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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 554 di lunedì 25 gennaio 2016

Pag. 1

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 12.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  RAFFAELLO VIGNALI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 22 gennaio 2016.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Bellanova, Bernardo, Biondelli, Blazina, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Centemero, Cirielli, Costa, Crippa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Gianni Farina, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Galati, Garofani, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Kronbichler, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Nicoletti, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Spadoni, Tabacci, Valeria Valente, Zampa e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Fucci; Fucci; Grillo ed altri; Calabrò ed altri; Vargiu ed altri; Miotto ed altri; Monchiero ed altri; Formisano: Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario (A.C. 259-262-1312-1324-1581-1769-1902-2155-A). (ore 12,02).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge n. 259-262-1312-1324-1581-1769-1902-2155-A: Fucci; Fucci; Grillo ed altri; Calabrò ed altri; Vargiu ed altri; Miotto ed altri; Monchiero ed altri; Formisano: Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 gennaio 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 259-A ed abbinate)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.Pag. 2
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Federico Gelli.

  FEDERICO GELLI, Relatore per la maggioranza. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, stiamo per affrontare il dibattimento di questo importante provvedimento, che ha una peculiarità abbastanza inconsueta, e cioè il fatto che è un provvedimento atteso da moltissimi anni nel nostro Paese e soprattutto è un provvedimento che nasce da una serie di proposte di legge di iniziativa parlamentare. Quindi non è un provvedimento del Governo, ma è un provvedimento che nasce dai singoli colleghi parlamentari, i quali, in questi anni, hanno approfondito questo importante argomento e questo importante tema. Quindi la valenza dell'impegno del Parlamento in questo provvedimento è totalmente centrale.
  Prima di entrare nell'esame del provvedimento, voglio ricordare che abbiamo iniziato, all'inizio della legislatura, con un comitato ristretto istituito presso la XII Commissione, ad approfondire la tematica del rischio professionale. Voglio ricordare che sono state presentate nelle scorse legislature, fino a presentazioni datate anche oltre dieci anni fa, iniziative di questo genere. Il Comitato ristretto che si è insediato all'inizio della legislatura ha elaborato e approfondito dei contenuti, dei materiali, che, alla fine, però, sono stati tradotti in un testo unitario il 5 agosto del 2015; tra l'altro, contestualmente, sono stato indicato come relatore proprio in quella data e, da lì, abbiamo iniziato ad affrontare il dibattimento presso la Commissione XII, Affari sociali. Abbiamo poi approvato, nel mese di novembre, il provvedimento in Commissione, recependo successivamente i pareri delle Commissioni competenti e, quindi, nella sua seduta finale del 20 gennaio, la Commissione ha licenziato il provvedimento.
  Ovviamente vi sono stati pareri molto importanti, che ci sono pervenuti delle varie Commissioni parlamentari, a partire dalla Commissione giustizia, perché si sta argomentando e parlando di un argomento in cui il tema della responsabilità civile e penale del professionista, dell'operatore sanitario, è ovviamente al centro dell'attenzione di questo provvedimento.
  Qual è l'obiettivo fondamentale del provvedimento ? Quello di garantire la sicurezza delle cure come parte costitutiva del diritto alla salute.
  Quindi facciamo riferimento alla Costituzione repubblicana, facciamo riferimento a questo importante e fondamentale diritto, che noi ribadiamo nelle nostre Aule e nel nostro lavoro istituzionale, vale a dire garantire la sicurezza delle cure, parte costitutiva del diritto alla salute, attraverso due punti cardine che sono l'elemento centrale del nostro provvedimento: aumentare le garanzie e le tutele per gli esercenti la professione sanitaria, un termine che abbiamo utilizzato per comprendere non solo i medici, ma anche gli altri operatori sanitari che lavorano nel mondo della sanità, ma nello stesso tempo assicurare ai pazienti la possibilità di essere risarciti in tempi più rapidi e soprattutto certi, a fronte di danni sanitari eventualmente subiti nel corso del loro ricovero o della loro interfaccia a quel sistema.
  Quindi, come lei può vedere, Presidente, non è un provvedimento sbilanciato a favore solo ed esclusivamente dei professionisti, ma tende a ricostruire un nuovo equilibrio nel giusto rapporto medico-paziente e, soprattutto, un doveroso equilibrio sulle tutele e le garanzie dei professionisti, e i diritti dei pazienti cittadini.
  Quali sono i punti critici ? Perché hanno spinto il legislatore ad affrontare e ad approfondire questa materia ? Innanzitutto, il volume del contenzioso: in tutti i Paesi europei, compreso il nostro Paese, si è avuto negli ultimi anni un preoccupante Pag. 3aumento delle denunce connesse alla malpractice medica. Questo ha determinato, ovviamente, anche un aumento considerevole dei costi delle compagnie di assicurazione per gli operatori sanitari ma anche per le nostre strutture sanitarie; e poi un altro fenomeno è quello legato alla cosiddetta medicina difensiva, che ha prodotto, cioè, una medicina indotta dal professionista, che tende in questo modo a ripararsi da eventuali contenziosi o chiamate in causa, e che ha prodotto nel nostro Paese, ovviamente, un uso inappropriato delle risorse destinate alla sanità pubblica.
  Potrei citare alcuni dati estremamente interessanti che sono stati riportati dai vari rapporti delle compagnie di assicurazione, oppure da Agenas. Tutti questi dati e questi riscontri ci confermano che si spende troppo nel nostro Paese in contenzioso sanitario che ha avuto un incremento negli ultimi anni, e i costi sono incrementati in maniera esorbitante. Ecco perché il succo centrale di questo nostro impegno è stato proprio quello di cercare di calmierare e di riportare in linea con quanto avviene nel resto dei Paesi europei, che su questa materia hanno normato ben a partire dagli anni duemila: da noi sono già molti anni che il Parlamento tenta di disciplinare questa materia anche con provvedimenti che poi, però, non hanno esordito e non hanno prodotto a mio avviso, a nostro avviso, un risultato positivo.
  Vado velocemente ad illustrare gli impegni previsti nel provvedimento. Innanzitutto, come vi dicevo, questo provvedimento contiene questi due pilastri di impegno, quindi questo equilibro tra la tutela del paziente e la garanzia dell'operatore sanitario, e gli interventi che noi prevediamo lavorano in questa ottica e in questa modalità. In particolare, gli articoli dal 2 al 4 vanno letti congiuntamente, soprattutto anche a un dispositivo inserito nella legge di stabilità (il nostro ex articolo 2, lo dico per semplicità, per farci capire, che è stato recepito ed è già legge dello Stato nella legge di stabilità 2016) dove si introduce un nuovo assetto organizzativo per l'attività di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio sanitario, quello che viene detto nel linguaggio tecnico risk management, che riguarda tutte le strutture pubbliche e private presenti nel nostro territorio. Sempre all'interno di questo provvedimento, di questo articolo, vengono individuate le figure professionali idonee al ruolo di coordinamento di questo importante investimento che noi vogliamo fare, perché investire in prevenzione, investire in monitoraggio vuol dire evitare di ritrovarci, poi, le dirette conseguenze dei numeri che prima citavo e che enunciavo.
  Nell'articolo 2 prevediamo anche una funzione importante: l'istituzione del Garante del diritto alla salute, che è un nuovo ufficio all'interno dei difensori civici regionali, che diventa un riferimento essenziale a tutela del diritto leso del soggetto danneggiato. E poi, l'istituzione dei centri regionali per la gestione del rischio sanitario: diamo, quindi, come dire, una valenza fondamentale ai centri regionali come riferimento, come interfaccia, tra le strutture di risk management dei singoli presidi ospedalieri e delle singole aziende, e il livello nazionale, che noi abbiamo definito attraverso l'articolo 3 come Osservatorio nazionale. Quest'ultimo avrà sede presso l'Agenas e in qualche modo diventerà l'elemento di elaborazione e di omogeneizzazione delle informazioni e dei dati che provengono dai centri regionali, per attuare linee di indirizzo, di prevenzione e gestione del rischio sanitario, per attuare l'attività maggiore di formazione e di aggiornamento del personale in questo settore. Quindi, un elemento strategico è previsto proprio da questi articoli. A questi si somma l'articolo 4, che introduce l'obbligo di trasparenza per le strutture pubbliche e private per quanto riguarda i dati relativi al contenzioso e quindi a tutto ciò che afferisce al risk management; anche questo ribadisce l'importanza della trasparenza del ruolo svolto dai siti web delle strutture sanitarie perché il cittadino possa usufruire e avere conoscenza piena di quello che avviene all'interno del suo ospedale o della sua struttura sanitaria.Pag. 4
  Il capitolo centrale del provvedimento è quello che riguarda la responsabilità penale del professionista, l'articolo 6. Attraverso l'inserimento di un articolo del codice penale, si prevede che l'esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività cagioni a causa di imperizia la morte o la lesione personale dell'assistito risponde solo per colpa grave. La colpa grave è esclusa quando, salvo le rilevanti specificità del caso concreto, sono rispettate le buone pratiche cliniche assistenziali e le raccomandazioni previste da linee guida; è qui che si introduce un elemento corposo, centrale, del ruolo e della funzione delle linee guida che, da una parte sono sicuramente di ausilio e di aiuto importante nell'azione del giudice o del magistrato che deve decidere e, ovviamente, un punto di riferimento dei professionisti, ma non possono essere tradotte come un mero regolamento attuativo; non possono essere considerate una norma che, una volta pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, diventa il riferimento perenne dei professionisti e dei magistrati, perché sappiamo bene che le linee guida sono – innanzitutto abbiamo per questo introdotto la parola «raccomandazioni» – il riferimento della cultura scientifica internazionale, che ha una continua evoluzione e un continuo mutamento e aggiornamento, per cui, insieme alle buone pratiche cliniche assistenziali, diventano uno strumento di riferimento, ma non possono essere imbrigliate in regolamenti o in norme rigide e ingessate. Lo dico perché su questo sono convinto che, con i colleghi nell'Aula, nel corso dell'approvazione degli articoli avremo modo ovviamente di ritornarci. Così come è estremamente importante il ruolo della responsabilità, delle modifiche riguardanti la responsabilità civile del professionista; è stata una scelta ben precisa quella di volere inserire sia la responsabilità penale sia la responsabilità civile, perché sappiamo bene che, nel corso del contenzioso che avviene normalmente nel nostro Paese, le due cose sono sempre molto collegate fra di loro.
  Nella responsabilità civile, all'articolo 7, abbiamo trovato credo un buon punto di equilibrio, che è il frutto del lavoro e dell'impegno anche di molti magistrati, di molte persone che in questi anni hanno dato il loro contributo nel Paese nel trovare un giusto bilanciamento tra posizione del paziente danneggiato e i diritti dell'esercente la professione sanitaria. Introduciamo, appunto, una nuova modalità di responsabilità, manteniamo in realtà la responsabilità contrattuale per quanto concerne la struttura sanitaria pubblica e privata, mentre introduciamo per il professionista la cosiddetta responsabilità extra-contrattuale, che è in linea con quanto avviene negli altri Paesi europei. Se qualcuno ha la curiosità di andare a guardarsi le norme europee – io ho avuto così la volontà di andare a fare un approfondimento – sostanzialmente quello che noi proponiamo oggi è quanto vige nei Paesi europei, in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, in Austria, eccetera eccetera. Quindi, questa norma, come dicevo all'inizio, è in linea con quanto avviene già nella Comunità europea e anche in altri Paesi occidentali.
  Ribadisco, in questo caso, con questo intervento, non togliamo nessun diritto al cittadino, perché comunque avrà come riferimento fondamentale la struttura sanitaria pubblica e privata, che avrà tutte le possibilità e le condizioni di poter dimostrare i motivi che hanno portato al contenzioso e quindi al danno per ciò che è avvenuto e, ovviamente, l'onere della prova rimarrà a carico della struttura sanitaria che dovrà giustificarsi, dovrà dimostrare i motivi che hanno condotto a questo danno e i tempi di prescrizione rimarranno a dieci anni, mentre ovviamente cambierà per l'esercente la professione sanitaria: vi è inversione dell'onere della prova che è a carico del paziente e il periodo di prescrizione rimarrà di cinque anni.
  Noi, però, in un giusto equilibrio, che abbiamo cercato di trovare nel testo, ribadiamo l'obbligatorietà di assicurazione per tutte le strutture pubbliche e private; era già inserita in alcune norme, ma la vogliamo ribadire e sottolineare ulteriormente, Pag. 5perché, purtroppo, ancora oggi, alcuni passaggi da questo punto di vista sono incompleti, e riteniamo che sia altamente importante ribadire anche qui che tutti gli esercenti la professione sanitaria che svolgono un'attività fuori dalle strutture pubblico-private, quindi i cosiddetti libero-professionisti, altrettanto siano obbligati ad una copertura assicurativa. D'altronde, anche nei confronti della struttura sanitaria, nel rapporto con il professionista prevediamo un'azione di rivalsa nei confronti del professionista, una volta che il professionista venga condannato per dolo ovviamente, ma anche per colpa grave e discipliniamo, attraverso l'articolo 9, le modalità di rivalsa, perché è estremamente corretto che se il professionista ha sbagliato paghi, e questo è giusto che debba essere disciplinato attraverso quella che, nelle norme giuridiche, viene definita azione di rivalsa, anche per il danno erariale eventualmente cagionato.
  All'articolo 8 introduciamo invece un intervento importante, un rafforzamento di quello che è uno strumento già presente nella giurisprudenza, la obbligatorietà della conciliazione, per rendere più cogente e più efficace questo strumento, attraverso l'accertamento tecnico preventivo, attraverso l'obbligatorietà della presenza nelle parti dell'impresa assicuratrice. Insomma, tutto per prevedere un atteggiamento e un effetto deflattivo del contenzioso a beneficio ovviamente del nostro sistema giudiziario nel suo complesso, ma a beneficio soprattutto del danneggiato e del professionista, che potranno chiarire le loro rispettive posizioni senza ovviamente dovere avviare un contenzioso legale, che non sappiamo in quanti anni potrà definirsi.
  Ulteriori strumenti innovativi che abbiamo introdotto e che vanno a garantire e a favorire il soggetto danneggiato, sono l'azione diretta nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura sanitaria o dell'assicurazione del libero professionista e anche questo ovviamente va nella logica di esigibilità di un diritto che in questo modo viene, noi crediamo, garantito in tempi più certi e poi, ovviamente, un fondo di garanzia per i soggetti danneggiati da responsabilità sanitaria, perché la cosa più drammatica e più triste è che quando a un cittadino viene riconosciuto di aver subito un danno e ne viene anche stabilita l'entità, magari la compagnia di assicurazioni fallisca o che non sia solvibile che per un massimale che non contempli un livello sufficiente. Ecco perché abbiamo pensato a un fondo di garanzia per questi soggetti danneggiati.
  Infine, abbiamo l'articolo 14, che circa di mettere ordine alla nomina di consulenti tecnici d'ufficio, dei consulenti tecnici di parte e dei periti nei giudizi di responsabilità sanitaria. C'era bisogno di fare chiarezza in questo ambito, c'era bisogno di specificare meglio le competenze, l'esperienza, perché anche in riferimento alle cose che dicevamo negli articoli previsti dalla conciliazione obbligatoria e in tutto il testo, il perito che verrà nominato dovrà essere un professionista competente ed esperto, perché non potrà essere affidato al primo che capita, perché sicuramente avrà in mano le sorti del futuro di quello che potrà essere un giusto risarcimento per un paziente che ha subito purtroppo un danno.
  Questi sono gli elementi essenziali del provvedimento, sono convinto che il contributo che potrà arrivare dal dibattito in quest'Aula e dai suggerimenti e dalle proposte dei vari colleghi, con gli emendamenti che verranno presentati, arricchiranno ancora di più un lavoro che è stato molto impegnativo e molto approfondito, che sicuramente potrà ancora arrivare a un suo migliore compimento perché, devo dirlo con estrema sincerità, anche come medico in aspettativa, è un provvedimento che da tantissimi anni tutti si aspettano, non solo i professionisti ma anche i cittadini di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Colletti.

  ANDREA COLLETTI, Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Come Movimento 5 Stelle abbiamo deciso non solo di Pag. 6presentare una relazione di minoranza, ma anche un testo alternativo. Questo perché, ovviamente, il testo adottato dalla maggioranza si palesa sbagliato sotto molti punti di vista.
  Il primo problema di questo testo è che è stato incardinato in Commissione affari sociali invece che in Commissione giustizia, un testo che parla di responsabilità penale, di responsabilità civile, di modifica al codice di procedura civile, di condizione di procedibilità dell'azione. Sarebbe interessante sapere chi ha deciso, tra i funzionari della Presidenza, di incardinare questo testo in Commissione affari sociali piuttosto in Commissione giustizia; forse non hanno letto il testo o forse lo hanno letto e gli è stato detto di incardinarlo solo in quella Commissione. Purtroppo, da come è stato scritto il testo, si vede che è stato incardinato in Commissione affari sociali; si vede perché nella parte riguardante la Commissione giustizia è palesemente inefficace, ma è anche palesemente erroneo, totalmente alieno dalla nostra tradizione giuridica, con alcune parole senza senso ed illogiche. Ce ne renderemo conto ancora di più quando andremo a trattare questo tema e i relativi emendamenti. Il secondo problema è che questo testo parte da un assunto falso, ovvero quello della cosiddetta medicina difensiva. Questo assunto è stato portato avanti inizialmente negli Stati Uniti e ovviamente ha trovato sedimentazione, anche qui affermando, con numeri un po’ sparati a caso, per cui la cosiddetta medicina difensiva porta a un maggior costo della sanità di 13 miliardi di euro. Purtroppo, questi numeri ovviamente non hanno nessun fondamento, sono numeri da mago Otelma del Ministero della sanità. In realtà, l'evocazione di questa medicina difensiva è la giustificazione per riformare la responsabilità medica, ed è un'importazione delle logiche impiegate da quelli che si chiamano tort reformers negli Stati Uniti, ovvero per detronizzare il diritto dei pazienti lesi e dei loro familiari ad avere una tutela rimediale piena. Ma chi sono questi tort reformers ? In realtà, sono le stesse compagnie di assicurazione, che devono poi pagare effettivamente i risarcimenti. Quindi, in realtà, tutto questo «ambaradan» è stato fatto esclusivamente non per tutelare i medici – come vedremo, in realtà, i medici non saranno per niente tutelati in più – ma soprattutto a vantaggio delle stesse compagnie di assicurazione, per far fare più profitti alle compagnie di assicurazione. Invito a leggere un libro, uno studio illuminante, di Shapiro Stati Uniti, The truth about torts, ovvero che la medicina difensiva è in gran parte un mito sostenuto da chi ha interesse a limitare l'accesso dei cittadini alla giustizia per i casi meritevoli, ed è proprio questo il caso. In realtà, io la tratto perché, essendo un avvocato, mi occupo soprattutto di responsabilità medica, quindi ho visto passare centinaia di casi; centinaia di volte ho consigliato ai clienti di non fare causa e ovviamente altre centinaia di volte ho consigliato di fare causa perché era giusto così. Gli avvocati non sono il male assoluto, come pensano alcune associazioni dei medici, in questo caso, soprattutto gli avvocati coscienziosi. In realtà, dalla casistica emerge che la maggior parte delle problematiche riguarda un difetto nel disporre esami ed approfondimenti necessari ed imposti dalle sintomatologie riferite dai pazienti. Vi faccio un esempio concreto che mi è capitato: un paziente che si è recato al pronto soccorso dimagrito, dicendo di soffrire di anoressia, per tre giorni, è stato lasciato in ospedale, ricoverato in medicina generale, al quale sono state date delle vitamine e, al terzo giorno, si è suicidato, perché chi tratta problemi di anoressia sa che purtroppo, soprattutto i pazienti maschi che soffrono di anoressia, sono più propensi al suicidio. Il non aver chiamato uno psichiatra ad analizzare le motivazioni di questo gesto, ad analizzare questo paziente che riferiva un problema, un disturbo psicologico, quello riferito all'anoressia (disturbo alimentare e psicologico), è stato un difetto; ma questo è solo uno di questi casi. In realtà, la Commissione tecnica sul rischio clinico, istituita nel 2005, riferisce che il 70 per cento di incidenti sarebbe da attribuirsi a problemi organizzativi, pertanto Pag. 7non a responsabilità dei medici e degli infermieri ma a problemi della struttura.
  Quindi, qual è il problema della struttura ? Magari avere direttori generali o direttori sanitari incompetenti, piazzati lì per questioni politiche, o semplicemente problemi di mancata prevenzione, nel senso di mancato finanziamento della sanità pubblica. La settimana scorsa abbiamo discusso delle infezioni ospedaliere, che è un tipico caso che si verifica laddove non si finanzia la sanità pubblica, che ha strutture vecchie, vetuste, quali, ad esempio, l'ospedale «Umberto I», dove si sono verificati molti casi di infezione da Klebsiella pneumoniae, e questo caso rientrerebbe nella volontà di avere un risarcimento, magari non dovuto, da parte dei pazienti ? No, deriva dal fatto che il Governo, tutti gli ultimi Governi, hanno definanziato la sanità e, definanziando la sanità, vi saranno sempre di più questi casi, soprattutto adesso che avete reso a pagamento oltre 200 prestazioni sanitarie. Quindi, da una parte diminuite il finanziamento della sanità, rendendo a carico del paziente le prestazioni sanitarie che prima erano a carico della collettività attraverso le nostre tasse, dall'altra parte, visto che tutto ciò provocherà ovviamente dei danni a questi pazienti che non potranno accedere a queste prestazioni, limitate il diritto del paziente al risarcimento del danno. Quindi, una doppia beffa per il paziente: da una parte, non si può curare, perché magari non ha i soldi per curarsi, dall'altra non può chiedere il risarcimento perché con questa legge limitate il diritto del paziente al risarcimento o, più che limitare, lo rendete molto più gravoso, da un punto di vista monetario.
  Andando ad analizzare più compiutamente proprio l'articolato della maggioranza, premesso che, laddove si vincola la responsabilità penale a delle buone pratiche o raccomandazioni previste da linee guida fatte da società private, prevedere una causa di punibilità o una esimente dettata da una società o un'associazione privata già potrebbe andare a detrimento della Costituzione italiana riguardo il diritto penale, il principio di tassatività, la cosa più assurda è che poi, nel 2012, venne adottato un medesimo provvedimento, nella cosiddetta «legge Balduzzi», un decreto-legge, che in realtà era talmente scritto male – purtroppo dico che era scritto con i piedi, perché è così – e che la giurisprudenza ha praticamente cancellato; ebbene, in questo provvedimento, da una parte diciamo che i medici sono responsabili solo per colpa grave, dall'altra che, in attesa di quelle linee guida, quegli stessi medici non sono responsabili tranne che per colpa lieve. Quindi, abbiamo due ipotesi di responsabilità penale: una per colpa grave e una per colpa lieve. Magari, il medico in gastroenterologia, dove ci sono le linee guida, è responsabile per colpa grave; il medico in neurochirurgia, dove non ci sono linee guida, non è responsabile se non per colpa lieve. È un po’ folle questa normativa penale.
  Ma andiamo anche ad analizzare la responsabilità civile. Articolo 7, la struttura risponde delle condotte dolose o colpose del personale sanitario: perché è sbagliata questa norma ? Primo, perché è già prevista dal codice civile la responsabilità del datore di lavoro per la responsabilità dei suoi dipendenti (già c’è, non serve una legge per metterla), ma poi non tiene conto ovviamente della responsabilità oggettiva della struttura, la responsabilità nel caso in cui, ad esempio, avviene un'infezione, per la quale la colpa non è del medico ma della struttura stessa. È per questo che è sbagliata questa normativa.
  La cosa più assurda è nell'articolo 8: il tentativo obbligatorio di conciliazione. Ci sono scritte delle questioni che proprio non hanno senso giuridico, ma purtroppo ho solo dieci minuti – anzi, avevo dieci minuti, ora solo un minuto e in un minuto non è possibile spiegare giuridicamente perché non si può fare –, quindi parlerò solo di una cosa: il termine perentorio di sei mesi per chiudere l'accertamento tecnico preventivo. Io ho fatto decine di accertamenti tecnici preventivi, uno l'ho iniziato a luglio 2014: siamo a gennaio 2016 e non si è ancora concluso; un altro, è iniziato ad aprile 2015: sono passati nove Pag. 8mesi e ancora non ho la bozza di consulenza tecnica d'ufficio. Mettere un termine perentorio di sei mesi non ha senso, perché purtroppo i tribunali sono quelli che sono, i tempi sono quelli che sono e se si mette un termine perentorio tutti gli atti successivi hanno una nullità insanabile. Che senso ha per lo Stato, se poi bisognerà iniziare una nuova procedura con un nuovo consulente e con più spese per il cittadino ? Rendiamoci conto che giuridicamente questa legge è scritta male. Non so chi l'ha scritta, forse il Ministero della giustizia; bisognerebbe andare a parlare magari con i funzionari e i magistrati del Ministero della giustizia e far capire loro che il mondo reale, quello dei tribunali, funziona in una maniera diversa rispetto al mondo ideale, quello che non esiste e che è scritto in questa legge.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire, se ritiene, il rappresentante del Governo.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Interverrò successivamente.

  PRESIDENTE. Ne prendo atto. È iscritto a parlare il deputato Fossati. Ne ha facoltà.

  FILIPPO FOSSATI. Grazie, Presidente. Io direi che il principale pregio di questa proposta di legge, che andiamo a discutere e ad approvare in Aula, è il tentativo di dare un ordine alle cose e di fissare questo ordine sulla base di un principio che è il principio della sicurezza del paziente nel sistema sanitario, nel suo percorso diagnostico e terapeutico. Detta in parole semplici, l'obiettivo della legge è dare delle indicazioni e costruire delle premesse perché si possano, sempre meglio, fare le cose per bene nel sistema sanitario. Fare le cose per bene nel sistema sanitario è importante intuitivamente, vuol dire salvare e migliorare la vita delle persone. Fare le cose per bene significa seguire un percorso che va dalla diagnosi alla terapia, passando per l'assistenza. È un percorso molto lungo perché niente è un fatto isolato nella vita sanitaria di una persona, quindi è un percorso lungo che dura tutta la vita e ha momenti di intensità diversa, qualche volta di grande intensità, come il momento dell'intervento chirurgico o di altre terapie molto invasive. Tutto questo percorso il paziente ha diritto di svolgerlo in strutture adeguate, sempre adeguate, e sotto la cura e con il rapporto con professionisti preparati. Questo obiettivo e questa pratica, rientrano nella pratica di prevenzione, si potrebbe dire di prevenzione primaria. È la ricerca della qualità della cura che deve essere caratteristica di un sistema pubblico e che in questo Paese abbiamo praticato con luci ed ombre, con grande fatica, ma quando leggiamo poi i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità e di altre agenzie internazionali, vediamo che passi avanti ne abbiamo fatto tantissimi, fino ad essere riconosciuti come uno dei sistemi più efficienti, più efficaci, anche per quello che riguarda gli esiti dei casi, dei momenti di acuzie nella vita sanitaria di un paziente. È un sistema sanitario che non ha altri obiettivi se non obiettivi di salute e questo è il grande pregio, che non possiamo mai perdere di vista, del sistema sanitario pubblico.
  Poi c’è il caso, il caso che fa emergere il problema, l'evento avverso, la morte non prevista e qui interviene la legge e interviene soprattutto con la costruzione di un sistema di analisi del rischio, di analisi dell'errore e del quasi errore, per intervenire preventivamente sui difetti strutturali, organizzativi o sulla inadeguatezza delle professionalità impiegate. È un sistema delle analisi del rischio che la legge disegna perché possa essere applicato su tutto il territorio nazionale e su tutte le strutture, impiegando competenze, professionalità e facendone un punto di valutazione anche dell'efficienza delle aziende sanitarie. Qui noi dobbiamo chiarire bene anche alcuni punti della legge, spiegarli e chiarire bene. Per esempio, il valore di questa struttura organizzativa che noi proponiamo sarà un valore grande se si potrà fare l’audit, la ricerca del rischio, l'analisi del fatto avverso, con la riservatezza necessaria, Pag. 9perché noi abbiamo bisogno di un sistema in cui gli operatori e le strutture sappiano, vogliano e si misurino, con le eventuali manchevolezze in modo sereno e in modo coraggioso e radicale. Molto poi si parlerà, e abbiamo cominciato a sentirlo anche nelle relazioni dei relatori sia di maggioranza, che di minoranza, del tema della responsabilità professionale e non ci sottrarremo.
  Ma io vorrei chiarire un punto: dalla legge emerge un fatto, io credo, incontestabile e cioè che i cittadini che ritengono di aver subito un danno si presenteranno alla struttura sanitaria, pubblica o privata, per iniziare immediatamente un contenzioso in cui sarà la struttura sanitaria, pubblica o privata, a dover provare che tutti i suoi professionisti e tutte le sue strutture hanno fatto le cose giuste secondo la legge nella vicenda che interessa questo cittadino. Il punto è che, dal punto di vista della certezza, della velocità e dell'accuratezza con cui si tratta il cittadino che ha avuto un danno, si avrà un miglioramento straordinario rispetto all'attuale sistema.
  Noi dobbiamo rafforzare il sistema, abbiamo sostanzialmente utilizzato in questi ultimi anni, nella confusione normativa, uno strumento solo per garantire la sicurezza, oltre naturalmente alla bontà degli sforzi organizzativi del pubblico: abbiamo utilizzato la minaccia penale sul professionista. Noi dobbiamo capire con ragionevolezza e senza estremismi che la minaccia penale sul professionista non ha funzionato come strumento per garantire una maggior sicurezza sui cittadini, perché è inefficace, oltre che, in parte, ingiusto. Inefficace perché la minaccia induce a non fare, a non rischiare, a scaricare la responsabilità, mettendo a rischio nella latenza e nel rinvio – allora sì – la vita del paziente e comunque sempre la qualità della vita del paziente. Si è abusato della minaccia in questo Paese ? Sì, si è abusato della minaccia, avete visto tutti i video dove si invitava il cittadino a riprendere i materiali sanitari degli ultimi dieci anni e rivolgersi all'avvocato per vedere se si trovava qualcosa. Siamo arrivati a questo tipo di livello, a questo tipo di minaccia latente che gravava sul lavoro dei professionisti. Ma non si è abusato soltanto nei fatti, si è anche costruita una filosofia sbagliata. Il rapporto che abbiamo tentato di costruire, che l'organizzazione moderna della sanità ritiene di dover costruire e anche le linee a cui pensa l'onorevole Colletti e a cui alcune forze politiche sono più vicine, e a cui anch'io mi sento vicino, si riferiscono alla medicina narrativa, alla slow medicine; il ragionamento è tutto teso a ricostruire un rapporto di fiducia, un rapporto di alleanza tra medico e paziente. Quella della lotta alla malattia, della lotta alla patologia, della costruzione di una gestione equilibrata e sostenibile della propria salute per migliorarla, è una grande impresa ed è un'impresa collettiva che vede prima il cittadino paziente, poi l'operatore sanitario, a partire dal medico, poi le strutture e poi, per l'80 per cento, il resto delle organizzazioni pubbliche o private che decidono dell'inquinamento invece che dell'alimentazione o delle determinanti appunto non sanitarie che informano la salute di ognuno di noi. Questa è la grande battaglia per la sconfitta della malattia, anzi per la promozione di una migliore salute. E nell'impresa, che è un'impresa così complessa, c’è l'errore, ce ne sono tanti; tanti soggetti sbagliano a partire, qualche volta, dal cittadino stesso nell'andare avanti nel percorso. Io penso che la XII Commissione forse ha qualche competenza nell'intervenire su questo aspetto, visto che il 70 per cento delle cause e dei contenziosi si riferisce a problemi e a difetti dell'organizzazione della struttura, invece che del preteso errore, del presunto errore, del sanitario. Ecco, noi dobbiamo ristabilire questo tipo di rapporto e consentire ai partecipanti all'impresa della salute anche dei margini di errore che vanno evitati preventivamente e poi colpiti, sempre riparati nel danno che possono produrre, sul piano penale, quando si tratta di una colpa evidente, di una colpa grave o di un atteggiamento doloso, naturalmente non fuori queste fattispecie.Pag. 10
  Naturalmente, ed è l'ultima frase che dico, questo non sarebbe possibile se non avessimo inserito nella legge alcune altre novità sul tema della trasparenza e dell'informazione, perché quando parlo dell'alleanza tra medico e paziente, non mi riferisco più all'alleanza gerarchica della persona a cui affidiamo le nostre vite senza sapere; i cittadini di oggi sono cittadini esigenti che si devono poter informare e che devono avere a disposizione tutti i dati; le strutture saranno obbligate a mettere in rete i contenziosi che stanno gestendo e gli esiti del contenzioso; noi andremo a pubblicare le linee-guida, vedremo poi la forma esatta con cui lo faremo, per evitare ogni problema e ogni ridondanza, ma saranno a disposizione delle persone le linee-guida patologia per patologia per sapere qual è il necessario e corretto percorso diagnostico, assistenziale e terapeutico.

  PRESIDENTE. Concluda.

  FILIPPO FOSSATI. Quindi, informazione e trasparenza per consentire un'alleanza tra medico e paziente che si basi sulla consapevolezza e sulla voglia di arrivare al comune obiettivo che è quello della promozione di una miglior salute per gli individui e per la collettività (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Roberto Occhiuto. Ne ha facoltà.

  ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento che arriva oggi all'esame dell'Aula è un provvedimento sicuramente molto delicato e importante; è un provvedimento atteso da tutte le categorie coinvolte, un provvedimento che forse – e qui do ragione al collega del MoVimento 5 Stelle che mi ha preceduto – meritava di essere approfondito oltre che dalla XII Commissione anche dalla Commissione giustizia. Le disposizioni del testo, da un lato, hanno l'obiettivo di realizzare un sistema di prevenzione e di gestione del rischio sanitario e, dall'altro, sono volte a ridefinire le regole della responsabilità penale e civile delle strutture e degli esercenti la professione sanitaria, sulle linee già indicate dal decreto-legge Balduzzi.
  Il decreto-legge Balduzzi del 2012, pur oggetto di contrastanti interpretazioni e giudizi complessivamente diversi, ha avuto sicuramente il merito di affrontare la questione, di affrontare il problema del crescente e preoccupante contenzioso giudiziario relativo alla responsabilità medica, con soluzioni, certo, opinabili, ma comunque specifiche, introducendo la previsione secondo la quale l'esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, si attenga a linee-guide e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve; in tali casi resta comunque fermo l'obbligo previsto dall'articolo 2043 del codice civile in materia di risarcimento del fatto illecito. Il testo in esame sembra realizzare e contemperare una serie di principi sicuramente condivisibili quali, innanzitutto, la tutela del principio dell'autonomia terapeutica del medico, anche rispetto alle linee-guida e ai protocolli, con l'obiettivo di garantire la tutela della salute del paziente e di consentire al medico stesso di discostarsi da tali parametri quando essi non siano da ritenersi determinanti. Il provvedimento riconosce anche l'esigenza di assicurare una tutela effettiva della salute del paziente nello specifico ambito del processo civile, attraverso regole che rendano possibile al paziente provare che il danno è derivato da negligenza, imprudenza o imperizia del medico. Viene inoltre riconosciuta la garanzia per il paziente di ottenere il risarcimento dovutogli in base a una sentenza, attraverso la previsione del sistema di assicurazione obbligatoria accompagnato dall'azione diretta nei confronti della compagnia assicuratrice.
  Si riconosce anche l'esigenza di contenere la responsabilità medica entro limiti puntuali che consentano di evitare le pratiche di medicina difensiva che comportano Pag. 11costi inutili e possono, addirittura, essere dannose per la salute del paziente.
  L'esigenza di un provvedimento che disciplini la responsabilità sanitaria si fa non più rinviabile proprio a partire dalla cosiddetta medicina difensiva, cioè l'insieme di quelle pratiche diagnostiche o misure terapeutiche condotte principalmente, oltre che per assicurare la salute del paziente, anche come garanzia delle responsabilità medico-legali seguenti alle cure mediche prestate. Ora, è vero, il tema della medicina difensiva è un tema controverso, soprattutto in ordine alla sua quantificazione; chi mi ha preceduto quantificava il valore della medicinale preventiva – secondo studi che, pure, però, riteneva erronei – nell'ordine di 13 miliardi, altri dicono che varrebbe 14 miliardi, ma proprio poco fa, mentre ascoltavo i colleghi che intervenivano, davo un'occhiata, Presidente, ad uno studio condotto dal Governo, proprio dal Ministero della salute, che individua in 10 miliardi il costo della medicina difensiva. Dieci miliardi sono quasi il 10 per cento di quello che, ogni anno, lo Stato spende per la sanità in questo Paese; è una cifra estremamente rilevante che potrebbe essere utilizzata, più opportunamente, in maniera più appropriata, per investimenti in sanità, per qualificare le prestazioni sanitarie, per assicurare che i LEA siano davvero garantiti in tutto il Paese. Certo si può disconoscere la presenza della medicina difensiva, ma proprio questo studio a cui facevo riferimento, basato sulle risultanze non di un'organizzazione qualsiasi ma della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari, quantifica il valore della medicina preventiva nell'ordine dello 0,75 per cento del prodotto interno lordo italiano. Nello specifico individua anche le voci di spesa maggiori: la medicina difensiva incide per l'1,9 per cento sui farmaci, per l'1,7 per cento sulle visite, per lo 0,7 per cento sugli esami di laboratorio, per lo 0,8 per cento sugli esami strumentali, sul 4,6 per cento dei ricoveri nella rete ospedaliera, in un Paese dove, soprattutto nel sud del Paese, è fortissima la percentuale di ricoveri inappropriati, perché c’è uno scarsissimo investimento nella medicina del territorio, nella prevenzione, nel sistema degli ambulatori. Ebbene, per effetto della medicina difensiva c’è un ulteriore aumento di ricoveri inappropriati che potrebbero, invece, essere assolutamente evitati.
  Sempre questo studio si basa anche sulle testimonianze di medici presi a campione e loro stessi affermano di aver fatto ricorso a pratiche di medicina difensiva; il 77 per cento, anzi, il 78 per cento del campione ha tenuto almeno un comportamento di medicina difensiva nell'ultimo mese di lavoro, non nell'ultimo anno, ma nell'ultimo mese di lavoro, il 68,9 per cento ha proposto e disposto ricoveri di pazienti che riteneva gestibili ambulatorialmente, il 61,3 per cento ha prescritto un numero di esami maggiore rispetto a quello ritenuto necessario per effettuare la diagnosi. E le motivazioni addotte dai medici facenti parte del campione sono le seguenti: il 78,2 per cento dei medici ritiene di correre un maggiore rischio di procedimenti giudiziari rispetto al passato, il 65,4 per cento ritiene di subire una pressione indebita nella pratica clinica quotidiana a causa della possibilità di tale evenienza, il 67,5 subisce l'influenza di esperienze di contenzioso legale capitate ai propri colleghi.
  Insomma, un quadro che credo chiunque conosce il nostro sistema della sanità non può disconoscere; è un quadro che determina, proprio secondo l'Agenas, costi estremamente rilevanti, che possono essere ripartiti sulle diverse classi di costo della nostra sanità. La stima dei costi della medicina difensiva rispetto alla spesa totale è del 14 per cento sulla spesa farmaceutica. Sentiamo spesso in molte regioni, soprattutto in quelle sottoposte a piano di rientro, che c’è la necessità di ridurre la spesa farmaceutica, intervenendo certo sui medici di base, ma anche contrastando le ragioni che inducono poi ad un ricorso a pratiche di medicina difensiva.
  La stima dei costi della medicina difensiva sugli esami strumentali è il 25 per cento del totale, così com’è il 23 per cento l'incidenza degli esami di laboratorio sul Pag. 12totale degli esami di laboratorio disposti, e l'11 per cento sulle visite specialistiche. È un fenomeno che non si può disconoscere, né dal lato dei costi, e quindi delle risorse sottratte all'investimento in buona sanità del nostro Paese, né dal lato della serenità dei medici, perché un medico preoccupato del rischio di controversie non è un buon medico, e a farne le spese è soprattutto il paziente. Ora, da diversi decenni si parla della necessità di una specifica disciplina della materia, a fronte di una giurisprudenza sempre più orientata, e a volte anche giustamente, alla tutela del paziente danneggiato: con note conseguenze ormai divenute un problema sociale non più rinviabile, quale la reazione difensiva della classe medica, che si traduce in scelte non sempre motivate esclusivamente dall'interesse del paziente, in passato ritenuto invece valore assoluto e incondizionato.
  Su questo provvedimento – e mi avvio alla conclusione, Presidente – noi esprimiamo una opinione favorevole: è un provvedimento necessario, diceva bene il relatore, in altri Paesi d'Europa si è già ha provveduto, nel 2000, nel 2003, da oltre dieci anni, a normare l'attività che oggi ci proponiamo di affrontare in questa legge. Il nostro quindi è un giudizio favorevole sul provvedimento, perché va nella direzione di rafforzare quanto già stabilito nel decreto-legge cosiddetto Balduzzi, ne chiarisce ancor di più l'orientamento, interviene con maggiore chiarezza per quanto riguarda la responsabilità penale; i nostri dubbi sono però tutti quanti riferiti a quello che avviene invece rispetto alla responsabilità civile. E allora noi condizioneremo il nostro atteggiamento sul provvedimento, condizioneremo la nostra decisione di voto su questo provvedimento alla discussione che ci sarà in Aula in ordine ad alcuni emendamenti, che secondo noi meritano di essere recepiti per non creare una assoluta difformità fra quello che avviene rispetto alle responsabilità nel regime penale, e quello che avviene invece nel civile: nel penale il paziente ha l'onere della prova; nel civile, quando si stabilisce la responsabilità contrattuale, è il medico che deve provare di essersi comportato bene.
  E c’è giurisprudenza, ad esempio a Milano, che afferma che anche per la responsabilità civile ci debba essere la responsabilità extracontrattuale; invece, nel tentativo di contemperare due aspetti contrastanti, secondo noi si è dato luogo ad un vero e proprio mostro giuridico, perché se il paziente attacca la struttura ha una responsabilità contrattuale, cioè la struttura ha l'onere della prova, se attacca il medico la responsabilità è extracontrattuale. Ma se poi la struttura chiama il medico in causa, quale sarà la responsabilità, quella contrattuale o quella extracontrattuale ? Chi dovrà approvare ? A chi sarà riconosciuto l'onere della prova ? È un meccanismo molto farraginoso: si poteva semplificare dicendo che, anche per quanto riguarda la responsabilità civile, avviene ciò che avviene nella responsabilità penale; invece il sistema nella responsabilità penale è migliorato, ma abbiamo seri dubbi sulla soluzione individuata per quanto riguarda la responsabilità civile sia appropriata. E forse anche per questo sarebbe stato utile che questo provvedimento fosse stato discusso, oltre che dalla XII Commissione, anche dalla Commissione giustizia, come evidenziava il relatore di minoranza.
  Ci sono poi degli altri aspetti, che vorremmo fossero maggiormente valorizzati nella discussione in Aula, e anche nella votazione degli emendamenti, che riguardano il finanziamento di questa legge: perché approvare delle norme che poi non hanno un finanziamento, significa spesso approvare delle norme prive di reale possibilità di produrre degli effetti.
  Però, ciò detto, noi riteniamo comunque un passo avanti l'aver portato in Aula una legge che mette il nostro Paese nella condizione di ottemperare a quanto già fatto in altri Paesi d'Europa. Vorremmo però che la discussione sulla sanità e sulla necessità di garantire il diritto alla salute per i cittadini italiani non si esaurisca con quest'unica proposta di legge; si affronti anche il tema dell'organizzazione del sistema Pag. 13sanitario. Io provengo da una regione del Sud: dico soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, nella maggior parte delle quali c’è un sistema sanitario sottoposto a piano di rientro, che però impedisce degli investimenti in sanità, impedisce il turnover nei ruoli del personale sanitario, spesso riserva attenzione più alla necessità di tagliare ospedali (a volte è anche giusto) che ad investire sulla prevenzione, sul regime degli ambulatori, in regioni dove la sanità è interpretata soprattutto come sanità svolta nella rete ospedaliera; creando notevoli diseconomie, perché costa molto di più una prestazione erogata in regime ospedaliero rispetto ad una prestazione erogata in regime ambulatoriale, e creando anche degli elementi di disorganizzazione che inducono più facilmente nell'errore medico. Basterebbe visitare qualche pronto soccorso di qualche regione del Sud, dove si è proceduto a chiudere molti ospedali, per capire quanto grandi siano i carichi di lavoro per tanti medici, pure bravi, ma che con carichi di lavoro così difficili da sostenere sono forse più esposti ad errori sanitari.
  Questa è una buona legge, se corretta nella parte che riguarda la responsabilità civile. Ci auguriamo che sia anche l’incipit per discutere più spesso e più proficuamente all'interno di quest'Aula di come organizzare il nostro sistema della sanità, in maniera tale da poter garantire livelli essenziali di assistenza, ma soprattutto il diritto alla salute dei cittadini, perché il diritto alla salute è diritto alla vita.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Paola Binetti. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Presidente, Governo, colleghi, questa legge sul rischio clinico è una legge attesa da diverse legislature. Noi siamo molto contenti che sia arrivata in Aula e devo dire sinceramente che il fatto che abbia avuto come principale Commissione di riferimento quella degli affari sociali, lasciando sullo sfondo, ma anche con contributi concreti e positivi, la Commissione giustizia, in realtà risponde allo spirito della norma, che vuole partire da una rivalutazione di quella che è la relazione medico-paziente e vuole ricondurre la risoluzione potenziale dei conflitti all'interno di una qualità di comunicazione e qualità di rapporto che dia sempre maggiore soddisfazione sia al professionista, che si dispone in una relazione di servizio nei confronti del paziente, sia al paziente che interagisce con il professionista con un ruolo sempre più da protagonista.
  Infatti, il cambiamento di prospettiva che si è creato in questi ultimi tempi proprio nella gestione del rischio clinico ha molto a che vedere con l'accresciuto empowerment del cittadino. Il nostro cittadino, nel momento in cui entra in contatto con un'esperienza così dolente, come è l'esperienza della malattia, per sé o per qualcuno dei suoi familiari, oggi come oggi, accede a una informazione, a una raccolta dati, a un confronto delle opportunità che gli si presentano, che è fortemente critico. La sua scelta, che è di fatto, di questo secondo punto che voglio sottolineare, è sempre più il frutto di un consenso informato, in cui l'informazione c’è a monte, prima ancora di rivolgersi a quel professionista, che ha in un certo senso assunto informazioni su di lui; c’è un'informazione in itinere, per cui io vado controllando puntualmente le cose che mi dice e le prescrizioni che mi dà per valutarne l'appropriatezza, anche alla luce di quella che è un'esperienza condivisa, almeno nella comunità di cui si fa parte, e c’è poi un controllo di questa informazione ex post, cioè quando vado a valutare i risultati dell'intervento che ho in qualche modo subito, intendendo per intervento tutte le tipologie delle procedure con cui un malato si riferisce al suo medico per ricevere da questi soprattutto assistenza e cura.
  Da questo punto di vista, l'investimento, che sempre di più si può e si deve fare, riguarda proprio la tipologia del consenso informato, cioè la qualità dell'informazione che il malato assume, che non può essere esclusivamente legata a quella che gli forniscono i media, laddove noi sappiamo perfettamente che ci può essere un Pag. 14franco fraintendimento di quello che è, per così dire, lo status reale delle conoscenze scientifiche e delle possibilità a cui queste conoscenze scientifiche possono dare luogo nella loro applicazione clinica. Abbiamo bisogno che il paziente, e il cittadino prima di lui, ma comunque il paziente possa accedere a un'informazione qualificata, un'informazione qualificata sulla patologia – prima di tutto, sui sintomi, successivamente, sulla possibilità di identificare la sintomatologia e attribuirla a un quadro patologico preciso – ma anche informazioni molto precise e molto concrete su chi fa cosa e quali sono i risultati a cui arrivano queste persone. Ci sarà sempre più bisogno che i professionisti rendano disponibili, come informazioni – faccio un esempio per tutti – quanti interventi di cardiochirurgia hanno fatto in quell'anno, quanti trapianti hanno fatto in quell'anno, che tipo di risultati hanno ottenuto, e il paziente deve misurare le sue aspettative concrete anche sulla base dei risultati effettivamente disponibili.
  Da questo punto di vista, è fondamentale anche per il medico dare di sé un'immagine il più possibile realistica e oggettiva di quali siano le sue competenze effettive, perché lo stesso codice deontologico, quando misura il senso della responsabilità del professionista, mette anche in conto molto profondamente quello che è il suo livello di competenza: ci sono cose che io potrei fare a norma di legge, ma che non posso fare di fatto, perché non posseggo le competenze necessarie e sufficienti per affrontare quel tipo di incarico.
  Da questo punto di vista, questo riguarda non soltanto il professionista, nella sua responsabilità individuale, ma riguarda anche la struttura, nella possibilità di affidare a un professionista, piuttosto che a un altro, un compiuto e una responsabilità, misurandola sempre sul parametro delle competenze.
  È di pochi giorni fa la notizia per la quale – in questo caso, ci si riferisce alla valutazione dei direttori generali – il criterio di scelta è sempre di più un criterio orientato alle competenze, quindi l'etica della competenza è sempre di più sottratta a quella che potrebbe essere la cosiddetta logica politica che comunque, declinata a livello delle strutture, come è declinata a livello accademico, è quella del clientelismo accademico, per cui si privilegiano persone che rispondono a criteri di un certo tipo, piuttosto che non quel criterio, che è il fattore dirimente essenziale, che è la competenza specifica.
  Da questo punto di vista, si capisce come, assunti come parametri questi due elementi di base, il maggior empowerment da parte del paziente e la maggiore responsabilità del professionista nella sua relazione di persona informata sui fatti, che informa correttamente sui fatti, si capisce come attualmente il tema del rischio clinico abbia spostato il suo baricentro da quella che era, diciamo, la responsabilità del paziente ad attivare un processo, in qualche modo, di richiesta di risarcimento, a quella che è la responsabilità del professionista a dover fornire in qualche modo l'onere della prova. Ci si chiede sostanzialmente in che misura siano state fatte correttamente le cose e si assume come criterio-guida per questo corretto agire del medico quello che viene offerto, per esempio, dal rispetto di protocolli e dal rispetto di linee-guida che siano state stilate e, in qualche modo validate, da quella che è la comunità scientifica e poi riportate correttamente, per esempio, sul sito del Ministero della salute.
  La disponibilità di linee-guida costantemente aggiornate e la disponibilità di protocolli che riflettano realmente quella evidence based medicine, che ci dice e misura l'efficacia di un farmaco, l'efficacia di un approccio diagnostico e perfino l'efficacia di uno screening sui risultati concreti, è la grande conquista della medicina del nostro tempo. È una conquista importante, però non dimentichiamo, che è una conquista che ha il suo bias intrinseco, perché tratta i pazienti sotto forma di classi di pazienti. Ora se c’è un elemento verso cui la stessa medicina moderna viaggia, con sempre maggiore determinazione, Pag. 15è quello della medicina di precisione, cioè quella medicina di precisione, che considera ogni malato nella sua singolarità. C’è un aforisma che dice che tra poco tutti i malati saranno considerati malati rari, perché ogni malato farà in qualche modo categoria a sé. Allora, rendere compatibile la necessità di disporre di linee-guida aggiornate e approfondite, con il criterio del rispetto per la singolarità e la tipicità di ogni paziente è proprio la nuova responsabilità messa in carico al medico, il quale, tutte le volte che potrà, si atterrà a linee-guide e protocolli, ma tutte le volte che si vorrà – perché lo riterrà giusto per il bene del paziente – discostare da queste linee-guida, dovrà darne atto in ciò che scriverà in cartella clinica. Non sarà possibile discostarsi dalle linee-guida senza dare ragione concretamente del cosa ha fatto, del perché l'ha fatto e del perché ha ritenuto opportuno agire in modo diverso. Questo riflette quella mentalità contrattualistica nella relazione medico-paziente che, se per certi aspetti ha dei vantaggi, per altri aspetti, oggettivamente riduce un po’ la relazione medico-paziente e assume una forma, come dire, di contratto per la quale il paziente diventa più facilmente il cliente.
  Ora senza voler, a mio avviso, scadere in quella che è una prospettiva prettamente o prevalentemente aziendalistica, non si può trascurare l'elemento di contrattualità come un elemento di garanzia all'interno di questa relazione.
  Perché il medico è sempre più sollecitato a operare in questo modo ? È stato detto da tutti i colleghi che sono intervenuti prima di me: perché noi ci troviamo davanti a uno scenario, che è quello offerto dalla medicina difensiva, nell'ambito del quale il lievitare dei costi per l'insoddisfazione dei risultati sta creando al sistema sanitario nazionale nella sua complessità un peso non irrilevante, un peso che abbiamo sentito oscillare tra i 10 miliardi, cui ha fatto riferimento il collega Occhiuto, ai 13 miliardi a cui faceva riferimento il collega Gelli, fatto salvo il collega 5 Stelle che ha ritenuto questi numeri totalmente campati per aria. In realtà, fermo restando che è difficile esprimere con esattezza e con precisione questi numeri, l'entità e la grandezza alla quale ci si riferisce è una grandezza pari a una decina di miliardi, come cifra minima della forbice tra i 10 e i 13 miliardi.
  È chiaro che, davanti al costo della medicina difensiva, il sistema sanitario nazionale e chi lo gestisce nella persona del Ministro, nella persona del Governo, nella persona degli assessori regionali alla sanità, desidera adottare delle misure e adottare delle misure molto concrete. Ora, se è vero che la medicina difensiva nuoce al sistema, perché carica sul sistema dei costi non irrilevanti, dobbiamo però dire anche che la medicina difensiva nuoce al paziente, ed è soprattutto nella logica della centralità del paziente che noi vogliamo ridimensionare rigorosamente quella che è la medicina difensiva. Perché dico che nuoce al paziente ? Nuoce per tre tipi di argomentazioni: la prima, perché lo sottopone ad accertamenti di cui non ha bisogno, impone quindi anche il ripetersi di esami perché il medico vuole essere sempre più sicuro che quella risonanza sia stata fatta in quel contesto, che l'abbia letta quel determinato collega, che quelle indagini cliniche siano state fatte in quel tipo di laboratorio, che risponde a quei criteri di qualità. Questo moltiplicarsi delle analisi non è solo un costo per la struttura, è anche un costo per il paziente, e questo potremmo considerarlo una medicina difensiva che agisce per eccesso.
  Ma c’è anche una medicina difensiva che agisce per difetto, perché il medico, nella paura di non essere del tutto all'altezza della situazione, della struttura in cui si muove e della prestazione che viene richiesta, preferisce in qualche modo dislocare il paziente in altre strutture: è un esempio che conosciamo tutti, quando un paziente viene rifiutato da più pronti soccorso, perché il pronto soccorso in quel momento si dice non essere in grado di fornire le prestazioni che vengono richieste e, davanti al timore – chiamiamolo così – dell'insuccesso o dell'inadeguatezza, si preferisce, in nome del bene del paziente, spedirlo in un'altra struttura senza Pag. 16tenere conto che, molte volte, questa sorta di migrazione interna del paziente tra le strutture sanitarie può creare dei ritardi considerevoli, può creare una incapacità di assumere, alla luce della mission specifica del medico e dell'ospedale, quella responsabilità concreta nei confronti di quel paziente.
  Ecco, quindi, che la medicina difensiva ci obbliga a muoverci in una misura per cui, potremmo dire, come principio di giustizia, do esattamente a quel paziente le cose di cui lui ha bisogno, non gliene do di più perché non sarebbero un bene per lui, ma certamente non gliene do di meno perché, in quel caso, il danno che effettuerei è un danno certo e sicuro.
  Ora, rispetto però al tema della responsabilità del medico e della responsabilità in questo caso specifico, come l'esempio che ho fatto del pronto soccorso, esiste a monte la responsabilità della struttura, e il tema della dispersione delle risorse legate alla medicina difensiva deve tenere conto anche di quello che è, per esempio, il tema della cattiva organizzazione all'interno dell'ospedale, il tema della dispersione delle risorse, perché non sono chiari i processi attraverso cui il paziente si deve muovere per poter giungere ad avere quella diagnosi di cui ha bisogno, per poter avere quel trattamento unitario ed integrato che risponde alla complessità della sua patologia e non soltanto alla linearità del bisogno, chiamiamolo così, semplice. Questo è il tipico problema che viene posto dal paziente anziano, che viene posto dal paziente che, in qualche modo, comincia ad avere patologie di tipo cardiologico, che si sommano a patologie di tipo gastroenterologico, che si sommano a patologie di tipo oncologico: l'unicità di quel paziente risponde alla complessità degli interlocutori e alla mancanza, come dire, di chi fa la sintesi, e risponde davvero della revisione dell'intero trattamento a seconda dei bisogni del paziente. In questi casi, spesso, il paziente chiamato da solo a far la sintesi e a decidere – come sappiamo succede a volte –: non posso prendere tutte queste medicine, quindi ne prendo un po’ di queste e un po’ di queste, non posso fare tutte queste cose, faccio questo ma non faccio quest'altro, in una sorta di processo in cui lui diventa tristemente protagonista di una cosa che non lo vede, però, assolvere questo compito con la competenza di cui avremmo bisogno.
  Ma, per quanto riguarda il tema del rischio della dispersione delle risorse, dobbiamo considerare a volte anche la carenza di quella che è la Health Technology Assessment in Italia. C’è sicuramente una crescita di esigenza a questi livelli, perché questo permetterebbe di razionalizzare certe diagnosi, permetterebbe di unificare certi processi, permetterebbe di porre a confronto una serie di dati e, quindi, velocizzare il tema della sintesi, ma molto spesso, in Italia, noi ci troviamo davanti a sistemi vecchi, sistemi farraginosi, sistemi in cui la famosa sanità 2.0 è ancora un'utopia.
  E, in questa utopia, chi fa le spese ancora una volta è sicuramente il paziente in prima persona, ma se il rischio matura ed esplode in un danno concreto, il rischio lo corre il sanitario, e molte volte è l'azienda nel suo insieme che non è stata in grado di fornire quella risposta di qualità, di strutture di qualità, di modelli organizzativi e di processi di qualità. Quindi, è abbastanza evidente che la struttura che, in primo, deve rispondere del danno occasionato al paziente, è l'azienda nel suo insieme, perché molto spesso è il deficit dell'azienda, che non ha saputo assumere la sua responsabilità di cura, che deve farsi carico del proprio posto e, quindi, deve razionalmente decidere che i costi in salute sono una forma di investimento molto più di quanto non siano un costo che possa essere, come dire, fatto pagare a qualcuno.
  Questo problema ha avuto, nel tempo, anche con una velocità crescente, una serie di ripercussioni molto forti sotto il profilo della medicina assicurativa. Sappiamo che, per fare fronte a questo contenzioso, per fare fronte a questi costi posti dalla medicina difensiva, molto spesso le strutture sanitarie hanno intrapreso la strada dell'assicurazione del singolo professionista e della struttura. Ma Pag. 17l'aleatorietà con cui le società di assicurazioni si confrontano con queste situazioni – posto per esempio che il contenzioso fino a poco tempo fa aveva una lunghezza, un arco di tempo, di dieci anni e, quindi, rendeva anche alle stesse società di assicurazioni molto difficile prevedere nel tempo quale potesse essere una corretta gestione del rischio in chiave economica – ha fatto sì che molte delle società di assicurazioni italiane siano venute meno in questa sfida e che ci sia stata una proliferazione di società di assicurazioni internazionali, le quali hanno sostituito le società di assicurazioni nazionali, a volte ponendo il problema della riassicurazione.
  In questo clima nasce anche la situazione, che mi sembra ci sia in Piemonte e anche in Toscana, in cui le aziende ospedaliere non si assicurano presso terzi, ma accantonano fondi per fare fronte a quelle che possono essere le azioni di rivalsa dei pazienti. La mancata chiarezza nella dinamica assicurativa è stato uno dei nodi più forti che questo provvedimento ha cercato di affrontare, precisamente perché è da questo punto di vista che si ha la massima dispersione delle risorse. Venire a capo di una chiarificazione del «chi assicura cosa» e del «come si assicura» il singolo professionista è un fatto importante.
  Faceva riferimento, il collega Gelli, parlando del tema delle assicurazioni, ad una esperienza che abbiamo vissuto recentemente con ospedali che, in qualche modo, hanno dichiarato una sorta di fallimento e hanno chiuso. I pazienti che avevano azioni di rivalsa in quel momento, si sono trovati nella necessità di doversi a loro volta rivalere direttamente sul professionista, piuttosto che non sull'azienda che aveva, in qualche modo, «chiuso bottega». Questa logica crea condizioni di intrinseca ingiustizia: ingiustizia per il paziente che ha subito il danno, se non può riceverne tra virgolette il «risarcimento dovuto»; ingiustizia nei confronti del professionista, che si trova a dover far fronte a responsabilità che non possono realisticamente essergli messe in conto; e poi l'evaporazione di alcune aziende, che, in qualche modo, avendo dichiarato bancarotta, si ritengono del tutto sollevate dal rispondere di azioni che erano state commesse sotto il loro governo.
  Questo tema, il tema della medicina delle assicurazioni, è un tema che sta evolvendo e che richiede una nuova capacità di analisi e di riflessione, anche in rapporto al fatto che il Sistema sanitario nazionale spesso obbliga ad avere dei processi e dei procedimenti così lunghi; mi riferisco, per esempio, ai pazienti che, per fare una richiesta di accertamento e di intervento, devono affrontare delle file lunghissime e dei tempi di attesa insopportabili, per cui alla fine anche loro stessi preferiscono, accanto all'assicurazione fornita dal Sistema sanitario nazionale, attivare un'assicurazione privata.
  Il tema delle assicurazioni private a cui si riferiscono i pazienti per poter avere prestazioni in tempi più brevi e anche in strutture che reputano più idonee a soddisfare il proprio bisogno di salute, è un ulteriore fattore di complessità, che, nell'ambito della medicina delle assicurazioni, sta creando contenziosi in cui il tema di fondo diventa quello del Collegio dei periti. Ci troviamo davanti a situazioni in cui periti ufficiali, piuttosto che periti di parte, si trovano a svolgere dei ruoli che sono in conflitto di interesse tra di loro non poche volte.
  Uno degli aspetti interessanti della legge è aver pensato alla trasparenza dell'albo dei periti, ad aver definito le competenze specifiche che i periti debbono avere, anche soprattutto quando si tratta di specialità e di ultra specialità, proprio per ridurre in questo modo anche quello che stava diventando una specie di giungla, di cui ancora una volta, insisto, facevano le spese i due utenti più deboli: il paziente da una parte, il singolo professionista dall'altra.
  Per concludere questa mia relazione voglio semplicemente sottolineare alcuni aspetti che io considero altamente positivi della legge. Il primo è di aver definito il concetto di responsabilità individuale e di responsabilità della struttura. Il secondo è di aver rimandato chiaramente a un supplemento Pag. 18di formazione, anche da parte non solo dei professionisti della salute, ma di tutti coloro che operano nel contesto della sanità, in termini di qualità della relazione medico-paziente, sapendo considerare l'accesso al contenzioso una sorta di extrema ratio che potrebbe essere affrontata prima e meglio in una relazione di intesa più serena e costruttiva. L'altra cosa, quella di rimandare costantemente a competenze che sono a volte considerate competenze di sfondo, tipo le competenze dei periti e, quindi, la competenza anche da questo punto di vista riguarda l'alto management delle strutture, ma riguarda anche che chi ha responsabilità di decidere degli investimenti e, quindi, di garantire l'aggiornamento tecnologico, oltre che l'aggiornamento organizzativo-gestionale degli ospedali, perché il rischio matura in tutto questo complesso di strutture e non è sempre strettamente ed esclusivamente riconducibile all'errore umano che può commettere questo o quel sanitario, in questa o quella condizione. Sapere, per esempio, che c’è un personale infermieristico che affronta turni particolarmente pesanti, sapere che c’è un personale medico che non è stato rinnovato nelle sue strutture, sapere tutto un insieme di cose la dice lunga su come i fattori di rischio si possono moltiplicare. Non a caso dall'Europa, e ne abbiamo fatto cenno nell'ultima finanziaria è venuto il tema famoso dell'orario del medico, cioè la garanzia di avere un personale sanitario anche sempre sufficientemente fresco nelle sue energie, lucido nei suoi processi decisionali, disponibile alla relazione senza tensioni accumulate e senza nervosismi: è anche questo un elemento che riduce i fattori di rischio.
  Noi ci auguriamo davvero che questa legge possa essere approvata quanto prima, abbiamo presentato alcuni emendamenti, su cui ci auguriamo vi sia la giusta attenzione e la giusta osservazione, perché sono stati presentati nell'esclusiva logica di migliorare il testo di legge e di rispondere meglio ad alcune ombre che ci sono e, quindi, di poter fornire a tutto l'insieme, dal paziente, al professionista, alla struttura ospedaliera, alla struttura più elevata che giunge fino alla soglia del Ministero, tutte le migliori garanzie possibili per una sanità che faccia ancora una volta dell'Italia su questo fronte un Paese di eccellenza.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Massimo Baroni. Ne ha facoltà.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Grazie Presidente. L'origine di questo provvedimento è da rinvenirsi nella legge n. 148 del 2011 e nell'obbligo introdotto dal Governo Monti con il decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2012 e nasce con l'esigenza di tutelare il cliente. Ed è a tutela del cliente che tutti i liberi professionisti devono stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Un obbligo che per le professioni sanitarie è stato fin da subito un problema, ovvero si è posto il problema per i professionisti della salute, che operano in regime di libera professione, e dei premi assicurativi, che per alcune specialità mediche erano ritenuti esorbitanti.
  Con il decreto Balduzzi, pur ribadendo che l'obbligo assicurativo permaneva solo in capo ai liberi professionisti, si demandò ad un decreto del Presidente della Repubblica la necessità di definire i requisiti minimi delle polizze e di costituire un fondo che sopperisse al fatto che per alcune specializzazioni mediche non si trovasse idonea copertura assicurativa, perché le compagnie assicurative facevano per l'appunto il bello e il cattivo tempo e, pare, che non stipulassero polizze per, ad esempio, i ginecologi.
  Con l'obiettivo di emanare i requisiti minimi delle polizze, il Ministero della salute, i medici, le professioni sanitarie e le assicurazioni si sono seduti intorno a tavoli segreti di contrattazione, cercando di trovare degli accordi. Il sottaciuto accordo era che i requisiti minimi fossero definiti solo a patto che l'obbligo assicurativo fosse esteso a tutti gli operatori della sanità, anche pubblici dipendenti; alcune bozze ufficiose riportavano infatti Pag. 19tale ambigua estensione dell'obbligo assicurativo. Tuttavia, l'accordo non vide mai luce per un semplice motivo, il decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2012 ed il decreto Balduzzi chiaramente parlavano di obbligo assicurativo solo per i liberi professionisti. Fallita la prima strategia il problema assicurativo è stato quindi collocato nella cornice del rischio clinico e dei costi rilevanti della medicina difensiva. Allora si è deciso di intervenire sulla responsabilità del professionista della sanità.
  In buona sostanza, Presidente, un provvedimento nato a tutela del cliente e, nel caso della salute, a tutela dell'utente che usufruisce di prestazioni sanitarie, diventa un provvedimento a tutela del sanitario e del medico che è disposto a pagare il premio assicurativo a patto di un rilevante processo di depenalizzazione della colpa medica e del sanitario. Si decide di affrontare dunque il rischio clinico da un lato e la responsabilità del sanitario dall'altro, e lo si decide in maniera assolutamente irrazionale e scoordinata prevedendo che buona parte del rischio clinico fosse inserita nella legge di stabilità, mentre la parte della responsabilità professionale in questo disegno di legge. Si è tentato malamente di delineare una rete efficace ed efficiente del rischio clinico, ma a costo zero ! Questa è l'ennesima dimostrazione che quanto sbandierato in fase di approvazione della legge di stabilità era in realtà l'ennesimo annuncio effimero. Si diceva che una regolamentazione del rischio clinico e l'abbattimento dei costi della medicina difensiva avrebbero consentito di recuperare ingenti risorse per il sistema sanitario nazionale, tanto da prospettare un piano di assunzioni epocale, cosa che in stabilità si è poi rivelata una vera truffa semantica. Pertanto ci domandiamo per quale motivo in questo testo dalle mille risorse economiche si continui a prevedere il costo zero.
  La sanità ha bisogno di risorse e ha bisogno di recuperare queste risorse, oltre 4 miliardi, che da prima dell'estate ad oggi sono state brutalmente sottratte al sistema salute e ai cittadini. Pensare di costruire un sistema integrato per la gestione del rischio in sanità con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica è impossibile, è una truffa ! Se si vogliono istituire veramente i centri regionali del rischio in sanità bisogna dotarli di risorse umane, strumentali e finanziarie e la copertura, stante anche gli annunci del Governo in stabilità e del relatore in questo provvedimento, è data dalla medesima proposta di legge.
  Quanto alla responsabilità professionale si arriva alla creazione di un vero e proprio obbrobrio giuridico ed etico: il comportamento dei medici deve essere dettato dalla politica, o dal Governo, e dalle società scientifiche private ancillari al Governo. Si introducono linee guida dettate dalla politica ed il medico non risponderà per dolo e colpa grave laddove dimostri di aver seguito tali linee guida dettate dal Governo di turno. Un chiaro ingessamento della scienza e del suo sviluppo. Voglio ricordare un breve passo del giuramento di Ippocrate: «Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento, rifuggendo da ogni indebito condizionamento».
  Questo disegno di legge, come concepito dalla maggioranza che sostiene il Governo, è un colpo al cuore al giuramento di Ippocrate !
  Premesso che le linee guida non possono essere correlate al grado di responsabilità professionale, in ogni caso si vuole ricordare, peraltro, che le linee guida e la loro attendibilità sono correlate al grado di indipendenza di chi le emana e del metodo utilizzato. Il Sistema nazionale delle linee guida dell'Istituto superiore di sanità è, allo stato attuale, un metodo consolidato che rende attendibili le raccomandazioni sulle buone pratiche cliniche orientate alla medicina basata sull'evidenza e a percorsi di revisione della migliore letteratura scientifica. Non è pensabile che delle commissioni ministeriali con i soliti nominati garantiscano un sufficiente grado di indipendenza ed attendibilità, Pag. 20e non è pensabile che la scienza e la coscienza di un professionista sanitario siano barattabili in nome delle lobby assicurative e dei loro premi esorbitanti. Sono queste le insormontabili criticità che ci hanno spinto a pensare ad un testo alternativo e auspichiamo che in quest'Aula, così come nel mondo sanitario, si crei la giusta riflessione e la giusta eco affinché non si decida di svendere l'intellettualità della professione sanitaria al sistema lobbistico assicurativo.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Monchiero. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI MONCHIERO. Presidente, giunge in Aula, dopo anni di attesa, una norma particolarmente importante. Il fatto stesso che iniziative analoghe assunte nell'ultima legislatura si fossero sempre e sistematicamente alienate è la dimostrazione oggettiva della difficoltà di disciplinare compiutamente una materia che si presenta molto complessa, non solo perché riguarda la salute dei cittadini ma perché si tratta di contemperare esigenze fra di loro diverse, in qualche caso concepite anche come contrastanti, mentre contrastanti non dovrebbero essere. Ci sono anzitutto da tutelare i diritti dell'utente ad avere prestazioni sanitarie di qualità, ad avere prestazioni sanitarie tempestive, e ad avere anche un adeguato e giusto risarcimento nei casi – per fortuna meno frequenti di quanto comunemente si ritenga – che le cure non abbiano ottenuto l'effetto sperato, anzi che siano state a loro volta dannose, talvolta – può succedere – anche per errori umani. Poi c’è da contemperare l'esigenza di certezza delle aziende sanitarie, pubbliche e private, nel gestire gli eventuali contenziosi, che stanno assumendo connotazioni importantissime e il cui esito spesso si protrae a lungo nel tempo per poi approdare a risultati economicamente devastanti, che non aiutano l'efficienza del sistema. Poi c’è, secondo noi, secondo i promotori di questa riforma, un interesse collettivo alla tutela del personale sanitario, che deve poter lavorare con serenità. Il personale sanitario ha responsabilità gravi e se sovraccaricato di responsabilità, che vanno al di là di quelle strettamente connesse alla professione, tende a chiudersi in un'attività di autotutela, la cosiddetta medicina difensiva. La medicina difensiva non solo comporta costi non corretti per la collettività ma comporta anche rischi per i pazienti. Un personale non sereno, un personale preoccupato, un personale eccessivamente prudente tenderà ad evitare ogni rischio, il che, specie in situazioni di emergenza, non può non ricadere sull'efficacia e sulla qualità delle cure. Ma perché il personale è così preoccupato per il proprio futuro ? Come siamo giunti alle attuali difficoltà che vengono lamentate ormai da qualche decennio dal personale sanitario ? Per una serie di ragioni, anche difficili da controllare: il progresso scientifico ha portato molti benefici nella qualità delle cure, ma ha anche creato aspettative di guarigione talvolta non realistiche; si va in ospedale come si porta l'autovettura dal meccanico, con la certezza che sia riparabile, e talvolta così non è. Ma l'attesa della guarigione può essere fomite di un'azione negativa quando il risultato sperato non si realizza. Poi c’è un'opinione pubblica frastornata dai media e da forme di comunicazione che conducono all'esasperazione.
  Viviamo in un Paese caratterizzato da un sistema sanitario molto efficace; parlando di economicità del sistema, tengo a sottolineare spesso che si tratta di un sistema anche efficiente. L'efficacia di questo sistema è indubitabile, tutti gli indicatori di efficacia, dall'età media della popolazione al numero delle morti evitabili, ancor di più, classificano il nostro sistema ai primissimi posti nel mondo. Sulle morti evitabili, che è un indicatore di efficacia inoppugnabile, siamo il secondo Paese al mondo dopo la Svizzera, e ci distanziamo davvero di pochissimo, la percentuale è pressoché sovrapponibile, ben davanti, in questa speciale classifica, rispetto ad altri Paesi occidentali con i quali amiamo confrontarci e che ci superano sotto molti altri profili, ma non sotto questo. Che un sistema così efficace venga Pag. 21percepito come una fonte di cattiva sanità al punto che non c’è telegiornale che non abbia la sua rubrica di malasanità, la dice lunga sugli effetti distorsivi dei media e della comunicazione nel mondo in cui attualmente viviamo. In questo contesto la giurisprudenza ha disciplinato autonomamente la materia, con effetti paradossali. Non è solo questa la situazione in cui, di fatto, nel nostro Paese, si è instaurata una sorta di common law, ma certo è che la giurisprudenza ha stravolto quelli che erano i principi sanciti nelle leggi partendo dal presupposto che la mancata guarigione nasconda quasi sempre o sempre un errore medico e che, in ogni caso, la prova che le cure sono state svolte correttamente vada posta a carico della struttura e del sanitario e non già a carico di chi si lamenta di una prestazione negativa. Inoltre, questo sistema ha condotto a risarcimenti sproporzionati. È un po’ paradossale, ma si viene risarciti di più a seguito di una morte in ospedale che non attraverso una morte provocata da un incidente stradale. Per tutte queste ragioni, credo che sia urgente un intervento del legislatore, anche per riappropriarsi di una funzione legislativa che va affrontata con chiarezza, con serenità, con piena assunzione delle problematiche da risolvere, anche con la modestia e il timore che tutti noi dobbiamo avere quando affrontiamo argomenti così delicati. La legge che è all'esame di questa Assemblea è una buona proposta di legge, che pone innanzitutto in primo piano la sicurezza. Anzi, le norme a suo tempo elaborate in questa materia sono già state inserite nella legge di stabilità, tanto apparivano urgenti alla maggioranza, e sono state approvate dall'Aula in quell'occasione, ma le voglio qui richiamare, perché si tratta della base logica sulla quale si fonda la legge: potenziare tutte le attività di assunzione e di gestione del rischio clinico che comportano un miglioramento della sicurezza, perché il paziente ha diritto alla sicurezza e gli operatori hanno diritto di lavorare in condizioni di sicurezza strutturale e organizzativa, che non sempre le nostre aziende garantiscono. La legge, poi, sposta il concetto di responsabilità contrattuale – frutto di una ormai consolidata elaborazione giurisprudenziale – solo a carico della struttura e non più del medico; il medico viene sottratto alla responsabilità contrattuale, questo mi sembra un grosso passo in avanti. Di conseguenza, il risarcimento è posto in primis a carico della struttura, come è giusto che sia, e la rivalsa di questa sul proprio operatore che ha commesso errori inescusabili è possibile soltanto in caso di dolo o di colpa grave. Il giudizio di rivalsa va effettuato davanti al giudice ordinario, anche questo mi sembra un corposo passo in avanti. Prima, il diritto di rivalsa veniva considerato alla stregua della responsabilità amministrativa e contabile, quindi veniva attivato dalla Corte dei conti con effetti ulteriormente distorsivi; il giudice ordinario è più abituato a valutare le ragioni delle parti, quindi credo che sia effettivamente più corretto; è una soluzione che condivido totalmente. Infine, la norma detta disposizioni innovative in materia di obbligo di assicurazione sia per le strutture che per i medici. È chiaro che per una materia così complicata e così delicata le soluzioni adottate possono essere migliorabili e possono essere criticabili. Nei prossimi giorni certamente discuteremo degli emendamenti, anche per chiarire l'ambito di applicazione. Ma al di là di questi temi, che poi affronteremo naturalmente caso per caso, credo che si possa esprimere qui un'adesione convinta alle motivazioni di questa legge, ai principi che la ispirano e al contenuto fattuale in cui questi principi sono stati tradotti. Per cui, è con un pieno convincimento che esprimo non solo la mia personale adesione, ma anche quella del nostro gruppo, a una valutazione complessivamente molto positiva di questa proposta di legge.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fucci. Ne ha facoltà.

