Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 416 di lunedì 27 aprile 2015

Pag. 1

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 10,05.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 24 aprile 2015.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Baldelli, Baretta, Bellanova, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Costa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Fedriga, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Lorenzin, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Pisicchio, Portas, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Tabacci, Tidei, Valeria Valente, Velo, Vignali e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente sessantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: D'iniziativa popolare; Cirielli; Pisicchio; Bersani ed altri; Francesco Saverio Romano; Migliore ed altri; Lenzi; Zampa e Marzano; Zampa e Ghizzoni; Martella; Francesco Sanna; Bobba ed altri; Giachetti ed altri; Giorgia Meloni ed altri; Rigoni ed altri; Rigoni ed altri; Nicoletti ed altri; Martella ed altri; Vargiu; Burtone ed altri; Balduzzi ed altri; Laffranco ed altri; Vargiu; Toninelli ed altri; Porta ed altri; Zaccagnini ed altri; Valiante ed altri; Lauricella; Michele Bordo; Marco Meloni ed altri; Di Battista ed altri: Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati (Approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato) (A.C. 3-35-182-358-551-632-718-746-747-749-876-894-932-998-1025-10261116-1143-1401-1452-1453-1511-15141657-1704-1794-1914-1946-1947-1977-2038-bis-B) (ore 10,10).

Testo sostituito con errata corrige volante   PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge, già approvate, in un testo modificato, dalla Camera e modificate dal Senato, n. 3-35-182-358-551-632-718-746-747-749-876-894-932-998-1025-1026-1116-1143-1401-1452-1453-1511-1514-1657-1704-1794-1914-1946-1947-1977-2038-bis-B: D'iniziativa d'iniziativa popolare; Pag. 2CIRIELLI; PISICCHIO; BERSANI ed altri; FRANCESCO SAVERIO ROMANO; MIGLIORE ed altri; LENZI; ZAMPA e MARZANO; ZAMPA e GHIZZONI; MARTELLA; FRANCESCO SANNA; BOBBA ed altri; GIACHETTI ed altri; GIORGIA MELONI ed altri; RIGONI ed altri; RIGONI ed altri; NICOLETTI ed altri; MARTELLA ed altri; VARGIU; BURTONE ed altri; BALDUZZI ed altri; LAFFRANCO ed altri; VARGIU; TONINELLI ed altri; PORTA ed altri; ZACCAGNINI ed altri; VALIANTE ed altri; LAURICELLA; MICHELE BORDO; MARCO MELONI ed altri; DI BATTISTA ed altri: Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi relativi alla discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 aprile 2015.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge, già approvate dalla Camera e modificate dal Senato, n. 3-35-182-358-551-632-718-746-747-749-876-894-932-998-1025-1026-1116-1143-1401-1452-1453-1511-1514-1657-1704-1794-1914-1946-1947-1977-2038-bis-B: D'iniziativa d'iniziativa popolare; Pag. 2CIRIELLI; PISICCHIO; BERSANI ed altri; FRANCESCO SAVERIO ROMANO; MIGLIORE ed altri; LENZI; ZAMPA e MARZANO; ZAMPA e GHIZZONI; MARTELLA; FRANCESCO SANNA; BOBBA ed altri; GIACHETTI ed altri; GIORGIA MELONI ed altri; RIGONI ed altri; RIGONI ed altri; NICOLETTI ed altri; MARTELLA ed altri; VARGIU; BURTONE ed altri; BALDUZZI ed altri; LAFFRANCO ed altri; VARGIU; TONINELLI ed altri; PORTA ed altri; ZACCAGNINI ed altri; VALIANTE ed altri; LAURICELLA; MICHELE BORDO; MARCO MELONI ed altri; DI BATTISTA ed altri: Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi relativi alla discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 aprile 2015.

(Annunzio di questioni pregiudiziali – A.C. 3-bis-B ed abbinate)

  PRESIDENTE. Avverto che, prima dell'inizio della discussione sulle linee generali, sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Scotto ed altri n. 1, Invernizzi ed altri n. 2 e Cozzolino ed altri n. 3, nonché le questioni pregiudiziali di merito Scotto ed altri n. 1 e Dadone ed altri n. 2, che, non essendo state preannunciate nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, contestualmente alla predisposizione del relativo calendario, saranno esaminate e poste in votazione prima di passare all'esame degli articoli.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3-bis-B ed abbinate)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, presidente della Commissione affari costituzionali, deputato Francesco Paolo Sisto.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi la discussione della proposta di legge di riforma del sistema elettorale della Camera dei deputati, io mi limiterò, ovviamente, ad una descrizione asettica di quanto accaduto in Commissione affari costituzionali e delle cause che hanno portato il provvedimento a giungere in Aula con il testo che tutti quanti possiamo verificare.
  La proposta era stata approvata dalla Camera il 12 marzo 2014, pochi mesi dopo la sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale. Il testo è stato, quindi, oggetto di esame da parte del Senato, che lo ha approvato apportandovi una serie di modifiche il 27 gennaio scorso. Devo dire che, avendo partecipato attivamente all’«Italicum 1.0», quello che è stato licenziato dalla Camera, ammesso che il secondo si possa chiamare «2.0», è un testo che era stato in Commissione ampiamente testato, verificato, addirittura con delle simulazioni, che, a mio avviso, ne avevano consentito la perfetta rispondenza a quello che era il segnale che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2014, aveva dato. Il Senato come vedremo ha modificato e non poco quell'assetto. L'esame in sede referente, presso la I Commissione, ha avuto inizio nella seduta dell'8 aprile scorso ed è proseguito con la discussione sulle linee generali nelle sedute del 9 e del 16. Al contempo, nella seduta del 14 aprile, la Commissione ha deliberato lo svolgimento di un'indagine conoscitiva nell'ambito dell'istruttoria legislativa sul provvedimento.Pag. 3
  In tale quadro, le sedute della Commissione del 14 e del 15 aprile sono state dedicate allo svolgimento delle audizioni di professori universitari ed esperti della materia, che sono state necessarie proprio per le modifiche, nonostante vi fossero state delle altre audizioni sul primo testo dell'Italicum.
  È evidente che proprio le modifiche apportate dal Senato rendevano indispensabile l'audizione di ulteriori esperti. Barbera, D'Alimonte, Luciani, Marini, Nicotra, Tondi della Mura, Trucco, Villone, Zaccaria, Fusaro, Frosini, Guzzetta, Spadacini, Storace, Besostri, Calderisi e Falcone si sono avvicendati sui banchi della I Commissione con giudizi in gran parte non certamente teneri nei confronti di questo testo.
  Successivamente la Commissione ha proceduto all'esame delle proposte emendative presentate. In particolare, nella seduta del 20 aprile si è svolta la discussione sul complesso degli emendamenti che sono stati votati nella seduta del 21 aprile. In tale sede, prima di procedere alle votazioni delle proposte emendative, in qualità di presidente, ho dato notizia alla Commissione dell'avvenuta sostituzione ad rem di dieci deputati del Partito Democratico e di un deputato del gruppo Misto con altrettanti deputati dei rispettivi gruppi.
  Non certamente può sottacersi, in uno spirito di inutile asetticità, quanto accaduto in Commissione. Credo che debba fare parte, nel ruolo di relatore di garanzia che assumo nell'ambito di questo procedimento, di un puntuale riferimento all'Aula. La sostituzione di taluni componenti della Commissione appartenenti al Partito Democratico era già stata preannunciata nella precedente seduta da alcuni deputati, alla luce del fatto che essi non intendevano attenersi alla posizione maggioritaria del gruppo di non modificare il testo approvato dal Senato.
  A tale sostituzione è seguita la decisione dei gruppi di opposizione di abbandonare il proseguo dei lavori della Commissione. Ho quindi ricordato, in qualità di presidente cui spetta rappresentare la Commissione a norma di Regolamento, come lo strumento regolamentare della sostituzione dei deputati in Commissione da parte di un gruppo parlamentare riguardo un determinato provvedimento sia pienamente legittimo dal punto di vista, appunto, regolamentare, anche se il relativo uso può essere ovviamente discusso dal punto di vista politico. Ho sottolineato, peraltro, con rammarico come non sia nello stile della Commissione affari costituzionali lavorare in tali situazioni di conflittualità e, per tale ragione, in qualità di presidente, al fine di tutelare il principio del contraddittorio, ho ritenuto opportuno sospendere i lavori della Commissione per un'ora, al fine di consentire ai gruppi parlamentari che hanno deciso di abbandonare il lavoro della Commissione di tornare sulla proprie decisioni per una difesa attiva delle proprie posizioni.
  Dopo la sospensione della seduta ho dato conto degli esiti dei colloqui che direttamente ho avuto con i rappresentati dei gruppi di opposizione, che non hanno portato al mutamento della decisione di questi gruppi di abbandonare i lavori della Commissione, fatto – lo dico sinceramente – che come presidente non ho affatto condiviso.
  Si è, quindi, proceduto nella votazione degli emendamenti, risultando al termine tutti respinti. Il contraddittorio nel lavoro di Commissione credo che debba essere tutelato e garantito, proprio perché le leggi possano avere comunque quel dibattito approfondito che debbono avere in Commissione, tenuto conto tra l'altro di quanto il lavoro in Commissione ultimamente sia particolarmente rilevante per tanti provvedimenti poi sottoposti all'esame dell'Aula.
  Conclusivamente nella seduta dei lavori della I Commissione del 22 aprile 2015, dopo avere acquisito i pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva, è stato conferito mandato ai relatori a riferire in senso favorevole all'Assemblea sul testo, come approvato dal Senato. È stata infine preannunciata da parte di alcuni gruppi la presentazione di alcune relazioni di minoranza.Pag. 4
  Per quanto riguarda i pareri delle Commissioni in sede consultiva: le Commissioni affari esteri e la Commissione bilancio hanno espresso parere favorevole; la Commissione difesa ha formulato un'osservazione circa l'opportunità di garantire il diritto di voto ai militari che tra il primo turno di votazione e l'eventuale ballottaggio siano rientrati in Italia o si trovino in una località diversa da quella nella quale hanno esercitato il diritto di voto al primo turno. Il Comitato per la legislazione ha posto una condizione, che richiama l'opportunità di disciplinare il deposito dello statuto dei partiti, richiesto in base ad una modifica introdotta dal Senato, al momento del deposito del contrassegno. Diciamo che è un punto su cui vi è stata un'approfondita discussione in Commissione, con manifestazione anche di qualche perplessità positiva, se si può usare questo termine, su quanto osservato dal Comitato per la legislazione. Il Comitato ha espresso altresì tre osservazioni relative alla collocazione della disposizione sui seggi proporzionali provvisoriamente assegnati in Trentino-Alto Adige, che risulta inserita nell'articolo relativo alla Val d'Aosta; all'improprio inserimento dell'espressione «collegio plurinominale» all'articolo 53, primo comma, del testo unico delle elezioni; al mancato richiamo, nelle disposizioni che fanno riferimento al territorio delle province, alle città metropolitane, introdotte dalla legge n. 56 del 2014.
  La proposta di legge di riforma elettorale all'esame dell'Assemblea, come risultante dalle modifiche apportate nel corso dell'esame svolto dai due rami del Parlamento, reca modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati. Gli elementi qualificanti del nuovo sistema elettorale possono essere così delineati: 20 circoscrizioni elettorali, in cui è suddiviso il territorio nazionale, corrispondenti alle regioni; 100 collegi plurinominali. A ciascun collegio è assegnato un numero di seggi compreso tra 3 e 9; la determinazione dei collegi è disposta con decreto legislativo del Governo...

  ROSY BINDI. Non riusciamo a seguire !

  PRESIDENTE. Sì, non riusciamo a capire bene, perché la lettura è così accelerata che si fa fatica a seguire.

  ROSY BINDI. Troppo velocemente !

  PRESIDENTE. Va bene. Onorevole Bindi, si rivolga alla Presidenza. Comunque la Presidenza ha accolto questo appunto, perché è vero che facciamo un po’ fatica a seguirla...

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza. Lo accolgo pure io.

  PRESIDENTE. Grazie, molto gentile, presidente Sisto.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore per la maggioranza. A ciascun collegio è assegnato un numero di seggi compreso tra 3 e 9. La determinazione dei collegi è disposta con un decreto legislativo del Governo, da emanare secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti dalla legge entro il termine di novanta giorni. Disposizioni speciali riguardano le circoscrizioni Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige, nelle quali sono costituiti collegi uninominali.
  I seggi sono attribuiti alle liste su base nazionale. Accedono alla ripartizione dei seggi le liste che raggiungono la soglia del 3 per cento dei voti validi su base nazionale. Alla lista che ottiene almeno il 40 per cento dei voti validi su base nazionale sono attribuiti 340 seggi. Se nessuna lista raggiunge il 40 per cento si procede a un turno di ballottaggio tra le due liste con il maggior numero di voti. Alla lista che prevale nel ballottaggio sono attribuiti 340 seggi. Non è prevista la possibilità per le liste di collegarsi in coalizione e non è consentita nessuna forma di apparentamento o collegamento fra liste tra i due turni di votazione.
  I seggi sono successivamente ripartiti nelle circoscrizioni in misura proporzionale al numero dei voti che ciascuna lista ha ottenuto. Si procede, infine, alla ripartizione dei seggi nei collegi plurinominali Pag. 5delle circoscrizioni, anche in tal caso in misura proporzionale al numero di voti ottenuto da ciascuna lista.
  Viene introdotto l'obbligo per i partiti che intendono partecipare alle elezioni di depositare lo statuto. Le liste elettorali sono formate da un candidato capolista e da un elenco di candidati. L'elettore può esprimere fino a due preferenze per candidati di sesso diverso (doppia preferenza di genere) tra quelli che non sono capilista. Sono, infatti, proclamati eletti dapprima i capilista nei collegi, cosiddetti capolista bloccati, e successivamente i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze.
  Con la finalità di promuovere le pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive, i candidati devono essere presentati, in ciascuna lista, in ordine alternato per sesso. Al contempo, i capilista dello stesso sesso non possono essere più del 60 per cento del totale di ogni circoscrizione. Nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista, inoltre, nessun sesso può essere rappresentato in misura superiore al 50 per cento. Nessuno può essere candidato in più collegi, neppure di altra circoscrizione, ad eccezione dei capilista, che possono essere candidati in dieci collegi.
  Sono stabilite modalità per consentire ai cittadini temporaneamente all'estero per motivi di studio, lavoro o cure mediche di votare per corrispondenza nella circoscrizione estero, nonché agli elettori appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia impegnate in missioni internazionali di votare secondo le modalità che saranno definite di intesa tra i Ministri competenti.
  Le nuove disposizioni per l'elezione della Camera si applicano a decorrere dal 1o luglio 2016.
  Per quanto riguarda gli emendamenti presentati, nel corso dell'esame in sede referente sono stati presentati dai diversi gruppi parlamentari rilevanti proposte emendative, volte a modificare alcuni elementi essenziali del sistema elettorale introdotto dal testo approvato dal Senato. Ritengo opportuno, Presidente, richiamare i contenuti delle proposte più significative.
  Innanzitutto, diverse proposte emendative legano l'entrata in vigore del nuovo sistema di elezione della Camera dei deputati all'entrata in vigore della riforma costituzionale, che dispone il superamento del bicameralismo paritario, anziché alla data fissata del 1o luglio 2016; ciò al fine di superare i dubbi di costituzionalità da taluno avanzati, anche nelle audizioni svolte in Commissione affari costituzionali, derivanti dal fatto che, in base al testo approvato dal Senato, ove alla data del 1o luglio 2016 l'iter di approvazione del disegno di legge non fosse concluso, sarebbero in vigore per la Camera e per il Senato due sistemi elettorali tra loro differenti: un sistema con premi di maggioranza per la Camera, come previsto, e un sistema a carattere proporzionale per il Senato, come risultante – il cosiddetto «Consultellum» – dalla sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale.
  Inoltre, oggetto di attenzione – ho finito, Presidente – da parte degli emendamenti è stata l'attribuzione del premio di maggioranza, con o senza ballottaggio, alle singole liste, con l'esclusione della possibilità di coalizione tra le liste stesse, possibilità invece contemplata nel testo approvato da questo ramo del Parlamento. Le proposte emendative intervengono su questo punto, ripristinando il sistema previsto dal testo della Camera, che prevedeva le coalizioni al primo turno e fin dal momento del deposito del contrassegno, oppure riconoscendo la possibilità di apparentamento tra il primo turno e il ballottaggio delle due liste che accedono al ballottaggio con le altre liste che abbiano superato la soglia di sbarramento.
  Altre proposte, infine, riprendendo spunti emersi nel corso delle audizioni, introducono un quorum per il ballottaggio e intervengono sul meccanismo di assegnazione dei seggi nei collegi plurinominali, introducendo limiti al numero dei seggi da attribuire ai capolista bloccati.
  Presidente, l'ultima osservazione che voglio fare è di carattere storico. Il 27 aprile 1955 fu approvato un provvedimento, Pag. 6il n. 547, assai importante in tema di sicurezza del lavoro, materia di cui io mi occupo. Fu la prima volta che ci si occupò in modo assolutamente dettagliato di questo tema ed è un giorno anche estremamente importante, perché – chiedo scusa all'Aula se mi permetto in questo modo molto originale di rappresentare un fatto per me storico – è il giorno in cui io sono nato. Quindi, oggi devo dire che sono ben lieto di festeggiare il mio compleanno, relazionando sulla legge elettorale.

  PRESIDENTE. Allora tanti auguri, presidente Sisto.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Gennaro Migliore.

  GENNARO MIGLIORE, Relatore per la maggioranza. Grazie. Signora Presidente, signori del Governo, colleghe e colleghi, data la ristrettezza dei tempi che mi sono stati assegnati dal Regolamento, procederò a integrare la relazione che è stata svolta dal presidente Sisto, che ringrazio, insieme a tutti coloro i quali hanno contribuito al lavoro svolto fin qui.
  Innanzitutto, vorrei premettere che, come è stato osservato da molti, questa materia, la materia elettorale, è di assoluta rilevanza per la nostra democrazia ed essa ha pienamente rango costituzionale, pur non essendo una materia costituzionale. Voglio anche affermare il suo indissolubile legame con la riforma in atto della Costituzione, che, in base alla rigorosa applicazione dell'articolo 138, stiamo modificando in questo Parlamento e in questa legislatura, con l'obiettivo anche di modificare il sistema del bicameralismo paritario, motivo per il quale è stata scelta la strada di modificare solamente la legge per la Camera.
  Signora Presidente, quindi questa trattazione, che eviterà di rientrare nei dettagli che sono stati predetti, si concentrerà sulle osservazioni critiche che sono state svolte dalla Commissione e che ritengo di dover doverosamente rappresentare. In primo luogo, ve n’è stata una in premessa del presidente Brunetta, del collega Toninelli e di altri, relativa alla presunta impossibilità a legiferare, in particolare su una materia costituzionale, legata alla sentenza n. 1 del 2014, per la dichiarata incostituzionalità della legge che ci ha eletti qui. Vorrei solo ricordare con certezza che, proprio nel punto 7 di quella sentenza, nei considera in diritto, si precisa che questo Parlamento, essendo stata l'elezione un atto concluso e non pendente, è nelle sue piene garanzie costituzionali.
  Signora Presidente, riguardo a questi obiettivi, per quanto mi concerne, si deve ragionare su questo testo come un buon punto di approdo, sia per quanto prevede la finalità di questa legge elettorale, sia per quanto ripercorre i precetti che sono stati introdotti dalla sentenza n. 1 del 2014, sia sul 40 per cento, cioè la soglia per l'accesso al premio di maggioranza, sia per la previsione di piccoli collegi, come è stato ricordato dal presidente Sisto.
  Mi interessa molto sottolineare la norma antidiscriminatoria che è stata introdotta con la modifica che è stata apportata dal Senato, che è stato pienamente protagonista delle modifiche che sono state realizzate e, quindi, modifiche discusse ed elaborate in Parlamento, e non in sedi extraistituzionali. Questa norma ha un carattere fondamentale per la nostra democrazia ed è anche in Europa una norma più avanzata di molte altre che conosciamo.
  Vorrei sottolineare che le scelte che sono state fatte, visto che di qui a poco verranno presentate anche delle pregiudiziali di costituzionalità, sono scelte di natura eminentemente politica e, a mio giudizio, non sono sottoposte alla critica di incostituzionalità. Ovviamente, questa è un'opinione del relatore.
  In particolare, in relazione al divieto di coalizione, esso previene anche una critica sulla quale era stata, invece, fondamentalmente basata l'incostituzionalità, ossia di prevedere che alcuni partiti che non avessero raggiunto la soglia di sbarramento potessero contribuire a dare dei seggi senza avere poi rappresentanza, quindi Pag. 7con un trasferimento della volontà dell'elettore da un partito a un altro. Ma c’è anche un motivo politico, che riguarda la critica a quelle coalizioni che magari nascevano e si concludevano nello spazio di una tornata elettorale. Valutazione che, peraltro, fu accolta – ci tengo a ribadirlo – all'esito della consultazione referendaria del 2009, promossa da Mario Segni e Giovanni Guzzetta; un quesito non a caso dichiarato ammissibile dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 15 del 2008, che vide, pur in assenza di quorum, il fatto che si potesse avere un premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, così com'era previsto dalla «legge Calderoli».
  Anche rispetto alla presenza dei capilista bloccati, lascio solo agli atti che questo è un punto di incontro tra chi voleva i listini completamente bloccati e quelli che avrebbero voluto solo le preferenze. Quindi, è una scelta totalmente politica.
  Inoltre, anche l'introduzione di una soglia unica al 3 per cento non è un favore concesso ai piccoli partiti, ma è un diritto dei cittadini a vedere non sprecati i loro voti nel caso di una consistente rappresentanza elettorale, almeno consistente per il 3 per cento dei votanti.
  Molte critiche sono venute sul tema del ballottaggio. Alcune in re ipsa, contestando il fatto che si potesse avere un voto decisivo cioè tra due liste più votate. Ad esempio, il collega Invernizzi, in sede di discussione sulle linee generali, ha evocato alla Commissione il rischio che si potesse eleggere una forza antisistema. Il collega Invernizzi ha però anche sottolineato che questo poteva cambiare il sistema elettorale e istituzionale.
  Altri hanno paventato uno sbilanciamento eccessivo di poteri a favore del Presidente del Consiglio e quindi del leader del partito vincente, generando un assetto istituzionale privo, a detta di costoro, di adeguati contrappesi al punto di dichiarare la propria preferenza per un sistema di tipo presidenziale. Alcuni commentatori hanno adottato la categoria politologica addirittura della «democratura» per alludere ad una possibile torsione autoritaria.
  Signora Presidente, a mio giudizio sta qui il cuore della discussione. Rileggendo molti interventi mi è venuto in mente un romanzo di Raymond Carver che parafraserei così: di cosa parliamo quando parliamo di legge elettorale ? Al di là di ogni fraintendimento, di ogni sottinteso, di ogni legittima critica non sono così certo che le critiche siano tutte nel contesto ma molte di esse sono di contesto. Personalmente considero la novità introdotta nel nostro ordinamento, conoscere la maggioranza alla Camera al momento dello scrutinio del voto, non un rischio democratico bensì un'opportunità per gli elettori e per il cosiddetto cittadino arbitro. Si dice che così il Parlamento perderà definitivamente il ruolo rispetto al Governo e io contesto questa affermazione. È il Parlamento che dà la fiducia al Governo e saranno i parlamentari a deciderla, peraltro anche in previsione di liste che potremmo definire coalizionali e quindi animate da soggetti politici in linea di principio non necessariamente omogenei. Vale la pena, come è stato fatto nelle audizioni, ricordare che è il meccanismo fiduciario a legare indissolubilmente maggioranza parlamentare e Governo al punto che Leopoldo Elia già nel 1970, nella voce sulle forme di Governo dell’Enciclopedia del diritto, definì il Governo come il comitato direttivo della maggioranza. E per quanto concerne i contrappesi essi vanno rintracciati nei contrappesi istituzionali: dal ruolo del Presidente della Repubblica a quello della Corte costituzionale, passando per la rigida divisione del potere giudiziario da quello legislativo ed esecutivo. Come si sa, garanzie di questo tipo, in acclarati sistemi parlamentari democratici come quello del Regno Unito, non ci sono. Non si tratta quindi di un passaggio ad un sistema di premierato di fatto, come qualcuno ha sottolineato, ma del passaggio ad una più chiara democrazia di investitura.
  Un'altra critica è venuta per le soglie di accesso al ballottaggio, altre per la possibilità di accedere anche dopo un consistente Pag. 8numero di elettori ed altre questioni sono state osservate. Penso, ad esempio, a quella secondo cui ci sarà un meccanismo che favorirà un solo partito e tanti piccoli partiti generati dalla frammentazione del 3 per cento. Non è così perché il ballottaggio spingerà ad avere forze politiche sempre più in competizione tra di loro. Perciò, oltre a dire che richiederei l'autorizzazione a presentare un testo più lungo dove sono chiariti anche dei dubbi che erano emersi in Commissione come quello sollevato dal MoVimento 5 Stelle sul fatto che non siano 630 i deputati eletti, vorrei concludere con considerazioni puramente politiche. Il testo del provvedimento conferma l'impianto maggioritario introdotto nel nostro ordinamento nel 1993. Esso costituisce un ragionevole equilibrio tra governabilità e rappresentanza in ragione del premio di maggioranza e delle basse soglie di accesso. È un testo che critica fattualmente l'esperienza delle coalizioni – concludo – prevedendo un meccanismo di aggregazione per liste che possono chiaramente essere dotate di un programma e di una chiara leadership di fronte agli elettori. È un testo profondamente mutato, per me migliorato, dalla lettura del Senato. La Commissione consegna il testo all'Assemblea consapevole della sovranità di quest'ultima. In qualità di relatore mi permetto di osservare che ciascuno di noi può essere indotto a immaginare correzioni e riformulazioni che a giudizio di chi le propone rendano ancora migliore questo testo unificato. Del resto nessuna legge sarà mai perfetta e neppure questa lo è. Eppure, come, con molta più autorevolezza di me, hanno sostenuto il Presidente Mattarella e, prima di lui, il Presidente Napolitano, dobbiamo evitare a tutti i costi di lasciare a metà il lavoro faticosamente realizzato sin qui, dissipando gli importanti risultati conseguiti. Un lavoro che non è partito poche settimane fa né l'anno scorso ma è per molti di noi partito da quel 21 dicembre 2005 quando si approvò la peggiore legge elettorale che la storia repubblicana ricordi.
  Per chiudere definitivamente quella pagina, per non cedere all'immobilismo, credo, Presidente, che sia venuto il momento ineludibile della decisione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, il deputato Stefano Quaranta.

  STEFANO QUARANTA, Relatore di minoranza. Grazie, signora Presidente. Signora Ministra, io prendo atto a malincuore che abbiamo deciso di fare di questa legislatura la legislatura della devastazione delle nostre istituzioni, per cui, dopo il Senato dopolavoro dei consiglieri regionali, oggi ci presentate una proposta di legge elettorale che, a mio giudizio, è peggiorativa persino del Porcellum: e ci voleva del talento per riuscire a fare una cosa di questo genere.
  Ovviamente, questo quadro si riconduce tutto ad una logica, ad una coerenza dal vostro punto di vista e, del resto, l'ideatore, uno degli ideatori, di questa proposta di legge elettorale, il professor D'Alimonte, l'ha detto chiaramente: questa legge serve, in sostanza, ad eleggere direttamente il Presidente del Consiglio. Io vi suggerisco, visto che si tratta di un «Porcellum peggioratum», che è stato definito «Italicum» nella prima versione, questa seconda versione, per evitare di confondersi e per far capire anche la deriva che è stata assunta, di chiamarla «Napoleonicum», che mi sembrerebbe il termine più adatto anche rispetto agli obiettivi che persegue il Presidente del Consiglio, visto anche il metodo che è stato utilizzato per questo provvedimento.
  Voi rappresentate in questo Parlamento il 25 per cento del consenso elettorale. Nessuno di noi ha mai messo in dubbio la legittimità di questo Parlamento, tuttavia, ci dovrebbe essere dal punto di vista politico il tema di porsi il dubbio che, quando un partito che ha preso il 25 per cento dei voti pensa di cambiare da solo la legge elettorale, forse, c’è qualcosa che non va dal punto di vista democratico, anche nel metodo. Dopo di che, naturalmente, questa scelta, questa legge avrà delle conseguenze, Pag. 9che non saranno conseguenze solo sulla legge elettorale, ma anche sull'assetto istituzionale del nostro Paese. Noi passeremo da un Governo, che vede sostanzialmente la figura di un primus inter pares, ad un organismo che avrà un capo, come dice la vostra proposta di legge elettorale. Cambierà anche il ruolo del Presidente della Repubblica, perché il Presidente della Repubblica, che oggi, sappiamo tutti, sostanzialmente, esercita un potere condizionato dal Parlamento, viceversa, avrà un potere vincolato da questa proposta di legge elettorale, che costruisce una maggioranza e rispetto alla quale sarà molto più difficile un voto di sfiducia rispetto al Premier.
  Naturalmente, ci sono tanti punti che riguardano, poi, il merito tecnico di questa proposta di legge, che non ci convincono. E badate, una legge elettorale non è né un fatto tecnico né una diatriba interna ad una forza politica, seppure quella di maggioranza relativa: è la qualità della democrazia di un Paese, quindi bisognerebbe avere il buonsenso e la lungimiranza di ragionare con calma e valutare tutte le conseguenze. Ci sono tanti punti che non ci convincono. Non si capisce perché al ballottaggio debbano andare i primi due, quando non sono possibili apparentamenti: allora, forse, era meglio stabilire una soglia oltre la quale si va al ballottaggio, come succede, ad esempio, nel sistema francese con il doppio turno di collegio; non si capisce perché il «no» alle coalizioni, visto che le coalizioni reggono tutte le amministrazioni locali e regionali.
  A noi non va bene questo modello per cui ci sono due partiti che si contendono il Governo e a tutti gli altri, al massimo, viene concesso un benevolo diritto di tribuna: non credo che sia utile ad un Paese come il nostro, soprattutto in un momento di crisi economica e sociale fortissima. Non va bene nemmeno il doppio turno concepito in questo modo; non va bene che ci siano due tipologie di candidati: una bloccata e l'altra con le preferenze, che, poi, riguarda soltanto, di fatto, il partito che prenderà il premio di maggioranza. Non vanno bene anche altre cose: non vanno bene le candidature multiple; non va bene il fatto che questa proposta di legge sia efficace a prescindere dalla riforma della Costituzione, che elimina il bicameralismo paritario.
  Dopo di che, la questione vera – e la ripeto – è la questione dell'elezione del Premier. Noi stiamo costruendo una sorta di presidenzialismo alla fiorentina e io penso che il talento fiorentino dovrebbe esercitarsi in altri campi, dalla moda, al design, forse, non nell'architettura costituzionale, perché è un unicum al mondo ed ha un'aggravante rispetto ai sistemi presidenziali, che sono molto più seri del vostro: i sistemi presidenziali hanno dei contropoteri, ad esempio, nei Congressi o nei Parlamenti, che sono eletti separatamente dal Premier. Qui, invece, riusciamo a costruire un capolavoro per cui il Premier si fa eleggere direttamente e, al contempo, fa anche le liste del Parlamento.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  STEFANO QUARANTA, Relatore di minoranza. Io credo che siamo davvero di fronte ad una questione grave. Allora, il punto vero, e concludo – ed è per questo che noi faremo una battaglia nel Paese, perché non è un fatto tecnico –, è che, di fronte ad una crisi economica e sociale di questo Paese, si vuole uscire non aprendo maggiori spazi di democrazia, facendo circolare idee nuove, ma con l'uomo solo al comando.
  È sbagliato in assoluto, è sbagliato in questo caso specifico, visto il livello e la superficialità delle persone che ci governano (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. La ringrazio, deputato Quaranta. Adesso ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza Cristian Invernizzi, che non vedo in Aula, come non vedo il relatore di minoranza Ignazio La Russa e neanche l'altro relatore di minoranza, Toninelli, dunque debbo intendere che abbiano rinunciato al loro intervento in qualità di relatori di minoranza. A Pag. 10questo punto, andiamo avanti, ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, la Ministra Elena Boschi.

  MARIA ELENA BOSCHI, Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. Presidente, vorrei replicare al termine della discussione sulle linee generali.

  PRESIDENTE. D'accordo Ministra. Allora cominciamo con gli interventi in discussione sulle linee generali. La prima iscritta a parlare è la deputata Rosy Bindi, ne ha facoltà.

  ROSY BINDI. Grazie Presidente. È stato più volte affermato in questi giorni, anche questa mattina, che nessuna legge elettorale è perfetta. È vero, e come potrebbe esserlo, ci potremmo chiedere, perché persino la legge elettorale – e anche questa legge elettorale – appartiene alla cose umane e la perfezione, si sa, non è di questo mondo, ma di questo mondo è invece la possibilità di fare le cose migliori. E fare una legge elettorale migliore possibile si può, a due condizioni: se si dichiara il fine che si vuole raggiungere e se si rispettano il tempo e lo spazio nei quali la legge viene approvata e verrà applicata, perché le leggi elettorali sono dei mezzi e i fini devono sempre essere dichiarati.
  Ora, io penso che dopo alcuni anni di sperimentazione di leggi elettorali diverse, ma comunque tendenti a rafforzare la democrazia competitiva e l'alternanza nel nostro Paese attraverso la scelta del sistema maggioritario, fare oggi una legge elettorale significa non solo correggere le storture delle precedenti, ma riaffermare alcuni intenti: una legge elettorale che metta in sicurezza soprattutto una democrazia dell'alternanza competitiva, fondata su un sistema bipolare; una legge elettorale che ci assicuri di conoscere chi vince il giorno delle elezioni e quindi chi governerà; ma anche una legge elettorale che ci dia un'altra condizione fondamentale delle democrazie competitive, che chi perde e chi fa l'opposizione sia in condizione di farla in maniera tale da competere con il Governo nel futuro della vita del Paese.
  Queste sono le intenzioni che mi pareva fossero condivise, così come credo si debba prestare attenzione all'altra condizione, il tempo e il luogo nei quali le leggi si approvano. Allora oggi noi dobbiamo approvare una legge elettorale per l'Italia in questo tempo, che peraltro sta modificando anche la sua Carta costituzionale e lega questa legge elettorale anche alle modifiche della Carta costituzionale. Ci siamo sempre detti che occorre una riforma che rafforzi la democrazia parlamentare e non la umilii, che consenta all'Esecutivo di governare in un rigoroso rispetto dei principi della democrazia parlamentare.
  Bene, l'Italicum che ci torna dal Senato non ha una modifica o una novità di dettaglio, ma una novità destinata ad incidere con effetti sistemici: mi riferisco, in particolare, al premio che da premio di coalizione diventa premio di lista.
  Io credo che in Italia la democrazia competitiva dell'alternanza richieda una legge elettorale che favorisce e non scoraggia la ricostruzione dei campi politici; favorisce e non scoraggia o, addirittura, inibisce le coalizioni, trattandosi, la nostra, di una democrazia molto plurale, dove il bipolarismo è sempre fondato sulla pluralità e il pluralismo all'interno dei poli.
  Si dice che si vuole favorire il bipartitismo – già discutibile, questo, in un'Italia così caratterizzata – ma, in realtà, con il premio alla lista e non alle coalizioni non si favorirà il bipartitismo, ma si affosserà il bipolarismo. L'unico partito che vincerà con il premio alla lista e designerà anche il Presidente del Consiglio si troverà a essere un grande gigante circondato da tante opposizioni piccole e piccolissime in lotta tra loro e nessuna delle quali competitiva per il prossimo Governo del Paese, con la conseguenza di ricreare una forma di consociativismo all'interno del partito pigliatutto e così liquidare la democrazia competitiva.
  Presidente, io credo che su una proposta di legge elettorale che influisce in maniera così sistemica sulla vita del nostro Pag. 11Paese si debba soprattutto riflettere sulla necessità di rendere questo Parlamento protagonista nell'approvazione di questa proposta di legge. Sento parlare di voto di fiducia, come per la legge Acerbo, come per la legge «truffa», sento addirittura parlare di voto di fiducia sulle pregiudiziali, come su un decreto fiscale nei primi anni Ottanta. Questo è un vulnus terribile nei confronti della vita del Parlamento e nel rapporto tra Governo e Parlamento. Lei sa bene che le prassi in Parlamento creano norma, rinovellare queste prassi per consegnarle al futuro può essere davvero pericoloso per la qualità e il futuro della democrazia di questo Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente e Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Mariastella Gelmini. Ne ha facoltà.

  MARIASTELLA GELMINI. Presidente, colleghi deputati, avevamo sperato in un finale diverso, non avremmo mai voluto trovarci qui a denunciare la triste conclusione di un cammino di riforma elettorale nel quale avevamo profondamente creduto e che pensavamo dovesse rappresentare un segno decisivo sul cammino della pacificazione nazionale.
  Sappiamo tutti molto bene com’è andata in questi vent'anni, a una guerra giudiziaria condotta contro il presidente Berlusconi sin dal suo ingresso in politica è seguita una delegittimazione della sua persona e dell'intero centrodestra, culminata nel 2013 con l'estromissione dal Senato sulla base di un'applicazione retroattiva della legge Severino. La Consulta poi, dichiarando inaccettabile la legge Calderoli, aveva di fatto marchiato il premio di maggioranza come giuridicamente incostituzionale e politicamente impraticabile. Si sarebbe dovuto con rapidità cambiare la legge elettorale e soprattutto farlo insieme, per superare il problema della incostituzionalità di quel voto a maggioranza che è tale grazie a un premio ritenuto dalla Consulta abusivo. Queste sono state le premesse dell'incontro del 18 gennaio al Largo del Nazareno tra due leader – il segretario del Partito Democratico e il presidente di Forza Italia, divisi solo da uno 0,37 per cento, poco più di 120 mila voti alle elezioni – che era giusto trovassero una via d'uscita a una situazione inaccettabile, con 148 deputati insediatisi a Montecitorio, per così dire, senza patente.
  Venivamo da troppi anni di una guerra civile fredda, di delegittimazione reciproca, che aveva travolto le riforme già approvate molti anni fa da Forza Italia, sulla base di una strumentalizzazione di un referendum che ha portato indietro il Paese e ha fatto perdere molti anni, per non cogliere l'apertura del segretario del Partito Democratico come un invito straordinariamente positivo. Si rimetteva in moto qualcosa di più profondo, ma lontano dagli atteggiamenti compromissori; ognuno rivestiva all'interno del Parlamento il proprio ruolo, noi continuavamo ad essere opposizione al Governo, ma, sul tema delle riforme costituzionali, si ricercava un accordo. Il 18 gennaio si giunse all'incontro, stabilendo alcuni punti: la legge elettorale avrebbe dovuto basarsi sul modello spagnolo, un proporzionale con soglie di sbarramento alte, soprattutto per le coalizioni, così da spingere alle alleanze tra partiti simili, ma anche da evitare la polverizzazione delle liste elettorali all'interno della medesima coalizione. In una parola, si difendeva il bipolarismo.
  Accettammo, sulla base di questo, anche l'idea di ballottaggio, qualora la coalizione maggioritaria non avesse superato il 35 per cento, nonostante fossimo ben consapevoli del danno per il centrodestra. Nessuna preferenza, per la semplice ragione che i collegi, essendo piccoli, avrebbero consentito ai cittadini di conoscere i candidati e, poi, gli eletti.
  Nell'accordo vi era anche la riforma del bicameralismo paritario, ma vi era una clausola fondativa di quel patto: i contenuti del patto potevano cambiare soltanto se entrambi i contraenti fossero stati d'accordo, Pag. 12nel caso contrario ci si fermava al passo precedente, oppure l'accordo saltava.
  Nel frattempo, in tutto ciò che non atteneva al governo ordinario del Paese, ma al livello istituzionale, si lavorava insieme, scegliendo arbitro e regole. Che cosa è accaduto ? Che per necessità di equilibri interni al Partito Democratico e alla maggioranza di Governo, il Presidente del Consiglio ha spostato i tempi e i contenuti dell'accordo. Abbiamo conteggiato diciassette modifiche tra cambi di contenuti e spostamenti della tempistica, ma sempre hanno prevalso in Silvio Berlusconi e in Forza Italia: il senso di responsabilità; la consapevolezza, pur sedendo tra i banchi dell'opposizione, del momento gravissimo di questo Paese; la certezza nei valori, che sono il substrato della democrazia; la lealtà; la trasparenza; il senso del bene comune. Primo posto dato alla libertà e al valore delle persone, a prescindere dagli schieramenti e dalle opinioni.
  Due elementi abbiamo ritenuto da subito per noi inaccettabili: il premio dato alla lista invece che alla coalizione e l'abbassamento della soglia per l'ingresso alla Camera a livelli lillipuziani, di fatto a misura di un disegno di frantumazione dell'opposizione. Su questi punti al Senato votammo contro, salvo accettare poi, nel complesso, la legge elettorale in nome di un accordo più vasto che includeva una visione comune dell'istituzione e il metodo della scelta condivisa dell'arbitro di questo processo e della sua attuazione democratica. La scelta della personalità per il Quirinale da fare insieme, con pari titolo e pari dignità, questo era il coronamento logico e politico di un cammino comune. Così non è stato ed è cambiato tutto. Non si trattava di uno scambio, ma della condivisione di un disegno che finalmente avrebbe sottratto le istituzioni del nostro Paese alla bulimia irrefrenabile della sinistra, esercitata da decenni sul Quirinale, aprendo il sistema politico ad una prassi nuova. In noi erano chiare le perplessità, manifestate nelle dovute sedi, il rischio di un eccesso di potere consegnato al segretario del partito vincitore, ma questo rischio per noi era compensato dalla certezza della buona fede di Renzi e della sua lealtà rispetto all'accordo. La scelta del nome per il Quirinale è una scelta comune, pur potendo il PD fare a meno dei nostri voti, era una garanzia di fermezza democratica, di prova che mai Renzi avrebbe adoperato la democrazia come una pistola contro la minoranza e instaurato un uomo solo al comando. Invece, nella scelta del Capo dello Stato, Renzi ha calpestato la nostra fiducia. Inserita in questo contesto la legge elettorale, detta Italicum, è incostituzionale; nel combinato disposto con la riforma costituzionale ha un carattere doppiamente incostituzionale. Incostituzionale lo è e lo sarà in senso formale e sostanziale. Vi è una sola possibilità che osiamo avanzare sperando contro ogni speranza, che cioè questa legge subisca i cambiamenti che chiediamo: premio di coalizione, anzitutto; innalzamento della soglia di sbarramento per consentire il formarsi di un'opposizione più solida. Diversamente, tutto andrebbe in mano ad uno solo. Un partito con il 25-30 per cento, senza necessità di allearsi con nessuno, arriverebbe, grazie al ballottaggio, al 55 per cento dei deputati e avrebbe la possibilità di esercitare un dominio assoluto.
  Mi colpì molto di Renzi quanto disse in una recente riunione di direzione del Partito Democratico: dare il premio al partito è la seconda grande conquista dopo il ballottaggio, potevamo restare DS e Margherita se volevamo continuare ad usare le coalizioni. Queste parole mettono in evidenza che il premio alla lista non è tale perché utile al Paese, ma perché utile al Partito Democratico.
  Voglio qui ribadire, ancora una volta, la pacata rivendicazione del ruolo determinante svolto da Silvio Berlusconi e da Forza Italia a partire dal 18 gennaio: una costanza mai venuta meno, una serietà e una pazienza perseveranti, nonostante le diciassette modifiche. Questo ha consentito quel percorso di riforme elettorali e costituzionali spesso incompreso, travisato e che ha determinato, per Forza Italia, Pag. 13anche una dannosa perdita del consenso elettorale. Quando, però, si è rivelato il deficit di accordo del nostro partner, è diventato necessario dire di «no».
  Ed è necessario dire di «no» anche per l'insormontabile questione del Trentino-Alto Adige, che sembra marginale, ma marginale non è, perché, dove si introducono norme contrarie ai principi costituzionali di eguaglianza, di voto, di rappresentatività parlamentare e, in definitiva, di sovranità popolare, con la finalità di garantire il diritto di tribune e tutelare la minoranza linguistica presente nella provincia di Bolzano, di fatto si condiziona l'espressione del voto e l'assegnazione dei seggi anche nell'altra provincia presente all'interno della circoscrizione, dove non è presente alcuna minoranza linguistica.
  E allora, gli emendamenti che proponiamo come Forza Italia sono di pacato buon senso, reintroducono il premio alla coalizione, alzano la soglia di sbarramento, consentono di raddrizzare il senso dell'Italicum conformandolo maggiormente allo spirito iniziale. Apprendo, invece, che il Governo intende inibire qualsiasi discussione seria e cambiamento ragionevole, ponendo la fiducia su ogni articolo.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  MARIASTELLA GELMINI. Lo riteniamo un fatto gravissimo. L'articolo 72 della Costituzione parla chiaro, e allora la legge elettorale non può, politicamente e costituzionalmente, in quanto dirige i destini della democrazia, essere condizionata nella sua approvazione dal «sì» o dal «no» ad un Governo contingente e, dal mio punto di vista, anche effimero.
  Ribadirebbe la posizione della fiducia, una volta di più, la rottura del metodo del dialogo e del confronto, che noi ci ostiniamo a ritenere l'unica strada per pacificare l'Italia, anche quando siamo costretti, dall'ostinazione dell'altra parte, a dire di «no», come diremo di «no», Ministro Boschi, se non passeranno i nostri emendamenti (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie Presidente, signora Ministro, onorevoli colleghi, la discussione che oggi iniziamo sulla legge elettorale e il modo in cui ci si è arrivati impongono una riflessione sulla nostra situazione parlamentare e sulla situazione politica del nostro Paese. Io credo, infatti, che in questo dibattito, nel dibattito sulla legge elettorale e sulle riforme, si sia visto, francamente, il peggio che ci si poteva aspettare per un tema così importante.
  Noi di Scelta Civica siamo arrivati in Parlamento con la convinzione, probabilmente un po’ naïf, che quando si parla in generale di provvedimenti legislativi, ma a maggior ragione delle riforme, si parta dai contenuti e ci si comporti di conseguenza, tenendo conto degli effetti che quelle riforme possono avere sul Paese, delle cose che si sono pensate e dette in passato, di quello che le riforme comportano, non necessariamente o non solo per la propria forza politica, ovviamente si pensa anche alla propria forza politica, ma si cerca di guardare a quello che le riforme portano per il Paese, a quello che determinano. E così abbiamo fatto noi.
  Il primo Italicum non ci piaceva, perché pensavamo che, da un lato, la previsione di liste esclusivamente di nominati non fosse positiva, noi chiedevamo i collegi uninominali; ritenevamo che il premio di sbarramento per chi non era in coalizione all'8 per cento fosse eccessivo, anzi assurdo, per chi non aveva in realtà alcuna possibilità di incidere sulla governabilità del Paese e non si vedeva perché non dovesse entrare in Parlamento; abbiamo posto una serie di temi; abbiamo discusso con la maggioranza, in particolare con il Partito Democratico – che fino ad allora si era relazionato solo o quasi soltanto con Forza Italia – chiedendo delle modifiche e le abbiamo concordate; quando abbiamo visto il nuovo testo abbiamo ritenuto che fosse migliore del primo, che non fosse sicuramente invotabile, ma che fosse migliorabile; abbiamo cercato di portare Pag. 14delle proposte di emendamenti; siamo andati in Commissione, le abbiamo discusse, non sono state accettate per le ragioni su cui poi tornerò, anche di contesto, e non le abbiamo ripresentate qui in Aula, perché è evidente che la situazione non è tale da consentire un dibattito sereno su questi e probabilmente sugli altri emendamenti.
  Purtroppo, la situazione a cui siamo arrivati oggi è quella di minacce di voti segreti e di conseguente posizione della questione di fiducia, tutte cose che secondo noi si dovrebbero evitare.
  La legge elettorale, infatti, non è un tema etico, il voto segreto sulla legge elettorale, dal nostro punto di vista, lo dissi già quando trattammo del primo Italicum, diventa un modo per nascondersi su un aspetto importante, come è quello delle istituzioni del nostro Paese. Credo sia un difetto del Regolamento quello di consentirlo, così come la fiducia non dovrebbe essere posta su temi come questi, perché dovrebbero essere temi liberamente discussi in Parlamento; i due temi sono infatti collegati. Si è arrivati a questa situazione dopo un percorso francamente inaccettabile.
  Ho sentito ora l'intervento dell'onorevole Gelmini, le cui conclusioni, alla fine, sono state che «questa legge, nel contesto attuale, combinata con la riforma costituzionale, è incostituzionale». Una legge o è incostituzionale o non è incostituzionale. Non diventa incostituzionale perché è stato eletto Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non diventa incostituzionale ! L'incostituzionalità è un fatto sicuramente grave; se si pensava in Forza Italia che la legge fosse incostituzionale bisognava non votarla. Invece, al Senato, tre giorni prima della elezione del Presidente Mattarella, il senatore Sacconi l'ha dichiarata finalmente un passaggio alle riforme del XXI secolo, anzi il senatore Romani, l'ha definita così: «Il raggiungimento dell'obiettivo di Silvio Berlusconi di arrivare ad un bipolarismo estremo, anzi al bipartitismo» (testuali parole). Quella legge è stata votata e dopo tre giorni, dobbiamo prendere atto, che è diventata incostituzionale con il voto sul Presidente della Repubblica.
  Allo stesso modo credo che anche il dibattito che si è svolto nel Partito Democratico, e che ci ha condizionati in maniera terribile in questi mesi, abbia avuto le stesse caratteristiche sia sulla riforma costituzionale sia sulla riforma elettorale.
  Non si è riusciti a capire se questa legge è un vulnus autoritario alla democrazia nel nostro Paese, nel qual caso onestamente questa proposta di legge non dovrebbe essere votata da chi dice queste cose e non dovrebbe essere votata neppure la fiducia su una proposta di legge che determina il sorgere dell'autoritarismo, la fine dell'equilibrio democratico in questo Paese, o se, invece, si tratta di correzioni minori che devono essere apposte. Allora parlare di voti segreti e – torno a dire – descrivere questa legge come se fosse il passaggio da un sistema democratico ad un sistema di premierato – mi dispiace che l'onorevole Bindi non sia presente – trovo che non sia vero; che non sia assolutamente vero.
  Questo è un sistema parlamentare e resta parlamentare. E qui vorrei andare su un tema che, credo, sia il tema di questo dibattito. Si tratta del rapporto che esiste tra l'Esecutivo, i partiti e il Parlamento. Si continua a parlare in questi giorni dei contrappesi, della necessità di mettere contrappesi agli effetti della legge elettorale. I contrappesi di solito si mettono all'Esecutivo, non si mettono sul Parlamento e in tutti i Paesi in cui si parla del tema dei contrappesi si parla dei contrappesi al potere del Presidente della Repubblica o del Premier (poteri esecutivi). Qui, invece, si parte dal presupposto che vi sia una coincidenza assoluta tra Premier e coloro che vanno in Parlamento insieme al Presidente del Consiglio. Ciò non è un fatto totalmente falso nell'esperienza politica che abbiamo vissuto in questi anni, ma non si può creare un contrappeso alla maggioranza del Parlamento; non è quello il tema. Il tema è quello di avere parlamentari che abbiano l'autonomia, la schiena dritta, lo scarso attaccamento al Pag. 15posto per essere sufficientemente indipendenti dal loro Premier. Questa cosa con la legge e con la Costituzione non si avrà mai. Noi dobbiamo arrivare a renderci conto che se oggi viviamo questa situazione, se oggi si dibatte del fatto che il Premier domani potrà avere il 55 per cento dei parlamentari e sceglierli a piacimento, è semplicemente perché si parte dal presupposto che i partiti, come oggi sono, sono debolissimi. A questo non si può porre rimedio con le riforme costituzionali.
  E se i partiti resteranno debolissimi, quale che sia la riforma costituzionale che faremo, si creeranno dei meccanismi di ostaggio della minoranza, il che non è possibile. Lo dico a chi – ho sentito l'onorevole Quaranta, prima – continuamente parla dei meccanismi di elezione del Presidente della Repubblica e della Corte. Anche noi di Scelta Civica chiediamo e pensiamo che si possa intervenire su quegli aspetti, ma non si potrà mai arrivare ad una situazione dove vi è un veto assoluto della minoranza su queste nomine, perché, se si arriverà al veto assoluto, di fatto, si avranno cariche e organi di garanzia eletti dalla minoranza, scelti dalla minoranza, che è il contrario di quello che presuppone una democrazia parlamentare.
  Noi di Scelta Civica avremmo preferito avere l'apparentamento tra il primo e il secondo turno, volevamo i collegi uninominali. Avremmo anche voluto più collegi, perché pensiamo che quelli che escono da questa legge elettorale siano ancora troppo grandi anche sotto il piano delle preferenze, che noi non avremmo voluto. È evidente che, più ampio è il collegio, più alto è il costo. Quindi, vi sono cose che avremmo voluto correggere, ma consideriamo, comunque, questa proposta di legge un passo avanti rispetto all'Italicum prima versione; la consideriamo anche, ovviamente, un passo avanti rispetto al Consultellum.
  Quello che speriamo è che, se vi sarà un dibattito, sia un dibattito aperto e trasparente. Credo che chiedere voti segreti, per non parlare di porre questioni pregiudiziali di costituzionalità, su leggi che si sono votate convintamente sia assurdo. Pensiamo che si debba avere un dibattito: se non vi sarà questo dibattito, le responsabilità, credo, saranno fondamentalmente dei problemi interni ai partiti che ho appena descritto.
  E spero che, se questo avverrà, si possa, invece, discutere ancora sulla riforma costituzionale, per, magari, risolvere alcuni dei dubbi e dei problemi che molti sollevano, anche se non confido più di poter vedere un atteggiamento coerente, perché è evidente che, in questo percorso, gli interessi di partito, per non dire di bottega, di alcune parti politiche sono stati così evidenti da non farmi avere alcuna speranza che si possa arrivare ad un dibattito vero sui contenuti.
  Scelta Civica voterà questa proposta di legge, ma spera davvero che tutte le forze politiche abbiano un ultimo sussulto di responsabilità, che si possa avere un dibattito aperto, senza voti segreti, e che non si debba arrivare al voto di fiducia.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Federica Dieni. Ne ha facoltà.

