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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 460 di lunedì 13 luglio 2015

Pag. 1

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 14,35.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  RAFFAELLO VIGNALI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 6 luglio 2015.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Bellanova, Beni, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Brescia, Bressa, Brunetta, Businarolo, Caparini, Carocci, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lainati, Lorefice, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Merlo, Migliore, Orlando, Palazzotto, Patriarca, Pes, Piccoli Nardelli, Pisicchio, Portas, Quartapelle Procopio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sisto, Tancredi, Valeria Valente, Velo e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: S. 1577 – Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (Approvato dal Senato) (A.C. 3098-A) (ore 14,37).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 3098-A: Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 9 luglio 2015 e che i tempi per l'esame delle questioni pregiudiziali sono computati nell'ambito del contingentamento relativo alla discussione sulle linee generali.
  Ricordo che, nella seduta del 9 luglio 2015, sono state respinte le questioni pregiudiziali di costituzionalità Scotto ed altri n. 1, Brunetta e Palese n. 2 e Rampelli ed altri n. 3.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3098-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.Pag. 2
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Ernesto Carbone.

  ERNESTO CARBONE, Relatore per la maggioranza. Signora Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, con il provvedimento che affrontiamo oggi, ci prepariamo a compiere un passo determinante lungo la strada delle riforme. Innovando in maniera organica e approfondita la pubblica amministrazione, tagliamo un doppio traguardo: da una parte, ammoderniamo il sistema Italia, allineandolo ai più alti standard dei grandi Paesi europei, dall'altra, mettiamo benzina nel motore del cambiamento, rendendo più facile la realizzazione di tanti altri interventi normativi, la cui attuazione è rallentata da un'organizzazione dello Stato troppo spesso elefantiaca. Vogliamo raggiungere questo doppio risultato, partendo da un presupposto: la pubblica amministrazione italiana, e i lavoratori che la animano, sono una risorsa insostituibile, un fattore di sviluppo che va valorizzato con il contributo di tutti. Ha detto Max Weber che «la burocrazia è l'incarnazione stessa dell'efficienza razionale di un Paese», una frase che, ascoltata nell'Italia di oggi, lascia l'amaro in bocca. Ma, nella loro essenza, queste parole restano vere, perché un'amministrazione è razionale o non lo è. Solo istituzioni efficienti contribuiscono a soddisfare i bisogni dei cittadini. Una burocrazia ipertrofica, labirintica e lontana dai bisogni dei cittadini non fa parte delle soluzioni, fa parte dei problemi di una nazione. Ma prima ancora di puntare il dito e pronunciare sentenze, dobbiamo tutti interrogarci su un punto: cosa è stato fatto fino a questo momento per rendere la pubblica amministrazione degna del suo nome ? Per troppi anni, colleghi deputati, fuori e dentro quest'Aula, abbiamo assistito a un attacco feroce e sistematico che non mirava ad individuare le cause delle inefficienze, ma solo a indicare colpevoli. Una impostazione sbagliata, controproducente, che ha radicalizzato lo scontro, diviso il Paese e allontanato in ultima istanza l'obiettivo fondamentale di arrivare a una riforma davvero strutturale, perché nata da un confronto reale con gli attori coinvolti, frutto di un metodo di lavoro coesivo e partecipativo. Oggi invertiamo la rotta, individuiamo e interveniamo sui nodi di merito, sulle strozzature di sistema, sulle eccessive intermediazioni, e diamo impulso ed energia ad una riforma che mira alla realizzazione di target strategici comuni. Le parole chiave di questo nuovo corso sono: trasparenza, merito, produttività, innovazione e responsabilità. Si badi bene: obiettivi fondamentali non solo per l'amministrazione pubblica e per le strutture nazionali e territoriali, ma per il riscatto e la crescita del Paese tutto.
  Concetti che noi qui oggi vogliamo trasformare in misure concrete, ma che vogliamo anche trasferire in una nuova e ideale carta dei valori di una amministrazione pubblica che sia orgogliosa della propria funzione.
  Dobbiamo passare da uno Stato pesante a uno Stato pensante, da un edificio che, per molti versi, è ancora sorretto da impalcature ottocentesche e il cui accesso è complicato da mille procedure e adempimenti, a una struttura semplice, un'interfaccia moderna e capace di dialogare e di interagire in maniera reattiva e umana. Insomma, non una fredda macchina, ma un vivo organismo che abbia gli strumenti, le risorse, le infrastrutture e le capacità per adempiere il proprio dovere al servizio del cittadino, della famiglia, dell'impresa.
  È chiaro allora quale sia la sfida: riaffermare il protagonismo delle pubbliche amministrazioni nella partita della crescita economica e dell'integrazione sociale. Una partita che possiamo vincere, definendo nuove e più efficaci norme che regolino, a tutti i livelli, i processi decisionali Pag. 3e di controllo. Significa sfrondare le procedure in eccesso anche rilanciando il capitolo fondamentale della digitalizzazione dell'amministrazione pubblica.
  Con l'agenda della semplificazione, sosteniamo il Governo nella sua azione di sfrondamento delle procedure in settori fondamentali quali il fisco, il welfare, l'impresa e l'edilizia.
  Vuol dire ridurre i tempi delle procedure attraverso un impegno sistematico in ogni settore della PA, rifiutando ogni demagogica e sterile norma-annuncio e attuando la verifica puntuale dell'efficacia degli interventi di semplificazione adottati. E vuol dire anche tagliare le procedure ridondanti, realizzando una politica di semplificazione organica e condivisa tra Stato, regioni e autonomie locali.
  In un contesto di burocratizzazione totale in cui ci troviamo a vivere, dobbiamo accelerare il processo di informatizzazione e di digitalizzazione, strutturare modelli di open-data e di open-government, estendere e rinforzare il controllo sui processi di gestione.
  Le deleghe che consegniamo al Governo aprono finalmente la strada che porta all'era della cittadinanza digitale, qualcosa di molto diverso e di molto più importante di un semplice target di adeguamento tecnologico. Siamo di fronte all'opportunità di dare vita a una infrastruttura del tutto nuova, che rafforzi la democrazia e lo Stato di diritto fornendo servizi certi con regole certe. Sotto questo profilo, questa idea di amministrazione digitale moltiplica e amplifica i progetti di sburocratizzazione o semplificazione, che qui integriamo.
  È il caso della profonda revisione che la legge delega prefigura per le forze di polizia. Miriamo a raggiungere tre obiettivi determinanti e fin troppo rimandati negli anni: unire tutti i servizi strumentali, dalle caserme agli uffici acquisti, ai mezzi di trasporto; eliminare le duplicazioni di funzioni e razionalizzare le varie catene di comando, passando da cinque a quattro corpi.
  È il caso della drastica riduzione delle partecipate, elemento qualificante di un nuovo modello che prevede limiti più stringenti alla loro costituzione e maggiori vincoli di efficienza al loro mantenimento e funzionamento, nel segno di una maggiore responsabilità degli amministratori.
  Partecipazione e produttività sono elementi fondamentali, legati, come dimostra la deludente esperienza degli anni passati. Non è attraverso tagli lineari alla PA o a una violenta delegittimazione dell'impiego pubblico che si arriva a definire contorni più snelli e meccanismi più limpidi e controllati.
  Occorre allargare, coinvolgere, consolidare i momenti di partecipazione diffusa, ideare nuovi strumenti di feedback per aumentare la trasparenza, che è da sempre l'antidoto migliore ai fenomeni di corruzione, clientela e malagestione.
  È lo spirito del FOIA, il Freedom of Information Act, di cui indichiamo principi e criteri fondamentali, e che vogliamo diventi lo strumento principe per l'accesso dei cittadini a tutti i dati delle pubbliche amministrazioni. Una finestra attraverso la quale sarà possibile individuare i punti deboli e i punti di forza delle amministrazioni locali e nazionali e, dunque, compiere il primo passo per migliorare i servizi, incrementare le competenze, immettere innovazione.
  Tutto questo richiama la necessità di far corrispondere all'autonomia delle dirigenze puntuali e conseguenti responsabilità nelle dinamiche decisionali. Chiunque frequenti a qualsiasi livello la pubblica amministrazione può testimoniare uno stato dell'arte ancora molto lontano da standard di dinamismo, reattività e merito davvero efficaci.
  Ne derivano strutture organizzative a «responsabilità limitata», che di fatto immobilizzano il dirigente nell'amministrazione originaria, impedendo da una parte la circolazione e la positiva contaminazione delle competenze, e dall'altra l'emergere di nuove leve. Con questo provvedimento mettiamo sui giusti binari la creazione di un mercato del lavoro della dirigenza di ruolo, indichiamo la via per valorizzare il sistema di valutazione dei capistruttura, tracciamo il sentiero per Pag. 4l'assegnazione degli incarichi sulla base dei risultati ottenuti nelle esperienze precedenti.
  Tra il modello puro dello spoils system e quello della dirigenza di ruolo, entrambi legittimi, abbiamo scelto il secondo, perché siamo convinti che una dirigenza forte possa fare da argine a tanti fenomeni, a partire dalla corruzione. Per riuscire diamo ai dirigenti gli strumenti per dire «no» alla politica quando serve. In quest'ottica, la riforma consente la chiara e non più equivocabile limitazione della responsabilità dei dirigenti agli atti di gestione, cioè agli atti rientranti tipicamente nella competenza dirigenziale.
  Dobbiamo liberare la gestione delle risorse umane ed economiche delle amministrazioni dalla onnipresenza di un diritto amministrativo che rende ogni decisione rigida e farraginosa. A venti anni dal superamento della vecchia disciplina pubblicistica e dal raggiungimento della privatizzazione del diritto di lavoro pubblico, mettiamo in campo procedure più snelle e modelli in linea con le migliori pratiche europee.
  Non c’è strada migliore per reimpostare i rapporti tra politica e istituzioni, incardinando la nuova dirigenza su binari manageriali. Non c’è via più diretta per sfrondare radicalmente la burocrazia, rilanciare modelli organizzativi e progetti innovativi, trasformando finalmente l'amministrazione pubblica in un fattore decisivo di crescita e di sviluppo nazionale.
  Il disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione, collegato alla manovra finanziaria, è stato approvato dal Senato il 30 aprile 2015, apportando al testo iniziale numerose e significative modifiche. Il provvedimento – nel testo trasmesso alla Camera – consta di 18 articoli, divenuti 23 al termine dell'esame in sede referente, nel corso del quale sono stati approvati nuovi articoli aggiuntivi ed emendamenti modificativi del testo.
  Il testo contiene prevalentemente deleghe legislative da esercitare in gran parte nei 12 mesi successivi all'approvazione della legge, volte a: riorganizzare l'amministrazione statale e la dirigenza pubblica; proseguire e migliorare l'opera di digitalizzazione della pubblica amministrazione; riordinare gli strumenti di semplificazione dei procedimenti amministrativi; promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nella pubblica amministrazione; elaborare i testi unici delle disposizioni in materie oggetto di stratificazioni normative come, ad esempio, il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, le partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche e la disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale.
  Più nel dettaglio, le deleghe legislative investono, in particolare, i seguenti ambiti: codice dell'amministrazione digitale; conferenza di servizi; segnalazione certificata inizio attività; trasparenza della pubblica amministrazione; freedom of information act; diritto di accesso dei parlamentari ai dati delle PA; piani e responsabili anticorruzione; white list antimafia; intercettazioni; ruolo e funzioni della Presidenza del Consiglio, organizzazione dei ministeri, agenzie governative, enti pubblici non economici, uffici di diretta collaborazione dei Ministri; riorganizzazione delle funzioni e del personale delle forze di polizia, del Corpo forestale dello Stato, dei Vigili del fuoco, del Corpo delle capitanerie di porto e della Marina militare; numero unico europeo 112; Pubblico registro automobilistico; prefetture-UTG (gli uffici territoriali del governo); ordinamento sportivo; autorità portuali; camere di commercio; dirigenza pubblica e valutazione dei rendimenti; segretari comunali e provinciali; dirigenti sanitari; enti pubblici di ricerca; lavoro pubblico; società partecipate da pubbliche amministrazioni; servizi pubblici locali; procedimenti giurisdizionali della Corte dei conti; Formez; modifica e abrogazione di disposizioni di legge che prevedono l'adozione di provvedimenti attuativi.
  Si ricorda, inoltre, che il disegno di legge fa parte degli interventi di riforma della pubblica amministrazione preannunciati dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione nel mese di maggio 2014, a chiusura di una consultazione Pag. 5pubblica, che in una prima parte – relativamente alle misure di maggiore urgenza – avevano trovato applicazione nel «decreto-legge pubblica amministrazione», il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge n. 114 del 2014.
  Considerata la complessità del provvedimento, chiedo alla Presidenza di autorizzare la consegna agli uffici del testo della mia relazione, perché sia pubblicato integralmente in calce al resoconto della seduta odierna.

  PRESIDENTE. Ovviamente è possibile consegnare il testo integrale della relazione, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
  Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, Stefano Quaranta.

  STEFANO QUARANTA, Relatore di minoranza. Grazie, signora Presidente. Caro relatore per la maggioranza, signora Ministro, fa un certo effetto parlare di riforma della pubblica amministrazione in concomitanza con gli avvenimenti e i fatti della Grecia.
  La speranza è sempre l'ultima a morire, come si suol dire, e forse, finalmente, se si vedesse un po’ di audacia riformatrice anche in questo Governo, che l'ha tanto declamata, ma praticamente mai praticata, sarebbe bello che, proprio a partire dalla riforma della pubblica amministrazione, si desse finalmente il senso di un cambiamento nel Governo della cosa pubblica. Perché le riforme, in particolare le riforme che riguardano la pubblica amministrazione, è molto difficile farle senza metterci risorse. Io penso, ad esempio, all'articolo 1, che, forse, è quello che io condivido maggiormente, quello sulla cittadinanza digitale, con riferimento al quale, senza investimenti, a me sembra difficile sia la formazione del personale sia l'investimento in nuove tecnologie utili per il miglioramento della pubblica amministrazione, ma, poiché temo che questo sussulto non avverrà nemmeno questa volta, allora sono ancora una volta qui tristemente ad elencare tutte le occasioni perse di questa ennesima riforma della pubblica amministrazione. Dal mio punto di vista, affrontare il tema della riforma della pubblica amministrazione voleva dire innanzitutto due cose, molto banalmente: la valorizzazione del lavoro pubblico, che è stato svilito e sbeffeggiato in questi anni dal signor Brunetta (Commenti del deputato Palese) e da tutti coloro che poi sono venuti dopo di lui e, da questo punto di vista, mi sarei aspettato da un Governo sedicente di centrosinistra un atteggiamento diverso; seconda questione: come avvicinare la pubblica amministrazione ai cittadini. Io direi due punti minimali nella loro banalità ma che, se portati avanti, ci avrebbero fatto fare davvero un salto di qualità. Ora mi sembra che, purtroppo, non sia così e vediamo come, anziché in questa delega individuare dei principi generali da lasciare poi alla legge dello Stato, alla legge regionale, alla contrattazione collettiva, al fatto poi di svilupparli, anche perché esistono delle specificità evidenti nella pubblica amministrazione, che non è tutta uguale e tutta con le stesse caratteristiche, ci ritroviamo invece sostanzialmente con lo stesso approccio stile spending review, quindi riforme senza risorse; inoltre, devo anche dire che, su tutta una serie di provvedimenti, al di là del metodo – e noi sappiamo come spesso nel metodo queste deleghe al Governo sono frutto di un tale eccesso di genericità e di tempi talmente dilatati da essere passibili anche di vizi di costituzionalità – qui c’è un problema anche di merito, in tutta una serie di punti. Ne vado ad elencare alcuni, tanto per dare qualche elemento di valutazione che poi nella discussione degli emendamenti rivedremo: il tema del decentramento amministrativo e mi pare che qui la tendenza sia concentrare tutto sui poteri della Presidenza del Consiglio, il tema del silenzio assenso, che in alcuni temi sensibili – vedi tutela dell'ambiente, vedi tutela dei beni culturali e via seguitando – dovrebbe avere una particolare tutela. Qui invece c’è un'estensione generalizzata. Vedi il fatto che il Presidente del Consiglio, ma questo lo avevamo già capito da altre riforme – la riforma della Costituzione, la riforma della legge elettorale – Pag. 6diventa il dominus assoluto anche nel rapporto con i Ministri e con il Consiglio dei Ministri. Vedi il fatto che, a proposito dei dirigenti regionali, non si va a tener conto del fatto che, secondo l'articolo 117 della Costituzione, le regioni dovrebbero avere una autonomia organizzativa per ciò che riguarda i loro uffici. E ancora il rapporto tra politica e amministrazione, perché, un altro tema delicato è il fatto che la politica e l'amministrazione, entrambe, dovrebbero poter fare la loro parte, senza un eccesso di commistione: la politica dovrebbe dare l'indirizzo e l'amministrazione dovrebbe essere autonoma nel poterlo gestire. Qui però ci sono dei provvedimenti che riguardano la dirigenza della pubblica amministrazione che invece lasciano credere il contrario, perché la decadenza dal ruolo legata al non utilizzo del dirigente fa pensare che la politica una qualche influenza anche sulla dirigenza dell'amministrazione pubblica la possa avere e non credo sia questa la direzione verso cui dovremmo andare. Bene, proprio per stare anche rispetto allo schema che ci proponeva il relatore di maggioranza, provo a toccare alcuni punti di merito che mi sembrano i punti fondamentali di questa riforma. L'articolo 2, che riguarda il tema della conferenza dei servizi: dicevo del tema del silenzio assenso, c’è anche il tema dell'autotutela della pubblica amministrazione che, così come è configurato, rischia di vanificare la certezza del diritto per i cittadini, c’è il tema del dibattito pubblico. Questa poteva essere una grande occasione per normare un tema fondamentale come quello del dibattito pubblico, cioè per opere che siano impattanti dal punto di vista ambientale e che abbiano dei costi importanti, per cui forse è anche lecito pensare che i cittadini possano dire la loro; questa poteva essere un'occasione, se il tema era avvicinare la pubblica amministrazione ai cittadini, per provare a fare una riflessione e dare qualche segnale.
  Ci sono esperienze anche di altri Paesi europei. Sul tema delle forze di polizia, siccome su questo anche l'onorevole Carbone ha speso alcune parole, mi permetto di fare qualche riflessione. Il problema italiano, io credo, è il fatto che esista una duplicazione delle forze di polizia a carattere generale, non il fatto che esistano delle polizie, invece, che hanno un'importanza, io credo, fondamentale come il Corpo forestale e che non si sovrappongono alle altre forze di polizia esistenti.
  Voi, invece, fate questa operazione, che è un puro spot elettorale, per dire «abbiamo diminuito il numero delle forze di polizia», però siamo andati ad intaccare l'unica forza di polizia che credo abbia un'importanza strategica per il nostro Paese, se è vero che tutela ambientale, sofisticazione dei prodotti alimentari, cura del territorio e dissesto idrogeologico sono questioni di cui ci riempiamo la bocca quotidianamente; sono stati anche assunti provvedimenti importanti sul tema degli ecoreati.
  E, poi, pensiamo di smantellare l'unico Corpo che ha una competenza specifica su questi temi, mentre, laddove esistono le vere duplicazioni, siccome, probabilmente, ci sarebbe da toccare dei poteri un po’ troppo forti, non si fa assolutamente nulla. E siamo anche al paradosso, perché di questo stiamo parlando e questo sentiamo dire, che il Corpo forestale pare sarà accorpato all'Arma dei carabinieri.
  Quindi, da questo punto di vista, andiamo in direzione opposta rispetto a tutta Europa: in tutta Europa si smilitarizzano le forze di polizia e noi, invece, pensiamo di portare il Corpo forestale sotto l'Arma dei carabinieri. Questa sarebbe la modernità ! Sul tema delle camere di commercio, sono state fatte – è giusto darne atto – delle modifiche positive, al Senato, su alcuni punti, però resta un punto fondamentale che sarebbe da aggredire.
  Ci deve essere una proporzione, una linearità, e quindi una coerenza, tra le funzioni che si vogliono attribuire alle camere di commercio e le risorse che le stesse avranno nella loro disponibilità. Infatti, è un po’ difficile ipotizzare tutta una serie di punti che vengono individuati come compito delle camere di commercio, quando, poi, si fanno tagli indiscriminati e, soprattutto, inutili, perché si va a dare un Pag. 7lieve sollievo alle piccole e medie imprese, che spenderanno qualcosa di meno, ma a loro si taglieranno una serie di servizi, invece, fondamentali, che non avranno più a causa di questi tagli.
  O, ancora, il tema delle prefetture. Qui vi è un tema che riguarda, a mio giudizio, Corpo forestale, prefetture, camere di commercio, che è il tema della vicinanza tra pubblica amministrazione e cittadini. Qui si dice che diminuirà il numero delle prefetture, però mi pare che non si individui da nessuna parte qual è il livello minimo ottimale di presenza dell'amministrazione dello Stato sui territori. Su questo, invece, forse una riflessione che consentisse anche di programmare tutto il lavoro che andrà fatto anche di redistribuzione delle risorse umane dello Stato nei territori sarebbe stata utile.
  Così come il tema, che trovo francamente grottesco, delle autorità portuali: sono alcuni anni che al Senato si discute della riforma della legge n. 84 del 1994, poi è stato annunciato il piano per la portualità del Ministro Delrio e oggi vi presentate con una richiesta di delega totalmente generica, che non individua un criterio che sia uno per la riforma delle autorità portuali ?

  PRESIDENTE. Concluda.

  STEFANO QUARANTA, Relatore di minoranza. Pensi che ero addirittura favorevole a un intervento del Governo su questi temi, perché penso che sia un'urgenza per il nostro Paese porre riforma alle autorità portuali, però non una delega in bianco, in cui il Parlamento non abbia alcuna possibilità di incidere, di dire la sua, di stabilire criteri comuni. Eppure, alcuni criteri sarebbero stati anche forse solo di buonsenso. Nulla, nemmeno questo !
  Allora, vado a concludere, perché ci sarebbero molti altri temi, come quello della dirigenza pubblica, il tema dei servizi pubblici locali, in particolare del servizio idrico, che sarà oggetto di molti emendamenti. Insomma, concludendo, vorrei dire questo, a malincuore, perché penso che tutti noi, comunque, facciamo il tifo per il nostro Paese, innanzitutto.
  Se il tema era quello dell'innovazione, della flessibilità, della dinamicità del nostro sistema di pubblica amministrazione, qui a me pare, invece, che abbiamo un rinnovato sistema di centralizzazione, di uniformità su tutto il territorio, in cui il tema fondamentale è la catena di comando, e non la vicinanza della pubblica amministrazione ai cittadini. Mi pare che, ancora una volta, sia un'occasione persa: noi proveremo, con i nostri emendamenti, a dare una mano a correggere questa riforma. Certo, ci si aspettava, il Paese si aspettava, ben altro da questa delega che chiede il Governo.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia ad intervenire.
  È iscritto a parlare il deputato Alan Ferrari. Ne ha facoltà.

