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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 336 di venerdì 21 novembre 2014

Pag. 1

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 10,05.

  EDMONDO CIRIELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 17 novembre 2014.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alli, Baretta, Carbone, Epifani, Frusone, Losacco, Manciulli, Antonio Martino, Meta, Morassut, Gianluca Pini, Piras, Schullian, Valeria Valente, Valentini e Vargiu sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente novantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro (Approvato dal Senato) (A.C. 2660-A) (ore 10,15).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2660-A, già approvato dal Senato: Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.

(Esame di questioni pregiudiziali – A.C. 2660-A)

  PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Prataviera ed altri n. 1, Scotto ed altri n. 2, Tripiedi ed altri n. 3 e Brunetta ed altri n. 4 (Vedi l'allegato A – A.C. 2660-A).
  Avverto che, che essendo state preannunciate nella Conferenza dei presidenti di gruppo del 21 ottobre contestualmente alla predisposizione del vigente calendario dei lavori, le questioni pregiudiziali sono esaminate e poste in votazione prima dello svolgimento della discussione sulle linee generali, a norma dell'articolo 40, comma 2, del Regolamento.
  Ricordo che, ai sensi del comma 4, primo periodo, del medesimo articolo 40 del Regolamento, nel concorso di più questioni pregiudiziali ha luogo un'unica discussione.
  In tale discussione, ai sensi del comma 3 dello stesso articolo 40, potrà intervenire, oltre ad uno solo dei proponenti, per Pag. 2illustrare ciascuno degli strumenti presentati per non più di dieci minuti, un deputato per ognuno degli altri gruppi, per non più di cinque minuti.
  Al termine della discussione, si procederà, ai sensi dell'articolo 40, comma 4, terzo periodo, del Regolamento, ad un'unica votazione.
  Il deputato Prataviera ha facoltà di illustrare la sua questione pregiudiziale n. 1.

  EMANUELE PRATAVIERA. Signor Presidente, registriamo finalmente un contributo fattivo ai lavori dell'Aula, quanto meno, dei parlamentari e del Ministro del lavoro Poletti: benvenuto, ci fa piacere poterci quanto meno confrontare su una questione pregiudiziale, visto che in Commissione è sempre rimasto assente, nonostante abbiamo chiesto in più di un'occasione il suo intervento. La sua presenza è stata, invece, sostituita da quella del sottosegretario Bellanova, a cui, comunque va il nostro personale riconoscimento di essersi spesa, e non poco, con la sua presenza, oltre che fisica anche di contributi, nell'aula della Commissione, insieme a quella degli altri commissari.
  Una presenza, però, che non ci ha assolutamente soddisfatto, perché è mancato, di fatto, un dibattito serio, partecipativo, costruttivo nel merito degli emendamenti che sono stati presentati da parte di tutte le forze di opposizione e, in alcuni casi, anche delle forze di maggioranza e che, invece, ha avuto come vero epicentro politico altre istanze, diverse da quelle in cui la democrazia di questo Paese dovrebbe esplicitarsi, cioè in Commissione ed ora qui; però, meglio tardi che mai: quanto meno, probabilmente, il Ministro ci ascolterà in questa discussione.
  La nostra esposizione della questione pregiudiziale sarà molto tecnica nel merito, perché confidiamo veramente che ci sia la possibilità da parte della maggioranza, da parte del Governo, da parte sua, Presidente, di poter svolgere in maniera fattiva un dibattito politico serio su una delle riforme che è stata annunciata dallo stesso Presidente del Consiglio come una delle più importanti del suo mandato.
  Noi denunciamo, in particolare, l'incongruità costituzionale relativa a tre articoli: l'articolo 76, l'articolo 3 e l'articolo 117. Per quanto riguarda l'articolo 76 della Costituzione, esso recita che «L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti». Il predetto articolo costituzionale, quindi, richiede che la delega della funzione legislativa avvenga per oggetti bene specificati e con criteri circoscritti e determinati, cui il Governo deve attenersi rigorosamente nell'emanazione dei decreti delegati. Di contro, il disegno di legge delega in oggetto reca un'opulenza di deleghe a carattere generico e prive del requisito di definitezza dell'oggetto, con l'elencazione di principi e criteri talmente generici ed imprecisati da prefigurare una sorta di delega in bianco – che è stata ripresa tantissime volte negli interventi di tutti noi commissari e che, purtroppo o per fortuna, il Ministro sente finalmente dalla viva voce di un parlamentare anche in quest'Aula – in palese violazione con il predetto articolo 76 della Costituzione.
  Oltre che un'incostituzionalità del disegno di legge sotto il profilo generale, si profila, per quanto ci riguarda e con riguardo al contenuto, una violazione costituzionale dell'articolo 3, primo comma, in termini di pari dignità sociale ed uguaglianza dinanzi alla legge, e secondo comma, nel «compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, (...), impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese», nell'articolo 1, comma 2, del provvedimento all'esame, ipotizzando un'estensione del campo di applicazione dell'AspI ai soli lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, tralasciando le altre figure di lavoratori atipici ossia precari ovvero parasubordinati. Parimenti, si ravvisa una violazione sempre del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione alla lettera Pag. 3c) del comma 7 dell'articolo 1, laddove si prevede per le nuove assunzioni l'applicazione del cosiddetto «contratto a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio», che di fatto può realizzare una forte discriminazione tra lavoratori, nonché alla successiva lettera f) del medesimo comma 7, che limita l'applicabilità dell'eventuale compenso orario minimo ai soli rapporti di lavoro avente ad oggetto una prestazione di carattere subordinato ovvero di collaborazione coordinata e continuativa, escludendo – ancora una volta – le altre tipologie contrattuali vigenti. Si ritiene, altresì, in contrasto con la potestà legislativa regionale ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, la revisione dei servizi per l'impiego di cui al comma 3 dell'articolo 1 del provvedimento in esame. Inoltre, la lettera c) del comma 4 prevede l'istituzione di un'Agenzia nazionale per il lavoro partecipata da Stato, regioni e province autonome, ove far confluire personale o uffici, anche territoriali, soppressi o riorganizzati, il tutto senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con ciò vincolando indirettamente le risorse finanziarie degli enti territoriali, in violazione dell'autonomia finanziaria loro riconosciuta dall'articolo 119 della Costituzione.
  Tutto ciò premesso, restando ovviamente forti, per quanto ci riguarda, le riserve di incostituzionalità, proponiamo di non procedere all'esame del disegno di legge n. 2660-A, che stiamo trattando.
  Tanti sono i motivi, anche tecnici, che abbiamo ricordato, ma soprattutto politici, Presidente, in particolare per quanto riguarda quella sottile differenza tra delega e potere proprio. Il Governo, in questo caso, si è autodelegato, lo ha detto pubblicamente; ha fatto addirittura delle slide in cui avocava a sé la potestà di una delega in bianco per poter fare ciò che si proponeva. Questo l'ha fatto, dal nostro punto di vista, ricattando anche il suo stesso partito di maggioranza, è sotto gli occhi di tutti. L'opinione pubblica è ben informata di quello che è successo ed è bene informata anche dell'accordo che si è avuto, al di fuori di queste stanze – che dovrebbero essere pubbliche per definizione –, in maniera «carbonara», per raggiungere un accordo che produrrà i suoi effetti evidenti a partire dall'applicazione dei decreti attuativi di questo disegno di legge di delega al Governo.
  Per questo, signor Presidente, onorevoli colleghi, noi chiediamo di non procedere all'esame, ma soprattutto avanzando le richieste, visto che si tratta di pregiudiziale di costituzionalità, relative agli articoli della Costituzione succitati (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Il deputato Arcangelo Sannicandro ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Scotto n. 2, di cui è cofirmatario.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Signora Presidente, egregi colleghi, come è stato già ricordato, l'articolo 76 della Costituzione italiana dice che l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. È evidente che i costituenti furono lungimiranti, e che scrivevano questa norma alla luce dell'esperienza pregressa, perché il timore era che si potesse ripetere nella storia d'Italia una prevaricazione dell'Esecutivo sul Parlamento.
  E noi praticamente a ciò stiamo arrivando: il nostro Parlamento, almeno per la mia esperienza, è completamente esautorato. Noi procediamo sempre con decreti-legge, con la fiducia, e quindi sostanzialmente non siamo messi in grado di contribuire e di svolgere il nostro lavoro. Oggi si aggiunge questa ulteriore iniziativa, che io sempre indico come espropriazione della funzione del Parlamento. Perché la legge delega, come appunto ho letto poc'anzi, non può effettuarsi se non in modo abbastanza circoscritto, e il Governo non può emanare decreti legislativi che non trovino nella legge delega la propria vincolante cornice.
  Questo lo dico perché nel dibattito in Commissione – e scommetto che anche Pag. 4qui accadrà – ho ascoltato spesso dei colleghi dire: va bene, che ci sono dei nodi che forse non siamo in grado di risolvere; li risolveremo in sede di decreti legislativi. Niente di più aberrante sul piano costituzionale !
  Orbene, lasciando al dibattito specifico poi queste questioni, mi limito alla questione tecnica di costituzionalità. Questa delega ha molti vizi. Il primo vizio è che vengono scambiati per principi e criteri direttivi molto spesso le indicazioni di oggetto della delega; talaltra, invece, i principi e criteri direttivi sono talmente generici che sostanzialmente dicono al Governo non come deve fare, ma «fai quello che vuoi».
  Poi c’è un'altra serie di criticità. Ci sono delle indicazioni, delle raccomandazioni al Governo: sappiamo – si scrive – che ci sono varie eventualità, varie possibilità; scegli tu quali vuoi adottare. Poi talvolta ci sono delle norme completamente inutili: sono le norme di carattere ricognitivo; e dopo mi soffermerò, se ne avrò il tempo, per ciascuno di questi vizi, ad elencare gli articoli specifici. Poi non parliamo del contrasto che vi è sovente tra la intitolazione e il contenuto dei singoli articoli.
  Ora, nei limiti di tempo che io ho, mi permetto di fare una esemplificazione, che parla di per sé. Dicevo di principi che non sono tali, ma che sono oggetto di delega, anche se sono inseriti nel comma relativo ai principi. Per esempio, al comma 2, punto 7, si dice che il Governo deve revisionare l'ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria: praticamente stiamo dando al Governo un'ulteriore delega, e non si tratta di un principio. Per quanto riguarda poi il comma 4, per esempio, si legge testualmente: razionalizzazione e revisione delle procedure e degli adempimenti in materia di inserimento delle persone disabili.
  Cioè sostanzialmente si dice al Governo anziché che cosa deve fare, perché è inserita nella parte relativa ai commi, nella parte relativa ai principi e ai criteri direttivi, si dice sostanzialmente cosa potrebbe fare. Poi c’è il massimo, come dire, dell'arbitrio consentito che è al comma 6, laddove si parla di eliminazione e semplificazione anche mediante norme di carattere interpretativo delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi giurisprudenziali o amministrativi. Sostanzialmente si dice al Governo: vedi un po’ tu quali sono le norme che secondo te potrebbero essere abrogate e abrogale. Addirittura con delle leggi di interpretazione autentica; è ben noto che le leggi di interpretazione autentica non hanno effetto per il futuro ma addirittura effetto per il passato per cui se c’è un contenzioso in atto – e a contenzioso in atto si accenna quando si parla di contrasti interpretativi e giurisprudenziali – tu decidi quale dei due contendenti ha ragione, perché sostanzialmente la legge di interpretazione autentica non fa altro che dare ragione a uno dei due contendenti. D'altronde l'esperienza legislativa italiana abbonda di tali casi, ne potrei citare nella materia che più conosco a iosa.
  Dicevo, questi sono oggetti camuffati per principi, poi abbiamo il secondo caso di cui parlavo prima: principi e criteri direttivi che in realtà sono oggetti di delega, altri sono generici e perciò non sono dei veri indirizzi e vincoli per il Governo ma sono delle dichiarazioni ben poco cogenti. Andiamo ancora al comma 6 che ho citato poc'anzi dove si diceva di norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi giurisprudenziali ed amministrativi, che possono essere praticamente tutte, alcune, scegli tu, scegli tu.
  Poi abbiamo il comma 7, quello che «costruisce» il cosiddetto contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Ora anche qui nel dizionario giuridico non ho trovato «contratto di lavoro a tutele crescenti» ma anche qui non si capisce da dove si parte. Io ho fatto un piccolo esperimento tra i colleghi e ho chiesto a ognuno dei miei interlocutori che cosa intendi per contratto a tutele crescenti. Ho avuto tante risposte quanti erano i colleghi che interloquivano con me ma, indipendentemente dal mio test, se voi andate a vedere gli emendamenti che sono stati Pag. 5presentati in Commissione, parecchi su questo punto, ognuno dei presentatori cercava di dare un contenuto proprio perché psicologicamente come fatto freudiano, si rendeva conto che non c’è nulla in questo contratto a tutele crescenti. Si potrà partire dal primo anno, qualcuno dice – con un emendamento – partiamo dal secondo anno ad aumentare le tutele, qualcun altro dice partiamo dal terzo anno, proprio perché è un'espressione vaga e truffaldina, proprio perché non indica da quale gradino bisogna partire..., contratto a tutele crescenti. Allora ho fatto la domanda ad un collega: fammi capire, oggi i lavoratori italiani hanno una serie di tutele previste dalla legislazione, partiamo da qui e andiamo oltre oppure è un'altra cosa ? Il collega mi ha detto «no, ma dobbiamo partire da qui» e allora io dissi «siamo d'accordo», perché se per esempio la tutela fosse, non so, il trattamento di fine rapporto, faccio solo un esempio, che prevede un mese di retribuzione per ogni anno di lavoro, se partiamo di qui e vuoi andare a due mesi siamo d'accordo non capisco perché stiamo litigando, firmiamo immediatamente insieme..., contratto a tutele crescenti.
  Ed è, ripeto, tra l'altro come dicevo una espressione truffaldina non soltanto perché non dice, ma soprattutto per quello che poi ha detto dopo l'emendamento del Governo, laddove si scrive che i giovani, e solo i giovani, non potranno godere sostanzialmente della tutela prevista dall'articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori che si chiama, badate bene, tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, della libertà e della attività sindacale e del collocamento, cioè tutto il contrario di quello che si sta facendo con questa legge. Perché per quanto riguarda il collocamento pubblico ormai da tempo è stato «sbaraccato», è stato eliminato e sostituito con il mercato privato.
  Per quanto riguarda il collocamento, cioè l'aspirazione ad avere un controllo sulla domanda e sull'offerta di lavoro, qui si vorrebbe andare verso un ulteriore rafforzamento della liberalizzazione del mercato del lavoro. Per quanto riguarda il licenziamento, ripeto, non si chiama statuto dei diritti del lavoratore, non esiste da nessuna parte. La legge 20 maggio 1970, n. 300, si chiama: «Tutela della libertà e della dignità dei lavoratori»: tutela. Si scrive nell'emendamento del Governo che i giovani non devono avere questa tutela contenuta nell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, lo si scrive, con una contraddittorietà che palesa la filosofia che sta a monte di questo Governo: di questo Governo, badate bene, di questo Governo. Io do atto al presidente Damiano di essersi adoperato; anche alla sottosegretaria, ma non ce la potete fare, perché il Governo non sta innovando niente, sta soltanto obbedendo ai mercati e talvolta lo dice anche, i mercati ce lo chiedono: il capitalismo italiano, nazionale, europeo e internazionale, ci chiede che bisogna standardizzare il livello dei diritti dei lavoratori al livello più basso. Noi stiamo in alto, bisogna portarlo al livello dei Paesi emergenti. Mi rendo conto che il tempo è finito, però avremo modo, se possibile, se ci sarà concesso nella discussione sulle linee generali di completare il ragionamento (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).
  Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. La deputata Ciprini ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale di costituzionalità Tripiedi ed altri n. 3, di cui è cofirmataria.

  TIZIANA CIPRINI. Signor Presidente, questa delega è palesemente incostituzionale per indeterminatezza dei principi e dei criteri direttivi contenuti, oltre che per una notevole vaghezza degli ambiti oggettivi di applicazione, determinando – nei fatti – una violazione dell'articolo 76 della Costituzione. In base all'articolo 76, infatti, «l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi Pag. 6e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti». Si tratta di vincoli che intendono porre limiti sostanziali ed imprescindibili all'esercizio della funzione legislativa da parte del Governo, tanto più laddove sia il Governo stesso ad autoattribuirsi le deleghe, mediante la presentazione di disegni di legge di iniziativa governativa. E ancora lesa, sotto il profilo generale, appare la ripartizione di competenze legislative tra lo Stato e le regioni. Denunciamo da sempre, in quest'Aula, il consistente trasferimento del potere legislativo dal Parlamento al Governo, per la proliferazione continua ed abusiva del ricorso alla decretazione d'urgenza. E ora anche alle deleghe in bianco ci tocca assistere. Il fenomeno dell'abusivismo governativo si verifica anche, come in questo caso, mediante la presentazione di significativi emendamenti di iniziativa governativa, attraverso i quali l'Esecutivo si conferisce, con formulazioni estremamente stringate e quindi suscettibili di interpretazioni del tutto discrezionali, ampie deleghe in ambiti assai delicati sui quali spesso il Parlamento già lavora da tempo. Un caso analogo e preoccupante, in quanto riguarda la materia della corruzione, è rinvenibile nel disegno di legge delega riguardante la riorganizzazione della pubblica amministrazione, attualmente in discussione in Senato. Questa sul lavoro è una mera delega in bianco, che lascia le strade aperte in tutte le direzioni e che in apparenza sembrerebbe funzionare come il test proiettivo delle macchie di Rorshach, dove ognuno può vedere quello che gli pare. La sottosegretaria Bellanova del PD in Commissione a parole, solo a parole, ci ha detto che ci vede delle cose, mentre Sacconi del Nuovo Centrodestra ce ne vede delle altre, in senso diametralmente opposto, naturalmente. In tutto questo caos, i parlamentari procedono, votando alla cieca e affidandosi ad un cane guida con due teste ! Io, per esempio, ci vedo, in questa delega in bianco, un'enorme fregatura. Ma il Governo sa benissimo dove vuole andare a parare; scommetto che i decreti legislativi sono pronti, chiusi dentro un cassetto del Ministero, scritti e confezionati da Taddei e dal giuslavorista Ichino, che finalmente potrà tradurre in legge la sua visione del lavoro, facendo quello che nemmeno il peggior Governo di destra osò fare. In Commissione lavoro abbiamo tentato di riempire gli spazi bianchi, come quei giochini della settimana enigmistica che si chiamano fill in the blanks o unisci i puntini.
  E gli emissari del Governo, alti funzionari e capi gabinetti, hanno vigilato come falchi, appollaiati sulle poltroncine dei salottini antistanti e retrostanti la Commissione, pronti a correggere con la penna blu di Sacconi, quel qualcosina di rosso che la minoranza del PD della Commissione lavoro avrebbe osato inserire per non perdere ulteriori tessere, sia del partito sia sindacali, perché, lo ricordo, la maggior parte dei membri della Commissione è composta da ex sindacalisti. Ma guai a sgarrare di una virgola dallo stretto recinto del patto-ricatto tra Renzi e i dissidenti rossi del PD. Guai a fare la svoltina a sinistra più larga del dovuto ! E gli emendamenti caldi sono stati tutti riformulati dal Governo che, beffa delle beffe, alla fine ha finito per delegare se stesso. Il Governo a due teste se l’è cantata, suonata e ballata da solo !
  Alle opposizioni, poi, sono stati accolti soltanto pochi emendamenti, di mera correzione formale del testo. Ma ci pensate ? I parlamentari demansionati al ruolo di correttori di bozze. Assurdo ! Non prendiamoci in giro, signori: i 14 commi dell'articolo 1 della delega sono solo dei titoli, il cui svolgimento è già stato accuratamente scritto. Pertanto, un bluff a livello di funzionamento parlamentare, un teatrino stucchevole e tragicomico. Le Commissioni, che dovevano essere il cuore dell'azione legislativa su questi temi di grossa portata e di durevole impatto, che meritavano, pertanto, ampio dibattito parlamentare, vengono scavalcate dal Governo e relegate a meri uffici di ratifica.
  Quando arriveranno i decreti legislativi, la funzione delle Commissioni sarà quella di dare un «parerino» non vincolante, di cui il Governo potrà «fottersene» allegramente, Pag. 7dato che leggo testualmente: «decorso tale termine», cioè 30 giorni, «i decreti saranno emanati anche in mancanza dei pareri».
  E l'iter parlamentare di questo provvedimento è stato accompagnato da continue minacce a mezzo stampa, minacce di ricorrere all'arma della fiducia se il testo voluto dal Governo non fosse sollecitamente approvato dalle Camere entro termini temporali rigidi e prefissati dal Kapò Herr Renzi. Ma il Renzi frettoloso fece i decretini ciechi ! Si, perché i costituzionalisti, auditi in Commissione, ci hanno avvertito di una crisi costituzionale di portata storica, se si continua su questa strada.
  I decreti legislativi che verranno emessi sulla base di questa delega in bianco, che non contiene, ripeto, alcuna direttiva, saranno impugnabili presso la Corte Costituzionale. Incostituzionale è anche il demansionamento, che è il nucleo di ogni causa di mobbing, e la video sorveglianza dei lavoratori, ovvero lo spionaggio autorizzato per legge. Renzi attento, perché stai costruendo un castello di carte sulla sabbia.
  Ecco a cosa sono servite le venti votazioni per i membri della Corte costituzionale. Per garantirsi giudici compiacenti che chiuderanno gli occhi e si tureranno il naso di fronte a questo pasticcio. Peggio, davvero peggio di quello che ha combinato il pregiudicato Berlusconi !
  E mentre con fiducia aspettiamo l'ennesima fiducia su questa delega, constatata, dunque, la violazione di numerosi articoli della Costituzione italiana e, nella fattispecie, gli articoli 1, 24, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 76, 117 e 119, e ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento di questa Camera, il gruppo del MoVimento 5 Stelle chiede di non procedere all'esame dell'atto Camera n. 2660 (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 10,40).

  PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Ripresa esame di questioni pregiudiziali – A.C. 2660-A)

  PRESIDENTE. La deputata Polverini ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale di costituzionalità Brunetta ed altri n. 4 di cui è cofirmataria.

  RENATA POLVERINI. Grazie Presidente, intanto anche io voglio notare con piacere la presenza del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e ringraziare, per quanto abbiamo potuto fare in Commissione, sia il presidente Damiano sia il sottosegretario Bellanova. I ringraziamenti, però, si limitano soltanto al rispetto che, comunque, sia il presidente che il sottosegretario hanno voluto, come sempre, mettere in atto nella Commissione lavoro.
  Ovviamente, le opposizioni – ormai è storia – sono state costrette ad abbandonare i lavori della Commissione stessa, perché, seppure in presenza di emendamenti di buon senso rispetto alle questioni più importanti che riguardano la delega in discussione, soltanto alcune piccole correzioni, per quanto riguarda gli emendamenti delle opposizioni, sono state accolte; nulla è stato fatto per quanto riguarda – ripeto – le questioni più spinose, ma del resto la discussione si era già esaurita all'interno degli organismi del Partito Democratico e all'interno della maggioranza che sostiene questo Governo.
  Quindi, le opposizioni hanno cercato e continuano a mettere in campo tutto ciò che viene loro assegnato dal Regolamento della Camera e dalla Costituzione per provare a non portare a compimento una delega che riteniamo innanzitutto inutile in un momento di crisi così profonda, Pag. 8quale quella che ancora sta vivendo il nostro Paese, che distrae il Governo da quella che invece potrebbe e dovrebbe essere un'azione di rilancio dell'economia, che sicuramente non può passare per prima tra le norme che regolano il mercato del lavoro. Tra le nostre prerogative c'era anche quella di provare a mettere in campo una pregiudiziale di costituzionalità, e così, insieme ai colleghi dei gruppi delle altre opposizioni, abbiamo fatto. Lo abbiamo fatto perché riteniamo che questo disegno di legge delega appaia eccessivamente lacunoso ed incerto, disomogeneo e approssimativo, una sorta, come è stato già detto e lo voglio ripetere, di delega in bianco, che nel frattempo più osservavamo nei suoi contenuti e più ci appariva un'assegnazione da parte del Governo stesso a se stesso, appunto, rispetto a questa delega. Quindi, qualcuno la chiama delega in bianco, qualcuno la chiama autodelega, fatto sta che, secondo i nostri uffici, non rientra nelle norme costituzionali, che invece richiedono di legiferare mediante delega avente criteri certi e ragguagliati nella cornice definita dal Parlamento, cui il Governo non può che attenersi in maniera dettagliata. E proprio su questo, io credo che il primo contrasto evidente appaia appunto con quanto disposto dall'articolo 76 della Costituzione in materia di funzione legislativa delegata. Del resto, anche il Servizio studi della Camera, nelle schede di lettura, mette in evidenza che, rispetto ai criteri direttivi, essi non appaiono definiti in termini puntuali, lasciando ampia discrezionalità al Governo. E non solo: la portata della delega risulta anche dalle sue titolazioni lacunosa e incerta, non essendo chiaro e specificato se oggetto della delega sia un riordino della normativa vigente o una riforma. Per esempio, solo a titolo esemplificativo, per le deleghe che riguardano gli ammortizzatori sociali e i servizi per il lavoro, nel titolo l'atto parla di riforma, invece nel corpo del testo si parla di riordino. Per quanto riguarda i rapporti di lavoro, l'igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro, vediamo anche, rispetto alla maternità e alla conciliazione di tempo di vita e di lavoro, che il titolo dell'atto parla di riordino, mentre il testo anche qui parla di revisione ed aggiornamento delle misure. A tal fine, vogliamo ricordare che la giurisprudenza costituzionale definisce, in maniera diversa, le innovazioni di un testo rispetto a quando parla di riordino, di armonizzazione o di coordinamento. Insomma, il palese contrasto con l'articolo 76 della Costituzione si vede in ogni punto della delega. Voglio anche ricordare che la Corte costituzionale è già intervenuta, rilevando che il libero apprezzamento del legislatore delegato non può assurgere a principio e a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, e lo fa con la sentenza n. 68 del 1991 e con la sentenza n. 340 del 2007. Insomma, anche su questo credo che, se ci sarà, come sembra ci sarà, un ricorso alla Corte costituzionale su alcune materie, su alcuni commi e lettere di questo provvedimento, sicuramente la Corte costituzionale non potrà che intervenire.
  E continuiamo ancora: il testo è sempre in palese contrasto con l'articolo 76 della Costituzione, nella parte in cui il dettato costituzionale richiede la certezza, oltre che dei criteri direttivi, anche delle tempistiche attuative per le procedure della delega. Anche su questo, non appaiono certi i tempi assegnati al Governo, e si sposa, inopinatamente, una sorta di tecnica dello scorrimento, che non appare, evidentemente, in linea con l'articolo 76 della Costituzione.
  Inoltre, per quanto riguarda l'Agenzia nazionale per il lavoro, la delega appare, addirittura, in contrasto con quanto disposto dall'articolo 117 della Costituzione, 4 comma, quando entra in palese contrasto con la potestà legislativa delle regioni.
  Ma, come se non bastasse, per quanto riguarda le parti non in contrasto, o perlomeno che potevano non essere in contrasto con la Costituzione, l'aver ricorso in Senato alla questione di fiducia ha palesemente alterato il procedimento legislativo che richiede l'approvazione dei disegni di legge articolo per articolo, e con votazione finale. Ricordo all'Aula che questo disegno di legge prevede un solo articolo, Pag. 9con cinque deleghe assegnate, su cinque specifiche materie, al Governo. Inoltre, si ricorda che l'accorpamento delle deleghe in un solo articolo, per effetto delle modificazioni introdotte al Senato, è in contrasto con la circolare congiunta dei Presidenti della Camera e del Senato del 20 aprile 2001.
  Quindi, noi riteniamo che questa delega non vada nella direzione di aiutare né le imprese, né i lavoratori, ad uscire da questa crisi. Sicuramente, non va nella direzione più liberale, richiesta, a gran voce, dalle imprese, ma, al tempo stesso, purtroppo, riduce inopinatamente i diritti dei lavoratori. Questo, per giunta, si è voluto fare senza ascoltare, in via preliminare, come in un momento di così grave crisi, forse, sarebbe stato utile, le associazioni dei lavoratori e delle imprese. Non si è voluto ascoltare le tante manifestazioni di protesta di persone che, a vario titolo, soprattutto rispetto al lavoro, cercano di manifestare il loro disagio. Non si è voluto ascoltare la Commissione competente, perché – ripeto – lo spazio e l'interlocuzione per le opposizioni si è ridotto ai minimi termini. Non si vuole ascoltare – io credo – nemmeno questa Aula, e mi auguro che non sarà così, perché continua a girare nell'aria l'idea che, anche alla Camera, si voglia porre la questione di fiducia. Rinnovo qui l'appello a tutte le opposizioni, che ho già fatto in Commissione: non diamo l'alibi a questo Governo di porre la questione di fiducia, perché magari interveniamo con troppi emendamenti ostruzionistici. Facciamo emendamenti mirati, in particolare, sulle questioni in oggetto di discussione, a cominciare dall'articolo 18, per arrivare alle altre due grandi questioni sulle quali in questi giorni c’è un grande dibattito, ovvero la sorveglianza a distanza e il demansionamento.
  Cerchiamo di fare un'opposizione costruttiva, cerchiamo, qualora queste pregiudiziali non passassero il voto in Aula, di portare ad una discussione che possa veramente modificare, nel merito, il provvedimento. Comunque, concludo, chiedendo di non procedere all'esame del disegno di legge n. 2660-A (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, abbiamo ascoltato una serie di censure sul disegno di legge delega che, semplicemente, non tengono conto di due fatti. Il primo, sono le sentenze e la giurisprudenza della Corte. Qui si è cercato di dire che la legislazione delegante deve contenere dei principi e dei criteri direttivi precisissimi, indicando e circoscrivendo l'azione del legislatore in ogni modo.
  Non è così, nel senso che la Corte costituzionale ha detto più volte che la legge delega può assumere diverse forme più o meno ampie, che esiste una fenomenologia di deleghe diverse e che è perfettamente legittimo che la delega finisca per descrivere, in maniera ovviamente compiuta, ma non dettagliata, le finalità principali che il Governo deve perseguire attraverso la legislazione delegata. Ci sono una serie di sentenze su questo argomento che lo dicono esplicitamente.
  Così come è evidente che le singole norme ed i singoli principi e criteri direttivi possono essere ricavati all'interno o all'esterno della delega stessa. Allora, la contestazione che è stata fatta da tutti, ad esempio, ha riguardato la lettera a) del comma 7, in cui si fa riferimento al censimento delle varie figure contrattuali ai fini della semplificazione. È chiaro che quel principio è un principio, un criterio direttivo che semplicemente rappresenta un pezzo del percorso, da integrare con il resto della delega e con tutti gli altri obiettivi di semplificazione e gli altri criteri che sono lì previsti.
  Poi è stata citata la famosa norma sulle tutele crescenti, ignorando il fatto che è stata integrata in Commissione e che sicuramente, oggi, ha un livello di specificità molto maggiore di prima. Quindi, lasciando da parte il merito delle modifiche Pag. 10fatte in Commissione, sicuramente quella parte della delega non ha più alcun elemento d'incertezza.
  Totalmente assurde sono le considerazioni sull'articolo 3, perché è evidente che l'articolo 3 tutela, secondo il principio di uguaglianza, situazioni uguali. Qui stiamo introducendo delle regole, che prevedono tutele crescenti proprio perché si guarda a situazioni diverse l'una dall'altra, che maturano nel tempo, e per tenere conto delle differenze e delle esigenze diverse, che hanno le imprese e i lavoratori nei diversi momenti.
  La contestazione basata sull'articolo 117 è anche quella infondata, perché parte dal presupposto che tutta quest'attività di unificazione finisca, per definizione, per comportare un costo per gli enti territoriali in maniera assolutamente apodittica, perché si tratta di capire che cosa succederà nell'ambito del riordino dei costi che oggi gli enti territoriali sostengono. Quindi, dire che per definizione c’è una violazione dell'articolo 81 della Costituzione è altrettanto irragionevole e basato semplicemente su una posizione pregiudiziale ma non in senso costituzionale.
  Poi ci sono le considerazioni, che abbiamo sentito, di ordine politico. Si è cercato di mischiare alla questione del rispetto del dettato costituzionale il fatto che si sia minacciato un decreto-legge, il fatto che si sia discusso fuori dal Parlamento ed il fatto che vi siano stati determinati atteggiamenti in Commissione per i quali sono state respinte proposte emendative dell'opposizione (la maggioranza ha la totale libertà di respingerle, senza per questo violare la Costituzione).
  Questi sono argomenti che non sorprendono. Non sorprende neanche che vi sia, da parte di una serie di partiti che si sono sempre dichiarati contrari alla riforma dell'articolo 18 e dello Statuto dei lavoratori, un'opposizione su questo piano: la pregiudiziale di costituzionalità è diventata un elemento routinario di procedura e, quindi, è abbastanza naturale che vi sia quest'opposizione. Un po’ più sorprendente è che quest'opposizione sia venuta dai colleghi di Forza Italia, che di fatto hanno ancora una volta dimostrato di preferire il mantenimento della disciplina attuale all'introduzione di un codice semplificato e di una maggiore flessibilità per le aziende.
  Noi vogliamo questa maggiore flessibilità, vogliamo la semplificazione del nostro diritto del lavoro, per renderlo adatto anche ad attrarre gli investimenti di chi oggi ha paura del nostro diritto del lavoro, e per questo voteremo contro le questioni pregiudiziali che vengono oggi sottoposte all'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bosco. Ne ha facoltà.

