsuali prevista nel decreto-legge n. 83 del 2015 in attesa di una più ampia riforma della legge fallimentare e con il recente decreto legislativo sulle garanzie immobiliari.
  Comprendo perfettamente che si tratti di argomenti molto tecnici ma l'unica alternativa ad una discussione mi merito è quel populismo demagogico che insegue gli umori del momento e che all'inizio della crisi ci accusava di salvare le banche in difficoltà con soldi pubblici ed ora, nell'epoca del bail in, ci chiede addirittura di nazionalizzarle assumendoci le relativi perdite.
  Come Partito democratico non rinunciamo a farci carico anche dei tanti problemi che sono naturalmente collegati ad una svolta epocale com’è la realizzazione dell'unione bancaria europea ma siamo coscienti che solamente in quella dimensione potremo trovare una risposta positivamente duratura alle molte sfide che l'epoca in cui viviamo ci pone.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DELLA DEPUTATA MARINA BERLINGHIERI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI (DOC. LXXXVII-BIS, N. 4-A)

  MARINA BERLINGHIERI, Relatrice. La XIV Commissione Politiche dell'Unione europea ha svolto l'esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione per il 2016 «È il momento di andare oltre l'ordinaria amministrazione» (COM(2015)610final), della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2016 (Doc. LXXXVII-bis, n.4) e del Programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea (1o gennaio 2016 – 30 giugno 2017).
  L'attività conoscitiva ha riguardato l'audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega agli affari europei, Sandro Gozi, nonché di rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, ed ha consentito di acquisire utili elementi di valutazione.Pag. 103
  Sono state trasmesse inoltre, ai sensi della legge n. 234 del 2012, le risoluzioni approvate dalle regioni Lazio e Friuli – Venezia Giulia.
  Tutte le Commissioni permanenti, nonché il Comitato per la legislazione, per i profili ricadenti nell'ambito delle rispettive competenze, hanno espresso i pareri dei quali si dà conto in questa relazione.
  Va rilevato, innanzitutto, che in questa occasione il Parlamento è stato messo nelle condizioni di fornire un contributo utile entro il primo semestre dell'anno cui sono riferiti i documenti programmatici, avendo il Governo trasmesso la Relazione programmatica nel mese di dicembre 2015, entro i termini di legge.
  Si tratta di un dato particolarmente positivo, che consente di definire una cornice strategica coerente per la politica europea del nostro Paese, articolata intorno a grandi obiettivi e linee d'intervento prioritarie.
  Il Programma di lavoro della Commissione, il secondo del suo mandato, presentato il 27 ottobre 2015, si pone in una linea di continuità rispetto agli orientamenti politici dell'anno precedente, ribadendo l'impegno a favore delle dieci priorità indicate negli orientamenti politici presentati dal presidente Juncker nel luglio 2014.
  Unitamente al discorso sullo stato dell'Unione, il Programma della Commissione riporta lo stato dell'arte delle principali misure messe in atto finora dalla Commissione e prospetta le prossime azioni che si intendono intraprendere.
  La Commissione europea sottolinea che gli eventi dell'ultimo anno – tra cui la crisi greca, la pressione migratoria sempre più forte alle frontiere UE, gli attacchi terroristici, l'instabilità che regna nel vicinato dell'UE – hanno rafforzato la determinazione a puntare su queste priorità e a optare per un metodo di lavoro che vada oltre l'ordinaria amministrazione, basato su una coraggiosa azione pragmatica e sull'impegno a collaborare con il Parlamento europeo e con il Consiglio per conseguire i risultati che gli europei si attendono.
  Ci si trova di fronte, è evidente a tutti, ad una fase decisiva per il futuro delle istituzioni europee e della stessa Unione europea. Da come l'Europa saprà affrontare i fenomeni migratori e il pericolo terrorista, ma anche dall'esito della questione Brexit, si deciderà il futuro della costruzione europea. In tale quadro, la capacità concreta di produrre la discontinuità a cui la Commissione si è impegnata diventa decisiva per superare la crisi del rapporto tra Europa e cittadini europei e tornare a far percepire l'Europa come una opportunità e non come un vincolo o un problema.
  A tal fine nella Relazione programmatica viene attribuita importanza primaria al tema di un ritorno a una piena adesione al progetto europeo, che deve tornare ad essere percepito dai cittadini come utile, efficace e a loro vicino. È importante per il raggiungimento di questo obiettivo il lavoro che il nostro Paese sta svolgendo anche in vista del 60o anniversario della firma dei Trattati di Roma del 1957.
  Il Programma di lavoro si suddivide in 10 capitoli, corrispondenti a determinate priorità politiche, e reca sei allegati; in particolare, nel corso dell'esame in Commissione, ci si è soffermati sul primo, che raccoglie le 23 iniziative legislative che saranno proposte dalla Commissione europea nell'arco del 2016.
  La Relazione programmatica del Governo per l'anno 2016 è invece strutturata in cinque parti:
   gli impegni che il Governo intende assumere sulle questioni istituzionali e macroeconomiche;
   le priorità da adottare nel quadro delle politiche orizzontali, quali le politiche per il mercato unico e la competitività, e settoriali, quali le politiche di natura sociale o quelle rivolte al rafforzamento di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia in Europa ed oltre i suoi confini;
   la dimensione esterna dell'Unione (politica estera e di sicurezza comune, allargamento, politica di vicinato e di collaborazione con Paesi terzi);Pag. 104
   le strategie di comunicazione e di formazione sull'attività dell'Unione europea e la partecipazione italiana all'Unione europea;
   il ruolo di coordinamento delle politiche europee, svolto dal Comitato Interministeriale per gli Affari europei (CIAE) e il tema dell'adeguamento del diritto interno al diritto dell'Unione europea, con specifico riguardo alle attività di prevenzione e soluzione delle procedure di infrazione. Sono infine allegate al testo quattro Appendici con riferimenti ai documenti programmatici delle istituzioni europee.

  Il Programma di 18 mesi delle tre Presidenze olandese, slovacca e maltese, presentato il 3 dicembre 2015, riprende la struttura dell'Agenda strategica adottata dal Consiglio europeo del 27 giugno 2014.