  BENEDETTO FRANCESCO FUCCI. Grazie Presidente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anzitutto vorrei esprimere l'apprezzamento per il fatto che l'Assemblea Pag. 22della Camera oggi si trovi ad esaminare il testo unificato in questione, che ha lo scopo di dare finalmente all'Italia un quadro normativo di riferimento in una materia che, per le dimensioni del contenzioso, ha assunto una rilevanza sempre maggiore e che chiama in causa, da un lato, la cosiddetta medicina difensiva, con i costi da essa generati, e dall'altro, la necessità di garantire all'Italia un sistema adeguato di gestione del rischio clinico.
  Desidero, inoltre, preliminarmente, sottolineare il clima di proficua collaborazione tra quasi tutte le forze politiche rappresentate in Commissione per poter arrivare, ferme restando le proprie opinioni che hanno avuto modo di manifestarsi pienamente tra ottobre e dicembre in fase di esame degli emendamenti, a una sintesi in grado di contemperare gli aspetti di maggior rilievo presenti nelle varie proposte di legge, da cui discende il testo unificato al nostro esame. Vorrei sottolineare positivamente il lavoro svolto nel ruolo di relatore prima dall'onorevole Vargiu e quindi dall'onorevole Gelli e di quest'ultimo ho anche apprezzato recenti dichiarazioni tese ad affermare la volontà di dialogo e apertura su possibili ulteriori migliorie da apportare al testo unificato in esame.
  In questo provvedimento, su cui mi sono espresso favorevolmente nel momento in cui in Commissione è stato votato il mandato al relatore, vi sono numerosi aspetti positivi, ma, non lo nascondo, ci sono anche aspetti che mi lasciano perplesso e sui quali, come dirò nel prosieguo dell'esame in sede di esame degli emendamenti, sarebbe a mio parere opportuno intervenire.
  In questa prima seduta sul provvedimento dedicata alla discussione sulle linee generali, intanto, desidero, in particolare, contestualizzare le ragioni alla base di un intervento normativo in materia di responsabilità professionale in campo sanitario. Ogni anno, come molti di noi sanno, oltre 34 mila cause legali vengono promosse contro i medici, ma di queste più del 98 per cento terminano in assoluzioni o archiviazioni. La paura di essere denunciati da parte di pazienti o parenti ha portato all'esplosione del fenomeno della cosiddetta medicina difensiva. Quantificare con chiarezza il costo della medicina difensiva in termini di danno al Servizio sanitario nazionale è oggettivamente difficile. Certamente possiamo, però, affermare, basandoci sia sui dati del Ministero della salute, che sulle risultanti di alcune indagini, pur non più molto attuali, depositate agli atti della Commissione affari sociali, che esami, accertamenti e ricoveri inutili o superflui, costano all'intera collettività tra i 10 e i 12 miliardi annui. Un altro elemento di cui tenere conto è relativo al fatto che oggi il contenzioso legale sta condizionando le scelte di carriera dei giovani medici che non vogliono più praticare specializzazioni ad alto rischio, vedi per esempio la ginecologia ostetricia. Alla base di un fenomeno che certamente ci deve preoccupare, anche alla luce della grande tradizione medico-scientifica del nostro Paese che storicamente ha formato professionisti di assoluto livello, vi è comunque non solo il timore di poter presto essere oggetto di cause giudiziarie destinate a durare negli anni che, anche in caso di assoluzione, potrebbero rimanere come una macchia sul curriculum professionale, ma anche la preoccupazione, che è purtroppo legittima, per i costi non sempre sostenibili delle polizze assicurative che il professionista è obbligato a stipulare, sia nel pubblico, che nel privato, alla luce delle più recenti norme in materia. Per inciso, proprio sulla materia assicurativa, trattata in particolare dall'articolo 10 del testo unificato, noi Conservatori e Riformisti abbiamo presentato più di un emendamento su cui nel prosieguo dell'esame richiameremo l'attenzione del relatore e del Governo.
  Penso poi ad un terzo elemento: la pressione mediatica creata intorno alla classe medica, per esempio, dalla sempre più diffusa presenza sui giornali di pubblicità di studi legali e di assicurazioni di consulenza medico-legale che invitano a rivolgersi ai loro servizi per fatti di presunta malasanità.Pag. 23
  Così l'attività dei medici italiani è drammaticamente aggravata dall'incremento continuo delle richieste risarcitorie e da un contenzioso medico-legale smisurato, che rende oggettivamente difficile agli operatori sanitari poter svolgere in modo pienamente sereno la propria attività professionale. Messaggi come questi sempre più diffusi sulla stampa, e in molti casi portati da tali associazioni perfino nelle strutture ospedaliere, sono tesi a non far distinguere la complicanza dall'errore professionale e al tempo stesso veicolano la malsana idea che ogni prestazione sanitaria non seguita da guarigione sia ascrivibile a malasanità. Questo crea tre criticità estremamente negative: la prima, suggestionando persone vulnerabili lese o colpite dalla morte di congiunti e spingendole ad un'azione giudiziaria anche quando non vi è fondamento; infondendo – e questa è la seconda – un senso di sfiducia nel Servizio sanitario nazionale, perché la malasanità viene fatta passare come una pandemia e perché si dà il messaggio che se le cause si concludono con l'assoluzione per il medico la giustizia non è in grado di rispondere alle istanze dei cittadini; in ultimo, concorrendo ad aumentare in modo considerevole il carico di lavoro del sistema giudiziario.
  Francamente ritengo che lo Stato non possa più consentire ai propri professionisti della sanità di lavorare in un clima che a volte è di caccia alle streghe e che comporta pesanti ricadute sotto il profilo economico, psicologico e mediatico, oltre che a screditare l'intero Servizio sanitario nazionale. Ritengo per questo importante che, in qualche modo, con la discussione che si avvia oggi in Assemblea, il legislatore si impegni per dare un segnale sulla sua consapevolezza delle criticità di un sistema, come quello sanitario italiano, nel quale, negli ultimi anni, vi è stato un proliferare di cause giudiziarie, soprattutto in alcune branche della medicina, che non esito a definire abnorme.
  La materia trattata dal provvedimento in esame è certamente complessa e le considerazioni da me fatte lo dimostrano. Peraltro, a renderla ancora più complessa concorre anche un altro fattore, e cioè che il tema della responsabilità si accompagna a quello della gestione del rischio clinico: rispetto al quale oggi, con molta franchezza, possiamo dire non esiste, a differenza di altre realtà anche europee a noi vicine (vedi la Francia), un vero e univoco modello che si rifaccia ad una metodologia riconosciuta a livello nazionale, pur riconoscendo delle realtà territoriali in cui già si opera in questo senso.
  Il sistema della gestione del rischio clinico per essere tale deve raccordare le unità di gestione del rischio clinico a livello aziendale, obbligatorie, con agenzie a livello regionale e con l'Osservatorio nazionale sulla sicurezza della sanità. Su questi e su altri temi presenti nel provvedimento al nostro esame, avremo modo di confrontarci e mi auguro di trovare momenti di convergenza su capitoli importanti, quali la natura della responsabilità civile delle strutture sanitarie, la tutela del medico coinvolto nell'azione di rivalsa a seguito dell'azione in via stragiudiziale, la sostenibilità del sistema assicurativo per il rischio clinico, la gestione del rischio clinico, il totale anonimato dell’audit, il miglioramento delle condizioni organizzative e strutturali in cui troppi medici e sanitari operano ogni giorno con enorme difficoltà.
  Mi avvio a conclusione, signor Presidente, per sottolineare come davvero intorno a questo provvedimento, e quindi al lavoro della Camera in materia di responsabilità medica, vi sia una grande attenzione da parte degli operatori della sanità e dei cittadini. Abbiamo quindi di fronte a noi, onorevoli colleghi, a partire da questa seduta, la grande responsabilità di compiere il primo passo di un percorso che mi auguro possa portare nel più breve tempo possibile, e ove possibile apportando ulteriori e necessari miglioramenti, sia qui nella nostra Assemblea, che nel Senato, al varo definitivo di una buona legge a tutela sia della professionalità del personale medico-sanitario, che della serenità dei pazienti che affidano ad esso il loro bene più prezioso: la salute !

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  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Amato. Ne ha facoltà.

  MARIA AMATO. Grazie Presidente. Stiamo affrontando il testo di legge sulla responsabilità professionale sanitaria, argomento più comunemente e sinteticamente definito «rischio clinico», di cui il relatore ha fatto una chiara descrizione nel suo insieme e nella ratio che lega l'articolato. Il testo arriva in Aula dopo un lungo lavoro delle Commissioni affari sociali e sanità, lavoro a cui hanno partecipato attivamente e costantemente alcuni commissari della Commissione giustizia.
  Le audizioni, le lunghe discussioni, il lavoro delicato e fruttuoso del relatore nella rielaborazione dei diversi articoli ci consegnano un testo che interessa tutti gli esercenti le professioni sanitarie che operano nel sistema di cura, nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private. La medicina difensiva non è un'invenzione, la medicina difensiva esiste e incide pesantemente sulla salute dei cittadini e sull'economia del sistema: perdonate il personalismo, a meno che io, medico ospedaliero da oltre venticinque anni, e come me quelli che hanno avuto un ruolo attivo nel sistema sanitario con cui da anni ci confrontiamo sul tema, abbiamo vissuto in un ambiente fantastico, piuttosto che negli ospedali italiani. Si tratta di un percorso difficile che deve trovare una sintesi di equilibrio tra i diritti del cittadino a cure sicure e, in caso di errore, ad un percorso risarcitorio in tempi accettabili, la tutela dell'operatore in una quotidianità di lavoro sempre più complessa, le coperture assicurative, il ruolo delle strutture e il risk management. Il contesto è quello di medici che si difendono, di pazienti in parte sfiduciati da un sistema che non sempre assicura equo accesso alle cure in tempi adeguati, di pubblicità aggressiva con proposte di tutela per errori sanitari, di professionisti della comunicazione non sempre preparati ad affrontare temi di sanità, di un appeal magnetico, al limite della perversione, che la malasanità ha sull'opinione pubblica e di un ruolo sempre più ampio in capo alla magistratura in decisioni legate alla salute. La salute decisa in tribunale è l'anomalia dei sistemi sanitari del nostro tempo; il luogo naturale dei bisogni di salute è nel rapporto di fiducia tra il malato e il sistema di cura, medico, professioni sanitarie, organizzazioni e strutture: un rapporto di fiducia in molte circostanze minato dall'essere potenziali nemici e dall'eccessiva burocratizzazione della sanità. Il diritto alla salute è un diritto costituzionale, e dunque il cittadino deve essere al centro di un sistema di cure adeguato e sicuro e in caso di errore ha il diritto al risarcimento giusto, in tempi adeguati, a perizie fatte da esperti in medicina legale affiancati da esperti veri delle problematiche specialistiche che le interessano. Non è più il tempo dei «tuttologi» in nessun ambito della sanità, e meno che mai in questo. Gli esercenti le professioni sanitarie e in particolare i medici, su cui in genere ricade la maggiore responsabilità, ormai affrontano il lavoro con un atteggiamento di difesa con effetti economici ampiamente noti, ma, soprattutto, con effetti negativi per il paziente, curato con molta più difficoltà e con una paradossa riduzione della sicurezza. L'iter diagnostico è in genere una sequenza di esami che rimandano a un livello superiore, alla ricerca di una evidenza scientifica di certezza che esiste solo per pochi casi, referti pieni di avverbi: presumibilmente, in prima ipotesi, non si può escludere, compatibilmente; lunghe e particolareggiate descrizioni che si concludono in genere con: quadro di non univoca interpretazione per cui si consiglia un altro esame. E un altro esame non è solo un costo in più per il Sistema sanitario nazionale, ma è, il più delle volte, un rischio in più per il paziente: radiazioni ionizzanti, farmaci, procedure invasive quali esami endoscopici oppure biopsie. Il medico si difende e se può non rischia, si affida ad assicurazioni sempre più costose; il medico è fragile rispetto al percorso di giudizio e frustrato in strutture che non sempre gli garantiscono adeguate risorse umane e strumentali.Pag. 25
  C'era bisogno di una legge, buon ultimo, per il problema del rispetto della normativa europea in relazione all'orario di lavoro del personale sanitario. La mia specialistica è la radiodiagnostica, e nella mia professione lo screening mammografico è uno dei settori a più alto rischio. Proviamo a immaginare una situazione che è frequente nelle strutture ospedaliere: il medico radiologo fa il suo turno il pomeriggio, fa la reperibilità notturna, dorme pochissimo, e poi il mattino successivo non vede un piccolo gruppo di microcalcificazioni, minuscoli puntini bianchi in una mammografia che sono il segno del sospetto cancro di mammella. È colpa sua o del sistema che non lo mette in condizioni di lavorare al meglio ? O quando un paziente si fa male in quelle corsie dove gli infermieri sono sotto organico, o ancora quando carenze nell'approvvigionamento di farmaci e presìdi costringono gli operatori a un lavoro che si avvicina, in difetto, alle buone pratiche o alle linee-guida ?
  Il testo in esame rivede il ruolo e la responsabilità delle strutture e dell'operatore, definendo i livelli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Si dedica uno spazio particolare al responsabile del risk management e al ruolo dell'unità operativa di rischio clinico, indicando il profilo formativo o di esperienza dedicata pluriennale, anche in questo caso rimarcando la necessità di autorevolezza derivante dalle conoscenze e dalla formazione. Si parla di audit e di linee-guida: sottolineo a questo proposito la difficoltà nel far coincidere la visione sanitaria col punto di vista della giustizia. L’audit clinico è uno strumento per migliorare la sicurezza dei percorsi di cura, non è un metodo di indagine, è il modo e il luogo per ripercorrere con gli operatori coinvolti, insieme ai responsabili del rischio clinico, l'evento avverso o potenzialmente avverso. Quanti saranno gli operatori che parteciperanno senza difese ad un audit, sapendo che la relazione può essere utilizzata dalla magistratura ? Abbiamo lavorato molto, sia nella deontologia che nel controllo della qualità, per acquisire quel coraggio che, mai nascosto dall'anonimato, porta al confronto e all'analisi critica di fatti avversi o anche solo potenzialmente avversi. Ora, sicuramente si può scegliere di rendere i risultati degli audit disponibili per le indagini, ma bisogna avere la consapevolezza che si svuota lo strumento tecnico stesso dell’audit dall'efficacia sul miglioramento della sicurezza delle performance. Le linee guida sono fatte di raccomandazioni su base scientifica ed esperienziali nazionali ed internazionali, frutto di studi di gruppi di ricerca validati e condivisi dalle diverse società scientifiche. Non si deve dimenticare, però, che non sempre per ogni specialistica c’è una sola società scientifica e nell'ambito di ogni specialistica insistono diverse tipologie di esercenti le professioni sanitarie. Non vengono aggiornate con periodicità costante le linee guida scientifiche, perché sono direttamente conseguenti al processo scientifico e tecnologico, per cui ad un periodo di stasi può corrispondere un ricco e ravvicinato contesto in cui le linee guida devono essere riviste. Le linee guida non possono essere gabbie, non hanno un valore universale, vanno contestualizzate a livello regionale, aziendale e ospedaliero, ricordando che in Italia non c’è quasi nulla di omogeneo e il rispetto degli standard minimi non toglie nulla alla grande variabilità di tecnologie, percorsi formativi e capacità dei singoli operatori. Le linee guida non si traducono automaticamente in norme comportamentali, e bisogna prestare attenzione al differente significato tra linee guida delle società scientifiche e norme comportamentali per standardizzare i percorsi ad opera del Ministero della salute per tutte le specialistiche: lavoro difficoltoso anche solo da immaginare !
  Si tratta di un testo, dunque, in equilibrio tra medico e paziente, fondamentale per favorire la ricostruzione di un saldo e irrinunciabile rapporto di fiducia, in equilibrio tra medico e struttura, con la chiarezza di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in equilibrio tra struttura e sistemi assicurativi: nessuna depenalizzazione per il medico, nessun trattamento di privilegio, ma maggiori tutele per Pag. 26operatori e pazienti. Spero che il passaggio in Aula sia caratterizzato dallo stesso spirito del lavoro di Commissione: discussione e confronto per migliorare il testo di una legge fondamentale per l'efficienza e la sostenibilità del sistema sanitario, per la sicurezza del paziente e per la tranquillità degli operatori.
  E spero che la risonanza mediatica che necessariamente si assocerà contribuisca al superamento del clima di «caccia alle streghe», per cui quando una malattia si complica o un paziente muore è sempre colpa di qualcuno, a prescindere, prima che la giustizia affronti il caso. E ricordo che la medicina difensiva danneggia prima di tutto il cittadino, e che in medicina, come in ogni altro ambito, l'errore esiste (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 14,45 con il seguito della discussione generale del testo unificato.
  La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 14, è ripresa alle 14,45.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bindi, Costantino, D'Uva, Fava e Mannino sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente novantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 259-A ed abbinate).

  PRESIDENTE. Riprendiamo il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge n. 259-A. È iscritta a parlare la deputata Donata Lenzi. Ne ha facoltà.

  DONATA LENZI. Grazie, signora Presidente. Colleghi, dopo tre legislature, più di dieci anni di discussione parlamentare, arriva in Aula alla Camera una proposta di legge di iniziativa parlamentare, particolarmente importante, sul tema della responsabilità professionale in sanità. L'oggetto dell'intervento è la creazione di un sistema di sicurezza delle cure, il miglioramento delle fattispecie per la responsabilità professionale dei sanitari, il contenimento della spesa dovuta alla medicina difensiva, maggiori certezze legislative, stanti le difficoltà di interpretazione dell'articolo 3 del decreto n. 189 del 2012, che è il cosiddetto «decreto Balduzzi», maggiore celerità nei risarcimenti e una dimensione che finalmente ci porta in Europa, attraverso una maggiore omogeneizzazione a quello che avviene negli altri sistemi sanitari.
  Allora, colleghi, la prima domanda a cui noi dobbiamo rispondere è perché è necessario riconoscere una specificità, a chi lavora in sanità, in materia di responsabilità professionale. Dove sta la differenza rispetto alla responsabilità professionale di un ingegnere, di un geometra, di un avvocato, di un notaio, di un promotore finanziario eccetera ? Bene, la risposta sta nel fatto che se la casa costruita dall'uomo crolla, dopo lavori sbagliati e inopportuni, come peraltro è appena successo a Roma, quello è l'esito di scelte sbagliate, compiute appunto da uomini. Se l'automobile costruita va per strada e c’è un incidente, quella è una macchina costruita da ingegneri, all'interno di fabbriche: è una costruzione umana. Se abbiamo problemi a interpretare le leggi – qualche responsabilità forse ce l'ha anche il legislatore – e il notaio compie un errore, quello è, a tutti gli effetti, l'errore umano. Ma se hai a che fare con la salute del nostro corpo, non è solo una questione di meccanica, non è una cosa che possiamo affrontare sapendo Pag. 27in principio che sappiamo già tutto, perché quello che sappiamo, invece, è che, per quanto le conoscenze della medicina siano enormemente aumentate negli ultimi decenni, ancora noi non sappiamo tutto e non sappiamo tutto del singolo paziente, della sua specificità – avete sentito, nell'intervento della collega Binetti, quanto si vada ormai verso una medicina con una cura individualizzata –, non sappiamo quale sia la sua eredità genetica e quali siano le sue capacità e potenzialità psicologiche.
  Ecco, è quello che non sappiamo che ci pone l'obbligo di tenerne conto, nel momento in cui si fa una scelta che attiene alla responsabilità. È il senso del limite che sta alla radice della proposta che va nella direzione di una modifica della responsabilità penale riconosciuta specificatamente agli operatori sanitari, per i quali si risponde – certo – per dolo e per colpa grave, ma, se ci si attiene alle buone prassi e alle linee guida, cioè a quell'insieme di cose che già sappiamo, allora, in quel caso, per l'imperizia e solo per l'imperizia, non si risponderà di colpa lieve.
  La seconda scelta che noi facciamo, che attiene alla dimensione della responsabilità civile, viene dalla raccolta di quanto emerso dal lavoro di una commissione, insediata ormai più di un anno fa dal Ministro Lorenzin, che ha chiamato intorno al tavolo i migliori esperti sanitari e giuristi e gli ha posto la questione di fare proposte sul tema della responsabilità in sanità. Era presieduta dal professor Alpa e ha dato esito dei propri lavori nel giugno scorso. È da loro che viene la proposta di distinguere la responsabilità contrattuale della struttura – l'ospedale, giusto per capirci, pubblico o privato che sia, ma se fossimo in Europa, diremmo dell'impresa –, quindi mantenendo in capo alla struttura una responsabilità contrattuale, con onere della prova, a carico della struttura ospedaliera, di dimostrare di aver fatto tutto il possibile, e prescrizione decennale, a fronte del ritorno, per gli operatori della sanità, a quanto era valido fino al 1999 e, quindi, responsabilità aquiliana extra contrattuale, ex articolo 2043 del codice civile.
  Ho visto anche, nelle ultime ore, molta preoccupazione da parte delle associazioni più attente alla rappresentanza dei diritti dei pazienti su questo punto. Vorrei rassicurarle: questo è il sistema adoperato in larga parte dei Paesi europei; il riferimento, quello contro cui agire, è appunto la struttura, l'ospedale, la ASL, il poliambulatorio. È anche una scelta coerente con l'evoluzione dell'organizzazione della sanità, dove non c’è il medico che agisce da solo – ce l'ha già ricordato l'onorevole Colletti nel suo intervento –, ma sempre di più le cause vengono fatte risalire a problemi organizzativi dell'intera macchina ospedaliera. Si pensi che in tre dei quattro casi di decessi di donne, morte nel momento del parto, che hanno tanto colpito, giustamente, l'opinione pubblica negli ultimi due mesi, in tre di quei casi gli ispettori del Ministero della salute hanno segnalato, in primo luogo, problemi informativi ed organizzativi.
  Quindi, porre in capo alla struttura la responsabilità è una giusta, logica conseguenza e, in quel caso, l'onere della prova rimane a carico della struttura stessa. Non c’è alcun carico ulteriore sulle spalle di chi è già provato da quello che ha vissuto. Ed è anche chiaro che la struttura ospedaliera o l'azienda sanitaria rispondono, come rispondono tutte le imprese, di quanto avviene nelle loro sedi e che dipende da altri fattori, quali la cattiva organizzazione, il malfunzionamento di un ascensore ed altro. Ma quello non è oggetto di questa legge e attiene alla normativa che è uguale per tutti.
  Allora, in questo caso i due cambiamenti – responsabilità penale e responsabilità civile – sono molto, molto significativi, ma non avrebbero alcuna giustificazione se non fossero inquadrati in un più complessivo ragionamento, che riguarda la sicurezza delle cure, in parte già anticipato dalla legge di stabilità, nella quale, ai commi 539 e 540, noi abbiamo inserito quelle che sono le norme sull’audit clinico, cioè abbiamo inserito le norme che spingono un'organizzazione complessa, come quella dei servizi sanitari, a adottare e costruire meccanismi di verifica continua Pag. 28della propria organizzazione, di cambiamento della stessa organizzazione in conseguenza di eventi avversi o di segnali di malfunzionamento, e abbiamo spinto, quindi, la struttura farsi complessivamente carico dell'importanza dell'obiettivo di garantire sicurezza alle cure, obiettivo che, a questo punto, diviene una parte importante del sistema sanitario.
  Abbiamo parlato dei risparmi della medicina difensiva. Io, però, vorrei parlarvi – mi auguro che i colleghi del bilancio sappiano interpretare le mie parole – della responsabilità che, come Governo e Parlamento, ci assumiamo nei confronti di questa impostazione.
  Infatti, come altre colleghe hanno detto nei loro interventi, questo vuole anche dire che noi dobbiamo garantire in primo luogo al sistema sanitario nazionale le risorse sufficienti ad assicurare quegli elementi di base che stanno appunto a garanzia della sicurezza: dagli orari di lavoro, chiamiamoli civili o chiamiamoli europei vista la direttiva che finalmente abbiamo recepito, alla garanzia sulla manutenzione e sull'adeguamento delle macchine tanto fondamentali all'interno della sanità. Pertanto, se è vero che da una parte noi potremmo avere dei risparmi conseguenti al contenere il ricorso ad esami diagnostici o anche a interventi chirurgici non necessari, ma giustificati solo dalla necessità di evitare il ricorso a una causa, dall'altra parte noi dobbiamo anche sapere che è responsabilità del servizio sanitario adeguare le risorse in modo tale da contenere la possibilità che ci sia un malfunzionamento tale da portare poi a gravi conseguenze.
  L'ultima considerazione è nata ascoltando gli interventi di oggi, come è bene che sia, perché questa, che è una legge di iniziativa parlamentare, è una legge che viene apertamente e con grande tranquillità discussa, con il contributo attivo e fattivo di tutti i colleghi. Mi colpisce sempre quando i colleghi della giustizia rivendicano la loro competenza in questa materia perché a me sembra che, in realtà, la giustizia sia competente su tutto essendo questa un'Aula di Parlamento nel quale si fanno le leggi. Peraltro, noi abbiamo altri quattro provvedimenti in congiunta tra gli affari sociali e la giustizia ed è un segno del momento riformatore che stiamo vivendo; era moltissimo tempo che non c'era questa necessità di lavorare insieme, tenendo presente il cambiamento della società, che noi che ci occupiamo di affari sociali siamo chiamati a rappresentare, con la necessità di adeguare le norme, non a principi astratti, ma in modo che tengano conto di quel cambiamento. Ma in questo caso specifico, sotto c’è il tema difficilissimo del rapporto tra il diritto e la scienza. La prima questione che questo Parlamento ha affrontato quando nel primo provvedimento arrivato in Aula abbiamo discusso del caso Stamina e che in qualche modo è un fil rouge di questa legislatura, è il tema di come noi riusciamo a costruire una legislazione tale da valorizzare e riconoscere il grande contributo che la scienza dà allo sviluppo e alla crescita di qualsiasi Paese e in particolare del nostro Paese. E io vorrei un diritto più amico della scienza per poter avere garanzie per la salute di tutti, cominciando dalla salute di chi in questo momento ne ha più bisogno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Nicchi. Ne ha facoltà.