  ANTONINO BOSCO. Signor Presidente, signor Ministro, il Nuovo Centrodestra voterà contro le pregiudiziali presentate al provvedimento in esame.
  Il disegno di legge, su cui sono state presentate le pregiudiziali di costituzionalità, è, infatti, volto ad affrontare il delicato e rilevante tema dell'occupazione, sotto i diversi profili attinenti al sistema delle tutele a sostegno dei soggetti in cerca di occupazione, al riordino e alla semplificazione del mercato del lavoro, nonché alla possibilità di rafforzare le misure a tutela della genitorialità.
  Gli interventi verranno realizzati attraverso l'esercizio di apposite deleghe conferite al Governo specificatamente finalizzate a: realizzare un riordino della disciplina degli ammortizzatori sociali; procedere alla riforma dei servizi per il lavoro e delle politiche attive; completare il processo di semplificazione delle procedure e degli adempimenti in materia di lavoro; realizzare un concreto ed efficace riordino delle forme contrattuali attualmente vigenti in materia di lavoro; rafforzare le misure di sostegno alla maternità e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
  La riforma del mercato del lavoro, infatti, è stata ritenuta prioritaria dal Paese, dai mercati, dagli investitori finanziari e dalle imprese estere che intendono investire in Italia, e, peraltro, giustamente considerata una riforma essenziale per Pag. 11rafforzare le prospettive di crescita del nostro Paese.
  Infatti, il peggioramento degli indicatori economici e sociali e le previsioni, non certo confortanti per il futuro del Paese, impongono a tutte le forze politiche e sociali responsabili uno sforzo per uscire da questo periodo di stagnazione economica che pregiudica la ripresa del Paese. Il disegno di legge all'esame del Parlamento va nella giusta direzione, quella direzione auspicata, peraltro, dal Nuovo Centrodestra, volta ad assicurare, cioè, maggiore flessibilità alle imprese e maggiore sicurezza ai lavoratori.
  Pertanto, la scelta di intervenire con la delega legislativa, che, tra l'altro, ha tutti i requisiti di cui all'articolo 76 della Costituzione, è senza ombra di dubbio dovuta alla complessità della materia che viene affrontata, ma è anche tesa a dare risposte veloci e certe a quanti attendono da molto tempo e mi riferisco soprattutto ai cittadini e alle imprese.
  Il contesto drammatico in cui versa il nostro Paese, per quanto riguarda il profilo della disoccupazione, soprattutto di quella giovanile, rende evidente che occorre intervenire urgentemente in un settore che abbisogna di riforme strutturali, che siano riforme profonde. L'Italia, infatti, appare meno capace degli altri Paesi sviluppati di adeguarsi al cambiamento portato dalle nuove tecnologie e dalla globalizzazione, a causa di un insieme di rigidità che ne soffocano lo sviluppo.
  La crisi economica e la disoccupazione altissima, come abbiamo già ricordato in precedenza, richiedono di eliminare, quindi, le rigidità che frenano la crescita, al fine di rilanciare la competitività e gli investimenti ed il mercato del lavoro costituisce un settore da riformare.
  Occorre, poi, dotare l'ordinamento italiano di un sistema di regole giuslavoristiche ispirate alla semplicità ed alla certezza nella regolazione dei rapporti di lavoro per favorire le assunzioni da parte delle aziende.
  È per queste ragioni, signor Presidente, signor Ministro, che noi del Nuovo Centrodestra convintamente riteniamo che attraverso questa delega, che è una delega importante, si vada a riformare un mondo, quello del lavoro, che non può più attendere e questa è una priorità per il nostro partito, per il nostro gruppo parlamentare ed è una priorità anche per un Governo riformista come il nostro. Per questo esprimiamo il nostro convinto voto contrario alle questioni pregiudiziali di costituzionalità (Applausi dei deputati del gruppo Nuovo Centrodestra).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Carlo Dell'Aringa. Ne ha facoltà.

  CARLO DELL'ARINGA. Signora Presidente, signor Ministro, le questioni pregiudiziali di costituzionalità che invitano la Camera a deliberare di non procedere all'esame del disegno di legge in discussione non hanno fondamento e vanno rigettate, proprio alla luce delle norme costituzionali e della giurisprudenza della Corte costituzionale, che vengono richiamate a fondamento delle stesse pregiudiziali.
  Il riferimento principale, come è stato detto, è l'articolo 76 della Costituzione che recita: «L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi, soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti». Gli argomenti sviluppati nelle diverse questioni pregiudiziali conducono ad una conclusione comune, quella di considerare la legge delega una elencazione di principi e criteri talmente generici ed imprecisi da prefigurare una sorta di delega in bianco, in palese violazione con il predetto articolo della Costituzione. Vengono invocate a supporto di questa conclusione alcune sentenze dell'Alta Corte, che vengono piegate, senza successo peraltro, a favore delle tesi sostenute, senza peraltro ricordare l'estrema prudenza con cui la Corte è intervenuta per stigmatizzare i comportamenti del legislatore delegato.
  È il fatto rilevato anche dal Servizio studi della Camera, che sino ad oggi sembrano registrarsi casi del tutto eccezionali di accertamento di incostituzionalità, uno Pag. 12dei quali, forse il più importante, risale al 2004.
  Certo, ciò non esime evidentemente dall'obbligo di esaminare con attenzione ed accortezza la giurisprudenza della Corte e a questo proposito vorrei ricordare solo alcuni passi di una delle più recenti sentenze, la n. 230 del 2010, che mi sembra riassumere bene i principi ispiratori del percorso che la Corte ha effettuato su questa delicata materia. La Corte dice: «La delega legislativa non esclude ogni discrezionalità del legislatore delegato, che può essere più o meno ampia in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega». E più avanti: «l'articolo 76 della Costituzione non osta, infatti, all'emanazione di norme che rappresentino un ordinario sviluppo e se del caso un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante». E ancora più avanti, la Corte accenna ad una «fisiologica attività di riempimento che lega i due livelli normativi».
  Impossibilitato ad entrare, per mancanza di tempo, in tutti i punti specifici sollevati dalle pregiudiziali, riassumo in forma sintetica il giudizio di rispetto della Costituzione e di conformità alla giurisprudenza della Corte, della presente delega, che è del tutto in linea con quanto disposto dalla Corte a proposito di una fisiologica attività di riempimento affidata al legislatore delegato.
  A questo risultato hanno certamente contribuito in prima battuta i cambiamenti significativi operati dal Senato, sia in Commissione che in Aula, nonché le precisazioni contenute nei maxiemendamenti presentati dal Governo ed accolti dal Senato, al punto tale che la I Commissione della Camera, alla fine dell'esame del testo uscito dal Senato, ha formulato un parere favorevole, corredato di poche osservazioni che riguardano alcune lettere del comma 7, alcune lettere del comma 9, e del comma 4 dell'articolo 1, quest'ultimo riferito alla costituenda Agenzia nazionale per l'occupazione, dove si invitava la Commissione di merito a specificare meglio in che cosa si concretizzasse la partecipazione dello Stato e delle regioni all'Agenzia nazionale per l'occupazione.
  Più di 30 emendamenti, alcuni proposti anche dai partiti di opposizione, che hanno purtroppo abbandonato i lavori della Commissione, hanno specificato ulteriormente i criteri direttivi.
  Finisco, signor Presidente, dicendo che si è provveduto soprattutto a riparare ad una mancanza che poteva risultare pericolosa, quella di non avere precisato, nel testo uscito dal Senato, alla lettera c) del comma 7, che il diritto del lavoratore al reintegro nel posto di lavoro rimane per i licenziamenti di natura discriminatoria e per almeno alcune tipologie di licenziamenti disciplinari. Questo chiarimento è stato un contributo chiave, in particolare a come gli interventi di semplificazione, di modifica e di superamento delle varie tipologie contrattuali si ispirino all'obiettivo di espandere le assunzioni a tempo indeterminato e diversi emendamenti accolti in Commissione precisano ulteriormente questo principio direttivo.
  Signora Presidente, questi sono i motivi per cui il partito che rappresento rifiuta ed è contrario alle pregiudiziali, in modo da procedere speditamente alle fasi ulteriori per l'approvazione di un provvedimento importante, che darà la possibilità, nel prossimo anno, a molti giovani, di accedere al contratto permanente ed ai lavoratori che perderanno il posto di avere un adeguato sostegno del reddito (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Si sono così conclusi gli interventi sulle questioni pregiudiziali.
  Passiamo ai voti.
  Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulle questioni pregiudiziali di costituzionalità Prataviera ed altri n. 1, Scotto ed altri n. 2, Tripiedi ed altri n. 3 e Brunetta ed altri n. 4.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

Pag. 13

  Bonomo, Catania, Ravetto, Simone Valente, Folino, Damiano, Buttiglione, Scagliusi...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  401   
   Votanti  400   
   Astenuti    1   
   Maggioranza  201   
    Hanno votato  121    
    Hanno votato no  279.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  (Il deputato Luigi Gallo ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole).

  Prima di dichiarare aperta la discussione sulle linee generali, vorrei salutare i delegati dei Parlamenti dei Paesi membri dell'Unione europea che sono qui in occasione di una conferenza nell'ambito del semestre italiano di Presidenza. Il tema è «Occupazione, ricerca e innovazione». Un caloroso saluto ai nostri colleghi che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2660-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 17 novembre 2014.
  I presidenti dei gruppi parlamentari Sinistra Ecologia Libertà, MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento. L'XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza e presidente della Commissione lavoro, deputato Cesare Damiano. Colleghi, per favore, è possibile un po’ di attenzione ?

  CESARE DAMIANO, Relatore per la maggioranza. È possibile sospendere alcuni minuti ?

  PRESIDENTE. Invece di sospendere, richiamerei magari un po’ l'attenzione dei colleghi e pregherei tutti i colleghi o di uscire o di mettere l'Aula in condizione di continuare i lavori, per favore. Un secondo adesso ancora, facciamo defluire, presidente Damiano. Colleghi, per favore, è possibile collaborare ? Chiedo ai colleghi di defluire e consentire il prosieguo dei lavori. Grazie, colleghi. Prego, presidente Damiano.

  CESARE DAMIANO, Relatore per la maggioranza. Grazie, Presidente. Pensavo che l'avvio di questa discussione fosse di interesse generale, ma vedo che il deflusso mi smentisce. Vuol dire che discuteremo in pochi.
  Si avvia l'esame del disegno di legge delega in materia di lavoro. In premessa vorrei dire questo: io sono molto soddisfatto del lavoro che si è svolto in Commissione. Avevamo dei tempi brevi e non abbiamo avuto modo di tenere il provvedimento cinque mesi, come è stato fatto al Senato, ma, nonostante i tempi brevi, non abbiamo sacrificato il dibattito. Lo dico con forza e convinzione, perché abbiamo esaminato emendamento per emendamento, non abbiamo contingentato i tempi, abbiamo lasciato un'ampia espressione di pareri e politica.
  Ho già espresso in Commissione il mio rammarico per la decisione dei gruppi di opposizione di abbandonare l'Aula dopo il voto sull'articolo 18, però voglio ringraziare tutti: il Governo e i gruppi di maggioranza e di opposizione, perché il dibattito, anche se è stato aspro, come doveva essere, sui contenuti, è stato un dibattito rispettoso. Io credo che in questo binomio «asprezza del dibattito-rispetto degli interlocutori» stia il sale della buona politica, che troppo spesso abbiamo dimenticato, e io di questo sono molto contento.
  Abbiamo approvato 37 emendamenti. Qualcuno dirà: avete cambiato le virgole. Non è così. Alcuni sono formali, altri sono Pag. 14sostanziali. È anche questo motivo – io credo – di orgoglio, perché questo risultato non era scontato. Io sono sempre abituato a partire dalla situazione concreta per valutare i risultati e noi abbiamo evitato quello che si sentiva dire anche da parte del Governo: la fiducia sul testo uscito dal Senato. Lo voglio dire, Presidente: il fatto di aver cambiato con 37 emendamenti la delega del Senato vuol dire che abbiamo combattuto perché non siamo dei bollinatori e non siamo dei passacarte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) di decisioni prese in altre sedi, per quanto importanti ! E vogliamo che questo, ovviamente, valga per tutti i rami del Parlamento.
  Per quanto riguarda i contenuti, la battaglia si è già svolta al Senato, oltre che alla Camera. Noi votiamo tutta una delega, non soltanto gli ultimi cambiamenti, e purtroppo in politica abbiamo molte volte la memoria corta.
  Al Senato, i nostri colleghi hanno già conquistato, ad esempio, che il compenso orario minimo di fatto sia riferibile esclusivamente ai lavoratori che non hanno un contratto di lavoro. Sembrerà poco, ma per me è molto, per chi come me si è sempre battuto per difendere i contratti nazionali di categoria, che rimangono intangibili con questa formula, che estende l'idea della dignità della retribuzione a chi, purtroppo, non ha la possibilità di avere dei contratti di lavoro. Così come sulle mansioni: si è parlato molto del cambio di mansioni di fronte ad una crisi aziendale. C’è già una disciplina su questa materia. Per evitare il licenziamento di un lavoratore, possiamo anche pensare che cambi mansione, ma giustamente al Senato si è aggiunta una parola importante, ossia che la tutela sarà anche di carattere economico e noi vedremo nei decreti attuativi che questa tutela di carattere economico si traduca nel mantenimento del salario del lavoratore. Mi pare che non sia una cosa di poco conto.
  Così come, sempre al Senato, si è già conquistato un punto al quale noi tenevamo: il superamento delle forme di lavoro più precario, il disboscamento di quell'insieme, di quella pletora abbondante ed eccessiva di forme di lavoro precarizzante, che stanno inchiodando un'intera generazione al lavoro precario e al lavoro saltuario.
  Abbiamo affermato, sempre nella delega che ci è arrivata, la centralità del lavoro a tempo indeterminato.
  Abbiamo riconfermato il fatto che il plafond per i voucher sia di 5 mila euro annuali, consegnando questa tipologia di lavoro alla saltuarietà, all'occasionalità che deve avere. Si è acquisita già nel Senato una battaglia fatta dalle parlamentari di tutti i gruppi qui alla Camera: il tema delle dimissioni in bianco. Anche questo lo abbiamo già dimenticato: al Senato si era arenato, adesso c’è nella delega ed è grazie alla battaglia delle parlamentari che noi avremo nei decreti attuativi anche una certificazione della firma autentica della lavoratrice per combattere la barbarie delle dimissioni in bianco. Queste cose ci sono, bisogna ricordarle, non bisogna avere la memoria corta per apprezzare i passi avanti che si compiono.
  Per quanto riguarda la Camera, chiaramente non parlerò di 37 emendamenti, ma sceglierò le cose fondamentali. Partirei dall'articolo 18: si è discusso tanto, forse troppo, di questo articolo 18. La nuova formula riguarda i lavoratori nuovi assunti: i lavoratori, i 6 milioni di lavoratori a tempo indeterminato attualmente occupati nei luoghi di lavoro non avranno un cambiamento di tutela rispetto all'esistente. Questo può essere un problema, una contraddizione: noi avremmo voluto un'altra formula. Lo dico: io ho sostenuto l'idea di un periodo di prova lungo, anche di tre anni, terminato il quale tutti avessero le stesse attuali tutele, ma il Governo non ha accettato.
  Abbiamo lavorato per un compromesso. Siamo partiti con una tutela soltanto per i licenziamenti discriminatori: adesso, la formula parla di licenziamenti discriminatori nulli e per i licenziamenti disciplinari di una loro tipizzazione. Ne approfitto, perché qui c’è il Ministro Poletti, che ringrazio per il lavoro che ha svolto insieme al sottosegretario Bellanova: Pag. 15stiamo parlando di licenziamento individuale, non stiamo parlando di licenziamenti collettivi, Ministro. Licenziamento individuale: questa è la fattispecie di cui stiamo parlando. E poiché ci saranno i decreti attuativi, lo dico e lo chiedo al Governo: il Governo ha già confutato la tesi di alcuni esponenti del Nuovo Centrodestra, secondo la quale i decreti attuativi sarebbero già stati scritti sull'articolo 18 e che sarebbero a conoscenza di alcuni che avrebbero persino contribuito alla loro scrittura. Questa tesi il Governo l'ha confutata e sono sicuro che la confermerà, perché noi vogliamo combattere ad armi pari e ribadiamo che neanche in questa occasione, quella dei decreti attuativi, saremo dei semplici passacarte. Questa è una rivendicazione molto precisa che noi vogliamo avanzare.
  Altri punti importanti. Sul controllo a distanza: abbiamo precisato in questa delega che noi abbiamo un controllo a distanza non sulle persone, non sulla mansione, non sulla prestazione individuale, ma tenendo conto dell'evoluzione tecnologica, delle nuove strumentazioni, della nuova configurazione delle fabbriche, della nuova dimensione della sicurezza degli impianti. Noi abbiamo un controllo a distanza – lo abbiamo aggiunto, l'abbiamo scritto, l'abbiamo votato, l'abbiamo convalidato – sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, fugando la paura, il dubbio, l'angoscia di avere un «grande fratello» che controlla il singolo lavoratore; tesi che noi non avremmo mai accettato e che il Governo non aveva, io credo, neanche in mente.
  Così come sulla cassa integrazione: perché dimenticare la battaglia che abbiamo fatto, che non era scontata, che ha trovato una resistenza sul tema dell'utilizzo della cassa integrazione di fronte alle aziende che cessano la loro attività ? Sì, abbiamo aggiunto un'espressione, ma un'espressione importante, «cessazione definitiva», perché, Ministro, noi abbiamo oggi centinaia di situazioni, migliaia di situazioni, nelle quali, a fronte di una cessazione può esserci una ripresa di attività, perché subentra un nuovo lavoratore, perché un'azienda è sequestrata alla mafia, perché quei lavoratori si organizzano in cooperativa, perché decidono di proseguire l'attività, perché c’è un nuovo compratore. Allora, in quei casi, nei decreti deve essere scritto che la cassa integrazione deve fungere da ponte per mantenere l'occupazione di quelle persone verso la nuova attività. Altrimenti, correremmo il rischio di creare istantaneamente nuovi disoccupati, e non credo che il Governo abbia voglia o piacere di aggiungere alle statistiche nuovi disoccupati rispetto alla situazione drammatica esistente. Questa è stata una grande conquista nella delega.
  Per quanto riguarda – e concludo – questioni che hanno interessato soprattutto l'attività delle nostre parlamentari, penso che sia stato importante cambiare una formula che c'era nella delega, quella del sostegno alla genitorialità. Abbiamo ritenuto questa formula insufficiente e l'abbiamo sostituita con la formula «sostegno alle cure parentali»; una formula più larga, più innovativa, che guarda avanti, che non si ferma ad un concetto chiuso di genitorialità, che allarga la potenzialità della difesa delle persone più deboli, perché – lo dico rivolgendomi alla Presidente Boldrini – credo che l'aver inserito in questa delega, per nostra iniziativa, per iniziativa delle parlamentari, la possibilità di congedo per le donne inserite nei percorsi di protezione relativi a violenza di genere faccia onore al Parlamento, e di questo noi dobbiamo andare fieri, perché è un punto di civiltà di fronte all'orribile statistica del femminicidio che riguarda questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
  Infine, voglio dire che altri emendamenti sono stati presentati, per quanto riguarda altri gruppi: anche questi li abbiamo acquisiti; e ringrazio gli altri gruppi, come si dice, per il contributo che è stato dato alla definizione di questa delega.
  Un'ultima annotazione, e anche qui approfitto della presenza del Ministro Poletti: noi attribuiamo grande importanza, ovviamente, alla definizione della delega e ci adopereremo perché vada in porto, a Pag. 16conclusione, nei tempi previsti; siamo ovviamente interessati alle misure del Governo per quanto riguarda l'alleggerimento del costo del lavoro. Credo che siano misure giuste, sagge; diminuire l'IRAP per i sei milioni di lavoratori dipendenti attualmente al lavoro e diminuire il gap di competitività che abbiamo con Paesi come la Germania è un fatto molto positivo. Incentivare le nuove assunzioni con degli sgravi fiscali interessanti, anche se solo per il 2015, anche questo, è un punto molto importante, che vuole affermare la centralità del lavoro a tempo indeterminato. Però, c’è un punto, Ministro, che non fa parte strettamente di questa delega, ma che riguarda la legge di stabilità: è il punto degli ammortizzatori sociali. Il Governo ha detto «noi vogliamo che le risorse siano aggiuntive», allora lo siano davvero. Faccio dei conti, come mia abitudine, e vorrei essere o confermato o smentito – abbiamo l'autorevole presenza di Giuliano Poletti –: 1 miliardo 600 milioni di euro, per essere aggiuntivo, significa che, rispetto al miliardo 720 milioni di euro spesi quest'anno per la cassa integrazione in deroga, dobbiamo arrivare, nel complesso, a 3 miliardi o a 3 miliardi 300 milioni di euro, che ancora non ci sono; un miliardo 600 milioni già ci sono, altri 400 milioni ci sono perché sono la cassa in deroga e, se non sbaglio, ci sono altri 700 milioni di euro della vecchia legge Fornero, che saranno utilizzati per la cassa integrazione in deroga, e andiamo a 2 miliardi 700 milioni: mancano all'appello 500 o 600 milioni di euro. Il Governo faccia uno sforzo, ci faccia sapere che si va in questa direzione, perché se si vuole tener fede all'idea dell'universalizzazione delle tutele a vantaggio anche degli ultimi, dei deboli, dei lavoratori più precari, questo passo va assolutamente compiuto.
  Ho concluso e dico ancora una volta che il mio parere, il nostro parere positivo non è fondato su una posizione astratta, ideologica, è fondato sulla convinzione di aver fatto il nostro lavoro, il nostro mestiere, il nostro dovere di avere insistito e vinto una battaglia, quella del rispetto del Parlamento, delle sue prerogative, del lavoro dei parlamentari, della fiducia nel nostro lavoro, perché noi siamo persone competenti.
  Siamo nati nel mondo del lavoro, siamo orgogliosi di arrivare da quel mondo, e vogliamo dare un risultato di miglioramento, facendo il nostro mestiere e rispettando le parti sociali, i sindacati, la Confindustria, che assumono le loro autonome iniziative. Perché il nostro compito è fare le leggi, e facendo leggi vogliamo, laddove possibile, migliorare la condizione delle persone vere, concrete, degli uomini e delle donne che stanno soffrendo una crisi, una mancanza di futuro, una preoccupazione per loro, per le loro famiglie, per i loro figli. Facciamo il nostro mestiere, e il Paese ci sarà riconoscente, e la distanza fra noi e il Paese reale potrà finalmente accorciarsi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, Antonio Placido.