  FEDERICA DIENI. Grazie, Presidente. Il professor Einaudi scriveva: è dubbio che l'essenza del Governo parlamentare sia nel diritto della maggioranza di votare le leggi. Una maggioranza che si offende al pensiero di una lotta senza quartiere da combattere contro una minoranza prima di giungere ad attuare i suoi voleri è ella tirannia. E continuava: l'essenza del Governo parlamentare sta nella libertà illimitata di discussione.
  Ecco quale alto parere abbiamo a sostegno di quanto affermiamo, a sostegno della nostra richiesta, e che cioè alla I Commissione deve essere lasciato il tempo di due mesi, come è stato concesso dall'Assemblea quando il disegno di legge venne qui attraverso il passaggio dalla Camera dei deputati. Questo, che vale per ogni disegno di legge, a maggior ragione vale per un disegno di legge elettorale: una legge elettorale importante per sua natura, che inciderà, come ho detto prima, anche Pag. 16sulla struttura dello Stato; legge elettorale da cui potranno derivare molte conseguenze.
  Vedete, signori, voi sorridete a questa mia affermazione; altri sorrisero al vostro posto, ascoltando un richiamo simile al mio, da parte dei nostri, nel 1923, quando si discuteva alla Camera dei deputati il disegno di legge che portava la firma dell'onorevole Acerbo. Molti di voi sono insorti contro quel disegno di legge, ma poi siete arrivati alla conclusione di astenervi. Settantasette foste. Non siete stati conseguenti.
  Orbene, se fossero stati presenti molti del vostro gruppo e se voi aveste votato tutti contro la legge, come hanno fatto i nostri, la legge Acerbo non sarebbe passata, nel 1923, al Parlamento. Avete messo in evidenza, con i vostri interventi interessanti, il fatto che essa rappresentava un vergognoso furto. Voi ora state facendo la stessa cosa, con la differenza che la parola «furto» l'avete sostituita con la dizione: «nobile azione per difendere la democrazia in Italia». Ma la cosa rimane, è sempre quella: è un furto.
  Queste parole, come avete capito, non sono le mie, sono di Sandro Pertini. È emblematico che, proprio in questa prima seduta, dopo il settantesimo anniversario della Liberazione, si discuta proprio di questa legge, così come è per certi versi paradossale che ciclicamente in quest'Aula si verifichino corsi e ricorsi tali da dare ragione a Giambattista Vico. Vi sono interventi che ciclicamente tornano di moda. Quello citato ne è un esempio. Tali ricorsi sono talmente accurati, sin dai numeri, dato che si parla di una settantina di ribelli, che tuttavia non ebbero il coraggio di votare contro la legge, che creò i presupposti per l'affermazione del fascismo, che, se non fosse per il riferimento all'anno, si potrebbe pensare che queste parole siano rivolte a noi, a tutti noi.
  Ebbene, Sandro Pertini, eroe della Resistenza e certamente il più amato tra i Presidenti della Repubblica che questo Paese ricordi, le pronunciò in quest'Aula durante la discussione sulla legge n. 148 del 1953, meglio nota conosciuta come «legge truffa». A riguardarla – quella legge – verrebbe da chiedersi se questo eroe della storia repubblicana non se la sia presa fin troppo, dato che, nei contenuti, tale provvedimento non era tanto grave quanto lo è quello attualmente in discussione.
  Ebbene, la legge truffa, come è noto, portò alla conclusione della lunga stagione dei Governi guidati da Alcide De Gasperi. Alcide De Gasperi certo non era Matteo Renzi. Non lo era anzitutto perché aveva ben altro dal punto di vista politico e culturale, ma soprattutto perché non aveva bisogno di dimostrare il suo attaccamento alla democrazia. Eppure, anche una figura storica di questa portata non poté che essere travolta dallo scandalo. Ovviamente, al tempo si tendeva ad essere più esigenti in quest'Aula e si riteneva che, una libertà conquistata a così duro prezzo, non dovesse essere messa a rischio neanche minimamente dalla tentazione di voler falsare, seppure in modo tutto sommato sostenibile, gli equilibri della rappresentanza democratica.
  Chissà cosa direbbero i padri costituenti e gli altri deputati di allora guardando la legge elettorale che è in discussione oggi in quest'Aula e che è di gran lunga peggiore. Ebbene, noi partiamo da questo assunto, ma taluni, che non conoscono l'argomento e che possono vedere questo confronto nella normale dialettica tra maggioranza e opposizione, possono ritenere che si tratti di un'affermazione capziosa, così come la polemica del tutto strumentale. Sarà, quindi, bene chiarire, seppure rapidamente, il motivo per cui riteniamo che questo testo sia di fatto tanto scandaloso al netto della polemica politica.
  In realtà, infatti, alcuni potrebbero eccepire che questa proposta costituisce pur sempre un miglioramento rispetto alla legge n. 270 del 2005, meglio nota come Porcellum e che, comunque, serva a superare la condizione d'incertezza provocata dalla dichiarazione di incostituzionalità di alcune sue parti attraverso la sentenza Pag. 1713 gennaio 2014, n. 1, che disegna, di fatto, un nuovo sistema elettorale. La realtà è che non è così.
  Il disegno di legge attualmente in discussione si basa su due preconcetti di fondo: il primo è che il pluralismo parlamentare non sia altro che un fastidioso impiccio e che il sistema migliore per governare è farlo con le mani libere; il secondo è che i partiti, o per meglio dire, coloro che guidano i partiti debbono avere mano libera nel decidere chi deve sedere in quest'Aula.
  Ebbene, trovandoci in quest'Aula a seguito di tale determinazione, sarebbe stato saggio non ribadire l'errore. Invece, attraverso il sistema dei capolista bloccati, si rinnega ancora una volta la scelta dei cittadini e si rinnova un concetto di partito che diviene terreno di conquista dei leader. La gravità, quindi, del permanere di una significativa quota di deputati scelti dal vertice del partito non sta soltanto nella palese conseguenza di portare in Parlamento persone supine ai propri capibastone, ma è anche quello di uccidere lo spazio di democrazia all'interno degli stessi partiti, creando maggioranze di proseliti più che un ceto politico, fedeli in Parlamento e fedeli nei partiti.
  Ma non è questa la sola ragione che porta il MoVimento 5 Stelle ad esprimere una netta contrarietà. Resta inaccettabile in questa legge la volontà di infrangere anche l'altra eccezione sollevata dalla Corte, continuando a falsare, seppur in modo leggermente diverso nella forma, la proporzionalità del voto e gli equilibri delle forze in campo. Una legge che toglie lo spazio di scelta al cittadino, sia nella scelta dei rappresentanti da eleggere, sia nel peso assegnato ai singoli partiti, nella sostanza non si differenzia dal tanto vituperato Porcellum.
  Il premio di consolazione è quella piccola quota di parlamentari che viene lasciata alle preferenze.
  La legge elettorale quindi – lo ribadisco – risponde esclusivamente all'interesse del Presidente del Consiglio e certamente non a quello generale. Se davvero l'interesse principale fosse stato la governabilità, avremmo avuto ben altri modi per poterlo realizzare così com’è. Se si fosse voluto mantenere un criterio collegato alla proporzionalità della scelta, altri erano i sistemi che andavano perseguiti.
  In Italia l'antico vizio è quello di rivolgersi ai sistemi misti, ad alchimie articolate e complesse che cercano di salvare troppe capre e lasciano molti cavoli al cittadino. Qualunque studioso di sistemi elettorali predilige forme che siano abbastanza semplici e che siano riconducibili, seppur con dei correttivi, a dei modelli puri. In questo Paese, invece, diventa normalmente difficile anche il solo spiegare se abbiamo una legge proporzionale o maggioritaria. I nostri sistemi sono sempre disegnati non sugli effetti che attendiamo, ma sulla necessità di fornire garanzie di predominio o di sopravvivenza agli attori principali di questo gioco. La soglia di sbarramento bassa, al 3 per cento, non nasce da un trade-off tra l'esigenza della rappresentanza delle forze più piccole e quella di non frammentare eccessivamente una minoranza già sottorappresentata, ma dalla pretesa di un partito come il Nuovo Centrodestra – che si ridimensiona quanto più ingloba nuove componenti – di sopravvivere. Il capolista bloccato non è il frutto della ponderazione di chissà quale astruso ragionamento sulla democrazia all'interno delle formazioni politiche, ma è il prezzo che si paga a Berlusconi affinché egli riesca a tenere le redini di un gruppo ormai in rotta.
  A proposito, proprio questo dà una cifra della diversità culturale del nostro schieramento. Alcuni dicono che il MoVimento 5 Stelle potrebbe guadagnare da questa legge. Come si sa, infatti, il MoVimento 5 Stelle non si allea con altri partiti e il premio alla lista di maggioranza è senz'altro un sistema attraverso il quale potremmo gareggiare per potere essere il primo partito, avendo una maggioranza assoluta dei seggi. Se fossimo come tutti gli altri, ci sarebbe da far finta di nulla, incassare e puntare a vincere le prossime elezioni. Ma a noi non è mai interessato il nostro interesse particolare.Pag. 18
  Colleghi, oltre alle questioni di merito richiamate, vorrei porre anche una questione di metodo: quando si riforma la legge elettorale, visto che la materia comunque si avvicina per molti aspetti alle caratteristiche proprie di quella costituzionale, si dovrebbe ricercare un ampio consenso. Lo si ripete ogni volta e ogni volta la maggioranza si trova a votare da sola. Stavolta, però, sarebbe stato quanto mai necessario. Questa regola non scritta andrebbe a maggior ragione osservata alla luce del fatto che ci troviamo di fronte al paradosso che il Parlamento, che dovrebbe approvare la riforma, è stato eletto con una legge in gran parte giudicata incostituzionale.
  Tutto ciò considerato, non possiamo che concludere che questa proposta è un furto, in modo non dissimile da come Pertini definiva la «legge truffa». E qui si tratta di espropriare tre volte i cittadini: della libertà di scelta dei rappresentanti, dell'indispensabilità di avere una minoranza che possa sorvegliare sulla maggioranza, della rappresentatività del Parlamento da loro eletto.
  Ma si permetta una citazione: non ci sarebbe alcuna difficoltà in tutti i partiti in corsa nell'accettare questo assunto, ossia che ciascuno si sentirebbe più sicuro se non ottenesse un iniquo vantaggio nella distribuzione dei seggi. Questa frase è stata scritta in «I principi della rappresentanza parlamentare», da un certo Charles Dodgson, certamente meglio conosciuto come Lewis Caroll. Già nel 1884 pubblicava un libro in cui si preoccupava di identificare un sistema di voto che fosse quanto più vicino a garantire la rappresentanza di ogni elettore. Non ho dubbi sul fatto che il nostro Premier preferisca il più famoso libro di Caroll «Alice nel paese delle meraviglie», dato che assomiglia molto più alla tirannica regina di cuori, che vuol mozzare la testa a chiunque non osservi i suoi strampalati desideri.
  E, d'altra parte, che cos’è quello cui ci troviamo di fronte, se non un ricatto, la minaccia rivolta al Parlamento da parte del Presidente del Consiglio ai componenti del suo stesso partito di andare alle elezioni, se essi non voteranno questa legge ?
  Le minacce di fiducia, il taglio dei tempi di discussione, la pretesa di una votazione affrettata e, nel contempo, lo sbandierare il ricatto di dimissioni e del conseguente probabile scioglimento della Camera ben si confanno a questa visione pretenziosa, se non autoritaria, che vorrebbe assoggettare l'organo parlamentare al Governo anche nella norma che dovrebbe riguardare più di tutte il Parlamento, in quanto detta del Parlamento la composizione.
  È per questo, colleghi, che io non esiterò a definire questa discussione come un invisibile Rubicone. Eppure, io non griderò in questa sede all'attentato alla democrazia: esso c’è ed è evidente, ma alcuni potrebbero ritenerlo non realistico, in quanto una legge elettorale da sola difficilmente porta da sola all'affievolimento della sovranità popolare e dello Stato di diritto.
  Tuttavia, ciò a cui mi appellerò è, invece, un sussulto di dignità, la volontà di non volersi far imporre delle decisioni di cui non siamo convinti, la riaffermazione del Parlamento quale luogo di mediazione. Soprattutto vorrei condividere con voi quella che ritengo essere la più grande verità. Il più grande oppressore contro il quale siamo chiamati a lottare oggi sono anzitutto le nostre paure: la paura di confrontarsi, la paura di vivere questo Parlamento come luogo del compromesso e delle scelte. Nell'ipertrofia normativa del nostro sistema, un richiamo alla necessità di decisioni veloci non è funzionale né al cittadino né allo Stato né alla nostra economia. Servono meno leggi e scritte meglio. L'efficientismo che questo Governo, come gli altri che l'hanno preceduto, vuole imporre non è altro che un'illusione.
  Non posso che richiamare, nella prima seduta dopo il 25 aprile, l'opportunità di festeggiare oggi, ma soprattutto nel momento del voto, una nuova festa della liberazione. Popper diceva che la dittatura è moralmente cattiva perché condanna i cittadini dello Stato, contro la loro migliore Pag. 19coscienza, contro il loro convincimento morale, a collaborare con il male, se non altro con il silenzio. Essa solleva l'uomo dalla responsabilità morale senza la quale è solo la metà, un centesimo di uomo. Essa trasforma qualsiasi tentativo di portare la propria responsabilità umana in un tentativo di suicidio.
  Oggi vi chiedo di liberarci di questa dittatura instaurata dal ricatto, dalla paura di dialogare, dalla nostra pigrizia, che preferisce la comodità dell'uomo solo al comando. Oggi vi chiedo di guardare di nuovo a questo Parlamento come il più grande lascito della libertà dei nostri padri, la vera eredità della lotta contro il nazifascismo. Oggi, e con il voto dei prossimi giorni, siamo chiamati davvero a festeggiare la nostra liberazione (La Presidenza consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale dell'intervento).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Binetti. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Presidente, signor Ministro, colleghi, credo che in questi giorni tutti noi, nella nostra vita quotidiana, nella nostra vita di relazione, siamo stati frequentemente interpellati da questa domanda, che ci veniva posta da familiari, amici, cittadini, sostenitori delle nostre idee o anche, magari, avversari delle nostre idee: ma che dice esattamente questa legge ? Ma quali sono davvero i vantaggi che questa legge comporta e quali sono i rischi che questa legge comporta ?
  Mi è sembrato, in questa operazione virtuale e non sempre forse virtuosa di confronto con la gente, di trovarmi davanti a persone che sono in qualche modo preoccupate più dai titoli gridati, più dalle posizioni politicamente scolpite che non dall'effettiva comprensione di ciò che dice la legge, di ciò che chiede la legge, di ciò che offre la legge, sapendo che poi i principali attuatori di questa legge saranno proprio i cittadini con il loro voto.
  Paradossalmente, questa legge impone a tutti noi una gigantesca operazione – chiamiamola così – di educazione politica, nel senso di istruzione concreta sui fatti, di onestà intellettuale nel richiamare le persone al fatto che ogni legge è fatta di luce e di ombre. Questa legge anche è fatta di luci e di ombre e la cosa fondamentale è che il cittadino la conosca bene per saperla utilizzare nel miglior modo possibile, per saperne schivare gli eventuali rischi che ci sono e per saperne rafforzare e potenziare gli effetti positivi che potrebbe avere.
  Di fatto, in queste nostre lunghe conversazioni con tante persone di età diversa, di cultura diversa, gli elementi fondamentali che vengono fuori sono gli elementi caratteristici di ogni democrazia.
  Che cosa ci aspettiamo noi da una democrazia ? La possibilità di poter rappresentare le nostre idee, di essere certi di mandare in Parlamento chi in qualche modo condivide le nostre idee e, quindi, se ne fa portavoce. La democrazia rappresentativa che noi vogliamo realizzare, anche attraverso questa legge elettorale, è, in realtà, l'altra faccia della medaglia di una democrazia partecipativa, che è ciò di cui soffrono maggiormente oggi i cittadini. Non c’è dubbio che, quando noi parliamo delle partecipazioni alle leggi elettorali – e lo vedremo tra poche settimane, alla fine del mese di maggio, con le votazioni per le regionali –, ciò che preoccupa di più tutti noi è l'assenteismo dei cittadini. I cittadini non partecipano perché in qualche modo non si sentono rappresentati, perché ritengono di non avere voce in capitolo su cose che, in realtà, toccano le loro vite molto più profondamente di quanto noi possiamo pensare, magari perché semplicemente viviamo in un contesto più selettivo, in un contesto che ci espone di meno a certi rischi da prima linea come sono quelli che loro vivono. I cittadini ci chiedono questo: voglio contare.
  In questa legge, il mio parere conterà ? Il mio voto, avrà senso o sarà semplicemente annegato nella marea di tutti gli altri voti, per cui io non potrò dire ciò che penso, non potrò scegliere la persona alla quale affidare un mandato preciso e alla quale chiedere conto di come ha agito e di Pag. 20come ha tradotto in pratica questo mandato ? La prima rassicurazione da dare al cittadino, quindi, è che questa legge aumenta la tua capacità di esprimere il tuo punto di vista e di scegliere le persone che ti rappresentano. E la risposta è «sì» per due motivi. È vero che c’è la variante capolista, che in questo momento vorrei accantonare, ma c’è la possibilità, a prescindere dal capolista, che dovrebbe rispondere ad un criterio – diciamolo pure – di fidelizzazione rispetto al Premier, su cui si assestano un po’ poi tutte le scelte secondarie al voto concreto che uno dà, di scegliere le persone. E, in più – non ce lo dimentichiamo –, al femminile per la prima volta questo rappresenta la possibilità di esprimere con maggiore chiarezza e con maggiore consapevolezza quella che è una presenza femminile.
  Tutti noi che veniamo da tanti fronti di lotta, non solo politica, ma sociale e di rappresentanza anche di tante battaglie di idee e di valori, sappiamo perfettamente che la battaglia si misura dall'energia e dalla determinazione con cui la combatto. Ma sappiamo anche che in molti contesti esiste ancora il pregiudizio maschile, quello per cui quella persona, per il solo fatto di essere uomo, rappresenta nell'immaginario una persona più dotata di capacità di comportamenti.
  Leggevo l'altro giorno come, nell'ambito delle domande per competere all'assegnazione di borse di studio per la ricerca, le cosiddette donne – quindi, non le quote rosa, ma coloro che fanno davvero ricerca e che sono donne non perché facciano ricerca al femminile, ma perché sono donne che fanno ricerca – erano il 70 cento, quindi di gran lunga di più degli uomini. Eppure, abbiamo ancora molti ambiti, molti campi in cui la presenza femminile non è rappresentata con la stessa chiarezza e con la stessa determinazione.
  Questa legge per la prima volta ci offre questo spunto. Non sarà il più importante, tant’è vero che nessuno di coloro che mi hanno preceduto ne ha sottolineato la forza. Ma a me piace pensare che questo è un valore; mi piace pensare che questo offrirà a tante giovani donne, impegnate davvero nei loro ambiti specifici di competenza, la possibilità di essere rappresentate in Parlamento, sempre poi che altre donne le votino. Questo, quindi, è anche un meccanismo positivo: la legge ti offre delle possibilità, ma tu devi anche saperle cogliere, ne devi apprezzare il valore e le devi poi di fatto tradurre in scelte concrete.
  Quindi, la possibilità di esprimere preferenze con questa legge forse non è tanto quanto avremmo voluto, ma è sicuramente più di quello che abbiamo avuto nelle ultime tornate elettorali. Questo, quindi, è un segno più a favore della legge.
  Esiste, poi, l'altro punto, l'altro tema, l'altro grande problema, che è quello della governabilità.
  Questo Parlamento che tante volte viene accusato di immobilismo, che tante volte viene accusato – la Presidente è stata protagonista delle ultime vicende di venerdì scorso riguardanti l'assenza del Parlamento e questo Parlamento di oggi è copia conforme del Parlamento di venerdì mattina – la possibilità che il Parlamento recuperi fino in fondo il senso e il valore della sua presenza, della sua dignità, delle sue scelte, del suo dibattito, questo è tutto in capo al Parlamento. Allora, nella dialettica che si stabilirà tra Parlamento ed Esecutivo, che spazio avrà la governabilità, quel sentimento di fretta che a volte coglie l'Esecutivo per cui, diciamolo pure sinceramente, ci invade con una sorta di decretazione d'urgenza che ci impone i suoi ritmi, ci impone i suoi tempi e ci obbliga a fare in modo che, invece, le leggi di iniziativa parlamentare facciano sempre due passi indietro e tre passi indietro in attesa, come dire, che passi il rapido che viene da una stazione considerata più importante ? Tutto questo ha un valore con questa legge e in che misura ha valore ? Certamente ha un valore importante perché il 40 per cento dei voti ottenuti permetterà al partito che arriva per primo a questo traguardo o che comunque arriva a questo traguardo di avere un premio di maggioranza molto importante. Ma questo premio di maggioranza Pag. 21cosa significherà ? Significherà governare più e meglio il Paese o significherà espropriare delle sue prerogative il Parlamento ? Questa è un po’ la dialettica che si pone. Noi ci auguriamo che, mentre l'opzione di un Governo più agile, più capace di allinearsi velocemente dalla parte dei bisogni dei cittadini abbia spazio, questo non significhi, invece, una sorta di peso messo sul Parlamento ma il Parlamento dovrà essere all'altezza, dovrà esserci, dovrà farsi sentire, dovrà esprimere le sue opzioni, dovrà muoversi in un dialogo tra il Parlamento e l'Esecutivo ma anche e soprattutto, come è stato detto, tra il partito di maggioranza e lo stesso Esecutivo. Che cos’è che temiamo noi quando parliamo di questo premio così importante dato al partito che ottiene il 40 per cento dei voti alle elezioni ? Temiamo una cosa fondamentale cioè che la sede delle decisioni non sia il Parlamento, che la sede delle decisioni non sia ad esempio la Commissione, ma che la sede delle decisioni sia la sede del partito. A volte succede e succede anche oggi che, ad esempio – faccio un esempio banale, comincio dalla cosa più piccola di tutte – gli emendamenti non vengono decisi in Commissione, gli emendamenti non vengono decisi nella dialettica naturale che si stabilisce tra i parlamentari e il rappresentante del Governo ma che gli emendamenti sono già stati decisi a monte tra il relatore della legge e l'esponente del Governo. Poiché la maggioranza dei relatori della legge appartiene al partito di maggioranza, di conseguenza il volano che prevale è che l'esproprio del potere decisionale da parte del Parlamento avviene già oggi per una dinamica che è una dinamica scorretta, che è una dinamica che non tiene conto che questo è un Governo di larghe intese, che quindi in questo Governo, oltre al partito di maggioranza, ci sono anche altri partiti che lo sostengono. Quando penso alla legge elettorale mi chiedo: aumenterà la possibilità di esprimere i punti di vista o il premio ottenuto dal partito di maggioranza necessariamente invaderà a cascata tutti gli altri centri decisionali svuotandoli dall'interno ? Noi non vorremmo che questo accadesse e ci auguriamo davvero questa dialettica tra questi due valori che sono, da una parte, la logica rappresentatività di tutti i cittadini e, quindi, anche l'appoggio che i parlamentari potranno ricevere dalla società civile, la forza che verrà loro dal potere di rappresentare idee, valori, bisogni di intere categorie di persone e quella che poi, invece, è la forza con cui l'Esecutivo, che almeno storicamente è il potere che non fa le leggi ma le applica. Sarà capace questo Esecutivo di nuova generazione, questo Esecutivo sostenuto anche da questo testo unificato che indubbiamente favorisce il partito di maggioranza, sarà capace di mantenere i confini del proprio agire e, quindi, di rispettare l'agire del Parlamento ? Questo è il grande auspicio. Vedete, a mio avviso, nello sforzo di dialogare con tante persone per spiegare dove sta l'aspetto virtuoso e dove, invece, si nasconde l'insidia della legge, c’è sempre l'idea che ognuno di noi deve assumere fino in fondo la responsabilità delle proprie scelte, deve essere in grado di fare fino in fondo la propria battaglia, deve riconoscere lui per primo il valore in questo caso, nel mio caso specifico e quello dei colleghi, il valore del Parlamento, il valore del partito in cui sto, il valore delle battaglie che faccio e avere il coraggio di fare queste battaglie.
  Prima la collega del MoVimento 5 Stelle parlava del ricatto della paura: ebbene no, io non voglio subire il ricatto della paura. Io voglio subire non il ricatto, ma la forza e la motivazione dell'onestà intellettuale di chi si schiera dalla parte dei bisogni dei cittadini, di chi si schiera nella consapevolezza che una democrazia si regge sulla distinzione dei poteri.
  Non sarà la legge elettorale che, in qualche modo, toglierà forza a questa democrazia, non sarà questa legge elettorale, se la sapremo utilizzare fino in fondo, coerentemente; se i cittadini sapranno che quando vanno a votare, dando una preferenza piuttosto che un'altra, esprimono una capacità di dare forma al Parlamento. Dovranno saperlo: non è indifferente quel nome che scrivono, non è indifferente quell'opzione che fanno. Non Pag. 22è indifferente nemmeno che un partito, per così dire, al 3 per cento, sia un piccolo partito, se tu in quel piccolo partito hai votato persone di carattere, persone con ideali, persone con una forza di rappresentazione, persone che combatteranno per difendere le tue idee.
  Io termino semplicemente dicendo questo. Questa legge non sarà una buona legge solo perché la votiamo: lo diventerà nella prassi, se sapremo spiegarla adeguatamente ai cittadini, se sapremo mostrare loro dove sta la loro forza, come possono utilizzare questa legge e come possono rafforzare gli elementi che contano e, in qualche modo, contenere quelli che sono più negativi.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Costantino. Ne ha facoltà.

  CELESTE COSTANTINO. Grazie, signora Presidente, signora Ministro, signori del Governo, viviamo in tempi volubili, in un'epoca veloce e facilmente influenzabile dai cambiamenti che avvengono, siano essi veri o presunti. Quello che fino a ieri sembrava indispensabile ed insopportabile per il senso comune oggi non lo è più. Ricordo la discussione intorno al cosiddetto Porcellum: la ricordo bene non solo perché è grazie a quella legge che mi sono sentita indicare in questi anni come nominata e non come eletta in questo Parlamento, ma la ricordo perché è davvero discussione di appena qualche mese fa.
  Sui giornali non mancava articolo che sentenziasse contro questa ignobile legge e, quando ti ritrovavi ad interrogare i cittadini su quale fosse, secondo loro, la priorità del Governo in carica, in alcuni casi, in maniera anche surreale e grottesca, ti rispondevano non la scuola o l'assistenza sanitaria, ma il lavoro e la legge elettorale. Com’è possibile, mi chiedevo ? Era possibile perché la legge elettorale definita Porcellum è davvero una legge sbagliata e che andava cambiata al più presto; e, poi, perché, in un momento di grande malessere, alcuni movimenti politici e tecniche comunicative molto efficaci avevano fatto diventare quella la panacea di tutti i mali.
  Abbiamo avuto, fino all'entrata in scena di Renzi, un pezzo di politica, di opinione pubblica della cosiddetta società civile e anche un pezzo di poteri forti di questo Paese, che ci spiegava che era uno scandalo non poter eleggere i propri rappresentanti e che quel premio di maggioranza dato alla coalizione era illegittimo, che io che vi sto parlando ero e continuo ad essere illegittima. E siccome arriva pure una sentenza della Corte costituzionale che sancisce più o meno le stesse cose – su questo poi tornerò –, che succede ? Succede che anch'io, in controtendenza al mio stesso partito, che sono stata sempre contraria alle preferenze, provenendo da una storia territoriale che ha conosciuto prima di altre lo scambio politico-elettorale, prendo atto di una volontà popolare forte, quasi ossessiva, nei confronti di questo tema e mi convinco. Mi convinco di un protagonismo diverso da parte dei cittadini alla vita istituzionale e mi metto a disposizione di un processo di cambiamento. E proprio quando questo processo così atteso prende inizio, scopro che è già passato.
  Con l'arrivo di Matteo Renzi, Premier non eletto, ma nominato, le parole d'ordine diventano altre: la legge elettorale non è più il provvedimento della pancia del Paese, ma lo è diventato per la pancia della politica. Va fatta questa riforma, disconoscendo tutto il dibattito che ci ha portato fino a qui e che – badate bene – faceva parte della propaganda renziana. C’è stato un momento in cui il pensiero renziano, il pensiero grillino, da questo punto di vista, coincidevano perfettamente: uno con la retorica dei sindaci, l'altro con la retorica dei cittadini.
  E quante paginate, quanti sostenitori, ma allora non si governava, e quando si mette piede qua dentro le cose cambiano e sono cambiate per tutti.
  La legge elettorale non è più lo strumento che insieme alla revisione della Costituzione serve a migliorare la qualità della democrazia del nostro Paese; piuttosto, nella migliore delle interpretazioni, rappresenta il falso mito della governabilità e, nella peggiore, una prova muscolare Pag. 23degna dei Paesi culturalmente più arretrati. Sì, perché se la legge elettorale serve a fotografare le tendenze politico-culturali di un Paese, quello che ci state rappresentando voi è questo, altro che Raymond Carver – mi dispiace che non sia presente il relatore di maggioranza di questo provvedimento – qui piuttosto sembra di stare dentro la fusione tra un film di Leonardo Pieraccioni e una parodia avvenuta male di una puntata di «Game of thrones».
  Viene spacciato per originale un modello semplicemente provinciale e cioè il modello del sindaco d'Italia, con un doppio turno nazionale, senza consentire apparentamenti o coalizioni, un accentramento dei poteri nel leader di un solo partito e parallelamente la frammentazione del sistema politico.
  Si determina, attraverso questa legge elettorale, una modifica profonda del sistema istituzionale italiano passando a un presidenzialismo di fatto, però senza i contropoteri che in particolare sono previsti in Francia o negli Stati Uniti d'America. In questi sistemi il Parlamento è eletto autonomamente dal Presidente, mentre nel nostro caso avremmo una Camera largamente asservita al Premier, grazie ai capolista bloccati e a liste predisposte senza l'obbligo di meccanismi di selezione partecipata previsti per legge. Praticamente, si sancisce quello che si sta già verificando, la costruzione di una corte, più che di un Parlamento.
  E la sentenza va a farsi benedire, d'altronde basta con questi professoroni «gufi» e avanti con quei costituzionalisti che oggettivamente – questo va detto – sanno difendere questa riforma senz'altro meglio di voi. Mi ritornano alla mente le parole illuminanti, per esempio, di Augusto Barbera, quando praticamente in Commissione ci ha detto che l'approvazione di questa legge è fondamentale, perché l'alternativa è l'impotenza parlamentare e il discredito delle istituzioni politiche. Già, poi si è anche detto che la nostra discussione e il confronto democratico in questo Paese si è trasformato in logoranti discussioni. Le opposizioni e le minoranze sono zavorra da eliminare, da silenziare, e se dentro il proprio partito si sostituiscono le minoranze per non avere impicci, in questa legge, invece, sanciamo il principio dell'innocuo attraverso la soglia del tre per cento.
  A tal proposito, è stato estremamente esplicito anche il professor Roberto D'Alimonte: «A me non importa nulla che in Parlamento ci siamo partiti con il tre per cento», ci ha detto, e continua così, dicendoci che proprio questo modello sarà come in Francia, dove al secondo turno delle presidenziali va a votare più gente che al primo turno.
  Chiudo su questo, signora Presidente. Io il primo maggio del 2002 mi trovavo a Parigi e partecipai a una grande manifestazione in cui i socialisti scesero in piazza per chiedere ai francesi di votare al ballottaggio per il gollista Chirac contro Jean Marie Le Pen. Chirac al primo turno aveva preso il 20 per cento e i francesi scesero in piazza chiedendo di votare per Chirac proprio per allontanare la minaccia fascista. Io ho camminato insieme alla sinistra francese per mettere al riparo da quella minaccia. In un ballottaggio tra Grillo e Salvini, non saprei proprio dove andare. State tarando una legge elettorale a vostra immagine e somiglianza senza pensare al futuro, senza pensare a nessuna conseguenza. Anche la fiducia rientra in questa ubriacatura, solo che i postumi della vostra sbronza li pagheremo noi e tutte le cittadine e i cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Piccione. Ne ha facoltà.

  TERESA PICCIONE. Grazie signora Presidente, la legge elettorale è uno degli elementi cardine del sistema di un Paese ed è normale che attorno ad essa si sviluppi un dibattito che raccoglie tanti punti di vista e che ci trova a discutere ormai da più di un anno dentro questo atto da portare avanti e da portare avanti con determinazione, come la sentenza di un anno fa della Corte costituzionale ci obbliga a fare.Pag. 24
  Dispiace che sia stata la sentenza, perché forse avremmo dovuto e abbiamo avvertito da subito la necessità di cambiare questa legge elettorale, il Porcellum, che gli italiani non hanno mai amato e che ha provocato quella distanza che l'onorevole Binetti citava dei cittadini dal voto.
  Allora, credo che noi, oggi, stiamo portando in Parlamento una legge che ha, sì, dei punti di equilibrio e che tiene conto di tante variabili e di tante posizioni. L'Italicum esitato dalla Camera, a mio avviso, manteneva diversi punti di criticità, adesso noi quei punti li abbiamo superati e li voglio ricordare, abbiamo raggiunto un punto di equilibrio che coniuga il candidato del collegio unico, quello che noi chiamiamo il capolista bloccato, con la possibilità di esprimere preferenze per altri candidati. Abbiamo, in queste altre preferenze, inserito la possibilità di votare un uomo e una donna, e quindi di rispondere a quella richiesta che dalla Camera era partita fortemente di raggiungere questo equilibrio di genere all'interno della nuova legge elettorale. Abbiamo la formazione della lista che rispetterà l'alternanza e abbiamo, anche, nella destinazione dei capilista, obbedito a questa necessità di alternare uomini e donne e, quindi, di non avere un insieme di capilista tutti dello stesso sesso nelle circoscrizioni.
  Abbiamo ottemperato a un equilibrio tra governabilità e rappresentanza, se le soglie a cui si faceva riferimento per la partecipazione al Parlamento dell'8 per cento sono diventate il 3 per cento, consentendo alle voci del Paese di trovare posto e cittadinanza dentro quest'Aula e di poter costruire, dal ruolo della minoranza, una visione politica che ovviamente si posizioni in opposizione, mi scusi il gioco di parole, al Governo.

  PRESIDENTE. Concluda.

  TERESA PICCIONE. Abbiamo anche stabilito la soglia di accesso per il ballottaggio; io questo lo voglio sottolineare a proposito del riferimento che tante volte ho sentito nei riguardi della legge Acerbo. Quella legge prevedeva che qualora si fosse arrivati al 25 per cento si avevano il 75 per cento dei seggi, mi pare che siamo distanti da queste misure e da questi numeri. È una legge che abbiamo testato con il ballottaggio dei sindaci, è vero, richiama quella, e non mi pare che abbia dato dei grandi guasti, anche quando non ci sono stati apparentamenti come è accaduto a Palermo e io ne sono testimone.
  Abbiamo anche modificato la legge costituzionale – proprio perché la legge elettorale è sicuramente sostanza materiale della legge costituzionale – perché un partito solo non possa decidere il quorum di elezione del Presidente della Repubblica. Ciò con tanta discussione al nostro interno perché nella prefigurazione che si arrivasse a questo tipo di legge elettorale si salvaguardasse la necessità di eleggere un Presidente maggiormente condiviso e allargato.
  Diceva il relatore che non ci sono leggi perfette ed è vero anche quello che dice l'onorevole Bindi: dobbiamo cercare di farle il meglio possibile, però è anche vero che io reputo questa proposta di legge un punto di equilibrio in cui rappresentanza e capacità dell'Esecutivo di governare, governabilità, si sposano adeguatamente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Roberto Occhiuto. Ne ha facoltà.

  ROBERTO OCCHIUTO. Signora Presidente, colleghi deputati, di solito la discussione sulle linee generali sulle proposte di legge è l'occasione per confrontarsi nel merito su un provvedimento e per tradurre poi questo confronto in emendamenti.
  Oggi, però, purtroppo non è così. Quella di oggi rischia di essere una discussione finta, che secondo i desiderata del Governo non dovrebbe essere foriera di approfondimenti e di proposte emendative. Secondo il Governo, quella di oggi dovrebbe essere soltanto un rito parlamentare, consumato in un'Aula che dovrebbe limitarsi a ratificare ciò che il Presidente del Consiglio ha già deciso con Pag. 25una protervia istituzionale da parte di un Premier non eletto, qualche collega prima lo ricordava, e della quale non si ha traccia nella vita parlamentare del nostro Paese, soprattutto nella vita parlamentare di questa Camera quando ha affrontato discussioni sulle leggi elettorali.
  La materia elettorale, signora Presidente, non appartiene ad un Governo, perché riguarda le regole di tutti, della maggioranza e della minoranza, e perché riverbera i suoi effetti al di là della durata di un Governo nel tempo e anche perché serve ad esprimere la rappresentanza parlamentare, incaricata di servire, di offrire, gli indirizzi al Governo e di controllarne l'operato, non è materia che può essere delegata soltanto al Governo.
  Nessuno di noi è contro la legge elettorale, tutti ne ravvisiamo la necessità, ma rifiutiamo l'idea che questa non possa essere migliorata e corretta per iniziativa parlamentare a causa dell'entrata a gamba tesa del Governo. Il relatore, l'onorevole Migliore, ci ha spiegato nella sua relazione con le parole di Leopoldo Elia che il Governo si può definire come il comitato direttivo della maggioranza, ma questo Governo sulla legge elettorale non si limita ad essere il comitato direttivo della maggioranza, semmai è il comitato sostitutivo della maggioranza ! Lo abbiamo visto quando si è deciso di sostituire i componenti della Commissione che all'interno della maggioranza non condividevano il testo della legge elettorale.
  Mi chiedo, le chiedo signora Presidente, e per suo tramite, chiedo anche ai colleghi della maggioranza: cosa sarebbe successo se a sostituire i commissari non in sintonia con il Presidente del Consiglio fosse stato Berlusconi o un altro Premier in passato, quanti girotondi avremmo avuto al di fuori di questa Aula, quanti cortei, quanti editoriali che avrebbero gridato al golpe ?
  Signora Presidente, mi rivolgo a lei per rispondere anche a qualche collega della maggioranza: non c’è incoerenza nella posizione di Forza Italia sulla legge elettorale, assolutamente ! Questa non è la legge che abbiamo concordato, le soglie di sbarramento erano ben altre e ben più alte, non vi erano le candidature plurime, poi il Governo ha deciso unilateralmente di abbassarle per comprare in questo modo l'adesione dei piccoli partiti a questo testo, ha deciso unilateralmente di modificarle ben diciassette volte ! Lo metteva bene in evidenza l'onorevole Gelmini e prima di lei l'onorevole Brunetta nel Mattinale, l'organo del gruppo di Forza Italia.
  È vero, in passato abbiamo detto sì, man mano con meno entusiasmo però, fintanto che la corda poi si è spezzata. Noi abbiamo dato fiducia al Presidente del Consiglio, perché pensavamo che volesse veramente cambiare il Paese, evolvere la dialettica democratica tra maggioranza e minoranze, mentre alla fine è stato chiaro a tutti che il Premier ha utilizzato una parte della minoranza, Forza Italia, contro la sua opposizione interna; gli avevamo fatto un'apertura di credito, fintanto che abbiamo capito che non meritava tanto senso di responsabilità e tanta generosità !
  Questa legge non ci piace e non c'entra nulla Mattarella, al quale invece ci appelliamo nella sua funzione di custode delle istituzioni. Questa legge non ci piaceva neanche prima, quando è stata votata al Senato, ma confidavamo nella volontà del Presidente del Consiglio di continuare a scrivere insieme le regole di tutti, confidavamo nel fatto che le ultime modifiche proposte quasi di imperio al Senato potessero poi essere riviste con calma.
  Invece, subito dopo, a cominciare dalla rottura del dialogo in occasione dell'elezione del Capo dello Stato, ci è risultato evidente – ma è risultato evidente a tutti – che il Presidente del Consiglio non ci riteneva interlocutori da rispettare nel processo di riforma dello Stato, ma soltanto un mezzo da utilizzare cinicamente per appuntarsi qualche stelletta di latta, a dispetto della sua opposizione interna.
  Noi ci opporremo a questa proposta di legge con i nostri emendamenti, sui quali chiederemo il voto segreto; di alcuni ne ha già parlato bene l'onorevole Gelmini, come quello sulle minoranze linguistiche, o sull'apparentamento al secondo turno, che corregge la stortura per la quale una lista che accedesse al ballottaggio col 22, il 23, Pag. 26il 24 per cento, possa avere un premio di maggioranza assolutamente spropositato.
  Abbiamo proposto anche che la legge elettorale entri in vigore al termine della riforma del Senato, perché quando si pone mano alla riforma delle regole dello Stato, bisogna farlo con prudenza, con intelligenza, non bisogna farlo pensando che queste siano soltanto delle «medagliette» da offrire in qualche talk-show al risultato di una azione di Governo scadente.
  A questi emendamenti, condivisi da tutto il gruppo di Forza Italia, si aggiungeranno altri emendamenti che anche io ho inteso presentare e che riguardano le liste bloccate e le candidature plurime.

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  ROBERTO OCCHIUTO. Si può essere a favore o contro le preferenze, e ci sono ragioni legittime per essere a favore o contro le preferenze. Ma il combinato disposto di preferenze e liste bloccate rappresenta una truffa per gli elettori, perché si dice agli elettori che possono scegliere i loro parlamentari e poi, invece, precludono loro questa possibilità, perché faranno scegliere soprattutto tra le liste dei piccoli partiti parlamentari che non avranno mai conosciuto e che, soprattutto, non conoscono il territorio.
  Noi ci opporremo in ogni modo. E se le dimissioni del Governo ci saranno, bene ! Renzi ha promesso le riforme economiche, che interessano ai cittadini ben più della legge elettorale. Se riterrà di dimettersi per la legge elettorale, diremo ai cittadini la verità, cioè che Renzi si è dimesso perché ha fallito sul piano delle riforme economiche, perché non ha abbassato il debito pubblico, la disoccupazione e non ha fatto crescere il PIL nonostante la favorevole congiuntura. Chiederemo al Parlamento un altro Governo, che faccia meno chiacchiere e che si concentri sui problemi veri degli italiani.

  PRESIDENTE. Concluda.

  ROBERTO OCCHIUTO. Concludo, signora Presidente.
  Per quanto ci riguarda, il tempo della generosità, il tempo della responsabilità, rispetto al Presidente Renzi e al suo Governo, è concluso (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marco Di Maio. Ne ha facoltà.

  MARCO DI MAIO. Grazie Presidente, onorevoli sottosegretari, colleghi, la legge elettorale è un argomento da sempre capace di accendere gli animi più di altri argomenti nel dibattito parlamentare. Sicuramente lo è meno tra l'opinione pubblica, ma ciò non ne riduce l'importanza poiché si tratta dello strumento attraverso il quale viene assicurata la solidità della democrazia, il funzionamento delle istituzioni, il riconoscimento della volontà popolare.
  Tre sono gli obiettivi che una buona legge elettorale deve perseguire perché sia definita tale: chiarezza del risultato, governabilità, rappresentanza. Obiettivi che questa proposta di legge, ribattezzata Italicum, a nostro parere, persegue ampiamente.
  I critici di questa proposta di legge sostengono che essa certifichi il sostanziale esautoramento del Parlamento a favore del Governo. Occorre far presente che il testo che l'Aula della Camera esamina oggi è alla terza lettura parlamentare e che la formulazione approvata a Montecitorio in prima lettura, nel marzo 2014, è stata poi profondamente modificata e migliorata durante il passaggio in Commissione e in Aula, al Senato, a seguito di un intenso lavoro parlamentare svolto nell'altro ramo del Parlamento.
  Un lavoro a cui ha contribuito un'ampia maggioranza parlamentare, ben superiore a quella che sostiene il Governo (che pure sarebbe stata sufficiente). A questo proposito, giova ricordare che quello che esaminiamo oggi è lo stesso identico testo votato nel gennaio scorso dall'Aula del Senato, a conclusione, appunto, della seconda lettura parlamentare. Esattamente tre mesi fa, quindi. È del tutto evidente Pag. 27quanto sia erroneo dire – come si sente in questi giorni e come si sente anche in quest'Aula – che questa è una legge scritta e votata dalla sola maggioranza di Governo. Perché è chiaro che la contraddizione non è in chi coerentemente, qui a Montecitorio, sostiene l'intesa raggiunta al Senato (dove numericamente le forze in campo sono differenti), quanto piuttosto in chi, dopo aver sostenuto e votato questo stesso testo a Palazzo Madama, qui alla Camera cambia idea come ritorsione per non avere eletto un Presidente della Repubblica gradito.
  Se anche la maggioranza cambiasse rotta in maniera così repentina, sarebbe come dar ragione a chi non ha condiviso quell'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, che invece è, e resterà, uno dei maggiori successi di questa legislatura.
  Si doveva cedere forse a quel voto di scambio tra riforme e Quirinale ? Dovremmo riportare anche questo tentativo di dotare l'Italia finalmente di una legge elettorale degna di questo nome e di completare riforme importanti nella palude dei patti non rispettati ? Dovremmo, forse, riproporre quel film, che si è sempre concluso in passato, con un nulla di fatto e che ha sempre, quasi sempre visto, come protagonista la stessa forza politica che oggi vorrebbe far fallire queste riforme ?
  Non credo sarebbe utile, soprattutto dopo oltre trent'anni di discussioni e Commissioni bicamerali, comitati di saggi e un ampio dibattito dentro e fuori dal Parlamento. I tempi sono maturi per decidere e innovare il nostro sistema politico-istituzionale. La nuova legge elettorale va in questa direzione.
  Le innovazioni di maggior portata sono il premio alla lista e il ballottaggio tra le prime due liste nel caso in cui nessuna delle due raggiunta il 40 per cento dei consensi. Si tratta di una combinazione che assicura chiarezza del risultato e una maggioranza certa (comunque non superiore al 55 per cento dei seggi) per permettere al Governo di governare e alla maggioranza di svolgere la propria funzione.
  Si contesta che un meccanismo simile condanni i partiti minori a rimanere tali e a far crescere molti cespugli attorno ad uno-due alberi più grandi. Argomentazione debole perché la soglia di sbarramento (abbassata dal Senato al 3 per cento) e il premio di maggioranza alla lista che ottiene più voti, assicurano insieme da un lato la rappresentanza alle liste minori, dall'altro che venga meno quel potere di veto che in questi anni ha spesso paralizzato il nostro sistema politico.
  Una paralisi certificata dai 63 Governi che si sono succeduti in 69 anni di vita della Repubblica e dalla perenne instabilità politica degli ultimi anni favorita proprio dalla presenza di coalizioni eterogenee che, pur di riuscire a vincere, contenevano al proprio interno tutto e il suo esatto contrario, salvo poi non riuscire a governare.
  Voler tendere ad un sistema forse non strettamente bipolare, ma certamente maggioritario in cui è garantita la possibilità di una sana alternanza, è cosa utile e giusta.
  L'introduzione dei collegi è un altro buon risultato di questa legge. Se ne contesta la previsione di capilista miscelata con l'elezione di altri deputati attraverso le preferenze. I capilista altro non sono che l'esatta corrispondenza dei candidati che un tempo venivano scelti nei collegi uninominali del cosiddetto «Mattarellum». Per comprenderlo basta guardare il fac-simile della futura scheda elettorale che prevede il nome del candidato di collegio stampato sulla scheda a sinistra del simbolo, costruendo un forte legame tra collegio, candidato e lista di appartenenza.
  Concludo, Presidente, chiedendo: si poteva fare meglio ? Sicuramente, sì. Tuttavia, come ben sa chi da più anni ha l'onore di sedere in questi banchi e forse ha anche avuto qualche occasione per provare a fare meglio, ogni legge è figlia della realtà in cui viene concepita. È così dai tempi dell'Assemblea costituente, il cui risultato fu frutto di estenuanti mediazioni dentro e fra i partiti, ed è così da quanto esiste la democrazia.Pag. 28
  Siamo convinti che dopo i tentativi falliti in passato e soprattutto nelle condizioni e con i numeri di questo Parlamento, questa sia la proposta di legge elettorale migliore possibile e capace di garantire al cittadino, come amava sostenere il senatore Roberto Ruffilli che ha dedicato la vita al tentativo di riformare lo Stato, il ruolo di arbitro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zaratti. Ne ha facoltà.

  FILIBERTO ZARATTI. Signora Presidente, signori rappresentanti del Governo, quando si discute una legge elettorale è sempre un momento molto importante nella vita della storia istituzionale di un Paese, questa volta non fa eccezione. Le vicende passate, le leggi elettorali approvate anche recentemente hanno cambiato radicalmente il Paese – mi riferisco al Mattarellum e al Porcellum – ma anche le leggi elettorali che sono state fatte nel corso della storia del nostro Paese hanno significato sempre un momento particolare nella storia democratica e dell'Italia.
  La scelta del proporzionale, subito la Seconda guerra mondiale, ha significato la possibilità di creare una democrazia stabile nel nostro Paese e vorrei che questo elemento fosse ricordato, e fosse ricordato con serietà da quest'Aula. Credo che in momento come questo, in un momento così importante della nostra storia, il fatto di gestire la discussione sulla legge elettorale in un modo che definirei, questo sì, autoritario, sia una cosa profondamente sbagliata. Credo sia la prima volta che nella storia del nostro Parlamento si proceda addirittura alla sostituzione d'ufficio dei deputati di un gruppo che la pensino in modo diverso.
  E credo che questo sia un elemento che faccia la differenza. Il Partito Democratico ha nella Commissione affari costituzionali 23 membri e credo che il fatto che tutti i 23 membri esprimano il pensiero di maggioranza di quel gruppo e di quel partito sia un elemento profondamente sbagliato, che abbia un qualcosa di insano nella concezione di democrazia, perché tra quei 23 avrebbe avuto giusto diritto a partecipare anche quella parte del Partito Democratico che la pensa in modo differente.
  In una fase come questa, ipotizzare, addirittura, il voto di fiducia, che, come è stato ricordato in quest'Aula, sulla legge elettorale è stato richiesto soltanto due volte, per quanto riguarda la «legge Acerbo» e per quanto riguarda la cosiddetta «legge truffa», ipotizzare il voto di fiducia, e non dai giornali, ma con dichiarazioni di esponenti autorevoli della maggioranza, addirittura del Governo, credo sia un'aberrazione nella concezione democratica del nostro Paese.
  La democrazia, io penso, è un po’ l'arte di creare consenso; non è quella di conquistare posizioni a forza di spallate, come sta facendo il Presidente del Consiglio. Una legge elettorale, del resto, dovrebbe essere valida erga omnes, lo dice il termine stesso, e credo che, anche questa volta, vi sia una prima volta nel nostro Paese, si approva una legge elettorale che riguarda soltanto un ramo del Parlamento, che riguarda soltanto la Camera dei deputati.
  Vorrei ricordare agli amici della maggioranza e ai rappresentanti del Governo che la riforma costituzionale ancora non è stata fatta, che il Senato ancora c’è, perché dovrà essere espletato l'iter previsto dalla Costituzione per modificare l'elezione del Senato stesso, e poi si dovrà fare anche il referendum confermativo di quelle riforme. Quindi, il Senato ancora c’è.
  Fare una legge elettorale che riguarda soltanto la Camera è un'aberrazione dal punto di vista istituzionale, perché è del tutto evidente che, se domani dovessimo andare a votare con l'Italicum alla Camera, al Senato, con il sistema elettorale, vi sarebbe una maggioranza completamente diversa.
  Da questa riforma elettorale emerge il fatto che la maggioranza, il Partito Democratico, vuole un solo uomo al comando. Ma questo solo uomo al comando non è il Presidente del Consiglio: è il segretario del maggiore partito di Governo, del Partito Democratico, perché il segretario del partito vincente è quello che sceglie chi sono Pag. 29i deputati, che sceglierà i senatori, che sceglierà chi sono i membri della Corte costituzionale, che sceglierà, financo, in modo quasi decisivo, chi è il Presidente della Repubblica.
  Ma chi è questo uomo o questa donna ? È colui che è stato selezionato e scelto da quel partito. Con quale modalità ? Con quella dei gazebo, dove votano tutti, nel caso del Partito Democratico, mentre in altri partiti la selezione non è regolamentata neanche in questo modo. Vi sono, cioè, persone, che non vengono selezionate dai cittadini, che detengono tutto il potere nelle loro mani. Credo che questa sia una follia, a cui non dobbiamo acconsentire.
  Questa legge non risolve i limiti del Porcellum, che sono stati evidenziati dalla Corte costituzionale, soprattutto su due punti: il primo è l'eccesso del premio di maggioranza, che mi pare che, in questo caso, sia assolutamente confermato, perché, nell'ipotesi del ballottaggio, un partito che dovesse andare con il 20 per cento dei voti al primo turno sarà, al secondo turno, uno dei due partiti che si contendono il premio di maggioranza, e, con il 20 per cento dei voti reali, potrebbe addirittura avere 340 seggi; francamente, non esistono simili in tutti i modelli di democrazia che sono presenti a livello planetario.
  Ho sempre apprezzato e continuo ad apprezzare l'inventiva del nostro Paese, ma, dal punto di vista istituzionale, forse faremmo bene a vedere come funzionano i sistemi elettorali dei nostri vicini e su questi, magari, ragionare per creare un'ipotesi di legge elettorale anche per il nostro Paese.
  L'altro elemento che non viene risolto rispetto agli appunti della Corte costituzionale è il fatto che i cittadini hanno il diritto di scegliere i propri rappresentanti e voi, con i capilista bloccati, non rendete possibile neanche questa cosa.
  Signora Presidente, io mi schiero dalla parte di coloro che si sono sempre battuti affinché il Parlamento sia composto da uomini e donne libere, che rappresentino il Paese e non gli interessi di uno. Io mi schiero dalla parte di quelli che credono che i rappresentanti dei cittadini nelle istituzioni possano tutti concorrere, con il consenso, a formare il Governo del Paese. Io mi schiero affinché i voti espressi siano tutti uguali e tutti ugualmente possano aspirare a formare una maggioranza. Una riforma elettorale che introduce, per la prima volta nella storia del nostro Paese, un organismo geneticamente modificato, che è una Repubblica a base monarchica, noi non la voteremo (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Pollastrini. Ne ha facoltà.

  BARBARA POLLASTRINI. Signora Presidente, Ministra, sottosegretari, grazie che mi ascoltate. Intanto, io intervengo, lo dico sinceramente, perché sono fra i dieci che sono stati sospesi e credo di dovere qualche spiegazione in questa sede pubblica. Allora, voglio subito dire che io credo nell'urgenza di innovazioni, anche radicali, dopo anni di scacchi e ripartenze. Sono anche d'accordo, profondamente d'accordo: mai più con il Porcellum, l'abbiamo detto come Partito Democratico e voglio tenervi fede. Riconosco i passi in avanti della proposta corretta dal Senato, so che nessuna legge è perfetta e aggiungo che condivido la volontà del Premier di fare delle riforme un traguardo irrinunciabile.
  Allora, cosa mi distingue, visto che sostengo questo Governo ? Forse, e lo dico davvero con la modestia del caso, con l'ansia, il dovere di non rinunciare ad uno sguardo lungimirante, che ad oggi, dal mio punto di vista, imporrebbe di migliorare l'intero progetto. Non da capo, dunque. Non da capo, ma con un di più: sì, un di più di coraggio e, se posso dirlo, di saggezza. Non si può leggere in modo separato la legge elettorale da come stiamo attuando il superamento del bicameralismo. Il nuovo Senato, ora, non è né il Senato delle regioni o delle autonomie, né il Senato delle garanzie: è un ibrido di eletti, nominati, che creerà contenziosi e non supera la Conferenza Stato-regioni.
  Possiamo ripensarci, possiamo cambiare ancora, possiamo sperare di vedere Pag. 30precisati i ruoli e migliorato il Titolo V, precisata la rappresentatività dei territori. Mi si dice, anche stamani sentivo dire, che il meglio è nemico del bene. Io vengo da una terra che riconosce il fare, ma qui dispiace sciupare le occasioni. Io sono d'accordo con il sostegno alla governabilità, ma un premierato forte ha bisogno di non svuotare la rappresentanza e di contrappesi. Questo è ancora il punto irrisolto dell'insieme del disegno riformatore su cui è utile che ci pensiamo tutti insieme. Colleghe e colleghi, è uno scenario mutante quello che abbiamo innanzi, mutante in Europa, mutante in Italia e noi dobbiamo immaginare riforme nelle garanzie e nei principi oltre la stagione contingente. Io resto convinta dell'alternanza e, per quanto mi riguarda, la continuo a vedere e pensare come l'alternanza tra un centrosinistra largo e altre forme di rappresentanza.
  Questa è una ragione in più che mi avrebbe vista molto favorevole all'estensione di collegi uninominali a doppio turno. Io sento dire che l'apparentamento al secondo turno sarebbe un danno, un grave danno, al bipolarismo. Io penso, invece, che aiuti, aiuti a rendere più libera e limpida la scelta di Governo, senza passare da accordi fuori campo o da camice di forza del partito «pigliatutto».

  PRESIDENTE. Concluda.

  BARBARA POLLASTRINI. Concludo, dicendo, signora Presidente, signora Ministra, che il Premier ci ha invitato più volte a non fare le riforme da soli, ora il rischio è di terminarle proprio in una splendida solitudine e la solitudine in politica non è mai – mai ! – splendida.
  Per questo mi sento di rivolgere un ultimo appello: ho sentito evocare la fiducia. La fiducia sia quella in Parlamento, nell'ascolto del Parlamento, non sia cioè l'imposizione di una fiducia che vedrebbe un Parlamento colpito, dimezzato ! Io voglio sperare, e sperare ancora, in un confronto leale.
  Non chiederò il voto segreto: voglio le riforme, voglio affrontare il dibattito a viso aperto, voglio costruire davvero un sistema politico istituzionale che non guardi all'oggi, ma alla qualità della democrazia per il domani (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Centemero. Ne ha facoltà.

  ELENA CENTEMERO. Grazie, Presidente. Anch'io credo nell'innovazione e nel riformismo. Per questo nel mio intervento non userò termini che sono stati usati da colleghi che mi hanno preceduto, perché non appartengono alla mia storia politica né alla storia politica del partito a cui appartengo.
  Credo, d'altro canto, che vadano con correttezza e con chiarezza sottolineate le storture che sono presenti all'interno della legge elettorale che ci è stata consegnata dal Senato, una legge elettorale molto diversa rispetto a quella che noi abbiamo votato alla Camera mesi fa. Sono due gli aspetti che ritengo particolarmente preoccupanti e su cui vorrei richiamare l'attenzione del Governo e dell'Aula: quelli che riguardano la governabilità e la democrazia.
  Credo fermamente nella necessità di riformare dal punto di vista istituzionale – quindi anche la nostra legge elettorale –, ma mi chiedo se sia questa la strada del disegno riformatore che vogliamo percorrere. Vorrei ricordare che noi abbiamo votato qui alla Camera, come ho già detto, un'altra legge, una legge che di per sé garantiva maggiormente quel sistema di alternanza bipolare tra centrodestra e centrosinistra, che è alla base della governabilità di un Paese e che è alla base della governabilità e della democrazia del nostro Paese.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI (ore 12,15)

  ELENA CENTEMERO. L'altro giorno in un incontro pubblico si è avvicinata una bambina e mi ha chiesto: che cos’è la democrazia ? Allora mi sono fermata e ho Pag. 31pensato a quello che noi stiamo facendo. La democrazia è il rispetto delle regole, ma è anche garantire in un Paese un sistema di alternanza tra due forze politiche, in un bipolarismo che noi, come Forza Italia, abbiamo sempre sostenuto.
  È chiaro che questo progetto di legge, che arriva alla Camera in terza lettura, subisce le modifiche – abbiamo detto – del Senato, ma ci arriva dopo un passaggio politico di questo Paese, che è stato la rottura del patto del Nazareno, un patto che serviva a scrivere insieme le regole di tutti e le regole per tutti. Ora tutto è cambiato e quel patto non esiste, non esiste più, e, quindi, cambia anche il nostro punto di vista, sia sulla legge elettorale sia sulla riforma costituzionale. Questo sia perché non c’è più l'accordo politico in nome del quale la mia parte politica aveva accettato norme che non ci convincevano fino in fondo, sia perché durante l'esame al Senato quest'iniziativa legislativa ha subito delle modifiche radicali, di cui alcune sono state accettate non convintamente da Forza Italia.
  In modo particolare, mi riferisco al premio assegnato alla lista con maggiore risultato elettorale, anziché alla coalizione di liste vincenti. Si tratta con ogni evidenza di una norma che noi allo stato attuale delle cose non possiamo accettare, proprio per quello che dicevo prima, ovvero per la democrazia dell'alternanza. Va considerato, infatti, che il combinato disposto del premio di lista, anziché di coalizione vincente, con soglie di sbarramento molto basse, produrrà fatalmente una frammentazione, una frammentazione delle opposizioni, che saranno di dimensione parlamentare molto piccola nei confronti del partito di maggioranza, qualunque esso sia.
  Questa frammentazione mi preoccupa, perché la frammentazione e l'assenza di una democrazia dell'alternanza sono quanto mi permettono di rispondere alla domanda che quella bambina sabato mi ha posto: che cos’è la democrazia ? È democrazia l'alternanza tra forze che si confrontano, tra forze che si confrontano con chiarezza e che definiscono le regole che riguardano le istituzioni – e, in modo collegato, la legge elettorale – e le definiscono insieme per il bene del Paese.
  Per questo noi abbiamo presentato tutta una serie di emendamenti. Sono già stati ricordati dai colleghi, voglio ricordarne altri: l'innalzamento della soglia di sbarramento all'8 o al 5 per cento; il quorum per la validità del ballottaggio, quindi per il premio di maggioranza, se vota la maggioranza degli aventi diritto al voto, o il 60 per cento...

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  ELENA CENTEMERO. ... o la maggioranza di coloro che hanno partecipato al primo turno; e, da ultimo, un piccolo tributo alla democrazia paritaria – lo dico da rapporteur del Consiglio d'Europa per questo tema –: il 50 per cento dei capilista, non il 60 o il 40, ma il 50 per cento, per una democrazia veramente paritaria e veramente egualitaria (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lattuca. Ne ha facoltà.

  ENZO LATTUCA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo Parlamento ha su di sé la responsabilità di portare a termine, nel corso della XVII legislatura, quel percorso di riforma delle istituzioni repubblicane che in diverse occasioni, nel recente passato, per diverse ragioni, è invece fallito. E di certo da questa responsabilità nessuno si può sentire sollevato.
  Su questa Camera oggi grava un'ulteriore responsabilità, quella di restituire al Paese, di restituire ai cittadini, agli elettori, una legge elettorale senza ombre di illegittimità costituzionale, una legge che sia funzionale a ripristinare l'effettività del loro diritto di scegliere da chi essere rappresentati. Se oggi siamo a discutere di una nuova legge elettorale è perché nell'autunno del 2005 l'allora maggioranza di centrodestra decise, in maniera scellerata, di superare un sistema che nel decennio precedente aveva assicurato, come non Pag. 32mai nella storia repubblicana, condizioni di stabilità politica tali da garantire efficacia all'azione dei Governi, senza alcuna diminuzione dell'effettività dei principi della democrazia parlamentare, ma, al contrario, rafforzando il rapporto tra cittadini ed eletti attraverso l'introduzione dei collegi uninominali per l'elezione del 75 per cento dei membri del Parlamento. Quel sistema porta ancora oggi il nome dell'attuale Presidente della Repubblica e fu il frutto di una condivisione fra diverse forze politiche che, nel 1993, raccolsero l'esito di un referendum popolare, che il 18 aprile di quell'anno aveva imposto l'opzione maggioritaria.
  Per dirla con le parole del Presidente di allora, Oscar Luigi Scàlfaro, il Parlamento si trovò a discutere di una legge «sotto dettatura» del popolo che si era espresso attraverso il referendum. Il risultato di tale compromesso non era una legge perfetta – non esistono leggi elettorali perfette, si è detto spesso nel corso del nostro dibattito –, ma una legge equilibrata capace di bilanciare i principi di rappresentatività e governabilità.
  Sulle qualità, invece, della legge con la quale fu, in maniera improvvida, sostituita nel 2005, la definizione di «porcata» che ne diede il suo ideatore è tutt'oggi la migliore delle sintesi possibili. La «legge Calderoli» spogliava i cittadini della possibilità di scegliere i propri rappresentanti, attraverso liste lunghe bloccate su circoscrizioni e, insieme, reintroduceva, per la sola Camera dei deputati, quel collegio unico nazionale sulla base del quale veniva attribuito un premio di maggioranza potenzialmente illimitato. Tutto questo senza, peraltro, garantire coerenza con un sistema che al Senato prevedeva premi attribuiti su base regionale.
  Se oggi siamo a discutere di una nuova legge elettorale è perché quella del 2005 si è dimostrata pessima e da ultimo è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta con la nota sentenza n. 1 del 2014. Una sentenza con la quale sono stati rimossi gli elementi della legge considerati illegittimi e, allo stesso tempo, con cui viene confermata la legittimazione di questo Parlamento ad intervenire in piena autonomia per rivedere l'intera disciplina. Ed è proprio l'autonomia, che è propria di questo organo, che dovrebbe portarci a discutere di legge elettorale non «sotto dettatura» della sentenza della Corte, certo, ma senza fuggire dalle nostre responsabilità e senza evadere le due grandi questioni che hanno portato a quella sentenza.
  Signor Presidente, in coscienza ritengo che il nostro primo compito, in questa sede, sia quello di approvare una legge completamente libera da ombre di illegittimità, una legge che non riproduca gli stessi vizi della precedente, una legge sulla cui costituzionalità nemmeno si possa discutere. Il nostro compito, insomma, è quello di evitare ciò che è accaduto, che la credibilità di questa istituzione non venga più minata dagli effetti di una legge fondamentale, magari approvata da una ristretta maggioranza.
  Purtroppo, lo devo dire, ho seri dubbi che la strada che stiamo percorrendo sia quella giusta. Mi chiedo, ad esempio, se il combinato disposto di collegio unico nazionale e collegi territoriali, capilista bloccati e preferenze, candidature multiple con libertà di opzione, se tutti questi elementi, mai visti insieme, consentano davvero ai cittadini una scelta libera.
  Qui non si tratta di stabilire quanti parlamentari verranno eletti con le preferenze – meno della metà di certo – e quanti sulla base di un'indicazione del proprio partito, con i partiti, peraltro, in pessimo stato di salute. L'argomento che dovrebbe interrogarci è a quanti cittadini viene di fatto negata la libertà di scelta o anche solo di prevedere gli effetti del proprio voto. Vogliamo dirlo agli elettori di tutti i partiti che, con la sola eccezione degli elettori del partito che vincerà, la loro indicazione conterà poco o nulla ? Adottiamo per una volta il punto di vista degli elettori e non quello, assai autoreferenziale, degli eletti. Alla maggioranza dei cittadini sarà di fatto preclusa la scelta. E ancora mi chiedo: è possibile che si tratti solo di una coincidenza se nessuna legge elettorale nel mondo, per l'elezione di un Parlamento nazionale, a prescindere dalla Pag. 33forma di Governo parlamentare o presidenziale, sia rispondente al principio cardine dell'Italicum, che spesso ho sentito esaltato, il principio del majority assuring ? Tutte le leggi elettorali del mondo, diverse tra loro, incentivano e agevolano con strumenti diversi la formazione di una maggioranza nel momento elettorale, ma nessuno di questi la garantisce come dato di necessità.
  Presidente, io avrei altre considerazioni da svolgere e, quindi, le chiedo l'autorizzazione a consegnare il testo. In conclusione, tra le tante cose di cui mi interrogo, mi chiedo in definitiva se fino ad ora siamo stati all'altezza della responsabilità che ci spetta (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Onorevole Lattuca, ovviamente è autorizzato a consegnare il testo integrale secondo i criteri costantemente seguiti.
  È iscritto a parlare l'onorevole Giorgis. Ne ha facoltà.

  ANDREA GIORGIS. Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, difficile in pochi minuti, quali sono quelli di cui dispongono i singoli deputati in questa discussione sulle linee generali, illustrare i limiti e le irragionevolezze che il testo approvato dal Senato tuttora presenta e, soprattutto, avviare un confronto vero, nel quale si possa seriamente sperare che la forza degli argomenti faccia breccia e persuada della necessità di apportare alcune modifiche. Anche per questo, rinuncio a ogni considerazione di merito e chiedo di poter depositare il mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).
  Faccio, invece, solo una considerazione di metodo, non meno importante di quelle di merito. Le leggi che strutturano l'ordinamento democratico non sono leggi come le altre: il principio di maggioranza deve essere declinato in maniera diversa quando si riscrive parte della Costituzione o si predispone una nuova legge elettorale. Le disposizioni che disciplinano la democrazia, in quanto regole del gioco, come si è più volte ripetuto, non devono essere poste da un solo giocatore, ma devono essere condivise, devono essere il prodotto di un ampio accordo tra le diverse forze politiche e, soprattutto, anche per questa ragione, non devono essere poste, direttamente o indirettamente, dal Governo, ma devono essere espressione dell'autonomia parlamentare.
  Il Governo non leghi la propria vita al testo approvato dal Senato. Se questa Camera, nell'intento di chiudere davvero la stagione della «legge Calderoli», correggesse alcune irragionevolezze che tuttora permangono nel provvedimento in discussione, non credo che il Governo avrebbe motivo per rinunciare a svolgere la propria azione politica; non credo che avrebbe motivo per rinunciare ad offrire al Paese, come pure sta cercando di fare, una seria ed efficace prospettiva di sviluppo e di crescita (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ravetto. Ne ha facoltà.