  MARISA NICCHI. Grazie Presidente. L'obiettivo di questo testo, che esamineremo nel corso dei prossimi giorni, è quello di offrire un quadro giuridico più chiaro e di maggior tutela per gli operatori sanitari e di alleggerire la pressione del contenzioso medico-paziente. Un obiettivo importante. Ma se il provvedimento, così come noi lo esaminiamo, garantisce una maggiore tutela giuridica per i professionisti sanitari rispetto all'azione del risarcimento di danni, non c’è altrettanta sicurezza che lo stesso si possa dire in egual misura per l'aumento delle garanzie e delle tutele per i cittadini pazienti. Crediamo – e i nostri emendamenti cercheranno di andare in questo senso – che si sarebbe potuto fare di più per bilanciare Pag. 29il diritto dei cittadini e delle cittadine a vedersi riconosciuto il torto subìto e, contestualmente, a garantire una maggiore serenità ai medici e al personale sanitario.
  Un altro obiettivo che fin dal primo momento questo provvedimento si è posto è quello di dare una prima risposta alla cosiddetta medicina difensiva, cioè a quella medicina, a quell'eccesso di consumismo di esami diagnostici, di prestazioni mediche e sanitarie, di ricoveri e farmaci, che oggi rappresenta, come più volte è stato sottolineato, un eccesso di spesa.
  Noi però vediamo in questo testo delle criticità perché attualmente non vediamo quel bilanciamento di interessi. Da una parte, se non cambiano le cose, si finirà per produrre una perdita di libertà di azione del medico che si troverà vincolato a precise linee guida che saranno approvate e che diventeranno non più strumenti facoltativi di consultazione e di riferimento per chi opera, ma strumenti che rischieranno di imprigionare l'autonomia del medico; dall'altra, si scarica sul malato l'onere della prova di un'eventuale malasanità in conseguenza della scelta della natura extracontrattuale della responsabilità civile per l'esercente la professione sanitaria che svolge la propria attività nell'ambito della struttura sanitaria pubblica, privata o in rapporto convenzionato col sistema sanitario nazionale.
  Come ha bene evidenziato il giurista Luca Beni, il provvedimento sembra idealmente suddiviso in due parti, con una prima parte a favore del cittadino utente e paziente e una seconda parte a favore dell'esercente la professione sanitaria. Quest'ultima è assolutamente preponderante (depenalizzazione, incardinamento nella responsabilità extracontrattuale) facendo venire meno una serie di tutele oggi esistenti a favore della vittima del reato. Per contro, i rimedi a favore della tutela del paziente colpito, leso, sono assolutamente risibili, inconsistenti, quando anche anacronistici, come, per esempio, la riproposizione senza un bilancio della funzione del difensore civico. Nel testo che noi approviamo è stata espunta la parte che riguarda il cosiddetto rischio clinico in quanto il Governo ha deciso di farlo confluire interamente nella legge di stabilità del 2016. Queste norme disciplinano l'attività di prevenzione e gestione del rischio sanitario disponendo che tutte le strutture pubbliche e private che erogano prestazioni sanitarie attivino una funzione di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio sanitario per lo svolgimento di una serie di compiti, tra i quali l'attivazione di percorsi di audit e altre metodologie per lo studio dei processi interni e delle criticità più frequenti, i cosiddetti «eventi sentinella», la rilevazione del rischio di inappropriatezza nei percorsi diagnostici e terapeutici, la formazione continua del personale. Nella legge di stabilità questa parte è stata presentata, anzi, diciamolo, venduta, come la possibilità di un risparmio per eventuali assunzioni. Noi crediamo che tutto questo sia molto limitato e illusorio. In questo testo, invece, rimangono le disposizioni sulla responsabilità penale e civile che si applicano a tutte le professioni sanitarie e, quindi, ad un numero elevatissimo di professioni. Da qui la rilevanza del testo, dell'argomento, della materia che noi stiamo trattando. Infatti, coinvolgerà la vita professionale e anche la vita di tanti professionisti. Si cambia la responsabilità, sia da un punto di vista penale, poiché il medico, per esempio, non sarà più responsabile, neppure per colpa grave, se rispetta le previste linee guida, sia dal punto di vista civile, prevedendo una natura extracontrattuale della responsabilità dei medici, con conseguente inversione dell'onere della prova e dimezzamento del termine di prescrizione. Dalla lettura dell'articolo 7 emerge, tuttavia, che agli esercenti delle professioni mediche in regime libero professionale si continua ad applicare il regime della responsabilità contrattuale. Si tratta, a nostro parere, di un'anomalia, direi una bizzarria, che solleva anche qualche problema costituzionale. Non appare ragionevole, infatti, che la medesima attività venga considerata, a seconda di dove o come la si svolge, un'attività ora contrattuale, ora non contrattuale. Si segnala che nella materia su cui interviene la proposta di Pag. 30legge non esiste un quadro normativo europeo omogeneo, anche se prevale l'orientamento in molti Paesi rispetto alla tendenza e alla proposta che noi esaminiamo.
  Con l'articolo 7 si prevede un doppio regime, una responsabilità contrattuale a carico delle strutture sanitarie pubbliche e private, ed extra contrattuale per chi esercita la professione sanitaria e che la svolge proprio nell'ambito di una struttura pubblica, privata o in rapporto convenzionale. Se sino ad oggi era il medico a dover dimostrare che il danno provocato non era conseguenza di una sua azione colposa, con l'approvazione del provvedimento sarà il cittadino o la cittadina a dover dimostrare non solo di aver subito un danno, ma anche che vi è stata colpa da parte dell'operatore sanitario. Insomma, i cittadini e le cittadine, per far fronte a questo nuovo onere dovrebbero avere conoscenze scientifiche e della dinamica degli eventi che non hanno, ed avere un accesso alle informazioni che non sono sempre nella loro disponibilità e spesso gli sono precluse. Per di più avranno tempo a disposizione solo cinque anni per avviare l'azione risarcitoria e non più dieci anni come prima.
  Molto si è discusso di questo provvedimento, la collega Lenzi ha ricordato la lunga storia delle precedenti legislature, io mi voglio riferire alla discussione che si è svolta nel dibattito pubblico in questi mesi, perché voglio sottolineare alcune delle osservazioni di questa discussione. Per esempio il professore Ivan Cavicchi, esperto di politiche sanitarie, che dice: il malato per far fronte a questo nuovo onere dovrebbe avere conoscenze scientifiche che non ha, avere l'accesso, che non ha, a tutte le informazioni che lo riguardano, avere a disposizione prove chiedendole a chi non ha nessun interesse a dargliele. Insomma, come fa materialmente un malato comune a provare la responsabilità del medico ? Tonino Aceti, di Cittadinanzattiva, ha rilevato come l'inversione dell'onere della prova si scaricherà sul più debole. Con i nostri emendamenti abbiamo riproposto di mantenere la natura contrattuale della responsabilità civile di tutto il personale sanitario delle strutture.
  Voglio ricordare che la «legge Balduzzi» del 2012 era già intervenuta in materia di responsabilità penale degli operatori sanitari, escludendo la punibilità per colpa lieve quando si siano rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida. Proprio a questo riguardo allora, voglio riportare, perché ritengo illuminanti, le argomentazioni riportate dal tribunale di Milano nell'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale del 21 febbraio del 2013, a commento proprio della scelta operata dalla «legge Balduzzi». La norma, dice il tribunale di Milano, deresponsabilizza penalmente soltanto chi si attiene alle linee guida e alle buone prassi con l'effetto di inibire e atrofizzare la libertà del pensiero scientifico, la libertà di ricerca e di sperimentazione clinica, la libertà terapeutica all'interno di ciò che è stato consacrato dalle linee guida e dalle buone prassi. L'area della non punibilità, continua il tribunale, è ingiustificatamente premiale per coloro che manifestano acritica e rassicurante adesione alle linee guida o alle buone prassi, ed è altrettanto ingiustificatamente avvilente e penalizzante per chi se ne discosta con una pari dignità scientifica. Il collegamento tra la responsabilità penale e le norme sulle linee guida produce una sorta di azione di scudo formale al medico che è più ossequioso di queste linee guida.
  Altra osservazione, sempre su quest'articolo: si esclude la colpa grave quando sono rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida, si dice, salve le rilevanti specificità del caso concreto. Questo inciso è poco chiaro, il che è un grande problema per una norma penale. Cosa sono e cosa si intende con «circostanze rilevanti e specifiche nel caso concreto» ? È assolutamente indeterminato e ciò, sottolineiamo noi, potrebbe portare ad un aumento del contenzioso che è il contrario delle finalità evidenti dell'intervento normativo che noi esaminiamo.Pag. 31
  Come già ricordato, il medico non sarà più responsabile penalmente, neppure per colpa grave, se rispetterà formalmente le raccomandazioni previste (articolo 5) dalle linee guida, che saranno indicate dalle società scientifiche, dagli istituti di ricerca individuati con decreto ministeriale iscritti in un apposito elenco. Il rischio più concreto è che per non incorrere in alcuna responsabilità professionale, cioè per essere invulnerabile, il medico ne farà un uso cautelativo generalizzato e costante, alla faccia dell'autonomia clinica; vale peraltro la pena sottolineare, secondo le più note definizioni, che le linee guida sono raccomandazioni di carattere clinico, e per una costante giurisprudenza le linee guida sono non obbligatorie e sono puramente orientative. Queste norme, che approveremo e che noi naturalmente discuteremo, trasformano inevitabilmente le raccomandazioni e, quindi, le stesse linee guida, da orientative in qualcosa da seguire pedissequamente, e questo rischia di danneggiare l'autonomia professionale del medico e quindi di danneggiare il malato, contribuendo ad affermare una cosiddetta medicina protocollare, il contrario della personalizzazione di cui tanto si parla, che è anche una delle grandi sfide odierne della medicina.
  Scrive sempre il professor Cavicchi: le linee guida non possono essere un vincolo a priori dei casi clinici, se lo fossero la clinica morirebbe e al suo posto rischieremmo di istituzionalizzare la medicina difensiva. Una medicina protocollare non è una buona medicina, se cadesse l'autonomia responsabile della professione, tra un medico e un computer non vi sarebbero significative differenze, e poi se il problema è applicare delle linee guida in modo acritico, il computer sarebbe sicuramente più affidabile del medico. Questo, naturalmente, mette in discussione anche quella che è stata qui evocata come un tema importante: l'alleanza terapeutica medico-paziente. Con questo testo si sancisce, quindi, la perdita di libertà di azione del medico, che si troverà legato a linee guida che diventano non più strumenti facoltativi di consultazioni, ma strumenti vincolanti. Insomma, il rischio, molto più che concreto, è che la professione medica per risolvere il problema del contenzioso legale finisca con il dovere accettare di rinunciare alla sua autonomia clinica.
  Va infine sottolineato come le linee guida vengano affidate a non ben definite società scientifiche e istituti di ricerca, laddove sarebbe stato invece necessario e anche più serio pensare eventualmente ad organismi indipendenti ad hoc composti da gruppi di esperti con molte competenze. Insomma, quello che questo provvedimento trasforma è proprio il rapporto medico-paziente. Viene anche recuperata, all'articolo 2, la funzione del difensore civico, viene fatto senza che si sia fatto un bilancio di come questa figura abbia operato nel corso di questi anni. Il difensore civico, in questo testo, viene trasformato in un garante del diritto alla salute. Le regioni lo potranno istituire, naturalmente «potranno», perché c’è un'autonomia delle regioni. Il difensore civico può essere adito gratuitamente da ciascun soggetto destinatario di prestazioni sanitarie per segnalazione anche anonima. Lascia perplessi la previsione dell'anonimato della segnalazione, uno strumento diseducativo da un punto di vista sociale. Si prevede, all'articolo 2, l'istituzione in ogni regione di un centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, rigorosamente a costo zero, senza oneri per la finanza pubblica. Questo strumento raccoglie i dati regionali sul contenzioso e sugli errori sanitari, questi poi vengono trasmessi, per il testo, all'istituendo Osservatorio nazionale sulla sicurezza in sanità.
  L'Osservatorio, oltre a relazionare annualmente al Parlamento, ha anche il compito di predisporre linee di indirizzo per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario nonché per la formazione e l'aggiornamento del personale sanitario. Anche l'Osservatorio sarà a costo zero, questo è un punto critico, in quanto sarà istituito presso l'Agenzia nazionale dei servizi sanitari regionali ed è proprio il Servizio bilancio della Camera che ha sottolineato come, vista la clausola di non onerosità e tenuto conto che l'Agenas Pag. 32rientra nel perimetro delle pubbliche amministrazioni ai fini del conto economico consolidato, sia necessaria la conferma da parte del Governo che l'Agenzia sia in grado di far fronte ai nuovi compiti nell'ambito delle risorse già disponibili a legislazione vigente. All'articolo 10 si stabilisce l'obbligo assicurativo delle strutture sanitarie e degli operatori esercenti le professioni sanitarie rispetto alla responsabilità civile per i danni arrecati a terzi. Tale obbligo è già vincente per le strutture sanitarie pubbliche e private fin dal 2014, ma viene esteso ad altri aspetti come la telemedicina e l’intramoenia. Naturalmente qui osserviamo che queste nuove norme non abrogano quella precedente; questo può creare una serie di problemi. Recependo il nostro emendamento, viene poi prevista l'emanazione, in un apposito decreto ministeriale, dei criteri e delle modalità di vigilanza e controllo che l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni sarà tenuto ad effettuare sulle compagnie assicuratrici che intendono contrarre le polizze con le strutture e con gli esercenti la professione. È comunque necessario prevedere – noi lo chiediamo con un nostro emendamento – che le imprese di assicurazioni che assicureranno per la responsabilità civile debbano dare assolute garanzie per quanto riguarda esperienza e solidità finanziaria. Vi sono stati, infatti, casi di compagnie assicuratrici poste in regime di liquidazione coatta amministrativa o compagnie straniere che non sono riuscite a coprire i risarcimenti.
  Altro punto critico riguarda il tema delle nuove modifiche in materia di diritto di rivalsa. Nel caso di risarcimento del danno, la struttura non potrà chiedere al professionista la restituzione di quanto pagato se la colpa riconosciuta è solo lieve. Questo avrà l'effetto, probabilmente, di mantenere più bassi i premi assicurativi per i medici e gli altri operatori sanitari, ma di aumentare il costo dei premi della struttura sanitaria, che, nel caso del settore pubblico, vorrà dire in definitiva un maggiore onere delle casse pubbliche sulla collettività. Inoltre, si prevede che il diritto di rivalsa debba essere esercito entro un anno dal pagamento del danno, il che potrebbe portare a difficoltà nelle grandi strutture ospedaliere pubbliche, dove la gestione amministrativa delle molte pratiche di sinistri non è scontato che venga evasa nel tempo relativamente breve di un anno, con il rischio che l'onere del danno resti tutto a carico della struttura sanitaria. Insomma, in conclusione, molte criticità. Ci auguriamo che il testo nella discussione in Aula possa modificarsi, perché il tema e la materia che affrontiamo è sicuramente importante e riguarda diritti fondamentali, la serenità dei medici e la salute dei pazienti.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 259-A ed abbinate)

  PRESIDENTE. Avrebbe facoltà di replicare il relatore di minoranza, Colletti, che però ha concluso il tempo a sua disposizione e non vedo neanche in Aula. Prendo atto che il relatore per la maggioranza, onorevole Gelli, che avrebbe tre minuti, rinunzia alla replica.
  Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Presidente, onorevoli deputati presenti, il provvedimento oggi all'esame dell'Aula, a seguito dei lavori della Commissione affari sociali, lavori che, vorrei ricordare, nel breve tratto che ho potuto seguire io hanno contribuito a garantire sia una necessaria dialettica parlamentare che elementi di approfondimento straordinari su questa materia, ci consente di avviare un confronto aperto e, spero, sicuramente ulteriormente proficuo per altri arricchimenti, su un testo che già appare, nella sua compilazione, sistematico ed organico.
  Pertanto, ringrazio, a nome del Governo, tutti gli onorevoli componenti della Commissione affari sociali, particolarmente, Pag. 33per il breve tratto di lavoro, l'onorevole Vargiu e, per la successiva e puntuale attività, sicuramente l'onorevole Gelli. Un apprezzamento particolare va anche al lavoro degli uffici della Commissione affari sociali, che, nell'esperienza di questi mesi, ha garantito lo svolgimento di un iter parlamentare con un indiscusso livello anche di professionalità.
  In data 5 agosto 2015, a conclusione dei lavori del Comitato ristretto nominato il 27 marzo 2014, è stato adottato il testo unificato, che era il prodotto – vorrei ricordare velocemente – di otto proposte di legge presentate in materia di responsabilità sanitaria. Questo testo base fu adottato per il successivo iter legislativo.
  È stato anche ricordato variamente che il legislatore aveva già normato in materia: il provvedimento che più è stato valutato e considerato in tutti gli interventi, anche nel lavoro per la stesura di questo provvedimento, è sicuramente il decreto-legge n. 158, convertito con la legge n. 189 del 2012. Nonostante questa codificazione normativa, si è posta da tempo, nel dibattito pubblico, la necessità di ulteriori approfondimenti sul quadro normativo vigente, volti a consentire per via normativa – mi sentirei di dire – di fare chiarezza su un fenomeno, quello della cosiddetta medicina difensiva, che sta dilagando non solo in Italia ma, come è stato riferito da dati che sono stati anche puntualmente commentati, anche a livello comunitario. Anche per queste avvertite esigenze, è stata mossa la scelta del Ministero della salute di istituire, proprio in data 26 marzo 2015, una commissione consultiva per le problematiche in materia di medicina difensiva e di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, presieduta, come è stato ricordato in alcuni interventi, dal professor Guido Alpa, a cui è stato affidato il compito di individuare soluzioni, anche normative, idonee ad offrire al personale sanitario maggiori certezze in ordine ai profili di responsabilità professionale e, nel contempo, garantire ai cittadini la possibilità di ottenere giustizia nei cosiddetti casi di malasanità, perché anche questo elemento, prevalentemente valutato, non sempre con puntualità negli interventi che abbiamo ascoltato questa mattina, nel quadro normativo vigente, non era semplice da garantire. La commissione ha trasmesso proprio in data 6 agosto 2015 un documento recante apposite proposte per la soluzione delle principali criticità connesse al fenomeno della medicina difensiva, che è stato offerto, come ricorderanno gli onorevoli parlamentari, come contributo ai lavori della Commissione affari sociali, che ha ritenuto opportuno anche audire, nell'ambito della prosecuzione di quei lavori, il professor Guido Alpa. Queste necessarie premesse ci consentono di approcciarci al provvedimento in esame, mettendo in luce, fin da subito, solo alcuni dei punti innovativi e salienti che caratterizzano il provvedimento, secondo la valutazione del Governo. Il primo: l'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile. La norma, pertanto – è stato più volte segnalato ma mi pare utile questo commento da parte del Governo –, riconduce la responsabilità dell'esercente la professione sanitaria nell'alveo della responsabilità extracontrattuale, anche sulla base di un dibattito vasto a livello comunitario, raccolto puntualmente, in termini anche culturali e bibliografici, nel lavoro che ha fatto la commissione guidata dal professor Alpa. Emerge con ogni evidenza l'introduzione di un significativo cambio dell'impostazione del sistema ordinamentale del rapporto di responsabilità. Ciò sia con riguardo al rapporto tra la struttura sanitaria – che, come ricordava l'onorevole Lenzi, è codificabile in termini di diritto – come impresa, e il paziente, che con riguardo al rapporto tra il professionista sanitario e il paziente e, in questo caso, il lavoro del professionista sanitario è un lavoro più facilmente codificabile e declinabile in termini di lavoro intellettuale. La portata innovativa si apprezza sia per i termini di prescrizione che intercorrono dal fatto oggetto del contenzioso (si passa da 10 a 5 anni), sia proprio per questo dibattito sull'inversione dell'onere della prova, che nella responsabilità extracontrattuale Pag. 34è posto a carico del paziente ed è molto evidente che è nell'inviolabile diritto del paziente, che è la primaria questione anche per un sistema sanitario. Come è noto, la casistica produce in molte circostanze scientificamente dimostrabili una quantità enorme di contenzioso derivanti e da ragioni non sempre fondate su temi di merito puntuali.
  Nel merito, secondo il nuovo impianto normativo prospettato, la responsabilità del professionista sanitario dovrà essere sempre provata da chi intenta il contenzioso ai fini del risarcimento, cioè è a carico del danneggiato la dimostrazione del fatto illecito in tutti i suoi elementi, mentre, a sistema vigente, per consolidata giurisprudenza, è generalmente il professionista a dover dimostrare che l'evento sia stato determinato da cause a lui non imputabili.
   Occorre infine ritornare sul diverso modo di atteggiarsi anche della prescrizione. Come sopra esposto, infatti, l'articolo 2947 del codice civile introduce una prescrizione breve, in generale di cinque anni, per il risarcimento del danno da illecito extracontrattuale; viceversa, in campo contrattuale, stante l'esplicito riferimento dell'articolo 2947 al fatto illecito, si applica in genere la regola generale dell'articolo 2946, che prevede il termine di decorrenza decennale. La struttura sanitaria, sia pubblica che privata, risponde invece, ai sensi degli articoli 1218 e 1228, e cioè sempre ai sensi di una responsabilità totalmente e complessivamente contrattuale.
  Sul tentativo obbligatorio di conciliazione, sono state introdotte novità in tema processuale civile, prevedendo il tentativo obbligatorio di conciliazione, ai sensi dell'articolo 696-bis del codice di procedura civile, prima di procedere, con il ricorso ai sensi dell'articolo 702-bis del codice di procedura civile, con la previsione di una partecipazione obbligatoria – mi sembra molto importante – per tutte le parti, comprese le compagnie di assicurazione, proprie del procedimento di accertamento tecnico preventivo.
  Per gli altri contenuti, e per esigenze anche di sintesi, mi rimetto ai tanti interventi e soprattutto alla relazione dell'onorevole Gelli, che ha puntualmente delineato ogni elemento nel dettaglio.
   È importante l'impatto di natura economico-finanziaria, secondo il Governo, che può essere riconducibile in prospettiva ai seguenti ambiti: riduzione dei comportamenti di medicina difensiva da parte dei professionisti sanitari, in termini di eccessivo ricorso all'indagine diagnostica, sia in sede ambulatoriale che ospedaliera, in regime di ricovero e non, di eccessivo ricorso a procedure chirurgiche in regime di ricovero e di eccessivo ricorso alla prescrizione e alla somministrazione di farmaci, la medicina difensiva – che francamente, mi sentirei di dire rispetto ad alcuni interventi, non appare come un terreno irreale nel sistema sanitario italiano –, e principalmente il condizionamento della professione medica derivato dalla preoccupazione del rischio di futuri contenziosi legali, che produce comportamenti originati molte volte dalla paura delle richieste di risarcimento danni, da negligenza o da responsabilità professionale, la cosiddetta malpractice, che molte volte è anche un danno reale alla condizione di salute del paziente, riduzione – questo mi sembra un altro campo sul quale, dopo questa legge, si dovrà lavorare – degli oneri connessi alla copertura assicurativa del rischio sanitario, in termini di premi assicurativi e di autoassicurazione da parte del sistema degli enti pubblici, il sistema sanitario italiano, per effetto sia del rafforzamento della gestione del rischio da parte della struttura sanitaria pubblica, così come previsto in questo provvedimento, e anche di quella privata, che eviterà il manifestarsi del danno, sia nell'alleggerimento dell'onere per il professionista sanitario di provare che il danno è stato determinato a cause a lui non imputabili.
  Alcuni dati, in conclusione. Secondo l’overview ultimo della ricerca, messa a punto da Agenas proprio nel 2015, in letteratura, sono riportate otto differenti modalità di violazione della buona pratica Pag. 35medica in eccesso e in difetto rispetto al necessario: eccesso di prescrizione di visite specialistiche, eccesso di prescrizione di esami di laboratorio, eccesso di prescrizione di esami strumentali e di altri test diagnostici, eccesso di prescrizione di farmaci, eccesso di invii in presidi sanitari o di ricovero in ospedale, evitare i trasferimenti di pazienti a rischio in altri reparti o ospedali, evitare l'assistenza a pazienti a rischio di complicanze, evitare l'erogazione di cure potenzialmente efficaci, ma ad alto rischio di complicanze.
  È noto che la medicina difensiva espone i pazienti a esami molte volte superflui, con evitabili rischi correlati, e produce costi inutili per il sistema sanitario, influendo negativamente sull'appropriatezza delle cure e spesso innescando circuiti che autoalimentano interventi, la cui valenza diagnostica-terapeutica è molte volte dubbia. L'appropriatezza, è evidente, gioca un ruolo chiave e deve essere fortemente promossa, tramite la diffusione, l'utilizzo e il monitoraggio di linee-guida e di protocolli diagnostico-terapeutici e di raccomandazioni.
   Pur se i dati di letteratura sui costi della medicina difensiva sono ancora oggettivamente insufficienti, sono stati realizzati però studi basati su ricerche a campione che offrono, secondo noi, indicazioni utili per definire anche l'ordine di grandezza dell'impatto economico che questa attività produce nel nostro sistema sanitario. La maggior parte degli studi d'impatto rientrano tuttavia nell'ambito di ricerche che si sono soffermate su elementi puntualmente qualitativi. In Italia, la prima ricerca è stata condotta proprio nel 2010, dall'Ordine dei medici della provincia di Roma, su un campione rappresentativo di 2.783 medici attivi in tutti i ruoli – ospedali, case di cura e di medicina di base – nel settore pubblico e in quello privato. Sintetizzando i risultati, allora fu rilevata la quota di medici che ha prescritto prestazioni per ragioni di medicina difensiva. Agenas ha pubblicato nel 2014 una ricerca basata sulla somministrazione di un questionario ad un campione rappresentativo di 1.484 medici dipendenti di aziende pubbliche e private convenzionate con il sistema sanitario italiano. Mediante l'elaborazione delle risposte dei medici intervistati, è stata stimata la percentuale di eccedenza della spesa sanitaria nazionale complessiva indotta dalla medicina difensiva, che raggiungerebbe, secondo questi dati, una quota pari al 10,5 per cento. Da qui, quel dato che è stato ampiamente diffuso, comunicato e dibattuto di 10, 12 miliardi di euro, includendo nella stima tutti i minori costi anche derivanti per il sistema sanitario nei diversi ambiti assistenziali ed organizzativi.
  Vi sono poi altri elementi. I costi indiretti della medicina difensiva sono legati principalmente – come dicevo – alle spese assicurative delle strutture ospedaliere e dei medici, che devono sostenere per proteggersi contro il rischio di danni dei pazienti. Un mercato assicurativo, in presenza di una norma abbastanza incerta, attualmente almeno così interpretata, un mercato assicurativo dubbio, improprio e di origini extranazionali, che ha determinato effetti, sicuramente in termini di costo, anche nel rapporto tra strutture sanitarie italiane e mondo dell'assicurazione.
   Un ultimo dato: secondo la Fondazione ISTUD, che ha compiuto una review delle ricerche sul tema, in Italia, i costi assicurativi a cui si deve andare incontro nella gestione di un ospedale pubblico, raggiungono 60 euro per ricovero, 2.233 euro per posto letto, 3.690 euro per medico, 1.630 euro per infermiere. Questi dati sono scaturiti da uno studio portato a termine da società di brokeraggio su un campione costituito da 74 ospedali pubblici. Secondo le rilevazioni del flusso Siemens delle denunce di sinistri, che esiste nel nostro Paese già dal 2009, la quantità totale dei sinistri tende ormai a stabilizzarsi nel triennio 2010-2012 intorno a un livello di 12.500 casi all'anno.
  In conclusione, il risparmio potenziale sulla spesa sanitaria nazionale raggiungibile aggredendo la medicina difensiva riguarda, quindi, tipologie diverse di prestazioni e di attività. La valutazione economica Pag. 36dell'impatto di provvedimenti volti a sfavorire la medicina difensiva richiede un approccio sicuramente molto prudenziale, data la difficoltà di prevedere i livelli di risparmio che verrebbero raggiunti; non si tratta di un conto economico di un'azienda da compilare con elementi puntuali e con codifiche ormai abbondantemente confermate nella normativa nazionale. Per questo, a fronte di un'eccedenza di spesa che alcune ricerche valutano in oltre 10 miliardi di euro, come ho citato, si stima che comunque l'introduzione di un nuovo impianto normativo possa portare ad una minore prescrizione, per esempio, di prestazioni specialistiche ambulatoriali che già potrebbe determinare qualche centinaio di milioni di euro di risparmio per il nostro sistema sanitario italiano. La stima appare molto, lo ripeto, prudenziale, dal momento che non sono facili da quantificare i minori oneri connessi alla riduzione di prescrizioni, anche della somministrazione farmacologica, di riduzione di produzioni chirurgiche in regime di ricovero, e così via. Ma sicuramente questa norma, nel quadro puntuale che consiglia e propone al nostro dibattito in Parlamento, chiarisce molti punti delle questioni emerse nelle esperienze, anche nell'autorevole consesso di quella Commissione Alpa, che mise insieme professionalità di varie esperienze con storie anche professionali assolutamente rilevanti, noi abbiamo fiducia possa produrre un quadro normativo che consentirà un più sostenibile sistema sanitario nel nostro Paese, fondato proprio sull'efficienza e l'appropriatezza anche delle attività e delle cure. La cifra statistica, come è evidente, in sistemi complessi, se fosse comunicata nella sua rotondità definitiva, apparirebbe certe volte rischiosa e imprecisa, ma in questo caso il Governo si sente di incoraggiare questa approvazione, perché le prospettive di riforma e di riorganizzazione del nostro sistema sono molto presenti nell'articolato che abbiamo a disposizione della nostra valutazione.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione della mozione Baldelli, Garofalo, Catalano, Attaguile, Fauttilli, Rampelli, Pastorino, Palese, Abrignani ed altri n. 1-01085 concernente iniziative in merito al corretto utilizzo dei dispositivi di rilevazione automatica della velocità e alla destinazione dei proventi derivanti dal relativo sistema sanzionatorio (ore 15,40).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Baldelli, Garofalo, Catalano, Attaguile, Fauttilli, Rampelli, Pastorino, Palese, Abrignani ed altri n. 1-01085 concernente iniziative in merito al corretto utilizzo dei dispositivi di rilevazione automatica della velocità e alla destinazione dei proventi derivanti dal relativo sistema sanzionatorio (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state altresì presentate le mozioni De Lorenzis ed altri n. 1-01104, Tullo ed altri n. 1-01105 e Cristian Iannuzzi ed altri n. 1-01106 (Vedi l'allegato A – Mozioni), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
  Avverto altresì che il deputato Pastorino ha ritirato la propria firma dalla mozione n. 1-01085.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Baldelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01085. Ne ha facoltà.

  SIMONE BALDELLI. Grazie, Presidente. Anzitutto una premessa. La premessa è nel ringraziamento ai colleghi di Pag. 37diversi gruppi parlamentari, di centrodestra, di sinistra, di centro, che hanno voluto sottoscrivere trasversalmente questa mozione e nel ringraziamento al gruppo parlamentare di Forza Italia che ha inteso chiedere in questo calendario, con forza, che questa mozione fosse posta in discussione perché questo ci dà, Presidente, la possibilità, oggi, di discutere su questo testo. Vedo che se ne sono virtuosamente aggiunte anche altre due, quella del Partito Democratico e quella del MoVimento 5 Stelle, che non avevano sottoscritto la mozione che io ho presentato, ma che evidentemente intendono affrontare con impegno e determinazione questo tema e, a leggere i testi delle mozioni, anche seguendo sostanzialmente l'indirizzo che io auspico nella mia.
  Credo, Presidente, che in questo momento ci sia un'occasione importante da parte del Parlamento.
  Mi rivolgo al rappresentante del Governo che certamente assisterà quest'oggi alla discussione generale, ma, in particolare, al rappresentante del Governo che dovrà seguire i lavori nel seguito dell'esame di questa mozione e che dovrà esprimere i pareri sulle mozioni stesse. Io credo che ci troviamo di fronte a un problema molto serio. Premesso che tutti debbono rispettare il codice della strada e premesso che tutti devono rispettare i limiti di velocità per quanto possibile, quella è la regola e la norma, fatta questa premessa, anche i comuni devono rispettare il codice della strada. Il codice della strada prescrive chiaramente che il 50 per cento della quota delle sanzioni, che va ai comuni (le sanzioni, per esempio, rilevate dagli autovelox nelle strade statali), deve essere destinato a degli utilizzi ben precisi. Ce lo dice l'articolo 142 del codice della strada che letteralmente, Presidente, ci dice che: debbono essere destinate alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale, nel rispetto della normativa vigente relativa al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego e al Patto di stabilità interno. Il problema qual è ? Il problema è che i comuni hanno due obblighi. Il primo è quello di inviare al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti una relazione in cui dicono quanti sono questi soldi che derivano dei proventi delle multe degli autovelox. L'altro obbligo è la destinazione per queste finalità, cioè alla sicurezza stradale dei cittadini, alla prevenzione, alla manutenzione delle infrastrutture, alla cartellonistica, di queste poste di denari. Il problema è che i comuni hanno un utilizzo assolutamente distorto degli strumenti di rilevazione automatica della velocità stradale. I comuni, anziché utilizzare questi proventi per la sicurezza stradale dei cittadini, li usano per fare cassa e quindi lo stesso autovelox non diventa più uno strumento di deterrenza o di prevenzione, ma diventa invece uno strumento con il quale i comuni mettono in cassa denaro che non destinano alle finalità che sono previste dal codice della strada, ma che destinano ad altre finalità di tutta altra natura, di tutt'altro genere. Non sono soltanto Simone Baldelli o Forza Italia che dicono questo, lo dicono diverse forze politiche, lo dicono tutte le forze politiche che hanno presentato questa mozione.
  C’è un problema serio, grande, c’è un problema di esasperazione dei cittadini, perché se l'autovelox non serve a prevenire gli incidenti stradali su un determinato tratto, se l'autovelox non viene utilizzato per far rallentare le macchine su un percorso ad alta percorrenza dove magari c’è un'incidenza di traffico particolare, ci sono pedoni che attraversano, ci sono scuole o abitazioni o altro, se non viene utilizzato per questo l'autovelox, ma viene utilizzato invece per far cassa, ecco che la dislocazione dell'autovelox non sarà finalizzata alla prevenzione o alla deterrenza, ma sarà finalizzata alla cassa. Quindi, l'autovelox non verrà messo nei punti più critici, ma verrà messo nei punti dove passano più persone, magari sulla statale, Pag. 38magari dove non ci passano ovviamente gli automobilisti drogati o alcolizzati che vanno a duecento all'ora nei nostri centri storici, ma ci passano in maniera sistematica i pendolari, quelli che portano i figli a scuola, quelli che portano i figli a fare le attività sportive pomeridiane, le persone che si spostano per la loro vita quotidiana e che vengono massacrati di multe.
  Infatti, le multe diventano uno strumento improprio e – mi si consenta – anche subdolo per fare cassa e questi soldi non vengono destinati alla sicurezza stradale. Parliamo di decine di milioni di euro sottratti alla sicurezza stradale, alla prevenzione, alla manutenzione stradale, perché vengono destinati ad altro, con strumenti che, come ci dice la Corte costituzionale, non vengono fatti oggetto di manutenzione e di controllo periodico. Sono strumenti che – lo chiedo al Governo e mi piacerebbe avere una risposta in sede di replica – non sono omologati. Se io guido un motorino o una moto con un casco non omologato e vengo fermato, io vengo sanzionato. Se lo Stato, se le pubbliche amministrazioni, se gli enti locali mi multano con un autovelox che non corrisponde ai criteri di omologazione o che non è per niente omologato, chi multa queste amministrazioni ? E come si esce da questo circolo vizioso per cui gli autovelox vengono utilizzati per mungere il cittadino automobilista, non per prevenire, non per aiutare, non per promuovere la sicurezza stradale ? Si risolve, così come ci insegna il codice della strada, facendo le multe anche ai comuni: ai comuni che non depositano, che non presentano il rendiconto di quante sono le entrate che derivano dalle rilevazioni automatiche con questi strumenti; si introducono multe per i comuni che, non dichiarando quante sono queste entrate, non destinano queste entrate alla sicurezza stradale. Se ci sono le multe ai cittadini perché violano il codice della strada, si multano anche i comuni che violano il codice della strada.
  È una questione di equità, di rispetto. Guardate, lo si vede anche sui social network: queste battaglie incontrano la rabbia, l'esasperazione dei cittadini ed è un'esasperazione che, purtroppo, finisce indirizzata contro chi, magari senza colpa, con onore, indossa una divisa e fa quotidianamente quello che la propria amministrazione gli indica di fare. Quanta distanza si apre, si aumenta tra il cittadino e l'istituzione, tra il cittadino e l'ente locale, tra il cittadino e il comune, con questo modo sbagliato e ingiusto di fare sanzioni.
  Allora, oggi abbiamo l'occasione – sono davvero contento che ci sia la convergenza di più forze politiche su questo punto centrale – di poter fare chiarezza. Il Governo si deve impegnare. Io ho presentato un emendamento, nel corso dell'esame in Commissione bilancio e in Assemblea della legge di stabilità, in cui chiedevo l'introduzione di sanzioni per i comuni che non ottemperassero a questi obblighi previsti dalla legge ed è stato respinto. Io credo che adesso, se c’è la convergenza di tutte le forze politiche su questo punto, il Governo non possa sottrarsi all'idea di far qualcosa di serio per questo. È una questione di legalità, è una questione di diritti, ma soprattutto è una questione di sicurezza stradale. È una questione di distrazione di questi fondi da attività che la legge indica come proprie verso attività che la legge non indica e che sono diversamente improprie. Se la legge dice che questi soldi vanno investiti in sicurezza stradale, nella manutenzione delle infrastrutture, delle strade, nella cartellonistica, nelle barriere, nella prevenzione e negli stipendi e negli straordinari dei vigili urbani, è perché evidentemente il legislatore, quando ha pensato questa norma, ha pensato che avesse un senso trovare risorse per la sicurezza stradale.
  Il nostro Paese si trasforma e trasforma le proprie strade statali in una sorta di piccoli checkpoint a pagamento di dazi feudali, da parte di ciascun comune. Infatti, poi sappiamo che l'abitudine è quella, perché i comuni difficilmente mettono gli autovelox magari all'interno del proprio territorio, perché i sindaci, i vertici delle amministrazioni non vogliono pagare il prezzo dell'impopolarità. Li mettono Pag. 39sui tratti di strade statali, perché è lì che c’è il passaggio, è lì che c’è la ciccia, è lì che c’è la cassa. Allora basta con questo andazzo, basta. C’è gente esasperata. Bisogna fare le cose perbene. Bisogna fare in modo che questo andazzo finisca. Bisogna fare in modo che le destinazioni siano effettive, che chi non rispetta la legge venga sanzionato e che su questo, così come ci sono i controlli nelle strade, ci siano i controlli anche rispetto a queste amministrazioni, che usano in modo distorto soldi che spesso, in maniera surrettizia, vengono estorti, non dico con l'inganno, ma quasi, ai cittadini, fermo restando il dovere di tutti di rispettare i limiti di velocità. Il dovere di tutti è anche quello di rispettare il codice della strada e tutte le previsioni da esso previste.
  Quindi, concludo, Presidente, con l'augurio che questa discussione porti a una convergenza positiva, che il Governo, a differenza di ciò che ha fatto non oltre due mesi fa, venga incontro a questa esigenza, perché stiamo facendo un servizio ai cittadini in termini di sicurezza stradale, ma anche in termini di rapporto di fiducia con tutto ciò che è il sistema pubblico. Infatti, un cittadino deve sentirsi protetto, specie il cittadino perbene. Poi, quando sulle pagine dei social network ti fanno commenti in cui ti dicono: ma perché io, che sono un cittadino perbene, devo fare attenzione, perché se sforo di due chilometri in più il limite di velocità, c’è l'autovelox a tradimento, messo con la pattuglia nascosta, che mi fa la multa, mentre non riescono a prendere l'Audi gialla, che imperversa, facendo rapine, in mezzo nord-est italiano ? Allora, il vantaggio è soltanto dei delinquenti ? Domandiamocelo. Non stiamo parlando di ubriaconi, delinquenti, criminali; stiamo parlando di persone normali, di persone vessate, di persone esasperate, esasperate dal fatto che vengono munte come vacche (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Emiliano Minnucci, che illustrerà anche la mozione Tullo 1-01105, di cui è cofirmatario. Prego, onorevole.