  ANTONIO PLACIDO, Relatore di minoranza. Signor Presidente, il provvedimento che pomposamente il Governo ha definito Jobs Act nulla ha a che vedere con il precedente che evoca, quello del Presidente Obama del 2011 negli Stati Uniti: poco e male realizzato se si vuole, immaginava tuttavia una mobilitazione straordinaria di risorse pubbliche e private convergenti nella direzione della creazione di nuovo lavoro e nell'ammodernamento della rete infrastrutturale di quel grande Paese. Qui si prevede, a scanso di equivoci, che dalla delega non dovranno derivare nuovi o maggiori oneri.
  Il provvedimento che discutiamo inoltre è lesivo, per le ragioni prima dette, delle prerogative del Parlamento: una delega esorbitante, non circoscritta adeguatamente per principi e criteri direttivi; ed è lesivo, noi pensiamo, dei diritti e delle prerogative delle opposizioni. È appena il caso di ricordare il caso della legge sulle dimissioni in bianco, incardinata qui alla Camera per iniziativa dell'opposizione, approvata a larga maggioranza dalla Camera, inopinatamente sospesa al Senato da un Pag. 17diktat in attesa del Jobs Act e derubricata oggi ad un auspicio, checché se ne dica, rimesso ai successivi decreti nelle proposte della maggioranza e del Governo.
  Un provvedimento offensivo della dignità e dei diritti costituzionali dei lavoratori in quanto persone e cittadini: controllo a distanza e demansionamento, anche nella forma ridefinita e pochi minuti fa illustrata, coprono solo pudicamente, a mo’ di foglia di fico, la verità contenuta nei provvedimenti. Non ha molto senso riferire agli impianti e alle attrezzature il controllo piuttosto che alle persone, visto che su quegli impianti quotidianamente lavorano persone, ed è ben poca cosa, rispetto alla lesione della dignità dei cittadini lavoratori, la conservazione ed il mantenimento dei livelli retributivi.
  Provvedimento inefficace quanto a capacità di riformare gli ammortizzatori sociali, di estenderne e facilitarne l'accesso, perché privo di coperture da un lato; e dall'altro, forse soprattutto, incapace di delineare una strada effettiva di superamento di un welfare lavorista ed invecchiato, che tutela soltanto lavoratori maschi adulti che lavorano a tempo indeterminato. Insomma, una strada culturalmente incapace di immaginare tutele anche solo tendenzialmente universali, declinata nelle ipotesi del reddito minimo garantito, o se si preferisce del reddito di cittadinanza.
  Il lavoro precario parasubordinato falsamente autonomo resta privo di tutele, le coperture per CIG, cassa integrazione, mobilità, contratti di solidarietà, indennità di disoccupazione si riducono per l'introduzione dei massimali derivanti dalla contribuzione figurativa.
  L'AspI si estende ai soli contratti di collaborazione coordinata e continuativa e si frammentano le coperture parziali in rapporto alle tipologie contrattuali ed all'anzianità contributiva. Inefficace anche quanto a capacità di disboscare la giungla di una precarizzazione che avanza, agevolata da una pletora di tipologie contrattuali, 45 secondo alcuni, utili solo a separare i penultimi dagli ultimi nel mare magnum della precarizzazione montante. Sarebbe stato lecito attendersi che il contratto a tutele crescenti le sostituisse tutte, cancellandole, invece esso indebolisce soltanto la configurazione attuale del rapporto di valore a tempo indeterminato e si sovrappone, senza neppure averne valutato l'impatto invero assai modesto, finora quantitativamente, del decreto Poletti che, lungi dal riformare il tempo determinato e l'apprendistato, ha precipitato i lavoratori in un limbo di durata indefinita prodotto dalla estensione della causalità e dall'incremento del numero di proroghe consecutive. Che dire poi dell'articolo 18 ? Saltano le reintegrazioni per i licenziamenti economici manifestamente infondati, quelli che la Fornero aveva conservato e i discriminatori, per i quali sarebbe bastato, secondo alcuni, il dettato costituzionale devono oggi essere riconosciuti nulli dal giudice prima ancora che discriminatori. Che dire dei disciplinari, affidati ad una successiva norma che ne tipizzi la casistica, opera pressoché impossibile, che in ogni caso non saranno più tutti i disciplinari ? Insomma c’è un intento, nemmeno troppo celato, un progressivo slittamento dalla reintegrazione, perseguita da anni, all'indennizzo, sanzionando non più il pregiudizio irreparabile che l'abuso di potere arreca alla sfera della dignità personale del lavoratore oltre quella della effettività della norma contrattuale, ma alla mera lesione delle aspettative contrattuali del lavoratore, causata dal licenziamento illegittimo: la definitiva mutazione genetica di questo istituto cui già la Fornero aveva assestato un colpo definitivo. Del resto, libertà di licenziare per le imprese, aveva detto il Premier, degli espulsi si occuperà lo Stato, e libertà per le imprese, magari grandi marchi stranieri, grandi gruppi stranieri, di fare shopping di marche ed imprese rese libere dall'impaccio dei lavoratori. La crisi che si è detta definitiva li priva oggi di ogni aggancio all'impresa, quell'aggancio che gli ammortizzatori spesso anche surrettiziamente, lo riconosciamo, finivano per assicurare. Insomma, Presidente, non c’è strategia di riduzione del danno che tenga, qualcuno l'ha scritto, probabilmente l'essenza della crisi democratica Pag. 18che attraversiamo, questa infinita notte della Repubblica, consiste nel trionfo dell'apparenza sulla realtà, un'apparenza che non risparmia le liturgie democratiche che le istituzioni mettono in scena. I sacramenti amministrati nel cielo della politica nascondono sempre più spesso la violenza consumata sulla terra dei rapporti sociali. Mentre ci si immedesima nella nobile figura del cittadino sovrano si perde anche quel residuo di autonomia che risiedeva nella rappresentanza. La legislazione si affida agli Esecutivi, i Parlamenti sono ridotti a palcoscenici, la sovranità è trasferita ad istituzioni sovranazionali non elettive e a potentati privati. Il provvedimento odierno è altamente simbolico, certo, non per il fine dichiarato, ripresa ed occupazione auspicate, ma per dimostrare a patronato italiano e tecnocrazie europee di voler andare fino in fondo nella normalizzazione neoliberista del Paese.
  Gli unici effetti concreti che ne discenderanno consistono in una brutale lesione delle residue tutele del lavoro subordinato. Ecco perché, Presidente, esprimiamo la più netta e radicale contrarietà ad un provvedimento che pone il lavoro ed il Paese su un piano inclinato. Sì, lavoro e Paese insieme, perché oggi come non mai le ragioni del Paese, della qualità della sua democrazia, della qualità dei processi di ripresa che saprà innescare, coincidono. Coincidono, oggi come sempre nella storia della Repubblica, l'interesse generale con le ragioni, la dignità, i diritti degli ultimi e di chi lavora (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Prataviera. È assente, dobbiamo andare avanti. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Cominardi. Ne ha facoltà.

  CLAUDIO COMINARDI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, credo sia necessario fare un po’ di memoria storica, seppure di recente storia, e raccontare un po’, rispetto a come si è lavorato e si è agito su questo importantissimo provvedimento. Ricordo che per quanto riguarda la discussione della legge delega sono state escluse le parti sociali: quando si dice, il buongiorno si vede dal mattino. Dopodiché, arriva al Senato e al Senato non si permette una vera discussione, perché ? Perché si pone il voto di fiducia, cosa inaudita per una legge delega, una legge nella quale bisognerebbe inserire e vincolare a dei criteri direttivi con una vera discussione a livello parlamentare. Poi abbiamo avuto un ciclo di audizioni, molte di queste critiche. Parlo dei sindacati ma parlo anche delle valutazioni di tecnici. Abbiamo avuto dei professori del lavoro, dei giuslavoristi, degli avvocati del lavoro, delle persone di alto profilo intellettuale e culturale che hanno espresso con criticità e con molta preoccupazione quello che appunto si andava a prefigurare. Dopodiché abbiamo un ulteriore parere critico, sicuramente non da qualche cattocomunista, da qualche marxista-leninista, ma da un organo interno alla Camera dei deputati e parlo del Comitato per la legislazione, che ha espresso le seguenti criticità, ovvero: genericità dei criteri direttivi, sovrapposizione con l'oggetto della delega, commistione fra le finalità, i principi e i criteri direttivi della delega e non chiara individuazione della portata della delega. Successivamente, ci siamo adoperati come gruppi parlamentari, in particolare come MoVimento 5 Stelle, facendo una serie di proposte emendative, tutte nel merito. In Commissione sono stati presentati 600 emendamenti, 300 erano del MoVimento 5 Stelle. A seguito dell'inammissibilità, questi si sono ridotti a oltre 500. Già io ho una critica da fare agli uffici della Commissione lavoro, all'ufficio, a chi ha valutato le inammissibilità, perché non mi possono venire a dire che l'emendamento che riguarda il lavoro autonomo non può essere inserito nella legge delega, che un emendamento che riguarda le pensioni non può essere inserito, che un emendamento che riguarda le disparità salariali non può essere inserito in una legge delega, quando la legge delega, proprio per essere così indeterminata, ha aperto una Pag. 19prateria. Qui non esiste il discorso per cui si esce da un seminato tracciato. A seguito dei ricorsi, alcuni di questi emendamenti sono stati riammessi, solo quelli riguardanti i lavoratori autonomi, che non sono effettivamente trattati direttamente nel testo della delega, ma una miriade di altri emendamenti nel merito, di sostanza, estremamente politici, non sono stati minimamente calcolati e questa è una vergogna.
  Dopodiché vi è stata una non discussione in Commissione. Vi è stata una non discussione perché ognuno ha provato a portare le proprie argomentazioni. Abbiamo provato più volte a relazionarci con il sottosegretario. Non ha risposto ogni qual volta le chiedevamo le ragioni per cui il Governo dava parere negativo sugli emendamenti, quando ho fatto appello agli interventi del sottosegretario per quanto riguarda i ragionamenti che si facevano sulla discussione, sulla visione che si ha del mondo del lavoro, non del mercato del lavoro, perché quando si parla di mercato del lavoro vuol dire mercificare, mercificare l'attività delle persone e dei lavoratori. Quindi, ditemi voi che discussione partecipata c’è stata. È stata nulla !
  Poi, c’è un altro aspetto, quello del cambio del calendario. Noi eravamo convinti, fino a qualche giorno fa, che avremmo discusso il disegno di legge delega a seguito del provvedimento di stabilità, cioè che l'avremmo portato in Aula successivamente, ma con tutte le tempistiche del caso. Poi scopriamo, dalla sera alla mattina, probabilmente dopo il direttivo del PD, che cambia tutto, che cambia tutto. Fretta; bisogna assolutamente approvare questa legge delega nel più breve tempo possibile. Ma se noi calcoliamo la portata e quelli che sono gli effetti di questo Jobs Act, ci renderemo conto che dovremmo discuterne molto, ma molto di più. Quindi, per quanto riguarda il metodo, il giudizio è estremamente negativo.
  Poi, poco fa abbiamo discusso le questioni pregiudiziali. Quindi, i colleghi hanno argomentato benissimo quelle che sono le questioni rispetto all'incostituzionalità di questo disegno di legge delega, una delega che è un'autodelega del Governo. Non è possibile. Noi abbiamo presentato una miriade di emendamenti, ma quanti dei nostri emendamenti sono stati votati, sono stati accolti favorevolmente ? Forse un paio, un paio che non andavano a modificare nulla nel testo, se non una mera correzione. Cioè, noi siamo stati – adesso qui riprendo le parole della collega Ciprini – demansionati a correttori di bozze.
  Entrando, invece, nel merito, arriva la goccia che fa traboccare il vaso. Mentre stavamo discutendo, all'articolo 1, comma 7, lettera c), il contratto a tutele crescenti, arriva l'emendamento della deputata Gnecchi, riformulato dal Governo, che prevede, in sostanza, in termini molto, come dire, velati e furbi, nell'accezione negativa del termine, che venga svuotato quello che è l'articolo 18. Quindi, abbiamo discusso ampiamente; arriva l'emendamento e, dunque, i giochi per l'ennesima volta sono chiusi e sono preclusi alle opposizioni. Quindi, a quel punto abbiamo deciso di abbandonare la Commissione, perché tanto parlare ai muri..., noi abbiamo parlato per ore, ma parlare ai muri non ha molto senso.
  Vengo ora all'articolo 18, entrando nel merito di quelli che sono alcuni dei contenuti della delega, perché servirebbero delle ore per parlarne e fare un'analisi veramente dettagliata, a partire dall'articolo 18, su cui l'indirizzo è di andare verso un'ulteriore riduzione delle tutele, con la scusa che forse così si può creare occupazione. L'abbiamo visto come hanno creato occupazione la «legge Treu», la «legge Fornero», la «legge Biagi», anzi impropriamente definita «legge Biagi», perché la legge n. 30 del 2003 è stata modificata e si è svuotato tutto quello che era il senso che Biagi voleva dare. Noi vediamo che con l'eccessiva precarizzazione dei contratti nell'immediato, dal punto di vista statistico, sembra che ci sia un picco per quanto riguarda le assunzioni, quindi i posti di lavoro, ma è un dato falsato. È un dato falsato perché si vanno a conteggiare quelli che sono i numeri di avviamento, i numeri di contratti Pag. 20stipulati. Quindi, se vi è un lavoratore che in un anno ha un certo numero di contratti questo non vuole dire che è aumentata l'occupazione, anzi.
  Poi se si va a vedere in una prospettiva molto più ampia, ogni qualvolta si è fatta una riforma di precarizzazione del mondo del lavoro, dopo questo picco, questo falso picco, delle assunzioni vi è stato poi un cedimento – diciamo, definiamolo così – che è sistemico: i posti di lavoro continuano a diminuire, la precarietà non li aumenta, la precarietà crea una serie di problematiche, quali la diminuzione della produttività, perché non vi è continuità nei posti di lavoro, la diminuzione della qualità del lavoro prestato, in quanto la formazione viene meno, perché vi è una discontinuità, appunto, della propria attività e non c’è una prospettiva anche per il lavoro stesso dall'interno dell'azienda, non vi è una fidelizzazione. E poi spero e immagino che, come noi, anche tutti voi abbiate ascoltato anche l'idea e la visione delle imprese, che non è di Confindustria; la visione delle imprese dovrebbe essere quella dei piccoli imprenditori, quelli che stanno pagando più di tutti la crisi. Questi hanno detto che l'articolo 18 è l'ultimo dei loro problemi; hanno chiesto invece un'eliminazione dell'IRAP, una semplificazione di carattere burocratico, hanno chiesto di eliminare la concorrenza sleale degli altri Paesi, ovvero il problema del dumping fiscale che si ripercuote in un certo senso anche verso il dumping sociale. Quindi, non sono queste le formule. Noi abbiamo proposto tantissime alternative: limitare la precarietà mettendo un contingente nelle aziende, remunerare maggiormente chi ha un contratto precario per dare delle garanzie maggiori, istituire un reddito di cittadinanza che può restituire non solo la dignità ma può creare veramente opportunità per il Paese attraverso anche una riforma dei centri per l'impiego, attraverso una maggiore propensione marginale al consumo. Per chi non può nemmeno consumare e non può nemmeno sopravvivere e arrivare alla fine del mese, questo comporterebbe anche un aumento.

  PRESIDENTE. Concluda, per favore.

  CLAUDIO COMINARDI. Relatore di minoranza. Per quanto riguarda invece il demansionamento, è una vergogna, visto che mi chiede la sintesi, perché è previsto in ogni fattispecie di cause per mobbing. Questo è mobbing legalizzato e non esiste in nessun Paese civile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Per quanto riguarda il controllo a distanza, le modifiche inserite nel testo sono veramente vergognose e inutili, perché mettere una telecamera, anziché attaccata sulla testa di un lavoratore, su un impianto, è la medesima cosa, perché chi lavora sugli impianti ? Per concludere, io non capisco il ragionamento per cui la telecamera e spiare i lavoratori vanno bene, ma avere una diretta e sapere cosa votano i parlamentari della Repubblica italiana eletti dai cittadini all'interno della Commissione è vietato e non si può sapere. Allora la privacy e la dignità esistono solo per i parlamentari, per gli onorevoli, o esistono anche per i cittadini e i lavoratori ? Me lo volete spiegare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?

  PRESIDENTE. Onorevole Cominardi, lei parlava prima delle decisioni assunte dagli uffici in merito all'ammissibilità. Bisogna specificare che gli uffici fanno le istruttorie in merito all'ammissibilità, ma poi questa è decisione e responsabilità dei presidenti di Commissione, pertanto, non è responsabilità degli uffici decidere, ma dei presidenti di Commissione. Giusto perché questo concetto sia chiaro.
  Adesso io darei la parola al relatore di minoranza, deputato Emanuele Prataviera, che è rientrato.

  EMANUELE PRATAVIERA, Relatore di minoranza. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, da mesi si parla della grande riforma del lavoro che si è concretizzata però a mezzo stampa, in una sterile polemica su «articolo 18 sì articolo 18 no», e nell'aula della Commissione XI, in un braccio di ferro di fatto tra l'NCD e la minoranza PD. Principalmente per questo Pag. 21motivo il testo approvato dalla maggioranza in Commissione non può ritenersi in alcun modo soddisfacente ed esaustivo, atteso che ben altre sono le misure che il Governo doveva mettere in atto per garantire quella ripresa economica senza la quale non è possibile di fatto una reale crescita dell'occupazione. Ci ritroviamo invece con un provvedimento che altro non è che una resa di conti politica, ostaggio delle diatribe interne al partito di maggioranza e tra gli alleati appunto. Le politiche occupazionali non passano e non devono passare per la cortina fumogena creatasi attorno al dibattito quasi ideologico sulle tutele ex articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, semmai piuttosto per l'abrogazione della riforma Fornero, che, innalzando l'età pensionabile dei lavoratori, ha di fatto bloccato il ricambio generazionale del mercato del lavoro, o per la riduzione drastica del cuneo fiscale, maggiore causa di oppressione per le imprese, e per l'alleggerimento delle tasse sui lavoratori, principale ragione dei consumi in costante calo, con la previsione di una flax tax, una aliquota unica corretta per i carichi familiari.
  Questo è un esercizio che è già sperimentato in altre realtà, in altre Paesi, e sta dando dei frutti positivi, ma questo, probabilmente, significherebbe uno sforzo maggiore di coraggio da parte del Governo. Il Governo, invece, si è solo preoccupato di garantirsi una delega in bianco – questo va detto –, uno strumento per legiferare a proprio piacimento, senza alcun paletto di oggetti ben definiti, criteri circoscritti, un recinto all'interno del quale muoversi, che, di fatto, è una palese violazione dell'articolo 76 della Costituzione, che snatura di fatto il ruolo del Parlamento. Questo lo dico in totale dissenso rispetto a quanto dichiarato dal presidente della XI Commissione, Damiano. Il nostro ruolo in Commissione è stato, di fatto, marginale. Non abbiamo cambiato le virgole, è vero, ma non abbiamo nemmeno cambiato la sostanza, quella vera. Il braccio di ferro è stato solamente all'interno del PD, oggetto di trattativa con l'NCD, come ho già avuto modo di dire. Una quadratura del cerchio tra il Premier, minoranza PD, e l'NCD, che, in realtà, soddisfa solo il Presidente del Consiglio che può procedere, appunto, con la sua delega in bianco. Non accontenta, di certo, i piccoli e medi imprenditori, né i lavoratori, perché non offre a nessuno dei due, rispettivamente, né garanzia di maggiore flessibilità, né maggiore tutela del posto di lavoro. Si tratta di una bruttissima copia di quel modello vincente di flexicurity applicato in altri Paesi europei, che da anni la Lega Nord propone, e che abbiamo cercato di proporre anche in questa legge delega, ma con, ovviamente, scarsi risultati e scarso apprezzamento da parte della maggioranza. È una norma truffaldina, perché comunque aggirabile. Infatti, il datore di lavoro, per non incorrere nel contenzioso del licenziamento disciplinare ingiustificato, licenzierà solo per ragioni economiche, comunque vada, al massimo, dovrà risarcire, ma non comunque reintegrare.
  Inoltre, rimaniamo scettici sul contratto a tutele crescenti quale strumento di rilancio della domanda interna; ai fini della richiesta di mutui, di finanziamenti o prestiti personali, o comunque di maggiori consumi generali, come è nelle vostre intenzioni, la solvibilità del lavoratore assunto con tali tipologie contrattuali, ovviamente secondo noi, è pari a quella di un contrattista a termine o di un collaboratore a progetto, per lo meno nei primi tre anni, perché non offre, di fatto, nessuna garanzia di stabilità del contratto e, quindi, nessuna garanzia vera e propria di poter ripagare i debiti che contrae.
  Ma siamo ancora più critici sulla riforma degli ammortizzatori sociali. Il riordino di cui si parla al comma 1 del provvedimento è anch'esso oggetto di una delega in bianco. Noi volevamo essere certi che il nuovo ammortizzatore universale, la cosiddetta NASPI, avrebbe comunque garantito ai lavoratori prestazioni di importo pari, o superiore, a quelli attuali, non sicuramente inferiori, ma gli emendamenti sono stati rigettati da parte della maggioranza. A ciò sono finalizzate le nostre Pag. 22proposte emendative, che sono state bocciate dalla Commissione. Le dichiarazioni stampa del Ministro, a proposito della necessità di prevedere maggiori risorse per gli ammortizzatori sociali alla legge di stabilità, che è contemporaneamente oggetto di valutazione da parte della competente Commissione, e quindi di tutto il Parlamento, non ci rincuorano. Queste richieste avanzate da parte sua, e fatte proprie anche dal presidente della Commissione, Damiano, anzi ci preoccupano, perché le interpretiamo come la conferma ai nostri timori, ovvero che ci siano minori garanzie per i cassintegrati.
  Perplessità le esprimiamo anche sulle disposizioni recate ai commi 3 e 4, in materia di riordino dei servizi per il lavoro, con particolare riguardo all'istituzione di un'Agenzia nazionale per l'impiego per la gestione integrata delle politiche attive e passive del lavoro, più che preoccupati che possa trattarsi dell'ennesimo «carrozzone pubblico» e che, soprattutto, non vada a premiare la meritocrazia e a condannare o comunque risolvere quelle inefficienze che, in alcune aree geografiche del Paese – va detto – sono strutturali. È indubbio che, per creare nuova occupazione, soprattutto di qualità, sia necessario intervenire anche sui servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro; per migliorare l'efficienza e la funzionalità ed evitare, al contempo, ulteriore spreco di risorse pubbliche, riteniamo doveroso razionalizzare le strutture già esistenti, procedendo all'eliminazione di quelle improduttive.
  Lungi dal volere fare pura demagogia, è un dato di fatto che i centri per l'impiego in alcune realtà territoriali non funzionano, o meglio, in alcune funzionano, rispettando al meglio il compito di incontro tra domande e offerte di lavoro, in altre, invece sono dei veri e propri carrozzoni o meglio «stipendifici».
  Per questo motivo, abbiamo presentato alcune proposte emendative, contemplanti la soppressione, con accorpamento della struttura e del relativo personale a quella territorialmente più vicina, di quei centri che, nell'arco di un anno solare, non abbiano ricollocato, o meglio collocato, una percentuale di lavoratori pari alla media nazionale ridotta dell'1 per cento. Quindi, già con criteri abbastanza buoni di performance. Queste proposte sono state bocciate dalla Commissione, ma siamo fiduciosi che l'Assemblea possa vagliarle diversamente.
  Con meno criticità valutiamo, invece, gli interventi recati ai commi 8 e 9, in materia di sostegno alla genitorialità e per favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di lavoro e di vita, innanzitutto per l'accoglimento, già in sede di prima lettura al Senato, del nostro emendamento sulle cosiddette ferie solidali, ovvero la possibilità di donarsi tra colleghi i giorni di riposo in più, eccedenti quelli previsti dal contratto nazionale, per consentire ad un collega che ha un figlio malato di stargli vicino, anche se ha terminato il proprio periodo massimo di riposo.
  Su questa scia abbiamo presentato in Commissione un'altra proposta, che estendesse le tutele ai lavoratori e alle lavoratrici, malati oncologici o genitori di minore con tale patologia. La Commissione non l'ha neanche presa in considerazione. Confidiamo ora nel vaglio dell'Aula.
  Confidiamo nelle finalità di estendere la tutela della maternità a tutte le lavoratrici madri, ma non si vuole che tale ampliamento della platea si traduca in un ulteriore aumento del costo del lavoro per le imprese, perché così non si favorisce l'occupazione femminile, al contrario la si ostacola. Né tanto meno riteniamo giusto che gli oneri debbano ricadere sul reddito della lavoratrice, perché, altrimenti, non la si sostiene, ma al contrario la si punisce.
  Condividiamo anche la modifica apportata al testo concernente i congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, ma ci rammarica il silenzio emendativo in Commissione sull'eventuale abolizione della detrazione per coniuge a carico. In realtà, la questione è una sorta di giallo, il cui mistero sarà svelato dal decreto delegato. Una bozza circolante prima che il provvedimento giungesse al Senato, infatti, prevedeva espressamente l'abolizione, escludendo Pag. 23le dipendenti pubbliche. Il testo depositato, invece, lo stesso che ora giunge all'esame dell'Assemblea, utilizza l'espressione «armonizzazione», ma è chiaro a tutti che si tratta di un eufemismo, di pura perifrasi.
  Vogliamo ricordare al Governo della maggioranza parlamentare che l'abolizione delle detrazioni significa un taglio dello stipendio o della pensione di circa mille euro annui, per chiunque abbia redditi compresi tra gli 8 e i 20 mila euro, e di circa 700 euro, per chi abbia un redatto tra i 21 e i 25 mila euro: una batosta per tutte le famiglie di lavoratori e pensionati monoreddito. Ci rammarica che nessuno tra i tanti colleghi che sbandierano la propria politica di sostegno alle famiglie abbia puntato il dito contro il rischio di tale abrogazione ed abbia auspicato che possano ravvedersi durante l'esame in Assemblea. Noi lo facciamo e speriamo che si possano ravvedere.
  Per le ragioni sovresposte, rimaniamo critici ed assolutamente insoddisfatti sull'impostazione del disegno di legge delega in esame. Quindi, nel corso della discussione sulle linee generali che stiamo svolgendo, auspico che in Aula vi possa essere un confronto vero e fattivo e che il Governo non arrivi con la scure della fiducia, per fare in modo che si possa continuare nelle more del buon senso che finora ci ha accompagnato, o meglio ci ha accompagnato fintanto che il Governo, in maniera truffaldina, ha fatto riformulare l'emendamento Gnecchi, che ci ha obbligato, di fatto, a non accettare politicamente questa situazione e a lasciare l'Aula. Auspichiamo che si possa rivedere il provvedimento in questa sede con una logica, appunto, di buon senso, di condivisione e soprattutto di ottimo lavoro che abbiamo condotto – questo va riconosciuto – anche grazie al merito di sintesi e di collaborazione fatto dal presidente Damiano. Però, comunque, nonostante vi sia stata questa logica di buon clima, non ha fatto in modo che vi fosse un reale confronto, perché le logiche erano già state determinate, appunto, dal braccio di ferro creatosi tra Premier, Governo, maggioranza e minoranza del Partito Democratico, e dal rapporto con il Nuovo Centrodestra.
  Crediamo che ora in Aula, davanti al confronto pubblico nazionale, si possano appunto rivedere molte delle posizioni che si sono tenute finora a favore, ovviamente, dei nostri lavoratori (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Prendo atto che il Ministro Poletti si riserva di intervenire in sede di replica.
  È iscritto a parlare il deputato Antonio Boccuzzi. Ne ha facoltà.

