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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 283 di giovedì 4 settembre 2014

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

  La seduta comincia alle 14,15.

  VALERIA VALENTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 5 agosto 2014.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Bellanova, Bergamini, Biondelli, Bobba, Bocci, Borletti Dell'Acqua, Brunetta, Casero, Castiglione, Cirielli, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Di Salvo, Fedriga, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Frusone, Galati, Giacomelli, Gozi, La Russa, Legnini, Lotti, Manciulli, Mannino, Merlo, Morassut, Nicoletti, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rughetti, Sereni, Tabacci, Valentini, Velo e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente cinquantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sui lavori dell'Assemblea.

  PRESIDENTE. Avverto che nella seduta di martedì 9 settembre, alle ore 15, avrà luogo un'informativa urgente del Governo sul tema del terrorismo internazionale di matrice religiosa.
  Avverto altresì che sono state presentate due questioni pregiudiziali riferite al decreto-legge in materia di contrasto a fenomeni di illegalità e violenza in occasione di manifestazioni sportive. Secondo quanto già comunicato ai gruppi, l'esame e la votazione di tali documenti avrà luogo martedì 9 settembre, dopo lo svolgimento dell'informativa urgente.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 1o agosto 2014, n. 109, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei comitati degli italiani all'estero (A.C. 2598-A) (ore 14,18).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, n. 2598-A: Conversione in legge del decreto-legge 1o agosto 2014, n. 109, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei comitati degli italiani all'estero.Pag. 2
  Avverto che, nella seduta del 7 agosto 2014, sono state respinte le pregiudiziali Frusone ed altri n. 1, Scotto ed altri n. 2 e Gianluca Pini ed altri n. 3.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2598-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che le Commissioni affari esteri (III) e difesa (IV) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la Commissione affari esteri, deputato Mario Marazziti.

  MARIO MARAZZITI, Relatore per la maggioranza per la III Commissione. Signor Presidente, colleghi deputati, la conversione del decreto-legge sulle missioni internazionali costituisce ormai da anni uno dei momenti essenziali del dibattito parlamentare sulla politica estera del nostro Paese, in cui è possibile una autentica interlocuzione tra le Camere e il Governo sui profili strategici della nostra proiezione internazionale nel mondo. Sono quindi particolarmente lieto, nella mia veste di relatore per la III Commissione, che anche in questa occasione si sia realizzato un ampio esame istruttorio del testo presso le Commissioni competenti; integrato dalle comunicazioni rese ieri dal Ministro della difesa Pinotti e dal sottosegretario per gli affari esteri Mario Giro, che hanno confermato la straordinaria importanza della partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali finalizzate al conseguimento di obiettivi di sicurezza internazionale e di consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione.
  Quest'Aula sa bene che il momento della conversione di questi decreti-legge sulle missioni internazionali in passato, e in questa legislatura, hanno anche riaffermato l'importanza di un modello italiano che si è andato affermando nel tempo e negli anni all'interno delle missioni internazionali multilaterali, che vede il lavoro di cooperazione internazionale allo sviluppo, ma anche il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, come parte integrante delle missioni internazionali: quindi, come parte qualificante anche di missioni di pace in aree difficili, in aree di crisi e in aree di guerra.
  I gravissimi accadimenti di questo agosto, a cento anni dall'avvio del primo conflitto mondiale, sembrano confermare come le diverse crisi regionali, che ormai divampano ai confini dell'Europa, stiano modificando radicalmente, e speriamo non definitivamente, nel Vicino e nel Medio Oriente gli equilibri geopolitici consolidatisi alla fine della Grande Guerra.
  Sono in corso percorsi, non controllati attualmente, di riscrittura pratica e violenta di confini con grave sofferenza di popolazioni che per secoli hanno vissuto nella zona cosiddetta della Mezzaluna Fertile e solo questo basterebbe a dire quanto l'approvazione di questo decreto-legge acquista oggi un'importanza particolare.
  Noi sappiamo che, per il futuro, intendiamo lavorare all'approvazione di una legge quadro per un percorso di maggiore respiro su questo terreno e questo decreto che approviamo oggi, in qualche misura, è l'ultimo rinnovo di un decreto sulle missioni militari internazionali delle Forze armate e di polizia e sulle iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di costituzione e di partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione.
  Allora, vorrei dire che, di fronte a questi profondi rivolgimenti che rischiano di sfociare, come ha recentemente affermato il Pontefice, Papa Francesco, quasi in una terza guerra mondiale frammentata e segmentata, è importante riaffermare il ruolo del nostro Paese nel farsi promotore di un autonomo ed originale modello di partecipazione alle operazioni di peace keeping, fortemente basato sul rapporto Pag. 3con le organizzazioni internazionali, le organizzazioni non governative, le agenzie umanitarie, le autorità e le comunità locali e sempre privilegiando la scelta per una soluzione politica e non militare, definitivamente, dei conflitti.
  Ritengo che, complessivamente, questo decreto-legge rifletta pienamente questo approccio che è stato perfezionato nel lavoro parlamentare di questi giorni attraverso l'approvazione di numerosi, specifici emendamenti sui quali si è realizzata, con una discussione franca, costruttiva e multilaterale, una significativa convergenza tra le forze di maggioranza e di opposizione anche su temi qualificanti.
  Venendo sinteticamente alle principali aree di crisi che vedono il dispiegamento dei nostri contingenti più consistenti sotto il profilo numerico, per quanto attiene all'Afghanistan, si conferma l'esigenza di accompagnare l'avvio della nuova presidenza di Ashraf Ghani, sostenendo l'autorità del Governo legittimo nel graduale passaggio di responsabilità nell'ambito della sicurezza, dello sviluppo e della governance, promuovendo l'accesso allo sviluppo socio-economico della popolazione in modo sostenibile.
  Il provvedimento conferma anche per la seconda metà dell'anno la priorità geografica alla regione occidentale ed in particolare alla provincia di Herat, in cui il nostro Paese svolge un ruolo di lead nation, privilegiando lo sviluppo rurale e il miglioramento del reddito e delle infrastrutture.
  In Iraq occorre drammaticamente evitare, intelligentemente evitare, con coraggio e con immaginazione, evitare che la drammatica accelerazione del processo di crisi possa portare a una somalizzazione, a una balcanizzazione della regione, coinvolgendo in una paurosa spirale anche altri Stati, come Libano, Giordania e Arabia Saudita.
  Si consolidano in questa prospettiva alcuni interventi in corso già programmati anche attraverso lo strumento del credito di aiuto e si risponderà agli appelli relativi ai bisogni urgenti dei rifugiati e degli sfollati interni presenti in Iraq nel quadro della complessa situazione regionale e del recente conflitto nella provincia di Ambar, attraverso l'azione dell'UNHCR. Qui l'intervento italiano sarà anche destinato, mediante contributi finanziari, al sostegno di iniziative realizzate da altri organismi internazionali.
  È una crisi, quella dell'Iraq, che è stata definita, in qualche misura oggi, crisi unica e unitaria assieme a quella della Siria. In Siria si scontrano gravi errori internazionali, oscure manovre perché frange sempre più consistenti di fondamentalismi prendano possesso di intere zone del Paese e distruggano la convivenza e un modello di convivenza che è durato quasi due millenni.
  La Siria è uno dei punti della crisi mondiale ed è una crisi che sta destabilizzando anche le aree vicine, la Giordania, il Libano e altri Paesi. Per questo motivo, tra gli emendamenti accolti dall'intera Commissione affari esteri e dall'intera Commissione difesa, c’è l'ampliamento dell'aiuto umanitario, anche prevedendo la Giordania e includendo il Libano, pensando soprattutto alla Siria. Nel corso della discussione è stato sottolineato come bisognerà trovare la possibilità per iniziative ad hoc per salvare uno degli ultimi modelli di convivenza che è la città di Aleppo, oggi assediata e fortemente minacciata, a rischio di isolamento globale per iniziativa dell'esercito cosiddetto dell'IS o dell'Isis e che su questo vengano prese iniziative ad hoc a livello internazionale ed europeo.
  In Libano il clima di forte incertezza, derivante dal conflitto siriano e dalla crisi nella striscia di Gaza, si riflette sugli equilibri politici libanesi, infatti, acutizzando una crescente tensione politica e confessionale resa più marcata dal vuoto lasciato dall'opera di influenza di Damasco. Ciò rende ancora più rilevante un'altra iniziativa italiana, l'azione di UNIFIL, voluta, pensata, che ha avuto una guida soprattutto italiana, alla quale il nostro Paese dà, ancora oggi, un contributo assai significativo, al quale si affianca ora il sostegno all’International Group for Lebanon, avviato nel settembre scorso su richiesta Pag. 4delle Nazioni Unite per assistere il Libano nell'opera di soccorso ai rifugiati e, come ho detto, nell'azione di rafforzamento anche delle capacità di intervento delle forze armate libanesi.
  In Libia lo scontro sta attualmente assumendo un profilo politico diverso dal conflitto a bassa intensità delineatosi nei due anni precedenti. Rischia di creare una vasta area di vuoto, di scontro militare, di guerra, di terra incontrollata, di traffico umano, di tribalismo rafforzato dalle infiltrazioni terroristiche, prefigurando una svolta critica. Le violenze in corso sembrano, infatti, mettere definitivamente in causa il processo politico di transizione democratica che si era sperato fosse stato messo in moto dopo la rivoluzione, determinando un salto di qualità, invece, nei conflitti in atto, fino a destabilizzazioni o, comunque, difficoltà rilevanti anche per il vicino Egitto.
  Per quanto attiene agli scenari di crisi dell'Africa sub-sahariana, oggetto di costante attenzione da parte delle competenti Commissioni parlamentari, mentre in Mali si assiste alla ripresa del dialogo, promosso dall'Algeria, dal Burkina Faso, dal Marocco, dalle Nazioni Unite, tra le autorità del Governo centrale e i movimenti rappresentativi delle popolazioni meridionali del grande Stato sahelo-sahariano, nella Repubblica Centrafricana, malgrado la grande volatilità della sicurezza nella capitale Bangui, è stato raggiunto un accordo tra i due gruppi in contrapposizione. Segnalo come tra gli emendamenti accolti dalle Commissioni c’è l'ampliamento anche alla Repubblica Centrafricana della iniziativa di aiuto e cooperazione internazionale da parte del nostro Paese.
  Un'intesa di massima per addivenire ad un Esecutivo ad interim di unità nazionale è stata oggi raggiunta anche nel Sudan meridionale, grazie alla mediazione dell'Autorità intergovernativa per lo sviluppo, l'IGAD. Il decreto-legge prevede a tale proposito il finanziamento di una serie di attività di sostegno ai processi di ricostruzione e la partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione finalizzati, in particolare, alla realtà della Somalia e del Corno d'Africa e ai Paesi del Sahel e dell'Africa centro-occidentale.
  Riguardo all'area balcanica, sottolineo il dato positivo rappresentato dall'ottenimento il 24 giugno scorso da parte dell'Albania, dello status di Paese ufficialmente candidato all'accesso all'Unione europea. La decisione è il coronamento di un'azione fortemente sostenuta dal Parlamento e dai Governi italiani per far progredire i Paesi della regione dei Balcani occidentali sulla strada dell'integrazione europea, anche se permangono ancora oggi realtà nazionali molto differenziate tra loro. Il Montenegro e la Serbia, infatti, hanno avviato i negoziati di adesione, l'Albania e la Macedonia sono Paesi candidati, la Bosnia-Erzegovina resta ancora alle prime fasi del processo di adesione, mentre il percorso del Kossovo è ancora bloccato per la mancanza di unanimità degli Stati comunitari per il riconoscimento del suo status internazionale. Sul versante della partecipazione italiana a fondi ed iniziative multilaterali, mi preme di richiamare lo stanziamento di 2 milioni 896 mila 200 euro per il secondo semestre 2014 per il finanziamento delle iniziative nel campo della gestione civile delle crisi internazionali in ambito PESC-PSDC, che assume una peculiare valenza all'indomani della designazione di Federica Mogherini ad Alto rappresentante per la politica estera europea e per la sicurezza comune e Vicepresidente della Commissione. Un riconoscimento del ruolo internazionale del nostro Paese, una straordinaria opportunità per portare in Europa la visione italiana di partecipazione alle grandi operazioni di sostegno umanitario e di peace keeping. Alcuni emendamenti approvati in sede referente hanno consentito di qualificare ulteriormente, come ho accennato prima, la seconda parte del provvedimento, riguardante il finanziamento delle iniziative di cooperazione allo sviluppo, che trovano adesso un adeguato e innovativo strumento normativo nella nuova legge n. 125 del 2014, che disciplina l'aiuto Pag. 5pubblico allo sviluppo. Ma vorrei prima di questo dire che le Commissioni riunite hanno trovato un'intesa unanime, con un'unica astensione, per un emendamento comune che è relativo all'intervento italiano nelle azioni di contrasto alla pirateria internazionale e che dovuta attenzione è stata data al tema critico della presenza ancora sul territorio indiano dei nostri due fucilieri di marina.
  L'articolo 8 autorizza – dicevo – nella seconda parte del nostro provvedimento per il secondo semestre del 2014 la spesa di 34 milioni 800 mila euro, ad integrazione degli stanziamenti previsti dalla normativa sulla cooperazione allo sviluppo. Lo stanziamento è finalizzato ad iniziative di cooperazione per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e dei rifugiati, nonché per il sostegno alla ricostruzione civile in Afghanistan, Iraq, Libia, Mali, Myanmar, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Siria, Somalia, Sudan, Sud Sudan e Yemen, e in relazione all'assistenza ai rifugiati nei Paesi ad essi limitrofi.
  È stato anche operato perché venisse inserito in questo decreto adeguatamente l'intervento italiano per il sostegno alla ricostruzione e per iniziative adeguate nel conflitto che vede coinvolti Israele e Palestina. Segnalo che tali risorse saranno prioritariamente finalizzate alla realizzazione di programmi volti alla prevenzione e al contrasto della violenza sulle donne – e in questo caso per la prima volta abbiamo inserito il riferimento a quanto previsto dal piano di azione nazionale proprio in questo campo – alla tutela dei loro diritti e all'occupazione femminile.
  Siamo di fronte a un passo in avanti, che introduce anche la tutela dei diritti, e non solo un programma difensivo contro le violenze estreme. Ma è prevista anche la tutela e la promozione dei diritti dei minori e, significativamente, anche degli anziani, e gli interventi per sostenere le vittime di mutilazioni in caso di guerra. Tali interventi saranno intrapresi in coerenza con il quadro di diritto internazionale in materia di aiuto allo sviluppo, in particolare con le direttive OCSE-DAC e con gli Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite.
  Nell'ultima parte di questo provvedimento si parla anche delle disposizioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero. È un elemento apparentemente estrinseco, ma, assolutamente, una necessità benvenuta in questo decreto, perché mette fine ad un ritardo, ormai quasi decennale, nella possibilità di rinnovo dei Comites degli italiani all'estero.
  Si permette, dopo dieci anni di rinvii, proprio la formazione dei nuovi Comites, responsabilizzando la partecipazione al voto, che certo andrà perfezionata, poi, con l'intera riforma del sistema. Quindi, per quanto attiene alle disposizioni sul rinnovo dei Comites, esse prevedono sì il mantenimento del tradizionale sistema di voto, ma, in considerazione degli elevati oneri derivanti dalla spedizione dei plichi elettorali a milioni di cittadini italiani all'estero, poi non partecipanti davvero alla tornata elettorale, e in considerazione della scarsa partecipazione al voto degli italiani residenti all'estero – nel 2004 ha votato il 34 per cento...

  PRESIDENTE. Deputato, concluda.

  MARIO MARAZZITI, Relatore per la maggioranza per la III Commissione. ... degli aventi diritto – e nelle elezioni politiche ammettendo al voto solo gli aventi diritto che abbiano davvero manifestato la volontà di votare, oggi è possibile richiedendo l'iscrizione nell'elenco elettorale.
  Allora tale modalità dovrebbe consentire di limitare l'invio dei plichi elettorali agli elettori realmente interessati al voto per il rinnovo dei Comites, previa richiesta, con conseguente maggiore sicurezza del procedimento, grazie all'invio del plico a indirizzi certi e ad elettori interessati alla partecipazione al voto, quindi riducendo contestualmente le spese e innalzando il livello di trasparenza.
  Concludo rimarcando l'ormai improcrastinabile esigenza, come accennato all'inizio, di varare la legge quadro sulle missioni internazionali...

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  PRESIDENTE. Deve concludere.

  MARIO MARAZZITI, Relatore per la maggioranza per la III Commissione. ... snellendo la procedura legislativa, concentrando sul piano politico l'attenzione del Parlamento. L'obiettivo è quello di giungere all'adozione di uno strumento legislativo generale e stabile, capace di disciplinare la questione dell'impiego dell'Italia e dell'impegno dell'Italia derivante dall'appartenenza all'Unione europea e alle maggiori organizzazioni internazionali e regionali con apposita legge (Applausi dei deputati del gruppo Per l'Italia).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la Commissione difesa, deputato Carlo Galli.

  CARLO GALLI, Relatore per la maggioranza per la IV Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, illustri rappresentanti del Governo, ringrazio il collega Marazziti per l'esposizione dei profili di competenza della Commissione affari esteri. Mi accingo ad evidenziare i più significativi profili che ineriscono alla Commissione difesa contenuti nel provvedimento in esame, anche alla luce dell'approvazione di emendamenti presentati sia dai gruppi di maggioranza sia da quelli di opposizione.
  Prima è però doveroso esprimere in termini non formali un ringraziamento a tutti gli uomini e le donne delle Forze armate che, nelle regioni del mondo segnate da guerre, crisi e instabilità, contribuiscono, con alto senso del dovere, spirito democratico e disponibilità al sacrificio fino al rischio della propria vita, a ripristinare e a mantenere la pace e la sicurezza, dando prova di livelli di eccellenza professionale internazionalmente riconosciuti.
  Qualità umana, una specifica propensione al sostegno delle popolazioni civili mediante interventi di disarmo, il contributo ai processi di democratizzazione e di institution building, l'addestramento delle forze di sicurezza locali rappresentano il contributo specifico che l'Italia assicura alla comunità internazionale, impegnata nel conseguimento degli obiettivi fissati dalla Carta dell'ONU.
  Per tali ragioni l'esame di questo provvedimento, al di là delle questioni che esso pone, permette di approfondire e costituisce l'occasione affinché la massima istituzione rappresentativa possa rendersi portavoce della gratitudine e del sostegno che il Paese conferma ai propri militari impegnati nelle missioni all'estero.
  Il provvedimento di proroga delle missioni fino al 31 dicembre di quest'anno registra una drastica riduzione del personale impegnato all'estero. Rispetto al primo semestre 2014 la consistenza media del personale è passata, infatti, da 4.725 a 4.178 unità e l'impegno di spesa è ridotto di quasi un terzo rispetto al primo semestre dell'anno. La nostra presenza militare all'estero continua a ridursi soprattutto per effetto dell'avvio della fase di ripiegamento dall'Afghanistan, che ha determinato una riduzione della consistenza media nell'area da 2.250 a 1.500 unità.
  Sul piano degli scenari d'impiego il dibattito sul provvedimento, avviato all'inizio del mese di agosto, ha necessariamente registrato le rilevanti novità legate all'evolvere del quadro internazionale. I contenuti delle comunicazioni del Governo del 20 agosto scorso sulla situazione in Iraq – cui è seguita l'approvazione da parte delle Commissioni esteri e difesa dei due rami del Parlamento di una risoluzione finalizzata a dare attuazione agli indirizzi formulati dal Consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto, rispondendo d'intesa con i partner europei e transatlantici alle richieste di aiuto umanitario e di supporto militare delle autorità regionali curde con il consenso delle autorità nazionali irachene – sono stati integrati dal Ministro della difesa in merito alle attività organizzative e logistiche finalizzate al trasporto e alla consegna dei materiali. Il Ministro ha informato le Commissioni sull'impegno all'individuazione di eccedenze di materiale d'armamento leggero nazionale, ai sensi dell'articolo 422 del codice dell'ordinamento Pag. 7militare, e sulle attività finalizzate alla copertura finanziaria dell'intervento, stimata in 1,9 milioni di euro.
  In generale la situazione internazionale è tale da preludere a possibili nuove esigenze d'intervento su cui il Parlamento dovrà pronunciarsi, con particolare riferimento alla Libia, Paese in cui il rischio della perdita di ogni forma di legittima statualità potrebbe produrre effetti negativi sulla sicurezza del nostro Paese. In Libia il nostro impegno attuale si svolge nell'ambito di importanti missioni europee, cui contribuiscono le forze dell'ordine insieme alle Forze armate ed è regolato anche da accordi bilaterali. La missione italiana ha avuto finora un ruolo prevalente in ambito addestrativo, che ha subito una battuta d'arresto in ragione della situazione generale.
  Nell'auspicio che si possano ripristinare al più presto le condizioni per un rilancio di tali attività, secondo quanto riferito anche dal Ministro Pinotti l'impegno italiano in Libia prevede per il periodo considerato dal decreto in esame un nucleo massimo di 100 unità, laddove allo stato le unità effettivamente presenti sono in numero minore.
  Di particolare rilievo politico è stato l'esame delle norme riferite alle missioni antipirateria dell'Unione europea e della NATO nella regione del Corno d'Africa e dell'Oceano Indiano, riesame svoltosi alla luce dei più recenti sviluppi della questione relativa ai due fucilieri di Marina trattenuti in India da oltre due anni.
  Nella giornata di ieri, su proposta del collega Gianluca Pini, con riformulazione elaborata in chiave pluri-partisan presentata dal presidente della Commissione difesa, onorevole Elio Vito, a cui la maggioranza parlamentare ha contribuito in modo significativo, è stato approvato un emendamento all'articolo 3 del decreto-legge che prospetta una valutazione sugli sviluppi della vicenda dei due fucilieri di Marina quale passaggio obbligato ai fini della partecipazione dell'Italia ad ulteriori missioni antipirateria oltre il 31 dicembre di quest'anno. L'auspicio è che la questione possa trovare rapida soluzione oltreché in un'ottica bilaterale anche al fine di non precostituire complessi precedenti che possano tradursi in un ostacolo all'azione internazionale contro la pirateria ed il terrorismo.
  Nella piena consapevolezza della precarietà del quadro mediorientale, è doveroso richiamare la rilevanza dell'impegno italiano in Libano nell'ambito di UNIFIL, missione che continua a garantire la sostanziale stabilità nella parte meridionale del Libano e alla frontiera con Israele. Qui l'Italia assicura il contingente più consistente (1.100 militari) e, per la terza volta dal 2006, con il generale Portolano, dopo i generali Serra e Graziano, continua a detenere la carica di comandante della forza e della missione.
  Di particolare interesse è stato anche l'approfondimento sul nostro impegno nei Balcani, oggetto di numerose proposte emendative finalizzate a una riflessione politica sulla situazione complessiva della regione, che resta centrale nei nostri interessi strategici e di sicurezza.
  Quanto alla crisi russo-ucraina, su cui al vertice NATO, attualmente in corso, verranno assunte decisioni assai rilevanti, su cui il Governo riferirà alle Commissioni di Camera e Senato il prossimo martedì, secondo quanto riferito dal Ministro Pinotti, il nostro impegno si esplica, ad oggi, nell'ambito di tale consesso multilaterale, con l'utilizzo di velivoli radar AWACS, di un velivolo per il rifornimento in volo degli aerei, di una nave tipo fregata, di una nave tipo cacciamine, che ha operato nel Mar Nero nel periodo 3-30 luglio scorso.
  Dallo stesso vertice della NATO si attendono decisioni in merito al processo post 2014 in Afghanistan, dopo il ritiro che sarà completato entro l'anno in corso, sulla base di quanto sarà concordato con le autorità afgane. È d'obbligo ricordare che, grazie al nostro contingente, oggi la provincia di Herat è una delle più stabili e sviluppate di quel Paese, come dimostra in modo sintomatico l'elevatissima affluenza alle urne in occasione delle ultime elezioni, la più elevata a livello nazionale anche tra le donne. Il provvedimento in esame rafforza, peraltro, gli interventi di Pag. 8cooperazione in Afghanistan, a consolidamento dello straordinario lavoro già compiuto in termini di realizzazione di strutture ad uso civile e a tutela dei diritti umani.
  Svolte queste brevi premesse, rispetto alle competenze della Commissione difesa, il provvedimento in esame offre importanti spunti di riflessione su temi inerenti la difesa e la sicurezza nazionale e internazionale, che si intrecciano con il ruolo delle Forze Armate e con le linee strategiche che dovranno orientare in futuro lo strumento militare. Sono questioni che il Ministro della difesa ha già tratteggiato nelle linee guida per il Libro bianco sulla difesa, sulle quali queste Commissioni (difesa ed affari esteri) approfondiranno il dibattito nei prossimi mesi, anche in altre sedi, con particolare riferimento al prosieguo dell'esame delle proposte per una legge quadro sulle missioni internazionali.
  L'anno davvero orribile, che è il 2014, dal punto di vista della sicurezza internazionale – probabilmente l'anno peggiore o tra i peggiori del secondo dopoguerra, in cui tre continenti sono attraversati da crisi che si tratta di ridurre e di riportare a una qualche forma di controllo – vede il nostro Paese in grado di produrre un importante sforzo per la difesa dei propri cittadini, delle proprie istituzioni, dei propri interessi e per la difesa dell'ordine internazionale. Uno sforzo che dimostra che il nostro Paese non nasconde la testa nella sabbia e si appresta ad esplicare un'azione politica e ad esplicare le necessarie capacità militari in contesti che vanno rapidamente mutando e non in meglio.
  Ciò premesso, auspico un rapido iter nell'esame del provvedimento, in risposta alla domanda di certezza giuridica e di prevedibilità degli interventi che proviene dai contesti in cui operano i cittadini italiani, militari e civili, al servizio della pace e della sicurezza internazionale (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Per l'Italia e Nuovo Centrodestra).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la Commissione affari esteri, deputato Gianluca Pini.

  GIANLUCA PINI, Relatore di minoranza per la III Commissione. Signor Presidente, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 109 del 2014, che reca l'ennesima proroga delle missioni internazionali, oltre che questioni relative al sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali, presenta, come sempre, secondo il nostro avviso, diversi problemi sui quali è opportuno promuovere una riflessione approfondita.
  Si tratta, in realtà, delle stesse questioni che, già per ben due volte durante gli ultimi mesi, sono state affrontate, cioè in occasione della conversione del decreto-legge n. 2 del 2014 e, prima ancora, di quella del decreto-legge n. 114, poco meno di un anno fa.
  Come era prevedibile e come è stato previsto, il quadro delle missioni che si erano prorogate con il decreto n. 2 del 2014 viene di fatto confermato, con lievissime modifiche, fino alla fine dell'anno in corso. E risulta confortata dall'evidenza dei fatti anche la circostanza che la precedente autorizzazione, come avevamo detto, coprisse soltanto un semestre a causa di motivi di ordine economico e finanziario, non certo per scelte di carattere strategico o geopolitico.
  Le risorse che sono state allocate dalla legge di stabilità 2014 al Fondo per l'alimentazione delle missioni di pace sono state infatti quasi interamente consumate dagli interventi svolti nei primi sei mesi di quest'anno e sappiamo bene che, per riuscire ad arrivare alla fine del 2014, si è dovuto ricorrere a coperture davvero inconsuete, per non dire bizzarre. Il loro reperimento è stato talmente difficoltoso che lo stesso Ministro della difesa ha ammesso in Parlamento come proprio questo fatto sia stato alla base del ritardo con il quale è stato emanato il decreto n. 109.
  Andiamo nel dettaglio: 200 milioni di euro sono stati attinti dagli interessi sugli Pag. 9strumenti finanziari utilizzati per ricapitalizzare il Monte dei Paschi di Siena (operazione fatta dal Governo Monti, anche quella fonte di tante bizzarrie), mentre altri 213 milioni sono giunti da una riprogrammazione straordinaria delle spese del Ministero della difesa. Ciò significa una sola cosa: che per la prima volta il Dicastero militare ha dovuto pagare una parte significativa degli oneri connessi allo svolgimento degli interventi all'estero con denaro proveniente dalle proprie risorse ordinarie (fra l'altro, un impatto di circa un quarto sulla totalità del bilancio del Ministero della difesa). Si ritiene utile che il Parlamento sia al più presto portato a conoscenza delle voci penalizzate e dei tagli che è stato necessario apportare per finanziare questi altri sei mesi di operazioni internazionali.
  È stato detto, non ricordo se in fase di audizione o in fase di discussione nelle Commissioni congiunte, che, in realtà, è una sorta di anticipazione. Vorremmo avere in qualche modo un conforto tecnico e non solo un passaggio più o meno formale da parte degli esponenti del Governo, perché qui, ripeto, non parliamo di tagli lievi o sfumature rispetto a quelli che sono gli impegni di spesa del Ministero della difesa, ma parliamo di meno 25 per cento, di fatto, di risorse disponibili per lo stesso Ministero.
  C’è da dire che in questo modo di procedere si è già in passato ravvisato un pericolo importante per i soldati dispiegati in aree a rischio operativo e un pericolo non di rado elevato.
  Infatti riteniamo opportuno sollevare la questione nuovamente adesso, in occasione dell'esame di questo atto Camera, anche perché appare necessario giungere rapidamente ad una forma più organica di programmazione e gestione degli interventi oltremare, possibilmente meno velleitaria e più conforme alle attuali possibilità del Paese.
  Programmazione e gestione più ordinata delle operazioni all'estero detterebbero in effetti una più accurata e rigorosa selezione degli interventi, secondo l'effettiva capacità finanziaria di sostenerli nell'arco dell'anno, senza dover ricorrere a spezzettamenti di queste missioni nell'arco appunto di ogni singolo esercizio, tenendo ovviamente conto dell'importanza degli obiettivi perseguibili attraverso il loro svolgimento.
  Da tempo, del resto, si insiste, in questo Parlamento, sull'opportunità di una drastica riduzione degli impegni, che ponga fine alla loro disordinata moltiplicazione e dispersione, che spesso si traducono in un'inutile parcellizzazione delle iniziative, che accresce le spese senza recare alcun dividendo politico.
  Non è purtroppo una novità, ma una costante ricorrente nel modo in cui il nostro ordinamento si rapporta all'uso del proprio strumento militare, non di rado ridotto alla stregua di una mera pedina impiegata per mostrar bandiera, senza eccessiva considerazione degli interessi effettivamente in gioco, della loro importanza relativa e del rapporto costi-benefici insito in ogni scelta di impegno. Il decreto-legge, di cui è richiesta la conversione in quest'Aula, si colloca precisamente nel solco di questa infelice tradizione. È stata, quindi, persa secondo noi un'altra preziosa occasione per avviare una spending review anche in questo campo, cosa della quale ci si rammarica, anche alla luce dell'ampiezza delle riduzioni di spesa nel frattempo portate a danno di altre strutture essenziali dello Stato, come quelle che tutelano la sicurezza dei cittadini nella loro vita di tutti giorni.
  L'insieme degli interventi rinnovati fino alla fine dell'anno è rimasto obiettivamente impressionante. È vero, si conferma, in quanto i numeri sono incontrovertibili, una contrazione degli uomini e delle donne inviati all'estero, ma per la verità è tutta una contrazione concentrata sulla missione ISAF, quindi in Afghanistan. Come evidenzia, poi, la stessa struttura del provvedimento in esame, ci sono ancora missioni in Africa, Asia, Europa, oltre che nel Mediterraneo, nel Mar Rosso e nell'Oceano Indiano. Il quesito se non si stia per caso esagerando non è pertanto assolutamente fuori luogo. In taluni casi, infatti, si tratta di presidi pressoché insignificanti Pag. 10dal punto di vista tecnico-operativo. Si pensi ai trentuno uomini inviati, sotto tre insegne differenti, nei territori dell'Autorità nazionale palestinese, ma ciononostante incaricati del compito di contribuire all'addestramento degli eredi di al-Fatah; o ai quattro osservatori attribuiti a Cipro; o ancora ai quattro militari con cui partecipiamo in Georgia ad una missione iniziata nel lontano 2008; o ai cinque conferiti in Bosnia-Erzegovina, forse utili solo a raccontarci cosa succede nelle municipalità di quei luoghi. Funzioni, però, che potrebbero svolgere serenamente altre persone e non sicuramente impieghi militari. Servono davvero ? Cosa hanno portato poi in termini concreti al Paese e in questi Paesi ? In noi è forte l'impressione che se ne possa fare a meno senza pagare alcuno scotto significativo. Per quello abbiamo proposto tutta una serie di emendamenti che andavano a cancellare questo tipo di missioni, chiaramente una volta esaurite alla fine di quest'anno, senza interromperle drasticamente. Anche qui, tuttavia, abbiamo sollevato in Commissione e continueremo a sollevare anche in Aula, il fatto che se si tratta di fare spending review laddove non ci sono obiettivamente degli interessi pesanti da dover controllare, è chiaro che anche in questo campo bisogna fare una rivisitazione complessiva. Speriamo che il prossimo decreto lo faccia o speriamo, anzi, ancora prima, che l'Aula voglia avere un ripensamento rispetto alla bocciatura di quegli emendamenti.
  Poi ci sono effettivamente le operazioni di maggiore importanza. Si considerano in particolare l'ISAF e le missioni accessorie che vedono unità delle Forze armate impiegate nel difficile compito di stabilizzare l'Afghanistan. All'origine la loro partecipazione a questo sforzo rappresentava uno dei contributi più significativi dati alla grande campagna contro il terrorismo transnazionale di matrice jihadista avviata dopo i fatti dell'11 settembre. Ma il senso della missione internazionale è nel frattempo mutato, insieme agli orientamenti dell'amministrazione Obama, e merita chiedersi se davvero valga ancora la pena di mantenere sul suolo afgano 1.500 persone, come da riduzione attuale, 415 mezzi terrestri e 25 automobili mentre è in atto un ritiro che coinvolge invece molti importanti alleati. L'interrogativo circa l'opportunità di andare avanti è reso anche più urgente dalla circostanza che la stessa Casa Bianca abbia chiarito come l'America non conti più di restare in Afghanistan oltre il 2016. Sempre ammesso, naturalmente, che si trovi la soluzione alla disputa insorta a Kabul sui risultati del ballottaggio presidenziale e si insedi quindi al più presto un nuovo Capo dello Stato capace di porre la propria firma sul Bilateral Security Agreement afgano-americano senza il quale non potrà esservi alcun impegno, né statunitense, né atlantico. Presidente, se esaurisco i tempi, me lo dica...

  PRESIDENTE. Ha ancora quaranta secondi.

  GIANLUCA PINI, Relatore di minoranza per la III Commissione. Consegnerò poi il resto della relazione.

  PRESIDENTE. Va bene.

  GIANLUCA PINI, Relatore di minoranza per la III Commissione. L'opinione pubblica merita nel frattempo di sapere che nelle aree già restituite alla responsabilità delle forze di sicurezza afgane, la guerriglia la fa ormai da padrona. È accaduto, sia a Bala Murghab, che nel Gulistan, tenuti al prezzo di un pesante tributo di sangue ormai del tutto vanificato. E non passa giorno senza che dalla regione occidentale afgana giungano cattive notizie sotto il punto di vista della sicurezza locale.
  Di tale triste situazione, la delegazione parlamentare di cui anch'io facevo parte purtroppo è stata testimone.
  Quanto al Libano, la partecipazione all'UNIFIL 2, si è di fatto trasformata in una vulnerabilità strategica, essendo ormai il Paese dei cedri lambito dall'offensiva dei miliziani islamisti dell'ISIS. Né risulta che la diplomazia italiana abbia tratto finora Pag. 11particolare giovamento dalla presenza dei soldati schierati a sud del fiume Litani. Eppure si rimane ancora in quel teatro con ben 1110 uomini accompagnati da 647 mezzi terrestri e da sei aeromobili.
  Non pare inoltre molto prudente neanche esacerbare – e qui sottolineo e chiudo – la contrapposizione con la Federazione russa. Ne abbiamo discusso lungamente in Commissione.
  Il tempo è esaurito. Consegno il resto della relazione. Ci sarà comunque tempo durante l'esame dell'Assemblea di approfondire quelli che sono i temi specifici (Il Presidente autorizza, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione del testo integrale della relazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la Commissione difesa, deputato Artini.