  LAURA RAVETTO. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, la discussione sul testo unificato delle proposte di legge di modifica della legge elettorale all'esame dell'Aula risulta oggi viziata da un clima politico pesante, caratterizzato in particolare dalle contraddizioni interne alla maggioranza e da uno scontro che si consuma ogni giorno sui quotidiani, in televisione e che ha visto il suo culmine proprio la settimana scorsa in Commissione.
  Progressivamente la discussione sull'Italicum è diventata un congresso straordinario del PD e in questo clima ritengo assolutamente naturale, anche per chi come me da sempre ha un approccio dialogante sulle riforme, che Forza Italia non abbia accettato di portare oltre gli effetti sulla democrazia determinati da questo clima.
  Se è vero, come ribadito in più occasioni dallo stesso Premier Renzi, che l'intenzione del Governo è quella di scongiurare un voto anticipato e arrivare al 2018, e tenuto conto che il testo dell'Italicum Pag. 34porta in sé una clausola di salvaguardia che ne impedisce l'entrata in vigore prima del 2016, non si comprende per quale ragione o necessità si sia dovuto comprimere il dibattito e interrompere quell'originario metodo armonioso di dialogo, quando, di fatto, si avrà senz'altro un anno, se non addirittura tre perlomeno negli auspici del Governo, prima che questa legge elettorale entri in vigore e possa essere effettivamente utilizzata.
  E perdonate se non mi convince l'assunto che bisogna agire in fretta perché l'Italicum «ce lo chiedono gli italiani».
  L'Italicum è l'ultimo problema degli italiani. Non è che con la legge elettorale si diminuisca la pressione fiscale. Con la legge elettorale si decide come assegnare le poltrone in Parlamento che è rilevante per il Governo e la governabilità magari, ma è decisamente secondario rispetto ai provvedimenti che gli italiani si aspettano da noi.
  Ma veniamo al merito del testo unificato proposto al nostro vaglio. La Consulta ha evidenziato che nella legge elettorale vigente si rileva una forbice troppo larga tra rappresentatività e stabilità; si è in altre termini sottolineato il fatto che, per assicurare l'obiettivo della stabilità di Governo, le norme censurate determinano una compressione della funzione rappresentativa dell'Assemblea nonché dell'eguale diritto di voto. In particolare, la Consulta ha chiaramente sottolineato che le ragioni della governabilità non devono prevalere su quella della rappresentatività.
  Con le nuove disposizioni introdotte dal testo unificato, il meccanismo viene ridisegnato secondo un sistema che prevede l'assegnazione di un premio di maggioranza e un eventuale secondo turno di votazione: sono attribuiti 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi o, in mancanza, quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti, esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione.
  Qualora nessuna lista raggiunga il 40 per cento di voti validi al primo turno, una volta ridotta la contesa elettorale al ballottaggio alle due liste più competitive, il sistema consente l'attribuzione a quella più suffragata del premio di 340 seggi, indipendentemente dal numero di voti conseguiti e dalla percentuale degli effettivi elettori. In assenza di una soglia minima e di un quorum di partecipazione, il premio di maggioranza diviene pertanto potenzialmente illimitato, tale da lievitare a percentuali che, stando ai risultati delle elezioni politiche del 2013, potrebbero arrivare persino al 25-30 per cento.
  Il tutto, riprendendo i rilievi della Consulta, con una compressione della rappresentatività dell'Assemblea parlamentare e con una violazione del principio di eguaglianza che esige che ciascun voto contribuisca potenzialmente con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi.
  Il blocco posto alla presentazione di coalizioni in grado di concorrere all'assegnazione del premio di maggioranza e l'attribuzione dello stesso alla lista vincente al turno di ballottaggio (a cui partecipano solo due liste) rischia di risolversi in un intervento che danneggia ulteriormente la rappresentatività del voto, escludendo dal ballottaggio quanto meno il terzo polo, soffocato altresì dalla concorrenza delle opposizioni minori che, tra l'altro, potrebbero essere diverse, data la soglia di sbarramento ferma al 3 per cento.
  Il premio alla lista poi potrebbe determinare il rischio della formazione di coalizioni surrettizie travestite da liste, nate con l'intento di raggiungere il premio di maggioranza per poi dissolversi alla prima utile occasione ovviamente sempre a danno della governabilità.
  Tutte queste valutazioni si sommano ad un altro aspetto fortemente critico che non può essere sottovalutato ovvero quello della sommatoria tra riforma costituzionale e riforma elettorale: da una parte il nuovo sistema elettorale concede il premio e, quindi, la maggioranza assoluta ad una sola lista e, dall'altra, la riforma costituzionale prevede che la Camera con i suoi 630 deputati possa senza difficoltà decidere a maggioranza in merito a tutte o Pag. 35quasi le cariche istituzionali, un sistema complessivo che risulterebbe privo di bilanciamento. I conseguenti squilibri tra poteri e contropoteri, risultano aggravati in caso di attribuzione del premio ad una lista, invece che a una coalizione: in tal caso, infatti, una sola forza politica è messa in condizione non soltanto di esprimere autonomamente la maggioranza di Governo ma anche di scegliere o determinare la composizione di quegli organi di garanzia che in un sano sistema democratico e pluralista dovrebbero esserne controllori e contrappesi.
  Anche noi – lo abbiamo ampiamente dimostrato – vogliamo che la sera delle elezioni si sappia chi guiderà il Governo. Il punto è che ad oggi una legge del genere non crea le condizioni per una leadership politica di chi vince ma per un vero e proprio comando della lista che prende più voti.
  Sempre a proposito di combinato disposto, ulteriore elemento critico è quello che riguarda l'entrata in vigore delle due riforme: se la riforma costituzionale attualmente in discussione in terza lettura presso il Senato non entrasse in vigore prima del disegno di legge in esame ovvero prima del 1o luglio 2016 si verificherebbe un effetto distorsivo, con sistemi elettorali troppo diversi tra Camera, che verrebbe eletta con l'Italicum, e Senato eletto con il Consultellum. La proposta di legge di modifica del sistema elettorale in esame riguarda infatti l'elezione della sola Camera dei deputati, dando per scontato il superamento del bicameralismo paritario che, come previsto all'interno del disegno di legge costituzionale attualmente in discussione, prevede un Senato della Repubblica non elettivo. Ma l'esito e i tempi di approvazione della riforma costituzionale appaiono assai incerti. Logica vorrebbe che una riforma elettorale, studiata come conseguenza di una riforma delle nostre istituzioni in senso monocamerale, possa essere applicata solo dopo l'entrata in vigore delle nuove norme costituzionali. Per comprendere che questa sia una condizione sine qua non non bisogna essere dei costituzionalisti, basta ricorrere al buonsenso. Eppure questa condizione ovvia non è stata recepita all'interno del testo.
  A fronte di tutte queste considerazioni, Forza Italia chiede il ripristino del testo approvato dalla Camera nella parte che introduce le coalizioni, l'attribuzione del premio a queste e non soltanto alla singola lista, la possibilità di apparentamento delle liste al ballottaggio e lo slittamento dell'entrata in vigore a seguito della definitiva approvazione della riforma costituzionale.
  Se in passato non è stato possibile scrivere insieme una legge elettorale era anche perché pareva tabù, anche agli occhi dell'opinione pubblica, che forze contrapposte dialogassero tra loro. Ora che grazie alle responsabilità di tutti noi attualmente in Parlamento il dialogo tra forze contrapposte non era più considerato un tabù, ma, anzi, una conquista di civiltà democratica e politica, ancora non comprendo perché le forzature debbano prevalere sulle aperture. Auspico che tutti possano tornare sui propri passi, che si consenta una discussione seria e un'apertura a cambiamenti ragionevoli da parte del Governo, conformando il senso dell'Italicum allo spirito iniziale (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Roberta Agostini. Ne ha facoltà.

  ROBERTA AGOSTINI. Signor Presidente, intervengo oggi sulla proposta di legge elettorale dopo quanto accaduto con la sostituzione in I Commissione, che, di fatto, ha limitato la possibilità di confronto. Io credo che, soprattutto su temi di rango costituzionale, i singoli parlamentari possano e debbano esercitare il proprio ruolo con autonomia e responsabilità e che, su alcune materie, il Governo dovrebbe lasciare spazio alla dialettica parlamentare, spazio essenziale della vita democratica. Così come non riesco a rinunciare alla convinzione che le regole che presiedono alla possibilità dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti non possano Pag. 36poggiare sulla base di una maggioranza risicata. Il rischio concreto è un provvedimento che divide il Paese, che avrebbe, invece, bisogno di essere unito e che non centri l'obiettivo per cui le riforme devono essere fatte ed è urgente che siano fatte, ossia sanare la frattura tra politica, istituzioni e popolo, che è un aspetto grave della crisi che stiamo vivendo.
  La proposta di legge elettorale che ci arriva dal Senato è migliore di quella che abbiamo licenziato dalla Camera su aspetti che erano stati richiesti da molti parlamentari, da docenti, costituzionalisti, forze sociali. Per me, grazie ad una battaglia delle donne, forte e trasversale, sono state introdotte alcune regole importanti per il riequilibrio di genere: doppia preferenza e norma discriminatoria sui capilista. Eppure, alcune scelte non condivisibili caratterizzano l'impianto di fondo e che, considerate insieme alle scelte compiute con la riforma costituzionale, provocano una sfasatura negli equilibri tra i poteri dello Stato e sbilanciano il rapporto tra governabilità e rappresentanza. Un ballottaggio concepito come sfida tra i capi dei due principali partiti che si aggiudicheranno il premio di maggioranza cambia nei fatti la forma di Governo e rende più debole il ruolo del Parlamento.
  Un premio attribuito ad una sola lista vincente rafforzerà la tendenza verso partiti pigliatutto, con un profilo ed un'offerta politica per forza scarsamente definita, tenuta insieme da una leadership carismatica e concepiti sempre più come partiti personali. Passeremo dalle coalizioni infedeli ai listoni pigliatutto. Con la combinazione tra preferenze e capilista bloccati, gli eletti con le preferenze saranno la minoranza del Parlamento e solo quelli della lista che vince il premio. È giusto che i partiti scelgano chi candidare ed eleggere, magari partiti diversi regolati da una legge che non c’è di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione, ma le regole dovrebbero valere per tutti allo stesso modo, grandi e piccoli. E non si può dire che le multicandidature siano un parziale rimedio, perché, al contrario, rendono incerta la conoscibilità del candidato e la possibilità di scelta dell'elettore, consentono al capolista, attraverso l'opzione per un certo collegio, di decidere chi verrà eletto negli altri, oltre al fatto che, in questo modo, potrà essere possibile aggirare la norma antidiscriminatorio fissata per i capilista.
  Queste sono solo alcune delle osservazioni possibili e il tempo non mi consente di approfondire e di argomentare altro. Le riforme per me dovrebbero avere l'obiettivo, innanzitutto, di ristabilire il rapporto di fiducia tra eletti ed elettori, rafforzare il ruolo del Parlamento e, nello stesso tempo, l'esercizio della funzione di Governo – si può fare –, costruire la possibilità dell'alternanza e ridefinire il ruolo dei partiti come soggetti democratici della vita politica. Obiettivi difficili, certo, non tutti perseguibili unicamente per la via delle riforme e delle leggi, che, però, credo che non siano contenuti nella legge che stiamo approvando e che, comunque, certo, le prove di forza o, addirittura, la minaccia di fiducia non aiutano a raggiungere. Io continuo a credere, Presidente, e ho concluso, che la politica sia anche faticosa ricerca del consenso e dell'unità e chiedo, anche oggi, che non si rinunci a percorrere questa strada (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sanna. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO SANNA. «Questo Governo considera le riforme istituzionali un punto fondamentale del suo programma, pertanto intende dare il suo contributo allo stesso processo di riforma del sistema elettorale assumendo la responsabilità delle necessarie iniziative ai fini del dibattito parlamentare».
  In tanti tempi, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, i governi si sono fatti carico, in quanto parte fondamentale del continuum tra la maggioranza e l'esecutivo, della necessità di intervenire sulle riforme istituzionali. E la legge elettorale è una delle più importanti riforme istituzionali. Anche l'onorevole Massimo D'Alema, nel testo che ho letto, nella Pag. 37relazione introduttiva al disegno di legge con cui nel febbraio del 1999 il suo Governo, composto da colleghi che ancora siedono in questo Parlamento, nel centrosinistra di questo Parlamento, aveva assunto un'iniziativa importante e significativa, perché sosteneva – io credo a giusta ragione, come poi fecero tanti altri governi come ha fatto il Governo Letta o come fa oggi il Governo Renzi – l'iniziativa in materia di riforma istituzionale.
  Questa iniziativa non riguarda solamente il Governo e la sua maggioranza, ma riguarda – hanno ragione i colleghi che lo hanno sostenuto – la responsabilità delle singole forze politiche e dei singoli parlamentari. Per quanto mi riguarda, mi sento vincolato non solamente per la storia del passato dei partiti che hanno dato origine al Partito democratico, che possono ritrovare nella proposta che noi oggi siamo chiamati ad approvare tante delle idee che hanno costruito l'ossatura programmatica proposta ai cittadini per la riforma dello Stato, la riforma della rappresentanza popolare per la migliore qualità della democrazia; ma anche per la regola che mi sono autoimposto nel momento in cui ho accettato la candidatura alle elezioni: di osservare la regola scritta nella carta d'intenti di Italia Bene Comune (mi dispiace che ci siano in Aula pochi amici di SEL, che questo patto lo hanno rotto due settimane dopo l'inizio della legislatura), in cui, quando avevamo qualche problema di contenuto, dicevamo che ci impegnavamo tutti a «vincolare la risoluzione di controversie relative ai singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari».
  Io credo che nel mio partito questo sia avvenuto, che sia avvenuto anche in una sede politica, ma in questa parlamentare oggi mi interessa di più, e penso che oggi noi dobbiamo tirare le fila di questo ragionamento, rispettando tutte le opinioni, ma non falsificando quelle che non ci piacciono.
  Noi oggi abbiamo una discussione ancora aperta per il semplice motivo che una parte della maggioranza ben più ampia di quella che sostiene l'attuale Governo ha rotto la sua disponibilità a fare le riforme istituzionali dopo l'elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica. E mi dispiace, colleghi di Forza Italia, in ogni vostro intervento questo ha avuto una significativa trasparenza anche se in alcuni altri avete cercato di celarla questa motivazione. Io riconfermo che abbiamo fatto bene a eleggere Mattarella e abbiamo fatto bene a confermare una forma di Governo nella quale il Presidente della Repubblica assume una figura, una fisionomia di garanzia come quella assicurata dal Presidente Mattarella.
  Si è detto che questa legge affossa il pluralismo e non favorirà il bipartitismo; sono ragionamenti di natura politologica, ma io non sono d'accordo su questo. La nuova legge elettorale avrà un uso flessibile, perché la lista che competerà al ballottaggio potrà essere composta certo da un solo partito, ma potrà ben essere una lista coalizionale. Favorirà un'evoluzione del sistema politico nel senso del bipartitismo ? Credo di sì, ma lascerei all'iniziativa politica delle forze reali del Paese e alla sua storia, il fatto che questo accadrà.
  Io credo che per evitare quello che Maurice Duverger chiamava «la democrazia senza popolo», cioè l'accordo permanente e non eccezionale, con l'applauso delle tecnocrazie, tra il centrodestra e il centrosinistra – e mi fa specie che chi promuoveva Occupy PD oggi si ponga una preoccupazione di senso contrario – noi dobbiamo avere una legge che dia ai cittadini il potere di investitura di un ampio fronte politico che si assuma la responsabilità del Governo.
  Siamo a metà della legislatura: serve fissare le regole, perché tutte le forze politiche organizzate si strutturino secondo le possibilità che la nuova legge darà.

  PRESIDENTE. Concluda.

  FRANCESCO SANNA. Se modifiche saranno necessarie, potranno farsi con iniziative che attraverseranno i partiti, iniziative Pag. 38referendarie e iniziative parlamentari.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mucci. Ne ha facoltà.

  MARA MUCCI. Grazie Presidente, solo pochi giorni fa la Commissione affari costituzionali di cui faccio parte ha licenziato un testo senza apportare alcuna modifica alla riforma elettorale che oggi è all'attenzione di quest'Aula. Vale la pena rammentare, innanzitutto, le vicende note a tutti che hanno visto la sostituzione in Commissione affari costituzionali di dieci membri della maggioranza con l'obiettivo di approvare intatto il testo arrivato dal Senato. La conseguenza, però, è stato un «Aventino» da parte delle opposizioni più corpose che sventolando la bandiera della democrazia e della sua difesa hanno dimenticato le proprie macroscopiche contraddizioni interne. È grave, quindi, che non ci sia stato, effettivamente, un dibattito costruttivo a fronte di una riforma senz'altro migliorabile nel merito e discutibile, ora, anche nel metodo.
  Una buona legge elettorale dovrebbe essere discussa e votata dopo un approfondito e trasparente processo partecipativo che veda protagonisti cittadini e accademici, politici e amministratori; dovrebbe essere fatta nell'interesse della democrazia e non di una delle parti in gioco, magari – e questa è una provocazione – sottraendo la modifica della legge elettorale al conflitto di interessi del Parlamento, delegandola a una Camera speciale di cittadini, composta per sorteggio. Inoltre, come stabilito dalla Corte europea per i diritti dell'uomo, gli elementi fondamentali del diritto elettorale dovrebbero essere legittimati nonché stabiliti a livello costituzionale, impedendo che a ogni cambio di maggioranza venga la tentazione di adottare un sistema politicamente più conveniente, ma piuttosto agendo in nome della libera espressione dell'opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo.
  Va detto, per tutta onestà, che l'Italicum è stato modificato in punti non secondari. Nella prima versione il premio di maggioranza veniva attribuito a chi ottenesse il 35 per cento dei voti, poi alzato al 37 e infine al 40 per cento nell'ultimo passaggio al Senato. Il premio attribuisce il 55 per cento dei seggi alla lista anziché alla coalizione che supera al primo turno il 40 per cento dei consensi o che vince al ballottaggio; il restante 45 per cento dei seggi andrà alle opposizioni. Nella prima versione vi erano poi molteplici soglie di sbarramento, il 12 per cento per le coalizioni, l'8 per cento per le liste fuori dalle coalizioni, il 4,5 per cento per le liste facenti parte di una coalizione. Con queste soglie i rischi erano quelli di disproporzionalità e non rappresentatività dell'Italicum, sarebbero rimaste escluse dalla rappresentanza quote rilevanti di elettori, nell'ordine di svariati milioni, eccessi censurabili sul piano della legittimità costituzionale alla luce della sentenza della Corte n. 1/2014.
  Il Senato, quindi, ha abbassato l'unica soglia di sbarramento impostandola al 3 per cento, in questo modo le esigenze di rappresentatività sono soddisfatte, ma d'altra parte questa soluzione ha chiaramente dei contro: tende alla frammentazione partitica e non consente di creare un contropotere forte nei confronti della maggioranza. Insomma, pare difficile trovare una soluzione a tutte le esigenze.
  Per quanto concerne le liste vengono introdotte le preferenze, tranne per i capolista che sono bloccati e che possono essere candidati in massimo dieci collegi. Le liste saranno corte e i collegi plurinominali scendono da 120 a 100; nella versione originale del testo non veniva contemplato il principio di parità di genere introdotto positivamente. In Commissione con i nostri emendamenti abbiamo proposto diversi correttivi a quelli che riteniamo essere i punti nevralgici del testo, primo fra tutti l'assegnazione di un premio di maggioranza e di un eventuale ballottaggio per attribuire il premio stesso. Questa legge cerca di contemperare due interessi di rilevanza costituzionale: governabilità e rappresentatività, il tutto espresso con un connubio ritenuto da diversi costituzionalisti atipico rispetto ai sistemi Pag. 39elettorali europei, ovvero attribuendo un premio di maggioranza ad un meccanismo proporzionale. Fermo restando il principio che quindi regola le leggi di natura proporzionale, ovvero l'aspettativa legittima dell'elettore di veder rappresentato, ai fini dell'attribuzione dei seggi, il peso del proprio voto in uscita, rischia questo di essere una distorsione del risultato finale. Abbiamo quindi proposto di introdurre delle soglie di sbarramento ulteriori per il ballottaggio sia in entrata che in uscita. Questo per andare nella direzione tracciata dalla sentenza della Corte, definendo che non si possa accedere al premio in determinate condizioni. Condizioni in entrata: definendo la soglia minima del 27 per cento che almeno una lista deve raggiungere per innescare il ballottaggio. Condizioni in uscita, ovvero legittimando il premio di maggioranza attribuito in sede di ballottaggio, qualora venga rispettata una soglia minima di partecipazione dell'elettorato.
  Riteniamo, infatti, che attribuire un premio di maggioranza qualora al ballottaggio partecipi solo il 40 per cento degli aventi diritto al voto non sia assolutamente lo stesso che attribuirlo qualora partecipino il 60 per cento degli aventi diritto. Se non si raggiunge quest'ultima soglia nonché quella definita in entrata il premio di maggioranza verrà ripartito in modo proporzionale. I limiti che abbiamo imposto servono ad evitare di attribuire il premio di maggioranza a chi ha ottenuto una percentuale di voti troppo bassa, anche potenzialmente del 25 per cento, che potrebbe quindi ottenere un premio di maggioranza spropositato, alterando in modo evidente il carattere proporzionale dell'espressione del voto. D'altra parte si poteva optare per un sistema totalmente maggioritario o uninominale maggioritario a doppio turno, che avrebbe potuto portare a soglie fisiologiche di rappresentatività più alte, come accade in Spagna o con la legge «Mattarellum» in Sicilia, i seggi vanno tutti alla stessa lista. Con questo sistema chi vince ottiene al massimo il 55 per cento dei seggi ! Questo è un dettaglio, che però va ricordato.
  Brevemente, siamo d'accordo sull'attribuzione del premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione. I risultati a dir poco deludenti prodotti negli ultimi vent'anni dal sistema basato su coalizioni improvvisate ed insincere, tanto di destra quanto di sinistra, ha caratterizzato tutta la fase della Seconda Repubblica. Tali coalizioni nascevano dall'esclusivo obiettivo di vincere piuttosto che governare. Insomma, un meccanismo di aberrazione prettamente partitocratico.
  Ovviamente con il premio alla lista, potranno nascere anche liste di coalizione, ma per come è strutturata la legge, dovranno farlo presentandosi agli elettori con un programma unico condiviso in partenza, quindi trasparente per gli elettori, se una volta entrate in Parlamento queste forze si divideranno, avranno tradito prima di tutto la fiducia degli elettori.
  È dovere di cronaca inoltre ricordare il referendum Guzzetta nell'ambito della legge Calderoli, che passò il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale, ebbe la stragrande maggioranza dei votanti ma non ottenne il quorum degli aventi diritto al voto. Anche questo andava nella direzione del premio di maggioranza alla lista.
  Altra nota dolente quella che ruota attorno ai capilista bloccati, uno per collegio, con possibilità di candidatura multipla in dieci collegi, la pietra dello scandalo, a detta della Corte, sono uno dei fattori ostativi alla conoscibilità del candidato e al relativo potere di scelta dell'elettore. La differenza con il Porcellum resta comunque notevole, infatti qui non siamo di fronte ad un listino lungo e bloccato, ma solo a capilista bloccati in listini corti. I capilista bloccati inoltre sono molto apprezzati dai piccoli partiti, anche se non lo diranno mai pubblicamente, che così hanno più possibilità di vedere eletti i propri leader e figure trainanti. Per i restanti candidati sono state introdotte le preferenze, anche se per dovere ed onestà intellettuale non sono esenti da punti deboli, come hanno dimostrato i casi Fiorito nel Lazio e Ferrandino nello scandalo Pag. 40Coop di Ischia, e non mettono certo in salvo dal malcostume e dalla corruzione.
  Il sistema delle preferenze, per dare una visione di insieme del tema, non è previsto dai sistemi elettorali dei principali Paesi europei, dove in tutti i casi le liste, lunghe o corte che siano, sono bloccate. Lascio agli atti alcuni esempi, tra i quali il Regno Unito, la Francia, la Spagna e la Germania, dove il sistema è di tipo proporzionale con collegi uninominali con l'elettore che sceglie il politico tra quelli indicati dal partito.
  Una prima soluzione da noi proposta non altera l'impianto della norma, ma rende più digeribile le candidature plurime riducendole ad un massimo di cinque. Una seconda soluzione invece imposta un meccanismo che riduce a percentuali massime del 25 per cento i nominati che entreranno in Parlamento, attraverso un listino circoscrizionale bloccato dal cui attingere al massimo il 25 cento degli eletti.
  La questione che però era decisamente sanabile in questa sede, era quella di attribuire automaticamente il seggio al capolista bloccato candidato in più collegi, in quello dove la sua lista ha ottenuto il maggior consenso; questo per evitare di vedere paracadutati capilista che, oltre a non essere stati votati, risultano del tutto sconosciuti al relativo elettorato. Questo aspetto della pluricandidatura in eccesso è ritenuto da alcuni docenti di diritto di dubbia costituzionalità.
  Il tema delle liste bloccate ci pone comunque davanti ad una doverosa riflessione. In genere, nei Paesi in cui sono adottate le liste bloccate, i nomi e le posizioni in lista sono determinati o con le primarie interne al partito, o con elezioni di primo livello, in modo che l'elezione finale dei candidati non sia messa nelle mani delle segreterie politiche e di chi, in quel momento, detenga il maggiore consenso e tessere a livello nazionale. Per questo è necessario che si dia attuazione all'articolo 49 della Costituzione, vincolando i partiti che vogliano accedere alle competizioni nazionali all'adozione di uno statuto democratico che ne assicuri la trasparenza, la contendibilità interna ed i diritti politici e di partecipazione politica di tutti gli iscritti, con l'apertura dell'elettorato passivo interno e la previsione di organismi di garanzia terzi, e non indicati dalle Segreterie, che vigilino sulla loro attuazione.
  L'obbligo di dotarsi di uno statuto come richiede questa legge, non è affatto sufficiente, in quanto non vi sono garanzie di democraticità interne ai partiti.
  Altra proposta è stata quella di aumentare il numero dei collegi per diminuire il numero dei candidati e rendere più riconoscibile l'elettorato passivo.
  Ulteriore proposta riguarda la connessione tra legge elettorale e riforma costituzionale, che oggi riguarda solo la Camera dei deputati.
  La clausola di salvaguardia introdotta – che posticipa gli effetti al 1o luglio 2016 – non può garantirci che, a quella data, la riforma del Senato sarà andata in porto. Quindi, la nostra proposta è quella, banalmente, di legare l'entrare in vigore dell'Italicum all'effettiva abolizione del Senato elettivo, pena vedere inficiata la legge di un vizio sopravvenuto che potrebbe infatti portare effetti distorsivi della rappresentanza senza garantire governabilità.
  Infine, il dibattito su questa legge elettorale verte sul combinato disposto di legge elettorale-riforma costituzionale. Se la riforma dovesse essere passare, esisteranno solo 22 categorie di leggi che avranno l'approvazione di entrambe le Camere. Su tutto il resto il Senato potrà intervenire su richiesta d'un terzo dei suoi membri.
  Insomma, non è del tutto vero che la riforma rende meno complicato l’iter legis, semplificando la vita del Parlamento. Però semplifica fin troppo la vita del Governo, l'unico pugile che resta davvero in piedi sul ring delle istituzioni. La maggioranza, sebbene non ampissima (il 55 per cento dei seggi significa 25 deputati in più rispetto all'emiciclo) potrà essere stabile, salvo diatribe e correnti interne.
  Lascio agli atti tutto il resto del discorso che non riesco a fare. Concludendo e auspicando che non si vada verso un Pag. 41voto di fiducia. Ci sono sì, precedenti, legge Acerbo e legge De Gasperi del 1953, due volte alla Camera e due volte al Senato nel 1990. Precedenti discutibili sul piano dell'opportunità politica ma soprattutto sul piano tecnico, dato che la materia elettorale si coniuga a quella costituzionale.
  Basterebbero alcuni correttivi, e concludo, per evitare il rischio di una nuova sentenza di incostituzionalità, che avrebbe un effetto disastroso sulla legittimazione delle nostre istituzioni democratiche. E soprattutto approvare i tempi brevi, con un dovuto dibattito, la riforma della legge elettorale che superi l'eredità lasciataci dalla sentenza della Corte.
  Il Governo che pone la questione di fiducia da una parte, le opposizioni che si trincerano dall'altro su un voto finale e segreto sono una forzatura che non vorremmo assistere in quest'Aula.
  Abbiamo l'opportunità di proporre un degno finale per una brutta storia, tenendo presente un concetto: non c’è governabilità per un Paese che garantisca stabilità, ma la stabilità delle norme che si varano dipende dal processo legislativo e dal dibattito in Aula.

  PRESIDENTE. Onorevole Mucci, devo interpretare che «lascio agli atti» significa che consegna il testo per la pubblicazione in calce al resoconto. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. È iscritta a parlare l'onorevole Dorina Bianchi. Ne ha facoltà.

  DORINA BIANCHI. Grazie, Presidente, Ministro, onorevoli colleghi, io vorrei fare una premessa per spiegare anche il motivo per cui Area Popolare sostiene con tanta convinzione la necessità di arrivare presto a votare la riforma elettorale.
  Il motivo è che noi siamo in questo Governo, stiamo governando per fare le riforme, e non c’è dubbio che abbiamo due motivi per andare avanti. Uno è quello delle riforme economiche che servono appunto a portare fuori l'Italia dalla crisi economica. L'altro è quello di cambiare le istituzioni e la legge elettorale è uno dei passaggi fondamentali perché tutto questo avvenga. La riforma elettorale che abbiamo approvato al Senato, la 2.0, realizza un equilibrio convincente tra governabilità e rappresentatività. È una legge molto equilibrata, molto diversa, da quello che era il testo che è uscito dalla Camera e, come ricordava la collega Agostini, ha inserito delle novità importanti tra cui la doppia preferenza che, appunto, fa sì che non vi sia soltanto una rappresentanza certa maschile ma anche femminile.
  Il testo, voglio ricordarlo, è il frutto di un lungo e approfondito confronto parlamentare che ha accolto le proposte di modifica avanzate dalla minoranza del Partito Democratico e dalle altre componenti della maggioranza. Con una mediazione nella quale ciascuna parte ha manifestato un gradimento maggiore su alcuni aspetti e minore su altri, come è inevitabile. Una mediazione che ha coinvolto anche una parte dell'opposizione, cioè Forza Italia, che al Senato ha infatti votato questo testo.
  Il suo voto favorevole è un dato di fatto, anche se Forza Italia si è poi dissociata da tutte le riforme istituzionali per la vicenda, ormai nota, naturalmente, dell'elezione del Presidente della Repubblica. E forse è utile ricordare almeno alcuni passaggi della dichiarazione di voto che è stata fatta, il 27 gennaio scorso, dal capogruppo di Forza Italia al Senato, che diceva: «Quella che scriviamo oggi è una pagina fondamentale del nuovo assetto istituzionale. Noi, all'opposizione, insieme alla maggioranza, stiamo cambiando l'assetto istituzionale, la governance del Paese. Il modello di democrazia che proponiamo è chiaro ed è l'obiettivo che aveva in mente Silvio Berlusconi quando ha fondato Forza Italia nel 1994. Noi, qui, oggi, quell'obiettivo lo rivendichiamo con forza. Lo voglio dire soprattutto a chi vede in queste riforme solo un compromesso al ribasso e a coloro che sono ancora arroccati in una contrapposizione ottusa».
  Ed è anche utile ricordare che Il Mattinale, lo stesso giorno, scriveva: «Avendo idee diversissime sulle riforme economiche da mettere in campo, diventa possibile Pag. 42ricostruire insieme la macchina istituzionale, ridisegnare le regole elettorali: insomma, rimettere in sesto la democrazia italiana». Come si possa passare da queste affermazioni all'annuncio di una pregiudiziale di costituzionalità rimane, sinceramente, per noi, un mistero sul piano logico e politico.
  A questo punto, vorrei ricordare a tutti noi e anche alla minoranza del Partito Democratico, che l'impianto della riforma elettorale, così come quello della riforma costituzionale, corrisponde alle conclusioni maggiormente condivise dalla Commissione per le riforme istituita dal Governo Letta. Infatti, a fronte di un sistema politico divenuto, quanto meno, tripolare, la Commissione per le riforme, dopo un approfonditissimo e meditato dibattito, ha espresso l'indicazione di questo sistema come l'unico in grado di far scaturire dalle elezioni un vincitore e di evitare Governi di larghe intese, come è accaduto dopo le elezioni di due anni fa.
  L'unica differenza – indubbiamente, una differenza esiste – sta nel premio alla lista anziché alla coalizione: una scelta di profonda innovazione politico-istituzionale, che appare salutare alla luce dei deludenti risultati prodotti dalla logica delle coalizioni che ha caratterizzato gli ultimi venti anni, cioè tutta la seconda fase della Repubblica. Coalizioni disomogenee e insincere, messe insieme più per vincere che per governare.
  Ora, invece, secondo alcuni, il premio alla lista costituirebbe, addirittura, una deriva autoritaria. Non è solo un'accusa priva di fondamento, ma è davvero singolare, se proviene proprio da parte di coloro che hanno denunciato gli ostacoli alla governabilità delle coalizioni disomogenee, a tal punto da promuovere o sottoscrivere la richiesta del referendum Guzzetta, che voleva attribuire il premio alla lista anziché alla coalizione.
  Tra i tanti promotori e sottoscrittori di questo referendum, vorrei ricordare alcuni nomi, perché c'era, ad esempio, Renato Brunetta, c'era Antonio Martino, come pure Rosy Bindi ed Enrico Letta. Legittimo cambiare idea, ma sostenere che, per questa ragione, la legge elettorale ci conduce alla «democratura» o a una deriva autoritaria ci appare non solo infondato, sinceramente, ma anche strumentale.
  Sul piano politico, a mio avviso, il premio alla lista può favorire la ricostruzione di una formazione alternativa al PD e avversaria anche alla Lega lepenista, mentre il premio alla coalizione rischierebbe, alla fine, di favorire la riproposizione di vecchi schieramenti, oggi ancora più disomogenei di quelli già sperimentati e ormai improponibili nella nuova fase politica.
  Come dicevo prima, il Senato ha apportato modifiche sostanziali con l'innalzamento al 40 per cento della soglia per l'attribuzione del premio al primo turno e con l'abbassamento dell'unica soglia di sbarramento al 3 per cento. Evidentemente, in questo modo non sussistono più i rischi di un eccesso di disproporzionalità e le esigenze di governabilità e rappresentatività del sistema vengono ad essere soddisfatte e contemperate entrambe.
  Inoltre, le liste non sono più bloccate, ma hanno solo il capolista bloccato, mentre gli altri eletti sono determinati in base alle preferenze, potendo l'elettore esprimere fino a due candidati di sesso diverso. Il numero dei collegi plurinominali scende da 120 a 100. Le liste devono rispettare diversi e stringenti requisiti per l'equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza. È stato, infine, introdotto il meccanismo «antiflipper» per far sì che ciascun partito consegua i propri eletti nei collegi plurinominali dove ha ottenuto i migliori risultati e non in base ad un criterio casuale.
  Area Popolare si è molto battuta sulla questione delle preferenze e credo che poi, alla fine, dei risultati siamo riusciti a portarli. Per questo, vorrei trattare la questione dei capilista bloccati. La soluzione adottata, frutto, come ho già sottolineato, di un compromesso, inevitabile quando si cerca un accordo tra forze politiche diverse, anche delle opposizioni, può certamente non essere considerata da alcuni come una soluzione ideale o personalmente preferita. La soluzione alternativa Pag. 43di «listini» circoscrizionali bloccati, dove ciascuna lista tragga il 30 per cento dei propri eletti, può certamente essere ritenuta da alcuni come preferibile, anche se poi non si comprende se essi abbiano valutato le conseguenze di questa soluzione. Infatti, un listino circoscrizionale bloccato sarebbe in molte regioni non un listino, ma un «listone» bloccato molto lungo. Faccio l'esempio della Lombardia, che ha 101 seggi: il listino bloccato avrebbe ben 30 candidati. Davvero si ritengono preferibili liste bloccate di 30 candidati, in luogo di 17 capilista bloccati, i cui nomi sarebbero stampati sulla scheda di votazione di ciascun collegio e che sarebbero così oggetto della valutazione degli elettori, insieme al contrassegno della lista ? Davvero si ritiene che la scelta della seconda soluzione anziché della prima significherebbe la differenza tra una buona riforma e un attentato alla democrazia ?
  Si argomenta che con i capilista bloccati, gli eletti con le preferenze sarebbero sostanzialmente solo del partito vincente, mentre gli altri partiti eleggerebbero solo candidati «bloccati». Innanzitutto questo non è vero, in quanto grazie alla possibilità delle pluricandidature anche i partiti più piccoli avrebbero una percentuale significativa di eletti con le preferenze. E comunque, se è vero che il rapporto tra numero di eletti «bloccati» e numero di eletti con le preferenze potrebbe variare in base alla dimensione del partito, occorre considerare, per esempio, che anche in Germania accade lo stesso, in quanto i partiti minori, che non vincono i collegi uninominali, hanno eletti solo o prevalentemente attraverso le liste bloccate, eppure in Germania nessuno ha mai posto questa obiezione.
  Esponenti della minoranza del PD, tra i quali ho anche ascoltato Letta e Bersani, hanno sollevato perplessità sul metodo, cioè sul fatto che, venuto meno il consenso di Forza Italia, si proceda ad un voto a maggioranza divenuta nel frattempo più ristretta, per quanto pienamente costituzionale. Innanzitutto, occorre sottolineare che quel consenso è venuto meno per le vicende relative, come ho prima ricordato, all'elezione del Presidente della Repubblica, non per una modifica del testo della legge rispetto a quello votato da Forza Italia al Senato. In secondo luogo, è singolare che a sostenere questa ipotesi e a lamentare l'assenza del consenso di Forza Italia vi siano anche quanti contestavano il cosiddetto patto del Nazareno tra il segretario del PD e Forza Italia.
  Infine, possiamo anche comprendere tali perplessità sul metodo, ma non possiamo assolutamente condividerle, perché ciò significherebbe, di fatto, un potere di veto.
  A questo punto, Presidente, vorrei soprattutto fare un appello a tutti i gruppi parlamentari, perché nei prossimi giorni si troveranno a votare la legge elettorale. L'appello è quello di rinunciare alla richiesta del voto segreto. Siamo di fronte ad un passaggio delicato, la riforma elettorale è sicuramente molto importante ed è giusto che ogni elettore sappia come ogni singolo parlamentare, come il proprio gruppo parlamentare, abbiano votato in relazione alla legge elettorale.
  C’è già un precedente, che è quello del 1992 con la legge Mattarella. Allora nessuno chiese il voto segreto, che eviterebbe così il voto di fiducia, che noi di Area Popolare, sicuramente, vorremmo si evitasse (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC)).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rampelli. Ne ha facoltà.

  FABIO RAMPELLI. Grazie, Presidente. Colleghi deputati, Ministro Boschi, rappresentanti del Governo, pur animati dalle migliori intenzioni rispetto ad una riforma che in molti e per tanto tempo abbiamo auspicato, cominciamo a vedere nubi dense all'orizzonte, non solo e non tanto per questa proposta – che di qui a breve andremo ad illustrare, almeno dal nostro punto di vista e, quindi, anche a tentare di emendare –, ma un po’ per il clima generale intorno al Governo e anche alle conseguenti dinamiche parlamentari.
  È come se, parafrasando quanto qualche editorialista sta scrivendo da qualche Pag. 44mese a questa parte, si sia davvero in presenza di una sorta di deriva autoritaria, cioè di un'incapacità di fare diventare la democrazia decisionista, a prescindere dalle forzature che un Presidente del Consiglio, non eletto dal popolo, né direttamente né indirettamente, possa esercitare.
  È una deriva autoritaria che ci fa venire in mente il fatto che il Presidente del Consiglio Renzi è il segretario nazionale del maggior partito della sinistra italiana, il Partito Democratico, che si chiama per l'appunto «democratico», esattamente come si chiamavano democratiche alcune repubbliche in un'epoca in cui le dittature e i regimi totalitari andavano per la maggiore, fino in buona sostanza al 1980 (ogni riferimento alla Germania orientale di Honecker è dovuto e non casuale). Infatti, talvolta si utilizzano la parola democrazia e le sue declinazioni in maniera libera, con tutte le interpretazioni possibili, un po’ come un gargarismo, o semplicemente per esorcizzare determinate accuse.
  Vorrei ricordare che già una volta è accaduto di recente – certamente non voglio fare la cronistoria di tutti gli episodi che si sono verificati tra la Prima e la Seconda Repubblica – che la sinistra, in piena solitudine, abbia deciso di fare una riforma costituzionale. Si chiamava Titolo V ed è stata letteralmente devastante: ha creato problemi che ancora oggi paghiamo e pagano sulla propria pelle i cittadini italiani, un pasticcio assoluto di competenze, di sovrapposizioni, di bisticci tra enti locali, regioni e Governo centrale, con la trasformazione delle regioni in idrovore, che, nonostante la lotta all'incremento della spesa pubblica, ancora oggi hanno voci di bilancio in ascesa. A nulla sono valse le iniziative del Governo – anche di questo Governo – per tentare di revisionare la spesa e per tentare di limitare quella spesa pubblica, esattamente come si diceva.
  Quindi, io vorrei che il Governo si rendesse conto che ci sono dei rischi evidenti nel procedere in piena solitudine su materie così importanti. Vorrei anche ricordare, in tema di riforma della Costituzione, la trasformazione del Senato in un'Assemblea di secondo livello, con il potere di designare i senatori, delegati, per l'appunto, proprio da quelle regioni, con pareri vincolanti in buona sostanza sulla legge di stabilità, quindi, una sorta di – come si dice dalle mie parti – «mercato delle vacche», che si andrà a proporre ogni qual volta il Senato, insieme all'altro ramo del Parlamento, sarà chiamato a disporre delle previsioni di spesa per l'anno successivo e per gli anni successivi.
  In buona sostanza, quel ramo del Parlamento probabilmente si taciterà solo e soltanto quando le regioni più importanti saranno accontentate sul piano della elargizione delle risorse economiche: esattamente l'opposto di una qualunque politica di efficienza e di sano rapporto tra le istituzioni e i cittadini.
  Ancora, voglio ricordare che proprio su quel provvedimento siete rimasti soli. La sinistra del Partito «Democratico» è rimasta sola e neanche al completo. Infatti, in quella sinistra del Partito «Democratico» una parte si è indignata tanto quanto si indignò l'opposizione, per i modi, ma anche per i contenuti, anzi soprattutto per i contenuti, oltre che per i modi.
  È già accaduto che abbiate varato una riforma costituzionale – che per definizione dovrebbe essere condivisa da tutte le forze politiche del Parlamento o almeno da una parte che si possa aggiungere a quella che rappresenta la maggioranza –, è già accaduto che l'approvazione di questa riforma costituzionale appena citata sia stata fatta in solitario dal Partito Democratico.
  Così come è accaduto l'episodio della famosa apposizione della tagliola sul decreto-legge che riguardava Bankitalia: un altro provvedimento importantissimo, attraverso il quale si è fatta, da un lato, la ricapitalizzazione per 7 miliardi e mezzo di euro di Bankitalia e, quindi, di rimando, di tutti gli istituti di credito privati che la compongono e che ne detengono la proprietà, e, dall'altro, si è cancellata una legge dello Stato approvata otto anni prima, che prevedeva la nazionalizzazione Pag. 45della Banca d'Italia e che la Banca d'Italia, insieme ai poteri forti e ad alcuni settori della politica italiana – sinistra in testa –, ha impedito per otto anni che potesse essere attuata. Clamoroso, ma vero. Non sono fantasie, non sono interpretazioni soggettive, è la realtà.
  Così come, prima di arrivare all'Italicum, che è l'epifenomeno di questa tendenza, di questa consuetudine, di questa barbarie, si cominciano ad ascoltare, sullo sfondo, dichiarazioni da parte di Ministro competente – chiamiamo in correo in questo caso il Ministro Giannini – e Presidente del Consiglio riguardo alla cosiddetta riforma della scuola. Qui non si può neanche più protestare. Ha del clamoroso, ma è la realtà dei fatti, la cronaca. Se, putacaso, gli operatori della scuola, dagli studenti agli insegnanti, ai direttori scolastici – tutti, tutti all'unisono, nessuno escluso, nessun sindacato escluso, nessuno, tutti – ritengono che la «Buona Scuola», il progetto ovviamente pomposamente e retoricamente chiamato dal Presidente Renzi in questa maniera... La battaglia delle parole è uno dei suoi terreni privilegiati, non sempre riesce a vincerla, ma certamente ha dei numeri che è in grado di esibire. Dalle parti nostre – io sono romano – è stata già ribattezzata la «buona sola» questa riforma sulla scuola. Ma io penso che tutto si possa fare, fuorché insultare i lavoratori, fuorché dileggiare i dissidenti, fuorché prendere sottogamba quel diritto alla partecipazione, che semmai dovrebbe essere stimolato dai Governi.
  Questo è un Governo che non crede più nei corpi intermedi e lo ha anche dichiarato. Il problema è che non solo per corpi intermedi si ritengono evidentemente i sindacati, i sindacati di categoria, tutti – quindi, la CGIL, la CISL, la UIL, la UGL –, ma contemporaneamente anche la Confartigianato, la Coldiretti, la Confindustria. Non vuole dialogare. Butta il bambino con l'acqua sporca. Non è che noi vogliamo essere – ci mancherebbe altro – i difensori a oltranza di quel sistema della concertazione che tanti danni ha provocato all'Italia dal secondo dopoguerra ai giorni nostri.
  Ma un conto è modificare le regole di ingaggio tra i corpi intermedi, le istituzioni e i Governi; altro conto, è pensare di poter fare a meno di tutti, di fare tutto da soli, anche quando talvolta si è contestati all'interno del proprio partito, sbugiardando gli oppositori interni e continuando a testa bassa a mietere vittime, cercando di farsi pubblicità, ben consapevoli, di cosa ? Perché, altrimenti, sarebbe un suicidio e non crediamo, pur non stimandolo particolarmente, che il Presidente del Consiglio in carica sia talmente sprovveduto da prediligere la bella morte. Sapendo che intorno c’è, diffuso nel popolo italiano, un sentimento di aspirazione a Governi forti e decisionisti. Ma chi si chiama democratico e chi sceglie per il suo partito questa definizione, non può trovare giustificativi. I passaggi vanno fatti tutti, soprattutto quando si entra nella grande questione delle regole del gioco.
  L'ultimo esempio che abbiamo fatto era quello della scuola: spero che il Ministro Giannini, di qui a qualche ora, decida anche di chiedere scusa a quelle persone, a quelle categorie che ha definito, non più tardi di ventiquattro ore fa, degli squadristi, solo perché contestavano una riforma che non condividono. E noi, con gli addetti ai lavori e con le famiglie, che sono i principali utenti del mondo della scuola, non condividiamo quel progetto di riforma.
  Quando si arriva alle regole del gioco, sarebbe quasi obbligatorio farlo. Può venire in mente a qualunque persona saggia di mettere in campo questo clamoroso braccio di ferro ? Poi non è neanche un braccio di ferro, ma è una guerra sotterranea. Ci mancano soltanto le bombe al napalm; non c’è più nulla intorno. Non c’è un interlocutore, uno, ovviamente, che non appartenga e che non sia diligentemente iscritto al Partito «Democratico» che condivida questa riforma elettorale.
  In altre parole, Ministro Boschi, voi vi apprestate ad andare avanti a testa bassa, non escludendo addirittura la possibilità – Pag. 46dopo gli episodi citati, non sarebbe uno sparo nell'aria, ma solo un'accelerazione di questa degenerazione, ed ecco perché siamo più volte sospettosi – di porre la fiducia. Spero di essere smentito, ma allo stato è un'ipotesi sul campo. E tutto ciò, dopo aver già espropriato il Parlamento di una sua prerogativa, perché le leggi elettorali e le leggi costituzionali, da che mondo è mondo, dovrebbero essere, se crediamo nella democrazia parlamentare, una responsabilità del Parlamento stesso. Se le cose funzionassero decentemente, così sarebbe stato.
  Invece no, il Governo, lui decide quale debba essere il disegno di legge su cui andare a iniziare la discussione; poi fa un accordo, ma non chiama a raccolta tutto il Parlamento italiano, ma si sceglie una forza dell'opposizione, in maniera direi del tutto tendenziosa. Infatti, guarda caso, la forza dell'opposizione che è stata scelta in quella fase storica era Forza Italia, che aveva espresso il Presidente del Consiglio (precedente, tanto per intenderci, a Mario Monti), l'ultimo Presidente del Consiglio eletto dai cittadini; poi, le note traversie giudiziarie del Presidente Berlusconi mettevano in una posizione di assoluto vantaggio la maggioranza e Renzi rispetto all'interlocuzione che, giustappunto, era stata scelta nei confronti del settore dell'opposizione in quel momento più debole. Un errore di previsione ? Non credo.
  Ma quando è venuto meno il sostegno, il supporto e l'asse definito «patto del Nazareno», io penso che qualunque persona minimamente dotata di buonsenso e di saggezza avrebbe dovuto pigiare il piede sul pedale del freno; avrebbe dovuto rallentare questo processo, provare, tentare di farlo. Non è che il fatto di non averle trovate e, obiettivamente, neanche cercate, le convergenze, da altri settori parlamentari, in sé possa essere un alibi, come dice Renzi, scivolando clamorosamente sulla materia in una lettera che è sulle agenzie di poche ore fa, per diventare ancora più arroganti, ancora più intolleranti, ancora più decisionisti ?
  La parola decisionista in sé non è certamente una parola negativa ma in una democrazia parlamentare, quando si fanno le regole, bisogna comunque coniugarla con l'istituto della partecipazione e con il coinvolgimento di tutte le forze politiche in maniera estesa. Con il resto dell'opposizione, una volta stabilito l'asse preferenziale con Forza Italia, non si è proprio parlato fino a che la corda stiracchiata più volte si è rotta ed ora siete soli.
  Caro Ministro, caro Presidente del Consiglio, siete soli e ve ne dovete fare una ragione: non avete neanche il cento per cento del vostro partito dietro questa legge che è la legge attraverso la quale si deciderà come verrà composto il futuro Parlamento, quante forze politiche ci saranno, la loro consistenza, i presupposti della cosiddetta governabilità attraverso la soglia di sbarramento o il premio di maggioranza. Siamo in una deriva anzi in un gorgo autoritario. C’è una sindrome bonapartista. Che cosa avremmo fatto noi ? Intanto quello che voi non avete minimamente preso in considerazione, rappresentanti del Governo, tanto perché siete così attenti alla semplificazione legislativa: cercare di mettere in congiunzione il meccanismo elettorale futuro, attraverso il quale il cittadino sceglierà la Camera dei deputati, visto che il Senato è stato ridotto nelle condizioni che sapete, con le altre elezioni. Ma possibile che un cittadino se va a votare per un municipio, se va a votare per un'amministrazione comunale, se va a votare per una regione, ieri c'era un sistema elettorale diverso persino per le amministrazioni provinciali, anch'esse oggi diventate di secondo livello grazie al vostro intervento, quindi non abolite, esistenti ma con il diritto di voto strappato a chi lo aveva in mano cioè al popolo sovrano ? Alle elezioni europee si va con il proporzionale puro, anche se lì, a nostro giudizio in maniera incostituzionale – aspettiamo di qui a breve una sentenza da parte della Suprema Corte – avete inserito, avete introdotto una soglia di sbarramento che non c'entra nulla perché non si indica un processo di Governo, non si indica neanche indirettamente un commissario europeo, non esiste un premio di maggioranza Pag. 47e, quindi, come si fa a mettere la soglia di sbarramento, non c’è alcuna giustificazione per metterla. Adesso con questo sistema arricchiamo il parterre, state componendo in buona sostanza una sorta di showroom delle elezioni, dei sistemi elettorali nazionali. Non vi siete preoccupati neanche per un momento, diversamente da quello che abbiamo fatto noi, di provare a mettere in campo una sorta di omogeneità per non mandare letteralmente al manicomio il cittadino italiano. Noi abbiamo proposto la formula del sindaco d'Italia proprio per analogia, per andare fino in fondo in una medesima direzione, che faceva salvo innanzitutto il diritto dei cittadini a scegliersi il proprio Governo su tutte le ruote, ad ogni latitudine, in ogni dimensione. L'elezione diretta del sindaco doveva corrispondere con l'elezione diretta, a seconda del sistema costituzionale prescelto, o del Presidente della Repubblica o del Presidente del Consiglio. Il premio di maggioranza, benissimo. È molto contestato e praticamente inesistente in quasi tutta Europa ma comunque per garantire la governabilità ci poteva stare. La soglia di sbarramento per cercare di indurre i partiti più piccoli ad allearsi, benissimo ma poi doveva essere sacrosanta la salvaguardia del diritto del cittadino di scegliersi il proprio partito, la propria coalizione, il proprio parlamentare per poterlo incalzare, anche per poter sconfiggere il trauma dell'antipolitica che ormai attraversa l'Italia da 1992 ad oggi in maniera continuativa e devastante. Nessuno si accorge che esistono poteri forti che hanno commissariato la politica ma tutti si accorgono che la politica è inefficace.
  Io penso che questo avrebbe di fatto costruito una certa chiarezza. E con riferimento alla salvaguardia delle preferenze – mi dispiace, perché so che anche il Vicepresidente Giachetti non era affatto d'accordo con queste mie considerazioni, né potrà rispondermi perché in questo momento presiede e, quindi, ne approfitto –, se le preferenze sono giudicate lineari, trasparenti nelle amministrazioni comunali, cioè se un cittadino, attraverso la preferenza che esprime per un candidato al consiglio comunale, che domani potrebbe diventare assessore ai lavori pubblici o assessore all'urbanistica, non viene messo sotto il microscopio per le eventuali promiscuità, relazioni innaturali con chi domani, da una posizione di forza, di Governo, all'interno di una giunta comunale, potrà – tra virgolette – condizionarlo o etichettarlo, perché l'istituto della preferenza dovrebbe essere così sporco, se utilizzato a livello nazionale nel Parlamento della Repubblica ?
  Se le preferenze esistono, tranne che nella democraticissima regione Toscana, anche nelle elezioni regionali, sempre per volere del Partito – aperte virgolette – Democratico – chiuse virgolette – e di qualche altro «bischerone» che si è prestato e ne ha fatto uno strumento per riaffermare proprio potere personale, anche le regioni vanno al voto con le preferenze e anche nelle regioni tutto il business che ruota intorno al tema, per esempio, tra i tanti, della sanità meriterebbe una riflessione. Quindi, se vogliamo essere conseguenti, lineari, per l'appunto – ma non è il vostro caso –, coerenti, per l'appunto – ma non è il vostro caso –, dovreste, dopo aver demonizzato l'istituto della preferenza, abolire o far abolire dalle autorità preposte, dalle istituzioni preposte, le elezioni che vengono svolte con l'istituto della preferenza.
  Se le preferenze sono brutte e cattive e portano tutto il male possibile, vanno abolite ovunque, su tutta la ruota, su tutta la filiera: non è che voi le contrastate a livello nazionale, perché, casomai, potrebbe accadere che qualche parlamentare possa far prevalere la propria libertà di coscienza e la propria sensibilità culturale rispetto ai diktat dei caporali di giornata, che sono i capi dei partiti, segretari o presidenti che dir si voglia. O vanno bene o non vanno bene: mettetevi d'accordo. Se non vanno bene, dopo domani, qualora questa riforma dovesse passare, vi dovreste apprestare ad abolire tutte le elezioni che sono previste – la maggior parte in Italia – attraverso l'istituto della preferenza.Pag. 48
  Avete proposto il premio alle liste e il ballottaggio a prescindere dalla percentuale che i partiti – le liste, anzi, chiedo scusa – possano aver raggiunto alla fine di una campagna elettorale. Io vorrei, intanto, far presente, chiedo scusa, che, ancora una volta, se vogliamo guardare, ma solo per un attimo – io lo faccio, in quanto Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale è all'opposizione e, quindi, sono quasi obbligato a farlo –, qualcuno dovrà pur far vedere il bicchiere mezzo vuoto e non quello mezzo pieno. Allora, in questo bicchiere mezzo vuoto, voi con il premio alle liste, di fatto, create un terzo soggetto che genera la più grande confusione possibile: cioè, non avete deciso di stabilizzare il bipolarismo o, comunque, il polarismo come cultura politica ex emergente, perché ormai ha circa vent'anni d'età dietro alle proprie spalle, né di incamminarsi verso una cultura bipartitica o tripartitica.
  Voi, di fatto, non scegliendo tra queste due opzioni, non avete fatto l'unica cosa che si doveva fare: la riforma dei partiti politici, prima ancora di andare ad abolire il finanziamento pubblico o i rimborsi elettorali. Non è quello il punto, noi abbiamo cercato di spiegarlo, dal nostro punto di vista, per carità, con tutta la passione possibile e la lucidità possibile. Infatti, oggi, scopriamo che si mette con le spalle al muro chi ha accettato finanziamenti da parte di aziende, ditte, imprese, eccetera, senza averne verificato, quasi come ne avesse la facoltà, quasi come fosse un prefetto o un procuratore della Repubblica, la bontà del contributo economico proveniente dal privato.

  PRESIDENTE. Onorevole Rampelli...

  FABIO RAMPELLI. Io avrei 30 minuti, ma cerco di concludere prima e lo farò.

  PRESIDENTE. No no, onorevole Rampelli, può andare avanti, le sono rimasti cinque minuti, il problema è che il contingentamento prevede anche gli interventi sulle pregiudiziali, quindi volevo semplicemente informarla di questo.

  FABIO RAMPELLI. La ringrazio. Dicevo, quindi, che voi non avete obbligato i partiti a funzionare secondo regole democratiche al loro interno, quindi non avete investito né sul bipartitismo, né sulle federazioni di partiti o coalizioni che dir si voglia. Noi troveremo – lo dico per coloro che ci ascoltano o ci ascolteranno nei giorni prossimi, non siamo certo in diretta TV – noi ci troveremo sulle schede elettorali un meccanismo apparentemente semplificato: ci saranno cinque o sei simboli, ma dentro ogni simbolo ci sarà il caos, cioè i partiti rientreranno sotto mentite spoglie in liste dove sarà difficile per chiunque cercare di capire dove è collocata la propria sensibilità, il partito per il quale ha votato ieri l'altro o magari lo stesso giorno, laddove coincidano elezioni amministrative comunali – e ve ne sono anche di comuni capoluogo – o regionali (potrebbe capitare) con elezioni politiche. Quindi uno vota Fratelli d'Italia, supponiamo, alle elezioni regionali, poi gli viene data la scheda per le elezioni politiche e non trova il simbolo di Fratelli d'Italia, né sa che fine abbia fatto; parlo di Fratelli d'Italia ma mi pare evidente che il problema esisterebbe per qualunque altro partito. È un'incongruenza topica, capitale.
  Voi non condividere le regole del gioco, non rendete più omogeneo il sistema attraverso il quale i cittadini in democrazia possono esercitare il proprio diritto dovere alla sovranità popolare, quindi a garantirsi i poteri di scelta e di fatto fate impazzire la maionese.
  Un'ipotesi – e concludo – alternativa che abbiamo tentato di suggerirvi poteva essere quella di tornare al maggioritario, ma di ancorare il maggioritario alle elezioni primarie. A noi non interessa, non siamo qui a fare i faziosi e a dire presuntuosamente che un sistema sarebbe evidentemente, per pregiudizio, migliore di un altro. Per noi l'unico pregiudizio – ma su questo ho paura che siamo quasi soli – è che debbano decidere i cittadini: non ci sono autorità illuminate che possono decidere per conto proprio, debbono decidere i cittadini. Se il sistema elettorale Pag. 49fosse stato maggioritario oppure con le liste bloccate, i cittadini avrebbero dovuto – mettendo magari un articolo dentro la legge elettorale riguardante le primarie e attraverso le primarie – scegliere loro quali di quei candidati bloccati o di quei candidati designati nei collegi elettorali uninominali e maggioritari eleggere. Così si è democratici e questa volta senza virgolette, Ministro Boschi. Tutto il resto è noia.
  Noi abbiamo chiesto – spero che su questo ci sia un'apertura so che non ci sarà – da un lato l'abolizione dei capilista, dall'altro – spero che ci sarà – di rendere almeno opzionale il ricorso al capolista bloccato, che i singoli partiti possano scegliere se fare tutto a preferenza o se mettere il capolista bloccato e il resto a preferenza, almeno si potrà vedere, e potranno verificarlo i cittadini, quanto sia autentica e profonda la natura democratica di un soggetto politico che si definisce partito.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 3-bis-B ed abbinate)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza Toninelli per cinque minuti.