  ANTONIO BOCCUZZI. Signora Presidente, onorevoli colleghi, Ministro Poletti, sottosegretario Bellanova, viviamo oggi la crisi più dura della storia recente e la più alta percentuale di disoccupazione dal 1977. Non un anno a caso, ma il 1977: l'anno degli insulti a Lama, dell'attentato a Montanelli, dell'omicidio di Casalegno, eventi che non possono essere slegati da quella situazione di particolare disoccupazione.
  Oggi ci sono 3 milioni di disoccupati, 3 milioni e 300 mila sono coloro che hanno un lavoro precario. Il reddito di questi ultimi è di circa 845 euro lordi. Il 45 per cento di loro sono diplomati, il 15 per cento ha una laurea. Non parliamo solo di giovani, ma di madri, di padri, trentenni, quarantenni, cinquantenni che spesso, troppo spesso, perdono ogni speranza. Oltre un milione di persone sono in cassa integrazione. In tutto 7 milioni di persone che non hanno un reddito fisso o ne hanno uno insufficiente o precario. A queste si devono aggiungere 8 milioni e mezzo di persone che, secondo l'ISTAT, nell'ultimo anno hanno fatto fatica a fare una di queste tre cose: pagare le bollette, riscaldare la casa e, infine, come ha detto brutalmente lo stesso ISTAT, assumere un numero di proteine adeguato, in sostanza mangiare la carne due volte la settimana.
  La precarietà è diventata una trappola per milioni di persone, non più soltanto i giovani. Sono esplose le disuguaglianze e si sono disposte lungo nuovi confini, che Pag. 24vanno dal reddito alle protezioni sociali. Generazioni di trentenni e quarantenni, giovani tra i 15 e i 24 anni che non studiano, non lavorano, non possono più aspettare.
  Il Jobs Act può e deve essere un passaggio cruciale. Prevede un ampio ripensamento degli ammortizzatori sociali, amplia la tutela della maternità, che deve riguardare le lavoratrici dipendenti, parasubordinate e autonome, investe in maniera costruttiva su nuovi strumenti, i sistemi per la gestione della formazione continua dei lavoratori. Sono entrati nella discussione alla Camera, già bloccati al Senato, alcuni importanti elementi, a partire da una prima forma di universalizzazione degli ammortizzatori sociali, occasione già persa nella precedente legislatura con il provvedimento proposto dall'ex Ministro Fornero, la prevalenza del contratto a tempo indeterminato e la drastica riduzione delle tipologie contrattuali precarie. Il prossimo passaggio sarà davvero semplificare il sistema normativo, innovato nel testo della delega, introducendo la stessa nei decreti attuativi.
  Il Jobs Act può sconfiggere la precarietà, ma non creare occupazione, per lo meno non può crearla in maniera diretta. La tesi che per creare lavoro sia sufficiente una riforma del mercato del lavoro è stata ripetutamente smentita dalla storia. È necessario unire – e la legge di stabilità sarà un'occasione fondamentale per farlo – il nuovo quadro del mercato del lavoro a politiche reali per il lavoro. È indispensabile armonizzare i tre provvedimenti collegati tra loro: il decreto Poletti, la legge delega e la legge di stabilità. Avremmo dovuto farlo probabilmente considerando tempistiche diverse, più appropriate, per dare omogeneità.
  È innegabile che oggi si generino alcune contraddizioni. Porto due esempi: come si concilia la possibilità di fare contratti a termine acausali e con molteplici rinnovi con il contratto a tempo indeterminato ? Allo stesso tempo, nella legge delega si insiste e si incentiva la contrattazione di secondo livello, mentre nella legge di stabilità si stabilisce un taglio importante al fondo per la contrattazione di secondo livello. Perdonerete, se vi è, come minimo, un conseguente disorientamento.
  È un passaggio fondamentale, nell'attuale panorama contrattuale, definito giustamente una giungla, intervenire su tutte quelle forme di flessibilità in entrata, che, giuste e opportune in linea teorica, vedono oggi un abuso nell'utilizzo soprattutto da parte di quelle tantissime aziende – purtroppo la maggioranza – che non rientrano nel campo di applicazione della legge n. 300 del 1970 e di cui i lavoratori non hanno alcuna forza contrattuale o tutela sindacale, se non a posteriori, con effetti negativi sia sul mercato del lavoro che nel tessuto economico. Aziende che occupano solo ed esclusivamente intermittenti, lavoratori occasionali, associati, tirocinanti, collaboratori e che non hanno una struttura definita sono aziende che, pur sopravvivendo nell'immediato, non hanno un futuro imprenditoriale; sono aziende nate sapendo già di dover chiudere.
  È vero che il nodo centrale, visto che la finalità della legge proposta è il rilancio dell'occupazione, è e rimane il costo del lavoro e l'incentivo alle aziende ad assumere. Ma è anche vero che l'assenza totale di una seria lotta all'evasione fiscale e contributiva e l'incentivo ad abusare delle forme di flessibilità non risolvono il problema, anzi lo aggravano.
  Nel 2013 sono stati assunti poco più di 100 mila lavoratori a tempo indeterminato, 120 mila apprendisti, circa 237 mila lavoratori con contratto a tempo determinato.
  Nel 2013 sono stati venduti 36 milioni di voucher per lavoratori occasionali od accessori, con una media di utilizzo di 10 voucher per ogni lavoratore. La previsione per il 2014 è di 41 milioni di voucher venduti. Stiamo parlando di oltre 4 milioni di lavoratori che non solo non hanno l'articolo 18, ma che non hanno neanche la maternità, le ferie, la malattia, il TFR, i limiti all'orario di lavoro, la tredicesima e, secondo alcune interpretazioni, possono anche essere controllati a distanza.Pag. 25
  I voucher acquistati telematicamente all'INPS necessitano solo di una comunicazione su un futuro possibile utilizzo nell'anno solare.
  Se poi il lavoratore fosse occupato tutti i giorni basterebbe, in caso di controllo, dichiarare quella giornata a posteriori e tutto diventa regolare, poiché i voucher riscossi entro l'importo limite legale non costituiscono reddito e possono essere utilizzati anche a favore di lavoratori in CIG o in disoccupazione, la cosiddetta Aspi, senza che questi perdano il diritto a percepirli o che perdano eventuali contributi ed estensioni agli enti locali.
  Si crea una complicità di fatto tra l'azienda, che paga ed occupa di fatto in nero, ed il lavoratore, che riceve retribuzioni esentasse.
  Nell'esperienza pratica, a parte sporadici casi, questi lavoratori sono occupati normalmente negli alberghi, nei ristoranti, negli esercizi commerciali. Supponendo che questi 4 milioni di lavoratori, anziché 10 ore l'anno, ne lavorino 500, equivalente a 62 giornate a tempo pieno, poco più di un giorno a settimana, e che abbiano una retribuzione contrattuale lorda di 10 euro, arriviamo ad un'evasione fiscale e contributiva su un imponibile di 20 miliardi di euro l'anno.
  Nei decreti attuativi sarebbe utile che si fissassero, anziché porre limiti teorici, come ha fatto la legge Fornero, limiti effettivi all'utilizzo dei voucher e si predisponessero sistemi di comunicazione preventiva, che porterebbero all'emersione di qualche milione di lavoratori, che oggi sfuggono completamente dalle statistiche sull'occupazione.
  La nuova chiave di lettura dei contratti a termine non permette più alibi alle finta partite IVA. È necessario stabilire quando una partita IVA merita di essere utilizzata, con quali costi e quando il suo utilizzo non è opportuno.
  Il primo spartiacque potrebbe apparire quasi banale: se una persona si autoorganizza tempi e modalità del suo lavoro è una vera partita IVA; se si tratta di un contratto a tempo, magari biennale o triennale e se il lavoratore è sottoposto a turni ed orari, questa non può essere una partita IVA.
  È necessario trovare il giusto equilibrio fra costi, richieste e tutele. Se i costi sono troppo bassi, c’è chi ne approfitta, se sono troppo alti, c’è un disincentivo all'utilizzo.
  Siamo immersi in grandi, enormi cambiamenti, a cui dobbiamo rispondere con i valori di sempre, ma con scelte coraggiose e determinate, con culture politiche non ideologiche e non astratte, collegate con la realtà e gli interessi di base reale, che partono dai fabbisogni quotidiani di chi il lavoro ce l'ha e di chi non ce l'ha.
  In un momento come quello che stiamo affrontando, la partecipazione che passa necessariamente dal confronto è l'ingrediente indispensabile, se si vuole pensare di uscire dalla crisi più forti e non lacerati.
  Non ci sono più eroi, non ci sono più capri espiatori, c’è una situazione di disagio che chiama ognuno di noi nelle rispettive responsabilità e ruoli, banalmente, a fare la propria parte: amministratori, politici, associazioni ed organizzazioni sindacali, ognuno nel proprio ruolo, come dicevo, deve sentirsi chiamato ad essere protagonista in sfide nuove.
  Abbiamo fatto una battaglia di merito, che ci ha permesso di migliorare sotto diversi aspetti il testo licenziato dal Senato. Purtroppo, gran parte del dibattito mediatico, ma non solo, si è disgregato ed ha interessato il tema dei licenziamenti e dell'articolo 18 in particolare. Chiunque ha sentito il diritto di intervenire, da chi ne aveva e poteva averne titolo fino ad apprendisti stregoni, che hanno basato più i loro interventi sul sentito dire, sull'improvvisazione.
  Proviamo brevemente a fare chiarezza, tenendo conto delle norme che oggi esistono.
  È una sciocchezza, tutto sommato, affermare che nessuno vuole toccare l'articolo 18 per i licenziamenti discriminatori, anzi, bisogna estenderne la tutela a tutti. Essi infatti, da sempre, sono licenziamenti affetti da nullità sulla base di altre norme dell'ordinamento.Pag. 26
  Il divieto di discriminazione e l'obbligo di parità di trattamento sono posti in generale dalla Costituzione e dal codice civile e quindi in particolare da leggi ordinarie.
  L'articolo 18 non è nemmeno richiamato nelle normative antidiscriminatorie, non ce n’è giuridicamente alcun bisogno.
  Il licenziamento deve essere motivato, come stabilisce l'articolo 30 della Carta dei diritti europei.
  Una volta tanto, potremmo usare a proposito lo slogan: «ce lo chiede l'Europa».
  È vero peraltro che la Corte Costituzionale ha detto che la reintegrazione non è l'unica forma possibile di sanzione per un licenziamento illegittimo e che spetta al legislatore determinare la sanzione appropriata, ma ha anche chiaramente detto che a chiunque deve essere riconosciuto il diritto di ricorrere al giudice.
  Il recupero della reintegra per licenziamento per motivi disciplinari ripristina questo diritto, che l'indirizzo possibile dei decreti attuativi avrebbe cancellato. Un elemento reale, a cui si è giunti recependo le proteste di chi ha voluto entrare nel merito del Jobs Act, lasciando ad altri la sterile polemica che ha contribuito unicamente ad esacerbare gli animi. Non restringiamo il campo ad una visione limitata, che circoscrive e riduce il provvedimento ad una frapposizione padre-figli; personalmente sono più per il modello Enea-Anchise, per rispetto generazionale e perché oggi è purtroppo sempre più vero il contrario: si supera costantemente il limite labile che passa dal welfare dei diritti ad un welfare caritatevole, confondendo la questione del diritto fondamentale con una imbarazzante, spesso mortificante, forma di elemosina.
  I problemi giovanili sono, per ovvia ragione, accentuati dalla riforma delle pensioni: in un contesto di profonda crisi, come quello attuale, è impensabile coniugare occupazione di anziani e giovani, tenendo forzatamente al lavoro i primi, più costosi e spesso meno produttivi. Quando ci sarà disponibilità a discutere del merito, noi siamo sempre pronti e disponibili.
  Concludo riconoscendo al Premier un nuovo coraggio, un nuovo approccio, che si incammina su una nuova strada in Europa; un nuovo protagonismo, che supera il rapporto epistolare europeo di berlusconiana memoria e quello rigido e rigoroso del professor Monti; un rapporto più coraggioso e propositivo, meno centro-teutonico: due ingredienti fondamentali per la ricetta di una nuova partecipazione al Vecchio Continente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Calabria. Ne ha facoltà.

  ANNAGRAZIA CALABRIA. Presidente, onorevoli colleghi, ci apprestiamo ad aprire il dibattito in aula su quella che è stata annunciata da mesi come la riforma del mercato del lavoro, ma che in concreto non contiene nulla di quanto proclamato a gran voce in questi lunghi mesi di discussione; discussione che, tra l'altro, si è consumata nei talk show, sulle agenzie, ma che, nell'ambito dei lavori parlamentari, è stata strozzata, è stata compressa, ridotta a semplice presa d'atto di decisioni assunte all'interno del partito di maggioranza. Una decisione che è puro e semplice compromesso politico, che l'Esecutivo ha cercato in tutti i modi e a qualsiasi prezzo; un compromesso che però, allo stesso tempo, ha contraddetto qualsiasi logica di confronto democratico e di rispetto per le istituzioni parlamentari, dando vita nel metodo ad una procedura che ha mortificato il ruolo del Parlamento, riducendolo a mero ratificatore delle decisioni di un organo di partito.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI (ore 11,15)

  ANNAGRAZIA CALABRIA. I parlamentari della Commissione lavoro hanno dovuto apprendere dalla stampa i contenuti delle proposte del Governo e le modalità Pag. 27con cui sarebbero state votate, senza poter tra l'altro contribuire a migliorare il testo.
  Quanto al merito, siamo di fronte ad una legge delega che è una scatola vuota, una paventata riforma del tutto arrendevole e fortemente viziata da retaggi ideologici e corporativisti della sinistra del Partito Democratico. La flessibilità viene ancora una volta dimenticata e con essa qualsiasi possibilità di rendere il mercato del lavoro più dinamico. Una riforma che si è rivelata, quindi, un semplice nulla di fatto. Niente rispetto alla rivoluzione annunciata, solo un elenco di principi e di criteri ampi e approssimativi, un disegno di legge delega che ha come unico effetto, a breve termine, quello di tradire l'aspettativa degli italiani e, come effetto a lungo termine, quello di affossare definitivamente una generazione.
  Il disegno di legge delega è lacunoso e incerto, disomogeneo e approssimativo, una sorta di delega in bianco, Ministro Poletti, in stridente contrasto con le norme costituzionali che richiedono di legiferare mediante una delega che abbia criteri certi e ragguagliati.
  L'emendamento del Partito Democratico in Commissione lavoro, concordato con il Governo, a parte le molte imperfezioni dal punto di vista legislativo, resta ambiguo e consegna ai giudici una grande discrezionalità nel valutare la legittimità o meno del licenziamento disciplinare, la tipologia che costituisce, insomma, il cuore del problema del recesso.
  Forza Italia non ha mai creduto che le parole scritte nel testo approvato dal Senato fossero idonee a fornire un quadro di legittimità costituzionale a una revisione profonda della disciplina dei licenziamenti individuali, ma il problema del rapporto con l'articolo 76 della Costituzione resta tuttora aperto, dal momento che non è dato sapere quali saranno le specifiche fattispecie in cui opererà la sanzione del reintegro.
  A questo proposito si è persino scritto, nei giorni scorsi, che nel caso di licenziamento disciplinare la reintegra dovesse essere contemplata allorché il datore di lavoro avesse accusato il lavoratore non già di una grave mancanza, ma addirittura di un reato poi risultato insussistente.
  Ma a chi spetterebbe accertare se un reato è stato commesso o meno ? Non al giudice del lavoro, a quello penale. Così, per chiudere il caso del licenziamento, si sarebbe dovuto aspettare che la sentenza penale fosse passata in giudicato. Ad ogni modo così tutto resterà nelle mani del legislatore delegato ovvero lo stesso Esecutivo che, nell'elaborazione dei decreti legislativi, avrà mani libere sulla base di una delega tanto approssimativa, quanto inefficace. La soluzione proposta in un emendamento di Forza Italia sarebbe stata più chiara e più lineare. Noi proponevamo e proponiamo ancora all'attenzione di quest'Aula che nel caso di licenziamento disciplinare giudicato illegittimo, il datore di lavoro, sanzionato con la reintegra, abbia la facoltà di optare per il versamento di un'indennità da stabilire sulla base di parametri certi e predeterminati e sottratti quindi alla discrezionalità del giudice. Inoltre, abbiamo provato a definire con maggiore chiarezza i tipi di licenziamento disciplinare per cui sia possibile il reintegro, ovvero quello di cui fosse provata la manifesta insussistenza del fatto contestato, nella misura in cui esso avesse prefigurato una lesione della dignità e della figura morale e professionale del lavoratore.
  Nel dibattito interno del Partito Democratico e tra sindacati e Governo, in particolare sull'articolo 18, abbiamo assistito al continuo riaffiorare di vecchie ideologie, corporativismi, antichi pregiudizi e a ben vedere una miopia di fondo. Riflettendo, infatti, sulla realtà di un mercato del lavoro che, per dirla con Antonio Polito, è ingiusto, inefficiente e balcanizzato, il pensiero non può che andare a quei dati sulla disoccupazione che tutti definiamo drammatici, ma che alcuni si ostinano a non volere interpretare. Infatti, denunciare il problema non basta, bisogna capirlo e cercare di risolverlo. Sul primo fronte, quello della comprensione della situazione che vive il nostro Paese, c’è una diffusa ostinazione a non voler vedere che oggi Pag. 28l'alternativa alla flessibilità per la stragrande maggioranza degli italiani non è un lavoro blindato a tempo indeterminato, ma è la disoccupazione. Ammettere questo non significa arrendersi al precariato, ma guardare con realismo al problema e cercare una soluzione. Infatti, aspirare a un lavoro sicuro per tutti mentre i dati continuano a parlarci di aziende che chiudono, di una domanda stagnante e di indicatori economici tutti negativi, significa obbligare chi oggi un lavoro non ce l'ha, ad andare a cercarlo all'estero dove, tra l'altro, l'articolo 18 non esiste. E molti di questi sono i nostri giovani.
  Davanti a tutto questo le forze di maggioranza avrebbero dovuto abbandonare le visioni ideologiche su come dovrebbe essere il nostro mercato del lavoro e ragionare finalmente su com’è e su quello che si poteva fare per migliorarlo. Se è vero, infatti, che il lavoro non si crea con le norme, è vero anche che queste possono contribuire a crearlo e, allora, è ancora più vero che le norme sono efficaci se agiscono insieme. Al Jobs Act bisognava affiancare l'attuazione della riforma fiscale, l'abbassamento delle tasse sul lavoro, la semplificazione degli oneri burocratici, la cancellazione dell'IRAP, la previsione della flat tax, la velocizzazione dei tempi della giustizia civile e una maggiore flessibilità.
  Liberare il mercato dalle rigidità che lo paralizzano è l'unica soluzione che abbiamo sul tavolo. Rendere il mercato del lavoro adeguato al sistema dei mezzi di distribuzione è buonsenso, ricordando che il superamento dell'articolo 18 per i nuovi assunti non necessariamente porterà nuovi licenziamenti, anzi togliere fondamento al principio tutto italiano del posto di lavoro come diritto acquisito, può rappresentare uno stimolo per il lavoratore a dare il massimo, valorizzando le competenze e dando piena espressione al talento. I giovani italiani che lavorano all'estero, ad esempio, riescono a competere al pari dei loro coetanei stranieri proprio perché motivati da un mercato del lavoro libero che non garantisce alcuna rendita di posizione. E questo non significa erodere dei diritti. È ora di dire basta alla falsa rappresentazione che dipinge datore di lavoro e lavoratore in contrapposizione perché per il datore di lavoro il lavoratore è esclusivamente una risorsa.
  Il Governo Berlusconi, nel corso della XIV legislatura, provò a farlo, ma la legge Biagi, che pure portò alla creazione di oltre un milione e mezzo di posti di lavoro e all'abbassamento di oltre due punti percentuali del tasso di disoccupazione, aveva un limite perché alla flessibilità in entrata non si associava quella in uscita che avrebbe creato, invece, un mercato del lavoro davvero dinamico, aperto e trasparente. Questo Governo ha avuto l'occasione di cambiare davvero, potendo contare su ciò che è mancato quando noi nel 2002 abbiamo provato a riformare lo Statuto dei lavoratori, ovvero l'atteggiamento responsabile e propositivo dell'opposizione.
  Forza Italia, infatti, si è dimostrata pronta a dare il proprio contributo, in particolare, su questo tema, per un cambiamento che fosse reale e non frutto di un compromesso al ribasso. E, invece, si è realizzato quanto temuto: la sintesi voluta dal Premier con la minoranza del suo partito ha determinato un depotenziamento delle proposte avanzate inizialmente. Esattamente come è accaduto nella primavera scorsa in occasione della discussione sul «decreto-legge Poletti», primo pezzo di un puzzle che si è rivelato, come temevamo, inconsistente.
  L'Italia di tutto ha bisogno, tranne che dell'ennesima arma spuntata, dell'ennesima finta riforma. La posta in palio è troppo, troppo importante: restituire competitività alle imprese e dare una speranza a quelle giovani generazioni che oggi l'hanno persa. Forza Italia, comunque, continuerà la sua battaglia, denunciando agli italiani i trucchi che hanno contraddistinto la vicenda del «Jobs Act» Poletti 2.0, denunciando con forza l'ennesima opportunità sprecata, l'ennesima rinuncia di fronte ad un Paese che chiede coraggio ed è stanco di compromessi.

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  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pizzolante. Ne ha facoltà. Colleghi vi pregherei di abbassare il tono della voce. Prego.

  SERGIO PIZZOLANTE. Signor Presidente, signor Ministro, questo provvedimento, questa riforma ha una portata storica, paragonabile allo Statuto del 1970, è una vittoria di tutti i riformisti, ovunque essi siano collocati. Riforma degli ammortizzatori sociali, che diventano forme di integrazione al reddito universali per tutti i lavoratori: non più strumenti solo di difesa, non più strumenti per la surrettizia tenuta in vita di imprese e posti di lavoro inesistenti finiti, sfiniti, sino a casi incredibili come le integrazioni al reddito che sono durate, e durano, dieci, quindici anni. Quando questo è successo è sempre stata una sconfitta per le imprese e per i lavoratori.
  C’è la riforma delle politiche attive per il lavoro e risponde ad un principio: il massimo investimento sul futuro deve essere sull'occupabilità della persona. Percorsi scuola-lavoro, formazione continua, accompagnamento da posto di lavoro a posto di lavoro: ciò significa risorse, servizi pubblici e privati che funzionano. E qui è necessario vincere alcuni tabù.
  Primo: non esiste più il posto fisso a vita. Ci piacerebbe, ma non è più così. Le realtà delle imprese, dei mercati crea questa situazione che noi dobbiamo saper governare con strumenti nuovi e più moderni.
  Un altro tabù da sconfiggere: la scuola e i luoghi di lavoro, la scuola e le aziende non sono nemici. Le imprese devono poter tornare ad essere luoghi eletti principali della formazione. Se le aziende tornano ad essere anche luoghi di formazione aumentano le possibilità di occupabilità delle persone. La vecchia idea di una vecchia sinistra sulla purezza dei percorsi scolastici e formativi perché lontani dai posti di lavoro è un tabù da superare.
  E, poi, c’è un altro tabù: occorre rafforzare i servizi di collocazione e ricollocazione al lavoro. Al giovane disoccupato e al cinquantenne da ricollocare non interessa che i servizi siano pubblici o privati: interessa che funzionino.
  La delega riforma anche il sostegno alla maternità, alla malattia, che va estesa a tutte le forme di lavoro, anche ad alcune forme di lavoro autonome: penso, per esempio, all'esperienza francese. Prendere atto che sono cambiati il mercato e le aziende e tutto questo, come ho detto prima, va governato. Le forme di lavoro non sono rigide, statiche: devono cambiare anche, quindi, le forme di protezione.
  Poi, c’è la riforma della burocrazia del lavoro: occorre porre fine ad un groviglio di norme. Assumere, lavorare deve tornare ad essere semplice. E qui c’è un principio: dobbiamo creare regole capaci di aiutare chi crea buona impresa, lavoro e buon lavoro.
  E dobbiamo dotarci di strumenti per contrastare le distorsioni che diventano patologie. Se, invece, legiferiamo prendendo a riferimento come parametro, appunto, le patologie, noi non complichiamo la vita delle cattive imprese, complichiamo la vita di tutti, ingessiamo il mercato e le imprese.
  Poi c’è la riforma delle procedure di ingresso e di uscita dal lavoro, e questo è un dibattito caldissimo. Penso, naturalmente, all'articolo 18. Penso, lo dico con chiarezza, che l'articolo 18 è stato e sia ancora il principale freno alle assunzioni a tempo indeterminato e ostacolo agli investimenti nazionali ed internazionali, produce nanismo imprenditoriale, divide i lavoratori fra chi ha protezioni e chi non ne ha, crea ingiustizie evidenti tra chi lavora, si impegna, studia e chi non ha voglia di lavorare, di impegnarsi e studiare, ma ha le stesse protezioni di chi si impegna; crea precariato: solo il 17 per cento di assunzioni, oggi, è a tempo indeterminato, con ricadute gravi sulla possibilità di avere rapporti stabili e quindi accesso al credito, ai mutui, sulla possibilità di creare una famiglia, di fare figli. Questa è la realtà ! Con questo articolo 18, con queste regole, solo il 17 per cento di assunzioni è a tempo indeterminato, ecco perché questa è la ragione principale per la quale bisogna cambiarlo. E ancora, è Pag. 30stato ed è motivo di bassa produttività delle imprese. Infine, crea rigidità, che un'impresa, in questo mercato globale e ipercompetitivo, non può più permettersi. Se il mercato è flessibile, fluttuante, il lavoro non può essere rigido. Mercato flessibile e mobile con lavoro rigido e immobile produce meno imprese e meno lavoro.
  Vedete, io rivendico alla storia politica e alla cultura politica alla quale appartengo, che è quella dei riformisti italiani, lo statuto e anche l'articolo 18, di una parte di esso. Lo Statuto e l'articolo 18 non sono prodotti della storia e della cultura della sinistra comunista e post-comunista o antagonista, sono figli di Giacomo Brodolini, Gino Giugni, Federico Mancini, Carlo Donat Cattin, cioè della migliore tradizione delle culture riformiste laiche e cattoliche.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Si stanno rivoltando nella tomba !

  SERGIO PIZZOLANTE. Vergognati ! La sinistra comunista non votò lo Statuto ! La sinistra comunista non votò lo Statuto ! È stata la sinistra socialista a volere e a votare lo Statuto. Era una riforma adatta a quel tempo: c'erano le ferriere e conflitti durissimi fra imprese e lavoro. Ma i protagonisti di allora, riformisti autentici, erano consapevoli che non poteva essere una riforma per sempre, perché i riformisti sanno che le riforme non sono per sempre. I riformisti sono coloro che fanno, non sono coloro che fanno le riforme, perché le riforme possono essere buone o cattive. I riformisti sono coloro che hanno l'umiltà e l'intelligenza di rifare le riforme per adattarle ai tempi che cambiano, per adattarle alle realtà che cambiano. Craxi diceva: cos’è il riformismo ? Il riformismo è l'idea di progresso che sa incontrare la realtà e che dialoga con la realtà. Il paradosso è, quindi, che chi votò la riforma sapeva e sa che con gli anni doveva cambiare e chi non la votò la vuole ferma a 44 anni fa, quando appunto non la votò. Quarantaquattro anni fa non solo non c'era, caro Renzi, l’iPhone, non c'erano nemmeno i gettoni. Gino Giugni, nella conferenza programmatica del Partito socialista del 1982, a Rimini, che è la mia città, proponeva una radicale riforma dello Statuto; dodici anni dopo il 1970, trentadue anni prima di oggi. Ma già nel 1970 l'articolo 18 non doveva essere quello che fu poi approvato e che è sopravvissuto più di quarant'anni.
  Era stato pensato solo per licenziamenti discriminatori, politici e sindacali, come in una precedente legge del 1966 di Pietro Nenni, perché, diceva Brodolini a Giugni, «vogliamo fare uno Statuto per i lavoratori, e non per i lavativi»; e si doveva applicare per le aziende sopra i 35 dipendenti: anche allora, già allora ci si poneva il problema del nanismo. Fu il PCI ad imporre i licenziamenti disciplinari ed il limite dei 15 dipendenti ! Quindi chi difende l'articolo 18 così com’è non difende una conquista riformista, e nemmeno di tutta la sinistra: difende una storia, una cultura che non ha vinto, ha perso ! La preistoria della peggiore sinistra della storia.
  Gino Giugni nel 2003, in un'intervista alla professoressa Gana Cavallo sull’Avanti ! della domenica risponde ad una domanda. La domanda è: «È ancora adeguato l'articolo 18 ?». Gino Giugni 11 anni fa risponde: «Sul piano della realtà occupazionale per un verso ho già detto svariate volte che non lo riscriverei uguale; d'altronde, non l'avevo scritto così com’è neanche allora». Questa è la realtà !
  Concludo. Ho ascoltato l'intervento del presidente Damiano, che rivendica profondi cambiamenti, 37 emendamenti. Ho già avuto modo di dire i punti, le virgole, i sinonimi. Capisco, presidente Damiano, lo dico con rispetto: capisco l'imbarazzo. Ma ciò che è uscito in questo provvedimento è una riforma vera, e non ci sono stati alla Camera cambiamenti capaci di inquinare la portata della riforma uscita dal Senato. La verità sta nel fatto che appena abbiamo votato sull'articolo 18 in Commissione, le opposizioni sono uscite dall'Aula e la CGIL ha proclamato lo Pag. 31sciopero generale. Lo dico con rispetto, presidente Damiano: se lui è contento, io sono contento per lui.
  Ho ascoltato l'intervento dell'onorevole Polverini, già leader dell'UGL, sindacato che legittimamente sciopera con la CGIL. Ho letto le dichiarazioni di Berlusconi, dell'onorevole Calabria poco fa, e di tanti altri dirigenti di Forza Italia. Voglio dire con chiarezza che Forza Italia in Commissione lavoro non ha fatto mai alcuna battaglia contro l'articolo 18: questa è la realtà ! Berlusconi e Forza Italia non riuscirono, non riuscimmo per essere onesti, a cambiare l'articolo 18 quando ha governato Berlusconi, e noi abbiamo governato con Berlusconi; oggi Berlusconi nemmeno ci prova, e quindi si astengano da polemiche isteriche e inutili.
  Concludo ringraziando il Ministro Poletti e il sottosegretario Bellanova, che hanno garantito gli accordi di maggioranza con grande coraggio, con grande forza, con grande lucidità, e hanno proposto in Commissione una visione moderna del mercato del lavoro, ed io per questo li ringrazio.
  Concludo davvero dicendo che adesso noi dobbiamo fare presto, perché i primi giorni della prossima settimana dobbiamo chiudere il provvedimento per poi licenziarlo velocemente al Senato, per poter dare alle imprese la possibilità – come dice Renzi, io sono d'accordo con lui – dai primi giorni di gennaio di poter assumere con i nuovi contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Nicchi. Ne ha facoltà.