  ALAN FERRARI. Grazie, Presidente. Onorevole Ministro, anch'io voglio portare un contributo a questa discussione, perché ritengo, come ebbi modo di dire già nel corso del dibattito che c’è stato in quest'Aula, esattamente un anno fa, sui primi interventi urgenti previsti per la pubblica amministrazione dal decreto-legge n. 90, che questo sia un tema fondamentale. Se provo a visualizzare la matrice delle riforme che questo Governo è intenzionato promuovere, e, più in generale, la classe dirigente che siede in questo Parlamento deve promuovere, mi viene da pensare che da una parte ci sia la pubblica amministrazione e dall'altra ci siano tutte le altre riforme. Lo dico perché ritengo che per riuscire ad avere una pubblica amministrazione recettiva, molto più intraprendente, molto più proiettata al servizio dei cittadini e verso i risultati più convincenti, sia per il popolo, che per l'individuo, è assolutamente necessario che questa riforma, che questo tema, che è tutto il tema della pubblica amministrazione, risulti come il tema che interconnette tutti gli altri ambiti. Ed è proprio per questo che forse, addirittura di più che per il dibattito che ha riguardato la riforma della Costituzione, credo serva un clima costituente. Pag. 8Intanto perché si tratta di una legge delega e poi perché senza una macchina dello Stato che funzioni meglio di quanto abbiamo ereditato, e di quanto ha ereditato anche questo Parlamento in questa legislatura, è molto difficile rendere sostanziali i diritti che nella Costituzione sono scritti.
  Io penso che nessun atteggiamento politico o strumentale volto a portare a casa un posizionamento originale – lo dico ai gruppi di minoranza – sia realmente un beneficio. L'unico beneficio è di riuscire a fare ciò che gli italiani vorrebbero fare da molto tempo senza riuscirci e cioè avere una macchina pubblica che funzioni diversamente.
  Io esprimo un giudizio decisamente positivo di questa delega, e lo dico perché mi pare che la combinazione dei due grossi temi che affronta, quello della semplificazione, con gli articoli sulla cittadinanza digitale, sulla conferenza dei servizi, sul silenzio assenso, o gli ultimi, sui testi unici del personale, dei servizi pubblici locali, delle partecipate, come dall'altra parte quello della riorganizzazione dello Stato (sia dell'amministrazione centrale, che di quella periferica), queste due grandi operazioni di semplificazione e di riorganizzazione, vadano nella direzione di raggiungere l'obiettivo che dicevo prima.
  Ovviamente, ho molto rispetto delle singole questioni, ma essendo il mio non un contributo da relatore, mi voglio soffermare su quello che io ritengo essere il principio che muove questa riforma più che andare a vedere nel dettaglio i singoli aspetti che saranno affrontati nel dibattito parlamento. Ovviamente, lo ripeto, non si tratta di elementi di dettaglio, si tratta di elementi estremamente importanti, in particolare quelli che riguardano l'articolo 7, che va a riorganizzare alcuni centri dello Stato estremamente fondamentali, come le forze di polizia. Ma il mio intervento vuole essere un intervento che ragiona sullo spirito di questa delega e per farlo mi faccio due domande.
  La prima è: qual è il mandato politico, qual è il contesto a cui ha dovuto far fronte questa delega e dall'altra parte se la delega risponde esattamente al mandato che ne deriva. Ebbene qual è il mandato politico ? Io penso che ci sia un tema di contesto che va visualizzato, ancora una volta, molto bene: metà PIL è pubblico e, quindi, è impensabile immaginare che il nostro Paese riesca a promuovere uno slancio anche della propria competitività, della propria produttività, e far crescere il proprio PIL senza occuparci della metà di esso. Peraltro, va aggiunto che l'altra metà di PIL, ovviamente, per essere innescata al meglio ha strettamente bisogno di quella parte pubblica e, ovviamente, mi riferisco al privato.
  Ci sono alcuni altri elementi di contesto che credo vadano considerati, perché se da un lato ci troviamo in una fase di grande ristrettezze economiche, lo abbiamo visto, per i conti dello Stato, ormai da molto tempo, non possiamo nemmeno dimenticare quali erano le condizioni che abbiamo ereditato alla fine del 2011, dall'altro, bisogna considerare che questa crisi ha avuto degli effetti estremamente significativi, rendendo i bisogni dei cittadini molto più complessi.
  Quindi, a fronte a di una ristrettezza economica, noi ci troviamo di fronte ad una macchina pubblica che dovrebbe garantire servizi diversi – e, peraltro, aggiuntivi – rispetto a prima.
  A questo aggiungerei un ulteriore elemento di contesto, che è dato dal fatto che in Italia, forse forzando, noi associamo due elementi: da un lato, il fatto che un cittadino paghi le tasse e dall'altro, che, in cambio del pagare le tasse, abbia i servizi pubblici. Ebbene, avere di fronte a noi una dinamica demografica che fa sì che il nostro Paese invecchierà sempre di più non è certo un elemento di poca complessità, di cui va proprio tenuto conto in questa grande riorganizzazione della pubblica amministrazione.
  Sempre riguardo al contesto e al mandato politico, che veniva per così dire destinato a questo progetto di legge delega e di riforma della PA, si aggiunge il rapporto tra questo Governo e il Paese, il rapporto tra questo Governo e i cittadini. Tralasciando le espressioni più dure che Pag. 9sono state usate anche dal Presidente del Consiglio, a mio avviso appropriate, – per esempio, che occorrerebbe davvero qui la ruspa –, in realtà c’è un'espressione, sempre del Presidente del Consiglio, che mi ha colpito molto. È stato quando il Presidente del Consiglio ha detto: se il PIL non crescerà, noi non potremo, non dovremo pagare il premio ai dirigenti dello Stato. È del tutto ovvio che si tratta di una provocazione, ma è anche del tutto ovvio che si tratta di una provocazione che però coglie un tema e cioè il fatto che, a fronte di un'evidente difficoltà nell'attuazione delle politiche, è impensabile che un cittadino capisca per quale motivo debbano essere pagati – peraltro in molti casi al massimo – i premi ai dirigenti, cioè a quelle figure che dovrebbero avere la responsabilità massima dell'attuazione delle politiche al fianco dei politici.
  Credo che questi elementi servano per definire il mandato. La delega risponde a questo contesto, risponde a questo mandato ? Io credo di sì e credo di sì proprio perché c’è un combino disposto tra l'articolo 7 e l'articolo 9, che in qualche modo lascia intendere il disegno di un nuovo piano industriale. Cosa vuol dire fare un piano industriale della pubblica amministrazione ? Lo dico con molto rispetto verso chi ha una certa riluttanza a introdurre temi e argomenti aziendalistici, ma vuol dire sostanzialmente definire una strategia, ovvero andare a definire il perimetro del pubblico in ogni ambito, vuol dire farne derivare un'organizzazione e vuol dire, evidentemente, occuparsi delle persone che lavorano in quell'organizzazione.
  Questi tre passaggi logici sono a mio avviso ben contemperati nell'articolo 7, in cui soprattutto all'inizio si parla di riorganizzazione dello Stato centrale e di quello periferico, nella logica di andare ad individuare quali siano gli uffici che hanno più stretta correlazione con i bisogni della collettività, anche lasciando intendere – ed io mi auguro che vada esattamente in questa direzione – che, a seguito di questa valutazione e di questa riorganizzazione, si vada ad individuare dove ci saranno delle sovrapposizioni e dove investire anche più soldi e di mettere in moto meccanismi, di rafforzamento di alcuni settori e di indebolimento di altri che si ritengano meno rilevanti.
  Con questo, come dicevo, fa il paio l'articolo 9, perché lo spirito e il vero punto di fondo di questa riforma è quella parte che riguarda l'articolo 9, dove noi andiamo a rivoluzionare il sistema della dirigenza pubblica, partendo da un assunto e cioè che, investendo sulle persone, coloro che hanno maggiore responsabilità dentro la macchina pubblica, inevitabilmente si possa innescare un processo anche di riorganizzazione degli staff, delle organizzazioni e dei comparti che questi dirigenti dirigono. Io penso che sia stato coraggioso l'intervento del Ministro Madia, che c’è in questa delega, e cioè quello di arrivare a tre albi unici.
  Credo che sia stato coraggioso lavorare come si è lavorato sul testo per rafforzare il rango istituzionale e, per così dire, il valore anche etico e morale e in termini di capacità di funzionamento delle tre commissioni che avranno il compito di andare ad individuare, luogo per luogo, qual sia il migliore profilo possibile e qual sia il migliore dirigente possibile per assumere quel profilo che viene richiesto da qualsiasi amministrazione.
  Come anche credo sarà importante rivedere le funzioni di tutta la catena. Mi riferisco a reclutamento, formazione e valutazione. In questo trovo importante, altrettanto importante, capire meglio su cosa voglia dire rivedere le funzioni e il compito della scuola nazionale dell'amministrazione, che credo debba essere fortemente rifondata e meglio rispondere a due esigenze.
  La prima è che l'Italia non è solo il centro, l'Italia è non solo un insieme di differenti livelli istituzionali e di amministrazione, ma anche un luogo fatto di tante diversità. Le competenze che ha il management pubblico in Lombardia, nella mia regione, sono diverse da quelle che ci sono in un'altra regione d'Italia, ovviamente così vale, viceversa, in altri settori. Questo è un elemento che la SNA dovrà Pag. 10tenere in considerazione, come dovrà tenere in considerazione il fatto che la politica formativa non può essere predisposta con arroganza dal centro, ma può essere predisposta in stretta correlazione con le migliori università che sanno insegnare management pubblico in diverse parti d'Italia.
  Infine, vi è la questione della valutazione. Io trovo fondamentale che, sia per accedere all'albo unico della dirigenza sia per decadere dall'albo unico, il tema della valutazione assuma un'importanza rilevante. Infatti, non si può pensare di aver individuato la persona giusta e di innescare un processo che ci consenti di individuare la persona giusta, senza immaginare che questa persona non tenga conto della valutazione che ha ottenuto.
  Detto questo, io concludo, Presidente. Si sono usate molte espressioni, molte metafore per raccontare la pubblica amministrazione italiana e si sono usate anche molte immagini, io ne ho trovata una particolarmente curiosa e appropriata, che è quella secondo la quale la pubblica amministrazione italiana assomiglierebbe ad un ippogrifo, cioè a quell'animale mitologico che avrebbe voglia di volare, ma deve fare i conti con la sua natura cavallina. Io credo che in questo caso il punto curioso e interessante, anche un grande ingaggio per tutti noi che stiamo promuovendo questa delega, non sia solo quello di valutare se le ali sono sufficienti per far volare un corpo così pesante come quello di un cavallo, ma anche quello di valutare se questo cavallo ha davvero voglia di volare.
  Io credo che la voglia di volare la dobbiamo mettere noi, sapendo che non basta il Governo, che promuove questa riforma, non basta questo Parlamento, che l'approva, ma serve una grande azione corale. Io sono convinto che la disponibilità mostrata dal Ministro Madia ci sarà altrettanto sia nella fase di stesura sia nella fase di esecuzione e di accompagnamento dei decreti attuativi, perché è lì che possiamo raccontare un cambio di paradigma. Infatti, abbiamo due strade: o dire quali sono i luoghi e i modi che raccontano di una PA arretrata, oppure dire che è proprio laddove si annida l'arretratezza e un ritardo che c’è la più grande opportunità di sviluppo.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rocco Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Grazie, signora Presidente. È paradossale che una riforma come quella delle amministrazioni pubbliche, considerata fondamentale dal Governo attualmente in carica, venga attuata con lo strumento delle deleghe a dodici mesi, estesi di altri dodici mesi nel caso molto probabile della necessità di interventi correttivi e integrativi ai decreti delegati. Per tali ragioni gli effetti saranno, se ci saranno, eccessivamente diluiti nel tempo e non avranno, quindi, nessun carattere anticiclico, come invece il Governo afferma.
  Ma il difetto di fondo di questo provvedimento, tanto pubblicizzato e a cui l'Esecutivo ha attribuito effetti taumaturgici ai fini della ripresa economica e della spending review, è quello della assoluta genericità delle deleghe, che sono in palese contrasto con i principi costituzionali della delega legislativa, che prevede l'articolo 76 della Costituzione. La determinazione di principi e criteri direttivi è soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. Le deleghe previste riguardano l'universo mondo delle amministrazioni centrali, regionali e locali nonché gli enti pubblici. Sono quanto di più vasto possa immaginarsi, date le dimensioni pletoriche del nostro apparato amministrativo. E si è inserito anche qualche ultimo articolo da parte della Commissione. Mi riferisco, in particolare, all'articolo 15-bis, con cui si modifica l'intero assetto rispetto all'attuazione del procedimento amministrativo processuale da parte della Corte dei conti.
  Ma il difetto più grave è l'assoluta genericità delle deleghe, che per queste caratteristiche costituiscono una sorta di delega in bianco non solo per il Governo, ma soprattutto per l'alta burocrazia, che gestirà di fatto tutta l'operazione, salvaguardando il proprio grande potere autoreferenziale.Pag. 11
  C’è da dire in sostanza che, al di là delle intenzioni dello stesso Governo, tutta l'operazione si tradurrà in un nulla di fatto, lasciando intatti gli attuali assetti di potere e facendo perdere al Paese un'ennesima occasione per avere finalmente una pubblica amministrazione efficiente ed al passo con i tempi.
  Mai come in questo caso occorreva rinunciare al comodo espediente di ricorrere al sistema delle deleghe legislative che troppo spesso il legislatore utilizza quando affronta materie complesse. Sarebbe stato necessario un maggiore impegno sotto il profilo della tecnica legislativa predisponendo norme direttamente applicabili anche perché è assolutamente controproducente e dannoso affidare l'elaborazione delle norme delegate a persone che saranno poi oggetto di quelle stesse norme. Data la natura di questo disegno di legge, vanno del tutto in fumo le promesse del Governo di ottenere consistenti risparmi di spesa attraverso questa riforma che avrà effetti molto diluiti nel tempo e quindi cadono le aspettative su questo importantissimo versante, anzi l'introduzione di una clausola di salvaguardia per impedire aumenti di spesa fa addirittura intravedere il timore del Governo di un aggravio di spesa per effetto di questa riforma e sempre che il Governo riesca a procedere poi e ad attuare, a dar vita alle deleghe che è previsto che debbano essere emanate in base a questo disegno di legge perché spesso e ben volentieri non vengono esercitate.
  Un'ulteriore notazione di carattere generale va fatta sul mancato effetto di semplificazione di questo disegno di legge. La molteplicità e complessità delle deleghe, la loro genericità che rasenta la vaghezza, il fatto che si sovrappongano a leggi di riforma varate anche di recente con cui peraltro nemmeno si coordinano, lascia intravedere una assoluta superficialità ed inconsistenza delle deleghe che non sono affatto idonee a conseguire quella drastica semplificazione della struttura e del modus operandi delle pubbliche amministrazioni il cui peso e la cui inefficienza opprime i singoli cittadini ed ostacola le attività economiche disincentivando fortemente gli investimenti produttivi interni ed esteri e quindi le possibilità di sviluppo del nostro Paese. È a tutti noto che le pubbliche amministrazioni a livello centrale, regionale e locale così come sono strutturate e così come operano rappresentano una palla al piede per l'economia del Paese e peggiorano in vari modi la qualità della vita dei cittadini. I dirigenti sono troppo spesso autoreferenziali e i dipendenti pubblici in molti casi non si dimostrano consapevoli del fatto che le pubbliche amministrazioni hanno come ragion d'essere l'utilità dei cittadini di cui sono al servizio anche perché sono i cittadini stessi che con le proprie tasse finanziano gli stipendi dei dipendenti pubblici. A volte i burocrati trattano i cittadini come sudditi e questo atteggiamento è intollerabile e deve finire ma non credo che il provvedimento al nostro esame possa raggiungere tale scopo in quanto attribuisce troppo spazio nell'elaborazione dei decreti delegati alla medesima burocrazia che certamente non ha alcun interesse a ridimensionare le proprie sfere di influenza.
  Se passiamo ad osservare da vicino questo provvedimento, c’è da osservare ad esempio in materia di ulteriore digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni e dei rapporti tra queste e i cittadini che si prevedono deleghe dirette ad implementare la digitalizzazione senza però fornire le risorse necessarie e caratterizzate da una genericità imbarazzante. Cosa significa infatti ridefinire e semplificare i procedimenti amministrativi oppure coordinare e razionalizzare le vigenti disposizioni in materia di identificazione, comunicazione e autenticazione in rete ? Tutto e niente per di più in una materia alquanto delicata. Anche la norma, questa volta opportuna almeno nelle finalità, diretta a razionalizzare e semplificare le conferenze di servizi perde ogni utilità in quanto contenuta nella delega con scadenza 12 mesi prorogabili di altri 12 per eventuali modifiche o integrazioni. Si tratta di una tempistica molto ampia in quanto le conferenze di servizi dovrebbero Pag. 12essere drasticamente ridotte nel numero e nei tempi e semplificate da subito e non tra 24 mesi. Lo stesso discorso si può fare per un'altra norma potenzialmente utile come quella riguardante la segnalazione certificata d'inizio attività e il silenzio assenso.
  Una critica di metodo va poi fatta all'articolo 6 che reca disposizioni per la prevenzione della corruzione. Ora, al di là dell'obiettivo che certamente condividiamo, c’è da osservare che assistiamo ad un continuo affastellarsi di norme su tale tema che creano confusione e difficoltà interpretative. Non si comprende evidentemente, o non si vuol comprendere, che non servono tante disposizioni che si sovrappongono, ma poche misure dirette a ridurre drasticamente il potere discrezionale della pubblica amministrazione e dei pubblici dipendenti fissando con chiarezza diritti e doveri dei cittadini e tempi determinati per completamento di ogni procedimento amministrativo. A tal proposito aggiungo pure che il Governo e la maggioranza hanno perso un'ulteriore occasione: rafforzare i quasi attuali inesistenti controlli delle pubbliche amministrazioni soprattutto rispetto a quello che riguarda la spesa pubblica.
  È fin troppo evidente, si è dimostrato, soprattutto negli ultimi dieci anni, che i fenomeni di corruzione sono esplosi in maniera considerevole e inarrestabile; possono farsi mille norme, qui in Parlamento, di natura repressiva rispetto alla corruzione, ma non avranno alcun effetto fintantoché il Governo e la maggioranza non ripristineranno i controlli preventivi sugli atti per la spesa pubblica, e anche in questo caso non ce n’è traccia rispetto a questa grande necessità, ineludibile. Quindi, è inutile parlare di altre norme che si sovrappongono alle precedenti, citando e chiedendo suggerimenti continui a Cantone e a chissà chi altro; abbiate il coraggio di ammettere che la modifica del Titolo V, insieme alle tante altre nefandezze, ha fatto più danno – tanto da richiederne la correzione – con l'eliminazione dei controlli nelle pubbliche amministrazioni delle due guerre mondiali messe insieme, dal punto di vista della spesa pubblica nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente). Se non si pone mano a questa correzione, diventa del tutto inutile, anche, questo provvedimento.
  Per quanto, poi, riguarda la riorganizzazione della struttura dello Stato c’è da rilevare in senso critico una eccessiva concentrazione del potere presso la Presidenza del Consiglio che noi non condividiamo, mentre appare utile l'obiettivo di ridimensionare gli uffici a livello centrale e periferico, rimuovendo eventuali duplicazioni di struttura e di funzioni di grande importanza nell'ambito del coordinamento delle funzioni di polizia, al fine di evitare sovrapposizioni e duplicazioni; così come per noi appare utile la salvaguardia della peculiarità del ruolo specifico del Corpo forestale dello Stato che deve rimanere e mantenere la propria autonomia.
  Particolarmente negativa è la parte del provvedimento che riguarda la dirigenza pubblica; mi riferisco, in particolare, all'istituzione di un ruolo unico dei dirigenti statali presso la Presidenza del Consiglio che prefigura la volontà di un controllo politico sulla carriera dei dirigenti. Tale intendimento è confermato dalla costituzione presso il dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio di una commissione per la dirigenza statale, composta da persone che rispondano a caratteristiche del tutto generiche o con funzioni non chiaramente definite. Tale commissione avrà l'evidente compito di esercitare un controllo di carattere politico sui dirigenti statali che vedranno così drasticamente ridotta la propria indipendenza. Anche a livello di regioni e di enti locali viene replicato il modello di un ruolo unico dei dirigenti regionali e comunali per il quale valgono le medesime considerazioni e valutazioni negative formulate per il ruolo unico dei dirigenti statali.
  Anche nei settori cruciali della semplificazione in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, delle partecipazioni societarie delle amministrazioni Pag. 13pubbliche e dei servizi pubblici di interesse economico generale, le deleghe sono estremamente generiche e tali da dare luogo a sbocchi normativi del tutto imprevedibili che sottraggono al Parlamento la funzione di legiferare compiutamente in tale importanti materie.
  Come si vede, questo disegno di legge varato dal Governo, come punto fondamentale del proprio programma di riforma, appare del tutto inadeguato a raggiungere l'obiettivo che si prefigge che è quello di semplificare e rendere più efficienti le amministrazioni pubbliche, centrali, regionali e locali, nonché gli enti pubblici. Inoltre, appare del tutto aleatorio il raggiungimento di un'altra finalità prospettata dal Governo e cioè quella di ottenere risparmi di spesa consistenti con la riforma delle pubbliche amministrazioni. Ora, tutto questo è caduto nel nulla, tanto che il Governo ha avvertito la necessità di introdurre una sorta di clausola di salvaguardia finanziaria all'articolo 18 del provvedimento, disponendo che dall'attuazione dei decreti delegati non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ma allora ci chiediamo, dove sono finiti i risparmi di spesa ? Anche per questa ragione la nostra valutazione sul provvedimento è fortemente critica e su di esso abbiamo presentato una ben motivata pregiudiziale di costituzionalità che, peraltro, il Parlamento ha valutato in maniera negativa; ma, per noi, tutte le riserve rimangono intatte.
  In conclusione, signora Presidente, vorrei aggiungere due annotazioni. In maniera provvidenziale la Commissione, all'ultimo momento – grazie al relatore molto attento da questo punto di vista, il collega, onorevole Carbone – ha sventato, rispetto anche al contesto, una modifica che spesso e ben volentieri ritorna, come un ritornello, in riferimento al ruolo, all'ubicazione, alle funzioni della Ragioneria generale dello Stato nel nostro Paese. Sia ben chiaro che dal momento dell'introduzione della moneta unica e della perdita della sovranità monetaria nazionale non c’è dubbio che un contesto di interfaccia credibile dell'Europa sia un punto fermo e deve essere un punto fermo.
  In questo senso, la Ragioneria generale dello Stato rappresenta e continua a rappresentare – per quanto, spesso e ben volentieri, nelle Commissioni, da parte di diversi colleghi, anche da esponenti del mio gruppo, venga criticata – l'unico baluardo di controllo, di tutela e di tenuta della spesa pubblica e dei conti pubblici del nostro Paese. Il Presidente del Consiglio in primis, ma comunque la Presidenza e il Governo, spesso e ben volentieri si pone l'obiettivo di smontare questa struttura e di portarla alla Presidenza del Consiglio. Io penso che bisogna qui aprire una riflessione, signora Presidente, in maniera molto seria, che riguarda non solo, ad onor del vero, il Governo nazionale, ma anche le regioni. È fin troppo evidente che, stante l'attuale situazione di funzionamento rispetto alla situazione dei conti pubblici e quant'altro, la struttura del Ministero dell'economia a livello nazionale e degli assessorati al bilancio a livello regionale, è una struttura sovraordinata a tutto, anche ai presidenti di regione e al Presidente del Consiglio. Allora, se si vuole fare un discorso serio, facciamolo, perché l'argomento esiste, la riflessione e il problema c’è tutto: è giusto che la Presidenza del Consiglio, il Premier o i presidenti delle regioni abbiano una sovrastruttura sovraordinata a loro che riguarda la tutela dei conti pubblici, in questo caso la Ragioneria generale dello Stato ? Siccome c’è questo problema, lo si affronti, ma lo si affronti senza smontare le funzioni della Ragioneria generale dello Stato, senza far credere, cercare o tentare di mitigare il ruolo della Ragioneria generale dello Stato nella maniera più assoluta. Si faccia una riflessione e si determini questo aspetto. L'altro elemento è che è fin troppo evidente che nel nostro Paese tutto ciò che riguarda l'interfaccia tra cittadino, impresa, professioni e pubblica amministrazione è diventato nel tempo un problema veramente molto serio. La pubblica amministrazione è diventata un ostacolo a tutto e non credo che sia la strada migliore Pag. 14possibile quella che ha intrapreso il Governo, normando continuamente su questi aspetti. Bisogna cercare anche qui di avere il coraggio, dopo grossomodo venticinque anni circa, di fare il punto.
  Abbiamo una storia nel nostro Paese. La storia di modifica, di cambio di passo rispetto al passato, all'interno del nostro Paese, inizia con la legge n. 142 del 1990, la riforma delle autonomie locali e la separazione tra il potere politico e il potere gestionale, il potere burocratico; poi la legge n. 241 del 1990, sulla trasparenza e tutto quello che riguarda il procedimento amministrativo, per seguire anche successivamente con altre riforme che hanno avuto un impatto enorme, cioè la modifica del Titolo V. Nel frattempo, nell'infrastrutturazione stessa dell'impalcatura dello Stato, in riferimento anche alla spesa pubblica, fu approvata la legge delega n. 421 del 1992, ma con quattro deleghe, che affrontavano tutto il problema. È inutile affrontare la pubblica amministrazione, dove c’è di tutto e non c’è niente. Bisogna avere il coraggio di affrontare il problema in maniera organica, come fu fatto allora, perché c'era la trave portante su cui poi si è costruito l'ingresso in Europa.
  Certamente, a venticinque anni di distanza è fin troppo evidente, per una serie di motivazioni, che si è incagliato tutto. Soprattutto, c’è una continua contrapposizione: non si sa chi decide, chi deve decidere e chi è responsabile. C’è uno scaricabarile continuo con il Paese che è bloccato, con il piccolo quartiere che blocca il comune, il comune che blocca ciò che è rimasto delle province, le province che bloccano le regioni e con le regioni che bloccano il Governo o viceversa. Poi, quando c’è la sintesi e tutta questa filiera istituzionale è d'accordo, c’è il blocco democratico e, quando anche il blocco democratico non c’è, perché tutti sono d'accordo nel fare una cosa, interviene il blocco giudiziario. Questa è la situazione in cui è finito nel dramma e nella mancata crescita, da oltre dieci anni, il Paese.
  Bisogna avere il coraggio allora non di fare queste piccole leggine, ma di intervenire nuovamente sulla pubblica amministrazione così come fu fatto all'epoca: la modifica del pubblico impiego con il decreto legislativo n. 29 del 1993; la modifica del Servizio sanitario nazionale; la modifica della previdenza, sulla quale ogni legge introduce un articoletto e ora si vedono anche le interferenze del nuovo presidente dell'Inps che per mettersi in mostra lancia una serie di questioni che nessuno comprende e una serie di allarmi che preoccupano tutta la popolazione; la modifica ineludibile della finanza territoriale. A tale proposito non si sente più parlare della local tax, si sa qualcosa, c’è qualche idea, oppure si arriva nuovamente impreparati di fronte ad un problema così grande ? Davanti ad una situazione così compromessa vi è un diluvio di norme e deleghe che continuano non a semplificare la vita degli italiani e delle imprese, del mondo produttivo del Paese, ma addirittura a complicarlo. Per questo motivo noi abbiamo un giudizio molto critico rispetto a questa riforma, purtroppo ancora una volta si perde una grande occasione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Piso. Ne ha facoltà.

  VINCENZO PISO. Grazie, Presidente. Devo dire che alcuni spunti forniti dal collega Palese mi sembrano decisamente interessanti, spero che vi sarà occasione poi per ritornarci sopra, anche se bisogna riconoscere che purtroppo in Italia siamo dinanzi ad un sistema bloccato nel suo complesso e quello che oggi si lamenta – questa eccessiva delega al Governo – deriva anche in parte dallo stato in cui versa anche questo nostro Parlamento, con una serie di regolamenti assolutamente assurdi, che definire ottocenteschi è già un eufemismo, che impongono ritmi di lavoro e un modo di lavorare allucinante nell'epoca della globalizzazione. Basterebbe pensare al tempo che noi perdiamo nell'affrontare atti sostanzialmente molto poco utili, anche qui uso un eufemismo, come gli ordini del giorno.Pag. 15
  Torno però al tema in questione, ovvero la riforma della pubblica amministrazione, a questo disegno di legge e la relativa delega al Governo. La riforma della pubblica amministrazione costituisce uno dei punti essenziali per l'attività del Governo, la Commissione europea, infatti, nell'ambito delle raccomandazioni al nostro Paese per il coordinamento delle politiche economiche ci ha sollecitato ad attuarla proprio per assicurare il suo ammodernamento, la sua efficienza e per recuperare competitività. Pertanto, l'esecutivo con questo disegno di legge indirizza la sua attività verso la riforma di un settore, quello della pubblica amministrazione, che costituisce uno dei fattori strutturali più in ritardo nel nostro Paese. Spesso la pubblica amministrazione è stata concepita, diciamocelo chiaramente, specialmente durante la Prima Repubblica, ma ancora oggi ne paghiamo le conseguenze, come una sorta di ammortizzatore sociale. Nel corso degli anni, in effetti, è stata spesso annunciata una serie di riforme che non sono mai poi giunte a compimento. Il disegno di legge approvato dal Senato pertanto costituisce un elemento essenziale per modernizzare il nostro apparato amministrativo. Noi, lo dico in maniera molto chiara, non pensiamo che questa riforma sia la panacea, ma sicuramente rappresenta un elemento di sblocco di un sistema che sta rischiando ogni giorno di più di avvitarsi su se stesso, come avviluppato da una serie di concrezioni, e questa delega al Governo è un modo per cercare di superare questa fase di stallo. Un apparato elefantiaco, che non permette l'indispensabile rapporto diretto fra cittadini, imprese e pubblica amministrazione, elemento fondamentale per fornire un servizio efficace ed efficiente alla collettività. È noto come gli intralci burocratici, le inefficienze, i ritardi della pubblica amministrazione costituiscono uno, non l'unico, dei fattori negativi che rallentano lo sviluppo economico e disincentiva gli investimenti nel nostro Paese. Questo disegno di riforma non ha smarrito nel corso dell'esame parlamentare il suo aspetto riformista che, al contrario, è stato migliorato anche grazie ad alcuni emendamenti di Area Popolare.
  Il disegno di legge è composto da una serie di deleghe, quindi di uno strumento significativo per portare a compimento un'opera di rinnovamento dell'assetto della pubblica amministrazione, e di alcuni procedimenti di importanza cruciale ai fini dell'efficacia e dell'efficienza dell'azione amministrativa, come, ad esempio, la conferenza di servizi, o ai fini, come già ricordato sopra, del rapporto fra cittadini e pubblica amministrazione, come, ad esempio, le procedure semplificate basate sul silenzio assenso.
  Il disegno di legge contiene una serie di norme che si riveleranno fondamentali in futuro; è il caso della disciplina sulla cittadinanza digitale, che rappresenta il punto di interconnessione di una serie di processi di digitalizzazione di procedure amministrative di fondamentale importanza, come l'anagrafe digitale.
  Altro punto qualificante del provvedimento riguarda la delega che apre un intervento nel settore della ricerca, con l'obiettivo di dare più libertà e forza a un ambito che costituisce elemento fondamentale per lo sviluppo della nostra economia e per la crescita del Paese. È questo un elemento positivo di cui ci renderemo conto, penso, negli anni a venire.
  Va anche detto che il disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione costituisce il tassello di un lavoro a più tappe che sta caratterizzando il corso di questa legislatura. Siamo all'inizio di un lungo percorso.
  Altro elemento che voglio raccogliere dal collega Palese è quello riguardante il Titolo V, che va assolutamente rivisto, perché comporta una serie di problemi in un sistema, come abbiamo detto poc'anzi, farraginoso. Infatti, in particolare con il decreto-legge n. 90 del 2014 e con il decreto-legge n. 101 del 2013, è stata approvata una serie di misure in materia di razionalizzazione della spesa delle pubbliche amministrazione, inclusi interventi in materia di conferimento di incarichi dirigenziali e di rafforzamento della prevenzione Pag. 16della corruzione all'interno della pubblica amministrazione, anche mediante una nuova disciplina della trasparenza amministrativa. Con questi interventi normativi è stata introdotta una serie di obiettivi di semplificazione procedimentale e di interventi di riforma strutturale relativi, fra gli altri, all'organizzazione degli uffici centrali e di quelli territoriali dei ministeri e degli enti pubblici non economici nazionali, alla disciplina della dirigenza pubblica e del procedimento amministrativo, nonché alla disciplina del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione.
  In questo quadro deve essere collocata la previsione inserita nel disegno di legge secondo la quale occorrerà introdurre una maggiore flessibilità nella disciplina relativa all'organizzazione dei ministeri, da realizzare con la semplificazione dei procedimenti di adozione dei regolamenti di organizzazione, anche modificandone la forma giuridica.
  Sotto il profilo della semplificazione va evidenziata la norma, inserita durante l'esame alla Camera, che prevede la riorganizzazione, la razionalizzazione e la semplificazione della disciplina concernente le autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, con particolare riferimento al numero, all'individuazione di autorità di sistema nonché alla governance e alla semplificazione ed unificazione delle procedure doganali e amministrative. Questa previsione normativa va messa in connessione con l'urgente necessità di un'incisiva riforma del settore portuale, al fine di promuovere la concorrenza e il mercato e l'incremento dei volumi dei traffici a beneficio dell'intera economia del Paese. Un settore, quello portuale, che potrebbe rappresentare un volano economico straordinario, ma che rimane impigliato da veri e propri vincoli, che necessariamente devono essere superati.
  In questo ambito sono state coordinate le attività di tutte le amministrazioni che operano in mare, sia in termini di soccorso che di controllo e contrasto delle attività illecite. Tuttavia, grazie all'azione anche di Area Popolare, questo maggior coordinamento sarà realizzato senza che la Guardia costiera passi sotto il controllo della Marina militare, lasciando pertanto alle Capitanerie uno strumento indispensabile per le proprie attività in mare.
  Sempre con l'obiettivo della semplificazione dell'apparato amministrativo, vanno ricordate le disposizioni concernenti la razionalizzazione delle camere di commercio, per le quali si prevede una riduzione dalle attuali centocinque a una sessantina. Il lavoro in Commissione, in particolare anche con i nostri emendamenti, ha portato alcuni sostanziali miglioramenti, come la riduzione da 80 mila a 75 mila delle imprese quale bacino di utenza minimo delle camere di commercio e l'introduzione di criteri per il principio di individuazione del fabbisogno finanziario connesso alla sostenibilità economica nonché la necessità di tenere conto delle specificità geo-economiche dei territori. È stato poi stabilito che per le operazioni di accorpamento sarà assicurata la neutralità fiscale.
  Apprezzabile è pure lo sforzo di semplificazione e di razionalizzazione effettuato con l'articolo concernente la dirigenza pubblica e la creazione dei ruoli unici.
  Questa norma infatti, che era attesa da anni, ha lo scopo di introdurre flessibilità e di elevare il livello di responsabilità dei dirigenti per il loro operato, che risulta piuttosto basso nel nostro sistema amministrativo. Una serie di misure pertanto sono volte a semplificare l'amministrazione e la sua azione, a garantire la trasparenza con azioni concrete, a sostenere al meglio la professionalità di coloro che operano al suo interno, garantendo il corretto utilizzo delle risorse finanziarie e proseguendo in tale ottica nella revisione della spesa pubblica e nel contrasto alla corruzione.
  Alcune note poi sulle società partecipate dagli enti locali, altra nota dolente del sistema Italia. Il «piano Cottarelli» prevedeva la loro riduzione da circa 8 mila a mille. Area Popolare ha sempre lavorato in questa direzione, in quanto la razionalizzazione, Pag. 17per non dire il drastico sfoltimento delle partecipate, è centrale nell'ambito della spending review: preferiamo tagliare le partecipate, piuttosto che tagliare le agevolazioni fiscali alle imprese e alle famiglie, e non senza ragione. Peraltro, mi permetto di dire che questa contrapposizione non è neanche troppo corretta perché, quando si tagliano delle partecipate che rappresentano poco più di loro stesse, non credo che ci sia bisogno neanche di questa contrapposizione.
  Le oltre settemila aziende nelle quali le amministrazioni locali detengono una quota, generano 22,7 miliardi di oneri a carico dei contribuenti, ma sei aziende su dieci non erogano servizi pubblici. Nel corso della discussione della legge di stabilità per il 2015 è stato approvato un emendamento, sempre del nostro partito, con il quale si stabiliva l'immediata chiusura delle partecipate strutturate con soli amministratori o che fossero costituite da un numero di dipendenti inferiore a quello degli amministratori stessi, ma la norma è inattuata, perché non esiste la sanzione a carico delle amministrazioni inadempienti.
  Per questi motivi, Area Popolare ha presentato un emendamento alla delega in esame, con il quale si chiede che alle amministrazioni inadempienti vengano tagliati, quali sanzioni, i trasferimenti dallo Stato, emendamento non approvato, ma che abbiamo ripresentato per il dibattito d'Aula. Tuttavia, il disegno di legge in esame contiene già diversi elementi positivi per quel che riguarda la razionalizzazione delle partecipate. Aspetti positivi sono: il bilancio consolidato di gruppo, tra l'ente pubblico e l'insieme delle sue partecipate; il rafforzamento dei criteri pubblicistici per gli acquisti e il reclutamento del personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche retributive finalizzati al contenimento dei costi; la precisa definizione del regime delle responsabilità delle amministrazioni partecipanti e degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate; l'introduzione di criteri di valutazione oggettivi dell'attività delle partecipate, rapportati al valore anche economico dei risultati; la previsione dell'obbligo di pubblicazione dei dati economico-patrimoniali e di indicatori di efficienza sulla base di modelli generali che consentano il confronto.
  Il lavoro di Commissione, nel corso del quale sono stati approvati diversi emendamenti di Area Popolare sul tema in questione, ha aggiunto ulteriori elementi positivi alle previsioni già definite: l'applicazione dei principi di razionalizzazione anche alle partecipate già in essere; l'obbligo delle partecipate di gestire attività tramite partecipate entro il perimetro dei compiti istituzionali o di ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti, quali la gestione di servizi di interesse economico generale; l'individuazione di un numero massimo di esercizi con perdite di bilancio che comportino obblighi di liquidazione delle società (se non erro e non ricordo male, tre esercizi); la previsione che la parte variabile dello stipendio degli amministratori delle partecipate sia collegata ai risultati, anche se in realtà Area Popolare aveva chiesto la rimozione degli amministratori incapaci.
  Per quanto concerne le principali innovazioni apportate al settore della pubblica amministrazione dal provvedimento, desidero evidenziare innanzitutto le misure prese in materia di amministrazione digitale. Il principio di un'amministrazione digitale aperta e trasparente, in realtà, non serve solo a garantire l'efficiente fruizione dei servizi alla persona, oltre che l'accesso agli atti e ai documenti che interessano il singolo cittadino, ma soprattutto assicura il massimo controllo sociale sulle scelte amministrative, nonché sull'effettivo utilizzo del denaro pubblico.
  Non meno importante è quanto previsto in tema di conferenza di servizi. Infatti, con riferimento alle amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, della salute o della pubblica incolumità, è passato il principio che impone in ogni caso la conclusione del procedimento entro i termini previsti, anche nel caso in cui vi sia la possibilità di attivare procedure di riesame.Pag. 18
  Trasparenza ed efficienza dei servizi sono concetti che non possono non rimandare ad un altro tema importante nell'ambito della pubblica amministrazione, ovvero il contrasto alla corruzione.
  La possibilità concreta di controllare l'operato degli amministratori e l'utilizzo corretto delle risorse a disposizione costituisce, infatti, un pilastro fondamentale nella lotta alla corruzione. Il fatto, quindi, che sia passato il principio del controllo di gestione, della verifica della condotta degli amministratori e dell'utilizzo efficiente delle risorse pubbliche, non può che essere considerato come un passo importante nella direzione della completa trasparenza dell'apparato amministrativo e della ferma opposizione a qualsiasi forma di corruzione, d'inefficienza e di spreco di denaro pubblico.
  Sempre in tema di rafforzamento dell'efficienza all'interno della pubblica amministrazione, grazie ai nostri emendamenti sono state previste forme obbligatorie di gestione associata, con il rafforzamento del coordinamento tra Corpo delle capitanerie di porto e Marina militare, con il Capo di stato maggiore di quest'ultima che ne assume le funzioni di comandante generale.
  Un nostro emendamento, sempre in tema di accorpamento di funzioni allo scopo di rendere la macchina amministrativa più efficiente, riguarda il PRA e la motorizzazione. Scopo dell'emendamento è quello di pervenire ad un accorpamento, cui si dovrà procedere solamente previa valutazione attenta della sostenibilità organizzativa ed economica delle medesime funzioni svolte dagli uffici del pubblico registro automobilistico. Non, quindi, un processo di accorpamento alla cieca, ma un processo che tenga conto della compatibilità delle funzioni aggregate e della effettiva possibilità di giungere ad un maggiore livello di efficienza da parte degli uffici interessati.
  Voglio, poi, concludere questo mio intervento a proposito di un principio che è riportato in questa nota e che riguarda, appunto, il riordino delle funzioni di polizia ambientale, con la conseguente riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato e un suo eventuale assorbimento in altra forza di polizia, ferma restando la garanzia del mantenimento degli attuali livelli di tutela ambientale, la salvaguardia delle professionalità esistenti e il mantenimento della corrispondenza tra funzioni trasferite e transito di personale.
  Il nostro gruppo parlamentare ha presentato una serie di emendamenti al riguardo ed è nostro avviso che il Corpo forestale debba mantenere una sua specificità, per la sua importanza storica e funzionale. Su questo mi sento anche di dire che la riforma deve essere più attenta a sollecitare gli aspetti qualitativi e non quelli di carattere quantitativo. Non so come questa vicenda della forestale, che è un corpo storico del nostro Paese, andrà a finire e quale sarà il punto di caduta ultimo, ma comunque noi crediamo che su questo aspetto vada fatta una riflessione molto approfondita, proprio per un discorso relativo alla qualità che esprime questa importante forza di tutela ambientale e proprio perché noi riteniamo sia opportuno intervenire, come ricordavo prima, in termini qualitativi all'interno della pubblica amministrazione. Per cui, anche in caso di necessità di andare a sviluppare un processo di razionalizzazione, attenzione a non mettere insieme situazioni che cozzano fra di loro.
  Per cui, ritornando all'intervento relativo al provvedimento del quale stiamo discutendo, anche in virtù di quello che ho ricordato in questo mio intervento, noi riteniamo, appunto, che questo disegno di legge abbia una vastità e una pluralità di ambiti di intervento che dovrebbero aiutare effettivamente a sbloccare una situazione che, per troppi anni, in questo nostro Paese, è stata assolutamente bloccata. Per questo esprimiamo, rispetto al complesso del provvedimento, un parere assolutamente positivo e, chiaramente, un comportamento, in Aula, che sarà consequenziale a questa nostra idea.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zaccagnini. Ne ha facoltà.

