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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 66 di martedì 6 agosto 2013

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

  La seduta comincia alle 9.

  DAVIDE CAPARINI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Berretta, Di Lello, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Losacco, Sani, Turco e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’Allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della proposta di legge: Costa: Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale e al codice di procedura penale in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante (A.C. 925-A) e delle abbinate proposte di legge: Pisicchio; Gelmini ed altri; Dambruoso ed altri; Liuzzi e Businarolo; Molteni ed altri (A.C. 191-1100-1165-1190-1242) (ore 9,05).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 925-A di iniziativa del deputato Costa: Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale e al codice di procedura penale in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante e delle abbinate proposte di legge di iniziativa dei deputati Pisicchio; Gelmini ed altri; Dambruoso ed altri; Liuzzi e Businarolo; Molteni ed Altri.
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 31 luglio 2013.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 925-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Costa.

  ENRICO COSTA, Relatore. Signor Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, il provvedimento approvato dalla Pag. 2Commissione giustizia affronta il delicato tema della diffamazione a mezzo stampa, cercando di coniugare l'esigenza di tutelare la libertà di informazione con il diritto del cittadino a non essere diffamato. Tale obiettivo si cerca di raggiungere predisponendo tutti gli strumenti necessari diretti a ristabilire la verità in maniera efficace ed adeguata attraverso, ad esempio, una nuova disciplina dell'istituto della rettifica.
  In maniera riassuntiva, ma efficace, il tema che si affronta viene sintetizzato nella formula di cancellare il carcere per i giornalisti. Eventi di questi ultimi mesi, troppo noti a tutti per essere richiamati, hanno portato di nuovo all'attenzione del Paese il tema della libertà di stampa o per meglio dire dei limiti, se vi sono, a questa libertà. La materia della diffamazione a mezzo stampa è estremamente delicata poiché modificare i confini della rilevanza penale di questo tipo di diffamazione, ovvero cambiare la natura della sanzione prevista (esclusione della pena detentiva) significa, secondo le tesi maggioritarie, rimodulare i confini della libertà di stampa, che costituisce uno dei fondamenti della democrazia del Paese.
  Secondo questa tesi, il reato di diffamazione a mezzo stampa sarebbe un reato di opinione e, come tale, andrebbe, se non azzerato, almeno sensibilmente ridimensionato. Vi è anche chi ritiene che la materia della diffamazione a mezzo stampa sia necessariamente estranea al tema della libertà di stampa, in quanto questa non può tradursi nella libertà di diffamare e che pertanto non devono esservi preclusioni di sorta nel prevedere sanzioni detentive quando ciò sia reso necessario dalla gravità del fatto compiuto.
  In merito al tema della diffamazione a mezzo stampa, va ricordato che la dottrina e la giurisprudenza, a partire dalla storica sentenza della Cassazione n. 5259 del 1984, sono ormai concordi nel riconoscere che l'esercizio del diritto di cronaca integri gli estremi della causa di giustificazione di cui all'articolo 51 del codice penale, esercizio di un diritto, in quanto inerente alla libertà di manifestazione del pensiero e alla libertà di stampa, riconosciute dall'articolo 21 della Costituzione. Esso pertanto può essere esercitato anche quando ne derivi una lesione dell'altrui reputazione, purché vengano rispettati determinati limiti che sono stati individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza: nella verità della notizia pubblicata, vale a dire nella corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli narrati, nell'utilità sociale dell'informazione, in relazione all'attualità e alla rilevanza dei fatti narrati, e nell'esigenza che l'informazione sia mantenuta nei limiti dell'obiettività e della serenità in una forma espositiva necessariamente corretta; è il requisito della continenza.
  La carenza anche di uno solo di questi requisiti fa rivivere il diritto inviolabile all'onore del singolo individuo in tutta la sua pienezza, rendendo illecita la manifestazione del pensiero: l'esercizio del diritto di cronaca non è più configurabile ed il fatto integrerà gli estremi del reato di diffamazione. Di particolare interesse è sicuramente la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, basata sull'articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, che sancisce che ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
  La Convenzione prevede espressamente che l'esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni e sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie in una società democratica alla sicurezza nazionale, all'integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario.Pag. 3
  Nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo quello di libera espressione è considerato un diritto centrale nel sistema di salvaguardia dei diritti dell'uomo. In questo ambito, la Corte ha sempre sottolineato il ruolo di «cane da guardia» esercitato dagli organi di stampa, da cui consegue la loro funzione di riferire al grande pubblico su fatti di interesse, e ha considerato le sanzioni a carico dei giornalisti come un'ingerenza nell'esercizio di tale diritto.
  La Corte ritiene tale ingerenza legittima solo a tre condizioni: che essa sia prevista dalla legge, che essa sia un metodo necessario per perseguire finalità legittime nel contesto di una società democratica, che essa sia proporzionata al fatto.
  Considerata la delicatezza delle questioni da affrontare, la Commissione giustizia ha svolto, nell'ambito di un'indagine conoscitiva, un ciclo di audizioni, nelle quali sono stati auditi, tra numerosi altri, i direttori di alcune delle principali testate giornalistiche, che hanno dato un quadro delle problematiche della materia sotto il profilo dell'applicazione concreta della disciplina vigente, con particolare riferimento alla spinosa questione della responsabilità oggettiva del direttore.
  Di particolare interesse e ausilio alla formulazione del testo in esame sono state le audizioni degli esperti della materia quali il professor Carlo Federico Grosso, ordinario di diritto penale presso l'Università dagli studi di Torino, il professor Domenico Pulitanò, ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca, l'avvocato Caterina Malavenda, l'avvocato Luca Bauccio, l'avvocato Guido Scorza, l'avvocato Grazia Volo.
  Le questioni relative alla categoria del giornalista sono state evidenziate dal presidente del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti e dal segretario nazionale della Federazione nazionale della stampa, mentre quelle degli editori sono state approfondite dal presidente della Federazione italiana editori giornali e dal presidente dell'Associazione italiana editori.
  La Commissione, considerata l'esigenza di concludere l'esame in tempo utile per avviare l'esame in Assemblea entro la pausa estiva, ha opportunamente adottato come testo base delle proposte abbinate presentate dai colleghi Pisicchio, Dambruoso, Gelmini e Liuzzi quello presentato dal sottoscritto, con una ragione specifica: il testo che è stato presentato dal sottoscritto era un testo che era stato ripreso da quello approvato nella legislatura precedente da questo ramo del Parlamento con soltanto 6 voti contrari e 20 astenuti.
  Quindi, era il risultato di una sintesi di diverse posizioni politiche afferenti a gruppi di centrodestra e centrosinistra, ma era anche una proposta che aveva già, in sostanza, garantito una certa mediazione e una certa fase istruttoria. Si trattava, sotto questo profilo, di toccare vari punti. Adesso vorrei riassumere molto sinteticamente quali sono i punti sui quali si concentra questa proposta di legge che è all'esame dell'Aula della Camera.
  Il primo punto, evidenziato prima, è quello dell'eliminazione della pena detentiva. Poi, vi è l'estensione dell'ambito di applicazione della legge sulla stampa sia alle testate giornalistiche online che alle testate giornalistiche radiotelevisive (per quello che riguarda le testate giornalistiche online, si è optato per quelle registrate presso le cancellerie dei tribunali ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 47 del 1948).
  Vi è anche la modifica della disciplina del diritto di rettifica di cui all'articolo 8 della legge n. 47 del 1948, esaltandone la funzione riparatoria nelle modalità di realizzazione della rettifica stessa. La rettifica, proprio in ragione di queste sue caratteristiche, di questa sua funzione riparatoria, diventa una causa di non punibilità, rimanendo impregiudicato il percorso risarcitorio civilistico. Si è compresa nell'ambito dell'articolo 13 della legge sulla stampa tutta la fattispecie penale relativa alla diffamazione a mezzo stampa che attualmente è prevista dall'articolo 595 del codice penale nel caso di attribuzione di un fatto determinato.
  Vi è una maggiore personalizzazione della responsabilità del direttore, prevedendo anche un sistema di delega, oltre ad individuare diversi centri di responsabilità Pag. 4nell'ambito della struttura, superando il sistema del «non poteva non sapere».
  E c’è stato anche un rafforzamento della disciplina della lite temeraria, al fine di scoraggiare la strumentalizzazione della querela. Infine, l'estensione – e questo è un emendamento approvato in Commissione – della disciplina del segreto professionale anche ai giornalisti pubblicisti iscritti all'albo. Questi sono i punti salienti.
  Mi astengo dal fare delle valutazioni, diciamo, politiche, ma una osservazione la faccio: si tratta, in questa fase, di un momento particolarmente importante perché questa normativa è attesa da molto tempo.
  Nella scorsa legislatura il Senato ha tentato di affrontare l'argomento e non vi è riuscito: ha dovuto soprassedere. Noi pensiamo – e il clima in Commissione è stato molto costruttivo – che in questa occasione si possa arrivare ad un testo, magari ancora emendato e modificato, che venga approvato a grande maggioranza.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Verini.

  WALTER VERINI, Relatore. Signor Presidente, intervengo soltanto per pochissimi minuti, perché le cose dette dal collega relatore Costa, presentatore della proposta di legge, sono, nella loro sintesi, tuttavia esaustive e danno conto bene dell'importanza dell'atto che stiamo presentando e discutendo.
  Credo che quando il Parlamento, nel più breve tempo possibile, riuscirà a dare all'Italia questa nuova normativa, farà un passo in avanti davvero importante, tenendo insieme la libertà di informazione e il diritto dei cittadini a non essere diffamati. È una richiesta pressante, che anche su questo piano, anche su questo terreno, l'Europa ci rivolge da tempo, ed è una richiesta pressante che anche il Presidente della Repubblica ha riecheggiato più volte, invitando le Camere a legiferare in tal senso.
  Io credo che, con il testo che l'onorevole Costa ha presentato, questi adempimenti possano essere raggiunti. Vorrei sottolineare anch'io la qualità, e non solo, la quantità della partecipazione nell'elaborazione di questo testo, che ha consentito alla Commissione – io credo – di fare tutta insieme dei passi in avanti importanti. Sono stati auditi esperti, docenti universitari, rappresentanti degli ordini professionali dei giornalisti, la Federazione della stampa, associazioni impegnate in prima linea su temi come questi (come Libera Informazione e Articolo 21) e queste audizioni non sono state formali perché hanno consentito di sintetizzare i diversi testi presentati, hanno consentito di apportare miglioramenti che, nel corso del dibattito e del lavoro che faremo in Aula, potranno essere irrobustiti.
  Dico solo – e mi avvio a concludere – come siano necessari probabilmente irrobustimenti. Penso – chessò – al tema, forse, dell'innalzamento delle sanzioni per le querele temerarie, per poter disincentivare ulteriormente questi aspetti; penso, per esempio, a lavorare forse ancora di più per il tetto massimo, che è stato abolito, di 30 mila euro del danno patrimoniale, ma insomma non voglio entrare nei dettagli.
  Quello che voglio dire anch'io è che si tratta di un'occasione da non perdere. Molto importante, secondo me, è avere, da un lato, esteso la normativa anche ai siti di natura editoriale, ma tenendo fuori anche il mondo dei cosiddetti blog.
  Il tema della Rete è complesso. Spesso alcuni di questi hanno una vera e propria licenza di uccidere. Abbiamo visto però che questa licenza viene esercitata anche, con le cosiddette «macchine del fango», da carta stampata. Anche questo è stato tenuto in considerazione. Tuttavia, interpella un po’ tutti noi: da un lato, vogliamo tutelare la piena libertà della Rete ma, al tempo stesso, riteniamo che i cittadini debbano essere tutelati. Per questi motivi, però, credo che ci siano tutte le condizioni per un dibattito serio, maturo e perché la Camera possa licenziare nel più breve tempo possibile questo testo per passarlo poi al Senato e fare del nostro Paese, anche in questo campo, un Paese un po’ più europeo.

