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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 274 di martedì 29 luglio 2014

Pag. 1

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 10.

  VALERIA VALENTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alfreider, Baretta, Bonifazi, Antimo Cesaro, D'Ambrosio, Epifani, Ferranti, Miotto, Rughetti e Sani sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Informativa urgente del Governo sugli sviluppi della situazione in Medio Oriente (ore 10,03).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sugli sviluppi della situazione in Medio Oriente.
  Dopo l'intervento del rappresentante del Governo interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per otto minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.

(Intervento del Ministro degli affari esteri)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare la Ministra degli affari esteri, Federica Mogherini.

  FEDERICA MOGHERINI, Ministro degli affari esteri. Signor Presidente, consentitemi, questa mattina, di partire dal dolore e dal cordoglio che credo, a nome non solo del Governo e di questo Parlamento, ma di tutto il popolo italiano, oggi esprimiamo a tutti coloro che, in queste ore, in questi giorni, hanno perso un figlio, un fratello, una madre, una persona cara. Lo zio di Naftali Fraenkel, uno dei tre ragazzi israeliani rapiti e assassinati, ha detto nei giorni dell'uccisione del giovane arabo bruciato vivo che non c’è differenza tra sangue ebreo e sangue arabo. Il dolore, anche quello più profondo, può alimentare spirali interminabili di violenza, ma può anche unire.
  Vorrei fare due premesse ed un invito. Il dramma della crisi su cui oggi riferisco in quest'Aula rappresenta, purtroppo, solo l'ultimo, insostenibile capitolo di una storia di conflitto lunga decenni, nata prima che io e molti di voi in quest'Aula nascessimo. Ho detto «conflitto», ma sarebbe più corretto usare il plurale. Si intrecciano, infatti, oggi, come nei decenni passati, diversi livelli di conflittualità: quella regionale arabo-israeliana, quella israelo-palestinese e, molto spesso, anche un Pag. 2grado non trascurabile di competizione, contrasto interno ai rispettivi campi – quello israeliano, quello palestinese e quello arabo – per la leadership nella gestione delle crisi, a tratti molto acute, che si susseguono cronicamente, ciclicamente, nei decenni. Siamo, quindi, di fronte ad una complessità che non consente schematismi, semplificazioni, ma che, invece, ci richiama alla serietà di un'analisi più profonda, più d'insieme.
  La seconda premessa riguarda il contesto regionale, mai così drammatico: un contesto in cui crisi molto diverse tra loro, con genesi e dinamiche differenti, rischiano di saldarsi e di alimentare un unico fronte di radicalizzazione che può letteralmente fare esplodere la regione, la nostra regione. Dalla Siria, all'Iraq, alla Libia, in questi giorni in fiamme e per la quale stiamo adoperando ogni strumento politico e diplomatico per fare in modo che il confronto si sposti dal piano dello scontro armato a quello del confronto politico, con un cessate il fuoco che consenta la convocazione del Parlamento eletto a fine giugno, dicevo, dalla Siria all'Iraq, alla Libia, passando dalla fragilità dell'equilibrio libanese, fino all'esposizione della Giordania a più fronti aperti, tutti ugualmente drammatici, è evidente che ci troviamo a dover rispondere oggi ad un contesto inedito, ancora più ampio, più complesso, più drammatico di quanto il già devastante scenario della ciclicità delle crisi mediorientali non abbia rappresentato nei decenni passati.
  C’è chi parla in questi giorni della fine dell'ordine di Sykes-Picot in Medio Oriente, un ordine disegnato a tavolino dalle potenze occidentali nel 1916 che, seppur artificiale, aveva garantito agli occhi di molti una parvenza di stabilità. Quello che, ormai, è evidente a tutti è che assistiamo oggi alla più profonda trasformazione della regione dall'era della decolonizzazione e a questa rapida, drammatica evoluzione del quadro regionale si può rispondere davvero in profondità solo con una nuova politica, un nuovo equilibrio regionale, che coinvolga direttamente tutti gli attori mediorientali in un'assunzione di responsabilità condivisa e nuova.
  Questo cammino di cui si iniziano a percorrere i primi passi prenderà tempo e credo potrà essere il terreno di prova di un rinnovato impegno italiano ed europeo; ma prenderà tempo. Ora, oggi, dobbiamo fare fronte alla devastante drammaticità di un conflitto che rischia di vederci impotenti spettatori.
  Uno degli interlocutori palestinesi con cui ho avuto modo di parlare a Ramallah, qualche giorno fa, mi diceva con un sorriso amaro che il loro timore, oggi, è che davanti ai nuovi ed inquietanti conflitti della regione, la comunità internazionale possa pensare che, in fondo, quello israelo-palestinese sia il più trascurabile, perché già noto, in qualche modo rassicurante, «sicuro», questa è la parola che ha usato. Ci uccidiamo da decenni – mi ha detto – potreste anche pensare che, in fondo, qualche decennio in più non farà la differenza. Specularmente, in quegli stessi giorni, a pochi chilometri di distanza, a Gerusalemme, David Grossman mi diceva parole molto simili a quelle che un quotidiano italiano riportava ieri: com’è possibile che da oltre cent'anni noi e i palestinesi soffochiamo insieme dentro questa bolla ermetica, crudele e disperata; come mai per decenni non siamo stati in grado di pensare al di fuori di questa bolla in cui siamo intrappolati, di bucarla ?
  Ecco, l'invito che vorrei fare a tutti noi, in quest'Aula, e all'opinione pubblica italiana è di non farci intrappolare anche noi in quella bolla di odio, di non cedere alla logica della partigianeria, all'idea che ci si debba dividere tra amici di Israele e amici della Palestina, che si debba scegliere da che parte stare nel conflitto tra due disperazioni e tra due esasperazioni. Perché il nostro ruolo, quello più utile, forse l'unico utile, quello mai davvero esercitato fino in fondo, non è quello di entrare in questo conflitto, ma di fermarlo, di prendere uno spillo e bucare quella bolla, di aiutare chi è intrappolato lì dentro ad uscirne. È questo quello che ci chiedono.Pag. 3
  Uno dei tanti limiti della reazione che la comunità internazionale sta mostrando di fronte a questo dramma sta nell'aver smarrito la consapevolezza che esistono due disperazioni, due esasperazioni, due paure, forse, ormai, anche due rassegnazioni, diverse per drammaticità, non comparabili in nessun modo, ma entrambe reali; insieme esistono, esisterebbero due diritti, due sogni, quello di Israele ad esistere in sicurezza e quello dei palestinesi a vivere vite normali, in pace, non più sotto occupazione, in uno Stato sovrano.
  Il nostro dovere, il dovere della comunità internazionale e, soprattutto, dell'Europa per la sua responsabilità storica e perché condivide con Gaza e Israele lo stesso mare è lavorare non per affermare un diritto contro l'altro, ma per realizzare entrambi. Per farlo dobbiamo essere, innanzitutto, consapevoli che le linee di confine, oggi, non sono tra arabi e ebrei, ma tra chi aspira a vivere in pace nel rispetto dei diritti altrui e chi, invece, si nutre emotivamente e ideologicamente di violenza e ne vuole il proseguimento. È un principio con cui so che molti di noi in quest'Aula sono cresciuti, di certo la mia generazione, che aveva sperato di poter vedere una stagione di riconoscimento reciproco e di rispetto reciproco, di pace.
  Oggi siamo lontanissimi da quelle speranze; dall'avvio dei combattimenti a Gaza, l'8 luglio, secondo le stime aggiornate a ieri sera, le vittime palestinesi sono 1.034, di cui 832 civili, 221 bambini e i feriti 6.233. Le vittime israeliane sono, a questa mattina, 56, di cui tre civili, e i bilanci in queste ore sono ancora più drammatici, crescono. Sono tra chi pensa che ogni singola vita umana sia inestimabile e la morte di ogni singola persona inaccettabile, ma è l'enormità di questi numeri a rendere ancora di più inaccettabile umanamente e politicamente il conflitto in corso.
  Di fronte a questo dramma lo sforzo dell'Italia, insieme al resto della comunità internazionale, è prioritariamente volto al raggiungimento e al mantenimento di una tregua umanitaria, almeno per recuperare i corpi, assistere i feriti, proteggere i civili. Sapete bene, per averlo letto, qual è stata negli ultimi giorni l'altalena di accordi, violazioni e smentite che si sono ripetute da entrambe le parti. Giocano in questa dinamica, senza dubbio, anche i diversi livelli di conflittualità a cui facevo riferimento in premessa, a partire dalle competizioni e dai contrasti interni ai diversi campi. Le ore di festa per la fine del Ramadan, iniziate ieri, sembravano poter essere l'occasione per innescare una fase di calma e avrebbero dovuto e potuto esserlo. Invece, dopo poche ore sono riprese le ostilità con morti e feriti sia nel sud di Israele che a Gaza.
  Potrei, dovrei, e infatti lo faccio, riportare qui l'elenco dettagliato delle iniziative diplomatiche e politiche che si sono succedute in queste settimane, del modo in cui il Governo italiano ha sostenuto, accompagnato e, in alcuni casi, avviato tentativi di dialogo, fin dai giorni immediatamente precedenti alla decisione del Governo israeliano di iniziare un'operazione di terra nella striscia di Gaza in risposta al lancio di razzi sul territorio israeliano. Come sapete, ero in visita in Medio Oriente, in quei giorni, per incontri che in stretto raccordo con i partner europei e internazionali, a partire da Stati Uniti, Lega araba e altri Paesi della regione, abbiamo dedicato alla ricerca di una via di uscita non militare dalla crisi che già era del tutto evidente.
  L'abbiamo fatto a Ramallah, con il Presidente palestinese Abbas, a Gerusalemme, con il Primo Ministro israeliano Netanyahu, ad Amman, a Il Cairo, con il Presidente al-Sisi, ed ancora, in questi ultimi giorni, con l'incontro di sabato a Parigi insieme a Kerry e ai nostri colleghi di Francia, Germania, Gran Bretagna, Turchia e Qatar, con un collegamento diretto e costante con l'Egitto e con l'Autorità palestinese, con un colloquio telefonico con il Ministro degli esteri iraniano Zarif, con il lavoro dell'ultimo Consiglio affari esteri dell'Unione europea, una settimana fa, con il sostegno agli sforzi del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, e la dichiarazione adottata ieri all'unanimità in Consiglio di sicurezza, Pag. 4che fa riferimento al rispetto del diritto internazionale umanitario e alla protezione dei civili ed esprime sostegno ad un cessate il fuoco «immediato ed incondizionato» sulla base della proposta egiziana, proposta che l'Italia ha sostenuto fin dal suo delinearsi e che è stata frutto di un diretto impegno dell'Autorità palestinese e della Lega araba.
  Resta, però, non lo nascondo, di fronte a questa instancabile e congiunta attività politica e diplomatica il senso non solo di profondo dolore, ma di profonda frustrazione davanti ad un conflitto che non si ferma. A nulla sono valsi anche gli appelli del Papa che poco più di un mese fa aveva regalato a tutti noi, e a quelle terre, la speranza di una comune preghiera di pace ospitando in Vaticano il Presidente Abbas e il Presidente Peres.
  Il numero di vittime sale. Sale il numero di bambini, ragazze e ragazzi che cresceranno con la guerra negli occhi, con la paura e la rabbia nel cuore, a Gaza, in Cisgiordania, in Israele, in tutto il mondo arabo, con un rischio di radicalizzazione pericolosissimo per la stabilità di fragili transizioni democratiche. E cresce in Europa, insieme al rischio di derive antisemite su cui dobbiamo vigilare con la massima attenzione, come ci ricorda l'episodio di Roma di questa notte. Sono semi di odio con cui dovremo fare a lungo i conti, nei decenni che verranno.
  Per questo l'imperativo di queste ore è fermare il conflitto. Fermare l'operazione militare di Israele. Fermare il lancio di razzi da parte di Hamas e jihad islamica.
  Sappiamo bene che una tregua non è e non sarà risolutiva, ma è il primo, indispensabile passo per fermare le armi e avviare un percorso negoziale. Per questo stiamo tutti lavorando affinché le parti accettino una prima tregua umanitaria, immediata e incondizionata. A questo dovranno legarsi altri passi per un cessate il fuoco duraturo, indispensabile perché la situazione non torni, nel breve e medio periodo, a esplodere nuovamente. L'unica cosa completamente chiara a tutti – ripeto – a tutti, è che non si può rischiare che tra dodici, diciotto o ventiquattro mesi si ricominci da capo. Per evitarlo, tutti sappiamo bene quali sono le cose da fare e su cui impegnare l'intera comunità internazionale.
  Primo: migliorare nettamente le condizioni di vita dei palestinesi, sia nella Striscia di Gaza sia in Cisgiordania. Nell'immediato questo significa consentire l'accesso umanitario e mobilitare un sistema di assistenza per l'emergenza e di sostegno alla ricostruzione e allo sviluppo socio-economico. La Norvegia, in quanto Presidente del Ad Hoc Liaison Committee ha proposto all'Italia, Presidente di turno dell'Unione europea, di lavorare insieme all'ipotesi di una Conferenza dei donatori da tenersi a Oslo nelle settimane immediatamente successive al cessate il fuoco. Intanto l'Italia ha già disposto un contributo di emergenza della cooperazione di 1.650.000 euro per rispondere agli appelli delle agenzie internazionali, per l'acquisto di medicinali e generi di prima necessità e per programmi delle nostre ONG, che ho avuto modo di incontrare a Gerusalemme nei giorni scorsi.
  In più, l'Italia contribuisce, con 4 milioni di euro, al bilancio di UNRWA e con 2 milioni a sostegno dei profughi palestinesi in Siria e in Libano. Saremo veramente pronti a condividere con questo Parlamento una valutazione seria, approfondita e credo anche urgente sulla necessità di aumentare questi contributi, con un focus particolare all'attività della Striscia di Gaza. Nel breve e medio periodo, però, sarà necessario sciogliere i veri nodi della situazione a Gaza, a partire dall'apertura dei valichi, del rispetto dei diritti dei palestinesi di coltivare la propria terra e pescare nel proprio mare, e dalla soluzione del problema del mancato pagamento degli stipendi del personale pubblico a Gaza.
  Il secondo punto, necessario, è rafforzare la capacità e gli strumenti di Governo dell'Autorità palestinese, non solo in West Bank, attraversata da tensioni tanto comprensibili quanto preoccupanti, ma anche a Gaza. L'Italia ha valutato fin dall'inizio con favore la costituzione di un Governo di unità, o riconciliazione nazionale. È ora Pag. 5di riconoscerlo come interlocutore utile anche da parte israeliana, per rafforzare il ruolo del Presidente Abbas e per garantire a tutti i palestinesi un canale di rappresentanza istituzionale ed internazionale. Credo sia stato, in questi giorni, molto importante l'impegno del Presidente Abbas, nel lavoro per un cessate il fuoco in stretto collegamento con Egitto, Turchia, Qatar e Lega araba oltre che con le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e i partner europei.
  Il terzo punto, necessario, è relativo al bisogno di offrire a Israele garanzie di sicurezza, nell'immediato, sulla distruzione di razzi e di tunnel, nel breve periodo sulle misure di demilitarizzazione di Gaza ed ovviamente sul controllo delle frontiere.
  Da questo punto di vista, abbiamo discusso in questi giorni con gli altri Paesi europei, ma anche con le autorità israeliane, palestinesi ed egiziane la riattivazione della missione dell'Unione europea di monitoraggio EUBAM Rafah, sul cui dispiegamento l'Italia è pronta ad assumere un'iniziativa. È evidente a tutti noi, però, che una missione di questo tipo che sia EUBAM Rafah o un'altra, con diverso mandato e diverse formule anche ispirate all'esperienza positiva di UNIFIL non potrebbe prescindere dal consenso delle parti e da una contestuale assunzione di responsabilità amministrativa a Gaza, da parte dell'autorità palestinese.
  Il quarto punto è garantire una cornice regionale ed internazionale a garanzia e a sostegno di questo percorso: credo che un ottimo punto di partenza possa essere, oggi, la proposta del piano di pace della Lega Araba del 2002, il cui valore in questi giorni in una regione devastata da violenza e instabilità è ancora più prezioso di quanto non lo fosse negli anni più bui della seconda intifada, un modo di trasformare forse le sfide comuni e condivise alla sicurezza dei diversi attori della regione, tra loro molto diversi, in opportunità di cooperazione, a partire da un quadro che garantisca il riconoscimento da parte di tutti dello Stato di Israele e la creazione finalmente di uno Stato palestinese. È forse proprio su questo piano che l'Europa può dare il suo contributo maggiore, proponendo una visione di pace e di reciproco rispetto dei diritti, una visione che consenta a tutti di uscire dal conflitto vincendolo.
  È questo credo l'ultimo, ma il più rilevante dei tasselli del quadro che abbiamo il dovere di costruire, il quinto punto, che citerò, il raggiungimento di una soluzione reale, vera e duratura della questione palestinese: non parlo di «rilancio del processo di pace»: sono anni, sono decenni che le diplomazie mondiali e regionali si esercitano in colloqui di pace che sembrano a volte avere il principale obiettivo di tenere impegnate le parti e prevenire le tentazioni militari, secondo il noto principio per il quale se si è impegnati in negoziati non si combatte. Ma qui la storia è diversa: decenni di esercizi diplomatici frustrati hanno reso sempre più chiusa quella bolla di esasperazione e disperazione di cui parla Grossman, allontanando, giorno dopo giorno, e la volontà politica e la forza delle rispettive leadership, quando tentano la strada della pace.
  La possibile soluzione negoziale, con la creazione di due Stati ed il contestuale riconoscimento arabo di Israele è nei fatti definita: non c’è negoziatore sui due lati, o mediatore che non lo riconosca. Serve uno scatto di volontà: interna, nel campo israeliano e palestinese, se le macerie di questo conflitto aiuteranno finalmente ad uscire dall'incubo dell'accettare lo status quo; esterna, della comunità internazionale, se servirà qualcuno che, davanti a tanto dolore impotente, imponga alle tante parti di mettere fine al loro infinito conflitto e cominciare a vivere (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Scelta Civica per l'Italia, Per l'Italia, Nuovo Centrodestra e di deputati del gruppo Misto).