  EMILIANO MINNUCCI. Grazie, signora Presidente. Signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, bene, benissimo: affrontiamo una discussione sentita, importante su un tema che – lo ricordava poc'anzi il collega Baldelli – è un tema che non solo sui social network – vorrei dirlo al collega –, ma più in generale c’è, è vivo nella società e nel dibattito pubblico.
  Io, però, nell'illustrare la nostra mozione, nell'interloquire con i colleghi su questa vicenda, su questa questione, partirei da alcuni dati oggettivi, da alcuni dati concreti, numerici, non confutabili, perché altrimenti il focus della discussione rischiamo di spostarlo solamente sulla parte sanzionatoria, sulle sanzioni, sull'utilizzo degli autovelox, e non ci concentriamo, a monte, su una vicenda che è centrale, ovvero quella dell'eccesso di velocità, che è la seconda causa per incidentalità e per mortalità dopo la distrazione nella guida degli autoveicoli, nella guida dei motocicli e quant'altro. Attenzione, perché il combinato disposto tra distrazione ed eccesso di velocità, solo nel 2014, ha prodotto oltre 3.300 morti in questo nostro Paese. Quindi, partiamo da un dato di fatto: dobbiamo contrastare questa deriva, dobbiamo far sì che ciò che è accaduto negli ultimi vent'anni, ovvero un calo costante, magari lento, ma costante, dell'incidentalità e dei morti, possa proseguire.
  Infatti, questo è il primo tema che chi fa il legislatore deve porsi: tutelare la salute, tutelare il fatto che il rispetto delle regole del Codice della strada possa produrre una riduzione costante e sempre più accelerata dei morti e degli incidenti sulla strada. Questo è il primo tema. E abbiamo sperimentato e toccato con mano che anche l'utilizzo di strumenti di dissuasione come le apparecchiature elettroniche che sanzionano il superamento dei limiti di velocità spesso è elemento irrinunciabile di deterrenza appunto nei confronti di chi è più portato a superate i limiti di velocità e, quindi, ad esporre se stesso e gli altri e Pag. 40in particolare i pedoni – vorrei sottolinearlo – ad un rischio di incidenti, anche mortali.
  E, allora, su questo dobbiamo fare un punto della situazione e dobbiamo fare una riflessione. Ha ragione il collega Baldelli, vi sono casi indubbiamente in cui si è andati oltre un principio di buon senso; vi sono casi in cui alcune, sottolineo alcune, amministrazioni comunali e alcune amministrazioni pubbliche hanno fatto dello strumento dei congegni elettronici per la misurazione automatica della velocità uno strumento per fare cassa. Intanto, però, sottolineerei questo dato: alcune amministrazioni. Generalizzare non è mai buona cosa; farlo in un'Aula parlamentare è altrettanto assai meno buona cosa. Capisco che si manda un messaggio più forte, ma si rischia di esporre alla berlina anche quei sindaci e anche quegli amministratori locali che, pur avendo la possibilità di fare cassa e di gonfiare le casse comunali, magari perché nel proprio territorio passano delle strade statali, non lo fanno perché hanno senso della misura e senso di responsabilità. E noi soprattutto a quelli che si comportano bene dobbiamo guardare con attenzione.
  Poi c’è l'abuso, ha ragione il collega Baldelli, c’è l'uso scorretto. Su questo il Codice della strada è molto chiaro. Ci sono due elementi irrinunciabili: non è possibile fare cassa con queste risorse e, in secondo luogo, quello che entra per i comuni va reinvestito in sicurezza stradale. Con noi del Partito Democratico veramente si sfonda una porta aperta perché siamo in prima linea in questa battaglia; siamo in prima linea, lo dimostriamo e l'abbiamo dimostrato insieme al Governo quotidianamente. Per noi è un tema, un orizzonte, una frontiera irrinunciabile. E, allora, bisogna applicare la norma. In questo io credo ci possa essere una convergenza larga qui dentro fra tutte le forze politiche. Applicare quello che dice il Codice della strada, fare in modo, cioè, che norme più prescrittive – questo sì – siano più vincolanti soprattutto per quei due aspetti essenziali che già la legge prevede: in primis, il fatto che entro il 31 maggio ciascun ente locale relazioni puntualmente su ciò che ha incassato attraverso questi strumenti e su come ha speso queste risorse e lo faccia attraverso una relazione, appunto puntuale, al MIT e una relazione puntuale al Ministero dell'interno; in secondo luogo, che chi si sottrae a questo obbligo, chi in qualche modo lo elude, sia chiamato a rispondere e sia effettivo il fatto che vengano comminate delle sanzioni a questi enti locali. Per noi è un tema centrale.
  Colleghi, non ci nascondiamo dietro un dito, molti di noi hanno fatto gli amministratori locali e sappiamo che le amministrazioni pubbliche nella grande parte dei casi con queste risorse non è che costruiscono castelli in aria; spesso si è chiamati anche ad affrontare tematiche essenziali. Penso ad un sistema di welfare locale costoso. A fronte di molti lustri di tagli alle amministrazioni pubbliche, spesso i comuni hanno dovuto fare di necessità virtù.
  Però è vero quello che dicono molti colleghi, quello che dicono molte associazioni, quello che dicono molti cittadini. È vero, verissimo, che occorre riportare la manutenzione stradale e la sicurezza stradale al centro di un'attenzione che è venuta meno nel corso del tempo perché troppo spesso in larga parte del nostro Paese, in tante realtà del nostro Paese, le strade sembrano delle appendici di Beirut più che realtà occidentali avanzate. Allora, dobbiamo essere conseguenti. Per questo io credo che le tematiche poste siano tematiche essenziali e per questo abbiamo invitato e invitiamo con la nostra mozione il Governo a fare in modo che quelle verifiche di cui parlavo poc'anzi vengano fatte, che si verifichi che lo strumento del controllo automatico di velocità serva nel corso degli anni a ridurre in quei punti il numero degli incidenti. Infatti, ciascuno di noi è testimone anche in modo tangibile del fatto che, ove ben segnalati, quegli strumenti consentono di ridurre gli incidenti e non soltanto di elevare un grande numero di contravvenzioni. E vi deve essere la possibilità di fare in modo che si crei anche un piano nazionale della sicurezza Pag. 41stradale. Per molti anni questa nostra Italia l'ha avuto e dobbiamo essere in grado secondo me di rimettere in rete tutti quanti, di non fare in modo che ci sia uno sfilacciamento su questo tema. E bisogna fare in modo, insieme all'utilizzo di strumenti elettronici, anche di far ritornare ad essere più presenti le pattuglie per strada e fare in modo che queste risorse possano andare seriamente al personale che va sulla strada. Un numero, un dato, cari colleghi, fa abbastanza impressione: siamo un quinto, un sesto, un settimo sotto rispetto ad altri Paesi europei in termini di quantità di controlli effettuati in strada. Questo dovrebbe darci un'indicazione chiara: mettere risorse sulla possibilità per le forze dell'ordine di effettuare controlli non è una spesa, ma è un investimento. È un investimento, signora Presidente, un investimento in sicurezza; è un investimento in miglioramento della qualità della vita; è un investimento anche nella possibilità per le pubbliche amministrazioni di avere più risorse da reinvestire nella possibilità di una mobilità più sostenibile e al tempo stesso più sicura per i cittadini.
  Ebbene, io penso che anche attraverso queste mozioni che stiamo discutendo, che anche attraverso una convergenza larga di tante forze politiche, sarà possibile, insieme ad un Governo attento qual è questo che abbiamo oggi di fronte, mettere in campo una politica forte su questo terreno. I cittadini ce lo chiedono e il Parlamento deve dimostrarsi all'altezza dei propri compiti.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Fassina ed altri n. 1-01090, Vezzali ed altri n. 1-01100, Morassut ed altri n. 1-01102 e Polverini ed altri n. 1-01103 concernenti iniziative in relazione alla candidatura di Roma Capitale come sede delle Olimpiadi 2024, con particolare riferimento a forme di consultazione dei cittadini (ore 16,07).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Fassina ed altri n. 1-01090, Vezzali ed altri n. 1-01100, Morassut ed altri n. 1-01102 e Polverini ed altri n. 1-01103 concernenti iniziative in relazione alla candidatura di Roma Capitale come sede delle Olimpiadi 2024, con particolare riferimento a forme di consultazione dei cittadini.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Brignone ed altri n. 1-01107, Simone Valente ed altri n. 1-01108 e Buttiglione ed altri n. 1-01109 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A – Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Fassina, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01090. Ne ha facoltà.

  STEFANO FASSINA. Grazie, Presidente. Con la mozione che abbiamo presentato, insieme agli altri colleghi di Sinistra Italiana, oltre a chiedere impegni precisi al Governo, che illustrerò a breve, vorremmo provare ad ancorare la discussione a dati di realtà, cioè ad ancorare la discussione sulla portata, sui costi, sui benefici di breve, medio e lungo periodo dei giochi olimpici. È un obiettivo molto ambizioso provare ad ancorare la discussione a dati di realtà; è ambizioso in generale, nel discorso pubblico, ed è ambizioso Pag. 42ancora di più quando si parla di un oggetto come i giochi olimpici che, come è noto, è avvolto, è accompagnato ed è raccontato con un volume di retorica davvero eccessivo. Mi perdoneranno alcuni colleghi, che hanno presentato mozioni analoghe, se sottolineo di aver ritrovato, anche nelle premesse di alcune mozioni, un volume di retorica davvero rilevante, che li porta fino a dire che «il grande evento delle Olimpiadi potrà essere l'occasione per contribuire alla sintesi ideale e spirituale di un messaggio mondiale che, partendo dall'Italia, si rivolge a tutte le donne e a tutti gli uomini del pianeta». È evidente che la retorica a volte è necessaria, ma non deve eccedere e, soprattutto, non deve arrivare a stravolgere i dati di realtà.
  Nella discussione sui giochi olimpici a Roma 2024 mancano i dati di realtà. Dunque, vorremmo provare a chiedere al Governo di discutere e soprattutto di procedere, nel caso si proceda, dopo aver guardato i dati di realtà. I dati di realtà sono i seguenti (li riassumo brevemente): da almeno un quarto di secolo le Olimpiadi – o manifestazioni sportive di impatto analogo – sono state un pessimo risultato per le città che le hanno ospitate. Sono state un pessimo risultato in termini di bilanci pubblici, in termini di assetto urbanistico e in termini di qualità della vita prima, durante e dopo l'evento. Citiamo nella mozione una delle ultime ricerche, forse la più sistematica, ma è solo un esempio di una messe enorme di ricerche, in alcuni casi prodotte in Italia, in molti casi prodotte da altri Paesi, da istituzioni accademiche, da centri di ricerca privati, fonti estremamente serie e qualificate.
  Noi citiamo un lavoro molto importante, pubblicato da un'istituzione di nota affidabilità scientifica come la Brookings Institution di Washington. L'autore è un giornalista sportivo di robusta sostanza documentaria: si chiama Andrew Zimbalist e ha scritto un saggio che potrebbe essere, se guardiamo al titolo proposto, una sorta di avvertimento in extremis al nostro Paese, in particolare alla città di Roma. Il titolo è: Circus Maximus: the economic gamble behind the Olympics and the World cup e mette appunto in guardia, utilizzando un'evidenza empirica indiscutibile. Il primo dato empirico che viene ricordato e documentato è che nel breve periodo i costi delle Olimpiadi sono sempre sistematicamente sottostimati. Qui non parliamo soltanto di qualche caso strano; parliamo, appunto, dell'ultimo quarto di secolo. A Londra il costo iniziale era previsto nell'ordine di 4 miliardi; il costo finale si aggira tra i 15 e i 20 miliardi.
  Ad Atene il costo iniziale era previsto in 1,6 miliardi; il costo finale è stato dieci volte tanto. Il fattore moltiplicativo è stato ancora superiore per i giochi olimpici invernali di Sochi e così per i campionati mondiali recentemente svoltosi in Brasile. Stiamo parlando, in media, di una sottostima di cinque volte rispetto a quello che è poi il costo effettivo. Si presenta un piano economico-finanziario dove i costi sono pari a 100; il risultato medio, appunto, dell'ultimo quarto di secolo è che i costi arrivano a 500.
  A fronte della sottostima, dell'enorme sottostima dei costi, l'altro dato empirico, anche qui documentato con una lunga serie storica, riguarda i benefici, riguarda l'impatto economico, riguarda l'impatto in termini occupazionali degli investimenti e dei consumi connessi ai giochi olimpici. Si gioca con un parametro molto noto a chi ha una qualche lettura di econometria: si chiama «moltiplicatore». È quel parametro che, quando presentiamo emendamenti al disegno di legge di stabilità, viene sempre regolarmente stimato inferiore a 1. È anche il caso dell'ultimo Documento di economia e finanza, dell'ultima Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza. Vi è un box molto analitico – e vi invito a leggerlo – dove il Ministero dell'economia e delle finanze ripercorre una lunga letteratura dalla quale viene fuori che si deve utilizzare, nelle previsioni di finanza pubblica, un moltiplicatore inferiore a uno.
  Ebbene, dalle analisi che sono state svolte sui piani economici e finanziari delle città dei Paesi che nell'ultimo quarto Pag. 43di secolo hanno svolto i giochi olimpici, viene fuori che il moltiplicatore utilizzato è, nel migliore dei casi – cioè, nel caso in cui è minore –, pari a 1,7 e, in alcuni casi, arriva anche a 3,5. Cioè, si fanno delle previsioni di impatto sul PIL e di impatto sull'occupazione, sottolineando e proponendo che 100 euro di investimenti o di spese in consumi portano ad un effetto sul PIL pari a due, tre volte tanto e, quindi, a un conseguente enorme impatto occupazionale. L'analisi ex post dell'impatto degli investimenti effettivamente posti in essere con quello scarto, che ricordavo, tra i costi previsti e i costi effettivi, dimostra che il moltiplicatore è pari a 1 (non è pari a 1,7 e non è pari a 1,5).
  Sul versante dei benefici, oltre all'impatto sul PIL e all'impatto sull'occupazione, viene ricordato anche l'impatto in termini di aumento dei flussi turistici. Qui, per ragioni di brevità, non richiamo la serie storica ricordata nel saggio che ho citato all'inizio; mi limito a sottolineare gli ultimi due eventi, le ultime due Olimpiadi, quella di Londra, nel 2012, e quella di Pechino, nel 2008. A Pechino si erano previsti circa 400 mila turisti; ne arrivarono soltanto 235 mila, con un calo del 30 per cento rispetto al 2007. A Londra 2012 la caduta del flusso di turisti, rispetto all'anno precedente, è stata di oltre il 6 per cento.
  Infine, tra i benefici che vengono proposti e che vengono previsti in connessione ai giochi olimpici vi è il così detto «Effetto legacy» e, cioè, l'eredità in termini di infrastrutture che la città che ospita le Olimpiadi riceve dagli investimenti, appunto, che vengono effettuati per poter svolgere l'Olimpiade medesima.
  Anche qui l'analisi ex post porta i seguenti risultati: opere sportive che sono sistematicamente sovradimensionate rispetto alle esigenze effettive – da ultimo Londra, lo stadio che è stato costruito in East London non trova più squadre che intendono affittarlo, data la dimensione – e così pure per quanto riguarda le strutture abitative che ospitano gli atleti; si hanno costi di adattamento molto elevati, costi di manutenzione molto elevati e infrastrutture per la mobilità che molto spesso – molto spesso, sottolineo – non corrispondono alle priorità che quella città ha. Questo è il quadro che poi viene sintetizzato in termini di sottostima delle spese e sovrastima degli affetti delle entrate, viene sistematicamente sintetizzato con buchi di bilancio molto rilevanti che la città e il Paese che ospita i Giochi olimpici eredita. Anche qui, per brevità, cito solo il 2012 e Londra: un buco finanziario di oltre 10 miliardi di euro. In questo quadro la discussione che è stata avviata in Italia è completamente sganciata da dati di realtà; ho sentito più volte il presidente del CONI e il presidente del Comitato per Roma 2024 indicare effetti occupazionali di 170 mila unità. Ho chiesto sulla base di quali investimenti si giustificasse una tale consistente stima ed ho scoperto con qualche sorpresa che non c’è nessun piano economico-finanziario, l'Italia va avanti a proporsi come candidata per i Giochi olimpici del 2024 in completa assenza di un piano economico-finanziario e intanto si dà in pasto all'opinione pubblica la cifra mirabolante di 170 mila occupati senza poter dire a quali investimenti ci si riferisce. Trovo questo atteggiamento particolarmente preoccupante e a mio avviso da evitare nel momento in cui vogliamo fare una discussione seria di cui ha necessità un Paese che ha il debito pubblico dell'Italia e di cui ha necessità una città come Roma che è soffocata dal debito capitolino. Poi l'altra questione di fondo è che quando si fa questa discussione non si affronta mai quello che è un principio fondamentale per l'economia, il costo opportunità: che cosa si potrebbe realizzare con le risorse che si prevede di impegnare per i Giochi olimpici ? E quali effetti avrebbero in termini di ricadute sul PIL, ricadute occupazionali, ricadute sulla qualità della vita, ricadute in termini di mobilità sostenibile ad esempio per una città ? L'analisi in termini di costo-opportunità viene sistematicamente ignorata. Allora io credo – questo è il punto che vogliamo sottolineare – che non si tratta di decidere tra di noi chi ha ragione e qual è la posizione da seguire; il punto che Pag. 44poniamo è consentire ai cittadini di Roma di poter scegliere tra investimenti per i Giochi olimpici 2024 e alternative che riguardano la mobilità sostenibile, che riguardano l'emergenza abitativa, che riguardano le attrezzature sportive delle periferie, che riguardano la riqualificazione e la rigenerazione di tante periferie urbane in condizioni di estrema difficoltà.
  Si tratta di consentire ai cittadini di Roma di poter fare una scelta in termini di costi-opportunità in un contesto in cui Roma è in una situazione drammatica per inadeguatezza dei trasporti pubblici – in particolare, la Roma-Lido oltre alle metropolitane – per l'emergenza abitativa, per la paralisi amministrativa, per il livello del debito capitolino e, soprattutto, per l'assenza di un programma per lo sviluppo sostenibile della città, una volta che è assodato che i due motori che hanno sostenuto la crescita di Roma negli ultimi decenni sono largamente inadeguati o inservibili per proiettare la crescita di Roma nel futuro. Mi riferisco ovviamente alla spesa pubblica e all'edilizia espansiva, estensiva, speculativa e alla connessa rendita finanziaria.
  Roma non può vivere di grandi eventi, un Giubileo, un'Olimpiade, un altro Giubileo; Roma ha bisogno di uno sviluppo sostenibile programmato.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  STEFANO FASSINA. Concludo, Presidente. La proposta di Olimpiadi è un indicatore di una classe dirigente indifferente alle emergenze della città o, forse – ancor peggio –, inconsapevole, rassegnata e miope di fronte alla necessità di ricostruire le condizioni per uno sviluppo ordinato di Roma.
  Chiediamo, pertanto, al Governo di consentire lo svolgimento del referendum chiediamo al Governo di non continuare a trattare Roma come città coloniale chiediamo al Governo – e chiudo – di non impegnarsi alla finalizzazione della candidatura di Roma 2024 fintanto che non vi sia stato un pronunciamento dei cittadini romani attraverso un referendum cittadino, per il quale stiamo raccogliendo le firme e che vorremmo celebrare nella giornata del primo turno delle elezioni amministrative del prossimo giugno.
  Non è una disputa tra di noi, facciamo scegliere i romani.

  PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Rampelli ed altri n. 1-01110 (vedi l'Allegato A – Mozioni), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.
  È iscritto a parlare il deputato Molea, che illustrerà anche la mozione n. 1-01100, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  BRUNO MOLEA. Signora Presidente, le Olimpiadi del 2024 rappresentano sicuramente un evento di eccezionale levatura e, come è noto, in questi casi è inevitabile che ci sia sempre una parte contraria e una a favore dell'evento. Tuttavia, va ricordato che i Giochi olimpici, come è stato anche per Expo, saranno un'enorme vetrina, per il nostro Paese, aperta sul mondo.
  Partiamo dal fatto che lo sport ha una dimensione multifattoriale, è un fenomeno di alta spettacolarità, su cui si muovono investimenti ingenti sia di carattere strutturale che tecnologico. I Giochi sono un fenomeno che investe in modo crescente la vita di un territorio, delle persone, determinandone il livello di salute, di socialità, di sostenibilità e, perché no, anche di sviluppo economico.
  Con questa occasione Roma potrebbe realizzare un grande sogno: regalare al proprio Paese e al mondo lo spettacolo di un'Olimpiade e delle Paraolimpiadi unico e straordinario, capace di rilanciare i valori della fratellanza e dell'amicizia tra i popoli in un abbraccio globale che solo lo sport sa cementare, capace di abbattere i vecchi e i nuovi muri e i confini e gettare infine un solido ponte per la pace tra le persone e le genti.
  Roma 2024 significa regalare ai bambini di oggi la più grande festa dello sport Pag. 45e la speranza di poter vincere, correre, partecipare, domani, alle Olimpiadi di casa propria, vedere da vicino i campioni preferiti e apprendere lo stile di una vita sana e i valori più importanti di cui lo sport è portatore.
  Roma 2024 può ripetere il successo delle Olimpiadi del 1960, le prime dell'era tecnologica, le più innovative, le prime Paraolimpiadi. Quei giochi sono entrati nella leggenda e hanno portato all'attenzione del mondo atleti che hanno fatto la storia dello sport, come Wilma Rudolph, Cassius Clay e il grande Abebe Bikila, l'etiope che arrivò per primo al traguardo dopo aver corso tutta la gara scalzo.
  Le Olimpiadi del 1960 ebbero un indubbio valore, quello di riscattare agli occhi del mondo un Paese – l'Italia – che, uscito dalla guerra con una situazione politica interna non eccelsa, voleva tornare a contare, dimostrando, anche grazie alle bellezze storico-architettoniche, di cui solo l'Italia è in possesso, e grazie alla grande capacità del popolo italiano, che era capace di trasformare un evento di simile levatura dal punto di vista sportivo, anche in un evento capace di emozionare per la collocazione delle gare in particolari ed unici al mondo siti di pregio archeologico.
   È indubbio che il 1960, con il successo delle Olimpiadi, rappresentò per l'Italia l'inizio del riscatto agli occhi degli altri Stati e l'avvio anche di un processo che portò, poi, il nostro Paese ad essere appieno considerato la settima potenza industriale del mondo. Grazie a questo evento, Roma e l'Italia oggi sogna di arricchire il suo grande medagliere olimpico, che tuttavia colloca già oggi il nostro Paese al numero 5 delle potenze, con il massimo numero di medaglie, dopo gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e la Germania. Ma non solo: con i suoi 2.700 anni di storia, Roma offre, ancora oggi, un palcoscenico spettacolare per ospitare i Giochi olimpici e i paraolimpici del 2020-2024. Nessun'altra città al mondo, infatti, può competere con la magnificenza e la bellezza dei suoi luoghi, delle sue basiliche e del suo patrimonio artistico.
  Inoltre, queste Olimpiadi possono rappresentare anche l'occasione per dare finalmente voce allo sport di base e alle tante organizzazioni e agli enti di promozione sportiva. Credo che i tempi siano maturi ormai, perché si pensi alla possibilità di coinvolgere il grande mondo degli sportivi di base, che in Italia rappresentano ben 7 milioni di praticanti, i quali dovrebbero in qualche modo essere considerati coinvolti in un evento di simile levatura, un'opportunità questa che non andrebbe sprecata per il bene e il futuro del movimento sportivo nel suo complesso.
  Le Olimpiadi sono belle, ma lo saranno ancora di più se da esse partiranno nuove strategie per avvicinare ancora di più la gente alla pratica sportiva. Con i Giochi, aumenterebbe anche l'attrattiva di capitali stranieri nel nostro Paese. L'organizzazione dell'evento sportivo più importante al mondo è un'occasione per rilanciare la capitale e il Paese tutto dal punto di vista economico, da un punto di vista prettamente di immagine del made in Italy e dell'impiantistica sportiva.
   I risultati di uno studio commissionato dalla regione Lombardia stimano che l'impatto economico di Expo è stato pari a 12,5 miliardi nel 2015, di cui 5,3 nella recettività e ristorazione, 4,1 nel commercio, intrattenimento e tempo libero, e 3,2 nei trasporti. Gli effetti positivi si percepiranno anche nel 2016, anche se nella misura del 35-40 per cento. La produzione aggiunta generata è stata dello 0,4 del PIL nazionale. Le ricadute positive si sono registrate anche nell'area di Malpensa. In termini occupazionali, Expo ha infine prodotto 87.000 unità di lavoro, il 30 per cento delle quali verrà conservato anche per il futuro. Il settore turistico ha segnato il più 9,2 per cento, a fronte del dato nazionale del 2,2.
  Come per Expo, una parte dei finanziamenti potrebbero venire dagli sponsor. L'organizzazione dei Giochi olimpici e paraolimpici di Roma 20-24 permetterebbe allo sport italiano di usufruire di fondi aggiuntivi, atti a supportare iniziative, progetti e linee di intervento per lo sviluppo dell'attività sportiva di base e d’élite, garantendo Pag. 46così in Italia una prospettiva di qualità di talenti sportivi, ma anche un aumento della pratica sportiva nel Paese, così come già avvenuto nei Paesi ospitanti un'edizione dei Giochi olimpici e paralimpici.
  Come è successo per Expo, ci sarà la possibilità per tantissimi giovani, volontari italiani e stranieri, di candidarsi per un lavoro e vivere il sogno di condividere con centinaia di campioni l'emozione di una kermesse, che abbatte barriere, supera differenze, unisce e, talvolta, insegna a comunicare con gesti e occhi, prima che con le parole.
   Inoltre, la legge, recentemente approvata, sulla cittadinanza sportiva favorirà il tesseramento di atleti stranieri minorenni, regolarmente residenti nel territorio italiano, con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani e resterà valido fino al completamento delle procedure per l'acquisizione della cittadinanza.
  Coltivare il sogno olimpico significa anche pianificare una serie di interventi, funzionali a riqualificare le strutture esistenti, e sostenere lo sviluppo dell'impiantistica sportiva nazionale.
  La spesa per le Olimpiadi non deve intendersi, quindi, una spesa a perdere, ma funzionale a un investimento che darà ottime ricadute nel Paese. Non a caso, il logo ufficiale di Roma ’24 ha i colori bianco, rosso e verde, perché questa non è solo la candidatura di Roma, ma dell'Italia intera, che vuole vincere unita per un grande evento come le Olimpiadi.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Morassut, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01102. Ne ha facoltà.

  ROBERTO MORASSUT. Grazie, Presidente. Notoriamente, non è la prima volta che Roma tenta la corsa olimpica per aggiudicarsi l'organizzazione dell'evento, dopo la ormai lontanissima edizione del 1960. Gli altri tentativi, a partire da quello sfortunato per il 2004, sono stati segnati appunto da esiti sfortunati o dalla impraticabilità delle condizioni stesse di partenza.
  Do, quindi, una prima risposta al collega Fassina sul fatto che, quando si è trattato di decidere, senza avere le giuste condizioni di partenza, per l'organizzazione di questo evento, il Governo italiano si è ritratto e si è unanimemente preso atto di condizioni impraticabili.
  Questa volta, però, ci auguriamo qualche fortuna maggiore e delle condizioni, forse geopolitiche, interne al movimento sportivo e al movimento olimpico, meno proibitive delle altre volte. Soprattutto, ci auguriamo che questa occasione possa contribuire – cosa che conta moltissimo, secondo me e secondo noi –, a promuovere l'immagine internazionale di un Paese affidabile, di un Paese credibile, capace di prove importanti e, soprattutto, di un Paese in ripresa; non è scontato naturalmente, ma si tratta di una importante occasione.
   In questo senso, conterà molto, in questo tentativo, peraltro, già avviato, l'unità del Paese, la spinta, senza defezioni e senza timidezze, delle istituzioni, del mondo politico, della cultura e anche delle maggiori espressioni dell'economia nazionale e, insieme a tutto questo, conterà il consenso popolare, la partecipazione popolare, per dirla meglio, la voglia reale di ospitare questo evento, di gestirlo al meglio, di avere fiducia e di scommettere sulle capacità del Paese da parte della popolazione intera, ed in particolare quella di Roma, la città principale che ospiterà gli eventi.
   Quindi, è una sfida anche per la città; su questo concordo con un passaggio della mozione presentata da Sinistra Italiana, che cancelli la tradizione dei grandi eventi che hanno stravolto, spesso e volentieri, lo sviluppo della città o ne hanno esaltato gli aspetti negativi. L'occasione per un evento importante, capace di mobilitare risorse economiche e anche energie morali e intellettuali per avviare e per spingere la città nella direzione di uno sviluppo innovativo basato su nuove condizioni e nuove opportunità.
  La discussione di queste mozioni arriva – questo è un punto importante – quando però già il percorso organizzativo è avviato Pag. 47e formalizzato, secondo i tempi e le procedure che sono inevitabilmente dettate dal Comitato olimpico internazionale. Infatti, entro il settembre del 2017, vi sarà la proclamazione della città ospitante e, nel corso di quest'anno, vi saranno già delle scadenze dirimenti per la consegna dei dossier, del programma olimpico e di tutti gli approfondimenti che si renderanno indispensabili. Roma, dunque, è già in corsa ed il Governo italiano si è già impegnato nelle sedi formali, a livello internazionale, dopo un intenso – non come un atto arbitrario – percorso istituzionale che correttamente è partito dal consiglio comunale di Roma, che si è espresso favorevolmente alla candidatura e che di fatto l'ha promossa.
   Questo è un punto centrale per la nostra discussione. La città ospitante, attraverso la voce dell'organo democratico e istituzionale più autorevole, si è espressa per proporre Roma come sede dei Giochi e, dopo un'intesa istituzionale, il Governo ne ha proposto la candidatura.
  Quindi, è stato un percorso trasparente, nitido, che rende impraticabile la condizione primaria, che viene espressa dalla mozione Fassina ed altri, di avanzare la candidatura solo dopo lo svolgimento di un referendum popolare. Il contributo che, invece, io penso questo dibattito può fornire è un altro e non riguarda la candidatura o meno, sulla base di una consultazione referendaria preliminare, come ho detto, impossibile, ma quello di spingere, diciamo, di lavorare, di dare al programma olimpico, alla sua elaborazione, alla sua organizzazione, alla sua gestione e anche al suo profilo tecnico e valoriale un segno giusto, che contribuisca a un risultato positivo, utile per l'Italia, per la Capitale, innovativo e con sane motivazioni ideali, dal momento che le Olimpiadi, va da sé, contengono anche questo elemento valoriale, ideale, che a certe condizioni è perfino più importante degli aspetti economici.
  I grandi eventi a Roma aprono sempre dei dibattiti retorici, da una parte, catastrofisti, dall'altra; io non credo che la mozione, che qui è stata presentata, voglia aderire alla corrente catastrofista; anzi, ne colgo alcuni aspetti giusti, la necessità che non si tratti di una cosa inutile e dannosa per la città. È vero che in passato molte edizioni sono state segnate da questo esito, non ultima la vicenda e l'esperienza delle Olimpiadi di Atene, ma ci sono state anche esperienze che, invece, hanno profondamente modificato il tessuto sociale ed economico delle città che hanno ospitato gli eventi e che sono stati anche degli esempi importanti, colti in misura, purtroppo, minimale, di come tali eventi possano essere spesso organizzati anche in funzione positiva; cito, per esempio, il caso di Sydney, ma soprattutto il caso di Barcellona che, dall'evento del 1992, ha trasformato completamente la propria realtà, rilanciando la città a livello internazionale, facendone una città che ha riacquistato un ruolo, una funzione e dato al proprio tessuto economico e sociale una nuova possibilità.
  Questa è la carta che dobbiamo cercare di giocare per la capitale, sapendo che Roma ha avuto altre esperienze; io ho avuto la fortuna di partecipare alla corsa che si fece nel 1997 per le Olimpiadi del 2004; la fortuna, perché questo mi ha dato la possibilità di conoscere un po’ dal di dentro certi meccanismi. Il dossier, il programma che oggi viene formulato per Roma, è in qualche modo lo sviluppo di quella proposta del 1997, con una differenza molto importante, che molte di quelle opere, che erano presenti in quel dossier e che erano già dentro la programmazione urbanistica della città, che poi si è completata e formalizzata successivamente con atti importanti di programmazione urbanistica, sono oggi, in buona parte realizzati; quindi, Roma arriva a queste Olimpiadi con circa il 70 per cento delle opere, in parte già realizzate, in parte da completare e con una parte, nettamente inferiore, di nuovi interventi; nuovi interventi che starà al Paese, alla concertazione istituzionale, all'attenzione dell'opinione pubblica fare in modo che siano operazioni utili alla città nel post evento e utili ad un nuovo sviluppo economico della città. Ne cito uno in particolare Pag. 48e cioè puntare molto sull'utilizzo delle grandi risorse pubbliche, delle università, dei patrimoni pubblici delle università, localizzati nei comprensori universitari di Tor Vergata, di Pietralata e dell'Ostiense, per fare in modo che questi luoghi, queste zone e queste ambiti territoriali possano essere sede della realizzazione degli eventi e dell'ospitalità degli atleti e degli staff di accoglienza e possano poi essere utilizzati come occasione per lanciare i grandi campus universitari e formativi di Roma, di cui questa città ha grande bisogno; perché, se è vero che la città deve uscire dalla logica e dalla camicia di forza della pubblica amministrazione, dell'edilizia e dello sviluppo intensivo, essa deve puntare sulla grande carta internazionale della formazione e sullo sviluppo della formazione universitaria e della cultura intorno alle proprie strutture pubbliche che oggi sono queste realtà.
  Si tratta dei campus universitari della Sapienza, del campus universitario di Tor Vergata, del campus universitario di Ostiense-Marconi che possono essere i luoghi principe per lo svolgimento delle gare, per gli impianti e per l'accoglienza degli staff olimpici e degli atleti. Questo significa avere un'idea che è completamente diversa dal gigantismo tradizionale delle Olimpiadi che spesso e volentieri abbiamo conosciuto e che ha fatto tanti danni in altre edizioni e significa anche aderire con coerenza agli indirizzi che il movimento olimpico, sulla base di una riflessione critica delle esperienze passate, oggi già individua attraverso l'Agenda olimpica 2020, in cui dice «no» al gigantismo, «no» all'eccesso di costi, «no» alla concentrazione degli eventi nella città ospitante. E questo è un fatto importante, perché il gigantismo degli interventi nasceva anche dall'idea tutta decubertiniana, cioè ottocentesca, che gli eventi dovessero tutti essere ospitati nella città che era risultata vincitrice dall'assegnazione dei giochi. Invece oggi si ragiona diversamente, si dice che sì, la città leader è quella che ospita, ma gli eventi possono essere sparsi anche nel resto della comunità nazionale e questo consente di pensare ad un programma spalmato su tutto il Paese, che coinvolga anche le altre comunità territoriali, che dia soddisfazione all'insieme del Paese e che eviti la concentrazione, il gigantismo solo dentro un'area territoriale, una grande area metropolitana. Sono opportunità importanti anche per avere i giochi perché, sulla base di questi criteri, il CIO assegnerà i giochi presumibilmente, auspicabilmente proprio alle città che risponderanno meglio a questi indirizzi innovativi in cui il tema ambientale sarà fondamentale, sarà importante. Ad esempio, in quel dossier, in quel programma, il dibattito può servire a dare al Governo e al comitato promotore il seguente indirizzo: molti impianti siano rimovibili, possano essere costruiti con poca spesa e poi smontati alla fine dell'evento; possano essere impianti utili per le gare ma che non occupino nuovo suolo; le aree di svolgimento degli impianti possano essere preservate e quelli invece definitivi che saranno realizzati dovranno essere impianti costruiti con tecniche di bioedilizia, nel rispetto dei microclimi originali – ad esempio per quanto riguarda le gare degli sport acquatici questo è importantissimo – e laddove si debba costruire qualcosa di nuovo, questo sia già previsto dagli indirizzi urbanistici che la città si è data nelle aule consiliari con le sue decisioni strategiche e queste strutture possano essere riutilizzate come impianti sportivi, strutture di accoglienza, campus universitari per gli studenti dopo i giochi e che siano le strutture di accoglienza per gli atleti e infrastrutture soprattutto per la mobilità e per il ferro. Questo significa muoversi anche in coerenza con la logica sulla quale purtroppo la nostra città, la nostra capitale, è molto in ritardo: considerarsi sempre di più in linea con la prospettiva delle cosiddette smart cities cioè di città intelligenti, città che puntano su progetti di basso impatto, sulla vivibilità e sul sistema della sostenibilità e che esaltano l'elemento tecnologico della organizzazione della città, del suo funzionamento, cosa importantissima per Roma. Infatti, se Roma può giocarsi una carta decisiva in questa competizione, è l'antichità, il fascino dell'antico di una città Pag. 49simbolo in tutto il mondo, anche se questo per certi aspetti può essere perfino considerato un elemento retorico, soprattutto il fascino di una grande città che guarda al futuro e che esalta tutti quegli elementi che l'innovazione e la tecnologia oggi offrono per trasformare le città e per migliorarle.
  Quindi, abbiamo l'opportunità di fare una riflessione in questo Paese anche attraverso – sono d'accordo – forme di consultazione. Non possiamo fare un referendum perché le procedure purtroppo lo rendono impossibile. Va benissimo fare una grandissima consultazione popolare, portare il programma preliminare nelle scuole, nei territori interessati, tra i cittadini, far conoscere questo programma e assumere anche indicazioni critiche modificative, integrative da parte delle popolazioni che vivranno più direttamente l'arrivo dei giochi, lo svolgimento delle manifestazioni e fare in modo, quindi, che la partecipazione e la consultazione siano elementi virtuosi non soltanto di registrazione delle cose, ma consentano al programma olimpico di inverarsi, di calare sulla città nel modo più accogliente possibile e di dare una spinta a questa città arenata, di rimettere in moto l'economia, di dare un'opportunità in più, come è stato in altre edizioni.
  Dovremmo rassegnarci a dire che questo non è possibile ? Dovremmo consegnare, anche questa possibilità, al novero della catastrofe, come spesso si è usato fare in occasione dei grandi eventi di Roma ? Mi ricordo il Giubileo del 2000, che fu descritto, all'inizio, come l'arrivo di una catastrofe. Ci fu un grande dibattito tra intellettuali, anche intellettuali di altissimo livello, che animarono una discussione sull'impatto dell'Anno Santo del 2000 come qualche cosa che avrebbe stravolto la città, l'avrebbe condannata al caos ingovernabile. Certo, l'organizzazione dell'evento fu complessa, ma ricordiamo che quell'evento, l'Anno Santo del 2000, fu anche una grandissima occasione per ridare alla città un'opportunità di crescita, alla quale poi sono seguiti problemi, ma sono seguite anche grandissime occasioni che, almeno in quegli anni, hanno fatto crescere Roma, l'hanno aiutata ad uscire da un momento di crisi economica e anche in prospettiva.
  Si tratta, quindi, di scegliere come starci in questo evento, non di renderlo retorico, non di costruirne un mondo dei sogni, neanche però quello di assegnarlo alla categoria delle catastrofi inevitabili. In questo la politica, il Parlamento, le istituzioni, le popolazioni, i cittadini, organizzati nelle reti civiche, possono svolge un importantissimo ruolo. Quindi, credo che questa occasione debba essere vissuta in questo modo per dare a Roma, alla nostra capitale e a tutto il Paese l'opportunità di riproporsi a livello internazionale non più solo come la città della mafia, del malaffare e della corruzione, ma come una città, una capitale di un Paese che sa gestire correttamente, trasparentemente, con valori e con efficienza un grande momento, un grande evento che, comunque, è uno dei pochi momenti, dei pochi eventi capaci di parlare a tutto il mondo.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Polverini, che illustrerà anche la sua mozione 1-01103. Prego, onorevole, ne ha facoltà.