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  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, devo dire che il Governo è soddisfatto del lavoro che è stato fatto in Commissione giustizia dai relatori, che hanno illustrato in modo molto efficace oggi la proposta di legge. È davvero giunto il momento di approvare una legge che in Italia da tanti anni ormai si aspetta, perché il reato di diffamazione, così come formulato nel nostro codice, non è più attuale e oggi prevedere la pena detentiva e la reclusione in carcere per reati di questo tipo non è più ammissibile. Quindi, la novità certamente più importante di questo testo è quella di passare dalla pena detentiva alla pena pecuniaria.
  In Commissione il Governo ha seguito i lavori con grande attenzione e devo dire che, sia grazie alle audizioni che alla partecipazione di tutti i deputati, il testo è migliorato molto rispetto a quello originario e sono stati anche definiti alcuni punti che potevano creare equivoci e che con un'attenta rilettura del testo sono stati modificati.
  Inoltre, si può ancora analizzare e recepire qualche osservazione che proviene dalle Commissioni competenti (la Commissione cultura, la Commissione trasporti e telecomunicazioni), che comunque hanno anche loro formulato alcune proposte che possono essere recepite.
  Il Governo ha intenzione – lo aveva già preannunciato in Commissione – di presentare un emendamento tecnico per quanto riguarda la competenza territoriale, che è un punto che non è stato affrontato, che potrebbe in qualche modo chiarire i problemi di competenza che molte volte nell'attività giudiziaria creano dei problemi di individuazione.
  Come dicevano prima i relatori, la novità, oltre quella della pena pecuniaria che sostituisce la pena detentiva, è data certamente dal fatto di aver comunque, con questo nuovo testo, guardato non solo alla tutela della libertà di cronaca, di espressione e di critica, da un lato, ma anche, così come previsto dall'articolo 21 della Costituzione, di aver trovato un punto di equilibrio importante e significativo anche con il rispetto della dignità e dell'onorabilità della persona. Infatti, in questa nuova norma – se verrà approvata così com’è formulata – occorre far riferimento sia alla parte che riguarda i risarcimenti, che comunque è una parte significativa, così come a quella dell'obbligo di rettifica, su cui tanto ci si è soffermati in Commissione, e il Governo concorda con quanto è stato formulato. Si tratta di una rettifica che, tra l'altro, così recependo anche un'osservazione di una delle Commissioni prima citate, può essere anche estesa alla rimozione poi della frase o dell'espressione diffamatoria; quindi, una rettifica che può essere anche obbligata con questo obbligo di rimozione sul quale può vigilare l'autorità giudiziaria.
  Inoltre, si è discusso molto – e la formulazione adottata è condivisibile – sull'obbligo di rettifica con o senza commento, che è un altro punto su cui c’è stato un passaggio molto delicato, così come sul termine entro il quale esercitare l'azione di risarcimento del danno che poi è stato portato da uno a due anni, mi pare proprio su proposta di un emendamento della Lega Nord.
  Quindi, le novità sono tante, è un testo condiviso che condivide anche il Governo e ringrazia, quindi, la Commissione per il lavoro approfondito e serio.
  È stato anche chiarito – costituiva un punto politico importante – quali siano i destinatari di questo provvedimento. Si è discusso sul concetto di testate giornalistiche on line; si è fatto riferimento all'articolo 5 che riguarda la registrazione; si è chiarito, lasciando la prima formulazione, che non si trattava di quella dei siti periodici telematici che poteva creare degli equivoci e, quindi, do atto che, anche su suggerimento del Governo, i relatori hanno voluto approfondire un punto che stava a cuore e che voleva evitare qualsiasi tipo di strumentalizzazione e chiarire anche chi fossero i destinatari. Occorre poi dal punto di vista tecnico-informatico, quando si parla di rettifica, dal momento Pag. 6che l'obbligo di rettifica è una parte importante di questo testo, soffermarsi sul concetto di URL. Il testo sembra legare l'obbligo di rettifica all'URL nel quale era circolato in quel momento il messaggio diffamatorio, però forse la prassi informatica insegna che l'URL spesso cambia e, quindi, legarlo al vecchio URL forse può essere non più attuale per chi beneficia dell'obbligo di rettifica. Infatti, se andiamo a vedere le impaginazioni dei vari quotidiani, l'URL cambia spessissimo nel giro di pochi secondi. E, quindi, potrebbe non essere più attuale legarlo, vincolare e prevedere che non si modifichi l'URL e che si faccia riferimento a quello iniziale, al momento della rettifica.
  Dunque le novità sono tante e penso che, a questo punto, il dibattito potrà arricchire il testo ma penso che vi sia la necessità di approvare anche questa proposta di legge al più presto perché è una legge che si aspetta da tanti tanti anni e che può portare il nostro Paese con questa approvazione davvero a fare un passo in avanti e a garantire veramente il diritto di critica e la libertà di espressione senza ricorrere ad una pena quale il carcere ma, nello stesso tempo, difendere l'onorabilità e la dignità di tutte le persone e di tutti i soggetti coinvolti. Vi ringrazio e mi riservo di intervenire in sede di replica.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Businarolo. Ne ha facoltà.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Signor Presidente, buongiorno, cari colleghi, cogliamo volentieri l'invito del sottosegretario allo scambio di opinioni dato che si parla proprio di questo. La libertà di opinione è un diritto fondamentale che deve trovare la giusta tutela. L'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo recita, al comma 1, che «ogni persona ha diritto alla libertà di espressione». Tale diritto include anche la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Uno dei principi richiamati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, nella prima sessione del 14 dicembre 1946, sottolineava come la libertà di manifestazione del pensiero, oltre a rappresentare uno dei diritti fondamentali dell'uomo, costituisca la pietra angolare sulla quale poggiano tutti gli altri diritti e libertà fondamentali consacrati nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Si tratta però di un diritto non affatto scontato, almeno in Italia. Nella classifica di Reporter senza frontiere del 2013 sulla libertà di stampa, il nostro Paese risulta in 57o posizione su 179 Paesi, prima dell'Ungheria e seguita da Hong Kong. Secondo la stessa ONG che ha come obiettivo la difesa della libertà di stampa, in Italia, dove la diffamazione deve essere ancora depenalizzata, si fa un pericoloso uso delle leggi bavaglio. Infine, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha sempre sottolineato il ruolo di «cane da guardia» esercitato dagli organi di stampa da cui consegue la loro funzione di riferire al grande pubblico su fatti di interesse e ha considerato le sanzioni a carico dei giornalisti come un'ingerenza nell'esercizio di tale diritto. La Corte europea dei diritti dell'uomo ritiene tale ingerenza legittima solo a tre condizioni: che questa sia prevista dalla legge; che sia un mezzo necessario per perseguire finalità legittime nel contesto di una società democratica; che sia proporzionata al fatto.
  In merito a quest'ultimo requisito, la Corte europea dei diritti dell'uomo riconosce come criterio di giudizio la natura e la misura delle sanzioni, anche se non tratta in modo specifico delle diversità tra pene detentive e pecuniarie.
  Come precisato nella relazione del Comitato per la legislazione, molte sentenze recenti hanno constatato una violazione dell'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e in ciò hanno generalmente fatto leva sulla mancanza del requisito della proporzione. È stato, infatti, più volte considerato eccessivo il peso economico della sanzione sulla persona Pag. 7accusata di aver diffamato il soggetto assunto a obiettivo della propria cronaca o critica. Nella sentenza Ormanni contro Italia (17 luglio 2007), tra i criteri di giudizio per stabilire la giusta proporzionalità della pena si individua il caso in cui al diffamato sia stata concessa opportunità di replicare.
  Secondo i dati ISTAT, i condannati con sentenza irrevocabile per diffamazione a mezzo stampa sono aumentati dai 108 del 2007 ai 124 del 2010. Sono numeri che non tengono conto dell'ulteriore fattispecie della diffamazione a mezzo stampa consistente nell'attribuzione di un fatto determinato. È inaccettabile che ci sia ancora, nel nostro ordinamento, la minaccia di un'ulteriore pena, che questa proposta di legge intende ora abolire. È inutile ricordare l'effetto disincentivante e autocensorio che la disciplina in materia di illeciti e reati di opinione, tanto quella di natura penale che quella di natura civile, produce sui destinatari delle sanzioni e delle richieste risarcitorie, anche a prescindere dall'effettiva rigorosa applicazione delle norme.
  Al riguardo, nella comunità internazionale si parla generalmente di chilling effect o di self-censorship. D'altronde, nel resto d'Europa, prevale una tendenza ben diversa. Dal 2009, nel Regno Unito la diffamazione a mezzo stampa non è più reato. La svolta rispetto al passato è avvenuta grazie alla Coroners and justice act, che ha rappresentato un'ampia riforma e ha introdotto una depenalizzazione di tutti i reati che riguardano la sfera dell'opinione e della diffamazione. L'Inghilterra e Galles, dunque, si sono messi sulla strada della difesa totale della libertà di espressione, con l'intenzione di estendere le stesse tutele anche al panorama dei media digitali.
  Negli USA la legge sulla diffamazione tra il fondamento del Common law inglese si inserisce nel primo emendamento della Costituzione, in una linea di continuità con un pensiero che ha radici due secoli fa. Per essere diffamante, il contenuto deve essere falso; per essere diffamante il contenuto falso deve essere motivato da intenzioni malevoli. E in trentatré Stati su cinquanta, il reato non è nemmeno perseguito. Insomma, lo strumento della querela per diffamazione non deve mai trasformarsi in un bavaglio.
  Ma alle porte del nostro Paese, in Svizzera, la regolamentazione della fattispecie diffamatoria è molto diversa da quella italiana. Qui chiunque, comunicando con un terzo, incolpa o rende sospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possono nuocere alla reputazione, è punita, a querela di parte, con una pena pecuniaria fino a centottanta aliquote giornaliere. Mai il carcere. Il giornalista, inoltre, non incorre in alcuna sanzione se prova di aver detto o divulgato cose vere oppure prova di aver avuto seri motivi per considerarle vere in buona fede.
  Parliamo dei Paesi scandinavi che, da anni, vantano ogni tipo di primato per quanto riguarda il grado di libertà di stampa e di espressione, come ha certificato anche l'ultimo rapporto della Freedom House, che colloca Norvegia, Svezia e Finlandia sul podio ideale dell'informazione senza bavaglio. In Svezia, per capirci, la legge sulla libertà di stampa e di espressione è considerata fondamentale al pari di quella sull'ordinamento costituzionale e sull'ordine di successione dinastica. La diffamazione è punita con una sanzione solo pecuniaria.
  Pertanto, anche alla luce della normativa esistente nei Paesi elencati, si ritiene doveroso porre all'attenzione del Parlamento la necessità di intervenire urgentemente per rivedere il dettato normativo della parte sanzionatoria degli articoli 594 e 595 del codice penale in materia di ingiuria e diffamazione e la normativa in materia di diffamazione prevista dall'articolo 10 della legge sulla stampa.
  La proposta del MoVimento 5 Stelle qui presentata prevede anche una novità rivoluzionaria, per certi versi: le sanzioni per le liti temerarie.
  Negli Stati Uniti il giornalista deve controllare una sola cosa, che quel che dice sia vero. In Italia, invece, il mestiere di giornalista è diventato una vera via Pag. 8crucis tra denunce civili e penali. In Italia si può essere condannati anche se si racconta un fatto vero. Basta usare parole troppo aspre o notizie segrete o atti pubblici, ma non pubblicabili. E non c’è alcuna differenza tra una critica dura e un fatto falso, si rischia la diffamazione in entrambi i casi. In caso di condanna, che prevede il pagamento di danni, le somme le decide il giudice, a discrezione, anche se il cronista si è soltanto sbagliato e poi si è scusato, con tanto di rettifica pubblicata. Ma non basta: i danni patrimoniali si possono pure chiedere in sede civile e provocare una condanna al risarcimento per il giornalista e per l'editore. Viceversa, chi promuove una causa civile, non rischia. Può chiedere risarcimenti per milioni di euro e, se poi il giudice gli dà torto, non deve pagare nulla. I fatti hanno da tempo smentito che sia la rettifica della notizia o più generalmente la stessa a riportare alla luce la verità.
  L'obiettivo di chi si sente diffamato è un altro. Gli offesi non cercano la verità delle parole, bensì cercano di intimidire i giornalisti e di incassare quanto più denaro se ne possa ricavare. Accade che uno strumento di tutela di un diritto fondamentale dell'uomo, come quello della propria reputazione, finisce con il diventare strumento di attentato e lesione di un altro diritto fondamentale dell'uomo, quello della libertà di manifestazione del pensiero. Al fine di far fronte all'enorme proliferare di processi penali e civili crescenti in numericità del risarcimento richiesto, appare quanto mai opportuno che vengano stabilite delle sanzioni economiche nei confronti di chi proponga querele infondate o avvii liti temerarie. Evidentemente, viene fatto un uso temerario e minatorio della disciplina sui reati di opinione. È un'offesa alla difesa della disciplina dell'onore.
  La liquidazione del risarcimento del danno per diffamazione è demandata al giudice penale, all'esito della condanna, o al giudice civile, previo accertamento incidentale del reato. A questo danno si aggiunge, secondo la legislazione vigente, un'ulteriore sanzione economica, ossia la riparazione pecuniaria che viene giustamente abrogata con proposta di legge oggi in discussione. Non è vero, viene solo aumentata, scusate. La quantificazione del danno, non essendo sottoposta a criteri omogenei nell'attuale legislazione, viene rilasciata completamente alla discrezione del giudice, anche per quel che riguarda il suo limite massimo. D'altra parte, fissare, come si era proposto, il limite massimo di 30 mila euro non garantirebbe un trattamento omogeneo nelle varie testate giornalistiche che hanno strutture organizzative e dimensioni notevolmente diverse.
  Sono a dir poco marginali anche i costi per chi agisce a fronte di un elevatissimo rischio per il destinatario dell'azione, insostenibile dal punto di vista economico, intollerabile dal punto di vista della libertà di espressione delle proprie opinioni e dell'esercizio della propria professione. Stiamo parlando di un rischio di azione risarcitoria da centinaia di migliaia di euro a fronte di un prezzo irrisorio riconosciuto per un singolo articolo.
  Pertanto, il MoVimento 5 Stelle propone di novellare il codice di procedura civile integrando la recente disciplina delle liti temerarie mediante l'aggiunta dell'articolo 96-bis al fine di scoraggiare le cause infondate, con fini ricattatori, che notoriamente sono quelle attivate dai potenti a scopo intimidatorio. Prima di descrivere compiutamente la novità prevista dall'articolo 96-bis, ricordiamo cos’è l'articolo 96 del codice di procedura civile, aggiornato dall'articolo 45, comma 12, della legge 18 giugno 2009, n. 69, che disciplina la responsabilità aggravata e stabilisce che se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre alle spese, al risarcimento dei danni che liquida anche d'ufficio nella sentenza.
  L'articolo 96 sanziona, con la condanna al risarcimento dei danni patiti dalla controparte, il cosiddetto illecito processuale caratterizzato, circa l'elemento materiale, da un contegno relativo ad una controversia di cognizione, cautelare od esecutiva, cioè serbato nel corso della lite oppure Pag. 9ad essa connesso, e circa l'elemento soggettivo, dal fatto che l'autore riveste necessariamente la qualità di parte di un processo. La civiltà moderna si è formata sul riconoscimento di alcune garanzie valide per tutti. Purtroppo oggi il gioco dei potenti è diventato quello di strumentalizzare queste garanzie a fini personali. Ecco, quindi, che il diritto può essere utilizzato per seppellire chi di mestiere fa il controllore del potere. Di per sé, si potrebbe pensare che non ci sia niente di patologico nella possibilità di essere citati in giudizio da chi si sente diffamato. Se il giornalista ha lavorato con coscienza, questo gli sarà riconosciuto dalla sentenza e vincerà la causa.
  Il fatto è, però, che nel sistema italiano, essere trascinati in tribunale, specialmente in cause civili, significa già di per sé perdere, ancora prima dell'esito del giudizio. Il problema non è solo la durata dei processi civili e il loro costo, ma anche il fatto che chiunque può intentare una causa civile anche senza una vera ragione. Da questo punto di vista, quindi, è meglio subire una querela per diffamazione che una causa civile. Nelle cause penali c’è un magistrato che valuta preliminarmente se procedere con il processo o meno; in un processo civile, invece, c’è la possibilità di trascinare in giudizio chiunque, anche senza motivazione, perché chi ti porta in tribunale non pagherà altro se non le spese legali; quindi, se chi cita in giudizio è un uomo potente che vuole intimidire non mette in atto nessuna riflessione sulle conseguenze che può avere per il giornalista l'essere trascinato in tribunale.
  Come si può distinguere una causa pretestuosa da una legittima ? Il problema è che non essendoci una fase di filtro preliminare nel processo civile una causa va avanti anche anni prima che si possa accertarne la pretestuosità. Una soluzione è stata raggiunta con la riforma del 2009 e con l'articolo 96 del codice di procedura civile; con tale riforma, come detto prima, si è introdotta la possibilità di punire la lite temeraria. Ma chi strumentalizza le cause ? Lo diciamo tranquillamente, sono due categorie di persone: i potenti che non vogliono che si parli di loro e i furbi che cercano di ricavare dei soldi. Questi ultimi approfittano di un passaggio in televisione che magari li ha disturbati e cercano di fare in modo di raggranellare qualche soldo; i furbi rispetto ai grandi potenti sono spiccioli, ma fanno comunque numero. Di fronte al giornalista di inchiesta le nuove intimidazioni si fanno con le querele; la libertà di stampa non è dire ciò che si vuole, è la libertà di raccontare i fatti quando si hanno le evidenze. Per intimidire ed evitare che la trasmissione torni sull'argomento, poi, i giornalisti vengono trascinati in tribunale con cause milionarie.
  Colleghi, oggi, in Italia, il racconto dei fatti presuppone un fastidioso eroismo, allora per poter limitare l'uso delle azioni risarcitorie per finalità intimidatorie devono essere valutati nuovi strumenti, come quello che vuole introdurre il MoVimento 5 Stelle con l'articolo 96-bis al codice di procedura civile che permetterà una riflessione seria ed etica da parte della persona che si sente diffamata. Il pensiero è libero, ma quando i giornalisti scrivono devono usare prudenza, soprattutto quando un'inchiesta tocca argomenti scomodi e poteri forti. A volte la prudenza non basta; è vero, garantire il controllo e la critica del potere è faccenda da equilibristi, costretti a muoversi su un terreno insidioso. Bisogna contemperare il diritto di cronaca e la tutela della personalità umana e dell'onore. Se è corretto che chi si sente diffamato possa querelare, è pur vero che in un sistema giudiziario come quello italiano, in cui le cause hanno tempi lunghissimi e costi esorbitanti e che permette abusi e strumentalizzazioni, si dovrebbero creare degli strumenti idonei come potrebbe essere l'introduzione dell'articolo 96-bis, secondo il quale, nell'ambito dei giudizi di risarcimento del danno per fatti illeciti connessi alla violazione dell'onore, della reputazione e dell'immagine, anche commerciale, il giudice, quando rigetta, anche parzialmente, la domanda risarcitoria, possa condannare l'attore a versare al convenuto un importo non inferiore alla metà del danno richiesto. Pag. 10Se decide di rigettare parzialmente la domanda può condannare l'attore a versare al convenuto un importo pari alla metà della differenza tra il danno eventualmente accertato e quello richiesto. Il giudice si astiene dal pronunciarsi d'ufficio quando, se proposta, rigetta l'eventuale domanda riconvenzionale, quando l'accertamento della sussistenza dell'illecito risulti di particolare complessità oppure quando la quantificazione del risarcimento richiesto risulti fondata su parametri obiettivi adeguatamente documentati.
  Per ripristinare quelle garanzie che hanno formato la civiltà moderna, senza che queste divengano ostaggi dei potenti che le utilizzano a fini personali, è giunto il momento di mettere un freno al ricorso smodato in sede legale, anche quando non si presenta il minimo presupposto.
  Mi avvio a concludere; uno dei pilastri della democrazia è proprio rappresentato dall'informazione e dalla libertà di stampa. Ogni regime totalitario o governo dittatoriale, per prima cosa, pone dei limiti alla libertà di espressione controllando i media e reprimendo la libertà di associazione e di assemblea.
  Quello che vogliamo è ottenere attraverso la democrazia la garanzia che ogni cittadino partecipi in piena uguaglianza all'esercizio del potere pubblico. E affinché tale condizione si verifichi i cittadini devono essere liberi di essere informati e avere accesso alla conoscenza in modo completo e oggettivo. Tutti devono poter usufruire di un'informazione libera e senza bavaglio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gitti. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante   GREGORIO GITTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo sul punto specifico della disciplina che abbiamo licenziato in Commissione relativo al tema della responsabilità di tipo penalistico e della responsabilità di tipo civilistico, con alcune conseguenze e con alcuni corollari.
  Siamo assolutamente convinti, e lo dico a titolo personale ma anche a nome del gruppo, anche se poi, evidentemente, ci sarà il dibattito con le dichiarazioni di voto, successivamente, dopo la pausa estiva, dell'importanza e del rilievo della nostra iniziativa legislativa che porta ad una ridefinizione sia dei profili della responsabilità sia soprattutto dei profili sanzionatori e quindi della esclusività della sanzione pecuniaria, con riferimento al reato della diffamazione.
  Però, voglio con chiarezza delimitare il punto sul piano del risarcimento del danno, perché sarà questa la vera forma di dissuasione di qualunque tipo di strumentalizzazione, di abuso, con riferimenti anche recenti, evidentemente, alla giurisprudenza. Ricordo, appunto, l'esempio del direttore Sallusti, che aveva «incendiato» lo scorcio dell'ultima legislatura. Ebbene, con riferimento a casi così disdicevoli di abuso della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà anche di espressione con riferimento anche ai mezzi, non solo abbiamo, con consapevolezza e credo anche con efficacia, esteso il perimetro della definizione di media, quindi anche con riferimento a nuovi media e alle nuove testate online, ma abbiamo anche identificato, con riferimento all'incrocio sanzionatorio a cui facevo riferimento prima del risarcimento del danno, il punto vero di svolta di questa proposta di legge. Perché ? Perché il risarcimento del danno, che, ripeto, nell'ambito della Commissione peraltro abbiamo reso completo e quindi abbiamo fatto saltare i tetti, il gap che Enrico Costa proponeva, con riferimento ad una limitazione del risarcimento stesso, ha effettivamente la funzione di elemento dissuasivo e quindi di presidio della serietà e della professionalità dei giornalisti. Questo però va detto anche con chiarezza con riferimento a quella norma che è stata inserita nell'ambito della Commissione e che riguarda la responsabilità del direttore e dei vicedirettori responsabili. Con chiarezza dico, e lo dico anche in presenza del Governo, che la possibilità di delegare la responsabilità Pag. 11ad un giornalista, che abbia le funzioni di controllo, è una limitazione della culpa in vigilando solo a fini penalistici.
  Perché vorrei ricordare che, nell'ambito della dottrina e della giurisprudenza civilistica, la responsabilità da fatto illecito è da tempo, dagli studi di Pietro Trimarchi in qua, qualificata come responsabilità oggettiva; va quindi detto che la funzione del direttore non può essere elisa da questa norma. La norma di cui parlo fa riferimento in via esclusiva – e ripeto, questo è importante chiarircelo, anche ai fini della ricostruzione dei lavori parlamentari – alla responsabilità penale, che evidentemente ha un criterio di imputazione a titolo di colpa appunto nel controllo e nella vigilanza; e che ovviamente interrompe la filiera, rispetto al fatto che il direttore potrebbe anche sbagliare nello scegliere in modo non oculato un giornalista delegato poi al controllo.
  GREGORIO GITTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo sul punto specifico della disciplina che abbiamo licenziato in Commissione relativo al tema della responsabilità di tipo penalistico e della responsabilità di tipo civilistico, con alcune conseguenze e con alcuni corollari.
  Siamo assolutamente convinti, e lo dico a titolo personale ma anche a nome del gruppo, anche se poi, evidentemente, ci sarà il dibattito con le dichiarazioni di voto, successivamente, dopo la pausa estiva, dell'importanza e del rilievo della nostra iniziativa legislativa che porta ad una ridefinizione sia dei profili della responsabilità sia soprattutto dei profili sanzionatori e quindi della esclusività della sanzione pecuniaria, con riferimento al reato della diffamazione.
  Però, voglio con chiarezza delimitare il punto sul piano del risarcimento del danno, perché sarà questa la vera forma di dissuasione di qualunque tipo di strumentalizzazione, di abuso, con riferimenti anche recenti, evidentemente, alla giurisprudenza. Ricordo, appunto, l'esempio del direttore Sallusti, che aveva «incendiato» lo scorcio dell'ultima legislatura. Ebbene, con riferimento a casi così disdicevoli di abuso della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà anche di espressione con riferimento anche ai mezzi, non solo abbiamo, con consapevolezza e credo anche con efficacia, esteso il perimetro della definizione di media, quindi anche con riferimento a nuovi media e alle nuove testate online, ma abbiamo anche identificato, con riferimento all'incrocio sanzionatorio a cui facevo riferimento prima del risarcimento del danno, il punto vero di svolta di questa proposta di legge. Perché ? Perché il risarcimento del danno, che, ripeto, nell'ambito della Commissione peraltro abbiamo reso completo e quindi abbiamo fatto saltare i tetti, il cap che Enrico Costa proponeva, con riferimento ad una limitazione del risarcimento stesso, ha effettivamente la funzione di elemento dissuasivo e quindi di presidio della serietà e della professionalità dei giornalisti. Questo però va detto anche con chiarezza con riferimento a quella norma che è stata inserita nell'ambito della Commissione e che riguarda la responsabilità del direttore e dei vicedirettori responsabili. Con chiarezza dico, e lo dico anche in presenza del Governo, che la possibilità di delegare la responsabilità Pag. 11ad un giornalista, che abbia le funzioni di controllo, è una limitazione della culpa in vigilando solo a fini penalistici.
  Perché vorrei ricordare che, nell'ambito della dottrina e della giurisprudenza civilistica, la responsabilità da fatto illecito è da tempo, dagli studi di Pietro Trimarchi in qua, qualificata come responsabilità oggettiva; va quindi detto che la funzione del direttore non può essere elisa da questa norma. La norma di cui parlo fa riferimento in via esclusiva – e ripeto, questo è importante chiarircelo, anche ai fini della ricostruzione dei lavori parlamentari – alla responsabilità penale, che evidentemente ha un criterio di imputazione a titolo di colpa appunto nel controllo e nella vigilanza; e che ovviamente interrompe la filiera, rispetto al fatto che il direttore potrebbe anche sbagliare nello scegliere in modo non oculato un giornalista delegato poi al controllo.

  PRESIDENTE. Mi scuso, onorevole Gitti. Onorevole Ferranti, gentilmente... Grazie. Prego, prosegua.

Testo sostituito con errata corrige volante   GREGORIO GITTI. Grazie, Presidente. È chiaro che questa norma interrompe il livello della responsabilità penale al criterio della scelta; addirittura il criterio della scelta, la scelta sbagliata potrebbe essere invece un riferimento ancora per aggravare la responsabilità parallela sul piano civile.
  Sul piano civile uno dei punti da sottolineare, sempre sul tema del risarcimento del danno, è che la rettifica non è risarcimento in forma specifica, e non va assolutamente qualificata in questo modo: in modo esplicito la norma finalmente lo dice. Della rettifica il giudice potrà tenere conto nella quantificazione del risarcimento del danno: quindi il tema non è solo quello della rettifica con commento, della collocazione tipografica, dell'evidenza, della rilevanza grafica del «francobollo» dell'intervento a rettifica, a riorganizzazione della notizia, e dell'eventuale reazione della persona offesa dal reato; è semplicemente un elemento di valutazione ai fini del risarcimento del danno.
  Lo dico ancora – e qui concludo – per sottolineare la centralità di questa sanzione: è una sanzione di carattere civilistico, di cui la disciplina penalistica fa tesoro, valorizza; ma ribadisco, sulla catena di responsabilità dall'autore della notizia, dall'eventuale giornalista delegato fino al direttore, questa normativa di ordine, di natura penale, non va ad intaccare la parallela responsabilità civile. La quale, anche dal punto di vista della gestione dei contenziosi, ha dimostrato negli anni di avere la massima efficacia: i giornalisti hanno paura di dover aprire il portafoglio e pagare, e questa è la migliore garanzia per la serietà del loro lavoro.
  GREGORIO GITTI. Grazie, Presidente. È chiaro che questa norma interrompe il livello della responsabilità penale al criterio della scelta; addirittura il criterio della scelta, la scelta sbagliata potrebbe essere invece un riferimento ancora per aggravare la responsabilità parallela sul piano civile.
  Sul piano civile uno dei punti da sottolineare, sempre sul tema del risarcimento del danno, è che la rettifica non è risarcimento in forma specifica, e non va assolutamente qualificata in questo modo: in modo esplicito la norma finalmente lo dice. Della rettifica il giudice potrà tenere conto nella quantificazione del risarcimento del danno: quindi il tema non è solo quello della rettifica con commento, della collocazione tipografica, dell'evidenza, della rilevanza grafica del «francobollo» dell'intervento a rettifica, a riorganizzazione della notizia, e dell'eventuale reazione della persona offesa dal reato; è semplicemente un elemento di valutazione ai fini del risarcimento del danno.
  Lo dico ancora – e qui concludo – per sottolineare la centralità di questa sanzione: è una sanzione di carattere civilistico, di cui la disciplina penalistica fa tesoro; ma ribadisco, sulla catena di responsabilità dall'autore della notizia, dall'eventuale giornalista delegato fino al direttore, questa normativa di ordine, di natura penale, non va ad intaccare la parallela responsabilità civile. La quale, anche dal punto di vista della gestione dei contenziosi, ha dimostrato negli anni di avere la massima efficacia: i giornalisti hanno paura di dover aprire il portafoglio e pagare, e questa è la migliore garanzia per la serietà del loro lavoro.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Daniele Farina. Ne ha facoltà.