  DANILO TONINELLI, Relatore di minoranza. La ringrazio Presidente, Governo, ancora una volta questo Parlamento, Presidente, è occupato a trattare questioni che non sono urgenti e che non interessano i cittadini italiani, ma interessano esclusivamente i partiti e soprattutto interessano la volontà dei partiti di mantenere occupate le poltrone, da qui e negli anni futuri.
  Ai cittadini italiani, evidentemente, interessano questioni ben più importanti e ben più urgenti, quali, ad esempio, una sana legge contro il conflitto di interessi, una vera legge anticorruzione o quel reddito di cittadinanza che andrebbe ad aiutare quei 9 milioni di italiani, tra cui un milione e mezzo di bambini, che oggi sono, dati ISTAT, al di sotto della soglia di povertà relativa. Sono queste le leggi che questo Parlamento dovrebbe trattare, ma, purtroppo, per volontà del Governo che cerca di ritagliarsi un futuro da qui ai prossimi vent'anni, siamo obbligati a trattare di questo.
  Io intervengo alla fine, signor Presidente, perché come relatore di minoranza ho avuto destinati solo cinque minuti; sembrava più corretto ascoltare gli interventi dei colleghi prima di quello del sottoscritto e averli ascoltati mi porterebbe a pensare, signor Presidente, che questo Parlamento rappresenta ancora le istanze del territorio, rappresenta ancora le volontà dei cittadini di parlare e di poter difendere la democrazia, perché se facessimo una statistica, una percentuale, quelle persone, quei rappresentanti del popolo che oggi sono intervenuti, sono per la maggior parte più contro la volontà del Governo di portare a casa con forzature regolamentari e della Costituzione – probabilmente, come si dice e si scrive sui giornali – questa iniziativa del Governo. Ma, ahimè, queste voci all'interno del Parlamento sono le voci di coloro a cui, in buona parte, il Presidente del Consiglio ha messo il bavaglio, sostituendoli o, addirittura, io affermerei, espellendoli da quella Commissione all'interno della quale avrebbero potuto portare le medesime istanze, la medesima competenza giuridica, la medesima onestà intellettuale ad un fine molto naturale che è il fine naturale che il Parlamento dovrebbe perseguire e cioè quello del miglioramento delle leggi. Una proposta di legge che arriva dal di fuori il Parlamento, su una carta straccia, alcuni mesi fa, circa un anno fa, in Parlamento, che non aveva le relazioni accompagnatorie, che non aveva i collegi designati, che è arrivata in Parlamento senza passare per le vie corrette dei testi normativi e che la medesima procedura ha continuato con costanti forzature. Eppure siamo obbligati, oggi, a trattarla e porta una governabilità in sé, signor Presidente, che non ha nulla a che vedere con la possibilità di governare questo Parlamento, perché se la governabilità è dettata solo dai numeri che un premio di maggioranza, che è già stato Pag. 50dichiarato incostituzionale, garantisce, questa governabilità magari data ad un partito che rappresenta il 25 per cento di chi ha votato e quindi il 10, il 12 per cento di tutti gli aventi diritto al voto – questi sono i dati delle ultime elezioni politiche – certamente non sarà una governabilità stabile, ma una governabilità drogata che porterà cittadini, comitati, altre forze sociali a insorgere per contrastare questa volontà del Governo. Una governabilità dall'alto imposta a tutto il Parlamento che è solo fatto di yes men e di rispondenti alle istanze di un capo che è colui che si mette in cima al monte del premio di maggioranza. Il contrario di una governabilità dal basso che invece parte dai cittadini e che si estrinseca e si trasforma in decisioni condivise e partecipate all'interno del Parlamento. Quindi, non è vero che questa legge garantisce la governabilità.
  Noi presenteremo una serie molto limitata di emendamenti, perché non vogliamo limitare, non vogliamo dare giustificazioni al Presidente del Consiglio di richiamare il voto di fiducia incolpando altri, ma tra questi mi vorrei soffermare su uno che è un errore formale presente in questa legge e su cui anche importanti tecnici hanno dato conferma, ma non hanno avuto il coraggio di esprimersi pubblicamente. Questa proposta di legge ha una dimenticanza legislativa nel momento in cui afferma che dei 278 seggi destinati ai partiti che non hanno vinto il premio di maggioranza verranno appunto assegnati, dimenticandosi degli 11 seggi in Trentino e del seggio della Valle d'Aosta che sono assegnati con collegi uninominali e una parte con il recupero proporzionale in Trentino. Ciò significa, signor Presidente, che questa legge se non viene modificata in questo vizio potrà eleggere, sa va bene, 631 deputati e, se va male, 640. Ciò significa che bisogna intervenire, noi non vogliamo bloccare o fare chissà che cosa, ma dire: c’è un errore, correggetelo, altrimenti violate qualsiasi principio di produzione legislativa.

  PRESIDENTE. Il relatore di minoranza Quaranta ha esaurito il suo tempo; prendo atto che il relatore di minoranza Invernizzi rinuncia alla replica; il relatore di minoranza La Russa non è presente e quindi si intende che vi abbia rinunciato. Il relatore per la maggioranza Sisto ha concluso il suo tempo, prendo atto che non chiede di intervenire. Il relatore per la maggioranza Migliore ha concluso il suo tempo, ma se desidera intervenire posso dargli un minuto, se ritiene di dover intervenire in replica.
  Prego, ne ha facoltà, per un minuto.

  GENNARO MIGLIORE, Relatore per la maggioranza. Per rispetto all'Aula e al Regolamento solo una precisazione. La preoccupazione espressa dal collega Toninelli è resocontata nel mio intervento che ho depositato come relazione. Quindi, in meno di un minuto, tenevo a segnalare questa cosa al relatore Toninelli.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare per il Governo Maria Elena Boschi, Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento.

  MARIA ELENA BOSCHI, Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. Onorevoli colleghi, entriamo adesso nel vivo e, forse, nel passaggio decisivo per quanto attiene alla riforma della legge elettorale dopo oltre un anno e mezzo di lavoro serio e approfondito dei due rami del Parlamento.
  Noi sappiamo che questo percorso è iniziato molto tempo fa, prima ancora che giurasse l'attuale Governo, anzi, forse è cominciato proprio in questa Aula con il discorso tenuto dal Presidente Napolitano dopo la sua rielezione, quando chiese a questa legislatura di essere la legislatura delle riforme costituzionali e della legge elettorale, e tutti accogliemmo quell'invito con convinzione, assumendoci responsabilmente quell'impegno, impegno che alcuni partiti politici avevano assunto anche nel richiedere una disponibilità ad un secondo mandato al Presidente in un momento straordinario ed eccezionale da un punto di vista politico.Pag. 51
  Lo stesso Parlamento, questa Camera il 29 maggio del 2013 e, con una mozione identica, anche il Senato, chiese all'allora Governo Letta un impegno per iniziare un percorso di riforme costituzionali e di riforma della legge elettorale. Un percorso di riforme che è stato portato avanti anche con l'istituzione di una commissione di esperti da parte del Governo Letta che ha poi rassegnato le proprie conclusioni, non soltanto sulle riforme costituzionali, ma anche sulla legge elettorale, su cui tornerò in seguito nel corso del mio intervento.
  Ovviamente vi è stato poi un lavoro che ha riguardato l'attività del nostro Governo a partire dai primi mesi del 2014 e che ci ha portato ad approvare un testo, prima alla Camera e poi al Senato, con una maggioranza molto ampia, ben più ampia della maggioranza che sostiene il Governo, una maggioranza che comprendeva una parte importante dell'opposizione, l'unico partito, Forza Italia, che allora si dichiarò disponibile a trovare un punto di incontro e di mediazione con i partiti di maggioranza sulla legge elettorale pur avendo rivolto in una fase iniziale l'invito ed esteso, quindi, il confronto a tutti i partiti presenti in Parlamento.
  Oggi noi discutiamo di una legge elettorale che sicuramente già era funzionante ed efficace nel testo approvato alla Camera in prima lettura, ma che è stata ulteriormente migliorata nel passaggio al Senato dopo una serie di approfondimenti, anche con esperti della materia, costituzionalisti, politologi, e, ovviamente, di un confronto tra i partiti e dentro i partiti. Oggi noi abbiamo all'esame, dopo un voto che in Commissione alla Camera ha confermato il testo già approvato dal Senato, una legge elettorale che attribuisce un premio di maggioranza, che però non è irragionevole, o sproporzionato, un premio di maggioranza che attribuisce al massimo il 55 per cento dei seggi, così come peraltro era stato anche indicato anche nelle proposte proprio della commissione di esperti, a fronte del raggiungimento al primo turno del 40 per cento dei voti o, al secondo turno, all'esito di un ballottaggio. Quindi un sistema che garantisce, è vero, una maggiore stabilità alle maggioranze che in qualche modo appoggiano il Governo, garantisce la possibilità, sicuramente più forte e più solida di poter portare avanti un programma di governo per i cinque anni della legislatura, senza poi avere alibi, ma assumendosi la responsabilità di ciò che viene fatto o non viene fatto in questi cinque anni dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene.
  Un premio che viene attribuito alla lista, che può essere sia un unico partito sia una coalizione che tiene insieme, ovviamente, più partiti, ma che è chiara sin dalla sua nascita perché decide di unirsi sotto un simbolo, sotto un unico capo della lista o della coalizione e sotto un unico programma di governo, perché quella che non può essere perpetrata in qualche modo è l'instabilità degli accordi politici.
  La stessa commissione di esperti sosteneva che dovessero essere disincentivati i meccanismi che, in qualche modo, facilitassero la vittoria nelle elezioni ma non consentissero poi la governabilità e che dovesse essere disincentivato anche il ricorso a coalizioni che si formano tra il primo ed il secondo turno, proprio per dare maggiore stabilità al sistema.
  È una legge elettorale che, sicuramente, tra le varie opzioni possibili per ripristinare un rapporto più diretto tra eletto ed elettori, fa una scelta di mediazione, che probabilmente non accontenta del tutto chi vorrebbe solo le preferenze o chi avrebbe preferito i collegi uninominali, o collegi plurinominali corti, ma che è un buon punto di incontro, prevedendo un candidato di collegio, che sia quindi espressione di quella lista in un territorio che è comunque circoscritto, limitato, perché, dividendo l'Italia in cento collegi, avremo collegi di dimensioni ridotte (500 o 600 mila abitanti, come una provincia media oggi) e un sistema di preferenze; preferenze che possono essere di genere diverso e che, insieme all'alternanza delle candidature nelle liste e alla norma antidiscriminatoria per i candidati di collegio, favorisce la partecipazione delle donne all'attività politica, alla vita democratica del nostro Paese, non più soltanto come Pag. 52scelta di un singolo partito o di più partiti, ma come scelta di sistema valida per tutti, ed è, secondo me, un passo in avanti importante per rendere più moderno il nostro Paese. Ed è una legge elettorale che introduce, a mio avviso, un altro elemento comunque significativo, che è quello di consentire, anche a chi si trova temporaneamente all'estero per motivi di studio o di lavoro, la possibilità di esprimere il voto ed è una battaglia che a lungo è stata portata avanti da tanti partiti politici e che oggi si realizza, finalmente, con una previsione di legge.
  C’è stata una semplificazione delle soglie, un'unica soglia di accesso al 3 per cento, che garantisce partecipazione e rappresentanza anche ai partiti più piccoli: nella proposta dei saggi, a fronte di un premio al 55 per cento, addirittura la soglia ipotizzata era al 5 per cento, quindi più alta di quella che poi abbiamo deciso di introdurre nell'Italicum, proprio per garantire una rappresentanza estesa, ma, attraverso il premio di maggioranza alla lista e l'eventuale turno di ballottaggio, non più un eccessivo frazionamento e un potere di veto dei partiti più piccoli rispetto alla maggioranza che sostiene il Governo. Passi in avanti decisivi, per avere una legge elettorale che funziona.
  Noi oggi non ci stiamo confrontando tra una legge elettorale che è democratica e proposte alternative di leggi antidemocratiche; non abbiamo una legge costituzionale e una legge incostituzionale, una legge elettorale che funziona e una che non funziona. Siamo nel campo del preferibile, di soluzioni diverse, che vengono oggi presentate come proposte di modifica, che sono legittime, ma che rientrano semplicemente in scelte discrezionali di opportunità, ma che non incidono sulla costituzionalità o sul funzionamento del sistema, come hanno dimostrato anche le audizioni degli esperti in questo passaggio alla Camera e come hanno anche, in qualche modo, sottolineato gli interventi che ci sono stati oggi in Aula.
  Allora, se siamo nel campo del preferibile, noi possiamo dire che, nel percorso che tiene insieme legge elettorale e riforme costituzionali, che non sono ovviamente giuridicamente subordinate, ma sono funzionalmente collegate e intrecciate nel percorso politico, possiamo – e il Governo lo ha già detto – manifestare una disponibilità ad approfondire punti di merito delle riforme costituzionali nel passaggio che ci sarà al Senato, così come modifiche sono già state apportate rispetto al disegno di legge di riforma costituzionale presentato inizialmente dal Governo; ma è ovvio che non può essere un baratto a livello istituzionale, non c’è una contrattazione o un contraccambio tra legge elettorale e riforme costituzionali; c’è un approfondimento, una valutazione nel merito, seria, che potrà portare ad ulteriori modifiche al testo delle riforme costituzionali, se ritenuto necessario nel passaggio al Senato.
  Sulla legge elettorale siamo, invece, ad una fase decisiva. Se ciascuno di noi continua a mantenere l'attenzione e l'insistenza, magari, sui singoli dettagli che preferisce nel proprio modello ideale – il che è legittimo: oggi noi non stiamo discutendo della mia legge elettorale perfetta, che non corrisponde in toto, ovviamente, alla mia legge elettorale perfetta, ma di una legge elettorale che funzioni e che sia un punto di incontro –, se noi insistiamo sui dettagli dei singoli, continueremo ad avere una legge elettorale che è stata scritta dalla Corte costituzionale, ma che non è frutto del lavoro del Parlamento, e che è l'emblema dell'incapacità di decidere della classe politica. Noi dobbiamo essere disponibili a superare, ovviamente, una legge elettorale che non è frutto del nostro lavoro e che non è frutto del legislatore.
  Ed è una riforma della legge elettorale coraggiosa. Io condivido queste parole, che non sono le mie, però, sono le parole del senatore Romani, che ha pronunciato il 27 gennaio, quando abbiamo approvato questo stesso identico testo, nell'Aula del Senato, con i voti di Forza Italia. Era lo stesso anno, il 2015, era lo stesso gruppo, Forza Italia, ed era la stessa legge elettorale, questa, senza modifiche.Pag. 53
  Oggi scopriamo che quella stessa legge elettorale è diventata incostituzionale, dalle parole degli esponenti di Forza Italia.
  Ora io capisco che Forza Italia possa aver cambiato idea, noi no, però. Non possiamo pensare – e lo ha spiegato bene, l'onorevole Gelmini – che una legge elettorale diventi incostituzionale solo perché nel frattempo abbiamo eletto Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Io capisco e rispetto che possano mutare gli orientamenti ma, a nostro avviso, la coerenza non è un optional; quindi, va benissimo cambiare idea, ma noi preferiamo, però, cercare di cambiare non solo la legge elettorale, ma di riformare anche il nostro Paese. Ecco allora perché il Governo fin dal primo giorno, questo Governo, ha posto al centro della propria agenda politica, della propria iniziativa politica, la riforma della legge elettorale, accanto alle riforme costituzionali.
  Ovviamente, non sono le uniche riforme che stiamo affrontando; lo sa bene quest'Aula, lo sa bene il Parlamento. Alcune sono già arrivate nella fase di attuazione, quasi al termine dell'iter: pensiamo alla riforma del mercato del lavoro o alla riforma fiscale; altre sono oggi all'esame del Parlamento: la riforma della scuola, della Pubblica amministrazione, della giustizia, del terzo settore, le stesse riforme costituzionali. È ovvio che sono riforme complesse, articolate; un progetto di riforma strutturale ambizioso del Paese, ma se non siamo in grado di mostrare che proprio sulla legge elettorale, dove siamo chiamati in causa direttamente, siamo in grado di fare uno scatto d'orgoglio e non abdichiamo al nostro ruolo, al nostro dovere di legislatori, non ci rassegniamo ad avere una legge elettorale scritta dalla Corte costituzionale, non saremo credibili nemmeno di fronte ai cittadini quando porteremo avanti le altre riforme che stiamo affrontando in quest'Aula.
  Capisco che alcuni gruppi politici che hanno votato dieci anni fa la legge Calderoli e per dieci anni non l'hanno cambiata, oggi non sentano l'urgenza e la necessità di mettere mano alla legge elettorale perché se non l'hanno sentita per dieci anni figuriamoci se improvvisamente possano cambiare atteggiamento adesso. Ma noi crediamo che sia dovere nostro, rispettare gli impegni che abbiamo preso verso i cittadini. Essere all'altezza delle aspettative dei nostri cittadini. E c’è una frase molto cara a me di Saramago che dice: «noi siamo le responsabilità che ci assumiamo e che se non ci assumiamo le responsabilità, forse non meritiamo di esistere». Forse è eccessivo arrivare a questa conclusione, ma sicuramente se come deputati non siamo in grado di assumerci le nostre responsabilità, non meritiamo di sedere in questo Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia e di deputati del gruppo Partito Democratico).

(Annunzio di questioni pregiudiziali – A.C. 3-bis-B ed abbinate)

  PRESIDENTE. Avverto che nel corso della discussione sulle linee generali sono state presentate la questione pregiudiziale di costituzionalità Brunetta ed altri n. 4, la questione pregiudiziale di merito Brunetta ed altri n. 3 e la questione sospensiva Brunetta ed altri n. 1.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15 per l'esame degli ulteriori argomenti iscritti all'ordine del giorno.
  La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 15.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Brambilla, Cicchitto, Ferranti, Fioroni e Lotti sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente sessantanove, come risulta dall'elenco Pag. 54depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Realacci ed altri; Micillo ed altri; Pellegrino ed altri: Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente (Approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato) (A.C. 342-957-1814-B) (ore 15,05).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge, già approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato, nn. 342-957-1814-B di iniziativa dei deputati Realacci ed altri; Micillo ed altri; Pellegrino ed altri: Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi relativi alla discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 23 aprile 2015.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 342-B ed abbinate)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  I presidenti dei gruppi parlamentari del MoVimento 5 Stelle, di Sinistra Ecologia Libertà e del Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento. Avverto altresì che la Commissione II (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, onorevole Bazoli.

  ALFREDO BAZOLI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, giunge oggi in Aula per la terza lettura questo provvedimento che introduce nell'ordinamento nuovi reati ambientali, un provvedimento credo largamente atteso dall'opinione pubblica in un Paese nel quale la criminalità ambientale in questi ultimi anni ha fatto passi da gigante. Noi abbiamo report annuali di associazioni ed enti che si occupano di questo argomento – e in particolare voglio citare quelli di Legambiente che sono estremamente documentati e argomentati – che ci danno dei numeri che sono credo più significativi di tante parole, per spiegare cosa rappresenta oggi la criminalità ambientale nel nostro Paese, cioè numeri che ci dicono che oggi, ogni anno in Italia si consumano circa trenta mila illeciti ambientali per un giro d'affari stimato in circa 15 miliardi di euro, tra illeciti che si riferiscono al mercato illegale e illeciti che si riferiscono ad investimenti pubblici a rischio. Di questi illeciti, la gran parte insiste nelle zone, nelle regioni del nostro Paese a più alta densità di criminalità organizzata, a testimonianza del fatto che su questo settore specifico della criminalità, in particolare, la criminalità organizzata ha messo le mani proprio perché il giro d'affari economico legato a questo tipo di illeciti è estremamente significativo.
  Ma noi sappiamo che questi illeciti si consumano, non solo in queste regioni nelle quali la presenza di criminalità organizzata è molto significativa, ma vi sono molti illeciti che si consumano anche nelle altre regioni, in particolare dove c’è un tessuto economico diffuso, perché sappiamo bene che, attraverso gli illeciti ambientali, cioè attraverso le violazioni delle norme poste a tutela dell'ambiente, spesso si può anche inquinare la libera concorrenza attraverso un illecito, indebito abbattimento dei costi nell'attività di impresa, che rischia di inquinare il libero mercato.
  Per cui, si tratta di illeciti molto significativi e molto presenti nella realtà italiana, in ordine ai quali riteniamo assolutamente opportuno e necessario che il nostro ordinamento completi il proprio sistema a tutela dell'ambiente e della salute correlativamente, dando così seguito anche alle raccomandazioni che da molti anni per gli organismi europei fanno ai Paesi membri. Ricordo in particolare l'ultima direttiva del 2008, che ha suggerito Pag. 55da ultimo ai Paesi membri di introdurre nel proprio ordinamento nuove fattispecie di delitto per proteggere adeguatamente l'ambiente. Noi arriviamo un po’ in ritardo, dopo che tanti altri Paesi hanno già provveduto a introdurre questi delitti, in particolari Francia, Spagna, Austria e Germania.
  Quindi, è un provvedimento che noi riteniamo vada nella direzione di completare adeguatamente un sistema di protezione ambientale che oggi presenta lacune e difetti e arriviamo oggi in terza lettura, dopo che alla Camera abbiamo fatto un grande lavoro tecnicamente complicato e difficile perché si tratta di una materia complessa.
  È un grande lavoro con il quale eravamo riusciti a unificare i tre testi di leggi che erano stati proposti da tre diverse forze politiche, il Partito Democratico, il MoVimento 5 Stelle e SEL, e avevamo raggiunto, credo, un risultato molto positivo, testimoniato anche dal fatto che quando venne approvato alla Camera nel febbraio dell'anno scorso, se non ricordo male, furono molto pochi i voti contrari sul provvedimento. Quindi, avevamo lavorato, credo, piuttosto bene.
  Che questo lavoro fosse stato un lavoro, secondo me, significativo è testimoniato anche dal fatto che, pur rimanendo questo testo al Senato per tanti, forse troppi mesi prima che ci venisse restituito, l'impianto complessivo della norma, del testo di legge che ci è stato consegnato, sostanzialmente ricalca quello che avevamo approvato noi in prima lettura e, quindi, i capisaldi della proposta di legge, del testo di legge che noi avevamo approvato sono rimasti sostanzialmente inalterati.
  Voglio ricordarli brevemente, perché credo che siano importanti e significativi, anche se, appunto, li illustrerò in maniera sommaria. Ovviamente, la parte principale del testo consiste nell'inserimento, dentro l'ordinamento giuridico, di nuove fattispecie delittuose, cioè di nuovi delitti. Noi abbiamo oggi un sistema sanzionatorio che è contenuto principalmente nel testo unico dell'ambiente, che è formato, sostanzialmente e prevalentemente, da ipotesi contravvenzionali, cioè ipotesi di reato che puniscono la mera messa in pericolo, in astratto, del bene protetto, dell'ambiente, ma sanzionano le condotte con sanzioni piuttosto lievi, trattandosi di contravvenzioni.
  Noi, con questo testo di legge, ci proponiamo di introdurre delle figure nuove di delitti, quindi figure delittuose che non erano previste precedentemente, in particolare individuando fattispecie di reato tra le quali ricordo l'inquinamento ambientale e il disastro ambientale. In particolare, il disastro ambientale, secondo me, è uno dei grandi obiettivi di questo provvedimento, perché noi sappiamo che anche recentemente la magistratura si è dovuta occupare di casi, appunto, di disastro ambientale senza avere una norma che consentisse di punire adeguatamente comportamenti e condotte che avevano causato il disastro e, anzi, dovendo utilizzare norme presenti nel codice penale, ma scritte e finalizzate ad altro, che non, in particolare, alla protezione dell'ambiente.
  Noi oggi, introducendo le due fattispecie di inquinamento e di disastro ambientale, due fattispecie delittuose punite con pene severe, ma io credo anche congrue e ragionevoli, credo che completiamo, in modo assolutamente ragionevole e credo tempestivo, il sistema sanzionatorio legato agli illeciti ambientali.
  Accanto a queste vi sono altre ipotesi delittuose, che sono state introdotte e che verranno introdotte, che sono, in particolare, il traffico illecito di materiale radioattivo, i reati di impedimento al controllo e omessa bonifica. Ma, insieme all'inserimento di queste ipotesi delittuose, questo testo di legge introduce anche sanzioni accessorie, che io credo siano molto efficaci nella prevenzione e nella repressione degli illeciti. Cito, in particolare, le sanzioni relative alla responsabilità amministrativa da reato degli enti, quindi il decreto legislativo n. 231 del 2001, con la previsione di multe a carico degli enti che si siano macchiati di questi delitti e l'introduzione dell'istituto della confisca anche per equivalente dei beni che hanno costituito il prodotto o il profitto del reato. Pag. 56Si tratta di sanzioni accessorie che, però, completano, secondo me in modo molto efficace, il nuovo apparato sanzionatorio che viene introdotto attraverso questo provvedimento.
  E accanto a ciò ovviamente è prevista anche una speciale aggravante legata ai reati che vengono commessi dalla criminalità organizzata, quindi andando a punire in maniera efficace e puntuale proprio le cosiddette ecomafie, cioè quelle condotte poste in essere dalla criminalità organizzata che incidono, in particolare, sulla violazione delle norme a protezione dell'ambiente.
  Quindi, mi pare che da questo punto di vista ci sia un completamento efficace del sistema giuridico a protezione dell'ambiente.
  Accanto a questo, voglio mettere in evidenza un altro caposaldo di questa legge, che è in linea con l'idea di un diritto penale di natura premiale, con l'idea di una giustizia riparativa, che è rappresentato dal ravvedimento operoso e dal procedimento oblativo per le contravvenzioni meno gravi, con l'idea, che noi abbiamo, che non è semplicemente e solo la punizione della condotta che noi abbiamo a cuore, ma, più di tutto, abbiamo a cuore la protezione del bene giuridico che noi puntiamo a tutelare, cioè l'ambiente e, di riflesso, la salute.
  Con il ravvedimento operoso noi prevediamo congrui sconti di pena per colui che si è macchiato del delitto, ma coopera per evitare che le conseguenze della condotta vengano portate a effetti ulteriori, o che, in particolare, agisce per cercare di bonificare e mettere in sicurezza le aree e gli ambienti che sono stati inquinati. Quindi, congrui sconti di pena, che vogliono agevolare e incentivare l'effettiva protezione del bene giuridico, nella logica di una giustizia riparativa.
  E, dicevo, anche un procedimento oblativo, che riguarda, in particolare, le contravvenzioni meno impattanti, quelle che non hanno causato un effettivo pericolo concreto, anche qui con l'adempimento di obblighi che sono indicati dentro un procedimento amministrativo, al termine dei quali si può anche arrivare alla non punibilità, ma, ripeto, dentro questa logica che è finalizzata all'effettiva protezione dell'ambiente.
  Tutti questi punti, che sono, secondo me, i grandi capisaldi della legge che noi puntiamo a introdurre nell'ordinamento, sono stati mantenuti nell'impianto che esce dal Senato, che ha introdotto e modificato alcuni aspetti che ritengo siano aspetti residuali e di dettaglio rispetto a questi che, invece, sono i grandi obiettivi della legge e i grandi contenuti che noi abbiamo individuato e riteniamo importanti per avere una protezione adeguata dell'ambiente.
  Sappiamo e abbiamo dovuto registrare che, su alcune di queste modifiche, vi sono state critiche e preoccupazioni da parte di alcuni ambienti. Su questo voglio essere molto chiaro, e lo dico da relatore, ma, credo, interpretando anche un po’ l'orientamento del nostro partito, del Partito Democratico: il nostro obiettivo, oggi, è quello di approvare, nel più breve tempo possibile, questa legge, che noi consideriamo importante per le ragioni che ho detto in esordio.
  Una legge per la quale abbiamo lavorato intensamente, raggiungendo, secondo me, obiettivi importanti, anche di condivisione trasversale, e, ripeto, voglio ricordare che in quest'Aula è stata approvata, sostanzialmente, senza voti contrari, salvo alcuni isolati. Abbiamo lavorato con grande abnegazione e il nostro obiettivo, chiaro e limpido, che voglio qui ribadire, è quello dell'entrata in vigore nei tempi più rapidi possibili.
  Sulle questioni sulle quali abbiamo registrato rilievi critici e preoccupazioni credo che la risposta migliore che possiamo dare sia quella di un'attenzione particolare che, nel momento in cui questa legge troverà applicazione, noi dobbiamo dedicare agli effetti sul campo nell'applicazione pratica. È una legge complessa, articolata, una legge molto complicata anche dal punto di vista tecnico. Non abbiamo la velleità e la presunzione di avere fatto una legge perfetta, sappiamo che Pag. 57possono esserci singole questioni sulle quali può essere possibile un miglioramento.
  Credo che la cosa migliore che possiamo fare, secondo un modello che credo andrebbe applicato sempre, cioè un modello riformista, ma anche pragmatico, sia approvare la legge, verificarne sul campo il funzionamento e, laddove si dovesse registrare che quelle criticità e preoccupazioni, che da alcuni sono venute e che noi riteniamo ragionevoli, che certamente non derubrichiamo a pura contestazione fine a se stessa, dovessero trovare un effettivo fondamento, allora credo che ci siano gli spazi e i modi per migliorare una legge che, comunque, nel suo complesso, credo rappresenti un grande risultato e un grande obiettivo per il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Micillo.

  SALVATORE MICILLO, Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Colleghi, «chi inquina paga», «chi inquina deve essere punito», sono semplici principi che devono trovare attuazione nel nostro Paese. Il principio di matrice comunitario del «chi inquina paga», prevede che siano addebitati al soggetto inquinatore, tutti i costi delle azioni prodotte. L'applicazione di tale principio, però, non può spingersi fino a permettere che lo Stato imponga all'inquinatore privato, la messa in opera delle attività di recupero e risanamento, prescindendo dall'accertamento della responsabilità del singolo. Pertanto, ecco che entra in gioco anche il secondo principio, prima anticipato, vale a dire: l'inquinatore deve essere punito, naturalmente una volta che sia stato accertato il crimine commesso e venga accertata la responsabilità. E per concretizzare tale principio, è necessario modificare l'attuale sistema normativo, dando così alla magistratura, e alle forze di polizia, gli strumenti opportuni per tutelare l'ambiente attraverso la creazione di fattispecie delittuose, all'interno delle quali collocare il comportamento degli inquinatori e innescare così la macchina della giustizia. Ad oggi, l'ambiente è stato scarsamente tutelato, mancando di adeguate leggi per difenderlo, ed invece ha un assoluto bisogno di interventi normativi mirati. L'Italia oggi ha un'occasione, l'opportunità di diventare un modello per gli altri Paesi, un modello a cui guardare, dove la tutela dell'ambiente trova completa attuazione. Possiamo osare dire di essere precursori di nuovi dettami.
  Sono entrato in Parlamento con l'estrema convinzione di fare tutto il possibile per concretizzare questi basilari principi. Finalmente adesso, oggi, ora, dopo quasi due anni dall'ingresso del MoVimento 5 Stelle nei «palazzi», il Parlamento è in procinto di approvare un provvedimento legislativo di cui si aspettava l'approvazione da più di 20 anni. Non lasciamoci sfuggire quest'occasione unica. E tengo a sottolineare con forza, che la legge che discutiamo oggi in terza lettura, proveniente dal Senato, ha una matrice parlamentare, a dimostrazione del fatto che il Parlamento, quando non è esautorato dalle sue funzioni costituzionali dal Governo e dai poteri forti dell'Europa, svolge in maniera egregia le sue funzioni. Il passaggio parlamentare, Camera, Senato, Camera, ha portato indubbi vantaggi al provvedimento legislativo, è stato, infatti, perfezionato e migliorato al Senato rispetto alla versione venuta fuori da quest'Aula, il 26 febbraio dello scorso anno. Questo a dimostrazione che il bicameralismo perfetto funziona ancora e che i padri costituenti, quando hanno previsto un simile meccanismo, lo hanno fatto a ragion veduta.
  È un provvedimento che è il frutto dell'azione congiunta di tutte le forze politiche del Paese, almeno degli esponenti sani e collaborativi di queste forze. Un provvedimento al quale il MoVimento 5 Stelle legherà anche il suo nome, sia per quanto riguarda la prima versione, licenziata alla Camera, sia per quanto riguarda la versione di Palazzo Madama.
  Mi sento di affermare che all'interno di questa legge vi è molto impegno del MoVimento 5 stelle, che ha raccolto tra la Pag. 58gente, anche prima di entrare in Parlamento, osservazioni, suggerimenti, consigli, ma soprattutto la volontà di asciugare le lacrime di tante madri e dare giustizia a terre martoriate. Voltandomi, guardo al territorio, all'attivismo, all'iniziale assembramento legislativo e poi all'iter della stessa proposta di legge, fino alla calendarizzazione nell'allora Commissione Giustizia. Qui alla Camera, partimmo da un semplice raffronto delle originarie tre proposte di legge: Micillo, Realacci, Pellegrino, fino alla versione finale del provvedimento uscito da Montecitorio. Il risultato che ne uscì dalla Commissione Giustizia è stato possibile attraverso un confronto da parte della presidente Donatella Ferranti, che ci diede l'opportunità di tenere con tutte le forze politiche interessate al provvedimento.
  Per quanto attiene il passaggio al Senato, attraverso l'analisi degli emendamenti presentati ed approvati, prima all'interno delle Commissioni referenti e poi all'interno dell'Aula di Palazzo Madama, ci si rende conto del peso che hanno avuto gli interventi del MoVimento 5 Stelle (ringrazio in particolare la collega Paola Nugnes che ha formulato vari emendamenti). La maggior parte degli emendamenti, non solo numerici, ma anche qualitativi, sono infatti di matrice del Movimento 5 Stelle.
  Il nostro gioco di squadra è andato avanti con buoni risultati, ottimizzando il testo. Tra i principali risultati ottenuti al Senato vi sono stati l'introduzione del reato di omessa bonifica e la destinazione alla bonifica delle somme confiscate, al fine di rendere le maglie della giustizia strettissime a tutto beneficio, ancor più, per l'ambiente. Di fondamentale importanza è l'introduzione del delitto di inquinamento ambientale, atteso dal mondo ambientalista da molti, troppi anni. Una nota di merito deve essere assegnata all'Aula di Palazzo Madama, che ha previsto un aumento di pena, qualora si verifichi un ulteriore evento dannoso, rispetto a quello richiesto (cosiddetto delitto aggravato dall'evento).
  Il reato di disastro ambientale, il vero cuore pulsante della proposta di legge, è stato migliorato nella sua formulazione letterale rispetto alla versione licenziata dalla Camera. Non è stato abrogato l'aggettivo «irreversibile», che tante critiche, soprattutto da parte degli operatori del diritto, aveva suscitato, ma sono state inserite tre fattispecie, tra loro alternative, tipizzanti il reato in questione.
  Un lodo particolare all'espressa previsione che prevede la sopravvivenza del reato di disastro innominato, di cui all'articolo 434 del codice penale, merito – lo sottolineo ancora – dell'Aula di Palazzo Madama, come a voler specificare, una volta e per tutte, che le condotte criminose fino ad oggi compiute continueranno ad essere sanzionate con la vecchia disciplina penalistica. Il rischio di abolitio criminis, che una certa interpretazione del precedente dato normativo stava dando, viene in questo modo scongiurato per sempre.
  Vi è un punto, però, a nostro avviso molto grave, che nessun ambientalista avrebbe voluto leggere all'interno di un simile testo: la depenalizzazione dei reati di inquinamento ambientale e di disastro ambientale. Inserire due nuove fattispecie delittuose e, all'interno del medesimo documento, depenalizzare gli stessi in una condotta colposa è un controsenso e si traduce in un grande favore ai grandi inquinatori. In questo caso la navetta parlamentare non ha portato risultati apprezzabili.
  Riteniamo assolutamente soddisfacente l'attuale versione della proposta di legge e, pertanto, siamo fermamente convinti che eventuali modifiche possano essere operate in un secondo momento con altri e ulteriori interventi, ma sempre mirati.
  Permettetemi infine, di dire due paroline sull’air gun, che tante agenzie ha occupato in questi giorni e che ha aperto un vivace dibattito sui giornali. Quello che vogliamo assolutamente fare è approvare questa legge, così come ci è pervenuta dal Senato. Ce lo chiedono i cittadini e le tante associazioni ambientaliste con la campagna «Neanche una virgola», in quanto l'Italia non può permettersi di attendere ancora un provvedimento che punisca gli inquinatori e gli eco-criminali. Se vogliamo Pag. 59discutere di air gun, facciamolo in altra sede, non adesso, non in questo momento cruciale. Non inquinate il provvedimento ! Non concedetevi un lusso che l'ambiente non può più permettersi: aspettare rinvii e riletture.
  La posizione politica del MoVimento 5 Stelle, con riferimento al presente provvedimento è chiara e precisa: siamo favorevoli esclusivamente nella misura in cui il provvedimento non sia rimandato al Senato. Siamo fermamente convinti che questa legge debba essere approvata, senza cambiare neanche una virgola, senza modifiche. La soppressione o la modifica o anche l'aggiunta di una sola parola al testo del provvedimento comporterebbe la necessità di un passaggio ulteriore al Senato e, conseguentemente, significherebbe dovere attendere altro tempo per avere una soddisfacente tutela dell'ambiente che ci circonda.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
  È iscritto a parlare l'onorevole Bratti. Ne ha facoltà.

  ALESSANDRO BRATTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'onorevole Bazoli credo abbia molto bene illustrato e inquadrato il tema di cui oggi discutiamo, spiegando anche in dettaglio quali sono stati e quali sono i punti fondamentali di questo provvedimento, che devo dire con un grande impegno di diverse persone appartenenti al Partito Democratico, oggi è arrivato a questo punto.
  L'iter però non è stato facile. È stato un iter complicato, lungo e ricco di insidie. È un provvedimento che ora è ad un passo, come veniva ricordato, per essere approvato in maniera definitiva. Il progetto di legge è stato sicuramente migliorato – credo – al Senato, nonostante sia stato introdotto un comma, che riguarda la punibilità dell'uso della tecnica di perforazione nei fondali marini per la ricerca di idrocarburi, denominata air gun.
  Si tratta di una tecnica che oggi è praticata in diverse parti del mondo e che, causa la sua invasività, va certamente regolamentata attraverso un percorso di carattere amministrativo e non certamente andava in un provvedimento come quello in discussione oggi. Un emendamento introdotto, a mio parere, ad arte al Senato da Forza Italia. Poi lo stesso gruppo politico alla Camera, presso la Commissione giustizia, ha proposto un emendamento per sopprimerlo, con la consapevolezza – io credo – che poi alla Camera, con questa modifica, si sarebbe dovuti ritornare al Senato e con un obiettivo molto preciso, quello – credo – di affossare definitivamente questa legge.
  Da sempre sosteniamo che per fermare l'illegalità occorre intervenire con una semplificazione normativa, che riduca i margini di discrezionalità e di incertezza per le imprese, definire una riforma del sistema dei controlli, ferma ormai da diversi mesi al Senato, oltre che introdurre nuovi delitti contro l'ambiente nel codice penale, come, tra l'altro, ricordava bene il relatore Bazoli, era già stato previsto da una direttiva comunitaria nel 2008, cosa che ci apprestiamo a fare.
  Ricordo che procedimenti penali storici quali Casale Monferrato, Bussi sul Tirino, il sito di Cogoleto della ex Stoppani, l'area Resit in Campania, l'Ilva di Taranto, Porto Marghera avrebbero avuto, con queste nuove norme, un iter processuale – e probabilmente un esito giudiziario – molto differente. Ma di questo abbiamo già parlato in prima lettura alla Camera e c’è stata una discussione molto approfondita anche al Senato.
  I reati previsti dalla proposta di legge, però, hanno un'efficacia anche per situazioni apparentemente minori, spesso sconosciute ai più, ma che provocano quotidianamente danni irreparabili all'ambiente, oltre che un impatto economico negativo per la collettività. Mi preme citare due esempi tipici del mondo della gestione dei rifiuti, che, da un lato, riguardano i comportamenti di diverse aziende private, che continuano a delinquere a norma di legge, e, dall'altro lato, le difficoltà della magistratura, di fatto impotente.Pag. 60
  Cosa accade, ad esempio, ad una grande società privata che gestisce il ciclo dei rifiuti quando decide di gestire una discarica abusivamente oppure quando sversa reflui industriali senza autorizzazione ? Situazioni che determinano – è bene ricordarlo – molto spesso danni ambientali pericolosi per la salute, oltre che danni economici rilevanti. Laddove vi è una contestazione di questi reati la società può decidere quale sia il comportamento processuale più conveniente: affrontare un processo nel merito, oppure cavarsela con una mera oblazione, senza affrontare il rischio e i costi di un processo ? Molto spesso, in questi casi, la società decide di saldare il conto subito, pagando una penale economica che elimina il fastidio di procedimento penale pubblico. Con l'attuale legislazione questi reati, oggettivamente gravi, sono al 90 per cento suscettibili di definizione con oblazione speciale: una piccola contravvenzione solitamente pari alla metà del massimo della sanzione penale prevista per quella fattispecie (ad esempio circa 13 mila euro per i due casi citati in precedenza) e il caso è chiuso. Va posta una domanda chiave per capire qual è il peso sociale e collettivo di questa inadeguatezza legislativa che la proposta di legge deve sanare: quanto ha guadagnato la società gestendo una discarica abusiva o sversando reflui industriali senza autorizzazione ? A volte anche qualche milione di euro.
  Ancora più illuminante è quello che ha raccontato alla Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti un magistrato della direzione distrettuale antimafia di Venezia, parlando dei termini di prescrizione insufficienti relativamente ai reati di natura contravvenzionale che riguardano gravi illeciti ambientali. Questo è veramente un grosso problema – dice il magistrato – che c’è sempre stato. Questi, quindi, sono quasi reati finti, perché se ci sono difese con imputati provvisti di denaro, che possono andare avanti per tante udienze e tanti processi, alla fine, purtroppo, i procedimenti si prescrivono: c’è proprio una corsa alla prescrizione. Senza contare una serie di problemi correlati alle notifiche che concorrono ad allungare i tempi. Fare una notifica ad un imprenditore veneto, infatti, è più difficile che farla a un extracomunitario senegalese, perché c’è l'elusione dei tentativi di notifica.
  L'altro problema rilevante, che abbiamo potuto riscontrare, è che in questi reati si ritrova in modo frequentissimo il tema della bonifica, cioè della rimozione dei rifiuti conseguentemente alle condotte illecite.
  Quando va bene, il procedimento penale viene avviato, arrivando alla condanna dell'azienda. A quel punto, rimangono tutte le aree da bonificare, con masse di rifiuti da smaltire. Ovviamente, il responsabile di queste condotte fa di tutto per evitare di affrontare il costo del ripristino ambientale di un danno, spesso rilevante, che lui stesso ha provocato. L'imprenditore diventa nullatenente, si libera di tutti i beni, fallisce, e il risultato è che lo Stato deve sobbarcarsi gli altissimi costi di bonifica o, come spesso capita, tutto grava sulle spalle dei sindaci di quei comuni (Cogoleto, Arenzano, Sona, in provincia di Verona, Statte, Pioltello, Bussi e l'elenco, purtroppo sarebbe molto lungo).
  Di fronte a questi comportamenti, purtroppo diffusissimi, la soluzione ottimale è proprio quella qui realizzata di introdurre l'istituto della confisca per equivalente, che è stato applicato con successo in altri settori, dove l'equivalente andrebbe rapportato, non solo ai profitti, ma anche ai danni cagionati all'ambiente e ai costi da sostenere per le bonifiche. A quel punto, il pubblico ministero, nel momento in cui fa la richiesta di sequestro preventivo di un insediamento produttivo, potrebbe anche chiedere la confisca di un patrimonio che, in quel momento, è ancora in capo al soggetto. Dopo la sentenza spesso è troppo tardi, gli imprenditori coinvolti fanno sparire i beni e lo Stato non riesce più ad obbligare gli inquinatori a bonificare. L'introduzione della confisca preventiva per equivalente nel campo dei reati ambientali potrebbe, dunque, avere un impatto sul recupero delle aree devastate, permettendo la restituzione alla collettività delle Pag. 61terre così contaminate. Questo stesso istituto, qualora fosse configurato come obbligatorio e non necessariamente da una sentenza passata in giudicato, andrebbe almeno a controbilanciare i problemi della prescrizione.
  L'attuale scarsa efficacia dell'azione punitiva in campo ambientale porta, poi, a un altro grande problema, quello di falsare la concorrenza nel settore: se chi inquina alla fine non paga, manda fuori mercato quelli che operano correttamente. Il fatto che la giustizia non funzioni ha conseguenze – non lo scopriamo certo noi – sull'industria, sul mercato, sugli investimenti. E questo vale in tutti gli ambiti, per chi inquina, per chi non applica le norme antinfortunistiche sul lavoro o per chi non paga le tasse. La giustizia inefficace ha pesanti conseguenze economiche, oltre che etiche e sociali, e scoraggia anche gli investimenti delle aziende sane e innovative.
  C’è, infine, e non è un dettaglio, il dispendio di soldi pubblici correlato a indagini spesso complesse. Con la prescrizione lo Stato si dichiara non più interessato a perseguire un reato e tutti gli interessi sostanziali ad esso sottesi vengono disconosciuti, con la conseguenza che una serie di energie, di persone e di soldi investiti vengono buttati via. A questi costi si aggiungono, a quel punto, le spese per la bonifica.
  Ho potuto constatare, signor Presidente, proprio come presidente della Commissione bicamerale detta comunemente «ecomafie», che queste situazioni non sono un'eccezione; sono la regola e non solo in una parte del Paese, ma in tutta l'Italia. Non credo, quindi, che questo Governo, che ha fatto della battaglia per la legalità un punto fondamentale della sua azione, si possa permettere di attendere un giorno in più per dotarsi di strumenti realmente efficaci per colpire gli inquinatori, recuperando le terre contaminate, ridando speranza e futuro a quelle popolazioni colpite dalle conseguenze di discariche e sversamenti abusivi. Quasi ventuno anni sono passati da quando si è cominciato a proporre una nuova regolamentazione dei reati ambientali, arrivando al disegno di legge ora all'esame alla Camera dei deputati. Oggi siamo ad un passo dall'approvazione definitiva di un testo che ci porta semplicemente verso un Paese più giusto. E non può essere un comma o qualche imperfezione dell'articolato uscito dal Senato a fermare questo percorso. Si troveranno, penso, modo e tempi per procedere ai necessari aggiornamenti. Non credo ci potrà essere un'ulteriore possibilità (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaratti. Ne ha facoltà.

  FILIBERTO ZARATTI. Grazie signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, intanto io vorrei dire che questa legge, che è stata approvata quasi all'unanimità dalla Camera e che è stata parzialmente modificata dal Senato, ha visto introdotta al Senato una norma, alla quale faceva riferimento anche ora l'onorevole Bratti, che è la cosiddetta norma che impedisce l'utilizzo della tecnica dell’air gun nel nostro Paese. La soluzione di questo problema, onorevole Bratti e onorevoli colleghi, è semplice: è sufficiente non ripresentare l'emendamento in Aula in modo tale che l'iter di questa legge possa essere veloce e, cioè, che questo testo si possa approvare così com’è, dando, quindi, definitivamente avvio a una fase nuova nel nostro Paese, che è quella, appunto, di avere finalmente una legge che riguarda gli ecoreati.
  Quindi invito i colleghi del Partito Democratico, in modo particolare, a non presentare in Aula l'emendamento che sopprime la norma che vieta l'utilizzo dell’air gun nel nostro Paese. Lo so che siamo di fronte alla levata di scudi delle grandi compagnie petrolifere che si sono schierate e si schierano contro l'approvazione di questo disegno di legge per via dell'emendamento approvato al Senato. Questa, lo sappiamo, è una tecnica assolutamente invasiva che utilizza le esplosioni in mare con aria compressa per la ricerca di idrocarburi e che ha suscitato non poche critiche a livello internazionale Pag. 62da parte delle varie organizzazioni ambientaliste. Voglio ricordare che negli Stati Uniti, dove sono di manica larga su queste vicende, per gli interventi di questo genere off shore è previsto un intervento al di là delle 80 miglia. Se questo livello e questa norma fosse approvata in Italia credo che nell'Adriatico non si potrebbe assolutamente utilizzare.
  Spero che si possa approvare la legge così com’è anche perché esattamente venti anni fa entrava nel linguaggio corrente il termine ecomafia, non da un'aula giudiziaria, ma da un dossier pubblicato da una associazione ambientalista, la Legambiente, scritto per l'occasione con l'Arma dei carabinieri e l'Eurispes. Era il primo Rapporto Ecomafia, giunto oggi alla ventesima edizione. Per la prima volta fu posto in evidenza ciò che oggi emerge in tutta la sua drammatica gravità: dietro il mondo dei rifiuti, del cemento, dell'agroalimentare, degli animali, dei beni culturali e paesaggistici e delle riserve idriche è cresciuto nel Paese un sistema affaristico-illegale che tiene insieme criminalità organizzata, anche mafiosa, con quel paludoso mondo delle professioni, dei colletti bianchi, dell'imprenditoria e della politica. Grumo che è potuto crescere e proliferare quasi indisturbato per decenni, grazie a un sistema repressivo carente, con una legislazione ordinaria quasi sempre derogabile attraverso vere o false emergenze. Secondo una stima del 2013 relativa al valore economico delle mafie, 15 miliardi di euro sono il volume di affari legato alla criminalità di tipo ambientale, con il coinvolgimento di ben 321 clan appartenenti ad organizzazioni criminali che, per il loro traffico, si sono avvalsi di funzionari pubblici corrotti. Il nesso con la corruzione è sempre più forte in questo campo.
  A differenza di altri settori criminali, chi si macchia di reati ambientali fino ad oggi rischia, salvo qualche eccezione, solo una piccola contravvenzione. Se un'azienda scarica nell'ambiente sostanze tossiche o crea una discarica abusiva, al peggio viene punita perché non ha rispettato i limiti tabellari sulle emissioni o perché non ha le autorizzazioni per quel sito ma non perché ha inquinato e possibilmente attentato alla vita dei cittadini. Così come non si è mai visto nessuno finire in galera per aver cementificato abusivamente chilometri di spiaggia o aperto una cava in mezzo a un'area archeologica o sopra il greto di un fiume in secca. Se si esclude, infatti, il delitto di traffico illecito di rifiuti, che prevede la reclusione fino a sei anni, per il resto solo qualche tirata d'orecchi e impunità garantita. Emblematico da questo punto di vista lo scandaloso epilogo del processo Eternit che, di fatto, ha visto assolti tutti i responsabili di quella tragedia che continua a colpire quella comunità e molte altre, dovuta proprio alla mancanza, nel nostro codice penale, della previsione di un reato come quello di disastro ambientale.
  Il provvedimento di legge oggi in seconda e speriamo definitiva lettura all'esame dell'Aula colma dunque una lacuna davvero incredibile per un Paese che sta in Europa e in Occidente, ossia la totale assenza nel codice penale di un intero titolo dedicato ai reati ambientali. Tale lacuna è grave anche a giudizio dell'Unione Europea, che con direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente, ha obbligato tutti gli Stati membri a prevedere entro la fine del 2010, misure di diritto penale che rendano perseguibili violazioni gravi della normativa europea sulla tutela ambientale. Questo per rispondere ad un principio fondamentale del Trattato: garantire un elevato livello di tutela in materia ambientale. A questo proposito occorre ricordare anche il pronunciamento molto netto del Parlamento europeo che, con una risoluzione approvata dall'Assemblea l'11 giugno 2013, ha fatto riferimento a più riprese ai reati di natura ambientale. Il testo approvato dal Parlamento europeo impegna la Commissione a proporre standard giuridici comuni e modelli d'integrazione e cooperazione tra gli Stati membri e a presentare una proposta legislativa contenente una definizione comune di criminalità organizzata, che dovrebbe includere il reato associativo di stampo mafioso proprio in riferimento ai delitti ambientali.Pag. 63
  Nella stessa risoluzione, l'Europarlamento si esprime con decisione a favore della creazione di una procedura europea, in attuazione dell'articolo 86 del Trattato, proprio per lottare contro i reati che ledono gli interessi dell'Unione, i gravi reati di natura transfrontaliera e, in particolare, i reati ambientali. Come si vede, quindi, la necessità di una normativa in tal senso è riconosciuta unanimemente.
  Il testo oggi all'esame è sicuramente migliorato rispetto a quello licenziato in prima lettura un anno fa, ma mantiene – a nostro avviso – una serie di limiti. Alcune soluzioni potevano essere trovate in modo più efficace. Rimangono alcune lacune, come quella che ha impedito, tra l'altro, di introdurre il reato anche per il traffico illecito e i reati contro la fauna, che pure, rappresentano il 22 per cento dei reati ambientali. Come ci sono definizioni non adeguate, perché poco calzanti, limitate e imperfette.
  Si poteva fare un lavoro migliore e crediamo si sia persa un'occasione fondamentale per imprimere una svolta culturale più approfondita, più ampia e più moderna per la tutela dell'ambiente, perché le normative, le indicazioni, le direttive, le raccomandazioni che ci arrivano dal livello europeo sono certamente più avanzate rispetto alla normativa italiana. Certamente, si sarebbe potuto concretizzare un migliore coordinamento tra le norme del codice ambientale e il codice penale vigenti, in particolare in materia di definizione del rischio, del disastro ambientale in maniera più particolareggiata e di danno ambientale. Nonostante queste osservazioni, va detto che molto spesso il meglio è nemico del bene e che, oggi, per noi il bene primario resta l'approvazione senza ulteriore modifiche di questo provvedimento.
  Ricordo rapidamente che, con questa norma, stiamo inserendo nel codice penale italiano cinque ipotesi di reato che, certamente, contribuiranno a fare in modo che i disastri ambientali e gli inquinamenti possano essere meglio individuati e meglio perseguiti e, nei casi di accertata responsabilità, sia possibile arrivare a una condanna anche di natura penale. Le fattispecie sono quelle dell'inquinamento ambientale, del disastro ambientale, dei delitti colposi contro l'ambiente, il traffico di materiale ad alta radioattività e l'intervento in materia di controlli e di verifiche per gli impedimenti, che, spesso, vengono posti in essere da chi non vuole l'accertamento della verità non soltanto in materia di ambiente, ma anche a tutela nello specifico dei lavoratori che hanno avuto a che fare, ad esempio, con fibre killer o sostanze cancerogene genotossiche come l'amianto. Questi sono tutti aspetti positivi.
  Per questi delitti ambientali, in particolare il disastro, ma anche l'inquinamento, le pene previste consentono l'uso delle intercettazioni telefoniche e ambientali che, in determinate situazioni particolarmente complesse, risultano assolutamente fondamentali per risalire alla fitta rete di complicità che questi tipi di reati nascondono. Ma al di là degli aspetti di natura sostanziale, per noi resta fondamentale il messaggio che questo provvedimento può dare al Paese: un messaggio politico, sociale, di formazione per i giovani perché si sottolinea, in un'ottica costituzionale, la rilevanza dell'ambiente; un ambiente che ha a che fare non soltanto con l'acqua, con l'aria, con il suolo, ma con l'uomo, nella sua integrità e con tutti gli aspetti della persona umana.
  Con questo provvedimento diamo attuazione ai principi costituzionali fondamentali, quali quelli dell'articolo 9, secondo comma, a tutela del paesaggio e delle nostre bellezze, e quali quelli dell'articolo 42, secondo comma, della Costituzione, che qualcuno da tempo tenta di manomettere. Infatti, se è vero, in premessa, che l'iniziativa economica, anche quella privata, deve essere libera, certamente e sacrosantamente libera perché costituisce la struttura portante della nostra società, è anche vero che occorre ricordare proprio il secondo comma dell'articolo 41 e, cioè, che tutte le iniziative economiche non si possono svolgere in contrasto con l'utilità sociale, la dignità, la sicurezza e la libertà delle persone.Pag. 64
  Tutti i tentativi degli ultimi vent'anni di introdurre nel nostro codice penale un titolo rubricato come delitti contro l'ambiente si sono infranti davanti le ragioni di un'economia malata, oltre che di lobby sempre molto attive, che hanno ogni volta impedito di arrivare all'approvazione di una normativa in tal senso. E noi sappiamo quanto il Presidente del Consiglio sia incline all'ascolto attento delle diverse lobby, che spesso, scrivono emendamenti ed articoli, da infilare qui e là durante i diversi passaggi parlamentari di una legge, per poi magari farli saltare quando è utile ! Com’è stato per il provvedimento «sblocca Italia» che le cronache giudiziarie dell'inchiesta di Firenze, ci raccontano scritta per buona parte sotto dettatura di chi dal sistema delle grandi opere traeva benefici.
  La legge sugli ecoreati sarebbe la prima pietra per una risposta compatta di questo Parlamento ai crimini ambientali che in questo Paese da troppo tempo restano impuniti e per questo va approvata rapidamente senza più esitazioni.
  Signor Presidente, nel concludere questo mio intervento, voglio ricordare e rendere deferente omaggio, ad un anno dalla sua scomparsa, anche a nome di tutta la Camera e di Sinistra Ecologia Libertà, a Roberto Mancini, il poliziotto romano ucciso da un tumore contratto durante le sue lunghe ispezioni e sopralluoghi effettuati su rifiuti e discariche nella Terra dei Fuochi (Applausi). Nel 1997 il vice commissario Mancini entra nel pool di consulenti della Commissione bicamerale d'indagine sul ciclo dei rifiuti. Per mesi visita le discariche abusive italiane, scende nelle miniere tedesche dove erano stoccati migliaia di bidoni tossici. Quella Commissione per la prima volta ricostruirà la mappa delle holding dei rifiuti, mettendo nero su bianco gli intrecci societari e gli accordi di cartello. Nonostante la sua testardaggine e la sua indefessa attività ispettiva, le 250 pagine d'informativa da lui redatte, sono rimaste per troppo tempo negli archivi, senza uno sviluppo giudiziario. Solo nel 2010 la Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha ripreso le sue indagini, che sono diventate una delle colonne portanti del processo per disastro ambientale contro il clan dei Casalesi. La stessa testardaggine e lo stesso attaccamento al senso del dovere, che non lo hanno fermato nemmeno davanti alla terribile malattia che lo aveva colpito e che poi lo ha portato via il 30 aprile del 2014: un tumore ai linfonodi.
  Oggi, nell'approvare questo provvedimento senza ulteriori e insensati rinvii, il Parlamento italiano darebbe il giusto e sacrosanto riconoscimento a un servitore delle Stato, forse anche più di quello di vittima del dovere, che giustamente il Ministro dell'Interno gli ha conferito il 15 gennaio di quest'anno (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del governo, torna all'esame della Camera, dopo le modifiche apportate dal Senato, la proposta di legge Realacci, già approvata da questo ramo del Parlamento, che introduce nel codice penale nuovi articoli relativi ai delitti contro l'ambiente, articoli che vengono raggruppati nel nuovo titolo VI-bis del libro secondo del codice penale.
  La posizione del gruppo di Forza Italia su questa proposta di legge è stata più volte evidenziata nei due rami del Parlamento dai miei colleghi ed è di contrarietà non certo sui fini che ovviamente tutti condividiamo, ma sui mezzi con cui si intende perseguire questo pur apprezzabile intento.
  Qualsiasi persona dotata di buon senso desidera una maggiore tutela dell'ambiente, in tutte le sue articolazioni: aria, suolo, acque falde acquifere comprese. Tutti vogliamo vivere in un ambiente migliore e più salutare, ma per fare questo non si possono introdurre norme confuse a volte inutilmente dure e non coerenti con la struttura delle pene per delitti similari ed equiparabili ai delitti contro l'ambiente, che la proposta di legge al nostro esame intende varare.Pag. 65
  Lo stato non adeguato dell'ambiente nei suoi vari aspetti che si riscontra in vaste aree del Paese non dipende principalmente da insufficienze del quadro normativo in materia penale e amministrativa. Nel nostro ordinamento sono già presenti largamente anche sotto forma di sanzioni penali norme significative a tutela della salubrità dell'ambiente. I problemi sorgono soprattutto da carenze a livello amministrativo e dall'insufficienza dei controlli che dovrebbero effettuare le varie amministrazioni competenti.
  Il vero punto dolente sono proprio i pochi controlli, che vengono effettuati sporadicamente e tardivamente e spesso solo dopo la denuncia dei cittadini.
  I controlli dovrebbero invece essere sistematici e per quanto possibile preventivi, al fine di prevenire per quanto umanamente possibile le varie forme d'inquinamento dell'aria, del suolo e delle acque sia dei bacini fluviali e lacustri, sia marine.
L'esperienza di ognuno di noi dimostra come i controlli degli organi pubblici competenti siano del tutto insufficienti e in alcuni casi del tutto assenti. Ma a queste carenze, chiaramente amministrative, non si può certo porre rimedio con «grida manzoniane» come sembrano essere le draconiane norme penali introdotte dall'iniziativa legislativa di cui oggi si discute in Aula.
  Quello che è invece necessario ed oltremodo urgente è che tutte le amministrazioni pubbliche che hanno competenze in materia ambientale svolgano con maggiore diligenza e tempestività i loro compiti, che data la delicatezza della materia che coinvolge la tutela della salute nostra e dei nostri figli non possono essere trascurati o peggio fatti cadere nel dimenticatoio, con purtroppo spesso avviene.
  È paradossale poi che, dietro questi gravi comportamenti omissivi, non vi sia, nella massima parte dei casi, alcun disegno criminoso, ma semplice lassismo e sciatteria. In altri termini non bisogna aspettare le denunce penali e il conseguente intervento della magistratura prima di intervenire contro gli inquinatori. La troppo frequente opera di supplenza della magistratura indica chiaramente le insufficienze della pubblica amministrazione.
  Di chi è la colpa se tanti, troppi depuratori degli scarichi sia nelle acque interne sia in quelle marine non funzionano come dovrebbero ? Non certo della carenza di leggi o regolamenti, ma di difetti di progettazione e realizzazione degli impianti di depurazione e soprattutto, nella maggior parte dei casi, di carente gestione e manutenzione degli impianti, che sono strutture complesse e delicate che non possono essere abbandonate a se stesse, come spesso avviene, dagli enti locali una volta che ne sia stata completata la realizzazione con impiego cospicuo del denaro dei contribuenti.
  Tutto ciò premesso, consideriamo da vicino il provvedimento al nostro esame, la cui caratteristica più evidente è che risponde a una logica emergenziale che, nella maggior parte dei casi, non è buona consigliera e non porta a varare buone leggi. Siamo, come avviene sempre più spesso in questi ultimi anni, a una deriva giustizialista, perché, di fronte a problemi specifici anche gravi come l'inquinamento terribile della cosiddetta Terra dei fuochi, invece di promuovere indagini sulle cause di questi gravi fatti e sulle responsabilità di chi ha omesso controlli e conseguenti interventi repressivi, si introducono leggi draconiane che prevedono pene fino a 15 o 20 anni di reclusione.
  Noi possiamo anche condividere l'introduzione di nuovi reati ambientali quali: l'inquinamento ambientale, il disastro ambientale, il traffico e l'abbandono di materiale ad alta radioattività e l'impedimento al controllo, ma le pene introdotte sono troppo alte e non in linea con le pene già previste per reati analoghi o comunque paragonabili per il danno e l'allarme sociale che provocano.
  Le norme contenute nel testo unificato di queste proposte di legge, di carattere chiaramente emergenziale, come ho già ricordato, si pongono, inoltre, chiaramente, contro il secondo comma dell'articolo 25 della Costituzione che recita testualmente: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata Pag. 66in vigore prima del fatto commesso». Infatti, l'insieme degli articoli che si intende introdurre nel codice penale, per come sono strutturati, non garantiscono affatto il rispetto di questo fondamentale principio costituzionale per cui esiste il rischio concreto che un cittadino possa essere perseguito per un reato commesso prima dell'entrata in vigore della legge al nostro esame, con conseguente violazione del principio di civiltà giuridica della irretroattività della legge penale. Anche i meccanismi premiali sono strutturati in modo illogico e non prevedono benefici adeguati per quei cittadini che sono disposti a provvedere alla bonifica dei luoghi da loro inquinati.
  Come già ricordato, noi condividiamo certamente l'obiettivo di fondo di questo provvedimento e cioè la tutela rafforzata dell'ambiente anche per rispondere concretamente ai tanti episodi deprecabili che si sono ripetuti nel tempo ai danni dell'ambiente complessivamente inteso e, quindi, a danno della nostra salute, ma non ne condividiamo affatto gli strumenti utilizzati per raggiungere tale obiettivo. Siamo di fronte a un provvedimento rozzo, mal fatto, di dubbia costituzionalità e con norme penali eccessivamente generiche che, in quanto tali, non ottengono deterrenza e non fanno crescere la cultura della legalità. Inoltre, le pene troppo alte se non percepite come eque non hanno un reale effetto di deterrenza, ma servono solo a soddisfare i giustizialisti. Anche l'eccessiva discrezionalità, specie di interpretazione, che le norme di questo provvedimento attribuiscono al giudice, è lesiva di garanzie fondamentali per i cittadini e questo, dal nostro punto di vista, non può essere positivo.
  Per tutte queste ragioni e non certo perché non siamo sensibili nei confronti dell'esigenza di una rafforzata tutela dell'ambiente, diamo una valutazione negativa sul testo unificato delle proposte di legge contenenti disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piso. Ne ha facoltà.