(Interventi)

  PRESIDENTE. Passiamo ora agli interventi dei rappresentanti dei gruppi.
  Ha chiesto di parlare il deputato Amendola. Ne ha facoltà.

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  VINCENZO AMENDOLA. Cara Presidente, signora Ministro, come lei ha ricordato, c'eravamo incontrati in Commissione esteri a giugno, all'indomani dell'uccisione di Gilad, Naftali, Eyal e di Mohammed, adolescenti uccisi, con quella frase che lei ha ripetuto qui, bellissima, dei genitori: «il sangue di un ebreo è uguale a quello di un arabo», dissero allora. Un triste presagio a giugno per una Terra Santa che non ha pace da decenni, epicentro di uno dei più grandi conflitti, che scuote, divide i due popoli, ma l'intera comunità internazionale e mette a dura prova la coerenza tra principi, valori, identità di questo mondo di oggi, religioni e coesistenza pacifica.
  E poi, subito dopo, 22 giorni di operazioni militari scatenate dal lancio incessante e insensato di razzi di Hamas e della jihad islamica, che noi condanniamo senza giustificazioni e poi 11 giorni di invasione militare israeliana, con una forza d'urto sproporzionata, che ha portato a una triste contabilità che lei qui ha ricordato, innanzitutto e soprattutto di civili, a cui le nostre coscienze non possono derogare, e ci rifiutiamo di considerare danni collaterali.
  «Profondo è l'orrore» ha detto Giorgio Napolitano, rappresentando il sentimento di tutti noi. Ma oggi una tregua non c’è, come lei ricorda, contro gli sforzi di tutti, contro gli sforzi anche del Governo italiano che sta operando bene in questi giorni difficili, a partire dal valido tentativo egiziano, perché la sensazione che abbiamo, prioritaria da sconfiggere, è che nessuno ha la capacità o la forza di fermare la catena di eventi, come se ogni attore procedesse come meglio crede narrando la realtà a modo suo, perché noi sappiamo che non c’è una via d'uscita, figuriamoci militare, se non si percorre un campo politico, e noi siamo qui, irriducibili sostenitori della soluzione politica, e lo ripetiamo da più anni: la più grande arma contro Hamas e chi professa la distruzione di Israele è dare dignità e futuro al popolo di Gaza, e questo è il tempo delle scelte, al terzo conflitto dal 2009.
  A noi è chiesto di andare oltre l'indignazione e lo sgomento, per una reazione politica, una piattaforma pubblica che noi sottoponiamo alla comunità internazionale ed ai nostri alleati, come lei qui ha detto, con i cinque punti, superando il fuoco incrociato delle recriminazioni per affermare che la pace non è la scelta dei deboli o di chi non vuole schierarsi, ma lo sforzo dei coraggiosi contro l'odio e gli estremismi più feroci. Affermazione che se varrà nel Medio Oriente di oggi, di quello scosso da conflitti e da sangue, varrà per tutto il pianeta, per il diritto internazionale, per la coesistenza, per la risoluzione di tutti i conflitti, perché mai come adesso questo conflitto è paradigmatico, ed è paradigmatico di una via maestra sfuggita lungo i conflitti che fanno della Mezzaluna mediorientale un terreno di grande distruzione.
  Come lei faceva bene, signora Ministro, se noi ripercorriamo in un'immagine collettiva, nei fotogrammi, vediamo una storia che lentamente si è dispiegata, perché la pace e la stretta di mano di Camp David e poi il sacrificio di Isaac Rabin, che voleva la pace malgrado gli attacchi suicidi, fino ai negoziati saltati, fino alla seconda intifada e alla sconfitta di Arafat, ci dimostrano un percorso storico in cui noi sappiamo benissimo che quello che noi abbiamo provato e per cui noi abbiamo lottato tanto oggi è sfuggito, e ci troviamo di fronte, dopo il tentativo che noi riteniamo sbagliato, quello post 11 settembre del grande Medio Oriente, della Destra «neocon», al fatto che non abbiamo esportato la democrazia e abbiamo ucciso la solidarietà multilaterale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Lentamente, come negli ultimi dieci anni lei descriveva, il conflitto israelo-palestinese è entrato in un cono d'ombra, e noi ci troviamo oggi con rivolte arabe contro reazioni che hanno portato un'enorme scia di sangue, dalla Siria alla Libia, come si dimostra in queste ore. Questa intera Mezzaluna, questa storia che noi abbiamo vissuto, ha fatto sì che la comunità internazionale, spesso l'ONU e l'Europa, siano stati eterni sostenitori di un soft power, Pag. 7mentre nascevano in quel terreno nuovi attori regionali, nuove potenze che avevano un sogno egemonico, che hanno un sogno egemonico e che anche oggi lottano, in queste ore, per affermare il principio di chi può affermare una tregua.
  In tutta questa storia il conflitto israelo-palestinese, il conflitto israelo-arabo, come lei ha citato, è diventato una pedina, forse quella più centrale, quella più importante, ma nascosta in un conflitto più complessivo. E, intanto, le colonie israeliane in terra palestinese, condannate da tutti, sono aumentate e la disgregazione della società palestinese è esplosa nel silenzio di tutti, lo stesso silenzio, vorrei ricordare, di chi oggi sostiene il campo moderato della pace palestinese, ma che non mosse un dito quando gli stessi furono cacciati da Gaza a colpi di pistola da Hamas e dalla jihad islamica, perché questa leadership palestinese, quella rimossa, quella spesso non ascoltata, è anche oggi di nuovo ostaggio di una contesa regionale, che è differente, inedita, come lei ha ricordato, e che è un tema su cui noi, Europa, noi, comunità internazionale, dobbiamo cambiare linguaggio, fotogrammi della storia e non ripetere gli errori del passato.
  Noi, signora Ministra, l'abbiamo accompagnata in questi giorni con sostegno e solidarietà, perché è un'operazione difficile ricostruire la soluzione politica, che è l'unica via che ci permette di uscire da un conflitto e dare pace duratura. Noi condividiamo i cinque punti che lei propone. Una tregua senza condizioni, come dichiarato dall'ONU, una tregua per ricostruire non solo un'alleanza di chi vuole sostenere la pace, ma anche sostenere una diversa collocazione internazionale di questo conflitto, riportarlo al centro, perché la via maestra per parlare del Medio Oriente di oggi, per parlare, dall'Iraq alla Siria fino alla Libia, di confini come quelli del 1916, come lei ricordava, che sono scomparsi, con nuovi network del terrore, dell'odio, con nuovi muri che si alzano per portare divisione e scontro, e noi a tutto questo non possiamo guardare impotenti.
  Per questo siamo d'accordo a fare di tutto come Unione europea, vedendo anche la dichiarazione del Consiglio dei ministri, affermare che noi siamo disponibili a tutto, partendo da Eubam, partendo dalle missioni, per far sì che noi, come comunità internazionale, siamo presenti. Lei ha annunciato una Conferenza dei donatori, che è l'organismo principale per dare a quella terra, una delle più povere regioni al mondo, un futuro di grande coesistenza di valore sociale ed economico, ma sappiamo bene che fare di tutto oggi significa anche, come abbiamo proposto noi, il gruppo esteri alla Camera e al Senato, tentare tutte le strade, tentare anche strade vecchie, inedite e ripercorrere quelli che sono stati modelli, per esempio, sperimentati dalle Nazioni Unite, anche una forza di interposizione per garantire ad Israele che il lancio di razzi si fermi e per garantire ai palestinesi di non vivere in una prigione di fame e stenti, dove prevalgono solo i violenti e i fanatici.
  In conclusione, cara Ministro, noi siamo qui e riaffermiamo «Due popoli, due Stati». Noi riaffermiamo cioè i valori antichi del nostro percorso diplomatico e politico, ma sappiamo che la condizione di oggi del Medio Oriente, del conflitto israelo-palestinese è nuova e non si possono ripercorrere, nemmeno nei linguaggi, vecchie proposte. Una mobilitazione, un clima d'odio stanno crescendo, rigurgiti di antisemitismo, veleni e incomprensioni. Dinanzi a tutto questo, una piattaforma pubblica di iniziative e di azione, per noi che siamo alla Presidenza del semestre europeo, è necessaria.
  In conclusione, le dico che questo lavoro farà sì che non solo questi sei mesi, che non solo questa Europa, che non solo questa comunità internazionale possa cambiare direzione a un contesto di conflitti e di sangue, ma farà sì anche che i valori per cui noi abbiamo sempre lottato e ci siamo emozionati in questa storia divengano una azione concreta.
  Buon lavoro, signora Ministro, sarà il lavoro di questo Parlamento e della diplomazia parlamentare, il nostro sostegno, perché il PD lotta per questi valori, e in Pag. 8questi giorni noi siamo qui pronti a far tutto perché si ricostruiscano le ragioni della soluzione politica. La ringrazio (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Scelta Civica per l'Italia, Per l'Italia, Sinistra Ecologia Libertà e Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED)).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Manlio Di Stefano. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante   MANLIO DI STEFANO. Presidente, Ministro Mogherini, noi oggi parleremo di attualità, non perché la storia del conflitto israelo-palestinese non ci interessi, tutt'altro, ma perché è da lì che le due parti cercano ognuna le proprie scuse. Da ventidue giorni il quarto esercito più evoluto al mondo sta bombardando con ogni mezzo e tecnologia a sua disposizione un'area di 360 chilometri quadrati con un milione 800 mila persone al suo interno, colpendo scientificamente case, scuole, acquedotti, rete fognaria, campi coltivati e TV di Stato. Dall'altra parte un esercito di paramilitari reagisce sparando razzi, che fortunatamente sono regolarmente intercettati dal sistema di difesa israeliano Iron Dom.
  Ma perché succede tutto questo ? Due cause, le maggiori probabilmente. Quella storica risale all'origine stessa del movimento di sinistra ebraico, un movimento che per definizione si configura di stampo religioso ed etnico e si fonda quindi sull'esclusività del popolo ebreo in un'area geografica, a danno delle altre etnie religiose presenti. La conseguenza diretta si manifesta da parte del Governo israeliano con colonie illegali, muro di segregazione ed embargo, tutte situazioni condannante dall'ONU con oltre ottanta risoluzioni.
  L'altra motivazione dello stato attuale delle cose, quella contemporanea quindi, è legata a doppio filo con l'approvvigionamento energetico, di cui Israele ha un gran bisogno. Ecco qualche elemento chiave al riguardo che lei sicuramente conoscerà: 1999 l'Autorità nazionale palestinese sigla un accordo con British Gas Group per la gestione dei giacimenti di gas Marine 1 e Marine 2. Israele si vede quindi costretto suo malgrado a dipendere da Hamas, così nel 2007 il Governo approva la proposta del Vice premier israeliano Ehud Olmert per l'acquisto di gas dalla ANP per 4 miliardi di dollari. C’è chi però non vuole che i proventi vadano ad Hamas, così il 27 dicembre 2008 l'operazione «Piombo fuso» scatena l'inferno a Gaza e si blocca tutto. Nel 2009-2010 vengono scoperti enormi giacimenti gassiferi, Tamar e Leviathan, entrambi contesi tra Israele, Libano e Palestina. Nel 2014, a gennaio Abu Mazen incontra Putin a Mosca e sei mesi dopo, con l'accordo sul Governo di unità nazionale, e quindi con Hamas, stava per affidare lo sfruttamento dei giacimenti alla russa Gazprom.
  Dieci giorni dopo, a Hebron, vengono rapiti e poi uccisi i tre studenti ebrei. Scoppia nuovamente l'inferno, con l'avvio dell'offensiva israeliana «Margine di sicurezza» e la conseguente interruzione della trattativa con Gazprom. Entrambe queste vie hanno un filo conduttore, Ministro, ovvero la volontà da parte del Governo israeliano di annientare un gruppo nazionale etnico, razziale e religioso attraverso l'attacco militare e la distruzione delle strutture e dei beni necessari per svilupparsi. In poche parole, secondo la definizione dell'ONU, non la nostra, si tratta di genocidio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
  Ministro, lei è in questo ruolo da poco e le daremo fiducia nel suo intento, ma, di fronte a un genocidio programmato dal 1948, lei non può venire qui in Aula e dire che il nostro Paese ascolta, valuta, ragiona e propone cinque punti per la stabilità nel Medio Oriente, perché, mentre voi ascoltate, valutate, ragionate e proponete questi cinque punti, la lista dei morti trucidati in Palestina tocca quota 1.050, di cui oltre il 75 per cento civili e tantissime donne e bambini.