  Si compone di cinque capitoli:
   1. Occupazione, crescita e competitività, a sua volta suddiviso in Mercato unico, Imprenditorialità e creazione di posti di lavoro, Investire nel futuro, Attrattiva globale, Unione economica e monetaria;
   2. Un'Unione che responsabilizza tutti i suoi cittadini e li protegge;
   3. Verso un'Unione dell'energia dotata di una politica lungimirante in materia di clima;
   4. Libertà, sicurezza e giustizia;
   5. L'Unione come attore forte sulla scena mondiale.

  Obiettivo primario, secondo il Trio di Presidenze, rimane quello della crescita economica e della creazione di posti di lavoro. Le iniziative che figurano nel Programma del Consiglio coincidono in gran parte con quelle della Commissione.
  L'esame congiunto dei richiamati documenti, insieme alle puntuali indicazioni recate nei pareri espressi dalle Commissioni permanenti nei rispettivi settori di interesse e emerse nel corso dell'attività conoscitiva, consente di individuare, nell'ambito delle condivisibili priorità indicate dalla Commissione europea, alcune iniziative cui attribuire particolare rilevanza.
  Iniziative per la cui analisi puntuale rimando alla relazione completa che deposito agli atti.
  Nell'ambito della priorità l. «Un nuovo impulso all'occupazione alla crescita e agli investimenti», si sottolinea, in riferimento all'attuazione del Fondo europeo per gli investimenti strategici di cui al cosiddetto «piano Juncker», la necessità di una politica economica europea che, pur non dimenticando una gestione rigorosa e solida dei conti pubblici, privilegi maggiormente la crescita e la creazione di posti di lavoro. Appare a tal fine opportuno potenziare e accelerare gli investimenti del citato Piano, anche alla luce del suo andamento, definito «deludente» dall'OCSE, per ottenere l'effetto moltiplicatore complessivo stimato dalla Commissione europea.
  Per il nostro Paese, come sottolineato dal Governo, le risorse del FEIS dovrebbero prevalentemente finanziare progetti per infrastrutture, investimenti ambientali, la Digital Agenda, investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione con il settore industriale privato, il finanziamento a piccole e medie imprese e Mid-caps.
  Quanto alla revisione della Strategia UE 2020, emerge la necessità di individuare tempestivamente obiettivi che tengano conto dei profondi mutamenti intervenuti nel contesto macroeconomico, rispetto al momento dell'adozione della Strategia stessa. Per favorire in particolare occupazione, sviluppo e inclusione sociale, appare prioritario promuovere l'estensione dell'efficacia dell'Iniziativa europea per l'occupazione giovanile, in modo da assicurare continuità alle misure adottate a livello nazionale nell'ambito del Programma operativo nazionale «Iniziativa occupazione giovani».
  Nel quadro dell'Agenda per le nuove competenze per l'Europa occorre potenziare una forte alleanza sistemica scuola-mondo del lavoro, tra istruzione e formazione professionale, tra cultura generale e Pag. 105competenze specialistiche. Appare questa la principale linea di intervento nel contrasto contro la disoccupazione giovanile, attraverso un sistema educativo che permetta una integrazione dell'apprendimento in aula ed in azienda. Il sistema duale appare infatti l'antidoto strutturale alla disoccupazione come occasione per rilanciare, anche con il contributo delle nuove tecnologie, quel concetto di cultura unitaria tra teoria e pratica, studio e lavoro, volto ad assicurare i livelli più elevati possibili di sviluppo economico, sociale e civile.
  Inoltre, il riconoscimento delle qualifiche professionali e l'implementazione delle procedure amministrative per il rilascio della tessera professionale europea, che il Governo italiano si accinge ad avviare, sono strumenti importanti non solo per semplificare, ma anche per agevolare la mobilità dei professionisti all'interno del mercato unico.
  In tale contesto non debbono naturalmente essere tralasciate le politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
  Per quanto concerne la priorità «2. Un mercato unico digitale connesso», nel corso dell'ultimo anno la Commissione europea ha presentato numerose iniziative, nel quadro della Strategia per il mercato unico digitale – diritto d'autore, commercio online, semplificazione e armonizzazione dei regimi IVA, registrazione online, anche transfrontaliera, delle imprese, portabilità dei contenuti tutelati da copyright - tutte condivisibili e all'attenzione del Parlamento.
  Tenuto conto del fatto che l'obiettivo della Commissione europea è di presentare tutte le proposte legislative necessarie entro la fine del 2016, occorre promuovere l'adozione di misure volte ad assicurare un elevato livello comune per la sicurezza delle reti e delle informazioni, la definizione di standard comuni per favorire l'interoperabilità all'interno dell'Unione, la rimozione delle barriere che ancora ostacolano lo sviluppo dei mercati online, la protezione dei consumatori su tali mercati.
  La priorità «3. Un'Unione dell'energia resiliente con politiche lungimiranti in materia di cambiamenti climatici» si articola intorno ad un'ambiziosa politica per il clima, in grado di garantire ai consumatori energia sicura, sostenibile e competitiva a prezzi accessibili. Obiettivo dell'Unione dell'energia è quello di trasformare i 28 mercati nazionali in un unico mercato integrato, basato sulla concorrenza e sull'uso ottimale delle risorse, che consenta ai flussi di energia di transitare liberamente attraverso le frontiere.
  A partire dal pacchetto di misure presentate nel febbraio 2015, la Commissione europea ha adottato molte delle iniziative annunciate nella tabella di marcia, sulle quali si sono espresse anche le competenti Commissioni di Camera e Senato, esprimendosi in senso favorevole e sollecitando la tempestiva adozione, in particolare, di tutte le misure attuative dell'Unione dell'energia, con particolare riguardo alla sicurezza degli approvvigionamenti del gas e dell'energia elettrica, in vista del dibattito politico previsto per il 6 giugno 2016 al Consiglio energia.