  MARISA NICCHI. Signor Presidente, le imprese italiane, con rarissime eccezioni, si collocano – lo dicono oramai i dati – da anni tra le ultime per spesa di ricerca e sviluppo, mentre per lo più le multinazionali vengono nel nostro Paese, sfruttano lavoro e poi chiudono; come è avvenuto, come sta avvenendo alla TRW di Livorno, a cui anche da quest'Aula va la nostra solidarietà.
  Inoltre, dal 1990 al 2013 la parte di reddito che va ai lavoratori rispetto a quella che va ai profitti e alle rendite finanziarie e immobiliari è diminuita in Italia di circa 7 punti.
  Ministro, questo non fa bene alla domanda interna, che tra l'altro segna una contrazione di consumi vitali. E, invece di affrontare questi problemi, il Governo agisce, con questo provvedimento, come se il problema principale del mercato del lavoro in Italia sia la rigidità dei contratti e ha puntato il dito sul famoso articolo 18, come se il problema non fosse la creazione di lavoro o la carenza di domanda interna da attivare con investimenti pubblici. Come ha fatto Obama da cui si copiano i titoli fighetti – Jobs Act - ma solo i titoli, e poi si svolge il tema con un vecchio centralismo autoritario rinverdito di populismo antisindacale e si continuano le politiche sbagliate di austerity che sono causa di questa crisi.
  Difatti il Governo si prende una delega in bianco per riformare il mercato del lavoro con la più totale genericità dei principi e criteri a cui si dovranno attenere i futuri decreti attuativi. Suona le sirene di promesse che non saranno mantenute, vista per esempio l'assenza di fondi adeguati per la riforma degli ammortizzatori sociali; niente investimenti pubblici e, invece, una linea chiara di lotta tra gli ultimi e i penultimi, una viltà di cui il Governo è campione e che porta, per esempio, in questi momenti a togliere al fondo per le famiglie i soldi sacrosanti per le non autosufficienze.
  È chiara anche la linea di ulteriore precarizzazione dei contratti di lavoro che ha cominciato con il «decreto Poletti», a cui oggi si aggiunge lo svuotamento per i giovani di ciò che resta dell'articolo 18 e la cancellazione del divieto di demansionamento con buona pace del merito, del divieto sul controllo a distanza dei lavoratori; mentre è molto verosimile che il contratto a tempo indeterminato a tutele progressive, senza nessuna specificazione da dove si parte, dove si arriva – come ha ricordato l'onorevole Sannicandro stamattina – andrà a regime senza cancellare la pletora di contratti precari esistenti, 45 si dice, il vero male del mercato del lavoro.Pag. 32
  È difficile, Ministro, che l'ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro possa favorire la ripresa economica e la competitività delle nostre imprese, ma è sicuro, come ha scritto bene Luciano Gallino, che uno dei principali esiti del Jobs Act a danno dei lavoratori sarà l'abbassamento dei salari attraverso il superamento del contratto nazionale di lavoro a favore della contrattazione aziendale territoriale che aggraverà, oltre alla diseguaglianza tra lavoratori e classi possidenti, le diseguaglianze tra gli stessi lavoratori, aumentando i lavoratori poveri.
  Il Governo si prende dal Parlamento una delega in bianco; noi, questo gruppo, al contrario vorrebbe un confronto parlamentare di merito. Ma dal Governo, che non ha disdegnato al Senato di ricorrere alla forca del voto di fiducia mentre picchiava i lavoratori della ThyssenKrupp, da questo Governo vediamo solo la preoccupazione di distribuire contentini alla sua maggioranza; naturalmente un po’ di più a Sacconi, anche stigmatizzando le manifestazioni democratiche del sindacato che si stanno svolgendo in questi momenti a Napoli, alla faccia delle modernizzazioni delle relazioni sindacali e anche dileggiando il sacrificio della perdita di salario che i lavoratori patiranno per essere stati costretti allo sciopero generale. Questo dileggio è una vergogna, perché chi lo ha promosso ha la pancia piena e non ha rispetto per chi lotta quotidianamente per i propri diritti, per la tenuta del proprio salario.
  Sacconi, sì, il nemico da sempre delle leggi contro le dimissioni in bianco, una sua ossessione, la legge che non avete voluto approvare al Senato, che avete svuotato nel Jobs Act, ennesima dilazione di questa tribolata legge e mentre continua l'imperterrito ricatto della firma in bianco del proprio licenziamento a cui molti e molte sono costretti per bisogno di lavoro.
  Minaccia subdola, che costringe a lavorare in soggezione, a disposizione dei datori di lavoro. La lettera di dimissioni in bianco è un modo per aggirare le tutele della maternità. Prevenire questa illegalità è un obiettivo di civiltà. L'avevamo affermato in quest'Aula approvando una buona legge che sceglieva di equilibrare la bilancia del potere dalla parte di chi, al momento dell'assunzione, non ne ha. Ma nel Jobs Act questa scelta non c’è e questo la dice tutta della volontà dichiarata di perseguire l'obiettivo di evitare che le donne debbano essere costrette a scegliere fra figli oppure il lavoro.
  Si poteva votare in Commissione l'emendamento che vincolava il decreto attuativo ai contenuti della legge che avevamo approvato qui tutti insieme in quest'Aula, ma è stato respinto. Analoghi emendamenti su richiesta del Governo sono stati ritirati. È un atto sbagliato che ci mette senza rete nelle mani del Governo, con Sacconi che detta la linea, da sempre ossessivamente contro questa legge.
  In molte, noi del gruppo di SEL che l'abbiamo promossa, in molte e in tante ci sentiamo madri di questa legge. L'abbiamo voluta, l'abbiamo difesa, l'abbiamo riapprovata, ma da buone madri oggi non possiamo essere sprovvedute e non possiamo affidarci al buon cuore del suo carnefice. Noi non sappiamo cosa ci sarà nei decreti attuativi a sostegno della maternità e della conciliazione fra la vita e il lavoro, ma sappiamo però cosa servirebbe per una reale tutela della maternità e per quei genitori che non debbono essere più costretti a scegliere tra l'accudimento di persone, o figli o anziani e il lavoro.
  Bisognerebbe ripensare la tutela della maternità in modo che tutte le donne possano ricevere un'indennità a prescindere dal lavoro. Sarebbe indispensabile, nell'ambito di una delega al Governo per il sostegno alla genitorialità, promuovere e garantire un welfare universale, ripensarlo attraverso un nuovo rapporto tra tempo di lavoro e tempo di cura, ma questo non c’è nella delega.
  Al contrario, per ciò che riguarda le questioni sociali, ci sono misure gravi, almeno nella loro ambiguità, come il fatto che lo stato di disoccupazione non sarà più considerato requisito per l'accesso ai servizi assistenziali e, dunque, non consentirebbe per esempio ai disoccupati di Pag. 33poter beneficiare dell'esenzione dal pagamento del ticket sulle prestazioni mediche.
  In un Paese a gravi diseguaglianze di salute, in cui sono ancora aperte le ferite come quelle dell'amianto – a cui va anche da qui alle famiglie, a quei lavoratori tutta la nostra solidarietà e riaffermazione di volontà di lotta per questa sconcertante sentenza – per un Paese che avrebbe tutto da guadagnare in posti di lavoro e in benessere nell'investimento sui servizi sociali, per questo Paese serve una chiara direzione diversa. Deve essere intanto chiaro che lo stato di disoccupazione dovrà continuare a dare accesso alle prestazioni sanitarie.
  Concludo proprio su questo esempio, perché è un esempio concreto del senso del cambiamento che noi vogliamo, non ideologico, concreto, quel cambiamento su cui il Governo ha catturato la fiducia di tanti cittadini e cittadine; il cambiamento che però noi vogliamo è quello che estende i diritti e non li toglie a chi li ha. Ed è questo cambiamento che riaffermiamo in queste Aule e che difenderemo accanto a tutti coloro che in questi mesi lotteranno per il diritto al lavoro e alla loro libertà.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Tinagli. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante   IRENE TINAGLI. Signor Presidente, signor Ministro, questa legge delega che stiamo discutendo e che ci accingiamo a votare segna davvero un profondo cambiamento e una profonda innovazione di quello che è il mercato del lavoro e la situazione anche di milioni di giovani che hanno sofferto in questi anni una regolamentazione del mercato del lavoro che gli era totalmente ostile.
  Questa riforma, anche per rispondere all'onorevole Calabria, al contrario di quanto ella sostiene, prende atto della situazione attuale del mercato del lavoro, del mondo internazionale, della competitività internazionale delle imprese.
  Ed è proprio da lì che parte, dalla esigenza, dal bisogno di dare delle risposte concrete, non ideologizzate, in grado di venire incontro alle esigenze sia delle aziende e del mondo produttivo sia dei lavoratori e delle persone che in tutti questi anni sono state abbandonate.
  Questa è una situazione che non è più tollerabile. Prende atto, come dicevo, del superamento del concetto del lavoro e del diritto al lavoro come tutela del posto di lavoro, come tutela di un posto di lavoro che non si può più toccare, passando da quella nozione alla nozione di tutela del lavoratore. Cioè, si aiuta il lavoratore ad essere occupabile, a ritrovare un nuovo lavoro quando nell'azienda in cui è impiegato non è più possibile essere occupato. Questa è la concezione di tutela di diritto al lavoro che noi accogliamo in questo disegno di legge delega e che rivoluziona la logica e la cultura del lavoro del nostro Paese. Quindi, si supera quello che viene chiamato «il regime della job property». Non è una proprietà il posto di lavoro, ma è un diritto avere i servizi, avere le condizioni per potere essere occupabili, per potere ritrovare il lavoro, per non dovere subire la flessibilità che oggi c’è ed è richiesta alle imprese nel mondo del lavoro.
  D'altronde, non si potrebbe pensare, non sarebbe immaginabile che l'azienda, le aziende, in generale, nel sistema della competizione internazionale di oggi, non avessero la possibilità di riconfigurare i propri organigrammi, il proprio personale per venire incontro a dei cicli economici, che cambiano con una fretta molto maggiore rispetto al passato, a delle innovazioni tecnologiche che costringono le imprese a riconfigurarsi, a cambiare produzione, a cambiare prodotti, a cambiare mercati.
  Quindi, di fronte a questa flessibilità, che è necessaria all'impresa, non si può rispondere con una normativa del mondo del lavoro che è complicata, è burocratica, è allungata da enormi incertezze operative per l'impresa. Spesso costringe le imprese ad essere trascinate davanti a un giudice e qui entrano in gioco anche le lentezze del sistema giudiziario italiano, che per anni e anni costringe le imprese ad operare senza sapere quello che accadrà nel rapporto rispetto a quel lavoratore, se dovrà essere Pag. 34reintegrato, se si dovranno pagare multe, se si dovranno pagare arretrati, e tutto questo, magari, può risolversi anni dopo, quando magari quell'azienda già quasi non esiste più o fa altro o è su tutt'altro scenario competitivo.
  Quindi, questo tipo di funzionamento del mercato del lavoro non poteva andare avanti, era evidente. D'altronde, questo lo abbiamo visto e ne abbiamo pagato le conseguenze su due piani: un piano macroeconomico, per così dire, che è stato rispecchiato dall'incapacità dell'Italia, del sistema Italia di essere competitivo negli ultimi venti anni e di essere capace anche di cavalcare le possibili riprese, perché questo sistema così ingessato, questa normativa pesante, burocratica e rigida del mercato del lavoro ha impedito alle imprese italiane anche di potere cavalcare le fasi positive del ciclo e lo possiamo vedere molto chiaramente. Per esempio, ci sono stati, negli ultimi venti anni a livello internazionale, dei periodi espansivi, in cui per alcuni anni altri Paesi sono riusciti a crescere e anche di tanto, mentre l'Italia aveva un encefalogramma quasi piatto. Non siamo mai riusciti a cavalcare questi periodi, anche a causa di questo genere di normative, di ingessature e di freni alla crescita.
  E poi ha un altro impatto, quello un po’ più microeconomico, quello che si riflette nella vita dei giovani, dei lavoratori che hanno subito questo sistema. È stato ricordato prima da alcuni interventi, anche dall'onorevole Pizzolante, come ormai proprio a causa di questa normativa, barocca e superata, l'80 per cento dei contratti che si stipulano ogni anno non sono più contratti a tempo indeterminato ma sono di altre forme. Questo cosa significa ? Significa che i giovani – e questo lo dico anche all'onorevole Gnecchi, che molto appassionatamente ha perorato la causa dei giovani – non conoscono già l'articolo 18 e non lo conoscono più da anni. Non sanno cosa significa non solo l'articolo 18, ma non conoscono molte altre forme di tutele e, quindi, noi abbiamo una fetta sempre più ridotta di lavoratori che magari viene tenuta rigidamente attaccata al posto di lavoro, a volte anche in maniera ipocrita, magari con degli ammortizzatori e con degli strumenti di tutela che li tengono attaccati a un posto di lavoro che, di fatto, non esiste più.
  E quindi per anni vengono tenuti, come si suol dire a volte, nel congelatore con delle casse integrazioni che durano anni e anni senza poi dare a queste persone degli strumenti di riqualificazione per poter rientrare attivamente nel mercato del lavoro e, dall'altro lato, abbiamo milioni di giovani che possono ritrovarsi soli e abbandonati dalla sera alla mattina, senza non solo ammortizzatori, ma nemmeno servizi, formazione, qualificazione, che gli possano consentire di orientarsi e rioccuparsi nel mercato del lavoro. Questo dualismo ha distrutto anche il nostro tessuto sociale, ha ucciso le speranze e le ambizioni di tanti giovani. Questo è il tentativo che si sta cercando di fare; è questo quello che sta facendo questa legge delega: delega il Governo a porre rimedio a queste disfunzioni del nostro sistema del mercato del lavoro, che hanno avuto queste ripercussioni devastanti sia a livello macroeconomico che a livello microeconomico e sociale. Questo è quello che si sta facendo attraverso il codice semplificato del lavoro, che dà delle certezze anche agli investimenti internazionali che vogliono venire in Italia a generare crescita e lavoro e crea anche degli strumenti di flessibilità diversi dal licenziamento. Quando si accusano – e mi riferisco al collega dei 5 Stelle Cominardi – strumenti come il demansionamento non ci si rende conto che questi invece sono strumenti che aiutano l'impresa a far fronte a delle difficoltà senza dover ricorrere al licenziamento. Dare alle imprese degli strumenti di flessibilità di questo genere fa in modo che il licenziamento diventi davvero l'ultima risorsa. Questo è anche quello che è avvenuto in Spagna, per esempio. Si accusa la riforma spagnola del mercato, si dice che ha reso il licenziamento troppo facile, ma non è solo quella la riforma. Quella è stata una riforma che invece ha reso il licenziamento la risorsa di ultima istanza, dando alle imprese la possibilità di cambiare Pag. 35turni, cambiare orari, demansionare, aggiustare i processi all'interno dell'impresa per andare incontro ai cicli economici. Questo è quello che bisogna cercare di fare e al tempo stesso introdurre a fianco a questa flessibilità delle tutele più adeguate e più estese anche a quelle forme di lavoro che fino ad oggi non sono state coperte. Riuscire a dare una tutela, per esempio, come si cerca di fare in questa legge delega, di maternità per tutte quelle donne che fino ad oggi non ne hanno beneficiato, e questa credo che sia una cosa importantissima che va riconosciuta, aiutare poi la semplificazione per le imprese, unificare i controlli, creare dei sistemi di servizi all'impiego che finalmente facciano davvero quello che dicono di voler fare, creare dei servizi per aiutare le persone a trovare lavoro e non lasciarle sole. Oggi troppo pochi posti di lavoro sono intermediati da questi soggetti e le persone sono lasciate sole a cercare la raccomandazione, a cercare l'amico, a cercare il canale informale e sono i sistemi che danno più incertezza, che fanno sentire le persone più sole soprattutto quelle deboli che questi canali informali non ce li hanno. Per questo dobbiamo anche lì prenderci un impegno tutti, e qui faccio un appello al Ministro e al sottosegretario: in sede di decreti diamo una priorità e una attenzione particolare a questa riforma delle politiche attive per l'impiego, del collegamento con la formazione, dei servizi per l'impiego che non hanno funzionato e che dobbiamo a tutti i costi rafforzare e provare a far funzionare, perché quella è la risposta più importante che diamo ai giovani, non un finto articolo o una finta protezione, la risposta che diamo ai giovani è: vi diamo dei luoghi che vi aiuteranno, che vi sosterranno nella ricerca del lavoro, che vi metteranno in contatto con le aziende, che aiuteranno a fare incontrare gli imprenditori con i giovani che hanno voglia di mettersi in gioco. Questa è la risposta che bisogna dare ai giovani perché ora sono soli, sono soli, e questo bisogna fare mettendo tutti insieme, le regioni, il Ministero, le università, le scuole. È questa la grande sfida su cui veramente voglio fare un appello per quando saremo in sede di decreti delegati. Certo siamo tutti consapevoli che creare posti di lavoro e creare occupazione non richiede solo un cambiamento di norma o di statuto.
  IRENE TINAGLI. Signor Presidente, signor Ministro, questa legge delega che stiamo discutendo e che ci accingiamo a votare segna davvero un profondo cambiamento e una profonda innovazione di quello che è il mercato del lavoro e la situazione anche di milioni di giovani che hanno sofferto in questi anni una regolamentazione del mercato del lavoro che gli era totalmente ostile.
  Questa riforma, anche per rispondere all'onorevole Calabria, al contrario di quanto ella sostiene, prende atto della situazione attuale del mercato del lavoro, del mondo internazionale, della competitività internazionale delle imprese.
  Ed è proprio da lì che parte, dalla esigenza, dal bisogno di dare delle risposte concrete, non ideologizzate, in grado di venire incontro alle esigenze sia delle aziende e del mondo produttivo sia dei lavoratori e delle persone che in tutti questi anni sono state abbandonate.
  Questa è una situazione che non è più tollerabile. Prende atto, come dicevo, del superamento del concetto del lavoro e del diritto al lavoro come tutela del posto di lavoro, come tutela di un posto di lavoro che non si può più toccare, passando da quella nozione alla nozione di tutela del lavoratore. Cioè, si aiuta il lavoratore ad essere occupabile, a ritrovare un nuovo lavoro quando nell'azienda in cui è impiegato non è più possibile essere occupato. Questa è la concezione di tutela di diritto al lavoro che noi accogliamo in questo disegno di legge delega e che rivoluziona la logica e la cultura del lavoro del nostro Paese. Quindi, si supera quello che viene chiamato «il regime della job property». Non è una proprietà il posto di lavoro, ma è un diritto avere i servizi, avere le condizioni per potere essere occupabili, per potere ritrovare il lavoro, per non dovere subire la flessibilità che oggi c’è ed è richiesta alle imprese nel mondo del lavoro.
  D'altronde, non si potrebbe pensare, non sarebbe immaginabile che l'azienda, le aziende, in generale, nel sistema della competizione internazionale di oggi, non avessero la possibilità di riconfigurare i propri organigrammi, il proprio personale per venire incontro a dei cicli economici, che cambiano con una fretta molto maggiore rispetto al passato, a delle innovazioni tecnologiche che costringono le imprese a riconfigurarsi, a cambiare produzione, a cambiare prodotti, a cambiare mercati.
  Quindi, di fronte a questa flessibilità, che è necessaria all'impresa, non si può rispondere con una normativa del mondo del lavoro che è complicata, è burocratica, è allungata da enormi incertezze operative per l'impresa. Spesso costringe le imprese ad essere trascinate davanti a un giudice e qui entrano in gioco anche le lentezze del sistema giudiziario italiano, che per anni e anni costringe le imprese ad operare senza sapere quello che accadrà nel rapporto rispetto a quel lavoratore, se dovrà essere Pag. 34reintegrato, se si dovranno pagare multe, se si dovranno pagare arretrati, e tutto questo, magari, può risolversi anni dopo, quando magari quell'azienda già quasi non esiste più o fa altro o è su tutt'altro scenario competitivo.
  Quindi, questo tipo di funzionamento del mercato del lavoro non poteva andare avanti, era evidente. D'altronde, questo lo abbiamo visto e ne abbiamo pagato le conseguenze su due piani: un piano macroeconomico, per così dire, che è stato rispecchiato dall'incapacità dell'Italia, del sistema Italia di essere competitivo negli ultimi venti anni e di essere capace anche di cavalcare le possibili riprese, perché questo sistema così ingessato, questa normativa pesante, burocratica e rigida del mercato del lavoro ha impedito alle imprese italiane anche di potere cavalcare le fasi positive del ciclo e lo possiamo vedere molto chiaramente. Per esempio, ci sono stati, negli ultimi venti anni a livello internazionale, dei periodi espansivi, in cui per alcuni anni altri Paesi sono riusciti a crescere e anche di tanto, mentre l'Italia aveva un encefalogramma quasi piatto. Non siamo mai riusciti a cavalcare questi periodi, anche a causa di questo genere di normative, di ingessature e di freni alla crescita.
  E poi ha un altro impatto, quello un po’ più microeconomico, quello che si riflette nella vita dei giovani, dei lavoratori che hanno subito questo sistema. È stato ricordato prima da alcuni interventi, anche dall'onorevole Pizzolante, come ormai proprio a causa di questa normativa, barocca e superata, l'80 per cento dei contratti che si stipulano ogni anno non sono più contratti a tempo indeterminato ma sono di altre forme. Questo cosa significa ? Significa che i giovani – e questo lo dico anche all'onorevole Nicchi, che molto appassionatamente ha perorato la causa dei giovani – non conoscono già l'articolo 18 e non lo conoscono più da anni. Non sanno cosa significa non solo l'articolo 18, ma non conoscono molte altre forme di tutele e, quindi, noi abbiamo una fetta sempre più ridotta di lavoratori che magari viene tenuta rigidamente attaccata al posto di lavoro, a volte anche in maniera ipocrita, magari con degli ammortizzatori e con degli strumenti di tutela che li tengono attaccati a un posto di lavoro che, di fatto, non esiste più.
  E quindi per anni vengono tenuti, come si suol dire a volte, nel congelatore con delle casse integrazioni che durano anni e anni senza poi dare a queste persone degli strumenti di riqualificazione per poter rientrare attivamente nel mercato del lavoro e, dall'altro lato, abbiamo milioni di giovani che possono ritrovarsi soli e abbandonati dalla sera alla mattina, senza non solo ammortizzatori, ma nemmeno servizi, formazione, qualificazione, che gli possano consentire di orientarsi e rioccuparsi nel mercato del lavoro. Questo dualismo ha distrutto anche il nostro tessuto sociale, ha ucciso le speranze e le ambizioni di tanti giovani. Questo è il tentativo che si sta cercando di fare; è questo quello che sta facendo questa legge delega: delega il Governo a porre rimedio a queste disfunzioni del nostro sistema del mercato del lavoro, che hanno avuto queste ripercussioni devastanti sia a livello macroeconomico che a livello microeconomico e sociale. Questo è quello che si sta facendo attraverso il codice semplificato del lavoro, che dà delle certezze anche agli investimenti internazionali che vogliono venire in Italia a generare crescita e lavoro e crea anche degli strumenti di flessibilità diversi dal licenziamento. Quando si accusano – e mi riferisco al collega dei 5 Stelle Cominardi – strumenti come il demansionamento non ci si rende conto che questi invece sono strumenti che aiutano l'impresa a far fronte a delle difficoltà senza dover ricorrere al licenziamento. Dare alle imprese degli strumenti di flessibilità di questo genere fa in modo che il licenziamento diventi davvero l'ultima risorsa. Questo è anche quello che è avvenuto in Spagna, per esempio. Si accusa la riforma spagnola del mercato, si dice che ha reso il licenziamento troppo facile, ma non è solo quella la riforma. Quella è stata una riforma che invece ha reso il licenziamento la risorsa di ultima istanza, dando alle imprese la possibilità di cambiare Pag. 35turni, cambiare orari, demansionare, aggiustare i processi all'interno dell'impresa per andare incontro ai cicli economici. Questo è quello che bisogna cercare di fare e al tempo stesso introdurre a fianco a questa flessibilità delle tutele più adeguate e più estese anche a quelle forme di lavoro che fino ad oggi non sono state coperte. Riuscire a dare una tutela, per esempio, come si cerca di fare in questa legge delega, di maternità per tutte quelle donne che fino ad oggi non ne hanno beneficiato, e questa credo che sia una cosa importantissima che va riconosciuta, aiutare poi la semplificazione per le imprese, unificare i controlli, creare dei sistemi di servizi all'impiego che finalmente facciano davvero quello che dicono di voler fare, creare dei servizi per aiutare le persone a trovare lavoro e non lasciarle sole. Oggi troppo pochi posti di lavoro sono intermediati da questi soggetti e le persone sono lasciate sole a cercare la raccomandazione, a cercare l'amico, a cercare il canale informale e sono i sistemi che danno più incertezza, che fanno sentire le persone più sole soprattutto quelle deboli che questi canali informali non ce li hanno. Per questo dobbiamo anche lì prenderci un impegno tutti, e qui faccio un appello al Ministro e al sottosegretario: in sede di decreti diamo una priorità e una attenzione particolare a questa riforma delle politiche attive per l'impiego, del collegamento con la formazione, dei servizi per l'impiego che non hanno funzionato e che dobbiamo a tutti i costi rafforzare e provare a far funzionare, perché quella è la risposta più importante che diamo ai giovani, non un finto articolo o una finta protezione, la risposta che diamo ai giovani è: vi diamo dei luoghi che vi aiuteranno, che vi sosterranno nella ricerca del lavoro, che vi metteranno in contatto con le aziende, che aiuteranno a fare incontrare gli imprenditori con i giovani che hanno voglia di mettersi in gioco. Questa è la risposta che bisogna dare ai giovani perché ora sono soli, sono soli, e questo bisogna fare mettendo tutti insieme, le regioni, il Ministero, le università, le scuole. È questa la grande sfida su cui veramente voglio fare un appello per quando saremo in sede di decreti delegati. Certo siamo tutti consapevoli che creare posti di lavoro e creare occupazione non richiede solo un cambiamento di norma o di statuto.

  PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Tinagli. Presidente Damiano, la ringrazio. Prego, onorevole Tinagli.

  IRENE TINAGLI. Nessuno ha mai detto il contrario. Nessuno ha mai creato l'illusione che con una modifica di una norma magicamente si creassero posti di lavoro; si creano delle condizioni.
  Bisogna anche considerare che questa riforma si accompagna parallelamente a degli interventi importanti sulla riduzione della tassazione per le imprese, quello che si sta facendo nella legge di stabilità, in cui, per la prima volta, si fa veramente un taglio sostanzioso dell'IRAP, della tassazione sulle imprese, una decontribuzione importante per le nuove assunzioni. Quindi, si cerca di accompagnare, e di fare, un insieme di misure, per creare quelle condizioni, come con il piano del made in Italy che aiuterà le imprese. Noi, come Scelta Civica, in particolare, siamo felici che il Governo abbia accolto anche le nostre richieste per il finanziamento del piano straordinario per l’export proposto dal Viceministro Calenda, perché le imprese possano essere aiutate a sfruttare la domanda esterna, se la nostra domanda interna fa fatica a decollare, non ci dimentichiamo che esiste un mondo fuori dove le nostre imprese possono crescere, e possono far bene, e questo aiuta anche a generare occupazione in Italia. Quindi, queste sono le misure che si stanno mettendo in piedi, e tutte insieme, ciascuna di queste, rappresenta un tassello di un piano, di una visione, di un tentativo, di far crescere il nostro Paese, restituire speranza ai lavoratori e generare nuova occupazione. Queste sono state tutte cose possibili – ci tengo a sottolinearlo – anche da parte di un Governo che ha, al proprio interno, forze diverse che si sono misurate, ha forze riformatrici, come Scelta Civica Pag. 36che è arrivata in Parlamento per la prima volta, portando imprenditori, professionisti, che hanno dato il loro contributo, e che cercano di dare una mano per far crescere il Paese. Questo è un confronto costruttivo, fatto nell'interesse del Paese. Non è una legge che distruggerà, ma si tratta di leggi, di decreti, che aiuteranno, perché questo è lo spirito, perché se si fosse voluto distruggere, si potevano rendere queste modifiche, come pure qualcuno aveva chiesto, applicabili a tutti i contratti indiscriminatamente, mettendo, quindi, una sorta di retroattività dell'abrogazione dell'articolo 18. Questo non è stato fatto, e non è stato fatto proprio per l'attenzione alle possibili problematiche sociali. Queste sono le riforme, anche sull'articolo 18, che si applicano ai nuovi contratti. Tutta questa attenzione è stata posta, è stata dedicata, a questa riforma, nell'interesse del Paese, grazie al lavoro congiunto delle forze di maggioranza. Ringrazio anch'io il Ministro e il sottosegretario, che hanno avuto la disponibilità al confronto, al dialogo, e al raggiungimento di una soluzione che, a nostro avviso, potrà portare molti benefici al nostro Paese e alle generazioni future.

  PRESIDENTE. Sospendiamo, a questo punto, la seduta, che riprenderà alle ore 15, per il seguito della discussione sulle linee generali del provvedimento in esame.
  La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 13, è ripresa alle 15,05.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Amici, Baretta, Bellanova, Michele Bordo, Bressa, Caparini, Cicchitto, Epifani, Ferranti, Fontanelli, Giancarlo Giorgetti, Manciulli, Martella, Pisicchio, Portas, Ravetto, Speranza, Vignali e Vito sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente novanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 2660-A)

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tripiedi. Ne ha facoltà.

  DAVIDE TRIPIEDI. Grazie Presidente, le aziende chiuse nell'anno 2013 sono 14.269, il 54 per cento in più del 2009. Le aziende che, invece, utilizzano la cassa integrazione sono 6.151. Si sono spesi più di 3 miliardi e mezzo per pagare la cassa integrazione a queste persone, che non lavorano per crisi aziendali. Oggi il Governo ne vuole utilizzare 2,2 miliardi. Quindi c’è qualcosa che non torna.
  Le aziende che delocalizzano sono 22.081. Questo è un dato del 2010, quindi nel 2013 sono decisamente aumentate. I disoccupati in Italia, invece, sono 3 milioni 254 mila. Abbiamo avuto un aumento del 12 per cento in confronto all'anno scorso. Invece in Italia i poveri sono 10 milioni, sei milioni di questi in povertà assoluta.
  Come agisce il Governo innanzi a questi numeri da guerra, perché questa è una guerra ? Agisce demansionando, video-sorvegliando, eliminando i diritti e tipizzando il disciplinare. Io non riesco a capire, in un sistema dove le aziende non hanno il lavoro, come si può credere, Ministro Poletti... io sono contento che è qui in Aula, perché anche con il decreto-legge n. 34 del 2014 il Ministro Poletti non si era fatto vedere; oggi ce lo abbiamo e ci togliamo un po’ di sassi dalle scarpe, perché il suo decreto non ha portato assolutamente risultati: ha portato solo precarietà.Pag. 37
  La vera riforma del lavoro è fiscale, Poletti. Non è agendo sulla contrattualistica che si crea occupazione: dobbiamo agire sull'Irap. Le microimprese non devono pagare più l'Irap, perché un lavoratore costa mille euro all'anno solo di Irap. Se noi agissimo, invece, in un sistema diverso, avremmo la possibilità di produrre, non di produrre all'ennesima potenza, ma di produrre intelligentemente: investimenti nella riqualificazione edilizia, investimenti nel trasporto. Invece qui il Governo oggi ci fa credere che con quattro cose irrisorie – perché non c’è scritto nulla in questo disegno di legge – si migliorerà il mondo del lavoro.
  Questo è assolutamente falso, noi dobbiamo agire in altro modo. Una delle riforme possibili per agire sul mondo del lavoro è abrogare la riforma Fornero, così almeno i giovani magari rientrano nel mondo del lavoro, facendo cambio generazionale. Questo non è avvenuto. Ricordo ancora che Poletti in quel tavolo, il famoso tavolo che abbiamo fatto con tutte le forze politiche, ci aveva detto: in legge di stabilità daremo una risposta a tutte quelle persone che non prendono la pensione e che sono state penalizzate da una riforma vergognosa, che è quella Fornero, che è stata avallata dal Partito Democratico e da Forza Italia. Quindi quei partiti, che hanno avallato quella riforma pensionistica, oggi dicono che non va bene.
  Stessa cosa si rifarà con la legge delega. Hanno delegato il Governo a fare una riforma così importante senza la partecipazione dei deputati. Infatti, oggi il Governo delega se stesso. Io ricordo che sono stati presentati più di 300 emendamenti in Commissione lavoro. Siamo entrati nel merito del provvedimento e sono stati accolti due emendamenti, che sono semplici correzioni di bozze.
  Io non posso sentire dal presidente Damiano che sono scelte politiche, perché, di fatto, si esclude il 25 per cento del Paese. Noi siamo venuti qui per migliorare il sistema istituzionale. Invece, ci rendiamo conto che anche da dentro c’è un ostruzionismo tale da parte vostra che vuole escludere, di fatto, il MoVimento 5 Stelle da ogni tipo di proposta. Infatti, poi non ci venite a dire che noi siamo quelli che dicono sempre di «no», perché noi in tutti i modi abbiamo cercato di essere collaborativi.
  Oggi, invece, avete annullato tutte le proposte di visione e di concretezza del MoVimento 5 Stelle. Io non posso credere che il Governo abbandoni completamente le opposizioni, tutte le opposizioni. Ministro, siamo arrivati a uscire dalla Commissione. Siamo arrivati a uscire dalla Commissione perché non se ne poteva più. Non se ne poteva più di questo teatrino che c'era tra PD e Nuovo Centrodestra. E in questo caso io non posso che dar ragione al collega Pizzolante quando dice al presidente Damiano che ha cambiato punti, virgole e sinonimi. Io l'ho scritto: punti, virgole e sinonimi. È vero. Il principio liberista è stato portato avanti dal Nuovo Centrodestra e da Damiano, dal presidente Damiano, perché questi sono i fatti.
  Io voglio solo ricordare al Ministro Poletti che noi siamo secondi, solo dopo la Romania, come livello di emigrazione. I nostri giovani se ne vanno all'estero. Prima di noi c’è solo la Romania, quindi deve venire qualche dubbio. Modificando i contratti o cambiando punti e virgole o distruggendo l'articolo 18, che tutela i lavoratori, non si crea occupazione, ce lo dice la storia. La legge Biagi non ha creato occupazione, la legge Biagi ha creato precarietà, così come questa legge delega in bianco porterà ancora più precarietà.
  Io, Ministro, ero presente quando la CGIL ha portato 3 milioni di lavoratori in piazza per difendere l'articolo 18 ed era presente anche Damiano. Oggi il presidente di Commissione presente alla manifestazione della CGIL per difendere l'articolo 18, avalla la distruzione dell'articolo 18 stesso, perché, di fatto, si è annullato completamente il licenziamento economico, già distrutto dalla Fornero sempre a causa del Partito Democratico, sempre ricordando quella riforma che avete avallato, sempre ricordando quella riforma che andate nelle piazze a dire che è una vergogna.Pag. 38
  Io da semplice lavoratore le dico che distruggendo il diritto avete distrutto una storia, una storia di lotte, una storia di conquiste. Poi ricordiamo anche al Presidente Renzi come mai il Partito Comunista non aveva votato l'articolo 18 e la riforma che nel 1970 si fece. Lo sapete perché ? Lo ricordiamo anche a lui, perché non trovavano giusto l'accordo che si era concluso sul sindacato, sulla libertà sindacale. Ecco la verità, questa è la verità. Si sono astenuti, infatti.
  Io direi che con questa riforma, Presidente, andremo ancora di più a distruggere la nostra gioventù, i nostri figli, i nostri padri che hanno contribuito a combattere per avere un po’ di dignità nel mondo del lavoro e vorrei anche ricordare tutti quei lavoratori che sono stati licenziati ingiustamente e che oggi si ribellano e sono in quelle piazze e che manifestano contro questo tipo di sistema perché non si può delegare un Governo che pensa che l'energia futura sia il petrolio a fare una legge così, perché oggi il Governo va a trivellare il nostro Paese, il nostro bel Paese. Lo trivella e se questa è l'intenzione del Governo per creare energia, io mi immagino qual è l'intenzione del Governo per creare lavoro, quindi schiavizzare, perché noi renderemo alle multinazionali il campo libero...