  La vostra visione della politica estera italiana è quella di un cittadino che vede un pugile prendere a pugni una vecchietta per strada, alza le mani e dice di non volersi intromettere. Lo riterreste giusto ? No, questa è complicità con il più forte, non è immobilismo; ancor più se consideriamo Pag. 9che uno dei due guantoni, al pugile, lo forniamo noi, dato che – non so se i cittadini lo sanno – l'Italia è il secondo fornitore europeo di armi leggere a Israele.
  Ecco, con questo vostro ipocrita modo di governare, voi rendete tutti i cittadini italiani complici inconsapevoli del sangue versato da oltre 7.500 palestinesi e mille israeliani solamente negli ultimi 14 anni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle); per non parlare dell'incoerenza che il vostro comportamento ha con il nostro spirito di cooperazione internazionale, riconosciuto dal mondo. Infatti, Ministro, lei sa che, poco più di una settimana fa, l'esercito israeliano ha smantellato l'asilo «La terra dei bambini», fiore all'occhiello della nostra cooperazione internazionale; un centro per l'infanzia costruito con fondi italiani.
  Ministro, era un servizio a dei bambini, esattamente come la scuola dell'ONU a Gaza, bombardata senza misericordia alcuna dall'esercito israeliano. Altro che diritto alla difesa: questa è aggressione spudorata (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
  Con quale coraggio ci venite a parlare di dolore e strazio nell'assistere a queste scene, quando poi, il 23 luglio – di questo pensavo che oggi ne avrebbe parlato –, in seno al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, vi siete astenuti sulla risoluzione che chiedeva una commissione di inchiesta indipendente per indagare su tutte le violazioni del diritto internazionale e del diritto umanitario da parte del Governo israeliano ? Persino la Cina ha votato a favore, ma voi no; persino in Israele sono sempre più gli israeliani oppositori del Governo Netanyahu, sempre di più sono i disertori, che scelgono la galera alla violenza, sempre di più si alza la voce del movimento internazionale di ebrei ortodossi antisionisti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Ma voi no, voi non potete deludere l'alleato israelo-americano. Ripeto, il vostro non è immobilismo, è essere complici di un massacro.
  Quello che mi dispiace, Ministro Mogherini, è sapere che lei, in fondo, la pensa come noi. Ci dimostri, perché lo può fare, che lei può agire liberamente, senza la dottrina del partito, soprattutto senza dipendere dalle lobby che lo alimentano. E allora, oggi le racconto cosa farebbero al suo posto – ma, magari, lo farà anche lei, non vediamo l'ora – dei cittadini liberi nelle istituzioni. Il MoVimento 5 Stelle propone due strategie.
  La prima, a breve termine, perché è giusto tutto quello che lei ha detto, ma noi dobbiamo agire ora, per fermare subito il fuoco. Serve esclusivamente, appunto, per cessare il fuoco: richiamo immediato, come hanno fatto già altri Paesi, del nostro ambasciatore a Tel Aviv, Francesco Maria Talò; interruzione di qualsiasi accordo economico in essere con Israele, a partire da quello militare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), dato che, in barba alla legge n. 185 del 1990, secondo cui non dovremmo commerciare armi con Paesi che sono in conflitto oppure che violano i diritti umani – in questo caso, Israele fa en plein, perché entrambe le cose lo riguardano –, gli vendete armi per quasi 500 milioni di euro l'anno (mi chiedo se i cittadini, questo, lo approvino); interruzione degli aiuti economici per la Striscia di Gaza, qualora, in stato di tregua concordata, Hamas dovesse attaccare Israele (ovviamente, questo non si applica agli aiuti umanitari per la popolazione di Gaza, che è un'altra cosa).
  La seconda strategia, a lungo termine, è finalizzata al rispetto delle risoluzioni ONU e dei più elementari diritti umani: stop agli accordi commerciali con le aziende israeliane operanti nelle colonie, perché, se un territorio è considerato abusivo e illegale, allora un Paese civile, come dovrebbe essere il nostro, non può farvi accordi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle); emanazione di nuove linee guida sull'etichettatura dei prodotti israeliani, in modo tale da bloccare l'importazione di quelli provenienti dalle colonie illegali; revisione degli accordi euromediterranei del 1998, che abbattono i dazi per l’export israeliano senza distinguere Pag. 10se il prodotto è di una colonia o è dello Stato di Israele; risarcimento economico ai donatori di aiuti umanitari distrutti da Israele o da Hamas (non è tollerabile che i soldi nostri, i soldi dei cittadini italiani, siano sprecati impunemente).
  MANLIO DI STEFANO. Presidente, Ministro Mogherini, noi oggi parleremo di attualità, non perché la storia del conflitto israelo-palestinese non ci interessi, tutt'altro, ma perché è da lì che le due parti cercano ognuna le proprie scuse. Da ventidue giorni il quarto esercito più evoluto al mondo sta bombardando con ogni mezzo e tecnologia a sua disposizione un'area di 360 chilometri quadrati con un milione 800 mila persone al suo interno, colpendo scientificamente case, scuole, acquedotti, rete fognaria, campi coltivati e TV di Stato. Dall'altra parte un esercito di paramilitari reagisce sparando razzi, che fortunatamente sono regolarmente intercettati dal sistema di difesa israeliano Iron Dom.
  Ma perché succede tutto questo ? Due cause, le maggiori probabilmente. Quella storica risale all'origine stessa del movimento sionista ebraico, un movimento che per definizione si configura di stampo religioso ed etnico e si fonda quindi sull'esclusività del popolo ebreo in un'area geografica, a danno delle altre etnie religiose presenti. La conseguenza diretta si manifesta da parte del Governo israeliano con colonie illegali, muro di segregazione ed embargo, tutte situazioni condannante dall'ONU con oltre ottanta risoluzioni.
  L'altra motivazione dello stato attuale delle cose, quella contemporanea quindi, è legata a doppio filo con l'approvvigionamento energetico, di cui Israele ha un gran bisogno. Ecco qualche elemento chiave al riguardo che lei sicuramente conoscerà: 1999 l'Autorità nazionale palestinese sigla un accordo con British Gas Group per la gestione dei giacimenti di gas Marine 1 e Marine 2. Israele si vede quindi costretto suo malgrado a dipendere da Hamas, così nel 2007 il Governo approva la proposta del Vice premier israeliano Ehud Olmert per l'acquisto di gas dalla ANP per 4 miliardi di dollari. C’è chi però non vuole che i proventi vadano ad Hamas, così il 27 dicembre 2008 l'operazione «Piombo fuso» scatena l'inferno a Gaza e si blocca tutto. Nel 2009-2010 vengono scoperti enormi giacimenti gassiferi, Tamar e Leviathan, entrambi contesi tra Israele, Libano e Palestina. Nel 2014, a gennaio Abu Mazen incontra Putin a Mosca e sei mesi dopo, con l'accordo sul Governo di unità nazionale, e quindi con Hamas, stava per affidare lo sfruttamento dei giacimenti alla russa Gazprom.
  Dieci giorni dopo, a Hebron, vengono rapiti e poi uccisi i tre studenti ebrei. Scoppia nuovamente l'inferno, con l'avvio dell'offensiva israeliana «Margine di sicurezza» e la conseguente interruzione della trattativa con Gazprom. Entrambe queste vie hanno un filo conduttore, Ministro, ovvero la volontà da parte del Governo israeliano di annientare un gruppo nazionale etnico, razziale e religioso attraverso l'attacco militare e la distruzione delle strutture e dei beni necessari per svilupparsi. In poche parole, secondo la definizione dell'ONU, non la nostra, si tratta di genocidio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
  Ministro, lei è in questo ruolo da poco e le daremo fiducia nel suo intento, ma, di fronte a un genocidio programmato dal 1948, lei non può venire qui in Aula e dire che il nostro Paese ascolta, valuta, ragiona e propone cinque punti per la stabilità nel Medio Oriente, perché, mentre voi ascoltate, valutate, ragionate e proponete questi cinque punti, la lista dei morti trucidati in Palestina tocca quota 1.050, di cui oltre il 75 per cento civili e tantissime donne e bambini.
  La vostra visione della politica estera italiana è quella di un cittadino che vede un pugile prendere a pugni una vecchietta per strada, alza le mani e dice di non volersi intromettere. Lo riterreste giusto ? No, questa è complicità con il più forte, non è immobilismo; ancor più se consideriamo Pag. 9che uno dei due guantoni, al pugile, lo forniamo noi, dato che – non so se i cittadini lo sanno – l'Italia è il secondo fornitore europeo di armi leggere a Israele.
  Ecco, con questo vostro ipocrita modo di governare, voi rendete tutti i cittadini italiani complici inconsapevoli del sangue versato da oltre 7.500 palestinesi e mille israeliani solamente negli ultimi 14 anni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle); per non parlare dell'incoerenza che il vostro comportamento ha con il nostro spirito di cooperazione internazionale, riconosciuto dal mondo. Infatti, Ministro, lei sa che, poco più di una settimana fa, l'esercito israeliano ha smantellato l'asilo «La terra dei bambini», fiore all'occhiello della nostra cooperazione internazionale; un centro per l'infanzia costruito con fondi italiani.
  Ministro, era un servizio a dei bambini, esattamente come la scuola dell'ONU a Gaza, bombardata senza misericordia alcuna dall'esercito israeliano. Altro che diritto alla difesa: questa è aggressione spudorata (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
  Con quale coraggio ci venite a parlare di dolore e strazio nell'assistere a queste scene, quando poi, il 23 luglio – di questo pensavo che oggi ne avrebbe parlato –, in seno al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, vi siete astenuti sulla risoluzione che chiedeva una commissione di inchiesta indipendente per indagare su tutte le violazioni del diritto internazionale e del diritto umanitario da parte del Governo israeliano ? Persino la Cina ha votato a favore, ma voi no; persino in Israele sono sempre più gli israeliani oppositori del Governo Netanyahu, sempre di più sono i disertori, che scelgono la galera alla violenza, sempre di più si alza la voce del movimento internazionale di ebrei ortodossi antisionisti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Ma voi no, voi non potete deludere l'alleato israelo-americano. Ripeto, il vostro non è immobilismo, è essere complici di un massacro.
  Quello che mi dispiace, Ministro Mogherini, è sapere che lei, in fondo, la pensa come noi. Ci dimostri, perché lo può fare, che lei può agire liberamente, senza la dottrina del partito, soprattutto senza dipendere dalle lobby che lo alimentano. E allora, oggi le racconto cosa farebbero al suo posto – ma, magari, lo farà anche lei, non vediamo l'ora – dei cittadini liberi nelle istituzioni. Il MoVimento 5 Stelle propone due strategie.
  La prima, a breve termine, perché è giusto tutto quello che lei ha detto, ma noi dobbiamo agire ora, per fermare subito il fuoco. Serve esclusivamente, appunto, per cessare il fuoco: richiamo immediato, come hanno fatto già altri Paesi, del nostro ambasciatore a Tel Aviv, Francesco Maria Talò; interruzione di qualsiasi accordo economico in essere con Israele, a partire da quello militare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), dato che, in barba alla legge n. 185 del 1990, secondo cui non dovremmo commerciare armi con Paesi che sono in conflitto oppure che violano i diritti umani – in questo caso, Israele fa en plein, perché entrambe le cose lo riguardano –, gli vendete armi per quasi 500 milioni di euro l'anno (mi chiedo se i cittadini, questo, lo approvino); interruzione degli aiuti economici per la Striscia di Gaza, qualora, in stato di tregua concordata, Hamas dovesse attaccare Israele (ovviamente, questo non si applica agli aiuti umanitari per la popolazione di Gaza, che è un'altra cosa).
  La seconda strategia, a lungo termine, è finalizzata al rispetto delle risoluzioni ONU e dei più elementari diritti umani: stop agli accordi commerciali con le aziende israeliane operanti nelle colonie, perché, se un territorio è considerato abusivo e illegale, allora un Paese civile, come dovrebbe essere il nostro, non può farvi accordi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle); emanazione di nuove linee guida sull'etichettatura dei prodotti israeliani, in modo tale da bloccare l'importazione di quelli provenienti dalle colonie illegali; revisione degli accordi euromediterranei del 1998, che abbattono i dazi per l’export israeliano senza distinguere Pag. 10se il prodotto è di una colonia o è dello Stato di Israele; risarcimento economico ai donatori di aiuti umanitari distrutti da Israele o da Hamas (non è tollerabile che i soldi nostri, i soldi dei cittadini italiani, siano sprecati impunemente).