  A questo proposito, il Governo preannuncia il suo impegno affinché tutte le proposte che saranno presentate dall'esecutivo europeo siano corredate da adeguate analisi di impatto che tengano conto degli effetti incrociati e delle interrelazioni delle varie politiche. Si sottolinea inoltre l'esigenza di disporre di un sistema di reportistica comune che usufruisca di indicatori atti a valutare le performance degli Stati membri nel raggiungere gli obiettivi al 2030.
  Altra priorità del Governo nell'ambito dell'Unione dell'energia sarà quella di concludere i negoziati sulla proposta di regolamento sull'etichettatura energetica.
  Per quanto riguarda le politiche sul clima, il Governo italiano intende impegnarsi nella definizione degli atti legislativi necessari ai fini dell'applicazione del Quadro 2030 per l'energia e il clima adottato dal Consiglio europeo nell'ottobre 2014. In tale contesto, nell'ambito dell'iter di modifica della direttiva 2003/87/CE relativa al sistema di scambio quote emissioni (ETS), Pag. 106intende garantire che il sistema ETS si rafforzi, adotti regole di assegnazione gratuita che riflettano il progresso tecnologico e siano a favore degli impianti più efficienti, divenga più armonizzato per quanto riguarda la gestione del «carbon leakage diretto» ovvero la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio in paesi con limiti di emissione meno severi, nonché si doti di regole più lineari, procedure meno laboriose e semplificazioni amministrative.
  La priorità «4. Un mercato unico più profondo e più equo con una base industriale più solida» è volta a consolidare i punti di forza del mercato unico, con particolare attenzione alle iniziative in materia di economia collaborativa e di introduzione di un piano d'azione sull'IVA che introduca un regime «definitivo, efficiente e a prova di frode».
  In tale ambito l'esame parlamentare ha evidenziato l'esigenza di tradurre concretamente la Strategia sulla rinascita industriale, da tempo delineata dalle Istituzioni europee, attraverso l'adozione di misure concrete, con particolare riguardo al settore manifatturiero e alla realizzazione del Piano d'azione per una siderurgia europea competitiva e sostenibile, anche rafforzando l'efficacia delle politiche a favore delle piccole e medie imprese. Particolare attenzione merita inoltre l'iniziativa della Commissione europea su Industria 4.0, al fine di massimizzare i benefici delle tecnologie digitali in ogni settore industriale in Europa.
  In tema di sicurezza dei prodotti, Governo e Parlamento concordano sulla particolare importanza dell'adozione di una normativa europea nei termini prospettati dall'attuale articolo 7 della proposta di regolamento di cui alla comunicazione COM(2013)78, che prevede l'obbligo per fabbricanti e produttori di indicare la provenienza di origine per i prodotti non alimentari venduti nel mercato europeo. (X Commissione).
  L'Italia continuerà, inoltre, a dare il suo contributo alla lotta alla contraffazione, seguendo le linee strategiche dell'Unione europea, anche attraverso i piani operativi dell'EU Policy Cycle (il ciclo programmatico dell'Unione europea per contrastare la criminalità organizzata e le forme gravi di criminalità internazionale, adottato nel 2010), dove il Governo italiano ha il ruolo di coordinatore della priorità «contraffazione di merci con impatto sulla salute e sicurezza pubblica». In tale ambito il Governo si propone di sostenere in sede europea l'introduzione dell'indicazione obbligatoria dell'origine, non in via generale, ma all'interno delle normative dell'Unione europea che disciplinano i singoli settori merceologici.
  La priorità «5. Un'Unione economica e monetaria più profonda e più equa» si concentra innanzitutto su una serie di misure attuative della Relazione dei cinque Presidenti sul tema «Completare l'Unione economica e monetaria dell'Europa».
  In sede di esame parlamentare dei documenti, è stata evidenziata – in via generale – l'opportunità di garantire maggiore flessibilità sia nella gestione dei conti pubblici e nelle politiche di investimento comuni, sia nell'applicazione delle regole riguardanti il saldo dei bilanci pubblici.
  Con specifico riferimento al sistema creditizio è invece emersa l'esigenza di adoperarsi per il completamento dell'Unione bancaria, con l'introduzione, nel più breve tempo possibile, del terzo pilastro della garanzia comune europea sui depositi bancari, in aggiunta ai due pilastri già attuati del meccanismo unico di vigilanza europea e del meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie.
  Inoltre, è stata evidenziata l'opportunità che il Governo continui gli approfondimenti in sede europea su questioni di fondo quali quelle riguardanti: la ridotta disponibilità di credito bancario; il problema dei crediti in sofferenza delle banche; la connessa disciplina del bail-in (di cui alla direttiva 2014/59/UE); la creazione di un Tesoro europeo, nonché le misure in materia di requisiti patrimoniali degli enti creditizi, a sostegno dell'erogazione del credito per le PMI.
  La priorità «6. Un accordo realistico e equilibrato di libero scambio con gli Stati Pag. 107Uniti (TTIP)» vede proseguire in negoziati tra Ue e USA su temi particolarmente sensibili.
  La Commissione europea, come richiesto in più occasioni anche dal Parlamento italiano, ha acconsentito ad estendere l'accesso ai documenti negoziali ai parlamentari nazionali. Inoltre, la Commissione proseguirà ad attuare la propria agenda sugli scambi bilaterali, che già coinvolge 27 partner negoziali e che integra il sistema multilaterale dell'Organizzazione mondiale del commercio.
  In particolare, nel 2016, la Commissione cercherà di pervenire all'applicazione provvisoria di un certo numero di nuovi accordi, tra cui quelli conclusi con il Canada e con diverse regioni dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico. Tali accordi possono costituire un'opportunità per il nostro paese, che tuttavia deve esigere la piena tutela della qualità dei propri prodotti, considerato che, specie nel settore agroalimentare, la biodiversità italiana e l'attenzione alle produzioni di qualità e attente alle esigenze ambientali non possono essere messe in discussione.