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  ADRIANO ZACCAGNINI. Grazie, Presidente. Ministro, già il collega Quaranta ha espresso bene i rilievi critici sulla riforma nel suo complesso. Io, invece, mi soffermerò esclusivamente sulla parte relativa al Corpo forestale dello Stato.
  Il Corpo forestale dello Stato, com’è risaputo, ha una grande importanza per i servizi di indagine e di polizia che svolge e si è occupato di varie tematiche, dalla lotta agli OGM al campionamento dei campi, alla possibilità di intervenire, insieme alle procure, per porre rimedio a coltivazioni illecite.
  Sappiamo l'intervento che ha fatto nella Terra dei fuochi, la responsabilità che ha, sul caso degli ulivi, della Xylella, dove c’è stato il commissariamento e la questione è stata affidata al commissario Silletti del Corpo forestale.
  Anche la questione delle discariche viene spesso portata alla luce grazie all'attività del Corpo forestale, le discariche illecite soprattutto, o i controlli dei materiali che vi vengono interrati. Il Corpo forestale ha una grande importanza anche per quanto riguarda il dissesto idrogeologico, quindi la possibilità di tenere il territorio in maniera più consona a quello che dovrebbe essere, soprattutto in alcune sue parti dove sono possibili frane o fenomeni alluvionali. Inoltre, il Corpo forestale gestisce parchi e riserve naturali e, in particolare, li protegge dal taglio indiscriminato dei boschi tutelati.
  Sappiamo bene come ci siano delle situazioni critiche, come quella della regione Calabria, dove c’è un grande numero di forestali, in maniera totalmente sproporzionata rispetto a quello delle altre regioni; quindi, ci sono sicuramente delle storture e delle parti su cui è necessario intervenire, ma, proprio per l'introduzione, come è stato già detto, delle norme sugli ecoreati e per queste nuove fattispecie di reato, il Corpo forestale è centrale nella possibilità che queste vengano poi applicate e affinché le attività di indagine si esplichino nei territori in maniera efficiente.
  I controlli migliori del mondo sull'agroalimentare li abbiamo proprio noi. Proprio il nostro Paese ha i migliori controlli al mondo sull'agroalimentare e forse è anche per questo che in qualche maniera siamo riusciti a salvaguardare un grande patrimonio, quello del cibo e del made in Italy, che è un grande volano anche per l’export. Ma in una fase storica come questa, quella della globalizzazione, in cui c’è una grande movimentazione di merci, servono più controlli, Ministro, servono soprattutto quando abbiamo l'ingresso di tante piante e parassiti. Il Corpo forestale svolge un'azione molto importante rispetto all'entrata di nuove merci e di nuove partite di piante e animali e quindi di possibili parassiti. La sicurezza alimentare sostanzialmente dipende dall'azione efficace o meno del Corpo forestale, la sicurezza alimentare di questo Paese.
  Io credo che la condizione che era stata posta dalla nostra Commissione – una condizione, non era un'osservazione –, che richiede l'unitarietà del Corpo e soprattutto il mantenimento delle sue funzioni, sia una condizione di cui bisogna tenere conto. Io non capisco per quale motivo la I Commissione affari costituzionali sostanzialmente ha sorvolato sulla condizione di un'altra Commissione. C’è stata grande velocità nelle ultime settimane nei lavori delle Commissioni e probabilmente non c’è stato neanche il modo per riflettere adeguatamente su come addirittura si andava a razionalizzare il Corpo forestale.
  Questa riforma, quella delle forze dell'ordine, dovrebbe avere – lei, credo, concorderà – un carattere più complessivo e più organico. Se, comunque, si sta intervenendo esclusivamente sul Corpo forestale, è necessario che questa razionalizzazione avvenga nel mantenimento delle sue specificità e questo si può fare solo introducendo il mantenimento delle funzioni nel testo che è arrivato qua in Aula. Se riusciamo a introdurre questa parte – che c’è già, ma io credo che il mantenimento delle funzioni non sia adeguatamente specificato nel testo –, se però c’è l'intenzione di mantenerle, io credo non ci sia nulla che possa ostare nello specificarlo Pag. 20in maniera più adeguata, magari durante l'esame del provvedimento in Aula.
  Abbiamo presentato due emendamenti, siamo anche disponibili a delle riformulazioni, ma è importante che l'intenzione e il carattere del Corpo forestale vengano mantenuti.
  Non mi dilungo ulteriormente, perché, credo, le voci, anche dalla maggioranza, che cercano di specificare meglio la fine del Corpo forestale, la fine che dovrebbe fare, o meglio, la sua ripartenza, ci auguriamo, in un altro Corpo, sono tante. Quindi, mi auguro che lei abbia piena cognizione della formulazione che è stata portata qui in Aula, e quindi che, durante l'esame del provvedimento, riusciremo a trovare una correzione che salvaguardi realmente l'unitarietà e le funzioni del Corpo (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Pinna. Ne ha facoltà.

  PAOLA PINNA. Grazie, signora Presidente, signora Ministro, onorevoli colleghi, il disegno di legge che abbiamo esaminato in Commissione e che arriva oggi in Aula delega il Governo ad intervenire in maniera potenzialmente ampia e profonda sulla pubblica amministrazione. Fino ad ora ci si era limitati alla gestione parziale di problematiche complesse, come, ad esempio, il superamento del precariato, senza incidere sulle cause; ora si cerca di affrontarle alla radice.
  Il testo tocca molti aspetti fondamentali dell'organizzazione dello Stato e degli enti locali che hanno ripercussioni sulla vita quotidiana del cittadino che entra in contatto con l'amministrazione pubblica perché acquisisce servizi, perché aspira a lavorare al suo interno o, semplicemente, perché vuole sapere come sono state prese determinate decisioni, e quindi controllare e valutare l'operato dei suoi amministratori.
  La riforma della pubblica amministrazione è un'occasione da non perdere per recuperare credibilità presso i cittadini. Oggi prevale la rassegnazione: il sentimento sempre più diffuso è che tanto non cambierà mai niente, o peggio, se qualcosa cambierà, sarà per agevolare i politici, che non vogliono ostacoli all'esercizio del loro potere, piccolo o grande che sia, a qualsiasi livello amministrativo.
  La manifestazione più evidente a ogni tornata elettorale è la diserzione dal voto. Vari Governi hanno provato, nel tempo, a riformare l'apparato burocratico, senza ottenere, però, risultati tangibili nella direzione della semplificazione. La delega che l'attuale Governo chiede è molto ampia e con paletti poco stringenti; rimane da sperare in bene e scommettere sulle buone intenzioni di domani, perché sia l'interesse dei cittadini onesti a guidare l'azione riformatrice.
  Gli interventi del gruppo di Scelta Civica in Commissione si sono concentrati su alcuni aspetti: la semplificazione del procedimento amministrativo e la certezza dei tempi e delle decisioni, l'indipendenza dei dirigenti dal potere politico, la selezione dei dipendenti pubblici e la prevenzione del precariato, la riduzione delle società partecipate. L'obiettivo è il miglioramento della qualità delle prestazioni e dei servizi ai cittadini mediante criteri che garantiscano il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione.
  Il procedimento amministrativo, purtroppo, attualmente è molto confuso, soprattutto in regioni in cui alla normativa nazionale si affianca quella regionale. È il caso delle regioni a statuto speciale, come la Sardegna, che non tengono nella dovuta considerazione le difficoltà del personale amministrativo che si trova a lavorare con disposizioni contraddittorie e in continuo divenire, e tutto, ovviamente, si riversa sull'utente, che vorrebbe soltanto fare, nel modo più veloce possibile, ciò che la legge gli consente.
  Una normativa confusa e, a volte, poco determinata avvantaggia chi i diritti non li avrebbe, ma, nelle pieghe delle regole mai scritte, si insinua. Il risultato è che le amministrazioni pubbliche si trovano investite da una marea di ricorsi, che impegnano notevolmente i dipendenti, distogliendoli Pag. 21da attività che sarebbero produttive di servizi per i cittadini. Lo spirito degli emendamenti presentati è quello di rendere il procedimento amministrativo più veloce e dagli esiti certi, in tempi compatibili con quelli di uno Stato moderno e funzionante.
  In particolare, abbiamo proposto che alle conferenze dei servizi partecipi un unico rappresentante per qualsiasi amministrazione locale, disposizione introdotta per le amministrazioni statali. La locuzione «rappresentanza unitaria», utilizzata nella disposizione generale, potrebbe non essere sufficiente per costringere certe amministrazioni locali a mandare alle conferenze dei servizi un rappresentante per l'intera amministrazione, e non uno per ogni servizio, magari anche privo di potere decisionale.
  Si può immaginare quanto si risparmierebbe in termini di tempo e di risorse impegnate. L'istituto del silenzio-assenso, nel testo, è limitato ad amministrazioni preposte alla tutela della salute, del patrimonio storico-artistico e dell'ambiente.
  Non è chiaro perché si voglia tornare indietro rispetto a quanto disposto dalla legge n. 241 del 1990 che considerava acquisito l'assenso anche delle amministrazioni preposte alla tutela della pubblica incolumità e alla tutela paesaggistica territoriale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, nel caso non ci sia stata un'espressione di volontà. La mia proposta, che ripresento, è volta a dare certezza alle decisioni e superare l'indeterminatezza causata dalla lacuna delle disposizioni di cui all'articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990 sugli effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi. Si rende necessario precisare le tipologie di atti da adottare a conclusione del procedimento, in particolare in caso di rigetto dell'istanza, al fine di garantire l'adozione di un provvedimento espresso. Come segnalato da alcuni funzionari amministrativi, infatti, al termine della conferenza di servizi, si crea spesso una situazione di smarrimento e incertezza, non essendo chiaro quale sia l'atto che deve essere adottato da parte della pubblica amministrazione procedente nell'eventualità in cui l'istanza venga rigettata. Può sembrare ridondante, in quanto dovrebbe essere implicito che, nel caso in cui la procedura prevista dall'articolo 14-quater non dia esito positivo, l'amministrazione procedente automaticamente emani un provvedimento di rigetto dell'istanza, ma, se qualche funzionario ha richiesto una specificazione, evidentemente non c’è niente di ovvio ed è meglio aggiungere qualche parola in più.
  Tra gli aspetti positivi, cito alcune misure presenti nella legge delega. Le ipotesi di silenzio assenso, previste nell'ambito della conferenza dei servizi e nel procedimento ad istanza di parte, si allargano ai rapporti tra amministrazioni pubbliche, e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici, nei casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi o altri atti per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi. Il termine può essere interrotto per una sola volta, per esigenze istruttorie, o richieste di modifica. Quindi, si va nella giusta direzione di un'ulteriore semplificazione o snellimento del procedimento.
  Verrà adottata una disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa e saranno definite le modalità di presentazione e dei contenuti standard degli atti degli interessati e di svolgimento della procedura, nonché degli strumenti per documentare o attestare gli effetti prodotti dai predetti atti. Questa disposizione sarebbe particolarmente utile se la standardizzazione delle procedure fosse accolta in modo collaborativo a livello di ogni Regione. Mi riferisco ancora una volta, in particolare, a quelle a statuto speciale che potrebbero acquisire senza modifica o integrazioni le disposizioni previste, riservando il loro estro creativo ad ambiti in cui vale la pena distinguersi dallo Stato centrale, come ad esempio quello culturale.
  Relativamente all'autotutela amministrativa, la durata dell'eventuale sospensione dell'esecuzione del provvedimento per gravi ragioni, a seguito di una modifica introdotta dalla Commissione, è stata limitata Pag. 22al termine per l'esercizio del potere di annullamento, fissato in un periodo massimo di 18 mesi dall'adozione del provvedimento. Disposizione che si è resa necessaria perché, come segnalato anche da esperti nel corso delle audizioni svolte, attualmente molte amministrazioni sospendono i provvedimenti e, addirittura, i rapporti negoziali in essere senza prevedere termini, ovvero legandoli alla definizione di altri procedimenti.
  Per quanto riguarda la dirigenza, il ripristino del ruolo unico, già sperimentato con la riforma Bassanini dal 1999, e abbandonato pochi anni dopo, comporta il rischio di una omogeneizzazione e di un appiattimento delle professionalità esistenti. In alternativa al mantenimento dei ruoli separati, abbiamo proposto di stabilire un'articolazione dei ruoli unici in aree professionali, per garantire un'effettiva funzionalità del nuovo sistema della dirigenza pubblica. La decadenza dal ruolo dirigenziale, grazie al lavoro fatto in Commissione, è stata subordinata ad una valutazione negativa ed i suoi effetti sono mitigati dalla possibilità, per i dirigenti che rimangono privi di incarico, di essere ricollocati come funzionari all'interno della pubblica amministrazione. Entrambe le modifiche erano indicate nei nostri emendamenti. Forse bisognerebbe ancora specificare meglio i criteri di valutazione, in modo che vengano esclusi dalla valutazione stessa i dinieghi a compiere atti, dietro eccessiva pressione del potere politico, che il dirigente ritenga, con adeguata motivazione, illegittimi o inopportuni. Anche l'abolizione della figura del segretario comunale va nella direzione di generare una classe politica locale priva di controlli.
  In realtà, il suo ruolo era già stato depotenziato con l'introduzione della chiamata diretta da parte del sindaco.
  Un altro punto che riteniamo critico è l'esclusiva imputabilità ai dirigenti della responsabilità per l'attività gestionale. Con tale norma si rischia di scaricare sulla dirigenza gli effetti perversi delle decisioni illegittimamente adottate sotto pressione dei vertici politici – pena la futura decadenza dal ruolo – che verrebbero così esonerati da qualsiasi responsabilità in ambito gestionale. In questo caso avevamo presentato degli emendamenti, volti a salvaguardare il principio di autonomia dell'amministrazione, attraverso la soppressione della disposizione. Si rende a questo punto opportuno ridefinire in maniera più netta il confine tra funzione pubblica e funzione gestionale, anche derogando al principio dell'esclusiva responsabilità dei dirigenti nei casi di diretto coinvolgimento dell'organo politico nelle scelte e negli atti gestionali, dal momento che, soprattutto nelle funzioni dirigenziali di livello apicale, la commistione tra le due sfere è particolarmente forte e dovuta al fatto che ci si trova nella fase di trasmissione delle linee programmatiche, dall'organo politico all'apparato amministrativo che le deve realizzare.
  Riguardo all'accesso al pubblico impiego, il testo è migliorato molto in Commissione, attraverso una più puntuale definizione dei criteri per lo svolgimento dei concorsi pubblici, anche grazie ad alcuni emendamenti di Scelta Civica. Ma non solo: ho riscontrato nel Partito Democratico la medesima volontà di porre fine alla giungla dei concorsi degli enti locali. Rimane irrisolto il problema della gestione dei concorsi nelle regioni, soprattutto quelle a statuto speciale – ancora una volta –, che continuano impunite a emanare bandi e avvisi per stabilizzazioni selvagge. Io e altri colleghi sardi avevamo presentato interrogazioni in merito, ma non abbiamo mai ricevuto risposta, avendo così maturato la rassegnata sensazione che la nostra specialità, male interpretata, sia la nostra condanna a subire abusi, senza che nessuno ci venga in soccorso. Chiudo la parentesi per tornare sul tema delle selezioni pubbliche.
  Sembra superfluo ribadirlo, ma devono avere accesso alle professioni di impiegati o funzionari pubblici – perché di professionisti si tratta – solo persone che hanno superato un concorso. La realtà è stata fino ad oggi ben diversa e molto amara per i concorsisti, soprattutto quelli che scelgono di dedicarsi ai concorsi negli enti locali, nelle regioni e nelle ASL, strutture Pag. 23che spesso aggirano la normativa attraverso contratti di lavoro interinale, contratti di collaborazione o altre forme contrattuali atipiche.
  Le modalità di svolgimento dei concorsi, grazie a questa delega, saranno oggetto di revisione e di regolamentazione che si rendono necessarie, perché ad oggi vige un vero e proprio Far West. Le procedure seguite dai vari enti che intendono assumere sono spesso eccessivamente discrezionali, quando non addirittura irregolari. Non sono rari i casi di concorsi lasciati a metà senza motivazione o concorsi revocati perché la commissione valutatrice si era dimenticata di definire i criteri per la valutazione delle prove. E, ancora, concorsi conclusi, ai quali non è seguita l'assunzione dei vincitori, ma l'ingresso di interinali, oppure concorsi rinviati per anni, salvo poi stabilizzare persone che non avevano superato alcuna selezione.
  Quest'ultimo caso introduce il problema dei tanti precari prodotti dai contratti atipici, che con l'andare del tempo, cumuleranno tre anni di servizio e avranno diritto alla stabilizzazione. Se il precariato non ci piace, se lo consideriamo poco dignitoso per il lavoratore, facciamo in modo di non generarne più. Un mio emendamento approvato dalla Commissione risponde proprio a questo scopo. E se non vogliamo che i posti di lavoro siano merce di scambio per i politici che si presentano al voto, allontaniamo il più possibile le procedure selettive dagli enti che intendono assumere personale e facciamo in modo che siano garantite imparzialità, ma anche uniformità dei requisiti e della preparazione per figure professionali equivalenti, fattori che contribuirebbero a elevare la capacità amministrativa, come da raccomandazione della Commissione europea accolta nell'accordo di partenariato. Anche queste istanze sono state accolte dal Governo e dal relatore in Commissione.
  Le graduatorie saranno finalmente a livello sovracomunale e vi dovranno attingere tutti gli enti pubblici locali nel territorio di pertinenza. Il Governo ha previsto procedure selettive a livello provinciale, il che rappresenta sicuramente un miglioramento rispetto alla parcellizzazione attuale. Ma sarebbe un ulteriore passo avanti prevedere graduatorie a livello regionale, al fine di garantire la massima trasparenza dei meccanismi di selezione e assicurare la terzietà del procedimento, nonché professionalità, autonomia e indipendenza della commissione valutatrice.
  Un'altra proposta è la soppressione dell'obbligo di permanenza minima nella amministrazione di prima assegnazione, perché ritengo necessario garantire la massima mobilità ai dipendenti pubblici per consentire lo scambio di esperienze e una più razionale distribuzione dei lavoratori sul territorio nazionale.
  Andare incontro alle loro esigenze di vita e di lavoro contribuirebbe ad aumentarne la produttività.
  Rimane un punto critico nella previsione, in ambito di procedure concorsuali, di meccanismi di valutazione che valorizzino l'esperienza acquisita da coloro che hanno avuto rapporti di lavoro flessibile con le amministrazioni pubbliche. Con questa disposizione si rischia ancora una volta di privilegiare chi è entrato in contatto con la pubblica amministrazione per le vie brevi, rispetto a chi ha scelto, o è obbligato, a intraprendere la strada del concorso. In parte, viene bilanciata dalla successiva lettera, in cui si dà la possibilità all'amministrazione di svolgere unitariamente la valutazione dei titoli e le prove concorsuali relative a diversi concorsi. Ma attenzione, nel primo caso siamo di fronte a una disposizione imperativa, mentre nel secondo caso si annuncia una mera facoltà. Su questo punto servirebbe forse un supplemento di riflessione.
  In conclusione, non possiamo non riconoscere che la qualità amministrativa è strettamente legata alla selezione del personale. Questa deve necessariamente svolgersi a un livello che difficilmente può essere corrotto da logiche di tipo clientelare. Naturalmente non si può ignorare Pag. 24l'esigenza della formazione e dell'aggiornamento continui, purtroppo assenti in questa riforma.
  Il riordino della normativa sulle partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche mira al loro mantenimento entro il perimetro dei compiti istituzionali o di ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti, alla razionalizzazione dei criteri per gli acquisti e il reclutamento del personale, alla promozione della trasparenza attraverso la pubblicità e l'accessibilità dei dati economico-patrimoniali e dei principali indicatori di efficienza. Per le società che gestiscono servizi pubblici di interesse economico generale è stato, inoltre, previsto il criterio dell'individuazione di un numero massimo di esercizi con perdite di bilancio che comportino obblighi di liquidazione della società.
  Le partecipate pubbliche devono essere giustificate dall'essere indispensabili per perseguire un interesse pubblico in assenza di valide alternative sul mercato. La prima norma in materia di trasparenza, riordino e cessione di partecipazioni risale al 2007 e, dopo ripetuti rinvii e sistematiche violazioni, ci si è finalmente decisi ad introdurre un sistema sanzionatorio per la mancata attuazione dei principi di razionalizzazione, purtroppo basato esclusivamente sulla riduzione dei trasferimenti dello Stato alle amministrazioni e, quindi, a danno della collettività, e non anche sulla previsione di sanzioni per gli amministratori responsabili, come abbiamo chiesto noi.
  È, quindi, auspicabile un corretto sistema di informazione della cittadinanza che dovesse trovarsi a subire una tale sanzione per l'inadempienza dei suoi amministratori. Un nostro emendamento prevedeva l'estensione degli obblighi di trasparenza, imponendo agli enti locali di rendere pubbliche le ragioni per le quali una determinata partecipata è stata ritenuta indispensabile per il perseguimento di interessi pubblici: pubblicità che si rende necessaria per rendere la pubblica amministrazione più trasparente e poter fornire agli elettori ulteriori elementi di valutazione dell'operato dei propri amministratori. Obiettivo ulteriore è sradicare la cattiva pratica di gestire le partecipate come contenitori di posti di lavoro e destinatarie di forniture e opere da utilizzare come merce di scambio elettorale.
  Vorrei esprimere la mia perplessità per l'introduzione degli ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti nel regime delle società a partecipazione pubblica, per lo meno a scopo preventivo e sulla base di pratiche piuttosto diffuse, che ho avuto modo di osservare. Tale definizione si presta a un'interpretazione molto discrezionale e consentirebbe, soprattutto alle regioni, di mantenere in vita attività del tutto inutili e improduttive con risorse che potrebbero essere destinate ad investimenti strategici ben più rilevanti. Sarebbe necessario effettuare una rivalutazione dell'interesse pubblico che aveva portato alla nascita di attività non più rispondenti a nuove esigenze, in contesti economico-sociali profondamente mutati nel tempo.
  Concludo con un cenno all'articolo 17, che introduce una clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale. Il mio emendamento richiama i principi generali di riforma economica e sociale e i livelli essenziali delle prestazioni, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e richiede l'adeguamento della legislazione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.
  Non si tratta di una modifica sostanziale, ma dell'inversione delle priorità, ritenendo un ordine logico fondamentale l'allineamento alle riforme su tutto il territorio nazionale e sostituendo l'idea di una clausola di salvaguardia con quella di un ambito di applicazione, anche per non dare l'idea che dalla riforma che si intende fare ci si debba tutelare. Il carattere della specialità, invece, di dare una marcia in più rischia di diventare un freno per lo sviluppo di determinate aree del Paese a causa dell'incapacità di certe amministrazioni di sfruttarne le potenzialità positive e pertanto è opportuno che, a seguito di Pag. 25un bilanciamento di quelli che sono gli interessi costituzionalmente garantiti, si scelga di assicurare un'uguale certezza dell'efficacia e dell'efficienza dell'azione amministrativa.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Baroni. Ne ha facoltà.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Grazie, Presidente. Questa delega aveva l'auspicio di riordinare la pubblica amministrazione nell'ottica della semplificazione, dell'efficienza, della trasparenza così da non renderla un ostacolo per i cittadini privati, per le imprese, per i dipendenti che ci lavorano. Si è parlato di innovazione: non è così. Quello che doveva essere un disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione è diventato ed è un provvedimento omnibus. Come tutti i provvedimenti omnibus che si rispettino, all'interno vi è stato infilato di tutto in maniera incoerente e illogica. Un mio collega l'ha definito la galleria degli orrori. Io lo definisco l'ennesima occasione utile di inserire qua e là le solite schifezze e i soliti favori agli amici degli amici, sperando che in piena estate passino inosservate. A titolo di esempio, cito l'emendamento di Fiano e Giorgis, approvato in accordo col Ministro Madia, che prevede la possibilità di affidare ai pensionati pubblici o privati incarichi dirigenziali e direttivi a titolo gratuito, ovviamente senza alcuna procedura concorsuale e al di fuori del regime di incompatibilità nel pubblico impiego. Significa, ad esempio, che ad un ipotetico ingegner Incalza collocato in pensione può utilmente e discrezionalmente essere affidato per un anno un incarico dirigenziale o direttivo: l'uomo giusto al momento giusto e al posto giusto. L'anno successivo sarà affidato ad un altro ingegnere qualcuno e così via, di anno in anno, si potranno collocare nei posti chiave tutti gli amici degli amici, il tutto gratuitamente. Questo tipo di emendamento a favore di una gerontocrazia l'abbiamo già visto nel decreto pubblica amministrazione per quanto riguarda gli enti pubblici non economici, nonostante poi vi siano grandi dichiarazioni di voler rinnovare la classe dirigente italiana, perché intanto l'ipotetico ingegner Incalza ha il suo studio tecnico o la sua bella società che prende appalti pubblici. Tutto ciò potrà avvenire tanto nelle amministrazioni pubbliche quanto negli enti e nelle società controllate. Questo alla faccia del ricambio generazionale che il Presidente Renzi e il Ministro Madia avevano sbandierato orgogliosamente all'indomani della approvazione del decreto-legge n. 90 del 2014, ma soprattutto alla faccia del ruolo unico dirigenziale che si vuole istituire con questo stesso disegno di legge di delega.
  Se queste sono le intenzioni e i giochi sottobanco, come possiamo affidare o delegare una riforma così importante senza che siano ben delineati criteri e principi direttivi ? Sì, perché questa delega è carente di direttive chiare e stringenti, è confusionaria e piena d'incongruenze. Lungo il suo percorso il disegno di legge ha perso di vista la pubblica amministrazione ed è diventato un insieme di deleghe rivolte ad attribuire pericolosi poteri alla Presidenza del Consiglio, addirittura in taluni casi si parla di non ben identificate determinazioni personali. Si interviene sull'Avvocatura dello Stato, sulla Corte dei conti, sulle intercettazioni, sui corpi di polizia – addirittura si vuole militarizzare il Corpo forestale – sotto la bandiera della semplificazione in realtà si vuole far passare una diffusa deregulation a discapito della tutela della salute, dell'ambiente e dei beni culturali, eliminando qualsiasi clausola di garanzia e rafforzando indiscriminatamente l'istituto del silenzio assenso. Con questi presupposti come si può attribuire una delega sulla prevenzione della corruzione e sulla trasparenza ? La delega è già stata esercitata con i decreti legislativi n. 33 e n. 39 e se si avverte il bisogno di migliorarli sono sufficienti interventi diretti o di interpretazione autentica. Quello che serve è rafforzare i controlli e le sanzioni, chiarire chi debba farli, quando e come.
  Si fanno decreti in fretta e furia per assicurare il finanziamento pubblico ai partiti, ma non si riesce a fare un decretodi Pag. 26tre righe che risolva e chiarisca le incongruenze lamentate dal presidente dell'ANAC che, in un crescendo demoralizzante per chi lo ascolta, dice che questi decreti sono proprio fatti male e per tale motivo si presume e si trova costretto a reinterpretarli ormai quotidianamente. Quindi, abbiate il coraggio di fare un'interpretazione autentica, con buona pace di tutti e di Cantone, ma, per favore, non si chiedano deleghe sulla materia, si chiarisca, ad esempio, che l'incompatibilità del presidente di un organo professionale dal lato dell'ente pubblico va dichiarata dall'ANAC e non dalle giunte del Parlamento che la dichiarano solo ed esclusivamente rispetto al ruolo di parlamentare.
  Con questa delega, volete ulteriormente ridefinire l'ambito soggettivo di applicazione delle norme sulla trasparenza, come se non fosse ancora sufficientemente chiaro che la trasparenza, così come l'anticorruzione, si applica, a norma dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 33 del 2013, a qualsiasi soggetto pubblico o privato che sia controllato o finanziato dalla pubblica amministrazione, come è giusto che sia. Cosa volete ancora ridefinire ? Se mai volete ampliare l'ambito soggettivo anche al mondo delle cooperative e delle fondazioni bancarie e per fare questo non serve una delega, ma è sufficiente dire che il decreto legislativo n. 33 del 2013 si applica anche al mondo opaco delle fondazioni e delle cooperative dove gira il flusso della corruzione da e per la pubblica amministrazione.
  Avete appena distrutto la scuola pubblica, creando i presupposti per un'istruzione di serie A e una di serie B, ma non paghi di ciò volete anche creare i presupposti affinché vi siano, anche, università e laureati di serie A e di serie B, permettendo che, magari, un titolo di studio preso alla Bocconi abbia un valore diverso da quello preso in qualsiasi altra università pubblica italiana, magari con meno massoni dentro. Volete una delega sulle partecipate senza dire con chiarezza che una partecipata con un numero di consiglieri maggiore del numero dei dipendenti non può e non deve esistere, che una partecipata con un bilancio in negativo deve essere soppressa e il servizio pubblico deve essere reinternalizzato. Oggi, abbiamo un mondo di partecipate commissariate vita natural durante, con tutte le conseguenze tipiche della straordinarietà delle gestioni che vedono uomini soli al comando lì da decenni e incapaci di risanare alcunché. Il fenomeno delle partecipate è nato e proliferato per tentare di derogare alle norme pubbliche sugli appalti e sugli impieghi, per tentare di far girare i soldi pubblici, e con essi i servizi, al di fuori dello sguardo indiscreto del cittadino che quei soldi ce li mette e di quei servizi ha diritto.
  Oggi, che vi siete resi conto che anche le partecipate devono rispettare i principi e le regole pubbliche, come peraltro prevedono proprio le direttive europee, ivi incluse le norme sulla trasparenza e l'anticorruzione, volete correre ai ripari, chiedendo una delega che vi consenta di trovare l’escamotage giusto per continuare a gestire soldi e servizi pubblici in assoluta opacità e con il consueto arricchimento delle solite multinazionali e delle solite organizzazioni camorristiche e paramafiose.
  La pubblica amministrazione ha bisogno del rinnovo dei contratti, che non sia il pannicello caldo per ottemperare alla sentenza della Corte costituzionale, ma che sia un effettivo ristoro dell'illegittimo blocco durato anni per ordine della trojka. La pubblica amministrazione ha bisogno di pulizia rispetto agli innumerevoli consulenti e collaboratori messi lì dai politici di turno, politici trombati nella maggior parte dei casi, e dai loro pacchetti di voti, non di rado anche di mafiosi. Vogliamo ricordare quanto messo in luce dall'inchiesta Mafia capitale, ovvero che i dirigenti e i vertici sono messi nei posti chiave delle organizzazioni criminali in accordo con la politica ? Quel: «ce l'avevamo messa noi» che emerge da tutte le intercettazioni, dimostra come il problema della dirigenza non può essere risolto solo con elenchi e ruoli unici, con valutazioni e merito, ma anche e soprattutto ponendosi il problema da chi e perché viene scelto un dirigente. Pag. 27Voi che cosa fate ? Vi preoccupate da quali atenei provengano i candidati dirigenti e del loro livello di accreditamento, ma non prevedete un sistema di garanzia nella composizione delle commissioni di concorso e di valutazione e da chi vengono affidati gli incarichi dirigenziali.
  Tra i miei emendamenti presentati in Commissione ho tentato di proporre il meccanismo del sorteggio a parità di requisiti, sia per chi fa parte delle commissioni, sia per gli incarichi da conferire, proprio per impedire che siano affidati in maniera discrezionale o per accontentare i Carminati e i Buzzi di turno. Sono talmente tanti i decreti delegati previsti da questa norma e anche così confusi, aleatori e sconclusionati, che mi vengono forti dubbi che riuscirete mai a produrli e il motivo principale è che siete in scadenza e che presto andrete a casa.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Fabbri. Ne ha facoltà.