  PRESIDENTE. Deve concludere, per favore.

  DAVIDE TRIPIEDI. Termino, Presidente. È una manovra volta ad agevolare le multinazionali e non le piccole e medie imprese. Il 95 per cento del nostro tessuto sociale e produttivo è costituito da piccole e medie imprese. Oggi, invece, si aiutano le multinazionali a venire qua in Italia a fare scempio dei nostri diritti...

  PRESIDENTE. Chiuda, deve chiudere, per favore, perché è ben oltre il suo tempo.

  DAVIDE TRIPIEDI. L'ultima cosa, Presidente, perché in otto minuti lei potrà benissimo capire...

  PRESIDENTE. No, è oltre due minuti il suo tempo. La prego di chiudere, veramente.

  DAVIDE TRIPIEDI. Voglio lanciare questo messaggio a tutti i lavoratori: non vi preoccupate, quando saremo al Governo tutti i diritti che il Partito Democratico vi ha tolto ve li inseriremo... (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Grazie. È iscritto a parlare il deputato Sannicandro. Ne ha facoltà.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Vedevo scritto Baruffi, perciò mi sono sorpreso.

  PRESIDENTE. C’è Baruffi ? Nel foglio che mi hanno dato è cancellato. Chiedo perdono, c’è stato un errore da parte nostra. Chiedo scusa ad entrambi.
  È iscritto a parlare il deputato Baruffi. Ne ha facoltà.

  DAVIDE BARUFFI. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, onorevole sottosegretario, la legge delega all'esame dell'Aula è piuttosto ampia ed ambiziosa negli obiettivi dichiarati del Governo: rafforzare i diritti nel lavoro, distinguere le tutele per chi perde il lavoro e sostenerlo nella ricerca di una nuova occupazione, rendere più efficiente il mercato del lavoro.
  Per realizzare questi obiettivi il Governo ha individuato alcuni assi principali di intervento pienamente condivisibili: l'estensione degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro o in caso di disoccupazione; il potenziamento delle politiche attive del lavoro, uno dei punti di maggiore debolezza del nostro sistema; l'integrazione di questo con le politiche passive che richiamavo; la revisione e la semplificazione normativa per tutto ciò che attiene alla costruzione e alla gestione dei rapporti di lavoro, superando la stratificazione normativa e burocratica che caratterizza questo settore; la lotta alla precarietà attraverso il disboscamento delle tipologie contrattuali e il superamento Pag. 39in particolare di quelle più precarizzanti; la riaffermazione importante della centralità del contratto di lavoro a tempo indeterminato, che si vuole più vantaggioso, e la costruzione di un canale di accesso, in particolare per i nuovi assunti, con un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
   Sono obiettivi questi pienamente condivisibili e coerentemente sostenuti dalle iniziative che il Governo sta portando avanti con il disegno di legge di stabilità – anche in questo momento vi sta lavorando la Commissione bilancio – per sostenere le idee che noi andiamo affermando da tempo, a partire dal fatto che un'ora di lavoro a tempo indeterminato debba costare di meno di un'ora di lavoro a tempo determinato. Io segnalo anche al collega Tripiedi: ci sono scelte che vanno esattamente in questa direzione. Perché l'IRAP sul lavoro viene completamente azzerata – la componente lavoro – e c’è una decontribuzione importante per i nuovi assunti nel 2015 che continuerà per tre anni. Il progetto del Governo è sostanzialmente quello di combattere la precarietà, decomponendo un mercato del lavoro troppo frammentato e promuovendo la stabilità fin dall'inizio attraverso una forma contrattuale più qualificata, il contratto a tutele crescenti che favorisca il reciproco e crescente affidamento tra impresa e lavoratore. Questa è la filosofia innovativa contenuta nella delega.
  Sono obiettivi che erano contenuti fin dall'inizio, ma il lavoro parlamentare, prima al Senato e ora alla Camera, li ha certamente migliorati e irrobustiti. Il dibattito di questi giorni su quanto sia davvero cambiata la delega ormai è diventato anche un po’ stucchevole. Io vorrei ragionare, invece, di come è cambiata la delega, di qual è il segno politico che il cambiamento ha impresso nel provvedimento. Noi abbiamo senz'altro qualificato i punti di forza del provvedimento laddove si sostanziano i diritti dentro e fuori il rapporto di lavoro e laddove si combatte la precarietà. Li ricordavo: ammortizzatori sociali, integrazione tra politiche attive e passive, disboscamento delle tipologie, centralità del contratto a tempo indeterminato, conciliazione e potrei continuare. Sono tutti provvedimenti che hanno il segno del riformismo e hanno il segno del Partito Democratico. Noi su questi abbiamo confermato e rafforzato.
  Abbiamo viceversa inteso correggere i rischi di cedimento e le possibili contraddizioni che alcuni dispositivi pure contenevano: demansionamento, controlli a distanza, voucher, l'idea di andare ad abolire l'articolo 18. Su questi punti si vedeva di più la mano del centrodestra e noi abbiamo corretto. Un punto di vista diverso, quello del centrodestra, che io rispetto, anche quando, come qui, assume i toni e anche il lessico del craxismo anticomunista e anti CGIL che ha usato il collega Pizzolante che adesso non c’è. È un punto che rispetto, ma che contrasto, non solo perché sono un uomo di sinistra, a differenza dell'onorevole Pizzolante, ma perché credo che quell'impianto ideologico ha fallito alla prova dei fatti. Pensare di accrescere la competitività delle imprese svalutando i diritti dei lavoratori è non solo di destra, ma sbagliato, perché è per quella via che abbiamo perso competitività e produttività in questo Paese negli ultimi anni. Pensare di poter demansionare unilateralmente, senza vincoli, un lavoratore o di controllarlo con telecamere significa avere in testa un'idea di produttività che ricorda il Charlie Chaplin dei «Tempi moderni». È un'idea vecchia, non solo odiosa, ma fallimentare. Noi crediamo all'opposto nell'autonomia, nella professionalità che nasce nella formazione, nella responsabilità che nasce nella partecipazione e nella stabilità. Per questa ragione abbiamo corretto la delega qui e al Senato su questi punti.
  Voglio chiudere con due considerazioni. Non ho parlato di articolo 18 che in questo impianto ha peraltro uno spazio marginale. Ritengo sia stato un errore mettere al centro questa discussione che ha occultato il resto di quanto di buono – e c’è di buono – è presente in questa delega e non se ne sentiva davvero alcun bisogno. La seconda considerazione: c’è un dibattito ideologico sbagliato che allontana Pag. 40dai fatti e dai testi. Questo scontro – è davvero l'ultima cosa che voglio dire – non nasce però solo dall'articolo 18; c’è la condizione materiale di milioni di persone che è progressivamente peggiorata in questi sei anni di crisi durissima. Strati crescenti della popolazione che guardano con angoscia e sfiducia al futuro. Non vedere questo, anzitutto questo nelle piazze, negli scioperi, nella protesta sarebbe grave e pericoloso perché dopo la pur difficile rappresentanza collettiva del disagio viene la rabbia e la ricerca di soluzioni individuali. E per queste ragioni non coltivare il dialogo sociale sarebbe un errore, è un errore esiziale. Quando c’è accordo sul merito è importante discutere; quando non c’è accordo, diventa determinante. Dialogo e rispetto sono tanto più necessari quanto più la distanza tra le posizioni cresce. E il compito di chi governa, sempre, ma soprattutto nella tempesta, è unire. E se c’è un incendio, io credo che sia quello di tirare una secchiata d'acqua perché a tirare una secchiata di benzina un irresponsabile lo si trova sempre. La rappresentanza, tutta la rappresentanza, quella politica e quella sociale, è sicuramente in crisi nel nostro Paese e non solo. È un problema in più per noi, per quest'Aula del Parlamento, soprattutto per chi governa, non un problema in meno. C’è una periferia sociale crescente e ho detto quale può essere lo sbocco. Giocare alla reciproca delegittimazione tra le parti è il peggiore errore che le rappresentanze possano compiere nella difficoltà. Questo è il tempo in cui bisogna ricomporre, tendere una mano, riaprire spazi di confronto, non piantare bandierine. Abbiamo lavorato in Commissione lavoro soprattutto per questo, per riaprire uno spazio di dialogo su un terreno più avanzato, nel rispetto di tutti, ma consapevoli che spetta sempre alla politica compiere il primo passo.
  Per quanto di nostra competenza, noi qui lo abbiamo fatto e io credo che il Governo debba considerare questo punto avanzato e positivo, che è stato raggiunto attraverso il dibattito parlamentare, davvero un punto di partenza. C’è una ripartenza necessaria anche nella scrittura dei decreti delegati, ci sono risposte importanti da dare all'interno della legge di stabilità. Ho detto delle cose positive, pienamente condivisibili, che sono contenute nel disegno di legge per il prossimo anno; ci sono delle conferme che attendono una parola chiara da parte del Governo, a partire dal tema degli ammortizzatori sociali: è la parte più nostra, la parte più innovativa. Abbiamo lanciato un messaggio di speranza al Paese, anche a chi la speranza l'ha perduta: credo che i nostri atti debbano essere conseguenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sannicandro. Ne ha facoltà.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Egregia Presidente, egregi colleghi, l'argomento è veramente interessante e potremmo affrontarlo da tanti punti di vista, come molti sono gli spunti che sono venuti dal dibattito, però i pochi minuti a disposizione costringono a fare una scelta. Quindi, la mia scelta è di sottolineare come non si stia «cambiando verso», ma come il Governo Renzi stia continuando tranquillamente, con molta determinazione, sulla strada già disegnata, solcata dai Governi precedenti – dal Governo Letta, dal Governo Berlusconi, in particolare – e, soprattutto, come sia ottimo interprete, tenace interprete, di una cultura antioperaia, di cui oggi abbiamo ascoltato molte espressioni in quest'Aula. C’è stata una collega, la quale ha dedicato tutto il suo tempo a dimostrare che l'economia italiana va indietro per colpa dei lavoratori, trascurando, ovviamente, del tutto le responsabilità di tanti datori di lavoro o di tanti padroni che hanno veramente la responsabilità del declino economico e culturale dell'Italia.
  Quindi, il Governo Renzi non «cambia verso», e lo dicono le parole del disegno di legge delega, anche quelle che appaiono più neutrali. Faccio un esempio pratico. A proposito della disciplina del controllo a distanza, lo Statuto – quello che brevemente si chiama Statuto dei diritti dei Pag. 41lavoratori – all'articolo 4 dice tranquillamente, in modo secco, preciso, inequivocabile: «È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori». Usa tecnicamente un'espressione ampia, perché affida all'evoluzione tecnologica, poi, l'individuazione degli impianti audiovisivi o altre apparecchiature che potrebbero essere utilizzati per controllare l'attività dei lavoratori.
  Perché noi diciamo, perché dite che questo articolo deve essere cambiato ? Perché questa espressione che noi oggi usiamo, alla lettera f) del comma 7, ricalca solo in parte l'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. Perché quell'articolo come continua ? Continua, dicendo che, qualora ci fossero esigenze produttive o organizzative, queste devono essere affrontate con la partecipazione delle organizzazioni sindacali. Cioè, mi devi ascoltare fino a che punto tu debba installare, e in che maniera, questi impianti, in modo da non ledere la mia privacy. Quindi, l'esigenza che l'attuale Governo sente è di espellere dall'interlocuzione su questo punto i diretti interessati, perché, altrimenti, le norme sarebbero sovrapponibili, tranquillamente.
  Ripeto: l'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori continua, dicendo che, qualora fosse necessario, per ragioni produttive o organizzative, impiantare qualcosa che potrebbe indirettamente – indirettamente – violare i diritti dei lavoratori, è bene che questi debbano essere ascoltati. Invece, la norma che noi andiamo a deliberare dice: «revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell'evoluzione tecnologica» – è una banalità – «e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell'impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore».
  «Contemperando», badate bene, è una espressione rivelatrice... «contemperando». Anche la stesura letteraria è del tutto capovolta rispetto all'impianto originario. Non è un fatto lessicale, dice qual è l’animus, dice qual è l'ispirazione dell'attuale Governo.
  D'altra parte, voglio ricordare che in Italia l'attività economica è libera, ma non può svolgersi in danno della libertà, della dignità e della sicurezza dei lavoratori, quindi, qui, abbiamo una cifra del capovolgimento esatto di quella che era la scala di valori contenuta nella Costituzione italiana e nello Statuto dei diritti dei lavoratori.
  Andiamo ad un altro passaggio: il famoso contratto a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio. Ora, il testo che era stato approvato dal Senato era un testo, come dire, più rassicurante, perché si limitava a dire: «previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio». È evidente che il Governo si è reso conto che l'espressione della delega era talmente generica che non poteva superare un eventuale vaglio di costituzionalità e ha buttato la maschera chiarendo che, nel caso di nuove assunzioni, quindi, di giovani, probabilmente, assunti, costoro – altro che tutele crescenti – non potranno godere il patrimonio e la dote di tutele di cui hanno fruito i loro padri, «escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico» e così via. Ma non è questo che mi interessa, mi interessa dire che questo abbattimento delle tutele riguarda i giovani, il futuro !
  Poc'anzi ho anche ascoltato il richiamo al futuro, alla speranza, a un domani più roseo, più sereno, ma noi stiamo, appunto, costruendo un futuro meno prospero e meno rassicurante per le giovani generazioni. Lo scrivete ! Badate, se avessero detto: togliamo l'articolo 18 sia ai vecchi che ai giovani, lo avrei pure potuto capire, avrebbe una sua logica. Come dire, la maschera veniva buttata giù completamente, immediatamente, e si capiva; qui no, il discorso è più perfido. Data la battaglia che i lavoratori stanno conducendo, non avendo ancora la forza di Pag. 42abbattere del tutto l'articolo 18, così come non ebbe questa forza Berlusconi – tant’è che Sacconi ha dovuto dichiarare che mai avrebbe potuto pensare che il suo sogno lo avrebbe realizzato il centrosinistra, anzi, ha detto il PD, per essere più precisi – è evidente che qui si è scelta l'altra linea: non posso togliere quello che è rimasto dell'articolo 18 agli adulti, agli anziani o, comunque, ai già assunti e allora io devo aspettare che mi muoiano tutti, sostanzialmente, affidarmi al tempo, e i nuovi assunti dovranno partire con una dote di tutele che è di gran lunga inferiore a quella di cui attualmente fruiscono i nostri lavoratori.
  Ora, badate, non ho molto tempo, quindi, ho già detto che mi limiterò a questi aspetti e cioè a dire come il Governo Renzi non marci in avanti, ma marci indietro. Dove ci state portando ? Lo ha detto la collega Tinagli, lo hanno detto anche gli altri: verso un mercato del lavoro più efficiente; che cosa significa un mercato del lavoro più efficiente ? È semplice: un mercato in cui i lavoratori si trovano presto e bene, facilmente a disposizione, flessibili come l'impresa desidera e indipendentemente dagli interessi dei lavoratori. Il Governo Renzi ci sta conducendo indietro di anni. Voglio ricordarvi che tra poco, il 2 dicembre, ricorre l'anniversario di quel 2 dicembre del 1968 quando ad Avola persero la vita due braccianti agricoli e ne furono feriti gravemente dalla polizia altri 48. Che cosa chiedevano ?
  Chiedevano esattamente che si ponesse fine a quello che allora c'era: un mercato efficiente, che era il mercato di piazza, il mercato delle braccia, il mercato delle persone. E si sta completando il ciclo, perché lo conquistarono, un mercato pubblico garantito, e poi, in questi anni, l'abbiamo a poco a poco abbattuto. Ma l'avidità antioperaia di una certa classe politica non è mai sazia, e con il Governo Renzi si offre un boccone in più (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Chiara Gribaudo. Ne ha facoltà.

  CHIARA GRIBAUDO. Signora Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, oggi interveniamo in quella che è la discussione forse più importante e realmente di fondo per una Repubblica fondata sul lavoro. Desidero partire da qui e raccogliere apertamente le parole del presidente nazionale dell'ANPI, che alcuni giorni fa spronava a chiedersi se l'articolo 1 della Costituzione sia ancora pienamente un valore.
  La risposta che deve giungere da quest'Aula, da ciascuno di noi, in un momento di così grande e profonda crisi economica, che in qualche modo anche il collega del MoVimento 5 Stelle ci ricordava poco fa, è che sì, è importante, e il sì va rinnovato, deve essere forte e convinto.
  Si è discusso molto dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, una discussione delicata e importante, che, potendo scegliere, mi permetto di dire, non avrei aperto nel modo in cui si è fatto. Io parto però dall'articolo 1 della Costituzione, per dire ancor più chiaramente che siamo di fronte ad un rischio, quello di pensare che i principi e i diritti siano conclusi, che siano acquisiti una volta per tutte e per tutti, che siano sufficienti a se stessi.
  I principi e i diritti sono tali, invece, se vivono nella loro contemporaneità, se continuamente si rinnovano in una società che cambia. Diversamente, non sono più una condizione di eguaglianza, e non sono più patrimonio di tutti, ma un pretesto di esclusione e rivendicazione solo per qualcuno.
  La sintesi che è stata operata dalla nostra Commissione, la Commissione lavoro, nasce allora in due luoghi. Il primo è la realtà del lavoro e della vita delle persone, così come sono oggi, tra vecchie disuguaglianze e nuove ingiustizie, una realtà che non è uniforme né in un senso né in un altro, ma è popolata di molte voci, quelle voci che in Commissione abbiamo ascoltato. Il secondo luogo è il confronto con il Governo e con la prima versione della riforma, quella che è stata modificata già al Senato.
  Partendo da queste basi, si è svolto un lavoro difficile, sia nel metodo che nella Pag. 43sostanza. Quanto al metodo, in Commissione lavoro abbiamo creduto al dialogo e al confronto, anche aspro, come ci ricordava oggi il relatore e presidente Damiano, ma che è sempre stato concreto.
  La maggiore responsabilità a cui siamo chiamati come parlamentari, io credo, è, in fondo, proprio questa: coniugare l'esigenza di decidere presto con quella però di decidere bene.
  Quanto al merito, i contenuti della delega sono molti e molto ampi. Alcuni sono già stati citati, altri ancora verranno ricordati e richiamati dai colleghi. Mi concentro, quindi, su alcuni di quelli che non sono ancora stati toccati e che, soprattutto, sono stati meno al centro delle agenzie o dei giornali.
  Già nel «decreto Poletti» avevamo ottenuto che gli interventi per il nuovo tempo determinato fossero un ponte verso le tutele crescenti. Questo contratto nuovo doveva tradursi, però, in una cosa e una cosa sola: il taglio netto con la maggior parte delle forme di lavoro atipiche e non tutelate. Oggi si scrive a chiare lettere che l'obiettivo è il radicale disboscamento dei contratti. I Cococo, per esempio, andranno ad esaurimento e la forma privilegiata per assumere diventa il tempo indeterminato: esattamente l'opposto di quanto successo negli anni della precarietà.
  Le parole sono importanti, si diceva in un film, quando poi sono scritte nelle leggi – anche se nel tempo ci siamo disabituati a questo – lo sono ancora di più. Tornare a puntare su dei progetti di vita e lavoro di lungo termine affiancati ad una robusta tutela pubblica nel momento in cui il lavoro viene a mancare o deve cambiare: credo sia questa la risposta che dobbiamo a quelle generazioni – tra cui anche la mia – per cui l'incertezza sul presente e sul futuro è stata l'unica, spesso drammatica, condizione di esistenza. Una prima risposta che è comunque un lato della soluzione, proprio perché, se si vuole partire non dalle rappresentazioni ma dalla realtà, oggi dobbiamo dire che molti giovani e molte nuove professioni non sono né possono essere inquadrati nella subordinazione. Una larga parte, di cui dobbiamo occuparci, è il lavoro autonomo.
  Dobbiamo occuparcene perché queste ragazze e questi ragazzi sommano alle difficoltà comuni ai coetanei subordinati l'assenza di tutele e salari spesso ancora più bassi e, anche qui, quell'articolo 1 della Costituzione è un po’ più fragile. È anche sulla loro pelle che si allarga l'ingiustizia paradossale incarnata da chi, pur lavorando, è povero. Un'ingiustizia che ci ha spinto, sin dall'inizio della legislatura, a dire che tra i nostri punti cardinali ci deve essere quello di rendere giusti e più equi i compensi tra lavoratori subordinati ed atipici. Una direzione che anche nei decreti attuativi è bene sia mantenuta e su cui, Ministro, abbiamo tutta l'intenzione di vigilare.
  Se il Jobs Act guarda in parte a questi mondi – ad esempio, estendendo tutele anche ai parasubordinati – ancora di più deve fare la legge di stabilità. In materia di lavoro autonomo, come in tema di politiche attive e di ammortizzatori sociali, possiamo trasformare la coincidenza di queste due leggi nel nostro calendario, in una opportunità per rafforzare gli interventi su entrambi i fronti, unendo nuovi istituti alle risorse necessarie.
  Vanno trovate più risorse sugli ammortizzatori sociali, ne avremo bisogno a maggior ragione nei prossimi mesi nel momento cioè nel quale queste riforme – in particolare quella dei contratti – saranno in via di implementazione, per accompagnare il processo e assorbirne le eventuali criticità.
  Per quanto riguarda il lavoro autonomo, nella legge di stabilità c’è una base importante da cui partire, un segno di attenzione sicuramente nuovo e importante, con una netta inversione di tendenza rispetto ai Governi precedenti. Tuttavia, però, serve fare non so se di più ma certamente fare attenzione e fare meglio per non cadere in alcuni errori. Alcuni li abbiamo già segnalati. L'obiettivo principale è sostenere chi è più debole, favorire chi ha età e redditi più bassi, e combattere le false partite IVA.Pag. 44
  Oggi si può essere però deboli in molti altri modi: di fronte ad un committente unico per cui si svolge di fatto un lavoro dipendente, mascherato da una finta autonomia o, come accade soprattutto a molte donne, soprattutto a molte giovani donne, che insieme al contratto molto spesso devono firmare un foglio in bianco, che sarà tirato fuori di fronte alla loro prima difficoltà, ma soprattutto di fronte alla loro prima gravidanza, giocando così sulla fragilità. Ecco, noi questo non lo possiamo permettere. Non più.
  Sono passati mesi ormai, molti mesi, da quando in questa Aula presi la parola e intervenni in occasione del voto contro le dimissioni in bianco. Una legge che è stata votata da noi a larghissima maggioranza, e, devo dirlo per una volta con grande dispiacere, con l'astensione dei colleghi del MoVimento 5 Stelle, che poi oggi però, attraverso il collega Cominardi, ci parla di «mobbing legalizzato». Una legge che, dopo quel giorno, però al Senato si è arenata in maniera estremamente colpevole dal nostro punto di vista. E allora oggi, grazie alla nostra azione parlamentare, grazie al lavoro delle tante colleghe, siamo riusciti a far rientrare all'interno della legge delega questa norma di civiltà.
  Perché ogni tutela sia effettiva – insieme alla battaglia culturale – un ruolo centrale è sempre rappresentato dai controlli. Anche su questo vorrei soffermarmi un attimo. Questo io credo sia un punto che è stato meno affrontato e raccontato dai media. I controlli oggi nel nostro Paese non funzionano tanto bene, anzi funzionano poco sia perché non vi sono molte risorse sia perché vengono indirizzate in maniera non sempre efficiente. L'Agenzia ispettiva può essere lo strumento con cui rendere migliore innanzitutto la certezza del diritto, unificando le indagini che oggi sono svolte da enti diversi, e mettendo così le basi per una maggiore copertura del territorio, una razionalizzazione dei costi per lo Stato e una maggiore trasparenza anche per le imprese.
  Efficienza e capillarità sono, infine, ciò che deve determinare un vero e proprio cambio di paradigma nel funzionamento del servizio pubblico per l'impiego. Un cambio possibile con l'Agenzia unica per il lavoro. Oggi la frammentazione, l'assenza di una regia nazionale che metta a sistema i servizi pubblici con quelli privati, sono un costo sia dal punto di vista sociale per i lavoratori, sia dal punto di vista economico per le aziende. Dobbiamo ricucire quei pezzi di Paese che – sia nella geografia, che nella società – si stanno sempre più allontanando.
  Mi avvio rapidamente a concludere, Presidente, e tralascio, per ragioni di tempo, molti altri aspetti importanti su cui abbiamo lavorato in Commissione e che mi stanno molto a cuore, penso per esempio all'integrazione dei servizi per le cure parentali, l'introduzione di congedi per le donne sotto protezione per violenza di genere, il mantenimento del livello di salario se, per salvare il posto di lavoro, cambiano le mansioni, il chiarimento che i controlli a distanza non possono essere sui lavoratori ma solo sugli impianti o il monitoraggio, che dovrà verificare gli effetti reali della delega sull'occupazione.
  Concludo ringraziando intanto per il lavoro che abbiamo fatto ed è grazie alla trattativa con il Governo e con la segreteria del Partito Democratico, a partire dalla direzione del PD su questo tema, che il testo oggi è indubbiamente migliorato rispetto a quello uscito dal Senato. Ora la partita si sposta naturalmente nei decreti delegati, per cui chiediamo al Governo appunto da subito una forte trasparenza e condivisione. Abbiamo dimostrato però che si può migliorare la qualità delle leggi nel merito, facendo ognuno la sua parte, nella normale dialettica parlamentare democratica. Tutto questo con l'obiettivo vero di provare a migliorare la vita e il lavoro delle persone. Un risultato che non è figlio di maggioranze o minoranze, ma che è figlio di un lavoro congiunto di tutto il Partito Democratico e che dovrà rivendicare con forza il Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Chimienti. Ne ha facoltà.