  La priorità «7. Uno Spazio di libertà, sicurezza, giustizia e di diritti fondamentali basato sulla reciproca fiducia» si concentra sulla risposta dell'Unione europea nei confronti del terrorismo e della radicalizzazione, della criminalità organizzata e della criminalità informatica. Il programma si riferisce ad alcune iniziative dirette ad attuare l'Agenda sulla sicurezza (riesame della decisione quadro sulla lotta al terrorismo; proposta sulla lotta contro le frodi e le falsificazioni dei mezzi di pagamento diversi dai contanti; revisione del quadro legislativo per il controllo delle armi da fuoco). Il Programma prevede inoltre il perfezionamento del processo di adozione della riforma in materia di protezione dei dati e affronta il tema dell'istituzione della Procura europea e della riforma di Europol.
  Nell'ambito della priorità «8. Verso una nuova politica della migrazione», la Commissione evidenzia che la priorità più urgente resta quella della crisi dei rifugiati, e richiama le misure già adottate nell'ambito dell'Agenda europea sulla migrazione del 13 maggio 2015.
  Per quanto concerne la posizione del Governo riguardo al tema delle migrazioni, la strategia complessiva mira alla valorizzazione dei principi di responsabilità, solidarietà, leale collaborazione e fiducia reciproca che devono ispirare anche l'azione dell'Unione europea ed i rapporti tra gli Stati membri. Obiettivo del Governo, con la collaborazione degli altri Stati membri, sarà – oltre alla piena attuazione dell'Agenda europea sulla migrazione – una effettiva applicazione delle decisioni relative alla cosiddetta relocation dei richiedenti protezione internazionale.
  In quest'ottica, è intenzione del Governo sottolineare l'esigenza di un rafforzamento dell'Agenzia Frontex, che passi anche attraverso una riforma del suo mandato, e la necessità di sviluppare una concreta politica europea in materia di rimpatri. Il Governo, quindi, sosterrà e stimolerà l'Unione europea per accrescere gli sforzi volti alla definizione di nuovi accordi di riammissione con Paesi terzi ed all'attuazione di quelli già conclusi.
  L'Italia ribadirà, inoltre, l'importanza di concentrare l'azione dell'Unione europea, oltreché sui richiedenti protezione internazionale, anche nei confronti dei cosiddetti migranti economici, nella convinzione che, per una concreta politica europea in materia migratoria, occorra sviluppare strategie complessive e organiche che tengano conto di tutte le componenti dei flussi.
  In considerazione delle evidenti criticità, dimostrate dall'attuale sistema di Dublino, di fronte alle situazioni di emergenza della crisi migratoria tuttora in corso, il Governo sosterrà infine il progetto di riforma del Regolamento Dublino, presentato dalla Commissione europea il 9 settembre 2015 (COM(2015) 450), finalizzato a creare, in casi di crisi, un sistema obbligatorio di relocation di richiedenti protezione internazionale tra gli Stati membri.
  Appare opportuno sottolineare in questo quadro l'evidente l'impatto di tali politiche Pag. 108sulla dimensione regionale e locale, soprattutto in merito alla prima accoglienza, e la conseguente necessità di tenere adeguatamente conto delle istanze dei territori maggiormente interessati.
  La priorità «9. Un ruolo più incisivo a livello mondiale», evidenzia la necessità generale di rafforzare la coerenza dell'azione esterna dell'Unione.
  A tal fine, la Commissione individua obiettivi e linee d'azione prioritarie: pieno sostegno all'Alta Rappresentante e Vicepresidente nei lavori per la predisposizione di una nuova strategia globale in materia di politica estera e di sicurezza, che dovrebbe essere presentata in occasione del Consiglio europeo del giugno 2016; impegno proattivo a sostegno degli attori internazionali, primi fra tutti Nazioni Unite e OSCE, onde far fronte alle più gravi crisi internazionali, quali i conflitti in Siria, Libia e Ucraina.
  Nella Relazione programmatica, il Governo ribadisce il proprio sostegno alla politica dell'allargamento tesa a: prospettiva europea dei paesi dei Balcani occidentali e della Turchia, con particolare riferimento all'apertura di nuovi capitoli negoziali con Serbia e Montenegro; attuazione dell'Accordo di stabilizzazione e associazione UE-Kosovo; impegno nel cammino di integrazione europea e nei processi di riforma in atto in Albania; rilancio del processo di integrazione europea della Macedonia; prosecuzione del processo di riforme avviato in Bosnia-Erzegovina dopo l'entrata in vigore, nel luglio 2015, dell'Accordo di stabilizzazione e associazione; capitoli negoziali con la Turchia con l'obiettivo di incoraggiare Ankara a recepire e allinearsi ai valori fondanti dell'UE in tema di stato di diritto e libertà fondamentali.
  In sede parlamentare, con specifico riferimento al settore della difesa, è emersa l'esigenza che il Governo accentui il suo impegno affinché l'Europa mantenga costante l'attenzione sui Paesi dell'area balcanica ed in particolare sulla Bosnia, che è divenuta il quarto Paese per provenienza dei combattenti stranieri (foreign fighters) che si sono uniti all'ISIS.
  La priorità «10. Un'Unione di cambiamento democratico» si incentra principalmente sulla conclusione dei negoziati sul nuovo accordo interistituzionale «Legiferare meglio».
  L'accordo prevede una cooperazione più stretta tra le istituzioni nell'ambito della programmazione legislativa, il rafforzamento delle valutazioni d'impatto delle nuove iniziative ed una maggiore trasparenza e consultazione pubblica nell'iter legislativo.
  Nell'ambito del rafforzamento della trasparenza del processo decisionale interno all'Unione, la Commissione ribadisce l'intenzione già annunciata per il 2015, di voler presentare una proposta di accordo interistituzionale per l'obbligatorietà di un registro per la trasparenza obbligatorio, per tutti i rappresentanti di interessi (lobby), in modo da garantire che tutte le istituzioni europee indichino chiaramente chi influenza il processo decisionale europeo.
  Infine, la Commissione esprime la volontà di proseguire e intensificare il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nel dialogo politico e nel processo decisionale europeo, nonché di ampliare i «dialoghi con i cittadini» che consentono alla Commissione di ascoltare direttamente i cittadini nelle loro regioni e di rispondere alle domande che stanno loro a cuore.
  Meritano un richiamo anche le politiche in materia di trasporti stradale ferroviario e aereo.