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  MANLIO DI STEFANO. Revisione del diritto di veto del Consiglio di sicurezza dell'ONU, non è equo che, a parità di risoluzioni violate, alcuni Stati siano sanzionati, e altri no, in base all'amicizia con uno tra Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia. Come vede non si tratta solo di soluzioni politiche, dato che quelle hanno sempre fallito sotto il ricatto, assolutamente da superare, della strumentale correlazione tra Governo di Israele, sionismo e antisemitismo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Si tratta, soprattutto, di soluzioni giuridiche, perché riconoscendo lo Stato di Israele gli abbiamo concesso dei diritti, ma dobbiamo pretendere anche dei doveri, rispetto al diritto internazionale, che non sono derogabili in nome della storia. Se il Governo israeliano sceglierà di non rispettarli semplicemente non avrà più nulla a che fare con l'Italia, perché il nostro Paese ha tanti difetti – sì –, ma gli italiani non vogliono più sporcarsi le mani di sangue innocente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Queste sono le nostre proposte, Ministro Mogherini, siamo pronti a confrontarci per sapere cosa ne pensa. Siamo nel semestre italiano e la Presidenza dell'Unione europea è nostra, ma anche l'Europa sembra non avere una posizione sulla questione israelo-palestinese, così come sull'Ucraina e sui nostri fucilieri di marina La Torre e Girone. Avremmo l'opportunità di avere una svolta concreta ad una storia lunga 100 anni ed, invece, tutto tace e si assiste impossibili alle escalation di violenze. L'interesse unico sembra sempre lo stesso: i gas, le energie fossili e il commercio di armi. Questa è la vostra realpolitik, non la nostra. Il MoVimento 5 Stelle, oggi, sul Medio Oriente vi presenta delle proposte concrete come mai si era visto in questo palazzo, il mio collega Carlo Sibilia ve la sta portando stampate. Se siete in buona fede, come dite, provate a risponderci nel merito.

  PRESIDENTE. Concluda.

  MANLIO DI STEFANO. Concludo, signor Presidente, citando Vittorio Arrigoni, un giovane reporter, attivista italiano, rapito e ucciso dai terroristi a Gaza che scrivendo, proprio sul silenzio internazionale, diceva: faranno il deserto e lo chiameranno pace, il silenzio del mondo civile è molto più assordante delle esplosioni che ricoprono la città come un sudario di terrore e morte. Noi non vogliamo più stare in silenzio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Congratulazioni).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Vito. Ne ha facoltà.

  ELIO VITO. Signora Presidente, signora Ministro, io comincerò questo breve intervento esprimendo, a nome del gruppo di Forza Italia e immagino di tutti gruppi, di tutta la Camera, ma a questo poi se lo riterrà ci penserà lei, la nostra solidarietà alla comunità ebraica romana e italiana vittima di gravissimi episodi, con le scritte che sono comparse nelle ore scorse a Roma. Una comunità pacifica e democratica, storicamente bene integrata nel tessuto della nostra città, della nostra capitale e della nostra nazione, alla quale va la nostra solidarietà. È ricorrente che quando c’è un'acuirsi delle crisi in Medio Oriente vi è anche una ripresa del fenomeno dell'antisemitismo. Noi riteniamo, però, che questa volta la gravità del fenomeno vada contrastata efficacemente sul nascere e vada contrastata efficacemente anche in Parlamento da parte di tutte le forze politiche e, naturalmente, anche col sostegno del Governo, abbiamo sentito il cenno che il Ministro Mogherini, poco fa, ha fatto. Ha ragione l'onorevole Amendola, questa crisi in Medio Oriente non può Pag. 11vedere un approccio analogo o simile all'approccio che tutti abbiamo avuto in passato. Non si tratta, infatti, di poter utilizzare le solite categorie alle quali abbiano fatto ricorso. C’è una caratteristica, però, che sembra avere assunto prevalenza: le leadership che si stanno formando in Medio Oriente, in Israele e nel mondo arabo sembrano delle leadership che, al contrario dei decenni passati, sembrano formarsi sulla maggiore bellicosità al loro interno. Innanzitutto partiamo dal mondo arabo, io sono contento, signora Ministro, che lei oggi sia venuta a riferire su questo tema della situazione in Medio Oriente, lo ha già fatto in passato nelle Commissioni, lo abbiamo già fatto in altri dibattiti parlamentari. È indubbio che questo è un tema che attrae molto l'attenzione dell'opinione pubblica e delle forze politiche nel nostro Paese. Ma la crisi in Medio Oriente si è sviluppata da anni. I massacri sono in corso da anni, penso alla Siria, penso al Corno d'Africa, penso allo stesso Sudan. Meriam è stata liberata finalmente, non è terminata, però, la guerra in Sudan o nel Corno d'Africa. I massacri che sono stati oggetto anche di attenzione in Parlamento nei mesi scorsi, e negli anni scorsi, in Siria, sono tutt'altro che terminati. Ma si sa, il tema della Palestina e di Israele ha sempre suscitato in Europa, e in Occidente, una maggiore sensibilità, una maggiore attenzione culturale e politica. Però va collocata all'interno di quello che sta accadendo oggi nel mondo arabo, di quello che sta accadendo oggi nel mondo israeliano, anche con le novità che stanno emergendo nei rapporti tra Israele e gli Stati Uniti d'America.
  E poi vi è il tema dell'Europa, signora Ministro. Noi stiamo guidando il semestre europeo, ma mai come in questa fase ci sarebbe bisogno di un'Europa e mai come in questa fase si registra l'assenza dell'iniziativa europea. Quale Paese, quale comunità, se non quella europea, per vicinanza, per comunità di valori storici, potrebbe essere oggi presente ? Eppure nelle mediazioni delle quali si sente parlare – Egitto, Qatar, Turchia – non si sente parlare di Europa, né l'Europa si propone.
  Abbiamo sentito il suo piano in 5 punti, signora Ministro, ma il punto è che l'Europa non ha un ruolo, non ha un ruolo oggi nel mondo e non ha un ruolo oggi nel Medio Oriente, nonostante la vicinanza e gli effetti di quella crisi che si registrano nel nostro continente. Quindi, questo è il terreno sul quale occorre ripartire: fare in modo che la leadership mondiale, la leadership araba e la leadership israeliana non si fondino più su un aumento di bellicosità, in base al principio per cui più si è bellicosi più aumenta la leadership interna, il potere contrattuale.
  Per quanto riguarda il mondo arabo, è tradizione che si conquistino anche i consensi interni sulla via di Gaza e della Palestina. Io credo che quanto sta accadendo oggi lì sia anche parte di questo grande confronto che sta avvenendo tra sciiti e sunniti, tra le varie componenti del mondo arabo, un confronto al quale va guardato naturalmente con attenzione, con rispetto per queste comunità e per queste religioni. E lo stesso sta accadendo in Israele. Non sono più i tempi nei quali i leader si formano sulla pace, sulla volontà di imporre la pace, di imporla nonostante le provocazioni.
  Naturalmente, come sempre in questi casi, vi è il tentativo di distinguere i buoni e i cattivi, da che parte stare. L'Italia e l'Europa hanno sempre cercato di non scegliere, con la teoria dei due popoli e dei due Stati. Noi crediamo che anche in questo caso, invece, vadano privilegiate le ragioni della democrazia, le ragioni dei popoli, della libertà dei popoli di scegliere di poter vivere su un territorio riconosciuto, ma anche di poter vivere senza il rischio che piovano bombe e razzi sulla propria testa.
  Io credo che questa occasione di dibattito sia anche un'occasione di dibattito, come veniva ricordato poco fa, che possa essere utile per discutere nel nostro Parlamento e nel nostro Paese della politica estera dell'Italia, ma soprattutto dell'Europa. Lo abbiamo fatto in Commissione, la ringraziamo per questo. Credo che sarebbe utile farlo anche in Aula.Pag. 12
  Lei ha fatto riferimento poco fa alle missioni internazionali che sono dispiegate in quel territorio, alla possibilità, forse alla necessità, che ci siano nuove missioni e nuovi interventi internazionali in quel territorio. Saranno decisi di concerto con le Nazioni Unite e naturalmente, come sempre, giustamente il nostro Paese farà la sua parte, non farà venire meno il suo contributo. Noi discuteremo nei prossimi giorni, nelle prossime settimane del decreto missioni che il Governo ha presentato in Consiglio dei Ministri ed approvato la settimana scorsa, non è ancora arrivato in Parlamento. Sarà quella, però, anche l'occasione per discutere di politica estera e per discutere della presenza dei nostri militari e delle tutele che ai nostri militari vanno assicurate in tutti i territori.
  Concludo – lei vede il fiocco giallo, signor Ministro –, io rispetto il silenzio con il quale il Governo sta operando. Naturalmente credo che lei condividerà con me che 900 giorni – perché ormai questo è il traguardo triste che è stato raggiunto – di ingiusta detenzione, di prigionia per i nostri militari all'estero siano francamente una cifra che a noi risulta insopportabile (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Fabrizio Cicchitto. Ne ha facoltà.

  FABRIZIO CICCHITTO. Signor Ministro, innanzitutto faccio mie le osservazioni che ha fatto poco fa il collega Elio Vito rispetto alle manifestazioni di antisemitismo che sono avvenute a Roma, che vanno condannate e nettamente distinte dal dibattito che deve svilupparsi in modo serio e approfondito sul dramma del Medio Oriente. Condivido anche il punto iniziale dell'analisi fatta dal Ministro, nel senso che su questa vicenda si intrecciano tante tensioni e una di esse, assai rilevante, riguarda una contraddizione profonda che attraversa il mondo arabo.
  Ma questa contraddizione – lo voglio ricordare ad alcuni colleghi, che hanno detto cose secondo me aberranti – non deve fare i conti con quello che sta avvenendo e che è avvenuto nel corso di questi anni proprio lì a Gaza e proprio nel cuore del mondo palestinese, perché quando Israele abbandonò e si ritirò da Gaza, quella poteva essere una grande occasione per avviare il processo di pacificazione. Invece avvenne esattamente l'opposto: avvenne – perché dobbiamo dare dei nomi alle responsabilità politiche che stanno in campo e lo ha ricordato il collega Amendola poco fa – che, armi alla mano, Hamas prese il potere lì a Gaza, emarginando ed estromettendo l'OLP e Al Fatah.
  Se noi dimentichiamo questo dato, facciamo un'analisi completamente sbagliata e non ci misuriamo anche con il fatto che, evidentemente, c'era una ragione quando l'Unione europea, nell'ottobre del 2005, ha messo Hamas fra i gruppi terroristici, perché Hamas da anni, avendo nel suo statuto l'obiettivo della distruzione di Israele, sta facendo un'operazione che è alle origini della drammatica situazione umanitaria e non solo politica che c’è adesso a Gaza. Hamas innesta cioè tecniche di attacco militare ed utilizza apporti che vengono dall'Iran per quello che riguarda le armi e per quello che riguarda i missili, nel cuore della popolazione palestinese, in modo tale da fare dei palestinesi di Gaza, una sorta di ostaggi che le servono come elemento di ulteriore drammatizzazione nei confronti della risposta israeliana, che non può non esserci. Ora noi diciamo ad Israele di avere reazioni il più possibile controllate, di aprire una riflessione sul nodo degli insediamenti, ma non possiamo chiedere ad Israele di non reagire di fronte ad un sistematico invio di missili e di razzi, che sono avvenuti in ogni occasione nella quale si riproponeva il problema della pace o della tregua. In modo sistematico è avvenuto questo innesto di un armamento di tipo antico e nuovo, compreso quello dei tunnel, che hanno l'obiettivo di fare operazioni terroristiche nel territorio di Israele proprio nel cuore degli insediamenti più popolari in modo da provocare il massimo delle vittime: Pag. 13è un dato che non si può dimenticare e su cui fare solo esercitazioni polemiche.
  E non ci si può non misurare con un altro dato, e cioè che Hamas sta in un contesto che è quello collegato alla Fratellanza Musulmana, che in questi giorni sta dando dei colpi durissimi; ha fallito in Egitto e adesso è responsabile di quello che sta avvenendo in Libia.
  Quindi noi ci troviamo in un contesto che è accentuato da questo dato e se non facciamo un'azione politica innestata su un'analisi di questa situazione e facciamo solo un discorso generico ed indifferenziato, noi non arriveremo mai alla pace.
  Questa è la ragione per cui a mio avviso il Governo italiano e l'Europa devono guardarsi intorno e devono collegarsi, in primo luogo, con Abu Mazen, l'OLP ed Al Fatah, che esprimono una linea equilibrata, nei limiti del possibile; e, in secondo luogo, devono favorire in tutti i modi – questo è l'invito che rivolgo al Governo italiano – quella linea che sta emergendo nel mondo arabo, che è portata avanti dall'Egitto, e che riguarda anche gli Emirati e l'Arabia Saudita, si tratta dell'unica linea possibile e che fa i conti con Israele e con l'esigenza del mantenimento e della tutela di questo Stato e con gli interessi di fondo del popolo palestinese.
  È dell'unica linea possibile per far sì che la situazione non esploda ulteriormente. Alle nostre spalle c’è una catena di errori sui quali va svolta anche una riflessione autocritica: gli errori commessi in Iraq, quello avvenuto in Libia, l'errore commesso nel non aver sostenuto, nel momento in cui era una realtà positiva, la rivoluzione siriana. Una serie di errori che rischiano di accentuare e di complicare ulteriormente la situazione e sui quali gli USA devono aprire una riflessione. Adesso, se noi non ci poniamo il problema di un collegamento stretto con le forze arabe che vogliono manifestare un'intenzione di contrapposizione ad un estremismo che ha in Hamas un punto di riferimento essenziale a Gaza e in diverse aree nelle forze della Fratellanza musulmana, se l'Europa, se l'Italia e se gli Stati Uniti non si collegano a queste forze esistenti nel mondo arabo, a mio avviso, commetteremmo un gravissimo errore; faremmo analisi generiche ed indifferenziate, metteremmo insieme forze di segno diverso e non arriveremmo a definire una linea politica capace di modificare positivamente la situazione. Infatti, solo una linea politica dell'Europa e del mondo occidentale, collegata alle posizioni più responsabili del mondo arabo, può neutralizzare e smilitarizzare Gaza e portare ad una situazione nella quale i palestinesi ritornino padroni di sé stessi e del loro destino nella prospettiva, che io mi auguro si realizzi, dei due Stati, di Israele e della Palestina, fatto che può realizzarsi soltanto se non emergono e se non si affermano gli estremismi, esistenti anche in Israele, ma si affermano le posizioni responsabili (Applausi dei deputati del gruppo Nuovo Centrodestra).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Rabino. Ne ha facoltà.