  DANIELE FARINA. Signor Presidente, conscio dello stato avanzato del calendario, parlerò con una certa parsimonia, riservando alle fasi successive della nostra discussione un più attento esame dei punti di criticità che certamente rimangono ancora all'interno del testo approvato dalla Commissione.
  L'onorevole Costa, relatore, ci ha introdotto rilevando come il testo sul quale abbiamo lavorato, e che arriva in Aula con le modifiche apportate dalla Commissione, sia un testo che ha una certa «anzianità di servizio»: è un testo approvato dall'Aula nel corso della XIV legislatura, veniva ricordato; e da qui, cioè da questa vetustà, derivano in realtà larga parte delle criticità che ricordavo prima, e che forse potremo sanare, o sulle quali potremo lavorare, nel corso della nostra discussione.
  Su questo ci torno perché, in realtà, è il vero elemento della discussione che ci troveremo di fronte. Questo è un provvedimento che ha certamente un merito, in quanto il suo fulcro è l'eliminazione della pena del carcere per i delitti contro l'onore, l'ingiuria, la diffamazione, la diffamazione a mezzo stampa che, peraltro – lo ribadisco – già all'epoca avevano trovato una significativa condivisione in Commissione. Tutto questo viene operato pur Pag. 12nella consapevolezza – che non ci abbandona mai – della gravità delle conseguenze, spesso addirittura irreversibili, che il reato di diffamazione a mezzo stampa può determinare. Abbiamo avuto tanti esempi nella storia recente di questo Paese.
  In tale contesto, però, prevedere che la diffamazione rimanga penalmente rilevante e la relativa sanzione sia solo pecuniaria non avrebbe molta efficacia deterrente e non può apparire del tutto illogico cercare altre strade. È per questo che avevamo proposto di sostituire la previsione della sanzione penale seppure prevista e riformulata nella proposta di legge del relatore Costa nella pena della multa, con una corrispondente sanzione di carattere amministrativo.
  Così facendo, da un lato, la sanzione verrebbe applicata immediatamente, risparmiando tre gradi di giudizio e, dall'altro, il danneggiato avrebbe comunque la possibilità di intraprendere un giudizio civile, che avrebbe un'efficacia deterrente e anche risarcitoria in presenza di un'accertata diffamazione in modo sicuramente più efficace. Ma torniamo, per brevità, alle criticità che permangono.
  L'onorevole Businarolo ricordava il tema delle querele temerarie; questo ci trova convergenti: lo è stato in Commissione, lo sarà in Aula, anche nella presentazione degli emendamenti. Ma non è il solo; la vetustà del testo ha una caratteristica: è un testo di dieci anni fa. Alcuni degli estensori di quella normativa di allora, conosciuti anche personalmente, all'epoca tutt'al più avevano una e-mail di carattere personale. Dieci anni sono passati e, in questi dieci anni, la caratteristica e il volume della comunicazione che si esplica attraverso la Rete è totalmente cambiata. Rispetto a quel testo, si pongono oggi problemi nuovi, che la Commissione non ha pienamente affrontato perché il testo Costa, in origine, citava le comunicazioni tramite Internet – mettiamola così –, ma nel testo sul quale abbiamo lavorato questa parte viene espunta, quindi, la nostra discussione è avvenuta esclusivamente sui media di carattere tradizionale. Si è successivamente introdotto nella discussione il tema, in fase emendativa essenzialmente, a fronte delle audizioni, che sono state ricordate e sono state tante e importanti, ma solo in fase emendativa riappare il dibattito su come si pone tutela ai medesimi reati che dovessero essere commessi sulla Rete.
  Un primo elemento di mediazione che giudico soddisfacente è l'aver agganciato l'ambito di applicazione della norma che andiamo ad approvare all'articolo 5 della legge sulla stampa, la legge del 1948. In quel modo, si delimita con chiarezza qual è l'ambito di applicazione e si esclude ogni ambiguità sul fatto che l'attuale provvedimento possa andare in qualche modo ad inibire, o possa andare piuttosto ad agire su quelli che chiamiamo blog, che sono oggi uno dei luoghi in cui si esercita la democrazia digitale.
  Dico subito che ci dovremo tornare su quel tema. Non lo faremo probabilmente in questa occasione – è un limite – ma credo che ci dovremo tornare. Ci dovremo tornare, se non altro perché i tempi appaiono già oggi maturi per un ragionamento in quella direzione – lo auspichiamo –, ma possiamo pensare che l'evoluzione futura ci troverà in ritardo, anche questa volta ci troverà in ritardo e bisognerà intervenire. Ma comunque garantiamo – credo che questo sia importante – la libertà d'opinione della Rete: questa è la cosa che ci è stata richiesta con grande forza e che credo sia rispettata.
  Poi discuteremo se si può ancora fare qualcosa in Aula per delimitare con ancora più precisione, tracciare un solco ancora più deciso in questa direzione, ma su questo punto ci siamo. L'altro ritardo abbastanza grave che scontiamo avendo quel testo di partenza è il fatto che la professione giornalistica, anche quella tradizionale, anche quella della carta stampata o radiotelevisiva, è in realtà profondamente cambiata in dieci anni; già allora ma oggi ancora di più parliamo di figure professionali nel mondo dell'informazione che hanno le caratteristiche spesso più inquietanti della precarietà, dell'essere in Pag. 13qualche modo sottoposti a mille ricatti e a mille pressioni già dal punto di vista del rapporto contrattuale.
  In questo, e mi avvio a concludere, non c’è soltanto il tema della querela temeraria che va sicuramente irrobustito perché nell'attuale formulazione è scarsamente protettivo, c’è anche un altro tema che ha un suo valore in relazione alle cose che dicevo prima, cioè alla natura della professione giornalistica. Mentre nel testo base non casualmente era previsto un tetto massimo per l'azione risarcitoria del danno non patrimoniale, ed era fissato a 30 mila euro, la Commissione a maggioranza e secondo me con qualche riflessione che possiamo reintrodurre, ha cancellato con un tratto di penna quel limite, e cioè noi togliamo il carcere per i giornalisti però lasciamo libera poi l'azione sul danno non patrimoniale di arrivare a qualunque cifra che il giudice dovesse stabilire.
  Vado a concludere proprio su questo punto, se voi provate a parlare con i giornalisti in carne ed ossa, magari con quelli decontrattualizzati o precari che circolano anche per queste Aule della Camera, la cosa che vi dicono è: guardate, io preferisco andare in carcere piuttosto che essere sottoposto ad un procedimento che può rovinare dal punto di vista economico. Allora qui non è un problema legato al bene o al male che vogliamo alla categoria dei giornalisti in generale o in particolare; qui c’è un problema. Se il problema è sottrarre l'informazione dalle pressioni dei forti, se noi leviamo il carcere e però manteniamo integralmente, senza limiti, selvaggiamente quella possibilità, noi non salvaguardiamo fino in fondo le informazioni da quelle pressioni, facciamo un lavoro fatto a metà.
  Io credo che questo lavoro debba essere invece completato, anche perché per la natura delle figure professionali mi sembrerebbe ingiusto che tuteliamo i «giornaloni», seppur comprendendovi anche – è questo l'elemento importante di novità – le testate online, ma tuteliamo i «giornaloni» con i direttori che sono venuti qui alla Camera in processione, tutti, e poi sul resto della categoria un po’ meno. Ecco, io credo che in sede di discussione di questo provvedimento, in sede di approvazione che noi speriamo avvenga con le migliorie che sarà possibile apportarvi, si riesca a fare almeno alcune di queste cose (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vazio. Ne ha facoltà.

  FRANCO VAZIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, dopo un lavoro intenso e un serrato confronto nell'ambito della Commissione giustizia, arricchito da numerosi, qualificati e preziosi contributi, la proposta di legge di modifica del reato di diffamazione a mezzo stampa approda finalmente in Aula. Benché il testo affronti anche altri argomenti rilevanti, quale ad esempio la modifica della reato di ingiuria, il mio intervento sarà concentrato sugli aspetti più salienti della prospettata riforma del reato di diffamazione a mezzo stampa, anche perché la modifica del suddetto reato, proprio per la sua delicatezza, ha suscitato un dibattito particolarmente ricco ed attento.
  Non vi è dubbio, infatti, che la libertà di stampa rappresenta, per un Paese civile e democratico, un valore altissimo, così come altrettanto elevato è il valore dell'onore e della reputazione per il cittadino, il politico o l'imprenditore, che ogni giorno è sottoposto all'attenzione della stampa medesima.
  D'altro canto, sappiamo quanto sia difficile intervenire in via postuma per riparare i danni, anche e soprattutto di immagine, cagionati da errori o da iniziative di dolosa denigrazione, sia perché non sempre è facile ottenere quanto eticamente e legittimamente è giusto, e cioè la rettifica, sia perché anche nei casi in cui ciò accade non sempre essa risulta efficace.
  Inoltre, dovevano essere anche affrontate problematiche più squisitamente tecniche, ma che per la loro specificità rivestivano una particolare importanza. Tra queste, la responsabilità del direttore responsabile Pag. 14del quotidiano e l'applicabilità della normativa sulla stampa anche a quei giornalisti che erano e sono inquadrati professionalmente come pubblicisti.
  Nel primo caso era ed è evidente come tale responsabilità fondasse le sue radici su un collegamento funzionale ed oggettivo a cui difficilmente poteva ricollegarsi un qualche comportamento doloso ovvero un vero e proprio difetto di controllo e di vigilanza. A tal riguardo, è sufficiente pensare a quale effettivo controllo poteva prestare un direttore di una testata a tiratura nazionale sui singoli articoli delle molteplici edizioni locali. Era, nei fatti, una sorta di responsabilità oggettiva. La possibilità, da parte del direttore responsabile, di delegare ora le funzioni di vigilanza consentirà di rispondere del reato di diffamazione solo per l'effettiva violazione dei doveri di vigilanza.
  Nel secondo caso, invece, una volta impostata una normativa equilibrata ci si è posto il problema di come estendere le tutele apprestate anche nei confronti di soggetti più deboli, nei confronti di coloro i quali sono in prima linea, di coloro che erano e sono inquadrati professionalmente come pubblicisti. Anche nei loro confronti ora saranno estese le garanzie già oggi riconosciute dall'articolo 200 del codice di procedura penale ai giornalisti professionisti.
  Abbiamo ascoltato i pareri di insigni esperti del diritto, dei rappresentanti delle categorie interessate e delle associazioni dell'editoria. Ci siamo confrontati anche con i direttori responsabili delle più grandi ed autorevoli testate, sia della carta stampata sia della televisione. Un lavoro preziosissimo, ricco di contributi giuridici, di episodi e di esperienze di vita. Ebbene, Presidente ed onorevoli colleghi, il testo oggi offerto alla discussione dell'Aula rappresenta un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi che legittimamente si contrappongono e, nello stesso tempo, tiene conto del tempo in cui viviamo, allargando con attenzione ed equilibrio l'ambito di applicazione della legge alle testate giornalistiche online registrate e alle testate televisive e radiofoniche.
  È chiaro a tutti noi che il vero, l'onore e la reputazione sono cose preziosissime da tutelare e preservare, ma è altrettanto evidente che un Paese misura e garantisce la propria democrazia attraverso la libertà di stampa e il diritto di manifestare le proprie opinioni. Costruire un modello giuridico che intimidisce e scoraggia gli osservatori significa inevitabilmente oscurare e zittire la democrazia.
  Non vi sono dubbi che nessun cittadino, imprenditore o politico gradisce essere preso di mira dalla critica ma essa, proprio per le ragioni di cui sopra, offre alla comunità occhi, attenzioni e voce che diversamente non avrebbe. La storia dei popoli ci ha insegnato che solo grazie alla libertà di stampa si costruisce e si rafforza la democrazia. Di ciò, onorevoli colleghi, dobbiamo fare tesoro.
  Punire con il carcere un giornalista, uno scrittore, un commentatore televisivo, costituisce un'intimidazione intollerabile, una ferita che deve essere rimarginata.
  La legge prevede pene pecuniarie e una causa di non punibilità per il caso in cui l'autore ponga rimedio all'errata notizia attraverso un'idonea comunicazione di rettifica. Il che significa non intimorire il giornalista con la pena detentiva e, al tempo stesso, concedergli la possibilità di rimediare in caso di errore.
  Sarà però solo il giudice a decidere se la rettifica è idonea e conforme al dettato della legge per ottenere la non punibilità. Il diritto a vedere rettificata la notizia correttamente e minuziosamente disciplinato dalla legge sarà la parte più significativa del risarcimento del danno per la persona offesa.
  Inoltre, il giudice, da un lato, potrà valutare e determinare senza limitazioni il risarcimento del danno vero e proprio e, dall'altro, sanzionare le querele temerarie, così chiudendo il cerchio rispetto alle reciproche garanzie delle parti.
  Ed ancora, la legge affianca le tutele e le attenzioni per la persona offesa nel caso di attribuzione di un fatto determinato o Pag. 15falso ed aggiunge, nello spirito di limitare i danni rispetto al sopruso ed alla dolosa e pervicace volontà diffamatoria, la pena accessoria dell'interdizione temporanea dalla professione di giornalista nell'ipotesi di recidiva.
  Prima di avviarmi a concludere, intendo esprimere un auspicio e in termini garbati una critica di ordine generale nei confronti di una prassi assai diffusa, afferente l'utilizzo di espressioni che appaiono comunque non consone ad una corretta dialettica.
  I toni di critica, pur se aspri, non dovrebbero mai trascendere verso espressioni irriguardose e violente, potenzialmente di per sé offensive. Una buona comunicazione, sia da parte dei media sia da parte del mondo politico ed economico, può tranquillamente fare a meno di tutto ciò. Una buona comunicazione che cresca e maturi in questo senso, respingendo derive violente, irriguardose ed offensive è un qualcosa che fa bene al Paese ed al modo di stare insieme e fare comunità.
  Concludendo e ritornando al merito della legge, possiamo dire con tranquillità che questo è un testo che tiene conto del mutamento dei mezzi di informazione. È un testo equilibrato e che ha la capacità di rafforzare il diritto di stampa e di opinione in un quadro di cautele e di garanzia per la parte offesa.
  Signor Presidente, onorevoli colleghi, andiamo avanti con fiducia, persuasi del fatto che la libertà di stampa e di opinione sono diritti sui quali un Paese, il nostro Paese, rafforza la democrazia e nello stesso tempo costruisce il proprio futuro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.

  DAVIDE CAPARINI. Signor Presidente, quando e se questa norma sarà approvata noi potremo finalmente con grande soddisfazione salutare il Rwanda, l'Iran, il Vietnam, il Burundi, la Corea del Nord, il Turkmenistan, il Sudan, il Laos e la Siria, perché questi sono alcuni tra i Paesi che oggi detengono circa 150 giornalisti.
  Noi abbiamo avuto purtroppo la sventura di assistere anche alle precedenti fasi di discussione nella legislatura appena trascorsa, che hanno visto questo provvedimento miseramente naufragare, un provvedimento completamente diverso da quello che oggi stiamo valutando, ma che comunque conteneva questo approdo di civiltà fondamentale, come l'abolizione del carcere per i giornalisti.
  Cadrebbero due capisaldi del retaggio del fascismo. Il primo è quello della galera per i giornalisti, il secondo è quello dell'ipotesi aggravata dell'offesa arrecata al corpo politico, amministrativo e giudiziario. Ancora oggi, infatti, nel nostro Paese non è possibile o almeno, quando lo si fa, c’è un'aggravante per quanto riguarda l'offesa a chi rappresenta lo Stato.
  È lo stesso Paese per cui, fino a pochi anni fa, si rischiava la galera se si facevano risalire alla responsabilità del Presidente della Repubblica atti del Governo. È lo stesso Paese in cui, ancora oggi, all'articolo 267 del codice penale è previsto il reato di disfattismo economico. Io credo che non basterebbero gli «svuotacarceri» approvati da questo Parlamento se questo reato fosse applicato. Ed ancora, è previsto che si venga puniti per un reato penale nel caso in cui si infanghi l'onore e il prestigio del Presidente della Repubblica.
  Tutti questi retaggi, comprese tante parti della famigerata legge Mancino, devono essere tolti dal nostro codice nel momento in cui, in quest'Aula, chi si alza inneggia alla libertà di espressione e alla libertà d'opinione, che non riguardano solo chi fa informazione, chi si occupa della comunicazione nel nostro Paese, ma riguardano tutti i cittadini, perché sono un diritto di tutti i cittadini.
  La libertà, è vero, è prima di tutto un diritto, ma è anche un dovere. Io credo che nelle modifiche che abbiamo introdotto alla legge sulla diffamazione abbiamo colto l'essenza di questo principio, perché, esaltando il ruolo della rettifica, esaltando il ruolo del diritto di risposta, si dà la possibilità alla parte offesa di ripristinare, Pag. 16seppur nel limite del ripristino – perché quello, è evidente, vi è sempre – un diritto negato.
  Credo che poi un altro aspetto che è fondamentale e che va sottolineato delle modifiche che sono state fatte sia quello della dimensione crossmediale che viene data con questo provvedimento, in quanto, finalmente, ci rendiamo conto che siamo nel terzo millennio, che qualcosa è cambiato, che non si verga solo sulla carta, ma che esiste, oltre all'analogico, il digitale.
  Quindi, il fatto di andare oltre quella che è la pura carta stampata e di guardare all’online, ma, soprattutto, di utilizzare degli strumenti che siano idonei a far sì che la notizia diffamatoria, come immagino a molti sia capitato, non rimanga scolpita nella rete, ma venga modificata nel momento in cui viene accolta la richiesta di rettifica, credo che sia un aspetto di grande civiltà, un aspetto fondamentale, come, del resto, il fatto di poter intervenire per quanto riguarda la radio e la televisione. Vi sono tanti aspetti: poi consegnerò parte del mio intervento, perché i tempi li conosciamo tutti e sappiamo che sono particolarmente ristretti.
  Volevo sottolineare, tra le altre cose, un aspetto che trovo fondamentale, ovvero laddove noi ci occupiamo della recidiva per quanto riguarda la pubblicazione di notizie della cui falsità l'autore, o comunque il direttore, era conscio – è un aspetto aggravante che deve essere, evidentemente, punito – come, del resto, il fatto che, nel momento in cui viene definito il risarcimento del danno, si tenga conto anche della portata del ripristino, e quindi del mezzo utilizzato, delle persone raggiunte, e quindi anche della portata stessa della diffusione dell'opera riparatoria.
  Dei doveri del direttore è già stato ampiamente trattato. Credo che, anche qui, si sia tenuto conto della modifica anche della natura stessa del lavoro del direttore. Quindi, vi è la possibilità di delegare a un giornalista o a un collaboratore le funzioni di controllo, perché ormai – è un dato di fatto – la comunicazione avviene h24, sette giorni su sette, e quindi è praticamente impossibile pensare che un direttore possa comunque e sempre controllare tutto.
  Per quanto riguarda gli abusi, si elimina una pratica che era purtroppo diffusa e che, questa sì, andava a minare alle basi il diritto di espressione e il diritto ad informare dei professionisti, ovvero quella che poi è stata definita la querela temeraria. Infatti, noi sappiamo che, attraverso la querela fatta così come era costruita la vecchia norma, purtroppo, vi era una sorta di ricatto economico ai danni dei professionisti dell'informazione. Vi sono, quindi, tanti aspetti positivi. Io credo che vi sia un aspetto, in modo particolare, che dovrebbe essere approfondito, ed è quello che riguarda la Rete.
  Sono convinto che dobbiamo cogliere l'occasione, l'opportunità che ci viene data anche dalla presenza di una forza politica come il MoVimento 5 Stelle che fa della Rete un punto di partenza e un punto di forza, per arrivare a definire quelle che sono anche le regole all'interno della Rete, laddove essa può diventare un potentissimo strumento di informazione, di conoscenza e di approfondimento, ma, a volte, rischia anche di avere delle storture che sono evidenti a tutti, e su cui noi abbiamo il dovere, l'obbligo, di concentrarci. Perché siamo tutti convinti che laddove c’è raziocinio, laddove c’è la possibilità di scelta, c’è la libertà. Allora noi dobbiamo costruire la norma proprio per arrivare ad avere la tutela del diritto alla libertà, ma anche il dovere di informare correttamente (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
  Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

  PRESIDENTE. La Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti.
  È iscritto a parlare l'onorevole D'Alessandro. Ne ha facoltà.