  MARILENA FABBRI. Grazie, signora Presidente. Signora Ministro, cari colleghi, questo provvedimento, che ci accingiamo a discutere e ad approvare in Aula nei prossimi giorni, si inserisce in un solco di ammodernamento, di cambiamento culturale della pubblica amministrazione, che ha alle spalle venticinque anni di provvedimenti e si inserisce profondamente all'interno del quel contesto. Vorrei ricordare solamente alcuni dei passaggi più importanti che hanno trasformato la pubblica amministrazione nel suo complesso, da un soggetto statico a un soggetto dinamico, da un soggetto gerarchicamente subordinato allo Stato e alle decisioni centrali a un soggetto, invece, con un'autonomia statutaria, regolamentare e organizzativa. La prima di queste modifiche, di queste grandi rivoluzioni, fu segnata dalla legge n. 142 del 1990 – in un altro momento di crisi del nostro sistema Paese –, che ha determinato una trasformazione dei nostri enti locali appunto da soggetti subordinati alla centralità dello Stato a soggetti che avevano autonomia statutaria, regolamentare, organizzativa, nonché finanziaria. Le rivoluzioni successive sono quelle legate alla legge n. 241, sempre del 1990, che ha procedimentalizzato, ha definito il procedimento amministrativo, che ha previsto la partecipazione dei cittadini a quel procedimento e, quindi, la possibilità di interferire e di intervenire anche a tutela dei propri interessi all'interno di quel contesto e non subire l'azione della pubblica amministrazione. In quel contesto si è introdotto per la prima volta il principio della semplificazione e della responsabilità della pubblica amministrazione, definendo anche dei tempi all'interno del procedimento amministrativo e degli obblighi di risposta ai cittadini, anche con motivazioni. Da lì, gli istituti della conferenza dei servizi, del silenzio assenso, dell'autotutela, che oggi andiamo ulteriormente a definire e ad ammodernare. Successive sono le leggi sull'elezione diretta dei sindaci, che hanno introdotto per la prima volta non solo la possibilità dei cittadini di eleggere direttamente i sindaci o i presidenti di provincia, ma di chiedere conto della loro amministrazione, di chiedere conto del raggiungimento degli obiettivi politici e di programma. Le «leggi Bassanini» hanno poi introdotto, a metà degli anni Novanta, la distinzione fra responsabilità tecnica e responsabilità politica, quindi hanno introdotto una fortissima rivoluzione, che già era iniziata all'inizio degli anni Novanta, rispetto alle responsabilità dell'azione amministrativa e dell'azione politica. Anche questo tema è toccato all'interno di questo disegno di legge delega. E così via: gli interventi sul codice digitale della pubblica amministrazione, che ha voluto introdurre non solo l'obbligo di accelerare, di informatizzare il sistema, ma anche di rendere più trasparente e più immediatamente accessibili i documenti ai cittadini e alle altre pubbliche amministrazioni. All'interno di questa delega ritroviamo tutte le parole d'ordine che hanno caratterizzato l'ammodernamento del nostro sistema pubblico in questi anni: la semplificazione, la responsabilità, l'autonomia, la valutazione e anche la meritocrazia, introdotta con la riforma del pubblico impiego in varie fasi, tra cui Pag. 28il contestato provvedimento Brunetta, che ha sicuramente degli elementi di criticità ma ha rafforzato il tema della responsabilità all'interno della pubblica amministrazione, cioè che la valutazione non può determinare una valutazione ugualitaria, uguale per tutti, ma determina necessariamente il fare delle differenze, tenendo conto anche dell'impegno, dell'aggiornamento e del valore all'interno del lavoro delle nostre pubbliche amministrazioni. Che cosa viene ulteriormente valorizzato all'interno di questo provvedimento, che sicuramente, è vero, è complesso ? Si prevedono dodici deleghe e si pone l'obiettivo di intervenire su quindici materie di competenza relativa alla pubblica amministrazione, quali, come si diceva prima: la carta della cittadinanza digitale, la conferenza dei servizi, il silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni – che viene per la prima volta introdotto – e non solo tra cittadino e pubblica amministrazione, la segnalazione certificata di inizio attività, il silenzio assenso, l'autorizzazione espressa e la comunicazione preventiva, l'autotutela amministrativa, revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza e la riorganizzazione dell'amministrazione dello Stato: una vera rivoluzione che ha il compito, si pone l'obiettivo, di andare a semplificare le sovrapposizioni all'interno della pubblica amministrazione.
  Questo è un tema che già con le «Bassanini» ci si era posto, ma che non era stato assolutamente risolto, anzi non era stato neanche toccato, e che questo Parlamento non è riuscito negli anni successivi a modificare. Ricordo tutta l'esperienza della Carta delle autonomie locali che non è andata a buon fine e che aveva proprio il compito e l'obiettivo di andare a ridurre o eliminare le sovrapposizioni decisionali fra i diversi livelli dello Stato. Oggi siamo arrivati all'abrogazione delle province come livello politico, rimane come ente di secondo grado in via di definizione rispetto alla sua permanenza e alla ridefinizione fra i diversi livelli di organizzazione territoriale, dai comuni alle unioni dei comuni, alle città metropolitane e al livello regionale. L'obiettivo di ridefinire, di evitare soprattutto le sovrapposizioni, dei luoghi di decisione, ma anche dei luoghi dell'erogazione dei servizi, è sicuramente uno dei punti più importanti di novità di questa legge delega, in quanto si pone l'obiettivo di andare a toccare in maniera pesante l'organizzazione dello Stato, sia a livello centrale che periferico, quindi a razionalizzare sia l'organizzazione e l'erogazione dei servizi che, soprattutto, l'erogazione dei servizi nel rapporto con i cittadini attraverso l'istituzione dell'Ufficio territoriale dello Stato in capo alla direzione e coordinamento del prefetto.
  Si cita anche la razionalizzazione delle sedi prefettizie, così come l'accorpamento o la trasformazione di alcuni soggetti statali e non, per semplificare l'intervento sul territorio. Tra i tanti temi: la riorganizzazione delle Camere di commercio, la razionalizzazione e riorganizzazione della normativa in materia di società partecipate, così come quella delle società che erogano servizi pubblici, il Testo unico sul pubblico impiego che vuole riordinare la materia nonché innovare nei punti indicati nella legge delega.
  Sono veramente tanti gli aspetti, un altro elemento di novità particolarmente significativo ritengo sia quello della dirigenza pubblica, in quanto modifica radicalmente, a mio avviso, il modo in cui la pubblica amministrazione dovrà percepirsi da qui in poi, ovvero dall'uscita dei decreti attuativi in poi. La precarizzazione della dirigenza risolve una parte dei temi. Si tende sempre a vedere gli interventi normativi in negativo e a presentare emendamenti o a prevedere modifiche normative sempre pensando alla parte peggiore del nostro Paese: la corruzione, la corruttela, il tentativo di evadere l'applicazione delle norme e dei tributi. In realtà, il nostro Paese è composto per la maggior parte di persone che operano e lavorano nella pubblica amministrazione e nel privato con particolare dedizione e rispetto delle norme e a questi io credo che noi dobbiamo rivolgerci nel fare le normative, Pag. 29senza perdere di vista la necessità delle sanzioni e dei controlli, ma anche senza far sì che la necessità di controllare quella parte minoritaria del Paese che non rispetta le norme, possa bloccare la capacità la capacità di sviluppo e di ammodernamento del sistema.
  Dicevo prima della precarizzazione della dirigenza, ciò vuol dire che i dirigenti avranno la responsabilità di essere la parte più moderna, più innovativa del nostro sistema pubblico e questo vuol dire che le pubbliche amministrazioni dovranno fortemente investire nei funzionari, nei quadri che rimangono permanentemente all'interno del contesto degli enti per sviluppare, rafforzare, le competenze e le conoscenze e la capacità del fare, perché loro saranno i depositari dell'agire della pubblica amministrazione, mentre ai dirigenti verrà chiesto di essere la parte più innovativa e più responsabile.
  Non credo che la precarizzazione nei tre albi unici voglia dire spoil system, voglia dire clientele, rispondere ai desiderata del sistema politico, ma voglia invece dire assumersi una responsabilità e un'etica professionale tipica della dirigenza che non risponde e che non deve rispondere ai desiderata della politica se illegali, se illegittimi, se inopportuni sul piano delle norme. Questa è una responsabilità della professione, è una responsabilità degli individui, non ci sono norme che tengono rispetto alla tendenza a delinquere. Faccio un esempio, ho fatto il sindaco – ho veramente finito – non si può pensare di – faccio una banalizzazione – evitare che si parcheggi sui marciapiedi riempiendo il Paese di paletti, io credo che si debba insegnare ai cittadini che non è etico, non è corretto non rispettare le fragilità degli altri come quella di poter camminare in sicurezza sui marciapiedi. Allora credo che anche questo vada fatto complessivamente nello Stato, c’è un'etica individuale e collettiva che va acquisita, assimilata, sedimentata e praticata e le sanzioni e i controlli devono servire per attaccare e sanzionare la parte minimale di chi invece continua a tenere un comportamento delinquenziale, ma non può essere quella parte minoritaria che blocca la capacità di un Paese di ammodernarsi e di darsi delle regole più aperte e più innovative (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Daga. Ne ha facoltà.

  FEDERICA DAGA. Signora Presidente, io mi soffermerò sugli articoli che trattano le partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche e il riordino dei servizi pubblici locali. Questa delega risulta essere una riforma che cancella il referendum sull'acqua e sui servizi pubblici locali, c’è un aggiramento della volontà popolare espressa nel giugno del 2011. Quanto inserito negli articoli 14 e 15 rappresenta infatti una delega al Governo con indicazioni precise rivolte al rilancio dei processi di privatizzazione, limitando drasticamente affidamenti diretti e incentivando i processi di aggregazione. È quindi evidente che l'attuale Governo ha l'obiettivo di completare quei processi di privatizzazione che Confindustria chiede da anni e lo sta facendo varando una serie di norme che marciano in questa direzione. Con il decreto-legge «sblocca Italia» e con la legge di stabilità per il 2015 sono state emanate norme che incentivano i processi di aggregazione, fusione e dismissione delle partecipate dagli enti locali. Questa delega, in modo piuttosto esplicito, si inserisce nella stessa scia e porta agli stessi obiettivi, in sostanza siamo davanti a politiche di austerità prospettate dai vari Governi che si sono alternati. Tutto questo sta andando a vantaggio dei quattro grandi colossi, le multiutilities A2A, Iren, Hera e Acea, che sono già collocate in Borsa e che potranno inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici relegando i comuni ad un ruolo sempre più marginale, nonostante questi comuni lavorino all'interno dell'ente di ambito. Peccato che questo ente di ambito in sostanza non dà parola ai comuni e non li fa decidere su nulla, dal momento che ci troviamo con regioni che stanno scegliendo l'atto unico regionale e quindi enti Pag. 30d'ambito dove, per esempio, 287 comuni sono rappresentati da 53, che a loro volta sono ulteriormente rappresentati in un direttivo composto da 12 sindaci – questo è puro verticismo – e dove gli unici soggetti che contano qualcosa sono i grandi partiti e i presidenti delle varie ATERSIR o Autorità idrica Toscana, per dirne un paio. Questo enorme regalo è fatto anche con la complicità dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, che ha consentito ai gestori d'incassare milioni di euro, oltre che con i consueti aumenti tariffari annuali anche con la possibilità d'inserire in bolletta idrica conguagli retroattivi dal 2006 al 2011, come abbiamo appena visto. Tutto ciò nonostante che annualmente si registrino utili ingenti che non vengono reinvestiti nel servizio idrico, ma in larga parte prelevati dagli azionisti come dividendi. Tutto questo come se 27 milioni di cittadini non avessero mai votato per l'acqua pubblica. Non solo quindi si scavalca la volontà popolare, ma anche la funzione dello stesso Parlamento che non viene più chiamato a legiferare in materia ma solo ad avallare una delega in bianco al Governo che ha scritto la stessa delega. La cosa particolare che ho potuto notare dalla vittoria del referendum del 2011 è stato un grandissimo silenzio. Un silenzio che c’è stato anche prima di quel voto referendario, in fondo se non si parla di un dato argomento questo non esiste. Però in quell'occasione 27 milioni di elettori – che non fanno capo ad un solo partito politico – si sono espressi chiaramente con un messaggio politico non interpretabile, cioè basta privatizzazioni, e quel voto riguardava anche gli altri servizi pubblici locali, quindi rifiuti e trasporto pubblico locale, cioè quei servizi che incidono nelle vite di tutti noi giornalmente. Ecco, dal 2011 non si parla più di privatizzazione nelle varie norme, ma si usano parole come razionalizzazione e aggregazione. Si è demonizzato il pubblico fino al punto di sentire: privato è bello. E quando qualcuno ha alzato la testa dimostrando che privato non è bello perché la sua attività è volta a fare utili e non ad erogare un servizio alla cittadinanza, allora si è passati al privato obbligatorio.
  Come si fa ? Al Senato è stato inserito un rigo, probabilmente per dare un contentino a quei 27 milioni di persone e si è aggiunto: «tenendo conto dell'esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno del 2011». Qui si utilizza il referendum solo come una foglia di fico, perché infatti quell'articolo 15 contiene, sin dalla sua stesura originaria, indicazioni precise per limitare la gestione pubblica, che oltretutto sono anche in contrasto con la disciplina comunitaria, che invece tutela la gestione pubblica come una delle possibili scelte da parte degli Stati membri e quindi degli enti locali.
  È in assoluta contraddizione con l'esito del referendum un'altra parte del testo approvato sempre al Senato, dove si vanno ad incentivare e premiare gli enti locali che favoriscono la perdita del controllo pubblico delle aziende. In Commissione Affari costituzionali ci siamo ritrovati con un ulteriore peggioramento del testo e nell'articolo 14 troviamo tra i due un sistema sanzionatorio per la mancata attuazione della razionalizzazione delle partecipate.
  Quindi, da una parte, abbiamo la legge di stabilità e la lettera f) dell'articolo 15 di questa delega dove si introducono meccanismi di premialità, come l'utilizzo al di fuori del Patto di stabilità interno degli introiti delle vendite della dismissione delle partecipate e, dall'altra, con le attuali modifiche di questa delega, si prevedono sanzioni per gli enti locali che non fanno la razionalizzazione delle aziende partecipate, con la riduzione dei trasferimenti statali.
  Questo processo blocca la possibilità di avviare processi di ripubblicizzazione. I comuni sono già strozzati dal Patto di stabilità interno, dalle varie spending review che non permettono assunzioni e in più si aggiungono norme che impediscono loro di scegliere, ma vengono premiati se dismettono e privatizzano.
  La Corte Costituzionale nel 2011 – vorrei ricordarlo – su un ricorso per un Pag. 31atto dell'agosto del 2011, dopo due mesi dal voto referendario, e che andava a privatizzare nuovamente i servizi pubblici locali, diceva che quegli atti andavano a «svilire l'uso dello strumento referendario garantito dalla Costituzione».
  Qualcuno, qualche tempo fa, aveva teorizzato la necessità di «affamare la bestia per ridurre l'intervento pubblico e ampliare quello privato». Qui si va avanti verso le peggiori teorie economiche ultraliberiste.
  Ho trovato un commento in rete. Quello che è riuscito a scrivere il club dei cravattari europei è indegno oltre ogni immaginazione. L'ideologia dei fondamentalisti del mercato ha preso il sopravvento sulla civiltà, e questa barbarie si è diffusa. Ora sta a noi decidere che cosa vogliamo fare: se proseguire nelle politiche di austerità imposte dalla trojka oppure alzare la testa, e riprenderci pezzi di sovranità che stiamo perdendo di decreto in decreto e di delega in delega.
  Per agire verso il bene della collettività è sufficiente la volontà. Peccato che noi stiamo andando verso quella austera e bocconiana, che poco ci interessa. Questo lo dimostrano anche le elezioni politiche del 2013, dove il professor Monti ha preso il 9 per cento dopo un anno e mezzo di Governo imposto dall'alto.
  Partiamo dal rapporto «Guadagni, concorrenza e crescita» presentato dalla Deutsche Bank il 1o dicembre 2011 all'Unione europea. Il passaggio che riguarda i servizi pubblici locali dice questo: «I comuni offrono il maggior potenziale di privatizzazione. In una relazione presentata alla fine del 2011 dal Ministero dell'Economia e delle finanze si stima che le rimanenti imprese a capitale pubblico abbiano un valore complessivo di 80 miliardi di euro. Inoltre, il piano di concessioni potrebbe generare circa 70 miliardi di entrate». Parliamo in tutto di 150 miliardi di asset finanziario, a cui il rapporto aggiunge 421 miliardi di valore del patrimonio pubblico in mano agli enti locali. Per un totale di 571 miliardi di euro tra privatizzazione dei servizi pubblici e vendita del patrimonio pubblico.
  Quando la scorsa estate si parlava di riduzione delle partecipate da 8 mila a mille, si parlava sostanzialmente di quelle partecipate che si occupano dei servizi pubblici locali, che sono quelle che hanno l’asset finanziario maggiore e quindi sono dei bei soldini assicurati. Qui parliamo di un monopolio naturale: acqua, rifiuti e trasporti sono sicuri guadagni. L'accaparramento di un asset finanziario così succulento vede protagonisti appunto i grandi capitali e le multi-utility che ho nominato prima e un Governo che va avanti con questa linea di austerità, neoliberismo e neofeudalesimo.
  Ora, in Italia abbiamo dei bellissimi esempi di riappropriazione del servizio idrico, è una strada praticabile, e lo dimostra quello che è successo a Napoli, che ha dato l'affidamento del servizio idrico a un'azienda speciale di diritto pubblico, la ABC Napoli, che ha inserito nello statuto anche la possibilità della partecipazione cittadina alle decisioni che si prendono in azienda, senza poi contare le decine di vertenze che ci sono in Italia per la ripubblicizzazione contro le nuove privatizzazioni.
  Ora, nella regione Lazio è stata approvata la legge n. 5 del 2014, che è stata prontamente impugnata dal Governo ma è ancora attuale. A quanto pare, il Governo dice che i principi di concorrenza dettati dall'Unione Europea non vengono rispettati.
  Invece, questa chiede tutt'altro, cioè chiede di scegliere. Quella legge faceva scegliere alla regione che cosa deve fare e, oltre tutto, suddivide il territorio in bacini idrografici. Probabilmente, non piace a un'Acea a caso e, quindi, si tergiversa un po’ sulla parte dei bacini idrografici.
  Ora, veniamo alla concorrenza. Io faccio presente che questa spesso è completamente assente sui monopoli naturali, come acqua, trasporti e rifiuti. Non c’è nemmeno in fase di gara e, infatti, ci ritroviamo delle volte di fronte a delle gare che sono scritte e vestite addosso a delle società specifiche, che hanno delle caratteristiche particolari, come quelle di avere Pag. 32un inceneritore in un dato ATO e questo lo vediamo con la SEI Toscana (quindi, i rifiuti della Toscana sud).
  Le aggregazioni vengono addirittura favorite dalla Cassa depositi e prestiti, che ha investito 500 milioni di euro in una fusione, quella Acegas-Aps, ma, invece, non va a concedere il mutuo al comune di Reggio Emilia, che da tre anni sta lavorando per il processo di ripubblicizzazione del servizio idrico, essendo scaduta la concessione tre anni fa. Tutto fa pensare che si preferisca mettere in mano, appunto, a Iren SpA il bene acqua.
  Io vorrei ricordare che lo scorso 4 giugno è iniziata la discussione in Commissione ambiente del provvedimento per la ripubblicizzazione del servizio idrico, che nasce da una proposta di legge di iniziativa popolare, depositata ormai nel 2007, che raccoglieva 420 mila firme e vorrei ricordare, inoltre, che su questo dovrebbe essere il Parlamento a legiferare e non fare decidere al Governo con una delega in bianco.
  «La memoria è un presente che non finisce mai di passare». Quindi, è sicuramente necessario ricordare quanto è già accaduto, per evitare gli stessi errori e per riprendere in mano pezzi di sovranità che, purtroppo, stiamo perdendo. Questa delega ci sembra una presa in giro. I referendum vanno rispettati e non sviliti, come deve essere rispettata la volontà popolare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Terzoni. Ne ha facoltà.