  MASSIMO ARTINI, Relatore di minoranza per la IV Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Governo, il disegno di conversione del decreto-legge 1o agosto 2014, n. 109 reca l'ennesima proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni (anche in questo caso) per il rinnovo dei comitati degli italiani all'estero. La prima cosa che appare agli occhi è che questo decreto-legge è ormai vecchio e del tutto avulso dal contesto internazionale e dalle innumerevoli crisi e minacce alla pace che si sono palesate ulteriormente nelle ultime settimane. Se a Gaza tace il cannone, dopo che l'esercito israeliano in un mese di operazione «Margine sicuro» ha ridotto in macerie la città e ha fatto oltre duemila morti e migliaia di feriti, l'espansione e l'affermarsi di un califfato a cavallo tra i territori dell'Iraq e della Siria sotto il comando del fantomatico ISIS, ha costretto la comunità internazionale a sostenere gli sforzi delle milizie curde per evitare eccidi, pulizie etniche e cancellazioni di storiche minoranze in quella culla della civiltà che è la Mesopotamia. Lo stesso Governo italiano, che interverrà con un emendamento – speriamo – sul decreto-legge in esame per formalizzare l'invio delle armi al Governo di Baghdad – speriamo nel senso che almeno abbia il coraggio di presentarlo come emendamento e che non venga rimandato successivamente, anche se da parte nostra sarebbe opportuno non lo presentasse e non lo facesse nemmeno – non sembra, dicevo, avere le idee chiare su tutta la vicenda.
  Qui ci troviamo di fronte al ripetersi di scenari che abbiamo già conosciuto in Afghanistan con la costituzione di veri e propri mostri come l'ISIS – in Afghanistan furono precedentemente i talebani – utili in una fase per combattere Assad o per abbattere Saddam Hussein per poi rivelarsi un nemico mortale per i popoli e lo stesso Occidente tanto da dover armare altri per poterli fronteggiare. Siamo al fallimento conclamato di oltre un ventennio di interventismo militare, umanitario e democratico che ha contribuito solo a destabilizzare queste aree strategiche da un punto di vista energetico, facendo pagare il prezzo pesantemente alle popolazioni civili. Altro che missioni di pace ! Se non si ha il coraggio politico (vogliamo parlare anche di cosa sta avvenendo in Libia ?) di dire che la base fondante di questo decreto-legge, ovvero delle missioni militari più importanti che hanno visto l'Occidente e l'Italia impegnati in prima linea, si sono rivelate in gran parte un tragico fallimento le cui conseguenze pagheremo a lungo.
  Anche i nostri alleati – la Turchia, i cosiddetti amici della Siria, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, l'Arabia Saudita – o sono collocati l'uno contro l'altro nel sostegno a fazioni e milizie jihadiste in competizione tra loro o sono decisamente schierati contro coloro che anche questo decreto-legge vorrebbe fronteggiare. Davanti a questo fallimento sarebbe necessario, come ama dire il nostro Presidente Pag. 12del Consiglio Renzi, cambiare verso a questa politica disastrosa, ma di questo cambiamento non troviamo traccia nel decreto anzi, a detta delle parole del Ministro proprio di ieri, agire in Libia ad esempio con lo stesso mandato è un bene perché favoriremo la ricostruzione di un Paese completamente distrutto anche grazie a noi.
  Dentro questo quadro allarmante il testo del decreto-legge pone di nuovo problemi sui quali è opportuno promuovere una riflessione approfondita.
  Innanzitutto, come è stato in altre occasioni sottolineato, va stigmatizzata la mancanza, ancora una volta, di una legge quadro, che disciplini la partecipazione dei contingenti italiani alle missioni internazionali in maniera organica, generale e coerente, al fine di evitare le gravi disfunzioni e incongruenze che, ancora una volta, andiamo a riscontrare in questo provvedimento: in particolare, il fatto che non si vada a trattare della parte politica e d'azione, ma solo della parte finanziaria.
  A tal proposito, le Commissioni riunite affari esteri e difesa della Camera hanno avviato l'esame in sede referente di alcune proposte di legge volte ad introdurre una complessiva ed organica normativa di riferimento sul trattamento economico e giuridico del personale impegnato nelle missioni, nonché a disciplinare la procedura da adottare per l'invio dei militari all'estero. Va segnalato, però, che si sono tenute solo tre sedute, mentre sarebbe stato necessario ed utile definire l'iter, quando non concluderlo, entro la scadenza del 30 giugno 2014, ovvero prima dell'emanazione dell'attuale decreto-legge di proroga semestrale, ancorché emanato con un mese di ritardo. Io spero che sia volontà di tutti, dopo l'esame di questo decreto-legge, iniziare a lavorare seriamente su questa legge quadro.
  Il decreto-legge all'esame è stato licenziato, infatti, dal Consiglio dei ministri in data 23 luglio 2014 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo il 1o agosto, ovvero trentadue giorni dopo la scadenza del precedente decreto-legge, a dimostrazione dell'insussistenza del requisito dell'urgenza, anche in considerazione del fatto che si tratta di missioni in itinere da svariati anni, per alcune delle quali nemmeno è stata presa in considerazione l'eventualità della cessazione.
  Nel provvedimento in merito rivendichiamo con forza il diritto di valutare per ogni missione se, quanto e come contribuire, nel pieno rispetto del precetto costituzionale del ripudio della guerra e degli impegni internazionali per la stabilizzazione della pace che vedono protagonista il nostro Paese, di concerto con la comunità internazionale. Un diritto che, ad oggi, risulta di difficile attuazione, a fronte dei tempi e delle modalità con cui, seguendo ormai una prassi consolidata, purtroppo, si affrontano le periodiche proroghe delle missioni internazionali. L'utilizzo dello strumento del decreto-legge impedisce, di fatto, un'analisi accurata e una deliberazione consapevole: giusto per metterlo agli atti, abbiamo fatto un «balletto» su emendamenti e audizioni che è stato decisamente poco costruttivo nel voler definire quella che è la situazione geopolitica e di difesa delle missioni internazionali dove stiamo andando a lavorare.
  Il decreto, rinnovando una delle peggiori consuetudini che si trascinano da diverse legislature, ancora una volta inserisce, in maniera assolutamente irragionevole e dannosa, in un unico provvedimento tutte le missioni, in alcuni casi molto diverse tra loro, impedendo in sostanza al Parlamento di valutarle singolarmente, in tutte le loro accezioni e incidenze prima di deliberare.
  Un altro discutibile modo di procedere, poi, riguarda lo stanziamento di risorse per il rifinanziamento delle missioni. Infatti, anche per questo decreto si continua con la pratica dello spezzettamento dei fondi necessari al prosieguo delle missioni. Vale la pena ricordare che con il precedente decreto sono stati stanziati 619 milioni di euro a valere sui primi sei mesi del 2014, ovvero l'intera dotazione finanziaria relativa al 2014 prevista dalla legge di stabilità. Appariva ovvio che, in prossimità della scadenza del 30 giugno, si sarebbe dovuto necessariamente fare una consistente Pag. 13variazione di bilancio per attribuire nuove risorse per i successivi sei mesi.
  Nel testo in esame rimane la pur positiva divisione per aree geografiche delle missioni, che non risolve però il problema di una libera espressione del voto parlamentare, insistendo diverse missioni nella stessa area, ma avendo finalità, obiettivi e risultati diversi tra loro. L'auspicio è che si possa al più presto riprendere l'iter di esame della citata legge quadro sulle missioni internazionali, in modo da evitare di tornare a discutere, come nella circostanza attuale, di una situazione che si limita a definire se dare o meno un finanziamento a determinati interventi.
  Nel merito del provvedimento in esame, l'articolo 1, che si riferisce all'Europa, tratta delle missioni nei Balcani, a Cipro e nel Mediterraneo. Su quella relativa alla permanenza dei quattro militari all'interno della missione ONU a Cipro rimangono alcune perplessità, che, fortunatamente, ha rilevato anche ieri il Ministro. Infatti, il timore è che la pigra reiterazione di questa missione sia un modo per la comunità internazionale di lavarsi la coscienza, non mettendo in atto tutte quelle iniziative diplomatiche necessarie per una rapida e definitiva riunificazione dell'isola, la cui divisione, oggi più di ieri, è anacronistica, atteso che la Turchia ha chiesto di entrare nell'Unione europea.
  Se la missione ONU a Cipro sta cambiando natura, ovvero viene usata come retrovia organizzativa della missione UNIFIL in Libano e per quella dell'OPAC per la distruzione delle armi chimiche in Siria, allora sarebbe stata più corretta l'emanazione di una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza, che stabilisca chiaramente i nuovi compiti e le funzioni della missione in quell'area.
  Per quanto riguarda l'articolo 2 relativo all'Asia va sottolineato che la guerra in Afghanistan ha prodotto una destabilizzazione in tutta quell'area, rafforzando l'odio verso l'Occidente e potenziando il fondamentalismo islamico e terroristico. La fallimentare partecipazione italiana – formalmente il nostro contingente dovrebbe terminarla il 31 dicembre di quest'anno – a questa invasione è stata, dal punto di vista del diritto internazionale, del tutto illegittima, avendo lo scopo di infliggere una punizione collettiva al popolo afgano nonostante fosse provato che gli attentatori dell'11 settembre 2001 fossero tutti cittadini dell'Arabia Saudita.
  La storia di questi decenni dell'Afghanistan ha sempre dimostrato che l'invasione militare straniera – dell'impero britannico, sovietico e infine, poi, della NATO – non ha mai portato soluzioni, ma ha solo aggravato la situazione della popolazione e ha contribuito a rendere endemico il conflitto armato. Inoltre, il confine tra l'intervento di pace e l'azione di guerra è così sottile da renderne indistinguibile la stessa natura, soprattutto in Afghanistan. È opportuno ricordare che accettare un intervento non soltanto come strumento di offesa alla libertà dei popoli, così come sancito dall'articolo 11 della nostra Costituzione, ma anche come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, anche commerciali, conduce de facto al superamento di questi principi costituzionali. Insomma, bisogna al più presto invertire quella tragica situazione, conferendo nelle mani del popolo afgano il proprio destino e ritirando, al più presto, le nostre truppe da quel Paese.

  PRESIDENTE. Deputato Artini, concluda.

  MASSIMO ARTINI, Relatore di minoranza per la IV Commissione. Invito a ciò il Governo e, sì, Presidente, mi avvio a concludere. Tuttavia, con la decisione di avviare, il primo gennaio 2015, una missione non combat denominata Resolute Support, di cui si omette stranamente di parlare esplicitamente nella relazione introduttiva al decreto-legge, mentre ne ha fatto esplicito riferimento il relatore Manciulli per la III Commissione nel corso dell'avvio dell'iter delle Commissioni riunite, martedì 6 agosto, in pratica questo confermerebbe i nostri timori che abbiamo sempre espresso, ovvero che non si intenda affatto andare via dall'Afghanistan.

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  PRESIDENTE. Collega, dovrebbe concludere.

  MASSIMO ARTINI, Relatore di minoranza per la IV Commissione. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

  PRESIDENTE. È autorizzata sulla base dei criteri costantemente seguiti. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  DOMENICO ROSSI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, fermo restando che il Governo interverrà poi evidentemente nell'ambito del seguito della discussione sulle linee generali, tenuto conto che è stata evocata a più riprese la legge quadro, volevo riaffermare la piena disponibilità del Governo, già fatta presente più volte nella Commissione difesa, a partecipare con piena disponibilità alla formulazione e all'approvazione della legge quadro, perché, evidentemente, l'approvazione della legge quadro risolverebbe molti dei problemi che vengono evocati ogni volta in cui si va incontro alla conversione in legge del decreto-legge di proroga.
  Quindi, confermo che anche per il Governo la legge quadro è un punto fondamentale del percorso relativo alle missioni all'estero delle nostre Forze armate.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Laura Garavini. Ne ha facoltà.

  LAURA GARAVINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, autorevoli esponenti del Governo, il mondo dietro l'angolo degenera in una escalation di violenza e l'Italia non sta a guardare, ma torna ad essere protagonista di mediazione politica e del difficile tentativo di ricucire rapporti volti a scongiurare guerre e a ripristinare la pace. Governo e Parlamento in questa fase di conflitti internazionali sono in prima fila per promuovere processi di stabilizzazione democratica e di convivenza pacifica, anche attraverso l'approvazione di questo decreto-legge «missioni».
  Nelle ultime settimane lo scenario politico internazionale ha assunto dimensioni drammatiche, il nord dell'Iraq con il terrorismo jihadista continua a seminare orrore e violenza; in Ucraina, d'altro lato, il braccio di ferro con la Russia ha ormai raggiunto livelli analoghi a quelli usati nei periodi della peggiore guerra fredda, al punto da ventilare sviluppi gravissimi, inimmaginabili fino a poco tempo fa. Mentre in Siria, in Libia e in diverse località di confine gli scontri in atto spingono milioni di persone a fuggire dal loro Paese come profughi. Ecco che è positivo il fatto che l'Italia, di fronte a questa acuta situazione internazionale che ci interessa molto da vicino, non stia alla finestra a guardare passivamente, bensì stia riacquistando un ruolo da protagonista e si renda artefice della ricerca di soluzioni politiche, legate al dialogo, al confronto e alla messa in atto di misure di sostegno allo sviluppo pacifico delle aree di crisi.
  Un ruolo da protagonista che l'Italia gioca a tutto campo, in primis come Governo, che ha scelto di inserire tra le grandi priorità del programma del semestre italiano di Presidenza dell'Europa proprio una svolta nelle politiche estere europee, così che si mettano i Paesi del Mediterraneo e dell'Africa al centro dell'attenzione politica europea. Un'attenzione forte, dimostrata dal Presidente del Consiglio, Renzi, anche attraverso i suoi viaggi all'estero in qualità di Presidente dell'Europa e di Capo del Governo: prima a Tunisi, poi in Mozambico, in Congo, in Angola e infine in Egitto e in Iraq proprio in concomitanza con la recrudescenza degli attacchi dei terroristi del neo-costituito Califfato Isis alle minoranze religiose cristiane nel nord iracheno. Viaggi che dimostrano che l'Italia e l'Europa stanno al fianco dei bambini, delle donne e degli uomini che soffrono e che temono per la loro vita in queste regioni di crisi.
  Per non parlare dell'impegno della Ministro agli affari esteri, Federica Mogherini, negli ultimi mesi, nella paziente tessitura Pag. 15di relazioni politiche internazionali. Anzi, approfittiamo dell'occasione per rivolgerle anche in quest'Aula, anche come gruppo del Partito Democratico, le nostre più vive congratulazioni e i migliori auguri per il nuovo e prestigioso incarico che le è stato conferito in qualità di Alto rappresentante della politica estera europea.
  Ma il protagonismo dell'Italia per una soluzione politica dei conflitti coinvolge in pieno anche il Parlamento. Bene ha fatto la Commissione affari esteri a riunirsi in seduta straordinaria nel cuore dell'estate, il 20 agosto scorso, per deliberare l'appoggio ai curdi del nord Iraq. Lo scopo è quello di sostenere, anche militarmente, le forze di opposizione che vivono nell'area sotto assedio, per contrastare dall'interno un vero e proprio genocidio di popolazioni innocenti attuato dagli jihadisti dell'Isis. Le immagini delle migliaia di profughi – anche qui donne, bambini, vecchi – perseguitati nelle settimane scorse e i video delle notizie delle esecuzioni dei due giornalisti statunitensi, James Foley prima e Steven Sotloff, proprio nel corso dei nostri lavori, ieri l'altro, ci dimostrano che non c’è tempo da perdere. Non possiamo permetterci di perdere ulteriore tempo. È necessario che votiamo molto in fretta questo provvedimento così da rendere concrete e realizzabili le misure approvate, misure che vanno proprio e che mirano a risolvere e ad affrontare proprio situazioni di crisi quali quelle che ci stanno interessando.
  L'attuale scenario geopolitico internazionale rende ancora più urgente l'esigenza che il nostro Paese metta in campo tutti gli sforzi di peacekeeping possibili attraverso l'uso integrato di interventi civili, militari e di misure di cooperazione allo sviluppo, sempre affiancate da un'azione politico-diplomatica che sia al tempo stesso economica e umanitaria, esattamente il contenuto di questo decreto.
  Ma, accanto alle missioni internazionali, questo provvedimento contiene anche una parte inerente gli italiani all'estero, cioè il rinnovo di importanti istituzioni democratiche delle nostre comunità nel mondo. Anche questo è un problema che va affrontato in fretta. Si tratta di deliberare le premesse legislative e di stanziare le risorse utili per poter eleggere, entro i termini previsti per legge, cioè entro il dicembre di quest'anno, i Comites, una sorta di consigli comunali per gli italiani che risiedono fuori dall'Italia. Non votare in tempo utile significherebbe dare un ulteriore schiaffo a questi importanti organi di rappresentanza degli italiani all'estero. Per la prima volta dopo tanti anni questo è finalmente un gesto di attenzione forte, politico, nei confronti degli italiani nel mondo e delle loro rappresentanze. È una svolta vera: non più politiche «contro» bensì politiche «per» gli italiani nel mondo. Era da ben cinque anni che si aspettavano queste elezioni, perché per la bellezza di tre volte consecutive si è sempre rinviato il voto, in deroga alla legge.
  Detto in altri termini, con i rinvii voluti nel 2008, nel 2010 e nel 2012, gli allora Governi responsabili, rispettivamente due Governi Berlusconi e poi il Governo Monti hanno dimostrato di fatto il totale disinteresse nei confronti degli italiani all'estero, in sfregio ad ogni sacrosanto diritto di voto dei nostri connazionali. Ecco che, a maggior ragione, la decisione dell'attuale Governo di rinnovare i Comites dimostra non solo correttezza nella misura in cui si adempie a quanto previsto dalla legge, ma anche il profondo rispetto nutrito per gli italiani nel mondo e il riconoscimento del valore delle loro importanti rappresentanze di base.
  Certo, anche noi del Partito Democratico avremmo preferito che fosse possibile l'iscrizione al registro elettorale fino al giorno stesso delle elezioni, e non fino a quattro settimane prima, ma non dimentichiamo che si tratta di un voto per corrispondenza: è dunque chiaro che servono anche dei tempi tecnici organizzativi per la realizzazione ben fatta ed oggettiva delle operazioni di voto. Ecco che è positivo che, con l'approvazione di un nostro emendamento in Commissione, abbiamo aumentato il tempo a disposizione per iscriversi, vale a dire fino a 30 giorni prima del voto, anziché i 50 che erano Pag. 16quelli originariamente previsti dal decreto, e dunque con 20 giorni aggiuntivi per la preiscrizione.
  Questi sono risultati concreti, questi sono fatti, queste sono decisioni e scelte politiche concrete e importanti ed è curioso che oggi, mentre il Governo, dopo cinque anni di ritardi, si impegna e fa il possibile per rendere finalmente possibile il voto, ci siano esponenti dell'opposizione e colleghi che cercano di profilarsi oggi come paladini dei diritti di partecipazione degli italiani nel mondo, quando loro stessi fanno parte di quella stessa forza politica che per diversi anni ha letteralmente disconosciuto, e direi quasi «asfaltato», i diritti degli italiani all'estero, impedendo il rinnovo, ad esempio, dei loro organi di rappresentanza. Visti i precedenti, questo comportamento non può che essere poco credibile.
  Credo invece che con questo decreto – Presidente, mi avvio alla conclusione – sulla questione dei Comites il Governo dia nuovamente un segnale molto chiaro: se c’è la volontà politica, cambiare verso è possibile anche negli interventi degli italiani nel mondo. Adesso però è necessario che, da parte di tutti, si compia ogni sforzo utile per promuovere la massima partecipazione possibile, così che il rinnovo dei Comites diventi nei fatti una straordinaria opportunità di rilancio e anche di rinnovo generazionale dei suoi componenti, una occasione preziosa per rianimare finalmente le istituzioni democratiche degli italiani all'estero.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Corda. Ne ha facoltà.

  EMANUELA CORDA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa settimana ci troviamo in Assemblea a discutere il ben noto «decreto missioni», che prevede la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e la discussione sulle iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno, con uno stanziamento di 446.184.816 euro.
  Nonostante il susseguirsi di ben due Governi in un anno, quello Letta e quello Renzi, ci troviamo ancora in assenza di una legge quadro che strutturi in maniera chiara e responsabile le iniziative di tipo militare e di cooperazione dello sviluppo. Anche perché di questa legge, della legge quadro, abbiamo parlato fin dall'inizio della legislatura, ma ancora non si è approdati a nulla, benché noi stessi ne abbiamo chiesto la calendarizzazione più volte. Io mi chiedo: ma come pensate di riuscire a spiegare di volta in volta ai cittadini italiani cosa viene programmato e cosa viene portato a compimento se ogni volta viene redatto un potpourri di articoli emendativi ? Evidentemente, lo scopo è quello di occultare i programmi svolti missione per missione, evitando quindi una opportuna discussione ad ogni rinnovo. L'Italia è presente nel mondo con numerose missioni all'estero, sotto l'egida ONU, NATO e Unione europea, su cui insistono interminabili polemiche quali risultato di un'errata interpretazione delle disposizioni costituzionali.
  Prima di esprimere il mio parere sui punti contenuti nel decreto, permettetemi, cari colleghi, di riportare la vostra attenzione al delicato ruolo svolto dall'Italia durante questo semestre, che la vede alla guida di importanti relazioni sia in politica europea che internazionale.
  Il processo innescato dalla volontà popolare pone questo Esecutivo nell'improcrastinabile necessità di attuare un salto culturale. È la carta che l'Italia può fare valere nel delicato sistema geopolitico globale, in uno spirito di vera cooperazione, consapevole del proprio ruolo nella costruzione del futuro del mondo, un futuro dove il concetto di pace non sia solo un mantra da ripetere all'infinito, per gettare fumo negli occhi ai cittadini inconsapevolmente disinformati, mentre le scelte politiche, nel nostro Paese, vanno nell'opposta direzione, con il continuo sperpero di denari in armamenti e missioni che di pacifico hanno ben poco, oppure che semplicemente non hanno più senso di esistere, essendo venuti meno gli obiettivi iniziali, fatta ovviamente qualche dovuta eccezione.Pag. 17
  Mi spiace affermarlo, ma purtroppo è la verità. La società ha dimostrato più sensibilità della politica e, quindi, è giunto il momento per la politica di fare la propria parte, facendo anche qualche passo indietro, assumendosi le proprie responsabilità. Ieri il Ministro Pinotti ha parlato di grandi risultati raggiunti attraverso le missioni internazionali. Eppure, al netto delle opinioni e delle differenze di impostazione politica, i fatti parlano chiaro: stiamo spendendo un altro mezzo miliardo di euro per finanziare le missioni, con decreto d'urgenza ed una metodologia del tutto inadeguata.
  Noi, come MoVimento, abbiamo più volte in Commissione difesa posto il problema su questa volontà di sviluppare un peace enforcement per la cessazione delle ostilità attraverso la mediazione, attenendoci alle norme di diritto internazionale, ma il silenzio riscontrato è ad oggi assordante. Abbiamo più volte chiesto il rientro a casa del marò, a cui si aggiunge anche la nostra solidarietà a Latorre, colpito nei giorni scorsi da un malore, nonché la possibilità di sospendere la partecipazione alle operazioni antipirateria.
  Quella del nostro MoVimento è una battaglia determinata, resa ancora più aspra e dura dall'indolenza di una maggioranza sorda, che non vuole ascoltare la voce della ragionevolezza e del cambiamento. Ma questo è molto difficile, in quanto ogni nostra proposta, sia in Commissione che in Assemblea, viene difficilmente presa in considerazione. Rischiamo, quindi, puntualmente di ricevere aggettivi quali «aggressivi, presuntuosi, irruenti». Ma se questi atteggiamenti servono per smuovere un certo immobilismo, che ben vengano. Ci troviamo in Parlamento perché portavoce di quei cittadini che si sono stancati di sottostare a leggi fantasma, che nulla hanno a che vedere con la tutela dei loro diritti, e di assistere a delle scelte, da parte del Governo, che spesso non hanno una ratio ben definita e, nonostante la critica costruttiva e le osservazioni da parte dell'opposizione, vengono portate avanti con cocciuta ostinazione. Basti pensare alla vicenda delle armi ai curdi, dove il Governo ha fatto e disfatto a suo piacimento, per poi trovarsi dinnanzi tutte le criticità che da noi erano state sollevate.
  Occorre tra l'altro evidenziare che dallo scorso giugno centinaia di miliziani jihadisti dell'Isis hanno occupato gran parte dell'Iraq, spingendosi verso l'Iran, e che ci sono volute settimane per vedere una reazione di qualche rilievo da parte delle forze governative, che sono riuscite a riconquistare gran parte di Diyala e tre zone del capoluogo Baquba, 60 chilometri a nord di Baghdad, poco dopo che erano state occupate dall'Isis.
  Di fronte ad uno scenario raccapricciante di esecuzioni di massa effettuate nei territori conquistati e dinanzi a questa incisiva avanzata, mi chiedo quale sia veramente l'impegno del Governo italiano. Forse ci si preoccupa maggiormente di mantenere gli equilibri economici petroliferi che di portare aiuti umanitari ? Una scelta azzardata, in effetti, potrebbe influenzare le strategie, le alleanze ed i rapporti tra i Paesi produttori ed i Paesi importatori, con il futuro rischio di causarne il blocco, provocando un notevole impatto sull'economia. A tal proposito, cito la compagnia italiana ENI, attiva nel giacimento di Zubair, nell'area a maggioranza sciita di Bassora. Insomma, tra il controllo dei traffici economici, lo scambio di armi e mezzi pesanti e il reclutamento dei militari, l'Italia appare, come al solito, disarmata di idee e programmi chiari e risolutivi.
  Non posso nascondere una stretta al cuore nel pensare che circa 500 mila iracheni siano fuggiti da Mosul per trovare rifugio nelle zone controllate dai curdi. Nei giorni scorsi abbiamo visto immagini di elmetti e giubbotti antiproiettile abbandonati dalle truppe irachene. È, questo, un chiaro punto di riflessione, che impone un'altrettanto chiara valutazione sull'opzione di cessare il fuoco, ritirare le nostre truppe e sospendere immediatamente l'invio di armi, per non essere domani chiamati a rispondere di complicità nell'ennesimo deplorevole massacro di uomini e donne, sfortunati cittadini di un mondo Pag. 18reso sordo e cieco dal presunto interesse economico, che in realtà cela, insidioso, un conto da pagare ben più alto.
  Possibile che non ci si voglia rendere conto che siamo in grado di creare un percorso internazionale di aiuti umanitari, fondati sul dialogo e sulla cooperazione, quale valida alternativa alla distruzione che stiamo alimentando ?
  Ho presentato, insieme ai colleghi, alcuni emendamenti al decreto, nella benevola speranza che questi vengano presi in considerazione. Il nostro obiettivo non è distruggere il sistema, ma creare una classe politica snella ed attiva, volta a divenire rappresentativa in tutti i settori sociali.
  Non si riesce a capire come vengano spesi i soldi, poiché si continua con la tecnica della frammentazione per permettere agli italiani di non capire nulla. A tal proposito, come MoVimento 5 Stelle, abbiamo presentato un emendamento che prevede, all'articolo 4, comma 1, una precisa rendicontazione, suddivisa per aree geografiche. Nell'ambito dell'articolo 3, in cui si prevedono le autorizzazioni di spesa relative alle missioni internazionali che si svolgono in Africa, vi è il comma 3, che autorizza i fondi per la proroga della partecipazione di personale del corpo della Guardia di finanza alla missione in Libia, per garantire la manutenzione ordinaria delle quattro unità navali cedute dal Governo italiano al Governo libico e per lo svolgimento di attività addestrativa del personale della Guardia costiera libica, in attuazione degli accordi di cooperazione tra il Governo italiano e il Governo libico per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani, rilanciati in occasione della cosiddetta «Tripoli Declaration», sottoscritta il 21 gennaio 2012. Qui c’è da dire che le prime due missioni sono sotto il «cappello» dell'Unione europea, mentre la terza, la Eubam – Libya, agisce in virtù del trattato di amicizia, formalmente ancora in stato di confusione politica, economica e sociale, per il quale sarebbe opportuno avviare la sua sospensione, data l'inutilità rispetto al contesto in cui opera. Inoltre è opportuno portare a conoscenza il fatto che delle ambasciate UE restano al momento aperte soltanto quelle di Malta e Italia, che sta comunque procedendo al rimpatrio dei cittadini che ne hanno fatto richiesta (il 5 agosto sono rientrate quarantasette persone da Tripoli). Anche la missione civile EUBAM (EU Border assistance mission in Libya), nata nel maggio dello scorso anno per sostenere le autorità libiche nel rafforzamento dei loro confini, ha lasciato il Paese.
  Chiediamo anche la sottrazione dei fondi della missione Ocean Shield, in modo da permettere un maggior sostegno ai processi di ricostruzione nell'Africa subsahariana e ai processi di pace in America centrale.
  La sinistra, dal canto suo, è sempre stata contraria alla guerra, ha da sempre manifestato in piazza sbandierando slogan volti alla pace e citando l'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana, ed ora questo Governo di maggioranza di centrosinistra sembra snobbare la propria identità.
  Il tema della cooperazione internazionale ci riguarda personalmente. Abbiamo il dovere di proteggere le popolazioni assediate dalla guerra, ma ciò non deve avvenire fornendo armi ai militari, bensì creando le condizioni per interventi di pace; interventi diplomatici e di mediazione volti a promuovere iniziative efficaci affinché il nostro Paese eserciti, in accordo con gli organismi internazionali, il suo dovere alla responsabilità di proteggere il territorio e di svolgere un ruolo importante di cooperazione e sviluppo.
  In ultimo, vorrei aggiungere che il prossimo 31 dicembre si terrà il rinnovo dei Comites, organismi rappresentativi della collettività italiana, eletti direttamente dai connazionali residenti all'estero in ciascuna circoscrizione consolare, con lo scopo di cooperare con l'autorità consolare nella tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini italiani residenti all'estero. Noi abbiamo chiesto la loro chiusura, poiché li riteniamo contenitori che hanno lo scopo di individuare soggetti che, attraverso i loro contributi, mirano ad essere Pag. 19candidati al Parlamento italiano nelle circoscrizioni estero, avvalendosi della visibilità del Ministero degli affari esteri che li ha nominati. Nel mondo ce ne sono ben 124, ai quali si aggiungono i patronati, gli istituti di cultura e le associazioni, che svolgono le stesse identiche funzioni. Non ultimo il fatto che durante le elezioni, non essendoci alcun controllo, influiscono negativamente sulle reti consolari. Non riteniamo opportuno aver inserito nel «decreto missioni» una questione che meriterebbe una ben diversa e più approfondita analisi.
  Ecco perché anche oggi ci ritroviamo in una situazione di profondo imbarazzo davanti all'ennesimo decreto d'urgenza pieno di tutto e del contrario di tutto. Ma soprattutto, estremamente oneroso per il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Causin. Ne ha facoltà.

  ANDREA CAUSIN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Italia oggi si trova al confine di conflitti che soltanto qualche tempo fa erano inimmaginabili; conflitti che il nostro Paese non ha deciso, ma con i quali, nostro malgrado, dobbiamo e dovremo confrontarci, e rispetto ai quali saremo chiamati ad assumere una posizione che contempli, da una parte, la necessità di compiere tutti i passaggi democratici che richiede la nostra forma costituzionale, ma anche la rapidità di poter assumere una responsabilità di azione e di intervento in un quadro internazionale che si determina, ogni giorno, progressivamente, più complesso, più instabile e più minaccioso.
  L'Italia è un Paese di pace, che ha tratto un insegnamento importante dalla tragedia della seconda guerra mondiale e se ne è anche assunta la responsabilità. Non mi riferisco soltanto al richiamo costituzionale che ci impegna, ancora oggi, a ripudiare la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, ma all'atteggiamento che ha avuto e ha il nostro Paese, costantemente, dal dopoguerra ad oggi: sul versante diplomatico, dove, da sempre, anche con Governi di segno diverso, l'Italia si è spesa sempre per una soluzione politica, negoziale e diplomatica dei conflitti vicini e lontani; sul versante della nostra partecipazione alle missioni internazionali, dove i nostri uomini e le nostre donne si sono distinti e si distinguono non solo per il valore e per il sacrificio, come nella tragica vicenda di Nassiriya e in molti altri episodi, ma anche per la capacità di entrare in sintonia con le popolazioni locali e di interpretare la presenza militare in funzione del massimo sostegno alla sicurezza, alla salute e alle necessità primarie delle popolazioni locali, pesantemente segnate da anni di conflitti, come è accaduto e accade in Afghanistan, in Kosovo, in Bosnia, in Libano e in tanti altri scenari di intervento.
  Anche sul versante della cooperazione internazionale, dove vi è una cultura diffusa che ci ha portato ad essere presenti in tutti i Paesi del mondo con opere di sanità, di istruzione, di cooperazione agricola, sostegno alle infrastrutture, questa cultura evidenza più di ogni altra cosa che la cultura di pace del popolo italiano, a prescindere dalle ispirazioni religiose e dagli orientamenti politici, e anche dagli investimenti pubblici in cooperazione, che sono in continua diminuzione, ha dato vita ad una rete diffusa di cooperazione che mira ad intervenire proprio sulle disuguaglianze e sulle povertà, che spesso sono le cause e le origini dei conflitti. Oggi, tuttavia, ci troviamo ad essere ai confini di conflitti che minacciano la nostra visione di Europa, il nostro sistema di valori, e a guerre civili che hanno destabilizzato i Paesi attraverso i quali approdano in Italia, ogni anno, centinaia di migliaia di persone, che fuggono da conflitti e da situazioni di povertà estrema.
  È per questo che siamo chiamati a rinnovare, con il decreto di rinnovo delle missioni internazionali, gli impegni che abbiamo assunto nell'ambito della NATO, dell'ONU, dell'Unione europea e di altri organismi, che ci vedono impegnati con Pag. 20oltre 4 mila uomini e donne in moltissimi scenari operativi, e siamo anche in dovere di compiere una riflessione che deriva dai fronti caldi che si stanno aprendo in questo periodo e che non possono trovarci impreparati rispetto ai tempi e alle modalità con cui potremmo essere chiamati a prendere delle decisioni, anche drammatiche.
  Il segno della straordinarietà del momento è determinato dai fronti che ci troviamo ad affrontare in questi giorni: in primo luogo, il confronto con la Federazione russa. Non si tratta di un conflitto regionale legato alla contesa di alcune regioni dell'Ucraina, ma di come l'Unione europea e la NATO si pongono rispetto ad una visione nazionalista e neoimperialista posta in atto dai vertici della Federazione russa, che mira a destabilizzare scientificamente anche altri Paesi che sono nell'orbita della NATO e appartengono all'Unione europea in cui ritengo non vi siano minoranze russofone.
  È una strategia, come ha ribadito il commissario incaricato per la politica estera Federica Mogherini, sulla quale i Paesi europei e la NATO non possono avere un atteggiamento morbido. In secondo luogo, vi è il salto di qualità del Califfato islamico e dell'Isis, che hanno internazionalizzato il conflitto siriano-iracheno, arrivando a sfidare anche il sistema di valori dell'Occidente con le orribili decapitazioni di due ostaggi americani. Con il Movimento jihadista, da cui la stessa Al Qaeda aveva preso le distanze perché troppo estremo e radicale, rappresenta oggi una minaccia reale, proprio perché ha assunto il controllo di vaste aree di territorio, dove ha commessi eccidi e crimini inaccettabili, e perché il sistema di reclutamento nei Paesi occidentali si appresta a rappresentare una minaccia internazionale. In terzo luogo, vi è la situazione di anarchia in cui versano i Paesi della gronda meridionale del Mediterraneo, che, all'indomani delle rivoluzioni della «primavera araba», si presentano fragili istituzionalmente e incapaci del minimo controllo della sicurezza e del territorio.
  In questa situazione l'unica cosa che noi non ci possiamo permettere di fare è di sembrare deboli e di essere deboli. L'urgenza dell'approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge che sinteticamente chiamiamo «proroga delle missioni internazionali» è legata perciò ai nuovi equilibri geopolitici che si stanno configurando e che richiedono all'Italia di dare un contributo alla partecipazione ai processi di pace e di stabilizzazione democratica, congiuntamente alla conferma del nostro ruolo internazionale, anche nel quadro delle grandi operazioni multilaterali, qualora dovessero rendersi necessarie.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI (ore 15,45)

  ANDREA CAUSIN. Il provvedimento in questione, come in passato, trae il suo punto di forza e il suo rapporto con le organizzazioni internazionali, le ONG, le agenzie umanitarie, le autorità e le comunità locali, tutte iniziative importanti portate avanti da caparbie associazioni e dall'impegno del nostro apparato militare.
  Tuttavia non si può prescindere dal fatto che il tema della proroga delle missioni sia inevitabilmente connesso all'assenza, più volte evidenziata e ricordata anche nel dibattito odierno, di una disciplina organica della materia. Nella passata legislatura il tema è stato anche argomento di dibattito ed è stato a più riprese affrontato, anche attraverso l'emanazione di numerosi decreti-legge, che hanno di volta in volta autorizzato la partecipazione italiana a nuove missioni militari: quattro decreti in solo due anni, tanto per citare l'ultima fase operativa.
  La necessità, quindi, di una riforma organica – e a questo riguardo voglio segnalare che è stato presentato un testo dalla presidenza della Commissione difesa e della Commissione esteri su cui abbiamo iniziato a lavorare e sul quale speriamo che il Governo possa presto dare il proprio contributo e la propria spinta per accelerare il processo – si fa sempre più necessaria, Pag. 21come rilevato anche nell'analisi tecnica normativa del provvedimento. Tuttavia, pur ritenendo ormai improcrastinabile il ricorso ad una disciplina organica, non si può prescindere oggi dalla drammaticità degli equilibri internazionali in atto, che rendono necessaria l'approvazione di questo provvedimento. Mi riferisco ai bisogni urgenti dei rifugiati e degli sfollati in Iraq, ma anche ad una serie di altre situazioni, che oggi non elenco perché sono state ampiamente prese in esame dagli interventi che mi hanno preceduto.
  L'importanza del provvedimento è altresì legata appunto ai profili normativi connessi alle missioni, dal momento che prevede per specifici aspetti, quali il trattamento giuridico, economico, previdenziale, la disciplina contabile e penale e una normativa strumentale al loro svolgimento, individuata essenzialmente mediante un rinvio all'ordinamento vigente.
  Viene affermato il modello italiano di peace keeping, in linea con la strategia che prevede l'utilizzo integrato e coerente di forme d'intervento civile e militare, di cooperazione allo sviluppo e di un'azione politico-diplomatica, economica e umanitaria nelle situazioni di crisi che minacciano la sicurezza internazionale. Nello specifico, come veniva ricordato precedentemente, sono appunto disciplinate: le autorizzazioni di spesa dal 1o luglio al 31 dicembre 2014, necessarie alla proroga del termine per la partecipazione italiana a diverse missioni internazionali delle Forze armate e delle forze di polizia e anche a talune esigenze connesse alle richiamate missioni, opportunamente raggruppate sulla base di criteri geografici, come richiesto in precedenza; le autorizzazioni per il medesimo periodo relative alle spese strumentali (i contratti di assicurazione e di trasporto e realizzazione di infrastrutture di base), alla cessione di materiale bellico, alla cooperazione civile-militare e alla scorta marittima finalizzata ad assicurare condizioni di sicurezza all'attività internazionale di trasporto e di commercio e a neutralizzare le armi chimiche siriane; le normative sul personale nonché quelle in materia penale e contabile. Inoltre, sono disciplinate le iniziative di cooperazione allo sviluppo, come ampiamente ricordato, e al sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, il regime degli interventi e le elezioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero.
  Sul versante della partecipazione italiana a fondi ed iniziative multilaterali, rileva lo stanziamento di 2 milioni 896 mila euro, per il secondo semestre 2014, per il finanziamento delle iniziative nel campo della gestione civile delle crisi internazionali in ambito PESC-PSDC, nonché dei progetti di cooperazione dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa per la partecipazione al Fondo fiduciario INCE presso la BERS, all’European Institute of Peace ed ai fondi fiduciari della NATO e dell'ONU. È altresì previsto un contributo per assicurare la funzionalità del Comitato atlantico italiano, incluso nella tabella degli enti a carattere internazionalistico.
  Ancora una volta Scelta Civica ribadisce che la proroga delle missioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace costituisce un fondamento essenziale e necessario anche in funzione della nostra sicurezza nazionale. Non si può prescindere dai processi di cooperazione internazionale dal momento che l'instabilità di altri Paesi rappresenta un fattore di rischio anche per l'Italia. Conserviamo perciò la ferma convinzione che nel mondo globalizzato la sicurezza nazionale non si difende alla propria frontiera o a quella che ci divide da altri Paesi che sono di prossimità, ma si difende, affermando e attuando i principi delle Nazioni unite insieme alle nazioni più responsabili a tutte le latitudini e a tutte le longitudini. Il proseguimento delle missioni internazionali rappresenta perciò concretamente la nostra solidarietà nei confronti dei popoli più poveri e martoriati dai conflitti.
  Siamo convinti che molte di queste missioni internazionali costituiscono un momento di costruzione della difesa integrata dell'Unione europea, un punto a cui noi aspiriamo, capitolo essenziale della costruzione degli Stati Uniti d'Europa.Pag. 22
  Inoltre, non bisogna trascurare il fatto che l'onore e il prestigio che ci deriva dall'assumerci, insieme alle nazioni più responsabili, il peso di queste missioni costituisce la migliore garanzia del rispetto dei nostri diritti e l'affermazione dei nostri interessi nei rapporti e nelle controversie internazionali. Siamo fieri che oggi le nostre Forze armate siano impegnate a difendere la pace in Paesi verso i quali manifestiamo la nostra solidarietà e amicizia.
  Nell'auspicare una rapida approvazione del provvedimento in esame, rivolgo un caloroso ringraziamento a tutti i nostri militari coinvolti nei teatri di crisi, che servono il nostro Paese garantendo ogni giorno disponibilità, sacrificio, livelli di eccellenza professionale universalmente riconosciuti dalla comunità internazionale, qualità umana e una specifica propensione al sostegno alle popolazioni civili, mediante interventi di disarmo, contributi ai processi di democratizzazione, di institution building e di addestramento delle forze di sicurezza locali. Un sentito ringraziamento va anche a tutte le organizzazioni non governative e alle associazioni di volontariato che prestano il loro aiuto e servizio a persone bisognose in situazioni di crisi.
  Infine, come è doveroso, il mio auspicio e l'auspicio di Scelta Civica è quello che è stato già espresso dalla Commissione difesa, ossia che possa al più presto risolversi al meglio la vicenda relativa ai due fucilieri di marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, detenuti ingiustamente in India da ormai più di due anni.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gregorio Fontana. Ne ha facoltà.