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  SILVIA CHIMIENTI. Presidente, Ministro, nel commentare questa delega sul lavoro, generica e incostituzionale, come già ampiamente ribadito dai miei colleghi, permettetemi di manifestare in quest'Aula la mia personale sensazione di dolore. Anche oggi io provo un dolore immenso, lo stesso dell'altra sera, quando in Commissione è stato approvato l'emendamento del Governo che stravolgerà la vita di migliaia di nuovi lavoratori italiani, rendendo di fatto impossibile per tutti i neoassunti essere reintegrati in caso di licenziamento illegittimo. Provo dolore perché non siamo riusciti a fermare questa deriva autoritaria e abbiamo dovuto assistere impotenti al massacro dello Statuto dei lavoratori, perpetrato dalla mano di un Governo non eletto da nessuno, che a ritmi serrati ha di fatto imposto la sua volontà al Parlamento, senza alcuna legittimazione popolare.
  Ma di quale volontà stiamo parlando ? È bene chiederselo, dal momento che l'emendamento in questione porta la firma degli esponenti del Partito Democratico, un partito che dovremmo definire di sinistra, e che invece è riuscito a portare a termine ciò che nemmeno i Governi Berlusconi erano riusciti a immaginare. Sicuramente non stiamo parlando della volontà politica dei suoi elettori, che nel 2013 non hanno trovato traccia dell'intenzione di abolire l'articolo 18 nel programma elettorale del Partito Democratico. «Non si risana il Paese sulla pelle dei lavoratori», diceva Enrico Berlinguer, nel suo discorso alla platea di Confindustria a Firenze nel novembre del 1982.
  E allora, permettetemi di dire che oggi l'approvazione di questo Jobs Act è un'offesa alla memoria di chi spesso, impropriamente, viene vergognosamente annoverato tra i padri spirituali del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). È una vergogna che qualcuno, timidamente, abbia il coraggio di cantare vittoria: la vittoria della minoranza del PD.
  La verità è che dell'articolo 18, già distrutto dalla riforma Fornero appena due anni fa, non esisterà più nulla. Esisterà un simulacro, un finto orpello con cui provare a nascondere il vero volto del Partito Democratico, o meglio del partito aziendalistico di Matteo Renzi.
  Presidente, io provo dolore, perché da oggi la storia di questo Paese cambia in peggio e, con essa, il destino di migliaia di lavoratori. Da oggi niente sarà più come prima. La cancellazione dell'articolo 18, finalmente chiara e incontrovertibile, dopo il suo nascondimento tra le righe nel primo passaggio al Senato, è la vittoria di Matteo Renzi, che ha paragonato le lotte sui diritti a un retaggio del passato, da cancellare al più presto in nome di chissà quale modernità. È la vittoria di Maurizio Sacconi e di chi ha da sempre visto la tutela dei diritti dei lavoratori come un inutile intralcio.
  Da oggi vivremo in un regime di monetizzazione del lavoro, per cui a qualsiasi lavoratore licenziato illegittimamente spetterà una semplice indennità risarcitoria: un modello che, a differenza di quanto sbandierato in questi giorni, si allontana dal quadro europeo e perfino da quello tedesco. Perché il modello tedesco prevede comunque la reintegra, assieme a tutta un'altra serie di strumenti, tra cui la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori alla gestione delle imprese, e un sistema di welfare universale molto efficiente e solido. Il contratto unico proposto dal Governo, il cosiddetto «contratto a tutele crescenti», costringerà ogni nuovo occupato a tre anni di precariato senza diritti prima di essere regolarmente assunto, con il giustificato timore che i datori di lavoro si ingegnino per far apparire nuovo ogni tipo di contratto, facendo transitare tutta la forza-lavoro da un apprendistato all'altro, da un tirocinio all'altro.
  Oggi un Governo non eletto da nessuno rifiuta perfino che i diritti di un dipendente siano affidati al giudizio insindacabile di un organo terzo e indipendente come un giudice, nel caso in cui occorra risolvere un vero e proprio conflitto del lavoro.
  Ma soprattutto oggi passa per legge una concezione politica ed economica che ha Pag. 46già ampiamente fallito: la concezione che vede la svalutazione dei diritti dei lavoratori come unica via per recuperare competitività e per far ripartire il mercato del lavoro.
  Sottrarre diritti e precarizzare, nella convinzione fallace che il datore di lavoro con le mani un po’ più libere assuma di più. Una concezione che si è già cercato di far passare durante l'approvazione del «decreto Poletti» ma che, per ammissione dello stesso Ministero del Lavoro, non ha prodotto alcun effetto concreto.
  Da febbraio a luglio 2014, gli occupati in Italia hanno fatto registrare un aumento dello 0,2 per cento. Vero, peccato che scorrendo i dati con attenzione ci si accorga che il lievissimo incremento non è dipeso affatto dal «decreto Poletti», dal momento che l'unico debole aumento si è verificato da febbraio a maggio, quando il decreto ancora non esisteva. Da allora, calma piatta.
  La legge delega che ci apprestiamo a ratificare è quindi l'ennesimo prodotto di quel paradigma neoliberista che, in questi anni, ha proposto la flessibilità come condizione per lo sviluppo, mentre oggi per intravedere una ripresa occorrerebbe risolvere il problema della domanda, non dell'offerta. E non è certo intervenendo sulle regole del mercato del lavoro che si crea nuova occupazione.
  Quel che invece decreterà l'approvazione della legge delega è la morte dello Stato sociale. Ma sembra che nessuno se ne stia rendendo conto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Titti di Salvo. Ne ha facoltà.

  TITTI DI SALVO. Signora Presidente, signor Ministro, signora sottosegretario, considerando che il microfono si è rotto e quindi non so come fare per parlare, chiedo l'intervento...

  PRESIDENTE. Magari, se si sposta in un'altra postazione...

  TITTI DI SALVO. A posto, grazie, Presidente. Ascoltando alcuni degli interventi questa mattina e questo pomeriggio di commento alla legge delega di cui stiamo parlando, ho fatto fatica a rintracciare non solo il senso delle legittime opinioni differenti dalla mia rispetto a quella legge, ma l'impressione molto marcata di un giudizio su un provvedimento che, per scelta, ignora completamente il contesto nel quale il provvedimento viene preso, le sue finalità e non si capisce il metro di misura con il quale quel giudizio viene dato.
  Ora, naturalmente questa considerazione è d'obbligo, non tanto perché non sia comprensibile che esista un'opposizione e persone che hanno valutazioni diverse, ma è d'obbligo perché il Parlamento è chiamato non solo e non tanto a commentare la realtà del Paese, ma è chiamato ad agire per cambiare quella realtà in un senso positivo, modificando una realtà che è oggettivamente – quella economica, quella delle persone, della condizione marginale delle persone – fra le più dure degli ultimi anni.
  Ora quindi, io ripropongo per me e sicuramente per i colleghi che mi stanno ascoltando questo: la necessità di stabilire un metro di misura con il quale valutare la legge delega di cui stiamo parlando e il contesto nel quale quella legge delega è collocata, perché altrimenti non veniamo fuori da affermazioni tanto apodittiche, quanto fuori da qualunque contesto, cioè alcuni interventi potrebbero essere collocati in qualsiasi tempo, perché non si coglie il legame – almeno questa è la mia opinione – con la realtà di oggi.
  Allora, un metro di misura e un contesto: è un contesto sicuramente economico di grandissima fragilità, ma è un contesto politico che non può essere dimenticato. La legge delega nasce da un Governo, sostenuto da una maggioranza, che ha al suo interno opinioni differenti. Non lo dico semplicemente come dato di commento, ma lo dico perché qui questa mattina abbiamo sentito le parole dell'onorevole Pizzolante e le parole del relatore del provvedimento ed evidentemente la legge delega nasce da un punto Pag. 47di vista concorde, di compromesso che si è trovato rispetto ad opinioni differenti.
  Ma chi ignora questo punto deve dire se lo ignora e se lo ritiene irrilevante, qual è, allora, un'altra maggioranza possibile oppure se l'Italia deve andare al voto, perché sennò le cose non si tengono, non hanno un senso.
  Ma è un contesto anche economico, dicevo, di grande fragilità, e penso che il metro di misura per valutare questo provvedimento vada, come dire, enunciato, vada proposto. Cioè, io penso che noi dovremmo capire se la proposta che viene avanzata dal Governo risolva i problemi che il mercato del lavoro ha, non perché cambiando le regole del mercato del lavoro si crea occupazione, perché io sono convinta che non siano le regole a creare il mercato del lavoro e non sia il Ministro del lavoro e delle politiche sociali a creare occupazione, ma gli investimenti. Ma questa considerazione, ovviamente, non può fare ignorare che esistono, qui e ora nel mercato del lavoro, elementi di straordinaria difficoltà che determinano per le persone una vita precaria, essendo che la precarietà è stato l'esito scelto di politiche del lavoro che in questi venti anni sono state fatte e che la precarietà è stato l'unico elemento di competizione che è stato messo a disposizione delle imprese in questi venti anni, attraverso le leggi.
  Se noi consideriamo, se noi condividiamo che questo è vero e che, quindi, la precarietà è l'elemento su cui agire per cambiare il senso di questa scelta di politica economica e di cultura politica e di visione, cioè che la precarietà non è né un destino né una condanna, che non serve al sistema, che, come dice l'OCSE, peggiora la produttività, che non serve alle persone, allora io credo che il metro di misura sia valutare se e come la precarietà viene intaccata dal disegno di legge delega che noi oggi discutiamo. Ma anche questo è un concetto molto vago – la precarietà –, molto generico.
  Allora, che cosa vuol dire ? Nell'ingresso al lavoro, nell'esercizio della prestazione di lavoro, nell'uscita dal lavoro, sapendo che, quando dicevo prima, quando prima parlavo dell'uso della precarietà come strumento di competizione, parlavo di una scelta di politica che ha accompagnato la frammentazione dei processi produttivi, legati alla globalizzazione, esito della globalizzazione, che li ha accompagnati. Questi venti anni hanno accompagnato la frammentazione dei processi produttivi, frammentando i contratti, fino a individualizzare i contratti, a renderli individuali, e aggirando, per questa via, lo Statuto dei lavoratori, aggirandolo per questa via, senza toccarlo, ma facendolo concretamente. Le dimissioni in bianco sono questo: l'aggiramento dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Quante delle 46 tipologie contrattuali di accesso al lavoro sono questo ? Sono esattamente questo. Allora, precarietà nell'accesso al lavoro è il primo dei tre elementi che io penso vadano visti da vicino per capire se con la delega facciamo un passo in avanti o no rispetto a questo. Io penso di sì. Nell'accesso al lavoro il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti è un passo in avanti in questa direzione. È sostenuto da un incentivo forte ed è aiutato da quella scelta, che la Commissione lavoro della Camera ha reso più esplicita, di superamento delle tipologie peggiori e di quelle più frequenti.
  La prestazione di lavoro, dicevo, è il secondo argomento. Ci sono lavori che vengono fatti, come sanno i colleghi e le colleghe qui presenti, con tipologie di contratto differenti e per queste ragioni, a quelle stesse persone, che fanno quello stesso lavoro, viene riconosciuto un salario differente e condizioni e diritti diversi. Allora, estendere in senso universale i diritti alle persone rende l'uso di quelle tipologie meno conveniente e fa compiere un passo in avanti.
  Non nomino gli argomenti – li hanno nominati altri colleghi – di traduzione di questa estensione in senso universale, che rende meno conveniente l'uscita dal lavoro: a seconda delle tipologie contrattuali, le persone non hanno la stessa rete di protezione sociale. L'estensione in senso universale degli ammortizzatori sociali è un passo in questa direzione.Pag. 48
  Poi, certo, sia nelle cose che ho detto prima che in queste ultime sono decisivi non soltanto i decreti attuativi, i loro contenuti e l'impegno che il Governo ha assunto con la Commissione lavoro della Camera, di parlarci, di poterne parlare, ma sugli ammortizzatori, per rendere credibile questa scelta, è decisiva la quantità di risorse che verranno messe nella legge di stabilità.
  Infine, due ultimi punti. L'hanno ricordato molte colleghe e molti colleghi e lo ha ricordato prima di tutti il presidente della Commissione lavoro della Camera: la Commissione lavoro della Camera non ha rinunciato a svolgere il ruolo che i cittadini italiani assegnano al Parlamento.

  PRESIDENTE. Deputata Di Salvo, la prego di concludere.

  TITTI DI SALVO. Sì Presidente, mi avvio alla conclusione. Noi non abbiamo rinunciato – testardamente vorrei dire – a ragionare su ogni emendamento, su ogni virgola e su ogni parola per rendere, ciò che secondo le nostre opinioni era necessario, il testo migliore rispetto a quello che noi pensavamo fosse giusto fare.
  Non abbiamo rinunciato, e abbiamo svolto un ruolo molto importante, che vede questo testo, secondo noi, migliorato rispetto alla legge delega, ma vi è un'ultima considerazione e vado velocissimamente alla conclusione, Presidente.
  Io penso che questo sia il senso della politica, ho molta considerazione, stima e rispetto non solo per la mia vita precedente, ma per quello che penso della democrazia e della funzione del sindacato. Penso che sia legittimo scioperare per farsi ascoltare e dire le proprie opinioni, penso che la piattaforma del sindacato vada ascoltata; penso che la funzione della politica sia un'altra, sia quella di provare a spostare la realtà e a cambiarla, offrendo quindi anche al soggetto sindacale e al sindacato una più avanzata possibilità. Questo è quello che abbiamo fatto anche sulle dimissioni in bianco. Si trattava di sbloccare una situazione, con la legge delega si è sbloccata e ci sarà un decreto attuativo che finalmente ci ridarà una normativa efficace contro le dimissioni in bianco (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ciprini. Ne ha facoltà.

  TIZIANA CIPRINI. Dal Jobs Act siamo passati al «Job Pact», al patto-ricatto tra Renzi e minoranza PD, che ha portato al varo dell'emendamento della discordia, riformulato rigorosamente dal Governo, con il quale fate finta che l'articolo 18 sia ancora esistente sulla carta, ma che in verità rimarrà in vigore solo per pochissimi casi. Il diritto alla reintegrazione rimarrà ora limitato ai licenziamenti discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare. Cioè ? Quali sono queste fattispecie ? Lo vedremo sul decreto legislativo. E i post su Facebook rientrano in questa fattispecie ?
  È un fatto realmente accaduto a una dipendente della Nestlè-Perugina, nella mia città, disabile e sindacalista, che ha rischiato il posto di lavoro per un post su Facebook. E i deputati locali del PD sono corsi ad indignarsi sui giornali, dichiarando che: «Quello al lavoro è un diritto su cui non possiamo abbassare la guardia». Ma non lo sanno loro che stanno per votare la fine del diritto del lavoro in Italia ? Ma non lo sanno loro che Renzi ha tolto la reintegrazione per i licenziamenti economici ? Con tutte queste crisi, ristrutturazioni aziendali, vere o presunte, calo dei ricavi, automazione della produzione, esternalizzazioni, tutto sarà di carattere economico, Dal momento che nessuna azienda dirà mai che ha licenziato qualcuno per motivi discriminatori, e il lavoratore che ritiene di essere stato licenziato ingiustamente rinuncerà a far causa, visto che il giudice, anche dandogli ragione, non lo potrà reintegrare.
  Ebbene, casi come questo della Perugina saranno all'ordine del giorno, grazie al Jobs Act di Renzi, con cui si dà libertà di licenziare e sbarazzarsi di lavoratori scomodi ! Renzi ha rottamato definitivamente quel poco che restava dell'articolo Pag. 4918, dopo il colpo di spugna della Fornero. Altro che favorire la flessibilità in entrata nel mondo del lavoro ! Qui Renzi sta dando la piena libertà di licenziare senza problemi.
  Eppure, il cerimoniere del Jobs Pact in Commissione lavoro, ovvero il presidente Cesare Damiano (ex sindacalista, ex Ministro del lavoro, ma ancora congiunto al PD), sosteneva che le imprese non hanno bisogno di licenziamenti più facili per far ripartire l'economia. La coerenza non è di moda in Italia.
  Il Ministro dell'economia, Padoan, ha definito la battaglia per l'articolo 18 «paradossale», in quanto se si guardano i numeri «ci si accorge che i lavoratori interessati» sono «pochissime migliaia». E ha ragione, infatti, si tratta di una battaglia del tutto sproporzionata, considerato che, tutti oramai lavorano con contratti atipici e che siamo in presenza di un tasso di disoccupazione altissimo. Quanti sono, quindi, i lavoratori ancora tutelati dall'articolo 18 ? Ma, l'articolo 18 aveva un valore puramente simbolico, ed è questo che si è voluto fare, distruggere un simbolo di quella che un tempo era la forza lavoro.
  La forza rottamatrice di Renzi ha rottamato la forza lavoro, e ha decretato la fine dell'era del posto fisso e l'inizio del precariato a tempo indeterminato. Altro che svolta a sinistra, temuta dal minacciatore compulsivo Sacconi, qui si è passati dalla stagione dei diritti a quella degli indennizzi, ovvero la monetizzazione della dignità umana.
  Ce lo chiede l'Europa ? No, ci ricatta l'Europa. Nel 2011 la famosa lettera della BCE al Governo italiano, scritta da Trichet-Draghi riportava: «superare la dicotomia tra lavoratori garantiti e non». Nel 2014 Renzi, su la Stampa, dichiara che il mercato del lavoro in Italia è reso stagnante da «regole antiquate che hanno discriminato tra garantiti e non». Invece che tutelare i non garantiti si tolgono le tutele a quelli garantiti, in un massacrante gioco al ribasso.
  E nel mercato del lavoro italiano, chi rimangono ancora i garantiti ? I pubblici dipendenti che sono nel mirino, toccherà anche a loro perdere le residue tutele. E il Governo continua a non interessarsi del piccolo, delle piccole e medie imprese, è interessato al grande, e sta legiferando esclusivamente in favore delle grandi multinazionali, perché sta facendo di tutto per attrarre i grandi investitori stranieri. È il presidente di Confindustria, Squinzi, a dire che l'articolo 18 «va smontato», in quanto rappresenta uno dei freni maggiori, che impedisce investimenti di capitale straniero anche in Italia. È il senatore giuslavorista Ichino che lo dice: il diritto del lavoro in Italia è troppo complesso e va riscritto in poche norme chiare e leggibili, per essere traducibili in inglese, così gli investitori stranieri capiscono meglio. Abbiamo al comando una classe politica completamente genuflessa ai grandi investitori stranieri, e pronta a importare i modelli sociali a tutela zero dei Paesi dell'Est Europa e del Terzo Mondo, con paghe da miseria e un mercato del lavoro senza più tutele. Si sta smantellando lo stato sociale italiano, per renderlo appetibile ai padroni-predoni esteri ! Respinti i nostri emendamenti per lo sgravio dell'IRAP, e a favore delle partite IVA e autonomi, e respinti i nostri emendamenti innovativi sulla flessibilità dell'orario di lavoro !
  Si è rottamato anche l'articolo 4 dello statuto dei lavoratori che impediva la videosorveglianza sui luoghi di lavoro. In Commissione vi abbiamo sottoposto a un test di videosorveglianza, riprendendovi in diretta streaming e vi siete arrabbiati, avete sospeso i lavori e ci avete insultato. Ma perché mai allora volete votare per videosorvegliare i comuni lavoratori, trattati alla stregua dei carcerati con la sorveglianza dinamica sugli impianti, mentre gli illustri onorevoli non possono essere ripresi ? La coerenza non è di moda in Italia.
  E poi il demansionamento per legge; ricordo che anche questa è una classica pratica da mobbing e che il pubblico impiego ha già fatto da apripista col decreto n. 90. Videosorveglianza e demansionamento, ovvero come legalizzare il mobbing per legge ! E così si tolgono di Pag. 50mezzo i giudici del lavoro, con le loro sentenze pro difesa dei diritti dei lavoratori. Insomma, Renzi vuol sostituire i sindacalisti in azienda con i criminologi in azienda !
  E ancora l'estensione dei voucher, con il rischio infestante, come è successo in Germania, con i mini-jobs, che erano nati come soluzione ponte per pensionati e studenti, e hanno finito per avere il sopravvento sui contratti ordinari, devastando il mercato del lavoro e intrappolando i lavoratori a stipendi da fame di 450 euro al mese. Fra poco lavoreremo tutti coi buoni che si comprano dal tabaccaio !
  Poi, l'Agenzia unica ispettiva che è uno stratagemma governativo per togliere l'autonomia degli enti INPS e INAIL, che da sempre mettono in difficoltà le cattive cooperative; vero Ministro Poletti ? Se volete davvero migliorare l'efficienza, perché ancora non avete attuato il decreto legislativo del 2004 che prevede una banca dati e un coordinamento ? E perché, anziché sostenere l'attività ispettiva, sotto organico, nella legge di stabilità, tagliate le nuove assunzioni ? Qual è l'obiettivo vero ?
  E poi il contratto a tutele crescenti, che Ichino ha scopiazzato da Boeri e Garibaldi, i quali, a loro volta, hanno scopiazzato dall'Inghilterra, che decreterà la scomparsa del contratto a tempo indeterminato. Insomma, qui è tutto un copia e incolla da modelli esteri, che poco si adattano al nostro tessuto sociale e culturale. Una scopiazzatura da spazzatura (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Cinzia Maria Fontana. Ne ha facoltà.

  CINZIA MARIA FONTANA. Presidente, colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, non c’è dubbio che siamo nel cuore di una discussione, quella sul lavoro, che tocca nel profondo le idee, i valori, le visioni del mondo, le nostre esperienze, i nostri riferimenti culturali. È per questo che la materia è così complicata e complessa, a tratti lacerante. Non tanto per l'affastellarsi di norme, che nel corso degli anni ne hanno regolato e ne regolano i diversi aspetti, quanto soprattutto perché coinvolge più dimensioni, da quella umana a quella economica, da quella sociale a quella etica, a quella relazionale. È perciò necessario accostarsi a questo tema con tutta la delicatezza, la sensibilità e la consapevolezza di chi sa che queste materie toccano la carne viva della persona, la sua dignità, il suo posto nella società, ma anche accostarvisi con la chiarezza in ordine alla direzione e alla finalità che si intende conseguire.
  La finalità è negli obiettivi definiti dalla legge delega: rafforzare l'opportunità d'ingresso nel mondo del lavoro; assicurare tutele uniformi in tema di ammortizzatori sociali; garantire un reale legame tra politiche attive e politiche passive; superare le forme più precarie di assunzione; favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Si tratta di finalità che ci parlano di un'idea inclusiva ed estensiva, di un'idea che aggiunge, anziché togliere, di un'idea che si prende cura di azioni positive, nel tentativo di riscrivere il vocabolario del lavoro, per creare opportunità effettive vere, in un contesto oggi così fortemente provato. Perché è nel contesto dell'oggi che dobbiamo trovare risposte alla domanda su come garantire il primo vero diritto di cittadinanza, che è il lavoro, su come attivare misure di protezione che mettano un argine ai processi di esclusione in atto; su come procedere nella direzione dell'ampliamento dei diritti reali, non di quelli scritti sulla carta e, nei fatti, non esigibili.
  Ma proprio perché a quelle finalità il gruppo Partito Democratico vuole dare seguito e concreta attuazione, è sulla declinazione dei punti della delega che come Commissione lavoro abbiamo lavorato. Il presidente Damiano ha già egregiamente dato conto del passaggio compiuto e non mi soffermo su tutti gli aspetti. Voglio però sottolineare che dal testo originario, quello oggi in Aula, sono significativi gli avanzamenti raggiunti.Pag. 51
  In quel testo non c'era la tutela economica in caso di cambiamento di mansioni, ora c’è. In quel testo non era esplicitamente affermata la scelta di rendere centrale il contratto di lavoro a tempo indeterminato, rendendolo più conveniente rispetto ad altri tipi di contratto, ora c’è e c’è a tal punto che nella legge di stabilità le risorse sono proprio destinate ad incentivare il lavoro stabile. Così scompare il costo del lavoro riferito ai soli lavoratori a tempo indeterminato dalla base imponibile IRAP; così per gli assunti a tempo indeterminato i contribuiti previdenziali vengono azzerati per tre anni.
  Ci siamo un po’ disabituati ad entrare nel merito delle cose, ma sono o no soluzioni che, come partito che ha le radici nel lavoro, abbiamo da tempo rivendicato ? Nel testo originario della delega non era così chiaramente definito il superamento delle numerose forme di assunzione precarie, che stanno così ampiamente segnando il mondo del lavoro non più solo dei giovanissimi, ora c’è. Così come ora nel testo è chiarito che la disciplina dei controlli a distanza riguarda gli impianti e gli strumenti di lavoro, con la garanzia che la dignità e la riservatezza del lavoro siano tutelate.
  In quel testo non c'era la garanzia del reintegro in caso di licenziamenti discriminatori, nulli e disciplinari per i nuovi assunti, ora c’è. Ed è stato poi previsto il monitoraggio, sono previsti congedi dedicati alle donne nei percorsi di protezione relativi alla violenza.
  Rivendico, quindi, con orgoglio il lavoro del gruppo Partito Democratico della Commissione. Altro che sinonimi e virgole ! Nessun imbarazzo, quindi: un lavoro fatto con serietà, con rigore, con la necessaria ricerca di una sintesi, lontano e fuori dalle banali rappresentazioni che di noi, componenti della Commissione lavoro, sono state fatte, ma soprattutto lontano e fuori dal banalissimo quanto meschino tentativo di screditarci, collegando il nostro voto all'attaccamento alla poltrona.
  Rivendico il rispetto per il nostro ruolo, per il ruolo del Parlamento tutto, un ruolo che è stato prezioso, attento in questo passaggio, un ruolo – lo dico con forza al Governo – che reclamiamo anche da qui in poi, nella fase di scrittura dei decreti delegati.
  Nessuno vuole illudere – né ne ha mai avuto la pretesa – che questo provvedimento assicuri maggiore occupazione, anche se del resto una buona occupazione sarebbe già un importante risultato. Ma sappiamo che i posti di lavoro li crea la forza della ripresa, li creano gli investimenti. È il complesso delle riforme che può fare la differenza.
  Ma sinceramente, dopo gli anni del Governo Berlusconi, stona – e molto – sentire i consigli dell'onorevole Calabria di Forza Italia, che ci spiega che alla delega lavoro bisognava attaccare la riforma fiscale, quella della giustizia e tante altre. La stiamo facendo, onorevole Calabria. Stiamo mettendo in campo proprio tutte quelle cose di cui per venti anni vi siete dimenticati.
  Ce la faremo ? Ma soprattutto, ce la farà il Paese ? Il PD si prende la responsabilità di provare a stare in questo percorso, sapendo che proprio sulla questione del lavoro la sinistra è stata segnata nel corso della storia da lunghe e laceranti divisioni tra diverse strategie, tra diversi tentativi, a volte riusciti, ma a volte falliti, tra diverse ricerche. Ma la sinistra è nata sulle trasformazioni sociali, ce lo ha insegnato Berlinguer, onorevole Chimienti non lo citi a sproposito (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) !
  E oggi noi dobbiamo fare i conti con fragilità nuove del lavoro, nel lavoro, fuori dal lavoro, con discriminazioni diverse, a volte più subdole, con disuguaglianze crescenti. Ne hanno parlato bene i miei colleghi che sono intervenuti precedentemente. E dobbiamo essere in grado di adeguare gli strumenti a tutto questo con risorse purtroppo ancora maledettamente scarse per il Paese.
  Nel clima di forte disagio sociale e di tensioni che sta attraversando il Paese, alla politica, ai partiti, a noi vengono addebitate responsabilità enormi. Per questo serve prima di tutto un grande rigore morale e civico. Serve coltivare sapientemente Pag. 52il rispetto e il riconoscimento reciproco. Serve un vero dialogo sociale che riconosca fino in fondo la funzione collettiva del lavoro. Serve – lo dico a noi, ma anche al Governo – la mitezza delle parole e del linguaggio, forse «la più impolitica delle virtù», scriveva Bobbio, sulla mitezza, ma anche l'antidoto alle degenerazioni della politica.
  Concludo, ringraziando veramente di cuore il presidente Damiano, la nostra capogruppo e tutti i componenti della Commissione lavoro. Ringrazio il Ministro Poletti e ringrazio, in particolare, il sottosegretario Bellanova, perché non è vero quello che ha detto l'onorevole Cominardi: il sottosegretario è stato parte attiva e positiva nei lavori della Commissione e ha sempre risposto nel merito alle questioni poste, dando un contributo importante. Per questo i ringraziamenti non sono formali e proprio perché questo modo di lavorare è stato così prezioso tra di noi e proficuo, questo modo dovrà caratterizzare e segnare il percorso dei decreti nelle prossime settimane (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2660-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, Antonio Placido. Non essendo presente in Aula, si intende vi abbia rinunciato.
  Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, Emanuele Prataviera. Non essendo presente in Aula, si intende vi abbia rinunciato.
  Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, Claudio Cominardi. Ne ha facoltà.

  CLAUDIO COMINARDI, Relatore di minoranza. Quanto tempo ho ?

  PRESIDENTE. Un paio di minuti, considerato che il tempo sarebbe esaurito.

  CLAUDIO COMINARDI, Relatore di minoranza. Confermo che rimango delle idee che avevo fino a qualche ora fa rispetto al fatto che non c’è stata una discussione. Siamo di fronte a una legge delega che di fatto esautora tutta la Commissione, perché va a trattare una miriade di tematiche senza andare nello specifico. Vuol dire che non avrà più senso stare dentro quella Commissione perché tutto è delegato, anzi autodelegato da parte del Governo. Non ci sono più tematiche da trattare perché i giochi sono già fatti. E sarebbe carino capire le direttive, siccome non le possiamo stabilire noi attraverso la discussione parlamentare, cioè dei cittadini, da dove vengono. Vengono forse dall'Europa le direttive ? Vengono forse dalla Merkel ? Dai burocrati di Bruxelles ? Abbiamo visto cosa hanno creato con queste politiche del lavoro.
  Non c’è un minimo di prospettiva. Una cosa dovevamo fare in linea con le richieste europee, una sola cosa: il reddito di cittadinanza e, invece, state andando nella direzione opposta, quella di precarizzare tutto ciò che c’è da precarizzare ancora. Togliete le ultime tutele rimaste perché oggi siamo al punto che c’è una libertà assoluta di licenziamento. E avete legalizzato il mobbing: la fattispecie di cause per mobbing più diffusa è quella legata al demansionamento. Non lo dico io, lo dice un giuslavorista con esperienza quarantennale, il professore Alleva. Stesso discorso vale per il controllo a distanza che ha delle ripercussioni dal punto di vista di carattere psicofisico, cioè voi state facendo del male dal punto di vista psicologico e fisico alle persone. Le state uccidendo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, il presidente della Commissione, deputato Cesare Damiano.