  PATRIZIA TERZONI. Grazie, Presidente. Questo mio intervento riguarderà unicamente l'articolo 7, in particolare la parte in cui si elimina il Corpo forestale dello Stato. Parlerò solo di loro, perché dopo 193 anni di storia hanno tutto il diritto e tutto l'onore di non essere mescolati ad altre problematiche inserite in questo decreto. Una magra consolazione, lo so, ma questo è un modo per dimostrare loro la nostra gratitudine. Quindi, grazie da parte di tutto il MoVimento 5 Stelle a tutte le donne e a tutti gli uomini del Corpo forestale dello Stato per il lavoro che hanno sempre svolto in difesa dell'ambiente.
  Ma andiamo ora nello specifico e parliamo dei compiti storici della Forestale, come la difesa degli animali e delle piante, del benessere degli animali da affezione e di allevamento, l'antibracconaggio, la vigilanza dei parchi nazionali e la difesa del paesaggio. Parliamo dell'importante attività di ricerca e di educazione ambientale che la Forestale svolge negli uffici per la biodiversità e delle numerose risorse statali amministrate da questi uffici. Parliamo dei trattati internazionali, la cui concreta esecuzione è affidata al Corpo forestale, ad esempio quello sul commercio internazionale di animali e piante in via di estinzione, che prevede controlli in tutti i porti e gli aeroporti internazionali e numerosi uffici sul territorio, nonché quelli sui cambiamenti climatici, che necessitano di un continuo monitoraggio delle foreste e dei serbatoi di carbonio nel nostro Paese.
  Parliamo, poi, di rifiuti, di inquinamento idrico e di inquinamento atmosferico, tenendo presente il caso più eclatante, cioè quello della Terra dei fuochi. Parliamo della particolare rilevanza del Corpo forestale nel sistema nazionale di protezione civile, in cui è sempre in prima fila nella prevenzione di eventi calamitosi, nel dissesto idrogeologico, negli incendi boschivi e nel portare soccorso alle popolazioni colpite da tali eventi. Ma parliamo anche della lotta alle frodi alimentari, della contraffazione del made in Italy e dell’italian sounding, che ogni anno rubano all'intero Paese miliardi di euro.
  Insomma, considerata la quantità di successi che il Corpo è riuscito ad ottenere, con risorse così limitate di uomini e mezzi, ci chiediamo se siamo sicuri che togliere questo importante presidio sul territorio di tutela ambientale e di legalità, togliere quello che soprattutto nelle zone rurali e montane rappresenta per i cittadini un importante punto di riferimento sia, in realtà, un vero risparmio ? Capiamo che dopo i trionfali annunci, il Governo Pag. 33Renzi abbia tanta voglia di aggiungere l'ennesimo gagliardetto delle cose fatte – male, ma fatte – al proprio palmarès. Ma ci deve spiegare chi svolgerà, d'ora in poi, tutti questi compiti così importanti. E tutte queste sono funzioni da attribuire a un corpo di polizia militare ? Quali saranno le garanzie per le donne e gli uomini del Corpo ?
  Voglio portare l'attenzione anche a un tema poco discusso, ma importantissimo: quanto costerà alle regioni, ai comuni, alle province, ai parchi, trovare qualcuno che sostituisca i forestali nei numerosissimi compiti che svolgono in convenzione con questi enti, con costi decine di volte più bassi rispetto a se venissero appaltati ai privati ? Chi svolgerà, ad esempio, le migliaia di controlli sui tagli boschivi per conto delle regioni ? O il controllo sugli scarichi idrici, svolto per conto delle province ? E i catasti degli incendi boschivi per i comuni ? E i censimenti di flora e fauna per i parchi ?
  A chi saranno date in mano le 130 riserve naturali e i diversi centri di ricerca in capo al Corpo forestale dello Stato ? A chi darete in mano tutto ciò ? A qualche cooperativa amica ? Non avendo mai voluto rispondere a queste domande, sembra quasi che stiate confermando che il piatto agli speculatori è pronto e state solo aspettando di servirli ! E i comandi stazione che fine faranno ? Perderemo questo importante presidio sul territorio ? Oppure ci volete dire che sono inutili ! Almeno abbiate il coraggio di dirlo !
  Sicuramente ci sarebbe bisogno di riforme, di accorpamenti di competenze e di ammodernamenti: il MoVimento 5 Stelle si è reso disponibile a discuterne con il Governo ed anche con le associazioni ambientaliste e tutti i sindacati. Tra queste l'accorpamento dell'Istituto repressioni frodi che fa capo al MIPAAF all'interno del CFS, entrambi competenti in materia agroalimentare, per il quale abbiamo presentato un emendamento. Ma in risposta il Governo cosa ha fatto ? Nulla. Completa chiusura. Sembra però che qualcuno di alto rango il Governo lo abbia ascoltato. Speriamo di sbagliarci e che questo qualcuno non abbia già un posto assicurato a spese di 8500 uomini e donne e della salvaguardia dell'ambiente del nostro Paese.
  Uomini e donne del Corpo forestale dello Stato saranno spostati come pedine e non si sa bene dove, perché mai – e ribadisco mai – nessun Ministro qui ha risposto alle nostre domande. Né lei Ministro Madia, che credo che a questo punto non sappia neanche che cosa abbia firmato, né Alfano che alla nostre domande ha risposto: vedrò quando mi arriverà la delega, ora non è mio compito. Ma caro Angelino, tu vuoi iniziare ad occuparti di un corpo che ha 193 anni di storia in pochi mesi ? Ma parliamo del Ministro Martina. Dove è ? Sarà il caso di chiamare Chi l'ha visto ? Gli stanno togliendo 8.500 uomini da sotto il naso e lui è svanito nel nulla. Ministro Martina, lo sa che lei verrà ricordato come quello che ha permesso la dissoluzione del Corpo forestale dello Stato, nonché l'istituzione dell'IMU sui terreni agricoli ? Bel merito, non c’è che dire ! Ma vi rendete conto che manca completamente la ratio di un simile provvedimento. In un Paese dove i crimini contro gli animali e la biodiversità sono all'ordine del giorno e rappresentano a tutt'oggi la causa prima di procedure d'infrazione inviate dall'Europa all'Italia, riteniamo assurdo ed incomprensibile come si possa anche solo pensare di poter sopprimere il Corpo forestale dello Stato.
  Voglio qui ricordare uno dei tanti Pilot aperti dalla Comunità europea. Il Pilot 6730, sulle modalità di svolgimento della valutazione di incidenza ambientale. Ma lo avete letto ? Il Pilot è un avvertimento per una prossima procedura di infrazione e quindi relativa multa che dovremmo pagare tutti noi a causa della vostra completa incapacità. Ma abbiamo capito una cosa. Non lo avete letto. Infatti, uno dei suggerimenti che l'Europa, la vostra cara Europa dà è proprio quello del rafforzamento del Corpo Forestale dello Stato ed una razionalizzazione con le polizie provinciali ed i corpi forestali provinciali e regionali. Voi invece cosa state facendo ? Lo state distruggendo. Complimenti !Pag. 34
  Ma vediamo cos'altro chiede l'Europa. Nel Novembre 2014 è stato pubblicato il «Progetto strategico sulla criminalità ambientale», pubblicato da Eurojust. Forse non lo sapete, ma è l'agenzia dell'Unione europea che si occupa della cooperazione giudiziaria in materia penale. Lo avete letto ? No. Immaginavo. Un piccolo riassunto: Eurojust ritiene che sia fondamentale che «i politici si impegnino a rafforzare le buone prassi e lavorino per armonizzare la legislazione esistente». Non solo. Alcuni Stati europei non dispongono neppure di adeguate strutture organizzative, quali ad esempio: «unita di polizia dedicate o pubblici ministeri che si concentrano esclusivamente sui reati ambientali. Questo non è il caso dell'Italia, ben organizzata a causa della sua storia e della presenza della mafia». Forse vi suonava troppo strano che per una volta l'Europa ci avesse fatto un complimento ?
  Ma ho capito dove è il nocciolo. L'Italia si sta muovendo troppo bene in questo ambito anche perché i cittadini sono consapevoli ed attenti alle tematiche ambientali. Quindi vi siete fatti belli e bravi approvando la legge sui reati ambientali, ma per non creare troppi problemi ai vostri amici, si cancella uno dei controllori, il più specializzato. Fatta la legge trovato l'inganno. O forse avete capito che il giro di soldi è elevato nei reati ambientali ? Infatti sempre secondo l'Eurojust i profitti generati da questi reati si aggirano dai 30 ai 70 miliardi di dollari. Siccome avete finito di spolpare le tasche degli italiani state cercando questo nuovo tesoretto, per caso ? Dopo tutto quello che l'Europa ci consiglia e che voi da bravi soldatini portate avanti diligentemente, ci saremmo semmai aspettati più risorse per la formazione e per il rafforzamento del Corpo forestale dello Stato. Invece tutto il contrario.
  Ma vediamo quanto state risparmiando in termini di soldoni. Il costo annuo per il funzionamento della forestale è di circa 30 milioni, esclusi gli stipendi, mentre la media annua delle sanzioni amministrative fatte dal Corpo forestale dello Stato raggiunge 28 milioni di euro. Siamo in pareggio. Invece, l'incorporazione in altre forze di polizia costerebbe subito 25 milioni di euro, solo per la sostituzione delle divise.
  Ma veniamo ora al Rapporto ecomafie 2014 di Legambiente: il Corpo forestale dello Stato, nel 2013, ha svolto oltre 11 mila inchieste ambientali; la Polizia di Stato, che non è specializzata nel settore ambientale, 65. È quindi facile chiedersi se si voglia semplicemente far sparire un Corpo che infastidisce filiere produttive illegali. Mi aspetterei un vostro intervento per dire che non perderemo le loro specificità e le loro professionalità, perché tutto ciò sarà garantito all'interno di qualche polizia.
  Dico «qualche» perché avete bocciato il nostro emendamento in cui chiedevamo di far confluire il Corpo forestale dello Stato in una direzione centrale all'interno della Polizia di Stato, in modo tale da garantire effettivamente tutte le specificità di uomini e donne del Corpo forestale e garantire, almeno, l'attuale livello di salvaguardia ambientale. Ma non vi è bastato solo bocciarlo: avete, addirittura, modificato il testo in Commissione, aprendo ancora di più la ferita.
  Gli uomini e le donne del Corpo forestale dello Stato dovranno scegliere volontariamente di andare dove vogliono: possono rimanere in un Corpo di polizia civile oppure militare, perdendo così il loro status giuridico di personale civile. Quindi, è già chiaro che non avete nessuna, ma nessuna, intenzione di mantenere le funzioni, dato che li state disperdendo qua e là. Ma non solo: in quella stravagante modifica, firmata dal relatore qui presente, Carbone, state dicendo loro di andarsene in qualsiasi ente pubblico: scuole, ospedali, ministeri, comuni, regioni. State polverizzando un intero Corpo specializzato, con una storia di 193 anni, in un colpo di penna !
  Ma il bello è che non avete neanche letto i rilievi del Comitato per la legislazione. Quindi, ve li leggo qui, io, ora: «...taluni principi e criteri direttivi sono formulati con espressioni che fanno riferimento a mere eventualità, ossia a opzioni Pag. 35alternative selezionabili dal Governo delegato; come già segnalato dal Comitato in altre circostanze, si rammenta che la Corte costituzionale ha rilevato che: “il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio o a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega” (sentenze n. 68 del 1991 e n. 340 del 2007). Ciò si riscontra, in particolare: all'articolo 7, comma 1, lettera a), recante “riordino delle funzioni di polizia... conseguente alla riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato ed eventuale assorbimento del medesimo in altra Forza di polizia...”».
  Questo che dice il Comitato per la legislazione, che cosa significa ? Significa che il nostro ordinamento non consente una delega in bianco, come quella che avete scritto voi per il Corpo forestale dello Stato. Però, avete ancora una possibilità, potete ancora rimediare all'errore: potete votare favorevolmente ad alcuni emendamenti che possono ancora contenere l'emorragia. Non potete distruggere questa importante realtà, di cui l'Italia ha disperatamente bisogno. Potete rimediare all'errore e lo dovete fare ora, subito, da domani, in Aula, approvando i nostri emendamenti.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marco Meloni. Ne ha facoltà.

  MARCO MELONI. Grazie, Presidente, colleghi, signora Ministro, rappresentanti del Governo, intendo intervenire su un punto specifico che ho seguito in qualche iniziativa che si è tradotta in una serie di emendamenti che abbiamo approvato nella I Commissione. Il tema riguarda l'organizzazione dei concorsi pubblici, ovvero il modo con cui la pubblica amministrazione italiana è in grado di aggiornare il proprio profilo, di mutare la propria natura e di adeguarsi a standard che, per il resto, non la vedono differente rispetto alle altre pubbliche amministrazioni degli altri Paesi che riteniamo essere un modello di efficienza.
  Non abbiamo troppi dipendenti pubblici, non abbiamo dipendenti pubblici che non sono di buona qualità: semplicemente, non abbiamo una modalità di accesso all'impiego pubblico che corrisponda, in maniera completa e compiuta, alla selezione di coloro i quali siano più vocati e più preparati per ricoprire quei ruoli in maniera corrispondente a come vorrebbe la Costituzione, cioè attraverso il concorso pubblico.
  È, invece, invalsa negli anni una prassi deleteria, da sconfiggere, da superare, per cui le forme di ingresso sono le più diverse; poi si procede nelle amministrazioni locali, regionali e anche in quelle centrali per successive stabilizzazioni. Perché tale questione sia superata e risolta è fondamentale provare a riorganizzare il concorso pubblico e dare al concorso pubblico uno standard di capacità organizzativa, di trasparenza, di affidamento, nella correttezza della selezione, che consenta a chi si orienta nella scelta dei percorsi di studio, a chi poi deve scegliere che cosa fare, dopo che finisce le proprie esperienze formative, di poter contare su un patto chiaro, su regole certe.
  Per questo, il primo punto è legato al fatto che si ripristini l'idea che il concorso pubblico è la via ordinaria – direi l'unica – per diventare impiegati pubblici, per prestare la propria attività professionale a favore dello Stato e delle istituzioni che tutelano e difendono il bene pubblico. È una vocazione che in molti hanno e dalla quale molti si astengono o si arrendono per incapacità di comprendere come funzioni il meccanismo di selezione.
  Occorre, molto spesso, anche semplicemente imitare i meccanismi che in Europa e nel mondo funzionano meglio. Si possono gestire anche procedure di concorso molto onerose, da un punto di vista organizzativo e quantitativo, in maniera moderna ed efficiente. Occorre, ad esempio – l'abbiamo fatto con un emendamento che prevede esplicitamente questa possibilità –, riconoscere che le competenze linguistiche sono essenziali, se vogliamo una pubblica amministrazione realmente europea, cioè capace di partecipare a quel livello plurale di governo che parte dalle istituzioni territoriali e arriva a quelle Pag. 36europee. In questo modo, noi possiamo realmente modificare il codice di funzionamento delle amministrazioni pubbliche e possiamo fare in modo che l'immissione di personale sia graduale e regolare nel tempo, con delle metodologie e con delle tempistiche che siano chiare a coloro i quali vorremmo che non fossero più condannati ad un continuo tentativo, quasi a un triste turismo concorsuale, nel senso che si prova tante volte, in attesa che giunga la volta buona per circostanze che sono, spesso, fortuite o fortunose, a quel punto.
  Invece, con alcune norme che abbiamo introdotto – che voglio citare, e che potranno essere trasposte, poi, in maniera più dettagliata nella delega da parte del Governo –, io credo che si facciano grandi passi in avanti: un organismo che sia una tecnostruttura moderna, che abbia la responsabilità di organizzare, anche in maniera ovviamente decentrata, tutti i concorsi pubblici, credo significhi un grande passo in avanti. Non dovrà essere più ciascuna amministrazione a doversi dotare di strutture organizzative, volta per volta, e di commissioni concorsuali e – devo dire – talvolta anche con delle naturali influenze, con legami troppo diretti, tra amministrazioni e destinatari di un bando di concorso. In questo modo, credo che sarà possibile rendere moderna, trasparente e credibilmente equa la fase di selezione nei concorsi.
  L'idea è che sia possibile acquisire, una volta per più volte, una preparazione documentata in una determinata materia, come se si costruisse una sorte di curriculum del candidato, per cui l'istituzione che organizza i concorsi sa che la mia qualificazione in diritto amministrativo o in economia politica vale tot e per qualche anno vale quel livello di preparazione documentato, acquisito in centri che hanno la capacità di fornire questa qualificazione, per poi spostare sul concorso la cosa più importante, ovvero la capacità di trasporre le conoscenze teoriche nella capacità pratica di affrontare e risolvere i problemi connessi a quello specifico profilo professionale per cui si bandisce un concorso. Quindi, l'idea è che la prova finale testi realmente la capacità di lavoro in quell'organizzazione e non solo ed esclusivamente conoscenze puramente teoriche.
  L'idea è che i requisiti di accesso possano ampliare le opportunità ed essere, anche questi, capaci di valorizzare chi sa di più e chi sa di più le cose che servono a quella determinata attività professionale presso la pubblica amministrazione. Ho citato il tema della lingua inglese o di altre lingue straniere, che sarà possibile che costituisca in futuro requisito per l'accesso o titolo di merito da valutare da parte delle commissioni concorsuali.
  Vi è il tema del dottorato di ricerca: chi è dottore di ricerca, chi ha studiato per almeno tre anni, potrà utilizzare quella conoscenza in un modo che sarà valorizzato (vedremo come, dai decreti), attraverso una normativa che abbia introdotto in questa legge.
  C’è poi il tema del voto di laurea, che ha scatenato un po’ di polemiche, che io vorrei, non chiarire, ma sul quale vorrei dare un'opinione, che credo possa essere condivisa. Io avevo proposto che non vi fosse il voto minimo come requisito per la partecipazione ai concorsi. In Commissione abbiamo approvato una norma un po’ diversa, che prevedeva la possibilità che vi fosse un voto minimo, ma che fosse parametrato a seconda della natura dell'istituzione, ovvero a seconda dell'ateneo. Mi sento di condividere ciò che è accaduto e ciò che è accaduto poi, in particolare, grazie al parere che ha dato la Commissione cultura della Camera. Il tema della differenziazione tra gli atenei esiste, è il caso che ne prendiamo atto e se ne deve trattare quando si tratta di università. Si deve trattare dicendo la verità alle persone e lavorando perché vi sia coesione nel sistema universitario, perché vi siano risorse anche per le università che soffrono e che devono essere valutate, perché vi sia la possibilità per gli studenti di andare in università che li possano formare al meglio e, quindi, perché vi sia un vero diritto allo studio. Leggevo oggi che quasi 50 mila studenti sono idonei non vincitori: è uno Pag. 37scandalo italiano che si perpetua e che si concentra soprattutto nelle regioni del sud.
  Quindi, potremmo dire che nel privato la differenziazione viene riconosciuta e dovremmo dire che questo è un tema che va affrontato in termini di politica e legislazione universitaria, mentre occorre considerare che non è possibile, attraverso leggi come questa, per esempio, alterare il valore legale del titolo di studio. Ciò significa semplicemente – non è un totem ideologico – che, per fare certe cose, per dare certi esami di Stato, per partecipare a certi concorsi pubblici, occorre un titolo di studio che a quel punto deve avere un valore omogeneo.
  Io ho riproposto degli emendamenti, potremmo farlo per legge, ma si può fare anche senza che intervenga la legge. È possibile affermare che, con i concorsi che abbiamo riformato, le persone possono essere valutate nel concorso e non prima del concorso, per un voto di laurea che è per sua natura differente da ateneo a ateneo. Infatti, è legittimo che gli atenei e i corsi di laurea valutino diversamente la preparazione degli studenti e che talvolta ciò possa alterare le scelte degli studenti, perché magari si va in un ateneo o in un corso di laurea – e ci sono anche dei corsi di laurea che sono forse troppo generosi in questo senso – che ti dà la titolarità a partecipare ad un concorso. Cerchiamo, invece, di aprire la possibilità a tutti di partecipare al concorso pubblico e di valutare poi le persone nel concorso. Lo si può fare anche qua, intervenendo nella legge, ma si può fare anche con strumenti che riguardano le decisioni delle amministrazioni e, quindi, con provvedimenti di natura e di rango inferiore alla legge. Cerchiamo di non limitare l'accesso, una volta per tutte: tu ti laurei e puoi fare un concorso solo se hai un determinato titolo di studio. Cito un esempio, che è semplice da comprendere: è possibile che si possa partecipare a un concorso per la carriera diplomatica se si è laureati in marketing, in economia o in diritto e non si possa farlo se si è laureati in filosofia o in lettere antiche ? Io credo di no e credo che potremmo intervenire per ampliare la possibilità delle persone di partecipare ai concorsi pubblici.
  In conclusione, con queste modifiche che abbiamo introdotto in Commissione – io ringrazio il Governo, il relatore e la maggioranza, che hanno dato anche a me la possibilità di interagire in questo processo –, credo abbiamo fatto delle cose molto positive e credo che, se noi diremo – e lo diremo chiaramente nei prossimi mesi – ai giovani italiani che entrare a fare parte della pubblica amministrazione è una cosa bella, è una cosa che deve motivare, che è possibile e che è possibile farlo con equità e trasparenza, avremo fatto una delle più grandi riforme della pubblica amministrazione italiana.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 3098-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la maggioranza, onorevole Carbone, non intende replicare.
  Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo, Ministra Madia.

  MARIA ANNA MADIA, Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione. Grazie, Presidente. Quando ho iniziato ad impostare la riforma della pubblica amministrazione – quindi fin dalla consultazione che c’è stata ad aprile del 2014 –, siamo sempre partiti dal presupposto che questa riforma dovesse essere una riforma per 60 milioni di cittadini, una riforma per il Paese, una riforma per tutti e mai una riforma di settore.
  In quest'Aula, oggi, alla fine della discussione sulle linee generali e dopo il dibattito che c’è stato in Commissione affari costituzionali, rilevo con grande soddisfazione che il Parlamento italiano, nei due rami del Parlamento, sia in Senato in prima lettura che nel lavoro importante che abbiamo fatto in Commissione affari Pag. 38costituzionali, ha non solo confermato quest'impostazione di riforma per il Paese e non di settore, ma l'ha anche rafforzata.
  E, con ancor più soddisfazione, devo rilevare che lo spirito di questa riforma è stato capito dai gruppi parlamentari, nella sostanza anche dai gruppi di opposizione, che, seppur su diversi punti legittimamente contrari, hanno dimostrato, con alcuni interventi emendativi, di aver capito lo spirito. Io credo che sia importante sottolineare sia la percentuale di emendamenti approvati in Commissione anche dell'opposizione, che è una percentuale importante, perché si tratta di un quarto degli emendamenti approvati, sia anche la natura degli emendamenti dell'opposizione, ai quali il Governo ha voluto dare parere favorevole. Infatti, si tratta proprio di quegli emendamenti che hanno colto lo spirito e, quindi, di quegli emendamenti che erano volti a fare di questa riforma una riforma ancor più rivolta a tutti i cittadini e al Paese e mai una riforma, invece, di difesa di un settore. Sottolineo, per esempio, tra gli emendamenti dell'opposizione che hanno avuto questo spirito e che abbiamo voluto accogliere, il numero unico per le emergenze oppure anche l'utilizzo dei software open source nella pubblica amministrazione.
  Vedete, credo che sia importante che la discussione su questa riforma noi la svolgiamo proprio durante il dibattito che si sta avendo in sede comunitaria sul caso della Grecia. Io su questo non sono d'accordo con l'onorevole Quaranta, relatore di minoranza. Credo che proprio questo momento in cui stiamo discutendo della Grecia e, più in generale, anche con il focus che c’è stato in questi giorni sul caso della Grecia, stiamo riflettendo sul futuro dell'Europa e sulla necessità di uscire dal binomio crisi austerità, sia il momento di sottolineare e rafforzare che cosa stiamo facendo con questa riforma, con la riforma della pubblica amministrazione, che si colloca proprio sullo scenario di una nuova narrazione europea. Usciamo dalla crisi e dall'austerità e parliamo di crescita e riforme e approviamo riforme come questa, che devono sostenere lo sviluppo, sostenere la crescita, migliorare la qualità di vita dei nostri cittadini.
  Ecco, la riforma della pubblica amministrazione è proprio parte di un disegno più complessivo di intervento riformatore dello Stato, insieme all'attuazione della legge Delrio, insieme alla parte di riforma costituzionale sul Titolo V, che riassegna con chiarezza e trasparenza le competenze tra Stato e regioni, superando le innumerevoli ragioni dei conflitti di attribuzione, che in questi anni hanno causato una cattiva risposta dello Stato ai cittadini.
  E tutto questo, insieme, che cosa ridisegna ? Ridisegna uno Stato. Quando dico «Stato» penso alla Repubblica, penso a uno Stato in tutti i suoi livelli di governo, dagli enti locali allo Stato centrale, che non può e non deve essere freno allo sviluppo, che non può e non deve essere freno all'esercizio dei diritti individuali, ma che, invece, deve essere motore per lo sviluppo, deve essere motore per l'esercizio dei diritti individuali.
  E perché penso che questa riforma sia una riforma per 60 milioni di cittadini, sia una riforma per il Paese ? Non lo farò qui, non starò qui ad approfondire perché ogni intervento è volto a questo, ma in un tempo più lungo. Forse nel dibattito che ci sarà sui singoli emendamenti anche qui in Aula a Montecitorio potremmo farlo. Ogni singolo intervento di questo disegno di legge è volto a dare al cittadino certezza e, quindi, trasparenza di tempi e regole nei sui rapporti quotidiani con l'amministrazione. Non a caso scelgo queste due parole, certezza e trasparenza, che credo davvero debbano essere le due parole che meglio racchiudono lo spirito di tutto questo intervento riformatore.
  E non posso non sottolineare qui, in quest'Aula, un risultato storico, proprio con questi obiettivi, che abbiamo ottenuto nella discussione in Commissione affari costituzionali. Noi abbiamo introdotto nel nostro ordinamento il FOIA, il Freedom of Information Act.
  Il FOIA è presente oggi in Europa soltanto in tre Paesi e, ovviamente, negli Stati Uniti che sono stati un po’ i padri Pag. 39fondatori dell'apertura dei dati nella particolare accezione del FOIA e, quindi, noi oggi, in Italia, approvando questo disegno di legge, stiamo diventando innovatori in Europa su un tema fondamentale come quello della trasparenza. Perché dico su un tema fondamentale come quello della trasparenza ? Perché credo che, così come sulla globalizzazione, ci siamo persi per anni anche a dividerci politicamente tra quelli che erano a favore della globalizzazione e quelli che erano contro la globalizzazione, senza invece affrontare per tempo i temi della globalizzazione e riconoscendo che la globalizzazione era un dato di fatto, faceva parte del nostro tempo e non si poteva essere a favore o contro la globalizzazione; proprio come la globalizzazione, oggi la trasparenza, attraverso le tecnologie che esistono, è parte del nostro tempo e quindi noi, introducendo oggi nel nostro ordinamento il Freedom of information act, sfruttiamo le tecnologie, sfruttiamo la trasparenza, che è parte del nostro tempo, per farne una modalità e un motore per una democrazia più moderna e più avanzata e, quindi, diventiamo da moderni ad innovatori, anticipando, in un certo senso, i cambiamenti e utilizzando i cambiamenti per migliorare la vita delle persone e non invece per dividerci tra noi sul fatto di essere a favore o contro qualcosa che esiste e che ormai è parte di noi. Su questo, non posso non rispondere ad alcuni interventi puntuali che ci sono stati in quest'aula sia nella discussione sulle questioni pregiudiziali di costituzionalità sia in alcuni interventi che ci sono stati oggi durante la discussione sulle linee generali. In particolare, vorrei rispondere ad un argomento usato dall'onorevole Sannicandro che discuteva appunto in modo negativo di questo provvedimento, avendo il suo gruppo presentato una pregiudiziale di costituzionalità e, in particolare, riguardo ai cambiamenti che noi introduciamo in questo disegno di legge sui processi decisionali; in particolare, credo che il punto fosse il silenzio assenso, parlava di sovvertimento dell'assetto consolidato ossia criticava il Governo e chi in quest'aula sostiene in questo momento l'attività del Governo per il fatto di sovvertire l'assetto consolidato, come se questo fosse un aspetto negativo. Devo dirvi che, se sovvertire l'assetto consolidato sui processi decisionali e sul silenzio assenso significa ribaltare la logica per la quale oggi molte amministrazioni si bloccano tra loro, non comunicano o comunicano male tra loro, creando un'incertezza di tempo e regole e quindi un danno al cittadino, allora, sì, voglio rispondere all'onorevole Sannicandro, dicendo che stiamo sovvertendo l'assetto consolidato e ne siamo fieri ed è esattamente l'obiettivo di questi interventi normativi. Infatti, ciò che vogliamo fare, proprio attraverso tutti gli interventi normativi che cambiano i processi decisionali nelle amministrazioni, è dare certezze di regole e di tempi alla collettività che noi amministriamo. Alla critica strumentale di chi ci dice: ma voi in questo modo volete costruire ovunque, voi in questo modo volete far costruire sulle coste, mi sento di dire assolutamente «no». Noi vogliamo semplicemente dire che ci deve essere un tempo certo per dire dei «sì» o dei «no» perché crediamo – lo credo fermamente – che vi sia un modo civile di difendere le bellezze e l'ambiente del nostro territorio e, quindi, vogliamo che ci siano tempi certi anche quando è necessario dire dei «no» come è giusto fare. Un altro punto sul quale vorrei fare chiarezza è quello che è stato sottolineato in diversi interventi in aula durante la discussione sulle linee generali, sempre affermando cose che non rispondono alla realtà e io temo che, su alcuni punti, dire quello che non è nel disegno di legge sia un modo per non fare quello che invece bisognerebbe fare al fine di aiutare la nostra collettività e avvicinare l'amministrazione ai nostri cittadini. Un punto che vorrei sottolineare è quello che strumentalmente viene usato ossia che dall'assorbimento del Corpo forestale dello Stato ne deriverebbe una frammentazione.
  Ho sentito molto spesso in questi giorni usare la parola «spezzatino»; riconosco non sia una parola adatta e all'altezza di un'Aula parlamentare e, invece, più giusta da usare, forse, in una cucina, ma cito la parola perché è stata l'argomento più Pag. 40usato per criticare l'intervento riformatore che noi stiamo facendo, in generale sulle forze di polizia e, in particolare, sul Corpo forestale dello Stato. Allora io qui, in quest'Aula, voglio dire che noi confermiamo la specialità ambientale, che noi manteniamo l'unitarietà delle funzioni e, quando Zaccagnini mi dice: lo devi scrivere in modo chiaro, io non so quale sia un modo più chiaro, visto che nel testo c’è scritto proprio: unitarietà delle funzioni. Anche alla collega Terzoni che, seppure in un intervento verboso e non sempre di merito, ha voluto sottolineare che non ci sarebbe la salvaguardia delle professionalità né la specificità ambientale nell'assorbimento del Corpo, vorrei dire che nel testo sono utilizzate esattamente le espressioni: salvaguardia delle professionalità e specificità.
  Che cosa penso sia importante sottolineare, in conclusione, su un punto che, giustamente, è stato oggetto di un grande e profondo dibattito ? Che tutto quello che noi stiamo facendo sulle forze di polizia ha esattamente lo spirito che dicevo all'inizio essere lo spirito di tutto il provvedimento. È un intervento per il Paese e non di settore; è un intervento che all'ambiente, alla tutela ambientale del nostro territorio darà più controlli e più risorse, perché noi non facciamo altro che togliere le duplicazioni, che togliere alcune catene di comando, ma tutto questo rafforzerà le specializzazioni, quindi anche la specialità ambientale, e rafforzerà, e ancora voglio tranquillizzare il collega Zaccagnini, tutti gli interventi sulla Xylella, sulle terre dei fuochi, sui parchi, sul dissesto idrogeologico, tutto ciò che oggi fa il nostro Corpo forestale; anzi, forse, ci saranno più risorse per fare più controlli e questa deve essere l'unica verità che noi, insieme, dobbiamo riconoscere, perché, oggettivamente, è scritto nel testo uscito dalla Commissione affari costituzionali qui alla Camera e dopo anche il precedente, e molto utile dibattito, che c’è stato in Senato.
  L'altra non verità che spesso si dice, forse, anche qui, per non arrivare alla fine di un intervento che invece potrebbe essere importante per il nostro Paese, ma che credo non abbia bisogno di parole da aggiungere da parte mia, perché su questo ha fatto grande chiarezza, in modo chiaro, la collega Fabbri, è quella di voler strumentalmente dire che l'intervento riformatore che noi vogliamo fare sulla dirigenza pubblica dovrebbe aumentare il controllo politico sui dirigenti. Noi stiamo facendo esattamente l'opposto, stiamo rafforzando una dirigenza di ruolo, una dirigenza, come diceva il collega Meloni, competente e ben selezionata per concorso, che sia una dirigenza autonoma e indipendente dalla politica. Su questo, appunto, ringrazio la collega Fabbri di avere, con grande chiarezza, spiegato questo punto.
  In conclusione e prima di ringraziare chi, in questo percorso, in particolare nella discussione in Commissione, è stato fondamentale al buon esito e al rafforzamento di questa riforma, vorrei dire che, come è giusto che sia, nel dibattito in quest'Aula, ci sarà ancora spazio per ulteriori interventi migliorativi, se saranno necessari; in particolare, penso che potremo specificare meglio quali sono i criteri che dovranno muovere l'intervento riformatore sulle Autorità portuali e spero anche che, su altri punti, se questo sarà necessario, ci possa essere ancora un'interlocuzione importante e puntuale con tutti i gruppi parlamentari, sempre con la volontà unica di rafforzare lo spirito di questa riforma che è, appunto, una riforma mai di settore, ma per tutti i cittadini.
  Chiudo, ringraziando il presidente della commissione affari costituzionali, che ha svolto il suo ruolo, come era già stato durante la discussione del decreto-legge n. 90 del 2014, con grande terzietà; ringraziando il relatore, con il quale c’è stato finora – e spero continui nella discussione in Aula – un rapporto e un confronto sempre molto proficuo; ringraziando tutti i gruppi parlamentari, il sottosegretario Rughetti e tutte le persone meno visibili ma che ci hanno seguito in questo lavoro. In particolare, tutte le persone che lavorano Pag. 41al Ministero della pubblica amministrazione e anche Roberto Traversa e Sara Reale, che sono stati fondamentali proprio nel puntuale, attento e competente lavoro emendativo.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministra. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Sospendo la seduta per cinque minuti, per ragioni tecniche. Tra cinque minuti ricominciamo.