  MARIANO RABINO. Signora Presidente, Ministro Mogherini, onorevoli colleghi, siamo al cospetto di una guerra terribile, quella combattuta a ridosso della Striscia di Gaza, Israele ed Egitto, in cui numero delle vittime aumenta a dismisura giorno dopo giorno, colpendo indiscriminatamente soldati e civili e, tra i civili, famiglie e bambini. Le sparatorie avvengono tra le case e vicino alle strutture sanitarie, dove gli ospedali troppo spesso vengono usati come depositi di armi. Si tratta dell'ultima sanguinosa manifestazione di una guerra che va avanti dal 1948.
  Quest'ultima scintilla, occorre ricordarlo, è stata alimentata a metà giugno dal rapimento e dall'uccisione di tre studenti israeliani da parte probabilmente di una tribù vicina al movimento palestinese Hamas, cui ha fatto seguito l'uccisione dell'adolescente arabo bruciato vivo da fanatici israeliani che per rappresaglia hanno rappresentato solo il casus belli della guerra che, sia il Governo di Tel Aviv, sia la dirigenza di Hamas, hanno ritenuto opportuno poi scatenare. È evidente la Pag. 14difficoltà di far rispettare una tregua tra parti che sarebbe riduttivo definire ostili tra di loro dal momento che si tratta di popoli ormai coinvolti in interessi che li spingono a scegliere il conflitto, alimentando l'ecatombe di vittime in larga parte civili.
  La Striscia di Gaza è martirizzata da tredici anni, dall'inizio della seconda Intifada, in quello che ormai la comunità internazionale riconosce come un macabro spettacolo che ciclicamente si ripete. Periodicamente Israele, in risposta ai lanci di razzi, al rapimento di un soldato o all'uccisione di giovani coloni, scatena offensive via terra, dal cielo, dal mare. Dall'inizio del millennio sono morti circa 6.400 palestinesi e più di mille israeliani. Si tratta di una guerra combattuta senza esclusione di colpi e non solo in terra e dal cielo, ma anche sottoterra, nei tunnel che ora si tenta di distruggere. Sono proprio i tunnel nel sottosuolo della Striscia di Gaza a rappresentare per Gerusalemme la peggiore minaccia, la più insidiosa, la meno prevedibile.
  Dal giugno 2007, da quando Hamas, come ha ricordato bene il presidente Cicchitto, conquistò la Striscia di Gaza sbaragliando le forze di Fatah in una guerra civile sanguinosa e breve, Gerusalemme avviò un embargo sul traffico di merci che transitava quotidianamente nella Striscia di Gaza. Privata dei valichi israeliani, spesso senza elettricità e benzina, l'economia di Gaza precipitò.
  Si cominciò a scavare. Dal 2007 ad oggi, i tunnel, prima piccoli cunicoli nascosti tra le macerie di Rafah, la città del contrabbando ai confini con l'Egitto, rappresentano ora un indotto impressionante, quasi 35 mila lavoratori, con un giro di affari che copre il 95 per cento dell'intero commercio di Gaza. Si tratta di condotti in grado di alimentare un'intera economia ed attraverso i quali si commercia di tutto: lavastoviglie, sigarette, benzina, medicinali, computer, automobili smantellate e poi riassemblate, armi.
  I tunnel sono diventati la punta di diamante di questa strana, insolita, stucchevole «creatività palestinese». Chi li ha visti racconta che ogni galleria ha diversi accessi. Non solo è collegata ad altre gallerie tramite corridoi trasversali in modo da continuare l'attività anche quando una parte del tunnel crolla. Sono forniti di elettricità, impianti di aerazione con generatori di emergenza e linee telefoniche. Sono questi, i tunnel, che i miliziani di Hamas stanno utilizzando per fare incursioni in Israele, generando il contrattacco da parte di Gerusalemme.
  Per Israele il compito è più difficile. I tunnel segreti di Hamas sono difficili da individuare proprio perché sono più profondi, lunghi, e nascosti, spesso in case civili nel cuore di Gaza. Solo un'operazione di terra è in grado di individuarli e distruggerli. Finora ne sarebbero stati fatti saltare una ventina, ma secondo gli esperti sarebbero molti, molti di più e più sofisticati.
  L'esercito egiziano, a sua volta, ora non esita più ad ingaggiare scontri a fuoco con i beduini del Sinai per fermare il traffico di armi attraverso i tunnel rimasti. I numeri del conflitto sono più che mai disarmanti, i morti di questi 21 giorni di guerra hanno superato i mille e per la maggior parte sono civili. Le famiglie rimaste senza un posto da abitare, da una stima delle Nazioni Unite, sono 3.300. Nelle scuole dell'UNRWA (l'Agenzia Onu per i rifugiati) sono circa 160 mila, il 10 per cento della popolazione. A ieri (domenica 27 luglio), sono 42 i soldati israeliani morti durante i giorni di offensiva su Gaza, cinque dei quali sono stati uccisi in diverse zone della Striscia nelle 24 ore precedenti la tregua umanitaria di sabato 26 luglio. Il 50 per cento della popolazione nella Striscia di Gaza vive al di sotto della soglia di povertà indicata dall'Onu (1,5 euro al giorno); oltre un milione di abitanti non ha accesso all'acqua potabile.
  In questo orrore, ad avere la peggio sono i deboli, che non hanno alternative. In mancanza di rifugi, le persone restano in casa durante i bombardamenti. I palestinesi della Striscia di Gaza non possono scappare perché i valichi di frontiera sono chiusi, perché tutte le case costituiscono un bersaglio. Sono i civili, dunque, a Pag. 15pagare il prezzo più alto. Purtroppo, dietro ogni numero, c’è un nome ed hanno un nome i bambini che, ogni giorno, ogni ora, muoiono. Nella Striscia di Gaza muore un bambino ogni ora.
  L'Unicef denuncia che, dall'inizio dell'operazione militare israeliana contro Hamas, più di 120 bambini sono stati uccisi. Un bilancio drammatico che continua a salire. Il bilancio sale ogni giorno, senza dimenticare che ai troppi morti si sommano i feriti. «Almeno 904 bambini palestinesi» hanno infatti subito ferite tra l'8 e il 20 luglio, ha aggiunto l'Unicef. Infine, secondo le valutazioni degli operatori umanitari sul terreno, almeno 107 mila bambini hanno bisogno di sostegno psico-sociale specializzato per affrontare il trauma che stanno vivendo in seguito alla morte di parenti o il loro ferimento o la perdita della propria casa.
  L'Agenzia dell'Onu ha reso nota la necessità di aiuti immediati per oltre 60 milioni di dollari. È, dunque, evidente quanto sia sempre più grave la situazione a livello di soccorsi umanitari, resa ancora più difficile dall'annuncio dell'Agenzia Onu per i rifugiati di non poter più sfamare le decine di migliaia di persone – lo ricordava il Ministro Mogherini – che in questi giorni hanno accolto nelle proprie strutture nella Striscia di Gaza. Si tratta di una terribile emergenza umanitaria e diversi sono gli appelli ad entrambe le parti affinché almeno ospedali e scuole vengano riconosciuti come luoghi inviolabili, dal momento che spesso rappresentano l'unico posto sicuro per i più deboli e per i bambini feriti e rimasti senza famiglia.
  A nulla servono le manifestazioni antisemite, per le quali dobbiamo esprimere la più assoluta e totale delle condanne così come la più assoluta e totale delle solidarietà, nel caso di specie, alla comunità ebraica di Roma per i fatti avvenuti nella notte, che sono dilagate in tutto il mondo; è il caso della Francia e anche da noi in Italia.
  La sensazione è quella del contagio, del contagio di una guerra che si estende anche a livello extraterritoriale, alimentata da inutili fanatismi, universalizzando la colpa o il destino di essere ebrei, palestinesi, arabi o musulmani.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  MARIANO RABINO. È molto importante quanto stanno facendo – cercando di fare – i Ministri degli esteri riuniti a Parigi, i Ministri europei, degli Stati Uniti, della Turchia, del Qatar – Presidente, mi avvio alla conclusione –, che premono per un'intesa Israele-Hamas. Si tratta di lodevoli sforzi compiuti dalla comunità internazionale per indurre a trattative le parti coinvolte, nella consapevolezza della necessità di un dialogo tra le parti e per rafforzare i moderati ed emarginare, per quanto possibile, gli estremisti. Non cadiamo nella partigianeria: la Palestina non è Hamas. Isoliamo Hamas e liberiamo la Palestina da questa leadership violenta, medievale, che ha affamato il popolo palestinese.
  Caro Ministro, le riconosciamo l'equilibrio necessario, la giusta determinazione, la corretta lungimiranza: qualità indispensabili in questi drammatici, delicati e storici passaggi. La sosteniamo con convinzione nella sua attività diplomatica in Europa e nel mondo. Il nuovo equilibrio si costruisca su base democratica: deve vincere la democrazia. Come lei ha detto bene, citando Grossman: «produciamo tutti uno scatto, buchiamo tutti insieme la bolla» (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Palazzotto. Ne ha facoltà.

  ERASMO PALAZZOTTO. Signora Presidente, signora Ministro, grazie per essere venuta in quest'Aula a riferire, come da tempo noi avevamo chiesto. Ci dispiace constatare che c’è un enorme ritardo, non solo su questa informativa, ma un ritardo che si manifesta in tutto l'intervento della comunità internazionale su questo conflitto.
  Tardive sono state le prime dichiarazioni, tardivo ogni intervento, che è arrivato Pag. 16già quando tutto era stato compiuto. Ma, nella giungla di punti di vista che si districa davanti a noi in questo conflitto, i numeri, forse, sono più eloquenti: 1.200 vittime, tra queste, quasi 200 bambini, 56 soldati, oltre 100 mila gli sfollati. Sono state distrutte e colpite in questi giorni case di civili, ospedali, scuole: tra queste, quella costruita con i soldi della cooperazione italiana, che già veniva richiamata; è stata colpita stanotte la sede dell'UNRWA, l'Agenzia per i rifugiati palestinesi, proprio a dimostrazione che, nelle strategie militari del Governo israeliano, non c’è alcun posto sicuro nella Striscia di Gaza.
  E la drammaticità di questo conflitto, di questi numeri, di quello che sta accadendo oggi in Palestina richiede, avrebbe richiesto, un intervento della comunità internazionale sicuramente più consistente. Noi non possiamo lasciare Gaza da sola davanti a quello che sta accadendo, noi non possiamo abbandonare il popolo palestinese sotto i colpi di mortaio dell'esercito israeliano (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).
  «Due popoli, due Stati»: da questo punto noi non ci muoviamo, e continuiamo a chiedere che vengano garantite le condizioni perché possa esistere uno Stato dove il popolo israeliano possa vivere in pace e uno Stato dove lo possa fare il popolo palestinese. Ma il diritto del popolo israeliano alla sicurezza non costituisce un diritto automatico affinché quella sicurezza si costruisca con l'oppressione del popolo palestinese. E noi non possiamo non vedere che questo conflitto ha radici lontane e affonda queste radici anche nelle responsabilità del Governo israeliano.
  In Palestina, le violazioni dei diritti umani sono all'ordine del giorno, la legalità internazionale è costantemente violata. Se vogliamo andare a trovare le radici di quella bolla di odio di cui parla Grossman, in cui sono intrappolati il popolo palestinese e il popolo israeliano, penso che bisogna fare una visita a Hebron, in quella città ostaggio di una colonia israeliana nel cuore della città; una città di 300 mila abitanti, ostaggio di 530 cittadini israeliani assediati e militarizzati, che tengono in ostaggio quella città.
  Ciò anche per capire come le politiche del Governo israeliano creino ogni giorno le condizioni perché venga fomentato l'odio nel popolo palestinese, creino ogni giorno le condizioni perché forze integraliste come Hamas costruiscano il loro consenso e affondino le radici dell'odio e della violenza nel popolo palestinese.
  Noi non possiamo affrontare questa discussione come se non ci fossero delle responsabilità in campo, come se quello che sta accadendo in Palestina fosse semplicemente un fenomeno meteorologico e atmosferico. Noi dobbiamo andare a guardare le responsabilità in campo, partendo anche dalla proporzione delle forze in campo. Lo dico perché il rischio che noi corriamo, ignorando tutto questo, è che quell'odio, quella enorme bolla che in questo momento tiene imprigionati il popolo palestinese e il popolo israeliano si allarghi, e i fatti che sono avvenuti ieri a Roma, la recrudescenza di un antisemitismo che noi condanniamo senza «se» e senza «ma», sono il fenomeno più manifesto di quanto quella bolla si stia ingrandendo.
  Allora, noi abbiamo bisogno di porre fine all’apartheid a cui è costretto il popolo palestinese dalle politiche del Governo israeliano, perché quella è la condizione preliminare perché si possa aprire un vero processo di pace, ovvero che il Governo israeliano rispetti la legalità internazionale, rispetti le risoluzioni delle Nazioni Unite. Il silenzio e le responsabilità della comunità internazionale sono enormi; le reticenze rispetto a quello che succede in Palestina, le complicità che hanno spesso isolato la parte moderata del popolo palestinese, che qui veniva richiamata, hanno spesso isolato gli sforzi estremi del Presidente Abu Mazen; l'ultima in ordine di tempo: l'astensione del nostro Paese e di tutti i Paesi europei rispetto alla richiesta della costituzione di una Commissione di inchiesta sui crimini di guerra di Israele e di Hamas, perché non bisogna andare a Pag. 17guardare e a vedere quali sono le violazioni dei diritti umani che sono in campo in questo momento.
  Allora, la domanda che noi ci facciamo è come possa l'Europa non capire che il Mediterraneo è il pianerottolo di casa, che quello che succede in Libia, in Palestina, sta accadendo davanti alla nostra porta; come facciamo a voltarci dall'altra parte e a non pretendere giustizia per il popolo palestinese e per quello che sta succedendo e come facciamo a chiudere gli occhi su quello che quotidianamente facciamo ?
  Veniva qui richiamato – lo abbiamo denunciato nei giorni scorsi – che il nostro Paese è uno dei maggiori esportatori di armi verso Israele e proprio in questi giorni noi continuiamo a stringere questi accordi di cooperazione militare. L'Alenia fino a qualche giorno fa ha mandato degli aerei addestratori, ma che possono essere armati per conflitti a bassa intensità come quelli di Gaza; a settembre l'aeronautica militare israeliana verrà ad esercitarsi insieme alla nostra sui bombardamenti nei poligoni della Sardegna, cioè il nostro territorio diventa campo di addestramento per gli aerei che vanno a bombardare Gaza. E allora, cosa aspettiamo, cosa aspetta l'Unione europea e cosa aspetta l'Italia, che in questo momento guida l'Unione europea, a chiedere un embargo sulle armi a Israele (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà) ? Basterebbe che i Paesi europei si rifacessero alle linee guida dell'Unione europea sul conflitto palestinese.
  Ecco, vorrei concludere facendo un appello: la pace la si fa se è il più forte a volerla fare, e allora noi abbiamo bisogno che la comunità internazionale imponga, in questo momento, allo Stato israeliano un cessate il fuoco immediato, non solo umanitario, ma perché è il presupposto perché si possa avviare un processo reale di pace. Noi abbiamo bisogno che il processo di pace parta dalla restituzione della sovranità al popolo palestinese sul suo territorio, dalla fine dell'occupazione, perché in Palestina c’è un'occupazione, Gaza è un territorio occupato, e non solo per la presenza militare sul campo, oggi, ma è un'occupazione perché viene vietato lo spazio aereo, viene vietato il transito e la libertà degli esseri umani, viene vietato ai pescatori di pescare, ai contadini di coltivare la propria terra.
  Allora, noi abbiamo bisogno che dalla fine di questa occupazione nasca una vera Conferenza di pace multilaterale che coinvolga in primo luogo l'Europa, che continua ad essere latitante rispetto a quello che sta accadendo oggi nel Medio Oriente. L'Europa deve cominciare ad avere una sua politica estera autonoma, deve cominciare ad avere una voce in capitolo su quello che succede nel nostro mare.