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  LUCA D'ALESSANDRO. Signor Presidente, noi ci apprestiamo discutere e, subito dopo l'estate, ad approvare una legge che modifica parzialmente norme che hanno 65 anni e che riguardano l'informazione in generale: carta stampata, Internet, televisione. Inutile dire che 65 anni fa il mondo del giornalismo e della carta stampata era completamente diverso dal mondo che ci circonda oggi. Nel 1948 esistevano solo i giornali, e la legge sulla stampa prevedeva norme che regolavano quel mondo per quell'epoca. Adesso è cambiato tutto. Noi interveniamo quindi, adesso, su un provvedimento solo per modificare alcune norme che riguardano fatti specifici, quasi ad intervenire sull'emergenza. È ovvio che la legge sulla diffamazione meriterebbe una totale riforma e crediamo che quello che è accaduto in Commissione giustizia, le audizioni che abbiamo svolto in Commissione giustizia, lo abbiano dimostrato: intervenire su argomenti così importanti e così generali meriterebbe una riforma globale. Ci troviamo, invece, a fare un intervento mirato o pochi interventi mirati solo per intervenire e arginare una sorta di situazione emergenziale.
  Il dibattito sulla legge sulla stampa, sulla diffamazione, ha avuto un'impennata, direi, decisiva con il «caso Sallusti», a cui in questi giorni sta seguendo anche il «caso Mulè». Si tratta di due giornalisti che sono stati condannati al carcere, a pene anche abbastanza importanti (un anno e due mesi per quanto riguarda Sallusti, due condanne da otto mesi per quanto riguarda il direttore di Panorama, Mulè) e, guarda caso, queste due condanne sono state inflitte da magistrati su querela di magistrati. In questi minuti, proprio a dimostrazione di quanto la legge sulla stampa meriti una attenzione particolare e una riforma globale, sta accadendo un fatto analogo: il Mattino apre con una intervista dell'ineffabile Presidente della sezione feriale della Cassazione, Esposito (cioè colui che ha emanato la sentenza Berlusconi), che parla della sentenza Berlusconi e che entra nel merito del processo. Il tempo di fare una dichiarazione di censura, di chiedere l'intervento del Ministro della giustizia, ed ecco che arriva alle agenzie una richiesta di rettifica ai sensi della legge sulla stampa, perché il dottor Esposito dice: «Sì, ho rilasciato un'intervista, ma alcuni passaggi di questa intervista, cioè quelli tecnici specificamente dedicati alla sentenza della Cassazione, non li ho mai pronunciati». Questo dimostra che il mondo dell'informazione è in continuo divenire e noi siamo costretti a intervenire, diciamo, per tappare un buco qua, un buco là, per arginare un problema oggi, un problema domani.
  Quindi, l'auspicio è che in futuro – speriamo non troppo lontano – si possa intervenire in termini globali per modificare l'intero settore e regolamentarlo meglio. Come hanno detto già altri colleghi, il problema principale riguarda i mezzi di informazione che nel 1948 non esistevano, ma si può dire che non esistevano quindici anni fa, perché per esempio Internet è una realtà nuovissima e che noi con questo disegno di legge regolamentiamo solo in parte minima, per evitare di incappare in problematiche in questo momento forse più grandi di noi.
  Per quanto riguarda gli interventi che noi adesso discutiamo e ci accingiamo – spero – ad approvare, noi dobbiamo coniugare l'esigenza di tutelare la libertà di informazione con il diritto del cittadino a non essere diffamato e in questo senso impedire – che poi questa è la norma principale di questo disegno di legge – il carcere per i giornalisti, garantendo in questo modo quella libertà di informazione minima per cui possano non cadere sotto il rischio della censura.
  Dopo una serie di sedute e di audizioni (ben 25), finalmente siamo riusciti ad arrivare a un testo abbastanza condiviso che porta come primo elemento fondante l'eliminazione del carcere per i giornalisti. Questo testo è partito da un precedente testo già approvato alla Camera nella precedente legislatura pressoché all'unanimità. I principali elementi di questo nuovo testo, oltre ovviamente all'eliminazione dell'ipotesi del carcere per Pag. 18i giornalisti, sono legati alla multa, che è graduata a seconda della gravità del reato. Se il fatto è grave, cioè se il fatto è pubblicato con la consapevolezza che sia falso, è prevista una multa con un tetto di 60 mila euro, se è meno grave una multa di 10 mila euro. È importante in questo senso – e veniamo anche al caso del dottor Esposito – la questione della rettifica, perché, se proporzionata e tempestiva, la rettifica diventa una condizione di non punibilità. E qui si è fatto un gran discutere sul corpo della rettifica, sulla collocazione all'interno di un giornale o di un telegiornale, perché noi abbiamo inserito analoghe norme per l'informazione televisiva e per l'informazione Internet, vincolandola per ovvi motivi di «giungla» (Internet è un mondo molto complesso, per cui noi dobbiamo intanto intervenire sulle cose più regolamentabili possibili, quindi nel caso di testate Internet scritte con i giornalisti e direttori responsabili, che possano in qualche modo filtrare le notizie).
  È chiaro che sarà il magistrato a stabilire se la rettifica sarà davvero completa ed adeguata. Sotto questo punto di vista rischiamo di far rientrare dalla finestra ciò che facciamo uscire dalla porta. È chiaro che se un magistrato deve valutare l'ipotesi di una querela di un collega... in questo senso alcune audizioni, in particolare quella dell'avvocato Volo, hanno sottolineato come moltissime migliaia di cause per diffamazione giacciano nei fascicoli del tribunale, in attesa di una degna sepoltura attraverso la prescrizione, mentre invece le cause per diffamazione che riguardano magistrati viaggiano a velocità siderale e si concludono con sanzioni diciamo esemplari, nel senso più negativo del termine.
  Poi, abbiamo detto che le norme sulla diffamazione non verranno estese ai blog e in questo senso è stata accolta un'indicazione, un'istanza del gruppo MoVimento 5 Stelle, proprio perché per regolamentare questa materia è necessaria una riforma un po’ più globale e capillare.
  Un'altra modifica importante riguarda la responsabilità dei direttori. Noi abbiamo in Italia molti giornali – cito a caso Il Messaggero, Il Tempo, che sono giornali romani – che hanno molte edizioni locali e per un direttore nazionale, cioè il direttore centrale, è molto difficile verificare ciò che succede in sede locale. Quindi, questa legge prevede la delega al direttore locale, cioè al responsabile della sede locale, della responsabilità.
  Infatti un direttore è materialmente impossibilitato a verificare ciò che succede in provincia. E questo si lega moltissimo con i motivi per cui siamo intervenuti sulla diffamazione perché, come vediamo, coloro che sono stati condannati al carcere sono due direttori, quindi per omesso controllo. Sono queste dunque le modifiche che noi ci accingiamo ad approvare. Ovviamente il PdL sostiene in modo convinto questa proposta di legge, ma con l'auspicio che un domani si possa intervenire in maniera più capillare e più generale su una materia che è assai delicata per modificare una legge che oggi, potremmo dire, potrebbe andare in pensione visto che compie 65 anni.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Liuzzi. Ne ha facoltà.

  MIRELLA LIUZZI. Signor Presidente, riparto da dove ha terminato la mia collega Businarolo. I due pilastri della democrazia sono l'informazione e la libertà di stampa. Infatti ogni regime totalitario e Governo dittatoriale ha come primissima cosa limitato queste libertà e ha limitato i media. Ancora troppi Stati membri dell'Unione europea adottano nei confronti del reato di diffamazione normative eccessivamente rigide e punitive. Lo scorso 29 maggio la rappresentante per i media dell'OSCE, Dunja Mijatovic, ha affermato la necessità anche per l'Italia di intervenire con una rapida riforma della legge depenalizzando il reato di diffamazione. La stessa rappresentante ha sottolineato che in una moderna democrazia nessuno dovrebbe essere imprigionato per quello che scrive. Sul tema, in più di un'occasione, anche la Corte europea dei diritti dell'uomo ha sentenziato che la reclusione Pag. 19per il reato di diffamazione è sproporzionata e dannosa per una società democratica. Prevedere la reclusione per il reato di diffamazione impedisce la completa realizzazione del principio di libertà di espressione con gravi ripercussioni sull'efficacia e la completezza della comunicazione in tutta Europa. Nella classifica di Reporter senza frontiere sulla libertà di stampa 2013, come già ricordato, l'Italia risulta in 57o posizione su 179 Paesi, prima di Ungheria e seguita da Hong Kong. Nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, articolo 10, la libertà di espressione è considerata un diritto centrale nel sistema di salvaguardia di ogni individuo. La Corte europea ha sempre sottolineato il ruolo esercitato dagli organi di stampa da cui consegue la loro funzione di riferire ai cittadini su fatti di interesse pubblico e ha considerato le sanzioni a carico dei giornalisti un'ingerenza nell'esercizio di tale diritto. Ovviamente esistono anche altri valori da proteggere come la dignità e la reputazione che il nostro codice tutela. Nella ricostruzione della Corte questi hanno un rango inferiore però rispetto a un diritto che è quello della libertà di informazione e di espressione in quanto eccezione di un diritto fondamentale funzionale anche alla realizzazione di quello del voto che è indice di democrazia. In un Paese civile la libertà di informazione e la buona informazione sono appunto indice di democrazia. Una delle modalità intimidatorie per mettere a tacere le voci scomode e le inchieste giornalistiche non allineate ai poteri politici ed economici o religiosi di turno è la querela, usata spesso come strumento di espressione per scoraggiare il lavoro giornalistico, disincentivando lo spirito critico che dovrebbe invece ispirare l'attività del cronista. Noi del MoVimento 5 Stelle al riguardo abbiamo una posizione molto chiara in merito. La pena carceraria è inaccettabile per il reato di diffamazione e certamente questa proposta di legge è un aggiornamento di buon senso al codice penale che lo rende certamente più moderno.
  Durante un incontro tra il Presidente del Senato Grasso e una delegazione di Ossigeno, Osservatorio sui giornalisti minacciati in Italia, si è richiamata l'attenzione del Presidente sull'opportunità di promuovere un ulteriore impegno delle istituzioni di fronte al clima di intolleranza sempre più diffuso in Italia nei confronti dei giornalisti che svolgono inchieste su mafia e malaffare e dei cronisti che pubblicano notizie su fatti controversi in cui sono coinvolte persone dotate di potere e di forza di condizionamento. Quindi non solo querele ma anche intimidazioni. Vediamole queste intimidazioni. Nel primo semestre del 2013, oltre 200 giornalisti, fotoreporter, videoreporter, blogger hanno subito aggressioni, danneggiamenti, ritorsioni, furti di archivi e di apparati professionali, querele pretestuose, richieste di danni ingiustificati, divieti arbitrari, discriminazioni ingiustificabili.
  Negli ultimi sei anni 1.400 giornalisti e operatori dell'informazione hanno subito analoghe intimidazioni.
  Questi attacchi contribuiscono a fare dell'Italia l'unico Paese dell'Europa occidentale, oltre alla Turchia, in cui la stampa è solo parzialmente libera (dato Freedom House del 2012). I rappresentanti di Ossigeno hanno, inoltre, auspicato che la riforma della diffamazione a mezzo stampa tenga in maggior considerazione la necessità di impedire che si possa fare un uso pretestuoso, intimidatorio e censorio della querela e della citazione per danni in linea con quello che noi del MoVimento 5 Stelle proponiamo tramite emendamenti in Aula e di cui ha parlato già approfonditamente la mia collega Businarolo.
  Il filosofo tedesco Hegel diceva che la preghiera del mattino dell'uomo moderno è la lettura del giornale perché ci permette di situarci quotidianamente nel nostro mondo storico. Ma qual è il nostro mondo storico attualmente ? Non è più rappresentato dai giornali come intendeva Hegel, ma è soprattutto ad appannaggio di Internet, dove la voce dal basso dei cittadini può essere libera, senza vincoli di potere economico, politico e finanziario. La Rete, infatti, ha trasformato totalmente le nostre Pag. 20abitudini e anche la nostra maniera di aggiornarci. Oltre ai giornali online, ci sono tanti altri famosissimi siti dove potersi informare e da cui trarre interpretazioni dell'attualità. Siamo in un mondo nuovo, dove l'informazione si autoproduce, si autoalimenta grazie ai commenti dei lettori, viene approfondita, rimbalzata tramite social network, esposta al contributo pubblico ed essa viene plasmata e riformulata. Un'informazione in costante movimento e che può essere effettuata anche dai cittadini che possono contribuire alla formazione di un'opinione pubblica diversa dal mainstream dei media tradizionali i quali, se non si aggiorneranno, credo che spariranno totalmente.
  Scrive Giuseppe De Tommaso su La Gazzetta del Mezzogiorno del 31 luglio: «Internet non è il diavolo. Ma l'informazione fai-da-te, che trova su Internet la tribuna più comoda, è la caricatura del giornalismo concepito come il “mestiere di capire” tramandatoci dai grandi del passato della cronaca che si fa e fa letteratura. L'informazione fai-da-te sta all'informazione “bene intesa” come il relativismo culturale ed etico sta al liberalismo politico ed economico. È la negazione di ogni modello prescrittivo cui tendere. È la decadenza di una sfida, quella di controllare il potere rispettando le leggi in nome del cittadino senza potere».
  Sarà per questa ragione che durante l'esame in Commissione giustizia sono stati presentati degli emendamenti per far rientrare anche i siti Internet nella disciplina della diffamazione a mezzo stampa. Infatti, sono oramai cinque anni che vengono avanzati, sotto forma di proposte di legge, nuovi modi per mettere a tacere le informazioni online.
  Vorrei fare una breve cronologia di quello che è successo nelle ultime legislature. In principio ci fu il disegno di legge Levi, varato sotto il Governo di Romano Prodi, che stabiliva per i blogger l'obbligo di registrazione presso il registro degli operatori di comunicazione, il cosiddetto ROC e l'estensione ai blog dei reati a mezzo stampa. Fu approvato dal Consiglio dei ministri, ma non resistette alla protesta dell'opinione pubblica che massiccia si indignò tempestando i parlamentari di mail. Io stessa mi ricordo che all'epoca partecipai a questa manifestazione di dissenso perché avevo un blog e, quindi, mi sentivo coinvolta in prima persona. Nel 2009 ci riprovò Gianpiero D'Alia, l'attuale Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il quale inserì nel «decreto sicurezza» un emendamento che sanciva la repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo Internet e prevedeva l'oscuramento dei siti, inclusi anche Twitter e Facebook, qualora i contenuti segnalati non fossero stati rimossi dal gestore. Nulla di fatto, come anche la proposta della parlamentare di Forza Italia, Gabriella Carlucci, che in una proposta di legge nata per combattere la pedofilia online di fatto tentava di eliminare la facoltà di anonimato sul web, stabilendo il divieto di immettere in maniera anonima in Rete contenuti di qualsiasi forma.
  Nel 2011 e nel 2012 la norma è tornata in Aula a distanza di pochi mesi, praticamente nella stessa versione. Il comma 29 dell'articolo 1 della «legge bavaglio», poi ripresa da una nuova regolamentazione del Ministro Severino sulle intercettazioni, obbligava alla rettifica tutti i siti informatici, a 48 ore dalla segnalazione, pena una multa fino a 12.500 euro. Una rettifica senza se e senza ma, ma dal momento che il testo non concedeva al gestore nessuna facoltà di replica o semplicemente di verifica, questa poteva essere una norma davvero liberticida. E pazienza che questa informazione potesse poi rivelarsi vera. Assurdo. Anche in questa legislatura al Senato è stato presentato un provvedimento provocatorio, a detta del primo firmatario, il senatore Torrisi del PdL. Il testo prevede che chi ha registrato un sito Internet e semplicemente si connette alla Rete per gestire un blog, sia responsabile di un reato commesso sul sito e risponda dello stesso anche quando non cancelli, entro ventiquattro ore dalla pubblicazione, scritti inseriti autonomamente dagli utenti. Chissà che anche questa proposta di legge Pag. 21in discussione oggi alla Camera, che noi reputiamo buona, non sia poi modificata nell'altra Camera del Parlamento.
  Tornando ai giorni nostri e alle attività della Commissione giustizia della Camera, noi del Movimento 5 stelle, e anche il sottosegretario, abbiamo fatto rilevare tutta l'ambiguità e l'inesattezza del termine «sito Internet con natura editoriale». Per fortuna è stata applicata una cura che definiamo palliativa, legando la definizione di testate on line alla loro possibilità di accedere a forme di finanziamento pubblico, non essendoci nel diritto un modo più circoscritto per delineare l'attività editoriale su Internet, ed escludendo – per fortuna – i blog.
  Purtroppo, così com’è la norma risulta ancora inesatta e ambigua. Va fatto notare che le testate telematiche ospitano, oltre ai contenuti prodotti dalle redazioni, a volte centinaia e centinaia di blog e di altrettanti blogger, i quali si limitano a offrire spazio e visibilità ad altre centinaia e migliaia di commenti di lettori. Nessuno, incluso il direttore responsabile, può controllare cosa accade in questi spazi, che pure sono ormai diventati irrinunciabili presidi di libertà, comunicazione e informazione.
  L'attuale formulazione della proposta di legge, secondo la quale la disciplina sulla diffamazione è applicabile anche alle testate giornalistiche on line, potrebbe comportarne l'applicabilità anche ai commenti dei lettori e ai post dei blog. Se tale formulazione dovesse trovare posto nella versione definitiva, il risultato sarebbe quello di condannare a una rapida estinzione un numero enorme di spazi di libertà, che sono probabilmente fra i principali protagonisti della pacifica rivoluzione mediatica che ha finalmente restituito ai cittadini il diritto di esprimere quello che pensano e di far sentire la loro voce, uscendo dal circuito dell'unidirezionalità dei media meno moderni, come televisione e stampa tradizionale.
  È infatti evidente che non c’è nessun editore o direttore responsabile di una testata on line che possa permettersi il lusso di rischiare sanzioni pecuniarie a tanti zeri e azioni risarcitorie ancora più esose solo per permettere a un cittadino di dire la sua tramite le colonne del proprio giornale on line. Sarebbe probabilmente opportuno regolare questo ambito con una normativa ad hoc, ma la discussione di questa proposta di legge non poteva essere il momento di operare in tal senso.
  È certamente necessario puntualizzare che la disciplina sulla diffamazione non si applica ai commenti postati dai lettori sui blog, anche se pubblicati sulle testate telematiche regolarmente registrate. In caso contrario, una legge nata per difendere la libertà di informazione si trasformerebbe in un'ennesima legge liberticida, legge bavaglio, questa volta non per i giornalisti, ma per gli utenti di Internet.
  La rettifica è un tema che è stato affrontato anche durante l'audizione dei direttori delle più importanti testate giornalistiche italiane. Importante è anche il rilievo dato alla rettifica come vero e proprio atto ricostituente dell'onore in caso di danno procurato e come condizione di improcedibilità penale e come elemento decisivo per calcolare il valore dell'eventuale danno civile.
  La rettifica senza commento potrebbe per assurdo anche andare bene, ma andrebbe introdotta la condizione che deve riguardare fatti alternativi rispetto a quelli pubblicati, non obbligare a pubblicare con la rettifica notizie false o addirittura a loro volta diffamatorie. Per evitare questo problema sarebbe più opportuno, secondo noi, eliminare il vincolo di non poter commentare una rettifica, anche brevemente.
  Se è giusto assoggettare tutti i media alle stesse norme, ribadiamo che sui processi di formazione continua in Rete occorre una riflessione in più e un approfondimento per le modalità di rettifica e l'applicazione della distinzione che la legge prevede per i giornali rispetto ai blog e alle testate on line.
  Tempi, modi e visibilità della rettifica su elementi di chiarimento contro verità accertabili dovranno essere precisati. Il rischio è che ci possa essere chi, invocando impropriamente, ma persino legittimamente Pag. 22la rettifica, ne approfitti per coltivare interessi di qualsiasi genere, ma non quello del diritto all'informazione.
  Sempre in tema di rettifica, proprio quando si precisano le responsabilità gerarchiche dei giornali, va chiarita l'attribuzione di questo obbligo. Vicende recenti hanno evidenziato come collaboratori di frontiera, esposti a ogni rischio e pagati pochi euro ad articolo, non abbiano il potere di decidere la pubblicazione della rettifica. Non possono essere chiamate queste persone a pagarne il conto.
  Più delicata è la questione per le rettifiche sulle pubblicazioni on line, specialmente per i giornali elettronici che contengono anche dei blog. Come fatto notare anche nel parere della IX Commissione, occorre riformulare le disposizioni riguardanti le modalità di esercizio del diritto di rettifica nel caso delle testate giornalistiche on line, dal momento che il testo fa riferimento a requisiti concernenti le caratteristiche grafiche, l'accesso al sito e alla pagina che non sempre risulta possibile individuare nella effettiva configurazione e struttura delle testate on line.
  Riteniamo un grande passo avanti l'aver abolito l'aggravante dell'offesa, se l'offesa diffamante avviene nei confronti di un corpo politico, come proposto dal PdL. Riprendo un passaggio di Zagrebelsky, proprio su questo tema, che afferma che esistono dei reati che riguardano la tutela dell'onorabilità delle istituzioni, e questa è una cosa; un'altra cosa sono gli uomini e le donne che operano nelle istituzioni, questi non sono essi stessi le istituzioni, sono normali cittadini che pro tempore, a volte, svolgono funzioni pubbliche. In passato erano previste forme di tutela speciale contro l'oltraggio a pubblico ufficiale punito in misura più severa di quanto lo fosse l'offesa arrecata al cittadino comune, ma è la Corte costituzionale che ci viene incontro: in tempi lontani ha fatto venire meno questa differenza. Il principio di uguaglianza previsto dalla nostra Costituzione deve valere per tutti coloro che occupano posti nelle istituzioni e non devono essere considerati più uguali degli altri, oppure più meritevoli degli altri. Purtroppo, a questo proposito, ci siamo abituati negli anni a cittadini al di sopra dei poteri dello Stato, ovvero della magistratura, tanto da ritenere condanne in ultima istanza un attentato alla democrazia.
  Chiedo scusa, Presidente, se ho divagato per qualche secondo, ma viene in automatico, purtroppo, fare degli esempi che riguardano l'attualità se si parla di tutela della democrazia e della libertà di stampa (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Chiarelli. Ne ha facoltà. Non è in Aula, quindi si intende che vi abbia rinunziato.
   È iscritta a parlare l'onorevole Rotta. Ne ha facoltà.