  VINCENZO PISO. Grazie Presidente, i reati ambientali sono stati fino a oggi un pericolo astratto, in genere collegato al superamento di valori soglia e aventi perlopiù carattere contravvenzionale. Il provvedimento in questione contiene un'innovazione significativa, consistente, appunto, nell'abbandono del modello del reato contravvenzionale, introducendo quello del delitto evento, del delitto di danno al bene ambiente.
  Il testo che ci accingiamo ad approvare ha superato questa previsione limitata e insufficiente, introducendo nuove fattispecie di reato: inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo. Sono stati sollevati dubbi e perplessità, direi in parte anche legittimi, sulla reale necessità di introdurre nell'ordinamento nuove fattispecie di reato, producendo, speriamo di no, una ridondanza in questo senso, soprattutto trattandosi di condotte non tipizzate e da alcuni definite generiche.
  Riteniamo di avere ottenuto, in questo caso, il sufficiente grado di certezza richiesto nel diritto penale individuando la necessità di un danno effettivo come elemento caratterizzante di questi reati.
  L'esame delle Commissioni riunite nel tempo ha tenuto peraltro conto delle risultanze di un intenso ciclo di audizioni che hanno permesso di apportare delle migliorie al testo oggi in discussione. Ad esempio, sia con riferimento al delitto di inquinamento, articolo 452-bis del codice penale che a quello di disastro ambientale, articolo 452-ter, è stata eliminata la condizione per la quale, per poter configurare i reati, occorreva la previa violazione da parte dell'inquinatore di norme penali o amministrative specificamente poste a tutela dell'ambiente; il nuovo testo prevede come necessario e sufficiente che l'autore del fatto abbia agito «abusivamente».
  Tra le novità, anche l'inserimento di alcune aggravanti per l'inquinamento ambientale: nel caso in cui dal reato dovessero derivare dalle lesioni personali fino Pag. 67alla morte di una o più persone, le pene comminate potranno triplicare fino ad un massimo di venti anni.
  Rispetto al testo precedentemente approvato dalla Camera è stata aumentata anche la riduzione di pena prevista per i reati di inquinamento e disastro ambientale se questi sono commessi per colpa – anziché per dolo – passata da una diminuzione da un terzo alla metà a una diminuzione da un terzo a due terzi.
  Una ulteriore misura di contemperamento riguarda la misura della confisca, la cui applicabilità effettivamente era troppo estesa, prevedendosi anche per danno ambientale colposo. La disposizione introdotta prevede che l'istituto della confisca non trova applicazione nell'ipotesi in cui l'imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi.
  Per cui riteniamo questa legge un provvedimento equilibrato di cui si sentiva per certi versi sicuramente la necessità e che speriamo di fronte all'impatto con la realtà che si premura di andare ad ordinare trovi un riscontro positivo.
  Se questi sono alcuni degli aspetti positivi di questo provvedimenti, a mio modo di vedere in altri casi si sono introdotti elementi di disturbo negativi rispetto alla positività complessiva di questo provvedimento. Faccio specifico riferimento al reato poc'anzi ricordato più o meno da tutti i colleghi: il reato relativo all’air gun. Il Senato ha accolto, contro il parere del Governo, un emendamento che introduce l'articolo 452-quaterdecies del codice penale che punisce con la pena della reclusione da uno a tre anni «chiunque, per le attività di ricerca e di ispezione dei fondali marini, finalizzati alla coltivazione di idrocarburi, utilizza la tecnica dell'air gun, o altre tecniche esplosive». Su questa tecnica non sono insorte soltanto le aziende che si muovono nell'ambito della ricerca degli idrocarburi, come qualcuno ha ricordato, ma anche istituzioni scientifiche di un qualche rilievo, pensiamo ad esempio al CNR. Oltretutto, il voler penalizzare per l'utilizzo di questa tecnica soltanto aziende che si muovono in determinati ambiti a nostro modo di vedere introduce una discrasia che, credo, verrà accolta dalle aziende in questione con il rischio di produrre un contenzioso piuttosto sostenuto. Speriamo che nel frattempo si riesca a porre rimedio a questa situazione non certo esaltante. La norma penalizza fortemente l'attività di esplorazione e produzione petrolifera e rischia di determinare la chiusura delle attività upstream a mare (investimenti previsti, o già partiti, in impianti e servizi per oltre 10 miliardi), oltre a tagliare fuori filoni di ricerca nei quali sono attivi numerosi enti.
  Si tratta di una misura in contrasto con quanto avviene in quasi la totalità del resto del mondo, che considera l’air gun una best practice e l'acquisizione sismica dei dati una tecnica indispensabile per la conoscenza del sottosuolo. Dagli Stati Uniti fino all'Europa – lo ribadiamo – questa tecnica è ammessa e viene utilizzata – come dicevo poc'anzi – non solo per finalità legate al profitto, ma anche per attività di carattere scientifico.
  Non potendosi modificare la norma qui alla Camera, per i motivi che poc'anzi i colleghi hanno ricordato – ovvero la necessità di dare a questo provvedimento una velocità di cui si sente il bisogno e, peraltro, che ci viene anche richiesta dall'Europa – Area Popolare preannuncia la presentazione di un ordine del giorno, volto a superare questo problema e a restituire la necessaria capacità di stare sul mercato delle imprese estrattive con sede sul territorio nazionale.
  In conclusione, questo provvedimento costituisce un passo in avanti, doveroso e necessario – e crediamo sinceramente in questo – nel cammino verso un progressivo e sempre più profondo riconoscimento del valore e del significato dei beni ambientali e della loro adeguata protezione e tutela, che si inserisce nel quadro normativo europeo e che è fondamentale nella lotta alla criminalità ambientale, anche assicurando adeguati strumenti e nella speranza che si riesca a porre rimedio a quelle discrasie che hanno prodotto elementi Pag. 68di negatività all'interno di un provvedimento altrimenti sicuramente positivo.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Stella Bianchi. Ne ha facoltà.

  STELLA BIANCHI. Signor Presidente, colleghi, abbiamo oggi di nuovo all'esame della Camera un provvedimento molto importante. Inizio con due date che sono, secondo me, molto significative. Abbiamo approvato questo provvedimento alla Camera, in prima lettura, il 26 febbraio 2014 e il Senato lo ha approvato in seconda lettura il 4 marzo 2015. Se stavamo cercando un esempio per poter motivare tutto l'impegno che mettiamo nelle riforme costituzionali e nel superamento del bicameralismo perfetto, ce lo abbiamo esattamente davanti ai nostri occhi, tanto più che si tratta, in questo caso, di un provvedimento d'iniziativa parlamentare che ha una sostanziale e piena condivisione da parte delle diverse forze politiche presenti in Parlamento.
   Come già ha ben spiegato il relatore per la maggioranza Bazoli, questo testo unificato introduce un nuovo titolo nel codice penale, che riguarda i delitti contro l'ambiente; in particolare, introduce come delitti finalmente l'inquinamento ambientale, il disastro ambientale, il traffico e l'abbandono di materiale ad alta radioattività, l'impedimento del controllo, l'omessa bonifica e l'ispezione dei fondali marini.
  Il testo del provvedimento è rimasto sostanzialmente invariato al Senato – motivo forse per cui tutto quel tempo poteva essere speso in maniera diversa –, per cui ci sono ancora norme molto importanti, come quella dell'obbligo per il condannato del recupero e, ove possibile, del ripristino dello stato dei luoghi e il raddoppio dei tempi della prescrizione, sul quale poi spenderò qualche altra parola, la previsione della confisca come pena accessoria, della confisca per equivalente che ha ben illustrato il collega Bratti.
  Ci sono state, però, tre modifiche in particolare che vorrei sottolineare, introdotte nei lavori del Senato. Una è l'introduzione, nella fattispecie del delitto per inquinamento ambientale, dell'aggravante per morte o lesioni, come conseguenza non voluta del delitto di inquinamento ambientale, che ovviamente è purtroppo particolarmente significativa, visto quanto le cronache ci documentano riguardo a ciò che l'utilizzo di tecniche industriali, non ispirate ai principi di precauzione, ha prodotto in termini di danni alla salute e all'ambiente e riguardo a ciò che la cattiva gestione di discariche, per usare un eufemismo, sta producendo in termini di infiltrazioni nelle falde acquifere e, quindi, di avvelenamento di intere zone. Questo è il caso che ci veniva ricordato, ad esempio, di Bussi sul Tirino, in provincia di Pescara, ma di moltissimi altri casi in tutta Italia.
  Altro elemento importante introdotto al Senato è stata questa eliminazione della previsione di una violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative specifiche poste a tutela dell'ambiente. È una previsione importante perché, evidentemente, non potevamo immaginare di limitare la portata della fattispecie delittuosa soltanto al caso in cui già una legge o una disposizione amministrativa o regolamentare avessero vietato quel tipo di comportamento, ma così, appunto, la previsione è molto più generale e, quindi, molto più efficace.
  Infine, l'ultimo elemento che sottolineo è la previsione dell'obbligo di informazione, da parte del pubblico ministero che conduce le inchieste, al procuratore nazionale antimafia. Questo elemento, secondo noi, è molto importante, perché consente un coordinamento di tutte le indagini e le inchieste che sono avviate sul fenomeno delle ecomafie. Inoltre, vi è l'obbligo di informativa da parte del PM anche all'Agenzia delle entrate e questo è un elemento importante perché molto spesso lo sversamento di rifiuti industriali, in particolare, è legato al fatto che moltissime imprese operano in nero e, quindi, non possono in nessun modo accedere a canali legali e regolari di smaltimento, ma sono in qualche misura costrette, dallo stesso loro operare in violazione di norme, a continuare a violare norme, in questo Pag. 69caso norme di carattere ambientale e di tutela della salute pubblica. Quindi, è importante che ci sia una comunicazione anche all'Agenzia delle entrate in caso di rilevazione di inchieste avviate per delitti contro l'ambiente.
  Ogni anno vengono accertati 30 mila reati contro l'ambiente, quasi 4 ogni ora. Il giro d'affari stimato dagli ultimi rapporti sulle economafie redatti da Legambiente ci restituisce un quadro con un fatturato di 16,7 miliardi l'anno. Questo tanto per darci un'idea dell'importanza di norme di questo tipo, che qualcuno ha voluto definire emergenziali ma, diciamo, sono emergenziali se consideriamo questo termine applicato a tutte le regioni d'Italia, praticamente ad ogni area del Paese, per fenomeni che si protraggono da decine e decine di anni.
  L'elenco dei processi che non arrivano a compimento per termini di prescrizione raggiunti e che, invece, avrebbero molto probabilmente sorte diversa, sorte migliore per chiunque abbia a cuore la giustizia e la tutela dell'ambiente e della salute, è molto lungo. L'esempio più evidente a tutti noi è quello dell'Eternit, ma poi potremmo citare la bonifica di Santa Giulia, nella periferia est di Milano, potremmo citare l'inchiesta «Cassiopea», che ha riguardato il traffico di rifiuti nelle zone della Campania, nella Terra dei fuochi, il caso del petrolchimico di Brindisi, l'inchiesta «Mar Rosso», quando improvvisamente il comune di Priolo si è trovato con le acque prospicienti che erano diventate rosse per il mercurio, probabilmente a causa degli sversamenti dei petrolchimici della zona e anche quello è un reato che si è prescritto o, ancora, il caso della Tamoil a Cremona e il caso delle discariche in provincia di La Spezia. Questo per dire dell'importanza di questa norma su situazioni che riguardano fattispecie diverse, o di carattere industriale o di cattiva gestione dei rifiuti, criminale gestione dei rifiuti, e che riguardano tutte le aree del Paese.
  L'elemento importante è proprio il passaggio da una contravvenzione a un delitto. Come componenti della Commissione bicamerale sulle ecomafie abbiamo avuto modo, in diverse audizioni, di ascoltare molte procure che sono impegnate su questo fronte in diverse aree del Paese e proprio questo ci veniva illustrato. Esattamente mentre i sostituti procuratori o il procuratore ci illustravano l'andamento delle indagini che avevano in corso, le inchieste che avevano avviato, l'andamento del loro lavoro, subito dopo ci avvertivano del fatto che lo scadere dei termini era molto prossimo, che gli strumenti di indagine che avevano a disposizione erano molto limitati, che non potevano accedere ad alcuni strumenti nell'attività di indagine che, invece, sarebbero stati a loro disposizione nel caso si fosse trattato di poter indagare su un delitto e non su una contravvenzione. È proprio questo l'elemento che rende così importante l'approvazione di questo testo unificato delle proposte di legge nei tempi più rapidi possibili: per assicurare giustizia e per essere un deterrente efficace, il più possibile, contro comportamenti criminali.
  Quindi, concludo il mio intervento, Presidente, ricordando, appunto, la necessità che questo provvedimento possa essere al più presto tramutato in legge. Lo dobbiamo davvero alla memoria dei tantissimi che hanno sofferto di inquinamento ambientale e al rispetto che vogliamo per noi stessi e per le generazioni future (Applausi).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 342-B ed abbinate)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, per un minuto, il relatore di minoranza Micillo.

  SALVATORE MICILLO, Relatore di minoranza. Presidente, non intendo replicare.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, per un minuto, il relatore per la maggioranza Bazoli.

Pag. 70

  ALFREDO BAZOLI, Relatore per la maggioranza. Presidente, solo un minuto per rammaricarmi e dolermi della dichiarazione che ha fatto il collega di Forza Italia, l'onorevole Palese, perché ricordo che, in quest'Aula, poco più di un anno fa, Forza Italia si astenne su questo testo di legge, che è rimasto sostanzialmente inalterato rispetto al passaggio al Senato. La stroncatura che ho sentito fare dal collega Palese non mi pare giustificata da un cambiamento intervenuto nel frattempo; quindi, credo che sia incomprensibile questo improvviso cambio di rotta e mi dispiace, perché credo che il lavoro che abbiamo fatto fosse, invece, meritevole di un apprezzamento ancora e anche in questo momento.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia ad intervenire in sede di replica.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della Relazione in materia di formazione delle liste delle candidature per le elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (Doc. XXIII, n. 3) (ore 16,10).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione in materia di formazione delle liste delle candidature per le elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (Doc. XXIII, n. 3).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Ricordo che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione – Doc. XXIII, n. 3)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
  Ha facoltà di intervenire l'onorevole Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, che ha svolto anche le funzioni di relatrice in Commissione.

Testo sostituito con errata corrige volante   ROSY BINDI, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Grazie, Presidente. Illustro la relazione che la Commissione antimafia ha approvato all'unanimità, relazione con la quale si presenta alle forze politiche, soprattutto, un codice di autoregolamentazione per la formazione delle liste elettorali a tutti i livelli. In ottemperanza a quanto prevede la legge istitutiva del 19 luglio 2013, spetta alla Commissione il compito di indagare sul rapporto tra mafia e politica sia riguardo alla sua articolazione nel territorio e negli organi amministrativi, con particolare riferimento alla selezione dei gruppi dirigenti e alle candidature per le assemblee elettive, anche seguendo un comportamento delle Commissioni precedenti, che, già a partire dalla X legislatura, presidenza Chiaromonte, XV legislatura, presidenza Forgione, e XVI legislatura, presidenza Pisanu, avevano adottato simili codici di autoregolamentazione per la formazione delle liste elettorali.
  Un codice di autoregolamentazione, appunto, che impegna i partiti, le formazioni politiche, i movimenti e le liste civiche all'atto della designazione dei candidati alle elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali, nonché per la designazione di organi rappresentativi e di amministrazione di enti pubblici, del consiglio di amministrazione dei consorzi, del consiglio e delle giunte delle unioni dei comuni, consiglieri e presidenti delle aziende speciali.
  Come codice di autoregolamentazione, naturalmente, non prevede sanzioni per Pag. 71chi non lo applichi, ma è sicuramente un invito ad una selezione della classe dirigente che sia attenta e scrupolosa, soprattutto per un rafforzamento della lotta alle mafie. Non si può ignorare il fatto che, nel frattempo, nel 2012, è stato emanato un decreto legislativo recante il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190, la cosiddetta legge Severino.
  La Commissione, che ho l'onore di presiedere, ha inteso ritornare sull'argomento, a partire dallo scorso settembre, alla vigilia di una tornata di elezioni in alcune regioni e in un numero consistente di amministrazioni locali, soprattutto comuni.
  Il criterio che ci ha ispirati è un criterio che, innanzitutto, amplia il novero delle fattispecie considerate ostative alla candidatura a qualsiasi carica elettiva pubblica, per esempio è stato esteso ai reati più rilevanti contro la pubblica amministrazione. Altresì, il codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione antimafia conferma la necessità di anticipare il livello di attenzione alla fase del decreto che dispone il giudizio o della citazione diretta a giudizio, cioè il rinvio a giudizio, e si prevede, altresì, l'applicazione per chi abbia richiesto qualunque forma di patteggiamento.
  Altra caratteristica è quella che anticipa la fase di incandidabilità all'emanazione del decreto di applicazione di qualunque misura personale o patrimoniale.
  Altra novità contenuta nel codice di autoregolamentazione, approvato dalla Commissione, è l'incandidabilità in ogni competizione elettorale, quanto meno per una tornata elettorale, di coloro che hanno ricoperto la carica di sindaco, di componente delle rispettive giunte, in comuni o consigli provinciali sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare, anche se non si è addivenuti ad una sentenza che chiama in causa responsabilità di tipo personale. La Commissione intende svolgere una verifica sull'applicazione non solo del presente codice di autoregolamentazione, ma anche della «legge Severino», sottolineando che non appare semplice, soprattutto per la carenza di informazioni, per la carenza di un unico casellario giudiziario e per un intervento spesso con funzioni di annullamento da parte dei tribunali amministrativi regionali.
  Ciò che però vogliamo sottolineare è il fatto che questo codice si applica innanzitutto ai membri della Commissione. Come tutti sanno, la Commissione antimafia si forma su designazione da parte dei Presidenti delle Camere, ma per entrare a far parte della Commissione, per la legge istitutiva della Commissione stessa, è necessario come requisito essere in regola almeno con il codice di autoregolamentazione. In questo senso ho provveduto ad invitare tutti i membri facenti parte dell'attuale Commissione a dichiarare presso i Presidenti di Camera e Senato, cioè al Presidente della Camera di riferimento, di essere in regola con il presente codice; naturalmente vi ho provveduto per prima. Siamo in attesa di questa verifica, perché nel momento in cui la Commissione propone alle forze politiche un codice di autoregolamentazione, sarebbe davvero singolare che i componenti della stessa Commissione non fossero in regola con lo stesso codice. Questo, d'altra parte, è quanto previsto dalla nostra legge istitutiva.
  Intendo, altresì, sottolineare un fatto, che è quello che forse ci sta più a cuore e che emerge con molta chiarezza dal dibattito che vi è stato all'interno della Commissione. Come dicevo, questo è un codice di autoregolamentazione che non prevede sanzioni, è un invito alle forze politiche a selezionare la propria classe dirigente, precedendo la stessa normativa della legge, in particolare della «legge Severino».
  Infatti, se vogliamo davvero condurre una lotta con coraggio contro i poteri mafiosi, è quanto mai necessario, soprattutto dopo l'introduzione del reato di voto di scambio, presentare ed avere in carica Pag. 72una classe dirigente a tutti i livelli che non sia neanche minimamente sospettata di comportamenti, non solo riferibili immediatamente ad alcuni reati di mafia o all'aggravante dell'articolo 7, ma insospettabile anche nei confronti di quei reati spia, che sono diventati le nuove armi della mafia per condizionare soprattutto la vita economica del nostro Paese.
  È, tuttavia, un codice che, come la legge Severino – la quale, d'altra parte, credo non potrebbe avere che quel criterio, ma così potrebbe non valere per il codice di auto-comportamento – ha un limite, Presidente, quello che le regole, per le candidature e per potere ricoprire degli incarichi a tutti i livelli, fanno comunque riferimento a provvedimenti dell'autorità giudiziaria. È comunque questa una debolezza della politica.
  Non si tratta qui di invocare il garantismo, che è un valore fondante la nostra vita democratica e, come tale, riteniamo non possa essere invocato, anche quando dettiamo delle norme che sono sicuramente più rigorose e più rigide della stessa legge in vigore. Non può essere invocato, proprio perché è un invito alle forze politiche a selezionare la propria classe dirigente e con una particolare attenzione. Infatti non esisterebbero le mafie, se non vi fosse una forma di collaborazione o di acquiescenza da parte del potere politico o dei poteri amministrativi, comunque riconducibili al controllo del potere politico. Tuttavia, anche noi in questo codice facciamo riferimento ad atti della magistratura. La Commissione ha iniziato un lavoro sul rapporto tra mafia e politica, un'inchiesta, fra i quali risultati si vorrebbe addivenire anche alla formazione di un codice di comportamento politico, che non necessariamente facesse riferimento ad atti della magistratura. La politica deve dotarsi di regole che precedono in qualche modo l'azione in sede giudiziaria.
  In questo senso va segnalato come particolarmente importante un codice approvato da «A viso pubblico», che è un'associazione di amministratori, i quali hanno sottoscritto la cosiddetta Carta di Pisa, dove il riferimento ai codici di comportamento non sono soltanto gli atti giudiziari. Io credo che quello sia un passo avanti estremamente significativo, che auspichiamo e ci auguriamo davvero possa condurre anche la nostra Commissione a muoversi su quel percorso.
  Nel frattempo – come sempre stiamo facendo in questa legislatura – intendiamo trasformare in provvedimenti d'iniziativa normativa alcuni dei contenuti di questa relazione. In particolare faccio riferimento ad un disegno di legge d'iniziativa del Governo, che è all'esame del Senato, che riguarda proprio lo scioglimento delle amministrazioni comunali per infiltrazioni mafiose. Intendiamo come Commissione accompagnare quel provvedimento e, magari, trasformare in norma di legge quanto è contenuto in questo codice di comportamento, ovvero la previsione che tutti coloro che hanno ricoperto ruoli di amministrazione, da sindaco a componente della giunta, di comuni che sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose non possano ripresentarsi alle elezioni comunali e non possano partecipare a nessun'altra competizione elettorale almeno per una tornata elettiva, a prescindere da provvedimenti giudiziari che riguardino la loro persona.
  Tutto questo perché noi sappiamo bene che lo scioglimento per infiltrazioni mafiose di un'amministrazione comunale è sempre un atto molto grave, che influisce seriamente nella vita di una comunità. Ma soprattutto è molto grave che, dopo il periodo di commissariamento, si possa verificare la rielezione delle stesse persone che sono state responsabili di una fase nella quale i poteri mafiosi, in qualche modo, si sono impossessati dell'amministrazione.
  Noi offriamo questo nostro lavoro all'Assemblea. Non presenteremo – almeno questa è l'intenzione della presidenza e del relatore –, come abbiamo sempre fatto le volte precedenti, una risoluzione in Assemblea, perché riteniamo che un'Assemblea non possa esprimersi su un codice etico.
  Ho terminato il tempo. La ringrazio, Presidente, ma mi auguro davvero che Pag. 73quanto è contenuto in questo nostro lavoro possa aiutare, anche in vista delle prossime elezioni, le forze politiche a presentare al Paese una classe dirigente limpida, trasparente e capace davvero con coraggio, senza magari la necessità di ricorrere ad atti di eroismo, ma semplicemente compiendo il proprio dovere, di contrastare la presenza delle mafie, che con sempre più forza si infiltrano proprio nelle amministrazioni locali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
  ROSY BINDI, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Grazie, Presidente. Illustro la relazione che la Commissione antimafia ha approvato all'unanimità, relazione con la quale si presenta alle forze politiche, soprattutto, un codice di autoregolamentazione per la formazione delle liste elettorali a tutti i livelli. In ottemperanza a quanto prevede la legge istitutiva del 19 luglio 2013, spetta alla Commissione il compito di indagare sul rapporto tra mafia e politica sia riguardo alla sua articolazione nel territorio e negli organi amministrativi, con particolare riferimento alla selezione dei gruppi dirigenti e alle candidature per le assemblee elettive, anche seguendo un comportamento delle Commissioni precedenti, che, già a partire dalla X legislatura, presidenza Chiaromonte, XV legislatura, presidenza Forgione, e XVI legislatura, presidenza Pisanu, avevano adottato simili codici di autoregolamentazione per la formazione delle liste elettorali.
  Un codice di autoregolamentazione, appunto, che impegna i partiti, le formazioni politiche, i movimenti e le liste civiche all'atto della designazione dei candidati alle elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali, nonché per la designazione di organi rappresentativi e di amministrazione di enti pubblici, del consiglio di amministrazione dei consorzi, del consiglio e delle giunte delle unioni dei comuni, consiglieri e presidenti delle aziende speciali.
  Come codice di autoregolamentazione, naturalmente, non prevede sanzioni per Pag. 71chi non lo applichi, ma è sicuramente un invito ad una selezione della classe dirigente che sia attenta e scrupolosa, soprattutto per un rafforzamento della lotta alle mafie. Non si può ignorare il fatto che, nel frattempo, nel 2012, è stato emanato un decreto legislativo recante il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190, la cosiddetta legge Severino.
  La Commissione, che ho l'onore di presiedere, ha inteso ritornare sull'argomento, a partire dallo scorso settembre, alla vigilia di una tornata di elezioni in alcune regioni e in un numero consistente di amministrazioni locali, soprattutto comuni.
  Il criterio che ci ha ispirati è un criterio che, innanzitutto, amplia il novero delle fattispecie considerate ostative alla candidatura a qualsiasi carica elettiva pubblica, per esempio è stato esteso ai reati più rilevanti contro la pubblica amministrazione. Altresì, il codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione antimafia conferma la necessità di anticipare il livello di attenzione alla fase del decreto che dispone il giudizio o della citazione diretta a giudizio, cioè il rinvio a giudizio, e si prevede, altresì, l'applicazione per chi abbia richiesto qualunque forma di patteggiamento.
  Altra caratteristica è quella che anticipa la fase di incandidabilità all'emanazione del decreto di applicazione di qualunque misura personale o patrimoniale.
  Altra novità contenuta nel codice di autoregolamentazione, approvato dalla Commissione, è l'incandidabilità in ogni competizione elettorale, quanto meno per una tornata elettorale, di coloro che hanno ricoperto la carica di sindaco, di componente delle rispettive giunte, in comuni o consigli provinciali sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare, anche se non si è addivenuti ad una sentenza che chiama in causa responsabilità di tipo personale. La Commissione intende svolgere una verifica sull'applicazione non solo del presente codice di autoregolamentazione, ma anche della «legge Severino», sottolineando che non appare semplice, soprattutto per la carenza di informazioni, per la carenza di un unico casellario giudiziario e per un intervento spesso con funzioni di annullamento da parte dei tribunali amministrativi regionali.
  Ciò che però vogliamo sottolineare è il fatto che questo codice si applica innanzitutto ai membri della Commissione. Come tutti sanno, la Commissione antimafia si forma su designazione da parte dei Presidenti delle Camere, ma per entrare a far parte della Commissione, per la legge istitutiva della Commissione stessa, è necessario come requisito essere in regola almeno con il codice di autoregolamentazione. In questo senso ho provveduto ad invitare tutti i membri facenti parte dell'attuale Commissione a dichiarare presso i Presidenti di Camera e Senato, cioè al Presidente della Camera di riferimento, di essere in regola con il presente codice; naturalmente vi ho provveduto per prima. Siamo in attesa di questa verifica, perché nel momento in cui la Commissione propone alle forze politiche un codice di autoregolamentazione, sarebbe davvero singolare che i componenti della stessa Commissione non fossero in regola con lo stesso codice. Questo, d'altra parte, è quanto previsto dalla nostra legge istitutiva.
  Intendo, altresì, sottolineare un fatto, che è quello che forse ci sta più a cuore e che emerge con molta chiarezza dal dibattito che vi è stato all'interno della Commissione. Come dicevo, questo è un codice di autoregolamentazione che non prevede sanzioni, è un invito alle forze politiche a selezionare la propria classe dirigente, precedendo la stessa normativa della legge, in particolare della «legge Severino».
  Infatti, se vogliamo davvero condurre una lotta con coraggio contro i poteri mafiosi, è quanto mai necessario, soprattutto dopo l'introduzione del reato di voto di scambio, presentare ed avere in carica Pag. 72una classe dirigente a tutti i livelli che non sia neanche minimamente sospettata di comportamenti, non solo riferibili immediatamente ad alcuni reati di mafia o all'aggravante dell'articolo 7, ma insospettabile anche nei confronti di quei reati spia, che sono diventati le nuove armi della mafia per condizionare soprattutto la vita economica del nostro Paese.
  È, tuttavia, un codice che, come la legge Severino – la quale, d'altra parte, credo non potrebbe avere che quel criterio, ma così potrebbe non valere per il codice di auto-comportamento – ha un limite, Presidente, quello che le regole, per le candidature e per potere ricoprire degli incarichi a tutti i livelli, fanno comunque riferimento a provvedimenti dell'autorità giudiziaria. È comunque questa una debolezza della politica.
  Non si tratta qui di invocare il garantismo, che è un valore fondante la nostra vita democratica e, come tale, riteniamo non possa essere invocato, anche quando dettiamo delle norme che sono sicuramente più rigorose e più rigide della stessa legge in vigore. Non può essere invocato, proprio perché è un invito alle forze politiche a selezionare la propria classe dirigente e con una particolare attenzione. Infatti non esisterebbero le mafie, se non vi fosse una forma di collaborazione o di acquiescenza da parte del potere politico o dei poteri amministrativi, comunque riconducibili al controllo del potere politico. Tuttavia, anche noi in questo codice facciamo riferimento ad atti della magistratura. La Commissione ha iniziato un lavoro sul rapporto tra mafia e politica, un'inchiesta, fra i quali risultati si vorrebbe addivenire anche alla formazione di un codice di comportamento politico, che non necessariamente facesse riferimento ad atti della magistratura. La politica deve dotarsi di regole che precedono in qualche modo l'azione in sede giudiziaria.
  In questo senso va segnalato come particolarmente importante un codice approvato da «Avviso Pubblico», che è un'associazione di amministratori, i quali hanno sottoscritto la cosiddetta Carta di Pisa, dove il riferimento ai codici di comportamento non sono soltanto gli atti giudiziari. Io credo che quello sia un passo avanti estremamente significativo, che auspichiamo e ci auguriamo davvero possa condurre anche la nostra Commissione a muoversi su quel percorso.
  Nel frattempo – come sempre stiamo facendo in questa legislatura – intendiamo trasformare in provvedimenti d'iniziativa normativa alcuni dei contenuti di questa relazione. In particolare faccio riferimento ad un disegno di legge d'iniziativa del Governo, che è all'esame del Senato, che riguarda proprio lo scioglimento delle amministrazioni comunali per infiltrazioni mafiose. Intendiamo come Commissione accompagnare quel provvedimento e, magari, trasformare in norma di legge quanto è contenuto in questo codice di comportamento, ovvero la previsione che tutti coloro che hanno ricoperto ruoli di amministrazione, da sindaco a componente della giunta, di comuni che sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose non possano ripresentarsi alle elezioni comunali e non possano partecipare a nessun'altra competizione elettorale almeno per una tornata elettiva, a prescindere da provvedimenti giudiziari che riguardino la loro persona.
  Tutto questo perché noi sappiamo bene che lo scioglimento per infiltrazioni mafiose di un'amministrazione comunale è sempre un atto molto grave, che influisce seriamente nella vita di una comunità. Ma soprattutto è molto grave che, dopo il periodo di commissariamento, si possa verificare la rielezione delle stesse persone che sono state responsabili di una fase nella quale i poteri mafiosi, in qualche modo, si sono impossessati dell'amministrazione.
  Noi offriamo questo nostro lavoro all'Assemblea. Non presenteremo – almeno questa è l'intenzione della presidenza e del relatore –, come abbiamo sempre fatto le volte precedenti, una risoluzione in Assemblea, perché riteniamo che un'Assemblea non possa esprimersi su un codice etico.
  Ho terminato il tempo. La ringrazio, Presidente, ma mi auguro davvero che Pag. 73quanto è contenuto in questo nostro lavoro possa aiutare, anche in vista delle prossime elezioni, le forze politiche a presentare al Paese una classe dirigente limpida, trasparente e capace davvero con coraggio, senza magari la necessità di ricorrere ad atti di eroismo, ma semplicemente compiendo il proprio dovere, di contrastare la presenza delle mafie, che con sempre più forza si infiltrano proprio nelle amministrazioni locali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mattiello. Ne ha facoltà.

  DAVIDE MATTIELLO. Grazie, Presidente. Non posso che prendere le mosse dalla relazione con la quale la presidente Bindi, in quanto relatrice, ha fatto il punto su questo lavoro della Commissione parlamentare antimafia. È davvero un altro lavoro importante, un lavoro coraggioso perché ha concentrato l'attenzione della Commissione sul rapporto tra mafie e politica.
  Lo ricordava la presidente Bindi, quante volte ci siamo soffermati a riflettere sulla forza delle mafie, che non è interna alle mafie. Se per mafie intendiamo quelle organizzazioni criminali con quelle caratteristiche che conosciamo, la forza delle mafie, come ci ha abituato a dire il professor Dalla Chiesa, sta tanto fuori dalle mafie. Non c’è mafia, non ci sono mafie senza relazione con la politica, con i politici.
  Ricordo la requisitoria finale del procuratore Caselli durante il processo Minotauro a Torino. Quanto ha insistito il procuratore Caselli, anche in quella requisitoria finale, nel dire che se non ci sono relazioni esterne all'organizzazione criminale, non c’è mafia; c’è mafia proprio perché c’è quella capacità di infiltrare, condizionare, pervertire l'attività della politica.
  E allora il lavoro della Commissione antimafia, illustrato dalla presidente Bindi, è stato importante intanto perché ci ha fatto concentrare ancora una volta su questo rapporto, producendo, come diceva la presidente Bindi, un codice di autoregolamentazione, che prende ancora le mosse – e non poteva che fare così – dal momento giudiziario, dal momento della sanzione penale, però per spingersi oltre. Proprio in quanto codice di autoregolamentazione, che – certo – informerà anche alcune proposte di legge, il codice di autoregolamentazione, per sua stessa definizione, si spinge oltre il momento della sanzione penale per mettere in evidenza un confine, che – citando un altro presidente della Commissione parlamentare antimafia della XV legislatura, l'onorevole Forgione – è quel confine che traccia la distanza tra il penalmente rilevante e l'eticamente ripugnante.
  C’è qualcosa, ci sono quelle condotte che sono penalmente rilevanti e sono penalmente rilevanti perché per convenzione si è ritenuto di fissarle all'interno del codice penale per sanzionarle.
  E, poi, ci sono tutte quelle altre condotte, che magari non sono penalmente rilevanti, ma che dovrebbero essere ritenute, soprattutto da chi fa politica, eticamente ripugnanti e come tali essere considerate degli spartiacque. In questo senso, il codice di autoregolamentazione proposto dalla Commissione parlamentare antimafia e votato all'unanimità si colloca sul confine perché, come ha descritto bene la presidente Bindi, nel descrivere quelle condotte che vorremmo rappresentassero uno stop alle scelte dei partiti, delle liste civiche, dei movimenti, delle reti nel proporre delle candidature, fa riferimento all'attività giurisdizionale e penale, ma, in quanto codice di autoregolamentazione, presuppone quell'adesione volontaria che dovrebbe di per sé costituire elemento virtuoso nella dinamica interna del partito, del movimento, della lista, per far sì che si vada oltre e che ci si ponga una questione. E la questione è quella dell'opportunità di questa o quella candidatura, al di là del fatto che esista una norma penale cogente che impedisca questa o quella candidatura. In altre parole, la domanda fondamentale che attraverso questo lavoro la Commissione parlamentare ripropone all'attenzione del Parlamento e dell'opinione Pag. 74pubblica è: come deve essere e chi deve essere il rappresentante candidato perché sia, al di là di questa o quella cultura politica presidiata e, quindi, rappresentata in caso di elezione, refrattario agli interessi mafiosi ? Noi dovremmo essere – e in questo il voto unanime in Commissione antimafia è di conforto – come classe politica di questo Paese tutti d'accordo su un punto, ossia che i politici, cioè coloro che si candidano a rappresentare il popolo sovrano nelle istanze rappresentative, dovrebbero essere tutti refrattari agli interessi mafiosi. Questo credo sia il grande valore di questo codice. Poi, come ha sottolineato bene la presidente Bindi, in questo codice di autoregolamentazione c’è un articolo non scontato, l'articolo 3, che affida alla Commissione parlamentare antimafia un compito di verifica dei comportamenti di quei partiti, di quei movimenti, di quelle reti, di quelle liste civiche che avranno aderito a questo codice di autoregolamentazione, in modo che l'adesione a questo strumento che la Commissione parlamentare antimafia mette a disposizione non sia afferrata da qualcuno in malafede prima e durante la campagna elettorale e, poi, non sottoposta ad un vaglio successivo al momento elettorale.
  Io credo che questo lavoro della Commissione antimafia acquisisca uno speciale valore, almeno questa è la mia personale opinione, se legato ad alcune sfide che questo lavoro della Commissione parlamentare antimafia ripropone nella loro attualità. Quali sfide ? Una l'ho già evocata e mi piace tornarci pur brevemente sopra citando il lavoro svolto in Commissione parlamentare, ma di quella conclusasi nel 1976, da Pio La Torre quando Pio La Torre stesso, firmando e proponendo la sua relazione di minoranza in quella Commissione parlamentare antimafia, insistette moltissimo sull'importanza che i partiti fossero antimafiosi, non tanto perché esistesse questa o quella norma o questa o quella regola, ma nella capacità di fatto di generare una cultura dell'autonomia e del rispetto; quella cultura democratica fatta di rispetto della dignità della persona e di rispetto del principio di legalità. Molto della cultura antimafiosa passa davvero nella scelta del principio di legalità ovvero, traducendo, per come sono capace: da chi ci vogliamo far proteggere ? Ci vogliamo far proteggere dal principio di legalità, ovvero da quell'uguaglianza che riconosce la pari dignità di ogni individuo e che pone ogni individuo come tale valevole di fronte alla garanzia della legge o vogliamo farci tutelare dall'appartenenza ? Ci sentiamo sicuri perché la legge è sovrana o ci sentiamo sicuri perché apparteniamo al giro giusto, come dice Gustavo Zagrebelsky ? È l'appartenenza al giro, alla famiglia, alla clientela, al branco, al clan, che ci rende forti ?
  O è una legge democratica che ci tutela a prescindere dalle nostre appartenenze (articolo 3, comma 2, della nostra Costituzione) che, come abbiamo più volte ricordato in questi giorni, è davvero antifascista nella misura in cui impernia la sovranità sulla persona, che vale in quanto tale non perché appartiene a questo o a quello ? E quindi la sfida culturale e politica richiamata anche dalla relazione di minoranza di Pio La Torre.
  La seconda sfida riguarda la normazione relativa ai partiti e alle fondazioni. Credo che questo lavoro rifletta il bisogno che finalmente in questo Paese, che sta riformato se stesso e lo sta riformando nelle regole fondative del gioco a cominciare dalle legge elettorale, si mette finalmente mano alla normativa che riguarda i partiti e le fondazioni per garantire massima trasparenza e quindi verificabilità delle scelte. Inoltre credo che un'altra sfida importante sia quella che riguarda proprio il 416-ter. Questo articolo che abbiamo fortemente voluto nella sua modificazione, un articolo che in questo momento dobbiamo verificare nel suo realizzarsi per capire se, per come l'abbiamo riformato, davvero coglie l'obiettivo ossia le criticità e abbiamo detto più volte che se ci fossero delle criticità saremmo pronti a mettervi mano. Intanto la riforma che è stata da poco licenziata in Senato sul 416-bis e che aumenta le pene di quell'articolo ci consentirà probabilmente – lo auspico – di aumentare proporzionalmente Pag. 75anche quelle del 416-ter, così come alcuni di noi si erano impegnati a fare in queste condizioni.
  Concludo, un'altra delle sfide riflettute da questo lavoro della Commissione parlamentare antimafia, un'altra delle sfide di per sé richiamate contenute nella medesima legge istitutiva di questa Commissione antimafia – se non sbaglio è la lettera n) del comma 1 dell'articolo 1 della legge istitutiva di questa Commissione antimafia – è la sfida compatibile con ciò che la magistratura sta facendo in questi anni e in questi giorni. La sfida da assumersi è la responsabilità politica del giudizio storico su quel particolare e delicato momento della vita di questo Paese nel quale qualcosa è successo nel rapporto, nello scambio tra chi faceva politica e chi stava dentro le organizzazioni mafiose a cominciare da Cosanostra. Penso a quel periodo compreso tra i due attentati dinamitardi falliti, chissà se per caso o per strategia. Il 20 giugno 1989 l'attentato all'Addaura che doveva uccidere Giovanni Falcone e a gennaio 1994 il fallito attentato all'Olimpico di Roma. Due attentati che chiudono, che abbracciano un periodo storico nel quale evidentemente qualcosa è successo tra mafia e politica, un periodo sul quale nel pieno rispetto dell'attività giudiziaria che ha il compito di sanzionare condotte personali penalmente rilevanti auspico e credo che il Parlamento, magari attraverso la Commissione antimafia, possa e debba coerentemente a quella lettera n), comma 1, articolo 1 della legge istitutiva assumersi la responsabilità di un giudizio storico-politico.

  PRESIDENTE. Colleghi, mi rivolgo soprattutto ai responsabili dei gruppi, sarebbe ora iscritta a parlare l'onorevole Dadone che però ha avuto un contrattempo. Se non vi sono obiezioni, darei la parola all'onorevole Businarolo. Non vi sono obiezioni quindi prego, onorevole Businarolo.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Grazie Presidente. Oggi è il 27 aprile 2015. La relazione della Commissione antimafia in materia di formazione delle liste delle candidature per le elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali fu approvata nella seduta del 23 settembre 2014 e trasmessa alle Presidenze di Camera e Senato il giorno successivo. L'Aula di Palazzo Madama ha discusso la relazione a distanza di poco più di un mese dalla ricezione, il 29 ottobre 2014. La matematica non è un'opinione: dal 23 settembre ad oggi sono passati oltre sette mesi e a breve saremo chiamati a prendere in esame la conversione del decreto-legge 17 marzo 2015 n. 27 recante disposizioni urgenti per lo svolgimento contemporaneo delle elezioni regionali ed amministrative, il meglio noto decreto election day.
  È premessa essenziale quella di specificare che la relazione della Commissione antimafia raccoglie in sé una proposta di autoregolamentazione per i partiti, le formazioni politiche, i movimenti e le liste civiche finalizzata ad ampliare le disposizioni già previste dal decreto legislativo n. 235 del 2012, emanato a seguito della più nota «legge Severino» o legge anticorruzione, la n. 190 del 2012: un codice valido solo per adesione volontaria che non prevede sanzioni, né per i casi di non adesione né per i casi di non osservanza delle norme da esso previste. Ciò non toglie che sia apprezzabile lo sforzo, benché ancora minimo, compiuto dalla Commissione di voler segnare un primo, timido passo nella direzione che la presidente Bindi ha definito come un'operazione di trasparenza.
  Certo, appare quanto meno ricco di spunti di riflessione il fatto oggettivo che, al momento, vi sia già un precedente di codice di autoregolamentazione, che contiene disposizioni ben più stringenti e vincolanti di quelle previste dal documento approvato dalla Commissione antimafia: si tratta del caso del MoVimento 5 Stelle, che mi pregio di rappresentare in questa istituzione e sul territorio. In questi due anni, ho avuto modo di apprendere come in politica o, almeno, nelle stanze della vecchia politica, nessuno inventi nulla, ma si vada per emulazione e per osmosi. Non vi Pag. 76nascondo, pertanto, che mi lascia abbastanza perplessa dover rilevare come nessun esponente dei partiti attualmente privi di codice di autoregolamentazione, qui alla Camera come al Senato, in sede di esame del codice di autoregolamentazione, abbia pensato di proporre l'arricchimento delle prescrizioni con le disposizioni del codice del MoVimento 5 Stelle.
  Si poteva fare meglio, quindi, e ritengo importante sottolineare come, in termini migliorativi, il MoVimento 5 Stelle possa intestarsi una piccola vittoria, essendo riuscito, in occasione dell'esame della relazione in sede di Commissione, ad aggiungere un nuovo articolo – l'articolo 4 –, volto a permettere alla Commissione parlamentare di inchiesta la verifica che le prescrizioni del codice vengano rispettate dai partiti, dalle formazioni politiche, dai movimenti e dalle liste civiche che decidono di aderire. Preciso che questa disposizione, di fatto, rappresenta l'unico riferimento vincolante e prescrittivo in senso stretto all'interno dell'intero codice.
  Detto questo, al di là del portato tecnico e, se vogliamo, futuristico, prima ancora che prospettico, del presente codice, appare ancora più criticabile il portato politico delle tempistiche, ovvero del ritardo, con il quale questa relazione è stata calendarizzata e, quindi, discussa. Come già segnalato in Commissione, il rischio per questo codice è quello di rappresentare più che altro un mero strumento di propaganda elettorale: considerato che, ormai, manca appena un mese alle prossime elezioni regionali ed amministrative, la nostra ipotesi appare confermata. Un dato oggettivo.
  Il ritardo accumulato in questi mesi ci ha condotto, sotto elezioni, a discutere di un codice di autoregolamentazione dalla scarsa portata concreta, debole e oggettivamente inadeguato ad arginare le infiltrazioni della criminalità nelle competizioni elettorali. Un codice che, presumibilmente, le forze politiche impegnate nelle imminenti elezioni non prenderanno in considerazione, perché giunto troppo a ridosso. Il mio è un presentimento ? Vedremo se il tempo mi darà ragione.
  Vorrei richiamare alla memoria una coraggiosa affermazione della «superministra» Boschi, quella secondo cui il Parlamento peccherebbe di lentezza o, meglio, sarebbe veloce solo quando vuole. Ebbene, a guardare la trattazione di questa relazione in Aula, il Ministro Boschi avrebbe evidentemente ragione, anche se ha dimenticato di aggiungere che la causa di questa lentezza è anche del Governo e dei suoi decreti e disegni di legge, che scavalcano le prerogative parlamentari, ivi comprese quelle precipue della Presidenza della Camera; come quelle sulla programmazione dei lavori: una forzatura antiparlamentare, che, con tutta evidenza, non trova particolari ostacoli da parte della stessa Presidenza della Camera.
  La Camera è lenta ? Forse sì. Forse. Poniamo attenzione, però, alla ragione che si nasconde dietro alla decisione di rimandare la discussione sulla relazione della Commissione d'inchiesta. Si può ipotizzare che maggioranza e Governo abbiano deliberatamente allungato i tempi per permettere di sfruttare la leva mediatica a proprio favore in vista delle imminenti elezioni regionali ed amministrative ?
  In assenza di altri strumenti propagandistici, come gli 80 euro in busta paga, lanciati a ridosso delle europee 2014...

  PRESIDENTE. Concluda.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Un minuto, Presidente... si ricerca di intestarsi una pressoché inesistente attenzione verso la questione morale che incancrenisce i partiti per mostrare la buona volontà della politica tradizionale ?
  Quando nell'aprile 2014 in audizione presso la Commissione antimafia il procuratore aggiunto del tribunale di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, segnalò l'estrema precisione, efficacia ed efficienza delle cosche calabresi nell'infiltrare i partiti e le istituzioni a partire dalla fase di candidatura e di formazione delle liste elettorali, sottolineò come fosse principalmente un problema di approccio dei partiti stessi. Per questo motivo il MoVimento 5 stelle non può dirsi soddisfatto del percorso Pag. 77sviluppato finora: in primo luogo perché le norme non sono stringenti, in secondo luogo perché la politica non è stringente, lo dimostrano i recenti casi delle regionali in Calabria, ma con tutta probabilità lo dimostreranno anche gli imminenti casi delle regionali e delle amministrative 2015.
  Vado alla conclusione. Il Codice di autoregolamentazione della Commissione antimafia può essere considerato un primo, timido, ancorché poco efficace tassello posto sulla strada verso una vera trasparenza della politica, ma siamo ancora lontani dal traguardo. In tal senso, quindi, il MoVimento 5 stelle, pur criticandolo aspramente, non può dirsi contrario ai suoi principi e ai suoi obiettivi, per quanto teorici (La Presidenza autorizza la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale dell'intervento, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Grazie Presidente. Il documento della Commissione antimafia in materia di formazione delle liste delle candidature per le elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali approvato all'unanimità nella seduta del 23 settembre 2014 rappresenta un tassello importante dell'azione politica che si sta portando avanti per rafforzare la credibilità delle istituzioni democratiche. Troppe volte i comportamenti sbagliati o addirittura delittuosi di singoli o gruppi di eletti a cariche politiche o amministrative sono state strumentalizzati per far crescere il sentimento antipolitico che mina le radici stesse della nostra democrazia.
  È evidente che i comportamenti delittuosi, in particolare le infiltrazioni mafiose favorite da alcuni eletti a cariche pubbliche, vanno non solo contrastati, ma soprattutto duramente repressi o meglio prevenuti in quanto gravi e pericolosi per la stessa tenuta delle istituzioni democratiche. Troppe volte si è arrivati a quella che dovrebbe essere l’ultima ratio, cioè lo scioglimento dei consigli di enti locali democraticamente eletti. Questo sta chiaramente ad indicare che l'infiltrazione mafiosa o di organizzazioni criminali similari è pratica non infrequente in alcune zone del Paese, che poi sono quelle che soffrono i maggiori problemi economici e sociali.
  D'altra parte è ampiamente noto che una delle cause principali del minore sviluppo di alcune zone del nostro Mezzogiorno è costituita proprio dalla presenza ancora invasiva delle organizzazioni criminali di varia denominazione che per conseguire i loro obiettivi economici cercano di infiltrarsi negli enti locali condizionando e quindi falsando le elezioni, specie comunali, attraverso minacce e violenze.
  A questo proposito bisogna riconoscere che alcuni passi avanti sono stati fatti sia per l'azione di contrasto dello Stato, sia soprattutto per la crescita della consapevolezza dei cittadini su quanto sia perniciosa l'azione della mafia e delle organizzazioni a questa assimilabili sulla vita civile, sociale ed economica delle aree del Paese in cui riescono ancora ad esercitare la loro dannosa influenza.
  Molto però c’è ancora da fare e la relazione della Commissione antimafia al nostro esame rappresenta la testimonianza che il Parlamento non abbassa certo la guardia nei confronti della piaga della mafia in particolare e in genere del malaffare. Infatti, la relazione al nostro esame va al di là della normativa vigente in materia di incandidabilità che si riferisce alla fase della condanna definitiva, anticipando il livello di attenzione della condanna definitiva alla sentenza di primo grado o addirittura al decreto che dispone il rinvio a giudizio.
  In sostanza, la relazione della Commissione antimafia propone l'adozione su base volontaria da parte dei partiti e dei movimenti politici di un codice di autoregolamentazione sulla formazione delle candidature per tutte le elezioni, sia politiche, sia amministrative. Si tratta di un codice molto rigoroso, ma che in alcune realtà locali è probabilmente necessario. Mi riferisco a quelle aree ad alta densità mafiosa che hanno visto lo scioglimento Pag. 78ripetuto di consigli comunali, corredato da gravi forme di intimidazione e anche di violenza per mano di organizzazioni criminose che vogliono acquisire il controllo diretto degli enti locali per poter gestire a piacimento appalti e assunzioni.
  Da rilevare che il codice di autoregolamentazione proposto dalla Commissione antimafia estende il suo raggio d'azione da reati di stampo mafioso anche a tutta un'altra serie di reati contro la pubblica amministrazione e anche ai comuni che denotino una sostanziale inidoneità a candidature sia politiche sia amministrative.
  C’è, a questo punto, da fare un'avvertenza: se da un lato è opportuno migliorare la qualità sotto il profilo etico delle candidature in ogni tipo di elezione, non si deve correre il rischio di farle sotto dettatura della magistratura. Quando si anticipano le valutazioni dei partiti sulle persone ai fini delle candidature, anche per coloro che hanno riportato una condanna in primo grado o, addirittura, sono stati solo oggetto di un rinvio a giudizio, si affievoliscono pericolosamente le garanzie per i cittadini e si rischia di cedere troppo alla deriva giustizialista che caratterizza questa fase della vita politica del Paese. Si rischia, inoltre, di subire passivamente la conclamata tendenza della magistratura a travalicare dai propri ambiti e ad invadere la sfera di competenza degli altri poteri dello Stato.
  È vero che il codice di autoregolamentazione proposto dalla Commissione antimafia a partiti e movimenti politici è su base del tutto volontaria, ma è anche vero che occorre trovare un ragionevole punto di equilibrio tra la sacrosanta esigenza di prevenire le infiltrazioni mafiose negli enti locali e quella di garantire la piena agibilità politica di persone che sono rinviate a giudizio per reati di limitata gravità e allarme sociale e che, in molti casi, verranno poi assolte nel corso del procedimento giudiziario che le riguarda.
  La ricerca di un punto di equilibrio in un campo difficile e delicato come questo è essenziale, in quanto non bisogna attendere che arrivi la magistratura per seguire reati commessi da amministratori pubblici, ma occorre prevenire questi incresciosi episodi attraverso una migliore selezione, sotto il profilo etico, della classe politica e amministrativa, altrimenti, anche con il ripetersi di scandali e di connessi episodi di corruzione, si rischia il discredito delle istituzioni democratiche e una conseguente e pericolosa deriva populistica. È bene quindi che il codice di autoregolamentazione proposto dalla Commissione antimafia si riferisca non solo a reati connessi con la mafia, ma anche ai reati tipici contro la pubblica amministrazione, mi riferisco alla concussione, alla corruzione per esercizio della funzione, alla corruzione per un atto contrario ai doveri dell'ufficio, all'induzione indebita, al dare o promettere utilità, alla corruzione di persone incaricate di pubblico servizio. Il codice di autoregolamentazione si riferisce poi a tutta una serie di reati di grande allarme sociale tra i quali lo scambio elettorale politico-mafioso, l'estorsione, il riciclaggio di denaro o beni di origine illecita, l'esportazione illecita di capitali, il traffico illecito di rifiuti e così via.
  Come si vede, il campo di azione del codice di autoregolamentazione va ben oltre ai reati tipici della mafia e delle organizzazioni criminali ad essa assimilata e si estende ai principali reati contro la pubblica amministrazione e anche a una serie di reati di grande danno e allarme sociale.
  Siamo, con tutta evidenza, di fronte a una relazione della Commissione antimafia molto significativa e che, non a caso, è stata approvata all'unanimità e qui opportunamente illustrata da parte del presidente Bindi. Apprezziamo molto, in particolare, le finalità del codice di autoregolamentazione delle candidature proposte ai partiti su base volontaristica; per questi motivi e pur con le avvertenze che ho brevemente esposto, diamo una valutazione estremamente positiva sulla relazione della Commissione antimafia in materia di formazione delle liste delle candidature per tutte le elezioni politiche e amministrative.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.Pag. 79
  Prendo atto che il rappresentante del Governo non intende intervenire in sede di replica.
  Avverto che, non essendo stata presentata alcuna risoluzione riferita alla Relazione della Commissione, la discussione sulla stessa si intende esaurita.
  Ha chiesto di parlare per una precisazione la presidente Bindi. Ne ha facoltà.

  ROSY BINDI, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Signor Presidente, pensavo che mi desse la parola prima dell'intervento del Governo...

  PRESIDENTE. Onorevole Bindi, non è prevista la replica, ma se vuole intervenire per un breve chiarimento, prego.

  ROSY BINDI, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Mi pareva di sì, normalmente per i relatori è prevista; comunque, intervengo solo per una precisazione, Presidente, perché giustamente chi è intervenuto per il MoVimento 5 Stelle ha voluto sottolineare i mesi di differenza tra l'approvazione in Commissione e la discussione in quest'Aula. Tengo a precisare che nel momento in cui la Commissione ha approvato questo codice lo ha anche inviato a tutti i segretari dei partiti, sia ai segretari nazionali che ai segretari regionali; quindi, le forze politiche che intendono attenersi a questo codice avevano la possibilità e hanno la possibilità, ormai da mesi, di conoscerlo e quindi di applicarlo.

  PRESIDENTE. La discussione si intende, quindi, esaurita.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,55).

  ALESSIA MORANI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ALESSIA MORANI. Grazie Presidente, intervengo perché credo che sia accaduto un fatto gravissimo.
  Il Vicepresidente Di Maio, qualche minuto fa, attraverso un comunicato stampa ha pronunciato le seguenti parole: «Tutto quello che dice Renzi va messo al contrario: non ha mai detto una verità in vita sua. Ancora una volta minaccia i suoi, la maggioranza, perché evidentemente sa di avere a che fare con dei miserabili che vogliono soltanto la poltrona, allora agita l'Italicum per dire: O l'approvate o andiamo a casa». Bene, Presidente, io credo si tratti di un fatto gravissimo, perché da parte del Vicepresidente Di Maio, che deve rappresentare tutti i deputati di questa Camera, le affermazioni fatte sono offensive per il gruppo del Partito Democratico e, a mio parere, anche vergognose. Noi non ci sentiamo rappresentati dal Vicepresidente Di Maio, perché se una carica istituzionale della Camera dei deputati si permette di dire che dei parlamentari sono dei miserabili la sua funzione di rappresentanza, per noi, viene meno. Per questo, Presidente, per il suo tramite, poiché riteniamo la Presidenza della Camera, la Presidente Boldrini, un organo di garanzia, chiediamo vengano presi dei provvedimenti nei confronti del Vicepresidente Di Maio, in quanto questo tipo di dichiarazioni sono inammissibili ed inaccettabili. Per questo motivo ho chiesto di intervenire e la ringrazio per avermi dato la parola.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Morani, ovviamente trasferirò il senso delle sue parole, insieme al resoconto stenografico, alla Presidente della Camera.

Discussione delle mozioni Guidesi ed altri n. 1-00755, Franco Bordo ed altri n. 1-00818, Tullo ed altri n. 1-00819, Garofalo ed altri n. 1-00820, Nicola Bianchi ed altri n. 1-00821, Palese n. 1-00823, Catalano ed altri n. 1-00828 e Rizzetto ed altri n. 1-00829 concernenti iniziative di competenza in ordine alla razionalizzazione della rete degli uffici postali (ore 17).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Guidesi ed Pag. 80altri n. 1-00755, Franco Bordo ed altri n. 1-00818, Tullo ed altri n. 1-00819, Garofalo ed altri n. 1-00820, Nicola Bianchi ed altri n. 1-00821, Palese n. 1-00823, Catalano ed altri n. 1-00828 e Rizzetto ed altri n. 1-00829 concernenti iniziative di competenza in ordine alla razionalizzazione della rete degli uffici postali (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussone delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare l'onorevole Franco Bordo, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00818. Ne ha facoltà.