  RENATA POLVERINI. Grazie, Presidente. Prendo la parola, come lei ha ricordato, per illustrare la mia mozione sulla candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024. Vorrei dire che prendo la parola più da romana che non da parlamentare, comunque eletta in questa città. Lo dico perché, avendo rivestito anche il ruolo di presidente della regione Lazio, ho vissuto anche la scorsa candidatura, quella per le Olimpiadi 2020, che poi, a mio modesto avviso, immotivatamente il responsabile dell'Esecutivo, il professor Mario Monti, all'ultimo minuto e dopo aver fatto svolgere un lavoro importante a tutti coloro che erano interessati all'evento, non soltanto alle istituzioni, decise di tirare indietro la responsabilità del Governo italiano. Io lo considerai allora un errore, lo considero ancora un errore, perché, comunque, avendo fatto il presidente della Pag. 50regione – mi rivolgo al collega Fassina –, non il Viceministro all'economia, ho sempre guardato alle Olimpiadi come ad un'occasione di sviluppo per il Paese che le ospita, piuttosto che, come lui stesso ha ricordato, un'occasione che può recare problemi al bilancio dello Stato.
  Certo, alcune realtà – la Grecia è stata ricordata – sicuramente hanno pagato un prezzo altissimo, altre realtà, anche quelle ricordate dal collega Morassut, invece, hanno tratto da quel momento importante un'occasione di slancio dell'intero Paese e non soltanto della città ospitante. Io voglio pensare che Roma approcci questa nuova scadenza con questo spirito, con lo spirito giusto.
  Anche il gruppo di Forza Italia – è stato ricordato – all'assemblea capitolina ha votato con convinzione la volontà di presentare la candidatura per Roma alle Olimpiadi del 2024. Noi, con la stessa convinzione, abbiamo presentato questa mozione.
  Lo dico, ancora una volta, da romana e da ex amministratrice: io penso che questa possa essere non soltanto una straordinaria occasione, se sappiamo, ciascuno nel proprio ruolo, svolgere bene il nostro compito, ma possa essere una straordinaria occasione anche per far dimenticare al mondo quella che è stata la Roma degli ultimi mesi, che ha visto la vicenda denominata «mondo di mezzo», ma poi conosciuta come «Mafia capitale», per far ricordare al mondo che Roma non è quella, ma è una città, invece, in grado di rilanciare la sua storia, le sue competenze, la sua professionalità, la sua capitale.
  Io guardo a quell'evento come alla possibilità, in maniera unitaria, di rimetterci di fronte al mondo in maniera diversa, come appunto la nostra storia ci ha sempre ricordato. Io ho l'abitudine, come tanti romani, la domenica mattina, gli altri giorni non ci riesco, di correre tra le vie di Roma. Ogni volta che corro nei Fori imperiali, di fronte al Colosseo, a piazza Venezia, a Caracalla, penso sempre di poter godere di uno straordinario beneficio, quello di correre nella città di Roma. Devo dire che i turisti, che spesso ci sono anche di mattina presto in quei luoghi, ti guardano con lo stesso stupore, quasi a volerti chiedere: ma ti rendi conto di dove stai correndo ? Io me ne rendo conto e penso che porre nelle condizioni i più grandi atleti del mondo di mettere in campo la loro disciplina sportiva a Roma è, comunque, un beneficio che noi non possiamo togliere loro e che, anzi, dobbiamo dare loro questa opportunità.
  Allora, con questo spirito, io penso che non possiamo ricorrere ad un referendum in questo caso. Io penso che il popolo è chiamato a decidere attraverso il referendum, come la Costituzione gli assegna, però quando la politica si rende incapace di arrivare ad una decisione, perché questa spetta alla politica e la politica, almeno quella romana, ha già deciso e noi dobbiamo contribuire, con quelle che sono le nostre competenze, per far sì che questo evento possa svolgersi e, se si svolge, si possa svolgere nel migliore dei modi.
  Sicuramente, anch'io sono preoccupata per quelle che possono essere le ricadute economiche se si sbaglia l'organizzazione dell'evento, sono preoccupata perché la situazione finanziaria del comune di Roma ha portato al commissariamento, perché c’è un commissario dal momento in cui l'ex sindaco è stato sfiduciato e quindi la città non gode, in questo momento, di quella guida politica che pure è necessaria per competere, insieme all'intero Paese, per questa candidatura. Penso anche di essere molto preoccupata perché non mi sfugge la condizione delle infrastrutture, in particolare di quelle della mobilità, che devono comunque diventare un elemento fondamentale per la buona riuscita dell'evento. Penso anche che dobbiamo fare in modo che questa iniziativa risulti sempre più forte agli italiani non come la candidatura di Roma, ma come la candidatura dell'Italia. Nel fare questo, occorre spiegare agli italiani in quali condizioni economiche e finanziarie questo evento si svolge, dare a loro la percezione che non ci sarà un Governo che lascerà, che scaricherà i costi sul Paese, ma un Governo che, invece, metterà in corsa il Pag. 51Paese per far trarre un beneficio, anche economico e finanziario, oltre che infrastrutturale, a tutti i cittadini.
  Io penso che su questo dobbiamo fare attenzione e non sottovalutare i rischi, che pure ci sono e che ha illustrato bene l'onorevole Fassina. E dobbiamo anche evitare che, ancora una volta, si possa guardare a Roma come alla città che spreca o che non è in grado di intervenire in maniera mirata ed efficace sui propri territori. Io credo veramente che dobbiamo farlo con questo spirito. Io ho letto il documento con il quale Roma si è presentata e chiama chiaramente tutto il Paese al coinvolgimento nelle Olimpiadi del 2024, ma il Governo non è stato così esplicito nella sua conferenza stampa. Io credo che forse, dal punto di vista della comunicazione e degli atti che coinvolgono l'intero Paese, un passaggio sia necessario, come anche è necessario far comprendere non soltanto a Roma, ma a tutta l'area metropolitana che questo evento coinvolgerà tutti, anche e soprattutto in quelli che saranno i mezzi economici e le ricadute infrastrutturali che rimarranno sui territori.
  Naturalmente, non mi sfugge che abbiamo sicuramente a Roma ancora i segni positivi di quelle che furono le Olimpiadi del 1960. Tante famiglie vivono in quello che nacque per ospitare gli atleti; il famoso Villaggio Olimpico ne ha mantenuto il nome. Al tempo stesso, però, gli stessi romani passano quotidianamente di fronte a stazioni ferroviarie mai utilizzate o a quell'opera straordinaria di un architetto famoso, Calatrava, che vediamo non appena entriamo accedendo dall'autostrada a sud di Roma. Ecco, io penso che non soltanto non dobbiamo ripetere gli stessi errori, ma dobbiamo con questo evento provare anche a rivitalizzare quelle opere che non sono rimaste incompiute e basta, come nel caso di Calatrava, ma che, se anche compiute, non sono state messe nella disponibilità dei cittadini romani. E, quindi, io non credo che sia soltanto necessario guardare a quelli che sono gli impianti sportivi, oltre che di ospitalità per gli atleti definiti, come è stato detto prima, impianti smontabili o rimuovibili, ma credo che vadano privilegiati quegli impianti che ci sono, che non sono, come ho detto, stati messi in condizione di funzionare o che, come nella famosa cittadella dello sport, sono rimasti come cattedrali nel deserto, serviti soltanto per spot negativi della città di Roma, come ricordiamo per diverse trasmissioni televisive.
  E, allora, da questo punto di vista la nostra mozione dice appunto questo: occorre far partecipare a questo progetto tutto il Paese, ma in particolare tutta l'area metropolitana di Roma; bisogna privilegiare il completamento delle opere incompiute e l'adattamento di quelle preesistenti; occorre lavorare ispirandosi a criteri di sostenibilità ambientale e anche considerando il territorio in cui viviamo, con un'attenta valutazione anche dei rischi ambientali e di dissesto idrogeologico, eccetera. Ma penso anche che occorre coinvolgere in questa iniziativa in maniera compiuta la regione Lazio, anche perché la regione riveda la programmazione dei fondi strutturali 2014-2020 che possono essere utilizzati anche per questo evento. E ricordo a me stessa che c’è una dotazione di circa 3 miliardi di euro. Quindi, sicuramente, facendo coincidere le esigenze della regione, ma anche le esigenze infrastrutturali di mobilità per l'evento, si può, in un gioco di squadra, raggiungere un obiettivo importante. Naturalmente, chiederemmo anche che ci possa essere un organismo di vigilanza perché questi giochi risultino appunto un'occasione vantaggiosa e che ci siano ricadute concrete per quello che è il sistema sportivo, economico, culturale italiano e di ricezione della città di Roma e di adottare le indicazioni contenute nell'agenda olimpica 2020 a salvaguardia dell'unicità dei giochi olimpici. Quindi, io insisto nel dire che, al di là di appartenere come forze politiche alla maggioranza o alla minoranza di Governo o alla maggioranza di quando chiaramente tra breve ci saranno le elezioni nella città di Roma – non sappiamo chi andrà a governare Roma e chi starà all'opposizione –, su questo evento abbiamo il dovere di fare un gioco di squadra. E, ripeto, che Pag. 52Roma non si meritava di essere annotata negli annuali della storia per le vicende giudiziarie che l'hanno travolta negli ultimi tempi. Roma ha una storia importante, noi ne siamo gli eredi, e quindi dobbiamo guardare a questo evento con grande attenzione. Voglio aggiungere anche una cosa da italiana. Abbiamo appena chiuso le porte di un evento importante che è stato l'Expo a Milano, al quale hanno concorso tutte le forze politiche e si sono succedute diverse amministrazioni, regionali, nazionali, comunali. Da italiani abbiamo fatto in modo che quell'evento non funzionasse o perlomeno le comunicazioni che abbiamo dato nei mesi precedenti, nelle settimane precedenti e nei giorni precedente alla sua apertura erano sempre comunicazioni in negativo.
  Alla fine quell'evento ha funzionato perché siamo l'Italia, perché alla fine, malgrado noi – lo dico chiaramente scherzando –, riusciamo sempre a fare le cose quando c’è un interesse primario che è quello del Paese. Pensavamo da romani che questo evento giubilare potesse in qualche modo portare, anche dal punto di vista turistico e quindi economico della città, gli stessi numeri. Al momento, a meno che non parta di qui a breve, cosa che mi auguro, il Giubileo non sta rispondendo a quelle aspettative, forse per questa scelta del Santo Padre comunque di spargerlo, in senso positivo, nel mondo. Ecco, usiamo questa occasione che abbiamo di questa candidatura per dimostrare ancora una volta al mondo che riusciamo a fare le cose, malgrado c’è un Paese che discute, che dibatte e c’è chi governa e chi fa opposizione. Noi non condividiamo molte delle scelte fatte dal Governo, ma da questo punto di vista vogliamo rispondere ai romani, agli italiani, agli eletti di Forza Italia che avevano condiviso con la vecchia amministrazione questa scelta. Quindi, da questo punto di vista, con gli accorgimenti che abbiamo riportato nella mozione, daremo sicuramente il nostro contributo per la buona riuscita dell'evento, per Roma e soprattutto per gli italiani.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Simone Valente, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01108. Ne ha facoltà.

  SIMONE VALENTE. Grazie Presidente. Nello scrivere questa mozione prima mi sono voluto immedesimare in un cittadino italiano che vive le Olimpiadi e, beh, devo dire che i giochi olimpici moderni sono vissuti dal cittadino spettatore o telespettatore come un momento gioioso, in cui è possibile vedere all'opera i più grandi campioni del pianeta che si sfidano in gare epiche e che raggiungono prestazioni motorie al limite delle possibilità umane. Un mese di full immersion nello sport che, soprattutto per gli appassionati e per i praticanti, diventa un momento irrinunciabile, fatto di emozioni che non dimenticheranno mai. Qualsiasi cittadino italiano, infatti, avrà assistito almeno una volta alla finale dei 100 metri di una manifestazione olimpica. Però devo anche dire che tutta questa grande emotività e grande passione che spesso ho provato anch'io non tiene conto di cosa voglia dire effettivamente organizzare un'Olimpiade e a quali rischi si potrebbe andare incontro e quanto soprattutto gravi una manifestazione del genere sulle casse pubbliche. Specifico che non è assolutamente mia intenzione sminuire l'importanza sociale dello sport quale strumento fondamentale per la crescita psicomotoria dell'individuo, ma voglio parlare soprattutto delle scelte che uno Stato dovrebbe assumere a seconda delle priorità che si è prefissato. Il punto cardine della nostra posizione politica è proprio questa: la questione della priorità. Infatti, la situazione economica e sociale del nostro Paese impone scelte rigorose in ordine alle priorità da riconoscere agli investimenti pubblici. Scegliere di investire nelle Olimpiadi equivale allora a sottrarre risorse ad altri settori vitali per la crescita del nostro Paese. Se ne deduce che la scelta di indebitare lo Stato italiano – perché di questo stiamo parlando – per i prossimi decenni per la realizzazione di un grande evento di simile portata, non può allora che definirsi scellerata. È doveroso, Pag. 53infatti, scegliere investimenti che abbiano un impatto nel lungo periodo e non solo a breve termine e questo è un punto fondamentale anche della battaglia mediatica che si sta conducendo. Gli annunci parlano di grandissimo beneficio per i prossimi decenni, ma in realtà sappiamo benissimo dai dati che ci vengono forniti dalle edizioni passate che è solo per un mese che si ha un qualche beneficio dalla manifestazione. Appunto, tutte queste risorse ingenti potrebbero proficuamente allora favorire la diffusione e la promozione dell'attività sportiva di base e lo sviluppo di programmi pluriennali di investimento per la costruzione, ove necessario – e a Roma, a quanto ci risulta, non è strettamente necessario costruirne di nuovi –, e per la manutenzione degli impianti sportivi italiani. Potrebbe svilupparsi un turismo sostenibile; potrebbe essere supportata la creazione di nuove piccole e medie imprese; potrebbero essere sostenuti di più gli enti locali; potrebbe essere potenziata l'attività motoria e sportiva nella scuola primaria con personale specializzato. Da trent'anni ne parliamo.
  E questo sì che a lungo termine potrebbe portare dei benefici. Inoltre, tutti questi provvedimenti avrebbero una certezza: quella di un impatto sociale certamente superiore a quello atteso in una post Olimpiade. Il fulcro di tutto è questo: la priorità nell'investire in settori che danno un vero beneficio sociale a lungo termine. Questi sono solo alcuni degli esempi, ma se ne potrebbero fare tanti. Il nostro gruppo spesso ha citato e ha portato avanti, come punto prioritario, il reddito di cittadinanza. Però, insomma, sull'Olimpiade devo dire che tutti questi punti di investimento hanno sicuramente la precedenza rispetto alla rischiosa organizzazione dell'Olimpiade. Inoltre, prima di parlare di priorità bisognerebbe anche parlare, comunque, dei problemi logistici e di quelli legati alla corruzione che si possono avere nell'organizzazione di un tale evento, ma questi forse li potremo affrontare dopo.
  Io ho definito rischiosa l'organizzazione di un'Olimpiade perché, rivolgendo lo sguardo al passato, è facilmente verificabile come questo grande evento abbia spesso portato più problemi che reali benefici per la città e per lo Stato ospitante, sia dal punto di vista del ritorno economico e turistico – e qui vengono smontati tutti gli slogan che stiamo sentendo sui giornali – sia dal punto di vista dell'utilizzo post olimpico delle strutture costruite. Qui abbiamo degli altri esempi eclatanti di strutture costruite appositamente per l'Olimpiade e poi abbandonate, le quali sono diventate cattedrali nel deserto.
  Inoltre, secondo me bisogna anche fare un ragionamento storico quando si parla di Olimpiadi, perché anche nello sport la storia spesso si ripete e può anche darci dei suggerimenti che, però, spesso l'uomo non è portato a prendere in considerazione e, quindi, compie sempre gli stessi errori. E, allora, parto dal 1894, quando De Coubertin organizzò un congresso di esperti di educazione fisica. Vi parteciparono rappresentanti provenienti da 12 Paesi, tra cui il delegato greco Dimitrios Vikelas, uno storico e poeta che frequentava la famiglia reale in Grecia. Proprio quest'ultimo propose che sede dei moderni giochi olimpici, previsti nel 1896, fosse la Grecia – cioè, la nazione ospitante –, la Grecia che era stata sede degli antichi giochi olimpici. De Coubertin e il resto dei delegati votarono a favore di questa proposta.
  Dunque, allora si decise di svolgere i giochi in Grecia, in un Paese dove la monarchia costituzionale greca era in bancarotta. Quindi, il Primo Ministro greco disse a Vikelas che ad Atene non si sarebbero potuti svolgere i giochi olimpici, perché l'erario pubblico non disponeva di denaro per sovvenzionarli. Allora Vikelas chiese aiuto a De Coubertin, che andò in Grecia e convinse il re, Giorgio, a prendere in mano la situazione. Quindi, dopo svariati appelli a facoltosi greci oltremare, che fecero affluire grandi somme di denaro, si decise di fare questi giochi olimpici. Infatti, si svolsero queste prime Olimpiadi; però, ahimè, finiti i giochi, dopo che gli atleti turisti tornarono a casa, le finanze Pag. 54nazionali si deteriorarono ulteriormente, dato che erano già in bancarotta. I politici locali allora trascinarono la Grecia in una guerra contro la Turchia.
  Ebbene, questo è solo il primo esempio di Olimpiade moderna che ci può fare riflettere. Quella che vi ho letto, appunto, non è una storiella di fantasia, ma la prima esperienza che dovrebbe fare riflettere a fondo soprattutto sull'opportunità o meno di organizzare un'Olimpiade. Se andiamo avanti negli anni e rivolgiamo lo sguardo a manifestazioni più recenti, quindi più paragonabili, notiamo che gli investimenti pubblici per l'organizzazione di un'Olimpiade sono davvero enormi. Riporto alcuni dati che ci sono forniti da studi scientifici: 5 miliardi per Sydney 2000; 8,5 miliardi per Atene 2004; 43 miliardi per Pechino 2008; 9 miliardi per Vancouver 2010, Olimpiade invernale sicuramente non paragonabile a una estiva ma, comunque, una cifra davvero importante; 12 miliardi per Londra 2012; 51 miliardi per Sochi 2014, altra Olimpiade invernale (la più costosa in assoluto di tutti i tempi); infine, per Rio de Janeiro 2016 si stima che si arriverà a spendere 16 miliardi di euro. Queste sono cifre importanti, che l'Italia dovrebbe ben capire e prendere in considerazione. E, allora, gli stessi dati dimostrano, inoltre, che la valutazione preventiva dei costi si è sempre rivelata inattendibile: dal 1960 ad oggi tutte le edizioni delle Olimpiadi estive sono incorse in uno sforamento del budget, senza eccezione alcuna, con un aumento medio del 179 per cento. Emblematico è il caso di Montreal, nel 1976, dove lo sforamento è stato del 796 per cento e dove si è terminato il pagamento dei debiti dopo 36 anni. Ecco perché all'inizio parlavo dell'indebitamento con cui anche l'Italia avrà a che fare nel caso portasse avanti la candidatura.
  Risulta anche evidente che gli introiti provenienti da diritti tv, da licenze e dalla bigliettazione risultano sempre inferiori ai costi di gestione dell'evento, determinando un bilancio in sostanza negativo. Su questo punto l'unica eccezione è data da Los Angeles, che ebbe 225 milioni di dollari di profitto semplicemente perché ci fu un investimento privato totale e, quindi, non a carico delle casse pubbliche (questo anche dopo l'esperienza di Montreal 1976). Quindi, in questo caso gli americani seppero trarre beneficio dall'esperienza.
  Incontrovertibile non può ritenersi neanche l'affermazione secondo la quale l'Olimpiade comporta qualche immediato beneficio alla crescita del turismo. Questi sono semplicemente slogan che vengono sciorinati ogni giorno. Infatti, se consideriamo sempre le esperienze più recenti, i dati dimostrano il contrario: nel 2008 a Pechino si è registrato un calo di afflusso di turisti del 30 per cento rispetto all'agosto dell'anno precedente; a Londra 2012 il decremento è stato del 6,1 per cento rispetto al 2011. Anche sul turismo, quindi, i dati e i conti non tornano. Sono semplicemente slogan quelli che sentiamo dal Governo e da chi sta organizzando le Olimpiadi.
  Io farei una riflessione anche sugli eventi che sono stati organizzati in Italia ultimamente, perché abbiamo degli esempi lampanti di mala gestione. Posso parlare dei mondiali di nuoto, dove anche la magistratura è intervenuta, dove l'impiantistica sportiva è rimasta lì, senza nessun utilizzo; posso parlare delle Olimpiadi di Torino 2006, con altri investimenti incredibili che stiamo pagando ancora adesso e dove c’è un'agenzia, che doveva essere l'agenzia liquidatrice dell'organizzazione di Torino 2006, che in realtà continua a rimanere in piedi e ci costa più di un milione di euro all'anno, che paghiamo con soldi pubblici. Poi potrei parlare di Expo, altro grande evento dove, anche qui, la magistratura è intervenuta; anche qui c’è stato uno sperpero incredibile di denaro pubblico. Quindi, l'esperienza italiana legata ai grandi eventi, associata allo scandalo di Roma capitale, del comune che dovrebbe ospitare l'Olimpiade, prefigura un'organizzazione drammatica che porterà veramente questo Paese in ginocchio, un po’ come è successo anche per le Olimpiadi di Atene 2004, dove sicuramente Pag. 55l'organizzazione dell'Olimpiadi non è stato il motivo scatenante della crisi ma, comunque, ha contribuito.
  Inoltre, io mi sarei aspettato anche un maggior coinvolgimento di questo Parlamento, soprattutto delle Commissioni cultura di Camera e Senato, perché, guardando sempre all'ultima edizione di Londra 2012, la Commissione cultura della Camera dei comuni è stata presa in considerazione perché è stata più volte coinvolta; è stata coinvolta soprattutto nel report post-olimpico, in cui si sono tracciati un po’ i bilanci e in cui la Commissione cultura ha potuto fare delle osservazioni e sollevare tutte le critiche del caso (e quello forse doveva essere anche un po’ l'esempio da prendere).
  Invece qua il Governo, il comune di Roma e il CONI sono partiti per la tangenziale e a noi, come al solito, non resta che ratificare le decisioni e facciamo da semplici passacarte. Io vorrei anche leggere gli impegni, tutti questi motivi che qua ho espresso hanno portato a questa mozione in cui impegniamo il Governo a prendere delle decisioni forti. Infatti impegniamo il Governo ad attivarsi nelle sedi opportune, anche attraverso il Commissario straordinario per la provvisoria gestione di Roma Capitale, proponendo il ritiro della candidatura di Roma Capitale per le Olimpiadi 2024. Quindi chiediamo il ritiro perché per noi, ripeto, non è la priorità questa. Abbiamo anche invitato il Governo a favorire la diffusione e la promozione dell'attività sportiva di base, a sviluppare programmi pluriennali, quindi a lungo termine, di investimento per la manutenzione e per la costruzione, laddove insufficiente, dell'impiantistica sportiva italiana; ad adottare anche un piano pluriennale per lo sviluppo del turismo sostenibile, teso a incentivare e a valorizzare la mobilità dolce, a valorizzare il patrimonio storico, artistico e culturale, le aree naturali protette nazionali, quali poli di eccellenza sul territorio e moltiplicatori di sviluppo locale. Insomma, questi sono i nostri impegni e questa è la nostra posizione politica che penso che sia stata abbastanza chiarita in quest'Aula. Avremo modo anche di portare avanti questa battaglia che il MoVimento 5 Stelle è convinto a portare avanti a tutti i livelli istituzionali.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Buttiglione, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01109. Ne ha facoltà.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Signora Presidente, onorevoli colleghi, io non sono insensibile alle preoccupazioni espresse dall'onorevole Fassina e adesso anche dal collega del MoVimento 5 Stelle riguardo a questi giochi. È vero che non sempre i Giochi hanno dato tutti i benefici che ci si attendeva da essi, non sempre i grandi eventi sono risultati paganti in termini economici. Tuttavia, mentre queste sono ragioni di cui dobbiamo tener conto e dobbiamo tener conto soprattutto del modo in cui noi prepareremo e realizzeremo questi Giochi, non mi pare che queste argomentazioni siano prevalenti su altre, che mi avvio ad enumerare. Vedete, l'economia di un Paese è fatta in parte rilevante di fatti, di dati, di cifre, ma in misura ancora più grande l'economia è fatta di aspettative, di ciò che la gente immagina e si aspetta rispetto al futuro. È fatta di previsioni ed è fatta di fiducia in sé stessi che inducono a formulare previsioni e a realizzare poi le previsioni che sono state formulate. L'Italia è già in gioco, se stessimo discutendo se vale la pena o meno di candidare l'Italia alle Olimpiadi avvieremmo un certo tipo discorso, ma noi stiamo facendo un'altra cosa, stiamo discutendo se l'Italia debba ritirare la sua candidatura. È un Paese che non ha goduto in anni recenti di un elevatissimo prestigio internazionale e che ha mostrato ultimamente la volontà di rialzare la testa. È un Paese che ha dichiarato al mondo di avere fiducia in sé stesso e nel proprio futuro e che comincia anche a dare qualche segnale – per amor di Dio, da non esagerare – concreto, reale, di una maggiore capacità di presenza sui mercati internazionali; pensate al lavoro enorme delle imprese italiane che esportano all'estero, alle quali dobbiamo in Pag. 56larghissima parte la ripresa reale, pur se fragile, che stiamo vivendo. Un Paese che mostra di rialzare la testa e si afferma come tale nel consesso delle nazioni e che poi ritira la sua candidatura alle Olimpiadi: è come dare un voto negativo su sé stessi. Voi immaginate che l'opinione pubblica dei diversi Paesi, l'opinione pubblica mondiale, gli investitori, gli operatori economici rimarrebbero indifferenti a questa confessione di impotenza, di sfiducia in sé stessi da parte del nostro Paese ? Come dire: siamo convinti che sulle Olimpiadi la malavita organizzata ci ficcherà il naso e ci guadagnerà, e quindi non le facciamo perché siamo evidentemente incapaci di contenere le infiltrazioni della malavita organizzata. Io capisco che ci sono ragioni per dubbi, perché abbiamo visto situazioni reali di infiltrazione.
  Tuttavia noi confessiamo davanti al mondo, invece di impegnarci con tutte le nostre energie per garantire con le opportune misure – valorizzando il Comitato dei garanti ma anche con un'attenzione moltiplicata da parte della magistratura e delle autorità di controllo – che questo non accada, che siamo incapaci di farlo perché in Italia qualunque cosa si faccia viene contaminata dalla mafia, dalla camorra, dalla ’ndrangheta, dalla Sacra Corona Unita e via discorrendo. Siamo un Paese così corrotto che ci diamo da soli un giudizio di incapacità a liberarci dalla corruzione e garantire un'operazione di grande rilievo come le Olimpiadi. È questo il messaggio che noi vogliamo trasmettere al mondo ? È esattamente il contrario di quello che stiamo cercando di dire. Io so che anche in quest'Aula ci sono delle voci le quali erano convinte che l'Italia sarebbe crollata sotto l'impatto delle speculazioni contro l'euro e contro l'Italia stessa del periodo 2011-2013, ho sentito voci nel 2014 e nel 2015 le quali hanno continuamente detto che non ce l'avremmo fatta. Ho sentito voci che hanno portato in quest'Aula un disfattismo che è un dubbio su sé stessi, è un giudizio negativo sull'Italia come tale. Noi crediamo nella capacità dell'Italia invece di fare e per questo abbiamo chiesto le Olimpiadi. Abbiamo esagerato ? Potevamo farne a meno ? Forse, non lo so, ma lo abbiamo fatto e adesso abbiamo un impegno, un impegno di onore per il nostro Paese, un impegno per la credibilità e il prestigio dell'Italia. Già questa ragione è una buona ragione per dire che le Olimpiadi vanno fatte. Si dice che i costi sopravanzano di molto le previsioni iniziali: è vero, in genere succede, ma sono ingestibili grandi eventi di questo tipo ? Noi in questo momento siamo nel periodo immediatamente successivo a un grande evento, l'Esposizione di Milano, che il Paese ha mostrato di essere capace di gestire in modo esemplare. Quando si doveva fare l'Esposizione io ricordo voci analoghe risuonate da alcuni banchi di questo Parlamento, forse gli stessi banchi che adesso non vogliono le Olimpiadi, che dicevano: ma no, sarà un mangia mangia, ne usciremo con le ossa rotte, i conti saranno rovinosi. Non è andata così, i conti sono in ordine, l'Expo è stato un grande successo, non vi citerò le cifre relative all'aumento del PIL – dicono lo 0,4 per cento del PIL – a queste statistiche io credo sempre poco, perché sono basate su presupposti metodologici fragili. Tuttavia è evidente, al di là dei numeri, che il successo c’è stato, che milioni di persone sono venute e che, al di là della monetizzazione del grande evento, questo ha dato forte prestigio all'Italia nel mondo e quelli che son venuti per l'Expo probabilmente torneranno e parleranno di quello che hanno visto e la crescita del turismo italiano ne sarà influenzata indubbiamente. Cambia un'immagine. Facciamo un altro esempio, meno favorevole, pensiamo alle Olimpiadi invernali che abbiamo fatto a Torino. Le Olimpiadi invernali di Torino dal punto di vista finanziario hanno lasciato un debito non trascurabile, abbiamo speso più di quanto preventivato e rimane un debito significativo, però chi è stato a Torino prima delle Olimpiadi invernali e chi c’è stato dopo ha visto una città trasformata e la transizione della città di Torino da città dell'industria a grande città della cultura e dei servizi avanzati è stata assegnata dalle Olimpiadi invernali. Colgo l'occasione per fare un Pag. 57elogio di un uomo politico che è stato mio competitore diretto in una competizione elettorale: il sindaco Chiamparino, che ha usato le Olimpiadi per creare un'immagine di Torino e anche per rifare oggettivamente la faccia della città. Certo, non è un'impresa facile, se le obiezioni fatte dicono che questa è un'impresa da far tremare le vene ai polsi e che dobbiamo affrontarla con grande energia e mobilitando il meglio delle nostre risorse, questo è vero.
  Questa è una responsabilità soprattutto dei romani, perché le Olimpiadi invernali a Torino sono state un successo di fatto, al di là del debito che hanno lasciato. Sono state un successo di fatto perché sono state inserite dentro una programmazione della vita della città, dentro un progetto di città che cambia la propria identità. Credo che di questo dovremmo parlare e, tra l'altro, di questo dovrebbe parlare la campagna elettorale che si fa a Roma, perché è evidente che, se le Olimpiadi staranno dentro a un progetto di città che le forze politiche, la popolazione e la società civile di Roma adesso devono elaborare per il rilancio globale di Roma, se staranno dentro questo, avranno un effetto, al di là del problema dei costi finanziari, che comunque l'Expo mostra che possono essere maneggiati con rigore, con serietà e con successo. Se non saranno inserite dentro un simile progetto, certo sarà un fallimento, ma tutte le cose nella vita, tutte le grandi sfide sono un'occasione di vittoria o di sconfitta.
  Voi sapete che io sono notoriamente bigotto e mi perdonerete se inserisco una citazione dal Vangelo. Vi ricordate quella parabola in cui c’è un signore che parte e lascia un talento ad uno dei suoi servi, due a un altro, tre a un altro, quattro a un altro e cinque ad un altro ? Quelli che hanno avuto di più, trafficano i loro talenti e, quando il Signore torna, gli riportano più di quello che hanno ricevuto; quello che ha avuto un solo talento – meschino – nasconde sottoterra il suo talento e, al ritorno, verrà rimproverato. Perché verrà rimproverato ? Perché non ha avuto successo, perché ha avuto paura. Cosa sarebbe successo se chi aveva cinque talenti li avesse persi, giocandoli ? Io penso che, teologicamente, il Signore ne avrebbe avuto misericordia. Questo è un tema su cui torna frequentemente Papa Francesco: la fiducia nella misericordia, che si traduce nella volontà e nella capacità di accettare sfide, nella volontà e nella capacità di accettare il rischio, perché, senza rischio non c’è crescita, non c’è crescita umana, non c’è crescita culturale, non c’è crescita economica e non c’è crescita politica. Le Olimpiadi sono una grande sfida. Io credo che dobbiamo mobilitare tutte le nostre energie per reggere questa sfida al meglio, e questo è un secondo argomento, strettamente connesso al primo, per il quale noi crediamo che le Olimpiadi si debbano fare.
   C’è un terzo argomento: certo, vengono citate cifre faraoniche, 53 miliardi per le Olimpiadi di Sochi è una cifra che non so esattamente da dove venga tratta, ma comunque sappiamo tutti che le Olimpiadi di Sochi sono costate una quantità enorme di denaro. È questo che noi dobbiamo fare ? È questo il modello che noi dobbiamo imitare ? Affrontare la sfida, affrontare i rischi non significa farlo in uno spirito di megalomania e, proprio per queste ragioni, il Comitato olimpico internazionale ha dato delle direttive per le prossime Olimpiadi, direttive le quali vogliono mettere al centro lo spirito olimpico, lo spirito olimpico. Le Olimpiadi non sono semplicemente un'occasione per far venire tanti turisti e guadagnare tanti soldi – magari anche, speriamo che sia anche questo, certo – ma le Olimpiadi sono anche un'occasione per presentare al mondo l'immagine dell'Italia. Ma non è neanche questo il significato più profondo delle Olimpiadi: le Olimpiadi sono una grande testimonianza resa alla capacità dell'uomo di essere veramente se stesso, di costruire competizione leale e, attraverso la competizione leale, l'incontro e la pace dei popoli. L'Italia ha bisogno di questo. Io mi auguro che le Olimpiadi siano anche una grande occasione per riscoprire lo spirito olimpico, per riscoprire l'importanza della competizione leale. Questo Pag. 58Paese è malato di paura di competizione; invece, quando affrontiamo la competizione, siamo in grado di ottenere straordinari risultati. Questo Paese è malato perché anche i temi dell'educazione del corpo, dell'educazione fisica, come fattore fondamentale dell'educazione della persona, troppo poco vengono valorizzati e le Olimpiadi sono una grande occasione per mobilitare su questo tema le energie dei giovani italiani, per dare loro un'idea che è possibile migliorare se stessi, perché la grande sfida non è tanto la sfida con l'avversario, ma fila con se stessi. Da ragazzo, ricordo di aver fatto sport e il mio avversario era il limite che avevo raggiunto una settimana prima o il mese prima, perché possiamo essere artefici del nostro destino, possiamo migliorare noi stessi e possiamo dare forma al nostro corpo, ma non solo al nostro corpo, anche alla nostra anima, attraverso il nostro sforzo.
  E questo, nell'ambito di una competizione che non oppone distruttivamente i popoli fra di loro, ma li accomuna e li affratella. Ecco, le Olimpiadi sono un'occasione soprattutto per lanciare questo messaggio; è un messaggio di cui il mondo ha bisogno e di cui l'Italia ha bisogno.
   Per tutte queste ragioni, noi crediamo che la sfida non la possiamo sfuggire. Siamo stati forse un po’ azzardati nel lanciarla ? Può essere, ma adesso non è il tempo di domandarci se avremmo fatto meglio a non farlo; adesso è il tempo di ragionare sul modo migliore per impostarla e per vincerla. È ovvio che Olimpiadi, le quali mettono al centro lo spirito olimpico, non sono Olimpiadi faraoniche, non sono olimpiadi fatte per ostentare un'opulenza, e noi abbiamo le condizioni per fare delle Olimpiadi, le quali, essendo totalmente all'altezza delle aspettative del mondo, siano Olimpiadi nelle quali non si spreca denaro, Olimpiadi che valorizzano un patrimonio di attrezzature sportive che la città di Roma già ha, Olimpiadi che non siano concentrate solo in una città, Olimpiadi – come si è fatto anche in altri Paesi in casi analoghi – nelle quali si valorizzi la disponibilità di attrezzature sparsa su tutto il territorio, e non solo la disponibilità di attrezzature, ma la disponibilità di tradizioni, la disponibilità di capacità umane, la capacità di ricchezza comunicativa, che è sul tutto il territorio nazionale. Olimpiadi così si possono vincere e possono essere un grande successo anche con costi contenuti. Non abbiamo paura della sfida, non rifuggiamo dalla sfida ! Piuttosto, tendiamo tutte le nostre energie perché l'Italia possa uscire vincitrice da questa sfida.
  Queste sono le ragioni che sono illustrate nella mozione di AP-NCD-UDC e sono le ragioni per le quali noi voteremo perché questo evento si tenga, si tenga in Italia e sia un grande successo della Nazione italiana.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fabio Rampelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01110. Ne ha facoltà.