  ALESSIA ROTTA. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario, esprimo apprezzamento per la ratio del provvedimento che mira a trovare un nuovo equilibrio, come abbiamo sentito, tra la libertà di espressione, garantita costituzionalmente e non solo, e la tutela della reputazione delle persone. Un equilibrio cioè tra la garanzia della verità della notizia, la sua utilità sociale e anche l'esigenza di informare, ma nei limiti, naturalmente, dell'obiettività e della serenità. Pari apprezzamento, al pari dei colleghi, esprimo anche per l'esclusione del carcere tra le pene, come l'Europa già ci ha ammonito e ammoniva da tempo, ricordando, con la sentenza Kydonis del 2009, che le pene detentive non sono compatibili con la libertà di espressione perché il carcere ha un effetto deterrente sulla libertà dei giornalisti di informare con effetti negativi che, però, tutta la collettività, poi, paga perché, a sua volta, la collettività ha diritto a ricevere la giusta e corretta informazione.
  Tuttavia, come già ricordato in quest'Aula, questa depenalizzazione non si è tradotta in una sottovalutazione del reato nella direzione invece della tutela della persona diffamata e nel rafforzamento, in particolare, della misura della rettifica. Quello che mi preme sottolineare nel mio Pag. 23intervento è l'apprezzamento per l'estensione all’online della diffamazione a mezzo stampa e, in particolare, il riconoscimento seppure solo in parte – andrà migliorato e approfondito – della peculiarità del canale di comunicazione online che non è semplicemente una traduzione, in un altro mezzo, di quello che avviene con la stampa, come già avviene in alcune legislazioni europee e speriamo che anche quella italiana si muoverà in questa direzione. In questo caso, infatti, parliamo della diffamazione e, come ricordava in precedenza la collega Liuzzi, se le caratteristiche spaziali dell'impaginazione grafica avevano e hanno nella stampa tradizionale un significato, in particolare dell'importanza e gerarchica, ebbene il mondo online, quello digitale, sovverte totalmente questo fatto e il punto in questione, allora, è mantenere ancora una volta un equilibrio, la tutela di due diritti, cioè la tutela del diffamato, in questo caso, ma anche la tutela e il diritto alla personalizzazione dell'informazione che è un evento che avviene e, naturalmente, avviene sempre di più. Sempre più si stanno costituendo i giornali on demand, i giornali customizzati, personalizzati; è impossibile, dunque, utilizzare i criteri standard e standardizzati per parlare di rilevanza e importanza della notizia, come invece è stato fatto finora con la stampa tradizionale. Insomma, non sono solo le caratteristiche grafiche, che pure sono ancora nel testo, a dirci quanto si dà rilievo all'informazione e, in particolare, alla rettifica.
  Perché nell'universo digitale, come ricorda uno studioso della materia, Lalli Tedeschini in particolare, il digitale è il luogo dei confini incerti e della disaggregazione, della perdita dell'importanza dei contenitori; il digitale è il luogo dei contenuti liquidi, della disintermediazione e dell'ibridazione dei mezzi narrativi. Penso che la legislazione debba tenerne conto. È stata pertanto inserita nel testo della norma, con una mediazione trovata, la visibilità quale criterio poi di volta in volta da definire, da specificare. Ma è importante, perché appunto tiene conto di un nuovo mondo, non solo di un nuovo mezzo. Noi naturalmente speriamo che questo sia solo l'inizio di una riflessione, che è un urgente però, sul tema dell'editoria digitale e del giornalismo digitale. Nella nostra riflessione in quest'ambito è già emersa la riflessione sulla questione di quali potessero essere le testate considerate informative online alle quali, appunto, si dovesse applicare questa norma. Oggi avviene per quelle registrate, con il limite, però, che emerge con evidenza, della registrazione delle testate oggi obbligatorio solo per chi intenda accedere alle misure di sostegno economico. Emerge dunque la singolarità di un sistema che subordina l'obbligo di registrazione alla scelta volontaria di accedere o meno a misure di sostegno economico. Quindi è necessario, anche in futuro, ma soprattutto in breve, che di questo ci si occupi in altra sede (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Parisi. Ne ha facoltà.

  MASSIMO PARISI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la proposta di legge al nostro esame, che modifica la legge 8 febbraio 1948, n. 47, il codice penale ed il codice di procedura penale, non nasce oggi, e potremmo dire in qualche modo che viene da lontano. Viene da lontano perché una proposta analoga era stata approvata da questo ramo del Parlamento nella XIV legislatura con una larghissima maggioranza; e viene da lontano perché un intervento di questa natura era ed è fortemente richiesto dall'opinione pubblica. Tutto ciò anche perché ragioniamo di un settore, quello delle norme sulla stampa, che è ancora regolato dalla legge n. 47 del febbraio 1948, una legge scritta non dal Parlamento repubblicano, che ancora non c'era, ma addirittura dall'Assemblea costituente. E se questo sta a significare la centralità democratica dei valori tutelati da questa legge, tanto da essere stata appunto elaborata dai padri costituenti, non possiamo non osservare come queste norme necessitino obbligatoriamente di un aggiornamento, Pag. 24giacché non possono certo considerarsi sufficienti i rimaneggiamenti parziali che pure ci sono stati nel tempo, a cominciare dalla legge n. 416 del 5 agosto 1981. Non occorre, infatti, qui ricordare quali e quanti mutamenti abbia conosciuto il mondo della comunicazione dal 1948 ad oggi, e quali altri ci riserverà probabilmente per i prossimi anni. Gli interventi che andiamo a proporre, dunque, con questa proposta di legge, incidono sulla citata norma del 1948, sugli articoli del codice penale laddove si disciplinano i reati a mezzo stampa fra i delitti contro l'onore e, per esigenze di coerenza dell'impianto delle pene, anche le altre forme di diffamazione e l'ingiuria. Dicevo di un'esigenza sentita dall'opinione pubblica come dagli addetti ai lavori, perché la principale innovazione normativa riguarda l'abolizione del carcere per i giornalisti.
  Le cronache degli ultimi anni hanno portato all'attenzione, seppure con casi dal punto di vista della numerosità limitati, l'esigenza di intervenire legislativamente per cancellare dal nostro ordinamento le pene detentive, una serie di norme e sanzioni che certo rappresentavano e ancora rappresentano un'oggettiva limitazione di un valore, quello della libertà di opinione e di stampa, che certo è elemento essenziale della nostra democrazia. Ricordo alcune delle condanne a pene detentive nei confronti di giornalisti che hanno sollevato molto scalpore nel Paese: quella del 2004 nei confronti di Lino Iannuzzi, per il quale la condanna fu interrotta solo dal provvedimento di grazia firmato dall'allora Presidente Ciampi; quella dell'autunno scorso al direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, e da ultima quella, ancorché in questo caso non definitiva, inflitta al direttore di Panorama, Giorgio Mulè. Il caso ha evidentemente voluto che in questi tre episodi la parte offesa appartenesse alla stessa categoria, ma non è qui il caso di fare polemica, per non distoglierci da un obiettivo che credo consideriamo tutti unanimemente valido, quello appunto di cancellare il carcere per i giornalisti. Ce lo ha richiesto da ultimo, nel maggio scorso, anche l'OSCE.
  Nel perseguire questo obiettivo, che è stato la stella polare del lavoro della Commissione di merito, abbiamo avuto tuttavia – credo giustamente – anche un altro faro, un'altra stella polare da seguire: la difesa della dignità e dell'onore della persona umana, quando si trovi ad essere colpita e offesa attraverso la diffusione di notizie false e calunniose. Non è – e lo voglio precisare con forza – un valore di secondo livello; anche perché questo, al pari della libertà di opinione e di stampa, trova anch'esso tutela nella nostra Carta costituzionale.
  Ho ascoltato con attenzione a questo proposito le argomentazioni sostenute e nella Commissione giustizia e in Aula dai colleghi del MoVimento 5 Stelle, che di questo secondo aspetto, di questo secondo «ramo» di competenza della legge si sono un attimo dimenticati, all'insegna di una difesa ad oltranza del giornalismo di inchiesta. A parte lo «stranimento» di sentire affermazioni di questo genere da parte di un movimento il cui leader diceva, fra le altre cose: «Lo sfacelo attuale è colpa vostra: siete finiti, e i vostri giornali chiuderanno. Siete più spregevoli dei politici. Giornalisti, pentitevi ! Gossippari e pennivendoli»; a parte questo «stranimento» sulle due posizioni, occorre ribadire e comprendere che la libertà di espressione deve sempre essere bilanciata con altri diritti di pari rango, ed in particolare con i diritti della personalità. Perché esiste un diritto soggettivo perfetto alla reputazione personale, garantito dall'articolo 2 della Costituzione, che afferma la rilevanza costituzionale della persona umana in tutti i suoi aspetti ed in ogni proiezione della stessa nella società, sia come singolo che nelle formazioni sociali nelle quali si esplica la sua personalità.
  La deformazione che troppo spesso colpisce noi attori della politica, e gli attori del mondo dell'informazione, che abbiamo sentito anche in Aula, non ci doveva e non ci poteva condizionare, perché questa vicenda non può essere derubricata all'eterno scontro fra la politica e il mondo dell'informazione. Non dobbiamo e non possiamo dimenticarci che l'offeso può Pag. 25essere infatti anche un semplice cittadino, la cui vita può essere travolta da un uso errato, quando non spregiudicato, di un diritto costituzionale. O magari dal mix devastante di notizie approssimative provenienti da fonti giudiziarie, e dalla ricerca affannosa del colpevole: per poter magari sbattere il mostro, o soprattutto il presunto mostro in prima pagina, magari su un fatto di ordinaria cronaca nera.
  Abbiamo dunque svolto nella II Commissione (Giustizia) un'approfondita attività istruttoria, con una notevole serie di audizioni, ascoltando le opinioni e le proposte di tutti. Partivamo da un testo già equilibrato, il disegno di legge cosiddetto Costa: un testo che è stato reso ancora migliore, grazie alle ulteriori modificazioni del lavoro della Commissione di merito e delle altre Commissioni.
  Certo, questa norma non poteva accontentare tutti, non poteva recepire tutte le richieste, anche perché spesso in contraddizione fra loro: la giusta esigenza di cancellare il carcere per i giornalisti non poteva trasformarsi in una liberalizzazione della possibilità di diffamare, giacché il diritto di diffamare non esiste.
  La diffamazione resta dunque un reato, un delitto contro l'onore perseguito su querela di parte, cui possono far seguito o accompagnarsi le richieste di risarcimento in sede civile; ma il carcere non c’è più, ed è stato sostituito da sanzioni pecuniarie. Sono stati conseguentemente rimodellati, dal punto di vista della pena, anche gli articoli e i commi del codice penale relativi ai reati di ingiuria e alla diffamazione semplice.
  Ma il contenuto del provvedimento, il cui cuore è rappresentato da ciò che ho illustrato fino ad ora, non si limita a questo. Si è significativamente modificato l'impianto normativo dell'istituto della rettifica, al fine di riuscire a renderlo più efficace, tempestivo ed effettivo. Sappiamo però (e lo dico anche facendo riferimento ad alcune delle ipotesi alternative contenute nelle proposte di legge abbinate), per la concreta applicazione fin qui sperimentata, per la varietà e pervicacia di campagne di informazione che spesso non si limitano, e quasi mai si limitano, ad un articolo una tantum, che il potere salvifico e riparatore della rettifica rischia di essere molto limitato. Credo che per questo motivo si sia giustamente optato in Commissione per non prevedere la rettifica quale condizione di non procedibilità, bensì di non punibilità, previa valutazione comunque di un giudice terzo.
  È stata prevista inoltre l'abrogazione dell'articolo 12 della legge n. 47 del 1948, in base al quale la persona offesa può chiedere, oltre al risarcimento dei danni, una somma a titolo di riparazione; ed è stata introdotta anche la previsione di una sanzione da 1.000 a 10.000 euro in caso di querela temeraria. Un argomento che ho sentito risuonare anche in Aula: un punto sul quale però i pareri sono discordi, e personalmente lo è certamente il mio; anche perché fra le tante audizioni che abbiamo svolto in Commissione ce ne sono alcune che hanno portato anche dei dati concreti, perché esistono indagini statistiche sul fenomeno. Per esempio, l'avvocato Luca Bauccio ci ha ricordato che la maggioranza dei procedimenti per diffamazioni si concludono con condanne.
  Voglio citare anche questa ricerca che risale al biennio 2003-2004 svolta dal tribunale penale di Milano che riguarda le sentenze di primo grado per diffamazione e anche per citare un altro dato oltre a quello del 55 per cento di condanne. L'altro dato che voglio citare ai colleghi che hanno parlato prima, inquadrando questo fenomeno come ho detto nello scontro fra politica e giornalismo, fra poteri sedicenti forti e libertà di stampa, perché l'inchiesta del 2003-2004 del tribunale penale di Milano ci dice anche qual è la professione delle parti offese. Ebbene, tra le persone offese sono principalmente emerse le seguenti categorie professionali: 21 per cento privati cittadini, 18 per cento magistrati, 14 per cento amministratori di persone giuridiche e solo il 9 per cento politici.
  Mi preme infine segnalare anche come elemento credo positivo l'estensione della disciplina del segreto professionale anche ai giornalisti pubblicisti e l'eliminazione di Pag. 26quanto previsto dal comma 4 del vigente articolo 595, cioè l'aggravante che è stata citata qui stamattina anche negli altri interventi, se l'offesa è recata ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, provvedimento questo proposto attraverso l'emendamento D'Alessandro, ma lo cito per ultimo non perché meno significativo ma perché probabilmente è ancora elemento problematico, almeno dal mio punto di vista certamente lo è, questa proposta di legge va a normare anche l'informazione giornalistica online nella formulazione che ha trovato d'accordo la Commissione, cioè estendendo la portata della norma alle testate giornalistiche online registrate presso le cancellerie dei tribunali. Si tratta della mia personale opinione e di un primo passo forse ancora non sufficiente per calmierare l'enorme potenzialità offensiva del web, occorre credo una più completa revisione della materia tenendo presente tuttavia che non bastano le leggi quale elemento di deterrenza in un settore della vita pubblica così delicato e in una temperie politica così agitata. Credo che, giusto per fare un esempio, mai come da quando esiste una legislazione organica...

  PRESIDENTE. Onorevole Parisi, la invito a concludere.

  MASSIMO PARISI. ... ho terminato..., a tutela della privacy, la privacy delle persone sia stata sottoposta a così pervicace e sistematica violazione. Speriamo che ciò non accada anche per questa legge, speriamo che gli attori del mondo dei media interpretino questo passo in avanti nei diritti delle libertà non come una licenza ma come un invito alla responsabilità e alla misura (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zampa. Ne ha facoltà.

  SANDRA ZAMPA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, ci troviamo una volta tanto a discutere delle modifiche e della riforma dell'articolo 595 del codice penale, ma soprattutto della legge n. 47 del 1948 che disciplina la materia della diffamazione a mezzo stampa. Ci troviamo dicevo finalmente a discutere non perché siamo incalzati dall'ennesimo casus belli in questa materia, è vero che casus belli alle nostre spalle, anche molto recenti, ne abbiamo molti, casi spesso addirittura che stanno l'uno all'opposto dell'altro, speculari ma l'uno il contrario dell'altro, per tipologia di reato, cioè giornalisti condannati per diffamazione, magari con pena carceraria come appunto i casi che sono stati evocati in quest'Aula, ma anche giornalisti minacciati di querela o raggiunti dalle cosiddette querele temerarie, utili a intimidire, a spaventare, insomma a convincerli che certe inchieste, certe indagini sulla verità dei fatti è meglio lasciarle perdere. Dicevo, siamo però finalmente qui a discutere con una certa libertà dall'incalzare dell'attualità su un tema importantissimo che attiene a due grandi valori: da una parte c’è la dignità e il diritto al proprio onore, alla propria immagine, al rispetto di sé, un diritto fondamentale; dall'altro c’è però il diritto che è da un lato quello di chi produce informazione a produrre liberamente e in autonomia l'informazione, è un modo per concorrere al buon funzionamento della democrazia, ma a ben vedere è sempre un diritto fondamentale dei cittadini e cioè il diritto ad essere davvero informati per conoscere e per poter giudicare e comprendere ciò che accade intorno a noi.
  Quindi, stiamo – diciamo – lavorando con due valori ispiratori delle democrazie moderne, due valori fondanti delle democrazie moderne e trovare un equilibrio per fare in modo che entrambi non vengano in alcun modo lesionati è il nostro compito e credo che sia un'ambizione molto grande, alla quale dovremmo aspirare di potere dare soddisfazione. Essere qui a svolgere il nostro lavoro di parlamentari e chiamati a mettere mano a una cosa così importante, credo che dovrebbe farci sentire l'ambizione e l'orgoglio di potere fare una cosa importante per il nostro Paese.Pag. 27
  Era tempo, infatti, che si mettesse mano a una legge che dire datata è poco – basta semplicemente ricordare che parliamo del 1948 – per assicurare – come dicevo – sia il diritto dei cittadini a non essere diffamati ed a mantenere e conservare limpido il proprio onore, sia il diritto dei giornalisti e dei cittadini, appunto, ad avere un'informazione libera, autonoma dai poteri, da ogni condizionamento, corretta e approfondita, a lavorare e a produrre, dunque, senza condizionamenti e senza ricatti. La riforma della legge e l'abolizione delle pene detentive per il reato di diffamazione, che purtroppo ancora noi contempliamo, è stata sollecitata – come ha ricordato una collega del MoVimento 5 Stelle poc'anzi – dalla rappresentante per la libertà dei media dell'OSCE, Dunja Mijatovic, con una lettera al Ministro degli affari esteri italiano, dopo la condanna al carcere in primo grado, di tre giornalisti. Era tempo dunque che il nostro diritto all'informazione si adeguasse ai canoni delle democrazie avanzate e alla Convenzione dei diritti dell'uomo.
  La rappresentante dell'organismo internazionale per la libertà dei media ha, di fatto, bocciato il nostro ordinamento su un tema, che è davvero – come ho detto – rilevante per la qualità della democrazia. La Corte dei diritti dell'uomo, d'altra parte, ci ha ricordato, a sua volta, che la reclusione per il reato di diffamazione è sproporzionata e dannosa per una società democratica, tale comunque da risultare raggelante, fino a minare l'efficacia dei mezzi di comunicazione.
  Siamo qui, dunque, per una battaglia che riguarda proprio tutti, tutti noi e possiamo dire già ora che siamo lontani dal rischio che invece si è corso nella passata legislatura, quando, nel tentativo di riformare la legge n. 47, si arrivò a proporre in Parlamento un aumento delle sanzioni e persino del carcere per i giornalisti, invece che la sua abolizione.
  Si era insomma giunti al punto abbastanza ridicolo di chiedere che tutto restasse com'era prima perché era meglio non proseguire.
  Oggi, ci troviamo di fronte a una proposta di legge, e quindi abbiamo davanti a noi una strada già disegnata, che ha eliminato – diciamo – i grandi problemi: l'abolizione del carcere scompare – e questo è certamente il primo dei punti positivi – sono stati esclusi i blog – e credo che questo vada, a sua volta, considerato un grande successo – è prevista la prescrizione dell'azione civile dopo due anni, è prevista l'abolizione della riparazione pecuniaria in aggiunta al risarcimento dei danni e idem la trasmissione degli atti all'ordine professionale, ed è prevista anche la tutela del segreto professionale anche per i pubblicisti. Credo che siano tutti punti che noi dobbiamo già annoverare tra punti assolutamente positivi del testo con il quale ci troviamo a fare i conti.
  Restano, però, dei punti da migliorare e credo che su questi occorrerà che ci impegniamo in sede emendativa. C’è, poi, la norma sulle querele temerarie. Voglio ricordare, però, che va considerato un grande successo che sia stato introdotto questo concetto e questa idea e, cioè, che la professione del giornalista va tutelata da una patologia che sembra sempre più ricorrente e che è quella, appunto, di cercare di intimidire la libera informazione facendo ricorso a intimidazioni da parte di gruppi di potenti (potenti e criminali, naturalmente). Per esempio, ovviamente mi vengono in mente indagini importanti, spesso anche svolte da piccole testate non ricche e, come dire, non accompagnate e circondate da un sistema di strumenti per proteggersi. Dunque, ci si trova a fare i conti con i gruppi mafiosi che controllano i territori e che, quindi, ovviamente vedono molto di cattivo occhio il fatto che si indaghi ma anche con aziende di grande valore e di grande peso, che minacciano la querela per farti rinunciare a lavorare. Su questo punto, dicevo, occorrerà che ci impegniamo perché si migliori e, quindi, quando dico questo intendo soprattutto riferirmi all'importo: 10 mila euro, come oggi prevediamo, non Pag. 28possiamo considerarli un deterrente per un gruppo mafioso o per una grande società, magari quotata in Borsa.
  Tra i punti negativi, sui quali poi tutti spero ci impegneremo insieme perché si possa migliorare, c’è certamente la rettifica senza commento.

  PRESIDENTE. La prego di concludere.

  SANDRA ZAMPA. Ho finito, signor Presidente. E così l'abolizione del tetto massimo di 30 mila euro del danno patrimoniale. Occorre prevedere, infatti, sanzioni che abbiano un senso e non riducano un giornalista allo stremo. E qui concludo semplicemente dicendo quest'ultima cosa. Io credo che dobbiamo considerare l'informazione e i professionisti che lavorano nell'informazione come i primi interessati a far sì che funzioni bene. Non esistono...

  PRESIDENTE. Onorevole Zampa, deve concludere, gentilmente.