  FRANCO BORDO. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Poste italiane ha presentato il 16 dicembre 2014 il nuovo piano strategico 2015-2019, che ha evidenziato come il suddetto piano avrebbe previsto un unico gruppo integrato focalizzato su tre aree: logistica e servizi postali, pagamenti e transazioni, risparmio e assicurazioni. Con tale piano si vuole sostenere la ridefinizione del servizio universale postale, in quanto considerato disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico, nonostante Poste italiane riceva significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di stabilità per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali.
  Con il citato piano veniva previsto a livello nazionale, nell'ambito dell'avviato processo di privatizzazione, la chiusura o la riduzione degli orari di apertura di oltre mille uffici postali. Mentre con apposita delibera l'AGCom impone a Poste italiane di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale, la società ha soltanto emanato delle asettiche comunicazioni di chiusura che hanno riscontrato diffuse proteste da parte dei cittadini, nonché da parte degli enti locali coinvolti.
  La decisione di Poste italiane di ridurre il perimetro del servizio universale nei modi ora descritti, conferma la volontà da parte della società di perseguire la mera logica del profitto puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, che nulla hanno a che fare con il servizio universale, a scapito delle esigenze della collettività, chiudendo uffici che ritiene improduttivi o diseconomici, senza considerare che i servizi postali rappresentano un servizio fondamentale per lo svolgimento delle attività quotidiane di numerosissime imprese, famiglie e residenti anziani, che si troveranno nella condizione di non poter più usufruire di prestazioni essenziali quali, ad esempio il pagamento delle bollette o la riscossione delle pensioni, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti nei territori più disagiati.
  Non a caso, le proteste da parte dei rappresentanti delle istituzioni regionali e locali non hanno tardato a giungere all'attenzione del Ministero dello sviluppo economico e, grazie anche alle iniziative di sindacato ispettivo e di azione politica del gruppo di Sinistra Ecologia Libertà, tali proteste sono diventate oggetto di specifici incontri tra l'amministratore delegato di Poste italiane Spa e il sottosegretario di Stato con delega alle comunicazioni, l'onorevole Giacomelli.
  In particolare, presso il Ministero dello sviluppo economico, si è tenuto un incontro tra il Sottosegretario di Stato, l'amministratore delegato, Francesco Caio, e il presidente dell'Agicom, Angelo Cardani.
  La conclusione condivisa raggiunta è stata l'assicurazione, da parte di Poste Pag. 81italiane Spa, circa la realizzazione di un confronto con regioni e comuni che precederà la fase attuativa del piano di razionalizzazione degli uffici postali. In un successivo incontro con i rappresentanti dell'Anci, l'amministratore delegato di Poste italiane Spa ha rivendicato la bontà del piano strategico di Poste stesse, citando, come possibile soluzione alla chiusura degli uffici postali, il potenziamento del così detto «portalettere telematico», in grado di offrire a domicilio i servizi principali dell'ufficio postale, vale a dire l'accettazione di raccomandate, la ricarica di postepay, l'utilizzo di poste mobili e il pagamento dei bollettini. Ha inoltre ricordato che i pagamenti delle pensioni potranno essere erogati su conti correnti o carte libretto che non richiedono l'accesso agli uffici postali.
  Come ho avuto modo di sottolineare al dottor Caio, durante la recente audizione in Commissione trasporti di questo ramo del Parlamento, il «portalettere telematico» richiede che si stabilisca un rapporto di conoscenza e fiducia fra l'utente e lo stesso portalettere e che, in mancanza di questo rapporto, l'utenza, come è buona norma suggerita anche dalla Polizia di Stato, non aprirà di fatto la porta allo sconosciuto «portalettere telematico», al fine di evitare truffe, furti e rapine da parte di delinquenti oramai specializzati in questo tipo di reati.
  Il fenomeno appena descritto colpisce maggiormente la popolazione anziana che, secondo le proiezioni demografiche ISTAT relative al periodo di riferimento gennaio 2011-2065, risulta in aumento. Il rischio concreto sarà quindi il mancato uso del «portalettere telematico» proprio da parte dell'utenza anziana che, per la ridotta capacità di movimento, ne avrebbe maggiormente bisogno.
  A fronte di queste osservazioni, l'amministratore delegato di Poste ha dovuto ammettere che il «postino telematico», oggi come oggi, è ancora una figura evanescente.
  Considerate queste premesse, Sinistra Ecologia Libertà, con questa mozione impegna il Governo ad adoperarsi per garantire la capillarità sul territorio e la permanenza degli uffici postali nei comuni rurali, montani e svantaggiati; a favorire il confronto già in corso tra Poste italiane, regioni e comuni, con l'obiettivo di ridiscutere il piano di razionalizzazione degli uffici postali al fine di assicurare la piena operatività del servizio universale e di evitare che le decisioni assunte arrechino disagi agli abitanti dei comuni coinvolti, che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato tra Poste italiane e lo Stato; a valutare l'impatto sociale-occupazionale della razionalizzazione degli uffici; a perseguire con fermezza l'obiettivo di assicurare, durante l'iter di privatizzazione di Poste italiane, qualora il Governo intenda portarlo avanti, la tutela, la protezione sociale e il mantenimento dei livelli occupazionali attuali di tutti i lavoratori impiegati presso l'ente, con particolare riferimento a quelli operanti nel settore del recapito; a fornire al Parlamento l'indicazione complessiva dei contributi statali erogati negli ultimi cinque anni a Poste italiane spa per l'espletamento del servizio pubblico universale; in ultimo, a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a far sì che siano illustrate e diffuse pienamente le opportunità dei nuovi servizi telematici.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ferro, che illustrerà anche la mozione Tullo ed altri n. 1-00819, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  ANDREA FERRO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, onorevole Giacomelli, sottosegretario allo sviluppo economico, Poste italiane è la più grande infrastruttura di servizi in Italia: ben 32 milioni di clienti.
  Siamo di fronte a un grande patrimonio pubblico, perché le quote di Poste italiane, che è una società per azioni, sono per il 65 per cento in mano allo Stato e per il 35 per cento in mano a Cassa depositi e prestiti, quindi ancora in mano allo Stato.
  È una grande potenzialità: 11 controllate, 123 mila lavoratori e nel 2013 ricavi Pag. 82importanti, 29 miliardi, con un utile netto di 212 milioni di euro. Soprattutto, è molto importante il dato del totale dei risparmi amministrati, che ammonta a 459 miliardi di euro. Quindi, siamo di fronte a un grande patrimonio del Paese.
  C’è un quadro di discussione avanzato sul processo di privatizzazione, che avverrà entro il 2015 e riguarderà certamente non oltre il 40 per cento delle quote. C’è, poi, un quadro di un processo di armonizzazione e di liberalizzazione del mercato postale, completato dalla direttiva europea n. 2008/6/CE, recepita con il decreto legislativo n. 58 del 31 marzo 2011. Questo ha determinato progressivamente l'erosione certamente dell'area dei prodotti universali, riservata ai fornitori del servizio stesso.
  Per ogni anno Poste è tenuta a presentare all'Autorità garante per le comunicazioni, all'Agcom, l'aggiornamento del piano di realizzazione delle strutture che non garantiscono condizioni di equilibrio economico. Il 29 settembre 2014 è stato presentato il piano per il 2015, che prevede la chiusura di 445 uffici postali e la rimodulazione degli orari in oltre 600 uffici postali.
  Noi apprezziamo il lavoro del Governo, anche nelle mozioni che sono state presentate al Senato. L'onorevole Giacomelli ha dimostrato sensibilità e cultura istituzionale, da una parte, e, dall'altra parte, rispetto dei territori e delle necessità di chi ha più bisogno. Nel piano di Poste del 29 settembre sono previsti interventi che devono essere definiti nel pieno rispetto del servizio universale e dei vincoli di distribuzione degli uffici postali. Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica sono nel decreto ministeriale del 7 ottobre 2008 e la delibera dell'Agcom n. 342 del 2014 specifica ancora meglio i vincoli e i criteri, con le distanze massime fra gli uffici e i luoghi di residenza, l'obbligo di operatività di almeno un ufficio nel 96 per cento dei comuni italiani, il divieto di soppressione di uffici postali che siano presidio unico sul territorio comunale ed un orario minimo di tre giorni e 18 ore settimanali.
  La delibera Agcom integra ulteriormente tali criteri, dettati dal Governo, nel divieto di chiusura di uffici ubicati in comuni qualificati nel contempo rurali e montani, a meno che non ci sia la presenza di più di due uffici ed un rapporto utente-abitante per ufficio postale inferiore alle 800 unità nonché il divieto di chiusura degli uffici di presidio unico delle isole minori.
  È chiaro che la nostra mozione, la mozione che abbiamo presentato, dice chiaramente che Poste italiane deve conciliare, da una parte, una rete efficiente e capillare e, dall'altra parte, una gestione efficiente e che sani le diseconomie. In un contesto anche di evoluzione normativa nel quadro della privatizzazione di Poste italiane, è chiaro che va preservato il servizio universale e va assolutamente concepita una governance aziendale, una capacità dell'azienda di stare sul mercato e nei territori che tenga dentro, da una parte, i servizi universali, soprattutto nei territori e nei comuni montani, dove c’è più difficoltà, e, dall'altra parte, certamente un'azienda che sta pienamente e modernamente sul mercato, in termini europei e mondiali.
  Bisogna mettere in campo servizi ulteriori e opportunità di servizio alternative, da questo punto di vista. La fase sperimentale del postino telematico è un fatto importante e vanno messe in campo tutte le misure, anche di formazione e di conoscenza del servizio, che lo possono far crescere e che lo possono far diventare una realtà vera di un servizio nuovo e innovativo nel quadro del servizio postale italiano.
  Tuttavia, Poste italiane recentemente ha intrapreso un processo di internalizzazione del servizio recapiti e ha ridotto il numero delle agenzie di recapito e il numero di città coperte dal servizio stesso, tra l'altro provocando la chiusura di molte aziende, e quindi la perdita di posti di lavoro, e, dall'altra parte, assumendo 8 mila persone a tempo determinato. Quindi, da una parte, si perdono posti di lavoro che rappresentano un'esperienza, Pag. 83un know-how, e, dall'altra parte, si assumono 8 mila persone a tempo determinato.
  È chiaro che questo fa perdere qualità e fa perdere la possibilità che Poste italiane possa continuare ad essere un punto di riferimento per il servizio universale in tutta Italia. Il piano strategico di Poste italiane 2015-2019, esposto dall'amministratore delegato, dottor Francesco Caio, alle Commissioni della Camera dei deputati e del Senato, persegue un obiettivo di sostenibilità di lungo periodo, bilanciando la propria missione di azienda sociale e di mercato in un contesto di profonda discontinuità. Impone l'accelerazione su investimenti e innovazione, la fornitura del servizio postale universale, il mantenimento dei livelli occupazionali, la formazione e il rinnovamento delle competenze.
  Del resto, nell'articolo 18 del disegno di legge sulla concorrenza, approvato dal Consiglio dei ministri e in discussione alle Camere, si intende abrogare, dal 10 giugno 2016, l'articolo 4 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, liberalizzando il servizio di notifica a mezzo postale degli atti giudiziari e delle violazioni al codice della strada. Poste italiane perderà uno storico monopolio e deve mettere in campo una nuova capacità di stare sul mercato.
  Naturalmente, il disegno di legge sulla concorrenza, in questo quadro, è una condizione determinante e funzionale alla privatizzazione di Poste. Nel frattempo, Poste, su sollecitazione del Governo e del Parlamento, e con un ruolo importante – lo ringrazio ancora – del sottosegretario Giacomelli, ha rinviato l'attuazione del piano che comporterebbe la chiusura di 445 uffici. Noi, nella nostra mozione, chiediamo alcuni impegni al Governo, coerentemente con l'azione del sottosegretario e di tutto il Governo, che, in questi mesi, è stato un punto di riferimento importante.
  Innanzitutto, chiediamo di garantire, anche e soprattutto in vista della privatizzazione, la sostenibilità economica del servizio universale postale e la valorizzazione di tutti gli asset di Poste italiane. Ancora, chiediamo di valutare l'impatto sociale del piano di razionalizzazione 2015-2019. Infatti, io vengo dalla valle dell'Aniene, dalla parte montana della provincia di Roma: in molti piccoli e piccolissimi comuni gli amministratori sono assediati, e noi, come parlamentari, siamo assediati, da questo piano di chiusura.
  Siamo di fronte a un modello di sviluppo sano dell'Italia di piccoli e piccolissimi comuni, comuni montani, pedemontani e rurali, e di una popolazione che va sempre più impoverendosi. Siamo di fronte a comuni e a popolazioni che tengono una grande possibilità di governo del territorio, perché quelle sono zone determinanti anche per le grandi metropoli, anche per l'area metropolitana di Roma (quello che dicevo dei piccoli e grandi comuni dell'area metropolitana).
  Noi dobbiamo continuare a pensare che quei comuni sono un pezzo importante della nostra storia e del nostro progetto di sviluppo, e che in quei comuni vive una società che è più debole, di persone anziane, di pendolari, che hanno più necessità rispetto ai servizi universali e anche rispetto al servizio di Poste. Per questo è necessario sollecitare un confronto con i territori, ponendo particolare attenzione alla necessità di garantire il servizio nelle situazioni più critiche: appunto, come dicevo, nelle aree montane e pedemontane, nelle aree rurali e nelle aree isolate.
  Comunità di cittadini che sono in prevalenza anziani, a ridotta mobilità, lavoratori, pendolari e persone in difficoltà. Terza questione che poniamo è la particolare attenzione allo sviluppo di servizi innovativi e per una politica di informazione e conoscenza di essi alle comunità interessate, perché anche l'innovazione, che è un fatto importante – abbiamo discusso del postino telematico –, se non ha un grado di innovazione, da una parte, ma, dall'altra parte, di informazione nei confronti dell'utenza e dei cittadini, rischia di non esser utilizzata al massimo.
  Il quarto punto, che è uno dei punti a cui teniamo di più, è quello di precisare l'impatto occupazionale del piano e la tutela dei posti di lavoro. In un momento Pag. 84di grave difficoltà del Paese, dal punto di vista economico e del mondo del lavoro, con la misura del Jobs act che sta facendo recuperare respiro, ossigeno, all'economia e al mondo del lavoro, la più grande azienda di servizi in Italia non può mettere in difficoltà la propria forza lavoro. Deve essere chiaro che l'impatto occupazionale del piano sarà a tutela dei posti di lavoro.
  La quinta questione consiste nel rilanciare un nuovo modello di sviluppo logistico di recapito attraverso l'istituzione di un tavolo di concertazione tra tutti i fornitori, quindi tra Poste italiane e i fornitori privati, per individuare un percorso comune e mettere in campo un know how condiviso.
  Concludo, facendo un'ultima affermazione, Presidente e sottosegretario: il servizio universale di Poste italiane è nella storia di questo Paese e rappresenta una delle culture profonde del nostro Paese, dall'unità d'Italia in poi. Il servizio postale serve soprattutto a chi ha più bisogno, agli anziani, ai pensionati, a persone che vivono in piccoli e piccolissimi comuni di questo Paese, perché è vero che molta parte della popolazione in Italia vive nelle grandi aree metropolitane, nei grandi comuni urbani, ma noi abbiamo un modello di sviluppo virtuoso che sta dentro al quadro delle aree metropolitane, fatto di piccoli e piccolissimi comuni, di persone che soffrono, ma che mantengono la propria residenza, la propria identità, e questo serve molto anche allo sviluppo di questo Paese. Ci sono le grandi aree urbane, nel quadro dell'industria, dell'economia, dei settori più avanzati, però vi è anche un modello di sviluppo virtuoso dei piccoli e piccolissimi comuni, dove sorgono le acque, dove ci sono polmoni verdi. Tutelare la possibilità che queste persone (che hanno difficoltà, che hanno però anche la possibilità di vivere ancora nei propri luoghi di origine) continuino ad avere un servizio universale di posta, e anche altre questioni, significa valorizzare in tutto e per tutto questo nostro grande Paese, che è complesso, complicato, ma che ha grandi ricchezze e grandi possibilità, ed è fatto di Roma e di Milano, delle grandi aree metropolitane urbane, ma anche di comuni di cento, duecento o mille abitanti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Garofalo, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00820. Ne ha facoltà.

  VINCENZO GAROFALO. Grazie, Presidente. Qualche giorno fa, nella Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni, è venuto in audizione l'amministratore delegato di Poste italiane, l'ingegnere Caio, per presentare il nuovo piano industriale dell'azienda e rispondere, ovviamente, alle eventuali osservazioni. Nella stessa Commissione, da quando Poste italiane ha avviato il processo di chiusura di uffici postali, nell'intero territorio nazionale, sono state presentate numerosissime interrogazioni che sottopongono al Governo dei quesiti in base a quanto deciso da Poste italiane. La presenza di Poste italiane come sappiamo, e come hanno detto anche i miei colleghi, nel territorio italiano, con tutti gli uffici diffusi, è sempre stata uno dei capisaldi della nostra amministrazione pubblica, del nostro servizio pubblico, della stessa società Poste italiane, ma soprattutto è sempre stata una garanzia di collegamento tra i vari territori con il resto del Paese, è stata una presenza della quale, francamente, nessuno ha mai pensato e desidera rinunciare. Pertanto, questo processo avviato da Poste italiane ha creato, ovviamente, non poche diffidenze e contestazioni, soprattutto in assenza di un chiaro ed efficace piano, sistema, sostitutivo dei servizi.
  Con il decreto-legge n. 201 del 2011, si è stabilito che Poste italiane abbia l'obbligo di presentare, annualmente, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, un piano di razionalizzazione delle strutture. Tale piano deve essere elaborato, rispettando gli obblighi del servizio universale e i vincoli imposti dal decreto ministeriale del 2008 e dalla delibera dell'Agcom n. 342/14/CONS che, modificando i criteri già previsti, ha imposto limitazioni Pag. 85sulla chiusura a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano in zone svantaggiate del Paese.
  Quindi, Poste italiane Spa deve contemperare due esigenze: la prima, garantire l'efficienza gestionale di ogni singolo ufficio; la seconda, tenere presente che il servizio universale deve potere essere accessibile a tutti.
  Nella presentazione del piano industriale è stato messo in evidenza che con l'avanzamento dei sistemi di information technology – e, quindi, con l'innovazione in genere – i volumi dei servizi postali tradizionali si stanno rapidamente riducendo. L'ingegner Caio ci ha detto che, se l'azienda non attuasse un piano di ammodernamento dei propri servizi ampliando il raggio d'azione nell'ampio spazio dell’e-commerce, correrebbe il rischio di mettere a repentaglio i risultati economici dell'azienda stessa, generando passività – anche ampie passività – nell'arco di un periodo molto breve.
  Il ruolo, appunto, della nostra Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è quello di vigilare che con il contratto di programma Poste italiane Spa rispetti gli obblighi sottoscritti. Ma va fatto francamente un passo indietro, un momentino, su cosa intendiamo noi per servizio universale.
  Ovviamente per servizio universale intendiamo tutti quei servizi che non sono remunerativi e attraverso i quali viene mantenuta la possibilità di ricevere la posta tradizionale da parte di tutti i cittadini. Ebbene, in questo piano industriale che l'ingegnere Caio ci ha presentato si prevedono grosse riduzioni di volumi di questo settore. Sicuramente tutto ciò non è frutto di fantasia e possiamo immaginare che sia qualcosa che va nella direzione presentataci. Tuttavia, a quanto noi abbiamo potuto esaminare anche rispetto alle indicazioni dei vari territori, è necessario che questo piano venga vigilato con maggiore attenzione da parte dell'Agcom e, soprattutto, vengano rispettati tutti quei divieti di chiusura degli uffici ubicati nei comuni qualificati rurali e montani, salvo – come dice la stessa delibera – che siano presenti più di due uffici ed il rapporto abitanti per ufficio postale sia inferiore a 800 e che venga anche rispettato il divieto di chiusura di uffici postali che costituiscano presidio unico di isole minori. Inoltre, sempre la delibera prevede che possano essere razionalizzati, fino a garantire un orario minimo di dodici ore per due giorni settimanali, gli uffici postali unici di un comune con meno di 500 abitanti, solo se entro 3 chilometri ci sia un ufficio aperto almeno quindici ore e tre giorni la settimana.
  Per redigere, dunque, un piano che riesca a soddisfare tutti i requisiti previsti, trovando un difficile punto di equilibrio tra i parametri da soddisfare, risulta indispensabile che Poste italiane Spa mantenga, avvii ed effettui un confronto reale con gli enti locali, al fine di valutare l'effetto del proprio piano industriale sui servizi offerti, in modo che venga garantita la piena operatività del servizio stesso universale, in particolare modo per i cittadini che risiedono nelle aree svantaggiate del Paese, prendendo in considerazione anche l'età anagrafica delle persone coinvolte. Tale confronto è indispensabile per evitare che le decisioni assunte in modo unilaterale provochino criticità nei riguardi degli abitanti dei comuni più disagiati del Paese che, in questo modo, si vedrebbero privati dell'erogazione di un servizio appunto – come detto prima – pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato tra Poste italiane Spa e lo Stato.
  Di fatto, Poste italiane Spa ha presentato nel settembre scorso un piano, il piano 2015, che prevede la chiusura di 455 uffici e la rimodulazione di orari in altri 609 uffici. Ancora oggi molti profili relativi agli elementi sopra indicati non appaiono chiari.
  Pertanto, poniamo al Governo le seguenti questioni. Sono sei nella nostra mozione. Il primo punto è quello di accertare che Poste italiane Spa avvii un confronto reale con gli enti locali, che consenta di valutare attentamente la ricaduta che il piano può comportare sulle diverse aree del Paese, con particolare Pag. 86attenzione a quelle svantaggiate. Il secondo punto è di chiedere a Poste italiane Spa di fornire al termine del confronto la lista completa degli uffici postali prossimi alla chiusura e interessati ad una riduzione dell'orario di apertura, precisando le modalità sostitutive dei servizi, ovvero quali sono i servizi che verranno offerti per mantenere lo stesso livello di soddisfazione.
  Terzo, di sollecitare sempre la società Poste italiana Spa a porre una maggiore attenzione allo sviluppo di tutti quei servizi innovativi e tecnologici, in modo da consentire ai cittadini di effettuare dalla propria abitazione una serie di operazioni, che attualmente sono disponibili solo presso gli sportelli postali.
  Quarto, monitorare con maggiore attenzione i bandi pubblici per l'assegnazione dei servizi postali in capo alle pubbliche amministrazioni, troppo spesso oggetto di affidamento diretto, in palese violazione delle normative europee, e di operare, in linea con le principali esperienze a livello internazionale, una riduzione del perimetro del servizio universale con riguardo ai prodotti inclusi, lasciando al suo interno solo la posta consumer ed escludendo la posta spedita dalle aziende, al fine di limitare l'impegno economico dello Stato per quel segmento postale che riguarda la posta massiva, che può essere liberamente gestita dal mercato. Tra l'altro, i proventi aggiuntivi in termini di IVA dall'eventuale riforma potrebbero essere destinati a incrementare il fondo di compensazione per l'espletamento del servizio.
  Quinto, prevedere che alcuni servizi, non strettamente connessi all'espletamento del servizio universale, vengano offerti non in regime di esclusiva da parte di Poste italiane.
  E poi l'ultimo, che non è il meno importante, anzi, come potete immaginare, è un punto direi centrale, ossia pretendere definitivamente che Poste specifichi – cosa che ancora non ha fatto, non lo ha fatto neanche in Commissione – qual è l'impatto occupazionale di questo piano di razionalizzazione degli uffici postali che ha presentato, tra l'altro tenendo conto che a noi è stato detto che ci sono circa 8 mila nuove assunzioni.
  Nel frattempo, non posso non approfittare di questa occasione per ribadire quello che ha anche detto il mio collega, che precedentemente ha parlato della propria mozione, ossia che tutta la vicenda che ha riguardato le agenzie postali, le agenzie di recapito è ancora una vicenda che lascia molto l'amaro in bocca a tanti di noi che l'hanno seguita e che continueranno a seguirla, a fronte di poche centinaia di persone che hanno sviluppato e maturato una grande competenza in un settore così strategico, in cui – ci tengo a sottolineare – non è vero che la percezione degli utenti sia così elevata in base alla qualità del servizio.
  Io inviterei il Governo ad approfondire proprio questo punto, la qualità del servizio, la percezione degli utenti, se sui servizi tradizionali, quelli che Poste deve assolutamente garantire ancora meglio degli altri, c’è una percezione e una qualità della prestazione percepita ad alto livello come ci è stato detto dall'amministratore delegato. Io non credo che ciò sia vero ed è per questo che anche in quell'occasione l'ho sottolineato.
  Aggiungo che credo che chi ha maturato delle esperienze in questo settore, cioè nel settore del recapito, non debba essere dimenticato. Se lo dimentica Poste italiane, ce ne faremo ovviamente ragione per continuare a contrastare questa dimenticanza. Ma che il Governo non segua questa vicenda – lo ripeto, la vicenda delle agenzie di recapito –, a fronte di 8 mila nuove assunzioni all'interno di Poste, mi sembra che sia una disattenzione che non possiamo tollerare.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Bianchi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00821. Ne ha facoltà.

  NICOLA BIANCHI. Grazie, signor Presidente. Governo, colleghi, mi piace iniziare il mio intervento elencando i numeri di Poste: 32 milioni di clienti totali, 1,5 Pag. 87milioni di clienti negli uffici postali ogni giorno, 50 milioni di operazioni al giorno, 13 milioni di invii postali al giorno, 220 mila pacchi al giorno, 250 milioni di raccomandate l'anno, 30 milioni di bollettini al mese, 10,5 milioni di clienti registrati a poste.it, 6 milioni di conti correnti postali, 320 miliardi di euro di risparmio postale. Questi sono i numeri e voi state distruggendo tutto questo.
  Questa mozione che abbiamo presentato nasce dall'esigenza reale della popolazione italiana, ossia la garanzia di un diritto di tutti i cittadini, la garanzia della fruizione di un servizio di pubblica utilità.
  Parto dalla definizione di servizio universale, presa in toto dal sito dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. La previsione e la regolamentazione del servizio universale postale garantisce a tutti i cittadini la possibilità di fruire di un servizio di pubblica utilità indipendentemente da fattori come il reddito o la collocazione geografica. In Italia il servizio universale postale è affidato a Poste fino al 2026. Sull'affidamento il Ministero dello sviluppo economico effettua ogni cinque anni una verifica sulla base di un'analisi dell'Autorità.
  Potremmo chiudere già qui il discorso, soltanto con questa definizione. E, invece, siamo qui, costretti a parlarne.
  Poste italiane Spa ha presentato, il 16 dicembre 2014, il nuovo piano strategico 2015-2019, che intende ridefinire gli obblighi di servizio universale postale posti a carico della società dalla normativa europea e nazionale, da un punto di vista economico, logistico e organizzativo. La società si impegna, appunto, con il nuovo piano industriale a raggiungere determinati obiettivi di qualità, prevedendo, però, a partire dai prossimi mesi, in numerose regioni, la progressiva chiusura di ben 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura di circa 608 uffici, ritenuti improduttivi o diseconomici.
  Questa operazione, come diciamo da subito, è strettamente collegata al processo di privatizzazione del 40 per cento del capitale azionario di Poste italiane Spa, da collocarsi attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta, appunto, al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Poste italiane e/o investitori istituzionali italiani e internazionali. A questa operazione, noi ci siamo sempre opposti e sempre ci opporremo.
  Tengo a precisare che, infatti, solo il PD in Commissione IX alla Camera ha votato favorevolmente al processo di privatizzazione. Il MoVimento 5 Stelle ha già presentato al Senato una mozione molto simile a questa che stiamo discutendo oggi e il Governo si è dimostrato abbastanza disponibile, almeno a parole, a impegnarsi su questo fronte. Ma noi non ci fidiamo. Quindi, siamo qui a discutere del problema ancora una volta chiedendo con questa mozione impegni ancor più precisi e puntuali, per tutelare i cittadini italiani, i veri titolari del gruppo Poste italiane.
  Dal piano presentato, inoltre, emerge che Poste italiane intende puntare su assicurazioni, e-commerce, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, anziché garantire un servizio universale, a scapito delle esigenze della collettività, chiudendo uffici che ritiene appunto improduttivi o diseconomici, senza considerare che i servizi postali rappresentano un servizio fondamentale per lo svolgimento delle attività quotidiane di numerosissime imprese, cittadini e in particolare delle famiglie. Le zone maggiormente colpite dalle annunciate chiusure risultano essere quelle aree nelle quali insistono numerosi comuni e frazioni interessati dal ridimensionamento messo in atto da Poste italiane.
  La Commissione europea, tra l'altro, si è già espressa in merito lo scorso 27 marzo 2015 bocciando la parte del piano di Poste italiane che prevede la consegna della posta a giorni alterni, perché in violazione del diritto di accesso al servizio di posta universale che garantisce la consegna giornaliera della posta presso la sede della persona. Quindi, il «ce lo chiede l'Europa» funziona solo quando si tratta di chiedere i sacrifici ai cittadini, mentre Pag. 88quando si tratta di tutelare i diritti dei cittadini, allora non ce lo chiede più l'Europa.
  Mi preme evidenziare alcune criticità comunque che noi da sempre abbiamo portato alla luce in merito a Poste italiane, ovvero il discorso relativo al mono-operatore, che è una criticità che esiste nei piccoli uffici. Si tratta di un operatore che da solo deve gestire l'intero ufficio. Questo va a svantaggio della professionalità e anche della salute dello stesso operatore. Ci sono, inoltre, sempre criticità relative alla sicurezza degli uffici. Vi è anche una mia precedente interrogazione del 25 settembre 2014 su un ufficio della provincia di Nuoro, a Irgoli, che risulta estremamente inadeguato, che non rispetta i principi della privacy dei clienti e dove alcune volte i clienti sono costretti a fare una fila che esce addirittura fuori dall'ufficio. Quindi, fortissime criticità in merito a questo ufficio, ma come questo ce ne sono sicuramente tanti altri dislocati in tutto il panorama nazionale.
  Inoltre, un'altra grande criticità è relativa a PosteShop, che ha evidenziato anche l'amministratore Caio, che ha creato un buco di circa 12 milioni di euro. Un'altra grandissima criticità, che abbiamo evidenziato anche durante l'audizione, è la forte propensione ormai a trasformare Poste italiane in un istituto finanziario.
  Basti vedere semplicemente l'ultimo investimento di 200 milioni per acquisire il 10,3 per cento di Anima.
  Infine, ma non sicuramente meno importante, vi è una criticità in merito all'indennità dell'amministratore Caio che va a percepire circa 100 volte un operatore di Poste e, a nostro avviso, è davvero esagerato se si pensa semplicemente che il Presidente Obama più la Cancelliera Merkel, sommando gli stipendi, non raggiungono appunto lo stipendio dell'amministratore di Poste.
  Mi avvio a concludere elencando semplicemente i nostri impegni che chiediamo al Governo. Per prima cosa chiediamo un impegno molto importante: chiediamo al Governo di rivedere l'operazione di privatizzazione di Poste italiane Spa e, quindi, di rivalutare l'opportunità di procedere alla cessione di quote della società. Chiediamo, inoltre, di intervenire presso Poste italiane per chiedere una profonda rivisitazione del piano industriale nel pieno rispetto degli obblighi di servizio universale previsti dalla normativa europea e nazionale. Un altro impegno importante è quello di garantire la piena operatività del servizio universale, in particolar modo per i cittadini che risiedono in aree svantaggiate del Paese, incentivando forme di consultazione obbligatoria delle popolazioni coinvolte.
  Un altro impegno fondamentale è quello di intervenire presso Poste italiane Spa affinché sia garantita l'accessibilità ai servizi postali nelle regioni rurali e remote, anche attraverso la previsione di criteri ulteriori a quelli già previsti nella normativa vigente, quali i tempi di percorrenza per il raggiungimento dell'ufficio più vicino, l'età anagrafica media degli abitanti, l'offerta di trasporto in cui cittadini possono avvalersi per raggiungere i medesimi uffici.
  Chiediamo di intervenire presso Poste italiane affinché il piano industriale punti con maggiore decisione sulla digitalizzazione dei processi, prevedendo, da un lato, che il gruppo Poste si faccia carico di programmi di alfabetizzazione digitale dei propri utenti, in particolare in favore delle fasce più deboli della cittadinanza e, dall'altro, che eventuali interventi di razionalizzazione dei punti fisici di accesso alla rete postale siano preceduti dalla piena operatività dei servizi digitali e da valutazioni indipendenti circa l'impatto di tali nuovi servizi sulla popolazione interessata.
  L'ultimo impegno è quello di rilevanza maggiore ovvero salvaguardare gli attuali livelli occupazionali, con particolare riferimento ai contratti di lavoro già in essere anche alla luce del progetto di crescita illustrato dall'amministratore delegato di Poste italiane. Perché purtroppo abbiamo timore che queste operazioni messe in atto provochino – concludo – tra le altre cose non pochi problemi ai dipendenti di Poste.Pag. 89
  Infine, vorrei rivolgere anche in questa sede particolare attenzione alla regione da cui provengo, una regione già martoriata da una profonda crisi economica, dalla mancanza di lavoro, dalla mancanza di servizi, da incredibili problemi per quanto riguarda i collegamenti...

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  NICOLA BIANCHI. Ho concluso. Anche la regione Sardegna sarà interessata dal riordino annunciato e la notizia ha già destato non poche preoccupazioni tra gli utenti, tra gli amministratori locali e tra i lavoratori dell'azienda. Ed è anche per queste ragioni che noi ci stiamo opponendo a questo progetto.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00823. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Grazie Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, intervengo per illustrare la mozione presentata da me e dal gruppo di Forza Italia. Poste italiane Spa, com’è risaputo, è una società che si occupa della gestione del servizio postale in Italia. Fondata nel 1862 come azienda autonoma che gestiva, in assoluto monopolio, i servizi postali e telegrafici per conto dello Stato, attualmente è una società per azioni il cui capitale è detenuto al 100 per cento dallo Stato italiano tramite il Ministero dell'economia e delle finanze.
  Negli ultimi anni la società ha dato vita ad un processo di razionalizzazione degli uffici tramite la riduzione degli orari di apertura, l'accorpamento o la loro definitiva chiusura, provocando disfunzioni nell'offerta del servizio e arrecando danni ai cittadini, in particolar modo per coloro che vivono in territori disagiati.
  Tale riduzione negli anni ha provocato una diminuzione del personale impiegato con contestuale blocco del turnover, che, da un lato, ha comportato un notevole aumento della mole di lavoro individuale e, dall'altro, un abbassamento del livello di qualità del servizio offerto soprattutto nella distribuzione della corrispondenza.
  Questa è una lamentela che viene fatta quasi in maniera ubiquitaria all'interno delle cronache stesse che vengono riportate dagli organi di stampa.
  Il rapporto tra Stato e Poste italiane Spa richiede che la società consegua obiettivi di qualità, tra i quali quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste, obiettivi che non possono non tenere conto delle esigenze manifestate dalle autorità locali come espressione delle necessità degli utenti del servizio stesso.
  In data 16 dicembre 2014 – come i colleghi che mi hanno preceduto, illustrando le mozioni dei loro gruppi –, Poste italiane Spa ha presentato il piano strategico 2015-2020, in cui è prevista la progressiva chiusura di 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura di altri 600, ritenuti improduttivi nonché antieconomici.
  Dalla decisione si può evincere che in Poste italiane predomina una politica del profitto, che investe su assicurazioni, carte di credito ricaricabili, telefonia cellulare e servizi finanziari, a discapito delle reali necessità della popolazione che necessiterebbe della fornitura di servizi, anche in condizioni del mercato in perdita.
  I servizi postali, in primis per le famiglie e le imprese, sono di vitale importanza per l'esecuzione di tantissime attività quotidiane, quali il prelievo di contante per i titolari di conti correnti postali, il pagamento delle utenze, il deposito di valuta nei libretti postali al portatore, l'invio di comunicazioni urgenti, soprattutto quelle di carattere giudiziario. La paventata chiusura o la limitazione degli orari degli uffici pone in gravi difficoltà cittadini, turisti e aziende.
  In particolare, nei piccoli comuni, e specialmente in quelli montani, la soppressione di un ufficio postale, al pari di una farmacia, di un presidio medico o di uno sportello bancario, rappresenterebbe il venire meno di un servizio essenziale per una comunità, in particolar modo per quei cittadini anziani o con handicap fisici, per Pag. 90i quali un eventuale accorpamento degli uffici significherebbe raggiungere un comune distante a piedi o con mezzi pubblici: in entrambi i casi, la persona deve ritirare la corrispondenza, effettuare pagamenti, o utilizzare un qualsiasi servizio offerto da Poste italiane Spa.
  È evidente che ci sia da parte dell'azienda una reale, quanto imprescindibile, necessità di orientare la gestione dei servizi alla sostenibilità economica, ma ciò avviene a discapito del mantenimento di alcuni presidi, soprattutto in zone periferiche come quelle montane che, anche a causa di questi processi di razionalizzazione, saranno sempre più soggette all'abbandono, ancor più se si considera che, in base alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le zone rurali e montane sono meritevoli di specifica considerazione nell'ambito del servizio postale universale.
  Per quanto concerne, specificatamente, la necessità di garantire un'adeguata diffusione nel territorio nazionale, la direttiva n. 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, e successive modificazioni e integrazioni, recante «Regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio», sottolinea l'importanza delle reti postali rurali, in particolar modo nelle zone impervie, al fine di mantenere la coesione sociale e la salvaguardia dell'occupazione.
  L'eventuale privatizzazione totale dell'azienda o la soppressione del servizio a livello locale, proprio per la loro specificità e rilevanza, non possono essere trattati unilateralmente dall'azienda o dal Governo, perché necessiterebbero di un'ampia condivisione anche a livello parlamentare.
  Nella transizione economica e normativa verso un mercato aperto, la previsione e la regolamentazione del servizio universale postale garantisce a tutti i cittadini la possibilità di fruire di un servizio di pubblica utilità.
  L'11 marzo 2015, con la sentenza n. 1262/15, la VI sezione del Consiglio di Stato ha ribaltato la precedente pronuncia di primo grado del tribunale amministrativo regionale, accogliendo l'appello di un piccolo comune della Campania e ribadendo la pubblica utilità degli uffici postali e la loro «influenza sociale», in special modo per quei piccoli centri situati in zone rurali e montane.
  La decisione del Consiglio di Stato si fonda su due argomentazioni, la prima delle quali è legata al criterio di distribuzione degli uffici nella distanza massima di accessibilità al servizio espressa in chilometri percorsi dall'utente, fissato dal decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica». La seconda considerazione, su cui si basa la sentenza del Consiglio di Stato e che trova fondamento anche in altre pronunce favorevoli ai comuni, riguarda le motivazioni su cui è basata la chiusura dell'ufficio postale, che nel caso specifico hanno avuto riguardo al solo profilo economico e gestionale.
  In sostanza, Poste italiane Spa non può porre in essere politiche di spending review recando un danno ai piccoli comuni, determinando disservizi e disagi, soprattutto, alla popolazione anziana e a quella priva di strumenti tecnologici, perché le chiusure devono tenere conto della dislocazione degli uffici postali, con particolare riguardo alle aree rurali e montane, ma anche delle conseguenze che la relativa presenza produce sull'utilità sociale.
  Il 18 marzo 2015 Poste italiane Spa ha ufficialmente sospeso il piano di razionalizzazione degli uffici postali, rinviando i tagli previsti e concedendo così più tempo ai comuni per formulare le loro controproposte; il 27 marzo 2015, con due delibere l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha stabilito due consultazioni pubbliche sulle nuove modalità di recapito degli invii postali a giorni alterni e sulle tariffe e sugli standard di qualità del servizio universale di corrispondenza. L'autorità per le garanzie nelle comunica- Pag. 91zioni ha previsto che la consegna a giorni alterni della corrispondenza non dovrebbe interessare i 5.296 comuni, come previsto dal «piano Caio», ma 4.721 comuni, intervenendo, di fatto, con un ridimensionamento di quanto previsto dal piano di ristrutturazione di Poste italiane Spa.
  Quindi si chiede l'impegno del Governo a verificare che sia confermato il differimento comunicato da Poste italiane Spa fino al termine del confronto in atto con regioni e enti locali; a scongiurare l'ipotesi che non a tutti i cittadini italiani sia data la possibilità di fruire di un servizio di pubblica utilità, quale quello postale, indipendentemente da fattori quali il reddito e la collocazione geografica; ad adoperarsi presso la società Poste italiane Spa e l'ANCI affinché continui il confronto costruttivo già in corso, finalizzato a discutere il piano di razionalizzazione degli uffici postali; a far sì che Poste italiane Spa e le amministrazioni locali intraprendano un confronto costruttivo per evitare che le decisioni unilaterali assunte arrechino disagi agli abitanti dei comuni più disagiati del Paese, che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato fra Poste italiane Spa e lo Stato; ad attuare, infine, per quanto di competenza, interventi per far sì che Poste italiane Spa si occupi e garantisca pienamente il servizio pubblico essenziale che presuppone la prossimità e la copertura del territorio nazionale, anche per meglio fornire, come accade già in logica di mercato, gli altri servizi.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Catalano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00828. Ne ha facoltà.