  In linea generale è opportuno sostenere interventi organici di contrasto al cabotaggio abusivo all'interno dell'Unione, così da prevenire iniziative dei singoli Stati membri non coordinate o, addirittura, contrastanti. Relativamente alla proposta della Commissione di regolamentare alcuni aspetti della sharing economy nel trasporto di persone, è opportuno sostenere le iniziative volte a regolamentare a livello europeo e a promuovere il car sharing e il car pooling, al fine di pervenire a una regolamentazione dei servizi di trasporto pubblico non di linea che tenga conto della diffusione di tali modalità di trasporto.Pag. 109
  Nel complesso, sia a livello europeo sia a livello nazionale, emerge l'esigenza di una politica complessiva dei trasporti e della logistica rivolta a sostenere l'intermodalità, a favorire i sistemi di trasporto sostenibili, a garantire l'adeguatezza e l'efficienza nello svolgimento del servizio di trasporto pubblico locale e a ridurre i livelli di congestione del traffico, in particolare in ambito urbano.
  In questo ambito, con specifico riferimento al semestre di Presidenza olandese, sarà dato avvio all'Agenda urbana europea, attraverso la prevista conclusione, il 30 maggio 2016, del «Patto di Amsterdam». In vista di tale evento, la Presidenza ha in programma di stabilire partnership tra Stati membri, città, Commissione europea e altri attori, sui temi della qualità dell'aria, degli alloggi, della povertà e dell'integrazione dei rifugiati e degli immigrati. Sarà svolto anche un Consiglio informale congiunto Ambiente e Trasporti, il 14 e 15 aprile 2016, sulle tecnologie e le politiche innovative per trovare soluzioni di trasporto intelligenti e verdi, tra cui la guida automatizzata (smart mobility). Potrebbe essere questa l'occasione per sollecitare una attenta riflessione sulla gestione dei dati relativi al trasporto, anche al fine di pervenire all'elaborazione di uno standard unico per la comunicazione di tali dati, valido all'interno di tutta l'Unione.
  Nella Relazione programmatica, il Governo si sofferma infine, opportunamente, sulle iniziative in materia di politiche sanitarie, con particolare attenzione alla tutela della salute delle popolazioni migranti e alla prevenzione delle malattie infettive, nonché in materia di sicurezza alimentare.
  Il nostro Paese è da sempre in prima linea e deve continuare ad esserlo nel settore dei controlli al fine di garantire la massima tutela ai consumatori e di prevenire le frodi.
  Il Governo fa altresì riferimento ai programmi europei per la salute dei giovani e in materia di sanità pubblica, ma nei documenti in esame – si tratta di una lacuna che deve essere sottolineata – non vi sono riferimenti a specifici piani di intervento per la disabilità.
  In sede di relazione per l'Aula, Signora Presidente, Onorevoli Colleghi, mi preme sottolineare, come l'esame dei documenti programmatici del Governo e delle Istituzioni dell'Unione rappresentino una occasione unica per svolgere alcune considerazioni di carattere generale sulle strategie politiche dell'Unione Europea e sulle priorità del nostro Paese al riguardo.
  La riflessione su tali atti è particolarmente utile per il nostro Paese che, anche rispetto ai maggiori partner, patisce le conseguenze di processi decisionali estremamente farraginosi e spesso gravati dalla difficoltà di ricondurre le singole decisioni entro un quadro più ampio e coerente di strategie e indirizzi.
  L'Unione europea vive una fase estremamente difficile; da più parti si afferma che si tratterebbe del momento di maggiore difficoltà dall'avvio del processo di integrazione.
  L'anniversario della stipula dei Trattati di Roma, che cadrà il prossimo anno, offrirà l'opportunità di verificare l'idoneità dell'attuale assetto dell'Unione europea e delle sue politiche a rispondere adeguatamente alle sfide e ai problemi che siamo chiamati ad affrontare.
  Si tratta di sfide e problemi di dimensioni globali che, lo abbiamo detto tante volte, non possono essere affrontati dai singoli Stati ma richiedono necessariamente una risposta comune.
  L'impressione generale è che la Commissione Junker abbia avviato la sua attività mossa da una seria intenzione di segnare una svolta rispetto alla precedente Commissione, concentrando le sue iniziative su alcune grandi questioni.
  Anche la scelta delle priorità è apparsa pienamente condivisibile: l'Agenda per la migrazione; l'avvio del cosiddetto piano Junker per la ripresa degli investimenti; l'Unione per l'energia; il completamento dell'Unione bancaria e l'avvio di una discussione sulla flessibilità per quanto concerne le regole di finanza pubblica sono stati tutti segnali positivi che hanno alimentato Pag. 110un largo giudizio favorevole nei confronti della Commissione europea.
  Alla individuazione di queste priorità ha contribuito peraltro in misura decisiva l'iniziativa di alcuni Paesi membri, tra i quali in primo luogo l'Italia, che ha ripetutamente segnalato l'esigenza di una azione più decisa da parte dell'Unione Europea per ricollocarla al centro degli scenari internazionali e consentire al complesso dei Paesi membri di recuperare tassi accettabili di crescita e di realizzare effettivamente gli obiettivi che erano indicati nella Strategia Europa 2020, a cominciare dalla riduzione della quota di collazione al rischio povertà e dell'aumento dell'occupazione, che sino ad ora hanno trovato soltanto una limitata attuazione.
  L'indicazione di obiettivi e priorità condivisibili si accompagna tuttavia alla evidente difficoltà della Commissione europea di proseguire con coerenza lungo le linee indicate: è diffusa l'impressione che la Commissione europea abbia perso la sua capacità di azione di fronte alle resistenze e alle perplessità manifestate da alcuni Paesi membri.
  Mi riferisco alle vicende che hanno fino ad oggi rallentato il programma di ricollocamento dei migranti per l'attuazione dell'Agenda sulla migrazione, ai contrasti che stanno segnando il completamento del progetto dell'Unione bancaria che implica una parziale mutualizzazione e a talune contraddittorie pronunce delle Istituzioni europee relativamente ai progetti di collaborazione con i paesi fornitori in materia energetica.