  GREGORIO FONTANA. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, il Parlamento oggi è chiamato ad approvare la proroga delle missioni internazionali, che costituiscono uno strumento essenziale della politica estera italiana. Il nostro Paese, attraverso di esse, partecipa attivamente ai processi di pace e di stabilizzazione del mondo, contribuendo non solo a difendere i diritti delle popolazioni civili coinvolte nei conflitti, ma anche a promuovere una cultura della solidarietà e della cooperazione tra i popoli, nel quadro del rispetto dei principi del diritto internazionale.
  D'altra parte, alla base delle missioni non ci sono solo i nostri valori umanitari, la nostra cultura giuridica, bensì anche i legittimi interessi nazionali. Quando inviamo i nostri soldati, le nostre forze di polizia in aree critiche difendiamo anche il nostro Paese, per la semplice ragione che le minacce non hanno più confini e si muovono con la medesima facilità e velocità dei flussi finanziari.
  Lo scenario internazionale, infatti, appare sempre più fluido e ricco di incognite. La fine della contrapposizione tra i blocchi non solo ha aperto un auspicabile processo di pacificazione globale all'insegna dei valori del costituzionalismo liberale, ma è stata anche seguita da un periodo caratterizzato dalla moltiplicazione di conflitti su base regionale, etnica e religiosa.
  In un interessante articolo di Henry Kissinger, pubblicato recentemente, si evidenzia come il rischio di oggi sia rappresentato non tanto da una guerra tra Stati, ma da un'evoluzione verso sfere di influenza contraddistinte da particolari strutture interne e forme di Governo, ovvero verso una conflittualità protratta tra regioni, che potrebbe rivelarsi ancor più debilitante e perniciosa di una guerra tra nazioni. Da queste e altre considerazioni di Kissinger si desume il segno di una crisi che non riguarda solo l'attuale inquilino della Casa Bianca, ma lo stesso ruolo degli Stati Uniti sullo scacchiere internazionale.
  A fronte di ciò, l'Europa, pur così attiva sui fronti dell'integrazione economica e giudiziaria, fa grande fatica a darsi una politica estera e militare comune. Come scrive ancora l'ex Segretario di Stato americano, il vecchio continente non ha ancora adottato nel suo insieme una struttura di Stato unitario, rischiando di creare Pag. 23un vuoto di autorità al suo interno e uno squilibrio di potere lungo i suoi confini.
  Anche nel nostro Paese – dobbiamo riconoscerlo – si avverte un forte deficit di politica estera. Il Governo Renzi, infatti, sta cercando di superare il gap determinatosi nel corso dei due Governi precedenti, guidati da Mario Monti e Enrico Letta. In particolare, è proprio sul fronte mediterraneo che si è registrata la debolezza della nostra politica estera. Ciò è di estrema gravità.
  La collocazione dell'Italia nel cuore del Mediterraneo ci imporrebbe di avere un ruolo attivo e di primo piano nella ricerca di nuovi equilibri regionali. Invece, proprio nel Mare nostrum siamo spettatori passivi.
  Si pensi solo al caso della Libia, che ci riguarda in maniera diretta per ragioni geopolitiche, economiche, storiche e culturali: a lungo siamo stati colpevolmente assenti in quella crisi, ciò nondimeno ne subiamo e ne subiremo le conseguenze nel modo più drammatico.
  Il nostro atteggiamento, spesso subalterno, non può avere che conseguenze nefaste sulla nostra credibilità, non solo nell'area mediterranea, ma anche sullo scacchiere globale.
  Per questo, avere una seria e coerente politica mediterranea non è solo un nostro diritto, ma è nostro dovere, quali membri responsabili della comunità delle democrazie costituzionali.
  Ma la costruzione di una seria politica estera non può essere improvvisata, specialmente se, attraverso la politica estera, occorre partecipare, come si diceva, alla costruzione di un ordine che consenta stabilità e sicurezza a livello mondiale.
  Per quel che riguarda il nostro Paese, c’è solo da augurarsi che si riprenda il lavoro avviato prima della grigia fase dei due Governi precedenti, per ridare all'Italia il posto che le spetta negli equilibri internazionali.
  Nel frattempo, bisogna assicurare continuità e coerenza nel nostro impegno per garantire il rispetto della legalità internazionale, per difendere la vita e la salute e i diritti fondamentali delle persone coinvolte, loro malgrado, nei conflitti bellici.
  Le cosiddette nuove guerre, infatti, hanno visto il precipitare dell'umanità in orrori che sembravano ormai consegnati ai libri di storia.
  In particolare, a partire dalla guerra nella ex Jugoslavia, nei primi anni Novanta, si è registrata un’escalation globale del numero delle vittime civili di guerra, insieme ad un innalzamento del livello di efferatezza e di crudeltà nei conflitti locali.
  Ciò naturalmente ha prodotto profondi mutamenti anche nel lavoro dei militari impegnati nelle missioni internazionali. Si pensi ad esempio alla difficoltà di distinguere, in certi contesti gravemente conflittuali, le operazioni volte al mero mantenimento della pace da quelle dirette invece a contrastare militarmente le parti responsabili di gravi violazioni del diritto e dei principi umanitari.
  La posizione dei Governi democratici, in questo senso, è diventata delicatissima, soprattutto nello stabilire le regole d'ingaggio dei nostri militari.
  Infatti, da un lato, l'esposizione di un Paese a situazioni di tipo bellico non può non comportare un coinvolgimento pieno del Parlamento e delle forze politiche e, dall'altro, la gestione delle nuove crisi geopolitiche richiede una velocità decisionale ed una discrezionalità operativa spesso difficilmente conciliabili con i tempi della legittima e necessaria discussione democratica.
  Per questo è essenziale, in tali questioni, poter fare affidamento sul senso di responsabilità, sulla lungimiranza, sull'equilibrio delle grandi forze politiche e dei leader democratici.
  Aggiungo tra parentesi, cari colleghi, che sarebbe anche il caso di portare a conclusione – ne parlava prima il sottosegretario – il faticoso iter per l'adozione di uno strumento legislativo più snello ed efficiente di quello attuale, adottato per garantire il sostegno parlamentare delle missioni italiane all'estero, uno strumento di cui si sono dotati ormai tutti i Paesi europei.Pag. 24
  In ogni caso, su questo fronte, l'Italia sta facendo con onore la propria parte, fin dai primissimi anni a ridosso della guerra fredda.
  Si è consolidata infatti nel tempo un'interpretazione attiva dell'articolo 11 della nostra Costituzione, in forza del quale il nostro Paese è chiamato a contribuire concretamente con le proprie Forze armate.
  Il livello di partecipazione italiana alle missioni internazionali è diventato dunque, nel tempo, sempre più alto sia sul piano tecnico-militare, sia su quello politico-culturale.
  Molto dobbiamo, cari colleghi, in questo senso, alle nostre donne ed ai nostri uomini in divisa e permettetemi di rivolgere un deferente omaggio a tutto il personale impegnato nelle missioni militari e civili che, tenendo alta la bandiera dell'Italia, ha perso la vita nel nome della pace.
  Ovunque il modello italiano fa scuola, con risultati eccellenti, apprezzati sia dai partner internazionali, sia dalle popolazioni interessate.
  La spiegazione del successo italiano non è difficile.
  Con le nuove guerre, cui si faceva riferimento, è cresciuta di molto l'esigenza di rafforzare la professionalità delle Forze armate. Non basta avere regole certe, strumenti efficienti e un adeguato addestramento, ma ci vuole molto di più; ci vogliono cultura, spirito di umanità, flessibilità, capacità di adattamento, creatività e determinazione. Sono tutte doti, queste, che gli italiani impegnati nelle missioni all'estero hanno ampiamente dimostrato di avere. I nostri militari non solo difendono la pace e i diritti fondamentali, ma consentono la nascita di strutture amministrative, giuridiche, educative e sanitarie in aree spesso prive di ogni opportunità di sviluppo. L'impegno per lo sviluppo di queste aree attraverso, ad esempio, la diffusione della nostra cultura giuridica o delle nostre tecniche educative, contribuisce poi a sua volta a contrastare l'insorgenza terroristica che trova terreno fertile nell'ignoranza e nel degrado sociale. Insomma, non lo si ribadirà mai abbastanza: se il prestigio dell'Italia è molto cresciuto in questi anni, quale punto di riferimento delle principali organizzazioni internazionali di cui fa parte, dall'Unione europea alle Nazioni Unite, alla NATO, bisogna dire «grazie» forse e soprattutto alle nostre Forze armate impegnate nelle missioni internazionali.
  Anche per questo, signor Presidente, colgo l'occasione per rivolgermi al Governo sulla questione della conclusione della missione in Afghanistan. Dal 2015 l'ISAF sarà sostituita da una missione di portata minore per cui è cominciato il ritiro graduale delle truppe italiane. Mi chiedo se ci si debba arrendere a questo automatismo o se non sia il caso di fare una profonda riflessione su questa questione. Un totale disimpegno, come dimostra anche la vicenda irachena, potrebbe essere esiziale. Lasciare ora quelle popolazioni in un'area infiammata da conflitti di ogni genere rischia a nostro avviso di vanificare i grandi sforzi finora sostenuti e gli stessi sacrifici, anche in vite umane, che l'Italia ha patito nell'interesse della libertà. È inammissibile in tali questioni mostrarsi tiepidi o succubi di automatismi burocratici. E a tale proposito colgo l'occasione, signor Presidente, anche per richiamare l'attenzione del Governo sull'aiuto all'Iraq e ai curdi impegnati nel contrasto delle truppe jihadiste dell'ISIS. Le Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato hanno approvato, il 20 agosto scorso, una risoluzione per dare attuazione agli indirizzi formulati dal Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri dell'Unione europea del 15 agosto rispondendo alle richieste di aiuto umanitario e di supporto militare delle autorità curde con il consenso delle autorità irachene. Dalla descrizione fatta dal Ministro della difesa Pinotti ieri in sede di comunicazioni del Governo in Commissione, si evince che il nostro apporto è limitato alla fornitura di armi leggere e munizionamento. Mi auguro che l'invio di questo materiale sia solo un primo passo nell'adozione di un supporto concreto al legittimo Governo iracheno nella guerra contro l'ISIS. Dobbiamo essere Pag. 25più veloci e determinati e attingere alle nostre migliori risorse tecnico-militari per aiutare l'esercito iracheno e i curdi. La battaglia che essi stanno sostenendo è una battaglia della civiltà contro la barbarie. Meritano il nostro appoggio convinto e generoso.
  Prendiamo atto che nel provvedimento al nostro esame c’è un ridimensionamento della spesa dovuto perlopiù al rientro e al ridimensionamento del numero del personale impiegato. Ci auguriamo che il Governo in futuro si impegni a impiegare i risparmi ottenuti dal ridimensionamento delle forze in campo per tenere sempre alto lo standard qualitativo dei mezzi e delle strutture a disposizione delle forze impegnate nei teatri operativi, al fine di tenere alta la sicurezza dei nostri uomini e il prestigio del nostro Paese. A proposito di prestigio internazionale, signor Presidente, è doveroso da parte nostra porre in risalto due complesse vicende che riguardano per l'appunto la natura delle nostre missioni internazionali e il rispetto dovuto ai nostri militari. In primo luogo, vogliamo richiamare l'attenzione su un aspetto apparentemente tecnico-militare delle missioni internazionali che, però, può assumere un forte e anche drammatico significato politico. L'Italia, come tutti sappiamo e come sopra ricordato, partecipa a queste missioni in parità di condizioni con gli altri Stati per il perseguimento di fini comuni.
  Occorre dunque vigilare perché in tali missioni l'azione non venga indirizzata verso interessi di una determinata potenza piuttosto che di un'altra. Insomma evitiamo che le nostre Forze armate siano coinvolte in illegittime operazioni di interferenza nei rapporti tra Stati sovrani. Mi riferisco in particolare alla missione aeronavale NATO Active Endeavour che si svolge nel Mediterraneo orientale in estrema prossimità dello scenario della crisi russo-ucraina con finalità di contrasto al terrorismo. L'Italia partecipa a questa missione che realizza i propri compiti tra l'altro attraverso la condivisione in ambito NATO delle informazioni raccolte.
  Sono stati già sollevati diversi interrogativi sui rischi di una strumentalizzazione antirussa di tale missione, ma il Ministro della difesa proprio ieri ci ha dato una risposta a mio avviso non totalmente soddisfacente e per certi aspetti ambigua.
  Mi rivolgo, dunque, al Governo per sottolineare l'esigenza di scongiurare l'eventualità che si realizzino tali strumentalizzazioni perché in una materia tanto delicata, come quella dei rapporti internazionali in uno scenario bellico, la parola passa al Parlamento. Se dunque si sta pensando di cambiare le finalità della missione, allora si torni in Parlamento e si rimetta in discussione la nostra partecipazione. Lo stesso dicasi per la nostra partecipazione alle esercitazioni NATO nei Paesi baltici.
  Nessuno può decidere senza il consenso del Parlamento di cambiare le finalità delle missioni o di intraprendere azioni che possano destabilizzare il già precario equilibrio nello scacchiere dell'est europeo. Questo deve essere molto chiaro, signor Presidente, e posso assicurare che l'attenzione del mio gruppo parlamentare su questo punto sarò molto alta. Il Ministro Pinotti ha parlato di esercitazioni militari già in programma da tenersi in Germania che sono state semplicemente spostate più a est, ma è chiaro che tale decisione può essere interpretata come una vera e propria intimidazione. Allarmano anche le dichiarazioni del Presidente degli Stati Uniti e del Premier Cameron riguardo all'utilizzo dell'articolo 5 sull'autodifesa collettiva. Non nascondiamo, quindi, che le nostre preoccupazioni per queste prese di posizione, che si affiancano anche a quelle del Ministro degli esteri Mogherini, che mi auguro potrà chiarire e meglio spiegare la posizione del Governo la settimana prossima in Parlamento, ci portano a grande attenzione.
  La seconda vicenda che, non a caso, colloco alla conclusione del mio intervento è quella dei due sottufficiali fucilieri di Marina ingiustamente detenuti in India. Rispettiamo la richiesta di riserbo avanzata dal Ministro Pinotti su questo punto. Pag. 26Ma lo stesso Ministro ha riconosciuto l'insostenibilità della situazione che possiamo ben definire kafkiana.
  I nostri sottufficiali sono detenuti in forza di ragioni incomprensibili, con motivazioni surreali che mutano di giorno in giorno in uno snervante alternarsi da parte delle autorità indiane di risposte prima contraddittorie e poi evasive. Si è pensato per un certo periodo che bisognasse aspettare le elezioni perché il Primo Ministro in carica, membro del partito di Sonia Gandhi, non poteva sbilanciarsi in quanto sarebbe stato accusato di un atteggiamento filoitaliano. Bene, ora le condizioni sono mutate, ci sono state le elezioni, il Primo Ministro è un leader nazionalista e conservatore assolutamente non sospettabile di sentimenti filoitaliani. Ma Latorre e Girone sono ancora bloccati a Nuova Delhi e ciò è veramente umiliante per il nostro Paese e insopportabile per i nostri uomini in divisa impegnati con coraggio e dedizione in tutto il mondo per difendere i diritti dei più deboli e a collaborare alla stabilità internazionale.
  Per questo, signor Presidente e signori rappresentanti del Governo, ci pare più che ragionevole la proposta di aprire una verifica riguardo alla partecipazione italiana alle missioni antipirateria fino a quando la vicenda dei due fucilieri di Marina non si sarà risolta. Questa proposta si è concretizzata nell'approvazione pressoché unanime di un emendamento in tal senso riformulato e sottoscritto anche dal gruppo di Forza Italia ieri nelle Commissione riunite. Forza Italia non si sottrae mai ad un serio confronto sui temi internazionali e, in particolare, sulla partecipazione alla missione e sa mettere da parte, se necessario, la logica del rapporto maggioranza-opposizione.
  Noi non facciamo come certa sinistra che tante volte ha utilizzato la politica estera per attaccare, a suo tempo, il Governo Berlusconi: a guidarci è soprattutto la difesa dell'interesse nazionale e della sicurezza dei nostri concittadini. Ciò vale in particolare in questo periodo di grandi trasformazioni e direi di metamorfosi dello scenario globale. Le metamorfosi, come si sa, sono sempre drammatiche, ma non bisogna perdere l'equilibrio né il senso di responsabilità, perché, per parafrasare un notissimo detto, quello che ora sembra la fine del mondo, da un altro punto di vista può essere considerato come l'inizio di nuovi equilibri. E Forza Italia sarà, come sempre, equilibrata e responsabile, pronta a considerare con attenzione le ragioni del Governo e chiarissima e determinata nelle proprie richieste in sostegno e a garanzia dei tanti italiani, militari e civili, impegnati nel mondo in favore della pace e della stabilità internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Scopelliti. Ne ha facoltà.

  ROSANNA SCOPELLITI. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, fin dai primi anni Sessanta, il nostro Paese ha fornito un prezioso contributo alla costruzione della pace e della sicurezza globale, partecipando a numerose missioni internazionali che ne hanno contraddistinto la politica estera già a partire dalla metà del secolo scorso. È da allora, infatti, che l'Italia inizia a partecipare a missioni di stabilizzazione volute dall'ONU e ricordiamo, proprio a tal proposito, la missione nell'ex Congo Belga durante la quale, nell'eccidio di Kindu, dell'11 novembre del 1961, vennero uccisi tredici aviatori italiani facenti parte del contingente dell'operazione delle Nazioni Unite inviato a ristabilire l'ordine nel Paese, che era sconvolto da una sanguinosa guerra civile.
  Ma è poi a partire dagli anni Ottanta che l'Italia contribuisce in maniera sempre più consistente alle missioni internazionali civili e militari sotto l'egida delle Nazioni Unite, della NATO e dell'Unione europea. Fondamentale in tal senso fu la missione in Libano del 1982, la quale vide l'inizio di quell'approccio, tutto italiano, alle operazioni di pace caratterizzato da una particolare empatia ed attenzione alle esigenze della popolazione civile, oltre che da elevatissimi livelli di professionalità.Pag. 27
  Infatti, dal secondo dopoguerra, l'Italia ha preso parte ad oltre cento missioni di pace e di cooperazione e di sviluppo internazionale che hanno portato oltre 7 mila nostri militari ad operare in più di ventidue Paesi ed aree geografiche. E il crescente impegno dell'Italia nelle missioni internazionali è stato gradualmente favorito da numerosi fattori: ad esempio, posso citare la natura sostanzialmente bipartisan del consenso a tali operazioni, che ha trovato solo raramente forme di opposizione netta all'interno del quadro politico nazionale; ma potrei anche soffermarmi sulla coincidenza con una politica di cooperazione internazionale che, dal 1984 in poi, ha visto l'impegno militare accompagnato da un cospicuo impegno civile della cooperazione italiana nel mondo non governativo, soprattutto al fianco delle Nazioni Unite.
  Non meno rilevante, poi, è l'approccio multidimensionale alla sicurezza dell'apparato militare italiano, evolutosi in questo senso per diversi motivi storici e, per questo, capace di utilizzare ampiamente le armi del negoziato e della mediazione.
  Numerosi e significativi sono stati, poi, gli impegni e le operazioni del nostro Paese in tale contesto: ricordiamo, ad esempio, l'importante azione dello sminamento umanitario. Nel mondo sono circa ottanta i Paesi, per lo più in via di sviluppo, con presenza di mine sul territorio, per un totale di 200 milioni di mine depositate negli arsenali militari. Ebbene, in tale quadro, l'Italia, grazie ai fondi di volta in volta concessi dai decreti sulle missioni, ha potuto portare a compimento interventi di localizzazione e bonifica delle mine antiuomo e di altri residui bellici inesplosi; ha potuto prestare assistenza alle vittime di tali ordigni e svolge attività di formazione e di sensibilizzazione.
  Veniamo ora al provvedimento al nostro esame. Esso contiene disposizioni relative alla proroga del finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali per il secondo semestre 2014. Il decreto-legge garantisce, infatti, la prosecuzione delle operazioni cui partecipa l'Italia per mantenere la pace e la sicurezza in ambito internazionale e costituisce un preciso impegno del nostro Paese in politica estera ampiamente illustrato, appunto, in apertura dell'intervento.
  In particolare, il provvedimento prevede misure di cooperazione allo sviluppo, sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione nelle aree di crisi: un terreno, in sostanza, sul quale l'Italia è da sempre impegnata ed è protagonista, grazie anche all'impegno e alla professionalità dei propri militari nei vari contesti internazionali.
  Il rifinanziamento delle missioni all'estero è, dunque, per noi un dovere e la sua larga condivisione costituisce, oltretutto, un forte segnale di sostegno per i nostri militari all'estero. La delicata questione della partecipazione italiana alle missioni, derivante da un preciso impegno internazionale che il nostro Paese ha assunto con grande senso di responsabilità, ci impone l'obbligo di emanare, ogni sei mesi, un provvedimento che consenta all'Italia e ai suoi militari di operare sempre al meglio ed in termini adeguati alle circostanze.
  Considerata l'importanza delle nostre partecipazioni alle missioni internazionali, siano esse sotto egida ONU o NATO, risulta più che mai necessario giungere all'adozione di uno strumento legislativo che disciplini con una legge quadro e in modo definitivo – finalmente – il coinvolgimento dei nostri contingenti militari in scenari di geopolitica internazionale complessi e altamente pericolosi.
  Sarebbe questo un modo per garantire in maniera stabile e certa il processo di rifinanziamento di operazioni militari effettuate, peraltro, in ambiti di sostegno umanitario cui l'Italia è vincolata da precisi Trattati internazionali. Nel nostro ordinamento, infatti, non è stata ancora introdotta una complessiva normativa di riferimento sul trattamento economico e giuridico del personale impegnato in tali missioni, nonché sui molteplici e peculiari profili amministrativi che caratterizzano le missioni stesse. Tutti questi aspetti sono Pag. 28attualmente disciplinati da apposite disposizioni che, in quanto inserite di volta in volta nell'ambito dei provvedimenti legislativi con cui si dispone periodicamente il finanziamento delle missioni internazionali, hanno un'efficacia limitata nel tempo e necessitano, pertanto, di essere continuamente reiterati con conseguenti rischi di difetti di coordinamento normativo e di incertezza circa le disposizioni applicabili nei diversi teatri operativi. Dalle considerazioni espresse emerge, quindi, la necessità di intervenire in modo da poter assicurare al nostro Paese strumenti legislativi in grado di garantire la certezza e la continuità al rinnovo dei finanziamenti e dei sostegni militari.
  Dal punto di vista delle relazioni internazionali il provvedimento conferma la linea politica del nostro Paese a sostegno di quelle attività e missioni con cui la comunità internazionale punta alla stabilizzazione delle aree critiche del mondo e al superamento degli scenari conflittuali. Peraltro, dobbiamo anche sottolineare come le condizioni economiche e finanziarie dell'Italia e dell'Occidente in genere comportino inevitabilmente una giustificata pausa di riflessione sull'utilizzo di ingenti risorse per lo svolgimento di operazioni umanitarie all'estero, ma la storia e la tradizione del nostro Paese nella risoluzione di spinose questioni internazionali, soprattutto a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, ci impongono allo stesso tempo l'obbligo, non solo morale, di continuare a fornire il nostro apprezzato contributo nel corso delle delicate operazioni di pacificazione di intere aree geografiche uscite o faticosamente uscite da scenari bellici.
  Volendo entrare ancora di più nello specifico del provvedimento, occorre dire che esso reca un contenuto omogeneo, essendo volto ad autorizzare la spesa per la partecipazione del personale italiano alle diverse missioni internazionali e alle iniziative di cooperazione che ci vedono impegnati fino al 31 dicembre 2014, fornendo una disciplina dei profili normativi connessi alle missioni e prevedendo per specifici aspetti, quali il trattamento giuridico, economico e previdenziale e la disciplina contabile e penale, una normativa strumentale al loro svolgimento, individuata essenzialmente mediante un rinvio all'ordinamento vigente.
  La partecipazione dell'Italia ad operazioni internazionali non può non richiamare ancora una volta la nostra attenzione sulla drammatica questione dei due fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, ancora, ancora oggi detenuti in India, ed aggravatasi nelle ultime ore a seguito della notizia del malore che ha colpito il fuciliere Latorre. La detenzione dei nostri due marò in India ha ormai raggiunto un livello insopportabile per il nostro Paese e soprattutto per i diretti interessati e per le loro famiglie alle quali, anche a nome dell'intero gruppo parlamentare del Nuovo Centrodestra, rinnovo la più totale solidarietà e l'affettuosa vicinanza, ma forse non basta. È più che mai urgente adoperarsi in ogni sede possibile affinché i nostri due militari possano ritornare in Italia, assicurandosi innanzitutto che il fuciliere Latorre riceva le cure resesi necessarie a seguito dell'ischemia che lo ha colpito; mi chiedo: dopo tanto operazioni internazionali di pace e di sviluppo, condotte in aree geografiche complesse e pericolose come l'Afghanistan, il Libano, il Kosovo, Timor Est e con oltre 170 militari italiani caduti, è possibile concepire che due nostri militari abbiano compiuto, nell'ambito di un'operazione di sicurezza, un atto terroristico ? È possibile che a distanza di oltre due anni la questione sia ancora drammaticamente in stallo ? Noi siamo anche convinti che la difficile ma costante azione del Governo vada sostenuta e affiancata con vigore dagli attori che operano nel contesto internazionale nel quale siamo impegnati, al fine di concludere in termini definitivi una vicenda veramente paradossale nelle sue premesse e ancora più assurda nel suo iter.
  È passato, infatti, troppo tempo dall'inizio di questa storia e nulla si è mosso e non si riesce a vederne la fine. Ed il tempo passa velocemente per gli uomini, per le loro vite e per le loro famiglie, e ad Pag. 29essi vanno dedicati rispetto e impegno. Questo lo tengano ben a mente quanti hanno in mano il destino dei due soldati, che hanno operato nell'ambito di un intervento di sicurezza internazionale.
  L'Italia intanto continua ad impegnarsi generosamente in operazioni legate al ristabilimento della pace, della sicurezza e dello sviluppo dei popoli oppressi; e l'apporto che i nostri militari forniscono nei vari teatri sconvolti da guerre e rivoluzioni è internazionalmente apprezzato non solo sotto il profilo militare ma anche in termini di costruzione di rapporti fra vari interlocutori presenti sul territorio e di cooperazioni internazionali, il cui scopo è quello di favorire la pace ed aiutare lo sviluppo sociale e civile dei popoli. Il nostro Paese, infatti, non porta mai con le sue forze di sicurezza la guerra bensì si adopera sempre per la pace, e lo fa con interventi di cooperazione e di stabilizzazione. L'Italia è quindi chiamata ad essere protagonista e ha ottenuto ed ottiene in questo, tra l'altro, grandi risultati positivi nelle aree di crisi. Il suo impegno deve quindi continuare, pure in un contesto economicamente purtroppo difficile come quello che il nostro Paese sta attraversando (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Duranti. Ne ha facoltà.

  DONATELLA DURANTI. Signor Presidente, siamo chiamati oggi a convertire l'ennesimo decreto-legge omnibus che contiene norme disomogenee al suo interno: proroga tutte le missioni internazionali nelle quali è impegnato il nostro Paese – missioni in molti casi di natura assai diversa – e gli interventi di cooperazione internazionale, nonché contiene al suo interno norme per il rinnovo dei comitati per gli italiani all'estero, che è proprio una materia che non ha nulla a che vedere con la proroga ed il rifinanziamento delle missioni internazionali. Il Governo ha scelto di nuovo lo strumento del decreto-legge per un provvedimento nel quale non si intravedono i caratteri di urgenza e di straordinarietà, posto che tratta rinnovi semestrali già programmati, dunque prevedibili, e che è stato licenziato dal Governo ben 35 giorni dopo la scadenza di quello precedente. La copertura finanziaria poi, oltretutto, è ancora dubbia: ieri in Commissione ci è stato riferito che la Commissione bilancio non ha ancora espresso il suo parere sulla copertura finanziaria di questo decreto. E voglio ricordare che con le risorse finanziate in questo rinnovo e in quello precedente abbiamo superato 1 miliardo di euro. Dei 452 milioni di euro che serviranno per il rifinanziamento di questo decreto una parte viene presa dai risparmi accantonati dal Ministero della difesa. Allora, lo dico così: siccome siamo convinti e sappiamo che né la Ministra della difesa né il Governo intendono ridurre le risorse per gli investimenti in nuovi armamenti, segnatamente gli F-35 e le fregate della classe Fremm, noi pensiamo che quei soldi del Ministero della difesa, quelle risorse che erano state accantonate, potevano servire per l'esercizio, potevano servire cioè per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori del Ministero e, per esempio, per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori degli appalti esterni della Marina militare. Ma, tant’è, la copertura finanziaria, seppure incerta, è una copertura finanziaria che comunque è dentro il quadro generale che questo Governo e questo Ministro, rispetto alle spese militari, stanno seguendo dal momento del loro insediamento.
  L'uso del decreto-legge è ormai una prassi consolidata da anni e impedisce di fatto un'analisi accurata e una deliberazione consapevole da parte del Parlamento, a causa dei tempi e delle modalità che da essa derivano. I tempi della discussione risultano ridotti ed è impedita la possibilità di valutare singolarmente le 26 missioni sulla base della loro natura, né è consentito entrare nel merito della loro durata e nel merito delle decisioni e delle scelte rispetto al quadro geopolitico e geostrategico, poiché il Parlamento è chiamato unicamente a svolgere una sorta di rito che si ripete ogni sei mesi per il Pag. 30rifinanziamento di missioni e operazioni internazionali in itinere da molti anni, alcune da più di vent'anni.
  L'unica novità introdotta è la loro divisione per aree geografiche: non più un unico articolo per tutte le ventisei missioni internazionali, ma tre con la suddivisione tra missioni in Europa, in Asia e in Africa, a seconda appunto del continente nel quale si svolgono. È ancora una modalità insufficiente perché accorpa missioni di tipologie assai diverse: missioni NATO, missioni dell'Unione europea e missioni dell'ONU. Ribadiamo: non tutte queste missioni, anzi la maggior parte di queste missioni non sono ancorate all'articolo 11. Sono pacchetti che si può scegliere se prendere o lasciare senza potervi incidere in alcun modo.
  Peraltro, le relazioni periodiche dei responsabili esteri e difesa alle Commissioni competenti, comprese le comunicazioni che le Ministre svolgono, fino a quella svolta ieri, hanno carattere meramente descrittivo e non contengono dati relativi alla durata, al mandato, e ai dettagli attuativi delle missioni. La stessa scheda tecnica allegata al decreto rende conto esclusivamente delle risorse finanziarie e della loro allocazione. Tutto questo impedisce di fare un bilancio delle missioni, di valutare la rispondenza tra obiettivi previsti e la loro realizzazione; impedisce di fatto al Parlamento di svolgere il suo ruolo nell'ambito delle scelte di politica estera e di sicurezza.
  Il Parlamento con questo decreto-legge non è messo nella condizione di valutare la rispondenza delle missioni in atto, per le quali appunto si chiede la proroga, al nuovo scenario di crisi. Si prorogano le missioni in Libia senza una discussione e un bilancio rispetto a ciò che sta accadendo: in quel Paese oramai ci sono due Governi, due Parlamenti e due coalizioni armate e si sta scivolando vertiginosamente verso una terribile guerra civile. È lecito porre il tema del fallimento delle missioni e dei loro obiettivi vista la situazione in atto in Libia ?
  L'Italia non ha detta una parola chiara su Gaza, continuando però ad inviare armi ad Israele nonostante la richiesta di interrompere il loro rinvio che è venuta sia dall'opposizione in questo Parlamento, ma soprattutto dalle associazioni e dai movimenti pacifisti. È lecito chiedere quali siano gli esiti delle missioni ad Hebron e Rafah, soprattutto rispetto al monitoraggio dei diritti umani in quei territori. Stiamo rifinanziando le missioni di contrasto al terrorismo, ai traffici illeciti, alla pirateria nel Mediterraneo e nell'oceano indiano.
  A questo proposito, anch'io mi unisco, anche a nome del mio gruppo, alla solidarietà che è già stata espressa ed esprimo vicinanza al fuciliere di Marina, Massimiliano La Torre, e l'augurio che possa al più presto riprendersi.
  Ma che senso ha – vi chiedo scusa se mi ripeto – senza conoscere i dettagli di quello che è accaduto in questi anni, continuare a rifinanziare quelle missioni ?
  In Afghanistan poi, dove siamo da oltre dodici anni, non è dato conoscere i dettagli dell'attività svolta dai nostri militari nei PRT. Ribadiamo: il tema di cui stiamo parlando è un tema fortemente politico che presupporrebbe un coinvolgimento e un protagonismo del Parlamento di altro tipo. A tal fine, evidentemente, è necessaria una diversa volontà politica del Governo, ma anche la definizione di un quadro normativo adeguato all'impegno crescente del nostro Paese nell'ambito delle operazioni delle missioni internazionali, una definizione legislativa dei loro ambiti di intervento al fine di garantire un incisivo controllo del Parlamento e la disciplina della materia da parte di una fonte di rango primario, appunto una legge.
  Con questa convinzione e consapevolezza, abbiamo presentato a inizio legislatura una proposta di legge quadro su disposizioni concernenti la partecipazione italiana a operazioni e missioni internazionali, una proposta di legge che definisce la natura delle stesse, che prevede che si svolgano nel rispetto dell'articolo 11 della nostra Costituzione e dei trattati internazionali, con particolare riguardo allo statuto dell'ONU, che stabilisce regole per la loro autorizzazione.Pag. 31
  L'iter della proposta di legge è iniziato con l'abbinamento di altri testi presentati da quasi tutti i gruppi parlamentari, ma procede troppo lentamente. Sarebbe invece urgente giungere al più presto alla sua definizione per avere la disponibilità di uno strumento che eviti di ritrovarci nelle stesse condizioni fra sei mesi. È altresì urgente ripensare la politica del nostro Paese nell'ambito della cooperazione allo sviluppo che tuttora è inserita in parte all'interno dei decreti di rifinanziamento delle missioni militari con risorse assolutamente irrisorie.
  Anche qui chiedo l'attenzione dell'Aula ed esprimo, anche a nome del gruppo Sinistra Ecologia Libertà, la vicinanza ai familiari delle nostre due cooperanti, Greta e Vanessa, rapite in Siria. Di loro non sappiamo nulla. Noi ci auguriamo che presto, al più presto, il Governo le riporti a casa, perché rappresentano quell'Italia migliore che noi vorremmo contribuire a costruire.
  Ci sono le condizioni, perché il Parlamento a luglio ha approvato una nuova legge sulla cooperazione internazionale, migliorativa della precedente ma che mantiene ambiguità nel rapporto tra azione umanitaria, intervento militare e non istituisce il Fondo unico per la cooperazione, invece assolutamente necessario. Consente comunque, laddove evidentemente si esprima una precisa volontà politica, di restituire valore e significato ad uno strumento che, oltre ad essere essenziale per la promozione della giustizia e della pace tra i popoli, è un elementare dovere giuridico previsto dallo Statuto dell'ONU per un Paese, come l'Italia, economicamente avanzato. Un dovere giuridico, però, al quale l'Italia ha risposto in maniera assolutamente insufficiente, essendo lontana dal rispetto dell'impegno assunto di stanziare per la cooperazione internazionale lo 0,7 per cento del PIL.
  L'Italia deve recuperare autonomia, autonomia strategica, e decidere se essere Paese produttore di giustizia sociale, di pace e dialogo nel mondo, o esecutore di scelte operate da altri, in particolare dagli Stati Uniti d'America e dalla NATO. Ancor più, deve farlo in questo momento di gravissima instabilità politica nei Paesi del Mediterraneo, in Medio Oriente e persino nell'Europa dell'est. Il mondo ai nostri confini è in fiamme. Il disordine mondiale coinvolge milioni di uomini e donne, che vedono messo in discussione il diritto alla vita, e le risposte che sinora sono state date, a partire, appunto, dalle missioni cui l'Italia partecipa, non sono state in grado di determinare soluzioni durature, che garantiscano un ordine basato sulla pace e sulla convivenza se è vero, come è vero, che tutti, appunto, ammettiamo che il mondo è in fiamme.
  Al contrario, i venti di guerra e di ulteriore destabilizzazione spirano forte. I Paesi occidentali stanno assumendo decisioni che accelerano lo svuotamento del ruolo dell'ONU, mentre la NATO sta provando a consolidare il cambio del suo concetto strategico, presentandosi sempre più come esportatore globale di sicurezza. Oggi e domani – si sta già svolgendo – si svolgerà il summit annuale della NATO in Galles. Chiediamo al Governo che ruolo intenda avere l'Italia e che proposte farà per l'Europa, visto che la Ministra degli affari esteri italiana è anche la nuova Alta rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Si piegherà alla scelta di allargamento dell'alleanza ad est, con il pretesto della crisi fra Russia ed Ucraina ? Risponderà positivamente, il nostro Governo, alla richiesta fatta dal Segretario generale della NATO a tutti gli alleati di aumentare le spese militari per fare fronte al nuovo scenario internazionale ? Saprà l'Italia, al contrario, pretendere l'autonomia della politica europea dalle decisioni della NATO ?
  Serve un intervento autorevole, in grado di scongiurare che si metta una pietra tombale sulla politica europea di sicurezza comune, per evitare che si continui a rimanere imbrigliati in scelte che non hanno prodotto che aumenti di instabilità, di povertà, di numero dei conflitti, che non sono riuscite ad impedire l'acuirsi del terrorismo assassino e terribile, che non hanno ottenuto i risultati sperati in molti Paesi, primi fra tutti Pag. 32Afghanistan e Libia, in cui sono stati effettuati interventi militari e operazioni di guerra che durano da anni e che sono costati migliaia di morti civili, oltre che militari.
  Il Governo italiano deve pretendere che il vertice NATO di oggi discuta della gestione del passaggio in Afghanistan dalla missione ISAF alla missione Resolute Support, alla quale l'Italia ha già deciso di partecipare senza, però, interpellare il Parlamento. Gli interrogativi aperti sul dopo 2014 in Afghanistan devono essere oggetto di un'ampia e approfondita discussione in Parlamento, che non può prescindere dalla valutazione di ISAF, che noi consideriamo fallimentare, e che non può non tenere conto dell'instabilità politica di quel Paese dove, a tre mesi dal voto, non si conoscono ancora i risultati delle elezioni presidenziali.
  L'Italia deve ridiscutere le sue prospettive e i suoi rapporti internazionali, se vuole essere finalmente protagonista di un'epoca nuova di pace, liberandosi della cappa della NATO e dagli USA, che definiscono modi e tempi degli interventi internazionali e, di volta in volta, scelgono i propri interlocutori nei Paesi in conflitto.
  È un errore – lo abbiamo già detto il 20 agosto – inviare armi in Iraq. Il Medio Oriente allargato, come è stato definito, deve essere reso smilitarizzato. Si deve restituire ruolo all'ONU e alla sua capacità di assumere la responsabilità di protezione dei civili. Vanno aperti canali umanitari con l'utilizzo di personale ONU con il ruolo di imposizione della pace, bisogna chiedere una conferenza internazionale che metta insieme tutti i Paesi dell'area. Non si possono compiere errori, perché l'ISIS è un nemico terribile che va annientato e, per questo, servono molteplici interventi e serve di dare la parola alle diplomazie. Serve chiedere il suo isolamento, l'isolamento di ISIS, un isolamento vero e immediato e serve chiamare in causa i Paesi che fino ad oggi lo hanno sostenuto. E invece vi apprestate ad inserire in questo decreto-legge la copertura finanziaria per l'invio delle armi in Iraq.
  Le crisi aperte e i conflitti in atto – ormai è stato già detto – riguardano numerosi Paesi ed intere aree geografiche. Sempre più numerose masse di disperati premono alle nostre porte, centinaia di migliaia di profughi si stanno spostando da Paesi come la Siria, dove è in atto una terribile guerra civile che coinvolge i Paesi confinanti. Lo strumento per rispondere ai drammi in corso non è per Sinistra Ecologia Libertà questo decreto-legge. Serve altro: si recuperi lo spirito dell'articolo 11, troppo spesso violato in questi anni con le missioni internazionali e le operazioni internazionali, e della Carta dell'ONU. Ci si adoperi per una politica di soccorso in mare di accoglienza dei profughi, ci si impegni per una politica europea di sicurezza comune che promuova il disarmo convenzionale e nucleare, si contribuisca alla riforma del Consiglio di sicurezza dell'ONU per rafforzare il ruolo e la capacità delle Nazioni Unite. Si taglino le spese militari e si aumentino gli investimenti per favorire un modello di sviluppo equo e sostenibile che evidentemente deve avere una prospettiva cosmopolita e la proiezione dell'Italia al di là dei confini nazionali come attore responsabile in Europa e nel mondo. Ma sembrate non sentirci. Vi chiediamo di provare a cambiare strada, di provare a cambiare percorso, di utilizzare strumenti nuovi, perché quelli finora utilizzati hanno prodotto un grande disordine mondiale ed una ricaduta e conseguenze drammatiche su intere popolazioni del mondo (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Chaouki. Ne ha facoltà.