  IVAN CATALANO. Grazie, Presidente, sarò breve quanto quest'Assemblea ha avuto modo di ascoltare da chi mi ha preceduto.
  Concordo con la valutazione precedentemente data circa l'orientamento portato avanti dalla società negli ultimi anni, che l'ha portata a porre in secondo piano quello che in teoria dovrebbe essere il core business, ovvero il recapito.
  Condivido la preoccupazione espressa rispetto alla chiusura degli uffici e alla limitazione degli orari di apertura conseguenti alla razionalizzazione. Tali misure, per quanto possano esser predisposte in maniera tale da minimizzare i disagi, comporteranno inevitabilmente un sacrificio della coesione sociale e territoriale del Paese.
  D'altra parte, la presente situazione consente, anzi impone, delle riflessioni ulteriori, più ampie, sul futuro del sistema postale. La prima riguarda ciò che già oggi si deve fare dentro Poste per recuperare risorse. Risorse che, se recuperate, consentirebbero sicuramente di ridurre il peso dei sacrifici imposti agli utenti. Quando si parla di Poste si parla di un patrimonio aziendale di primo piano, patrimonio che deve essere protetto più efficacemente dalle minacce esterne. Mi riferisco in particolare, ma non solo, al fenomeno delle rapine agli uffici postali che, per inciso, non solo danneggiano l'azienda, ma mettono in pericolo l'incolumità dei lavoratori e degli utenti.
  Sempre per quanto riguarda la sicurezza, sarebbe utile provvedere all'effettiva interconnessione degli applicativi di Poste con le banche dati dello Stato, al fine di ostacolare l'uso di false identità per frodi e riciclaggio.
  Le minacce al patrimonio aziendale sono però anche interne. Aspettiamo con ansia un'opera di pulizia all'interno dell'azienda. Non mi illudo certo che si possa in pochi mesi porre fine al sistema diffuso di raccomandazioni, clientele, favoritismi e ombre più o meno scure che si aggirano nella società. Sarebbe però opportuno che il management, prendesse provvedimenti chiari sulla via della pulizia. Certo, per andare in questa direzione, l'ingegner Caio non può essere lasciato solo e non basta un supporto meramente passivo. Il Governo deve attivamente promuovere e assistere questo cambiamento, che inevitabilmente trova nemici implacabili dentro la Società stessa. Pag. 92
  Ricordo, tra l'altro, che sono depositate in Parlamento due proposte di legge che chiedono l'istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta su alcuni fenomeni riguardanti Poste italiane, quindi l'amministratore Caio può contare anche sull'apporto del Parlamento per risolvere determinati problemi interni all'azienda.
  Per queste ragioni, il Governo, in qualità di socio unico, dovrebbe sollecitare l'amministratore delegato a rafforzare i controlli interni sulla gestione dei costi, in particolare per quanto riguarda gli appalti della società e la gestione delle risorse umane, quantomeno sotto il profilo delle ferie e dei trasferimenti.
  Un'altra riflessione può essere svolta rispetto alla privatizzazione. Ciò può anche essere un bene laddove, attraverso l'ingresso di privati, si dia vita a un mercato concorrenziale. Non lo è laddove a un sostanziale monopolio pubblico si sostituisca un monopolio privato o semiprivato. Ciò che bisognerebbe fare è liberalizzare il mercato. Privatizzare e liberalizzare non sono sinonimi. Per questo confidiamo in una decisa azione in tal senso del Governo sin dal disegno di legge sulla concorrenza che è in discussione in Parlamento.
  Chiedo infine, sul fronte della sicurezza, che si impegni il Governo a garantire, in contemporanea con la diffusione dei servizi di postino telematico, la sicurezza dei lavoratori destinati a tali funzioni, in quanto l'amministratore Caio, in Commissione, ha riferito che questi saranno altresì utilizzati per la riscossione di contanti presso l'utenza. Quindi, questa è una criticità sulla quale io insisto e con questa mozione chiedo al Governo di porvi rimedio, sensibilizzando l'amministratore a non permettere questa pratica, in quanto se assistiamo a rapine degli uffici postali e all'assalto dei porta valori, non oso immaginare che cosa potrebbe succedere, in alcune aree d'Italia, al postino telematico che ritira contante presso le abitazioni degli utenti.
  Presidente, occorre riportare in Poste Italiane un presidio di legalità, soprattutto in certe aree del Mezzogiorno; il sottosegretario ha presente a cosa mi riferisco, perché in Commissione trasporti ha avuto modo di confrontarsi con me nella risposta ad alcune interrogazioni – tra l'altro alcune delle quali sono ancora inevase da parte del Governo – così come quest'Aula ha avuto modo di leggere nei resoconti anche della mia attività ispettiva.
  Presidente, anche se ho 23 minuti sarò molto breve, però volevo concludere ricordando al collega Bianchi che è vero che il 26 marzo 2014 in Commissione trasporti solo il PD ha votato a favore della proposta di parere in merito al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri riguardante la privatizzazione di Poste Italiane, ma il parere passò con due voti di scarto e ci furono tre assenti da parte del MoVimento 5 Stelle che ne pregiudicarono la bocciatura; quindi, il primo impegno della mozione del MoVimento 5 Stelle mi lascia un po’ perplesso perché, evidentemente, il 26 marzo potevano essere tutti presenti e votare negativamente a quel parere e oggi non saremmo qui a discutere del primo punto della mozione presentata dal gruppo.
  Questo è quanto, Presidente, la ringrazio e mi auguro che il sottosegretario legga attentamente gli impegni della mia mozione, perché sono diversi rispetto agli impegni delle altre in quanto offrono la possibilità al Governo di proporre all'amministratore alcune soluzioni. Sono soluzioni che ho già anticipato al sottosegretario in via informale durante le sedute della Commissione trasporti e gliele ho ufficializzate con questa mozione. Quindi, chiedo al sottosegretario un'attenta lettura e un parere favorevole.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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Discussione delle mozioni Vezzali ed altri n. 1-00557, Rostellato ed altri n. 1-00834, Giancarlo Giordano ed altri n. 1-00835, Gagnarli ed altri n. 1-00836 e Binetti ed altri n. 1-00837 concernenti iniziative per la promozione dell'educazione alimentare nelle scuole (ore 17,55).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione sulle linee generali delle mozioni Vezzali ed altri n. 1-00557, Rostellato ed altri n. 1-00834, Giancarlo Giordano ed altri n. 1-00835, Gagnarli ed altri n. 1-00836 e Binetti ed altri n. 1-00837 concernenti iniziative per la promozione dell'educazione alimentare nelle scuole (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato nel vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che in data odierna è stata presentata la mozione Malpezzi ed altri n. 1-00839 (Vedi l'allegato A – Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare l'onorevole Franco Bordo, che illustrerà anche la mozione Giancarlo Giordano n. 1-00835 di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  FRANCO BORDO. Grazie Presidente, la FAO stima che a livello mondiale la quantità di cibo che finisce tra i rifiuti ammonti a 1 miliardo e 300 milioni di tonnellate e che 925 milioni di persone nel mondo sono a rischio di denutrizione. Nell'Unione europea oltre 79 milioni di persone vivono ancora al di sotto della soglia di povertà, mentre 18 milioni di persone dipendono dagli aiuti alimentari. Nel nostro Paese, ogni famiglia butta tra i 200 grammi e i 2 chilogrammi di alimenti ogni settimana e ogni anno lo spreco domestico costa agli italiani quasi 9 miliardi di euro.
  È indispensabile, fin dai primi anni di scuola, promuovere dei modelli di consumo alimentare sani, sostenibili e responsabili, sensibilizzando i ragazzi alla necessità etica, prima ancora che economica, di una lotta allo spreco alimentare laddove gli squilibri relativi al diritto all'accesso al cibo sono ormai sempre più inaccettabili, sia a livello nazionale che planetario.
  Sotto questo aspetto, quindi, la scuola può e deve avere un ruolo importantissimo per contribuire alla formazione di consumatori consapevoli. Consapevoli dello stretto legame tra qualità del cibo, un'alimentazione sana e la propria salute, nonché di quanto le scelte alimentari siano strettamente connesse alla tutela dell'ambiente e del territorio, consapevoli che scegliere prodotti locali, privilegiando la filiera corta, riduce i costi di trasporto e, quindi, le emissioni di anidride carbonica e sostiene l'economia locale; così come scegliere produzioni biologiche significa optare per prodotti più sani con evidenti benefici ambientali connessi, tra l'altro, al mancato utilizzo di prodotti chimici in agricoltura; è, peraltro, evidente come quanto sopra esposto debba essere coerente e, quindi, accompagnato con politiche nazionali e comunitarie volte a incentivare l'alimentazione di qualità ed avviare efficaci iniziative normative per contrastare lo spreco alimentare: dalle vendite con ribasso del cibo prossimo a scadenza, alla donazione dei prodotti invenduti, all'introduzione di criteri premianti negli appalti pubblici dei servizi di ristorazione collettiva per chi distribuisce gratuitamente le eccedenze.
  La Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza segnala, tra l'altro, la diffusione di due fattori di rischio molto significativi per la salute dei minori: l'obesità e il sovrappeso. Detti fattori di rischio risultano strettamente correlati al concetto di povertà come assenza o carenza di opportunità e ciò comporta, tra l'altro, che il divario sociale si traduca in un divario Pag. 94di salute che, nonostante i progressi della medicina e i livelli di offerta sanitaria nel nostro paese, non risulta ancora colmato.
  Quindi, tende ad affermarsi, in modo particolare nelle regioni meridionali del nostro paese, un modello nutrizionale sempre più simile a quello esistente nei paesi del Sud del mondo, in cui si abbandona la tradizione alimentare nazionale a favore di un consumo eccessivo del cosiddetto junk food, il cibo ipercalorico a scarso valore nutrizionale, che però vanta un costo basso.
  Per questo oggi è assolutamente indispensabile prestare maggiore attenzione ai crescenti disturbi del comportamento alimentare. Spesso i primi sintomi di questi disturbi insorgono proprio in età evolutiva. Nel corso degli ultimi anni si è registrato un aumento del tasso di incidenza e, contemporaneamente, un abbassamento dell'età di insorgenza di questi fenomeni. Il fatto che questi disturbi non riguardino più solo gli adolescenti, ma che si stiano diffondendo anche in età pre-adolescenziale, rende fondamentale il ruolo che può essere svolto dalle scuole; una corretta educazione alimentare attraverso un'appropriata conoscenza dei principi alimentari e la promozione di un sano rapporto con il cibo aiuterebbero i ragazzi a sviluppare consapevolezza critica verso messaggi mediatici sbagliati che associano bellezza e magrezza e li accompagnerebbe verso un equilibrato sviluppo e benessere psico-fisico. Sotto questo aspetto, progetti nelle scuole, iniziative e campagne di sensibilizzazione dovrebbero servire a prevenire anche queste patologie, sempre più diffuse ma spesso taciute.
  L'Organizzazione mondiale della sanità ha recentemente emanato le linee guida sull'assunzione dello zucchero presente negli alimenti. Le raccomandazioni di tale istituzione prevedono la limitazione dell'assunzione di zuccheri semplici (quali quelli tipici delle merendine) al 10 per cento del fabbisogno calorico giornaliero, con l'esortazione a ridurre ulteriormente questa soglia a meno del 5 per cento. E questo con particolare attenzione ai più giovani. A parere del Ministero della salute italiano, che a quanto risulta è l'unico paese dell'Unione europea a essersi dichiarato in disaccordo con dette raccomandazioni, le linee guida appaiono eccessivamente restrittive, soprattutto allorché propongono una riduzione del consumo di zuccheri semplici al di sotto del 5 per cento. Si tratta di una presa di posizione che francamente facciamo fatica non solo a condividere, ma semplicemente a capire.
  Un'ulteriore criticità, emersa nel corso dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile sopra citata, ha riguardato le mense scolastiche, che spesso risultano scarsamente accessibili ai minori che vivono in nuclei familiari con difficoltà economiche. Sotto questo aspetto è stata sottolineata l'opportunità di offrire un servizio gratuito alle famiglie e ai bambini in condizioni di povertà certificata.
  Chiaramente questo tema si inserisce nella complessa questione delle risorse destinate alla scuola.
  Con questa mozione e con queste premesse Sinistra Ecologia Libertà propone principalmente di impegnare il Governo a introdurre, fin dalla scuola dell'obbligo, programmi di studio e campagne informative di educazione alimentare e gestione ecosostenibile delle risorse naturali, attraverso un approccio multidisciplinare alle diverse tematiche relative al cibo, in quanto strettamente connesse ad ambiti quali lo spreco alimentare, la salute, l'agronomia, il benessere animale, l'ambiente e la biodiversità, l'economia, nonché sull'educazione al cibo di qualità e a una produzione alimentare ecosostenibile; a prevedere l'avvio di progetti e campagne di sensibilizzazione nelle scuole sui disturbi del comportamento alimentare, che troppo spesso insorgono proprio nell'età evolutiva, per favorire un'appropriata conoscenza dei principi alimentari e la promozione di un sano rapporto con il cibo; a incentivare, per quanto di competenza, la diffusione di orti didattici fin dalle scuole d'infanzia statali e paritarie degli enti locali, quali strumenti educativi con cui i bambini possono imparare la coltura di ortaggi e frutti, piantare i semi e vederli gradualmente trasformarsi in piante, imparando Pag. 95ad osservare la natura, i suoi ritmi, il ciclo delle stagioni, e raccogliere e consumarne i prodotti; ad adottare opportune iniziative normative, in accordo con gli enti territoriali, volte a privilegiare l'utilizzo dei prodotti biologici nelle mense scolastiche e degli alimenti a filiera corta, a predisporre più efficaci iniziative normative per la lotta alla deprivazione alimentare, per contrastare lo spreco alimentare, favorendone il recupero e prevedendo adeguati strumenti normativi volti ad incentivare la donazione dei prodotti alimentari invenduti, la vendita con ribasso del cibo prossimo a scadenza, in ultimo a recepire le raccomandazioni contenute nelle linee guida emanate dall'Organizzazione mondiale della sanità sulla riduzione dello zucchero presente negli alimenti, con particolare riferimento ai bambini consumatori.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Busto, che illustrerà anche la mozione Gagnarli ed altri n. 1-00836, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  MIRKO BUSTO. Signor Presidente, questa mozione si accoda allo sforzo che si porta avanti in quest'Aula nel promuovere un'alimentazione e una educazione alimentare consona. Abbiamo una situazione strana: ormai si sta diffondendo sul pianeta terra il fatto che si abbandonano sempre di più stili di vita e regimi alimentari basati su consumi locali, su consumi di elementi non trasformati, su consumi di alimenti sani e ci si sposta sempre di più verso alimenti insalubri, ricchi di zuccheri, di grassi saturi e di alimenti di origine animale. Questa è la stessa transizione che abbiamo fatto noi in Italia, dagli anni Sessanta ad oggi.
  Mi voglio concentrare su un punto presente solo nella nostra mozione, che è quello che mi contraddistingue in quest'ultimo periodo, ed è appunto quello sull'elevato consumo di alimenti di origine animale. Se noi guardiamo i consumi italiani, vediamo che negli anni Sessanta ciascun italiano consumava 37 chilogrammi a persona di carne, mentre oggi siamo arrivati a circa 90; abbiamo circa triplicato il consumo.
  Parallelamente, questo stesso tipo di trend si osserva in altri Paesi, si osserva per esempio in Paesi emergenti come la Cina, si osserva in Brasile, con lo stesso tipo di pendenza, quindi con lo stesso tipo di aumento veloce, anche più ravvicinato, in tempi più rapidi perché il loro sviluppo economico è stato in tempi più recenti.
  Questo tipo di aumento di consumi di alimenti trasformati e di alimenti ricchi di zuccheri, verso diete caratterizzate da elevato impatto ambientale ed elevato consumo di suolo ha degli effetti sulla salute umana perché parallelamente – come abbiamo visto – in Italia, ma soprattutto in Paesi come la Cina ed in altri Paesi emergenti si vede la crescita di malattie come l'obesità.
  Sull'obesità ci sono i dati, che sono citati: oggi, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, l'obesità rappresenta il più comune disordine nutrizionale del mondo occidentale, tanto da avere raggiunto nel mondo 44 milioni di bambini tra gli zero e i 5 anni, appunto colpiti da sovrappeso od obesità, con una proiezione che si preannuncia essere drammatica: 70 milioni, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Questa dieta non sana ha un costo enorme, appunto in termini sia ambientali sia sanitari. Dal punto di vista sanitario ricordiamoci che oggi il costo è stato stimato all'incirca all'8 per cento del totale del costo sanitario. Quindi, il fatto di avere un'alimentazione non sana ci costa e ci costa tanto.
  Cosa ci costa, invece, dal punto di vista ambientale ? Sappiamo tutti o l'abbiamo sentito in questi giorni, anche grazie al dibattito sulla Carta di Milano, che l'alimentazione, l'agricoltura e l'allevamento sono alcuni dei fondamentali e dei principali contributori per il cambiamento climatico, arrivando a incidere per circa il 30 per cento. Quindi, si è parlato di spreco, ed è importante, come avete giustamente sottolineato, ridurre lo spreco alimentare, che è mostruoso, soprattutto nei Paesi Pag. 96ricchi ma, in realtà, anche nei Paesi poveri, seppure abbia una caratterizzazione differente.
  D'altra parte, bisogna anche cominciare a parlare di ridurre certi consumi e certi stili di vita perché, come dicevo prima, c’è il problema delle emissioni di gas serra. Infatti, come è stato dimostrato da un recente studio pubblicato su Climate Science, da sola l'alimentazione umana, di tutti gli abitanti del pianeta terra – che passeranno, entro il 2050, a 9 miliardi –, quindi l'agricoltura più l'allevamento, ci porterà sopra i due gradi di temperatura. C’è un bellissimo grafico che fa vedere che nel 2070 solo l'alimentazione, anche qualora noi portassimo a zero tutte le emissioni dovute all'energia, dovute ai trasporti, dovute a tutti gli altri settori, ci porterebbe sopra i due gradi.
  Quindi, questa criticità ci suggerisce che assolutamente va cambiato il nostro stile di vita, soprattutto quello dei Paesi ricchi occidentali. Infatti, come dicevo prima, noi siamo arrivati, per esempio, a 87 chilogrammi di carne, che cito perché, tra l'altro, è uno dei più importanti contributori nell'ambito dell'alimentazione, contando globalmente sul cambiamento climatico per il 14,5 per cento da sola. Giusto per fare una comparazione, ricordiamoci che l'Europa da sola globalmente incide per circa il 9 per cento, mentre l'allevamento globale incide per il 14,5 per cento e il trasporto globale incide per il 14 per cento. Quindi, è un contributore importante.
  Detto questo, gli effetti non sono ovviamente solo sul cambiamento climatico. Gli effetti sono, per esempio, sulla perdita di biodiversità. Dagli anni Settanta ad oggi abbiamo ormai depauperato la biodiversità globale circa del 50 per cento. La biodiversità rappresenta il numero di differenti piante e specie animali che sono presenti sul pianeta Terra. È una «cosetta» che non va trascurata, seppure non si capisce perché nel dibattito politico si faccia fatica a parlare di biodiversità come di un indicatore interessante e importante. Sembra che tutto si debba ricondurre sempre all'unico indicatore, che è quello economico, anzi quello dei beni e dei servizi prodotti, il PIL. In realtà, ci sono indicatori ben più importanti, perché descrivono la possibilità o meno di garantire la sopravvivenza su questo pianeta.
  Quindi – e tornando alla mozione, per non dilungarmi troppo – noi abbiamo previsto alcuni impegni che vi voglio illustrare brevemente. Innanzitutto, occorre promuovere l'educazione alimentare e motoria nelle scuole dell'infanzia primaria e secondaria di primo grado, attraverso percorsi rivolti agli alunni e ai docenti. Dobbiamo partire, appunto, dalla scuola. Nella scuola è importante che si cominci a parlare di che cosa mangiamo e si cominci a contrastare un fenomeno che forse è stato lasciato andare troppo oltre, cioè quello di lasciare l'educazione alimentare dei nostri figli alla televisione, alla pubblicità e, in ultimo, alle multinazionali dell'alimentazione.
  Infatti, se andiamo a ben vedere, alla fine il discorso è questo: chi educa i nostri figli all'alimentazione sono le multinazionali. Quindi, dobbiamo cominciare a contrastare questo fenomeno e, consapevoli dell'enorme costo sanitario e ambientale che un'alimentazione non sana e non sostenibile comporta, dobbiamo cominciare ad educare e a fornire informazioni riguardo alle etichette, alla lettura delle etichette, ma anche una banale, banalissima, conoscenza dell'apparato digerente di ciascun di noi.
  Dobbiamo capire perché un alimento ci può fare bene, perché un alimento ci può fare male, ma anche la funzione sociale del cibo, la cosiddetta «piramide alimentare», ovvero quali sono gli alimenti più adatti, più importanti per la nostra alimentazione e quali sono quelli che vanno minimizzati, e anche la provenienza degli alimenti.
  Questo è uno dei temi che tornerà nei prossimi mesi, perché parleremo di TTIP, e avere un agroalimentare di cui possiamo analizzare la provenienza è indispensabile sia per andare in una direzione diversa, per un'agricoltura più salubre e che abbia più rispetto per l'ambiente e per la salute, Pag. 97ma anche per riuscire di nuovo a costruire un'agricoltura locale, forte, che ci possa sfamare nel futuro.
  Su questo si potrebbe dire molto, perché sono di questi giorni numerosi studi che parlano della resilienza dell'agricoltura. L'agricoltura intensiva, pur avendo avuto evidenti vantaggi, all'inizio di questo secolo, nell'aumentare le rese agricole, nel lungo periodo sta dimostrando di non essere sufficientemente resiliente, cioè di non essere capace di rispondere alle sfide di questo secolo, che sono il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, l'impoverimento dei suoli e l'impoverimento delle risorse minerarie che utilizziamo per la fertilizzazione.
  Qui si aprirebbe un discorso molto interessante, quello del fosforo minerale, che è un fertilizzante che noi utilizziamo e che dovrebbe entrare nel suo picco di produzione entro questo secolo, comportando o potenzialmente comportando una necessità di cambiare radicalmente la struttura dell'agricoltura: da un'agricoltura intensiva e di grande estensione a un'agricoltura di prossimità. Questa è una cosa che sarebbe bello approfondire in quest'Aula.
  Oltre a questo, parliamo di alimenti biologici, e quindi, anche qui, di un'agricoltura diversa, chilometro zero e chilometro utile, ma anche di aspetti di salubrità del cibo. Oltre a questo, abbiamo previsto un impegno che chiede un corretto equilibrio tra consumo e rispetto del cibo, per rendere il consumatore consapevole degli sprechi di acqua e di energia e dei loro impatti ambientali ed economico-sociali. Quello che dicevamo prima: una dieta, uno stile di vita è associato ad un impatto ambientale.
  Diventa oggi importante riconoscere questo impatto ambientale e fare in modo che i cittadini possano muovere le proprie scelte sulla base di elementi ambientali e di salute diventa fondamentale per muoverci verso stili di vita sostenibili – sostenibili in termini di risorse del pianeta e di emissioni inquinanti durante questo secolo –, ma anche equi, perché ricordiamoci che, giusto per fare un esempio, vi è un famoso indicatore ambientale, che si chiama impronta ecologica.
  Avrete sentito parlare dell'impronta ecologica: misura, in termini di metri quadri, il quantitativo di risorse che vengono utilizzate per un servizio o un prodotto, e anche il suolo necessario per assorbirne i rifiuti prodotti. Ora, è interessante sapere che ci sono circa 2.700 metri quadri per ciascun abitante della Terra.
  Di questi 2.700 metri quadri, dobbiamo capire che una dieta come quella occidentale ne consuma mediamente 4 mila, mentre una dieta povera di alimenti di origine animale, per esempio, ne consuma mille. Quindi, dobbiamo, anche in questo caso, ridiscutere per arrivare a una dieta che possa essere equa, che possa consentire un'equa distribuzione delle risorse del pianeta.
  Andrei avanti con l'impegno che prevede la riduzione dei consumi di alimenti di origine animale (ma questo, ovviamente, lo avevo già introdotto); un impegno, legato a una mia proposta di legge, che chiede di riconoscere il diritto a un'alimentazione priva di alimenti di origine animale nelle mense pubbliche, dato che ormai le persone che decidono di escludere, a diverso titolo, questi alimenti sono circa 7 milioni in Italia.
  Quindi, diventa importante, anche per una sorta di riconoscimento di un diritto di scelta individuale, che questa scelta sia consentita.
  Vi è un altro impegno, che parla dell'olio di palma. L'olio di palma è un prodotto, tra l'altro anche decisamente insalubre, perché ricco di grassi saturi, che ormai è presente in gran parte degli elementi che troviamo nei nostri supermercati, nelle merendine, soprattutto negli alimenti per l'infanzia. L'olio di palma ha implicazioni sanitarie interessanti e importanti, ma soprattutto è legato alla deforestazione nei Paesi del Sud-Est Asiatico, alla distruzione degli habitat e degli ecosistemi. Ricordiamoci che, quando parliamo di distruzione degli ecosistemi (a volte sembra si tratti di qualcosa che non Pag. 98ci tocca direttamente, un ecosistema dall'altra parte del mondo non ci interessa direttamente), quando noi distruggiamo un ecosistema, noi stiamo anche costringendo milioni di cittadini, che abitavano le aree che sono state distrutte, ad avvicinarsi spesso alle città, non trovando più suoli adatti per le produzioni di sussistenza alimentare e questo alimenta, per esempio, il fenomeno dell'emigrazione, insieme a tanti altri fenomeni connessi. Quindi, noi vorremmo l'esclusione, negli appalti delle mense pubbliche degli istituti scolastici, degli ospedali e delle aziende pubbliche, nonché dei distributori automatici in essi collocati, delle ditte fornitrici di prodotti a base di olio di palma.
  In più, si parla di marketing. Come dicevo prima, ormai l'alimentazione e la cultura alimentare la fanno le multinazionali attraverso la pubblicità. È il momento di cercare di mettere un limite a questo modo di agire. Il marketing ha dimostrato di avere dei limiti. È giusta la libertà di impresa, possiamo discutere di questo, ma, d'altra parte, quando entra in gioco la salute dei cittadini e l'interesse collettivo, è necessario mettere dei paletti e delle regole sicure. Quindi, noi chiediamo che anche nelle pubblicità, nelle trasmissioni esclusivamente dedicate ai minori, prendendo come esempio i casi dell'Australia, dell'Olanda e della Svezia, vengono fatte campagne di sensibilizzazione per mezzo di specifici spot, per educare ad una sana alimentazione. Dobbiamo inserire l'alimentazione anche nelle televisioni.
  In questo momento, non leggerò gli altri impegni, perché non voglio dilungarmi troppo, ma sarebbe interessante che questa discussione andasse oltre la riduzione degli sprechi. Secondo me, non è neanche solo importante fare un'informazione corretta e parlare di riduzione degli sprechi. Qui è proprio interessante ed importante fare una discussione approfondita su qual è uno stile di vita sano, sostenibile ed equo. Visto che parliamo in questi giorni di Expo, «nutrire il pianeta», e parliamo di pianeta, non di nutrire il Paese, l'Italia, è importante parlare di geopolitica delle risorse, è importante parlare di land grabbing, è importante parlare di una serie di fenomeni connessi, come appunto il cambiamento climatico, che ci vedono messi al centro di una responsabilità grossa. I Paesi ricchi occidentali sono quelli che hanno dettato la linea in termini di educazione alimentare e in termini di stili di vita sostenibili o meno. Quindi, a noi resta la responsabilità di promuovere degli stili di vita che vadano in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00837. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, l'educazione alimentare, nella prospettiva in cui mi piacerebbe venisse considerata, e come in gran parte è stata considerata anche dai relatori che mi hanno preceduto, rappresenta uno dei determinanti di salute. Quindi, pur apprezzando enormemente la presenza qui del sottosegretario Toccafondi, ci sarebbe piaciuto avere presente in Aula anche il rappresentante del Ministero della salute.
  Infatti, si tratta di alimentazione e, in questa prospettiva e in questa logica, anche noi immaginiamo un programma di educazione alimentare come fonte di salute di benessere per le persone.
  Il tema dei determinanti di salute è uno di quei temi che ovviamente appassiona tutto il mondo dall'area medica e biologica, proprio perché ci si chiede fino a che punto un determinante sia strutturale e appartenga quindi alla struttura biologica e genetica di un soggetto – quindi per così dire al suo profilo metabolico – e fino a che punto, invece, i determinanti abbiano un carattere più mediato dal contesto sociale in cui si vive, dalle abitudini e dalla cultura, che tra gli uni e gli altri, concorrono a formare un vero e proprio stile di vita.
  Infatti, non c’è dubbio che l'alimentazione, come determinante di salute, lo diventa anche intanto e in quanto non si tratta solo di un discorso legato a ciò che si mangia, ma anche a come si mangia e Pag. 99alla capacità di affrontare il grande tema della gestione dei propri spazi liberi. La sindrome più difficile che oggi si riscontra non è tanto quella di cosa mangiano i bambini a tavola, quanto la sindrome dei bambini «con la bocca piena», caratterizzata dal fatto che non sanno stare senza avere qualcosa in bocca. Che siano caramelle, che siano marshmallow, che siano gomme americane o qualunque cosa sia, questi bambini vivono il rapporto con il cibo come una sorta di compensazione indiretta di quelle che sono magari attenzioni mancanti sotto altri profili.
  Quindi, anche il tema dell'educazione alimentare abbraccia le componenti affettive, le componenti relazionali ma abbraccia anche la dimensione del modo stesso di mangiare, che è la gestione, per esempio, dello stress. Per fare un piccolo esempio ed alleggerire il livello della nostra attenzione a fine giornata, quando noi usciamo dall'Aula, verso le 13,30 o le 14 per precipitarci immediatamente in Commissione, facendo prima una sosta di passaggio al bar per mangiare qualunque cosa sia in piedi, di corsa, velocemente, stiamo praticamente contraddicendo i più elementari criteri che riguardano i determinanti di salute, i quali vorrebbero che, perlomeno, anche quel panino venisse mangiato in un clima e in un contesto di relax, in un contesto di distensione, in un contesto che faciliti i processi poi di metabolizzazione di ciò che stiamo mangiando.
  Dico questo per rilevare che non basta soffermarci su ciò che si mangia, su quanto si mangia e su come è cucinato, ma è anche importante il contesto nel quale si svolge quest'azione così profondamente umana, espressione così tipica della nostra cultura e della nostra civiltà che è il mangiare, come uno dei fattori più importanti anche di socializzazione e di relazione, uno dei momenti concreti in cui si condivide non soltanto il giudizio su cosa si sta mangiando, ma anche il giudizio su cosa è stato fatto fino a quel momento e su quello che si farà tra poco.
  Si tratta, quindi, di determinanti di salute legati allo stile di vita, ma anche legati, attraverso il tema dello stile di vita, a quella che è l'attività che ognuno di noi svolge. Non c’è possibilità di immaginare una sorta di bilancio di ciò che si mangia se, mettendo in entrata tutte le calorie legate ai cibi che ingeriamo, non mettiamo poi nella colonna delle uscite le attività fisiche e il consumo energetico reale a cui noi ci sottoponiamo. Si tratta di attività fisiche che possono andare dall'attività sportiva in senso proprio ovvero, pensando ai bambini, la palestra, la piscina, il calcio, l'atletica e, pensando a noi adulti, anche il camminare, il salire le scale senza prendere un ascensore e tutto quell'insieme di misure che fanno del movimento anche un determinante di salute importante.
  Parlare, quindi, di alimentazione, senza parlare di esercizio fisico, significa affrontare il problema in maniera, per così dire, parziale e limitata. Ma non è solo questo ciò che ci interessa, anche se è evidente che, in questo modo, già stiamo dicendo qualcosa a questi bambini. Stiamo dicendo qualcosa sull'organizzazione del loro tempo che include – magari accanto alle attività di studio, sportive e sociali – anche il loro rapporto con il cibo. Infatti, è da questo che derivano quei due grandi estremi, che sono, da un lato, l'obesità e, dall'altro, altri disturbi del comportamento alimentare, che vanno sotto il nome di anoressia e che sono altrettanto pericolosi. Peraltro, so che ci sono diversi progetti di legge qui in Parlamento, che riguardano proprio il disturbo, per così dire, opposto all'obesità, che è il disturbo dell'anoressia.
  Fino a poco tempo fa al centro dell'attenzione e del dibattito vi erano più questi adolescenti che inseguivano modelli di stile esteticamente collegati ad un certo tipo di pubblicità e ad un certo tipo di moda. Oggi, però, sembra che la nostra preoccupazione per la salute si concentri solo sul profilo dell'obesità. Ben venga questa attenzione, purché non si dimentichi anche l'altro problema. Infatti, ogni volta che si affronta il tema dei disturbi alimentari, guardando da una parte senza guardare anche all'eccesso opposto, si finisce con il passare da un errore ad un altro.Pag. 100
  Detto questo, cos’è che noi vogliamo proporre attraverso il tema dell'educazione alimentare ? Vogliamo proporre un tema di stile di vita basato su relazioni significative. Vogliamo proporre la capacità di coltivare interessi e la capacità di coltivare anche delle curiosità. Ci auguriamo che tutto questo gran parlare di Expo 2015 spinga i ragazzi ad interrogarsi su che cosa significa nutrire il pianeta e sulle grandi produzioni che, dal punto di vista geografico, si concentrano in un'area piuttosto che in un'altra ed a capire come la geografia della produzione alimentare è anche una geografica umana, perché ha molto a che vedere con la povertà dei Paesi in via di sviluppo, con le tematiche legate alla denutrizione, ma soprattutto, oltre che alla denutrizione, anche alla malnutrizione. I bambini dei Paesi in via di sviluppo all'apparenza sembrano cicciottelli, ma, se li guardiamo bene, ci rendiamo conto che sono bambini che hanno un addome protruso, che hanno un sintomo chiaro di qualcosa che fa parte di un'alimentazione che non riescono a metabolizzare in modo corretto.
  Parlare, quindi, di geografia della nutrizione significa anche parlare di geografia soprattutto umana e non soltanto di geografia economica. Ed è questo quello che noi vorremmo che i ragazzi cogliessero negli anni della loro esperienza scolastica: capire come la produzione che caratterizza un Paese è una produzione che ovviamente dice molto su quelle che saranno le sue risorse economiche, ma dice ancora di più su quelle che saranno le condizioni di vita e di salute delle persone che vivono in quel Paese.
  Detto questo, noi sappiamo anche che il tema della produzione alimentare nei Paesi in via di sviluppo ci pone due problematiche molto pesanti. Una è quella per cui i Paesi a più alta capacità di traino economico molte volte acquistano in questi Paesi materie prime che oggettivamente vengono assolutamente sottopagate e in qualche modo sottovalutate rispetto al benessere. Sappiamo che ci sono interi territori, per esempio, dell'Africa che, in questo periodo, la Cina sta acquistando perché vuole trasformarli in terreni da cui sfruttare le risorse energetiche, privando poi, però, quei Paesi di quelle che sono risorse molto più prossime al loro benessere umano e che sono le risorse legate alla loro capacità e alla loro possibilità di nutrirsi.
  Questa è anche una cultura nuova. Noi, che proveniamo da esperienze secolari – non tanto l'Italia, ma soprattutto altri Paesi – di colonialismo e, quindi, di sfruttamento dei Paesi, dobbiamo anche riuscire ad avere una certa capacità di denuncia rispetto alle nuove forme di sfruttamento, rispetto alle quali non ci si limita a «prendere» le risorse e le materie prime di questi Paesi, ma ad espropriare tali Paesi di quelle sostanze essenziali per la loro sopravvivenza.
  Detto questo, ci sono anche le altre problematiche legate alla sottoalimentazione o alla malnutrizione che caratterizzano le periferie delle grandi città, quelle periferie a cui si riferisce tante volte Papa Francesco quando ci sollecita e ci invita ad andare, a spingerci in queste periferie, laddove la malnutrizione molte volte è ancora più scioccante se pensiamo allo spreco di cibo che si fa.
  È vero che ci sono iniziative estremamente interessanti nell'ambito, per esempio, di tutte le iniziative di volontariato, delle azioni di promozione sociale. Penso, per esempio, al banco alimentare, penso a quelle iniziative in cui si raccolgono cibi che vengono distribuiti. Penso, però, anche alla complessità di una normativa che, a volte, con il desiderio di offrire sicurezza e sicurezza alimentare, rende difficile condividere.
  Penso, per esempio, alle panetterie, che potrebbero distribuire in modo praticamente gratuito quel pane che, a fine giornata, resta nelle loro vetrine e sui loro banconi e che di fatto, però, non possono farlo e non possono andare a portarlo là dove quel pane serve perché c’è una serie di norme che impediscono che i cibi possano muoversi all'interno della città, se non con dei criteri così stringenti da rendere oggettivamente difficile quello che potrebbe essere un semplice gesto di fraternità Pag. 101o un semplice gesto di cittadinanza all'interno di una grande metropoli come ogni metropoli sta diventando.
  Se penso a Roma capitale e se penso a quelli che sono i gruppi che affluiscono a Roma e che occupano le nostre periferie, mi viene in mente quanto sarebbe più facile venire incontro ai loro bisogni se questa catena della distribuzione del cibo potesse essere fatta con la semplicità e con la naturalezza con cui in un certo senso lo stesso buonsenso suggerisce. Eppure non è così, sappiamo che non è così e sappiamo che è anche difficile andare incontro a questi bisogni.
  Per avvicinarmi alla conclusione del mio intervento, di che cosa noi riteniamo che ci sarebbe bisogno per un'educazione alimentare ragionata nelle scuole ? Non tanto del professore di educazione alimentare. Infatti, l'educazione alimentare è in qualche modo una disciplina multiculturale, in cui convergono saperi diversi; converge, per esempio, appunto, il sapere geografico; converge il sapere scientifico; converge un certo tipo di sapere sociologico; converge una grande sensibilità per le relazioni umane.
  Quindi, abbiamo bisogno piuttosto di un'azione interdisciplinare da parte del collegio dei docenti che possa in qualche modo varare delle unità didattiche in cui il problema venga affrontato sotto diverse chiavi e con diversi approcci. Ma abbiamo anche bisogno che, oltre al punto di vista intellettuale, in cui il problema viene spiegato e viene illustrato, i bambini sperimentino le condizioni reali di questi e che, quindi, lo stile di vita nelle mense scolastiche sia uno stile in cui la relazione di amicizia, di convergenza e di dialogo tra i bambini sia reale; abbiamo bisogno che ci sia davvero un'opportunità di far giocare questi bambini, che siano le palestre, che siano i vecchi cortili, che siano comunque quelle dinamiche in cui i bambini giochino e facciano moto, ma facciano un moto che è in qualche modo anche rapporto, che è anche relazione. E, poi, abbiamo bisogno che sviluppino il senso vero della generosità, che sviluppino quell'etica del dono che fa sì che siano capaci davvero in modi diversi di saper condividere ciò che loro hanno con bambini che oggettivamente non hanno le stesse risorse di cui loro possono disporre.
  Quindi, è un'educazione che è un'educazione dell'intelligenza, che è un'educazione della volontà, che è un'educazione del cuore e che mira proprio a rendere più umana l'esperienza scolastica; mira a farne un'esperienza totale, un'esperienza globale e non soltanto un'esperienza settoriale.
  Io credo che se noi riusciremo a trasferire nella vita e nella cultura scolastica quella capacità di essere orientati ai problemi del nostro tempo, orientati alle esperienze proprio del nostro tempo, senza voler introdurre una materia in più, probabilmente riusciremo a dare a questo apprendimento quell'interesse umano, quell'interesse sociale, quel coinvolgimento personale di cui c’è sempre più bisogno perché i ragazzi maturino un progetto di maturità personale e non soltanto un progetto meramente orientato alle conoscenze, affinché arrivino molto più facilmente ad acquisire le competenze che fanno di loro delle persone mature e dei bambini in grado poi di diventare degli adulti capaci di partecipare alla costruzione del bene comune.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Iori, che illustrerà anche la mozione Malpezzi ed altri n. 1-00839, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  VANNA IORI. Grazie Presidente. Il sistema alimentare a livello globale è caratterizzato da un enorme paradosso, per cui a fronte di quasi un miliardo di persone al mondo che patiscono la fame o sono malnutrite, circa un miliardo e mezzo soffre le conseguenze dell'eccesso di cibo, con un aumento del rischio di diabete, tumori, patologie cardiovascolari, respiratorie, muscolari e scheletriche.
  Qualche dato credo sia importante: ogni anno si registrano 36 milioni di decessi per assenza di cibo e 29 milioni di decessi per eccesso di cibo.Pag. 102
  Centoquarantaquattro milioni di bambini sono sottopeso, 155 milioni di bambini sono obesi o in sovrappeso.
  Secondo i dati dell'OMS la prevalenza dell'obesità a livello globale è raddoppiata dal 1980 ad oggi, interessando anche le fasce più giovani della popolazione: si stima che nel 2011 ci fossero nel mondo oltre 40 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni in sovrappeso.
  Anche nel nostro Paese il problema, dunque, della educazione alimentare si presenta con molteplici sfaccettature che richiedono con urgenza un intervento su più versanti; da un lato, la crescente crisi economica che coinvolge soprattutto i bambini sta acuendo le situazioni di autentica sottonutrizione, dall'altro, sono in aumento le forme di malnutrizione, quel paradosso che dicevo prima, che portano all'obesità e al sovrappeso.
  C’è una recente indagine proprio del 2015, appena uscita, che ha per titolo L'obesità infantile: un problema rilevante e di sanità pubblica, promossa dall'osservatorio per la salute del dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell'Università di Milano Bicocca. In questa ricerca si segnala che l'Italia è uno dei Paesi europei in cui si ha il maggior aumento di obesità infantile, circa tre punti percentuali al di sopra della media europea. Tra i 6 e gli 11 anni abbiamo un 10 per cento di obesi e in alcune regioni, soprattutto del sud del Paese, queste percentuali aumentano ulteriormente fino a raggiungere il 40 per cento di obesità nei bambini.
  Diverse altre ricerche indicano che i fattori principali sono legati certamente al contesto socio-economico, familiare e agli stili di vita. Pensiamo che solo il 44,7 per cento dei genitori conosce le regole di una sana alimentazione. Alle condizioni di disagio si aggiungono quelle di disinformazione e povertà educativa. Per cui, ad esempio, un 37 per cento delle madri non ritiene mai eccessiva la quantità di cibo somministrata ai figli; non solo, ma il 22 per cento dei bambini non mangia tutti i giorni frutta e verdura e, ancora, un bambino su dieci salta la prima colazione, mentre in Italia si stima oltre un milione e centomila bambini tra i 6 e gli 11 anni con problemi di obesità e sovrappeso che si accompagna ovviamente ad una scarsa attività motoria, ma anche ad un elevato consumo di bevande zuccherate e gassate, insaccati, snack, cibi ipercalorici. Uno stile di vita sedentario che accresce l'obesità e che coinvolge nel nostro Paese un bambino su sei che svolge attività motoria, ad esempio, soltanto un'ora la settimana.
  Aggiungiamo altri dati: il 44 per cento ha la TV in camera e, ancora, il 90 per cento è connesso più di due ore al giorno in Internet e parlo della fascia di età tra i 10 e i 17 anni. Solo un bambino su dieci fa attività sportiva in modo adeguato e il 27 per cento soltanto dei ragazzi nel nostro Paese va a scuola a piedi o in bicicletta.
  Quando parliamo di malnutrizione non intendiamo, dunque, solo la denutrizione ma intendiamo uno squilibrio per carenza o eccesso o per qualità nell'assunzione di cibo, derivante dalla combinazione di più fattori.
  L'importanza dell'educazione alimentare si colloca, quindi, nella duplice istanza di salvaguardare l'informazione e la salute al fine di prevenire proprio quelle conseguenze sanitarie che si manifestano in età adulta. Per questo è necessaria una campagna massiccia di informazione che coinvolga i ragazzi, i genitori, la scuola, le altre agenzie educative e i media.
  C’è, tuttavia, un secondo aspetto dell'educazione alimentare che non ha direttamente a che vedere con la quantità o la qualità del cibo, ma con il significato simbolico della nutrizione e con l'immagine della corporeità soprattutto per le ragazze. Sto parlando dei cosiddetti disturbi del comportamento alimentare, DCA, che richiedono altrettanta urgenza nel porre in questione i sintomi più diffusi, anoressia e bulimia, accomunati dalla difficoltà di essere e di poter essere il proprio corpo.
  Il problema educativo passa in questo caso dalla dignità del corpo, contro ogni forma di negazione, di enfatizzazione, di esibizione della corporeità. L'accettazione del proprio corpo è certamente resa difficile Pag. 103dai media, in un'epoca dominata dall'esigenza di avere corpi belli, atletici, snelli, e il mito della bellezza, e della snellezza in particolare, condiziona fortemente i percorsi formativi, soprattutto femminili, producendo quelle frequenti ansie da inadeguatezza ai canoni, che si traducono in un aumento dei disturbi del comportamento alimentare.
  Quasi questa definizione sembra però sottolineare, ancora una volta, l'importanza dell'oggettività dell'alimentarsi, quando noi diciamo disturbi del comportamento alimentare, anziché la soggettività dei vissuti corporei e quindi la dimensione dell'essere se stessi. Molti genitori, educatori, psicoterapeuti si trovano oggi sprovvisti di risposte di fronte all'esigenza di operare un contrasto e un decondizionamento rispetto ai messaggi della cultura dominante. Come è noto, infatti, questi disturbi alimentari si manifestano soprattutto nelle ragazze in età adolescenziale o nel passaggio dall'adolescenza alla giovinezza e nascono da difficoltà relazionali. Per rendere possibile la costruzione di una nuova immagine di sé occorre dunque un percorso educativo o rieducativo capace di recuperare nuove modalità di rapporto con il proprio corpo.
  Pur nella complessità delle sfaccettature, si può affermare che il cibo rappresenti in qualche modo il nutrimento, il calore, l'amore anche, mentre la bulimia e l'anoressia sono proprio comportamenti che indicano depressioni mascherate, dai contorni sfuggenti, nei quali è tuttavia innegabile l'influenza di una cultura del corpo che si fa peso insopportabile e risucchia ogni intenzionalità legata a sé, al mondo e agli altri, e si accompagna all'esperienza della solitudine. Dall'immagine ideale di un corpo snellissimo, fino ai limiti dell'evanescenza incorporea, la persona anoressica giunge a negare la fame, la fatica, la stanchezza, in una volontà di movimento senza sosta e senza riposo. Lo psichiatra Ludwig Binswanger così definisce Ellen West, la sua paziente anoressica, dicendo di lei che: «(...) esprime il desiderio di essere invisibile nella sua corporeità, impenetrabile agli sguardi altrui.». Ecco allora una segreta e dolorosa ferita dell'immagine di sé spinge giovani ragazze fino a ricercare la morte nella invisibilità della diafana trasparenza del corpo. Si continua a vivere in quei corpi scarnificati, sconfinando ambiguamente nel morire. Così afferma Eugenio Borgna. Il passaggio dall'adolescenza alla post-adolescenza è una svolta radicale, un cambiamento del corpo e dell'anima e in essa possono avvenire gli scivolamenti, le cadute, inafferrabili e non sempre cicatrizzabili. Il discorso anoressico inizia abitualmente in connessione con quest'età della vita.
  La nostra mozione allora intende intervenire anche su questo secondo aspetto pedagogico, riferito ai disturbi del comportamento alimentare, soprattutto potenziando l'educazione alla soggettività corporea, che ancora sconta la mancata individuazione di strategie educative rispetto a ciò che significa crescere come soggetti corporei nei percorsi formativi. Per favorire fin dall'infanzia e dall'adolescenza il valore della propria specificità occorre aiutare l'espressione della propria unicità esistenziale, cercando di incoraggiare il divenire sé stessi, insegnando il difficile cammino di avere consistenza identitaria in quanto soggetto-corpo. Se non abbiamo un corpo – un corpo cosa ? Un corpo oggetto – ma siamo un corpo, una delle dimensioni fondamentali della corporeità vissuta, sarà allora conservarne la consapevolezza e la responsabilità iniziando dal nutrimento del nostro corpo, del nostro corpo-persona, o corpo-esistenza.
  Oltre a ciò, la nostra mozione intende affrontare le attività di educazione alimentare nella scuola mediante un approccio sistemico capace di attivare ampie sinergie che coinvolgono tutti i soggetti della vita sociale: le istituzioni socio-sanitarie, gli enti locali, l'industria alimentare, il mondo agricolo, il mondo della distribuzione, della vendita, della comunicazione e soprattutto le famiglie come indispensabile elemento di crescita, di benessere, incentivando la consapevolezza dell'importanza del rapporto cibo-salute.
  E, ancora, la mozione tende a promuovere, nell'ambito delle attività di educazione Pag. 104alimentare, la conoscenza del sistema agroalimentare attraverso la comprensione delle relazioni esistenti tra sistemi produttivi e distributivi, in rapporto alle risorse alimentari, all'ambiente e alla società; infine, a mettere in atto anche nelle scuole, tutte le azioni necessarie per una piena attuazione del Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare mediante strumenti e soluzioni che favoriscano e facilitino la donazione delle eccedenze e dei prodotti non consumati attraverso la semplificazione, la razionalizzazione e l'armonizzazione del quadro di riferimento normativo procedurale, fiscale e igienico-sanitario; quindi, a potenziare tutte le strategie pedagogiche possibili per prevenire quelle patologie e per aumentare la consapevolezza di quelle tematiche educative che hanno a che vedere con i disturbi del comportamento alimentare e con la consapevolezza della necessaria educazione alimentare.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 28 aprile 2015, alle 11,30:

  1. – Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:
   S. 1818 – Conversione in legge del decreto-legge 17 marzo 2015, n. 27, recante disposizioni urgenti per lo svolgimento contemporaneo delle elezioni regionali ed amministrative (Approvato dal Senato) (C. 3059).

  2. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità e di merito e della questione sospensiva presentate):
   D'INIZIATIVA POPOLARE; CIRIELLI; PISICCHIO; BERSANI ed altri; FRANCESCO SAVERIO ROMANO; MIGLIORE ed altri; LENZI; ZAMPA e MARZANO; ZAMPA e GHIZZONI; MARTELLA; FRANCESCO SANNA; BOBBA ed altri; GIACHETTI ed altri; GIORGIA MELONI ed altri; RIGONI ed altri; RIGONI ed altri; NICOLETTI ed altri; MARTELLA ed altri; VARGIU; BURTONE ed altri; BALDUZZI ed altri; LAFFRANCO ed altri; VARGIU; TONINELLI ed altri; PORTA ed altri; ZACCAGNINI ed altri; VALIANTE ed altri; LAURICELLA; MICHELE BORDO; MARCO MELONI ed altri; DI BATTISTA ed altri: Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati (Approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato) (C. 3-35-182-358-551-632-718-746-747-749-876-894-932-998-1025-1026-1116-1143-1401-1452-1453-1511-1514-1657-1704-1794-1914-1946-1947-1977-2038-bis-B).
  — Relatori: Sisto e Migliore, per la maggioranza; Toninelli, Quaranta, Invernizzi e La Russa, di minoranza.

  3. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   REALACCI ed altri; MICILLO ed altri; PELLEGRINO ed altri: Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente (Approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato) (C. 342-957-1814-B).
  — Relatori: Bazoli, per la maggioranza; Micillo, di minoranza.

  4. – Seguito della discussione delle mozioni Iori, Sberna, Binetti, Daniele Farina, Locatelli, Pinna ed altri n. 1-00785, Manlio Di Stefano ed altri n. 1-00792 e Gianluca Pini ed altri n. 1-00799 concernenti Pag. 105iniziative in merito all'emergenza umanitaria relativa al campo profughi di Yarmouk, in Siria, con particolare riferimento alla situazione dei minori.

  5. – Seguito della discussione delle mozioni Luigi Di Maio ed altri n. 1-00741, Melilla ed altri n. 1-00822, Palese e Occhiuto n. 1-00824, Marchi ed altri n. 1-00825, Rizzetto ed altri n. 1-00826 e Guidesi ed altri n. 1-00830 concernenti iniziative volte a garantire agli enti locali adeguati trasferimenti di risorse, con particolare riferimento a quelli necessari per l'espletamento dei servizi sociali essenziali, anche in relazione alle disposizioni della legge di stabilità per il 2015.

  6. – Seguito della discussione delle mozioni Faenzi ed altri n. 1-00784, Franco Bordo ed altri n. 1-00790, Massimiliano Bernini ed altri n. 1-00793, Rostellato ed altri n. 1-00795, De Girolamo ed altri n. 1-00797, Guidesi ed altri n. 1-00808, Rampelli ed altri n. 1-00811 e Oliverio ed altri n. 1-00817 concernenti iniziative in materia di esenzione dall'IMU per i terreni agricoli.

  7. – Seguito della discussione delle mozioni Guidesi ed altri n. 1-00755, Franco Bordo ed altri n. 1-00818, Tullo ed altri n. 1-00819, Garofalo ed altri n. 1-00820, Nicola Bianchi ed altri n. 1-00821, Palese n. 1-00823, Catalano ed altri n. 1-00828 e Rizzetto ed altri n. 1-00829 concernenti iniziative di competenza in ordine alla razionalizzazione della rete degli uffici postali.

  8. – Seguito della discussione delle mozioni Vezzali ed altri n. 1-00557, Rostellato ed altri n. 1-00834, Giancarlo Giordano ed altri n. 1-00835, Gagnarli ed altri n. 1-00836, Binetti ed altri n. 1-00837 e Malpezzi ed altri n. 1-00839 concernenti iniziative per la promozione dell'educazione alimentare nelle scuole.

  La seduta termina alle 18,50.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GENNARO MIGLIORE IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE N. 3-BIS-B ED ABBINATE

  GENNARO MIGLIORE, Relatore per la maggioranza. Signora Presidente, signori del Governo, colleghi, data la ristrettezza dei tempi che mi sono stati assegnati dal Regolamento, procederò a integrare la relazione svolta dal collega presidente Sisto, cui, congiuntamente al sottoscritto è stato dato il mandato di relatore.
  A costo di sottrarre qualche secondo alla relazione di merito, mi corre l'obbligo di ringraziare per il lavoro svolto i funzionari della Commissione affari costituzionali, che hanno come di consueto svolto un eccellente lavoro di istruzione e di approfondimento della materia elettorale, il presidente Sisto, i colleghi commissari, il Governo e tutte e tutti coloro i quali hanno garantito, dagli esperti auditi ai numerosi commentatori anche fuori da queste aule, che questa seconda lettura, ancorché presentata all'Assemblea nella versione conforme a quella già approvata al Senato, fosse ricca di riflessioni e di ulteriori valutazioni per la nostra funzione di legislatori.
  Come si sa, la legge elettorale è una materia di assoluta rilevanza per la nostra democrazia, al punto tale che, come hanno rilevato molti degli insigni esperti da noi auditi, pur non rientrando nel novero delle leggi di riforma costituzionale, essa ha pienamente «rango costituzionale», nella misura in cui dalla sua applicazione deriva la traduzione concreta della volontà popolare nella formazione del Parlamento.
  In primo luogo, quindi, intendo mettere in evidenza la stretta connessione di questa riforma, pur nella sua necessaria autonomia, con il percorso di revisione della Carta costituzionale che, nella rigorosa applicazione dell'articolo 138, stiamo parallelamente affrontando in queste aule. Pag. 106La connessione è oggettiva, in ragione della natura stessa della legge elettorale, ma anche funzionale, avendo scelto di modificare la legge elettorale per la sola Camera dei Deputati, nella previsione del superamento del bicameralismo paritario previsto dal progetto di riforma costituzionale.
  Signora Presidente compito tanto impegnativo è affidato a questo Parlamento per nostra scelta, fin dal momento in cui esso è stato insediato. Esso è stato ribadito autorevolmente nei discorsi di insediamento del Presidente Napolitano nel 2013 e in quello del Presidente Mattarella poche settimane or sono. Nella discussione in I Commissione è riecheggiato l'ammonimento a non procedere nel percorso delle riforme istituzionali, così hanno rilevato sia il presidente Brunetta che il collega Toninelli, in relazione alla bocciatura, per opera della Corte Costituzionale con la sentenza 1/2014, della legge elettorale che ci ha eletti qui. Il ragionamento svolto da questi colleghi connette causalmente la sentenza 1/2014 con l'impossibilità di questa Camera a legiferare, in particolare su materie di rango costituzionale. Faccio osservare che la predetta sentenza nel precisare che la nostra elezione sia un atto concluso e non pendente nel punto 7 del «considera in diritto» precisa: «È evidente, infine, che la decisione che si assume, di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere».
  Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua dell'articolo 136 Cost. e dell'articolo 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio «che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. “retroattività” di dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984).
  Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti.
  Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali.
  Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un'astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento. È pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio – è appena il caso di ribadirlo – che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti finché non siano riunite le nuove Camere (articolo 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (articolo 77, secondo comma, Cost.).Pag. 107
  Invero, sarebbe altresì illogico prevedere che la materia elettorale e costituzionale sia preclusa a questo Parlamento. In effetti, cosa accadrebbe se non ci dotassimo in questa legislatura di una nuova legge elettorale ? Davvero possiamo pensare che la legge emersa dai rilievi della Corte, sebbene formalmente auto applicativa, possa rappresentare la legge con cui si elegge il Parlamento ? A mio giudizio la sentenza che ha dichiarato l'incostituzionalità della legge Calderoli, il cosiddetto Porcellum, interviene a valle di una serie di fallimentari tentativi di cambiarla e sprona il Parlamento ad agire con tempestività ! Per legiferare su una materia che, più di ogni altra, va riportata alla sovranità dell'Assemblea parlamentare, senza contraddire i motivi che hanno portato a quella decisione e, certamente, non legando questa legge ai destini della legislatura. Del resto, fummo oggetto di pesanti rilievi critici persino sulla tempistica della legge elettorale precedente, votata a poche settimane dalla scadenza naturale della legislatura nel 2005.
  Gli obiettivi e le finalità della legge elettorale sono noti: confermare il sistema maggioritario, la cui scelta fu compiuta fin dal referendum popolare del 1993 e successivamente riconfermata; consentire all'elettore di poter contare su un «voto decisivo» che attribuisse una maggioranza parlamentare certa (340 seggi) a seguito del raggiungimento da parte di una lista del 40 per cento dei voti espressi, ovvero, in caso di mancato raggiungimento di quella soglia, di ottenere 340 seggi a seguito di un turno di ballottaggio tra le due liste più votate; garantire una adeguata rappresentatività del corpo elettorale.
  Signora Presidente, riguardo a tali obiettivi e finalità, credo che il testo approvato dalla Commissione, dopo le numerose e profonde modifiche votate al Senato, sia da considerare un buon punto di approdo, sia in relazione alle finalità succitate, sia perché non contraddice e, anzi, si muove nel solco della sentenza 1/2014. È proprio quella sentenza, val la pena ribadirlo, che ha informato le scelte che oggi sono contenute in questa proposta. In particolare essa ha bocciato la precedente legge in relazione alla mancanza di una soglia per accedere al premio di maggioranza. Tale soglia è stata introdotta già nel testo votato in prima lettura, al 37 per cento, ed è stata ulteriormente innalzata dal Senato, al 40 per cento, nella versione che ci troviamo oggi ad esaminare. Vorrei sottolineare che la cogenza di un premio di maggioranza per la Camera, al primo turno, non è stata messa in discussione nel corso del dibattito in Commissione, né è stata oggetto di un dubbio di costituzionalità. Del resto, la sentenza 1/2014 ha precisato che l'incostituzionalità fosse connessa alla mancanza di una soglia d'accesso per il premio e non all'attribuzione di un premio medesimo. Quanto al rilievo della corte relativo alla preclusione di liste che rendessero di fatto inconoscibili le candidature (le «liste lunghe» della legge Calderoli), si è provveduto a suddividere il territorio nazionale (sulla base del quale viene calcolata la cifra elettorale nazionale), in circoscrizioni regionali, entro cui si ripartiscono i seggi, a loro volta divise in collegi plurinominali (nel numero di 100 complessivi), che abbiano un numero variabile di candidati, da tre a nove, con il capolista indicato sulla scheda elettorale, che risulterà primo della lista, e gli altri candidati espressi sulla base di una o due preferenze (nel caso in cui esse siano di generi differenti). Vale la pena notare che proprio l'introduzione di una norma antidiscriminatoria di genere (massimo 60 per cento dei collegi plurinominali con capolista di uno dei due generi, alternanza uomo donna nelle liste, doppia preferenza di genere) sia una delle maggiori e più notevoli modifiche rispetto al testo votato da questa Camera in prima lettura. E, vorrei aggiungere, anche della norma più avanzata in Europa in questa direzione.
  Su questi due punti vorrei dar conto di alcune obiezioni che sono state formulate. La prima riguarda il divieto di formare coalizioni, la seconda è quella relativa alla previsione di una preponderante presenza di eletti nella loro qualità di capilista (i cosiddetti «nominati») rispetto ai deputati eletti sulla base delle preferenze. In premessa, Pag. 108data la delicatezza delle obiezioni, vorrei sgombrare il campo da una preoccupazione: anche sulla base delle audizioni, non sono venute critiche d'incostituzionalità a queste due scelte, che possono raccogliere consensi o dissensi, ma che sono scelte eminentemente politiche. In particolare, il divieto di coalizione previene una critica, piuttosto larga, che era risuonata in quest'aula nella precedente lettura. Allora si osservò l'anomalia di una coalizione di partiti che avrebbero potuto raggiungere il 37 per cento dei consensi, in modo da ottenere il premio di maggioranza, sommando i voti di partiti che, se sotto la soglia per ottenere la rappresentanza prevista (allora al 4.5 per cento), non avrebbero ottenuto neppure un seggio «regalando» però i seggi del premio alle liste che quella soglia del 4.5 per cento l'avessero raggiunta. Addirittura, nella precedente lettura, non si prevedeva cosa sarebbe successo nel caso in cui una coalizione avesse vinto, ma nessun partito della coalizione avesse raggiunto la soglia per la rappresentanza in Parlamento ! Ma c’è anche un motivo politico, basato sull'esperienza vissuta in questi anni, che ci racconta di coalizioni nate e morte nello spazio di una campagna elettorale. Valutazione che per altro fu colta dall'esito dalla consultazione referendaria del 2009, promossa da Mario Segni e Giovanni Guzzetta (un quesito non a caso dichiarato ammissibile dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 15 del 2008) e sostenuta da autorevoli rappresentanti di tutti gli schieramenti allora presenti, che vide, pur in assenza di quorum, il larghissimo consenso a favore dell'attribuzione del premio di maggioranza previsto dalla legge Calderoli alla prima lista (in quel caso senza neppure prevedere la soglia d'accesso che poi la Corte ha introdotto nella sentenza 1/2014). Quanto al dibattito apertosi sulla maggiore o minore presenza di candidati eletti con le preferenze (vale la pena ricordare che la lista vincente ne eleggerà un massimo di 100 su 340, mentre per i restanti 278 seggi, visto che 12 sono per gli eletti all'estero con preferenza ed una parte con il sistema speciale del Trentino Alto Adige e della Valle d'Aosta, il meccanismo delle pluricandidature, combinato alla norma antidiscriminatoria, garantisce una congrua percentuale di eletti con le preferenze), va comunque sottolineato che si sia trattato di un punto di sintesi politica tra chi aveva richiesto listini bloccati e chi invece avrebbe voluto che fossero attribuiti tutti con le preferenze.
  Quindi, a mio giudizio, la rappresentatività viene garantita nel genere, nell'espressione territoriale, sulla base del voto di preferenza e sulla base di una ragionevole consistenza di consenso elettorale. Infatti, un'altra notevole modifica introdotta nel testo votato al Senato è stata quella di uniformare e abbassare la soglia per accedere alla rappresentanza al 3 per cento, che è tra le soglie europee più basse e che in Italia non è stata mai prevista dall'introduzione del maggioritario (ovviamente non considero dirimente il meccanismo di aggiramento delle soglie che era presente per i partiti nelle coalizioni, così come previsto dalla legge Calderoli). Mi permetto di sottolineare, in particolare a chi come il collega Quaranta l'ha sollevato in sede di dibattito generale in Commissione, che non si tratta di una norma per i piccoli partiti. Condivido questo suo appello alla precisione. Si tratta di ben altro, ovvero di poter garantire ai cittadini una rappresentanza in Parlamento senza dover raggiungere soglie al di sotto delle quali milioni di cittadini/e perderebbero il loro diritto a vedersi rappresentati. È una norma che rafforza la rappresentanza democratica.
  Molte critiche sono giunte sul tema del ballottaggio. Alcune in re ipsa, contestando il fatto stesso che si potesse adottare un meccanismo che prevedesse un «voto decisivo» tra le due liste più votate. Il collega Invernizzi, per esempio, ha evocato in commissione il rischio democratico che potremmo correre nel caso di vittoria di una forza antisistema, che potrebbe così cambiare a sua volta legge elettorale e assetto istituzionale. Altri hanno paventato l'eccessivo sbilanciamento di poteri a favore di un partito e di conseguenza del suo Pag. 109leader, generando un assetto istituzionale privo a detta di costoro di adeguati contrappesi, al punto di dichiarare la propria preferenza per un sistema di tipo presidenziale (alcuni sostenendolo programmaticamente, come il presidente Brunetta, altri come estremo paradosso). Alcuni commentatori hanno adottato la categoria politologica della democratura, per alludere a una possibile torsione autoritaria.
  Signora Presidente, a mio giudizio, sta qui il cuore della discussione. Rileggendo molti interventi mi è venuto in mente un romanzo di Raymond Carver, che parafraserei così: di cosa parliamo quando parliamo di legge elettorale ? Al di là di ogni fraintendimento, di ogni sottinteso o di ogni legittima critica non solo alla legge, ma anche alla maggioranza e al governo, non sono così certo che le critiche siano tutte nel contesto, ma molte di esse sono di contesto. Personalmente considero la novità introdotta nel nostro ordinamento di conoscere la maggioranza alla Camera al momento dello scrutinio del voto, non un rischio democratico, bensì un'opportunità per gli elettori. Sono gli elettori a scegliere e non credo sia saggio proporre nuovi meccanismi, soprattutto quando supereremo il bicameralismo paritario, per evitare che ci sia una maggioranza direttamente scelta dall'elettorato. Si dice che così il Parlamento perderà definitivamente ruolo rispetto al Governo. Contesto questo assunto ! È il Parlamento che dà la fiducia al Governo e saranno i Parlamentari a deciderla (per altro anche in previsione di liste che potremmo definire «coalizionali» e quindi animate da soggetti politici in non necessariamente omogenei, ma costretti da questa legge a presentare un unico programma elettorale ai propri elettori). Vale la pena, com’è stato fatto nelle audizioni, ricordare poi che il meccanismo fiduciario è ciò che lega indissolubilmente maggioranza parlamentare e Governo, al punto che Leopoldo Elia, già nel 1970 nella voce sulle forme di Governo dell'Enciclopedia del Diritto, definì il Governo come «il comitato direttivo della maggioranza». E per quanto concerne i contrappesi essi vanno rintracciati nei contrappesi istituzionali, dal ruolo del Presidente della Repubblica a quello della Corte Costituzionale, passando per la rigida divisione del potere giudiziario da quello legislativo ed esecutivo (come si sa garanzie non presenti in acclaratissimi sistemi democratici parlamentari, come quello del Regno Unito). Non si tratta quindi di un passaggio a un sistema di «premierato di fatto», come qualcuno ha sottolineato, ma del passaggio a una più chiara «democrazia d'investitura». Se si ipotizzassero «contrappesi» legati alla dinamica elettorale, a mio giudizio si svilirebbe la stessa natura del concetto di contrappeso, che ha avuto e continua ad avere una rilevanza fondamentale proprio nell'equilibrio dei poteri.
  Un'altra critica è venuta poiché non si prevede una soglia per rendere valido il ballottaggio (ci sono state varie proposte, da quelle che prevedessero una soglia di accesso al primo turno a quelle che garantivano l'applicazione del risultato del ballottaggio solo a seguito del raggiungimento di un numero congruo di votanti complessivi nel ballottaggio medesimo). Un'altra sul divieto di apparentamento tra liste che avessero superato lo sbarramento del 3 per cento al primo turno, al fine di concorrere alla redistribuzione del premio per arrivare ai 340 seggi predetti. Infine, fuori da quest'aula, è giunto l'ammonimento a non determinare un sistema incentrato su un partito potenzialmente vittorioso, circondato da tanti piccoli partiti spinti a frammentarsi vista la bassa soglia di sbarramento al 3 per cento. A queste obiezioni sono state date risposte tecniche, ma soprattutto politiche. In particolare vorrei osservare che una soglia per dichiarare valido il ballottaggio, introdurrebbe nelle possibilità di voto anche quella di esprimersi sul sistema di voto medesimo, non solo su una delle due opzioni. Sinceramente non trovo ragionevole che all'elettore si consegni anche un'opzione tra un'impostazione maggioritaria e una proporzionale, senza che questa sia resa esplicita con un quesito, magari di natura referendaria, ma sia collegata implicitamente a un conteggio legato alla partecipazione degli elettori al voto. Allo stesso Pag. 110modo, ritengo che vi siano opinioni diverse, penso alle teorie di Cox, altrettanto autorevoli, sul fatto che al contrario della previsione del «partito gigante circondato da piccoli partiti», si determini una competizione per vincere che favorirà le aggregazioni politiche e che le legherà in una medesima lista con un programma e un leader conoscibili e conosciuti dagli elettori. Per altro, l'ipotesi che vi sia una sicura riduzione di elettori al turno di ballottaggio, non solo è ipotetica, ma è anche contraddetta da alcuni notevoli esempi (come quello di alcune elezioni presidenziali in Francia, Le Pen contro Chirac, che videro un clamoroso incremento di partecipazione al voto.
  Altri mutamenti, rispetto al testo votato dalla Camera in prima lettura, non di piccolo peso, sono venuti con l'introduzione del voto per gli italiani temporaneamente residenti all'estero (il cosiddetto «voto Erasmus») e l'eliminazione dell'attribuzione casuale di seggi alle liste con cifra elettorale minore (il cosiddetto «effetto flipper»).
  Una postilla vorrei farla a proposito di una obiezione, sollevata da uno degli esperti e ripresa in più occasioni dai colleghi del M5S in merito all'incertezza sul numero totale degli eletti. Sul punto, rimandando al testo scritto che presenterò per ragioni di tempo, voglio solo sottolineare come sia la Costituzione nell'articolo 56 a prevedere in 630 il numero dei Deputati e che il meccanismo di assegnazione dei seggi per la Valle d'Aosta e il Trentino – Alto Adige, conteggi questi seggi nell'eventuale computo dei 340 seggi attribuiti alla lista vincente (nel caso in cui vi sia un'identità di contrassegno o un apparentamento) e, di conseguenza, quanti scomputare dal numero dei seggi da assegnare alle liste non di maggioranza. Risulta così evitato il pericolo che ci è stato prospettato di avere un numero variabile di eletti da 620 a 640 Deputati.
  Qui direi che la riforma, peraltro, sana il vulnus che i voti anche in Valle d'Aosta finalmente valgono anche nel territorio nazionale (per le soglie) e dunque che gli elettori Vda non sono più esclusi dal circuito nazionale come col Porcellum ! Era (forse) il vizio di incostituzionalità più evidente – ancorché non censurato perché non impugnato – della precedente legge e noi l'abbiamo sanato.
  Signora Presidente, il testo del provvedimento conferma l'impianto maggioritario introdotto nel nostro ordinamento nel 1993. Esso costituisce un ragionevole equilibrio tra governabilità e rappresentanza, in ragione del premio di maggioranza e delle basse soglie di accesso. È un testo che critica fattualmente l'esperienza delle coalizioni, prevedendo un meccanismo di aggregazione per liste, che possano chiaramente essere dotate di un programma e di una chiara leadership di fronte agli elettori. È un testo profondamente mutato, per me migliorato, dalla lettura del Senato, contraddicendo chi ha sempre sostenuto che la sede della decisione fosse extra parlamentare. La Commissione consegna il testo all'Assemblea, consapevole della sovranità di quest'ultima. In qualità di relatore, mi permetto di osservare che ciascuno di noi può essere indotto a immaginare correzioni e riformulazioni che, a giudizio di chi li propone, rendano ancora migliore questa legge. Del resto nessuna legge elettorale sarà mai perfetta e neppure questa lo è. Eppure, come con molta più autorevolezza di me hanno sostenuto il Presidente Mattarella e, prima di lui, il presidente Napolitano, dobbiamo evitare a tutti i costi di lasciare a metà il lavoro faticosamente realizzato fin qui, dissipando gli importanti risultati conseguiti. Un lavoro che non è partito poche settimane fa nella seconda lettura alla Camera, e neppure un anno e due mesi fa all'epoca della prima lettura, a seguito della sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale, ma che certamente era ed è un obiettivo della legislatura in corso e un impegno preso da molti di noi da quel 21 dicembre del 2005, quando si approvò la peggiore legge elettorale che la storia Repubblicana ricordi. Per chiudere definitivamente quella pagina, per non cedere all'immobilismo, credo, Presidente, che sia venuto il momento ineludibile della decisione.Pag. 111
  La distribuzione dei seggi in rapporto al sistema elettorale previsto per il Trentino-Alto Adige e la Valle d'Aosta.
  In generale: Il numero dei deputati da eleggere è definito direttamente dalla Costituzione all'articolo 56, secondo comma, ed è fissato in 630: tale numero, pertanto, non può essere in alcun modo travalicato dalla legge ordinaria. È principio generale dell'ordinamento, ribadito in più disposizioni del TU novellato in esame, che i voti non si contano due volte e che essi concorrono una sola volta all'assegnazione dei seggi; i voti espressi nelle circoscrizioni Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta sono perciò computati in sede nazionale esclusivamente ai fini della determinazione della lista maggioritaria e della determinazione delle soglie di accesso alla ripartizione dei seggi; quei medesimi voti – dal momento che hanno già dato luogo alla elezione di un candidato nella circoscrizione – non possono perciò essere considerati (e, infatti, sono scomputati) ai fini della ripartizione dei seggi assegnati nelle restanti circoscrizioni; nella definizione dei seggi spettanti alla lista maggioritaria, è chiaramente indicato che ai fini dell'attribuzione del premio di maggioranza occorre tener conto dei seggi già attribuiti alla lista nelle circoscrizioni Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta. Poiché i seggi da attribuire alle liste minoritarie vengono definiti per differenza rispetto a quelli attribuiti alla lista maggioritaria, ne deriva una perfetta specularità del sistema.
  In particolare: l'assegnazione complessiva dei 630 seggi della Camera dei deputati è disciplinata in via generale e perentoria dall'articolo 1, comma 2, del T.U. novellato: questo «tripartisce» i 630 seggi di cui è composta la Camera: 12 di questi – in ossequio a quanto dispone il comma 2 dell'articolo 56 della Costituzione – sono assegnati alla Circoscrizione estero. Questa quota di seggi è esclusa dal procedimento di ripartizione prevista dagli articoli 77 e 83 del T.U: così espressamente dispone il citato comma 2 dell'articolo 1 del testo unico novellato, secondo periodo: «Salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero (...)». I seggi restanti (quelli risultanti dall'operazione 630 meno 12) sono assegnati nelle circoscrizioni del territorio nazionale, sulla base di quanto previsto dal quarto comma dell'articolo 56 della Costituzione. (La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti); una seconda quota di seggi esclusa dal procedimento di ripartizione di cui gli articoli 77 e 83 del T.U. è quella da assegnare nelle regioni Valle d'Aosta e Trentino Alto-Adige. Questa esclusione è espressamente (e inequivocabilmente) sancita dal medesimo articolo 1, comma 2, di cui si è appena detto: «(...) e fermo quanto disposto dall'articolo 2, l'assegnazione dei seggi alle liste nel territorio nazionale». Dunque, i seggi da assegnare in queste due circoscrizioni sono esclusi dal procedimento di assegnazione dei seggi ai sensi degli articoli 77 e 83; fuori da questa interpretazione – corroborata e asseverata dall'articolo 2 e dall'articolo 3, comma 3, con rinvio al Titolo VI del T.U. che reca la disciplina elettorale «speciale» per tali circoscrizioni – la ripetute locuzioni «fermo quanto disposto dall'articolo 2» e «Salvo quanto disposto dall'articolo 2 (...)» non avrebbero senso. Il numero di seggi da assegnare in queste due circoscrizioni è peraltro variabile ed è determinato dal calcolo di cui al citato quarto comma dell'articolo 56 della Costituzione. Nel caso di specie, in ragione della popolazione di cui al Censimento 2011, quei seggi sono 12: uno per la Valle d'Aosta e 11 per il Trentino-Alto Adige; la terza quota è quella dei seggi da assegnare nella altre 18 circoscrizioni del territorio nazionale. Il loro numero si determina (a scalare) secondo il medesimo procedimento seguito dall'articolo 56 della Costituzione: 618 – 12 = 606. Seicento sei – non uno in più, né uno in meno – è il numero di seggi da assegnare secondo il metodo disciplinato Pag. 112dagli articoli 77 e 83 del T.U., dacché in nessun caso la legge potrebbe assegnare alla Camera dei deputati un numero di seggi diverso da quello stabilito dall'articolo 56 della Costituzione.
  Stante la tripartizione della quale si è detto, il testo in esame disciplina in modo diverso l'elezione dei deputati spettanti alle circoscrizioni Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige rispetto ai seggi da assegnare nelle altre 18 circoscrizioni. E, tuttavia, stabilisce un complesso di norme che tendono a rendere unitario e coordinato il doppio sistema di elezione. La complementarietà del sistema di elezione nelle circoscrizioni TAA e VdA, con quella stabilita per le altre 18 circoscrizioni del territorio nazionale è stabilita da numerose disposizioni della legge in modo tale che, pur nelle differenze delle due modalità, ne risulti un sistema di elezione unitario: unitario, in primo luogo, è il sistema delle liste e dei relativi contrassegni; unitario è il computo dei voti ai fini della determinazione dell'esito complessivo della votazione; e complementare e coordinato è il computo complessivo dei seggi ai fini della determinazione dell'esito maggioritario del sistema e comune è la eventuale votazione di ballottaggio.
  La disposizione di cui al comma 3 dell'articolo 83 va letta, dunque, in combinato disposto con quella, generale, di cui al comma 6 del medesimo articolo e con quelle riferite al Trentino Alto Adige e alla Valle d'Aosta, di natura speciale. L'esclusione dell'applicazione della disciplina di cui agli articoli 77 e 83 ai seggi assegnati nelle due circoscrizioni TAA e Vd'A è infatti espressamente disposta dal citato comma 2 dell'articolo 1 del T.U. novellato – e ribadito dall'articolo 3, comma 3 del medesimo testo. A complemento di tali «esclusioni» l'articolo 2 del T.U. novellato disciplina – con rinvio al Titolo VI – la diversa modalità di assegnazione dei seggi spettanti alle due circoscrizioni.
  Nella specie: l'articolo 83, comma 6 del T.U. novellato stabilisce che i voti espressi nelle circoscrizioni TAA e V.d'A. sono computati unitariamente con quelli espressi per la medesima lista nelle altre circoscrizioni del territorio nazionale ai fini della determinazione della cifra elettorale nazionale quanto questa è determinante ai fini del calcolo della soglia di accesso alla ripartizione dei seggi e per la determinazione della lista che ha ottenuto il maggior numero di voti in sede nazionale; ulteriori disposizioni e norme sono ripetute con tenore sostanzialmente letterale nella disciplina speciale dettata per quelle due circoscrizioni: in particolare, all'articolo 92, comma 1-bis, primo e secondo periodo, per la Valle d'Aosta; e all'articolo 93-bis, comma 1, terzo e quarto periodo, per il Trentino-Alto Adige. In entrambi i casi una disposizione complementare stabilisce che quei voti non concorrono all'attribuzione dei seggi nella restante parte del territorio nazionale; per il medesimo criterio sistematico, l'articolo 92, comma 1-bis, terzo periodo e l'articolo 93-bis, comma 1, quinto periodo, stabiliscono che i seggi attribuiti nelle circoscrizioni, rispettivamente Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige, sono computati nel numero dei seggi ottenuti dalla lista che ha conseguito la maggiore cifra elettorale nazionale quando il candidato nel collegio uninominale è contraddistinto dal medesimo contrassegno della lista. Specularmente, sebbene non espressamente indicato, è da intendersi per le altre liste minoritarie. Inoltre per i seggi che nella circoscrizione TAA sono attribuiti con metodo proporzionale il legislatore non ha ritenuto di dover scrivere una analoga disposizione di coordinamento giacché quei seggi vengono direttamente attribuiti alle liste e ciò è evidentemente ritenuto sufficiente a rendere unitaria la diversa modalità di elezione fra Trentino Alto Adige e le altre circoscrizioni del territorio nazionale.
  Queste disposizioni di coordinamento concorrono inoltre a determinare il numero di seggi da assegnare quale premio di maggioranza all'interno dei seggi che sono attribuiti nelle 18 circoscrizioni nelle quali la modalità di elezione è disciplinata dagli articoli 77 e 83. Infatti secondo l'articolo 83, comma 2 (determinazione del numero dei seggi da assegnare come premio Pag. 113di maggioranza a seguito della prima votazione) e l'articolo 83, comma 5, (determinazione del numero dei seggi da assegnare come premio di maggioranza a seguito del ballottaggio) devono essere complessivamente 340, comprensivi dei seggi eventualmente ottenuti dalla lista nelle circoscrizioni V.d'A. e T.A.A. ((...) fermo restando quanto stabilito al comma 6).
  Il legislatore non ha espressamente descritto il calcolo in quanto esso deriva inequivocabilmente dalle disposizioni citate: infatti il successivo comma 3 dell'articolo 83 fa espresso richiamo al precedente comma 2.
  Le disposizioni di coordinamento fra i due esiti della votazione chiariscono univocamente le operazioni da compiere ai sensi dell'articolo 83, comma 3. Quelle disposizioni disciplinano il riparto complessivo dei 618 seggi – numero che non può variare in quanto è quello da ripartire tra tutte le circoscrizioni del territorio nazionale secondo quanto previsto dal quarto comma dell'articolo 56 della costituzione, ma che deve tenere conto dei numeri, questi sì variabili, che dipendono dai seggi già attribuiti alle liste nelle due circoscrizioni «speciali».
  L'esito di quel riparto non potrà che essere complementare tra i seggi attribuiti alla lista di maggioranza e quelli attribuiti altre liste. Le due attribuzioni, infatti, devono tener conto al loro interno dei seggi già attribuiti nelle circoscrizioni TAA e VdA nel modo seguente: dai 340 seggi assegnati alla lista maggioritaria vanno detratti i seggi assegnati a candidati collegati in TAA e VdA e i seggi assegnati nella parte proporzionale in TAA: per cui a livello nazionale saranno assegnati 340 meno X seggi (dove X sta per i seggi assegnati in TAA e VdA a candidati collegati alla lista vincente o in TAA nella parte proporzionale); dai restanti 278 seggi e cioè da 618 meno 340 vanno ulteriormente detratti, i seggi assegnati in TAA e VdA a candidati non collegati alla lista di maggioranza. E saranno cioè 278 meno Y (dove Y sta per i seggi assegnati in TAA e VdA a candidati non collegati alla lista maggioritaria o autonomi nei collegi).
  Il numero di 618 costituisce quindi un riferimento obbligato per le operazioni descritte e non sarebbe sostituibile con un diverso numero che conteggiasse i seggi già attribuiti nelle due circoscrizioni «speciali» (in quanto questo dipende di volta in volta dall'esito delle elezioni !). Solo il comma 6 dell'articolo 83 può indirizzare le operazioni dell'Ufficio centrale nell'effettuare il calcolo differenziale, imputando i seggi delle due circoscrizioni speciali in parte nei 340 (per le liste collegate o aventi lo stesso contrassegno a quella maggioritaria) e, in parte, nei 278, per le liste minoritarie. Solo a queste condizioni si procede al calcolo del quoziente di minoranza descritto nel comma 3 dell'articolo 83.
  In alcun modo è plausibile una diversa interpretazione intesa a immaginare che l'Ufficio possa assegnare due volte gli stessi seggi. L'attribuzione di margini di discrezionalità all'Ufficio nello svolgimento delle operazioni descritte costituirebbe un'interpretazione contra legem, anzi, contra Constitutionem.
  A rafforzare questa sequenza logica il legislatore ha inoltre previsto che l'Ufficio centrale nazionale (articolo 93, comma 1, lettera c), quinto periodo, per la Valle d'Aosta e articolo 93-quater, per il Trentino Alto Adige) la comunicazione dei seggi assegnati avvenga prima di procedere a qualsiasi operazione di attribuzione dei seggi nelle restanti circoscrizioni del territorio nazionale. Dal canto suo lo stesso Ufficio centrale procede alle dovute comunicazioni ai sensi dell'articolo 83, comma 7.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI FEDERICA DIENI, ENZO LATTUCA, ANDREA GIORGIS E MARA MUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE N. 3-BIS-B ED ABBINATE