  Inoltre, la perdurante crisi economica, soltanto parzialmente in via di soluzione, considerate le gravissime conseguenze sul piano produttivo e sociale che essa ha determinato; l'instabilità dei mercati finanziari che espone alcuni paesi europei (quelli più indebitati sia dal punto di vista della finanza pubblica che da quella privata) al rischio di attacchi speculativi; il rafforzamento della competitività dei sistemi economici europei di fronte alla concorrenza agguerrita delle cosiddette economie emergenti, pongono l'Unione europea di fronte al centrale problema della crescita.
  Se l'Europa crescesse di più la crisi migratoria peserebbe meno sia sotto il profilo finanziario che dal punto di vista dei timori e delle ansie che suscita nei cittadini dei paesi membri.
  Eppure dobbiamo registrare la situazione paradossale per cui le Istituzioni europee continuano a reagire con scetticismo alle richieste italiane perché si riorientino le politiche europee verso la crescita. Crescita della domanda interna, in primo luogo, attraverso un rilancio degli investimenti, perché economie mature come sono quelle europee non possono fondare le loro prospettive di sviluppo soltanto sulle esportazioni.
  Senza una crescita della domanda interna il tasso di inflazione non tornerà ai livelli fisiologici che il Presidente della BCE spera di conseguire e l'Europa resterà destinata ad una triste e prolungata fase deflazionistica, mentre non si esclude all'orizzonte una nuova crisi che metterebbe ancora più in difficoltà il nostro Continente che non ha ancora recuperato il terreno perso in questi anni, a differenza degli Stati Uniti.
  Proprio le scelte della BCE ci dimostrano che la volontà politica può cambiare l'interpretazione delle regole, rendendole dinamiche e rispondenti alle esigenze dei tempi.
  Occorre quindi svolgere un'azione di forte sollecitazione perché la Commissione europea non rinunci al ruolo decisivo che i Trattati le conferiscono, di motore dell'iniziativa legislativa, e non subisca la pressione verso il sistema intergovernativo che attualmente, per l'evidente squilibrio che si registra all'interno dell'Unione Europea, privilegia nettamente alcuni Stati membri a scapito di altri.
  Per questo motivo, l'esame dei documenti programmatici rappresenta per il Parlamento italiano un'opportunità decisiva per contribuire a fornire al Governo utili indicazioni affinché nelle sedi negoziali Pag. 111europee gli interessi primari del nostro Paese possano trovare adeguato spazio e non vengano sacrificati.
  Proprio in forza delle indicazioni che scaturiscono dall'analisi dei documenti programmatici il nostro Paese, quale attore principale del cambiamento, è chiamato a chiedere con forza che vengano sostenute politiche volte ad incrementare gli investimenti nei settori strategici e che si possano sperimentare ulteriori strumenti di sostegno alla crescita dell'Unione.
  Sotto tale profilo e sulla base delle priorità individuate, occorre sostenere un'eventuale rimodulazione delle risorse, partendo dalla revisione intermedia del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) 2014-2020 e da quella dell'attuale sistema Europeo delle risorse proprie, sulla base dei risultati del Gruppo di lavoro che saranno presentati nel mese di giugno 2016.
  Il 60o anniversario della stipula dei Trattati di Roma, che cadrà nel marzo 2017, offrirà l'opportunità di verificare l'idoneità dell'attuale assetto dell'Unione europea e delle sue politiche a rispondere adeguatamente alle sfide e ai problemi che l'Europa ha di fronte, e che non possono essere affrontati dai singoli Stati ma richiedono necessariamente una risposta comune.
  Ecco perché, in tema di rilancio dell'integrazione europea e di funzionamenti delle Istituzioni dell'Unione, Parlamento e Governo dovranno adoperarsi affinché sia dato seguito alle proposte attualmente in discussione presso la Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo sul miglioramento del funzionamento dell'Unione, sfruttando le potenzialità del Trattato di Lisbona.
  È necessario valorizzare le istituzioni parlamentari, sia per quanto concerne il Parlamento europeo sia per quanto riguarda i Parlamenti nazionali, e semplificare l'articolazione istituzionale dell'Unione per recuperare il consenso e la legittimazione dell'Unione europea presso i cittadini, senza dimenticare la difesa dei valori fondamentali dell'Unione, nonché la conclusione del processo di adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
  È utile che il Governo continui – come ha fatto negli ultimi mesi – a perseverare nella sua richiesta di maggiore flessibilità, sia nella gestione dei conti pubblici e nelle politiche di investimento comuni, sia nell'applicazione delle regole riguardanti il saldo dei bilanci pubblici.
  Dobbiamo insistere per il completamento dell'Unione bancaria, con l'introduzione del terzo pilastro della garanzia comune europea sui depositi bancari, in aggiunta ai due pilastri già attuati del meccanismo unico di vigilanza europea e del meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie.
  Infine, in tema delle politiche di migrazione, l'Italia ha più volte espresso la propria perplessità nei confronti di misure tampone, incapaci di dare una soluzione concreta al dramma che molti popoli stanno vivendo. Per questo occorre da un lato continuare a lavorare perché vi sia una strategia europea condivisa nei fatti, perché’ si superi e si riveda il trattato di Dublino e dall'altro vi sia un forte investimento in ricerca. La crisi dei migranti e più in generale il fenomeno dei flussi migratori (che va oltre l'emergenza attuale), vanno affrontati con un enorme sforzo di ricerca e innovazione indirizzati a un forte cambiamento culturale nella mentalità dei cittadini europei.
  Per concludere dunque, l'Italia deve continuare ad essere in prima linea/protagonista, d'intesa con i Paesi che fanno parte dell'attuale trio di Presidenze e con Paesi fondatori, nella promozione di iniziative politiche e informative sul rilancio del progetto dell'Unione.
  Dobbiamo arrivare pronti al sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, per celebrare degnamente quello che è non solo un momento storico importante ma anche una tappa fondamentale nel percorso di riscoperta e rilancio della integrazione europea.