  PRESIDENTE. Concluda.

  ERASMO PALAZZOTTO. Concludo, Presidente. L'idea di una forza di interposizione sul modello Eubam o UNIFIL può nascere e può essere uno strumento utile solo se garantisce la legalità e il rispetto delle condizioni da entrambe le parti, quindi può nascere solo se garantisce anche il ritiro di Israele dai territori occupati. È l'idea che la pace si fa con la giustizia e che la giustizia è il presupposto perché possa esistere la pace (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gianluca Pini. Ne ha facoltà.

  GIANLUCA PINI. Presidente, signora Ministro, chiaramente anche la Lega esprime la massima preoccupazione per quanto sta accadendo e per il pesantissimo tributo in vite umane che questo conflitto sta in qualche modo esigendo. Ma, mentre auspichiamo – credo come tutti – che arrivi una sollecita cessazione delle ostilità, pensiamo anche che su quanto sta accadendo sia opportuno esprimere un giudizio equilibrato, cosa che, senza offesa e senza polemiche, non ci pare che il Ministro abbia espresso o abbia fatto nella sua analisi, molto dettagliata nei dati, ma un po’ lacunosa, a nostro avviso, su quello Pag. 18che è effettivamente il giudizio complessivo di quello che sta accadendo. Anche perché, se non si capisce quello che sta succedendo, c’è il serio rischio di subirne le conseguenze. Ricordo al Ministro, infatti, che noi non siamo poi così distanti dal teatro delle operazioni, avendo oltre mille uomini dislocati nel Libano meridionale, altro tema che lei non ha assolutamente affrontato, ma che è un rischio assolutamente impellente per gli uomini dislocati in quello scenario.
  Giudizio equilibrato, dicevo. Allora, per avere un giudizio equilibrato è necessario capire dove la battaglia di Gaza ha avuto il suo innesco. Lo sappiamo bene, dal rapimento e l'uccisione dei tre adolescenti israeliani da parte di un gruppo di estremisti islamici, che poi ha determinato una rappresaglia, all'epoca puntuale e precisa da parte israeliana. Cioè, ci sono stati degli arresti, sono state distrutte le case dei presunti responsabili e sono stati presi di mira alcuni bersagli simbolici; senza fare vittime. Doveva finire lì. Doveva, ma purtroppo non è finita lì. Perché ? Perché qualcuno ha creduto bene di andare avanti e di alzare la soglia dello scontro, ben sapendo che la cultura strategica dello Stato ebraico avrebbe poi, presto o tardi, indotto il Governo israeliano a utilizzare le maniere forti, e così purtroppo è stato. Sono iniziati a cadere i razzi, una pioggia che si è intensificata giorno dopo giorno, sollevando più di un interrogativo anche sulla tenuta dell’embargo al quale è stata per anni sottoposta la Striscia di Gaza – embargo che, evidentemente, non ha prodotto i risultati sperati – e soprattutto, però, generando pressioni su Netanyahu, che alla fine si sono rilevate in qualche modo irresistibili.
  Le forze armate israeliane hanno così avviato una prolungata campagna di bombardamenti, poi inviato piccoli gruppi di commando. Comunque, sappiamo purtroppo come è stata l’escalation. Tutto ciò ha comportato inevitabilmente un elevato numero di perdite. Un fatto scontato, data l'elevata densità abitativa di Gaza e la circostanza che Hamas abbia riposto tutte le proprie armi nel sottosuolo.
  Ripeto, dobbiamo dare un giudizio equilibrato per capire come poterne uscirne, per capire come poter dare un contributo alla cessazione delle ostilità. Allora, dobbiamo a questo punto chiederci chi siano i veri responsabili dei massacri: gli israeliani che vengono indotti a reagire dall'accumularsi delle provocazioni o coloro che materialmente li provocano sapendo quale sarà la loro reazione, per di più facendosi scudo della popolazione civile locale ? È un quesito che noi risolvemmo a suo tempo, senza molti tentennamenti, in questo Paese. Quando gli alleati ci bombardarono massicciamente durante la Seconda guerra mondiale non ce la prendemmo con gli americani o con gli inglesi, infatti, ma con chi aveva dichiarato loro guerra, e facemmo bene. Dovremmo pertanto fare altrettanto con Hamas, o meglio con quella parte di Hamas, e forse anche con le organizzazioni rivali di matrice salafita, che non hanno gradito l'accordo che ha portato alla nascita del Governo unitario dell'Autorità nazionale palestinese. Questo, secondo noi, è il nocciolo della questione. I massacri di questi giorni, in effetti, sono stati in un certo modo pianificati.
  È Hamas ad aver steso sotto Gaza una rete di tunnel lunga centinaia di chilometri, organizzati in settori e sottosettori, attraverso la quale movimenta i razzi, sparati contro le città israeliane da piccole piazzole scoperte, senza esporre alcuno operativo, con appositi timer, nel bel mezzo delle case, delle scuole e delle cliniche, condannandole di fatto alla risposta israeliana.
  Ed è anche probabile, a nostro avviso, l'effetto di una scelta consapevole da parte di Hamas perché i dirigenti di Hamas sanno che le morti dei bambini e dei civili sono armi decisive nello spostare la percezione dell'opinione pubblica internazionale.
  Per questo, mentre ci auguriamo che, al più presto, venga dichiarato il cessate il fuoco, insistiamo sul fatto che ad Hamas non debba essere offerta alcuna sponda, nessuna sponda di dialogo con Hamas perché – vede – i signori che dirigono Pag. 19Hamas – lei lo sa bene – possiedono ville di lusso, che sono nella costa della Striscia, in una posizione ben lontana dai rischi delle rappresaglie israeliane e queste case, ben lontane – come dicevo – dai tunnel, scavate sotto le case della povera gente, sono rifornite da ogni ben di Dio, contrariamente alle zone popolari di Gaza, dove la gente fa la fame. Però vedo che da un punto di vista – come dire – mediatico tutto fa brodo e quindi, quando si tratta di conquistare da parte di chi si indigna per l'uccisione di terroristi di Hamas, ma non si indigna, per esempio, per l'uccisione dei cristiani per mano dei fanatici islamici, tutto fa brodo per conquistare il cuore e le menti dell'opinione pubblica internazionale. Bene, non riusciranno ad impadronirsi dei nostri. Non capiamo come hanno fatto a sedurre molti dei vostri, fra l'altro perché quello che ho sentito oggi in quest'Aula da parte di alcuni colleghi mi lascia abbastanza basito, perché quello che ho sentito da molti non è un giudizio equilibrato, sulle vere responsabilità, su chi effettivamente ha le mani insanguinate di questi morti.
  Tra l'altro, volevo ricordare agli amici della sinistra che, a differenza di Fatah, che vanta una grande rete di amicizie nel vecchio blocco socialista, Hamas reca con sé una visione del mondo lontanissima di quella abbracciata dai cosiddetti progressisti.
  Vede, del suo intervento ho condiviso solo una cosa, Ministro, quando ha detto che bisogna nettamente tenere separati – me lo sono segnato – nell'agire chi cerca la pace e chi invece si nutre di violenza. Lei ha pienamente ragione su questo, ma le chiediamo a questo punto di essere coerente, fino in fondo. Aiuti quindi la comunità internazionale a sradicare Hamas da questi territori e probabilmente si arriverà a quello che è l'obiettivo che tutti quanti qui cerchiamo, cioè la pace in quei territori (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Marazziti. Ne ha facoltà.

  MARIO MARAZZITI. Presidente, onorevole Ministro Mogherini, colleghi deputati, la ringrazio, Ministro, per la sua informativa puntuale al Parlamento, perché questa è la fisiologia della democrazia in tempi in cui alcuni ventilano una diminuzione di democrazia in Italia.
  Condividiamo i cinque punti che ha presentato, ma questa nuova crisi arriva in un mondo in cui si stanno riscrivendo i confini con violenza, e c’è un vuoto nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, che è stato lasciato dagli Stati Uniti, un vuoto che se non è riempito da un'azione positiva europea è a disposizione degli estremismi, in crescita in tutta l'area.
  Un anno fa veniva rapito oggi in Siria Paolo Dall'Oglio; prima di lui i vescovi di Aleppo, Mar Gregorius Ibrahim e Paul Yazigi. Aleppo, Homs, grandi città con grandi comunità cristiane hanno visto scomparire quasi 200 mila cristiani di ogni confessione. Per Aleppo, ci sarebbe ancora la possibilità di creare un varco umanitario e almeno di farne una città aperta.
  Signor Presidente, se può dire ad alcuni colleghi...

  PRESIDENTE. Vada avanti, onorevole Marazziti.

  MARIO MARAZZITI. ... quasi 200 mila morti ormai in Siria. A Mosul – lo sappiamo – il cosiddetto Califfato ha già azzerato ogni presenza religiosa «altra» e sta attaccando all'ingresso della piana di Ninive, dove sono nate alcune delle antiche religioni del mondo e li sopravvivono e dove sono rifugiati, protetti dai curdi, i cristiani sopravvissuti alla guerra e agli orrori dell'Iraq.
  Perché parlo di questo oggi, quando parliamo di Israele e Palestina ? La faticosa tenuta della Giordania, ancora: un milione 700 mila palestinesi rifugiati prima, oggi 607 mila registrati profughi dall'ONU.
  In Libano 1 milione 137 mila profughi siriani registrati dall'ONU, più di un milione e mezzo quelli veri, come se in Italia, fatte le proporzioni, ci fossero 15 milioni di rifugiati registrati e 5 milioni registrati nei campi.Pag. 20
  Allora, siamo di fronte a popoli ostaggi di estremismi e siamo di fronte a questa situazione anche nel conflitto di adesso, tra Israele e Hamas. Siamo dentro a un Medio Oriente che si sta disintegrando, dove il potere dei gruppi estremisti jihadisti e qaedisti si sta rafforzando anche militarmente, anche grazie agli errori strategici fatti dai Paesi occidentali nella valutazione della crisi siriana. Questo ha favorito una escalation militare e oggi abbiamo la più grande guerra combattuta in Medio Oriente, che è la Siria, abbiamo il cosiddetto «califfato», che sta riscrivendo i confini Sykes-Picot del 1916, e abbiamo più guerre in Medio Oriente. È qui che arrivano i razzi di Hamas, è qui che abbiamo i bombardamenti di Rafiah, i campi profughi di Bureij, le notizie dei bambini palestinesi uccisi mentre provavano a giocare.
  Noi capiamo il dolore, la paura, l'accerchiamento di Israele. Pensiamo che sia un orrore l'ondata di antisemitismo volgare, ignorante e violento che si propaga dalla Germania alla Francia al resto del mondo. È un altro mostro, un fantasma che si sta scatenando e poi sarà difficile andarlo a riprendere. Oggi a Roma i miei amici ebrei romani, i nostri amici ebrei romani, sanno, però, che non sono soli.
  Noi non siamo tifosi dei palestinesi o tifosi degli israeliani. Noi siamo perché i palestinesi sappiano di essere un popolo amico e fratello. Noi siamo perché lo Stato israeliano sappia che tutti gli ebrei del mondo e tutti gli israeliani – e sono cose diverse – sono un popolo di fratelli, ma quello Stato negherebbe se stesso se vivesse a danno degli altri. Allora, l'Europa e l'Italia che fanno ? Lei ha proposto cinque punti. Io mi sono permesso di offrire un quadro più largo, perché questa crisi va risolta anche insieme alle altre crisi.
  Onorevole Ministro, colleghi deputati, siamo a un cambiamento epocale, anche se l'ennesima battaglia israelo-palestinese sembra la copia di tante altre rappresaglie, guerre temporanee per indebolire la capacità offensiva della parte più aggressiva dei palestinesi, ma non è così. Il mondo è a una svolta e forse l'Europa ha le chiavi, forse ha il potere e la forza per fare qualcosa che non si è ancora fatto, forse. Le classi dirigenti israeliane e palestinesi da decenni e oggi sono drammaticamente prigioniere dell'incapacità di costruire la pace, anche se sanno che l'unica possibilità di benessere e di felicità è vivere insieme in pace, alleati. C’è un automatismo della diffidenza e dell'odio che rende ciechi. Nessuno può sopportare di essere bersaglio di missili; Israele ha diritto alla paura. Nessuno può sopportare di vivere con l'acqua che manca, il sovraffollamento, tentato dall'arroganza del benessere che è appena dietro l'angolo ma negato. Ma quello che sembra sempre uguale non lo è più. Israele paga un gioco spregiudicato di incoraggiamento di tanti delle divisioni in campo palestinese. Oggi Mahmoud Abbas, Abu Mazen e Hamas sono tutti troppo deboli per stare da soli e Hamas è troppo debole di fronte alla rete di estremisti qaedisti, cresciuti nell'odio. Per questo ad Hamas possono andare bene anche più di mille morti palestinesi.
  C’è una crescita non coordinata degli estremismi killer, incoraggiata non solo in quel Paese, in quell'area, in quella regione, da Paesi che hanno pensato di trarne vantaggio, ma che ne stanno perdendo il controllo. C’è un immenso mondo di popoli prigionieri della violenza che subiscono. La scelta per il Mediterraneo allora – ed è questo che le chiedo – è dettata dalla storia, quella del partenariato orientale forse fa parte più della cronaca.
  C’è da fare una grande alleanza per queste popolazioni, quando le leadership nazionali – nessuna – hanno la forza o la possibilità per il grande gesto della pace. Tutte le classi dirigenti sono assediate dagli estremisti, armati, troppo armati. Allora sì disarmo, cessate il fuoco, ed è mondiale l'impegno. Pace subito con la parte dialogante palestinese, un grande piano europeo per l'integrazione sociale e territoriale nell'area, con l'aiuto di tutti i Paesi dell'area e del resto del mondo, per togliere agli estremisti e alla loro predicazione Pag. 21di odio il materiale per la loro grammatica della protesta e della rabbia.
  Conferenza internazionale anche per la Siria e con tutti i Paesi coinvolti, senza esclusioni. Oggi l'Iran è un'occasione storica. Oggi la Russia, con cui ha un conflitto il mondo occidentale, è però un potenziale grande alleato per la pace nell'area. Tutti coinvolti senza esclusioni. Negoziato e pace tra tutti i soggetti che possono farla.
  Concludo: una soluzione politica e non militare per la Siria, come una soluzione politica subito, non militare, per Israele e palestinesi, con i palestinesi e gli israeliani che vogliono fare la pace. È il modo per evitare che implodano anche Paesi come il Libano e la Giordania, per dare tempo all'Egitto di aprire una fase nuova di giustizia sociale e stabilità, giocando un ruolo positivo in tutta l'area. E azione coordinata internazionale contro gli estremisti armati, i califfati vari, avviando però intanto una pacificazione dove è possibile.
  Su questa base l'Italia e l'Unione europea possono agire, a mio e nostro parere; come gruppo Per l'Italia, ma anche come quella parte del Parlamento che è portatrice di una visione di democrazia solidale, sostenitrice della spinta di cambiamento del nostro Governo in Italia e in Europa, mi permetto di chiedere una iniziativa marcata, riconoscibile, sua e del nostro Governo (Applausi dei deputati del gruppo Per l'Italia).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Rampelli. Ne ha facoltà.

  FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, colleghi deputati, Ministro Mogherini, la discussione è senz'altro utile a patto che scaturisca da un sincero coinvolgimento da parte di tutte le forze politiche rappresentate in quest'Aula per esprimere la totale e piena solidarietà al popolo israeliano, in modo particolare alla popolazione civile, ai bambini, così come alla popolazione civile palestinese, comunque colpita dall'intervento militare israeliano.
  Questo è il primo messaggio che in maniera forte e chiara intendiamo dare a quest'Aula per passare poi alle considerazioni di carattere politico inerenti anche al ruolo che l'Italia e l'Europa possono e debbono esercitare nello scenario geopolitico circostante. Dobbiamo ricordarci che, soprattutto per noi che siamo una sorta di piattaforma logistica proiettata nel mare Mediterraneo, il Medio Oriente non è soltanto il luogo fascinoso da un punto di vista culturale, da un punto di vista religioso, da un punto di vista spirituale che abbiamo conosciuto e approfondito nel corso della storia dei secoli, ma è anche un legittimo interesse, un legittimo interesse dell'Italia. E in teoria dovrebbe essere anche un legittimo interesse dell'Europa, un po’ troppo distratta soprattutto nei confronti dell'Italia, come abbiamo potuto constatare nella scarsa presenza intanto politica, ma anche economica, che ha avuto al nostro fianco nella nota vicenda dei flussi migratori, delle loro accelerazioni e della nostra difficoltà a gestirli tenendo in campo, da un lato, il diritto alla sicurezza dei cittadini italiani e, dall'altro, ovviamente il diritto al futuro delle popolazioni più povere e disperate del Terzo mondo.
  Ma questa premessa è indispensabile per interrogare lei, Ministro, in ordine al ruolo che il suo Dicastero intende esercitare e interpretare nel prossimo futuro, perché l'impressione che si ha, guardando a volo d'uccello in particolare quel che capita intorno all'Italia e all'Europa, è che in tutti gli scenari che possono avere un riferimento e, quindi, dicevo prima un legittimo interesse per l'Italia, ma anche per l'Europa, l'Italia, un po’ distratta o forse eccessivamente concentrata sulle tecniche di bilancio imposte in particolare dalla parte centrale e settentrionale dell'Europa, si sia smarrita in ordine al fatto che di fronte a noi il Medio Oriente è esploso in mille pezzi. Non è solo il problema, che oggi stiamo commentando, del conflitto reiterato e pluridecennale tra Israele e il popolo palestinese. Non è solo la vicenda relativamente più recente che ha coinvolto la Siria e che ha visto nuovamente, dopo la cessazione della guerra fredda, una contrapposizione abbastanza Pag. 22netta tra mondi che finalmente avevano iniziato a dialogare, quello dell'estremo occidente e quello dell'estremo oriente europeo.
  Ma parliamo della Tunisia, parliamo della Libia, un altro nostro legittimo interesse che è stato preso d'assalto dalla comunità internazionale, inizialmente a tradimento rispetto persino ai rapporti storici e preferenziali che l'Italia aveva con quel Paese. Non si è risolta la questione, non vi è stata una «primavera araba», così come, se vogliamo evocare la possibilità di «democratizzare», come ha detto qualcuno in epoca non sospetta, alcune parti del mondo dove democrazia, partecipazione e libertà non esistono nel rapporto fra uno Stato e i suoi cittadini, dobbiamo ammettere che anche in Egitto la situazione è tutt'altro che fluida.
  Se ci vogliamo addentrare nell'Africa, non soltanto nelle zone che anticamente erano di interesse, con cui, comunque, abbiamo mantenuto rapporti diplomatici importanti, la Somalia e l'Etiopia, ma in tutto il Centro Africa, le cose, se possibile, vanno peggio. Non è risolta la vicenda del Marocco, nel suo rapporto con la popolazione sahrawi, e si è aperto questo grande punto interrogativo a est dell'Europa, che, purtroppo, fa totalizzare numeri importanti in termini di feriti, di morti, anche qui, anche cittadini inermi, popolazione civile.
  L'Ucraina spaccata a metà, la conflittualità ripresa con la Russia, tutto accade intorno all'Europa, intorno all'Italia. Anche quello che è accaduto negli ultimi decenni nei Balcani non è certamente stato determinato, se non limitatamente ad alcuni quadranti e ad alcuni territori, dall'impulso, dall'attenzione, dalla sensibilità, dalla concentrazione dell'Italia. L'impressione è che negli ultimi venti anni noi si sia messa la politica estera tra parentesi e si sia deciso di abdicare a un ruolo che, per quel che ci riguarda, sia da un punto di vista proprio antropologico, caratteriale, ma, direi, anche da un punto di vista commerciale, l'Italia non può cessare di interpretare.
  Al di là della solidarietà, dell'auspicio che possa cessare il conflitto tra Israele e la Palestina nella Striscia di Gaza, al di là delle circostanze imminenti, impellenti, che sono sotto gli occhi di tutti nella loro drammaticità, una domanda si pone perentoria, ed è una domanda che riguarda l'Italia, incastonata nel continente europeo: quale politica estera, quale relazione intendiamo coltivare per dare la giusta immagine, il giusto ruolo, alla nostra terra, alle nostre caratteristiche, alle nostre eccellenze ? In che maniera possiamo continuare ad esercitare quel ruolo che per secoli abbiamo comunque esercitato, sicuramente producendo anche risultati positivi, non soltanto per noi, ma direi, per il mondo intero ?

  PRESIDENTE. Deputato, concluda.

  FABIO RAMPELLI. Infatti, grazie a Dio, siamo stati comunque artefici di importanti movimenti di accelerazione, di innovazione e di modernizzazione, siamo stati dispensatori di una cultura del diritto, della democrazia, della relazione: ci definiscono «italiani brava gente» anche quando partecipiamo alle missioni di peacekeeping. Quindi, penso che noi si debba alla nostra natura una risposta a questo quesito. L'Italia e l'Europa, e concludo, Presidente, devono lavorare lì, in Medio Oriente; lo devono fare alacremente, non in maniera circoscritta al momento in cui i conflitti deflagrano, ma lo dobbiamo fare in maniera strutturale, perché li sono collocate le nostre relazioni, sono collocati i nostri interessi.
  Dobbiamo indurre Israele a convincersi che il popolo palestinese ha diritto a uno Stato, ma, contemporaneamente, dobbiamo indurre il popolo palestinese a emanciparsi da Hamas e da ogni tentazione terroristica, da tutti coloro i quali, nel proprio statuto e nella propria ragione sociale, hanno per obiettivo la distruzione, il non riconoscimento dell'esistenza in vita di Israele.
  Solo creando queste condizioni, la comunità internazionale, scevra quindi da altri interessi meno leciti e più distanti, Pag. 23potrà mettere Israele e la Palestina nelle condizioni di pacificare e stabilizzare il Medio Oriente.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Migliore. Ne ha facoltà.

  GENNARO MIGLIORE. Signora Presidente, signora Ministro, colleghe e colleghi, anch'io vorrei partire dal cordoglio per le vittime, un cordoglio necessario ogni qual volta i civili innanzitutto, ma chiunque sia vittima della violenza, cade sotto i colpi di un'azione che ritrova le sue ragioni, e soprattutto i suoi torti, in un'indicibile prosecuzione di un conflitto, e di conflitti come lei ha giustamente detto, che non trovano una soluzione. Penso, però, che dobbiamo andare oltre, in una sede come questa, ad un'orribile contabilità dell'orrore, ciascuno di noi conosce dalla stampa e dai mezzi di informazione quello che sta accadendo. Questa è una sede parlamentare e dobbiamo avere la capacità di dare anche un'opinione e un orientamento al Governo, ed eventualmente correggerlo o confortarlo, rispetto a quanto lei ci ha detto. Considero anche che sia stato sottovalutata la portata delle sue affermazioni sui cinque punti in quest'Aula. Sono affermazioni impegnative, in particolare ce ne è una relativa al rilancio del ruolo dell'Autorità nazionale palestinese che rappresenta, a mio giudizio, il centro e il cuore di qualsiasi iniziativa si voglia portare avanti per riportare la pace in quei territori. Certo mi dispiace che lei non abbia criticato esplicitamente il Governo di Netanyahu, perché il Governo di Netanyahu è stato il primo, io ero in Palestina in quel momento, che ha rifiutato, con decisione, qualsiasi iniziativa, anche dopo parole memorabili come quelle pronunciate dal Presidente Mahmoud Abbas sulla tragedia dell'olocausto, fin dall'inizio qualsiasi proposta per un Governo di unità nazionale. Noi avremmo dovuto vedere l'Autorità nazionale palestinese capace di operare, e non per colpa sua non ha operato, per impedire che vi fosse il lancio del razzi. Noi avremmo dovuto sostenere con più forza, ed è lì che c’è stato il ritardo, questa iniziativa perché Hamas non è unita e quando si parla in quest'Aula genericamente di popolo palestinese, secondo me, si fa un torto a quelle che sono le ragioni vere di una politica che, invece, va intercettata. Hamas stava diventando sempre più debole dal punto di vista militare, avendo perso i suoi alleati egiziani, siriani e, quindi, in questo senso bisognava cogliere l'opportunità che ci era stata segnalata anche dal gruppo dirigente di Fatah di imporre un'unità nazionale e ciò non è stato fatto. Vede, la critica al Governo Netanyahu non è un atto di ostilità nei confronti del popolo israeliano, non è un atto di ostilità, perché quando si hanno relazioni corrette e rispettose, bisogna dire dove si va a finire se si sceglie una strada diversa da quella del dialogo e della pace. L'estremismo va fermato, ma va fermato, innanzitutto, con iniziative più autorevoli della comunità internazionale che riconoscano agli attori regionali un protagonismo che fino ad oggi non hanno avuto. Va fermato, però, anche il processo di ulteriore espansione delle colonie illegali, secondo il diritto internazionale. Va alimentato e va favorito il processo di rilascio dei prigionieri palestinesi a partire da quello che potrebbe essere il leader morale di questa nuova rinascita palestinese, quel Marwan Barghouti che è stato detenuto e che oggi potrebbe rappresentare un punto reale per ritornare alla pace; cosa più importante, per noi, la pace. Il negoziato si fa tra nemici e se si fa tra nemici bisogna riconoscere che ciascuno deve essere rispettato all'interno della parte negoziale.

  PRESIDENTE. Concluda.

  GENNARO MIGLIORE. Noi non potremo mai accettare che siano ospedali e campi giochi gli obiettivi, ma dovremmo essere capaci di avere una visione strategica ed impedire che vi sia qualcuno che fomenti, anche in Italia, una azione antisemita, perché, voglio concludere su questo, l'antisemitismo non è un'azione contro gli ebrei, è un'azione contro l'umanità e contro ciascuno di noi (Applausi dei deputati Pag. 24del gruppo Misto-Libertà e DirittiSocialisti europei (LED) e di deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Ottobre. Ne ha facoltà.