  FEDERICA DIENI. Il professor Einaudi scriveva: «È dubbio che l'essenza del Governo Pag. 114parlamentare sia nel diritto della maggioranza di votare le leggi. Una maggioranza che si offende al pensiero di una lotta senza quartiere da combattere contro una minoranza prima di giungere ad attuare i suoi voleri è ella tirannia». E continuava: «L'essenza del Governo parlamentare sta nella libertà illimitata di discussione».
  Ecco quale alto parere abbiamo a sostegno di quanto affermiamo, a sostegno della nostra richiesta, e che cioè alla I Commissione deve essere lasciato il tempo di due mesi, come è stato concesso dall'Assemblea quando il disegno di legge venne qui attraverso il passaggio dalla Camera dei deputati. Questo, che vale per ogni disegno di legge, a maggior ragione vale per un disegno di legge elettorale: una legge elettorale importante per sua natura che inciderà, come ho detto prima, anche sulla struttura dello Stato; legge elettorale da cui potranno derivare molte conseguenze. Vedete, signori, voi sorridete a questa mia affermazione; altri sorrisero al vostro posto, ascoltando un richiamo simile al mio, da parte dei nostri nel 1923 quando si discuteva alla Camera dei deputati il disegno di legge che portava la firma dell'onorevole Acerbo. Molti di voi sono insorti contro quel disegno di legge, ma poi siete arrivati alla conclusione di astenervi. Settantasette foste. Non siete stati conseguenti. Orbene, se fossero stati presenti molti del vostro gruppo e se voi aveste votato tutti contro la legge, come hanno fatto i nostri, la legge Acerbo non sarebbe passata nel 1923 al Parlamento. Comunque, è certo che qualcuno di voi, dopo, riflettendo sulle conseguenze che sono derivate da tale legge, deve aver pensato che se per caso quelle conseguenze avesse potuto prevedere, certamente il suo atteggiamento sarebbe stato molto diverso. È questo che non deve verificarsi più, per quanto ci concerne. Noi non possiamo attendere altri vent'anni per dirci: «Ci siamo sbagliati di fronte a questa legge; se lo avessimo saputo noi avremmo tenuto un atteggiamento molto più deciso nei suoi confronti». Voi vi siete soffermati soltanto su di un lato della legge Acerbo, allora, direi il lato deteriore, e cioè sul lato che quella legge, in ultima analisi, rappresentava un furto, come d'altra parte lo rappresenta la vostra. E siccome questo furto era fatto a danno vostro voi vi siete ribellati. Ma bisognava soffermarsi anche sul lato politico. Avete messo in evidenza con i vostri interventi interessanti il fatto che essa rappresentava un vergognoso furto. Voi ora state facendo la stessa cosa, con la differenza che la parola «furto» l'avete sostituita con la dizione: «nobile azione per difendere la democrazia in Italia». Ma la cosa rimane, è sempre quella: «è un furto».
  Queste parole, come avrete capito, non sono le mie. Sono di Sandro Pertini. È emblematico che proprio in questa prima seduta dopo il 70esimo della Liberazione si discuta proprio di questa legge, così come è per certi versi paradossale che ciclicamente in quest'aula si verifichino corsi e ricorsi tali da dar ragione a Giambattista Vico. Vi sono interventi che ciclicamente tornano di moda. Quello citato ne è un esempio. Tali ricorsi sono talmente accurati, sin nei numeri – dato che si parla di una settantina di «ribelli» che tuttavia non ebbero il coraggio di votare contro la legge che creò i presupposti per l'affermazione del fascismo – che se non fosse per il riferimento all'anno, si potrebbe pensare che queste parole siano rivolte a noi, a tutti noi. Ebbene, Sandro Pertini, eroe della resistenza e certamente il più amato tra i Presidenti della Repubblica che questo Paese ricordi, le pronunciò in questa stessa aula durante la discussione sulla legge 148 del 1953, meglio nota come legge truffa. A riguardarla quella legge, verrebbe da chiedersi se questo eroe della storia repubblicana non se la sia presa fin troppo, dato che, nei contenuti, tale provvedimento non era tanto grave quanto lo è quello attualmente in discussione. Al tempo, si trattava infatti semplicemente di inserire un correttivo della legge proporzionale vigente, introducendo un premio di maggioranza consistente nell'assegnazione del 65 per cento dei seggi della Camera dei deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che Pag. 115avesse raggiunto il 50 per cento +1 dei voti validi. Tale eventualità, che si limitava a fornire una maggioranza più stabile a chi avesse davvero vinto le elezioni, peraltro non si verificò mai.
  Ebbene, la legge truffa, come è noto, portò alla conclusione della lunga stagione dei governi guidati da Alcide de Gasperi. Alcide De Gasperi certo non era Matteo Renzi. Non lo era anzitutto perché aveva ben altro dal punto di vista politico e culturale ma soprattutto perché non aveva bisogno di dimostrare il suo attaccamento alla democrazia. Eppure anche una figura storica di questa portata non poté che essere travolta dallo scandalo. Ovviamente al tempo si tendeva ad essere più esigenti in quest'aula e si riteneva che una libertà conquistata a così duro prezzo non dovesse essere messa a rischio neppure minimamente dalla tentazione di voler falsare, seppure in modo tutto sommato sostenibile, gli equilibri della rappresentanza democratica. La discussione che seguì la presentazione di questa proposta voluta dall'allora partito di maggioranza relativa, fu tra le più aspre che si ricordarono all'interno della Camera dei deputati.
  Chissà cosa direbbero i padri costituenti e gli altri deputati di allora guardando la legge elettorale che è in discussione oggi in quest'aula e che è di gran lunga peggiore...
  Ebbene noi partiamo da questo assunto ma taluni, che non conoscono l'argomento e che possono vedere questo confronto nella normale dialettica tra maggioranza e opposizione, possono ritenere che si tratti di un'affermazione capziosa, così come la polemica del tutto strumentale. Sarà quindi bene chiarire, seppur rapidamente, il motivo per cui riteniamo che questo testo sia di fatto tanto scandaloso, al netto della polemica politica.
  In realtà infatti alcuni potrebbero eccepire che pur questa proposta costituisce pur sempre un miglioramento rispetto alla legge n. 270 del 21 dicembre 2005, meglio nota come Porcellum. E che comunque serve a superare la condizione d'incertezza provocata dalla dichiarazione di incostituzionalità di alcune sue parti attraverso la sentenza 13 gennaio 2014, n. 1, che disegna, di fatto, un nuovo sistema elettorale. La realtà è che non è così. Il disegno di legge attualmente in discussione si basa su due preconcetti di fondo: il primo è che il pluralismo parlamentare non sia altro che un fastidioso impiccio e che il sistema migliore per governare è farlo con le mani libere; il secondo è che i partiti o per meglio dire coloro che guidano i partiti debbono avere mano libera nel decidere chi deve sedere in quest'aula.
  Anzitutto la scelta di assegnare un premio alla lista vincitrice sebbene potrebbe sembrare un richiamo all'esigenza di governabilità altro non è che la costruzione a tavolino di una maggioranza artificiale per un partito che ha nome e cognome. Questo nome e cognome è partito democratico. Altro che velo d'ignoranza, che dovrebbe caratterizzare le decisioni sulle regole del gioco, così come teorizzato dal filosofo John Rawls. Questa legge è costruita sui misura per le esigenze del Presidente del Consiglio. Non si spiegherebbe altrimenti la fretta che il Governo sta attualmente dimostrando in un passaggio tanto delicato come il cambiamento tanto pervasivo della legge elettorale, se non si intendesse dare al Premier uno straordinario strumento di ricatto e la presumibile certezza che se il consenso del partito di maggioranza relativa rimane tale egli potrà presto andare ad elezioni e ottenere una maggioranza obbediente e sicura. Chiunque quindi pensasse che l'approvazione di questa legge elettorale rendesse più stabile questa legislatura probabilmente sbaglierebbe. L'approvazione definitiva di questa legge apre la possibilità al Presidente del Consiglio di passare da una condizione come la presente in cui il pluralismo interno all'aula e al proprio partito lo condannano a dovere cercare su alcuni atti più estremi una mediazione, un consenso allargato, ad una situazione in cui tale consenso non sarebbe più necessario.
  Ma ho parlato anche di un secondo fattore che comunque si legge sottotraccia nella proposta attualmente in discussione Pag. 116e nel dibattito che l'ha contornata e questo è la volontà di porre comunque nei partiti persone che possano rispettare silenziosamente il volere del segretario o del presidente, comunque sia del leader. Sarà forse il caso di ripetere che il desiderio di mantenere un'alta quota di deputati prescelti attraverso un sistema che non sia aperto alla scelta dei cittadini non va in nessun'altra direzione che rinnegare ancora una volta l'aspirazione democratica degli elettori e l'indicazione chiara della Corte costituzionale che si è tanto chiaramente opposta alla presenza di liste bloccate. Ebbene, trovandoci in quest'aula a seguito di tale determinazione sarebbe stato saggio non ribadire l'errore. Invece attraverso il sistema di capolista bloccati si rinnega ancora una volta la scelta dei cittadini e si rinnova un concetto di partito che diviene terreno di conquista dei leader. La gravità quindi del permanere di una significativa quota di deputati scelti dal vertice del partito non sta soltanto nella palese conseguenza di portare in Parlamento persone supine ai propri capibastone ma è anche quello di uccidere lo spazio di democrazia all'interno degli stessi partiti creando maggioranze di proseliti più che un ceto politico. Fedeli in Parlamento e fedeli nei partiti.
  Ma non è questa la sola ragione che porta il MoVimento 5 Stelle ad esprimere una netta contrarietà. Resta inaccettabile in questa legge la volontà di infrangere anche l'altra eccezione sollevata dalla Corte, continuando a falsare, seppur in modo leggermente diverso nella forma, la proporzionalità del voto e gli equilibri delle forze in campo. Una legge che toglie lo spazio di scelta al cittadino sia nella scelta dei rappresentanti da eleggere sia nel peso assegnato ai singoli partiti, nella sostanza non si differenzia dal tanto vituperato Porcellum. Il premio di consolazione è quella piccola quota di parlamentari che viene lasciata alle preferenze.
  La legge elettorale quindi, lo ribadisco, risponde esclusivamente all'interesse del Presidente del consiglio e certamente non a quello generale. Se davvero l'interesse principale fosse stato la governabilità avremmo avuto ben altri modi per poterlo realizzare così come, se si fosse voluto mantenere un criterio collegato alla proporzionalità della scelta, altri erano i sistemi che andavano perseguiti. In Italia l'antico vizio è quello di rivolgersi a sistemi misti, ad alchimie articolate e complesse che cercano di salvare troppe capre e lasciano molti cavoli al cittadino. Qualunque studioso di sistemi elettorali predilige forme che siano abbastanza semplici e che siano riconducibili, seppur con dei correttivi, a dei modelli puri. In questo Paese, invece, diventa normalmente difficile anche il solo spiegare se abbiamo una legge proporzionale o maggioritaria. I nostri sistemi sono sempre disegnati non sugli effetti che attendiamo, ma sulla necessità di fornire garanzie di predominio o di sopravvivenza agli attori principali di questo gioco. La soglia di sbarramento bassa al 3 per cento non nasce da un trade-off tra l'esigenza della rappresentanza delle forze più piccole e quella di non frammentare eccessivamente una minoranza già sottorappresentata, ma dalla pretesa di un partito come l'NCD, che si ridimensiona quanto più ingloba nuove componenti, di sopravvivere. Il capolista bloccato non è il frutto della ponderazione di chissà quale astruso ragionamento sulla democrazia all'interno delle formazioni politiche, ma è il prezzo che si paga a Berlusconi affinché egli riesca a tenere le redini di un gruppo ormai in rotta.
  A proposito, proprio questo dà una cifra della diversità culturale del nostro schieramento. Alcuni dicono che il MoVimento 5 Stelle potrebbe guadagnare da questa legge. Come si sa infatti il MoVimento 5 Stelle non si allea con altri partiti e il premio alla lista di maggioranza è senz'altro un sistema attraverso il quale potremmo gareggiare per poter essere primo partito ed avere la maggioranza assoluta dei seggi. Se fossimo come tutti gli altri, ci sarebbe da far finta di nulla, incassare e puntare a vincere le prossime elezioni contro il PD. Ma a noi non è mai interessato il nostro interesse particolare. Ciò cui abbiamo sempre guardato è l'interesse generale. Quindi non possiamo non Pag. 117denunciare i limiti di un provvedimento che porta ad un partito 340 seggi e che agli altri non lascia che una sorta di diritto di tribuna e nulla più, fermo restando che, con i regolamenti parlamentari immutati e con la nuova legge di riforma costituzionale alle porte, ci troveremmo di fronte ad un preoccupante ridimensionamento dei pesi e contrappesi che devono essere propri di un sistema democratico. Se questo deve essere il nostro modo di governare francamente preferiamo non farlo.
  Una piccola annotazione: va detto che siamo in attesa di vedere come saranno strutturate le circoscrizioni che vengono demandate ad un decreto. Non abbiamo dubbi che ancora una volta, anche in questo caso, le scelte saranno fatto attraverso le solite logiche di parte.
  Colleghi, oltre alle questioni di merito richiamate vorrei porne anche una di metodo: quando si riforma la legge elettorale, visto che la materia comunque si avvicina per molti aspetti alle caratteristiche proprie di quella costituzionale, si dovrebbe ricercare un ampio consenso. Lo si ripete ogni volta, ogni volta la maggioranza si trova a votare da sola. Stavolta però sarebbe stato quantomai necessario. Questa regola non scritta andrebbe a maggior ragione osservata alla luce del fatto che ci troviamo di fronte al paradosso che il Parlamento che dovrebbe approvare la riforma è stato eletto con una legge in gran parte giudicata incostituzionale.
  Tutto ciò considerato non possiamo che concludere che questa proposta è un furto, in modo non dissimile da come Pertini definiva la legge truffa. E qui si tratta di espropriare tre volte i cittadini: della libertà di scelta dei rappresentanti, dell'indispensabilità di avere una minoranza che possa sorvegliare sulla maggioranza, della rappresentatività del Parlamento da loro eletto.
  Mi si permetta una citazione: «Non ci sarebbe alcuna difficoltà in tutti i partiti in corsa nell'accettare questo assunto, ossia che ciascuno si sentirebbe più sicuro se non ottenesse un iniquo vantaggio nella distribuzione dei seggi». Questa frase è stata scritta ne I principi della rappresentanza parlamentare da un certo Charles Dodgson, certamente meglio conosciuto come Lewis Caroll. Egli già nel 1884 pubblicava un libro in cui si preoccupava di identificare un sistema di voto che fosse quanto più vicino a garantire la rappresentanza di ogni elettore. Non ho dubbi sul fatto che il nostro Premier preferisca il più famoso libro di Caroll, Alice nel Paese delle meraviglie, dato che assomiglia molto più alla tirannica regina di cuori che vuol mozzare la testa a chiunque non osservi i suoi più strampalati desiderata.
  E d'altra parte che cos’è quello cui ci troviamo di fronte se non un ricatto, la minaccia rivolta dal Presidente del Consiglio ai componenti del suo stesso partito di andare alle elezioni se essi non voteranno questa legge ? Le minacce di fiducia, il taglio dei tempi di discussione, la pretesa di una votazione affrettata e nel contempo lo sbandierare il ricatto di dimissioni e del conseguente probabile scioglimento della Camera ben si confanno a questa visione pretenziosa se non autoritaria che vorrebbe assoggettare l'organo parlamentare al Governo anche nella norma che dovrebbe riguardare più di tutte il Parlamento in quanto detta del Parlamento la composizione. Quindi tutte queste pressioni a che cosa sono rivolte ? Perché la fretta dimostrata se resta valida la clausola di garanzia che è stata inserita e che indica nel luglio del 2016 la prima data in cui sarà possibile effettuare votazioni con la nuova legge ? Perché cercare di accelerare il dibattito e violentare interessi della maggioranza stessa ridimensionando una possibile mediazione ? D'altra parte se un accordo può essere trovato sulla ridefinizione del ruolo del Senato, sulla riforma costituzionale, che senso ha a questo punto cercare di forzare la mano ? È vero che difficilmente il MoVimento 5 Stelle potrebbe prendere in esame l'eventualità di votare una riforma costituzionale come quella che c’è stata presentata, ancorché modificata, ma la domanda che pongo è rivolta a comprendere le reali intenzioni del Premier. A mio avviso questa legge elettorale gli dà il formidabile vantaggio sul resto del suo stesso partito di poter Pag. 118rendere percorribile la strada delle elezioni anticipate. La pistola scarica del ricorso al voto con la legge elettorale dettata attraverso le dichiarazioni di illegittimità della Consulta, verrebbe improvvisamente caricata da questo nuovo sistema di votazione, ponendo un'ipoteca pesante sulla possibilità di fare reale opposizione al Premier sin da questa legislatura, ossia ben prima che la legge elettorale dispiegasse i suoi effetti.
  È per questo, colleghi che io non esiterò a definire questa discussione come un invisibile Rubicone. Eppure io non griderò in questa sede all'attentato alla democrazia. Esso c’è ed è evidente ma alcuni potrebbero ritenerlo non realistico in quanto una legge elettorale da sola difficilmente porta all'affievolimento della sovranità popolare e dello Stato di diritto. Tuttavia ciò a cui mi appellerò è invece un sussulto di dignità, la volontà di non volersi far imporre delle decisioni di cui non siamo convinti, la riaffermazione del Parlamento quale luogo di mediazione. Soprattutto vorrei condividere con voi quella che ritengo essere la più grande verità: il più grande oppressore contro il quale siamo chiamati a lottare oggi sono anzitutto le nostre paure. La paura di confrontarsi, la paura di vivere questo Parlamento come luogo del compromesso e delle scelte. Nell'ipertrofia normativa del nostro sistema un richiamo alla necessità di decisioni veloci non è funzionale né al cittadino né allo Stato né alla nostra economia. Servono meno leggi e scritte meglio. L'efficientismo che questo governo, come gli altri che l'hanno preceduto, vuole imporre non è altro che un'illusione. Non posso che richiamare, nella prima seduta dopo il 25 aprile, l'opportunità di festeggiare oggi, ma soprattutto nel momento del voto, una nuova festa della liberazione.
  Popper diceva che «la dittatura è moralmente cattiva perché condanna i cittadini dello Stato, contro la loro migliore coscienza, contro il loro convincimento morale, a collaborare con il male se non altro con il silenzio. Essa solleva l'uomo dalla responsabilità morale senza la quale è solo la metà, un centesimo di uomo. Essa trasforma qualsiasi tentativo di portare la propria responsabilità umana in un tentativo di suicidio».
  Oggi vi chiedo di liberarci di questa dittatura instaurata dal ricatto, dalla paura di dialogare, dalla nostra pigrizia che preferisce la comodità dell'uomo solo al comando. Oggi vi chiedo di guardare di nuovo a questo Parlamento come il più grande lascito di libertà dei nostri padri, la vera eredità della lotta contro il nazifascismo. Oggi e col voto dei prossimo giorni, siamo chiamati davvero a festeggiare la nostra liberazione.

  ENZO LATTUCA. Signora Presidente, onorevoli colleghi, questo Parlamento porta su di sé la responsabilità di portare a termine, nel corso della XVII legislatura, quel percorso di riforma delle istituzioni repubblicane che in diverse occasioni nel recente passato per diverse ragioni è invece fallito. E di certo da questa responsabilità nessuno si può sentire sollevato.
  Su questa Camera oggi grava un'ulteriore responsabilità, quella di restituire al paese, di restituire ai cittadini, agli elettori, una legge elettorale senza ombre di illegittimità costituzionale, una legge che sia funzionale a ripristinare l'effettività del loro diritto di scegliere da chi essere rappresentati.
  Se oggi siamo a discutere di una nuova legge elettorale è perché nell'autunno del 2005 l'allora maggioranza di centrodestra decise in maniera scellerata di superare un sistema che nel decennio precedente aveva assicurato, come non mai nella storia repubblicana, condizioni di stabilità politica tali da garantire efficacia all'azione dei Governi, senza alcuna diminuzione dell'effettività dei principi della democrazia parlamentare ma al contrario rafforzando il rapporto tra cittadini ed eletti attraverso l'introduzione dei collegi uninominali per l'elezione del 75 per cento dei membri del Parlamento.
  Quel sistema porta ancora oggi il nome dell'attuale Presidente della Repubblica, fu il frutto di una condivisione fra diverse forze politiche che nel 1993 raccolsero l'esito di un referendum popolare che il 18 Pag. 119aprile di quell'anno aveva imposto l'opzione maggioritaria. Per dirla con le parole del Presidente di allora, Oscar Luigi Scàlfaro, il Parlamento si trovò a discutere di una legge «sotto dettatura» del popolo che si era espresso attraverso il referendum. Il risultato di tale compromesso non era una legge perfetta, non esistono leggi elettorali perfette si è detto spesso nel corso del nostro dibattito, ma una legge equilibrata capace di bilanciare i principi di rappresentatività e governabilità.
  Sulle qualità invece della legge con la quale fu in maniera improvvida sostituita nel 2005, la definizione di «porcata» che ne diede il suo ideatore è tutt'oggi la migliore delle sintesi possibili. La legge Calderoli spogliava i cittadini della possibilità di scegliere i propri rappresentanti, attraverso lunghe liste bloccate circoscrizionali, e insieme reintroduceva (per la sola Camera dei deputati) quel collegio unico nazionale sulla base del quale veniva attribuito un premio di maggioranza potenzialmente illimitato. Tutto questo senza peraltro garantire coerenza con un sistema che al Senato prevedeva premi attribuiti su base regionale.
  Se oggi siamo a discutere di una nuova legge elettorale è perché quella del 2005 si è dimostrata pessima e da ultimo è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta con la nota sentenza n. 1/2014. Una sentenza con la quale sono stati rimossi gli elementi della legge considerati illegittimi e allo stesso tempo con cui viene confermata la legittimazione di questo Parlamento ad intervenire in piena autonomia per rivedere l'intera disciplina. Ed è proprio l'autonomia che è propria di questo organi che dovrebbe portarci a discutere di legge elettorale non «sotto dettatura» della sentenza della Corte, ma senza fuggire dalla nostra responsabilità e senza evadere le due grandi questioni che hanno portato a quella sentenza.
  Signora Presidente, in coscienza ritengo che il nostro primo compito, in questa sede, sia quello di approvare una legge completamente libera da ombre di illegittimità, una legge che non riproduca gli stessi vizi della precedente, una legge sulla cui costituzionalità nemmeno si debba discutere. Il nostro compito insomma è quello di evitare che ciò che è accaduto si ripeta, fare in modo che la credibilità di questa istituzione non venga più minata dagli effetti di una legge fondamentale magari approvata da una ristretta maggioranza.
  Purtroppo, lo devo dire, ho seri dubbi che la strada che stiamo percorrendo sia quella giusta. Mi chiedo, ad esempio, se il combinato disposto di collegio unico nazionale e collegi territoriali, capilista bloccati e preferenze, candidature multiple con libertà di opzione, mi chiedo se tutti questi elementi mai visti insieme consentano davvero ai cittadini una scelta libera. Qui non si tratta di stabilire quanti parlamentari verranno eletti con le preferenze (meno della metà di certo) e quanti sulla base di indicazioni di partiti in pessimo stato di salute. L'argomento su cui dovremmo interrogarci è a quanti cittadini viene di fatto negata la libertà di scelta o anche solo di prevedere gli effetti del proprio voto. Vogliamo dirlo agli elettori di tutti i partiti che, con la sola eccezione di quelli che sceglieranno il primo partito, la loro indicazione conterà poco o nulla ? Adottiamo per una volta il punto di vista degli elettori e non quello assai autoreferenziale degli eletti. Alla maggioranza di essi sarà di fatto preclusa la scelta.
  E ancora mi chiedo: è possibile che si tratti solo di una coincidenza se nessuna legge elettorale del mondo, per l'elezione di un Parlamento nazionale, a prescindere dalla forma di Governo parlamentare o presidenziale sia rispondente al principio cardine dell'Italicum, che spesso ho sentito esaltato, il principio del majority assuring ? Tutte le leggi elettorali del mondo, diverse tra loro, incentivano e agevolano con strumenti diversi (gli sbarramenti, i premi di maggioranza per la verità più spesso impliciti che espliciti) la formazione di una maggioranza nel momento elettorale, ma nessuno di questi la garantisce come dato di necessità. In nessuna democrazia del mondo si esclude come dato fisiologico che il primo partito, che in ogni caso si considera vincitore, possa non avere seggi Pag. 120sufficienti per governare da solo e si trovi «costretto» a fare alleanze, ma nessuno ha il coraggio di lamentarsi di questa costrizione, perché fa parte del gioco. Tra pochi giorni si vota in Gran Bretagna, il Paese modello per la capacità del sistema politico ed elettorale di garantire governabilità. Ci sarà un vincitore di sicuro ma molto probabilmente, come è già accaduto al Primo Ministro Cameron, per governare il vincitore avrà la necessità di costruire una alleanza.
  Mi chiedo allora se si tratti di un caso, di una stranezza italica. Mi chiedo se tutto questo sia compatibile con l'immutata forma di Governo parlamentare della nostra Costituzione.
  Il professor D'Alimonte, uno degli ideatori di questa sistema, ha più volte affermato, anche in sede di audizioni in Commissione affari costituzionali, che questa legge comporta «l'elezione diretta del Capo del Governo». Mi chiedo allora se sia legittimo operare una mutazione della forma di Governo attraverso la legge elettorale. L'idea che gli elettori possano scegliere il Governo, o meglio il Capo del Governo, è molto diffusa ma costruire un sistema elettorale che finge che ciò avvenga è pericoloso.
  Per eleggere, o meglio indicare il «Governo», questo sistema comprime la rappresentatività del Parlamento sia dal punto di vista dell'equilibrio proporzionale tra voti e seggi sia dal punto di vista del rapporto tra cittadini ed eletti.
  Mi chiedo infine quanto sia ragionevole approvare una legge elettorale pensata per una Camera sola, perché come la precedente non avrebbe senso applicarla a due Camere con la possibilità di generare maggioranze fra loro diverse, quando ancora non è stato completato l'iter della revisione costituzionale che porterà al superamento del bicameralismo perfetto. Per quanto mi riguarda mi auguro che ciò avvenga compiutamente nel corso del prossimo anno ma non si hanno certezze a questo riguardo. L'idea di un sistema vigente che prevede una compressione della rappresentatività alla Camera senza alcuna garanzia che al Senato si riproducano le stesse condizioni di governabilità pone davvero una questione di ragionevolezza che è stata censurata dalla Corte nelle motivazioni della sentenza n. 1/2014. In più di un'occasione mi è capitato di affermare che sarebbe stato opportuno seguire l'ordine logico che fa precedere la riforma costituzionale a quella elettorale. Così non è stato e questa inversione illogica è gravida di conseguenze sul piano della coerenza del sistema che ad ogni passaggio si manifestano in maniera più evidente.
  Mi chiedo in definitiva se fino ad ora siamo stati all'altezza della responsabilità che ci spetta.

  ANDREA GIORGIS. Presidente, Onorevoli colleghi, Governo, difficile in pochi minuti (quali sono quelli di cui dispongono i singoli deputati in questa discussione generale) illustrare i limiti e le irragionevolezze che il testo approvato dal Senato tuttora presenta, e soprattutto avviare un confronto vero nel quale si possa seriamente sperare che la forza degli argomenti faccia breccia e persuada della necessità di apportare alcune modifiche.
  Anche per questo ho chiesto di depositare il presente scritto nel quale sintetizzo le ragioni del mio dissenso in tre considerazioni critiche.
  La prima: questo testo, al di là delle apparenze, ripete gran parte dei vizi della previgente legge Calderoli.
  Non essendo prevista alcuna soglia (di consenso o almeno di partecipazione) per l'attribuzione del premio al ballottaggio, può infatti accadere che (anche) una esigua minoranza politica venga trasformata in una consistente maggioranza parlamentare. Esattamente come poteva accadere sulla base della previgente legge.
  Il divieto di apparentamento e l'assenza di una soglia potrebbe anche indurre le forze minori a entrare nelle liste delle forze maggiori fino ad arrivare a una competizione elettorale tendenzialmente bipartitica. Se però il processo di semplificazione non è espressione di un processo politico e culturale reale, sostanziale, ma è l'effetto di un mero vantaggio giuridico – Pag. 121come avveniva con la legge Calderoli – aumenta il rischio di fragilità e di frammentazione, ovvero il rischio della costruzione di liste contenitori buone per vincere il premio, ma cattive per governare (perché in ultima analisi eterogenee e prive di sostanza programmatica).
  Analogamente a come avveniva con la legge n. 270 del 2005, inoltre, la maggior parte dei deputati, sarà eletta con il meccanismo dei capilista bloccati. I cittadini potranno infatti scegliere direttamente, attraverso l'espressione di una preferenza, solo una minoranza di deputati, e potranno scegliere quale deputato eleggere solo se voteranno la lista che vince il premio di maggioranza. La distanza tra eletti ed elettori è peraltro aggravata – oltre che dall'istituto (particolarmente discutibile) delle pluricandidature – dal meccanismo di riparto sulla base del collegio unico nazionale che rende difficile prevedere in quale collegio territoriale scatta l'attribuzione del seggio; e dunque rende difficile per i cittadini prevedere gli effetti del proprio voto e perfino delle proprie preferenze.
  La seconda considerazione critica che vorrei avanzare potrebbe essere così sintetizzata: il disegno di legge che stiamo discutendo, come per alcuni aspetti già cercava di fare la precedente legge Calderoli, tende a introdurre una surrettizia elezione diretta dell'Esecutivo, che rischia di trasformare la natura del Parlamento, da luogo di rappresentazione del pluralismo politico e sociale nel quale si realizza l'integrazione e l'unità, in un luogo di rispecchiamento della forza del leader e della sua maggioranza (minoranza) che vince il premio: formalmente si vota per la scelta dei parlamentari ma sostanzialmente si sceglie l'Esecutivo (rectius: il suo Capo) cui assegnare una maggioranza di parlamentari (che di fatto dovranno la propria elezione a lui più che agli elettori).
  Il che accentua il profilo personale della competizione politica e molto difficilmente sostiene un processo di rilegittimazione dei corpi intermedi, e in ultima analisi un processo di rafforzamento della capacità decisionale delle istituzioni democratiche.
  Affinché queste ultime possano svolgere una efficace azione di governo, credo infatti sia necessario che sussistano o si realizzino condizioni sostanziali di unità; è in altri termini necessario che i partiti politici non siano marginalizzati e le liste o le coalizioni siano espressione di un processo reale di integrazione. Ciò ovviamente non significa negare che la semplificazione del sistema politico sia un'esigenza reale. Ma solo evidenziare che una eccessiva e astratta semplificazione, priva di sostanza programmatica, rischia di tradursi nel suo contrario, ovvero nella polverizzazione dell'intero sistema rappresentativo, e nel conseguente incentivo a pratiche populiste e demagogiche che, nell'immediato, possono dare l'impressione di sopperire alle difficoltà dei processi partecipativi e alla frammentazione politica, ma alla fine si dimostrano incapaci di conferire alle istituzioni quella forza e quella legittimazione di cui necessitano per mantenere le promesse dello sviluppo e dell'uguaglianza.
  Infine una considerazione di metodo non meno importante di quelle di merito. Le leggi che strutturano l'ordinamento democratico non sono leggi come le altre: il principio di maggioranza deve essere declinato in maniera diversa quando si riscrive parte della Costituzione o si predispone una nuova legge elettorale. Le disposizioni che disciplinano la democrazia, in quanto «regole del gioco» – come si è più volte ripetuto – non devono essere poste da un solo giocatore, ma devono essere condivise, devono essere il prodotto di un ampio accordo tra le diverse forze politiche e, soprattutto – anche per questa ragione – non devono essere poste (direttamente o indirettamente) dal Governo, ma devono essere espressione dell'autonomia parlamentare.

  MARA MUCCI. Signor Presidente, colleghi, solo pochi giorni fa, la Commissione Affari Costituzionali di cui faccio parte ha licenziato un testo senza apportare alcuna Pag. 122modifica alla riforma elettorale che è oggi all'attenzione di quest'Aula.
  Vale la pena rammentare innanzitutto le vicende, note a tutti, che hanno visto la sostituzione in Commissione affari costituzionali di 10 membri della maggioranza, con l'obiettivo di approvare intatto il testo arrivato dal Senato. La conseguenza è però un Aventino da parte delle opposizioni più corpose, che sventolando la bandiera della democrazia e della sua difesa, hanno finto di dimenticare le proprie, macroscopiche, contraddizioni interne. Grave quindi che in Commissione non ci sia stato un vero dibattito costruttivo, a fronte di una riforma senz'altro migliorabile nel merito e discutibile ora, anche nel metodo. Di fatti che fosse intoccabile la legge in questo passaggio era noto a tutti.
  Una buona legge elettorale dovrebbe essere discussa e votata dopo un approfondito e trasparente processo partecipativo, che veda protagonisti cittadini e accademici, politici e amministratori. Dovrebbe essere fatta nell'interesse della democrazia e non di una delle parti in gioco o contro qualcuno. Si potrebbe ottenere questo risultato, ad esempio, sottraendo la modifica della legge elettorale al conflitto di interessi del Parlamento, magari delegandola ad una camera speciale di cittadini, composta per sorteggio (come proposto dal professor Ainis).
  Inoltre, come già stabilito dalla Corte europea per i diritti dell'uomo, gli elementi fondamentali del diritto elettorale dovrebbero essere legittimati nonché stabiliti a livello costituzionale, impedendo che ad ogni cambio di maggioranza venga la tentazione di adottare un sistema politicamente più conveniente, ma agendo in nome della libera espressione dell'opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo.
  Va detto per onestà che, rispetto al testo iniziale, l’Italicum è stato modificato in punti non secondari.
  Nella prima versione il premio di maggioranza veniva attribuito a chi ottenesse il 35 per cento dei voti, poi alzato al 37 per cento ed infine al 40 per cento nell'ultimo passaggio; al Senato. Il premio attribuisce il 55 per cento dei seggi alla lista anziché alla coalizione, che supera al primo turno il 40 per cento dei consensi, o che vince al ballottaggio, il restante 45 per cento dei seggi andrà alle opposizioni.
  Nella prima versione vi erano poi molteplici soglie di sbarramento, 1,2 per cento per le coalizioni, 1'8 per cento per le liste fuori dalle coalizioni e il 4,5 per cento per le liste facenti parte di una coalizione. Con queste soglie i rischi erano quelli di disproporzionalità e di non rappresentatività dell’Italicum. Sarebbero rimaste escluse dalla rappresentanza quote rilevanti di elettori, nell'ordine di svariati milioni. Eccessi censurabili sul piano della legittimità costituzionale alla luce della sentenza della Corte numero 1/2014.
  Il Senato ha quindi abbassato l'unica soglia di sbarramento al 3 per cento. In questo modo le esigenze di rappresentatività sono soddisfatte. Dall'altra parte questa soluzione ha dei contro, ovvero tende alla frammentazione partitica e non consente di creare un contro-potere forte nei confronti della maggioranza. Insomma, pare difficile trovare una soluzione a tutte le esigenze.
  Per quanto concerne le liste, vengono introdotte le preferenze, tranne per i capolista che sono bloccati e che possono essere candidati in massimo 10 collegi. Le liste saranno corte, ed i colleghi plurinominali scendono da 120 a 100. Nella versione originaria del testo non veniva contemplato il principio di parità di genere. Ora sono stati inseriti criteri stringenti per garantire l'equilibrio di genere. Un passo importante contemplato in diverse leggi elettorali di stati europei.
  In Commissione, con i nostri emendamenti, abbiamo proposto dei correttivi a quelli che riteniamo essere i punti nevralgici del testo.
  Primi fra tutti l'assegnazione di un premio di maggioranza e di un eventuale ballottaggio per attribuire il premio stesso.
  Posto che l'obiettivo dichiarato di questa norma era quello di contemplare due interessi di rilevanza costituzionale, governabilità e rappresentatività. Il tutto viene espresso con un connubio atipico rispetto Pag. 123ai sistemi elettorali europei, ovvero attribuendo un premio di maggioranza ad un meccanismo proporzionale.
  Fermo restando il principio che regola le leggi di natura proporzionale, ovvero che esiste, anche solo parzialmente, un'aspettativa legittima dell'elettore nel veder rappresentato ai fini dell'attribuzione dei seggi il «peso» del proprio voto in «uscita», facendo coabitare meccanismo proporzionale e premio di maggioranza, questa aspettativa rischia di essere distorta.
  Abbiamo quindi proposto di introdurre delle soglie di sbarramento ulteriori per il ballottaggio sia in entrata che in uscita. Questo per andare nella direzione tracciata dalla sentenza della Corte, definendo che si possa accedere al premio in determinate condizioni.
  Condizioni in «entrata», ovvero definendo che una soglia minima del 27 per cento che almeno una lista deve raggiungere per innescare al ballottaggio, ed in «uscita», ovvero legittimando il premio di maggioranza attribuito in sede di ballottaggio qualora venga anche rispettata una soglia minima di partecipazione dell'elettorato. Riteniamo infatti che attribuire un premio di maggioranza qualora al ballottaggio partecipi il 40 per cento degli aventi diritto al voto non sia lo stesso che attribuirlo qualora partecipino il 61 per cento degli aventi diritto. Se non si raggiunge quest'ultima soglia nonché quella definita in entrata il premio di maggioranza verrà ripartito in modo proporzionale.
  I limiti che abbiamo imposto servono ad evitare di attribuire il premio di maggioranza a chi ha ottenuto una percentuale di voti troppo bassa, anche potenzialmente del 25 per cento, che potrebbe quindi ottenere un premio di maggioranza spropositato alterando in modo evidente il carattere proporzionale dell'espressione del voto.
  Premio a chi raggiunge il 40 – 45 per cento con premio del 10 il 45 per cento va alle opposizione, si governa con uno scarto di 25 seggi premio a chi va al ballottaggio, inteso o no come ulteriore chiamata al voto d'altra parte si poteva optare per un sistema totalmente maggioritario o uninominale maggioritario a doppio turno, che avrebbe potuto portare a soglie fisiologiche di rappresentatività più alte , accade come con la legge Mattarellum in Sicilia, i seggi vanno tutti alla stessa lista. Con questo sistema chi vince ottiene al massimo il 55 per cento dei seggi !
  Brevemente, siamo d'accordo sull'attribuzione del premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione. I risultati a dir poco deludenti prodotti negli ultimi vent'anni dal sistema basato su coalizioni improvvisate ed insincere, tanto di destra quanto di sinistra, ha caratterizzato tutta la fase della seconda Repubblica. Tali coalizioni nascevano dall'esclusivo obiettivo di vincere piuttosto che governare. Meccanismo di aberrazione prettamente partitocratico.
  Ovviamente con il premio alla lista, potranno nascere anche liste di coalizione, ma per come è strutturata la legge, dovranno farlo presentandosi agli elettori con un programma unico condiviso in partenza, se una volta entrati in Parlamento si divideranno, avranno tradito prima di tutto la fiducia degli elettori.
  È dovere di cronaca inoltre ricordare il referendum Guzzetta nell'ambito della legge Calderoli, che passò il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale, ebbe la stragrande maggioranza dei votanti ma non ottenne il quorum degli aventi diritto al voto.
  Altra nota dolente quella che ruota attorno ai capilista bloccati, uno per collegio, con possibilità di candidatura multipla in 10 collegi. La pietra dello scandalo, e a detta della Corte sono uno dei fattori ostativi alla conoscibilità del candidato e al relativo potere di scelta dell'elettore. La differenza con il Porcellum resta comunque notevole, infatti qui non siamo di fronte ad un listino lungo e bloccato, ma al solo capolista. I capilista bloccati inoltre sono molto apprezzati dai piccoli partiti (anche se non lo diranno mai pubblicamente), che così hanno più possibilità di vedere eletti i propri leader e figure trainanti (art. 48 Costituzione, uguaglianza nell'accesso alle cariche elettive, al raggiungimento Pag. 124delle stesse preferenze alcuni si vedrebbero preclusa l'elezione in base all'opzione del capolista). Per i restanti candidati sono state introdotte le preferenze, anche per loro dovere di onestà intellettuale non esenti da punti deboli, come hanno dimostrato i casi Fiorito nel Lazio e Ferrandino nello scandalo Coop di Ischia, non mettono certo in salvo dal malcostume e dalla corruzione.
  Il sistema delle preferenze, per dare una visione di insieme del tema, non è previsto dai sistemi elettorali dei principali Paesi europei, dove in tutti i casi le liste, lunghe o corte che siano, sono bloccate.
  Nel Regno Unito, i membri della Camera dei Comuni vengono eletti con il sistema del collegio uninominale a turno unico: chi prende più voti in ogni collegio viene eletto, senza nessuna soglia minima di voti necessaria.
  In Francia c’è un sistema un maggioritario in collegi uninominali a doppio turno.
  In Spagna vige il sistema proporzionale, ma con un'importante correzione a livello locale, tale da provocare soglie implicite di sbarramento piuttosto alte.
  In Germania il sistema è di tipo proporzionale con collegi uninominali, ma con la clausola del first-past-the-post (Fptp), che significa che viene eletto chi prende un voto più degli altri, gli elettori sono chiamati a esprimere due preferenze: con la prima scelgono il politico – tra quelli indicati dal partito – che vogliono mandare in parlamento come rappresentante della propria regione, con la seconda invece scelgono il partito.
  Una prima soluzione da noi proposta non altera l'impianto della norma, ma rende più digeribile le candidature plurime riducendole ad un massimo di 5.
  Una seconda soluzione invece imposta un meccanismo che riduce a percentuali massime del 25 per cento i nominati che entreranno in Parlamento, attraverso un listino circoscrizionale bloccato dal quale attingere al massimo il 25 per cento degli eletti.
  La questione che però era decisamente sanabile in questa sede, era quella di attribuire automaticamente il seggio al capolista bloccato candidato in più collegi, in quello dove la sua lista ha ottenuto il maggior consenso; questo per evitare di vedere paracadutati capilista che, oltre a non essere stati votati, risultano del tutto sconosciuti al relativo elettorato. Questo aspetto è ritenuto da alcuni docenti di diritto di dubbia costituzionalità.
  Il tema liste bloccate ci pone comunque davanti ad una doverosa riflessione. In genere, nei Paesi in cui sono adottate le liste bloccate, i nomi e le posizioni in lista sono determinati o con le primarie interne al partito, o con elezioni di primo livello, in modo che l'elezione finale dei candidati non sia messa nelle mani delle Segreterie politiche e di chi, in quel momento, detenga il maggiore pacchetto di tessere a livello locale/nazionale.
  Per questo è necessario che si dia attuazione all'articolo 49 Cost. vincolando i partiti che vogliano accedere alle competizioni nazionali all'adozione di uno statuto democratico che ne assicuri la trasparenza, la contendibilità interna ed i diritti politici e di partecipazione politica di tutti gli iscritti, con l'apertura dell'elettorato passivo interno e la previsione di organismi di garanzia terzi (e non indicati dalle Segreterie !) che vigilino sulla loro attuazione. L'obbligo di dotarsi di uno statuto come richiede questa legge, non è sufficiente, in quanto non vi sono garanzie sufficienti di democraticità interne ai partiti.
  Per garantire l'effettiva conoscibilità dei candidati abbiamo proposto un aumento del numero di collegi da 100 a 150, con la conseguente riduzione della dimensione del collegio stesso e l'accorciamento della lista elettorale in ciascun collegio. La proposta è tesa ad una maggiore aderenza alle indicazioni della Corte costituzionale che ha esplicitamente parlato di «circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte».
  Ulteriore proposta riguarda la connessione tra legge elettorale e riforma costituzionale. Questa legge elettorale, in seguito Pag. 125allo stralcio relativo all'elezione del Senato, riguarda la sola Camera dei Deputati.
  La clausola di salvaguardia introdotta – che posticipa i suoi effetti al 1o luglio 2016 non può garantirci che a quella data la riforma del Senato sia andata in porto.
  La nostra proposta è quella di banalmente, legare l'entra in vigore dell’Italicum all'effettiva abolizione del Senato elettivo.
  Se verrà rigettato l'emendamento deve quindi tenersi presente che, in mancato compimento della riforma costituzionale, la legge elettorale si vedrebbe inficiata di un vizio «sopravvenuto»: produrrebbe infatti effetti distorsivi della rappresentanza senza garantire governabilità. Al Senato opererà dunque il c.d. consultellum.
  Infine il dibattito su questa legge elettorale che verte in particolar modo sugli effetti del combinato disposto legge elettorale – riforma costituzionale.
  Se la riforma dovesse essere approvata, esisteranno solo 22 categorie di leggi che avranno l'approvazione di entrambe le Camere. Su tutte le altre il Senato potrà intervenire su richiesta d'un terzo dei suoi membri, e in seguito approvare modifiche che la Camera può disattendere a maggioranza semplice.
  Insomma, non è del tutto vero che la riforma rende meno complicato l’iter legis semplificando la vita del nostro Parlamento. Però semplifica fin troppo la vita del Governo, l'unico pugile che resta davvero in piedi sul ring delle istituzioni. La sua maggioranza, sebbene non ampissima (il 55 per cento dei seggi ergo 25 deputati in più della metà dell'emiciclo) potrà essere stabile, salvo diatribe e correnti interne.
  Insieme al Parlamento vacilla il capo dello Stato: con una sola lista destinataria del premio di maggioranza e un leader designato, le consultazioni e le prerogative del Capo dello Stato sono ridotte a mera cerimonia.
  Da qui la preoccupazione che si accompagna alla riforma. Servirebbero maggiori contrappesi, più contropoteri. Qualcosa c’è, come i cenni a uno statuto delle opposizioni, che però potrebbe contemperare in sede di modifica dei regolamenti parlamentari una forma di riconoscimento alla lista che ha perso al ballottaggio, come l'argine ai decreti legge, il ricorso preventivo alla Consulta sulle leggi elettorali, ma riteniamo non basti. Alla corsia preferenziale per i ddl governativi andrebbe affiancata quella per le leggi di origine Parlamentare, a meno in una determinata percentuale. Evitando quindi che l'eccesso di leggi di origine governativa intasi l'agenda parlamentare.
  Sarebbe necessario rafforzare il tribunale costituzionale, consentendo ad ogni cittadino la possibilità di ricorrervi in modo diretto (si verifica in Germania e in Spagna).
  Bisognerebbe rafforzare il capo dello Stato, magari concedendogli il potere d'appellarsi a un referendum, quando ravvisi in una legge o in un decreto pericoli per la democrazia (accade in Francia), o accorciare la durata della legislatura a 4 anni, prevedendo la stabilità della stessa e coniugandola con periodiche elezioni come misura di equilibrio.
  Evitiamoci però troppi paragoni con altre forme di governo. Altrimenti tocca chiederci quali siano i contrappesi nel Regno Unito, dove il primo ministro decide l'ordine del giorno della camera dei comuni, o che può porre veti su emendamenti che aumentino la spesa o diminuiscano l'entrata, dove non esiste una Corte costituzionale e il Capo dello Stato ha funzioni meramente di facciata, dove non esistono referendum abrogativi e non esiste una costituzione scritta.
  Auspichiamo infine presidente che per questa legge non si ricorra ad un voto di fiducia, per blindare l’Italicum spuntando le armi parlamentari alle opposizioni. Ci sono sì precedenti: la legge Acerbo, con De Gasperi nel 1953, due volte alla Camera e due volte al Senato nel 90. Precedenti discutibili sul piano dell'opportunità politica ma anche sul piano tecnico, dato che la materia elettorale si coniuga alla materia costituzionale, secondo l'articolo 72 della nostra stessa Carta. La fiducia minerebbe il diritto del parlamentare di esprimersi articolo per articolo: la storia ha mostrato i limiti di queste scelte che Pag. 126limitano il dibattito. Oggi basterebbero un paio di correzioni per evitare che il perseverare su questa linea diventi diabolico, ma soprattutto per migliorare il testo.
  È infatti nostro compito di evitare anche il pur minimo rischio di una nuova sentenza di incostituzionalità, che avrebbe un effetto disastroso sulla legittimazione delle nostre istituzioni democratiche. E soprattutto approvare con i tempi dovuti una nuova riforma della legge elettorale che superi l'eredità lasciataci dalla sentenza della Corte.
  Cari Colleghi, mi appello al Vostro senso di responsabilità: nelle prossime ore ci potremmo trovare in una situazione di una doppia forzatura.
  Il Governo che pone la questione di fiducia sulla legge elettorale, le opposizioni che si trincerano dietro un voto finale segreto per minare l'approvazione della legge stessa.
  Abbiamo l'opportunità di proporre degno finale per una brutta storia. Tenendo presente un concetto: non è con la governabilità che un paese è stabile. Ma con la stabilità delle norme che vara ! Il più condivise possibile !
  Giochiamoci la battaglia a viso aperto e discutiamo di questo provvedimento.
  Sulla legge elettorale possiamo permetterci più tempo.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DELLA DEPUTATA FRANCESCA BUSINAROLO IN SEDE DI DISCUSSIONE DEL DOC. XXIII, N. 3.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Presidente, colleghi, oggi è il 21 aprile 2015, la relazione della Commissione Antimafia in materia di formazione delle liste e delle candidature per le elezioni europee, politiche, comunali e circoscrizionali, che quest'Aula sta discutendo fu approvata nella seduta del 23 settembre 2014 e trasmessa alle Presidenze di Camera e Senato il giorno successivo.
  L'Aula di Palazzo Madama ha discusso la relazione a distanza di poco più di un mese dalla ricezione, il 29 ottobre 2014. La matematica non è un'opinione: dal 23 settembre a oggi sono passati oltre 7 mesi e a breve saremo chiamati a prendere in esame la conversione del decreto-legge 17 marzo 2015, n. 27 recante disposizioni urgenti per lo svolgimento contemporaneo delle elezioni regionali ed amministrative, il meglio noto decreto «election day».
  È premessa essenziale quella di specificare che la relazione della Commissione Antimafia raccoglie in sé una proposta di autoregolamentazione per i partiti, le formazioni politiche, i movimenti e le liste civiche finalizzata ad ampliare le disposizioni già previste dal decreto legislativo 235/2012 emanato a seguito della più nota Legge Severino o legge anticorruzione, la n. 190 del 2012.
  Un codice valido solo per adesione volontaria, che non prevede sanzioni né per i casi di non adesione né per i casi di non osservanza delle norme da esso previste.
  Ciò non toglie che sia apprezzabile lo sforzo, benché ancora minimo, compiuto dalla Commissione di voler segnare un primo timido passo nella direzione che la Presidente Bindi ha definito come «un'operazione di trasparenza».
  Certo, appare quanto meno ricco di spunti di riflessione il fatto oggettivo che al momento vi sia già un precedente di codice di autoregolamentazione che contiene disposizioni ben più stringenti e vincolanti di quelle previste dal documento approvato in Commissione Antimafia.
  Si tratta del caso del Movimento 5 Stelle che mi pregio di rappresentare in questa istituzione e sul territorio.
  In questi due anni ho avuto modo di apprendere come in politica, o almeno nelle stanze della vecchia politica, nessuno inventi nulla, ma si vada per emulazione e per osmosi. Non vi nascondo, pertanto, che mi lascia abbastanza perplessa dover rilevare come nessun esponente dei partiti attualmente privi di codici di autoregolamentazione, qui alla Camera come al Senato, in sede di esame del codice di autoregolamentazione non abbia pensato Pag. 127di proporre l'arricchimento delle prescrizioni con le disposizioni del codice del Movimento 5 Stelle.
  Si poteva fare meglio, quindi, e ritengo importante sottolineare come in termini migliorativi il Movimento 5 Stelle possa intestarsi un'altra piccola vittoria essendo riusciti, in occasione dell'esame della Relazione in sede di Commissione, ad aggiungere un nuovo articolo, il numero 4, volto a permettere alla Commissione parlamentare di inchiesta la verifica che le prescrizioni del codice vengano rispettate dai partiti, dalle formazioni politiche, dai movimenti e dalle liste civiche che decidono di aderire.
  Preciso che questa disposizione di fatto rappresenta l'unico riferimento vincolante e prescrittivo, in senso stretto, all'interno dell'intero codice.
  Detto questo, al di là del portato tecnico e, se vogliamo, futuristico prima ancora che prospettico, del presente codice, appare ancora più criticabile il portato politico delle tempistiche ovvero del ritardo con il quale questa relazione è stata calendarizzata e quindi discussa.
  Come già segnalato in Commissione il rischio per questo codice è quello di rappresentare più che altro un mero strumento di propaganda elettorale. Considerando che ormai manca appena un mese alle prossime elezioni regionali e amministrative la nostra ipotesi appare confermata, un dato di oggettivo.
  Il ritardo accumulato in questi mesi ci ha condotto sotto elezioni a discutere di un codice di autoregolamentazione dalla scarsa portata concreta, debole e oggettivamente inadeguato a arginare le infiltrazioni della criminalità nelle competizioni elettorali. Un codice che presumibilmente le forze politiche impegnate nelle imminenti elezioni non prenderanno in considerazione perché giunto troppo a ridosso. Il mio è un presentimento, vedremo se il tempo mi darà ragione.
  Vorrei richiamare alla memoria una coraggiosa affermazione della super ministra Boschi, quella secondo cui il Parlamento peccherebbe di lentezza; o meglio, sarebbe veloce solo quando vuole. Ebbene, a guardare la trattazione di questa relazione in Aula, il ministro Boschi avrebbe evidentemente ragione, anche se ha dimenticato di aggiungere che la causa di questa lentezza è anche del Governo e dei suoi decreti e disegni di legge che scavalcano le prerogative parlamentari ivi comprese quelle precipue della Presidenza della Camera, come quelle sulla programmazione dei lavori. Una forzatura antiparlamentare che con tutta evidenza non trova particolari ostacoli da parte della stessa Presidenza della Camera.
  La Camera è lenta ? Forse si...forse. Poniamo attenzione, però, alla ragione che si nasconde dietro la decisione di rimandare la discussione sulla relazione della Commissione di inchiesta.
  Si può ipotizzare che maggioranza e Governo hanno deliberatamente allungato i tempi per permettere di sfruttare la leva mediatica a proprio favore, in vista delle imminenti elezioni regionali e amministrative in assenza di altri strumenti propagandistici, come gli 80 euro in busta lanciato a ridosso delle europee 2014 si cerca di intestarsi una pressoché inesistente attenzione verso la questione morale che incancrenisce i partiti per mostrare la buona volontà della politica tradizionale ?
  Oppure l'allungamento dei tempi è dovuto ad una ragione diametralmente opposta, ma altrettanto preoccupante ? Si tratta della profonda disattenzione verso certe tematiche, esattamente come già dimostrato ad esempio con un'altra Relazione della Commissione Antimafia, quella sul semestre europeo che venne discussa solo qualche settimana prima della scadenza del semestre invece che, come avrebbe dovuto essere, prima o in concomitanza del suo inizio ?
  In entrambi i casi ci troviamo ad essere testimoni di una politica che gioca con temi e problematiche delicati e fondamentali, come appunto l'infiltrazione mafiosa nelle candidature e nelle formazioni delle liste elettorali. Un gioco che appare desolante, frustrante e dimostra da un lato lo scarso interesse nella lotta alla criminalità e alla corruzione e dall'altro, la perpetuazione di connivenze che non possono non gettare ombre lunghe e preoccupanti sul futuro del Paese.Pag. 128
  Quando nell'aprile 2014 in audizione presso la commissione antimafia il procuratore aggiunto del tribunale di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, segnalò l'estrema precisione e efficienza delle cosche calabresi di infiltrare i partiti e le istituzioni a partire dalla fase di candidatura e di formazione delle liste elettorali, sottolineò come fosse principalmente un problema di approccio dei partiti stessi. Le norme, infatti, possono essere stringenti ma alla fine il vero problema è e resta la volontà e la capacità dei partiti di selezionare, prevenire, perché a curare, a sanzionare ci pensa la magistratura. Ma questo avviene solo dopo.
  Per questo motivo il Movimento 5 Stelle non può dirsi soddisfatto del percorso sviluppato finora. In primo luogo perché le norme non sono stringenti e in secondo luogo perché la politica non è stringente. Lo dimostrano i recenti casi delle regionali in Calabria ma con tutta probabilità lo dimostreranno anche gli imminenti casi delle regionali è delle amministrative 2015.
  Non si pretende di avere la palla di vetro e la capacità di preveggenza ma pretende, e questo lo dovete ai cittadini tutti, la volontà e quindi la capacità di conoscere chi viene candidato e di validarne l'onestà «mettendoci la faccia e, nel caso, rispondendo delle responsabilità per averlo candidato» qualora i controlli preventivi non si fossero dimostrati efficaci.
  È vero, candidare persone incensurate, come indicato dallo stesso Gratteri, non esclude che esse siano portatrici di interessi criminali, mafiosi, ma sottoporre il vaglio di presunti prestanome alla società, ovvero a chi conosce le realtà locali, può rappresentare già un primo ostacolo alla infiltrazione criminale. Non si tratta di fare le primarie, o almeno non le primarie come oggi le conosciamo, ma si tratta di rendere trasparente il percorso selettivo in vista delle candidature. Una selezione che può passare anche diversi passaggi per «mondare», passatemi il termine, le candidature.
  Vado alla conclusione citando le parole del richiamato dott. Gratteri: «Quanto al discorso della lista, normativamente come faccio io a un incensurato a dire che non si può candidare, solo perché è cugino del capomafia ? Non posso creare una norma su questo punto.
  Il problema è la politica. Non vi lamentate poi che sono i magistrati che si sostituiscono alla politica. Su queste cose non può intervenire la magistratura. Ricordate sempre che la magistratura interviene sempre dopo, non fa prevenzione. Interviene dopo che c’è il reato».
  Il codice di autoregolamentazione della Commissione Antimafia può essere considerato come un primo, timido, ancorché poco efficace tassello posto sulla strada verso una vera trasparenza della politica, ma siamo ancora lontani dal traguardo. In tal senso quindi il Movimento 5 Stelle pur criticandolo aspramente non può dirsi contrario ai suoi principi e ai suoi obiettivi, per quanto teorici.
  «Il problema è la politica». Ecco, noi abbiamo già dimostrato di essere capaci di contribuire ad accorciare questo percorso e a raggiungere certi traguardi. Le nostre liste continueranno a essere pulite, attendiamo che lo stesso succeda per le liste della cosiddetta «politica» qui rappresentati.