  CESARE DAMIANO, Relatore per la maggioranza. Grazie, signora Presidente, potrei anche risparmiarmi una replica perché le mie colleghe e i miei colleghi Pag. 53hanno già detto tutto quello che c'era da dire, l'hanno detto con competenza, con pacatezza, con argomenti e hanno dato la dimostrazione di quanto siamo stati uniti nel condurre questa battaglia.
  Tuttavia, in questa fiera delle citazioni che mi ha incuriosito, qualche intervento ha scomodato i padri dello Statuto dei lavoratori: Brodolini, Donat-Cattin, Gino Giugni. Vede, Presidente, anche per motivi anagrafici alcuni di questi li ho conosciuti.
  Ho conosciuto Gino Giugni e lo considero mio maestro. Ho imparato molto da lui. È stato, come sappiamo, uno dei padri dello Statuto e quand'ero giovane delegato della FIOM nel 1970, grazie al suo Statuto, ho avuto delle protezioni da delegato sindacale. Ho conosciuto anche Donat-Cattin che, come tutti sanno, era un sindacalista della CISL. Questa anomalia dei sindacalisti che diventano Ministri o diventano onorevoli che ha fatto tanto scalpore. Sa, signora Presidente, si sono occupate pagine e pagine di giornali per rispondere a questo interrogativo: come mai nella Commissione lavoro ci sono i sindacalisti. Secondo lei, dove dovrebbe andare una persona che ha passato magari trent'anni della sua vita nel sindacato ? Come mai, mi domando, alla Commissione giustizia ci sono gli avvocati e perché non ci si occupa degli avvocati e ci si occupa dei sindacalisti ? Donat-Cattin era un sindacalista.
  Io l'ho visto all'opera per il rinnovo del contratto di lavoro dei metalmeccanici e l'ho conosciuto, come ho ricordato. E quando sono diventato Ministro una delle mozioni era di fare quello che aveva fatto Donat-Cattin. Io che arrivavo dal Partito Comunista e lui dalla Democrazia Cristiana. Eppure se dovessi dire qual è un mio Ministro di riferimento tra i padri fondatori io penso a Carlo Donat-Cattin. Lui è stato il Ministro che si definiva dei lavoratori. Chi l'ha citato forse dovrebbe ricordare che altri Ministri dopo Donat-Cattin sono stati forse più Ministri degli imprenditori. Lui è stato un Ministro che da sindacalista è stato fautore dell'unità e quand'era Ministro ha tenuto insieme il sindacato.
  Altri Ministri dopo di lui hanno cercato nella divisione del sindacato la traccia del successo di un Governo. Su questo invito tutti a riflettere e ad abbandonare le polemiche astiose: ho vinto, non ho vinto. Ha vinto il Parlamento, ha vinto la dialettica, ha vinto il buonsenso, hanno vinto i contenuti. Non abbiamo cancellato lo Statuto dei lavoratori né per le mansioni né per il controllo a distanza né per l'articolo 18. Concludo dicendo questo ancora volta: ci aspettiamo risposte sugli ammortizzatori sociali. Sui decreti dico questo al Ministro Poletti: si gioca il nostro futuro anche sugli articoli: «il», «lo», «la». «Le tipizzazioni» non «la tipizzazione»; «le fattispecie» non «la fattispecie»: è plurale; «il licenziamento individuale» non sono «i licenziamenti».
  Su queste distinzioni bisogna tracciare un confine. Concludo dicendo: nessun imbarazzo, anzi, come ha ricordato Cinzia Maria Fontana, un grande orgoglio per aver fatto tutti insieme il nostro dovere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  GIULIANO POLETTI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Signora Presidente, onorevoli, grazie a voi tutti per la discussione che c’è stata, per il confronto, per gli argomenti che avete portato in questa discussione, anche se, naturalmente, le mie valutazioni sono molto diverse rispetto a ciò che è stato qui proposto perché in alcune occasioni e in alcune affermazioni veramente ho trovato una grande distanza con ciò che sta scritto nella delega, con ciò che è nelle intenzioni del Governo. Quindi, è del tutto legittimo avanzare delle osservazioni e delle critiche, ma io mi aspetto che facciano riferimento sostanziale a ciò di cui stiamo discutendo.
  Ma detto questo, non voglio attardarmi in nessuna polemica di questo tipo. Io voglio ringraziare davvero per il lavoro che è stato fatto nelle Commissioni perché il Parlamento ha fatto la sua parte in maniera Pag. 54importante. Questa delega uscirà, alla fine di questo percorso parlamentare, significativamente diversa da come ci è entrata e la mia valutazione è che ne uscirà meglio, migliorata. L'ha migliorata il Senato con il lavoro che ha fatto; l'ha migliorata la Camera con il lavoro che ha fatto. Io credo che non sia veramente un buon metodo quello di smontare e non dare valore a ciò che si fa. E io credo che questo valore vada riconosciuto e io da Ministro lo riconosco e ringrazio, quindi, il presidente della Commissione Damiano, ringrazio il sottosegretario Bellanova e tutti i componenti della Commissione per il lavoro che hanno fatto.
  E, poi, è vero, ci sono emendamenti che hanno una carica, un significato, un peso, un valore diverso, ma io credo che ogni volta che il Parlamento interviene, anche perché reputa che ci sia bisogno di una correzione relativamente decisiva, faccia bene il suo lavoro. Infatti, sappiamo, come citava da ultimo il presidente Damiano, che in queste vicende contano anche gli articoli, le virgole, contano davvero quali sono i significati che vogliamo dare alle parole che mettiamo dentro questi documenti. Allora, da questo punto di vista io mi sento di rassicurare, a fronte della giusta e legittima richiesta di una coerenza tra i decreti e i contenuti della delega, che l'intenzione del Governo è di agire in maniera rigorosamente coerente ai contenuti che nella delega sono definiti. Quindi, da questo punto di vista il nostro impegno ci sarà, ma ci sarà esattamente in questo senso.
  Detto questo, io credo che noi dobbiamo partire da un dato: è del tutto evidente che il nostro Paese è in una situazione di grande difficoltà dal punto di vista del lavoro, dell'occupazione e dell'economia. Certo, dobbiamo sottolineare tutti i dati che ci aiutano a definire e a comprendere questa situazione, ma, poi, quando abbiamo messo in fila giustamente tutti questi eventi di analisi, dovremo farci una domanda e chiederci come e perché si è realizzata questa condizione. Infatti, non è un caso se questa è la situazione del nostro Paese, se un Paese come l'Italia, che è un Paese pieno di potenziali, che ha un territorio, un ambiente, una potenzialità turistica, culturale, imprenditoriale, artigiana, di capacità di esportazione, nell'agroalimentare, guardato nel mondo come un modello di vita auspicabile, si trova in questo contesto, in questa situazione. Io credo che dobbiamo dirci che lungo il percorso che è stato fatto, questo Paese evidentemente qualche errore l'ha commesso. E io credo che da questo punto di vista ci siano passaggi che vanno affrontati in maniera assolutamente esplicita.
  Un primo dato: questo Paese, lungo la sua strada, ad un certo punto, ha smesso di crescere. E non è successo ieri: è successo vent'anni fa, perché negli ultimi vent'anni, se andiamo a guardare i numeri, i numeri ci dicono che, pian piano, questo Paese si è sostanzialmente fermato. Allora, dovremmo chiederci quali erano le ragioni e le cause che hanno prodotto questa situazione. Le cause stanno probabilmente non in un unico elemento, ma in più di una condizione.
  Quando oggi diciamo che bisogna cambiare, e cambiare radicalmente, e che per cambiare radicalmente bisogna riformare una serie essenziale delle condizioni di funzionamento, di vita del nostro Paese, a partire dalle istituzioni fino ad arrivare al lavoro, vuol dire che, lungo il tempo, questi elementi si sono bloccati o hanno rappresentato un elemento di blocco. Quindi, oggi noi abbiamo bisogno di produrre questo cambiamento radicale tutto insieme: è veramente una scommessa fortissima, ma è quella che abbiamo davanti.
  Ma voi lo sapete, siete in questo Parlamento, sapete che stiamo discutendo contemporaneamente il tema del lavoro, ma che abbiamo all'orizzonte il tema delle riforme costituzionali, abbiamo il tema della giustizia, abbiamo il tema della pubblica amministrazione. Stiamo affrontando queste questioni, questo è l'architrave, il punto che regge questo insieme. E insieme a questo c’è il passaggio europeo: oggi, l'Italia è il Paese che, in maniera più Pag. 55forte, ha messo in discussione il modo di procedere delle politiche economiche a livello europeo.
  Poi sarà una bella battaglia, poi sarà complicato riuscire a portare a casa tutti i risultati che ci proponiamo, ma oggi l'Italia questa scelta l'ha fatta e l'ha fatta in maniera piuttosto radicale, prendendosi anche qualche rischio. La discussione che stiamo facendo in questi giorni intorno al tema della valutazione europea del disegno di legge di stabilità del nostro Paese, se non fosse stata fatta in questo modo non sarebbe all'ordine del giorno, ma la discussione c’è perché quella scelta l'abbiamo fatta e la stiamo portando avanti nella maniera giusta, cercando di ottenere per il nostro Paese tutti i risultati che possono essere portati a casa.
  Quindi, noi, oggi, abbiamo bisogno di produrre alcuni passaggi, il primo dei quali è sicuramente quello di riattivare una dinamica dell'economia e della società nel nostro Paese, produrre un contesto. Da questo punto di vista, è del tutto evidente che il nesso impresa-lavoro va riconsiderato profondamente, perché io credo che non ci possa essere chi sta per le imprese e chi sta per il lavoro. Certo, ci sono gli imprenditori, ci sono i lavoratori, ci sono degli interessi in conflitto, figuriamoci, è un dato più che evidente; ma se facciamo un bilancio, anche di questa crisi, dobbiamo sapere che abbiamo perso una quantità rilevante di imprese, abbiamo una difficoltà sul versante imprenditoriale. Ma se abbiamo una difficoltà sul versante imprenditoriale, dobbiamo chiederci se il contesto generale di questo Paese è un contesto giusto, perché i cittadini e gli imprenditori decidano di investire. Se non ci facciamo questa domanda, noi possiamo dire, fotografare la crisi del lavoro, ma la crisi del lavoro è, insieme, la crisi dell'impresa.
  Noi abbiamo bisogno di ricostruire un punto di equilibrio diverso, una connessione diversa, un nesso diverso tra il lavoro e l'impresa; il che non vuol dire che tutti gli imprenditori sono diventati improvvisamente Babbo Natale, non credo che nessuno di noi abbia fantasie di questo tipo. Io credo che, però, noi dobbiamo provare a scommettere sul fatto che gli imprenditori e i lavoratori, l'impresa e il lavoro, possano trovare delle dinamiche nuove nella situazione in cui si sta realizzando questa fase dell'economia e dello sviluppo di questo Paese.
  Quindi, per fare questa operazione dobbiamo fare una cosa: abbiamo bisogno di una profonda e radicale semplificazione, che consenta all'impresa di avere sulle spalle solo la quota di incertezza fisiologica per un imprenditore. Un imprenditore è una persona che assume un rischio, ed è giusto che sia così, è il suo compito, ma deve assumere il rischio che gli compete facendo l'imprenditore: deve prendersi il rischio di capire cosa succede nel mercato, cosa succeda fra i suoi competitori, cosa succede sulle materie prime, cosa succede sui consumatori, cosa succeda sul prodotto, ma quello che non possiamo mettere sulle spalle di un imprenditore è l'incertezza, come: se uno non ti paga, cosa succede ? Se non c’è una giustizia che funziona, quello non è un rischio che deve prendersi l'imprenditore, è il sistema che lo deve garantire.
  Ci sono altri problemi, come quello della burocrazia, e noi abbiamo tutta questa complessa, intricata, complicata realtà che rende difficile la scelta dell'investimento imprenditoriale in questo Paese. Ma se non avremo una scelta di investimento imprenditoriale in questo Paese non avremo più opportunità di lavoro. Quindi, abbiamo un primo obiettivo che è su questo versante.
  Il secondo versante è quello del lavoro. Su questo permettetemi un'osservazione piuttosto secca: c’è un dato di fatto, su cento avviamenti al lavoro, 15 sono a tempo indeterminato e 85 tutto il resto. Noi ci siamo detti sistematicamente che l'obiettivo è il lavoro a tempo indeterminato, perché è quello che ha il massimo di tutele, di garanzie e di prospettive. Dovremmo chiederci se questo dato – 15 contro 85 – c'entra qualcosa sul come sono fatte le tipologie contrattuali nel nostro Paese. Io penso che c'entri qualcosa e che abbiamo usato un po’ una doppia Pag. 56morale, da una parte abbiamo detto che vogliamo il contratto a tempo indeterminato, e, di fronte alla difficoltà di ripensarlo, di fatto, tutto intorno, è stato costruito un grande orto di tipologie diverse, tipologie molto più precarizzanti, molto meno definite, molto più pericolose. Allora, bisogna scegliere, e noi una scelta l'abbiamo fatta: nella delega l'elemento essenziale è l'introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che è il tentativo, la volontà, la chiara intenzione di ridurre gli elementi di precarietà e di affermare una tipologia contrattuale moderna.
  Lo conferma, in maniera assolutamente chiara, il fatto che a questa tipologia contrattuale dedichiamo quasi due miliardi di euro per la decontribuzione e abbiamo fatto anche un'altra scelta. In questo Paese abbiamo una leggerezza di pensiero persino eccessiva, ma, per quanto riguarda l'IRAP, abbiamo deciso di ridurre, anzi, di togliere dalla base imponibile dell'IRAP il costo del lavoro dei contratti a tempo indeterminato, non del lavoro, punto, ma del lavoro a tempo indeterminato. C’è bisogno ancora di qualcosa per spiegare che noi vogliamo affermare il contratto a tempo indeterminato ? A me pare di no. Nella storia di questo Paese queste cose non si sono mai fatte e neanche dette. Allora se c’è un passaggio di questo genere, è un passaggio che va sottolineato, in questo senso, perché questo passaggio è fondamentale nel motivare il nostro comportamento e le nostre scelte. È chiaro che in connessione a questo c’è la riduzione dei contratti precari, c’è la semplificazione delle tipologie contrattuali, c’è tutto quello che sta lì intorno, ma questo è il senso della scelta che abbiamo fatto.
  Analogamente, dall'altro lato c’è il tema degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive. Abbiamo bisogno di modificare quella situazione, perché non possiamo pensare che la situazione si risolva da sola. In qualche modo c’è l'idea che un ammortizzatore sia uno strumento che aiuti per un periodo determinato di crisi, ma che poi, siccome l'economia riparte e torna dove stava prima, sia sufficiente passare quel periodo per poter tornare dove si era, ma i fatti ci dicono che non è così. Quindi, la tutela più importante diventa l'accompagnamento. È importante che fuori dalla porta ci siano delle strumentazioni capaci di consentire questa transizione. Questo è l'elemento essenziale.
  Giustamente qualcuno dice che ci vuole del tempo e ci vogliono dei soldi. Ma, per quanto riguarda il tempo, se non cominciamo mai, non arriviamo mai, perché tutte le volte che facciamo questa discussione il primo tema è: ci vuole del tempo. Ho imparato che se ci vuole del tempo è meglio partire subito e, quindi, bisogna che proviamo a farlo rapidamente, come scelta. Dentro questo c’è un tema di dimensione economica; da questo punto di vista ho registrato la sottolineatura del tema: le risorse che sono necessarie. Quindi, credo che da questo punto di vista il Governo nella legge di stabilità uno sforzo in questa direzione lo debba fare.
  Poi, oggi la discussione è aperta, il tema delle risorse è sempre delicatissimo. Troveremo – credo – la possibilità di dare un segno in questa direzione avendo chiara la volontà di avviare una trasformazione, garantire le risorse necessarie, proporre l'infrastruttura. Quando noi parliamo dell'Agenzia nazionale per il lavoro stiamo parlando di questo, perché uno dei grandi problemi è che noi facciamo una giusta descrizione di ciò che vorremmo ma poi non abbiamo la strumentazione che lo fa. Nella storia di questo Paese, i servizi per l'impiego, 25 anni fa, avevano, più o meno, due volte e mezzo i dipendenti di quelli che ci sono ora. Immaginare che questo non significhi nulla non va bene, ma dire che bisogna farlo non vuol dire fare un carrozzone, vuol dire aprire una riflessione che ci consenta di dire che cosa fa il pubblico, come lo fa, con quali strumenti e quali relazioni si attivano con tutto l'insieme degli strumenti del privato – il privato sociale – che possa produrre l'accompagnamento in questa direzione. Quindi, credo che questi temi siano tutti Pag. 57temi che possono essere affrontati in termini assolutamente positivi e di grande utilità.
  Non voglio eludere il tema dell'articolo 18, ma su questo, a dir la verità, la discussione è stata larghissimamente presente. Lo riprendo solo perché è stata fatta un'osservazione che io credo non sia giusta e quindi è giusto replicare. In sostanza, si dice che, fino a questa discussione, questo tema non c'era e quindi furbescamente non si diceva quello che si voleva fare. Io ho in mano il testo dell'intervento che ho letto al Senato, che ho depositato al Senato, che recitava: «In questo contesto, per semplificare, superare elementi di incertezza e di discrezionalità, per ridurre i ricorsi, i procedimenti giudiziari, nella predisposizione del decreto delegato relativo al contratto a tutele crescenti e quindi per le nuove assunzioni il Governo intende modificare il regime del reintegro così come previsto dall'articolo 18, eliminandolo per i licenziamenti economici sostituendolo con indennizzo economico certo e crescente, e contestualmente sarà prevista la possibilità del reintegro per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare particolarmente gravi, previa qualificazione specifica della fattispecie». Questo è il testo dell'intervento del Ministro al Senato alla conclusione della discussione in quella sede. Quindi, sostenere che non si conosceva ciò che era intenzione del Governo, quanto meno, è, credo, abbastanza chiaramente risolto dalla lettura di questo testo.
  Mi avvio rapidamente a concludere il mio intervento. Io credo che questa riforma, questa legge delega e i decreti delegati ci portino veramente nella direzione di una possibilità di avere una condizione del lavoro più chiara, più definita, più certa, nell'interesse dei lavoratori e delle imprese, perché credo che questi due interessi li dobbiamo tenere sempre assolutamente presenti, e dobbiamo essere capaci di svilupparli in tutto il loro potenziale, tornando a lavorare su molti altri versanti che solo parzialmente sono presenti all'interno della delega. Riprendo il tema della formazione, dell'alternanza scuola-lavoro, di tutte quelle strumentazioni ulteriori che ci debbono aiutare a reinvestire sulla conoscenza, a reinvestire sull'innovazione, a reinvestire sulla capacità di fare, a reinvestire sulla capacità di autopromuovere impresa da parte dei cittadini nel nostro Paese. Quindi, noi abbiamo bisogno di produrre un grande sforzo in questa direzione.
  Se c’è qualcuno che pensa che la nostra idea sia quella di far ripartire l'Italia massacrando il salario dei lavoratori, si sbaglia alla grande. Noi abbiamo un'idea esattamente opposta: noi pensiamo che ci sia bisogno di ricostruire una fase della crescita che ha una nuova qualità interna, che si misura con le problematiche dell'ambiente, che si misura con le problematiche dell'innovazione, che è capace di mettere in valore tutto ciò che sta nell'impresa e tutto ciò che sta nel lavoro.
  C’è bisogno di questo grande sforzo e io sono convinto che con l'approvazione di questa legge delega, e la produzione dei relativi decreti delegati, sicuramente un grande passo in avanti il nostro Paese lo farà. Grazie per la vostra attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di lunedì 24 novembre a partire dalle ore 11.

Ordine del giorno della prossima seduta.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 24 novembre 2014, alle 11:

  Seguito della discussione del disegno di legge:
   S. 1428 – Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione Pag. 58delle esigenze di cura, di vita e di lavoro (Approvato dal Senato) (C. 2660-A).
  — Relatori: Damiano, per la maggioranza; Placido, Prataviera e Cominardi, di minoranza.

  La seduta termina alle 16,45.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO ARCANGELO SANNICANDRO IN SEDE DI ESAME DI QUESTIONI PREGIUDIZIALI AL DISEGNO DI LEGGE N. 2660-A

  ARCANGELO SANNICANDRO. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, molto si è parlato, con riferimento a questa delega, di una «delega in bianco» al Governo.
  L'attribuzione di potestà legislativa al Governo deve avvenire con dei limiti, di oggetto, di criteri e di tempo, la cui mancanza altererebbe l'assetto delle fonti.
  L'attribuzione dei poteri normativi ad alcune o ad altre autorità pubbliche non è un tecnicismo ma indica i veri rapporti di potere: chi ha il potere di deliberare su un argomento, di disciplinare una fattispecie. Si può trattare del Parlamento, del Governo, di un'autorità amministrativa o indipendente, di una regione piuttosto che dello Stato centrale, con l'una o con l'altra procedura, più snella o più rafforzata, ma in tutti questi casi sappiamo bene che l'assetto costituzionale delle fonti è specchio della vera distribuzione del potere.
  Ed è per ciò che la Costituzione, nel disciplinare la delegazione di poteri legislativi dal Parlamento al Governo la ha circondata di particolari cautele: tempo limitato, oggetto definito, principi e criteri direttivi fissati dal legislatore delegante.
  Oggi il tema è questo: la delega che tanti studiosi e operatori hanno definito «in bianco» al Governo viola in più parti l'articolo 76 della Costituzione. E lo fa perché il Parlamento sta per dare al Governo la facoltà di legiferare senza dirgli esattamente come deve farlo; tecnicamente, per la carenza di princìpi e criteri direttivi.
  Voglio spiegarmi con alcuni esempi (pochi, non tutti, perché altrimenti il tempo non mi basterebbe).
  A prima vista questa legge delega contiene numerosissimi princìpi e criteri direttivi, ce ne sono sparsi in tutte le pagine dello stampato, ma queste affermazioni, frasi, stilemi, in realtà non sono sufficienti a «circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato» (per usare le parole della Corte costituzionale).
  In alcuni casi, questi principi e criteri direttivi sono, in realtà, nuovi oggetti di delega: le Camere, insomma, non dicono al Governo come deve fare ma che cosa può fare.
  Quando, al comma 2, si parla di «revisione dell'ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria», stiamo dando al Governo un nuovo oggetto di delega: il Governo può modificare la cassa integrazione. Quando, al comma 4, la legge delega parla di «razionalizzazione e revisione delle procedure e degli adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, e degli altri soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio» – esplicitando solamente delle finalità molto ovvie – la legge non dice al Governo come deve fare, gli dice – di nuovo – che cosa può fare. Ma dov’è che questo è proprio evidente ? Al comma 6, si parla di «eliminazione e semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi»: la legge dice al Governo di abrogare le norme «che danno fastidio» (se posso permettermi l'espressione) ma senza dargli dei vincoli specifici: veda il legislatore delegato quali sono le norme da abrogare o da modificare (perché «semplificare» è concetto soggettivo).
  Basta così ? No, perché oltre a questi princìpi e criteri direttivi che in realtà sono oggetti di delega, altri sono generici, e con ciò non sono dei veri indirizzi e vincoli per il Governo ma solo delle dichiarazioni ben poco cogenti: di nuovo il comma 6, le «norme interessate da rilevanti Pag. 59contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi» possono essere poche o tutte; al comma 7, la famosa previsione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti – anche se è certo più chiara dopo l'emendamento apportato in Commissione – a me pare che non faccia capire la portata di queste «tutele crescenti»: ho fatto un piccolo esperimento nelle pause dei lavori di Commissione, ho provato a chiedere quali fossero queste tutele crescenti e ho ricevuto risposte diverse – prova pratica che il concetto non è univoco.
  Altri principi e criteri direttivi sono formulati con espressioni che fanno riferimento a mere eventualità o a opzioni alternative selezionabili dal Governo delegato; devo ricordare che la Corte costituzionale ha rilevato che: «il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio od a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega» (sentenze n. 68 del 1991 e n. 340 del 2007). Ciò si riscontra: al comma 2, lettera b), numero 5) («eventuale introduzione, dopo la fruizione dell'ASpl, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa»); al comma 4, lettera h) («possibilità di far confluire, in via prioritaria, nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell'Agenzia il personale»); al comma 7, lettera a), il quale prevede che il Governo analizzi le varie forme contrattuali «in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali»; alla lettera f) («introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo...») e alla lettera i) («razionalizzazione e semplificazione dell'attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l'istituzione [...] di una Agenzia unica ... »); al già citato comma 9, lettera a) («nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione») e lettera e) («eventuale riconoscimento ... della possibilità di cessione ... di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi...»).
  Al comma 6, le lettere c) e d), nel prevedere per le pubbliche amministrazioni l'obbligo di trasmettere le comunicazioni alle amministrazioni competenti e l'introduzione del divieto di richiedere dati dei quali esse sono in possesso, ripetono disposizioni già vigenti nell'ordinamento, senza dunque contribuire a fornire indirizzi al Governo nell'attuazione della delega. Se le norme già esistono, che vincolo stiamo ponendo al legislatore delegato ?
  Ancora, in due circostanze, i principi e criteri direttivi non esplicitano l'effettiva portata della delega, in quanto fanno riferimento ad attività di tipo ricognitivo- analitico accompagnate da finalità di carattere generico, potenziale o eventuale. Ciò avviene, in particolare, al comma 7, lettera a): «individuare e analizzare tutte le forme contrattuali al fine di poterne valutare la coerenza [... ] in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali» e al già citato comma 9, lettera a): «ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell'indennità di maternità, nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici». Questo non è un criterio direttivo: le legge delega sta dicendo al Governo di fare l'elenco di tutti i contratti o di tutte le categorie, per poi valutare abbastanza liberamente che cosa ne debba fare. Ma perché ? Il Governo non è già consapevole degli istituti giuridici del settore ? Volevano fare una riforma delle materie ? Allora si deve scrivere «riforma» della tale o talaltra materia e indicare, lì sì, i princìpi e criteri direttivi, perché se si indica solo l'oggetto di delega senza indicare sufficienti vincoli, l'effetto di quella delegazione legislativa è di abilitare il Governo a fare non una vera riforma, ma una sorta di testo unico, in poche parole, non di innovare il diritto vigente, ma al massimo di riordinarlo. Anche qui mi appoggio all'autorità della Corte costituzionale: una disposizione «che delega il Governo a operare un riesame” della disciplina ..., in mancanza di principi e criteri direttivi che giustifichino Pag. 60la riforma, deve essere intesa in un senso minimale, tale da non consentire, di per sé, l'adozione di norme delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente o, se del caso, richieste dal coordinamento con nuove norme apprestate dal legislatore delegato» (Sent. n. 354 del 1998).
  Questo stesso problema lo riscontriamo perché fra il titolo dell'atto e le norme si usano in modo promiscuo i concetti di riordino e di riforma: attenzione perché le due nozioni non sono fungibili: la riforma permette l'innovazione del diritto vigente, il riordino consiste nel coordinamento legislativo, magari in un testo unico, ma senza innovazioni diverse da quelle rese necessarie dalla coerenza dell'ordinamento stesso;
   per le deleghe riguardanti gli ammortizzatori sociali e i servizi per il lavoro il titolo dell'atto parla di riforma mentre il testo parla di riordino (comma 1 e comma 3);
   per la delega riguardante i rapporti di lavoro e l'igiene e sicurezza sul lavoro e per la delega riguardante il testo unico delle forme contrattuali e dei rapporti di lavoro, il titolo dell'atto parla di riordino «della disciplina dei rapporti di lavoro» mentre i principi e criteri direttivi enumerati, rispettivamente, al comma 6 e al comma 7 appaiono, in generale, finalizzati ad autorizzare il Governo a innovare il diritto vigente;
   per la delega riguardante la maternità e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, il titolo dell'atto parla di riordino, mentre il testo parla di «revisione ed aggiornamento delle misure» (comma 8);

  Un'ultima osservazione, che sembra formale ma a mio avviso riveste carattere sostanziale: la delega lavoro consta di un solo articolo, per effetto della questione di fiducia posta al Senato, ed è in questo articolo unico che sono contenute ben cinque deleghe diverse su oggetti ciascuno dei quali è molto ampio. Sarebbe più corretto, dal punto di vista costituzionale e parlamentare, che ciascuna delega fosse contenuta in un articolo distinto: ciò infatti consentirebbe alle forze politiche di esprimersi con più votazioni, una per ciascuna delega. E infatti, forse non tutti sanno che nel 2001 i Presidenti della Camera e del Senato firmarono congiuntamente una circolare sulla formulazione delle leggi che contiene espressamente questa previsione: «Un articolo non può contenere più di una disposizione di delega». Chiaro che la circolare, come atto, non ha rango costituzionale, ma questa disposizione – una delega, un articolo – potrebbe ben essere considerata attuativa dell'articolo 72, primo comma, della Costituzione, secondo cui i progetti di legge sono approvati «articolo per articolo». E quale è il senso della disposizione costituzionale se non quello di permettere alle Camere di esprimersi con voti diversi su oggetti diversi ? La questione non è certo nuova, ma assume particolare rilievo nel caso di deleghe come questa: già altre volte è avvenuto che la Corte costituzionale ha specificato, qualificato, riorientato la propria giurisprudenza quando meccanismi già passati indenni al suo vaglio sono stati usati in forme eccessive.

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 1)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Ddl 2660-A-quest.preg.cost.1,2,3,4 401 400 1 201 121 279 70 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.