  La seduta, sospesa alle 17.25, è ripresa alle 17,30.

Discussione della mozione Locatelli, Zampa, Bergamini, Binetti, Galgano, Spadoni, Nicchi, Gebhard ed altri n. 1-00553, concernente iniziative in ambito internazionale in relazione al fenomeno dei matrimoni precoci e forzati di minori.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Locatelli, Zampa, Bergamini, Binetti, Galgano, Spadoni, Nicchi, Gebhard ed altri n. 1-00553, concernente iniziative in ambito internazionale in relazione al fenomeno dei matrimoni precoci e forzati di minori (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata in calce al calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni Rondini ed altri n. 1-00945 e Bechis ed altri n. 1-00946 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A – Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.
  Avverto altresì che la mozione Locatelli, Zampa, Bergamini, Binetti, Galgano, Spadoni, Nicchi, Gebhard ed altri n. 1-00553 è stata sottoscritta in data odierna dalla deputata Giorgia Meloni che, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne diventa la nona firmataria.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritta a parlare la deputata Pia Elda Locatelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00553. Ne ha facoltà.

  PIA ELDA LOCATELLI. Grazie, signora Presidente. È trascorso un anno da quando abbiamo depositato questa mozione e, da allora, nelle sedi internazionali le voci che si sono levate per contrastare questa pratica, tra le più odiose, eppure molto diffusa, hanno trovato ascolto ed accoglienza. La Terza Commissione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, nel settembre 2014, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre dello stesso anno, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite all'inizio di questo mese, proprio l'altra settimana, hanno approvato risoluzioni che impegnano i Paesi sottoscrittori a prevenire ed eliminare la pratica dei matrimoni precoci e forzati, una pratica che viola, abusa e pregiudica i diritti umani di donne e bambine.
  Questo consenso internazionale fa ben sperare nell'avvio di iniziative concrete per contrastare, fino ad eliminarla, questa pratica disumana e crudele, i cui dati sorprendono per la dimensione del fenomeno.
  L'Unicef parla di decine di milioni di spose bambine e riferisce che nel mondo sono 700 milioni le donne viventi sposate prima dei 18 anni, e i 18 anni vengono indicati come età al di sotto della quale non è accettabile che una ragazza, una bambina si sposi, ma ogni anno i matrimoni al di sotto di quella età sono 15 milioni. Una buona parte coinvolge ragazze giovanissime, spesso bambine, che non hanno compiuto i 15 anni, in alcuni casi nemmeno 12, in altri addirittura 9. È positivo il consenso internazionale espresso attraverso il voto alle risoluzioni, ma secondo il rapporto dello UNFPA del 2013 sullo stato della popolazione del Pag. 42mondo sono ben 140 i Paesi, cioè i tre quarti dei Paesi del mondo dove le ragazze possono sposarsi al di sotto dei 18 anni e in ben 52, più o meno un quarto dei Paesi del mondo, possono farlo anche prima di compiere i 15 anni. Non solo, anche laddove la legge lo impedisce, si verificano casi limite di matrimoni combinati con bambine anche di 8-10 anni.
  Alle spose bambine sono tolti tutti i diritti: il diritto all'infanzia, al gioco, alla spensieratezza, all'istruzione, alla possibilità di scegliere, di amare, di decidere della propria vita e del proprio corpo. Schiave di padri prima, di mariti, ma anche di suocere e cognate poi.
  I matrimoni precoci e forzati sono una seria minaccia alla salute fisica e psichica di giovani donne e bambine, a partire da quella sessuale e riproduttiva: rischi, per non dire certezze di gravidanze precoci, frequenti e non volute, alti tassi di morbilità e mortalità materna ed infantile, malattie trasmesse sessualmente, compreso l'AIDS, crescente vulnerabilità alle più diverse forme di violenza.
  Già alla Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo del 1994, quindi più di vent'anni fa, 179 Governi avevano riconosciuto il legame diretto tra matrimoni precoci, gravidanze in età adolescenziale e alti tassi di mortalità materna. Ma non abbiamo fatto passi avanti.
  Al contrario, il rischio di matrimoni precoci e forzati è ulteriormente aumentato in particolare nelle zone di conflitto, come sappiamo sta avvenendo nell'area medio-orientale e in situazioni di crisi umanitarie. Il legame con la povertà è evidentissimo. Il fenomeno è diffuso in molti paesi del mondo, in particolare in Asia meridionale e in Africa sub-sahriana, ma interessa anche il nostro Paese, dove i dati, pochi e non ufficiali, parlano di 2 mila ragazze, anche nate nel nostro Paese, ma costrette a sposarsi spesso ritornando nei Paesi d'origine. Non stiamo quindi parlando di una cosa lontana, ma di fatti che ci riguardano direttamente, di fatti che ci sono vicini, come società civile, politici e come Governo. Per questo motivo l'Intergruppo parlamentare Salute globale e Diritti delle donne ha sollevato l'attenzione sul dramma di queste bambine e di queste ragazze, di queste adolescenti. Abbiamo organizzato un seminario su questo tema al quale hanno partecipato Maura Misiti, ricercatrice del CNR, e l'avvocata Barbara Spinelli che ci hanno confermato che si tratta di un fenomeno sottostimato e in crescita nel nostro Paese anche a causa dell'aumento dei flussi migratori. E quindi la nostra mozione, con la quale impegniamo il Governo a dare attuazione alle due risoluzioni dell'ONU, la prima, quella sui matrimoni, e la seconda per rafforzare gli sforzi per prevenire questi matrimoni. Il secondo impegno è contribuire a dare impulso e a sostenere a livello globale una rinnovata campagna per prevenire ed eliminare questa pratica, e terzo sostenere finanziariamente programmi e progetti di cooperazione internazionale per prevenire ed eliminare i matrimoni di minori, i matrimoni di bambine e matrimoni precoci e forzati.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rondini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00945. Ne ha facoltà.

  MARCO RONDINI. Signora Presidente, molto brevemente per richiamare l'attenzione su un problema che comunque è oggetto della nostra mozione così come anche di mozioni di alcuni colleghi che, come giustamente ha sottolineato anche la collega, è un fenomeno che stato per tanti anni sottovalutato. Le stime dell'UNICEF indicano che globalmente siano circa 70 milioni le donne fra i 20 e i 24 anni che si sono sposate prima di 18 anni; di queste, 23 milioni si sono sposate addirittura prima di aver compiuto 15 anni. Il fenomeno delle «spose bambine» è direttamente proporzionale ai casi di mortalità materna e infantile, e se è vero che questo fenomeno assume una portata strutturale insita nelle culture di riferimento di alcune aree mondiali come l'Asia meridionale e l'Africa sub-sahriana, è altrettanto noto come il processo di mondializzazione e gli eventi di migrazione di massa abbiano permesso il radicarsi di questi comportamenti Pag. 43anche nei Paesi occidentali. Per la sua posizione geopolitica, l'Italia è stata da sempre esposta al fenomeno migratorio. In primo luogo poiché geograficamente protesa verso il mare e, di conseguenza, completamente predisposta ai flussi commerciali o migratori, sempre difficilmente controllabili nella loro interezza. In secondo luogo poiché, trovandosi al centro del Mar Mediterraneo, costituisce il confine meridionale del continente europeo, facilmente raggiungibile non solo dalla vicinissima Africa ma anche dal più lontano Medio Oriente. Da tempo anche in Italia è emersa la problematica delle «spose bambine», un fenomeno, come dicevo, sommerso e poco conosciuto ma diffuso nelle comunità degli extracomunitari presenti nel nostro territorio. In Italia ogni anno sono circa 2 mila le ragazzine che nascono e vivono nelle nostre città ma già a partire da quando hanno 5 anni si ritrovano magari oggetto di veri e propri contratti. Vengono cedute come spose dalle loro famiglie, che in cambio ottengono soldi magari. Nella maggior parte dei casi si tratta del mantenimento a vita delle proprie figlie, come una sorta di dote al contrario versata dai futuri mariti ai genitori delle ragazzine. I matrimoni forzati hanno una dinamica ormai accertata in Italia: viene stretto l'accordo, i genitori della bimba la promettono in sposa ad un uomo molto più grande in cambio di denaro e del mantenimento della ragazzina. Le nozze avvengono spesso però nei Paesi d'origine, perché nel nostro ordinamento i matrimoni con minori sono vietati, ed è possibile sposarsi quindi avendo un'età inferiore magari ai quindici anni.
  Per questo, le bambine vittime di questa tratta, vengono poi portate via con l'inganno. Una volta arrivate magari in Pakistan, in India, in Bangladesh, in Albania o in Turchia finiscono sull'altare, accanto a un uomo che spesso ha decine di anni di più e naturalmente mai visto prima.
  Le spose bambine d'Italia provengono soprattutto dalle comunità dell'India, del Pakistan, del Bangladesh, ma anche dell'Albania o della Turchia, Paesi a poche centinaia di chilometri da noi e che aspirano però ad entrare nell'Unione europea. Sono per lo più di religione musulmana e devono sottostare alla legge islamica, secondo la quale una bambina raggiunge la maggiore età già a nove anni. In tutto il mondo, invece, gli Stati più a rischio, secondo i dati delle Nazioni Unite, sono il Niger, il Ciad, il Bangladesh e la Guinea, dove il 60 per cento delle donne si sposa prima dei 18 anni. Queste ragazzine, in molti casi, sono consapevoli di avere dei diritti, anche perché frequentano la scuola, e sanno che in teoria esiste un'altra possibilità, ma non sempre sono in grado di contrastare la volontà delle famiglie. Per questo, si creano attriti enormi, che alcune volte da noi, in Europa e anche in Italia sfociano in violenza.
  L'Italia però dobbiamo sottolineare che al momento ha fatto poco e non ha in qualche modo acceso veramente i riflettori su questa situazione assolutamente vergognosa. È per questo che, alla luce di queste brevi considerazioni, noi chiediamo al Governo di impegnarsi ad adottare, anche attraverso lo strumento della normativa d'urgenza, norme atte a contrastare nel nostro Paese la diffusione del fenomeno dei matrimoni precoci e forzati, prevedendo l'introduzione di una fattispecie di reato specifica e di misure atte a revocare il permesso di soggiorno agli esercenti la patria potestà che siano riconosciuti colpevoli di aver costretto le proprie figlie minori a sposarsi. E in più ed ancora a dare attuazione alla risoluzione n. 69/156, relativa a matrimoni di minori, precoci, forzati, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2014. Ed infine a sostenere in tutte le sedi internazionali campagne per prevenire e contrastare le pratiche che violano i diritti umani delle bambine con rinnovata energia anche in relazione all'aberrante fenomeno delle mutilazioni genitali.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giammanco. Ne ha facoltà.

  GABRIELLA GIAMMANCO. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, la mozione Pag. 44che discutiamo oggi rappresenta un indispensabile passo in avanti nel cammino di civiltà che la storia ci impone, un intervento necessario per proteggere tante bambine e ragazze minorenni. Memore del virtuoso esempio dato dall'Italia nel 2013, quando il nostro Paese fu tra i primi in Europa a ratificare la Convenzione di Istanbul, ovvero la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, sono sicura che quest'Aula saprà nuovamente trovare la medesima unità di intenti per arrivare all'attuazione della risoluzione n. 69/156 «Matrimoni di minori, precoci, forzati», adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2014.
  Come noto, l'espressione inglese child marriage – matrimonio precoce – descrive un'unione tra individui in cui almeno uno dei due ha un'età inferiore ai 18 anni. Il fenomeno, diffuso nei Paesi in via di sviluppo e soprattutto in ambienti rurali, interessa entrambi i sessi, ma in misura di gran lunga maggiore le ragazze. Su queste ultime, del resto, il matrimonio ha significative conseguenze in termini non solo di negazione dell'infanzia, ma anche di isolamento sociale e mancato accesso all'educazione.
  Il matrimonio precoce assume forme diverse ed ha molteplici cause, ma un aspetto predomina sugli altri: che venga imposto a una ragazza, oppure a un ragazzo, si tratta comunque di una violazione dei suoi diritti umani. Il diritto di acconsentire liberamente e pienamente al proprio matrimonio, infatti, viene riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948. Per gli adolescenti, sia femmine che maschi, il matrimonio precoce ha profonde ripercussioni fisiche, intellettuali, psicologiche ed emozionali. Esso annienta le opportunità formative e le possibilità di crescita personale.
  Per le ragazze, inoltre, comporta quasi sicuramente una gravidanza e un parto precoci e, con ogni probabilità, un'intera vita di sottomissione domestica e sessuale.
  In occasione della sessantanovesima sessione ordinaria dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, l'Italia ha promosso l'evento «Ending Child Marriage: Towards a More Gender Equitable World» per promuovere maggiore consapevolezza su questo fenomeno e per approfondirne l'impatto drammatico sulla popolazione femminile e sulle prospettive di sviluppo socio-economico. È stata un'occasione importante per confrontarsi con quei Paesi in cui il fenomeno dei matrimoni forzati assume dimensioni da vera e propria piaga sociale. Le stime dell'UNICEF più recenti indicano che globalmente, Cina esclusa, 70 milioni di donne tra i 20 e i 24 anni – circa una su tre – si sono sposate prima dei 18 anni: di queste, 23 milioni si sono sposate addirittura prima di aver compiuto 15 anni. In tutto, quasi 400 milioni di donne di età compresa tra i 20 e i 49 anni – oltre il 40 per cento del totale – si sono sposate in minore età.
  Appena il mese scorso, durante la conferenza dal titolo «Avevo 12 anni quando è venuto un uomo a chiedere la mia mano. Spose e madri bambine come fenomeno globale», promossa dal gruppo parlamentare «Salute globale e diritti delle donne» e da AIDOS, associazione italiana donne per lo sviluppo, è emerso che sono 60 milioni i matrimoni forzati ogni anno, 146 i Paesi dove le ragazze possono sposarsi al di sotto dei 18 anni e 52 quelli in cui il matrimonio è consentito prima di compiere i 15 anni. Ma anche dove la legge lo impedisce, si verificano casi limite di matrimoni combinati, con bambine di 8 o 10 anni.
  Un fenomeno che riguarda soprattutto il Sud del mondo, dove ogni giorno 20 mila ragazze sotto i 18 anni diventano madri e le minori di 15 anni che partoriscono sono ogni anno 2 milioni. Se la tendenza attuale si confermerà, il numero di nascite da ragazze sotto i 15 anni potrebbe addirittura salire a 3 milioni l'anno nel 2030.
  Anche i Paesi industrializzati, come il nostro, in conseguenza delle migrazioni sono inevitabilmente coinvolti nel fenomeno dei matrimoni forzati. In Italia si parla di 2 mila ragazze, nate nel nostro Pag. 45Paese, costrette a sposarsi nello Stato di origine. È indubbio, quindi, che sia sul versante normativo sia su quello culturale sia anche necessario agire inserendo il matrimonio forzato precoce nel quadro delle violenze sui minori.
  Considerare il fenomeno come grave violazione dei diritti umani è stato, peraltro, il percorso seguito appunto dalle Nazioni Unite. Il 18 dicembre 2014, infatti, è stata adottata un'apposita risoluzione che è stata definita «storica» da osservatori e da esperti del settore. Contiene un appello agli Stati affinché si accertino che il matrimonio abbia luogo solo con il consenso informato, libero e pieno di entrambe le parti e perché sviluppino e pongano in essere risposte coordinate per eliminare il matrimonio precoce e forzato. Una particolare enfasi viene posta sull'educazione femminile, ritenuta uno dei modi più efficaci per evitare e porre termine ai matrimoni tra bambini, precoci e forzati e per aiutare le ragazze e le donne sposate a fare scelte più informate e più consapevoli sulle loro vite.
  Degno di menzione è anche il paragrafo 5, in cui si sollecitano gli Stati a riconoscere e promuovere i diritti umani di tutte le donne, tra cui «il loro diritto ad avere il controllo e a decidere liberamente e responsabilmente su questioni relative alla propria sessualità, incluse la salute sessuale e riproduttiva, libere da coercizioni, discriminazioni e violenza».
  Il nostro Paese ha fortemente sostenuto l'adozione di questa risoluzione, aderendo al gruppo transregionale che promuove iniziative multilaterali volte all'adozione di risoluzioni dedicate al fenomeno e alla Carta internazionale in materia di mutilazioni genitali femminili e matrimoni forzati, formalizzata durante il summit di Londra tenutosi nel luglio 2014 sotto l'egida dell'UNICEF. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha, dunque, convenuto di riprendere di nuovo l'argomento in occasione della propria settantunesima sessione, nel settembre 2016 (quindi, da qui a breve). Ed è a quell'appuntamento che noi dobbiamo arrivare preparati, dando ancora una volta dimostrazione di come l'Italia sia sempre in prima linea nell'intraprendere la lotta a qualsiasi violazione dei diritti umani, specie e a maggior ragione quando si tratta di minori.
  Perciò chiediamo l'approvazione di questa mozione, come Forza Italia, fermamente convinti che il recepimento della risoluzione 69/156 «Matrimoni di minori, precoci, forzati» possa essere il primo passo per porre fine alla silenziosa disperazione di milioni di ragazze in tutto il mondo, aprendo loro nuove prospettive di crescita umana, culturale e professionale, contribuendo al moltiplicarsi di politiche e programmi che permettano loro di emanciparsi da un'abitudine che può e deve appartenere soltanto al passato.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Binetti. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Presidente, solo pochi giorni fa, il 2 luglio 2015, potremmo dire la settimana scorsa, il Consiglio dei diritti umani dell'ONU ha adottato la prima risoluzione di sostanza sulla prevenzione e l'eradicazione dei matrimoni precoci e forzati, un significativo progresso nella tutela dei diritti umani e delle libertà individuali. Ciò che mi preme sottolineare in questa risoluzione sono tre aspetti. Il primo è che è una delle prime risoluzioni a cui si applica il termine «di sostanza», che credo ne voglia sottolineare la forza e l'impegno per tutti. La seconda cosa che vorrei sottolineare è che pone l'accento su due aspetti molto particolari, la prevenzione e l'eradicazione, cioè l'arrivare prima, ma anche lo sradicare un fenomeno che deve necessariamente fare i conti con una serie di modelli comportamentali che sono strutturati nella prassi di molti Paesi. Ma un terzo punto che mi interessa sottolineare è come l'Italia, insieme ad uno dei Paesi africani, la Sierra Leone, ha co-presieduto i negoziati per definire il testo della risoluzione. L'impegno che l'Italia ha avuto in questa fase ne dimostra la grande sensibilità e dimostra fino a che punto sia impegnata su questa linea e come noi dobbiamo sentirci in stretta unità con i nostri collaboratori, Pag. 46perlomeno con coloro che all'interno dell'ONU portano avanti battaglie così importanti e così profonde a tutela dei diritti umani; ciò che noi facciamo qua in Italia e ciò che si fa nell'ONU secondo una sintonia che possa veramente portare ad una efficace risoluzione del problema.
  La risoluzione sottolinea l'importanza del coinvolgimento dell'intera società e richiama gli attori impegnati nel settore umanitario a rafforzare il monitoraggio e gli interventi di prevenzione per contrastare il ricorso ai matrimoni precoci e forzati. Il ruolo attivo svolto dall'Italia, membro dal 2013 del gruppo regionale di Paesi che si oppongono a tale pratica per l'eliminazione dei matrimoni precoci e forzati, così come delle mutilazioni genitali femminili, conferma la priorità accordata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ai diritti dei minori, soprattutto delle bambine. Il traguardo di oggi è il risultato degli sforzi della diplomazia italiana di coagulare il consenso su tale tema attraverso il dialogo inclusivo con partner appartenenti a tutti i gruppi regionali. Precedentemente, il 18 dicembre del 2013, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva adottato una prima risoluzione di sostanza sui matrimoni di minori precoci e forzati. Questa risoluzione comprendeva raccomandazioni anch'esse di sostanza, sulle quali convergono gli Stati membri con riferimento ad iniziative da intraprendere da parte delle Nazioni Unite e delle loro agenzie, ma anche da parte dei singoli Stati membri, da parte di organizzazioni internazionali e da parte di quelle strutture che sono espressione della società civile, come dire nessuno escluso. È una responsabilità che l'ONU assume in prima persona, è una responsabilità che l'ONU ricorda a tutti gli Stati membri, è una responsabilità che ogni Stato membro ricorda a tutte le organizzazioni impegnate per la tutela dei diritti umani, è una raccomandazione che ogni organizzazione impegnata per la tutela dei diritti umani ricorda a tutte quelle strutture della società civile che servono a fare opinione, a creare una cultura, a creare modelli di comportamento. Le ragazze prive di qualsiasi istruzione hanno probabilità fino a sei volte maggiori di sposarsi precocemente rispetto alle coetanee che hanno frequentato la scuola secondaria. Ogni singolo anno di frequenza scolastica in più aumenta dal 15 al 20 per cento la possibilità di guadagnare un salario migliore.
  È incredibile come siano collegati strettamente questi fattori: l'istruzione e la formazione da un lato, la capacità di riaffermare la propria libertà, la consapevolezza di come ogni scelta implichi un consenso informato da parte propria, e quindi la maturità personale e umana per saper dire di no, ma anche, poi, la stretta dimensione professionale, per cui questo implica possibilità di impiego, possibilità di guadagno, possibilità di autonomia economica, e l'autonomia economica diventa il volano attraverso il quale queste donne possono anche sottrarsi alla volontà dei genitori, che le consegnano da una sorta di dipendenza nei confronti della figura paterna a un'altra forma di dipendenza nei confronti della figura maritale.
  I matrimoni precoci contravvengono ai principi della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, che sancisce il diritto per ogni essere umano sotto i 18 anni ad esprimere liberamente la propria opinione, articolo 12, il diritto a essere protetti da violenze e maltrattamenti, articolo 19, e alle disposizioni di altri importanti strumenti del diritto internazionale. I matrimoni precoci rappresentano una delle maggiori forme di abuso sessuale e di sfruttamento delle bambine: sono un ostacolo per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, come, per esempio, sradicare la povertà e la fame, assicurare l'istruzione primaria universale, proteggere la vita delle bambine e dei bambini, migliorare la salute.
  Vi è un'interconnessione molto stretta tra tutti questi fattori, per cui anche l'impegno che noi mettiamo in questo momento, con questa mozione, precisamente nel dire «no» ai matrimoni precoci e forzati, significa, su un altro piano, dire comunque «no» a queste forme di povertà assoluta, che compromettono, per esempio, Pag. 47uno degli indicatori più drammatici, che è quello della mortalità infantile. La mortalità infantile è uno dei parametri su cui si misurano gli indici di civilizzazione di un Paese.
  Quanti sono i matrimoni forzati ? Abbiamo sentito delle cifre, anche tra le nostre colleghe che sono appena intervenute, che, prese in considerazione l'una accanto all'altra, ci lasciano totalmente sgomenti. Sembra che ogni anno vi siano 60 milioni di spose bambine a causa della pratica dei matrimoni di minori. Sembra quasi che questi matrimoni, complessivamente denunciati o, perlomeno, raccontati da donne sposate, una volta superati i 18 anni, raggiungano i 200 milioni.
  Ci troviamo davanti a cifre che sono non dimostrabili. Sono cifre sulle quali non vi è l'oggettività della documentazione, chiamiamola così, burocratico-istituzionale. Sono cifre che appartengono a una narrazione di sé che esprime, però, un disagio che va oltre qualunque immaginabile misura: 200 milioni di donne – dicevamo prima quasi una su quattro – che si sono sposate... settecento milioni, mi corregge la collega Locatelli, di donne che si sono sposate senza poter esprimere il loro consenso informato. È una piaga tale rispetto al calpestio dei diritti umani che veramente grida vendetta.
  Ci sono, poi, delle situazioni evidentemente particolari. Uno dei luoghi in cui è documentata una concentrazione di matrimoni precoci, per esempio, è tra i rifugiati siriani che vivono in Giordania. Qui si dimostra quasi che il tasso dei matrimoni precoci è cresciuto del 18 per cento, questo soltanto nel 2012, a dimostrazione come, in una situazione drammatica come quella dell'emigrazione dal loro Paese, dalla Siria, per un'immigrazione in Giordania, poi si senta quasi il bisogno di ricostruire nuclei familiari, di mantenere strette le fila. Ma è una situazione drammatica, che potrebbe non portare davvero a un miglioramento della condizione né delle donne né dei bambini che nasceranno né dello stesso Paese il giorno in cui loro volessero tornare in Siria.
  Questi matrimoni forzati sono più frequenti, come è stato detto dalle colleghe, soprattutto nell'Africa subsahariana e soprattutto anche nei Paesi dell'Asia meridionale, cioè in quei Paesi in cui gli indicatori di cultura e, potremmo dire, anche di scolarizzazione delle alunne, delle allieve, sono più bassi.
  Ci siamo chiesti se questo fenomeno riguardasse anche l'Italia e la riguardasse direttamente. Apparentemente sembra di no: in Italia vi è una normativa molto precisa che riguarda il matrimonio e, anche se la maggioranza di queste persone appartiene alla religione musulmana, ci sono comunque parametri molto importanti e molto diffusi nella cultura italiana.
  Però, il problema che conosciamo è che queste persone non si sposano in Italia, queste persone che sino ad un certo punto della loro vita frequentano le coetanee italiane vengono, quando raggiungono i 15, 16 anni, riportate nei luoghi di origine, nei Paesi di origine, lì date in sposa e in quel momento la loro vita subisce una battuta di arresto. Non andranno più a scuola, non completeranno un iter formativo, non potranno accedere ad un lavoro professionale che conferisca loro autonomia economica e, quindi, anche possibilità di gestire meglio la loro vita, e si troveranno, molto presto, con bambini piccoli che, ringraziamo Dio, potrebbero anche essere bambini sani, bambini in buona salute, ma che sappiamo perfettamente essere, con più frequenza degli altri, bambini malati o comunque bambini che nascono morti. Questo ci porta a chiederci, molte volte, ma perché mai si potrà arrivare a questo ? Perché mai un padre dovrebbe consegnare la propria figlia, praticamente una bambina, a un estraneo, a qualcuno di cui non sa che tipo di vita farà fare a questa famiglia ? Certamente si dice che molte volte questo è uno scambio, uno scambio merci quasi, in cambio della figlia consegnata, questo padre acquisisce in termini di risorse materiali, in termini di prestigio, in termini di riconoscimento, in termini di pagamenti di debiti pregressi; riceve dei benefit. Ma è mai possibile che un padre possa consegnare la propria figlia, sapendo Pag. 48le violenze a cui sarà sottoposta, sapendo che questa figlia non godrà mai più di quella libertà, mai più anche di quella leggerezza di vita che è fatta semplicemente di stati d'animo, di sentimenti, di voglia di vivere, di voglia davvero di godere dell'esistenza ? È un mistero che possa succedere questo all'interno di nuclei familiari di cultura islamica. È qualcosa che ci colpisce molto profondamente e che meriterebbe non soltanto un intervento fatto sulle figlie, quindi un intervento che si esprime prevalentemente in termini di educazione, di formazione, di scolarizzazione, ma richiede un intervento fatto anche sui padri. È un intervento che riguarda le donne, ma è un intervento che riguarda anche gli uomini, è un intervento che deve andare ad esplorare il senso della paternità e deve andare a capire qual è la relazione profonda che un padre stabilisce con una madre. Sappiamo che molte volte le donne, le madri di questi figlie, si oppongono, cercano in tutti i modi di opporsi alla strumentalizzazione che il padre fa nei confronti delle proprie figlie. Sappiamo anche quanto è debole la loro possibilità di esprimere il dissenso. Ecco, allora, che la vera operazione culturale che dobbiamo fare di prevenzione e di radicazione, se è – insisto – da una parte, nei confronti delle ragazze, un'operazione culturale, di scolarizzazione, di costruzione dell'identità femminile, di consapevolezza del loro valore personale, dall'altra parte, tutto questo potrebbe non essere efficace se non si accompagna ad un lavoro di formazione molto più forte nei confronti della figura maschile.
  Ho già detto quali sono le conseguenze di queste matrimoni, l'ho detto io e l'hanno detto le colleghe: l'abbandono scolastico, le gravidanze precoci, ma non vorrei sottovalutare una cosa importante, che nella violenza fisica e psicologica che subiscono queste donne, tale è la narrazione che loro ne fanno, vi è anche il fatto che molte volte nel nuovo nucleo familiare a cui approdano diventano un po’ le schiave non solo del loro marito, ma dell'intero nucleo familiare, sia detto con un'espressione brutta, diventano le «serve», le serve della suocera, le serve delle cognate, le serve di quel nucleo familiare che conserva la sua compattezza, mentre loro rappresentano le estranee che arrivano lì, le estranee comprate e quindi, in qualche modo, destinate ad utilizzare e ad occupare il livello più basso della scala familiare.
  Voglio soltanto sottolineare una cosa: che cosa chiediamo noi in questo momento al nostro Governo ? Cosa chiediamo al Ministero degli esteri in tutte le sue operazioni ? Intanto un'intensità di impegno pari e proporzionale a quella che si è messa per sradicare le mutilazioni genitali femminili. Non abbiamo sradicato le mutilazioni genitali femminili, però è stato sollevato il problema in una tale misura che non c’è più nessuno che possa ritenere le mutilazioni genitali femminili una misura che va a vantaggio della salute del soggetto, in questo caso della donna e della bambina.
  È un gesto di cui è facile cogliere tutta la barbarie ed è facile anche cogliere, in questa barbarie, ancora una volta, un pregiudizio maschilista di possesso nel dire: tu sei mia e io faccio di te quello che voglio, se ti posseggo io, nessun altro può possederti.
  È questa la logica che noi dobbiamo in qualche modo smantellare, attraverso operazioni culturali molto complesse. In questo senso, tutto il lavoro che si fa, il lavoro di formazione, il lavoro di attenzione, viene svolto molte volte nei Paesi in cui si trovano questi ragazzi anche in realtà molto diverse. Ci sono, per esempio, missioni femminili che svolgono un lavoro molto bello, molto importante, di promozione del femminile, dell'impegno e della consapevolezza anche in una realtà di servizio, una realtà di accoglienza o una realtà di cura, tutto meno che in una realtà subalterna, una realtà in qualche modo che si schiaccia rispetto a una volontà di altri, che non sia la volontà propria.
  In questo senso combattere i matrimoni precoci e forzati significa anche che dire un «no» chiaro e fermo alla violenza femminile e alla violenza contro le donne. Pag. 49E dire «no» alla violenza contro le donne significa dire un «sì» altrettanto convinto alla rivalutazione di quelle che sono autenticamente le pari opportunità, nel senso di pari opportunità all'accesso alla formazione e pari opportunità, prima di tutto, alla propria dignità di persona.
  Quindi noi chiediamo davvero al Governo di dare attuazione alla risoluzione 69/156 adottata dalle Nazioni Unite il 18 dicembre 2014. Chiediamo, però, soprattutto di contribuire a dare impulso e a sostenere a livello globale la campagna per prevenire ed eliminare questa pratica. Chiediamo un intervento molto forte, che sia rivolto in pari misura alle donne, alle madri perché difendano le proprie figlie, alle figlie perché difendano i propri diritti e ai padri perché la smettano di considerarsi padri padroni (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Scuvera. Ne ha facoltà.