  SANDRA ZAMPA. Sì, ho concluso. E quindi dobbiamo affrontare con spirito positivo il pezzo di lavoro che ancora ci resta da fare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Chiarelli. Eccezionalmente gli concediamo la parola. Ne ha facoltà.

  GIANFRANCO GIOVANNI CHIARELLI. Signor Presidente, mi scuso per l'inconveniente. Oggi trattiamo questo argomento, inerente alla materia della diffamazione, che credo sia un argomento di un'importanza rilevante. Vanno fatte alcune considerazioni in ordine a quello che è stato il lavoro fatto sia in Commissione, con la presenza costante anche del sottosegretario, che qui ancora è presente e che saluto, e insieme a tutti i colleghi di tutte le parti politiche.
  Ebbene, proverò, facendo ricorso al senso di responsabilità e all'etica istituzionale che ci contraddistingue come gruppo, a mantenermi nel tracciato di quello che è il reato di cui stiamo parlando, il reato di diffamazione. Non posso, però, esimermi dal sottolineare che un tema di grande rilevanza sociale come questo molte volte viene tradotto da parti politiche con una ormai stucchevole e sterile polemica.
  È evidente che non possiamo considerare che tutti possiamo pensarla nella stessa maniera e penso che tutti coloro che siedono in questo Parlamento abbiano il sacrosanto diritto di esprimere la loro opinione, di dare il loro contributo, affinché si possa fare una legge migliore.
  Riguardo all'intervento che mi ha preceduto, l'unica cosa che mi sento di poter condividere è il riferimento agli emendamenti che si esamineranno nel momento in cui si discuterà per migliorare questo provvedimento. Infatti, questa proposta di legge ha delle lacune che il Parlamento in ogni caso deve colmare, e tutti coloro che siedono in questo Parlamento devono avere cognizione del fatto che, quando si forma una legge, la stessa deve essere garantista nei confronti di tutti e deve avere equità. Altrimenti, è chiaro che, se facciamo fazioni politiche o partitiche, non approveremo mai una buona legge.
  Si è parlato in alcuni momenti di censura, di dittatura, di volontà di affossare i blog o di altre simili amenità. Si è fatto riferimento al diritto di opinione, assolutamente fuori discussione, mentre in realtà il provvedimento riguarda specifici reati di natura penale, reati che – si badi bene – sono oggetto di una norma del 1948, norma che dunque nasce in un clima che sicuramente nulla aveva a che vedere con il momento storico in cui ci troviamo oggi.
  Mettere mano ad una norma ormai datata in considerazione dei profondi cambiamenti della nostra società, alla luce di tanti episodi che hanno caratterizzato in particolare gli ultimi tempi e, soprattutto, delle esponenziali evoluzioni della tecnologia è una necessità inderogabile a cui tutti dobbiamo dare una risposta.
  Gli interventi proposti che oggi discutiamo in quest'Aula – come è giusto che sia – puntano essenzialmente a due obiettivi fondamentali. Il primo è garantire l'equità: quindi equità, quell'uguaglianza Pag. 29davanti alla legge che tante volte ci viene ricordata. Ha un valore relativo e non assoluto: siamo tutti uguali, tranne poi distinguere il trattamento in base all'appartenenza politica. Bisogna prenderne atto, e mi piace semplificare parlando di quanto oggi è accaduto su alcune testate in merito ad un'evasione fiscale compiuta da un gruppo notoriamente vicino al centrosinistra. Trattamento diverso, trattamento certamente meno pubblicizzato.
  Poi abbiamo il rispetto del principio di responsabilità. È davvero difficile comprendere perché alcune categorie devono essere esentate dal principio di responsabilità. Indipendenza non vuol dire immunità, non vuol dire libertà di distruggere la vita altrui senza mai doverne rispondere. Tutte le attività umane, Presidente, cari colleghi, sono soggette alla legge. Tutte le attività sono gestite da soggetti dotati di pensiero, non certo da automi. Gli uomini possono sbagliare e, di fatto, sbagliamo; a volte sbagliano anche in modo doloso.
  Perché – mi chiedo e chiedo a quest'Aula – un medico, quando sbaglia o commette un errore è chiamato a rispondere con la responsabilità penale, con l'arresto, con l'interdizione, con la sospensione dall'attività o con il risarcimento del danno e non dovrebbe accadere lo stesso per un giornalista o un blogger ? Qualcuno ci deve spiegare perché esiste questa differenziazione, questa disparità di trattamento fra un'attività professionale e quella dei giornalisti.
  Tralascio poi di parlare di un altro settore, il settore della giustizia. Mi auguro che, al più presto, noi, caro presidente della mia Commissione, iniziamo a mettere in cantiere una riforma. Perché noi tutti dobbiamo anche sapere che, se ci devono essere – come vogliamo – un'equità e un'uguaglianza da parte di tutti, dobbiamo vivere nella convinzione che tutti siamo uguali di fronte alla legge e abbiamo tutti le stesse responsabilità. Infatti, non si può consentire ad un professionista di rispondere in proprio economicamente e penalmente, mentre con riferimento ad alcune categorie, come quella di giornalisti, si chiede di eliminare non solo il carcere, ma anche interdizioni, che io ritengo doverose.
  In quest'Aula saranno riproposte, Presidente e cari colleghi. Il problema non è volere a tutti costi reintrodurre il carcere per qualcosa. Mi rendo conto che il carcere non è il deterrente, però è necessario in ogni caso che ci sia quanto meno una parità di trattamento con le altre categorie. Avevamo proposto degli emendamenti che ritengo saranno riproposti e l'Aula mi auguro che li accolga. Sbagliare è umano e l'abbiamo detto prima, bisogna porre rimedio al perseverare in malafede, perché in questa norma, al di là di un'ammenda che – ridico – per i grossi gruppi imprenditoriali è un'amenità, perché si tratta di un importo irrisorio, non vedo nessun deterrente per chi è recidivo, per chi continua, per chi reitera volutamente nel commettere il reato. Questi sono i quesiti che noi ci dobbiamo porre.
  Il reato di diffamazione consiste in una manifestazione del pensiero che rileva ai fini della consumazione del reato nella misura in cui l'espressione offensiva venga a conoscenza di un'altra persona o comunque sia da altri percepita. Nulla ha a che vedere con il sacrosanto diritto ad esprimere un'opinione. Non è certo a noi che si può addebitare la volontà di limitare la libertà di espressione.
  La diffamazione con qualunque mezzo è uno dei reati più spregevoli e va adeguatamente sanzionato. La sanzione deve essere necessariamente rapportata all'intensità dell'offesa e del danno arrecato. Qualcuno simpaticamente – guarda caso sul web – mi suggeriva di rileggere Cesare Beccaria per ragionare sulla proporzione tra delitto e pena. Da uomo di legge ho ben chiaro questo principio, chiedo però: chi stabilisce la giusta proporzione tra delitto e pena ? Ma soprattutto: per quale motivo uno strumento di comunicazione dovrebbe essere esentato rispetto ad altri ? Perché diffamare anche su un blog non dovrebbe essere oggetto di sanzione, mentre un direttore di un giornale deve essere sempre incarcerato per responsabilità oggettiva o semplice culpa in vigilando ? Pag. 30Anche in questo vi deve essere un riequilibrio fra le due cose. Parliamo di diffamazione e non di opinione. È come dire che se uccido qualcuno utilizzando la pistola sono punibile, ma se lo faccio con il cianuro no. Ciò che conta è il reato e non lo strumento con cui si consuma. Quindi io ritengo che sia necessario e indispensabile che quest'Aula faccia quadrato su questa norma, che è una norma datata, una norma del 1948. E se mi viene subito in mente la questione delle intercettazioni telefoniche e la loro diffusione per chi le subisce e per chi è vittima, io ritengo che noi tutti abbiamo il sacrosanto diritto di fare una legge che sia equa, giusta ed uguale per tutti (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 925-A)

  PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori rinunciano alla replica.
  Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, volevo intervenire poiché nella discussione si è fatto riferimento al parere contrario che il Governo ha espresso sulla soppressione dell'aggravante di cui al comma 4, che è quella che prevede che, se l'offesa è recata ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate. Così recita l'articolo 595, comma 4.
  Parere contrario perché – lo volevo motivare anche in quest'Aula – proprio seguendo la volontà del legislatore, che poco tempo fa ha reintrodotto il reato di oltraggio a pubblico ufficiale – infatti, all'articolo 341-bis è stato reintrodotto questo reato con la legge n. 94 del 2009 – ritenevamo che, coerentemente, oggi non fosse opportuno eliminare questa aggravante, che, comunque, tutela un'offesa rivolta non tanto ai singoli, perché qui non si parla di singoli, ma si parla di istituzioni.
  Quindi, in un momento particolare come questo, in linea con quello che è stato fatto dal legislatore nel 2009, si ritiene opportuno che le istituzioni in quanto corpo politico, e quindi anche la sede amministrativo-giudiziaria, o tutte le loro rappresentanze debbano essere tutelate.
  Così come – ho seguito con interesse tutto il dibattito – occorre poi verificare bene il punto che ha chiarito già l'onorevole Gitti. Infatti, una delle novità importanti è certamente la delega di funzioni: è stato recepito un emendamento molto puntuale del presidente Ferranti su questo tema, sul quale la giurisprudenza tanto si interrogava.
  Infatti, la delega di funzioni non era prevista ed era importante in questo momento, dove l'oggetto della riforma è anche la posizione del direttore, e quindi la culpa in vigilando che veniva attribuita al direttore, anche per come sono organizzate le testate giornalistiche e tutto quello che è legato, per esempio, alle cronache locali, che, molte volte, sono il cuore, per alcuni quotidiani, dello stesso giornale, perché hanno una tiratura molto alta anche a livello locale e provinciale.
  Quindi, era importante soffermarsi su questo tema. Certamente, l'onorevole Gitti prima ha distinto la posizione come responsabilità penale, e quindi sottolineo l'importanza dal punto di vista penale e davvero con convinzione il Governo ha dato parere favorevole a questo emendamento del presidente Ferranti, che è una vera novità giuridica, che va sottolineata, perché ha dei riflessi importanti, in quanto consente al direttore di organizzarsi e di responsabilizzare chi ha un controllo più diretto, e quindi più immediato, su chi poi scrive l'articolo, per esempio anche nelle articolazioni periferiche e provinciali.Pag. 31
  Detto questo, è chiaro che, dal punto vista civilistico della responsabilità civile, occorre distinguere e sono note le distinzioni. Altro punto su cui, però, occorre riflettere, per quanto riguarda anche la quantificazione – su quello è aperto il dibattito e anche il Governo si riserverà, in caso di emendamenti, di formulare i propri pareri – riguarda quello delle liti temerarie, su cui ancora occorre chiarire quale possa essere il punto di equilibrio.
  L'altro punto che sta a cuore – l'ho detto all'inizio – è quello con riferimento al quale presentiamo questo emendamento di cui avevamo già parlato in Commissione sulla competenza territoriale, che è solo tecnico, perché molte volte si faceva confusione su quale fosse l'autorità giudiziaria competente.
  Inoltre, un altro punto su cui occorre riflettere, per quanto riguarda il risarcimento del danno, è importante che non vi siano dei limiti, perché l'autorità giudiziaria deve poi decidere a seconda di criteri ben definiti, tra cui rientra anche quello che riguarda il risarcimento del danno, e quindi l'istituto generale che tutti noi conosciamo quando si parla di quantificazione del danno. Prevedere dei limiti, in questo senso, può contrastare e può creare anche dei problemi dal punto di vista giuridico.
  Questi sono i temi su cui occorre, secondo noi, ancora lavorare anche in sede di presentazione degli emendamenti. Certo è che, siccome le novità – l'ho detto prima – sono tante, sono importanti e ci trovano quasi tutti d'accordo, è importante che si arrivi anche in tempi veloci ad un'approvazione di questa proposta di legge, perché davvero – lo abbiamo detto tutti – fa certamente avanzare il nostro Paese e lo rende ancora più civile.
  Oggi, infatti – e le ultime condanne lo dimostrano –, il fatto che si ricorra alla pena detentiva e alla reclusione in carcere per questi reati ci fa davvero essere non all'altezza delle nostre regole e del nostro Stato di diritto.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Sospendo la seduta per cinque minuti. La seduta riprenderà alle 11,35.

  La seduta, sospesa alle 11,30, è ripresa alle 11,35.

Discussione del disegno di legge: S. 890 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti (Approvato dal Senato) (A.C. 1458) (ore 11,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1458, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti.
  Ricordo che nella seduta del 5 agosto 2013 è stata respinta la questione pregiudiziale Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1458)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Lega Nord e Autonomie e Sinistra Ecologia Libertà ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che le Commissioni VI (Finanze) e XI (Lavoro) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la VI Commissione, onorevole Causi.

Pag. 32

  MARCO CAUSI, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, i relatori del decreto oggi in discussione hanno ricevuto dalle Commissioni di merito il mandato di proporre all'Aula di approvare il testo così come pervenuto dal Senato. Le Commissioni referenti non hanno approvato nessuna delle, pur numerose e in molti casi interessanti, proposte di modifica avanzate dalle forze politiche di opposizione. La maggioranza si è invece astenuta dal proporre emendamenti.
  Per capire la motivazione politica di questa condotta, a cui in quanto relatori siamo naturalmente vincolati, basta soltanto ricordare che il cuore di questo provvedimento, accanto ad una importante messa in campo di prime azioni di contrasto alla disoccupazione, in particolare giovanile, è il blocco dell'aumento dell'aliquota ordinaria dell'IVA dal 21 al 22 per cento. Aumento previsto dalla legislazione previgente a partire dal 1o luglio 2013. Aumento fermato dal presente decreto, con un costo di poco più di un miliardo di euro, anche se solo per tre mesi.
  Nelle Commissioni di merito, signor Presidente, la maggioranza ha ritenuto prioritario non mettere a rischio questo risultato dell'azione di governo, chiesto con molta forza dall'intero sistema imprenditoriale e commerciale, oltre che dai consumatori, e comunque parte importante degli impegni assunti poche settimane fa dal «Governo di servizio» presieduto da Enrico Letta. Non metterlo a rischio, ci tengo a precisare, non tanto dalla pausa estiva, ma dall'imperfezione sempre più evidente del nostro bicameralismo teoricamente perfetto.
  Le forze di maggioranza hanno fin dall'inizio, con onestà, chiarezza e trasparenza, detto che, pur ritenendo possibile e auspicabile intervenire su molti punti del decreto, su molte sue pieghe, e ritenendo perciò legittima l'iniziativa emendativa avanzata in tal senso dalle opposizioni, e riservandosi esse stesse interventi di modifica, aggiustamento e ampliamento in successivi cicli dell'iniziativa legislativa, al tempo stesso però non si può correre il rischio di vanificare oggi il blocco dell'aumento dell'IVA sull'altare di un continuo rimpallo dei provvedimenti fra Camera e Senato. Un blocco quello dell'IVA che, voglio ricordare, se non confermato dal Parlamento metterebbe in gravissima difficoltà l'intero apparato economico del Paese, poiché le nuove aliquote dovrebbero applicarsi, retroattivamente, a partire dal 1o luglio, e cioè da 35 giorni fa.
Un'esperienza, questa, su cui chiedo una riflessione altrettanto onesta alle forze politiche dell'opposizione e in particolare a quelle che si contrappongono a qualsiasi modifica dell'assetto delle nostre istituzioni. Perché di modifiche, e anche profonde, le nostre istituzioni hanno invece davvero bisogno, a partire dalla questione del bicameralismo perfetto, per sfuggire all'accusa di essere impotenti, inefficaci, se non addirittura dannose, nell'avviare a soluzione i tanti e drammatici problemi concreti del Paese.
  Il fatto che il testo del decreto non sia stato modificato in Commissione mi permette di rimandare, per una esaustiva descrizione anche tecnica delle misure in esso contenute per le materie di competenza della VI Commissione Finanze, alla relazione da me depositata agli atti delle Commissioni referenti nella data di giovedì 1o agosto.
  Mi limiterò oggi alla sola questione principale e cioè, appunto, a quella dell'aumento dell'aliquota ordinaria dell'IVA.
  È una questione che ha una sua storia. Una storia che ci permette di ricordare e ricostruire alcuni dei passaggi più drammatici della vita politica ed economica italiana negli ultimi due anni. E di apprezzare, quindi, il punto in cui siamo oggi, molto migliore di quello di due anni fa, grazie ai tanti interventi messi in campo, prima, dal Governo Monti e, poi, con il decreto-legge in esame, dal Governo Letta.
  La storia ha inizio nel luglio del 2011, con il decreto-legge n. 98, il primo tentativo del Governo di allora di porre un argine alla crisi finanziaria che aggrediva l'Italia mettendola a rischio di insostenibilità per effetto del suo ingente debito pubblico. Si stabilì – voglio ricordarlo, Pag. 33allora con il voto contrario del mio partito – di prevedere un taglio per 4 miliardi nel 2013 e per 20 miliardi nel 2014 a carico della spesa sociale e dei regimi di esenzione e agevolazione fiscale sovrapposti alle prestazioni assistenziali.
  Un mese dopo, nell'agosto 2011, con un successivo decreto emergenziale, il decreto-legge n. 138, nel disperato tentativo di recuperare credibilità, si anticipò di un anno, dal 2014 al 2013, l'obiettivo del pareggio di bilancio in termini strutturali, e si stabilì che i tagli alla spesa sociale e assistenziale, diretta o indiretta, dovessero essere di 4 miliardi non più nel 2013 ma nel 2012 e di 16 miliardi non più nel 2014 ma nel 2013. Come clausola di salvaguardia, si introdusse in alternativa e in assenza di questi risparmi l'aumento delle aliquote IVA. Voglio ricordare che il mio partito allora si opponeva a quelle misure, proponendo invece un aumento delle imposte patrimoniali sugli immobili e sulle ricchezze finanziarie. Il mio partito, invece, aderì dall'opposizione, con responsabilità, all'altra richiesta del Governo di allora e cioè di mettere in atto una riforma, anche costituzionale, relativa ai principi di equilibrio del bilancio, su cui il Governo italiano si era impegnato nelle sedi europee e internazionali, forse sperando che l'adesione a una più forte disciplina a lungo termine potesse sostituire le difficoltà di azione nell'immediato per mettere in atto le manovre di aggiustamento. Quella riforma oggi è attuata, con il nuovo articolo 81 della Costituzione e la nuova legge rafforzata di bilancio.
  Dopo tre mesi, un nuovo Governo, presieduto da Mario Monti, nel decreto cosiddetto «salva Italia» nel novembre 2011, salvò dai tagli indiscriminati le spese sociali e assistenziali, varando una riforma dell'ISEE che, proprio oggi, in Commissione finanze e affari sociali vedrà il parere sul decreto di attuazione. Il «salva Italia» introdusse invece un aumento rilevante dell'imposizione patrimoniale su immobili e ricchezze finanziarie (depositi e titoli) e, per chiudere i conti di quella drammatica manovra, fissò l'incremento delle aliquote IVA del 10 e del 21 per cento, che sarebbero dovute passare al 12 e al 23 per cento a partire dal 1o ottobre 2012 e al 12,5 e al 23,5 per cento dal 1o gennaio 2014.
  La storia dei successivi diciotto mesi, gli ultimi, dal dicembre del 2011 a oggi, racconta l'impegno a trovare coperture alternative a questi aumenti dell'IVA. Nel decreto n. 95 del 2012 l'incremento del 2 per cento viene posticipato al luglio del 2013 e ridotto l'aumento a partire dal 1o gennaio 2014. Alla fine, la legge di stabilità 2013, nel dicembre dello scorso anno, è riuscita, grazie agli interventi messi in atto durante tutto il 2012 sia sulle spese (pensioni, spending review) sia sulle entrate, a limitare l'aumento dell'aliquota ordinaria – previsto per il 1o luglio 2013 – dal 23 al 22 per cento e a cancellare del tutto gli aumenti programmati sull'aliquota ridotta al 10 per cento.
  Insomma: da aumenti dell'IVA previsti dal 10 al 12,5 per cento per l'aliquota agevolata e dal 21 al 23,5 per cento per quella ordinaria, dobbiamo oggi confrontarci soltanto con l'aumento dal 21 al 22 per cento dell'aliquota ordinaria. Si potrebbe dire che siamo quasi all'ultimo miglio, ma al tempo stesso è importante non dimenticare quanta strada abbiamo percorso, anche per non dissiparne i risultati.
  Mi sono permesso di ricostruire la storia degli aumenti programmati delle aliquota IVA, dall'estate del 2011 ad oggi, perché è forte l'impressione che nella nostra discussione pubblica tanti elementi di storia, anche recente, vengano troppo facilmente dimenticati e spiazzati da altre questioni, che hanno carattere di fibrillazione quotidiana o di contesa puramente ideologica, ovvero ancora di posizioni tattiche e difensive a fronte dell'incalzare degli eventi. Evitare l'aumento dell'aliquota ordinaria dell'IVA al 22 per cento è stata fin dall'inizio una delle priorità del «Governo di servizio» presieduto da Enrico Letta.
  Nel decreto-legge al nostro esame si propone una soluzione provvisoria, con coperture anch'esse temporanee e valide solo per un trimestre. Così come l'aumento Pag. 34è solo rimandato, le entrate di copertura sono ricavate da semplici anticipi di cassa di altri proventi tributari. Alcuni hanno criticato queste coperture, ma a ben vedere esse colpiscono, in termini di anticipazioni di cassa e non di competenza, per quasi il 50 per cento, attraverso IRES e IRAP, lo stesso settore produttivo che chiede di evitare l'aumento dell'imposta sui consumi, per il 20 per cento colpiscono i redditi da attività finanziarie e soltanto per il 18 per cento la generalità dei contribuenti IRPEF, restando il resto delle coperture, poco più del 10 per cento, a carico del nuovo settore delle sigarette elettroniche.
  Si può affermare – e io mi sento di farlo in questa sede – che nell'insieme della manovra si può dare un giudizio positivo, in una logica provvisoria e di breve termine. Certo, a regime e, cioè, fra poche settimane, se ricordiamo la questione incrociata dell'IMU e dell'IVA, sarà necessario pensare operazioni più ambiziose. Da un lato, capaci di incidere anche sulla dinamica della spesa pubblica. Dall'altro lato, capaci di esercitare un'indispensabile selettività, sia sull'IMU che sull'IVA.
  Per ciò che riguarda l'IVA in particolare, azioni in grado di aggredire in modo selettivo gli esistenti regimi di agevolazione e, quindi, l'erosione delle basi imponibili, e di introdurre strutture normative e di controllo in grado di ridurre la forte evasione dell'imposta, grazie al contrasto delle frodi e a nuovi strumenti, come la fatturazione elettronica, introdotta nel decreto «del fare», e una diffusione più accentuata dei sistemi di tracciabilità e di uso della moneta elettronica, come prevede la legge delega di riforma fiscale che la Commissione finanze sta elaborando.
  Insomma, a regime il mancato aumento dell'IVA ordinaria non può essere coperto da aumenti nelle imposte sul lavoro e sulle imprese. Ci muoveremmo così in modo esattamente contrario a quanto tutte le valutazioni razionali e indipendenti, nazionali e internazionali, consigliano all'Italia e, cioè, a parità di prelievo, meno imposte su lavoro e impresa da compensare con consumi e patrimoni, ma meglio ancora meno prelievo da compensare con meno spesa e con meno evasione.
  Concludo citando soltanto per titoli le altre norme finanziarie previste dal decreto-legge, accanto a quella centrale di sterilizzazione temporanea dell'aumento dell'aliquota ordinaria dell'IVA. C’è nel decreto-legge una risistemazione della disciplina delle Srl semplificate; una revisione dei requisiti per la qualificazione di un'impresa come start-up innovativa; norme relative al riversamento al Tesoro degli utili sui titoli di Stato greci ottenuti dalla Banca d'Italia; norme relative alla ricostruzione in Emilia, Romagna; norme per garantire la restituzione delle anticipazioni dello Stato alle regioni a statuto speciale, a fronte della liquidità erogata per far fronte ai pagamenti dei debiti commerciali ai sensi del decreto sullo sblocco dei pagamenti pubblici; sempre in materia di decreto-legge n. 35 del 2013, cioè sblocco dei pagamenti pubblici, norme per l'apposizione della garanzia dello Stato sui debiti di parte corrente delle pubbliche amministrazioni, con l'obiettivo di accelerare il flusso dei pagamenti al di là dei 20 miliardi di euro programmati nel 2013; e, infine, un miglioramento dei limiti di indebitamento degli enti locali e dei vincoli sui loro fondi di svalutazione crediti introdotti appunto dal decreto-legge n. 35 del 2013.
  E concludo ricordando ancora l'assoluta necessità di non mettere a rischio lo slittamento dell'aumento dell'IVA, già entrato in vigore da più di un mese, oltre alle altre importanti norme contenute nel decreto-legge in materia di sostegno all'occupazione, soprattutto giovanile su cui cedo la parola al relatore Pizzolante (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Causi. Lei sa la Presidenza apprezza i suoi interventi, in particolare quando hanno il dono della sintesi come in questa occasione.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per l'XI Commissione, onorevole Pizzolante.