  KHALID CHAOUKI. Signor Presidente, con questo nuovo provvedimento l'Italia riafferma una sua peculiare capacità di stare nel mondo, nelle regioni più critiche colpite da sanguinosi conflitti interni, guerre civili, instabilità permanenti e una grande fame di un quadro di pace e sviluppo che viene urlato quotidianamente dalle società civili autoctone, da esponenti Pag. 33in esilio, dalle tante donne, troppo spesso le prime vittime delle condizioni che qui abbiamo citato e raccontato. Noi ci muoviamo in questo quadro con la rinnovata volontà e impegno a proseguire con il ruolo del nostro Paese in numerosi teatri vicini e lontani, con una linea comune di condotta che mira a privilegiare il rapporto diretto con le autorità locali, civili e militari, con le società civili attraverso un grande investimento nella formazione e aggiornamento delle forze di sicurezza e delle leadership autoctone ed anche appunto proseguendo nel supporto di azioni umanitarie dirette all'assistenza di migliaia di rifugiati, grazie alla cooperazione diretta con le maggiori organizzazioni e agenzie delle Nazioni Unite. Certamente l'emblema della nostra presenza all'estero rimane l'Afghanistan nel quadro della missione ISAF, che ci vede in prima linea nel garantire condizioni di sicurezza e di tutela per una parte del popolo afgano martoriato da decenni di guerre e dal rischio permanente di un malaugurato sopravvento delle forze talebane, che hanno avuto modo di esprimere il massimo della loro pericolosa ideologia nel periodo di governo di quel Paese, attraverso l'impedimento – forse qualcuno lo ricorda bene o perlomeno l'abbiamo forse un po’ dimenticato – alle donne di frequentare le scuole, le punizioni corporali nelle pubbliche piazze o la protezione dei leader maggiori di Al Qaeda, prima dopo e durante quel tragico 11 settembre. Oggi il quadro afgano continua a rimanere purtroppo incerto sicuramente, ma nessuno intellettualmente onesto può negare che la nostra presenza nel quadro di quella missione multilaterale non abbia comunque, con tutti i suoi limiti e le sue difficoltà, impedito ad intere regioni afgane di ricascare sotto l'egemonia dell'emirato talebano, già proclamato in passato e che tuttora rivendica attentati e azioni di guerriglia militare per mettere in discussione la stabilità e la pace in quella regione.
  La nostra presenza in Afghanistan, che si sta avviando verso la sua conclusione, come tutti ci siamo impegnati in un quadro internazionale, ha rilanciato comunque decine di progetti a favore dei bambini e delle donne, per corsi di formazione dei quadri impegnati sul difficile terreno della giustizia, un dialogo continuo con la società afgana verso una piena autonomia, anche nella gestione della propria sicurezza.
  E allora, cari colleghi, la discussione di questo decreto ha sempre riportato sicuramente tensioni e polemiche, come è giusto che accada, di fronte ad un provvedimento che espone centinaia di nostri militari a rischi più o meno pericolosi, in un Parlamento democratico. Un provvedimento, questo, che ci interroga su quale modello di mondo vorremmo per noi e per i nostri figli, su quale ruolo per il nostro Paese vorremmo fuori dalle nostre frontiere, sempre più labili e interconnesse.
  Vi è chi oggi teorizza, a fasi alterne, una volta l'impegno per fermare il conflitto israelo-palestinese, un'altra volta si impegna per farci ignorare gli appelli di dolore di migliaia di profughi in fuga dalla guerra in Siria, Iraq e dalle persecuzioni del Corno d'Africa, in Nigeria, Sudan e altri Paesi. E allora noi diciamo che serve maggiore coerenza, che, sicuramente, di fronte a tragedie di questa grande portata, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è il facile allarmismo di fronte a presunte malattie infettive oppure di fronte all'idea che possiamo, tutto sommato, starcene tranquilli in casa nostra, lontani da quelli che sono gli allarmi, le paure e le richieste di aiuto che ci vengono da Paesi che sono molto vicini.
  Dico e diciamo che noi dobbiamo sentire sulle nostre spalle la responsabilità di un continente, l'Europa, in cui, nonostante gli «imprenditori della paura» in Europa e anche nel nostro Paese, i nostri Paesi europei continuano oggi a essere vissuti come l'unico spazio, l'unica oasi di democrazia, di libertà e di possibile accoglienza per migliaia e migliaia di persone. Questa è la nostra storia, questi sono i nostri principi, questo è quello che rappresenta la nostra Costituzione per migliaia di persone, che, nonostante tutto quello che succede nel nostro Paese e nel nostro Pag. 34continente, continuano a vederci come l'unica possibilità di serenità e di pace.
  E allora noi, di fronte a questa missione, dovremmo davvero essere all'altezza e, forse, ricordarci anche della nostra Costituzione italiana, oltre che dei trattati internazionali. È ora di uscire, quindi, dalle nostre ipocrisie e riconoscere che, grazie all'impegno dei nostri militari in Libano, con la missione UNIFIL, quel Paese un tempo faro della convivenza multireligiosa e multiculturale in tutto il Medio Oriente, grazie all'impegno delle nostre forze in quel Paese, oggi regge, tutto sommato, una stabilità, seppur fragile, nonostante i tamburi di un pericoloso coinvolgimento nel conflitto tra Assad, i gruppi di ribelli e l'ISIS.
  Un ringraziamento speciale va a quei militari che si trovano oggi in un lavoro delicato e impegnativo di mediazione tra le forze libanesi, Hezbollah e l'esercito israeliano, al fine di garantire una pace e una stabilità difficile in quei confini così delicati. Forse non tutti ci ricordiamo, e lo ricordiamo ancora oggi, che, grazie a un impegno internazionale dell'Italia, si giunse a questa tregua che per ora regge ancora, e regge, soprattutto, grazie ad una missione internazionale dei nostri militari sul fronte dei confini libanesi.
  Altrettanto importante è la nostra presenza nei Balcani, così come il nostro impegno in Somalia con la missione EUTM; un Paese, la Somalia, emblema di una guerra infinita, che vede tra i suoi protagonisti fazioni affiliate ad Al Qaeda, collegate con altre reti del terrorismo di matrice religiosa in Yemen, Arabia Saudita e, ora, anche diretti rappresentanti dell'autoproclamato Califfato di Baghdad.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 16,40)

  KHALID CHAOUKI. Infine, non possiamo parlare di missioni italiane all'estero dimenticandoci di quello che sta avvenendo a pochi passi da noi: la preoccupante ascesa del fronte «Alba della Libia», un fronte che in parte si rifà alle bandiere dell'Isis e che ha già sancito Bengasi quale sua capitale.
  Un pericolo, l'ascesa di un gruppo estremista, un gruppo che si rifà a quelle bandiere nere che ci spaventano tutti i giorni e di cui leggiamo le cronache quotidiane, le cronache terribili di uccisioni, le cronache terribili di negazione delle libertà, che oggi si stanno propagando anche ad un Paese vicino a noi, con cui noi siamo stati, storicamente, radicalmente vicini.
  E allora, come vogliamo porci di fronte ad un Paese verso cui dovremmo sentire perlomeno la responsabilità, quale storia comune e soprattutto quale Paese vicino e quindi in qualche modo anche suscettibile di influenza diretta rispetto al nostro Paese e rispetto alla regione mediterranea ? Dobbiamo e abbiamo il dovere di essere vicini al popolo libico oggi, a quel Parlamento che, nonostante tutte le criticità, oggi rappresenta comunque un tentativo e un credere del popolo libico nella possibilità di futuro pacifico e di sviluppo per quel Paese. Senza nessuna retorica, diciamo che non possiamo dimenticarci del ruolo che dobbiamo avere e che, grazie alla missione EUBAM in Libia oggi possiamo avere nel tutelare le sue frontiere in un contesto, come si diceva prima e come cercavo di dire, in cui ci troviamo di fronte a mobilità di gruppi direttamente affiliati al terrorismo di matrici religiose che trovano purtroppo anche nella Libia e nei confini, lunghissimi confini, con l'Egitto, con la Tunisia e con l'Algeria, luoghi di possibile crescita, organizzazione e addestramento.
  Allora, queste sono le missioni degli italiani all'estero, come abbiamo provato qui a raccontare, missioni che tendono a rafforzare quegli interlocutori con cui noi abbiamo il dovere di interloquire per rafforzare la possibilità di sviluppo autoctono di quelle comunità.
  Infine, più che un decreto missioni, questa è una missione dell'Italia in cui noi dobbiamo forse avere l'onestà intellettuale di ragionare per una volta tutti insieme come Paese, come Europa, come vogliamo noi appunto il futuro dell'Europa, il futuro Pag. 35del Mediterraneo ed il futuro di questo nostro mondo comune. Dobbiamo farlo oggi con una responsabilità in più, la responsabilità di essere la finestra dell'Europa verso l'Africa e il Medio Oriente. Dobbiamo farlo anche guardando alla nostra responsabilità, oggi, di essere guida dell'Europa. Dobbiamo farlo anche pensando al difficile compito che si ritrova davanti a sé per i prossimi cinque anni la nostra nuova Commissaria e rappresentante per la politica estera di difesa europea, Federica Mogherini, a cui vanno tutti i nostri auguri. Dobbiamo farlo anche ricordando le tante vittime della nostra cooperazione italiana, dei nostri militari, ma soprattutto cooperatori italiani in giro per il mondo.
  E io vorrei concludere, Presidente, ricordando quei tre italiani rapiti in Siria: padre Dall'Oglio, di cui non dobbiamo dimenticarci, e le due cooperanti Greta e Vanessa. Anche per loro credo sia importante oggi rafforzare la nostra presenza in tutti questi teatri, cercando di raccontare un impegno italiano, che è stato sempre ed è ancora oggi volto a rafforzare il rapporto ed il dialogo con le comunità locali. Allora, l'appello anche da qui alle forze dialoganti nonostante la confusione in Medio Oriente, alle comunità islamiche in Europa e in Italia, al mondo arabo e musulmano, affinché vi sia un'alleanza davvero contro qualsiasi forma di violenza in nome della religione.
  Noi siamo convinti che dall'altra parte del Mediterraneo si sono già sollevate voci – ma dovremo sentirne sempre più sollevarsi – per condannare le atrocità che stiamo vedendo, ma soprattutto per trovare una soluzione pacifica insieme a quelle popolazioni che sono esse stesse oggi vittima del terrorismo di matrice islamica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Manlio Di Stefano. Ne ha facoltà.

  MANLIO DI STEFANO. Signor Presidente, il mio intervento sarà abbastanza breve, come quasi nullo è ciò che è cambiato dall'ultimo decreto delle missioni internazionali ad oggi. Questo è un decreto che sostanzialmente ricalca quello di sei mesi fa. Ma questa ormai è una procedura che voi portate avanti ogni volta: decreti su decreti per rifinanziare le missioni, nonostante ci sia una legge quadro sulle missioni internazionali incardinata già in Commissione e che si sia approvata una legge sulla cooperazione internazionale. Ma evidentemente questo tipo di modus operandi vi appartiene e non riuscite proprio a farne a meno.
  Questo addirittura ha qualcosa in più rispetto a quelli passati, che lo rende ancora più sgradito al MoVimento 5 Stelle, perché si è andato a esasperare ancora una volta, anche per questo decreto, il concetto di eterogeneità, perché negli altri quantomeno si parlava davvero di missioni e cooperazione, e qui si parla anche di Comites, questi Comites che infilate un po’ come il prezzemolo in tutte le ricette, perché spuntano in tutti i decreti: si danno 2 milioni oggi, un milione domani, 2 milioni dopodomani, sperando che prima o poi funzionino. Ma il punto è che dovreste iniziare a chiedervi: ma se non funzionano non sarà mica che non sappiamo farli funzionare ? Non è una questione di soldi, è una questione di volontà di uscire da una logica di sistemi di appartenenza politica, come sono i Comites, che sono totalmente in mano, purtroppo, da sempre, alla sinistra italiana, ma in generale alla politica: organi di partito all'estero, che anziché aiutare i nostri italiani rappresentano i partiti nelle sedi internazionali.
  Questo dovrebbe essere chiaro a tutti e andrebbe soprattutto fatto sì che non succedesse più. Il MoVimento 5 Stelle da sempre ha chiesto di eliminare i Comites, almeno questa forma di Comites che non può essere la vera rappresentanza italiana all'estero. Ma voi, invece, date 2 milioni di euro ogni volta che c’è la possibilità e, anche in questo caso, ci tornate sopra.
  Io ho avuto anche il gusto di leggere la scheda tecnica, in cui la Camera e i funzionari dicono perché avere i Comites dentro questo decreto non lo rende disomogeneo: Pag. 36c’è scritto semplicemente perché è una parte marginale del decreto. Quindi, siamo alla marginalità di una disomogeneità di decreto: una roba mai vista !
  Nel merito di questo decreto, ovviamente la parte sulla cooperazione internazionale – la parte di cui parlerò, visto che della parte sulle missioni ha parlato già la mia collega Emanuela Corda – è sempre irrisoria. Infatti, nonostante abbiamo sempre detto che dovremmo allinearci alle indicazioni europee, quindi di un trend di crescita fino allo 0,7 per cento, continuiamo a investire in cooperazione una miseria. Si passa addirittura da 34 milioni 700 mila euro dell'ultimo decreto a 34 milioni 800 mila euro, quindi 100 mila euro in più: un gran successo per questo Paese, evidentemente. Però, non ci dimentichiamo di dare 400 milioni complessivamente e quasi un miliardo in un anno per le missioni internazionali, missioni che – lo abbiamo già detto e non lo ripeterò – non accettiamo e non condividiamo assolutamente, per le quali avevamo chiesto più volte che si potesse fare una votazione con spacchettamento delle missioni, ma si è fatta soltanto con spacchettamento delle aree geografiche, il che rende sostanzialmente inutile questa cosa. Infatti, non si può valutare il continente africano integralmente, il Medio Oriente integralmente, la questione azera non è la questione israelo-palestinese. Ma ovviamente è il classico tentativo di prendere in giro il Parlamento, facendo una piccola modifica che faccia digerire un po’ più la pillola. In realtà, noi vorremmo finalmente poter approfondire ogni singola missione e bocciarla nel merito della singola missione e non del pacchetto continente, come avete fatto voi.
  Diamo 400 milioni di euro, non condividiamo questa cosa per il lato pacifista che il nostro movimento ha, che è quello della totale lontananza dall'idea che fornire armi, come avete fatto – avete fatto, avete fatto – per i curdi ad agosto, possa portare la pace. Fornire armi non porta mai la pace.
  Io capisco che il nostro Governo è stretto a doppio filo – magari fosse stretto a doppio filo – è in dipendenza totale dalla NATO, e quindi dagli Stati Uniti d'America che la NATO rappresentano in sostanza, e, quindi, non riesce a uscire dalla logica che fornire armi possa essere utile. Non vi rendete conto neanche che avete fallito sempre negli ultimi vent'anni. Se guardiamo all'Afghanistan avete fallito perché lì sostanzialmente hanno vinto i talebani. Poi è interessante quando il Ministro Pinotti viene in audizione – ora aprirò un'altra parentesi su quella audizione, quella farsa – e ci viene a dire che in Afghanistan, dove c’è stato il progetto italiano, le donne hanno potuto votare. Perfetto. Peccato che l'Afghanistan è un Paese enorme e il fatto che forse abbiamo messo in sicurezza due città non significhi pressoché nulla. Potremmo anche creare una megarecinzione, e allora abbiamo messo in sicurezza qualcosa ? No, il Paese è peggio di come lo abbiamo preso nel 2001, e in compenso abbiamo speso anche 5 miliardi di euro dei cittadini italiani.
  Sempre sulla questione delle armi – perché per me questo decreto lo definisce una parola: ipocrisia –, avevamo detto, quando avete convocato le Commissioni il 20 agosto, nonostante aveste già garantito le armi ai curdi il 15 agosto, che questo decreto non affronta alcune tematiche sulle quali il MoVimento 5 Stelle per tutta l'estate ha spinto tanto invece, perché crediamo che sia la soluzione.
  Due fattori accomunano il nuovo caso iracheno e la questione israelo-palestinese: non possiamo fornire armi e poi batterci i pugni sul petto provando a dire: «Facciamo cooperazione». Abbiamo costruito e ricostruito e ricostruito ancora Gaza, come anche la Cisgiordania, per gli ultimi vent'anni, credo. Ora i danni creati da Israele con i bombardamenti a tappeto su Gaza si quantificano in 5 miliardi di dollari, per i quali alcuni Paesi si sono impegnati a partecipare; sicuramente lo farà anche l'Italia. In questo decreto è inserita la Palestina. L'unica cosa positiva che vedo delle modifiche fatte dal Governo su questo decreto per la questione israelo-palestinese è che finalmente si usa la parola Palestina, anziché Gaza, Cisgiordania Pag. 37o territori occupati, quindi già questo è un passo avanti, anche se soltanto lessicale.
  Io voglio capire: intendiamo fornire armi ad Israele (473 milioni di commercio di armi solamente l'anno scorso) ogni anno, per poi farglieli scaricare su Gaza, ricostruire Gaza e dargli altre armi ? Perché se è così, è come la tela di Penelope: la sera la scuci, il giorno la cuci di nuovo. E noi non crediamo che questo sia l'approccio giusto. E lì torniamo alla questione delle armi ai curdi: ma pensate davvero che fornire armi possa far sì che il territorio si stabilizzi ? Oggi si stabilizza da una parte e domani quella parte sarà quella che sarà in rivolta contro l'altra parte di nuovo. Infatti, vi vorrei rimettere il focus sull'idea che non stiamo parlando di territori in cui c’è la struttura sociale italiana, in cui, se c’è un problema, è un problema legato ad un motivo «x» e non è un problema storico, non è un problema religioso. In quei Paesi oggi c’è una tribù, se si parla di Africa, contro un'altra, domani c’è una famiglia o una fazione religiosa, se si parla di mondo mediorientale: armarne uno oggi perché è in minoranza rispetto ad un altro significa che, quando questo diventerà maggioranza, farà guerra all'altro di nuovo. Quando lo capirete sarà troppo tardi. Intanto sono trent'anni che ci trastulliamo e che spendiamo soldi così e creiamo vittime su vittime, perché sono vittime nostre, visto che le armi le forniamo noi, insieme ad altri Paesi spesso e volentieri appartenenti a queste istituzioni internazionali come la NATO e come le Nazioni Unite, che non si capisce che ruolo abbiano più. La NATO era nata come istituzione di difesa: oggi tutto fa, tranne che difendersi. Addirittura siamo arrivati quest'anno a sentire, in estate – e fortunatamente i cittadini italiani, e in questo caso dico «fortunatamente», erano in vacanza, perché sentire alcune cose imbruttisce persino le popolazioni occidentali, che fortunatamente hanno la pace in questo momento – che la NATO poteva attaccare preventivamente, per evitare l'espansione di un conflitto.
  Allora, vi chiedo: riscriviamo completamente l'ordinamento internazionale, riscriviamo la partecipazione dell'Italia alle istituzioni internazionali, cambiamo la Costituzione italiana, perché se l'articolo 11 dice che noi non facciamo aggressione, sostanzialmente, con il nostro intervento militare, e poi partecipiamo alla NATO, che dice che invece vorrebbe anticipare una guerra, allora c’è qualcosa che non va. Allora, prendetevi la responsabilità ed il coraggio di dire: «Tocchiamo anche l'articolo 11». Ma probabilmente l'articolo 11, a differenza di quelli sul Senato, vi fa un po’ più paura toccarlo, perché gli italiani fortunatamente, di fronte alla guerra, hanno ancora brutti e tristi ricordi. Quindi non lo toccate solamente per questo motivo, altrimenti sono sicuro che questo Governo potrebbe cambiare anche l'articolo 11, perché tanto partecipare alle missioni della NATO torna comodo – e questo ve lo sento dire in continuazione – torna comodo per il nostro peso internazionale. Il peso internazionale concepito dalla nostra politica è quello di calarci le braghe davanti agli Stati Uniti d'America per far sì che gli accordi internazionali, come quelli che in questi anni avete portato avanti e purtroppo come lo sciagurato TTIP, che sta per andare avanti, si possano concretizzare. Noi di questo siamo assolutamente stanchi. Noi abbiamo, in questa estate, fatto delle proposte concrete su ogni scenario internazionale di guerra.
  Su Israele e Palestina abbiamo dato 7 punti brevi manu al Ministro Mogherini – lei fu Ministro, visto che, nonostante sia in carica fino a novembre, già ieri ha disertato l'audizione per impegni sopraggiunti, come se non la pagassero ancora i cittadini italiani, Ministro Mogherini – che ovviamente se va bene li ha ancora sulla sua scrivania, altrimenti li avrà già buttati, in cui uno fondamentale era un embargo di armi ad Israele. E ribadisco: ora gli daremo altri soldi in cooperazione. Ricostruiamo Gaza, tanto fra due anni – perché è ricorsiva – la buttano a terra di nuovo. Però, se voi avete la coscienza Pag. 38pulita con questo tipo di azioni, fate pure. Noi l'abbiamo pulita perché abbiamo proposto una soluzione, quantomeno.
  Dicevo già: il decreto anche nel metodo è sbagliato, perché è un decreto eterogeneo. Avevamo chiesto, ad esempio, che si potessero utilizzare, ci fosse quanto meno l'utilizzo dei cosiddetti caschi bianchi in alcune scene di guerra, come è stato già tra l'altro sancito dal Parlamento, anche questo totalmente ignorato. Non parliamo delle coperture finanziarie, perché non c’è nulla sulle coperture finanziarie in questo decreto. e aspettiamo ancora il parere, infatti, della Commissione bilancio, dove mi dicono i colleghi che ci sarà da divertirsi. Ma questo d'altronde non mi scandalizza più, perché non c’è un atto di questo Governo, soprattutto dal Governo Renzi in poi, che abbia una copertura finanziaria chiara. D'altronde, il 78 per cento degli atti legislativi approvati da questo Parlamento viene totalmente ignorato, perché non si passa poi al decreto attuativo. Quindi in effetti potete fare anche decreti senza copertura, perché tanto poi non li realizzate i decreti che portate avanti. Quindi vi va bene così, ma a noi no, chiaramente. Anzi, se questo lo venite a sapere sarebbe anche una cosa positiva, ma su questo sono sicuro che riuscirete subito ad erogare i soldi.
  Poi, che altro dire ? La storia delle armi ai curdi l'abbiamo già citata. Chiudo lanciandovi di nuovo la stessa riflessione che ho fatto prima. Io sono sicuro che ci direte, in questi giorni e anche nei prossimi che affronteremo di discussione sugli emendamenti e sul lavoro poi di votazione in Aula, che questo è l'ultimo decreto perché ora abbiamo le leggi d'appoggio, le leggi quadro, eccetera, eccetera. Sono sicuro che ci direte che l'Italia è in prima linea sulla cooperazione internazionale, che l'obiettivo è il trend in crescita in cooperazione internazionale e che le missioni si rendono necessarie perché gli scenari di guerra non sono più tollerabili e perché le minoranze religiose sono in difficoltà. Io vi chiedo per una volta di passarvi la mano sulla coscienza. Magari non voi stessi che siete qui da poco, ma avete una responsabilità perché oggi rappresentate il Governo. Chiedetevi cosa ha fatto questo Governo in questi scenari di guerra, dove state anche tagliando fondi, come nell'Africa subsahariana, dove togliete 700 mila euro, dimenticandovi già che in Africa subsahariana c’è Boko Haram ad esempio. Chiedetevi se questi scenari di guerra non li avete creati voi intesi come classe politica degli ultimi vent'anni o se sono una semplice conseguenza di fazioni religiose. Io credo che se vi passate la mano sulla coscienza, scoprite che la colpa è anche vostra, vostra come Paesi occidentali e come partecipanti alle associazioni internazionali come la NATO e come la Comunità europea (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Locatelli. Ne ha facoltà.

  PIA ELDA LOCATELLI. Signor Presidente, con questo decreto-legge e la sua conversione vengono prorogate per gli ultimi sei mesi del 2014 alcune decine di missioni, comprese azioni di cooperazione allo sviluppo e partecipazione a processi di ricostruzione, stabilizzazione, consolidamento e speriamo di pace. Alcune di queste missioni sono iniziate da molto tempo, formate da poche unità, come il caso di Cipro; altre, come quelle dei Balcani, sotto il cappello della UE, sono improntate soprattutto ad azioni di capacity building. Poi c’è UNIFIL, che è un tipico esempio di peace enforcing, e tante altre. E c’è poi l'Afghanistan che ha sempre rappresentato il punto controverso delle nostre discussioni in quest'Aula. Poi ci sono due nuove missioni, nella Repubblica Centrafricana e nel Mali, e una che si riferisce alla scorta marittima per il trasporto delle armi chimiche e siriane.
  I primi tre articoli del decreto-legge si riferiscono a tre aree geografiche – ed è questa la novità di questo decreto-legge – e la prima parte dall'Europa, in particolare Balcani, Cipro, Mediterraneo, con la missione Active Endeavour, e poi c’è il Kosovo. Su questo Paese voglio richiamare l'attenzione perché nell'aprile dello scorso Pag. 39anno la Commissione europea aveva dato il via libera all'apertura dei negoziati per l'adesione della UE alla Serbia e a quelli per l'Accordo di associazione e stabilità con il Kosovo. Un grande passo avanti verso la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, pensavamo in tanti. Invece, proprio l'altro ieri, cioè il 2 settembre, il Vicepremier e Ministro degli esteri serbo, Ivica Dacic, ha detto al quotidiano Danas: «La Serbia non – sottolineo »non« – riconosce il Kosovo e non firmerà un accordo internazionale di pace». Quindi, nonostante l'accordo sulla normalizzazione dei rapporti, concluso il 19 aprile 2013 con la mediazione della UE, Belgrado resta ferma nel rifiuto di riconoscere l'indipendenza proclamata unilateralmente dal Kosovo nel febbraio 2008. Ma perché insisto su questo tema ? Dal momento che il Kosovo è stato riconosciuto da 109 dei 193 Paesi dell'ONU e da 23 Paesi UE su 28. Non casualmente non l'hanno riconosciuto Spagna, che ha il problema dei Paesi Baschi, Cipro, che è il Paese della parte del nord, e la Grecia, per la irrisolta questione macedone. Perché il Kosovo ha delle analogie che ci portano quasi automaticamente a parlare di un altro Paese caldo, quello dell'Ucraina. Infatti, i separatisti usano proprio l'esempio del Kosovo per rafforzare la loro richiesta di secessione dall'Ucraina. Certo, l'Ucraina non rientra chiaramente e propriamente in questo decreto-legge, però anche questo merita una riflessione vista l'attualità. Giustamente, il sottosegretario Giro ieri ci ha riferito in Commissione sulla necessità di ottenere la de-escalation della situazione e ha anche sottolineato l'impellenza della ricerca di una soluzione politica.
  Noi condividiamo la posizione ovviamente ma sottolineiamo e chiediamo che venga sottolineata in questi negoziati l'inaccettabilità assoluta della condotta russa e, in particolare, del suo Presidente. Quindi soluzione politica certamente perché non possiamo rispondere ai separatisti con le armi: equivarrebbe a portare la guerra nel cuore dell'Europa e poi, quanto alle sanzioni, non mi faccio illusioni sull'efficacia delle sanzioni perché le uniche sanzioni che ritengo efficaci, che noi socialisti riteniamo efficaci, sono quelle che riguardano gas e petrolio e non credo che noi siamo in grado di rinunciare ad una parte delle risorse energetiche che ci vengono da lì. Quindi, il negoziato politico è l'unica strada che c’è. Deciso, duro ma negoziato che ha un gravoso compito che spetta alla UE ed in primis all'Alto Rappresentante ma anche al Presidente del Consiglio europeo perché pochi sanno che anche il Presidente del Consiglio europeo ha un ruolo di rappresentanza della UE e comunque, parlando dell'Alto Rappresentante, voglio esprimere tutta la mia soddisfazione e congratularmi con la nostra Ministra degli affari esteri, Federica Mogherini, nostra Ministra ancora per poco tempo, e sottolineo che è un incarico molto importante, soprattutto per chi è convintamente europeista e spera nell'avanzamento del processo di integrazione europea. Alla futura Alto Rappresentante mille auguri perché possa avviare con tutti i limiti che per ora prevede il Trattato una politica estera che sia davvero politica comune dell'Unione e non una somma di singole voci che hanno spesso paralizzato e quindi reso inefficace, quando non controproducente, la nostra azione.
  Ancora alcune brevi riflessioni nel merito di alcune missioni per poi dedicare un pochino più di tempo ad un altro tema che mi sta a cuore che è quello legato al piano di azione previsto dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU, in specie dalla risoluzione n. 1325.
  Sahara occidentale: sono contenta per l'invio di alcune presenze italiane nel Sahara occidentale dove dal 1991 si trascina o, meglio, langue il tema del referendum sempre rinviato. Nel 1991 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite istituì la missione Minurso con il compito di sorvegliare il rispetto del cessate il fuoco, di facilitare il rientro dei profughi e di supervisionare un referendum di autodeterminazione previsto per l'anno successivo, il 1992. Da allora le ostilità non sono cessate, il referendum è stato continuamente rinviato per la difficoltà di accordarsi sull'ammontare complessivo della Pag. 40popolazione avente diritto al voto. Mi auguro che la nostra presenza contribuisca a smuovere questa impasse inaccettabile.
  Mozambico: invieremo una piccola, piccolissima missione in Mozambico, ci ha detto la Ministra della difesa ieri per facilitare accordi tra Frelimo e Renamo. È un ritorno sul campo per quanto ci riguarda perché ricordo che, tra il 1990 e il 1992, il Governo italiano ha avuto un ruolo importante rappresentato dal sottosegretario Mario Raffaelli, ruolo importante nelle trattative che hanno portato agli accordi di pace di Roma tra il Governo del Mozambico e la resistenza nazionale mozambicana.
  Due parole sulla Palestina e sul conflitto israelo-palestinese: dobbiamo davvero ringraziare l'Egitto per il ruolo svolto nel raggiungimento della tregua senza limiti tra le due parti. Ora dobbiamo agire perché la tregua venga rispettata, perché si avvii la ricostruzione di Gaza ma soprattutto ritengo che dobbiamo cambiare approccio perché non possiamo più avere un atteggiamento di rassegnazione rispetto al mancato conseguimento di una soluzione che è chiara per tutti perché non c’è un conflitto più studiato nei minimi dettagli di quello israelo-palestinese. Dobbiamo assumere iniziative come Italia e soprattutto come Europa che vadano oltre l'atteggiamento di osservazione impotente. La mia proposta, che ho già avanzato in questa sede, la proposta dei socialisti, è che si stabilisca una data oltre la quale l'Unione europea si impegna a riconoscere lo Stato di Palestina, se il blocco del processo di pace continuerà a permanere come temo. Questo credo che farà muovere le cose.
  Per quanto riguarda la situazione in Siria e in Iraq, che è una crisi unica – abbiamo già detto, abbiamo già illustrato la posizione dei socialisti nella riunione delle quattro Commissioni congiunte, il 20 agosto –, non posso non ricordare Padre Dall'Oglio e le due giovani cooperanti, Greta e Vanessa, giovani, forse inesperte, sicuramente generose: non possiamo che pensare a loro perché, da troppo tempo, non abbiamo notizie. E cosa si può dire ? Speriamo.
  Ultima riflessione, un argomento che mi sta molto a cuore: ho già riferito in quest'Aula, in alcune occasioni, degli incontri, in Commissione affari esteri, di alcune rappresentanti delle ONG, che ci hanno parlato delle loro attività in aree di conflitto e, soprattutto, ci hanno parlato, quelle ONG – Aidos, Pangea –, del ruolo delle donne nei processi di pace. Inevitabilmente, si è parlato della risoluzione n. 1325, che è una risoluzione «madre» di tante altre successive su donne, pace e sicurezza, che mette in evidenza il contributo femminile alla risoluzione dei conflitti ed alla costruzione di una pace durevole.
  La risoluzione n. 1325 chiede agli Stati membri di predisporre piani di azione nazionali. L'Italia ha risposto a quella richiesta con alcuni anni di ritardo e, nel 2010, mi pare nel dicembre, ha presentato il primo piano di azione che copre l'arco dal 2010 al 2013. Quel piano era esclusivamente concentrato sul tema importante – è chiaro, ma solo su quello – della lotta alla violenza sulle donne. Fu una scelta del Dipartimento per le pari opportunità l'aver circoscritto il mandato di azione alla formazione del personale contro le violenze di genere, che, come ho già detto, è un dato importante certamente, ma limitarsi a questo, secondo me, significa non aver capito appieno le potenzialità di questo strumento internazionale, oltre che considerare le donne come beneficiarie delle politiche e non come protagoniste delle politiche.
  Il testo del decreto, se il voto in Commissione, che è passato positivamente, quindi, verrà confermato, prevede l'esplicito riferimento al piano di azione predisposto dal Comitato interministeriale per i diritti umani del Ministero degli affari esteri. Questo nuovo piano allarga il campo di azione alle azioni di capacity building e all'educazione ai diritti umani: tra le altre cose, ma queste due le voglio Pag. 41sottolineare in modo particolare e lo dico con apprezzamento, con soddisfazione.
  Ovviamente, meno soddisfatta, anzi, per niente soddisfatta sono della bocciatura di un emendamento che chiedeva un maggiore stanziamento di risorse per le iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di pace previste nell'articolo 8 del decreto. Quelle elencate nell'articolo 8 sono le azioni che fanno parlare di modello italiano di partecipazione alle missioni, modello caratterizzato da rapporti e collaborazione con organismi internazionali, umanitari, ONG, autorità e comunità locali. Il caso dell'Afghanistan insegna: non casualmente, una delegazione di parlamentari afgane, che ci hanno incontrato qui in Parlamento, ci ha chiesto di rimanere in Afghanistan e continuare quel tipo di lavoro. E non casualmente, la zona di Herat, dove noi operiamo con la nostra missione, ha visto la più alta percentuale di partecipazione al voto delle donne nelle scorse elezioni. Vuole ben dire qualcosa questo.
  Ecco, questo tipo di lavoro va ampliato, deve prendere sempre più spazio nelle missioni e deve sempre più caratterizzarle. Naturalmente, per farlo, ci vogliono nuove risorse, che avevo chiesto e che non sono state approvate. Ieri, però, il sottosegretario Giro, al quale chiedo un momento di attenzione perché ho bisogno di una risposta, ha parlato della clausola di flessibilità prevista dall'articolo 10, comma 1, relativa al 15 per cento dello stanziamento previsto. Se non ho capito male, c’è la possibilità di utilizzare il 15 per cento dello stanziamento complessivo e renderlo – come posso dire – mobile, attribuibile ad alcuni settori piuttosto che ad altri.
  Ecco, io chiedo al Governo se, avvalendoci di questa possibilità, non si possa destinare questo 15 per cento, tutto, alle attività previste dall'articolo 8 che tanto qualificano le nostre missioni.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 2598-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza per la III Commissione, deputato Gianluca Pini, che non è presente in Aula; ha quindi facoltà di replicare il relatore di minoranza per la IV Commissione, deputato Massimo Artini, che non è presente in Aula; ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza per la III Commissione, deputato Mario Marazziti, che aveva già annunciato di rinunciarvi; ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza per la IV Commissione, deputato Carlo Galli, che non è presente in Aula.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Marcon ed altri n. 1-00424 e Gianluca Pini ed altri n. 1-00563 concernenti la partecipazione italiana al programma di realizzazione e acquisto degli aerei Joint Strike Fighter-F35 (ore 17,15).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Marcon ed altri n. 1-00424 e Gianluca Pini ed altri n. 1-00563, concernenti la partecipazione italiana al programma di realizzazione e acquisto degli aerei Joint Strike Fighter-F35 (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni Basilio ed altri n. 1-00577 e Causin ed altri n. 1-00578 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