  CHIARA SCUVERA. Signora Presidente, aggiungo qualche considerazione rispetto alla valutazione di questo gravissimo fenomeno, che le colleghe hanno, appunto, descritto con dati che richiamo e che, secondo me, evidenziano la grande contraddizione del nostro tempo. Da un lato abbiamo un'economia che si vuole innovare, un'economia che si vuole riconvertire, abbiamo Paesi come l'India che stanno emergendo su uno scenario economico globale e quindi, Paesi non occidentali che tradizionalmente, o comunque nei tempi recentissimi, non si affermavano su questo scenario. Dall'altro lato, vi sono diritti umani calpestati, cosa ancora più ripugnante quando si tratta di bambini e di bambine.
  Quindi più che mai attuale, più che mai sfidante, più che mai urgente è lanciare il tema della cittadinanza universale. Infatti credo che il punto sia proprio questo: quando c’è un arricchimento economico, un avanzamento economico senza diritti, quando i diritti umani più elementari vengono calpestati, con bambine vendute e costrette a matrimoni e a violenze, ridotte in schiavitù, quindi diritti umani fondamentali calpestati, allora in quelle società non ci sarà progresso e nella nostra società non ci sarà progresso. Anzi, si pongono le premesse per andare indietro, per fare numerosi passi indietro.
  Quindi, secondo me, da questa parte del mondo, dobbiamo proprio affrontare senza paternalismo questa questione dello sviluppo contraddittorio. La cooperazione internazionale, che è il secondo impegno – impegno tra gli impegni che noi poniamo con forza nella mozione –, è assolutamente fondamentale, perché le comunità possano autodeterminarsi, perché prevalga la voce che esiste in quelle comunità di chi vuole sottrarsi all'orrore e di chi lotta. Pensiamo alle ragazze indiane: si parla di rivolta delle spose bambine perché altre non debbano subire quell'orrore e perché le donne possano esprimere pienamente la propria personalità e il proprio femminile.
  E abbiamo detto che questo fenomeno riguarda anche l'Italia. Ecco, riemerge quella contraddizione, nonostante le leggi. Per la verità, anche altri Paesi hanno adottato leggi che pongono come età minima del matrimonio i diciotto anni. Quindi, abbiamo una sostanza, una materialità che contraddice le leggi vigenti. Quindi, è necessaria, come abbiamo sempre detto nei nostri dibattiti sulla violenza, una grande mobilitazione culturale, una mobilitazione globale, che, però, non può assolutamente essere sganciata da una riflessione generale sulle donne e sui modelli di sviluppo.
  Si chiedeva Paola Binetti – io mi associo a questa domanda – come sia possibile che un padre consideri la propria bambina come un peso economico e, quindi, come sia possibile che un padre consideri la vendita della propria figlia come il mezzo per far fronte alla povertà della propria famiglia. Come è possibile concepire questo come un rimedio ? Intanto, non lo si giustifica mai, perché il male non è giustificabile. Ma poi si promuovono altri modelli, quindi le azioni, per esempio, delle associazioni, le azioni di Pag. 50cooperazione, per fare empowerment femminile e promuovere l'emancipazione delle comunità attraverso le donne, cioè facendo vedere che l'istruzione femminile, il lavoro femminile emancipa le comunità. Sappiamo quale esperienza dirompente è stato nei Paesi in via di sviluppo il microcredito, per esempio.
  Quindi, il punto è proprio l’empowerment femminile. Un'economia globalizzata – e io penso che la globalizzazione sia una sfida – rende più urgente un'azione capillare e diffusa di promozione e vigilanza sul rispetto dei diritti umani nel mondo. Gli accordi commerciali non possono prescindere da una richiesta di garanzie sui diritti umani e civili. Noi non dobbiamo tenere separati i due livelli o le due discussioni – economia e democrazia – come due questioni a sé. Sono due questioni molto connesse perché è inaccettabile che oggi, ancora oggi, nascere femmina sia una condanna, comporti esclusione dall'alimentazione e dall'istruzione, interruzione dell'infanzia e dell'adolescenza, sopruso, violenza, maternità precoci, figli che non sopravvivranno, altri bambini che moriranno: un orrore che le Nazioni Unite hanno risolto di denunciare e affrontare.
  È un impegno che, come parlamentari italiane donne, vogliamo rilanciare e sostenere con forza, insieme al nostro Governo. Io ringrazio Pia Locatelli e le altre prime firmatarie di questa mozione, perché è una mozione unitaria di donne che appartengono a diverse forze politiche e che dicono, tutte insieme, che nessuna differenza culturale, nessuna ideologia, nessuna tradizione può giustificare il male. Ci sono dei valori universali assolutamente innati, appunto universali e le azioni politiche e di sensibilizzazione sono importantissime. Si richiamava poc'anzi l'effetto della campagna mondiale, della risoluzione ONU e del particolare impegno dell'Italia sulle mutilazioni genitali femminili, le mobilitazioni, le campagne. L'azione politica è importantissima.
  Quindi, noi chiediamo, proprio per questo, al Governo di appoggiare questa grande campagna, questa grande mobilitazione mondiale. Ma noi dobbiamo anche, a partire da oggi, promuovere, come parlamentari e con i nostri partiti, una mobilitazione sociale e civica anche nel nostro Paese.
  Chiediamo di dare attuazione alla risoluzione 69/156 e di sostenere, come abbiamo detto, l'investimento sui programmi di cooperazione internazionale sul campo. Ma – aggiungo – sono assolutamente necessarie anche politiche attive sull'immigrazione e politiche di integrazione efficaci, perché nessuna minore migrante, nessuna cittadina del mondo nel nostro Paese può subire una simile violenza.
  Quindi da questa mozione deve nascere, deve partire una mobilitazione politica trasversale di uomini e donne per rendere ancora più concreto il nostro impegno e credo che questa trasversalità, che è poi la rete che le donne storicamente sanno fare, può portare a grandi risultati sul campo per sconfiggere veramente questo odioso crimine contro l'umanità (Applausi).

  PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale. Il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

  PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

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  Martedì 14 luglio 2015, alle 10,30:

  1. – Svolgimento di interrogazioni.

  (ore 14,30)

  2. – Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92, recante misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l'esercizio dell'attività d'impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale (C. 3210).

  3. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   S. 1577 – Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (Approvato dal Senato) (C. 3098-A).
  — Relatori: Carbone, per la maggioranza; Quaranta e Lombardi, di minoranza.

  4. – Seguito della discussione delle mozioni Locatelli, Zampa, Bergamini, Binetti, Galgano, Spadoni, Nicchi, Gebhard, Giorgia Meloni ed altri n. 1-00553, Rondini ed altri n. 1-00945 e Bechis ed altri n. 1-00946 concernenti iniziative in ambito internazionale in relazione al fenomeno dei matrimoni precoci e forzati di minori.

  La seduta termina alle 18,15.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO ERNESTO CARBONE IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 3098-A.