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  SERGIO PIZZOLANTE, Relatore per la XI Commissione. Signor Presidente, colleghi, è un provvedimento di grande importanza, anche se parziale sulla questione dell'occupazione giovanile. È importante perché mette la questione della disoccupazione e dei giovani in cima alle attività di Governo. È un intervento concreto, perché crea norme pro crescita e mette risorse. Ma ha anche un valore morale, perché dice ai nostri ragazzi «sappiamo che questa è una priorità, ce ne stiamo occupando». È parziale, nel senso che va considerato come il capitolo primo, la prima tappa di un percorso che sarà lungo e complicato. Si può ritrovare fiducia anche senza allontanarsi da un principio di realtà.
  Non è questo un intervento che affronta il tema della disoccupazione delle risorse sociali in generale: non possiamo avere la pretesa che tutte le questioni sul tappeto possano essere affrontate all'interno di un provvedimento o di questo provvedimento. Esso affronta alcune emergenze e le affronta prima di altre, senza nulla togliere, in termini di gravità, ad altri problemi che dovranno essere affrontati nei prossimi mesi, nelle prossime settimane.
  Con le risorse attualmente disponibili sono state fatte delle scelte. Gli incentivi sono per le assunzioni di giovani, per i ragazzi del Sud e del Nord – e voglio sottolineare, per i ragazzi del Sud e del Nord – disoccupati da almeno sei mesi e senza titolo di studio o percorsi formativi articolati e forti, perché se la disoccupazione è sempre un fatto grave, dobbiamo avere la consapevolezza che ci sono situazioni ancora più gravi e spesso disperate. Ciò non significa che in un prossimo provvedimento, con nuove risorse, non si debba ampliare questa opportunità a tutti i giovani, ad iniziare da quelli più meritevoli tra i nostri ragazzi.
  Così è anche per il finanziamento della social card: da alcune città del Sud la si estende a tutto il Sud. Ma noi sappiamo che la crisi ha creato vaste aree di disagio in tutto il Paese, anzi, essendo io un meridionale che vive al Nord, penso di potermi permettere di dire che la crisi ha scavato aree di disagio fortissime anche in molte aree del Nord; in molte aree del Nord si vive e si percepisce la crisi in maniera anche più pesante di tante realtà del Sud. Sarà necessario occuparsene, ce ne occuperemo.
  Il provvedimento in esame incentiva economicamente le imprese ad assumere giovani, lavoratori avviati verso la disoccupazione, sostiene tirocini, l'autoimpiego e l'autoimprenditorialità, ma interviene anche per correggere norme che hanno frenato dinamiche di mercato virtuose. Si interviene per semplificare l'apprendistato e la flessibilità in entrata sul posto di lavoro, perché se è vero che l'occupazione non si crea per decreto, è anche vero che ci sono decreti e leggi capaci di distruggere disoccupazione, come abbiamo visto nell'ultimo anno, nell'ultimo anno e mezzo. Ciò succede quando culture conservatrici e preconcetti ideologici inceppano dinamiche di mercato pro crescita.
  Passando alla rapida descrizione del provvedimento (io mi occupo della questione che riguarda il lavoro), l'articolo 1 introduce in via sperimentale un incentivo a favore delle imprese per le assunzioni a tempo indeterminato e per la trasformazione dei rapporti di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato e per questo provvedimento si mettono a disposizione circa 800 milioni di euro, 500 per il Sud e quasi 300 per le altre regioni.
  Con l'articolo 2 si introducono diverse disposizioni in materia di apprendistato professionalizzante e di tirocini formativi e di orientamento. Per l'apprendistato professionalizzante si prevede l'adozione di linee guida, mentre per i tirocini formativi e di orientamento si dispone l'erogazione, in via sperimentale, per il triennio 2013-2015, di una indennità di partecipazione. Si introducono misure per il sostegno dei tirocini curriculari, svolti da studenti iscritti ai corsi di laurea di università statali nell'anno accademico 2013 e 2014, al fine di promuovere l'alternanza tra studio e lavoro. Si dispone in materia di tirocini formativi da destinare agli studenti delle quarti classe delle scuole secondarie Pag. 36di secondo grado, con priorità per quelli degli istituti tecnici e degli istituti professionali, da realizzarsi presso imprese, altre strutture produttive di beni e servizi o enti pubblici. Si afferma, quindi, finalmente, un'idea, un principio secondo il quale il luogo della formazione, il miglior luogo della formazione deve tornare ad essere l'impresa, la bottega, ogni luogo di lavoro.
  Con l'articolo 3 si finanziano interventi nei territori del Mezzogiorno per l'autoimprenditorialità e l'autoimpiego, per la promozione di progetti relativi alla infrastrutturazione sociale, alla valorizzazione dei beni pubblici e per borse di tirocinio formativo in favore di giovani residenti e/o domiciliati nel Mezzogiorno e di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Inoltre, sempre con lo stesso articolo, si estende la sperimentazione della social card, come già detto, a tutto il sud.
  L'articolo 4 reca misure dirette ad accelerare le procedure per la riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai Fondi strutturali europei e per la rimodulazione del Piano di azione coesione.
  L'articolo 5 istituisce una struttura sperimentale di missione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l'attuazione, dal 1o gennaio 2014, del programma «Garanzia per i giovani», programma europeo, e per la ricollocazione dei lavoratori beneficiari di interventi di integrazione salariale, mi riferisco agli ammortizzatori sociali in deroga. Questa è una iniziativa importante perché insieme all'articolo 8, che istituisce la banca dati per le politiche attive e passive del lavoro, crea una base infrastrutturale per attuare il programma europeo «Garanzia per i giovani» che, lo ricordo, prevede che ogni giovane deve ricevere, entro quattro mesi dall'uscita dal ciclo scolastico, un'offerta di lavoro, un'offerta di tirocinio o offerte di proseguimento dell'attività formativa e scolastica.
  L'articolo 7 è molto importante perché modifica parti della «legge Fornero» sul terreno della flessibilità in ingresso al lavoro, particolarmente importante soprattutto in un momento di crisi come questo: è nei momenti di crisi che occorre rendere facile, favorire l'ingresso al lavoro dei giovani e non soltanto dei giovani. Si prevede la possibilità di proroga dei contratti a termine, con contratti sindacali nazionali aziendali si possono individuare ipotesi aggiuntive per nuovi contratti a termine, si semplificano le comunicazioni verso i centri per l'impiego, per i contratti sino a sei mesi saranno sufficienti dieci giorni di interruzione e per i contratti sino a dodici mesi soltanto venti giorni di interruzione fa un contratto e l'altro, si semplificano ulteriormente i contratti stagionali, si ampliano i giorni per poter usufruire del lavoro dei contratti intermittenti o del lavoro a chiamata, si superano i limiti temporali, e questa è una novità importante, per i contratti intermittenti per il settore del turismo, del commercio e della ristorazione. Con l'articolo 7-bis, invece, si sana e si stabilizza la questione delle associazioni in partecipazione.
  L'articolo 8, come dicevo prima, istituisce la banca dati per le politiche attive e passive che è lo strumento attraverso il quale costruire le informazioni per poter dare vita al programma «Garanzia per i giovani».
  Con l'articolo 9 si recano disposizioni in materia di responsabilità solidale nei contratti di appalto. Si interviene poi per trasferire dall'INAIL all'INPS tutte le funzioni amministrative per quanto riguarda la malattia e la maternità dei lavoratori marittimi. In conclusione, rilevo che tutti i pareri delle Commissioni consultate sono stati positivi, sia pure con qualche rilievo, e che il parere della V Commissione (Bilancio) sarà reso direttamente all'Assemblea. Mi soffermo anche, seppure in modo molto rapido, sul parere del Comitato per la legislazione, segnalando che esso è stato piuttosto articolato e meritevole di sicura attenzione, ma dicendo anche che di esso si potrà tener conto nei futuri interventi normativi essendo di tutta evidenza la necessità di convertire velocemente in legge il decreto al nostro esame. Per tutte le ragioni esposte, dunque, confermo che le Commissione riunite VI e XI propongono all'Aula di approvare il testo trasmesso Pag. 37dal Senato, anche nella prospettiva di ulteriori importanti interventi che potranno essere definiti alla ripresa dei lavori a settembre.

  PRESIDENTE. La ringrazio per la sintesi. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritta a parlare l'onorevole Bechis. Ne ha facoltà.

  ELEONORA BECHIS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge n. 76 è un pacchetto di interventi per il lavoro senza una chiara progettualità e senza visione per il futuro. Le misure di incentivazione economica all'assunzione dei giovani al di sotto dei ventinove anni sono profondamente inique verso tutti i cittadini che in questo momento risultano privi di occupazione. Ricordo al Governo l'impegno preso due mesi fa a tener conto dei lavoratori in età matura nei successivi provvedimenti riguardanti la questione occupazionale. Non solo non ne ha tenuto conto, ma è andato anche contro ogni accordo con il piano della Youth Guarantee, che in realtà prevede di offrire a ogni giovane al di sotto del ventinovesimo anno un'offerta qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, di apprendistato o di tirocinio entro i quattro mesi dalla perdita di un impiego o dall'uscita da altri percorsi formativi. Gli incentivi presenti nel decreto sono di difficile applicazione e ciò rappresenta una criticità, la quale porterà ad accedere ai fondi soprattutto quelle imprese che abbiano già maturato la decisione di aumentare il proprio organico a prescindere dall'incentivo, con l'unico effetto di privilegiare candidati al di sotto dei trent'anni. Ne consegue che si avrà una lieve diminuzione della disoccupazione giovanile, una scarsa se non nulla diminuzione del tasso di disoccupazione complessivo e che il trend occupazionale negativo del Paese proseguirà la sua folle corsa. Insomma, un bello spot preelettorale che permetterà a questo Governo di salvarsi la faccia con un po’ di trucco.
  Siamo concordi con l'Unione europea nel promuovere azioni strutturali tese a permettere ai giovani di inserirsi armoniosamente nel processo di sviluppo del Paese, poiché siamo consci che solo in questo modo è possibile mettere solide basi per il futuro dell'Italia. Ci rattrista che si perdano di vista gli interventi strutturali chiesti dall'Europa, i quali avrebbero fin da subito effetti positivi anche sul reinserimento nel mondo del lavoro di tutti i 3 milioni e 89 mila disoccupati presenti in Italia. Ci riferiamo, in particolare, allo strumento dei centri per l'impiego. L'ISFOL ha da poco fotografato il fallimento dei centri per l'impiego mettendo in evidenza come la quasi totalità delle nuove assunzioni vengano lasciate alla singola iniziativa della persona o, peggio ancora, alla logica della conoscenza e della raccomandazione.
  La colpa, a nostro avviso, non è solo nell'uso che si è fatto dello strumento, solo come serbatoio di voti da usare alla bisogna, ma è dovuto anche alla scelta irresponsabile dei Governi precedenti di disinvestire sui propri cittadini e di lasciarli in balia della divina provvidenza e più spesso delle mafie del lavoro nero. L'Eurostat ci informa, infatti, che per ogni disoccupato la Francia investe 2.200 all'anno, la Germania 3 mila euro all'anno, l'Italia solo 200 euro all'anno.
  Noi del MoVimento 5 Stelle siamo fortemente convinti che usare i fondi europei per dare la mancia a chi assume un disoccupato sia una scelta fallimentare. Riteniamo altresì che ristrutturare i centri per l'impiego, per renderli capaci di essere il punto di riferimento di chi cerca e offre lavoro, sia fondamentale per garantire quegli standard di qualità della vita e di produttività necessari a far ripartire il Paese.
  Restiamo oltremodo perplessi del modo in cui il Governo tenta di incentivare l'uso dei fondi europei ancora a disposizione di alcune regioni, senza porre rimedio alle cause per cui in tutta Italia essi non si riescono ad utilizzare, per incompetenza e corruzione. Incompetenza e corruzione sono le reali emergenze da risolvere, e Pag. 38speriamo che nel prossimo decreto semipresidenziale «all'italiana» il Governo si degni di occuparsene (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sottanelli. Ne ha facoltà.

  GIULIO CESARE SOTTANELLI. Signor Presidente, colleghi, ci apprestiamo a discutere un provvedimento di notevole rilevanza varato dal Governo, in un grave contesto socio-economico, con l'obiettivo di trovare una soluzione, seppur tampone, al problema della disoccupazione.
  Il decreto-legge varato dal Governo Letta risponde, infatti, all'emergenza scaturita dal dilagare della disoccupazione nel nostro Paese; ed interviene al fine di promuovere l'occupazione, in particolare quella giovanile, in linea con le priorità emerse nell'ultimo Consiglio europeo, nel quale il Governo italiano ha assunto un ruolo da protagonista mettendo al centro della discussione il tema della disoccupazione giovanile.
  Gli ultimi dati ISTAT rilevano che il numero dei disoccupati è di oltre 3 milioni di persone, con un aumento dell'11 per cento su base annua. Ancora più preoccupante è l'aggravarsi dei dati della disoccupazione giovanile, che è pari al 39,1 per cento, con un più 4,6 rispetto a dodici mesi fa. Non si tratta solo di cifre che denunciano una situazione sociale insostenibile: sono dati espressione di una popolazione, quella dei giovani, che chiede aiuto, sostegno, speranza e un diritto al futuro.
  Il decreto-legge inoltre reca disposizioni sulla coesione sociale, in materia di imposta sul valore aggiunto, investimenti nelle infrastrutture, nell'edilizia scolastica e ulteriori interventi legislativi utili al Paese. Tra questi voglio citare la disponibilità di ulteriori 25 miliardi per favorire lo smaltimento di un ulteriore stock di debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese, che si aggiungono ai 40 miliardi già messi a disposizione con il decreto-legge n. 35 del 2013.
  Cari colleghi, se siamo riusciti a mettere a disposizione queste risorse lo si deve esclusivamente – e ripeto, esclusivamente – all'azione del precedente Governo Monti, che oltre ad aver messo in sicurezza i conti dell'Italia e degli italiani, ha creato queste condizioni di disponibilità finanziaria; così com’è giusto ricordare anche l'uscita dalla procedura d'infrazione per eccessivo deficit dell'Italia che ci permetterà, in autunno, di pianificare una legge di stabilità improntata sul ritorno alla crescita del Paese, e quindi a maggiori opportunità occupazionali.
  La prima parte del decreto-legge interviene su una pluralità di campi, nella convinzione che gli incentivi, la formazione professionale, i servizi all'impiego, il potenziamento del tirocinio, gli sgravi alle imprese, la trasformazione dei contratti a tempo indeterminato, la materia previdenziale, la semplificazione delle società a responsabilità limitata contribuiscano, ognuno per la propria parte, a conseguire l'obiettivo di ridurre la disoccupazione.
  Tuttavia, Scelta Civica per l'Italia ritiene che in futuro bisognerà fare molto di più, con scelte radicali e coraggiose, innovative ed adeguate al mondo globale; e, per questo motivo, Scelta Civica promuoverà un'azione forte, finalizzata ad una riforma strutturale del mercato del lavoro, nelle linee strategiche indicate dal senatore Pietro Ichino.
  Noi di Scelta Civica per l'Italia, a partire dalla prossima legge di stabilità, stimoleremo l'azione del Governo, al limite della fiducia, finalizzata a ridurre i costi, o meglio ancora gli sprechi nella pubblica amministrazione, al fine di recuperare risorse per abbattere almeno del 30 per cento il cuneo fiscale: costituendo così un incentivo agli investimenti, un aiuto per le imprese, per l'impiego e per il potere d'acquisto dei lavoratori.
  Le imprese del nostro Paese stanno operando con grande difficoltà, in un contesto di estrema incertezza e purtroppo in questi tempi non si assume solo grazie agli incentivi, né aumenta la domanda di lavoro esclusivamente attraverso la concessione di bonus. Le nostre imprese devono tornare ad essere più competitive nel mercato globale con una pressione fiscale Pag. 39equa, giusta, competitiva almeno in Europa e con una sburocratizzazione dell'intero Paese.
  Abbiamo accolto con favore la task force per la «Youth Guarantee» che dà il via libera ad una struttura di missione con l'obiettivo di attuare il programma comunitario e promuovere i centri per l'impiego. Sostanzialmente si basa sulla garanzia per i giovani nata nell'esperienza di Paesi quali la Scandinavia, l'Australia, l'Olanda, la Germania e la Polonia, in cui già esiste e offre ottimi risultati. Ci aspettiamo che nei prossimi provvedimenti vengano presi adeguatamente in considerazione anche gli aiuti per i lavoratori autonomi, a partire dalle misure relative all'agevolazione per chi apre partite IVA. Bisogna invertire il trend, non chiudere ma incentivare ad aprire nuove partite IVA, con maggiore attenzione verso i giovani che vogliono avviare attività imprenditoriali o professionali proprie, sostenendo l'accesso al credito, operando una revisione dell'importo minimale INPS e altri strumenti che possono aiutare ed incentivare.
  Un altro grande tema del provvedimento al nostro esame è quello del rinvio dell'aumento dell'IVA. Anche in questo caso si tratta di una soluzione tampone, non risolutiva di una questione che si inserisce nella più ampia tematica della pressione fiscale presente nel nostro Paese. Conosciamo tutti la genesi di questa situazione che risale ai tempi del Governo Berlusconi-Tremonti, che in base al documento economico e finanziario 2011 prevedeva l'applicazione dell'aliquota al 23 per cento per garantire il pareggio di bilancio del 2014. Ad oggi è, infatti, solo grazie alla bravura, alla credibilità, alla fermezza del Governo Monti che abbiamo l'aliquota ancora al 21 per cento e Scelta Civica in futuro lavorerà in questa direzione per diminuire l'aliquota IVA in particolar modo per i beni primari.
  Il Governo, oggi, ha deciso di congelare temporaneamente il nuovo aumento fino a novembre, ma si tratta di una sospensione che sarà coperta con sacrifici pesanti da parte di cittadini ed imprese in questa particolare fase di contingenza economica che vedrà aumentare in maniera strutturale gli acconti IRPEF e IRES, mentre noi di Scelta Civica per l'Italia avremmo preferito una copertura basata sui tagli della pubblica amministrazione.
  Un'altra forma di copertura del provvedimento è stata rintracciata nella tassazione delle «e-cig», sigarette elettroniche, che noi abbiamo considerato una misura non corretta in quanto non vi era alcuna giustificazione per introdurre forme di tassazione specifiche su di esse, che peraltro faranno, in prospettiva, risparmiare allo Stato in termini di spesa sanitaria; semmai la tassazione andava applicata per colpire le fiale contenenti nicotina, e proporzionalmente alla concentrazione della stessa.
  Va sottolineata, inoltre, l'importante modifica inserita dal Governo nel corso dell’iter al Senato che, nel solco del decreto-legge n. 35, cosiddetto «sblocca debiti», favorisce ulteriormente la liquidazione dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese. A partire dal 1o gennaio 2014 saranno infatti liberati altri 20-25 miliardi per i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione con la garanzia dello Stato attraverso un fondo presso la Cassa depositi e prestiti. Si tratta di un ulteriore segnale di attenzione importante verso le imprese che vedranno crescere la loro disponibilità di liquidità senza che questo comporti per lo Stato un aumento del deficit e del debito. È una misura anticiclica dalle enormi potenzialità che potrebbe ridurre drasticamente lo stock di arretrati ed aiutare a riavviare l'economia del Paese.
  Ricordo sempre prima a me stesso e poi a tutti gli italiani che questo è stato possibile esclusivamente grazie al precedente Governo Monti, ed è notizia di oggi che tutti i macro indicatori certificano che ci sono i primi segnali di ripresa.
  Brevemente voglio altresì ricordare altri passaggi qualificanti del provvedimento. Ritengo innanzitutto importante il rifinanziamento del fondo che consentirà ai giovani di accedere al servizio civile nazionale e l'estensione della sperimentazione della Pag. 40«carta acquisti», attualmente in corso solo in 12 città del Mezzogiorno, sarà allargata successivamente a tutto il Mezzogiorno con un finanziamento di 167 milioni di euro nel biennio 2014-2015.
  Tale sperimentazione costituisce l'avvio del programma «Promozione dell'inclusione sociale» ed è indirizzata alle regioni in cui circa il 12 per cento delle popolazione è in condizione permanente di grave privazione.
  Segnalo, infine, una misura contenuta nel decreto che il gruppo Scelta Civica per l'Italia ritiene significativa: mi riferisco al nuovo stanziamento di risorse per incentivare l'assunzione di lavoratori disabili. I fondi a favore dei disabili, negli ultimi anni, erano stati di fatto eliminati, sia per motivi di bilancio, che per l'inclusione di questa categoria insieme ad altre che non hanno menomazioni fisiche, ma altre caratteristiche (ad esempio, orfani di vittime del dovere), svantaggiando nei fatti i lavoratori disabili. Si tratta di un segnale di attenzione verso una categoria di lavoratori svantaggiata, rispetto alla quale l'interesse nel passato recente è stato assolutamente insufficiente; e di questa nuova attenzione rendiamo merito al Governo.
  Colleghi, concludo auspicando che oggi convertiremo in legge un decreto, che certamente poteva essere migliorato anche attraverso degli emendamenti a cui noi e le altre forze politiche di maggioranza, con generosità, abbiamo rinunciato per non mettere a rischio il provvedimento stesso da una possibile scadenza dei tempi, che avrebbe prodotto la necessità di una ulteriore lettura al Senato.
  Pertanto rivolgo un appello alle opposizioni affinché aiutino ad alimentare il senso di responsabilità che deve sempre regnare nell'Aula, nell'esclusivo interesse degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Placido. Ne ha facoltà.