  FABIO RAMPELLI. Grazie, Presidente, colleghi deputati, sottosegretario. Diciamo che l'occasione è importante. Per molto tempo si è cercato di associare la celebrazione dei giochi olimpici a un gigantismo di ritorno. Le città, non soltanto le città italiane che hanno ospitato dei grandi eventi, anche le Olimpiadi, ma grandi eventi in genere, sia di carattere sportivo che di altro genere, hanno subito le conseguenze negative di una gestione discutibile, sia dal punto di vista della trasformazione del territorio e della realizzazione di impianti e strutture, sia dal punto di vista etico e l'etica pubblica è letteralmente crollata sotto i colpi della mala gestione di questi eventi. Quindi, è del tutto comprensibile oggi la preoccupazione che anima alcune forze politiche e anche la nostra: anche noi siamo fortemente preoccupati per ciò che potrà accadere e, se il buongiorno si vede dal mattino, questa preoccupazione trova giustificazione nelle iniziative, come al solito rocambolesche, al di sotto del bene e del male, del Presidente del Consiglio in carica e pro tempore, Matteo Renzi, con il Comitato che ha preso corpo e ha preso una Pag. 59forma, rappresentato, tanto per iniziare, da Luca Cordero di Montezemolo, e dalle iniziative del presidente del CONI, tutte persone animate dalle migliori intenzioni, che io rispetto e stimo, e a cui vanno gli auguri di buon lavoro da parte di Fratelli d'Italia, ma che è come se avessero già, insieme al Presidente del Consiglio, anteposto alcune decisioni importanti rispetto all'uso del territorio, in particolare della città di Roma, e agli indirizzi che comunque l'eventuale possibilità di ospitare le Olimpiadi si porta dietro. Mi riferisco al fatto, per esempio, che è stata data, a mio giudizio, scarsa attenzione a quella che a Roma esiste già come impiantistica sportiva, perché, se si vuole fare una proposta che non sia soltanto teoricamente basata sul basso impatto economico e sul basso impatto ambientale, se la si vuole fare davvero, non si può non partire dalla centralità della Città dello sport – parliamo del Parco del Foro Italico, per intenderci – che invece sta lì, quasi a fare da scenario di fondo, ma che non sembra avere una centralità.
  Noi nella nostra mozione abbiamo voluto sottolineare questo aspetto perché, se esiste già una Città dello sport, è difficile, in una capitale molto grande e molto popolata, che ci possano essere due città dello sport; per quanto lo sport vada per la maggiore, non mi risulta che tutti gli appassionati di sport possano, tutti insieme, riversarsi su due città dello sport e garantire al pubblico o, eventualmente, ai gestori privati la capacità di provvedere alla successiva manutenzione, ordinaria e straordinaria, di queste strutture.
  Una volta, quando davvero, nell'antichità, ci sapevamo fare apprezzare per le nostre capacità, tra queste capacità ingegneristiche e non solo vi era anche la capacità di programmazione; non era possibile immaginare la realizzazione di un'opera senza la sua successiva gestione. Invece, oggi va per la maggiore questo sport, ossia realizzare una struttura e lasciarla, il giorno dopo la celebrazione di qualunque evento, in stato di abbandono o semiabbandono.
  Ora la Città dello Sport, l'unica allo stato esistente, del Foro Italico, ha un raro vantaggio; tanto per cominciare, è circondata da aree che, nei vari piani regolatori che si sono succeduti nel corso dei decenni, hanno mantenuto la destinazione ad impiantistica sportiva. Non è un dettaglio, significa che comunque colui che ha messo in ordine la città di Roma ha persino immaginato intorno a Roma, alla faccia delle nuove sensibilità ambientaliste, una protezione, un anello verde che ne consentisse in buona sostanza uno sviluppo limitato, impedendole fisicamente di diventare una megalopoli informe, delle dimensioni di Istanbul piuttosto che di Città del Messico, piuttosto che di Shanghai, con milioni o addirittura decine di milioni di abitanti, tutti concentrati in un unico territorio, in una piccola area di questo territorio, piccola grande area. Quei piani regolatori – perché la decisione è stata anche di recente confermata – consentono di collocare l'impiantistica sportiva a completamento degli impianti già esistenti; mi riferisco a quelli del Foro Italico ma anche a quelli dell'Acquacetosa, mi riferisco a quello che rappresenta tuttora il fiume Tevere (parliamo per ora di Roma, che sarà o sarebbe comunque il teatro principale dell'evento olimpico), fiume Tevere che notoriamente ospita tantissimi circoli sportivi, circoli canottieri; quindi diciamo che, a proposito di questo quadrante, che può essere completato, ristrutturato, aggiustato, messo a norma, sostituito dal punto di vista dell'edilizia esistente con un'edilizia più efficiente e più efficace, si può prevedere anche la liberazione di alcuni spazi come quelli che sono ubicati sulla via Olimpica, che sono stati occupati abusivamente, comunque non compatibilmente rispetto alle destinazioni urbanistiche, da attività commerciali o pseudo commerciali; c’è tutto un pezzo pregiatissimo, collocato praticamente al fianco di Castel Sant'Angelo, del Vaticano, della Città del Vaticano, di San Pietro, di fronte a Piazza del Popolo, un pezzo importantissimo e questo è il secondo aspetto che non può sfuggire alla sensibilità di nessuno e non dovrebbe sfuggire Pag. 60alla sensibilità del Presidente del Consiglio Renzi nemmeno. Questo è il secondo elemento, ossia la capacità di questa area incredibile di essere collocata esattamente nel cuore della capitale; i grandi eventi sportivi, quando vengono collocati a Roma, gli organismi internazionali pretendono che siano ubicati nel parco del Foro Italico perché ovviamente, anche da un punto di vista degli interessi pubblicitari, della capacità di attrarre investimenti, i diritti televisivi, tutto diventa più facile, se i campi di gara, se gli eventi vengono collocati esattamente laddove io fin qui li ho descritti.
  Quindi, questa specie di incapacità, non volontà, di dare centralità al Foro Italico e a quello che gli sta intorno, come dire, alimenta un sospetto, anche perché voglio ricordare che quando si parla di Parco del Foro Italico si parla di un gioiello dell'architettura italiana, si parla di un'architettura che viene visitata dai canadesi, dai giapponesi, dagli americani, dagli australiani, che vengono, insieme a intere scolaresche, a visionare questa architettura cosiddetta «razionalista». Sono beni architettonici pregiati, oltre che a forte connotazione identitaria, cioè attraverso i quali transita la sensibilità italiana, la cultura italiana, questa sorta di impareggiabile capacità di dimostrare attenzione verso le radici culturali della nostra nazione e, contemporaneamente, di accettare la sfida della modernità utilizzando nuove tecnologie e, quindi, far emergere questi episodi di grande sintesi tra passato e futuro, tra antico e moderno, che abbiamo sotto gli occhi.
  Purtroppo, i Governi italiani, che fin qui ci hanno accompagnato, non hanno dimostrato grande sensibilità e capacità di valorizzare, recuperare, riqualificare, completare, ove necessario, questi nuclei di fondazione, città fondate o nuclei di fondazione. Ma io non credo – insomma, vorrei escluderlo – che ci possa essere un pregiudizio ideologico, anche se il sospetto viene quando si vedono i mosaici saltare per aria, tra i più preziosi, tra i più pregiati, tra i più particolari realizzati da maestranze eccezionali; quando si vedono interi volumi in stato d'abbandono; quando si espellono degli spazi, invece di ospitarli e garantire magari anche una capacità di fruizione, come è capitato per l'ostello della gioventù; quando non si riesce a collocare un museo dello sport nell'ex palazzo della scherma; quando si utilizza uno di questi fabbricati per realizzarci l'aula bunker, nella quale sono stati ospitati fior fiore di mega processi, maxi processi.
  Insomma, si capisce che c’è qualcosa che non va, perché non dovrebbe venire in mente; se viene in mente, significa che non c’è, appunto, sufficiente grado di sensibilità e affezione verso questo tipo di prodotto, verso questo tipo di architettura. Ma non è colpa di nessuno se lo sport a Roma è collocato lì: quello è il quadrante, non si può prescindere da quel quadrante. Ogni altro tentativo di collocarlo fuori di lì, a nostro giudizio, suona maldestramente.
  Si è parlato – non voglio sottrarmi a responsabilità da questo punto di vista – della possibilità di utilizzare la candidatura di Roma per i Giochi olimpici per tentare di ripianare il grande pasticcio. Io ho ascoltato il collega Morassut, poco fa: da quale pulpito viene la predica ! Egli ha parlato, criticandolo, di gigantismo; la cosiddetta «seconda città dello sport», quella che è collocata a Tor Vergata, dove svetta una terribile quanto onerosissima, sia per la realizzazione sia per i costi di gestione che ci saranno in futuro, «Vela di Calatrava», dell'immancabile Calatrava, che ora va per la maggiore e non paga mai dazio, anche quando sbaglia i ponti a Venezia, procurando, ahimè, fratture ai poveri pedoni, che scivolano perché qualcosa non ha funzionato, evidentemente, nella progettazione ed esecuzione di quell'opera, che, peraltro, è un'opera che sta collassando, anche perché da un punto di vista ingegneristico non ha dimostrato capacità di stare al suo posto, come, invece, al loro posto sono tutti gli altri ponti che sono stati realizzati nel corso dei secoli nella laguna.
  Quindi, noi riteniamo che qualcuno ha commesso il grave e imperdonabile errore, magari mettendosi d'accordo con qualche Pag. 61potere forte, di collocare un piano urbanistico sull'area di Tor Vergata e, quindi, gli interessi che stanno su Tor Vergata possono essere ripagati adeguatamente solo e soltanto se qualcuno fa calare su quella realtà qualche centinaio di milioni di euro per sbarcare il lunario, per chiudere una partita che non si potrebbe chiudere mai. Io penso che questa soluzione sia un errore – sia un errore ! – perché il pubblico, che rimarrebbe proprietario anche di questo secondo impianto di Tor Vergata, è lo stesso pubblico che non ha i mezzi per sostenere la manutenzione ordinaria e straordinaria del Foro Italico. I mosaici, che ho citato prima, sono solo un piccolo esempio, o l'ex palazzo della scherma, o l'ex aula bunker. Figurarsi se il pubblico possa trovare le risorse per manutenere addirittura due città dello sport. Quindi, l'operazione è paradossale, perché, caso mai fosse possibile realizzarla così – caso mai lo fosse –, è di tutta evidenza che noi, all'indomani delle Olimpiadi, avremmo tutti i problemi irrisolti sul groppone, quelli della prima città dello sport, per me unica, e quelli di un'eventuale seconda realtà sportiva, polo sportivo ubicato molto distante da tutti, in quei campi di gara che tradizionalmente sono stati realizzati, il quale non solo avrebbe bisogno di molti investimenti, andando esattamente in direzione opposta rispetto a ciò che la gran parte delle persone che mi hanno preceduto hanno inteso sottolineare, cioè le Olimpiadi a basso impatto economico. Ma ci vorrebbero ben altri fondi per realizzare le strutture e le infrastrutture di collegamento, a cominciare dal trasporto pubblico; ma chi ci arriva mai a Tor Vergata e come ?
  Quindi, da questo punto di vista, noi invitiamo, intanto, a portare rispetto per le autonomie locali, perché il diritto di stabilire che cosa fare di un territorio non spetta a Renzi, ma spetta al sindaco di Roma. In questa fase Roma non ha un sindaco e bisogna attendere che lo abbia e lasciare a lui, innanzitutto, e, poi, al consiglio comunale e alla giunta di cui si doterà, il diritto-dovere di decidere che parte giocare e da che parte soprattutto andare a sviluppare o a ristrutturare o a riqualificare Roma e la sua impiantistica sportiva. Ma le Olimpiadi non sono un dogma, come non lo sono i giubilei e non lo sono le esposizioni universali. Non ci sono dogmi, c’è una capacità o meno di utilizzare degli eventi importanti magari anche per approfittare della circostanza, per dare delle risposte che siano risposte generaliste.
  Per esempio, non è che nel terzo millennio si possono utilizzare le Olimpiadi per fare delle opere gigantesche e ignorare, per esempio, l'unica cosa che ai cittadini interessa: se si investe sulle Olimpiadi si deve investire sulla possibilità di consentire ai cittadini italiani, in questo caso primariamente ai cittadini romani, di svolgere attività sportiva amatoriale, d'eccellenza e di vertice. Mi riferisco ai bambini, che hanno il diritto di avere l'educazione motoria nella scuola primaria; mi riferisco ai ragazzi, che hanno il diritto di poter svolgere attività motorie nelle scuole, in tutte le scuole statali, in tutte le scuole pubbliche. Come sapete – se non lo sapete sono qui ad informarvi – le cose non stanno esattamente così. Non sono così sicuramente a Roma, non sono così in buona parte dell'Italia centromeridionale. Se abbiamo il desiderio di misurarci con la gestione di un evento così importante da un punto di vista sportivo, allora dobbiamo accogliere questa domanda. I Giochi olimpici si devono svolgere rispondendo alla domanda, al bisogno di svolgere l'attività sportiva da parte di tutti i bambini, di tutti i ragazzi, di tutti gli anziani – lo sport per la terza età, il rapporto tra sport e salute –, di tutte le persone portatrici di disabilità, abbattendo le barriere architettoniche e impedendo che un solo impianto sportivo – uno solo – il giorno dopo la chiusura dei Giochi olimpici possa avere una sola barriera architettonica. O è questo o non è niente !
  Se si mette in campo questo po’ po’ di roba, questo megaprogetto semplicemente per fare un favore a qualche «marchettaro», a qualche potere forte, noi non ci stiamo.Pag. 62
  Noi pensiamo che i Giochi olimpici possano essere una grande occasione per promuovere l'immagine dell'Italia nel mondo. Pensiamo che i Giochi olimpici possano essere una grande occasione, in modo particolare per Roma, per riscattare la propria immagine rispetto alla sua incapacità di tenere a bada malfattori e di non consentirgli, comunque, di fare affari con la credibilità, oltre che con il portafogli, dei cittadini romani. Ma pensiamo che un evento come questo possa essere necessario e utile per dare risposte: risposte allo sport di base, risposte ai ragazzi, risposte alla scuola, risposte agli anziani, risposte ai portatori di handicap. Questo è quello che deve esistere nel progetto a cosiddetto «basso impatto economico», «basso impatto ambientale»: evolverci, emanciparci dalla logica delle petizioni di principio e dei gargarismi e scendere concretamente e realmente nel dibattito che è presente non soltanto a Roma, nella capitale d'Italia, ma in tutte le città che soffrono i medesimi problemi, che io qui sto solo enucleando, ma che sono problemi ampiamente noti.
  Ce la facciamo ? Ce la facciamo a fare massa critica e a fare rete ? Siamo d'accordo su questo tipo di impostazione ? Non credo che qualche forza politica, se le cose fossero impostate esattamente come io le ho raccontate, sarebbe in disaccordo rispetto al cogliere la sfida della candidatura di Roma olimpica. Certo, bisogna essere forti e coraggiosi. Dicevo che se il buongiorno si vede dal mattino, i primi segnali non sono confortanti, perché tutti ci si è subito affrettati a dire, in assenza di una giunta e di un sindaco a Roma, dov’è che andassero collocati il villaggio olimpico piuttosto che gli impianti di gara e di allenamento. La cosa è un po’ bislacca, se permettete, se consentite.
  Quindi, ritengo che noi, che siamo sempre stati a favore delle Olimpiadi, vogliamo confermare questo, anche qui, in questo dibattito, presentando una mozione che ribadisce e sottolinea – concludo – quello che fin qui ho riferito, su cui pensiamo che si possa anche convergere. Io ricordo che sono stato il primo firmatario di una mozione unitaria, di tutto il Parlamento, quando Veltroni era sindaco di Roma e ci fu una candidatura in tal senso. Di solito si fanno anche delle mozioni bipartisan: forse sarebbe il caso di unire le forze per dimostrare uno straccio di credibilità per questo Parlamento. Noi siamo disponibili sotto questo aspetto e su un quesito referendario sul quale noi riteniamo che il Governo debba essere sensibile, fermo restando che la prerogativa, anch'essa, sarà del consiglio comunale, quando si insedierà, o dei cittadini che raccoglieranno le firme per indirlo. Quindi, chiediamo il rispetto di un'iniziativa eventuale che possa chiedere ai cittadini romani una sorta di autorizzazione, una certificazione sulla possibile celebrazione dei Giochi olimpici. Questo è il quadro che ci tenevo a rappresentare e poi, in dichiarazione di voto, faremo le nostre valutazioni anche sulle mozioni, qualora rimanessero in vita, degli altri gruppi parlamentari.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Laura Coccia. Ne ha facoltà.

  LAURA COCCIA. Grazie, Presidente. Siamo oggi a discutere di mozioni molto importanti, importanti perché io credo che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, guardando le Olimpiadi in televisione, le abbia sognate: abbia sognato di partecipare, di tagliare il traguardo e, magari, di vincere una medaglia, di veder sventolare il Tricolore in alto. Oggi siamo qui per sostenere una mozione, almeno dal mio punto di vista la mozione delle maggioranze, per sostenere la candidatura di Roma 2024.
  Negli interventi dei colleghi ho sentito delle cose che non mi tornano. Innanzitutto, credo che parlare di Olimpiadi di Roma 2024 sia abbastanza improprio, perché questa è una candidatura italiana, nazionale, e quel logo del comitato promotore, che vede, oltre al Colosseo stilizzato, anche il tricolore italiano, ne è l'emblema. Vede, Presidente, la candidatura non è solamente la candidatura di Roma, ma è la candidatura di dodici città Pag. 63italiane. Parliamo di Cagliari, Milano, Torino, Genova, Verona, Udine, Napoli, Bari, Palermo, Firenze, Bologna.
  Chiedere ai cittadini romani e solo ai cittadini romani se sono d'accordo con le Olimpiadi, sarebbe implicitamente come privare gli altri cittadini delle altre undici città della possibilità di scegliere e di dire la loro. Le Olimpiadi del 2024 saranno delle Olimpiadi nuove, delle Olimpiadi che verranno fatte con dei criteri completamente innovativi; criteri imposti dopo gli errori del passato, dopo gli errori, ad esempio, di Atene 2004, che è stata molto spesso citata in quest'Aula. Ma ricordo che dal 2004 sono passati quasi dodici anni e l'umanità ne ha fatti di passi avanti. Oltre allo smartphone e all’iPhone, credo che abbia imparato a fare anche dell'altro. Quindi, credo che in questi dodici anni abbia imparato tante cose e credo che le Olimpiadi e le Paralimpiadi di Londra in questo siano un esempio straordinario. Le Paralimpiadi di Londra sono state le Paralimpiadi più seguite della storia. Ecco, in questo senso credo che stiamo facendo dei passi avanti. Uno su tutti, ad esempio, è la tregua olimpica che è stata ratificata all'ONU nell'ottobre scorso e che impegna gli Stati a rispettare la pax olimpica per il periodo delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi. Questo perché abbiamo imparato forse da quanto successo durante le Olimpiadi di Sochi quando lo Stato ospitante ha di fatto invaso una parte di un altro Stato sovrano. Ecco, un passo avanti appunto. Continuiamo a fare dei passi avanti, continuiamo a stabilire dei criteri nuovi, innovativi. Quindi, io credo che per la candidatura del 2024 non si possano fare paragoni con il passato perché, appunto, ci sono degli aspetti nuovi: uno su tutti è il fatto che le Olimpiadi non coinvolgono una sola città, ma ne coinvolgono tante di più. Appunto, il progetto dell'Italia coinvolge anche le isole, coinvolge tutto il Paese, perché le Olimpiadi sono un sogno veramente di tutti.
  E al collega Rampelli, che criticava la scelta di Tor Vergata e il decentramento rispetto al Foro Italico, ad esempio, vorrei ricordare che questa scelta non è altro che un segnale, un secondo segnale di attenzione alle periferie, perché le nostre città non sono fatte solo del centro e del centro storico e di chi vive nelle parti centrali, ma anche per chi vive in periferia. Ecco, il collega Rampelli si chiedeva come ci si arrivi a Tor Vergata. Beh, io abito a Cinecittà; basta prendere la metro A fino ad Anagnina e poi si prende un autobus e si arriva a Tor Vergata. È abbastanza semplice. Con la macchina ci si mettono circa dieci minuti e con i mezzi un pochino di più. Troppo, appunto, ed è per questo che il progetto delle Olimpiadi è un progetto per tutta la città; è un progetto che farà probabilmente dare dei servizi a quegli studenti che per arrivare all'università ci mettono ancora ore.
  Inoltre, in quest'Aula non ho sentito ricordare una cosa per me ovvia: Roma nel 2025 ospiterà il Giubileo ed è una data che non si può spostare, né sottoporre a referendum. Il Giubileo del 2025 a Roma ci sarà perché è da secoli che Roma ospita i giubilei. Ecco, il progetto olimpico non fa che inserirsi in un binario già segnato, già tracciato, già deciso per il Giubileo del 2025. Alcuni dei progetti, il 70 per cento dei progetti, di Roma olimpica non sono altro che gli stessi progetti della Roma giubilare del 2025. Quei lavori verranno fatti comunque. Penso, ad esempio, al raddoppio della Roma-Fiumicino. Sono progetti che ci sarebbero comunque. E, allora, perché non sfruttarli e non agganciarci un sogno che sarebbe un sogno per tanti bambini e per tante generazioni di atleti ? Ecco, abbiamo parlato di Londra, ma l'Italia ha già ospitato Olimpiadi, più di una volta. Pensiamo a Torino 2006. È stato già ricordato in quest'Aula, ma io vorrei portare un ricordo personale di Torino 2006. Io sono stata chiamata qualche mese dopo a partecipare alla giornata paralimpica nazionale proprio a Torino e sono stata ospite di quel villaggio olimpico e ho respirato quell'aria, anche se con qualche mese di ritardo.
  E dopo aver fatto la mia esibizione davanti alle scuole, un bambino di Torino mi ha fermato e mi ha detto: tu sei come Totti. Io me lo sono guardato e gli ho Pag. 64detto: ma no, siamo diversi, anche oggettivamente. E lui mi ha detto: no, no, tu sei in nazionale come Totti, quindi siete uguali. Ecco, io credo che l'eredità di Torino sia un'eredità culturale profonda perché quel bambino aveva imparato, probabilmente partecipando e osservando le Olimpiadi e le Paralimpiadi, che le differenze non esistevano. Torino ha lasciato un'eredità culturale, ha segnato profondamente una città. E Torino è stata nel 2015 capitale europea dello sport. Ha portato sul territorio della provincia 1.500 appuntamenti di sport tra appuntamenti locali e manifestazioni internazionali; 1.500 appuntamenti in un anno vuol dire avere una cultura sportiva che fa abbracciare tutte le discipline; vuol dire che a nove anni di distanza da quei giochi lo spirito olimpico è ancora in Piemonte. E, allora, noi vogliamo portare quello spirito su tutta la penisola. È un male ? No, io credo che sia un bene. E credo anche che sia giusto chiedersi che fine faranno le strutture che ospiteranno i Giochi olimpici. Certo, non possono essere lasciate al degrado. Le Olimpiadi di Roma del 1960 vengono ricordate, sì per Abebe Bikila, ma purtroppo vengono ricordate dai romani anche per la questione del velodromo, lasciato abbandonato. Ecco, proprio nei criteri del nuovo progetto olimpico e della nuova agenda olimpica, sarà fondamentale, nel giudizio del Comitato olimpico internazionale, proprio il progetto di ciò che avverrà dopo quegli impianti. Infatti, quegli impianti dovranno essere a servizio della città. E io immagino che in un futuro, dal giorno dopo dello spegnimento della fiaccola paralimpica, quegli impianti possano essere messi a bando e possano essere messi al servizio delle associazioni sportive dilettantistiche, delle scuole e dei territori di Roma e di tutte le città coinvolte affinché possano veramente essere patrimonio condiviso, perché le Olimpiadi possano veramente essere un bene per tutta la collettività. È per questo che io voterò convintamente la mozione di maggioranza a sostegno delle Olimpiadi affinché possiamo costruire insieme e vivere un sogno olimpico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Norme per il contrasto al terrorismo, nonché ratifica ed esecuzione: a) della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005; b) della Convenzione internazionale per la soppressione di atti di terrorismo nucleare, fatta a New York il 14 settembre 2005; c) del Protocollo di Emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo, fatto a Strasburgo il 15 maggio 2003; d) della Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005; e) del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatto a Riga il 22 ottobre 2015 (A.C. 3303-A) (ore 18,07).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3303-A: Norme per il contrasto al terrorismo, nonché ratifica ed esecuzione: a) della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005; b) della Convenzione internazionale per la soppressione di atti di terrorismo nucleare, fatta a New York il 14 settembre 2005; c) del Protocollo di Emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo, fatto a Strasburgo il 15 maggio 2003; d) della Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro Pag. 65e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005; e) del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatto a Riga il 22 ottobre 2015.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3303-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che la III Commissione (Affari esteri) e la II Commissione (Giustizia) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire, in sostituzione dei relatori delle Commissioni II (Giustizia) e III (Affari esteri), la deputata Donatella Ferranti, presidente della Commissione giustizia. Prego presidente.

  DONATELLA FERRANTI, Presidente della II Commissione. Grazie Presidente.
  Chiedo l'autorizzazione a consegnare il testo della relazione scritta per la pubblicazione in calce al resoconto, in cui si indicano le linee generali del provvedimento, che leggerò, appunto, in sostituzione dei relatori Manciulli e Dambruoso, oggi impossibilitati a intervenire (La Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti).
  Vorrei evidenziare come questo provvedimento rappresenti un'efficace e significativo passo avanti nella cooperazione internazionale per il contrasto e la prevenzione della minaccia terroristica, la cui percezione, all'indomani degli attentati di Parigi e, purtroppo, di ulteriori attentati, è ai massimi livelli.
  La prima delle Convenzioni oggi in discussione è quella conclusa a Varsavia il 16 maggio 2005. È stata adottata al fine di accrescere l'efficacia degli strumenti internazionali esistenti in materia di lotta al terrorismo. La Convenzione mira a favorire gli sforzi degli Stati membri nella prevenzione del terrorismo, da un lato, definendo, come fattispecie a rilevanza penale, quegli atti che possono indurre alla commissione di reati di terrorismo, quali la pubblica istigazione, il reclutamento e l'addestramento; dall'altro, rafforzando la cooperazione in materia di prevenzione, sia a livello interno – politiche nazionali di prevenzione – sia internazionale.
  Il testo della Convenzione comprende un preambolo, 32 articoli e un allegato. Nel primo si dichiara espressamente che i reati di terrorismo non sono in alcun modo giustificabili sulla base di considerazioni di alcun genere, che tutte le misure adottate per la prevenzione e la repressione del terrorismo dovranno rispettare lo Stato di diritto, i valori democratici, i diritti umani e le libertà fondamentali nonché il diritto internazionale umanitario, senza pregiudizio alle libertà di espressione e di associazione. Inoltre, ai fini della Convenzione sono considerati reati di terrorismo tutti quelli ricompresi nei dieci trattati universali delle Nazioni Unite contro il terrorismo e gli Stati che non hanno ancora aderito ad alcuni di questi trattati hanno comunque la facoltà, da esplicitare, di non tener conto dei reati in essa contemplati.
  Al riguardo, vorrei ricordare che i dieci trattati elencati nell'allegato alla Convenzione sono: la Convenzione per la repressione del sequestro illecito di aeromobili, firmata a L'Aja nel 1970; la Convenzione per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza dell'aviazione civile, conclusa a Montreal il 23 settembre 1971; la Convenzione sulla prevenzione e la punizione dei reati contro le persone internazionalmente protette, del 1973; la Convenzione internazionale contro la presa di ostaggi, siglata a New York nel dicembre 1979; la Convenzione sulla protezione fisica del materiale nucleare, siglata a Vienna nel marzo 1980; il Protocollo per la repressione degli atti illeciti di violenza negli aeroporti adibiti all'aviazione civile internazionale, firmato a Montreal il 24 febbraio 1988; la Convenzione per la repressione di atti illeciti contrari alla sicurezza della navigazione Pag. 66marittima, firmata a Roma il 10 marzo 1988; il Protocollo per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse situate nella piattaforma continentale (Roma, 10 marzo 1988); la Convenzione internazionale per la repressione di atti terroristici dinamitardi, firmata sempre a New York il 15 dicembre 1997; infine, la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, siglata a New York il 9 dicembre 1999.
  La Convenzione è applicabile ai soli reati di natura transnazionale, fatta eccezione per i casi di interesse esclusivo del singolo Stato, ai quali, tuttavia, si potranno applicare le disposizioni di cooperazione giudiziaria previste sempre dalla Convenzione. Si pone come obiettivo primario quello di migliorare la prevenzione del terrorismo e i suoi effetti negativi sul pieno godimento dei diritti umani e nel testo si richiamano ipotesi di politiche nazionali di prevenzione del terrorismo, comprensive anche della promozione del dialogo interreligioso e interculturale, ed è prevista la reciproca assistenza tra le parti attraverso lo scambio di informazioni, l'addestramento e altre iniziative congiunte.
  La Convenzione poi individua alcune nuove figure di reato, sempre collegate alla commissione di atti di terrorismo, e fa riferimento alla pubblica provocazione, all'istigazione, alla commissione di reato terroristico, al reclutamento e addestramento di attività terroristiche, che si concretizzano nella fornitura di istruzioni per la fabbricazione, l'uso di esplosivi, armi da fuoco, sostanze nocive e pericolose e metodologie specifiche volte alla commissione proprio degli atti terroristici.
  Si prescrive, quindi, nel testo in esame che ciascuna delle parti dovrà introdurre nel diritto interno delle sanzioni penali per queste tre figure di reato, se commesse illecitamente e intenzionalmente. A tal fine, ogni Stato dovrà subordinare la rilevanza di tali fattispecie all'effettivo giudizio di pericolosità delle stesse, per evitare il perseguimento di parole od atti non finalizzati ad alcuna condotta.
  Il garantismo di tale previsione, tuttavia, è controbilanciato dall'articolo 8, per il quale ciascuno dei comportamenti previsti dagli articoli 5 e 7 della Convenzione costituisce reato, anche se l'atto terroristico non è stato effettivamente commesso.
  Particolare importanza poi assumono anche gli articoli da 18 a 21, in cui c’è l'obbligo dello Stato, sul cui territorio si trova il sospetto terrorista, di estradarlo verso lo Stato richiedente o, altrimenti, di esercitare l'azione penale nei suoi confronti, anche in rapporto al meccanismo per l'apposizione di riserve. Infatti, le autorità competenti di una parte, senza preventiva richiesta, possono trasmettere alle omologhe autorità di un'altra parte informazioni ottenute nell'ambito delle loro indagini, qualora lo ritengano utile per iniziative investigative o giudiziarie dell'altra parte, e, quindi, nel massimo dell'attività di cooperazione, collaborazione e prevenzione.
  Poi c’è la seconda Convenzione all'esame dell'Aula, quella per la soppressione degli atti di terrorismo nucleare, che – ricordo ai presenti – è stata adottata a New York il 13 aprile 2005, con la risoluzione A/RES/59/290 dell'Assemblea generale e, in seguito, aperta alla firma sempre il 14 settembre 2005, data in cui è stata sottoscritta dall'Italia (aperta dal settembre 2005 al 31 dicembre 2006, ma l'Italia l'ha già sottoscritta, come dicevo prima). Al momento la Convenzione è stata firmata da 115 Paesi ed effettivamente ratificata da 99 parti. A livello internazionale la Convenzione è in vigore dal 7 luglio 2007, data corrispondente al trentesimo giorno successivo al deposito della ventiduesima ratifica o accesso. Ricordo, inoltre, che la Convenzione rientra nel novero degli strumenti internazionali oggetto di un disegno di legge di autorizzazione presentato alla Camera dei deputati a settembre, che fa seguito ad analoghi disegni di legge di autorizzazione purtroppo mai giunti a termine dell'iter parlamentare nel corso della XV legislatura.
  La Convenzione si compone di 28 articoli e di un preambolo, che definisce l'atto pattizio come lo strumento attraverso Pag. 67cui la comunità internazionale intende darsi regole certe e mezzi adeguati per perseguire i reati connessi al terrorismo. Passando al contenuto delle norme più significative, assume particolare rilievo l'articolo 2, che individua come fattispecie di reato la detenzione di materie radioattive, la fabbricazione di ordigni o il danneggiamento di un impianto, precisando che anche la sola minaccia di commettere un reato così definito è considerata un reato, come pure lo è la complicità.
  Parimenti importanti sono l'articolo 5, che prescrive l'obbligo per gli Stati di adeguare i propri ordinamenti interni per perseguire questi reati, definiti dall'articolo 2, e l'articolo 6, che dispone che tali reati non possono essere giustificati da considerazioni di natura filosofica, politica, ideologica, razziale, etnica, religiosa o da altri motivi analoghi.
  Proseguendo nell'esame della proposta di legge, vorrei ricordare che l'urgenza del contrasto al terrorismo internazionale derivante dagli eventi dell'11 settembre ha posto la base per la firma, avvenuta il 15 maggio 2003 a Strasburgo, del Protocollo di Emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo. Il Protocollo, al fine di rafforzare la lotta contro il terrorismo rispettando i diritti umani, modifica il testo della Convenzione, nel senso di ampliare l'elenco dei reati da depoliticizzare, fino a ricomprendere tutti i reati descritti nelle convenzioni e protocolli pertinenti delle Nazioni Unite contro il terrorismo, e introduce una procedura semplificata di emendamento alla Convenzione medesima, che consentirà di allargare ulteriormente la platea di tali reati.
  Apre la Convenzione... Presidente, quanto tempo ho ancora ?

  PRESIDENTE. Mezzo minuto.