  ERNESTO CARBONE, Relatore per la maggioranza. Signora Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, con il provvedimento che affrontiamo oggi, ci prepariamo a compiere un passo determinante lungo la strada delle riforme.
  Innovando in maniera organica e approfondita la Pubblica amministrazione tagliamo un doppio traguardo. Da una parte ammoderniamo il sistema-Italia, allineandolo ai più alti standard dei grandi paesi europei. Dall'altra mettiamo benzina nel motore del cambiamento, rendendo più facile la realizzazione di tanti altri interventi normativi la cui attuazione è rallentata da un'organizzazione dello Stato troppo spesso elefantiaca.
  Vogliamo raggiungere questo doppio risultato partendo da un presupposto: la pubblica amministrazione italiana, e i lavoratori che la animano, sono una risorsa insostituibile. Un fattore di sviluppo che va valorizzato con il contributo di tutti.
  Ha detto Max Weber che «la burocrazia è l'incarnazione stessa dell'efficienza razionale di un Paese». Una frase che ascoltata nell'Italia di oggi lascia l'amaro in bocca. Ma nella loro essenza, queste parole restano vere: perché una amministrazione è razionale o non è. Solo istituzioni efficienti contribuiscono a soddisfare i bisogni dei cittadini. Una burocrazia ipertrofica, labirintica e lontana dai bisogni dei cittadini non fa parte delle soluzioni, fa parte dei problemi di una nazione.
  Ma prima ancora di puntare il dito e pronunciare sentenze, dobbiamo tutti interrogarci su un punto: cosa è stato fatto fino a questo momento per rendere la pubblica amministrazione degna del suo nome ? Per troppi anni, colleghi deputati, fuori e dentro quest'Aula, abbiamo assistito a un attacco feroce e sistematico che non mirava ad individuare le cause delle inefficienze, ma solo a indicare «colpevoli».
  Una impostazione sbagliata, controproducente, che ha radicalizzato lo scontro, diviso il paese e allontanato in ultima istanza l'obiettivo fondamentale di arrivare a una riforma davvero strutturale, perché nata da un confronto reale con gli attori coinvolti, frutto di un metodo di lavoro coesivo e partecipativo.Pag. 52
  Oggi invertiamo la rotta. Individuiamo e interveniamo sui nodi di merito, sulle strozzature di sistema, sulle eccessive intermediazioni. E diamo impulso ed energia ad una riforma che mira alla realizzazione di target strategici comuni.
  Le parole chiave di questo nuovo corso sono trasparenza, merito, produttività, innovazione e responsabilità.
  Si badi bene: obiettivi fondamentali non solo per l'amministrazione pubblica e per le strutture nazionali e territoriali, ma per il riscatto e la crescita del paese tutto.
  Concetti che noi qui oggi vogliamo trasformare in misure concrete. Ma che vogliamo anche trasferire in una nuova e ideale carta dei valori di una amministrazione pubblica che sia orgogliosa della propria funzione.
  Dobbiamo passare da uno Stato pesante a uno Stato pensante. Da un edificio che per molti versi è ancora sorretto da impalcature ottocentesche e il cui accesso è complicato da mille procedure e adempimenti, a una struttura semplice. Un'interfaccia moderna e capace di dialogare e di interagire in maniera reattiva e umana. Insomma, non una fredda macchina, ma un vivo organismo che abbia gli strumenti, le risorse, le infrastrutture e le capacità per adempiere il proprio dovere al servizio del cittadino, della famiglia, dell'impresa.
  È chiaro allora quale sia la sfida: riaffermare il protagonismo delle pubbliche amministrazioni nella partita della crescita economica e dell'integrazione sociale.
  Una partita che possiamo vincere definendo nuove e più efficaci norme che regolino, a tutti i livelli, i processi decisionali e di controllo. Significa sfrondare le procedure in eccesso anche rilanciando il capitolo fondamentale della digitalizzazione dell'amministrazione pubblica.
  Con l'agenda della semplificazione sosteniamo il governo nella sua azione di sfrondamento delle procedure in settori fondamentali quali il fisco, il welfare, l'impresa e l'edilizia.
  Vuol dire ridurre i tempi delle procedure attraverso un impegno sistematico in ogni settore della Pa, rifiutando ogni demagogica e sterile norma-annuncio e attuando la verifica puntuale dell'efficacia degli interventi di semplificazione adottati. E vuol dire anche tagliare le procedure ridondanti, realizzando una politica di semplificazione organica e condivisa tra Stato, Regioni e Autonomie locali.
  In un contesto di burocratizzazione totale in cui ci troviamo a vivere, dobbiamo accelerare il processo di informatizzazione e di digitalizzazione, strutturare modelli di open data e di open government, estendere e rinforzare il controllo sui processi di gestione.
  Le deleghe che consegniamo al Governo aprono finalmente la strada che porta all'era della cittadinanza digitale. Qualcosa di molto diverso e di molto più importante di un semplice target di adeguamento tecnologico. Siamo di fronte all'opportunità di dare vita a una infrastruttura del tutto nuova, che rafforzi la democrazia e lo Stato di diritto fornendo servizi certi con regole certe. Sotto questo profilo, questa idea di amministrazione digitale moltiplica e amplifica i progetti di sburocratizzazione o semplificazione, che qui integriamo.
  È il caso della profonda revisione che la legge delega prefigura per le forze di polizia. Miriamo a raggiungere tre obiettivi determinanti e fin troppo rimandati negli anni: unire tutti i servizi strumentali: dalle caserme agli uffici acquisti ai mezzi di trasporto, eliminare le duplicazioni di funzioni e razionalizzare le varie catene di comando, passando da cinque a quattro corpi.
  È il caso della drastica riduzione delle partecipate, elemento qualificante di un nuovo modello che prevede limiti più stringenti alla loro costituzione e maggiori vincoli di efficienza al loro mantenimento e funzionamento, nel segno di una maggiore responsabilità degli amministratori.
  Partecipazione e produttività sono elementi profondamente legati: come dimostra la deludente esperienza degli anni passati, non è attraverso tagli lineari alla Pa o una violenta delegittimazione dell'impiego Pag. 53pubblico che si arriva a ridefinire contorni più snelli e meccanismi più limpidi e controllati.
  Occorre allargare, coinvolgere, consolidare i momenti di partecipazione diffusa, ideare nuovi strumenti di feedback per aumentare la trasparenza, che è da sempre l'antidoto migliore ai fenomeni di corruzione, clientela e malagestione.
  È lo spirito del Freedom of information Act, di cui indichiamo princìpi e criteri fondamentali e che vogliamo diventi lo strumento principe per l'accesso dei cittadini a tutti i dati delle pubbliche amministrazioni. Una finestra attraverso la quale sarà possibile individuare i punti deboli ed i punti di forza delle amministrazioni locali e nazionali. E dunque compiere il primo passo per migliorare i servizi, incrementare le competenze, immettere innovazione.
  Tutto questo richiama la necessità di far corrispondere all'autonomia delle dirigenze puntuali e conseguenti responsabilità nelle dinamiche decisionali. Chiunque frequenti a qualsiasi livello la pubblica amministrazione può testimoniare uno stato dell'arte ancora molto lontano da standard di dinamismo, reattività e merito davvero efficaci.
  Ne derivano strutture organizzative a «responsabilità limitata», che di fatto immobilizzano il dirigente nell'amministrazione originaria, impedendo da una parte la circolazione e la positiva contaminazione delle competenze, e dall'altra l'emergere di nuove leve. Con questo provvedimento mettiamo sui giusti binari la creazione di un mercato del lavoro della dirigenza di ruolo, indichiamo la via per valorizzare il sistema di valutazione dei capistruttura, tracciamo il sentiero per l'assegnazione degli incarichi sulla base dei risultati ottenuti nelle esperienze precedenti. Tra il modello puro dello spoils system e quello della dirigenza di ruolo, entrambi legittimi, abbiamo scelto il secondo perché siamo convinti che una dirigenza forte possa fare da argine a tanti fenomeni, a partire dalla corruzione. Per riuscirci diamo ai dirigenti gli strumenti per dire di no alla politica quando serve. In quest'ottica, la riforma consente la chiara e non più equivocabile limitazione della responsabilità dei dirigenti agli atti di gestione, cioè agli atti rientranti tipicamente nella competenza dirigenziale.
  Dobbiamo liberare la gestione delle risorse umane ed economiche delle amministrazioni dalla onnipresenza di un diritto amministrativo che rende ogni decisione rigida e farraginosa. A venti anni dal superamento della vecchia disciplina pubblicistica e dal raggiungimento della privatizzazione del diritto di lavoro pubblico, mettiamo in campo procedure più snelle e modelli in linea con le migliori pratiche europee.
  Non c’è strada migliore per reimpostare i rapporti tra politica e istituzioni, incardinando la nuova dirigenza su binari «manageriali». Non c’è via più diretta per sfrondare radicalmente la burocrazia, rilanciare modelli organizzativi e progetti innovativi, trasformando finalmente l'amministrazione pubblica in un fattore decisivo di crescita e di sviluppo nazionale.
  Il disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione, collegato alla manovra finanziaria, è stato approvato dal Senato il 30 aprile 2015, apportando al testo iniziale numerose e significative modifiche. Il provvedimento – nel testo trasmesso alla Camera – constava di 18 articoli, divenuti 23 al termine dell'esame in sede referente, nel corso del quale sono stati approvati nuovi articoli aggiuntivi ed emendamenti modificativi del testo.
  Il testo contiene prevalentemente deleghe legislative da esercitare in gran parte nei 12 mesi successivi all'approvazione della legge, volte a riorganizzare l'amministrazione statale e la dirigenza pubblica; proseguire e migliorare l'opera di digitalizzazione della PA; riordinare gli strumenti di semplificazione dei procedimenti amministrativi; promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle PA; elaborare testi unici delle disposizioni in materie oggetto di stratificazioni normative (come, ad esempio, il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni; le partecipazioni societarie delle Pag. 54amministrazioni pubbliche e la disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale).
  Più nel dettaglio, le deleghe legislative investono, in particolare, i seguenti ambiti: codice dell'amministrazione digitale; conferenza dei servizi; segnalazione certificata inizio attività; trasparenza delle PA; freedom of information act; diritto di accesso dei parlamentari ai dati delle PA; piani e responsabili anticorruzione; white list antimafia; intercettazioni; ruolo e funzioni della Presidenza del Consiglio, organizzazione dei ministeri, agenzie governative, enti pubblici non economici, uffici di diretta collaborazione dei ministri; riorganizzazione delle funzioni e del personale delle forze di polizia, del Corpo forestale dello Stato, dei Vigili del fuoco, del Corpo delle capitanerie di porto e della Marina militare; numero unico europeo 112; Pubblico registro automobilistico; prefetture-UTG (Uffici territoriali del governo); ordinamento sportivo; autorità portuali; camere di commercio; dirigenza pubblica, valutazione dei rendimenti; segretari comunali e provinciali; dirigenti sanitari; enti pubblici di ricerca; lavoro pubblico; società partecipate da pubbliche amministrazioni; servizi pubblici locali; procedimenti giurisdizionali della Corte dei conti; Formez pa; modifica e abrogazione di disposizioni di legge che prevedono l'adozione di provvedimenti attuativi.
  Si ricorda che il disegno di legge fa parte degli interventi di riforma della pubblica amministrazione preannunciati dal Ministro per la pubblica amministrazione nel mese di maggio 2014, a chiusura di una consultazione pubblica, che in una prima parte (relativamente alle misure di maggiore urgenza) avevano trovato applicazione nel decreto-legge pubblica amministrazione decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge n. 114 del 2014.
  Il disegno di legge di cui oggi l'Assemblea inizia l'esame reca una organica riforma della pubblica amministrazione.
  Ricordo che esso è stato presentato al Parlamento nel mese di luglio del 2014, a chiusura di una consultazione pubblica lanciata con una lettera aperta ai dipendenti pubblici e ai cittadini.
  Il disegno di legge, collegato alla manovra di finanza pubblica e già approvato dal Senato, è composta da 22 articoli, che contengono prevalentemente deleghe legislative.
  Ricordo che l'esame in sede referente del disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione, già approvato dal Senato, ha avuto inizio presso la I Commissione il 12 maggio 2015. È stata, in tale sede, svolta un'indagine conoscitiva sui temi oggetto del provvedimento, deliberata il 19 maggio. Al disegno di legge sono stati presentati circa 2000 emendamenti che sono stati esaminati dalla Commissione nel corso di numerose ed approfondite sedute. Il 9 luglio 2015 la I Commissione ha conferito il mandato al relatore a riferire in senso favorevole all'Assemblea.
  Questo disegno di legge si inserisce all'interno del più complessivo processo di riforma dello Stato che si sta attuando: la riforma del titolo V della Costituzione, l'attuazione della legge n. 56 del 2014 (legge Delrio) e la riforma della pubblica amministrazione, appunto, rappresentano tasselli di un unico disegno complessivo di cambiamento della Repubblica.
  La pubblica amministrazione è l'insieme di attività a presidio degli interessi pubblici. Da questo elemento occorre partire per comprendere la ratio della riforma che non è rivolta esclusivamente ai 3 milioni di lavoratrici e lavoratori pubblici ma è una riforma per 60 milioni di italiani.
  Questa è la chiave di lettura fondamentale per descrivere i singoli provvedimenti contenuti nella riforma e il filo rosso che tiene insieme ambiti e settori apparentemente distanti e diversi tra loro.
  Il primo grande cambiamento è dunque nell'approccio: non una riforma di settore, ma una «riforma paese».
  Gli interventi si muovono lungo una precisa direzione, quella di creare una PA più democratica, più semplice e più competente.Pag. 55
  Passando all'esame del contenuto del disegno di legge è importante sottolineare come esso si apra con la delega al Governo in materia di erogazione di servizi da parte delle pubbliche amministrazioni con la finalità di garantire: il diritto di accesso dei cittadini e delle imprese ai dati, documenti e servizi di loro interesse in modalità digitale; la semplificazione dell'accesso ai servizi alla persona, riducendo la necessità di accesso fisico agli uffici pubblici.
  Nell'immaginario collettivo, ancora oggi la parola digitale richiama l'idea di una materia per «addetti ai lavori», tanto più in una PA caratterizzata storicamente da profili giuridico/amministrativi. Ma questa e una visione vecchia, che non risponde a ciò che i cittadini ormai sperimentano nella loro vita quotidiana. La filosofia dell'intera riforma della PA, in sintonia con le altre riforme richiamate, è quella di consegnare ai cittadini uno Stato meno complicato, meno farraginoso, uno stato più semplice e, quindi, più veloce ed efficace nella sua azione a beneficio della collettività. Quella che immaginificamente chiamiamo rivoluzione digitale non è quindi solo uno strumento, ma il modo in cui deve trasformarsi la PA per offrire servizi migliori a 60 milioni di italiani che sono i veri destinatari della riforma. Un accesso ai servizi rapido, trasparente e uguale per tutti è un fatto di democrazia prima ancora che di modernità. Il vero obiettivo è perciò la rivoluzione digitale nell'erogazione dei servizi ai cittadini, ribaltando la logica: ricevere servizi in modalità digitale non è solo un dovere in capo all'amministrazione, ma un diritto riconosciuto al cittadino. La previsione di un domicilio digitale per cittadini e imprese; standard minimi per la fruizione e accessibilità dei servizi in modalità digitale e sanzioni per le amministrazioni; ridefiniti in chiave digitale i procedimenti amministrativi (digital first).
  L'articolo 1 reca una delega al Governo in materia di erogazione di servizi da parte delle pubbliche amministrazioni per l'emanazione di uno o più decreti legislativi con la finalità di garantire: il diritto di accesso dei cittadini e delle imprese ai dati, documenti e servizi di loro interesse in modalità digitale; la semplificazione dell'accesso ai servizi alla persona, riducendo la necessità di accesso fisico agli uffici pubblici.
  A tal fine, i decreti legislativi, con invarianza delle risorse, dovranno modificare il codice dell'amministrazione digitale (CAD).
  Una modifica apportata al testo dalla Commissione, autorizza il Governo anche a disporre la delegificazione delle disposizioni contenute nel CAD. A tale modifica si collega la previsione che pone al legislatore delegato il compito di semplificare il CAD in modo da contenere esclusivamente princìpi di carattere generale.
  Un primo gruppo di princìpi e criteri direttivi introduce una serie di misure volte a favorire l'accesso dell'utenza ai servizi delle amministrazioni pubbliche in maniera digitale, tra i quali: la definizione di un livello minimo delle prestazioni in materia di servizi on line delle amministrazioni pubbliche; la piena applicazione del principio «innanzitutto digitale» (cosiddetto digital first, in base al quale il digitale è il canale principale per tutte le attività delle PA); il potenziamento della connettività a banda larga e ultralarga e dell'accesso alla rete internet presso gli uffici pubblici, dando priorità, come previsto dalle modifiche apportate in Commissione, ai settori scolastico, sanitario e turistico, prevedendo per quest'ultimo una unica rete WiFi ad accesso libero; la partecipazione con modalità telematiche ai processi decisionali pubblici; l'armonizzazione della disciplina del Sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale (SPID), volto ad assicurare l'utilizzo del cosiddetto PIN unico; la promozione dell'elezione del domicilio digitale.
  In sede referente sono stati aggiunti i seguenti princìpi e criteri direttivi: la diffusione dell'informazione sugli strumenti di sostegno della maternità e della genitorialità attraverso l'utilizzo del sito INPS; l'adeguamento dell'ordinamento alle norme europee in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le Pag. 56transazioni elettroniche; l'individuazione del pagamento digitale come mezzo principale di pagamento nei confronti delle PA e degli esercenti di pubblica utilità.
  Un secondo gruppo di princìpi e criteri direttivi attiene alla riforma dei processi decisionali interni alle pubbliche amministrazioni. Essi dispongono, fra l'altro: la razionalizzazione degli strumenti di coordinamento e collaborazione tra le PA, favorendo, come previsto da una modifica approvata in Commissione, l'uso di software open source; la razionalizzazione dei meccanismi e delle strutture di governance della digitalizzazione; la digitalizzazione del processo di misurazione e valutazione della performance mance (criterio introdotto in sede referente).
  Un secondo importante obiettivo del disegno di legge è quello di promuovere l'unità dell'amministrazione e la semplificazione dell'azione amministrativa. Non è solo un problema di conflitti tra diversi livelli istituzionali, ma spesso anche di uffici dello stesso livello che non si parlano o si ostacolano tra loro. È come se la nostra Repubblica fosse composta da mille amministrazioni diverse. Questo rende complicato il rapporto tra privato e amministrazione, con ricadute anche economiche in termini di investimenti che potremmo attrarre e che invece perdiamo.
  L'obiettivo è invece quello di ricomporre queste distanze; l'amministrazione deve muoversi come un corpo unico che agisce in modo coerente e funzionale agli interessi e ai bisogni dei cittadini che chiedono trasparenza, semplicità negli adempimenti e coerenza nelle decisioni.
  A tal fine l'articolo 2 reca una delega al Governo per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi.
  I numerosi princìpi e criteri direttivi sono volti principalmente ad assicurare la semplificazione dei lavori e la certezza dei tempi. Essi prevedono, in particolare: la riduzione dei casi di obbligatorietà della convocazione della conferenza di servizi; la ridefinizione dei tipi di conferenza; l'introduzione di modelli di istruttoria pubblica per l'adozione di provvedimenti di interesse generale; la semplificazione dei lavori della conferenza, attraverso l'utilizzo di servizi strumenti informatici; la riduzione dei termini e la certezza dei tempi della conferenza; la revisione dei meccanismi decisionali attraverso: la previsione del principio della prevalenza delle posizioni espresse in sede di conferenza per l'adozione della determinazione di conclusione del procedimento; una disciplina del calcolo delle presenze e delle maggioranze volta ad assicurare la celerità dei lavori della conferenza; la previsione del silenzio assenso qualora le amministrazioni non si esprimano entro il termine dei lavori della conferenza; la definizione di meccanismi e termini per la valutazione tecnica e per la necessaria composizione degli interessi pubblici nei casi in cui la legge preveda la partecipazione al procedimento delle amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico-artistico, della salute o della pubblica incolumità, in modo da pervenire in ogni caso alla conclusione del procedimento entro i termini previsti; la previsione – a seguito di una modifica introdotta in Commissione – per le predette amministrazioni della possibilità di attivare procedure di riesame.
  L'articolo 3 introduce nella legge sul procedimento amministrativo il nuovo istituto generale del silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche. Esso trova applicazione nelle ipotesi in cui per l'adozione di provvedimenti normativi o amministrativi sia prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta di competenza di altre amministrazioni pubbliche. Queste ultime sono tenute a comunicare le rispettive decisioni all'amministrazione proponente entro 30 giorni, decorsi inutilmente i quali, l'assenso, il concerto o il nulla osta s'intende acquisito. Nel corso dell'esame in sede referente, l'istituto è stato esteso anche alle ipotesi in cui sia necessario l'assenso, il concerto o il nulla-osta di gestori di beni e/o servizi pubblici. 11 termine può essere interrotto, una sola volta, in presenza di determinate circostanze.
  In caso di mancato accordo tra le amministrazioni coinvolte, il Presidente Pag. 57del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento. In sede referente, la previsione è stata limitata al mancato accordo tra amministrazioni «statali».
  La disciplina si applica anche nel caso di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini; in tal caso il termine è di 60 giorni. Nel corso dell'esame in sede referente, è stato precisato che anche in tal caso è ammissibile l'intervento del Presidente del Consiglio.
  L'articolo 3-bis prevede l'emanazione di un regolamento di delegificazione, con cui sono dettate norme di semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi relativi a rilevanti insediamenti produttivi, opere di interesse generale o avvio di attività imprenditoriali.
  L'articolo 4 reca una delega al Governo: per la precisa individuazione dei procedimenti: oggetto di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), oggetto di silenzio assenso; per i quali è necessaria l'autorizzazione espressa; per i quali è sufficiente una comunicazione preventiva; per l'introduzione della disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa.
  L'articolo 5, introduce, con efficacia immediata, alcune modifiche alla legge generale sul procedimento amministrativo (legge n. 241 del 1990), con particolare riferimento all'esercizio dei poteri di autotutela da parte delle pubbliche amministrazioni.
  In primo luogo l'articolo modifica la disciplina della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), delimitando con maggiore precisione i poteri dell'amministrazione nei confronti dei privati in seguito all'avvio dell'attività.
  In seguito modifiche apportate in sede referente, l'articolo 5 interviene anche sulla disciplina del silenzio assenso nei procedimenti ad istanza di parte e della sospensione del provvedimento amministrativo. Quanto al primo, viene meno il potere dell'amministrazione di ricorrere all'annullamento d'ufficio nei casi di silenzio assenso. In materia di sospensione, viene previsto che in ogni caso la sospensione del provvedimento amministrativo non può essere disposta o perdurare oltre i termini per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio.
  Viene poi abrogata la disposizione che sancisce l'applicabilità al privato che ha avviato l'attività avvalendosi di un procedimento semplificato (SCIA o silenzio assenso) in contrasto con la normativa vigente, delle sanzioni amministrative previste per il privato che ha agito senza il titolo richiesto dalla legge.
  Si interviene infine sulla disciplina generale del potere di annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi, introducendo un termine massimo di 18 mesi per l'annullamento di provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, salvo che si tratti di provvedimenti conseguiti sulla base di dichiarazioni false o mendaci accertate con sentenza passata in giudicato.
  L'articolo 6 reca una delega al Governo avente per oggetto la riforma della disciplina della pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni contenute nel decreto legislativo n. 33 del 2013, recante la disciplina generale della materia. In sede referente, è stato soppresso un altro oggetto della delega, contenuto nel testo originario, relativo alla riforma della disciplina in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso amministrazioni pubbliche.
  Alcuni princìpi e criteri direttivi hanno contenuto innovativo, riguardando aspetti attualmente non disciplinati dal decreto legislativo n. 33 del 2013.
  Tra questi assume particolare rilievo il riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso di chiunque, anche per via telematica, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati. Questo principio è volto all'introduzione nel nostro ordinamento di una sorta di Freedom of information act (FOIA).Pag. 58
  Altri principi e criteri direttivi riguardano: la precisazione dei contenuti e del procedimento di adozione del Piani anticorruzione; la definizione dei diritti dei membri del Parlamento di documenti amministrativi; la semplificazione delle procedure di iscrizione nelle cd. white list; la previsione di sanzioni a carico delle amministrazioni che non ottemperano alle disposizioni in materia di accesso, di procedure di ricorso all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e di tutela giurisdizionale.
  È poi prevista un'ulteriore delega al Governo per l'adozione di uno o più decreti legislativi per la ristrutturazione e razionalizzazione delle spese per intercettazioni.
  L'articolo 7 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per la riorganizzazione dell'amministrazione statale.
  Nel corso dell'esame in sede referente è stata introdotta una ulteriore previsione (comma 1-bis) volta a prevedere che con dPCM vengano definiti criteri per una ricognizione delle funzioni e delle competente attribuite a soggetti pubblici con finalità di semplificazione.
  La lettera a) stabilisce princìpi e criteri che trovano applicazione nella riorganizzazione dell'amministrazione statale, sia centrale sia periferica. Tra gli interventi più rilevanti si segnalano: la razionalizzazione e il potenziamento dell'efficacia delle funzioni di polizia al fine di una migliore cooperazione sul territorio; il riordino delle funzioni di polizia ambientale con la conseguente riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato e il suo eventuale assorbimento in altra forza di polizia.
  In sede referente, è stato aggiunto un ulteriore criterio che dispone la riorganizzazione complessiva degli ordinamenti del personale di tutte le forze di polizia, secondo i seguenti criteri, prevedendo, fra l'altro, la revisione generale della disciplina in materia di reclutamento, di stato giuridico e di progressione di carriera, con eventuali unificazioni di ruoli e rideterminazione delle relative dotazioni organiche.
  In sede referente sono state introdotte disposizioni riguardanti: la riforma dell'ordinamento e della disciplina del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; l'istituzione del numero unico europeo 112 per le emergenze – la riorganizzazione delle forze operanti in mare.
  La lettera b) indica princìpi e criteri riferibili esclusivamente alla riorganizzazione dell'amministrazione centrale, focalizzando in particolare il campo di intervento sul rafforzamento del ruolo di indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio dei ministri e sulle conseguenti funzioni della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Tra i princìpi si prevede l'esame da parte del Consiglio dei ministri delle designazioni e nomine di competenza ministeriale, nonché una nuova disciplina degli uffici di diretta collaborazione e il rafforzamento delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio nella vigilanza sulle agenzie governative nazionali.
  In sede referente è stato aggiunto un criterio, che riguarda l'introduzione di una maggiore flessibilità nella disciplina dell'organizzazione dei ministeri.
  Un ulteriore principio di delega (lettera c)) concerne la riorganizzazione delle funzioni oggi svolte dagli uffici del Pubblico registro automobilistico (P.R.A.) e dalla Direzione generale per la motorizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  La lettera d), con esclusivo riferimento all'amministrazione statale periferica, prevede la razionalizzazione della rete delle prefetture – Uffici territoriali del Governo (UTG), mediante riduzione del numero delle prefetture in base a specifici criteri e trasformazione della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo in Ufficio territoriale dello Stato, con sede unica sul territorio, in cui confluiscono tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato in modo da rappresentare il punto di contatto unico tra amministrazione periferica dello Stato e cittadini.
  La lettera e) prevede, tra i criteri di delega, la semplificazione e il coordinamento delle norme riguardanti l'ordinamento Pag. 59sportivo, nonché la trasformazione del Comitato italiano paralimpico in ente autonomo di diritto pubblico.
  In sede referente, il principio di delega di cui alla lettera e) è stato integrato con la previsione della «riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le autorità portuali».
  L'articolo 7-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, modifica la disciplina del Consiglio dell'Ordine «Al merito della Repubblica italiana».
  L'articolo 8 reca una delega legislativa per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
  Tra i princìpi e criteri direttivi si richiamano: la rideterminazione del diritto annuale; la riduzione del numero delle circoscrizioni territoriali in cui le camere di commercio svolgono le loro funzioni (da 105 a 60) mediante accorpamento sulla base di una soglia dimensionale minima ridotta da 80.000 a 75.000 imprese nel corso dell'esame in Commissione; la ridefinizione dei compiti e delle funzioni; la definizione da parte del Ministero dello sviluppo economico, di standard nazionali di qualità delle prestazioni; la riduzione del numero dei componenti dei consigli e delle giunte.
  L'articolo 9 reca una delega al Governo per la revisione della disciplina in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici uffici, da adottare entro dodici mesi, sulla base dei princìpi e criteri direttivi ivi indicati.
  La nostra amministrazione è ricca di professionalità che non meritano di essere travolte dalla rappresentazione decadente che si da della PA, perché le persone devono essere il motore del cambiamento.
  Per questo occorre valorizzare al meglio le competenze che abbiamo secondo un principio: le persone giuste, al posto giusto per un tempo giusto.
  Lavorare nel pubblico deve tornare ad essere un prestigio e una ambizione per i giovani.
  La dirigenza è un pezzo importante di questa riforma. La riforma fa una scelta chiara e netta sul modello di dirigenza: una dirigenza di ruolo e selezionata per concorso. Ma questa scelta deve essere resa compatibile con un modello di funzionamento diverso da quello che si è sin qui realizzato e che ha prodotto una sostanziale inamovibilità della dirigenza. L'obiettivo cui tende la riforma è creare un mercato del lavoro della dirigenza di ruolo, migliorando il sistema di valutazione che deve diventare il perno sul quale costruire i meccanismi selettivi. Dobbiamo avere un corpo unico della dirigenza della Repubblica, un mercato del lavoro competitivo con assegnazione degli incarichi sulla base di interpelli che tengano conto delle valutazioni ottenute dai dirigenti negli incarichi precedenti, senza più alcun automatismo di carriera.
  Per queste finalità è prevista, in primo luogo, l'istituzione del sistema della dirigenza pubblica, articolato in ruoli unificati e coordinati, aventi requisiti omogenei di accesso e procedure analoghe di reclutamento e fondati sui princìpi del merito, dell'aggiornamento, della formazione continua.
  Viene quindi disposta la realizzazione di tre ruoli unici in cui sono ricompresi, rispettivamente, i dirigenti dello Stato (escluso il personale cosiddetto non contrattualizzato in regime di diritto pubblico); i dirigenti regionali – inclusa la dirigenza delle camere di commercio, la dirigenza amministrativa, professionale e tecnica del Servizio sanitario nazionale (SSN), esclusa la dirigenza medica, veterinaria e sanitaria del SSN – e i dirigenti degli enti locali, in cui confluiscono altresì le attuali figure dei segretari comunali e provinciali. È espressamente esclusa la dirigenza scolastica.
  Nel nuovo quadro di riferimento, è previsto altresì l'obbligo per gli enti locali di nominare comunque un dirigente apicale (in sostituzione del segretario comunale), con compiti di attuazione dell'indirizzo politico, coordinamento dell'attività amministrativa e controllo della legalità dell'azione amministrativa, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Per i primi tre anni tale funzione è Pag. 60affidata a soggetti già iscritti nell'albo segretariale, confluiti nel ruolo dirigenziale locale. I comuni con più di 100.000 abitanti possono nominare, in alternativa al dirigente apicale, un direttore generale (cui compete l'attuazione degli indirizzi e degli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente nonché sovrintendere alla gestione dell'ente).
  Saranno contenuti in una banca dati – tenuta dal Dipartimento della funzione pubblica, cui è affidata altresì la gestione tecnica dei ruoli – i dati professionali e gli esiti delle valutazioni relativi a ciascun dirigente appartenente ai tre ruoli unici.
  Contestualmente alla realizzazione dei suddetti tre ruoli unici, è prevista l'istituzione di tre commissioni: la Commissione per la dirigenza statale, con funzioni, tra le altre, di verifica del rispetto dei criteri di conferimento degli incarichi e dell'utilizzo dei sistemi di valutazione per il conferimento e la revoca degli incarichi; la Commissione per la dirigenza regionale e la Commissione per la dirigenza locale competenti, in particolare, alla gestione dei ruoli dei dirigenti, rispettivamente, regionali e degli enti locali. Nel corso dell'esame in sede referente è stata prevista la necessità che le modalità di nomina dei componenti siano tali da assicurarne, oltre all'indipendenza, anche la terzietà, l'onorabilità e l'assenza di conflitti di interesse.
  Ai decreti delegati spetta quindi la definizione – per l'accesso alle predette dirigenze – degli istituti del corso-concorso e del concorso, secondo princìpi di delega stabiliti nel testo, tra cui la cadenza annuale per ciascuno dei tre ruoli, il possesso di un titolo di studio non inferiore alla laurea magistrale, l'esclusione di graduatorie di idonei nonché la possibilità di reclutare anche dirigenti di carriere speciali e delle autorità indipendenti.
  Per quanto attiene al sistema di formazione, è prevista la riforma della Scuola nazionale dell'amministrazione, con il coinvolgimento di istituzioni nazionali ed internazionali, al fine dei assicurare l'omogeneità della qualità e dei contenuti formativi dei dirigenti dei diversi ruoli; riguardo alla formazione permanente dei dirigenti è stabilita la definizione di obblighi formativi annuali ed il coinvolgimento dei dirigenti anche nella formazione di futuri dirigenti. Inoltre, come specificato nel corso dell'esame in Commissione, per i dipendenti e i dirigenti dei comuni con popolazione pari o inferiore ai 5.000 abitanti è prevista la promozione, con l'ANCA, di corsi di formazione sull'esercizio associato delle funzioni fondamentali dei comuni.
  Altri criteri di delega riguardano: la semplificazione e l'ampliamento della mobilità della dirigenza tra amministrazioni pubbliche e tra queste ed il settore privato, con la previsione – introdotta in sede referente – dei casi e delle condizioni in cui non è richiesto il previo assenso delle amministrazioni di appartenenza per la mobilità della dirigenza medica e sanitaria; la definizione di una disciplina sul conferimento degli incarichi dirigenziali nel rispetto di una serie di princìpi, tra cui: la possibilità di conferimento degli incarichi a ciascuno dei dirigenti appartenenti ai tre ruoli unici; la definizione, per ciascun incarico, dei requisiti necessari ed il conferimento mediante procedura «comparativa» con avviso pubblico sulla base di requisiti definiti dall'amministrazione alla luce dei criteri generali definiti dalle suddette Commissioni; per gli incarichi relativi ad uffici di vertice e per gli incarichi corrispondenti ad uffici di livello dirigenziale generale, la previsione di una preselezione da parte delle Commissioni, rispettivamente, per la dirigenza statale, regionale o locale di un numero predeterminato di candidati in possesso dei requisiti richiesti; una verifica successiva del rispetto dei requisiti e criteri previsti dalla legge, da parte della stessa Commissione, per gli altri incarichi; l'assegnazione degli incarichi tenendo conto anche della diversità delle esperienze maturate anche in amministrazioni differenti; la durata quadriennale degli incarichi dirigenziali, rinnovabili previa partecipazione alla procedura di avviso pubblico e con facoltà di rinnovo per ulteriori due anni senza la procedura selettiva per una sola volta, previa motivazione e a condizione Pag. 61che il dirigente abbia ottenuto una valutazione positiva (come aggiunto nel corso dell'esame in sede referente); la definizione di presupposti oggettivi per la revoca degli incarichi ed una disciplina dei dirigenti privi di incarichi prevedendo in particolare che venga disciplinata la decadenza dal ruolo unico a seguito di un determinato periodo di collocamento in disponibilità successivo a valutazione negativa e previsione della possibilità – aggiunta in sede referente – di formulare istanza di ricollocazione in qualità di funzionario per i dirigenti collocati in disponibilità; la rilevanza della valutazione ai fini del conferimento degli incarichi, il superamento degli automatismi di carriera e la costruzione del percorso di carriera in funzione degli esiti della valutazione; il riordino delle norme relative alle ipotesi di responsabilità dirigenziale, amministrativo-contabile e disciplinare dei dirigenti, con limitazione della responsabilità disciplinare ai comportamenti effettivamente imputabili ai medesimi dirigenti e della responsabilità dirigenziali alle ipotesi di cui all'articolo 21 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (mancato raggiungimento degli obiettivi o inosservanza delle direttive imputabili al dirigente); viene altresì richiamata, in particolare, la ridefinizione del rapporto tra la responsabilità amministrativo-contabile e la responsabilità dirigenziale, con particolare riferimento alla esclusiva imputabilità ai dirigenti della responsabilità per «l'attività gestionale»; la definizione della disciplina della retribuzione dei dirigenti secondo criteri tra i quali, in particolare, l'omogeneizzazione del trattamento economico, fondamentale ed accessorio, nell’àmbito di ciascun ruolo unico e la determinazione di limiti assoluti, stabiliti in base a criteri oggettivi, correlati alla tipologia dell'incarico; la previsione di una disciplina transitoria con la graduale riduzione del numero dei dirigenti ove necessario; la confluenza dei dirigenti nel ruolo unico con proseguimento fino a scadenza degli incarichi conferiti e senza variazione in aumento del trattamento economico individuale.
  A seguito di alcune modifiche approvate in sede referente, inoltre, le deleghe legislative sulla dirigenza pubblica e quelle per il riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (di cui all'articolo 13) potranno essere esercitate congiuntamente, purché nel termine di 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame. In tale caso, per l'adozione dei decreti legislativi si applicherà la procedura individuata all'articolo 12 che contiene criteri comuni per l'esercizio di deleghe legislative ai fini di riordino a semplificazione di alcuni settori.
  Il comma 1, lettera o) dell'articolo 9 detta inoltre i princìpi fondamentali di delega al Governo per la disciplina, nell'ambito dei decreti legislativi in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici uffici, del conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore sanitario delle aziende e degli enti del SSN.
  Durante l'esame referente è stata introdotta la specificazione che le disposizioni di cui alla lettera o) si riferiscono anche agli incarichi di direttore dei servizi socio-sanitari, ove ciò sia previsto dalla legislazione regionale; andranno inoltre definite le modalità per l'applicazione di tali norme in particolare alle aziende ospedaliero-universitarie. Inoltre, vengono confermate le disposizioni di cui all'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 in tema di riordino della materia sanitaria, con particolare riferimento ai requisiti, alla trasparenza del procedimento e dei risultati, alla verifica e alla valutazione già previsti per il conferimento degli incarichi di dirigenza.
  Nel corso dell'esame in Commissione è stato introdotto il nuovo articolo 9-bis che detta disposizioni relative ad incarichi direttivi presso l'Avvocatura dello Stato. In particolare è introdotto nella legge 103 del 1979 un nuovo articolo 16-bis che riguarda le specifiche funzioni di alcune posizioni dirigenziali nonché la durata dei loro incarichi, fondandosi su criteri di Pag. 62rotazione (in particolare per le cariche di vice avvocato generale e di avvocato generale aggiunto).
  L'articolo 10 detta princìpi di delega finalizzati a favorire e semplificare le attività degli enti pubblici di ricerca data la peculiarità dei loro scopi istituzionali, anche considerando l'autonomia e la terzietà di cui godono questi enti. Durante l'esame in sede referente alla Camera, alcuni criteri direttivi sono stati modificati. In particolare, è stata eliminata la previsione di definizione in via legislativa del ruolo dei ricercatori e tecnologi degli enti pubblici di ricerca, mentre è stato inserito il riferimento alla necessità di consentire la portabilità dei progetti di ricerca e la relativa titolarità (nel caso di mobilità del ricercatore). Inoltre, con riferimento alla semplificazione delle regole, è stato inserito il riferimento a quelle relative all'espletamento di missioni fuori sede per lo svolgimento di attività di ricerca e ai relativi rimborsi.
  L'articolo 11 detta norme volte a favorire e promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche.
  La disposizione, in particolare, così come modificata in sede referente, dispone che le amministrazioni pubbliche adottino misure organizzative per l'attuazione del telelavoro (viene meno il riferimento originariamente previsto al telelavoro misto e al lavoro ripartito) e di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, anche al fine di tutelare le cure parentali (il riferimento non è più solo alle modalità di fruizione del congedo parentale). Di tali misure possono avvalersi, entro tre anni, almeno il 10 per cento (in luogo del 20 per cento originariamente previsto) dei dipendenti pubblici che ne facciano richiesta, garantendo altresì che essi non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera.
  Nel corso dell'esame in Commissione sono stati altresì introdotti tre nuovi commi, secondo cui: nell'ambito della loro autonomia, gli organi costituzionali adeguano i rispettivi ordinamenti alle nuove disposizioni in materia di conciliazione; in tema di passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse, la dipendente vittima di violenza di genere inserita in specifici percorsi di protezione, debitamente certificati, può chiedere il trasferimento ad altra amministrazione pubblica presente in un comune diverso da quello di residenza, previa comunicazione all'amministrazione di appartenenza che, entro quindici giorni, dispone il trasferimento ove vi siano posti vacanti corrispondenti alla sua qualifica professionale; l'eventuale dissenso al trasferimento del genitore dipendente di una pubblica amministrazione, con figlio fino a tre anni, presso un'altra sede (ove l'altro genitore esercita la propria attività lavorativa) deve essere non solo motivato, ma anche limitato a casi o esigenze eccezionali.
  Rimangono invariate le disposizioni che prevedono che le amministrazioni pubbliche (nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) organizzino servizi di supporto alla genitorialità, aperti durante i periodi di chiusura scolastica; modifiche normative sul rifinanziamento del fondo per l'organizzazione e il funzionamento di servizi socio-educativi per la prima infanzia destinati alla popolazione minorile presso enti e reparti del Ministero della difesa, ridefinendo l'ambito soggettivo di fruibilità dei servizi medesimi.
  Il nuovo articolo 11-bis, introdotto in sede referente, è volto ad estendere anche al personale militare la disciplina recata dal decreto legislativo n. 168 del 2001 in base al quale (articolo 55-ter) il procedimento disciplinare avente ad oggetto fatti in relazione ai quali sta procedendo l'autorità giudiziaria deve essere avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale, salvo che sussistano particolari difficoltà nell'istruttoria per l'accertamento dei fatti.
  L'articolo 12 contiene i princìpi e criteri comuni per l'adozione di tre testi unici nei seguenti settori: lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di organizzazione amministrativa; Pag. 63partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche; servizi pubblici locali di interesse economico generale.
  I princìpi e criteri specifici delle tre deleghe sono contenuti – rispettivamente – negli articoli 13, 14 e 15.
  In sede referente è stata introdotta una nuova disposizione, in base al quale il Governo adotta, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, un regolamento per l'attuazione delle disposizioni contenute nel decreto legislativo di semplificazione in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
  L'articolo 13 individua i princìpi e criteri direttivi cui debbono uniformarsi i decreti attuativi sul riordino e la semplificazione della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e dei connessi profili di organizzazione amministrativa. In particolare, tra i princìpi e criteri direttivi si segnalano: per quanto riguarda i concorsi pubblici, la previsione di meccanismi valutativi volti a valorizzare l'esperienza professionale acquisita da coloro che abbiano avuto rapporti di lavoro flessibile con le amministrazioni pubbliche e l'accentramento dei concorsi per tutte le amministrazioni pubbliche, con la revisione delle modalità di espletamento degli stessi e l'introduzione di strumenti atti a garantire l'effettiva segretezza dei temi d'esame e di forme di preselezione dei componenti le commissioni che ne garantiscano l'imparzialità. Nel corso dell'esame in Commissione, è stato specificato che lo svolgimento dei concorsi, per tutte le amministrazioni pubbliche, in forma centralizzata o aggregata, deve essere condotto in ambiti territoriali sufficientemente ampi da garantire adeguate partecipazione ed economicità delle svolgimento della procedura concorsuale, e con applicazione di criteri di valutazione uniformi, per assicurare omogeneità qualitativa e professionale in tutto il territorio nazionale per funzioni equivalenti. Inoltre, è stato precisato che la gestione dei concorsi per il reclutamento del personale degli enti locali debba avvenire a livello provinciale; l'introduzione di un sistema informativo nazionale volto ad orientare la programmazione delle assunzioni; l'attribuzione all'A.R.A.N. di maggiori compiti di supporto tecnico, anche ai fini della contrattazione integrativa. Nel corso dell'esame in Commissione, è stato precisato che tale attribuzione debba essere effettuata con le risorse attualmente disponibili e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica; la ridefinizione di contenuti e procedure della contrattazione integrativa; la rilevazione delle competenze dei lavoratori pubblici; la riorganizzazione delle funzioni di accertamento medico legale in caso di assenze per malattia, con l'attribuzione all'I.N.P.S. delle relative competenze; la definizione di obiettivi di contenimento delle assunzioni, differenziati in base agli effettivi fabbisogni; la disciplina delle forme di lavoro flessibile, con individuazione di limitate e tassative fattispecie, caratterizzate dalla compatibilità con la peculiarità del rapporto di lavoro pubblico. Nel corso dell'esame in Commissione è stata specificata l'esigenza di prevenire il precariato; la promozione del ricambio generazionale mediante la riduzione, su base volontaria, dell'orario di lavoro e della retribuzione del personale in procinto di essere collocato a riposo, garantendo, attraverso la contribuzione volontaria ad integrazione, la possibilità di conseguire l'invarianza della contribuzione previdenziale, al fine di favorire l'assunzione anticipata di nuovo personale, nel rispetto della normativa vigente in materia di vincoli assunzionali; il progressivo superamento della dotazione organica come limite e parametro di riferimento per le assunzioni, anche al fine di facilitare i processi di mobilità; la semplificazione delle norme sulla valutazione dei dipendenti pubblici, sul riconoscimento del merito e sui meccanismi di premialità, sviluppando in particolare sistemi per la misurazione dei risultati raggiunti; oltre a ciò, è disposto il potenziamento dei processi di valutazione indipendente del livello di efficienza e qualità dei servizi e delle attività delle amministrazioni pubbliche e degli impatti da queste prodotti e Pag. 64la riduzione degli adempimenti in materia di programmazione anche attraverso una maggiore integrazione con il ciclo di bilancio nonché un meccanismo di razionalizzazione e integrazione dei sistemi di valutazione, anche al fine della migliore valutazione delle politiche; la previsione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, finalizzate ad accelerare e rendere concreta e certa nei tempi l'azione disciplinare; il rafforzamento del principio di separazione tra indirizzo politico amministrativo e gestione, con conseguente responsabilità amministrativo-contabile dei dirigenti per l'attività gestionale, mediante esclusiva imputabilità agli stessi della responsabilità amministrativo-contabile per la gestione.
  Inoltre, nel corso dell'esame in Commissione sono stati aggiunti nuovi criteri di delega, concernenti: la previsione di prove concorsuali specifiche al fine di privilegiare l'accertamento della capacità dei candidati di utilizzare e applicare a problemi specifici e casi concreti nozioni teoriche, con possibilità di svolgere unitariamente la valutazione dei titoli e le prove concorsuali relative a diversi concorsi; la specifica previsione a livello legislativo dell'accertamento della conoscenza della lingua inglese e di altre lingue, quale requisito di partecipazione al concorso o titolo di merito valutabile dalle commissioni giudicatrici, secondo modalità definite dal bando anche in relazione ai posti da coprire; l'accorpamento delle strutture responsabili dell'organizzazione delle attività concorsuali; la valorizzazione del titolo di dottore di ricerca.
  Infine, nel corso dell'esame in Commissione è stato introdotto il nuovo comma 1-ter, che interviene sulla disposizione (articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2912) che attualmente consente l'attribuzione di incarichi pubblici a pensionati esclusivamente a titolo gratuito e per la durata massima di un anno con la stessa amministrazione, al fine di prevedere che le collaborazioni e gli incarichi che non assumano carattere dirigenziale o direttivo non siano soggetti (ferma restando la gratuità) al limite di durata di un anno.
  L'articolo 14 reca la delega per il riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, con la finalità di garantire la chiarezza e la semplificazione normativa delle stesse, cui si aggiunge quella di tutelare e stimolare la concorrenza. Specifici criteri di delega sono altresì dettati con riferimento alle sole società partecipate dagli enti locali.
  Le norme che regolano i servizi pubblici sono rivolte a disciplinare la gestione e fruizione di beni comuni. In questi anni la confusione normativa che si è stratificata, ha prodotto sprechi, inefficienze e alterazioni di mercato con risultati negativi sui servizi ai cittadini. Per questa ragione occorre fissare nuove regole generali sull'organizzazione e gestione di un servizio pubblico, partendo dal principio che il pubblico interviene quando l'attività privata non può garantire parità di servizi a tutti i cittadini. Occorre garantire il rigoroso rispetto dei princìpi comunitari in tema di tutela della concorrenza e del libero mercato e assegnare un ruolo fondamentale alle autonomie locali.
  L'articolo 15 reca una delega legislativa al Governo per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali d'interesse economico generale con la finalità di dettare una disciplina generale in materia di regolazione e di organizzazione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale, compresa la definizione dei criteri per l'attribuzione di diritti speciali o esclusivi, in base ai princìpi di concorrenza, adeguatezza, sussidiarietà, anche orizzontale, proporzionalità.
  Ulteriori criteri di delega riguardano, tra gli altri, la definizione dei regimi tariffari tenendo conto degli incrementi di produttività al fine di ridurre l'aggravio sui cittadini e sulle imprese; modalità di tutela degli utenti dei servizi pubblici locali, inclusi strumenti di tutela non giurisdizionale e forme di consultazione e partecipazione diretta. Per quanto riguarda le discipline di settore, è previsto – in materia Pag. 65di organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica – il rinvio alle relative disposizioni per l'armonizzazione dei criteri; in materia di modalità di affidamento dei servizi è stabilita una revisione delle normative di settore ai fini del loro coordinamento con la disciplina generale, nonché un'armonizzazione relativamente alla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro.
  Nel corso dell'esame in Commissione è stato approvato il nuovo articolo 15-bis che attribuisce al Governo una delega per il riordino e la ridefinizione della disciplina processuale delle diverse tipologie di contenzioso davanti alla Corte dei conti secondo i criteri e princìpi direttivi ivi indicati. Il termine di delega è stabilito in un anno dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.
  L'articolo 16 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati ad abrogare o modificare «disposizioni legislative, entrate in vigore dopo il 31 dicembre 2011, che prevedono provvedimenti non legislativi di attuazione». A seguito delle modifiche introdotte in Commissione, è stato individuato l'intervallo temporale di approvazione delle previsioni legislative contenenti adempimenti, compreso tra il 1o gennaio 2012 e la data di entrata in vigore della legge.
  Si tratta di un importante intervento di semplificazione normativa che va incontro all'esigenza, più volte ribadita dal Governo e dal Parlamento, di implementare l'attuazione dei provvedimento normativi e di certezza del diritto vigente. Ciò consente peraltro di valutare la sussistenza delle condizioni per l'adozione di provvedimenti normativi assunti in una fase congiunturale differente. È questa una delle misure utili al fine del disboscamento dell'enorme massa normativa che grava sulla funzionalità del nostro sistema economico ed una misura per il rafforzamento della certezza delle regole vigenti, precondizione per la programmazione degli investimenti e delle attività economiche.
  L'articolo 17 inserisce la clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, vale a dire che le disposizioni della stessa legge non sono applicabili agli enti a statuto speciale ove siano in contrasto con gli statuti e le relative norme di attuazione.
  L'articolo 18 reca infine la clausola di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica derivanti dall'attuazione delle disposizioni contenute nel provvedimento in esame nonché dei decreti legislativi da esso previsti.