  MAURO OTTOBRE. Signora Presidente, signora Ministro, condividiamo il ruolo e le proposte che il Governo italiano ha sostenuto in relazione alla gravissima situazione di crisi e di conflitto che interessa il Medio Oriente, la Striscia di Gaza e Israele. Occorre, come ha affermato il Ministro Mogherini, che gli appelli che la comunità internazionale rivolge alle parti, da giorni inascoltati, siano finalmente accolti e che abbiano successo gli sforzi negoziali in corso.
  La situazione di conflitto esistente si aggrava in una prospettiva che appare segnata a Gaza, ancora oggi, da stragi di innocenti vittime degli attacchi israeliani, in primo luogo bambini, e da attacchi indiscriminati nei confronti di Israele. È indispensabile ottenere in primo luogo una tregua umanitaria.
  Come Presidenza di turno dell'Unione europea, il Governo italiano ha la responsabilità di sostenere una linea negoziale che sia nel contempo ferma nel richiedere che le strategie in atto siano interrotte e in grado di proporre una prospettiva di dialogo che coinvolga le parti senza alcun pregiudizio. È su ciò che il Governo italiano ha posto l'attenzione del Consiglio affari esteri dell'Unione europea e il Ministro degli affari esteri Mogherini lo ha ribadito oggi nelle sue comunicazioni in Aula. L'Europa sia protagonista nel sostenere una posizione di pace che sia forte e unitaria.
  Gli appelli europei, degli USA, dei Paesi arabi, dell'ONU e del Papa coinvolgono ogni parte, ogni conflitto secondo il principio di reciproca tutela e una comune assunzione di responsabilità da parte di Israele e da parte di Hamas e dei palestinesi. Chi intenda sottrarsi tra le parti in causa a una tale prospettiva si porrà al di fuori della comunità internazionale. La violenza deve essere fermata. È inaccettabile la posizione di chi in Israele e a Gaza dichiara di voler sostenere una lunga guerra (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze Linguistiche).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Pia Elda Locatelli. Ne ha facoltà.

  PIA ELDA LOCATELLI. Signor Presidente, cara Ministra, vorrei esprimerle apprezzamento per essere stata tra i primi a recarsi nelle terre di Israele e Palestina, così gravemente colpite da un’escalation di violenza, che ha visto tante vittime, soprattutto tra i civili. Questa sua solerzia vorremmo caratterizzasse anche l'incaricato del quartetto UE, ONU, USA e Russia, che, invece, ci pare poco presente. Forse, tra le responsabilità del semestre italiano c’è oggi anche quella di riconsiderare ruolo e attività del quartetto stesso e del suo rappresentante.
  L’escalation non risolve alcun problema, non aiuta la pace, anzi la allontana. Ma oggi il conflitto israelo-palestinese vede dominare gli estremismi, per i quali l'obiettivo non è la pace, ma la vittoria sull'avversario e la negazione dei diritti dell'altro. Un esito paradossale di questa guerra potrebbe essere la maggiore legittimazione di Hamas, a scapito dell'autorità palestinese a Ramallah, a scapito del dialogo tra moderati e progressisti israeliani e palestinesi, un lungo dialogo che risale agli Accordi di Oslo tra Rabin e Arafat.
  Non possiamo rimanere inattivi, accettando che domini la forza, che è inefficace prima ancora che moralmente sbagliata. Dobbiamo cercare soluzioni nuove, coraggiose, che aiutino le parti ragionevoli ad arrivare ad un accordo di pace basato sulla soluzione di due Stati, come sempre richiesto dall'ONU.
  Ci permettiamo, perciò, di avanzare una proposta che pensiamo sia accettabile anche da chi in Israele vede, come...

  PRESIDENTE. Concluda.

  PIA ELDA LOCATELLI. Ancora qualche secondo, Presidente... vede, come noi, Pag. 25l’impasse del processo di pace. La nostra proposta impegna l'Unione europea, proprio nel semestre a Presidenza italiana, a stabilire una data, indicativamente la fine del 2015, alla scadenza della quale l'Unione europea si impegna a riconoscere lo Stato della Palestina.
  Noi pensiamo che questa proposta possa costituire una legittimazione ulteriore delle istituzioni palestinesi e della Presidenza Abbas e, al tempo stesso, possa costituire monito e sostegno per la parte israeliana per ritornare al negoziato con gli interlocutori, a questo legittimati non dalla forza, ma dalla loro effettiva rappresentatività e dal riconoscimento della comunità internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) – Liberali per l'Italia (PLI)).

  PRESIDENTE. È così esaurita l'informativa urgente del Governo.

Sull'ordine dei lavori (ore 11,44).

  PRESIDENTE. Dovremmo ora passare al successivo punto all'ordine del giorno, ma faccio presente che il seguito dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge in materia di pubblica amministrazione deve necessariamente essere rinviato al pomeriggio, poiché non è stato ancora espresso il prescritto parere da parte della Commissione bilancio, che si riunisce alle 14,30.
  Potremo pertanto passare a tale punto, sentita anche la Commissione affari costituzionali, alle ore 16.
  Sospendo la seduta, che riprenderà quindi alle ore 16.

  La seduta, sospesa alle 11,45, è ripresa alle 16,10.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
MARINA SERENI

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Meta è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente ottanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente.

  PRESIDENTE. Il Presidente del Senato, con lettera in data 28 luglio 2014, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive):
   S. 1541. – «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, recante disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea (2568) – Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), VII, IX, XI, XII e XIII (ex articolo 73, comma 1-bis del Regolamento) e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
  Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,12).

  FRANCESCO BOCCIA, Presidente della V Commissione. Chiedo di parlare.

Pag. 26

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO BOCCIA, Presidente della V Commissione. Presidente, solo per informare la Presidenza e l'Assemblea che la Commissione bilancio sta lavorando sui pareri connessi al disegno di legge di conversione n. 2486-A e al fascicolo degli emendamenti e abbiamo bisogno per completare il nostro lavoro delle prossime due ore e mezzo.
  Quindi, io suggerirei che l'Assemblea ricominciasse i lavori dopo il nostro parere, che non penso di poter esprimere prima delle 19.

  PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, la seduta si intende sospesa fino alle ore 19.

  La seduta, sospesa alle 16,15, è ripresa alle 20,40.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari (A.C. 2486-A) (ore 20,40).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 2486-A: Conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari.
  Ricordo che nella seduta del 28 luglio si è conclusa la discussione sulle linee generali e il relatore per la maggioranza e il rappresentante del Governo sono intervenuti in sede di replica.
  Avverto che, prima dell'inizio della seduta, sono stati ritirati tutti gli emendamenti di cui sono primi firmatari i deputati Gebhard, Plangger e Schullian, ad eccezione dell'emendamento Schullian 12.301.
  Avverto che sono in distribuzione l'emendamento Marco Di Stefano 11.303, da collocare a pagina 100 del fascicolo dopo l'emendamento Nicchi 11.58, e la versione corretta dell'emendamento Catalano 4.300, che sarà collocato a pagina 43 del fascicolo prima dell'emendamento Catalano 4.307 (Vedi l'allegato A – A.C. 2486-A).
  Avverto che la Commissione ha presentato gli emendamenti 1.500, 1.501, 3.500, 6.500, 7.500, 9.500, 15.500, 39.500, 40.500, 40.501, 40.502 e 50.500 che sono in distribuzione, unitamente ai relativi subemendamenti (Vedi l'allegato A – A.C. 2486-A).
  Avverto che la V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere, che è distribuito in fotocopia (Vedi l'allegato A – A.C. 2486-A). In particolare tale parere reca alcune condizioni volte a garantire il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Presidente della I Commissione. Signora Presidente, abbiamo completato il lavoro del Comitato dei nove; la Commissione ha predisposto 12 limitate proposte emendative al provvedimento di cui ci stiamo occupando, alle quali sono stati presentati complessivamente 17 subemendamenti. Chiedo che l'Assemblea disponga il rinvio del provvedimento in Commissione, al solo fine di esaminare le predette proposte emendative, il parere con condizioni espresso nel frattempo dalla Commissione bilancio e di apportare alcune modifiche al coordinamento del testo approvato nella seduta della I Commissione del 25 luglio scorso con riferimento agli articoli 23 e 23-quinquies del decreto-legge.

  PRESIDENTE. Presidente Sisto, dunque, ci dia un'indicazione circa il tempo di cui la Commissione ha bisogno.

Pag. 27

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Presidente della I Commissione. Credo che entro le 23 noi saremo in Aula.

  PRESIDENTE. Entro le 23, quindi.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Presidente della I Commissione. Sì, al massimo per le 23.

  PRESIDENTE. Quindi, se sulla proposta di rinvio in Commissione del provvedimento nei termini e nei limiti precisati dal presidente Sisto, dunque entro le 23, non vi sono obiezioni, possiamo considerarla accolta dall'Aula.

  GUIDO GUIDESI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GUIDO GUIDESI. Signora Presidente, voglio intervenire su questo, non per dissentire sul rinvio in Commissione, lo dico subito. Noi eravamo d'accordo, stamane c’è stato un accordo tra i gruppi sul rinvio in Commissione, ma vorrei far presente all'Aula quello che è successo nella giornata di oggi, dove noi – lo dico anche da commissario della Bilancio – ci siamo trovati in una situazione in cui non erano pronti i pareri, non era conforme il testo, addirittura, la Commissione ha «mandato sotto» il Governo che aveva espresso parere contrario su un articolo e invece la Commissione bilancio aveva espresso un parere favorevole. Ci troviamo nella situazione, dopo circa sei, sette ore di ritardo, in cui la sostanza è questa: e mi rivolgo a lei Presidente – di questo poi ne parlerete anche durante la Conferenza dei presidenti di gruppo – perché non è possibile che quest'Aula sia a completa disposizione dei cambi di programma e delle mancanze di coordinamento tra il Governo e la maggioranza. Noi questa cosa non possiamo più accettarla.
  Siamo favorevoli al rinvio in Commissione, perché è dovuto, ma non siamo più disposti ad accettare qualsiasi tipo di esigenza dovuta alla mancanza di coordinamento e alla mancanza di tempistica da parte del Governo e di questa maggioranza. Su questa cosa vogliamo assolutamente essere chiari, in maniera tale che non si dia per scontato che i cambiamenti della maggioranza, rispetto alle tempistiche e agli accordi intrapresi, siano solo ed esclusivamente subiti dall'opposizione e dalla minoranza. Questa cosa non è più possibile (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Sì, mi rendo conto di quanto lei evidenza. A me dispiace anche che ci sia stato un ritardo, ma diciamo che l'obiettivo era quello di riuscire comunque a portare un risultato in tempi utili.

  GIULIO MARCON. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GIULIO MARCON. Signora Presidente, intervengo solamente per confermare quanto già detto poc'anzi dall'onorevole Guido Guidesi. Anche Sinistra Ecologia Libertà si associa al rammarico e anche alla denuncia che l'onorevole Guidesi ha fatto, perché in realtà siamo stati ostaggi per molte ore dei problemi di coordinamento e di punti di vista diversi tra la maggioranza e il Governo, per ultimo il voto sulla questione annosa di «quota 96», che ha evidenziato tutti i problemi e le contraddizioni che attraversano il rapporto tra maggioranza e Governo, in modo specifico su questo tema qui. Dopo di che, c’è un problema di carattere più generale: noi lavoriamo male, lavoriamo a lungo e lavoriamo con grande difficoltà proprio per la mancanza di chiarezza nei rapporti tra maggioranza e Governo. Questo è un problema che per la Camera dei deputati si deve porre con molta urgenza rispetto all'esame dei futuri provvedimenti.

  PRESIDENTE. Mi rendo conto del problema, anche perché si lavora a ritmi serrati. Comunque, ne parleremo anche nella Conferenza dei presidenti di gruppo, che è stata convocata alle 21, qui al piano Aula.Pag. 28
  Bene, a questo punto, il provvedimento si intende, quindi, rinviato in Commissione.
  Sospendo la seduta, che riprenderà, come anticipato dal presidente Sisto, alle 23. Ricordo ai capigruppo che fra un quarto d'ora ci si riunirà al piano Aula.

  La seduta, sospesa alle 20,45, è ripresa alle 23,20.

  PRESIDENTE. Riprendiamo il seguito della discussione del disegno di legge n. 2486-A/R: Conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari.
  Avverto che, a seguito del rinvio deliberato dall'Assemblea, la Commissione ha predisposto un nuovo testo.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, devo dire che la Commissione ha lavorato con grande solerzia e si sono presentati dei problemi immaginabili che sono stati superati con grande maturità e grande rapidità di tempi dalla Commissione. È comunque necessario un tempo per poter predisporre il testo così come votato, e metterlo a disposizione dell'Aula. E prima di chiederle un differimento di venti-trenta minuti, ma penso che trenta minuti siano sufficienti, voglio comunicare che è stata altresì votata dalla Commissione la proposta di coordinamento del testo come risulterà poi da quello che sarà allegato, senza alcun onere finanziario e, quindi, senza bisogno che questo coordinamento passasse dalla Commissione bilancio. Quindi, chiedo che la seduta sia differita di una trentina di minuti per consentire agli uffici di predisporre il testo e, quindi, metterlo a disposizione dei colleghi.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Sisto, assolutamente accolgo questa richiesta, perché per mettere la fiducia evidentemente abbiamo bisogno di un testo. Allora ci riaggiorniamo fra mezz'ora. La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 23,25, è ripresa alle 23,50.

  PRESIDENTE. Riprendiamo il seguito della discussione del disegno di legge n. 2486-A/R: Conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari (per l'articolo unico, nel testo recante le modificazioni apportate dalla Commissione e per gli emendamenti riferiti agli articoli del decreto-legge vedi l'allegato A – A.C. 2486-A/R).

(Posizione della questione di fiducia – Articolo unico – A.C. 2486-A/R)

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Maria Anna Madia.

  MARIA ANNA MADIA, Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. Onorevole Presidente, onorevoli deputati, a nome del Governo, autorizzata dal Consiglio dei ministri, pongo la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari, nel testo approvato dalla Commissione, a seguito del rinvio deliberato dall'Assemblea.

  PRESIDENTE. A seguito della posizione della questione di fiducia da parte del Governo sul disegno di legge n. 2486 – Conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza Pag. 29amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari (da inviare al Senato – scadenza: 23 agosto 2014), come stabilito in seno alla Conferenza dei presidenti di gruppo che si è riunita questa sera, la votazione della fiducia avrà luogo domani alle ore 23,55, previe dichiarazioni di voto a partire dalle ore 22.
  Il termine per la presentazione degli ordini del giorno è fissato sempre per domani, mercoledì 30 luglio, alle ore 14.
  La Conferenza dei capigruppo tornerà a riunirsi domani per l'organizzazione delle ulteriori fasi di esame del disegno di legge di conversione.
  Nella giornata di domani non avrà luogo lo svolgimento del question time.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Mercoledì 30 luglio 2014, alle 22:

  Seguito della discussione del disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari (C. 2486-A/R).
  — Relatore: Fiano.

  La seduta termina alle 23,55.