  DONATELLA FERRANTI, Presidente della II Commissione. Allora, mi avvio alla fine in quanto, come ha visto, alla fine rimando al testo scritto della relazione che illustra dettagliatamente l'adesione a tutte le altre convenzioni e protocolli e, quindi, dà il segnale della particolare attualità di questo provvedimento, tanto è vero che – questa è l'ultima annotazione che faccio – nel corso dei nostri lavori, dei lavori delle Commissioni riunite affari esteri e giustizia, su questo disegno di legge è stata aggiunta, rispetto al testo originario che era giunto all'esame delle Commissioni, l'approvazione, con un emendamento governativo, della ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatto a Riga proprio il 22 ottobre 2015, che mira ad integrare le disposizioni già realizzate della Convenzione del Consiglio d'Europa, firmata a Varsavia il 16 maggio 2005.
  L'esame dell'Aula consentirà di vagliare tutti i vari passaggi, ma ovviamente credo che dal punto di vista sia tecnico che giuridico, ma anche e soprattutto politico, non si può non evidenziare la particolare rilevanza e anche il fatto che con questo provvedimento, che ci auguriamo possa trovare in maniera agevole la sua approvazione in questa Camera e poi altrettanto al Senato, si potrà porre fine a dei ritardi che sono ultradecennali.
  Ringrazio la Presidente e l'Assemblea.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritto a parlare il deputato Ferrara. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO detto CICCIO FERRARA. Signora Presidente, quando si trattano materie così particolari e delicate come quella della lotta al terrorismo e si interviene sul codice penale per inserire nuove fattispecie di reati, come avviene con questo provvedimento, l'obiettivo deve essere quello di coniugare e bilanciare la lotta al terrorismo internazionale e la sicurezza di tutti i cittadini con il rispetto dei diritti, delle garanzie e delle libertà individuali previste dalla Costituzione.
  Ci troviamo di fronte ad una minaccia terroristica sempre più indiscriminata e crudele e abbiamo il dovere di attrezzarci al meglio, anche dal punto di vista normativo, per poterla contrastare e neutralizzare. Pag. 68Tuttavia, nel fare ciò non possiamo subordinare il tema dei diritti e delle garanzie di libertà che sono alla base di uno Stato di diritto alla pur legittima esigenza di sicurezza.
  La situazione geopolitica internazionale e l’escalation di violenza e attentati dei seguaci del Daesh, che sta terrorizzando il mondo e l'Europa, dimostrano tutta la vulnerabilità dei sistemi di sicurezza, l'imprevedibilità di queste azioni terroristiche e la difficoltà nell'individuazione di eventuali cellule presenti nella nostra città. La comunità internazionale nella lotta all'Isis ha quindi l'esigenza di prevenire e sradicare la nascita e la proliferazione di ogni fenomeno di radicalizzazione e di proselitismo, che può avvenire in qualsiasi parte del mondo ad opera dei foreign fighters come di ristretti nuclei presenti in Occidente e che decidono di affiliarsi al Califfato islamico.
  Di fronte a tale minaccia, la risposta non può essere unicamente quella militare e della repressione di tutte le forme di dissenso, senza distinzione tra terrorismo e libertà di espressione. Norme di un tale tenore potrebbero risultare addirittura controproducenti e si correrebbe il rischio di colpire e reprimere indistintamente qualsiasi tipo di opposizione sociale, trasformando, di fatto, qualsiasi movimento di protesta in sospetti e, dunque, in presunti colpevoli.
  Per Sinistra Italiana la lotta al terrorismo si conduce non solo sul terreno militare, ma anche su quello politico e delle relazioni internazionali, proponendo processi di pace e di dialogo tra i vari Stati dell'area mediorientale e le potenze internazionali. Bisogna lavorare per pacificare e stabilizzare la Libia, favorendo la nascita di un Governo nazionale.
  È di queste ore la sfiducia al Premier libico. A maggior ragione, dunque, è necessario un duro lavoro diplomatico e l'Italia è l'unico Paese in grado di favorire il dialogo tra tutte le tribù libiche attraverso una conferenza di pace che abbia l'obiettivo di trovare tutte quelle soluzioni utili ai riconoscimenti e alla legittimazione di un Governo unitario in Libia, un Governo che possa combattere e respingere l'avanzata dell'Isis.
  Per questa ragione, un ventilato intervento militare, come si legge in queste ore dai giornali, sarebbe sbagliato, perché avrebbe l'effetto controproducente in una realtà così complessa come quella della Libia.
  Per quanto riguarda la Siria, occorre lavorare per la buona riuscita del tavolo negoziale di Ginevra, ottenendo un cessate il fuoco e coinvolgendo il regime di Assad nell'apertura di corridoi umanitari. Siamo al terzo negoziato di Ginevra e non possiamo più fallire; serve creare un Governo più inclusivo e far dialogare chi sostiene e chi si oppone al regime di Assad. Solo così si può superare l'attuale dittatura.
  Il testo in discussione oggi contiene misure apprezzabili nella misura in cui tende a rafforzare il nostro impegno nell'individuare, colpire e punire chi intende promuovere, finanziare od organizzare atti terroristici.
  Qualche perplessità sorge, invece, rispetto a quelle norme che tendono ad allargare il filone delle fattispecie di reati di associazione con finalità di terrorismo con confini poco precisi e troppo elastici, che rischiano di attribuire la finalità di terrorismo in modo discrezionale, con conseguenti potenziali abusi e rischi per la determinatezza delle fattispecie. Ricordiamoci che già nel 2015 abbiamo approvato delle norme che puniscono chiunque organizzi, finanzi o propagandi viaggi all'estero finalizzati al compimento di condotte con finalità di terrorismo e chiunque ponga in essere comportamenti finalizzati in maniera univoca alla commissione di atti terroristici.
  Con questo provvedimento inseriamo nel codice penale nuove fattispecie relative a condotte di fiancheggiamento o sostegno del terrorismo internazionale, punendo con la reclusione da sette a quindici anni chiunque raccoglie, eroga o mette a disposizione beni o denaro, in qualunque modo realizzati, destinati in tutto o in Pag. 69parte al compimento di atti con finalità terroristica, indipendentemente dall'effettivo utilizzo dei fondi raccolti.
  Qui crediamo che si dovrebbe ragionare su come restringere il campo d'azione per limitare la discrezionalità di chi è chiamato a giudicare. Tale condotta deve essere effettivamente accertata in modo inequivocabile e bisogna a questo punto rivedere l'elenco delle organizzazioni ritenute terroristiche, per evitare di non poter supportare quelle formazioni che oggi combattono l'Isis, ma che vengono considerate terroristiche, come, ad esempio, l'esercito e le formazioni politiche curde, che oggi rappresentano la parte più avanzata nella resistenza e nella lotta all'espansione dello Stato islamico.
  Inoltre, la nuova fattispecie penale di atti di terrorismo nucleare, che si vuole introdurre, rischia di sovrapporsi, in parte, alle fattispecie penali recentemente introdotte dal legislatore, distinguendosene solo per la finalità di terrorismo.
  Insomma, seppur convinti della necessità che il terrorismo vada combattuto e sconfitto senza se e senza ma, ravvisiamo delle ombre in questo provvedimento e ci piacerebbe che tutto il Parlamento prendesse piena consapevolezza su quanto stiamo discutendo, tenendo sempre a mente che ci sono dei principi di base di uno Stato di diritto che non possono essere messi in discussione, né tanto meno calpestati.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Scopelliti. Ne ha facoltà.

  ROSANNA SCOPELLITI. Signora Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, anche l'Italia come altri Paesi democratici è chiamata a rispondere con forza e, soprattutto, con intelligenza alla minaccia del terrorismo internazionale, sempre più aggressivo e spietato. È un terrorismo diverso da quello conosciuto nel corso degli anni.
  Nel secolo appena passato il terrorismo è originato dalla conflittualità e dai contrasti all'interno di un Paese o tra Paesi limitrofi e ha prodotto migliaia di vittime, intestando ogni azione a un malinteso desiderio di libertà.
  L'Italia, in particolare nel corso degli anni Settanta e Ottanta, ha dovuto fronteggiare i gruppi delle Brigate Rosse, di Prima Linea, Ordine Nuovo, NAR, che hanno compiuto stragi e colpito gente comune, magistrati, uomini politici, giornalisti, uomini delle Forze dell'ordine e sindacalisti; un terrorismo che le istituzioni e una comunità intera, coesa e coraggiosa, hanno saputo sconfiggere attraverso indicibili sacrifici, ma con una fede irriducibile, incrollabile. Ma oggi siamo di fronte a un terrorismo nuovo, un terrorismo completamente diverso.
  Qualcuno ha sostenuto che il terrorismo non è un'ideologia, ma un modo di combattere. In realtà questo terrorismo incarna un'ideologia totalitaria, che intende annientare l'individualità in tutte le sue forme e i suoi aspetti, i diritti individuali e collettivi, le libertà individuali e collettive, il nostro stile di vita. Le nostre sono società aperte e questi terroristi vogliono chiuderle, sigillarle e farle vivere nel terrore e nella paura, costringerle a misure impensabili ed invasive stravolgendo la vita di comunità intere.
  Tralascio di parlare di questioni internazionali e mi limito a considerazioni che riguardano il nostro Paese, pur in un contesto plurale che coinvolge altre nazioni, e mi pongo subito una domanda, Presidente: ma è possibile combattere questo terrorismo evitando di utilizzare le sue stesse finalità, combattendo, cioè, una malintesa guerra di civiltà solo per trarre vantaggi legati esclusivamente agli interessi della propria parte e addirittura solo in altri casi per aumentare il proprio consenso ?
  Credo che solo la forza delle istituzioni, la coesione e l'animo delle nostre comunità siano in grado di arginare e debellare definitivamente questo fenomeno terribile e solo per affermare gli ideali di libertà e di civiltà che riguardano tutti noi, perché è su tali valori che fondiamo le nostre società. Una battaglia non solo sui campi Pag. 70di guerra, dunque, ma anche e soprattutto una grande e irriducibile battaglia culturale.
  In questo contesto, sono profondamente d'accordo con chi sostiene che, ancora più grave del terrorismo, è il fondamentalismo, un elemento drammatico ed esplosivo che tenta di insinuarsi nei nostri Paesi e nelle nostre comunità di cittadini. Ecco il perché di una risposta, non solo militare, ma anche intelligente a questo terrorismo, che va studiato, capito e approfondito nella sua ragion d'essere, perché questo nuovo e terribile fenomeno, che evita lo scontro tradizionale in campo aperto, usa un'arma soprattutto: sparge a piene mani nelle nostre società paura, ansia e terrore e noi dobbiamo evitare di cadere nella trappola di effettuare scelte motivate da sentimenti irrazionali e pericolosi, approntando le risposte sbagliate e credo che, in questo senso, il ricordo di quanto è avvenuto dopo gli attacchi del 2001 possa consigliarci per il meglio.
   Oggi, noi dobbiamo confrontarci con il livello globale della minaccia terroristica, rappresentata dal Daesh, che richiede l'adozione di una strategia di collaborazione internazionale unitaria, che metta a fattor comune tutte le diverse misure necessarie per contrastare le mire espansionistiche di questa organizzazione, per troppo tempo sottovalutata. Per combattere questo fenomeno, è necessario disporre di uomini, risorse, strumenti in grado di fronteggiarlo e, a tal proposito, avvertiamo un forte senso di riconoscenza, che l'Italia intera nutre per le donne e per gli uomini impegnati sul fronte della sicurezza, dell’intelligence e di ogni attività collegata alla sicurezza del Paese, cui va il nostro forte e sincero ringraziamento.
   E proprio nel contrasto, in termini di misure, regole, strumenti adeguati per combattere questo nuovo flagello, si inserisce il progetto di legge oggi all'esame dell'Assemblea, un testo che presenta norme per il contrasto al terrorismo, nonché la ratifica di alcune convenzioni. In particolare, il provvedimento prevede la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, con lo scopo di favorire lo sforzo negli Stati dell'azione di prevenire il terrorismo, indicando due modi per raggiungere tale obiettivo: anzitutto, definendo come reati quegli atti che possono portare alla commissione di reati di terrorismo, quali la pubblica istigazione, il reclutamento e l'addestramento, e, in secondo luogo, rafforzando la cooperazione in materia di prevenzione, sia a livello interno, che internazionale.
  Il Protocollo di Emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo, poi, rafforza la lotta contro il terrorismo internazionale nel rispetto dei diritti umani, modificandone il testo in modo da ampliare l'elenco dei reati da depoliticizzare, sino a ricomprendere tutti i reati descritti nelle convenzioni e nei protocolli pertinenti delle Nazioni Unite contro il terrorismo.
   Non meno importante, in questo senso, è quanto previsto dalla nuova Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato sul finanziamento del terrorismo.
  Questo provvedimento, insomma – non mi dilungo su altre cose che hanno già detto i colleghi –, costituisce senza dubbio un elemento fondamentale per il successo delle misure preventive e repressive e rappresenta il modo migliore per destabilizzare le attività delle organizzazioni terroristiche, considerata la capacità di queste organizzazioni di disporre non più soltanto di armamenti di natura convenzionale, ma addirittura nucleare. Nella lotta intrapresa contro di loro, quindi, non possono mancare norme specificatamente indirizzate a impedire che nelle loro mani possa finire del materiale radioattivo.
   Per questo, la Convenzione delle Nazioni Unite per la soppressione degli atti di terrorismo nucleare, prevede la configurazione di alcune fattispecie di reato, come la detenzione di materie radioattive, la fabbricazione di ordigni e il danneggiamento di impianto, precisando altresì che Pag. 71anche la sola minaccia di commettere un reato così definito è considerata un reato, come pure lo è la complicità.
  Queste misure indubbiamente rappresentano un significativo passo avanti sul piano dell'adeguamento legislativo, nella direzione di una pronta risposta a una minaccia terroristica sempre più evoluta e tecnologicamente avanzata.
  Va dato atto al Ministro Alfano e al Governo di aver operato con grande capacità, sia nell'opera di prevenzione, che in quella di repressione, allo scopo di arginare un fenomeno che richiede una risposta comune per poter essere sconfitto. Sotto questo profilo, non va dimenticato che sono state quarantacinque le espulsioni dal territorio nazionale nel solo 2015 per motivi legati al terrorismo islamico, mentre, dal dicembre 2014, le persone allontanate sono in totale quarantotto.
  L'approvazione di questo provvedimento, pertanto, costituisce un elemento fondamentale per combattere il terrorismo internazionale e per riscoprire quegli ideali di difesa della libertà che impongono una coesione nazionale.
  Tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento dovrebbero, quindi, fare fronte comune per vincere una battaglia che si annuncia lunga e difficile, ma che è necessario combattere con tutte le misure necessarie, se davvero vogliamo proteggere le conquiste più importanti su cui si basa la nostra visione di vita, ovvero la democrazia e la libertà delle persone.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 3303-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che la presidente Ferranti e il rappresentante del Governo hanno inteso rinunciare alla facoltà di replicare. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

  PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per le questioni regionali la senatrice Ornella Bertorotta, in sostituzione della senatrice Manuela Serra, dimissionaria.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 26 gennaio 2016, alle 9:

  1. – Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

  (ore 11)

  2. – Discussione sulle linee generali delle mozioni Dorina Bianchi ed altri n. 1-00976, Covello ed altri n. 1-01097, Palese ed altri n. 1-01101, Scotto ed altri n. 1-01112, Pisicchio n. 1-01113, Barbanti ed altri n. 1-01114 e Carfagna ed altri n. 1-01115 concernenti iniziative per il rilancio del Mezzogiorno.

  (ore 15)

  3. – Seguito della discussione delle mozioni Dorina Bianchi ed altri n. 1-00976, Covello ed altri n. 1-01097, Palese ed altri n. 1-01101, Scotto ed altri n. 1-01112, Pisicchio n. 1-01113, Barbanti ed altri n. 1-01114 e Carfagna ed altri n. 1-01115 concernenti iniziative per il rilancio del Mezzogiorno.

  4. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   FUCCI; FUCCI; GRILLO ed altri; CALABRÒ ed altri; VARGIU ed altri; MIOTTO ed altri; MONCHIERO ed altri; Pag. 72FORMISANO: Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario (C. 259-262-1312-1324-1581-1769-1902-2155-A).
  — Relatori: Gelli, per la maggioranza; Colletti, di minoranza.

  5. – Seguito della discussione delle mozioni Baldelli, Garofalo, Catalano, Attaguile, Fauttilli, Rampelli, Palese, Abrignani ed altri n. 1-01085, De Lorenzis ed altri n. 1-01104, Tullo ed altri n. 1-01105 e Cristian Iannuzzi ed altri n. 1-01106 concernenti iniziative in merito al corretto utilizzo dei dispositivi di rilevazione automatica della velocità e alla destinazione dei proventi derivanti dal relativo sistema sanzionatorio.

  6. – Seguito della discussione delle mozioni Fassina ed altri n. 1-01090, Vezzali ed altri n. 1-01100, Morassut ed altri n. 1-01102, Polverini ed altri n. 1-01103, Brignone ed altri n. 1-01107, Simone Valente ed altri n. 1-01108, Buttiglione ed altri n. 1-01109 e Rampelli ed altri n. 1-01110 concernenti iniziative in relazione alla candidatura di Roma Capitale come sede delle Olimpiadi 2024, con particolare riferimento a forme di consultazione dei cittadini.

  7. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Norme per il contrasto al terrorismo, nonché ratifica ed esecuzione: a) della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005; b) della Convenzione internazionale per la soppressione di atti di terrorismo nucleare, fatta a New York il 14 settembre 2005; c) del Protocollo di Emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo, fatto a Strasburgo il 15 maggio 2003; d) della Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005; e) del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatto a Riga il 22 ottobre 2015 (C. 3303-A).
  — Relatori: Dambruoso, per la II Commissione; Manciulli, per la III Commissione.

  La seduta termina alle 18,35.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DELLA DEPUTATA DONATELLA FERRANTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 3303-A

  DONATELLA FERRANTI, Presidente della II Commissione. Onorevoli Presidente, sottosegretario, colleghi, nell'illustrare le linee generali del provvedimento in esame – in sostituzione dei relatori Manciulli e Dambruoso oggi impossibilitati ad intervenire – vorrei evidenziare in premessa come questo provvedimento rappresenti un efficace e significativo passo avanti nella cooperazione internazionale per il contrasto e la prevenzione della minaccia terroristica, la cui percezione all'indomani degli attentati di Parigi è ai massimi livelli.
  La prima delle Convenzioni oggi in discussione, conclusa a Varsavia il 16 maggio 2005, è stata adottata al fine di accrescere l'efficacia degli strumenti internazionali esistenti in materia di lotta al terrorismo. La Convenzione mira infatti a favorire gli sforzi degli Stati membri nella prevenzione del terrorismo, da un lato, definendo come fattispecie a rilevanza penale quegli atti che possono indurre alla commissione di reati di terrorismo – quali la pubblica istigazione, il reclutamento e l'addestramento, e dall'altro, rafforzando la cooperazione in materia di prevenzione sia a livello interno (politiche nazionali di prevenzione), sia internazionale (modifica degli accordi esistenti in materia di estradizione e mutua assistenza giudiziaria, e predisposizione di ulteriori strumenti supplementari).Pag. 73
  Il testo della Convenzione comprende un preambolo, 32 articoli e un allegato. Nel primo si dichiara espressamente che i reati di terrorismo non sono in alcun modo giustificabili sulla base di considerazioni di alcun genere e che tutte le misure adottate per la prevenzione e repressione del terrorismo dovranno rispettare lo stato di diritto, i valori democratici, i diritti umani e le libertà fondamentali, nonché il diritto internazionale umanitario, senza pregiudizio della libertà di espressione e di associazione. Inoltre ai fini della Convenzione sono considerati reati di terrorismo tutti quelli ricompresi nei dieci trattati universali delle Nazioni Unite contro il terrorismo e gli Stati che non hanno ancora aderito ad alcuni di questi trattati hanno comunque la facoltà, da esplicitare, di non tenere conto dei reati in essi contemplati (articolo 1).
  Al riguardo vorrei ricordare che i dieci Trattati, elencati nell'allegato alla Convenzione, sono: la Convenzione sulla repressione del sequestro illecito di aeromobili, firmata a l'Aia il 16 dicembre 1970; la Convenzione per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza dell'aviazione civile, conclusa a Montréal il 23 settembre 1971; la Convenzione sulla prevenzione e la punizione dei reati contro le persone internazionalmente protette, inclusi gli agenti diplomatici, adottata a New York il 4 dicembre 1973; la Convenzione internazionale contro la presa di ostaggi, adottata a New York il 17 dicembre 1979; la Convenzione sulla protezione fisica del materiale nucleare, adottata a Vienna il 3 marzo 1980; il Protocollo per la repressione di atti illeciti di violenza negli aeroporti in servizio per l'aviazione civile internazionale, fatto a Montréal il 24 febbraio 1988; la Convenzione per la repressione di atti illeciti contrari alla sicurezza della navigazione marittima, fatta a Roma il 10 marzo 1988; il Protocollo per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse situate sulla piattaforma continentale, fatto a Roma il 10 marzo 1988; la Convenzione internazionale per la repressione di atti terroristici dinamitardi, adottata a New York il 15 dicembre 1997; la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, adottata a New York il 9 dicembre 1999.
  La Convenzione è applicabile ai soli reati di natura transnazionale (articolo 16) – fatta eccezione per i casi di interesse esclusivo di un singolo Stato ai quali, tuttavia, si potranno applicare le disposizioni di cooperazione giudiziaria previste dalla Convenzione stessa (articoli 17, 20 e 22) – e si propone come obiettivo primario quello di migliorare la prevenzione del terrorismo e dei suoi effetti negativi sul pieno godimento dei diritti umani (articolo 2): nel testo vengono, infatti, richiamate alcune ipotesi di politiche nazionali di prevenzione del terrorismo, comprensive anche della promozione del dialogo interreligioso e interculturale (articolo 3), ed è prevista la reciproca assistenza tra le Parti attraverso lo scambio di informazioni, l'addestramento e altre iniziative congiunte (articolo 4).
  La Convenzione individua, poi, alcune nuove figure di reato collegate alla commissione di atti di terrorismo e, in particolare, fa riferimento alla pubblica provocazione (istigazione) alla commissione di un reato terroristico (articolo 5), al reclutamento (articolo 6) e all'addestramento ad attività terroristiche, che si concretizza nella fornitura di istruzioni per la fabbricazione e l'uso di esplosivi, armi da fuoco, sostanze nocive e pericolose, nonché di metodologie specifiche volte alla commissione di atti terroristici (articolo 7). Si prescrive, quindi, nel testo in esame che ciascuna delle Parti dovrà introdurre nel diritto interno delle sanzioni penali per queste tre figure di reato, se commesse illecitamente e intenzionalmente, e a tal fine ogni Stato dovrà subordinare la rilevanza penale di tali fattispecie all'effettivo giudizio di pericolosità delle stesse, sì da evitare il perseguimento di parole o atti non finalizzati ad alcuna condotta criminosa; il garantismo di tale previsione è tuttavia controbilanciato dall'articolo 8, per il quale ciascuno dei comportamenti previsti dagli articoli dal 5 al 7 della Pag. 74Convenzione costituisce reato anche se l'atto terroristico cui è finalizzato non è stato effettivamente commesso.
  Particolare importanza assumono anche gli articoli dal 18 al 21 riguardanti l'applicazione del principio aut dedere, aut iudicare (ossia l'obbligo dello Stato sul cui territorio si trova il sospetto terrorista di estradarlo verso lo Stato richiedente o altrimenti, di esercitare l'azione penale nei suoi confronti), anche in rapporto al meccanismo per l'apposizione di riserve. Le autorità competenti di una Parte, senza preventiva richiesta, possono infatti trasmettere alle omologhe autorità di un'altra Parte informazioni ottenute nell'ambito di loro indagini, qualora ritengano ciò utile per iniziative investigative o giudiziarie dell'altra Parte (articolo 22).
  Passando ad illustrare la seconda Convenzione all'esame dell'Aula, quella per la soppressione degli atti di terrorismo nucleare, ricordo ai presenti che è stata adottata a New York il 13 aprile 2005 con la risoluzione A/RES/59/290 dell'Assemblea Generale ed in seguito aperta alla firma dal 14 settembre 2005 (data in cui è stata sottoscritta dall'Italia) al 31 dicembre 2006. Al momento la Convenzione è stata firmata da 115 Paesi ed effettivamente ratificata da 99 Parti; a livello internazionale, la Convenzione è in vigore dal 7 luglio 2007, data corrispondente al 30o giorno successivo al deposito della 22a ratifica o accesso (come stabilito dall'articolo 25 della Convenzione medesima). Ricordo inoltre che la Convenzione rientra nel novero degli strumenti internazionali oggetto di un disegno di legge di autorizzazione presentato alla Camera dei deputati a settembre, che fa seguito ad analoghi disegni di legge di autorizzazione, mai giunti al termine dell’iter parlamentare, sin dalla XV legislatura.
  La Convenzione si compone di 28 articoli e di un preambolo che definisce l'atto pattizio come lo strumento attraverso cui la Comunità internazionale intende darsi regole certe e mezzi adeguati al fine di perseguire i reati connessi ad atti di terrorismo nucleare, inserendosi nell'attività più generale di misure volte all'eliminazione del terrorismo internazionale.
  Passando al contenuto delle norme più significative, assume particolare rilievo l'articolo 2 che individua come fattispecie di reato la detenzione di materie radioattive, la fabbricazione di ordigni o il danneggiamento di impianto, precisando che anche la sola minaccia di commettere un reato così definito è considerata un reato, come pure lo è la complicità. Parimenti importante è l'articolo 5 che prescrive l'obbligo per gli Stati di adeguare i propri ordinamenti interni per la perseguibilità dei reati definiti all'articolo 2, e l'articolo 6 che dispone che tali reati non possano in alcun caso essere giustificati da considerazioni di natura politica, filosofica, ideologica, razziale, etnica, religiosa o da altri motivi analoghi.
  Proseguendo nell'esame della proposta di legge in esame, vorrei ricordare che l'urgenza del contrasto al terrorismo internazionale derivante dagli eventi dell'11 settembre ha posto le basi per la firma, avvenuta il 15 maggio 2003 a Strasburgo, del Protocollo di emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo. Il Protocollo, al fine di rafforzare la lotta contro il terrorismo nel rispetto dei diritti umani, modifica il testo della Convenzione nel senso di ampliare l'elenco dei reati da «depoliticizzare» sino a ricomprendere tutti i reati descritti nelle convenzioni e protocolli pertinenti delle Nazioni Unite contro il terrorismo; introduce una procedura semplificata di emendamento alla Convenzione medesima, che consentirà di allargare ulteriormente la platea di tali reati; apre la Convenzione all'adesione degli Stati osservatori (Canada, Giappone, Israele, Messico, Santa Sede, Stati Uniti) presso il Consiglio d'Europa dando facoltà al Comitato dei Ministri di decidere caso per caso di invitare ad aderirvi anche altri Stati; include una clausola che autorizza il rifiuto di estradare verso un Paese dove esista il rischio di applicazione della pena di morte, oppure il rischio di subire torture o reclusione a vita senza possibilità di libertà provvisoria; istituisce un meccanismo di Pag. 75controllo («COSTER») per l'applicazione della nuova procedura relativa alle riserve e per altri compiti connessi con il controllo dell'applicazione della Convenzione: tale meccanismo è destinato a completare le competenze classiche e più generali del Comitato europeo sui problemi della criminalità (CDPC) in merito alle Convenzioni europee nel settore della criminalità.
  Occorre, però, precisare che il citato Protocollo non è ancora in vigore: ai sensi dell'articolo 18, infatti, l'entrata in vigore dell'atto pattizio è stabilita dopo tre mesi dall'espressione, da parte di tutti i Paesi parte della Convenzione europea per la repressione del terrorismo (tra i quali l'Italia), del consenso ad essere vincolati dal Protocollo, in conformità con le disposizioni dell'articolo 17. Al momento il Protocollo è stato firmato da 46 dei 47 Paesi parte del Consiglio d'Europa (unica eccezione Monaco), dei quali solo 32 hanno ratificato o aderito, ovvero hanno firmato senza riserva di ratifica, e 14 non hanno proceduto ancora alla ratifica. L'Italia, in particolare, ha firmato il Protocollo con riserva di ratifica il 15 maggio 2003.
  Passando ad illustrare la Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo – inciso questo aggiunto durante i lavori delle Commissioni riunite con un emendamento dei relatori volto a correggere un mero errore di traduzione del testo – ricordo che è stata firmata a Varsavia il 16 maggio 2005 e che essa aggiorna ed amplia le previsioni della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato dell'8 novembre 1990. Tale ampliamento è finalizzato a prendere in considerazione non soltanto il finanziamento del terrorismo attraverso il riciclaggio di denaro, ma anche attraverso attività lecite e che la Convenzione del 2005 rappresenta il primo strumento internazionale per la prevenzione e il controllo del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo. Il testo mette in evidenza che il veloce accesso alle informazioni relative ai finanziamenti o alle risorse delle organizzazioni criminali, compresi i gruppi terroristici, è fondamentale per il successo delle misure preventive e repressive e, in ultima analisi, rappresenta il modo migliore per destabilizzare le attività di queste organizzazioni. La Convenzione è in vigore, sul piano internazionale dal 1o maggio 2008 ed è stata firmata da 39 Parti (38 Paesi membri del Consiglio d'Europa assieme all'Unione europea), 26 dei quali hanno completato le procedure di ratifica o adesione mentre 13, tra i quali l'UE, l'hanno sottoscritta e non ancora ratificata.
  Da ultimo nel corso dei lavori delle Commissioni riunite Esteri e Giustizia sulla proposta di legge recante «Norme per il contrasto al terrorismo», è stata aggiunta, con l'approvazione di un emendamento governativo, la ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatto a Riga il 22 ottobre 2015, che (articolo 1) mira ad integrare le disposizioni della già citata Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, aperta alla firma a Varsavia il 16 maggio 2005, con alcune nuove fattispecie di reato tra cui la partecipazione a un'associazione o a un gruppo a fini terroristici (articolo 2), l'atto di ricevere un addestramento a fini terroristici (articolo 3), i viaggi all'estero a fini terroristici (articolo 4), i finanziamenti di viaggi all'estero a fini terroristici (articolo 5) e, in fine, l'organizzazione o agevolazione di viaggi all'estero a fini terroristici (articolo 6).
  Questo Protocollo rafforza così l'impegno delle Parti nella prevenzione del terrorismo e dei suoi effetti pregiudizievoli sul pieno godimento dei diritti umani, in particolare del diritto alla vita, sia con misure da adottare a livello nazionale che attraverso la cooperazione internazionale, tenendo in debito conto i vigenti trattati o accordi multilaterali o bilaterali applicabili fra le Parti. Proprio a tal fine con l'introduzione del nuovo comma 2-bis all'articolo 8 del testo in esame viene indicato il Ministero dell'interno – Dipartimento Pag. 76della pubblica sicurezza come punto di contatto responsabile della trasmissione e della ricezione delle informazioni relative alle persone che effettuano viaggi all'estero a fini terroristici ai sensi dell'articolo 7 del Protocollo.
  Per quanto ora attiene più specificamente alle disposizioni in materia di contrasto al terrorismo contenute nella proposta di legge in discussione, occorre osservare che l'articolo 4 del testo approvato dalle Commissioni riunite Esteri e Giustizia modifica il codice penale inserendovi, tra i delitti contro la personalità internazionale dello Stato, nuove fattispecie di terrorismo internazionale e, tra i delitti contro la personalità interna dello Stato, la fattispecie di terrorismo nucleare. In particolare, la lettera a) del predetto articolo introduce nel codice penale nuove fattispecie penali relative a condotte di fiancheggiamento o sostegno del terrorismo internazionale, vale a dire il «finanziamento di condotte con finalità di terrorismo» (articolo 270-quinquies.1) e la «sottrazione di beni o danaro sottoposti a sequestro» (articolo 270-quinquies.2). Segnalo, inoltre, che il nuovo articolo 270-quinquies.1 del codice penale punisce con la reclusione da 7 a 15 anni chiunque raccoglie, eroga o mette a disposizione beni o denaro – in qualunque modo realizzati – destinati, in tutto o in parte, al compimento di atti con finalità terroristica e che tale fattispecie penale trova applicazione al di fuori delle ipotesi di associazione con finalità di terrorismo (articolo 270-bis) e di organizzazione di trasferimenti con finalità di terrorismo (articolo 270-quater.1) e indipendentemente dall'effettivo utilizzo dei fondi raccolti. Il nuovo articolo 270-quinquies.2 punisce, invece, con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 3.000 a 15.000 euro, chiunque sottrae, distrugge, disperde, sopprime o deteriora beni o denaro sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento del terrorismo internazionale.
  La lettera b) del richiamato articolo 4 inserisce, poi, nel codice penale l'articolo 270-septies, con il quale è resa obbligatoria, in caso di condanna o patteggiamento per uno dei delitti con finalità di terrorismo previsti dal codice, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto: se la confisca di tali beni non è possibile, la disposizione autorizza la confisca per equivalente, cioè la confisca di altri beni di cui il reo ha disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo, prodotto o profitto, ma tale misura non potrà riguardare i beni che appartengono a terzi estranei al reato.
  La lettera c) del medesimo articolo 4 interviene sul capo del codice penale relativo ai delitti contro la personalità interna dello Stato, per inserire la nuova fattispecie penale di «atti di terrorismo nucleare» (articolo 280-ter). In particolare il nuovo articolo 280-ter del codice penale punisce con la reclusione da 6 a 12 anni (pena aumentata nel corso dei lavori delle Commissioni riunite), chiunque con finalità di terrorismo (articolo 270-sexies) procura materia radioattiva o crea un ordigno nucleare o ne viene altrimenti in possesso, e con la reclusione da 7 a 15 anni chiunque, con le medesime finalità, utilizza materia radioattiva o un ordigno nucleare o utilizza o danneggia un impianto nucleare, così da rilasciare o con il concreto pericolo che rilasci materia radioattiva. Da ultimo il terzo comma della nuova disposizione dell'articolo 4 estende l'applicazione della fattispecie dal materiale radioattivo ai materiali o aggressivi chimici o batteriologici.
  A seguire l'articolo 5 del disegno di legge individua nel Ministero della giustizia il punto di contatto ai fini della Convenzione di New York per la soppressione di atti di terrorismo del 2005. Conseguentemente, in relazione ai procedimenti penali per il delitto di atti di terrorismo nucleare, di cui all'articolo 280-ter del codice penale, dovranno essere effettuate le seguenti comunicazioni al Ministero: il PM dovrà comunicare l'esercizio dell'azione penale e l'esecuzione di una misura di custodia cautelare (in carcere o agli arresti domiciliari), allegando copia Pag. 77dell'ordinanza; e l'autorità giudiziaria dovrà comunicare l'esito definitivo del procedimento e il luogo dove i beni sequestrati sono custoditi, nonché le modalità di loro conservazione. Tutte queste informazioni dovranno essere trasmesse dal Ministro della giustizia agli Stati parte della Convenzione, tramite il Segretario generale delle Nazioni Unite. Inoltre dell'ubicazione e conservazione dei beni sequestrati è data comunicazione anche al direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica.
  L'articolo 6 disciplina, poi, la sorte dei materiali radioattivi (come pure degli impianti nucleari o degli ordigni nucleari) sequestrati nell'ambito di un procedimento penale per atti di terrorismo nucleare, prevedendo (comma 1) che l'autorità giudiziaria deve informare del sequestro il prefetto (e il Ministero della giustizia, come previsto dall'articolo 5, comma 4) e che quest'ultimo deve a sua volta informare i Ministri dell'interno, dell'ambiente e della salute, oltre al Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio e deve adottare, su parere dell'ISIN – Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione – i provvedimenti necessari alla messa in sicurezza dei materiali radioattivi (provvedendo anche autonomamente in caso d'urgenza).
  Nell'ambito di questa procedura i beni sequestrati sono conferiti alla Società gestione impianti nucleari (Sogin S.p.a.), in veste di operatore nazionale individuato dal decreto legislativo n. 52 del 2007, o all'ENEA, in veste di gestore del Servizio integrato previsto dallo stesso decreto legislativo (comma 2) e laddove si tratti di beni mobili da restituire ad altro Stato che sia parte della Convenzione internazionale, provvede il Ministero dello sviluppo economico, sentiti, oltre che l'ISIN, anche i Ministri dell'interno, della giustizia e dell'ambiente (comma 3).
  Ancora l'articolo 7 introduce nel decreto legislativo n. 230 del 1995, di attuazione di una serie di direttive Euratom in materia di sicurezza nucleare, l'articolo 156-bis che demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri dell'interno, dell'ambiente, della salute, delle infrastrutture e previo parere dell'ISIN, l'individuazione di un elenco di sostanze radioattive e delle modalità di loro gestione e impiego, sulla base delle raccomandazioni dell'Agenzia internazionale per l'energia. Il decreto ministeriale dovrà essere emanato entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge.
  Da ultimo l'articolo 8 del testo in esame designa l'UIF – Unità di informazione Finanziaria istituita dal decreto legislativo n. 231 del 2007 – come autorità di intelligence finanziaria in base alla Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo (Varsavia – 2005) e individua il Ministero dell'economia e delle finanze come autorità centrale prevista dalla medesima convenzione all'articolo 33.
  In conclusione vorrei sottolineare che le misure appena illustrate sono oggetto di importanti accordi internazionali per il contrasto al terrorismo internazionale e per una sempre maggiore cooperazione tra le parti contraenti già firmati dal nostro Paese; è per questo necessaria la loro rapida approvazione affinché anche l'Italia allinei la sua normativa interna a quella degli altri Stati dell'Unione europea, dotandosi di più incisivi strumenti per la lotta e la repressione dei fenomeni terroristici.

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