Pag. 42

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Michele Piras, che illustrerà anche la mozione Marcon ed altri n. 1-00424 di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  MICHELE PIRAS. Signor Presidente, in premessa ci rendiamo conto che, per alcuni versi, la discussione sugli F35 sembra una discussione datata, visto che, in questa legislatura, siamo già alla seconda edizione parlamentare di questa discussione, visto che se ne è parlato tanto a mezzo stampa e, per alcuni versi, sembra anche che il rilievo mediatico di questa vicenda sia un po’ in declino. Infatti, in questo Paese, ormai, ci siamo disabituati ad approfondire la discussione e a verificarne gli esiti in corso d'opera e un po’ ci siamo abituati agli apici di discussione che poi dimentichiamo dopo qualche settimana. Invece, a noi pareva utile rimettere all'ordine del giorno questo dibattito, perché la questione degli F35 è una questione abbastanza controversa e, per alcuni versi, è paradigmatica dello stato del Paese e del tipo di decisioni che si prendono in una fase di crisi così importante, in una fase come questa, nella quale, a livello internazionale – abbiamo appena concluso la discussione sulle linee generali del decreto di rifinanziamento delle missioni – si vede che il mondo perde ulteriormente gli equilibri consolidati, in cui gli scenari di crisi si moltiplicano e in cui è anche manifesto l'elemento del fallimento delle politiche occidentali in alcune aree particolarmente critiche come il Medio Oriente, piuttosto che le politiche che abbiamo seguito dal crollo del muro di Berlino ad oggi verso oriente.
  Le politiche della guerra, quelle dell'inseguimento di nuove tecnologie e degli armamenti anche in funzione di deterrenza, probabilmente non sono quelle che hanno la maggiore efficacia. E la questione degli F35 non è solamente contraddittoria da questo punto di vista, perché è una scelta che compie un Paese che non dovrebbe essere belligerante, che ha un articolo 11 della Costituzione che parla chiaro in materia di risoluzione delle controversie internazionali, ma la questione degli F35 è emblematica anche perché interviene in una condizione nella quale in questo Paese si operano delle decisioni assolutamente durissime per quanto riguarda i tagli che si andranno ad operare e che vengono annunciati in questi giorni dal Premier Renzi e che riguarderanno in maniera lineare molti dei settori in sofferenza di questa società. Oppure, per citare ciò che succede in questi giorni, ricordo gli annunci della Ministra Madia circa la proroga del blocco contrattuale e degli adeguamenti stipendiali nel comparto della pubblica amministrazione e quindi anche dei dipendenti civili e militari della difesa; quella proroga che, solamente qualche settimana fa, sembrava essere scongiurata dalle decisioni solenni prese anche da questa Camera in sede di discussione di mozioni che chiedevano la rimozione del blocco.
  E l'impegno che prese il Governo in quei giorni era precisamente quello di non prorogarlo nel 2015 e di mettere a disposizione le risorse per i rinnovi contrattuali, che non si vedono da diversi anni nel comparto.
  Ecco, di fronte a queste decisioni, che vengono prese sulla scorta della lettura dei dati economici e di un'inversione della tendenza rispetto a quella che si pensava sui dati del PIL, della crescita e della disoccupazione, che indicano un trend ancora negativo del Paese, nel quale si parla di stagnazione, si parla di deflazione, con nuovi venti di crisi che si muovono in tutta Europa, noi continuiamo a mantenere in piedi un programma che l'anno scorso valeva 12,6 miliardi di euro nel suo complesso e che quest'anno vale 14 miliardi di euro.
  Si può dire: com’è possibile che un programma pensato diversi anni fa cresca nei suoi costi anno dopo anno ? Consideriamo ovviamente la cifra contrattuale senza considerare il fatto che i costi di Pag. 43manutenzione e di addestramento e quant'altro portano il programma complessivo a ridosso di una soglia che sfiora o supera addirittura i 50 miliardi di euro.
  È un esborso consistente, importante, in un Paese nel quale non si riescono a tenere aperte le biblioteche, si chiudono i musei, si chiudono i presidi dello Stato anche e soprattutto in quelle zone del Paese più sofferenti dal punto di vista economico, in cui si chiudono le ferrovie, si chiudono le scuole, si tagliano i cosiddetti rami secchi della pubblica amministrazione che magari sono servizi essenziali che insistono in paesi e paesini che magari non hanno la fortuna o forse la disgrazia di avere un'urbanizzazione e una popolazione molto densa.
  In questo Paese dove succedono queste cose, dove non c’è una politica industriale che non sia quella che investe sui sistemi d'arma, dove non c’è una politica dello sviluppo, dove non c’è una lotta seria alla disoccupazione, quindi non c’è un piano straordinario per il lavoro, un piano per l'occupazione se non quello che pensa di implementare e aumentare il tasso di occupazione e ridurre la disoccupazione incidendo sui diritti del lavoro – strategia, bontà nostra, fallimentare, dopo trent'anni di tentativi, anche perché di diritti ne sono rimasti talmente pochi che a questo punto almeno uno straccio di risultato su questo terreno l'avremmo dovuto registrare e invece non lo registriamo –, in questo Paese così fatto, dove le cose funzionano in questa maniera noi non possiamo permetterci ancora di mantenere in piedi un programma da 14/50 miliardi di euro, senza considerare il fatto che questo programma porta una ricaduta occupazionale nel Paese sul piano industriale e della circolazione di moneta pressoché nulla rispetto all'esborso.
  Per cui, anche la relazione fra i costi e i benefici, fra l'investimento e il risultato sul piano occupazionale ed economico, è pressoché nulla o comunque risibile, rispetto alle grosse cifre di cui avremmo bisogno per riaprire una stagione che dia speranza ai tanti disoccupati, a quelli giovani e a quelli meno giovani, che ci sono in questo Paese.
  In questo Paese, nel quale non si investe più nulla nel servizio antincendio per cui anche quest'estate è stata disseminata di notizie anche quelle luttuose sul fronte ambientale; in questo Paese, nel quale la cura e la conservazione e la promozione del patrimonio archeologico immenso che abbiamo è relegata a capitoli striminziti di bilancio e magari si operano tagli ulteriori anche là; in questo Paese, teniamo in piedi un programma da 14/50 miliardi di euro. Se non fosse che c’è da piangere, per questa scelta, ci sarebbe da ridere, perché se andiamo a vedere cosa succede negli Stati Uniti d'America o dovunque stiano testando gli F-35 ci rendiamo conto che gli F-35 sono una tecnologia e un software che presenta talmente tante di quelle criticità che ancora non presentano nessuna affidabilità sul piano operativo. È un po’ l'aereo più pazzo del mondo questo, che rimane prima a terra quando piove, poi rimane a terra quando non piove, quando c’è troppo caldo e quando c’è troppo freddo. Perdonate l'ironia, però noi stiamo continuando testardamente ad investire e a mantenere in piedi questo programma, nonostante anche gli impegni presi dalla maggioranza di Governo e nonostante gli impegni assunti solennemente in questo Parlamento, per costruire l'aereo più pazzo del mondo, che non sappiamo quando sarà operativo, quando sarà utilizzabile.
  Io ho chiesto – ho provato a fare anche questo nelle mie poco importanti, ma comunque le voglio comunicare, indagini sul terreno – invece che chiedere quello che abbiamo provato a fare nella Commissione di indagine sulle servitù militari ed anche nella Commissione di indagine sui sistemi d'arma, oltre che chiedere agli stati maggiori, alle associazioni, eccetera, ho provato a chiedere a un pilota dell'aeronautica tedesca di stanza a Decimomannu.
  Ci conosciamo, ci siamo incrociati in un locale pubblico a Cagliari e gli ho chiesto: «Senti, dimmi tu invece la tua Pag. 44versione: Questa cosa degli F-35 vi è utile ? Migliora la condizione di lavoro, di sicurezza di un pilota dell'aeronautica tedesca ?» Mi ha risposto, come usano fare i tedeschi, che sono meno avvezzi di noi alla retorica, sono molto più pragmatici e asciutti in quello che dicono. Mi ha detto: «No, guarda, te la dico così: questo è un regalo che facciamo all'industria americana».
  In effetti, a noi, che siamo mediamente dotati di intelligenza, un po’ sembra questo. Non riusciamo a capire quale altra ragione ci abbia fatto abbandonare, dismettere, ad esempio, in prospettiva, il programma Eurofighter che era pure un consorzio europeo e metteva in campo una tecnologia nuova e moderna, che veniva incontro anche alle esigenze dell'aeronautica italiana di ammodernamento dei sistemi d'arma a disposizione. Non riusciamo a capire come mai in tutto il mondo ci siano casi di abbandono di quel programma a causa di malfunzionamento, a causa di inefficienza del software, di tutto di più e noi l'aereo più pazzo del mondo ancora ce lo teniamo e continuiamo a produrlo.
   Io ho rispetto profondo dei dibattiti e dei travagli delle altre formazioni politiche, per ovvie ragioni forse, anche perché i travagli li abbiamo avuti anche noi e, quindi, rispetto anche il travaglio e la discussione che c’è nel Partito Democratico su questo terreno. Ma io credo che sia giunta anche l'ora – rispetto alle notizie che ormai tutti abbiamo, rispetto alle prove e alle testimonianze anche in audizione che abbiamo avuto da parte di chi si occupa della vicenda e da chi la studia, anche sotto il profilo tecnologico e che quindi sarebbe più esperto di noi, che siamo chiamati qui a fare politica e non un'indagine tecnica sui sistemi d'arma, abbiamo acquisito, quindi, una marea di documentazione e di testimonianze che ci dicono che siamo di fronte a un investimento sbagliato – di decidere di prendere questa decisione.
  È ora che si blocchi quel programma, che si dimezzi il programma almeno, che insomma si faccia qualcosa, che si risparmino quei soldi e si mettano su altri capitoli di bilancio, giusto per impedire che quei tagli, che vengono annunciati per affrontare la questione, ormai storica e annosa di questo Paese, del debito pubblico, del risanamento dei conti pubblici e del rapporto tra deficit e PIL, possano – diciamo – attingere (è un'operazione necessaria) da altri capitoli che non siano quelli soliti, dei soliti noti che pagano il conto della crisi da quando questa parola è diventata di uso comune nel dibattito politico e ormai anche nel senso comune della popolazione.
  Si taglino dal settore difesa le spese che vengono contestate e discusse anche dalla maggioranza di Governo perché abbiamo un documento conclusivo dell'indagine sulle servitù militari e sui sistemi d'arma che ci dice, ad esempio, che programmi come Forza NEC, che valgono 22 miliardi di euro per la digitalizzazione delle Forze armate e per rendere più efficiente il cosiddetto soldato futuro, sono, lo scopriamo oggi, completamente disconnessi da un sistema di difesa europeo integrato verso il quale pure nelle nostre dichiarazioni pubbliche e nelle nostre posizioni nel continente europeo dichiariamo di voler andare.
  C’è tutta questa contraddizione: questa mole di risorse enorme a fronte della crisi che viene allocata negli investimenti in sistemi d'arma; questa grandissima mole di risorse andrebbe, a nostro avviso, utilizzata per altro, a partire dagli F-35 – e torniamo all'elemento simbolico – per riaprire una discussione in questo Paese non solamente sul prelievo e quindi sul destinatario del prelievo, ma anche sul luogo dove le risorse – quelle grosse, quelle consistenti, quelle che rendono comunque questo Paese uno dei più grandi sistemi economici su scala planetaria – sono effettivamente allocate.
  Perciò, abbiamo riproposto una mozione che chiede più o meno quello che avevamo già chiesto e che chiediamo al Parlamento questa volta di accogliere, ovvero che il Governo italiano si impegni a cancellare questo programma e a sospendere Pag. 45immediatamente qualsiasi attività contrattuale (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Basilio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00577. Ne ha facoltà.

  TATIANA BASILIO. Presidente, per la seconda volta in questa legislatura l'Aula è chiamata ad affrontare la spinosa questione dei cacciabombardieri F-35 e questo avviene solo grazie all'iniziativa dell'opposizione. Ritengo sia importante sottolineare questo fatto, perché invece il tema se continuare con il programma F-35 o meno è stato un tema molto dibattuto durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del febbraio 2013, tanto da spingere il leader di «Italia. Bene Comune», Pierluigi Bersani, a sostenere che «le nostre priorità non sono i cacciabombardieri ma il lavoro».
  In quel periodo, inoltre, quello che sarebbe poi diventato l'attuale Presidente del Consiglio Matteo Renzi affermava, nella sua campagna per le primarie, di non capire perché bisogna gettare dalla finestra una dozzina di miliardi di euro per l'acquisto degli F-35. Persino Berlusconi in piena campagna elettorale fu inclemente con i cacciabombardieri, suggerendo che all'Italia servivano aerei da turismo e affermando addirittura di essere sempre stato contrario agli F-35 e anche alle portaerei.
  Era il lontano 26 giugno 2013 e si discuteva in quest'Aula la prima mozione sugli F-35 presentata dall'intergruppo parlamentare per la pace, con le firme di tutto il MoVimento 5 Stelle. L'esito di quella prima discussione fu una prova sublime delle capacità catartiche delle grandi intese a fare dell'incoerenza e della smemoratezza una vera linea politica. La mozione dei colleghi Speranza e Brunetta – ricordiamo – sostanzialmente rinviava e cercava di semplificare il problema ad un'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma in Commissione difesa, ma intanto non sospendeva per niente quei procedimenti amministrativi che hanno consentito alla Difesa di acquistare i nuovi esemplari di F-35, alla faccia della supposta sospensione della loro acquisizione. Insomma, si continuava a gettare fumo negli occhi dell'opinione pubblica, fingendo di fare l'esatto opposto di quello che si stava veramente facendo, ovvero proseguire in un programma anacronistico molto o troppo costoso e per di più inadeguato a fronteggiare le minacce alla sicurezza e alla pace del nostro Paese e del mondo.
  In seguito ci ha pensato il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, a fare chiarezza sul fatto che il programma F-35 non trovava nessuna concreta battuta di arresto. Anzi, si sosteneva, in un comunicato che fece scalpore all'epoca, che il Parlamento non aveva titolo per bloccare quel programma ma che questa titolarità stava tutta in testa all'Esecutivo, che ovviamente non aveva alcuna intenzione di rinunciare a questa colossale commessa di strumenti di morte.
  Nelle dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio Renzi all'atto del suo insediamento, quelle per intenderci e per ricordare a tutti fatte a braccio e con le mani in tasca, non troviamo traccia di un pensiero politico, di colui che dovrebbe rappresentare la sinistra italiana, e delle sorti del programma di questi cacciabombardieri. Evidentemente qualcuno, molto influente e spinto da interessi assai forti, gli aveva fatto cambiare idea rispetto a quel dubbio di qualche mese prima, ovvero che senso avesse gettare dalla finestra una dozzina di quei miliardi per acquisire gli F-35.
  Vogliamo parlare, invece, dei pensieri del Ministro Pinotti in merito alla prosecuzione di questo programma ? Delle giravolte su questo tema ne sono piene le agenzie di stampa più che i resoconti parlamentari, visto che il Ministro preferisce parlare di queste cose in un talk show o rilasciare addirittura interviste, Presidente, piuttosto che riferire alle Commissioni di competenza e nelle Aule parlamentari. Di nuovo, viene completamente Pag. 46dimenticato il ruolo centrale del Parlamento. Ma che Ministra smemorata che abbiamo, l'ennesima direi !
  L'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma della Commissione difesa – parliamo anche di questo –, per la quale il MoVimento 5 Stelle ha speso energie e molto impegno come dimostra la nostra corposa relazione di minoranza, era centrata ad evidenziare soprattutto il progetto JSF, avviato in prima istanza nel 1998 e definito nel 2002, con lo stanziamento finale di circa 13 miliardi di euro. Nelle conclusioni della nostra relazione il progetto JSF non appare adeguato ai nuovi contesti di crisi internazionale che necessitano, invece, di maggiori iniziative diplomatiche e di sistemi d'arma in grado di tutelare le popolazioni civili, non di attaccarle. È chiaro agli occhi di tutti che un cacciabombardiere multiruolo non è adatto a sviluppare la cooperazione e la diplomazia tra Paesi già visibilmente in uno stato di tensione, cosa che stiamo sbandierando ormai tutti in molti «decreti missioni», che siamo costretti a sentire e a dibattere prima nelle Commissioni di competenza e poi in quest'Aula.
  Il concetto iniziale di tale cacciabombardiere era basato su condizioni geopolitiche che non esistono più. Gli interventi degli ultimi mesi mettono in risalto la loro inefficacia: ad esempio, i bombardamenti degli aerei statunitensi in corso in Iraq contro l'ISIS hanno più il ruolo di lavare la coscienza dei Paesi che hanno creato quella crisi con le scelte fatte negli ultimi quindici anni nell'area mediorientale che risolvere quel problema.
  A oggi, il programma F-35 prevede un onere complessivo, per l'acquisizione degli aerei e il supporto logistico, stimato in circa 10 miliardi di euro, con completamento previsto nel 2027 (in media poco più di 111 milioni ad aereo per novanta aerei).
  A questi fondi, bisogna aggiungere, come dettagliamo in modo scrupoloso nella nostra mozione, oltre 3 miliardi, di cui circa 2,7 già spesi. Nel dettaglio si tratta di: un miliardo di dollari per la fase di sviluppo iniziale, ufficialmente completata (già pagati); 900 milioni di dollari per la fase di production, sustainment and follow-on development (PSFD), completamento previsto nel 2047 (già pagati); 795,6 milioni di euro per la realizzazione della linea di assemblaggio e supporto di Cameri (la FACO, ossia lo stabilimento), le cui attività dovrebbero completarsi quest'anno (già pagati); 465 milioni di euro per le attività di predisposizioni e di adeguamento infrastrutturale delle basi e dei siti di Aeronautica e Marina che ospiteranno il velivolo. Di questi risultavano già stati spesi, a fine 2012: oltre 19 milioni di euro per la base di Amendola, che ospiterà due gruppi di volo di F-35A, su un totale previsto di oltre 100 milioni di euro; 4 milioni di euro per la base di Grottaglie, su circa 140 milioni di euro previsti; 10 milioni di euro per la portaerei Cavour, di cui 4,8 milioni per l'adeguamento del sistema ALIS (automatic logistic information system), su un totale previsto di 87,5 milioni di euro; 3,6 milioni di euro per l'aeroporto di Cameri relativi all'adeguamento dei sistemi di ausilio alla navigazione.
  Accanto a questi interventi, sono previste misure analoghe per la base di Decimomannu, in Sardegna, per la quale si prevede di spendere oltre 48 milioni di euro, e per la base di Ghedi, in Lombardia – ricordo e sottolineo dedicata allo strike nucleare e questo è molto importante e dobbiamo tenerlo a mente – che ospiterà 2 gruppi di F-35A, con avvio dei primi lavori a partire dal 2016 e previsione di spesa complessiva di 87,5 milioni di euro.
  Come si vede non stiamo parlando di noccioline, signori, ma di milioni e milioni di euro. Tutti i Governi che si sono susseguiti durante lo sviluppo di questo progetto, non sono stati in grado di trovare i fondi per stabilizzare i precari, risolvere il dramma degli esodati, ma si trovano ed in modo copioso risorse economiche per militarizzare il nostro territorio e armare di sistemi d'arma a lungo raggio, ovvero d'attacco ed aggressivi. E anche questo è molto importante ricordarlo.
  In questo particolare momento storico per l'Italia, colpita da una profonda crisi Pag. 47economica in cui fa fatica a rialzarsi, il MoVimento 5 Stelle esprime il proprio dissenso nei confronti degli sperperi in spese militari, chiedendo ormai da mesi e portando proposte concrete e reali, per utilizzare questi soldi incentivando la crescita e lo sviluppo del Paese in settori carenti, quali quello dell'istruzione, della ricerca, della sanità, ma anche a favore del reddito di cittadinanza o del sostegno alle piccole e medie imprese, punti focali del nostro programma e punti focali per una ripresa dell'economia e per far sì che i cittadini italiani, che sono veramente con l'acqua alla gola e stanno annaspando, possano stare un pochino meglio.
  L'implicazione industriale e tecnologica in termini di know-how, che viene sempre chiamata in causa per giudicare la bontà di questo progetto e per dichiararlo irreversibile, è limitata rispetto ad altri progetti già in essere. L'impatto in termini di posti di lavoro è infatti limitato se consideriamo l'enormità della spesa pubblica sostenuta. La FACO offrirà al massimo 1.815 posti di lavoro. È ormai più di un anno che qua dentro lo stiamo dicendo e ripetendo. Lo ripetiamo anche nelle Commissioni e durante le audizioni è stato più volte confermato.
  Respingiamo anche per questo motivo il falso ricatto occupazionale che si agita contro di noi e contro i movimenti pacifisti ogni volta che questa discussione viene affrontata nelle aule del Parlamento e delle Commissioni. Con i 10 miliardi di euro circa di investimenti rimasti, potremmo dare decine di migliaia di posti di buon lavoro. Sosteniamo e sosterremo sempre e con forza che solo la pace è un buon investimento ! Dovremmo trasmettere questo modo di pensare già ai bambini durante la loro crescita e la loro formazione, soprattutto durante gli insegnamenti scolastici, che sono quelli che formeranno gli adulti del domani. Non vorrei più vedere autobus adibiti alla pubblicità ambulante della Marina militare, come mi è capitato di assistere nella città di Crema, nei quali vengono portate le scolaresche, ossia minorenni, a conoscere e visionare i video in cui vengono mostrati i sistemi d'arma di cui è dotato il nostro Paese.
  Non è etico e non è nemmeno sostenibile ! Non vorrei mai che mio figlio minorenne fosse portato dalla propria scuola, che dovrebbe essere educazione per il proprio futuro, a visionare dei sistemi d'arma, ossia di guerra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). La questione F-35 fa acqua da molte parti e costituisce un terso emblema di spreco del denaro dei cittadini, quindi pubblico, oltre a rappresentare veemenza nei confronti degli altri Paesi.
  Ricordiamoci che l'Italia è tra i principali produttori mondiali di armi. Queste vengono distribuite in tutto il mondo per sviluppare il loro impiego in guerre criminali e distruttive, attraverso lo sfruttamento delle popolazioni più deboli. È sotto gli occhi di tutti l'aggravarsi, negli ultimi decenni, di conflitti internazionali ed interni. Ne troviamo dei tristi esempi partendo dalle guerre in Afghanistan, in Africa, in Iraq, in Siria, in Libia, arrivando fino all'ultima, all'Ucraina, il cuore dell'Europa; ricordiamocelo che questa, tra l'altro, è a pochi passi da casa nostra.
  Sembra quasi che nel mondo, purtroppo, si progettino i presupposti per creare dei conflitti per produrre armi. Finché c’è guerra c’è speranza, si diceva in un vecchio film, e io mi domando quale speranza: probabilmente, la speranza di fare soldi, a questo punto, con l'industria delle armi. All'Italia, inoltre, non è consentito nessun tipo di accesso alle tecnologie caratterizzanti l’F-35. In particolare, ciò riguarda la tecnologia stealth (pensate che alla FACO esiste un edificio specifico per le radiomisure, lo stesso è interdetto al personale italiano quando i sistemi sono in funzione, e ci sarà possibile utilizzarlo per effettuare solamente la taratura dei nostri aerei; la tecnologia stealth, per essere più chiari e più precisi, è quella tecnologia che va a dare l'invisibilità a questi aerei) e riguarda anche la negazione all'accesso del codice sorgente del software dell'aereo.
  Quest'ultimo elemento impedisce qualsiasi futura integrazione italiana di nuovi Pag. 48o diversi sistemi sull'aereo, ad esempio armi, sistemi di difesa elettronica, sensori e quant'altro, rendendoci così completamente dipendenti da un sistema d'arma di progettazione completamente statunitense, dal quale, evidentemente e volontariamente, siamo stati esclusi, nonostante abbiamo prestato la nostra nazione per la nascita di un opificio per assemblare le mezze ali e i nostri cacciabombardieri, invece, per intero.
  A nostro avviso, Presidente, gli F-35 sono ispirati ad una modalità di offesa, che non rientra nell'alveo dei dettami dell'articolo 11, comma 1, della nostra Costituzione, la quale spereremmo che un giorno, non molto lontano, i futuri Governi inizino a rispettare, e non sempre a violentare. La decisione del Governo degli Stati Uniti, poi, di ammodernare addirittura le bombe nucleari di stanza nelle basi di Ghedi ed Aviano, per renderle compatibili con gli F-35, fa supporre che l'Italia diventi la linea più avanzata della deterrenza nucleare della NATO, contraddicendo spirito e lettera dell'adesione da parte dell'Italia al Trattato di non proliferazione nucleare, perché si, dobbiamo ricordarlo, noi abbiamo aderito anche a questo Trattato di non proliferazione nucleare, e il solo fatto di far parte della NATO non giustifica la detenzione di ordigni nucleari in Italia.
  Presidente e colleghi, il MoVimento 5 Stelle è stato, tra i gruppi parlamentari, uno dei pochi presenti a Verona, in occasione della manifestazione «Arena di pace e disarmo», organizzata dalla Rete Disarmo la scorsa primavera. Noi pensiamo che ci debba essere una coerenza tra il marciare per la pace e il votare in Parlamento con quanto si dice e si fa poi nelle piazze; così la politica italiana risulta predicare bene, ma razzolare, evidentemente, molto male.
  Troppe volte la politica ha dimostrato due volti: uno tra i cittadini ed un altro, opposto, sui banchi del Parlamento. Tantissime sono le campagne per «tagliare le ali alla guerra», per far sì che i soldi dei contribuenti servano ad opere di pace, invece che per acquistare strumenti di guerra. Mentre si chiedono ai cittadini sacrifici durissimi in termini di rinuncia allo Stato sociale e ai diritti fondamentali, questi 12 miliardi di euro, gettati dalla finestra, risultano essere insostenibili ed inaccettabili.
  Altri Paesi si sono defilati dal progetto F-35, perché hanno fatto i conti, probabilmente, anche con la crisi, e con la mancanza di risorse, quindi, e noi vogliamo farlo anche e soprattutto con le nostre coscienze. Può farlo l'Italia, lo possiamo fare tutti insieme. Il MoVimento5 Stelle pensa ad un altro sistema di difesa, ad un vero sistema di difesa, non mascherato dal finanziamento alle lobby delle industrie delle armi. Quello che si sta attuando in questi ultimi vent'anni, esattamente dopo la prima guerra nel Golfo, è un sistema invasivo e di offesa, un sistema che vede sicuramente l'esigenza di acquistare nuovi sistemi d'arma come i cacciabombardieri F-35, ma che sono criminali e completamente fuori dal nostro pensiero di politica di difesa della nostra nazione, ma, soprattutto, e voglio ribadirlo, non è più etico sostenere un progetto simile !
  Per tutte queste buone ragioni invito i colleghi e le colleghe parlamentari ad approvare con convinzione questa mozione e a cambiare verso sul serio alla politica di difesa ed estera della nostra nazione, ricordando che proprio adesso sarebbe il miglior momento storico per attuare tutti quei buoni propositi di pace che sono stati sbandierati con le bandiere arcobaleno pacifiste, anche da molte persone che risiedono in questo Parlamento e che risiedono, purtroppo, anche tra i banchi del Governo, per ritrovare sicuramente un momento di unione e per ricordare che, solo debellando sistemi d'arma dall'Italia come questi di offesa, si può ritornare a ripensare al nostro Paese. Quindi, io chiedo veramente di riflettere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Amendola. Ne ha facoltà.

  VINCENZO AMENDOLA. Signor Presidente, intervengo per pochi secondi. Con il Pag. 49rispetto dovuto nell'ascoltare le mozioni dell'opposizione, del gruppo di Sinistra Ecologia Libertà e del MoVimento 5 Stelle e con il rispetto dovuto alle argomentazioni, noi ci riserviamo, come gruppo del Partito Democratico, di presentare una mozione.
  Questo nasce anche dal fatto che quest'Aula ha già discusso del tema con una mozione approvata. C’è stata una Commissione d'indagine conoscitiva, una Commissione che ha calcolato, discusso e votato un testo su questo argomento. Con il rispetto dovuto, abbiamo ascoltato le ragioni di chi ha ripresentato una mozione sullo stesso argomento e, non essendoci elementi che determinano grandi modifiche sugli orientamenti già sviluppati da questa Camera, ci riserviamo di presentare una mozione per il dibattito.

  PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
  Il seguito della discussone è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Brambilla ed altri n. 1-00460, Gagnarli ed altri n. 1-00559, Vezzali ed altri n. 1-00571 e Nicchi ed altri n. 1-00573 concernenti iniziative, nell'ambito del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, per la tutela dei diritti degli animali (ore 17,45).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Brambilla ed altri n. 1-00460, Gagnarli ed altri n. 1-00559, Vezzali ed altri n. 1-00571 e Nicchi ed altri n. 1-00573 concernenti iniziative, nell'ambito del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, per la tutela dei diritti degli animali (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato nel vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state presentate le mozioni Rondini ed altri n. 1-00580 e Cova ed altri n. 1-00581 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.
  Avverto inoltre che stata presentata una nuova formulazione della mozione Gagnarli ed altri n. 1-00559. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Palese, che illustrerà anche la mozione Brambilla ed altri n. 1-00460, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, il testo della mozione presentata dal gruppo parlamentare Forza Italia prende spunto da un'ambiziosa piattaforma, elaborata in vista delle elezioni europee dalle principali associazioni nazionali di protezione animale, riunite nella Federazione italiana associazioni diritti animali e ambiente, ma tratta argomenti niente affatto di nicchia, quali l'auspicata normativa comunitaria per la tutela degli animali d'affezione e la prevenzione del randagismo, con il divieto di uccidere i randagi, che interessa decine di milioni di europei.
  L'ultimo decennio ha visto una crescita costante nei cittadini della preoccupazione per la tutela degli animali e da un'indagine di Eurobarometro risulta che l'82 per cento dei cittadini europei ritiene sia un dovere proteggere i diritti degli animali, qualunque siano i costi. La legislazione comunitaria ha seguito questa evoluzione e alcuni parziali, ma importanti miglioramenti sono stati raggiunti: il box individuale per i vitelli a carne bianca è stato Pag. 50vietato in tutta l'Unione europea dal 2007 e le gabbie di batteria per le galline ovaiole sono vietate dal 2012. I test cosmetici sugli animali sono stati aboliti ed è stato introdotto il bando europeo alla commercializzazione nell'Unione europea di prodotti cosmetici testati su animali, come pure è stato vietato da alcuni importare e commercializzare le pelli di cane e gatto e le pelli di foca.
  Nel 1997 l'Unione europea ha dato un nuovo status agli animali, riconoscendoli come «esseri senzienti» in un protocollo allegato al Trattato di Amsterdam. Questo principio è stato promosso dieci anni dopo, su proposta nel 2003 della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, nell'articolo 13 delle disposizioni di applicazione generale del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, imponendo al legislatore comunitario e agli Stati membri di tenere pienamente in considerazione il benessere degli animali nel processo di formazione delle norme.
  Questa importante conquista, tuttavia, non trova ancora adeguata applicazione. Basti pensare che la tutela degli animali da compagnia non ha ancora trovato tutela in una normativa europea. In alcuni Stati membri dell'Unione europea si uccidono indiscriminatamente gli animali randagi e si alimentano i commerci illegali di centinaia di migliaia di cuccioli, con tassi di mortalità gravissimi, rischi sanitari, dando luogo a veri e propri maltrattamenti.
  Nel nostro Paese nel 1991 è stata, invece, introdotta una legge che vieta le uccisioni per combattere il randagismo, introducendo la sterilizzazione obbligatoria di cani e gatti randagi e la promozione della loro adozione. Inoltre, nel 2010, l'Italia ha indicato la strada all'Unione europea in materia di traffico di cuccioli con una legge innovativa ed avanzata di repressione del fenomeno di illegalità. Conseguentemente, nel novembre 2010, il Consiglio dei ministri dell'Unione europea ha adottato delle conclusioni chiedendo alla Commissione europea di proporre azioni per la tutela di cani e gatti attraverso una norma europea «no killing».
  È il momento, dunque, cari colleghi, essendo iniziato il semestre di Presidenza europea, per l'Italia di farsi sentire, siamo quasi a metà mandato, ad onor del vero. Sono, dunque, necessarie importanti iniziative tese a dare piena applicazione al riconoscimento degli animali come esseri senzienti, facendo pesare questo precetto del Trattato nel processo di formazione ed emanazione delle norme dell'Unione europea, a partire dalla legge quadro europea sul benessere animale, annunciata dalla Commissione.
  Sarebbe importante rafforzare l'Ufficio veterinario della Commissione europea al fine di garantire un efficace controllo dell'applicazione delle normative comunitarie a tutela degli animali e introdurre una normativa comunitaria per la tutela degli animali d'affezione e la prevenzione del randagismo che, fra l'altro, preveda il divieto di uccisione di cani randagi e gatti vaganti, lo sviluppo di programmi di prevenzione con adeguati programmi di sterilizzazione e adozione, l'identificazione tramite microchip e registrazione obbligatoria collegata a un sistema di tracciabilità europea, il contrasto al traffico di cuccioli, anche attraverso l'Europol, ed ai combattimenti fra cani.
  Sono necessari provvedimenti seri contro il traffico illegale di cuccioli d'importazione dai Paesi dell'est Europa revisionando il Regolamento europeo n. 1 del 2005 in tema di protezione degli animali durante il trasporto.
  È urgente realizzare una legislazione che renda l'Unione europea libera dalla prigionia degli animali per fini ludici e vietare in questi territori l'attività di uccisione di animali selvatici, oltre che l'importazione e la commercializzazione delle specie invasive aliene, stabilendo che i metodi di loro contenimento prevedano unicamente misure incruente, rispettose della vita e della sofferenza dei soggetti interessati.
  Per quanto riguarda l'industria dei cosmetici bisognerebbe sostenere il riconoscimento e l'utilizzazione dei metodi sostitutivi di ricerca all'uso di animali, estendendo Pag. 51il divieto di test animali previsti per i cosmetici e i loro ingredienti ai prodotti di detergenza e loro ingredienti.
  Per quanto riguarda gli animali da allevamento, bisognerebbe sostenere l'emanazione di norme che prevedano standard obbligatori minimi negli allevamenti che si applichino alle specie oggi prive di specifiche norme di tutela, come mucche, conigli, tacchini, pesci, e la definizione di una legislazione che vieti la clonazione degli animali per la produzione di cibo, sostenendo l'armonizzazione del mercato interno ed estendendo a livello comunitario il divieto di allevamento di animali per la principale finalità di ottenere pellicce, già adottato da alcuni Stati membri.
  Infine, importante sarebbe realizzare una Conferenza sull'applicazione della direttiva n. 1999/22, sulla detenzione degli animali nei giardini zoologici a quindici anni dalla sua emanazione, e una Conferenza per la presentazione e lo studio delle condizioni scientifiche ed economiche per la revisione del Regolamento n. 1/2005, che disciplina i tempi di viaggio e la densità del trasporto degli animali a fini commerciali, orientandosi magari verso la proposta di legislazione sulla sanità animale in discussione a Bruxelles e promuovendo norme comuni tra gli Stati membri in materia di agevolazioni fiscali per le spese veterinarie sostenute per gli animali da compagnia, senza dimenticare di favorire il riconoscimento dell'importanza e del rispetto del benessere animale.
  Siccome sono state presentate diverse altre mozioni, mi auguro che su questi punti, visto che c’è una grande sollecitazione all'Europa, durante questo semestre, affinché vengano affrontati in via generale con una legge quadro europea sulla tutela e la protezione degli animali, ci sia poi una convergenza unanime da parte del Parlamento.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Massimiliano Bernini, che illustrerà la mozione Gagnarli n. 1-00559 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO BERNINI. Signor Presidente, colleghi, la mozione che abbiamo presentato tratta un tema molto complesso, quello del benessere animale e, dato che l'Italia ha iniziato da qualche mese il suo semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, sarebbe auspicabile, anzi necessaria, un'azione concreta e caratterizzante volta alla tutela del benessere animale in tutto il territorio dell'Unione europea.
  Il benessere animale è un concetto che investe molteplici aspetti della vita dell'essere vivente, quindi è un tema molto complesso, che merita un approccio di tipo olistico.
  Tuttavia a livello legislativo, nel corso degli anni, sono stati fatti degli importanti passi avanti e tra questi annoveriamo, a titolo esemplificativo, il divieto di commercializzazione di pellicce ricavate da cani e gatti, con il Regolamento n. 1523 del 2007; la regolamentazione più stringente per gli allevamenti di galline ovaiole, con la direttiva n. 1999/74/CE; la normativa per la detenzione degli animali nei giardini zoologici, sempre con una direttiva, la n. 1999/22/CE; la direttiva per la conservazione degli uccelli selvatici altrimenti nota come «direttiva uccelli», n. 2009/147/CE; il Regolamento per il trasporto degli animali n. 1 del 2005.
  Quindi sulla base di ciò, potremmo affermare che: «Il riconoscimento degli animali quali esseri senzienti, e quindi portatori di diritto, è uno dei capisaldi della politica dell'Unione europea». Ravvisiamo però che la strada da percorrere per un pieno riconoscimento del diritto degli animali a condurre una vita dignitosa, sicura e rispettosa delle loro esigenze, sia ancora lunga, soprattutto per quanto concerne la corretta applicazione delle direttive negli Stati membri. La «maglia nera», da questo punto di vista, spetta all'Italia, che si è fatta più e più volte richiamare delle istituzioni europee per il mancato rispetto dei principi sul «benessere animale», arrivando addirittura all'apertura delle procedure d'infrazione, per il mancato adeguamento delle gabbie delle ovaiole nei tempi dati e per la Pag. 52cattura dei richiami vivi, espressamente vietata dalla «direttiva uccelli» n. 147 del 2009.
  E poi, riteniamo ancora, che molto c’è da fare per rendere omogenea in tutta l'UE la normativa sul benessere animale. L'Unione europea riconosce che gli animali sono esseri senzienti e meritevoli di protezione – l'ho già ribadito in precedenza – e la normativa comunitaria stabilisce requisiti minimi volti a preservare gli animali da qualsiasi sofferenza inutile durante tre fasi principali: l'allevamento, il trasporto e l'abbattimento, qualora ci si riferisca ad esempio agli animali destinati all'alimentazione umana, nell'ambito del comparto zootecnico. Ma in riferimento a questi tre punti è necessario più che mai un piano per colmare le lacune della legislazione europea in questo settore, tutelando al meglio la dignità degli animali e permettendo, dall'altro lato, ai cittadini, di scegliere coscientemente.
  Lo stato dell'arte è che le regole dell'Unione europea non funzionano come dovrebbero, a causa di lacune legislative e della mancata attuazione della normativa in alcuni Paesi, facendo sì che non tutti gli animali siano trattati secondo queste regole. La strategia UE 2012-2015, che avrebbe dovuto fissare i capisaldi della tutela degli animali in Europa, è stata un'occasione mancata, poiché si riferisce esclusivamente agli allevamenti ed anche in questo settore effettua discriminazioni tra gruppi di animali, alcuni dei quali attualmente al di fuori dall'ambito di tutela dell'UE, come le vacche da latte e i conigli, oggetto molto spesso di gravi forme di sfruttamento.
  Ma cosa si intende per benessere ? Il benessere è una condizione intrinseca dell'animale: l'essere vivente che riesce ad adattarsi all'ambiente si trova in uno stato di benessere, viceversa, se non vi riesce – perché non ne è in grado per caratteristiche psicofisiche proprie, o perché ne è impedito da fattori esterni – si trova in una condizione di stress. Poiché tutti gli animali hanno avuto questo percorso evolutivo e ogni specie si è adattata ad un particolare habitat, con caratteristiche fisiche, fisiologiche e comportamentali adatte ad affrontare le varie difficoltà, ogni definizione del benessere deve tener conto dell'ambiente, della fisiologia e del comportamento specifico dell'animale. Gli animali da allevamento hanno un insieme di bisogni simili a quelli dei loro antenati selvatici, sebbene alcune necessità si siano modificate nel corso della domesticazione. Alcune esigenze fondamentali, come quelle di cibo, acqua e rifugio non sono cambiate nel passaggio dall'animale selvatico a quello domestico. Ma anche l'istintività che gli animali selvatici esprimono nei comportamenti associati alla riproduzione, alla ricerca del cibo, dell'acqua e del riparo, sono ancora presenti negli animali domestici.
  Nel 1964 Ruth Harrison pubblicò il libro Animali Macchine, che sollevò la questione del benessere degli animali allevati intensivamente.
  A seguito dello scalpore generato nella società civile da questo libro, il Governo inglese commissionò un rapporto ad un gruppo di ricercatori, tra cui un veterinario. Ne scaturì il rapporto Brambell. Questo rapporto, oltre ad essere uno dei primi documenti ufficiali relativi al benessere animale – potremmo dire il manifesto del benessere animale –, enunciò il principio delle cinque libertà per la tutela del benessere animale: libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione; libertà dai disagi ambientali; libertà dalle malattie e dalle ferite; libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche; libertà dalla paura e dallo stress. Alcune tra queste libertà sono universalmente riconosciute e applicate naturalmente dagli allevatori, altre rientrano nelle competenze del medico veterinario, mentre la libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali e la libertà dalla paura e dallo stress rappresentano qualcosa di non sempre immediata comprensione, applicazione e soluzione. Queste due libertà, le più difficili da valutare oggettivamente, rappresentano i punti salienti della normativa europea relativa al benessere degli animali da allevamento.Pag. 53
  Un aspetto legato al benessere animale, che si ripercuote anche sullo stile di vita dei cittadini, è quello dell'etichettatura degli alimenti. La strategia dell'Unione europea per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015 sottolinea l'intenzione di consentire ai consumatori di fare scelte informate, in modo che sia il mercato a guidare ulteriori miglioramenti del benessere degli animali. L'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione è quindi il modo migliore per informare i consumatori e permettere loro di contribuire a guidare i futuri miglioramenti nel benessere degli animali. Nel 2004 l'Unione europea ha introdotto l'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione per le uova in guscio, un sistema che ha contribuito a migliorare in maniera significativa il benessere delle galline. I dati della Commissione europea mostrano che la percentuale di galline ovaiole non allevate in gabbia in Europa è passata dal 19,7 per cento del 2003 al 42,2 per cento nel 2012. L'etichettatura obbligatoria può creare una parità di condizioni in cui il mercato possa operare in modo più efficace e trasparente. Il mercato attualmente è distorto, a svantaggio dei prodotti più rispettosi del benessere animale, da etichette che utilizzano parole e immagini che rimandano all'allevamento all'aperto e ad elevati standard di welfare, quando la realtà è invece tutt'altra, come allevamenti di pollame intensivi e al chiuso.
  Per questo, il 28 agosto scorso il MoVimento 5 Stelle ha partecipato alla tappa italiana del tour europeo organizzato dalla CIWF, un'organizzazione internazionale per il benessere degli animali da allevamento, partito da Londra il 1o agosto. Il nome di questa iniziativa è: «39 giorni per Rosa», dove Rosa è il nome del pollo mascotte dell'iniziativa, mentre i 39 giorni rappresentano la durata media della vita di un pollo da carne in un allevamento intensivo. Una vita breve, quella vissuta da questi polli, perlopiù allevati in capannoni chiusi, a densità altissime che arrivano anche a 23 animali per metro quadrato, prigionieri del loro corpo programmato per crescere in fretta e raggiungere il peso di macellazione a giovane età. L'obiettivo del tour è quello di sensibilizzare i cittadini sulle condizioni dei sistemi intensivi e chiedere l'introduzione dell'etichettatura obbligatoria indicante il metodo di allevamento su tutto il pollame europeo, che è anche uno degli impegni di questa mozione.
  Tra gli altri impegni, quello di sostenere l'introduzione di una disciplina comunitaria finalizzata al divieto di allevamento, di cattura e uccisione di animali per la loro pelliccia, al fine di mettere fine ad una pratica anacronistica quanto crudele per gli animali, promuovendo al contempo campagne di sensibilizzazione contro l'uso di indumenti realizzati attraverso lo sfruttamento degli animali.
  Chiediamo poi all'Esecutivo di impegnarsi: a promuovere una disciplina comunitaria che vieti la macellazione rituale che nella maggior parte dei casi non prevede alcuno stordimento preventivo, necessario ad evitare all'animale eccitazioni, dolori e sofferenze indicibili, in quanto riteniamo necessario che la libertà religiosa non entri in conflitto con la tutela degli animali in quanto esseri senzienti; a promuovere l'applicazione puntuale della legislazione vigente in materia di animali da allevamento, con particolare riguardo a quella per la protezione dei suini, recepita anche dall'Italia e le cui norme più stringenti risalgono addirittura al 2001. Tra queste: la fornitura ai suini di materiali come la paglia per consentire loro di esprimere il loro comportamento naturale di esplorazione, il divieto di mozzare loro le code come operazioni sistematiche, l'obbligo di alloggiare i suini in locali forniti di una zona confortevole e pulita e il trasporto nel rispetto della dignità animale; a potenziare l'ufficio veterinario della Commissione europea per assicurare maggiori controlli dell'applicazione delle normative comunitarie sulla sicurezza alimentare, salute e benessere animale; a sostenere la promulgazione di norme minime per la protezione delle specie ancora prive di tutela individuale come vacche da latte, conigli, tacchini, Pag. 54pesci, al fine di garantire un'adeguata tutela degli animali nelle diverse specie di allevamenti.
  Impegniamo poi il Governo a prendere una posizione chiara e concreta contro la clonazione degli animali per la produzione di cibo e la commercializzazione della loro progenie; a garantire, in particolare, la tutela delle specie europee di avifauna di interesse conservazionistico, classificate come SPEC1, SPEC2 e SPEC3 da Birdlife International, attraverso rigorose misure di protezione che comprendano anche l'esclusione di tali specie tra quelle cacciabili; a promuovere in tutti i Paesi dell'Unione europea pratiche per il contenimento delle specie alloctone invasive che non prevedano metodi di eradicazione cruenti ma puntino all'utilizzo di metodi ecologici; a farsi promotore di una disciplina europea finalizzata al divieto dell'utilizzazione di animali nei circhi, negli spettacoli e nelle mostre itineranti; a promuovere un'azione di tutela degli animali da affezione e di prevenzione al randagismo, anche attraverso programmi veterinari e di adozione dei cuccioli, così da evitare in qualunque Stato membro la possibilità di uccidere cani o gatti randagi, e ad adottare un sistema di identificazione e registrazione obbligatoria a livello europeo così da scongiurare il traffico illegale di animali.
   Impegniamo altresì il Governo a promuovere programmi di educazione all'alimentazione sostenibile che inducano i cittadini ad un consumo attento e maggiormente etico dei prodotti animali o da essi derivati, spingendo verso la predilezione per alimenti provenienti da allevamenti non intensivi.
  Infine, signor Presidente, ci facciamo portavoce anche delle richieste che provengono da una larga parte della società civile che da sempre ha a cuore il benessere degli animali, quello delle associazioni animaliste come la LAV, che ci chiedono di impegnare il Governo anche a: sostenere i progetti comunitari Life per la tutela della fauna selvatica rivalutando con una commissione indipendente di livello europeo la captivazione permanente degli orsi catturati negli scorsi anni in Trentino, bloccando, ad esempio, la cattura dell'orsa Daniza e dei suoi cuccioli, non permettendo modifiche unilaterali locali al piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali e ad effettuare un monitoraggio dei centri di recupero di animali selvatici al fine di promuovere e sostenere una rete di tali centri per dare piena applicazione alle direttive e ai regolamenti europei sulla protezione degli animali selvatici custoditi nei giardini zoologici, impiegati in attività circensi e utilizzati nel commercio illegale.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Vezzali, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00571. Ne ha facoltà.

  MARIA VALENTINA VEZZALI. Signor Presidente, Governo, colleghi, il semestre europeo è un'ottima occasione per fare passi in avanti nella legislazione di tutela degli animali. Le istituzioni europee fino ad ora non hanno saputo esprimere una visione ed una strategia di intervento capaci di coprire aree di tutela oggi scoperte e garantire un'effettiva applicazione delle norme già esistenti. Ci vuole coraggio, ma l'Italia deve essere protagonista di un salto in avanti con scelte politiche chiare, oltre ad un sostegno finanziario sufficiente e ad un bilancio adeguato alle azioni per la tutela degli animali. È attualmente in vigore un numero smisurato di disposizioni legislative nazionali divergenti tra loro. Conseguentemente le condizioni di benessere degli animali nell'Unione europea variano considerevolmente da un Paese all'altro e a seconda della specie animale. È la mancanza di coerenza e di effettiva applicazione della legge che ci deve indurre da subito ad una nuova strategia e ad un nuovo campo di applicazione.
  È quindi importante che durante questo semestre di Presidenza europea si compia ogni sforzo per migliorare la normativa ed aumentare gli strumenti a disposizione in favore di politiche a sostegno del benessere degli animali. A causa della Pag. 55mancanza di una normativa comune ancora oggi ci troviamo a dover combattere il commercio illegale di specie protette o il traffico di cuccioli di cane dall'est Europa.
  Dobbiamo prendere coscienza che il principio della tutela degli animali in quanto esseri senzienti non è una fantasia di qualche animalista o associazione per la protezione da animali, ma bensì un articolo del Trattato di Lisbona, peraltro inserito nel Trattato grazie ad un'iniziativa italiana, e che il Trattato stesso è stato ratificato con legge in Italia.
  Occorre ricordare che, nella civile Europa, la Romania, Stato membro dell'Unione europea, ha autorizzato per legge il massacro dei cani randagi sul proprio territorio. Vi sono peraltro legislazioni o Paesi garantisti, o anche solo più sensibili, che coesistono con altri poco o per niente attenti alla protezione degli animali: quello che accade in Romania non deve più accadere.
  La tutela degli animali da compagnia non ha ancora una vera legge europea: Stati membri uccidono animali randagi, altri Stati membri alimentano commerci illegali di centinaia di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità gravissimi, con forti rischi sanitari e praticando veri e propri maltrattamenti. L'Italia, con la legge n. 281 del 1991, all'articolo 1, dichiara: «Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali d'affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza fra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente». Una legge fatta per combattere il randagismo, che introduce la sterilizzazione obbligatoria di cani e gatti randagi e la promozione della loro adozione. Nel 2010, il nostro Paese ha indicato la strada all'Unione europea in materia di traffico di cuccioli con una legge innovativa e avanzata di repressione del fenomeno di illegalità. Non è più accettabile, nel XXI secolo, il maltrattamento di esseri viventi senzienti.
  Deve, poi, essere applicata pienamente una norma nazionale in vigore da molti anni: la legge n. 157 del 1992. La legge n. 157, all'articolo 1, enuncia: «La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale». In materia di caccia, pertanto, la cattura dei richiami vivi con la rete è illegittima: è quanto ha affermato recentemente la Commissione europea con una nota indirizzata al nostro Governo. Il Senato in proposito ha da poche settimane espresso il riferimento generico alla possibilità di deroga e rimanda ad un futuribile decreto del Presidente del Consiglio, da applicarsi entro un anno, che regolerà la materia. Questo significa, purtroppo, che tutto rimarrà come prima, con le regioni che continueranno a derogare e a permettere la cattura dei richiami vivi, come è avvenuto con le delibere della Lombardia e, poi, dell'Emilia Romagna, che autorizzano nuove catture e il Governo che resterà a guardare. I passi fatti dal Governo non sono sufficienti a porre fine alla violazione della direttiva in merito alla cattura degli uccelli selvatici ai fini di richiamo. È, quindi, necessaria l'abolizione totale dei richiami vivi e la valutazione di soluzioni alternative alla concessione della deroga che nella fattispecie tenga conto del fatto che catturare richiami vivi non è indispensabile, perché si può benissimo cacciare senza richiami o utilizzare richiami a bocca.
  E ancora. A chi non è capitato di vedere sulle autostrade camion con animali destinati al macello ? Quegli occhi tristi che guardano attraverso le sponde dei camion, quei corpi ammassati in condizioni di visibile sofferenza, sia con il sole a picco di agosto, sia con il freddo gelido dell'inverno: è quella del trasporto degli animali al macello l'unica faccia visibile dell'allevamento intensivo, che ben si cura di tenere gli animali dietro a porte chiuse, che siano quelle dei capannoni o quelle dei macelli. Ciò per ovvie ragioni sicuramente, poiché la sofferenza degli animali potrebbe impressionare e si potrebbero cambiare le proprie abitudini alimentari: un rischio che la zootecnica intensiva non può e non vuole correre. Infatti, anche fra i non particolarmente animalisti, sono Pag. 56molti, moltissimi anche in Italia, i cittadini contrari ai lunghi viaggi degli animali al macello. Su questo tema, nondimeno, vi è stata una grande campagna europea per limitare i viaggi degli animali destinati alla macellazione a un massimo complessivo di otto ore.
  La campagna 8 hours, lanciata nel 2011 da Animals’ Angels, in Italia è stata sostenuta dalla LAV ed ha raggiunto in pochi mesi oltre un milione di firme di cittadini europei e il sostegno di 126 membri del Parlamento europeo in seguito a un primo importante risultato, l'approvazione da parte del Parlamento europeo della dichiarazione scritta 49/2011 per l'istituzione di un limite massimo di otto ore di viaggio per gli animali trasportati nell'Unione europea al fine di essere macellati. Ad oggi, però, nulla è cambiato rispetto a questi viaggi della morte.
  Veniamo ora alle difficili tematiche legate alla pratica della sperimentazione, sapendo sin d'ora che in quest'Aula vi sono colleghe e colleghi favorevoli alla sperimentazione su animali. Però, a seguito di un lento progresso di consapevolezza, oggi, anche per molti scienziati, la ricerca farmacologica con utilizzo di animali è ritenuta inefficiente e costosissima. Questo settore sta investendo e deve investire sempre più nell'utilizzo e sviluppo di nuovi metodi innovativi, senza uso di animali, che permettano risultati rapidi e direttamente rilevanti sull'uomo. Lo sviluppo di strumenti innovativi e tecnologici senza uso di animali è sempre più utilizzato nel settore farmacologico tramite i biomarcatori, la biologia sistemica, la bioingegneria e la robotica, solo per citarne alcuni.
  Iniziative come Stop Vivisection, che ha raccolto cinquecentomila firme, si sono espresse a favore della revisione delle direttive europee sugli esperimenti animali in favore delle metodologie alternative. Serve una nuova norma che sostituisca la direttiva 2010/73 dell'Unione europea, integrando l'utilizzo di animali con metodi alternativi e prevedendo, fra l'altro, lo sviluppo degli strumenti di innovazione tecnologica nelle future legislazioni europee, finanziamenti pubblici associati ai soli metodi sostitutivi, il sostegno immediato, come avviene in altri Paesi, del divieto di sperimentazione sui grandi primati non umani. I test cosmetici sugli animali sono stati aboliti ed è stato introdotto il bando europeo alla commercializzazione nell'Unione europea di prodotti cosmetici testati; oggi è vietato commercializzare le pelli di cane e di gatto, le pelli di foca e ora serve porre il divieto di test anche per la produzione di detergenti per la casa. Negli ultimi anni, in Italia e in Europa l'avversione dei cittadini e dei consumatori allo sfruttamento degli animali per la loro pelliccia è notevolmente cresciuta a seguito di una maggiore consapevolezza delle condizioni di privazione e sofferenza a cui sono sottoposti gli animali da pelliccia allevati o catturati. Nel 2012 il settore della pellicceria ha rappresentato solamente il 2,6 per cento dei consumi di abbigliamento in Italia. Numerosi sono i provvedimenti, anche di Paesi membri, che in forma diversa limitano o vietano l'allevamento di animali per la produzione di pellicce, come già fanno, ad esempio, Gran Bretagna, Olanda, Austria e diversi altri Stati. Sarebbe opportuno che ciò avvenisse in tutti gli Stati membri.
  L'Unione europea deve anche promuovere una legislazione che la renda libera dai delfinari e dai circhi che fanno uso di animali, deve promuovere la corretta applicazione della direttiva 1999/22/CE sulla protezione degli animali negli zoo e sostenere la sua revisione al fine di eliminare lo sfruttamento commerciale degli animali esotici in cattività e garantire che tutti gli animali selvatici detenuti in cattività o utilizzati a fini di spettacolo siano inclusi nella legge quadro europea sul benessere animale. L'Italia nel 2004 è stata condannata dalla Corte europea di giustizia per aver mancato una corretta applicazione della cosiddetta direttiva zoo e nel 2005 è stata sottoposta ad una procedura di infrazione. Nel 2012 un delfinario è stato chiuso per un'inchiesta sul maltrattamento dei delfini detenuti. Ogni anno nei circhi presenti in Italia si sfruttano a fini di intrattenimento alcune migliaia di animali Pag. 57esotici, alcuni importati, spesso illegalmente, altri provenienti da riproduzioni. Le esibizioni degli animali sono il risultato di un addestramento che si basa sulla violenza fisica e psicologica, sulla paura e sulla privazione dal cibo. Gli animali selvatici ed esotici sono protetti nella legislazione europea per mezzo di alcune direttive, quali la direttiva habitat, concernente gli uccelli selvatici o ancora la direttiva sugli zoo. Queste legislazioni, pur avendo costituito un primo contributo alla protezione di questi animali, rendono urgenti e necessari nuovi interventi legislativi a tutela degli animali selvatici ed esotici; dobbiamo vietare l'importazione di animali esotici ai fini di cattività e di detenzione ad uso personale o di compagnia, prevenendo fenomeni di abbandono di animali esotici.
  Ma ancora più importante è cambiare il modello culturale di spettacolo. Cosa c’è di tanto spettacolare nel vedere orsi che ballano, leoni che saltano nel fuoco e cani che vanno in bicicletta ? Alcuni Paesi, anche facenti parte dell'Unione europea, hanno vietato l'utilizzo degli animali nei circhi: Austria, Belgio, Polonia, Grecia e Spagna, solo per citarne alcuni; persino in India. E in Italia, invece ? Non c’è in atto alcuna proposta di legge, solo alcuni regolamenti. Dobbiamo promuovere un cambiamento culturale finalizzato ad impostare su nuove basi il rapporto tra noi e gli animali, un rapporto in virtù del quale essi non siano considerati più né come oggetti né veramente in funzione della loro utilità per l'uomo ma come esseri viventi che abitano con noi il Pianeta e che per questo sono portatori di diritti. Concludo, citando il pensiero di uno scrittore ebreo, Isaac Singer, scomparso nel 1991: «Oggi sappiamo per certo, ma lo abbiamo istintivamente sempre saputo, che gli animali possono soffrire esattamente come gli esseri umani. Le loro emozioni e la loro sensibilità sono spesso più forti di quelle umane. Diversi filosofi e capi religiosi hanno cercato di convincere i loro discepoli e seguaci che gli animali non sono altro che macchine senz'anima, senza sentimenti, chiunque però abbia vissuto con un animale, sia esso un cane, un uccello o persino un topo sa che questa teoria è una sfacciata menzogna inventata per giustificare la crudeltà» (Applausi).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Nicchi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00573. Ne ha facoltà.

  MARISA NICCHI. Signor Presidente, siamo di fronte in questi decenni ad una crescita costante di una preoccupazione per la tutela degli animali. Da sondaggi che sono stati fatti sull'opinione pubblica molti cittadini europei, la maggioranza dei cittadini europei, ha dichiarato di considerare un dovere la protezione degli animali. Sono passi importanti nella coscienza collettiva che a livello e in ambito europeo hanno preso forma in un percorso importante dalla direttiva europea n. 577 del 1974, relativa allo stordimento degli animali prima della macellazione, recepita con la legge n. 439 del 1978. È un passo in avanti il fatto che, sempre nel 1974, diverse associazioni europee ed internazionali abbiano presentano a Bruxelles e a Parigi la Dichiarazione dei diritti degli animali. Nel 1997 il Trattato di Amsterdam e il Protocollo sulla protezione e il benessere degli animali hanno fissato i principali ambiti d'azione rispetto al benessere animale e riconosciuto gli animali come esseri senzienti, concetto che è stato ribadito nel Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009. L'Europa ha ormai da diversi anni riconosciuto lo stretto legame fra benessere animale, salute animale e sicurezza alimentare; ricordo il Libro bianco della sicurezza alimentare del 2000, in cui prende forma un approccio integrato, poi ripreso dal Regolamento del Parlamento europeo del 2004. Quindi, il binomio benessere animale-sanità animale fa parte della strategia europea per la salute animale degli anni 2007-2013. Il benessere degli animali è entrato negli obiettivi dei fondi strutturali, anche nei programmi di ricerca, e la Comunicazione del 2009, n. 584, individua delle scelte precise in cui questo obiettivo, questo principio, questa nuova preoccupazione Pag. 58deve prendere forma. Per esempio, si sottolinea il tema dell'etichettatura relativa al benessere animale e si precisa la necessità di un'istituzione, di una rete europea, dei centri di riferimento per la protezione e il benessere degli animali.
  Altri passi importanti di questo percorso, un percorso di civiltà, un percorso di non più prevaricazione unilaterale dell'uomo, a senso unico, sul mondo animale e sulla natura, sono stati attuati anche con il divieto di impiego delle gabbie convenzionali nell'allevamento delle galline ovaiole, che ha migliorato lo stato di salute e di benessere di 360 milioni di galline.
  Oppure va ricordata anche l'abolizione delle gabbie nei reparti di riproduzione dei suini: anche questo divieto ha migliorato il benessere di questi animali.
  Poi, va ricordato il divieto dell'uso di sperimentazione animale per la produzione di prodotti cosmetici e i primi tentativi, ancora certamente non del tutto risolti, del miglioramento delle condizioni di trasporto degli animali. Rimane infatti per noi – e questo dibattito lo dimostra – il fatto che molto c’è da fare per migliorare la legislazione degli Stati membri e per dotare l'Unione europea di una legislazione più efficace, soprattutto più omogenea e più uniforme anche al fine di poterne verificare il rispetto da parte di ciascun Paese, prevedendo, quando necessario, le procedure di infrazione.
  Il rispetto delle norme europee sul benessere animale è da considerarsi quindi un vincolo anche se ancora molti sono i Paesi che devono mettersi in regola e sui quali è concentrata l'attenzione delle autorità comunitarie.
  A livello europeo sono aperte molte questioni e noi ci auguriamo che questo semestre europeo possa dare quella spinta alla possibilità di risolverle, di risolverle per affrontare e migliorare metodologie e pratiche di allevamento, di trasporto, di macellazione, attraverso l'individuazione e l'attuazione di standard oggettivi per poter garantire e dimostrare anche il rispetto di quelle norme minime per garantire anche i controlli necessari.
  Sono temi che riguardano l'etichettatura obbligatoria degli alimenti, con procedure più trasparenti, rigorose al fine proprio di consentire al consumatore di poter decidere in maniera consapevole ed informata i propri acquisti alimentari. Sono temi come la condizione degli animali da compagnia per contrastare il randagismo contro leggi che come una barbarie in alcuni Paesi ammettono il loro abbattimento. Sono i temi della lotta al traffico illegale dei cuccioli. Sono impegni che noi chiediamo al Governo attraverso la nostra mozione molto pratici, che vogliamo qui elencare e ricordare anche perché da questa Aula possano venire delle azioni concrete e dei passi di civiltà molto importanti: l'istituzione di una rete di centri di referenza sul benessere degli animali, come previsto dalla proposta di legislazione sui controlli veterinari in discussione in ambito europeo, il riconoscimento dell'importanza del rispetto del benessere animale a livello internazionale, a partire per esempio dall'Organizzazione mondiale del commercio e di tanti altri accordi internazionali, il tema dell'omogeneità dei controlli nei diversi Stati membri e anche delle procedure univoche per controllare i prodotti provenienti da Stati terzi del mercato comunitario.
  Si tratta di obiettivi di incentivo di un'etichettatura che identifichi i prodotti ottenuti nel massimo rigore, prevedendo una tracciabilità obbligatoria degli alimenti più trasparente e rigorosa. Si tratta di obiettivi per l'estensione ad altri animali da allevamento di quelle norme di tutela e di quegli standard minimi obbligatori negli allevamenti che sono previsti per alcune specie animali, ma non per tutte. Si tratta di obiettivi per la creazione di un sistema europeo di anagrafe per animali da compagnia e la caratterizzazione della normativa dei cani randagi come animali da compagnia e non come animali selvatici. Si tratta di obiettivi di realizzazione di una conferenza internazionale contro il traffico illegale dei cuccioli data la gravità del fenomeno, con programmi di repressione, prevenzione ed educazione e formazione dei cittadini. Si tratta di obiettivi Pag. 59di promozione di agevolazioni fiscali per le spese veterinarie sostenute per gli animali da compagnia, come per esempio alcune misure che sono già previste nella nostra legislazione.
  Si tratta di promuovere – e questo è un tema molto complesso, che abbiamo già affrontato in quest'Aula – tutte quelle soluzioni necessarie per affermare pratiche alternative di sperimentazione scientifiche che prevedano la sostituzione della sperimentazione sugli animali.
  Si tratta di obiettivi per abolire quegli allevamenti di animali destinati alla produzione di pellicce, alla luce anche di normative nazionali di divieto parziale o anche totale, adottate già da diversi Paesi dell'Unione europea, quali Svezia, Gran Bretagna e tanti altri.
  Insomma, impegni concreti, misure precise per affrontare un tema grande, un tema importante che ha un cambio di punto di vista sul mondo. Una nuova civiltà perché, come diceva Gandhi, la grandezza e il progresso morale di una nazione si possono giudicare dal modo in cui si trattano gli animali e noi vogliamo affermare un punto di vista che garantisca i diritti degli animali e il loro benessere (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marco Rondini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00580. Ne ha facoltà.

  MARCO RONDINI. Presidente, il Trattato di Lisbona all'articolo 13 definisce gli animali come esseri senzienti, riconoscendo la necessità di assicurare il benessere animale, consentendo una serie di iniziative dirette alla protezione degli stessi, che non si limitino esclusivamente a tutelare gli animali di affezione ma che riguardano complessivamente il regno animale, che deve essere considerato, a questo punto, come integralmente destinatario della tutela europea.
  In questo quadro, assume particolare rilevanza sia in Italia che in Europa, negli ultimi anni, la necessità di protezione degli animali che possono essere macellati secondo rito religioso. Tale numero è aumentato fortemente, in considerazione di una maggiore richiesta di carni derivanti da questo tipo di macellazione e destinate ai canali commerciali ufficiali. Questo in ragione anche dell'aumentata presenza di immigrati di religione islamica sul territorio dell'Unione europea.
  La dibattuta e controversa questione, che da sempre divide favorevoli e contrari in tema di macellazione rituale, non riguarda il veto a macellare l'animale, visto che la legge lo consente, ma piuttosto deve vertere sui limiti della libertà di religione, che deve essere concessa nell'ordinamento legislativo di uno Stato oggettivamente laico. Nel caso specifico, ci si chiede fino a che punto può prevalere un determinato bene, la libertà di praticare un rito religioso particolarmente cruento, a discapito di un altro bene tutelato da specifiche e rigorose norme di legge, e cioè il diritto degli animali a non subire sofferenze evitabili o addirittura inutili.
  Gli atti legislativi di recepimento delle direttive europee, in linea con quanto previsto dall'Unione europea in materia, prevedono che le operazioni di trasferimento, stabulazione, immobilizzazione, stordimento, macellazione e abbattimento debbano essere condotte in modo tale da risparmiare agli animali eccitazioni, dolori e sofferenze evitabili e inutili. Si introduce – ed è stato introdotto – un concetto importante e cioè che l'animale, prima di essere ucciso, deve essere privo di coscienza, allo scopo di evitargli inutili sofferenze. Nel contempo negli atti di recepimento, in linea con quanto previsto dalla normativa europea, si deroga a questo concetto, consentendo l'uccisione dell'animale senza stordimento preventivo in caso di macellazione imposta da rito religioso.
  Esiste un'ambiguità di fondo, a nostro avviso, legata al fatto che, da una parte, è ritenuto formalmente indispensabile, per ridurre le sofferenze, procedere allo stordimento degli animali prima della macellazione, mentre, dall'altra, si consente di derogare a questo principio per motivi religiosi. In pratica, mentre, da un lato, il Pag. 60legislatore considera il benessere degli animali un bene da tutelare attentamente, dall'altro ritiene di non dovere entrare nel merito specifico di una forma di macellazione cruenta, causa di intense sofferenze ed arcaica.
  La macellazione rituale riteniamo che rappresenti da sempre per noi una questione controversa, come dicevo prima, sulla quale si dibattono problemi relativi alle diverse tradizioni culturali, ai diritti umani legati alla tolleranza religiosa e al benessere animale.
  Nella società occidentale il benessere e la protezione degli animali sono valori indiscussi e condivisi, anche durante il momento della macellazione; tuttavia nella maggior parte delle nazioni europee, come è avvenuto anche in Italia, è possibile derogare all'obbligo dello stordimento prima della iugulazione per motivi religiosi. Questa deroga crea comunque alcune difficoltà nel garantire la tutela del benessere animale e vi è una forte sollecitazione, da parte soprattutto delle associazioni che difendono il benessere degli animali, a trovare soluzioni che siano soddisfacenti per tutte le parti in causa, promuovendo nuovi protocolli che consentano, da un lato, di tutelare maggiormente il benessere animale e comunque nel rispetto del rito religioso. Sia la legge islamica che i precetti ebraici prescrivono una serie di regole da seguire per rendere la carne commestibile ai fedeli di queste religioni. Le caratteristiche del procedimento di uccisione dell'animale sono riassunte nel termine Halal per i musulmani, e Kosher per gli ebrei, e non accettano lo stordimento preventivo.
  L'animale oggetto della macellazione deve essere cosciente al momento dell'uccisione, girato su sé stesso con un mezzo obbligatorio di contenimento meccanico, e viene operata la recisione di trachea ed esofago, ma senza spezzare la colonna vertebrale, perché durante la procedura la testa dell'animale non si deve staccare.
  La pratica della macellazione rituale è estremamente cruenta ed è consentita in Italia solo se praticata in uno degli oltre 200 macelli autorizzati, ma non sono rari i casi di macellazione «familiare», di cui spesso ci dà notizia la cronaca dei quotidiani, eseguita per festeggiare delle ricorrenze religiose, pratica illegale e perseguibile per legge. La normativa europea circa la macellazione prevede obbligatoriamente lo stordimento preventivo degli animali, ma una precisa deroga legislativa autorizza le comunità islamiche ed ebraiche a non osservare tale obbligo.
  Il regolamento della Comunità europea n. 1099 del 2009 rispetta, di conseguenza, la libertà di religione e il diritto di manifestare la propria religione o la propria convinzione mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti come stabilito dall'articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; di contro il diritto garantito al citato articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea corrisponde a quello garantito dall'articolo 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e, ai sensi dell'articolo 52, comma 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ha significato e portata identici a detto articolo. Le limitazioni devono pertanto rispettare l'articolo 9, comma 2, che recita: «La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che, stabilite dalla legge, costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui.».
  In forza di tale Convenzione, Svizzera, Norvegia, Islanda, Lettonia, Svezia e Polonia hanno vietato la macellazione rituale. Nessun credo religioso può prevalere sulle norme di tutela degli animali e nessuna legge deve essere modificata su imposizione di una esigua minoranza religiosa e contro il volere dell'intera popolazione, in uno Stato libero e democratico per noi questo rimane assolutamente inaccettabile.
  Nel mese di febbraio 2014, il Commissario europeo Borg, nel corso della Conferenza Pag. 61sui risultati della strategia dell'Unione europea per il benessere animale 2012-2014, ha annunciato che, a metà del 2014, la Commissione europea organizzerà uno studio approfondito sul tema della macellazione religiosa, per valutare eventuali norme che garantiscano la salute e l'informazione dei consumatori e soprattutto che evitino una morte dolorosa all'animale.
  Ed è per questo, alla luce di queste considerazioni, che noi chiediamo un impegno al Governo ad adoperarsi durante la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea affinché venga abrogato il comma 4 dell'articolo 4, capo II del regolamento della Comunità europea n. 1099 del 2009 del Consiglio, anche alla luce delle perplessità che gli organismi comunitari hanno manifestato sulle inutili sofferenze che gli animali sono costretti a sopportare senza pregiudicare le libertà religiose.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Cova, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00581. Ne ha facoltà.