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TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO FRANCESCO MONACO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA (A.C. 3329-A)

  FRANCESCO MONACO, Relatore. Illustre Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, la Convenzione in materia fiscale tra l'Italia e la Santa Sede firmata il 1o aprile scorso recepisce, in linea con il processo in atto verso l'affermazione a livello globale della trasparenza nel campo delle relazioni finanziarie, il più aggiornato standard internazionale in materia di scambio di informazioni di natura fiscale (articolo 26 del Modello dell'Organizzazione per la cooperazione e sviluppo economico-OCSE) al fine di disciplinare la cooperazione amministrativa tra le autorità competenti delle due Parti contraenti.
  Tale cooperazione ai fini fiscali è ora possibile anche in relazione alle riforme introdotte a partire dal 2010 e la creazione presso la Santa Sede di istituzioni con specifiche competenze in materia economica e finanziaria. Non è un caso che il primo accordo bilaterale sullo scambio di informazioni sottoscritto dalla Santa Sede sia proprio con il nostro Paese, a testimonianza della rilevanza delle relazioni bilaterali: esso è stato seguito, il 10 giugno scorso, dall'Accordo fra la Santa Sede e gli Stati Uniti d'America, per favorire l'osservanza a livello internazionale degli obblighi fiscali e attuare il Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA).
  La Convenzione dà anche attuazione a quanto previsto dal Trattato Lateranense relativamente all'esenzione dalle imposte per gli immobili della Santa Sede indicati nello stesso Trattato.
  Nel rinviare all'esame in Commissione per la descrizione più analitica dell'articolato, in questa sede mi limito a richiamare che il provvedimento istituisce, a regime, un sistema di tassazione dei proventi e delle attività finanziarie detenute presso enti che svolgono professionalmente un'attività di natura finanziaria nello Stato della Città del Vaticano da parte di taluni soggetti residenti in Italia. In particolare, si tratta di persone fisiche e giuridiche che concorrono alla realizzazione delle finalità della Chiesa cattolica, nonché di persone fisiche che, in ragione del rapporto di servizio con la Santa Sede, fruiscono del regime di esenzione fiscale stabilito dall'articolo 17 del Trattato del Laterano. Il nuovo sistema semplifica l'adempimento spontaneo degli obblighi tributari per i soggetti interessati dalla Convenzione, attraverso l'individuazione di un rappresentante fiscale in Italia che si occupa della determinazione, del prelevamento e del versamento delle imposte dovute dal contribuente, ricalcando uno schema operativo già noto nel contesto della tassazione italiana dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria.
  In coerenza con il passaggio al nuovo regime di adempimento degli obblighi tributari, si stabilisce un meccanismo di regolarizzazione delle posizioni fiscali dei soggetti interessati dalla Convenzione relativamente a tutti gli anni ancora accertabili ma non oltre l'anno d'imposta 2013. In particolare, per le persone fisiche si prevede il pagamento delle imposte sulle attività e sui redditi finanziari da esse generati per tutti i periodi d'imposta ancora accertabili alla data di entrata in vigore della Convenzione, a condizione che le somme che hanno concorso alla formazione delle attività regolarizzate derivino da redditi esenti di cui all'articolo 17 del Trattato del Laterano, ovvero da somme non assoggettabili a imposta in Italia, ovvero da redditi già integralmente assoggettati a tassazione in Italia, ovvero da redditi per i quali sono prescritti i periodi di accertamento.
  La regolarizzazione per le persone giuridiche interessate prevede che il perfezionamento della stessa avvenga dietro pagamento delle imposte sui redditi finanziari delle attività generati negli anni di imposta 2014 e 2015 (periodo transitorio) con il ricorso (anticipato) al nuovo regime di adempimento degli obblighi tributari attraverso il rappresentante fiscale in Italia. Pag. 113La regolarizzazione delle posizioni fiscali di persone fisiche e giuridiche avviene attraverso la trasmissione all'Agenzia delle entrate e rimangono inalterati tutti i dispositivi antiriciclaggio.
  Si è reso necessario conciliare i tempi necessari all'entrata in vigore della Convenzione con la necessità di adempiere agli obblighi di corresponsione dell'imposta per i periodi 2014 e 2015 (non regolarizzabili) senza pregiudicare l'obiettivo di semplificazione degli adempimenti. La Convezione prevede pertanto la possibilità che i soggetti interessati possano «anticipare» l'applicazione del nuovo regime anche per il periodo transitorio (periodi d'imposta 2014 e 2015), esprimendo tale opzione entro i medesimi termini previsti per la presentazione dell'istanza di regolarizzazione.
  Previa presentazione di apposita istanza, il contribuente dovrà corrispondere:
   per ciascun periodo d'imposta da regolarizzare (2009, 2010 e 2011), una somma pari al venti per cento dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, determinati secondo i criteri determinati dall'Accordo;
   per i periodi d'imposta 2012 e 2013, una somma corrispondente all'IVAFE – imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero.

  Con la regolarizzazione viene garantita l'operatività degli effetti della cd. voluntary disclosure, cui si fa espresso riferimento nel testo dell'Accordo, in ordine alla non punibilità per alcuni reati tributari ed alcuni reati contro il patrimonio.
  Inoltre, per gli istituti di vita consacrata, le società di vita apostolica e gli altri enti con personalità giuridica canonica o civile vaticana, la disciplina del periodo pregresso, del periodo transitorio e quella a regime non si applica agli eventuali redditi d'impresa, redditi fondiari e redditi diversi (fatta eccezione per i capital gains derivanti dalle attività finanziarie detenute nello Stato della Città del Vaticano) di pertinenza di tali enti. Per tali redditi rimangono ferme le disposizioni previste dalla legislazione fiscale italiana, incluse le norme in materia di collaborazione volontaria.
  Restano salve le disposizioni previste dall'articolo 16, alinea primo, del Trattato del Laterano che stabilisce alcune garanzie specifiche in favore di alcuni edifici, tassativamente indicati negli articoli da 13 a 16 dello stesso Trattato e situati (quasi tutti, a eccezione di quelli indicati nello stesso articolo 16, comma 1) nelle zone cosiddette extraterritoriali, ovvero beneficiarie «delle immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di Stati esteri» (articolo 15, comma 1, del Trattato lateranense).