  PAOLO COVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il benessere animale è un tema molto importante, perché va a cogliere i rapporti che ci sono quotidianamente tra uomini e animali, e come gli uomini si rapportano con essi, con questi animali. La stessa UE ha posto a base della propria Costituzione la presenza degli animali in quanto esseri senzienti e chiede che si tenga pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali; per cui, è un punto importante.
  È importante che questo principio di «esseri senzienti» e gli interventi per promuovere il benessere degli animali siano un patrimonio comune della popolazione europea. Credo che sia importante svilupparlo nei ragazzi e nei giovani, in particolare perché si deve diffondere e accrescere questa attenzione al concetto di proprietà responsabile degli animali; un concetto che, poi, se non capito completamente, porta spesso ai fenomeni di randagismo. È importante proprio tenere presente come il fenomeno del randagismo sia ancora ampiamente presente in Italia e in moltissimi Paesi dell'Unione europea proprio perché l'identificazione degli animali, l'uso dei microchip, il commercio, il traffico degli animali, dei cani e dei gatti, è ancora diffuso e non è ancora normato.
  Credo che sia anche importante tenere conto di quello che è stato fatto in tutti questi anni anche nell'ambito del benessere degli animali da reddito, degli animali da produzione di carne e di altro, di quanto è stato fatto, anche in termini di investimento, da parte degli allevatori, perché, secondo me, è importante sottolineare gli aspetti che hanno contribuito a portare ad un benessere negli animali, ma quanto anche gli allevatori hanno fatto in tutti questi anni.
  È chiaro, però, che queste buone pratiche e queste norme di benessere si sono scontrate anche con diversità di allevamenti nei Paesi europei, condizioni, anche climatiche, diverse, condizioni del suolo e della natura diverse nei vari Stati, anche con una difficoltà di applicazione di queste buone pratiche o norme. Faccio questo riferimento alle buone pratiche e parlo anche di benessere perché, tante volte, non abbiamo necessità di benessere, ma di buone pratiche da attuare negli allevamenti da reddito, che poi portano, effettivamente, a un benessere, proprio perché l'attenzione a definire e a caratterizzare queste buone pratiche, poi, effettivamente, porta a un benessere.
  Mi soffermo anche, come è già stato fatto da altri colleghi, sul tema della sperimentazione, sul fatto che sia effettivamente necessario cercare delle forme diverse e alternative di ricerca, che abbandonino la ricerca sugli animali, e quindi investimenti e un'attenzione particolare alla ricerca con metodi alternativi. Mi permetto anche di sottolineare un capitolo, che è quello degli animali da pelliccia, che deve essere affrontato con serietà anche da questo Parlamento: ci sono già delle proposte di legge che devono essere affrontate perché siano valutati bene quali sono il benessere di questi animali e lo sviluppo di questo settore.Pag. 62
  Quello che chiediamo è un po’ un impegno da parte del Governo perché vi sia un quadro legislativo veramente riveduto a livello europeo, perché si dia al consumatore uno strumento trasparente di quello che è avvenuto. L'etichettatura, in questo caso, serve ed è importante perché il consumatore sappia come è stato prodotto e da dove arriva quel prodotto alimentare che sta consumando. Infatti, come ho detto prima, tanti allevatori e tante aziende agricole hanno investito sul benessere, senza avere, poi, un tornaconto economico.
  Però, questa è una norma importante. Questo investimento, fatto da parte di questi allevatori, deve essere anche percepito dai consumatori, perché sappiano quale prodotto stanno consumando e sappiano poi discernere qual è il prodotto alimentare che stanno consumando.
  Mi sembra anche importante sottolineare l'attenzione sui centri di riferimento del benessere animale, che devono essere sviluppati in ogni Stato membro di quest'Unione europea, proprio perché servono, mai come adesso e sempre di più, delle informazioni certe e che vi sia un supporto e un sostegno di dati tecnici corretti, coerenti, scientificamente supportati. Infatti, se vogliamo parlare di benessere, dobbiamo capire poi effettivamente quali ricadute ci siano sugli animali.
  Mi permetto di soffermarmi in questa fase anche su una riflessione che ho fatto anche in altri contesti e in altre riunioni. Spesso si parla del trattamento e del benessere degli animali e delle vacche a terra, considerando che queste vacche a terra, come prevede la normativa europea con il regolamento (CE) n. 1/2005, debbano essere abbattute. Spesso io dico che non so se bisogna confondere il benessere con le buone pratiche. A ognuno di noi capita di potersi fare male, di rompersi una gamba: viene trasportato in un ospedale. Un cane, un gatto, che subisce un incidente viene trasportato in una clinica veterinaria, in un ospedale veterinario. Per le vacche o per gli animali da reddito questo no, perché per il loro benessere non avviene.
  Forse è necessario pensare a delle buone pratiche, perché a nessuno di noi viene chiesto di uccidere un cane o un gatto perché si è rotto una gamba e non possiamo trasportarlo in una clinica veterinaria oppure anche a una persona. Ognuno di noi viene curato e portato all'ospedale. La stessa cosa deve essere fatta anche per gli animali da reddito. Per cui credo che sia importante tenere presente quest'aspetto.
  Vorremmo anche che si facesse chiarezza su tutte le norme del commercio degli animali di affezione, cani e gatti. È stato detto più volte di questo traffico degli animali tra una nazione e l'altra; il traffico dei cuccioli che avviene in età forse troppo prematura, quando sono ancora piccolissimi e ciò ne comporta un alto tasso di mortalità. Questo però va a interagire anche con una formazione, come ho detto prima, e una corretta informazione ai giovani, ai ragazzi e a ogni cittadino europeo perché sappiano a cosa vanno incontro. Il desiderio di un proprietario, di un futuro proprietario di cani e di gatti di avere un cucciolo sempre più piccolo porta a questo meccanismo. Allora è corretto anche fare un'informazione, perché più si richiedono cuccioli piccoli, più alto è il tasso di mortalità nel trasporto di questi animali.
  Accanto a questo bisogna anche fare un intervento e una normativa seria sull'adozione degli animali. In particolare, penso a quelle adozioni internazionali che stanno avvenendo di animali ammalati. Il caso più classico è quello della leishmaniosi. Abbiamo la trasmissione di malattie da un Paese all'altro. Viene presentato spesso come una norma di benessere nei confronti degli animali, di questi cani, di accoglienza. Interveniamo per accogliere questi animali, ma ci troviamo di fronte a degli animali ammalati che trasferiamo da uno Stato e da un Paese membro all'altro.
  Credo che sia anche importante tenere presente tutto l'aspetto dell'affidamento dei cani e degli animali che vengono posti sotto sequestro. Spesso gli animali vengono posti sotto sequestro o in frontiera per casi di maltrattamento. Questo caso Pag. 63apre uno scenario importante. Alcune volte, ad esempio, in Italia il costo di mantenimento di questi animali fa sì che gli animali maltrattati vengano affidati magari allo stesso proprietario. Questo non è corretto. Allora bisogna pensare a dei centri e ci sono. Anche in questo caso il Ministero di giustizia deve intervenire e provvedere a fare sì che questi sequestri abbiano un buon fine.
  Credo che sia poi importante intervenire veramente sulla riduzione del numero delle cucciolate. Il fenomeno del randagismo si combatte veramente con una riduzione di quei cuccioli che vengono poi abbandonati da proprietari che non hanno presente che cosa vuol dire avere dei cani nella propria casa. Spesso ci lamentiamo che abbiamo un numero esorbitante di cani randagi.
  È stato detto prima che alcune nazioni hanno anche concesso e autorizzato l'uccisione di questi cani randagi. La prevenzione è meglio della cura. Allora, conviene intervenire: chi vuole detenere un cane lo deve sterilizzare (questo lasciando fuori gli allevatori professionali, giustamente). Però chi è proprietario di un cane deve intervenire e deve sterilizzare il proprio animale, perché abbiamo troppi animali che vengono abbandonati, soprattutto dopo il periodo di Natale, che è il periodo in cui si ha il più alto tasso di abbandono. Come ho detto prima, c’è la necessità veramente di intervenire per svuotare questi canili, proprio perché c’è la necessità di creare anche uno stato di benessere per questi animali.
  Vado a chiudere proprio sul tema della ricerca, come ho accennato in precedenza, c’è la necessità veramente di incentivare, come la UE si deve preoccupare a fare, una ricerca che porti alla riduzione dell'uso degli animali per ogni sperimentazione.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Gallinella ed altri n. 1-00160 e Prataviera ed altri n. 1-00360 concernenti iniziative per la riforma dei criteri di formazione del bilancio comunitario, con particolare riferimento al meccanismo del cosiddetto «sconto inglese» (ore 18,50).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Gallinella ed altri n. 1-00160 e Prataviera ed altri n. 1-00360, concernenti iniziative per la riforma dei criteri di formazione del bilancio comunitario, con particolare riferimento al meccanismo del cosiddetto «sconto inglese» (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  La ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicata in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Palese ed altri n. 1-00576 e Kronbichler ed altri n. 1-00579 (Vedi l'allegato A – Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Filippo Gallinella, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00160. Ne ha facoltà.

  FILIPPO GALLINELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo particolarmente soddisfatti di aver portato all'attenzione di quest'Aula e del Governo la questione della revisione dei Trattati UE e, quindi, delle modalità di appartenenza del nostro Paese all'Unione.Pag. 64
  Sappiamo bene che in questa fase di crisi economica la questione europea è molto sentita da tutti i cittadini, sia da quelli che ci hanno dato la fiducia, accordandoci il loro voto, sia – lasciatemelo dire – da tutti gli altri. Basta uscire da questo palazzo e ascoltare le persone per avere una conferma di questo.
  Chiariamo un punto: noi non siamo contrari all'Unione europea, siamo contrari a questo tipo di Unione. Ed è innegabile che ovunque, anche da parte dei più euro-favorevoli, si percepisca un marcato malcontento. Il calo della fiducia nelle istituzioni europee, per non parlare dell'euro, dilaga come un virus: il sud Europa lamenta la camicia di forza imposta dalla politica di austerità, il nord accusa il fallimento nel controllare le politiche degli Stati indebitati.
  Questa Unione è in crisi irreversibile di legittimità. I cittadini la percepiscono come un'entità astratta, lontana, sinonimo dei poteri forti e non conoscono – e io mi chiedo come potrebbero, visti i complessi meccanismi – le decisioni prese a Bruxelles. Che questi problemi si risolvano con più austerità o più Europa – più di questa Europa ? – ormai non ci crede nessuno, a parte il personale di Bruxelles e alcuni politici tedeschi.
  Riporto dei numeri per dimostrare che quanto dico non è frutto di pregiudizio o demagogia. È noto che i disoccupati nell'Unione europea hanno superato i 20 milioni, di cui 19 milioni solo nella zona euro e oltre 3 milioni in Italia. Sono stati stanziati 4 mila miliardi per salvare le banche e la loro finanza virtuale, ma se i cittadini provano a dire che con 500 euro di pensione si vive male li mettono a tacere, perché i tagli è l'Europa a chiederli.
  Ma, a fronte di questo, siamo tutti veramente convinti che anche solo ipotizzare la fine dell'euro sia così impensabile ? Sono certo che nessuno dei presenti in quest'Aula e nessuna persona di buon senso ritenga convintamente che si possa continuare con questa distruzione di ricchezza umana e materiale. È evidente che le politiche di austerità in nome della stabilità dei bilanci pubblici non funzionano. Ma poi chi le chiede ?
  Colleghi, diciamo la verità: l'integrazione europea è nata ormai più di cinquant'anni fa, con un progetto sperimentale, sulla base di alcuni onorevolissimi propositi imposti da un dopoguerra che vedeva l'Europa ridotta ad un cumulo di macerie. Poi però questo progetto si è sviluppato secondo logiche e dinamiche che nessuno dei padri fondatori poteva né avrebbe voluto immaginare. Si è formata un'Unione svincolata da qualsiasi partecipazione democratica, che funziona secondo un meccanismo mortale costruito ad hoc, nella più totale sottovalutazione della classe politica e senza mai un accenno di discussione né parlamentare né tanto meno sociale.
  E poi ci lamentiamo se essa è in crisi di legittimità ? Se la gente non capisce e non si riconosce in questa Europa ? La verità è che l'Europa è governata da un meccanismo istituzionale che non consente alcuna partecipazione, né margini di manovrabilità dal basso: decide il personale tecnico-politico transnazionale, che, attraverso i trattati, elude sempre più marcatamente la via della partecipazione democratica, del consenso, della condivisione.
  Questo è il motivo per cui l'integrazione fallisce, perché un'integrazione senza partecipazione popolare, lungi dall'arricchire, è una semplice omologazione, che distrugge le identità e soprattutto le potenzialità. E qui basta ricordare l'ormai annosa questione dell'etichettatura d'origine, parlando del nostro agroalimentare. Solo un accenno al recente patto di bilancio europeo, meglio noto come patto fiscale, che, semmai fosse rispettato, come hanno detto alcuni autorevolissimi economisti, assicurerebbe all'Italia una o due generazioni di miseria.
  È un trattato internazionale che contiene, tra le altre, la regola del pareggio di bilancio, cioè – capiamo bene – contiene norme vincolanti per l'UE, ma non fa parte del corpus normativo dell'UE. Ma di Pag. 65cosa stiamo parlando ? Ma come si può spiegare questo ai cittadini ? È questo il problema.
  Signor Presidente, il sogno europeo è svanito perché non basta più dire di volere più Europa: bisogna dire che tipo di Europa si vuole e perché.
  Non basta più dire che l'Europa è necessaria per garantire la pace fra i suoi membri, perché oggi è cambiato il modo di fare la guerra e le guerre non si combattono più con le armi, ma a colpi di spread e di politiche economiche che tolgono ai cittadini per dare alla finanza internazionale. È questa la verità.
  Ma veniamo a questa mozione, che è una diretta conseguenza di questo tipo di Europa, e cioè l'assurdo meccanismo per cui alcuni Paesi membri hanno ingiustificatamente trattamenti diversi da altri.
  Sfatiamo il mito o la convinzione che il progetto europeo sia sempre stato voluto da tutti. L'Inghilterra, lo sappiamo bene, ha sempre guardato con un certo scetticismo a questa forma di integrazione che si andava costituendo, eppure ne fa parte e ne condiziona gli sviluppi, ma solo ed esclusivamente se farne parte conviene agli stessi inglesi. Ma è questa l'integrazione solidale e federale a cui pensava Spinelli ? No, non credo. Contrariamente allo spirito dei padri fondatori, questa Unione delle politiche di austerità e dei trattati irriformabili dal basso è il frutto di divergenze e di egoismi nazionali che poi, alimentati dal diverso grado di sviluppo delle economie, hanno contribuito a costruire un'integrazione vantaggiosa per alcuni e svantaggiosa per altri, dove le regole valgono per alcuni ma non per tutti.
  Bisogna dirlo: ci sono membri di questa Unione che fin dall'inizio hanno mostrato perplessità sul progetto europeo e la loro posizione è stata impeccabilmente coerente, per cui, ogni qual volta i partner europei hanno mostrato l'intenzione di fare un altro passo sulla strada dell'integrazione, hanno utilizzato la loro presenza per frenare e dirottare (e mi riferisco alla Gran Bretagna).
  Londra ha chiesto ed ottenuto un trattamento privilegiato non solo sulla politica agricola comune, ma si è opposta, finché ha potuto, all'Atto unico europeo, ha chiesto ed ottenuto di non partecipare all'euro, quasi fosse un'onta per la sterlina nazionale (ma la Banca d'Inghilterra ha una quota rilevante della BCE, pari al 16 per cento), non ha aderito al Trattato di Schengen, non ha accettato il mandato di cattura europeo, non ha approvato il dissennato fiscal compact, dice no alla tassa sulle transazioni finanziarie perché nulla deve intaccare il ruolo della city nel mondo. Insomma, non è possibile che ci siano membri di serie B e membri di serie A, le cui resistenze nazionali all'integrazione si traducono in vere e proprie clausole di salvaguardia recepite nei trattati.
  Colleghi, questa Europa sta in piedi perché i cittadini non la conoscono e non è dato conoscerla, altrimenti mai l'approverebbero. Quanti cittadini sanno che l'Italia, per un assurdo meccanismo che pare irriformabile, è un contribuente netto al bilancio dell'Unione, cioè versa più di quanto riceve sotto forma di aiuti diretti all'agricoltura e fondi strutturali e nonostante la sua economia sia più in crisi di quella degli altri membri ?
  Quanti cittadini sanno della tradizionale revisione degli squilibri di bilancio, denominata «correzione britannica», che consente al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 65 per cento della differenza tra il suo contributo al bilancio UE e l'importo ottenuto dallo stesso bilancio, comportando, di riflesso, un ulteriore onere finanziario a carico degli Stati membri, tra cui l'Italia (ho trovato difficoltà anche a scriverlo) ?
  Questo meccanismo di sconto a favore della Gran Bretagna, noto come rebate, che tra l'altro non ha data di scadenza, si fonda sulla decisione del Consiglio europeo di Fontainebleau del 25-26 giugno del 1984 (c'era la Thatcher all'epoca), con la quale si stabilì che ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa avrebbe beneficiato di una correzione a tempo debito. Ripeto, ogni Stato membro, ma fino ad ora nessun altro Stato membro ha beneficiato di tale correzione, nonostante il dichiarato Pag. 66carattere generale della decisione del Consiglio di Fontainebleau. Le conseguenze che derivano agli interessi italiani da tale disposizione sono rilevanti, considerando che Roma e Parigi da sole contribuiscono a versare a Londra la metà dell'importo complessivo del rebate. Ma c’è altro: gli accordi presi a Fontainebleau erano motivati da un consistente stanziamento di risorse comunitarie a titolo dell'allora nascente politica agricola comune e tali da poter giustificare particolari agevolazioni concesse ai Paesi con scarsa vocazione agricola come la Gran Bretagna. Poi la Gran Bretagna importava e c'erano i dazi alle frontiere. Insomma, una serie di situazioni che adesso non ci sono più. Nel corso del tempo, come è noto, la spesa agricola dell'Unione europea si è notevolmente ridotta tra l'altro. L'accordo sulle prospettive finanziarie 2014-2020 raggiunto lo scorso febbraio conferma che gli attuali meccanismi di correzione per il Regno Unito continueranno ad applicarsi. Allora, signor Presidente, magari nell'attesa che alcuni membri escano dall'ambiguità e decidano di stare in Europa a pieno titolo e non solo perché gli conviene, noi chiediamo l'impegno del Governo a mettere all'ordine del giorno dell'agenda europea di questo semestre di Presidenza italiana la revisione degli accordi di Fontainebleau e adeguati correttivi al bilancio comunitario al fine di eliminare lo squilibrio a carico del nostro Paese.
  Signori – e vengo alla conclusione – se non vengono ridiscussi i termini dei trattati europei, non solo questo, non ha senso parlare di crescita economica e di rilancio dell'Unione europea. Concludo dicendo a titolo personale che nessuna Unione è auspicabile quando si fondi sul sacrificio delle libertà. Le regole europee vanno cambiate. Le decisioni non possono essere prese contro le maggioranze elette (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00576. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la paradossale e oramai anacronistica intesa siglata trent'anni fa, nel giugno del 1984, nell'ambito del Consiglio europeo di Fontainebleau, riconobbe un eterno rimborso alla Gran Bretagna, in quanto il suo contributo al bilancio comunitario era sproporzionato alla sua prosperità relativa. Il sistema delle cosiddette scontistiche, stando a quanto contenuto all'interno del nuovo Quadro finanziario pluriennale 2014-2020, entrato in vigore lo scorso 1o gennaio, è ancora in vita e vede il nostro Paese tra i primi finanziatori del rimborso inglese. Tutto ciò rappresenta, infatti, l'occasione per intervenire rapidamente nelle sedi europee e rinegoziare un accordo ratificato sulla base di una serie di discutibili argomentazioni contabili riferite alla politica agricola.
  Un meccanismo, quello del cosiddetto sconto inglese, che, se non si interviene rapidamente, continuerà anche per i prossimi sette anni, essendosi trasformato nel corso degli anni in un ingegnoso strumento politico così favorevole per la Gran Bretagna. Un sistema impostato sulla base dei consuntivi annuali dell'Unione europea, in cui l'importo dello sconto viene determinato di volta in volta, risultando pari al 66 per cento della differenza tra l'ammontare del versamento annuale della Gran Bretagna all'Unione europea e quello che ne ha ricevuto indietro, alla cui copertura si provvede ripartendo la somma corrispondente a titolo di addizionale fra tutti gli Stati membri in proporzione al rispettivo reddito nazionale lordo. Un metodo e soprattutto un onere divenuto non più sostenibile per il nostro Paese, che per il prossimo settennato previsto dal bilancio pluriennale 2014-2020 resterà il terzo contribuente netto del bilancio comunitario dopo Germania e Francia e fra i maggiori finanziatori del rimborso inglese e terzo pagatore del Fondo salva-Stati.
  È un'Europa molto costosa, come si vede, con una grande differenza: gli indici di prosperità relativa tedesco e francese sono nettamente migliori di quello italiano, con i fondamentali dell'economia Pag. 67che non presentano segnali di debolezza e fragilità come nel nostro Paese. Ciononostante, nel corso degli anni numerosi Stati membri (Germania, Austria, Olanda e Svezia) sono riusciti a correggere il proprio contributo, attraverso una minima parte dell'addizionale prevista per lo sconto inglese, ma l'Italia, divenuta la Cenerentola d'Europa, prosegue con una politica paradossale di distribuzione di rimborsi insostenibili, squilibrati, divenuti paradossali per un Paese indebitato come il nostro, che deve pagare per un Paese che peraltro non rientra fra i 28 Stati membri e che certamente è messo in condizioni generali migliori del nostro.
  La mozione presentata dal Gruppo di Forza Italia, pertanto, è volta a sollecitare il Governo affinché, proprio all'interno del calendario degli impegni previsti nel semestre di Presidenza italiana e delle stringenti misure che urgono per il nostro Paese, sia rivista con la dovuta e necessaria fermezza un'intesa internazionale siglata nel 1984 da Margaret Thatcher, quella dello sconto inglese, ottenuta peraltro con norma transitoria, valida sino a quando non si fosse riformata la PAC in modo radicale.
  Una norma transitoria che viene applicata da trent'anni e poi se ne aspettano anche altri sette, quindi arriviamo a 40 anni: più che transitoria sembra una norma eterna. Un accordo che, se trent'anni fa poteva riscontrare una motivazione logica a fronte dell'ingente spesa comune a titolo di politica agricola, attualmente, con una dotazione PAC assolutamente ridotta rispetto agli altri stanziamenti e di un sistema finanziario dell'Unione europea profondamente rivisitato dal 1984, appare del tutto superato, nonostante nelle prospettive finanziarie 2014-2020 indicate dal Quadro Finanziario Pluriennale, il meccanismo della scontistica, come evidenziavo in precedenza, continui ad essere attribuito.
  Ed è per questo che all'interno della nostra mozione, riteniamo che sia necessaria un'azione rigorosa del Governo italiano in ambito europeo attraverso misure compensative almeno a favore dell'agricoltura italiana. Penso, ad esempio, che possa prevedersi almeno l'esclusione dai vincoli previsti dal Patto di stabilità per le risorse assegnate 2014-2020 sia per i provvedimenti sull'agricoltura, i piani di sviluppo rurale, sia per la pesca. È pertanto una occasione idonea ed opportuna da prevedere all'interno dell'agenda europea del semestre di Presidenza italiana !
  Ritengo inoltre importante aggiungere un'ultima considerazione sulle dinamiche passate in merito all'onerosa intesa internazionale riguardante il contributo inglese al bilancio comunitario. Un'osservazione che vale più come un invito al Governo Renzi a non seguire il comportamento tenuto da Romano Prodi nell'ambito del mandato di Presidenza della Commissione europea nel suo quinquennio, fino al 2004, atteggiamento riscontrato all'epoca quando il paradossale ed iniquo rimborso inglese avrebbe dovuto essere da lui denunciato e rivisto al ribasso, favorendo l'Italia. Un iniquo e inspiegabile privilegio che non è stato mai messo veramente in discussione se non soltanto con l'arrivo del successivo Presidente Barroso, che prese una posizione forte, ritenendo che non ci fossero più le condizioni per concedere uno sconto così eclatante al Regno Unito.
  Pertanto, signor Presidente, l'auspicio è che, sia nell'ambito delle iniziative in chiave di allentamento delle regole del bilancio comunitario previste nel semestre di Presidenza, sia nei riguardi di un meccanismo che necessita di un correttore del cosiddetto «sconto inglese», il Governo italiano possa modificare lo sconto stesso fatto al Governo britannico, aggiornandolo in maniera più equilibrata e favorevole per l'Italia, all'interno del bilancio comunitario che resta impegnato nella riforma PAC, che assorbe circa il 40 per cento delle risorse comunitarie, anche attraverso misure compensative a favore dell'agricoltura italiana, come il gruppo di Forza Italia evidenzia nella mozione presentata con l'intendimento di impegnare il Governo, soprattutto in questo semestre europeo, a porre rimedio a questo vero e proprio scandalo che dura da trent'anni e che non Pag. 68può essere portato avanti per altri sette e magari non sappiamo per quanto ancora.
  Ma, in alternativa, visto che è presente nei banchi del Governo un rappresentante autorevole di esso, sottosegretario, in subordine, che almeno il nostro Governo ponga il problema e ottenga dall'Unione europea che, nel programma 2014-2020, le risorse destinate direttamente all'agricoltura per la PAC, praticamente i piani di sviluppo rurale, e quelle relative alla pesca, che ammontano ad oltre 50 miliardi di euro, almeno quelle siano calcolate fuori dal Patto di stabilità: almeno questo sarebbe già un motivo di attenzione e anche forse di necessaria ed ineludibile istanza da parte del Governo italiano.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Kronbichler, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00579. Ne ha facoltà.

  FLORIAN KRONBICHLER. Signor Presidente, caro rappresentante del Governo, caro collega e care colleghe (ormai siamo in famiglia), Sinistra Ecologia Libertà coglie, come pure altri gruppi, l'occasione del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, primo per valutare, in sede di Consiglio europeo, la riallocazione dei saldi netti dei singoli Stati membri in funzione della clausola di revisione del Quadro Finanziario Pluriennale per quelle priorità politiche dell'Unione europea le cui dotazioni finanziarie potrebbero rilevarsi insufficienti.
  Secondo: a valutare, con gli altri Paesi europei, il rifinanziamento in quota parte degli stanziamenti fuori bilancio. Terzo: a rivedere il tanto citato «sconto inglese», ma non solo, perché non corrisponde a verità quello che ha detto il collega del MoVimento 5 Stelle che sarebbe solo l'Inghilterra ad avere questo sconto. Ci sono tanti sconti, e sconti quasi per tutti, anche per l'Italia.
  Noi chiediamo al Governo di rivedere nella loro interezza gli attuali meccanismi di correzione previsti per alcuni Paesi alla luce delle mutate condizioni macroeconomiche all'interno dell'Unione europea, affinché si determini una effettiva perequazione delle risorse finanziarie. A spiegare il bisogno di una tale riforma organica dei criteri di formazione del bilancio comunitario credo possa aiutare una breve cronistoria di tale bilancio.
  All'inizio del processo d'integrazione europea, ai tempi del Trattato di Roma del 1957, il bilancio dell'allora Comunità economica europea era molto modesto e finalizzato a coprire quasi esclusivamente le spese amministrative. Nel 1965, i pagamenti destinati alla Politica agricola comune assorbivano circa il 35 per cento del bilancio, per arrivare, nel 1985, ad oltre il 70 per cento. Nel 2013, la percentuale della spesa tradizionale della Politica agricola comune (esclusa quella per lo sviluppo rurale) è stata veramente, di nuovo, riportata fino ad una soglia poco oltre il 30 per cento.
  Il Consiglio europeo, riunito a Fontainebleau, nel giugno del 1984, ha adottato l'accordo così denominato – Accordo di Fontainebleau – secondo cui il Regno Unito ottenne il cosiddetto sconto inglese. Lo sconto venne concesso dopo che il Primo Ministro, Margaret Thatcher, minacciò di fermare i pagamenti al bilancio dell'Unione europea, giungendo ad affermare che: «Non stiamo chiedendo soldi alla Comunità o a chiunque altro. Stiamo semplicemente chiedendo di avere i nostri soldi indietro». Il vertice di Fontainebleau ha convenuto sul diritto di ogni Stato membro che si assuma un eccessivo peso di bilancio rispetto al suo livello di crescita, a beneficiare di un bilancio di correzione. Tecnicamente, lo «sconto inglese», in un dato anno, è pari al 60 per cento del contributo netto versato dalla Gran Bretagna nell'anno precedente.
  C'erano delle ragioni per l'apparente sconto. Il Regno Unito, per caratteristiche territoriali e geografiche, ha una minore superficie di suolo agricolo utilizzabile e, di conseguenza, ha storicamente avuto una minore presenza di aziende agricole. All'epoca dell'accordo, il Regno Unito era il terzo membro più povero della Comunità, ma, allo stesso tempo, stava per diventare il più grande contribuente netto al bilancio Pag. 69dell'Unione europea, di cui più del 70 per cento era composto dalla Politica agricola comune.
  Tuttavia, ad oggi, il Regno Unito è uno dei Paesi più ricchi dell'Unione europea: più benestante rispetto alla maggior parte dei vecchi Stati membri dell'Unione europea e molto più ricco rispetto ai nuovi membri della Comunità. Tutti i membri dell'Unione europea pagano lo sconto in proporzione alla dimensione delle loro economie, tuttavia, quattro tra i principali contribuenti netti al bilancio – Germania, Paesi Bassi, Svezia e Austria – pagano solo un quarto di ciò che sarebbe altrimenti la loro parte nella correzione.
  Il risultato, spiacevole per noi, è che Francia e Italia, tra loro, pagano circa la metà del totale dello «sconto inglese». Nello specifico, guardando i dati più recenti, la Germania per il 2011 ha versato 23 miliardi di euro e ne ha ricevuti 11,8, ovvero la metà; la Francia ha versato 19,5 miliardi di euro e ne ha ricevuti 13, la Gran Bretagna ha versato 14,6 miliardi, di euro, sempre, e ne ha ricevuti 6 e qualcosa. Attualmente, i Paesi che beneficiano maggiormente del contributo europeo sono: la Polonia per prima, l'Ungheria, la Grecia e la Spagna. L'Italia per il 2011, ha contribuito al bilancio europeo con poco più di 16 miliardi di euro e ha ricevuto dall'Unione europea poco più di 9,5 miliardi di euro. Per l'intero bilancio europeo 2007-2013, quindi, l'Italia ha speso circa 112 miliardi di euro e ne ha avuti indietro circa 66, che sono la metà.
  Quindi, va preso atto che il Consiglio dell'Unione europea ha approvato definitivamente, nel dicembre 2013 un anno fa, anzi, mezzo anno fa, il regolamento relativo al quadro finanziario pluriennale 2014-2020 e l'accordo interistituzionale sulla disciplina di bilancio, la cooperazione in materia di bilancio e la sana gestione finanziaria, che erano stati già approvati dal Parlamento europeo nel novembre dell'anno scorso. Il Consiglio europeo del dicembre sempre dell'anno scorso ha pure accolto, in parte, le proposte della Commissione volte ad una riforma profonda del sistema di finanziamento, ma i sistemi di correzione a favore di alcuni Stati membri ha deciso di mantenerli. Gli attuali meccanismi di correzione per il Regno Unito continueranno ad applicarsi.
  L'Italia, secondo questi calcoli, migliorerebbe la sua posizione nell'ambito del cosiddetto saldo netto, che è la differenza tra i contributi dell'Italia al bilancio dell'Unione europea e i fondi ricevuti, che, pur restando negativo, passerà dagli attuali 4.500 milioni di euro l'anno per il periodo 2007-2013, corrispondenti allo 0,28 per cento del reddito nazionale lordo, a 3.850 milioni di euro l'anno per il periodo 2014-2020, corrispondenti allo 0,23 per cento, quindi una percentuale minimamente poco inferiore, con una riduzione media di 650 milioni di euro per l'intero periodo dei prossimi sei anni. Facendo così, l'Italia diverrebbe il terzo minor contribuente netto, dopo Belgio e Spagna. Ci tengo a ricordare che sono stati previsti fuori dal quadro finanziario pluriennale stanziamenti fuori bilancio, quali il fondo di solidarietà, destinato a gravi catastrofi, con uno stanziamento annuale di 500 milioni di euro, lo strumento di flessibilità destinato a spese impreviste con uno stanziamento (un po’ meno) di 470 milioni, la riserva per gli aiuti di emergenza a favore dei Paesi terzi, con uno stanziamento di 280 milioni di euro, e altri piccoli interventi ancora.
  Detto tutto ciò, quindi, vado a concludere. Sinistra Ecologia Libertà vuole impegnare il Governo, nel semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, a valutare in sede di Consiglio europeo la riallocazione dei saldi netti dei singoli Stati membri; a valutare, pure, con gli altri Paesi europei il rifinanziamento in quota parte degli stanziamenti fuori bilancio; a rivedere gli attuali meccanismi di correzione previsti per questi Paesi e non solo il famoso «sconto inglese», alla luce delle mutate condizioni macroeconomiche all'interno dell'Unione europea, affinché si determini una effettiva perequazione delle risorse finanziarie.

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  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Chaouki. Ne ha facoltà.

  KHALID CHAOUKI. Signor Presidente, cari colleghi, gli accordi presi dal Consiglio europeo a Fontainebleau nel lontano 1984, che prevedono in favore della Gran Bretagna uno sconto, un beneficio, originavano dall'esigenza di compensare un Paese a scarsa vocazione agricola che, a differenza di Francia e Italia, non usufruiva dei cospicui finanziamenti della nascente politica comune europea. È evidente come quelle argomentazioni alla base degli accordi di Fontainebleau siano oggi superate e dunque assolutamente condivisibili le riflessioni volte a un superamento di quegli accordi. Occorre infatti superare quelle scelte e la persistenza nell'accordare tale vantaggio (confermato anche nel 2007) ingiustificato e anacronistico, anche in considerazione della crisi economica che ha colpito in maniera diversa alcuni Paesi membri, ma soprattutto in seguito alla riduzione delle risorse europee in particolare in materia di PAC. La permanenza di ingiustificati vantaggi a favore di un solo Paese non fa che aumentare gli squilibri fra gli Stati membri. È evidente, dunque, la necessità di avviare una riflessione in sede europea affinché tali meccanismi e criteri siano rivisti e rinegoziati, anche a fronte della persistente dicotomia fra quanto versato nel bilancio europeo e quanto ricevuto da parte dell'Italia. Da un lato va superato il criterio del rebate, quale è quello previsto per il Regno Unito, e ogni forma di regolamentazione che inserisca eccezioni e deroghe nazionali in una logica di negoziazione intergovernativa e bilaterale, dall'altro bisogna riaffermare la necessità di rivedere i meccanismi di predisposizione del bilancio europeo, che nell'ultima programmazione del quadro finanziario pluriennale ha visto per la prima volta una contrazione, su spinta dell'azione dei Paesi rigoristi. Contrazione che in parte e’ stata mitigata, anche grazie alla battaglia italiana in tale direzione, da alcuni interventi correttivi del Parlamento europeo che prevedono una maggiore flessibilità per l'uso delle risorse.
   Le esigue risorse del bilancio europeo indeboliscono infatti l'Europa e rendono difficile il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di Europa 2020, con particolare riferimento alle iniziative faro per la ricerca, gli investimenti produttivi, la lotta contro la povertà e la disoccupazione e in favore della cittadinanza europea. L'insufficienza di risorse appostate a livello europeo evidenzia poi la situazione squilibrata anche per quanto riguarda i cosiddetti saldi netti. A questo proposito va comunque precisato che, a differenza di quanto contenuto nelle due mozioni, l'Italia, seppure mantenga ancora un saldo netto negativo e peggiorando la sua posizione, al 12o posto in Europa in termini di PIL pro capite, ha tuttavia migliorato nel 2013 la sua posizione, divenendo il terzo contributore netto, passando dagli attuali 4.500 milioni di euro l'anno per il periodo 2007-2013, corrispondenti allo 0,28 per cento del RNL, a 3.850 milioni di euro l'anno per il periodo 2014-2020, con una riduzione media annuale di 650 milioni di euro per l'intero periodo 2014-2020. Il saldo negativo, secondo i dati finanziari con la UE, risulta di 5,7 miliardi di euro, a fronte dei 6,6 miliardi di euro del 2011. Il miglioramento è stato ottenuto grazie ad un aumento netto delle risorse destinate all'Italia per la realizzazione di programmi europei nell'ambito della politica di coesione, in controtendenza rispetto ad una generalizzata riduzione dei finanziamenti per la politica di coesione per gli altri Stati membri. Va inoltre ricordato che il saldo negativo italiano deriva in parte anche dal cattivo uso da parte del nostro Paese delle risorse europee, quindi da problemi nostri e non dell'Europa: fondi strutturali spesso usati in maniera frammentaria, senza obiettivi né una visione strategica per lo sviluppo del Paese, o peggio non completamente utilizzati, così come avvenuto anche nella programmazione conclusasi nel 2013 nella quale abbiamo speso solo circa il 52,7 per cento dei fondi comunitari.
  Per tutto quanto detto, è importante sottolineare che, pur essendo giusto il superamento di questa anacronistica clausola in favore della Gran Bretagna, è Pag. 71fuorviante ritenere che tale problematica sia la questione centrale o dirimente per superare gli squilibri esistenti nell'area euro e per incentrare una battaglia italiana in occasione della nostra Presidenza del semestre UE per un cambio di passo e per una vera svolta nelle politiche europee. Occorre invece cogliere l'occasione della Presidenza italiana dell'Europa per costruire un'Europa dove ritrovare un nuovo protagonismo italiano in sede europea e ribaltare complessivamente la logica sbagliata che fino ad oggi ha caratterizzato le politiche europee, incentrate sull'ossessione dell'austerità e di rigore dei bilanci pubblici, senza la previsione di risorse a livello europeo in favore di politiche per gli investimenti e la crescita, in grado di sopperire a livello sovranazionale alla contrazione a livello nazionale; politiche sempre agitate a parole ma poi mai implementate con risorse europee adeguate, anzi messe a rischio dalla recente approvazione del bilancio settennale con riduzione di risorse.
  Che quelle politiche in Europa si siano rivelate sbagliate, inefficaci e in tali casi disastrose, lo confermano i risultati negativi in riferimento all'aumento della disoccupazione giovanile, ma soprattutto al calo del PIL in tutta la zona euro.
  I recenti dati di agosto evidenziano un calo preoccupante perfino per la stessa Germania e ci dicono che la stasi dello sviluppo è un problema europeo: un problema a cui l'Europa della moneta unica deve dare risposte comuni che vanno oltre le leve della moneta e del credito.
  Il problema non è dunque il caso Italia, ma come invertire la rotta in tutta Europa. Per tali ragioni, va accolto come un primo importante segnale di cambiamento positivo – anche se non sufficiente – l'annuncio del nuovo Presidente della Commissione europea, Junker, per la predisposizione di un piano europeo di investimenti di 300 miliardi di euro in tre anni, per infrastrutture, trasporti, efficienza energetica, ricerca e innovazione. Un programma per la crescita che va sostenuto anche se occorre incalzare il nuovo Presidente della Commissione UE per anticipare, già a partire dal prossimo consiglio europeo di dicembre 2014, l'operatività del piano prima della data annunciata, febbraio 2015, facendo pressioni – anche in occasione della Presidenza italiana – affinché siano indicate meglio le risorse, anche quelle aggiuntive – visto che quelle indicate nella BEI potrebbero risultare insufficienti – con indicazioni dettagliate di obiettivi e strumenti.
  La battaglia italiana deve dunque incentrarsi sulla necessità di far valere in sede europea le ragioni in favore dell'attuazione del Patto di stabilità e crescita che tenga conto di una maggiore flessibilità per quanto riguarda il piano di rientro del debito, a fronte di una chiara implementazione delle riforme strutturali. È bene poi precisare che la richiesta di maggiore flessibilità per cui l'Italia dovrà battersi in sede europea – battaglia che tutto il Parlamento italiano dovrà sostenere convintamente a sostegno dell'azione dell'Esecutivo – non è la richiesta di uno «sconto» da parte del nostro Paese, ma è la riaffermazione del rispetto di quanto prevedono i Trattati europei, contro un'interpretazione sbagliata e suicida dei trattati da parte dei Paesi rigoristi.
  Il rispetto dei vincoli di bilancio non è in discussione. Quello su cui occorre concentrarsi è la declinazione corretta della flessibilità ai fini del rallentamento dal rientro del debito, che obbligherà il nostro Paese, in applicazione del fiscal compact, dal 2016 a un taglio dello stock di debito insostenibile. La domanda di maggiore flessibilità non comporta una modifica delle regole europee che già contemplano l'uso di margini di flessibilità, ma la richiesta di applicazione delle norme già esistenti, come quelle contemplate dal Regolamento europeo n. 1466 del 1997, secondo il quale se le riforme sono serie e hanno effetti sulla crescita nel medio periodo è possibile concedere deviazioni temporanee sui conti e applicando quelle che fanno riferimento alla crescita che prevedono di far rispettare i trattati anche a quei Paesi come la Germania che, avendo un surplus commerciale, hanno sforato il tetto imposto dai Trattati.Pag. 72
  I fatti ci hanno dimostrato che il paradigma del rigore fiscale, non controbilanciato dal rilancio degli investimenti e dal rafforzamento dell'economia reale, ovvero il paradigma del rigore virtuoso che auto-genera crescita senza politiche economiche per rafforzare le infrastrutture materiali ed immateriali, non regge. L'Unione monetaria europea nella gestione della crisi ha deluso e occorre voltare pagina anche perché, malgrado le regole di bilancio rigide, e irrigidite con il fiscal compact, non è riuscita a evitare un aumento del debito sul PIL di 30 punti percentuali tra il 2008 e il 2013. La concomitanza degli aumentati interessi sul debito e del calo nella crescita del PIL, ma anche l'inadeguatezza degli stabilizzatori economici e i confusi salvataggi di vario tipo hanno creato lo stallo odierno fatto di frammentazione e di bassa crescita.
  Per questi motivi, noi del Partito Democratico continuiamo a proporre, nel Parlamento europeo e nei Parlamenti nazionali, di andare oltre una politica economica restrittiva e prociclica, semplicemente basata sull’austerity e di superare le eccessive rigidità delle regole sottese al ciclo europeo del bilancio. Oggi, diversamente, noi crediamo vada accolta l'esigenza di rianimare e rifondare un rapporto con i cittadini anche attraverso il potenziamento degli strumenti di democrazia diretta, come l’ iniziativa legislativa e il referendum a livello europeo. Una questione democratica in Europa, coinvolgendo i cittadini, esiste oggi effettivamente se non si vuole far morire il sogno europeo e lasciare agli anti-euro, ai populisti e antieuropeisti una questione che ci appartiene e di cui ci dovremmo occupare, uno sviluppo più legato alla crescita della popolazione e non solo agli interessi degli istituti finanziari. In particolare, l'Italia che, fra i Paesi membri fondatori è stato il Paese che più ha investito nel ritorno di vantaggi e nel sogno europeo di Altiero Spinelli; una cessione di sovranità nazionale in favore di poteri sovranazionali può essere condivisa solo in una cornice di maggiore democrazia delle istituzioni europee, caratterizzate non da apparati burocratici che decidono in base a meccanismi non democratici, ma contrassegnate dalla capacità di valorizzare il rapporto con le istituzioni parlamentari nazionali ed europee, con i corpi intermedi nella società e i cittadini, avendo come riferimento – e concludo – l'accoglimento delle esigenze e delle istanze del corpo elettorale, capace di creare una nuova identità di cittadinanza europea, in grado di superare l'Europa chiusa nella difesa di interessi e istanze esclusivamente intergovernative, o peggio, dei soli interessi egoistici e nazionalistici di alcuni stati membri. Solo coinvolgendo i cittadini si potrà avere secondo noi un'Europa diversa.

  PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

Modifica nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare e affidamento dei poteri attribuiti dal Regolamento nell'ambito del medesimo gruppo.

  PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta il 3 settembre 2014, il deputato Alessio Mattia Villarosa ha reso noto che l'assemblea del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ha proceduto alla sua elezione a presidente del gruppo in sostituzione del deputato Riccardo Nuti.
  Il presidente del gruppo ha altresì comunicato che alla deputata Paola Carinelli rimane affidato l'esercizio delle funzioni di vicepresidente vicario e di portavoce del gruppo medesimo e ha reso noto la seguente ulteriore nuova composizione del comitato direttivo: vicepresidenti i deputati Andrea Cecconi, Davide Crippa e Carlo Sibilia; segretario la deputata Silvia Giordano; tesoriere il deputato Vincenzo Caso.
  Ai deputati Davide Crippa e Carlo Sibilia è affidato l'esercizio dei poteri attribuiti in caso di assenza o impedimento del Pag. 73presidente, secondo quanto previsto dall'articolo 15, comma 2, del Regolamento della Camera.

Annunzio della convocazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati per la sua costituzione.

  PRESIDENTE. Comunico, d'intesa con il Presidente del Senato, che la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati è convocata per martedì 9 settembre 2014, alle ore 14, presso la sede di Palazzo San Macuto, per procedere alla propria costituzione.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Venerdì 5 settembre 2014, alle 10:

  Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

  La seduta termina alle 19,30.

TESTO INTEGRALE DELLE RELAZIONI DEI DEPUTATI GIANLUCA PINI E MASSIMO ARTINI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 2598-A

  GIANLUCA PINI, Relatore di minoranza per la III Commissione. Onorevoli colleghi, il disegno di legge di conversione del decreto-legge 109/2014 recante l'ennesima proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di Polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei comitati degli italiani all'estero, presenta diversi problemi sui quali è opportuno promuovere una riflessione approfondita.
  Si tratta, in realtà, delle stesse questioni di sempre, sulle quali si era cercato di attirare l'attenzione dell'Assemblea della Camera anche in occasione della conversione del decreto-legge 2/2014 e, prima ancora, di quella del decreto legge 114/2013 circa un anno fa.
  Com'era prevedibile, ed era stato previsto, il quadro delle missioni prorogate sino allo scorso 30 giugno viene confermato fino alla fine dell'anno in corso. E risulta confortata dall'evidenza dei fatti anche la circostanza che la precedente autorizzazione coprisse soltanto un semestre a causa di motivi d'ordine economico-finanziario.
  Le risorse allocate dalla Legge di Stabilità 2014 al Fondo per l'alimentazione delle missioni di pace – di cui all'articolo 1, comma 1240, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 – sono state infatti quasi interamente consumate dagli interventi svolti nei primi sei mesi di quest'anno e per riuscire ad arrivare sino alla fine del 2014 si è dovuto ricorrere a coperture davvero inconsuete.
  Il loro reperimento è stato talmente difficoltoso che lo stesso Ministro della Difesa ha ammesso in Parlamento come proprio questo fatto sia stato alla base del ritardo con il quale il decreto-legge 109/2014 è stato varato dal Consiglio dei Ministri.
  Ben 200 milioni di euro sono attinti dagli interessi sugli strumenti finanziari utilizzati per ricapitalizzare il Monte dei Paschi di Siena, mentre altri 213 sono giunti da una riprogrammazione straordinaria delle spese del Ministero della Difesa che significa una sola cosa: per la prima volta, il Dicastero militare ha dovuto pagare una parte significativa degli oneri connessi allo svolgimento degli interventi all'estero con denaro proveniente dalle proprie risorse ordinarie. Si ritiene utile che il Parlamento sia al più presto portato a conoscenza delle voci penalizzate e dei Pag. 74tagli che è stato necessario apportarvi per finanziare altri sei mesi di operazioni internazionali.
  In questo modo di procedere si è già in passato ravvisato un pericolo importante per i soldati dispiegati in aree a rischio operativo non di rado elevato. Riteniamo opportuno sollevare la questione nuovamente adesso, in occasione dell'esame dell'atto Camera 2598, anche perché appare necessario giungere rapidamente ad una forma più organica di programmazione e gestione degli interventi oltremare delle Forze Armate, possibilmente meno velleitaria e più conforme alle possibilità attuali del Paese.
  Programmazione e gestione più ordinata delle operazioni all'estero detterebbero in effetti una più accurata e rigorosa selezione degli interventi secondo l'effettiva capacità finanziaria di sostenerli nell'arco dell'anno, tenendo ovviamente conto dell'importanza degli obiettivi perseguibili attraverso il loro svolgimento.
  Da tempo, del resto, si insiste in Parlamento sull'opportunità di una drastica riduzione degli impegni, che ponga fine alla loro disordinata moltiplicazione e dispersione, che spesso si traducono in un'inutile parcellizzazione delle iniziative, che accresce le spese senza recare alcun dividendo politico. Non è purtroppo una novità, ma una costante ricorrente nel modo in cui il nostro ordinamento si rapporta all'uso del proprio strumento militare, non di rado ridotto alla stregua di una mera pedina impiegata per mostrar bandiera, senza eccessiva considerazione degli interessi effettivamente in gioco, della loro importanza relativa e del rapporto costo-benefici insito in ogni scelta di impegno.
  Il decreto-legge 109/2014 di cui è chiesta la conversione in quest'Aula si colloca precisamente nel solco di questa infelice tradizione, come i decreti n. 2/2014 e n. 114/2013 che lo hanno preceduto. È stata quindi persa un'altra preziosa occasione per avviare una spending review anche in questo campo, cosa della quale ci si rammarica, anche alla luce dell'ampiezza delle riduzioni di spesa nel frattempo apportate a danno di altre strutture essenziali dello Stato, come quelle che tutelano la sicurezza dei cittadini nella loro vita di tutti i giorni.
  L'insieme degli interventi rinnovati fino alla fine dell'anno è rimasto obiettivamente impressionante, anche se si osserva una contrazione degli uomini e delle donne inviati all'estero, per la verità concentrata nella missione afghana. Come evidenzia la stessa struttura del provvedimento all'esame, ci sono ancora nostri militari in Africa, Asia ed Europa, oltre che nel Mediterraneo, nel Mar Rosso e nell'Oceano Indiano. Il quesito se non si stia per caso esagerando non è quindi fuori luogo.
  In taluni casi, si tratta di presidi pressoché insignificanti dal punto di vista tecnico-operativo: si pensi ai 31 uomini inviati sotto tre insegne differenti nei territori dell'Autorità Nazionale Palestinese, ma ciò nonostante incaricati del compito di contribuire all'addestramento degli eredi di Al Fatah, o ai quattro osservatori attribuiti all'UNFICYP, la forza Onu in Cipro, o, ancora, ai quattro militari con i quali partecipiamo alla EUMM Georgia, avviata nel lontano 2008, o ai cinque conferiti all'ALTHEA in Bosnia-Erzegovina, forse utili solo a raccontarci cosa sta accadendo nelle municipalità di quello sfortunato Paese.
  Servono davvero ? Cosa portano in termini concreti al Paese ? È forte l'impressione che se ne possa fare a meno senza pagare alcuno scotto significativo.
  Poi, ci sono le operazioni di maggior importanza. Si considerino, in particolare, l'ISAF e le missioni accessorie che vedono unità delle Forze Armate impegnate nel difficile compito di stabilizzare l'Afghanistan. All'origine, la loro partecipazione a questo sforzo rappresentava uno dei contributi più significativi dati alla grande campagna contro il terrorismo transnazionale di matrice jihadista avviata dopo i fatti dell'11 settembre 2001. Ma il senso della missione internazionale è nel frattempo mutato, insieme agli orientamenti generali dell'Amministrazione Obama, e merita chiedersi se davvero valga ancora Pag. 75la pena di mantenere sul suolo afghano molte centinaia di soldati – 1.500 attualmente, con 415 mezzi terrestri e 25 aeromobili ancora al seguito – mentre è in atto un ritiro che coinvolge molti importanti alleati.
  L'interrogativo circa l'opportunità di andare avanti è reso adesso anche più urgente dalla circostanza che la stessa Casa Bianca abbia chiarito come l'America non conti più di restare in Afghanistan oltre il 2016. Sempre ammesso, naturalmente, che trovi soluzione la disputa insorta a Kabul sui risultati del ballottaggio presidenziale e s'insedi quindi al più presto un nuovo Capo dello Stato capace di porre la propria firma sul Bilateral Security Agreement afghano-americano senza il quale non potrà esservi alcun impegno: né statunitense, né atlantico.
  L'opinione pubblica merita nel frattempo di sapere che nelle aree già restituite alla responsabilità delle Forze di Sicurezza Afghane la guerriglia la fa ormai da padrona: è accaduto sia a Bala Murghab che nel Gulistan, tenuti al prezzo di un pesante tributo di sangue del tutto vanificato, e non passa giorno senza che dalla Regione occidentale afghana giungano cattive notizie sotto il punto di vista della sicurezza locale. Di tale triste situazione, una delegazione parlamentare ha potuto direttamente rendersi conto, visitando Herat nello scorso autunno, proprio nel giorno in cui veniva attaccato il locale Consolato statunitense.
  Quanto al Libano, la partecipazione all'UNIFIL II si è di fatto trasformata in una vulnerabilità strategica, essendo ormai il Paese dei Cedri lambito dall'offensiva dei miliziani islamisti dell'Isis. Né risulta che la diplomazia italiana abbia tratto finora particolare giovamento dalla presenza dei soldati schierati a sud del fiume Litani. Eppure, si rimane ancora in quel teatro con ben 1.110 uomini, accompagnati da 647 mezzi terrestri e sei aeromobili.
  Non pare molto prudente neanche esacerbare ulteriormente la contrapposizione con la Federazione Russa, assicurando ancora la partecipazione di ben cinque navi e 4 aeromobili della nostra Marina Militare alla Active Endeavour malgrado l'Alleanza Atlantica ne abbia silenziosamente modificato da poco gli obiettivi, inserendo il raggruppamento nell'insieme di forze incaricate di rassicurare i Paesi preoccupati dell'evolversi della crisi in atto in Ucraina, senza che nel nostro Paese si aprisse un dibattito al riguardo.
  Si tratta di una scelta che in prospettiva pone a rischio importanti interessi commerciali del nostro Paese, che sta già avvertendo le conseguenze negative delle sanzioni imposte dalla Russia contro i prodotti agroalimentari europei in risposta alle misure aggressive varate dall'Ue.
  Suscitano invece minori dubbi altri interventi, come la partecipazione alla lotta antipirateria, per quanto sia stata indirettamente all'origine dell'imbarazzante vicenda dei marò, che ci vede tuttora contrapposti all'India e, soprattutto, il complesso delle misure pensate per assistere la Libia nel difficile percorso verso la stabilizzazione ed il connesso ripristino di adeguate capacità locali di controllo dei flussi migratori.
  Della nostra presenza in Libia dovrebbe anzi a nostro avviso essere promosso un significativo rafforzamento, che è stato del resto sollecitato in vario modo anche dagli Stati Uniti, in particolare durante la visita a Roma del Presidente Barack Obama dello scorso 27 marzo, ed è utile anche sotto il profilo del soddisfacimento delle esigenze della politica energetica nazionale, specialmente in un momento storico di grande difficoltà nei rapporti tra l'Unione Europea e la Federazione Russa.
  I dispositivi già presenti sul suolo libico sono certamente un passo nella direzione giusta, ancorché timido: sia quello interamente nazionale che quello inserito nella Eubam Libya. Sarebbe però da raccomandare uno sforzo maggiore, anche liberando risorse da interventi concorrenti che paiono molto meno indispensabili.
  Occorre ricordare a questo proposito come, nell'anno precedente alla guerra sfociata nella deposizione del regime del colonnello Gheddafi, l'accordo bilaterale stretto con Tripoli avesse portato ad una Pag. 76riduzione dell'88 per cento negli sbarchi sulle coste del nostro Paese e ad una del 98 per cento nel numero di quelli avvenuti a Lampedusa, Linosa e Lampione. Secondo altre fonti, sempre nel 2010, i morti accertati per annegamento nel Canale di Sicilia sarebbero inoltre scesi da 425 a 20, prima di risalire nel 2011, anno delle Primavere Arabe, a 1.822.
  Più a monte, pare assumere maggiore importanza il Niger, che è un vero e proprio crocevia dei traffici dei migranti e nel quale varrebbe forse la pena di potenziare la presenza militare nazionale.
  Il controllo dei flussi migratori illegali tra le due sponde del Mediterraneo, pilastro essenziale di una politica che miri a salvaguardare l'inclusione della Repubblica nell'area Schengen, postula altresì la pratica di una politica della cooperazione allo sviluppo più generosa, altro elemento che dovrebbe indurre a ripensare in futuro l'allocazione delle nostre risorse tra i possibili impieghi alternativi disponibili. Stupisce negativamente, infatti, lo squilibrio esistente nel provvedimento tra la rilevanza delle nobili aspirazioni enunciate e la penuria dei fondi concretamente messi a disposizione.
  Meriterebbe di esser considerata altresì l'idea di una partecipazione più attiva alla lotta contro il sedicente Stato Islamico costituitosi a cavallo tra Siria ed Iraq settentrionale, alla quale sembra invece essere orientamento del Governo di prender parte solo cedendo materiali d'armamento obsoleti. È lì invece che si combatte ora la battaglia contro il terrorismo jihadista, di cui si temono le iniziative fino a Rabat, che dopo la sparizione di alcuni velivoli libici ha ritenuto di dover mobilitare tutta la propria artiglieria antiaerea.
  Infine, se pare necessario stanziare fondi per il finanziamento delle iniziative imposte dal dovere di assistere i nostri connazionali in pericolo all'estero, sembra non meno indispensabile esigere chiarezza sulle modalità del loro utilizzo.
  Esprimendo questi dubbi e perplessità non si intende in alcun modo delegittimare l'azione dei servitori dello Stato chiamati ogni giorno ad esporsi personalmente a causa di scelte politiche di Governo e Parlamento che dovrebbero esser considerate sempre rivedibili al mutare delle circostanze.
  Al contrario, si vuole invece promuovere una meditazione più profonda sul modo migliore di valorizzarne i sacrifici, in particolare accelerando il ripiegamento dall'Afghanistan, disponendo il ritiro dal Libano ed investendo di più negli interventi più direttamente collegabili al perseguimento degli interessi ritenuti fondamentali dall'opinione pubblica.
  Per le ragioni sopraesposte, rimaniamo critici ed insoddisfatti sotto molti profili del provvedimento all'esame dell'Aula, malgrado le pur buone correzioni apportate in sede di Commissioni, esattamente come lo eravamo in occasione del varo e della conversione dei precedenti decreti legge n. 2/2014 e n. 114/2013. Tuttavia, ne auspichiamo il miglioramento, tramite l'approvazione dei nostri emendamenti, e per questo motivo non abbiamo ritenuto necessario predisporre un testo alternativo.

  MASSIMO ARTINI, Relatore di minoranza per la IV Commissione. Onorevoli colleghi, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 109 del 1o agosto 2014 reca l'ennesima proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di Polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero.
  La prima cosa che appare agli occhi è che questo decreto è ormai vecchio e del tutto avulso dal contesto internazionale e dalle innumerevoli crisi e minacce alla pace che si sono palesate ulteriormente nelle ultime settimane. Se a Gaza «tace il cannone» dopo che l'esercito israeliano in un mese di operazione «Margine sicuro» ha ridotto in macerie la città e fatto oltre 2000 morti e migliaia di feriti, l'espansione e l'affermarsi di un Califfato a cavallo tra i territori dell'Iraq e della Siria sotto il Pag. 77comando del fantomatico Isis ha costretto la comunità internazionale a sostenere gli sforzi delle milizie curde per evitare eccidi, pulizie etniche, cancellazioni di storiche minoranze in quella culla delle civiltà che è la Mesopotamia. Lo stesso Governo italiano, che interverrà con un emendamento sul decreto in esame per formalizzare l'invio di armi al Governo di Baghdad (chissà mai se arriveranno ai curdi), non sembra avere le idee chiare su tutta la vicenda. Qui ci troviamo al ripetersi di scenari che abbiamo già conosciuto in Afghanistan, con la costruzione di veri e propri mostri come l'Isis (in Afghanistan furono i Talebani) utili in una fase per combattere Assad o abbattere Saddam Hussein, per poi rivelarsi un nemico mortale per i popoli e lo stesso occidente tanto da dover armare altri per poterlo fronteggiare. Siamo al fallimento conclamato di oltre un ventennio di interventismo militare «umanitario e democratico» che ha contribuito solo a destabilizzare queste aree strategiche da un punto di vista energetico, facendo pagare il prezzo pesantemente alle popolazioni civili. Altro che missioni di pace ! Se non si ha il coraggio politico – vogliamo parlare di cosa sta avvenendo in Libia ? – di dire che la base fondante di questo decreto – ovvero delle missioni militari più importanti che hanno visto l'occidente e l'Italia impegnati in prima linea – si sono rivelate in larga parte un tragico fallimento e le cui conseguenze pagheremo a lungo. Anche i nostri alleati – la Turchia, i cosiddetti amici della Siria, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, l'Arabia Saudita – o sono collocati l'uno contro l'altro nel sostegno a fazioni o milizie jihadiste in competizione tra di loro o sono decisamente schierati contro coloro che anche questo decreto vorrebbe fronteggiare. Davanti a questo fallimento sarebbe necessario – come ama dire Matteo Renzi – «cambiare verso» a questa politica disastrosa, ma di questo cambiamento, non troviamo traccia nel decreto.
  Dentro questo quadro allarmante il testo del decreto pone di nuovo problemi sui quali è opportuno promuovere una riflessione approfondita.
  Innanzitutto, come è stato in altre occasioni sottolineato, va stigmatizzata la mancanza, ancora una volta, di una legge quadro che disciplini la partecipazione dei contingenti italiani alle missioni internazionali di pace in maniera organica, generale e coerente, al fine di evitare le gravi disfunzioni e incongruenze che, ancora una volta, andiamo a riscontrare in un provvedimento di questo tipo. A tal proposito, le Commissioni riunite Affari esteri e Difesa della Camera hanno avviato l'esame in sede referente di alcune proposte di legge (A.C. 45, A.C. 933 e A.C. 952) volte a introdurre una complessiva e organica normativa di riferimento sul trattamento economico e giuridico del personale impegnato nelle missioni, nonché a disciplinare la procedura da adottare per l'invio dei militari all'estero. Va segnalato, però, che si sono tenute solo tre sedute mentre sarebbe stato necessario e utile definire l'iter, quando non concluderlo, entro la scadenza del 30 giugno 2014 scorso, ovvero prima dell'emanazione dell'attuale decreto legge di proroga semestrale, ancorché emanato con un mese di ritardo ! Il decreto-legge all'esame dell'Assemblea è stato licenziato, infatti, dal Consiglio dei Ministri in data 23 luglio 2014 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo il successivo 1o agosto, ovvero 32 giorni dopo la scadenza del precedente decreto-legge, a dimostrazione dell'insussistenza dei requisiti dell'urgenza anche in considerazione del fatto che si tratta di missioni in itinere da svariati anni per alcune delle quali nemmeno è stata presa in considerazione l'eventualità della sua cessazione.
  Nel merito del provvedimento, rivendichiamo con forza il diritto di valutare per ogni missione se, quanto e come contribuire, nel pieno rispetto del precetto costituzionale del ripudio della guerra e degli impegni internazionali per la stabilizzazione e la pace che vedono protagonista il nostro Paese di concerto con la comunità internazionale. Un diritto che a oggi risulta di difficile attuazione di fronte ai tempi e alle modalità con cui, seguendo ormai una prassi consolidata, si affrontano le periodiche proroghe delle missioni Pag. 78internazionali. L'utilizzo dello strumento del decreto-legge impedisce, di fatto, un'analisi accurata e una deliberazione consapevole.
  Il decreto-legge in esame, rinnovando una delle peggiori consuetudini che si trascina da diverse legislature, ancora una volta inserisce, in maniera assolutamente irragionevole e dannosa, in un unico provvedimento tutte le missioni, in alcuni casi molto diverse tra loro, impedendo, in sostanza, al Parlamento di valutarle singolarmente in tutte le loro accezioni e incidenze prima di deliberare. Un altro discutibile modo di procedere poi riguarda lo stanziamento di risorse per il rifinanziamento delle missioni. Infatti, anche per questo decreto si continua con la pratica dello spezzettamento dei fondi necessari al prosieguo delle missioni. Vale la pena ricordare che con il precedente decreto sono stati stanziati 619 milioni di euro, a valere sui primi sei mesi del 2014, ovvero l'intera dotazione finanziaria relativa all'intero 2014 prevista con la legge di stabilità 2014. Appariva ovvio che in prossimità della scadenza del 30 giugno scorso si sarebbe dovuto necessariamente fare una consistente variazione di bilancio per attribuire nuove risorse per i successivi sei mesi.
  Nel testo in esame rimane la pur positiva divisione per aree geografiche delle missioni che non risolve, però, il problema di una libera espressione del voto parlamentare, insistendo diverse missioni nella stessa area ma avendo finalità e obiettivi diversi tra di loro. L'auspicio è che si possa al più presto riprendere l'iter di esame della citata legge quadro sulle missioni internazionali, in modo da evitare di tornare a discutere, come nella circostanza attuale, di una situazione che si limita a definire se dare o meno un finanziamento a determinati interventi.
  Nel merito del provvedimento in esame, l'articolo 1 (Europa) riferisce delle missioni nei Balcani, a Cipro e nel Mediterraneo. Su quella relativa alla permanenza di quattro militari all'interno della missione Onu/Cipro rimangono alcune perplessità. Infatti il timore è che la pigra reiterazione di questa missione sia un modo per la comunità internazionale di lavarsi la coscienza, non mettendo in atto tutte quelle iniziative diplomatiche necessarie per una rapida e definitiva riunificazione dell'isola la cui divisione, oggi più di ieri, è anacronistica, atteso che anche la Turchia ha chiesto di entrare nella Ue. Se la missione Onu a Cipro sta cambiando natura, ovvero è usata come retrovia organizzativo per la missione Unifil in Libano e per quella dell'Opac per la distruzione delle armi chimiche in Siria, allora sarebbe più corretta l'emanazione di una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza che stabilisca alla luce del sole, i nuovi compiti e funzioni della missione stessa.
  Per quanto riguarda l'articolo 2 (Asia) va sottolineato che la guerra in Afghanistan ha prodotto una destabilizzazione di tutta quella area, rafforzando l'odio verso l'occidente e potenziando il fondamentalismo islamico e terroristico. La fallimentare partecipazione italiana (formalmente il nostro contingente dovrebbe essere ritirato entro il 31 dicembre 2014) a questa invasione è stata dal punto di vista del diritto internazionale, del tutto illegittima, avendo lo scopo di infliggere una punizione collettiva al popolo afghano nonostante fosse provato che gli attentatori dell'11 settembre 2001 erano tutti cittadini dell'Arabia Saudita. La storia di questi decenni dell'Afghanistan ha sempre dimostrato che l'invasione militare straniera (Impero Britannico, Unione Sovietica e infine Nato) non ha mai portato soluzioni ma solo aggravato la situazione della popolazione e contribuito a rendere endemico il conflitto armato. Inoltre, il confine tra l'intervento di pace e l'azione di guerra è così sottile da renderne indistinguibile la stessa natura. È opportuno ricordare che accettare un intervento, non soltanto come strumento di offesa alla libertà dei popoli, come sancito dall'articolo 11 della Costituzione, ma anche come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (anche commerciali), conduce de facto al superamento di questi principi costituzionali. Occorre, insomma, al più presto invertire Pag. 79questa tragica situazione, conferendo nelle mani del popolo afghano il proprio destino e ritirando al più presto le nostre truppe da quel Paese.
  Tuttavia, con la decisione di avviare dal 1o gennaio 2015 una missione «no combat» denominata Resolute Support, di cui si omette stranamente di parlare esplicitamente nella relazione introduttiva al decreto legge mentre ne ha fatto esplicito riferimento il relatore Manciulli per la III Commissione nel corso dell'avvio dell'iter nelle Commissioni riunite lo scorso martedì 6 agosto, in pratica confermerebbe i timori che abbiamo sempre espresso, ovvero che non si intende affatto andare via dall'Afghanistan ! In merito alla missione ad Hebron, il M5S evidenzia la contraddizione tra il mandare degli osservatori a tutela della popolazione palestinese e proseguire al contempo esercitazioni militari come quelle previste a fine mese nel poligono di Capo Frasca in Sardegna, esercitazioni con quell'aviazione israeliana responsabile dei massacri di civili a Gaza e della distruzione di ospedali e scuole dell'Onu. Ricordiamo inoltre che alla Camera dei Deputati, in sede di conversione del precedente decreto, il governo accoglieva un nostro ordine del giorno in cui si impegnava ad agire sul Governo di Tel Aviv in merito ai nuovi insediamenti di coloni proprio nella città di Hebron che invece – è notizia dell'altro giorno – Netanyahu intende ulteriormente espandere con una mega-colonia proprio tra nella valle tra la cittadina palestinese e Betlemme.
  La missione Unifil in Libano riveste una particolare importanza anche alla luce del dramma del popolo siriano i cui profughi si sono riversati in massa in questo Paese. Al lavoro che il contingente Unifil sotto il comando italiano del generale Luciano Portolano compie ogni giorno sulla blue line tra Libano ed Israele si somma un nuovo impegno su questo versante. Andrebbe anche da questo punto di vista ampliata la cooperazione italiana di sostegno ai rifugiati.
  Sull'articolo 3 (Africa), già le Commissioni congiunte hanno accolto un emendamento del M5S che dà la possibilità al Governo di sospendere le missioni di cui ai commi 1, 2 e 3 in Libia essendo ormai molto chiaro che la situazione di anarchia prodotta dall'intervento militare occidentale, Italia compresa, sia completamente fuggita di mano tanto che esistono due governi e due parlamenti l'un contro l'altro armati. Appare evidente che sarà arduo mantenere l'unità statuale della Libia. Dovremo domandarci dove sono finiti i militari libici che noi abbiamo addestrato, in quale milizia adesso combattono. Per questo proponiamo che da ora in poi ci sia una tracciabilità dei militari da noi addestrati, non essendo più accettabile che, con i soldi pubblici dei cittadini italiani, si finisca per addestrare o sostenere militarmente terroristi o tagliagole.
  Con riferimento, invece, al comma 4, il M5S ritiene opportuno rivedere la partecipazione anche alla missione Ocean Shield in funzione antipirateria e ciò al fine di dare un segnale forte alle autorità indiane sulla volontà del nostro Governo di non recedere dalla nostra posizione nell'ambito della vicenda dei due marò. Tra l'altro, il fenomeno della pirateria si è praticamente azzerato anche per il ricorso a rotte meno rischiose e quindi è da considerare almeno la riduzione della partecipazione italiana alle missioni anti-pirateria.
  Appare grave la decisione assunta in forma extraparlamentare – nel senso che le Camere non hanno votato né sono state messe a conoscenza di nessun trattato in merito alla concessione e al suo status giuridico – di costituire una base militare permanente dell'Italia nella Repubblica di Gibuti. Anche e non soltanto per il nostro passato coloniale questa base militare, la prima all'estero dell'Italia, appare inopportuna e con finalità ambigue.
  Va sottolineata, inoltre, la sproporzione tra l'entità delle risorse finanziarie destinate alle missioni militari e di quelle finalizzate alla cooperazione allo sviluppo prendendo atto del fatto, purtroppo, che la situazione non è mutata, nonostante l'intensa battaglia ostruzionistica combattuta Pag. 80dal gruppo M5S in occasione della conversione del precedente decreto-legge.
  Come già accaduto nei precedenti provvedimenti nella stessa materia, continuano a figurare anche in questo provvedimento disposizioni difformi rispetto all'oggetto del decreto-legge, come quella che contempla ancora la concessione di finanziamenti all'UN Staff College di Torino, istituzione non direttamente coinvolte nella gestione degli interventi militari e di cooperazione nazionali sui teatri di crisi, così come appare non del tutto omogenea con il nucleo essenziale del provvedimento la disposizione recata dall'articolo 9, comma 9, concernente un contributo straordinario a favore del Comitato atlantico italiano o, ancora, come quella riguardante il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero, disposizione questa assolutamente spuria.
  Un'altra segnalazione critica riguarda il comma 2 dell'articolo 4 che autorizza la spesa di euro 4.862.000 per il mantenimento del dispositivo info-operativo dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) a protezione del personale delle Forze armate impiegato nelle missioni internazionali. Pur riconoscendo l'estrema rilevanza dell'operato dei servizi di intelligence a copertura, e per la sicurezza, dei nostri contingenti, anche e soprattutto per ragioni di opportunità legata alla riservatezza delle azioni medesime – di conseguenza anche del loro costo – così come per le precedenti decretazioni, si ritiene che detto finanziamento non dovrebbe trovar posto all'interno dei decreti di finanziamento temporali ma, al contrario, nelle norme che autorizzano il finanziamento ordinario delle azioni di intelligence, comprendendo ed esplicitando il riferimento a quelle legate alle missioni internazionali.
  All'articolo 9 comma 2 si prevede un piccolo stanziamento a sostegno dei processi di pace in Africa sub-sahariana e Centroamerica. Condividiamo questo punto – non certamente l'esiguità del finanziamento, solo 2 milioni di euro – e proponiamo di estenderlo anche al faticoso processo di pace in Colombia.
  Per quanto riguarda l'articolo 10 che nella sua redazione iniziale, anche se non ufficiale, recava il solo regime degli interventi previsti dal decreto stesso, si deve purtroppo constatare che vi sono stati aggiunti i commi 3 e 4 contenenti disposizioni eterogenee rispetto alla materia della proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali: riguardano infatti norme per consentire il rinnovo mediante elezione dei Comitati degli italiani all'estero (Comites), rinnovo già più volte differito con precedenti provvedimenti.
  Per gli interventi di sostegno ai processi di ricostruzione e di stabilizzazione, si potrebbe inoltre dare esecuzione alle disposizioni previste dall'articolo 1 comma 253 della legge 27 dicembre 2013 n. 147 che autorizza in quei teatri l'impiego dei cosiddetti «caschi bianchi». Disposizione questa – visto che è a costo zero in quanto lo stanziamento è già stato approvato dal Parlamento – che chiediamo sia inclusa nel disegno di legge in esame con un comma aggiuntivo.
  Infine, l'articolo 11 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla disposizioni del decreto-legge in esame, la cui lettura appare davvero illuminante circa la consistenza e la certezza della copertura stessa, alquanto precaria e bizzarra per come è frazionata a dispetto dei criteri stabiliti dall'articolo 81 della Costituzione. Ma su questo punto sarà interessante capire come si esprimerà la Commissione Bilancio nel determinante parere che dovrà fornire in sede consultiva.
  Per quanto sopra esposto il M5S rimane critico sull'impostazione del decreto- legge all'esame, tuttavia auspica l'accoglimento di alcune delle proposte emendative presentate al testo in esame volte a migliore la ratio del provvedimento.

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