  La Convenzione attua inoltre quanto previsto dal Trattato del Laterano relativamente all'esenzione dalle imposte per gli immobili della Santa Sede indicati nello stesso Trattato. Infine, è integrato nella Convenzione lo Scambio di note del luglio 2007 tra il Ministero degli Affari Esteri e la Segreteria di Stato, che prevede la notifica per via diplomatica degli atti tributari ad enti della Santa Sede. Tale Scambio di note dovrà essere opportunamente menzionato nel titolo del provvedimento mediante la presentazione di un emendamento formale, che preannuncio.
  Concludo sottolineando, come già avvenuto nel corso dell'iter in Commissione, che l'Accordo registra doverosamente un processo di risanamento virtuoso avviato da parte delle massime istituzioni ecclesiastiche già nel 2010, nel corso del pontificato di Benedetto XVI. Quanto alle garanzie che la Convenzione assicura a specifici immobili, esse si spiegano alla luce delle disposizioni tuttora vigenti del Trattato del 1929, che, nel risolvere la cosiddetta «questione romana», a fronte delle penalizzazioni territoriali subite dal Vaticano prevedeva talune garanzie in funzione risarcitoria. Da questo punto di vista la stessa Corte di Cassazione italiana ha riconosciuto l'inadempienza dell'Italia su tale terreno alla luce della piena vigenza del Trattato. Auspico pertanto una rapida approvazione di questo provvedimento che è pienamente in linea con il processo in atto verso l'affermazione Pag. 114a livello globale della trasparenza nel campo delle relazioni finanziarie e recepisce il più aggiornato standard internazionale in materia di scambio di informazioni fiscali.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO MARIANO RABINO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA (A.C. 3330)

  MARIANO RABINO, Relatore. Illustre Presidente, Colleghi deputati, Rappresentante del Governo l'Accordo al nostro esame è stato sottoscritto il 2 marzo scorso dalle autorità fiscali del nostro Paese e del Principato di Monaco ed è modellato sugli standard dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) in tema di scambio delle informazioni fiscali (Tax information exchange agreement – TIEA), per cui lo Stato al quale sono richieste le informazioni non può rifiutarsi di fornire allo Stato richiedente la collaborazione amministrativa per mancanza di interesse ai propri fini fiscali, né opporre il segreto bancario.
  All'Accordo si accompagna un Protocollo, che costituisce parte integrante dell'Accordo medesimo, il quale prevede l'effettuazione di richieste di gruppo. Il predetto Protocollo consente di presentare richieste in relazione a categorie di comportamenti che fanno presumere l'intenzione dei contribuenti di nascondere al fisco italiano patrimoni/attività detenute irregolarmente nel Principato di Monaco.
  L'Accordo ha un effetto positivo sull'esito della voluntary disclosure, in quanto allarga la platea dei potenziali aderenti alla regolarizzazione dei capitali. In sostanza, per effetto della sottoscrizione tempestiva dell'accordo rispetto alla tempistica prevista dalla voluntary disclosure, il Principato di Monaco, impegnandosi allo scambio di informazioni, viene equiparato ad un Paese non black list.
  Pertanto, i contribuenti che intendono aderire alla regolarizzazione non subiscono il raddoppio dei termini di accertamento ed il conseguente peggioramento del trattamento sanzionatorio previsto, invece, per chi regolarizza capitali da paesi in «lista nera».
  I contribuenti italiani aventi disponibilità finanziarie nel Principato e che aderiranno al programma di collaborazione volontaria, potranno pertanto fruire di una più agevole regolarizzazione in termini di riduzione delle sanzioni amministrative previste dalla richiamata normativa.
  In merito allo specifico contenuto dell'Accordo, ricordo brevemente che ai sensi dell'articolo 1, le informazioni oggetto dello scambio sono quelle rilevanti per la determinazione, l'accertamento, l'applicazione e la riscossione delle imposte indicate al successivo articolo 3, che per l'Italia sono: IRPEF, IRES, IRAP, imposta sulle successioni, imposta sulle donazioni e imposte sostitutive. All'articolo 2 si precisa che l'obbligo di fornire informazioni non sussiste qualora dette informazioni non siano detenute dalle autorità nazionali o siano in possesso o sotto il controllo di persone che non si trovino entro la giurisdizione territoriale della Parte interpellata.
  L'articolo più rilevante dell'intesa è l'articolo 5, redatto secondo il modello TIEA elaborato dall'OCSE, nel quale sono stabilite le modalità con cui le informazioni sono richieste da una delle due Parti e fornite dall'altra. Viene in evidenza, in particolare, il paragrafo 2 che stabilisce l'obbligo di fornire informazioni anche allorquando la Parte interpellata non ha un proprio interesse fiscale all'ottenimento delle informazioni richieste (cosiddetto Domestic Tax Interest) ed il paragrafo 4 che prevede, tra l'altro, il superamento del segreto bancario, conformemente all'obiettivo prioritario della lotta all'evasione, nonché agli standard dell'OCSE in materia.
  L'articolo 6 disciplina la possibilità di una Parte contraente di consentire che rappresentanti dell'autorità competente dell'altra Parte contraente possano effettuare attività di verifica fiscale nel proprio territorio.
  Le disposizioni di cui all'articolo 7 indicano i casi in cui è ammesso il rifiuto di una richiesta di informazioni, ad esempio Pag. 115ove la divulgazione delle informazioni sia contraria all'ordine pubblico o possa consistere nella rivelazione di segreti commerciali, industriali o professionali.
  Concludo ricordando, come già emerso in Commissione, che il provvedimento rientra in una strategia di Accordi bilaterali siglati dall'Italia in materia fiscale nell'intento di abolire definitivamente dal suolo europeo i cosiddetti «paradisi fiscali». Si tratta di un processo che avviene sulla base di richieste provenienti dagli stessi Paesi interessati, come accade per il Principato di Monaco, passato dalla lista grigia a quella bianca dell'Unione europea proprio grazie all'Accordo siglato con l'Italia.
  Concludo raccomandando una rapida approvazione del disegno di legge che costituisce un altro fondamentale tassello per bloccare le vie di fuga ai capitali e per assicurare la più ampia adesione, da parte dei contribuenti italiani con conti e beni detenuti illegittimamente all'estero, alla voluntary disclosure.