  ANTONIO PLACIDO. Signor Presidente, colleghi, non crediamo di poter condividere l'ottimismo contenuto nell'intervento del collega che mi ha appena preceduto, né tanto meno il giudizio dato sui risultati ottenuti dal Governo Monti.
  Noi esprimiamo, invece, una riserva di fondo sulla sostanza di questo decreto e alcune perplessità radicali di merito su alcuni degli articoli che lo compongono, che sono relative a punti, a questioni e a scelte che, a nostro giudizio, sono destinate a comprometterne ulteriormente l'efficacia.
  Peraltro, come è stato indirettamente ricordato dal precedente intervento, i tentativi fatti dalle opposizioni in Commissione di migliorare il decreto sono stati respinti da un atteggiamento di assoluta blindatura – oserei dire di militarizzazione del confronto – da parte della maggioranza che ha impedito che si potesse, in Commissione, finanche sviluppare un proficuo confronto.
  Noi non crediamo, tanto per cominciare – questa è la riserva di fondo – che possano essere efficaci, a fronte del disastro occupazionale nel quale si trova il nostro Paese, misure come quelle a cui questo decreto è ispirato. Si tratta essenzialmente di misure, che sono collocate in linea con il pensiero canonico dominante in Europa in questo momento, queste sì frutto di convinzioni ideologiche prive di ogni riscontro pratico, secondo cui è sufficiente flessibilizzare l'offerta di lavoro perché il mercato torni ad assorbire. È del tutto evidente che questo non è utile in tempi di recessione.
  Del resto, crediamo di ricordare che lo stesso Ministro Giovannini, allorquando venne in Commissione lavoro per la sua prima, e al momento unica, audizione, ci disse di ritenere insufficienti quelle misure che fossero intervenute unicamente sul mercato del lavoro.
  Se si contrae l'ampiezza della base produttiva – come sta accadendo – rovinosamente, in questo momento, in questo Paese e in Europa, non c’è flessibilità che tenga.
  Esiste oramai un gap fra domanda e offerta di lavoro, che configura una vera e propria eccedenza strutturale di manodopera a fronte della quale ogni misura di Pag. 41precarizzazione risulta essere non in grado di intervenire e non in grado di aggredire il problema. E sebbene questo decreto sia stato presentato come una prima misura, come un piccolo passo dentro una strada di riforme e di interventi via via più efficaci, noi continuiamo a trovare inspiegabile il fatto che non si sia ritenuto e non si sia considerato utile un intervento in materia di politica attiva del lavoro.
  Ricordiamo che soltanto l'1,7 per cento del PIL nel nostro Paese si investe in questa direzione, né un qualsiasi intervento – è stato già detto – è stato compiuto in direzione di una riforma efficace del servizio per l'impiego. In Italia soltanto meno del 4 per cento dei disoccupati trova una collocazione attraverso il collocamento pubblico. In altri Paesi europei, a partire dalla Germania, questo riguarda oltre l'80 per cento dei disoccupati.
  Dunque, la nostra riserva è questa. Ciò che è chiaro a noi supponiamo debba, a maggiore ragione, essere chiaro a tecnici qualificati ed autorevoli come il Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Se questa misura non è efficace a contrastare la disoccupazione dilagante, con tutti i fenomeni di devastazione sociale, di scasso del vincolo comunitario e del legame sociale che essa produce e che in tante aree del Mezzogiorno è oramai già presente, noi crediamo che sia efficace soltanto in un'altra direzione, quella di rendere più precario il lavoro e più semplice per le imprese ricorrere al lavoro privo di garanzia e di tutela.
  Ma, veniamo per un attimo alle perplessità di merito, quelle un tantino più parziali. In primo luogo, si sceglie di agire unicamente su una fascia e su un segmento assai limitato del mercato del lavoro, quello delle persone comprese fra 18 e 29 anni, e questo costituisce già un limite. Non so dire se non esista un'emergenza altrettanto drammatica per gli ultraquarantenni o per gli ultracinquantenni, soprattutto in alcune aree del Mezzogiorno.
  In secondo luogo, c’è un problema di risorse. Anche qui mi pare complicato condividere l'ottimismo profuso a piene mani dal collega che mi ha preceduto. Qui si tratta di risorse assai scarse anche in relazione alla «garanzia per i giovani», quella per la cui applicazione all'articolo 5 si prevede la costituzione della struttura di missione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Anche in relazione ad essa non esistono risorse aggiuntive a quelle europee. Per il resto le risorse – quelle a cui si riferisce l'articolo 1 – sono il risultato della riprogrammazione di quelle rivenienti dal Fondo di rotazione o quote di finanziamento statale su opere non realizzate già destinate ai programmi operativi 2007-2013.
  L'esito di un investimento così esiguo di risorse sarà meno della metà di quello che il Ministro Giovannini solennemente aveva annunciato nell'audizione in Commissione e poi anche in successivi interventi a mezzo stampa. Nella migliore delle ipotesi esso riguarderà poco più di 67 mila persone; secondo alcuni osservatori più probabilmente la metà di questo numero di persone che rappresentano in ogni caso, anche nella più ottimistica delle ipotesi, meno dell'1 per cento dei sette milioni e mezzo circa delle persone in età da lavoro censite dall'ISTAT fra disoccupate ed inattive.
  Il rischio insomma è che i fortunati 67 mila, secondo alcuni poco più di 30 mila, finiscano per essere unicamente persone che sarebbero state assunte diversamente e che in questo momento vengono assunte con incentivi.
  Inoltre, a noi sembra che ci sia una contraddizione molto stridente, che è probabilmente il frutto anche di differenti orientamenti politici, quelli che hanno concorso alla stesura di questo provvedimento, che si leggono, ad esempio, nel corpo dell'articolo 1, in relazione al corpo dell'articolo 7.
  È del tutto evidente che se si incentivano in egual misura interventi a sostegno del lavoro a tempo indeterminato ed interventi a sostegno delle forme più selvagge di lavoro precario si finisce per generare un effetto di spiazzamento automatico dei primi a vantaggio dei secondi, Pag. 42ovvero le imprese opteranno per quelle soluzioni che prefigurano meno vincoli.
  Dunque, l'articolo 1 e la sua apparente ispirazione rischiano di essere vanificati da tutto quanto si prevede per esempio nel corpo dell'articolo 7. Peraltro, ciò che si prevede nel corpo dell'articolo 7 peggiora, semplifica forse si preferisce dire da parte della maggioranza, ciò che invece era stato opportunamente irrigidito dalla «legge Fornero» che in qualche modo provava, sebbene con scarsa efficacia, a disincentivare il ricorso incontrollato a forme di lavoro a tempo determinato.
  Dunque, una precarizzazione ulteriore, un abbassamento della soglia dei diritti ulteriore, in un Paese nel quale è già precario il 52 per cento dei giovani al di sotto dei 25 anni.
  L'articolo 2, l'apprendistato, che è diventato ormai lo strumento tendenzialmente esclusivo con cui si accede al mercato del lavoro. Si deroga sostanzialmente, sulla base degli accordi che entro il 30 settembre del 2013 Stato e regioni dovranno stilare, alle norme fissate dal testo unico. Testo unico del 2011 che aveva già subito modifiche per effetto della «legge Fornero».
  Si porta il contratto di apprendistato, lo si spinge dunque progressivamente nella direzione di un contratto che concede sgravi e vantaggi alle imprese e che consente livelli di sottoinquadramento per i lavoratori che in questa maniera accedono al mercato del lavoro.
  Inoltre, il piano formativo individualizzato, che rappresentava l'elemento qualificante del contratto di apprendistato che saltava già fino al 31 dicembre 2015, per effetto dell'intervento del Senato che ha modificato il testo iniziale, salta definitivamente come limite temporale e rende quindi la soluzione del contratto di apprendistato priva tendenzialmente o potenzialmente di ogni contenuto formativo.
  Infine, l'articolo 7-bis. Qui, nel tentativo di intervenire per sanare una situazione determinatesi, si sceglie un rimedio probabilmente peggiore del male; si interviene in materia di stabilizzazione di associati in partecipazione con apporto di lavoro e la sanatoria dell'abuso all'utilizzo di questa tipologia contrattuale viene prevista, per così dire, come chiusa con il contratto di apprendistato.
  Anche qui si tratta di aggiungere danno al danno. Chi lavora da anni, e quindi è nella condizione oramai non più di dover apprendere un lavoro, ma probabilmente nella condizione di poterlo insegnare, deve sottostare ad un ulteriore prolungamento di una situazione di assoluta mancanza di diritti e di precarietà. E anche questo, al di là delle migliori intenzioni, delle ottime intenzioni con cui probabilmente è stato scritto, è un articolo che finisce per funzionare da cavallo di Troia per sfondare ogni argine di garanzia e di protezione per chi lavora. Insomma, noi crediamo che questo provvedimento non sia in condizione di intervenire efficacemente sulla crisi e sulla straordinaria situazione di emergenza occupazionale del nostro Paese e in particolare delle regioni meridionali. Crediamo che non ci siano alternative ad un intervento massiccio pubblico in direzione di un piano straordinario per il lavoro orientato ai settori che, per esempio, in ultimo la Svimez, nel suo rapporto annuale, individua come centrali perché questo Paese possa, da un lato, riassorbire la disoccupazione e, dall'altro, conseguire più elevati livelli della qualità del vivere civile in tanti centri urbani meridionali e non soltanto: grandi interventi di manutenzione del territorio, grandi interventi sulle infrastrutture, a partire da quelle scolastiche, grandi interventi in formazione. Così come noi pensiamo che non sia eludibile – anche di questo nell'audizione con il Ministro Giovannini in Commissione lavoro si era discusso – un ragionamento che abbia a che vedere, a fronte della straordinaria ed incolmabile nel breve periodo eccedenza di manodopera, al Sud come al Nord, con un intervento straordinario di sostegno al reddito che assuma le forme tendenzialmente universali del reddito minimo garantito (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

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  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bosco. Ne ha facoltà.

  ANTONINO BOSCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge n. 76 del 2013 reca un insieme di disposizioni in materia di lavoro e di natura fiscale, nonché varie misure di finanziamento di specifici interventi. Si tratta certamente di un provvedimento che ha soprattutto l'obiettivo di un rilancio economico ed occupazionale che va incontro alle richieste della nostra società e in maniera particolare a quelle di quei giovani, e sono davvero tanti purtroppo, che si trovano quotidianamente davanti ad enormi difficoltà nella ricerca di un lavoro che consenta loro di condurre una vita dignitosa, che gli conceda di poter vedere in prospettiva futura la possibilità di poter formare una famiglia, magari acquistare una casa, dunque realizzare il proprio futuro, i propri sogni. È un provvedimento che ha l'obiettivo, in linea anche con le politiche assunte in sede europea, di promuovere l'occupazione e, in particolare, proprio quella giovanile. Ricordiamo che l'incidenza della disoccupazione nel nostro Paese, che rappresenta certamente una grave emergenza e che rientra tra le priorità dell'agenda dell'attuale Governo, risulta maggiore per le classi di età più giovani, in particolare per coloro che hanno meno di 25 anni. Il provvedimento quindi assume estrema importanza proprio nella lotta alla disoccupazione e nella valorizzazione delle giovani generazioni. Il decreto-legge all'esame dell'Aula reca una serie di disposizioni. Mi soffermo in particolare sull'articolo 1 che introduce, in via sperimentale, un incentivo per i datori di lavoro che entro il 30 giugno 2015 assumano, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, lavoratori di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi o privi di un diploma di scuola media superiore o professionale. Questo rappresenta un buon passo avanti a sostegno dei giovani ricompresi in quella fascia di età in cui vi è stato il passaggio dal mondo della scuola a quello del lavoro ma che, in molti casi, non è un passaggio così scontato. E infatti, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, dove si rileva un altissimo tasso di disoccupazione giovanile, tanti ragazzi sono sprovvisti di un titolo di studio e di un lavoro e, attraverso queste misure, trovano un sostegno, un primo passo iniziale di un percorso che mi auguro continui proficuamente.
  Il provvedimento prevede uno snellimento delle procedure per l'accesso agli incentivi da parte delle aziende e una valorizzazione dell'apprendistato, che considero un fondamentale strumento di passaggio tra il mondo della scuola e quello del lavoro, che, però, ha bisogno di essere maggiormente valorizzato rispetto al passato.
  Di notevole importanza anche i tirocini, per cui si prevede un'indennità di partecipazione e l'istituzione di un fondo straordinario, il Fondo mille giovani per la cultura, con una dotazione pari a un milione di euro per il 2014, destinato alla promozione di tirocini formativi e di orientamento, rivolto ai giovani fino ai 29 anni, nei settori dell'attività e dei servizi per la cultura.
  Il provvedimento pone, inoltre, particolare attenzione alla lotta alla disoccupazione, in particolare nel Mezzogiorno d'Italia, dove è largamente diffusa. Ed infatti, proprio al fine di incentivare le assunzioni in zone difficili come quelle del sud del nostro Paese, sono previste, ad esempio, agevolazioni riguardanti l'estensione al 15 maggio 2015 del periodo di utilizzo del credito d'imposta per nuove assunzioni a tempo indeterminato nel Mezzogiorno e misure a sostegno dell'autoimprenditorialità, dell'autoimpiego e della infrastrutturazione sociale, per la valorizzazione di beni pubblici e per borse di tirocinio formativo a favore di giovani residenti o domiciliati nel Mezzogiorno d'Italia di età compresa tra 18 e 29 anni.
  Il provvedimento reca misure riguardanti la creazione e il funzionamento delle società a responsabilità limitata semplificata, semplificandone l'accesso e, appunto, Pag. 44lo stesso funzionamento. In materia di start-up innovativa, si estendono anche al 2016 le agevolazioni fiscali previste per le annualità 2013-2014, in favore di persone fisiche e persone giuridiche che intendono investire nel capitale sociale di imprese start-up innovative.
  Si estende, inoltre, la sperimentazione della nuova social card, già prevista per le città di Napoli, Bari, Palermo e Catania, ai restanti territori delle regioni del Mezzogiorno. Il provvedimento reca una serie di norme in materia di contratti di lavoro a termine, distacco di lavoratori, contratti di lavoro intermittente, lavoro a progetto, lavoro accessorio, tentativo obbligatorio di conciliazione nei licenziamenti individuali, intervenendo, in particolare, sulle modifiche alla normativa di settore apportate, da ultimo, dalla legge n. 92 del 2012, la legge Fornero di riforma del mercato del lavoro. Il tutto nell'ottica di uno snellimento e di una semplificazione.
  Tra le altre misure contenute dal decreto-legge in esame vi sono disposizioni che riguardano ammortizzatori sociali di settore e i criteri per la definizione dello stato di disoccupazione. In materia di ammortizzatori sociali si introduce un beneficio in favore dei datori di lavoro che, senza esservi tenuti, assumano a tempo pieno e indeterminato lavoratori che fruiscano dell'assicurazione sociale per l'impiego.
  La normativa vigente viene estesa ai lavoratori e alle lavoratrici con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, ovvero con contratti di associazione in partecipazione. Di particolare importanza – e questo va sottolineato –, nell'ottica di garantire l'attivazione del programma «Garanzia per i giovani», ricordiamo l'istituzione nell'ambito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali della banca dati delle politiche attive e passive, al fine di razionalizzare gli interventi di politica attiva del lavoro di tutti gli organismi centrali e territoriali coinvolti.
  Concludendo, signor Presidente, auspico che le misure contenute in questo provvedimento siano attuate con determinazione, soprattutto per rilanciare il sistema occupazionale del nostro Paese e renderlo, così, anche più competitivo, nella consapevolezza che il provvedimento inserisce certamente importanti misure, ma che alla ripresa dei lavori si può e si deve fare ancora e molto di più e con l'auspicio che la Commissione lavoro, nella sua interezza, in futuro possa essere messa in condizioni migliori, in termini di disponibilità di tempo, per operare con maggiore incisività per apportare le giuste e dovute modifiche, affinché si aggredisca nel migliore dei modi un'emergenza e un tema così importante quale quello del lavoro nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedriga. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, oggi arriva in Aula il «decreto lavoro», approvato già dall'altro ramo del Parlamento, il Senato, che, secondo le intenzioni del Governo, doveva essere la prima risposta importante data alla crisi occupazionale che il nostro Paese sta vivendo.
  Noi abbiamo analizzato in pochissimo tempo... anzi, mi permetto, in questa occasione, di segnalare alla Presidenza che, con riferimento al primo provvedimento sul lavoro che andiamo ad esaminare, sono state date circa due ore, due ore e mezza, alla Commissione per lo svolgimento della discussione sulle linee generali, la trattazione degli emendamenti, le dichiarazioni di voto e mandato al relatore.
  Noi abbiamo fatto presente sia nell'Ufficio di presidenza della Commissione sia nella Commissione stessa, l'esigenza di trattare in modo più approfondito il provvedimento stesso. Non solo: la maggioranza, con una scelta legittima, ma, crediamo, sbagliata, ha voluto fin dall'inizio blindare questo decreto, non permettendo ad un ramo del Parlamento, la Camera dei deputati, di poter discutere e modificare lo stesso provvedimento, oltretutto Pag. 45con delle criticità che fanno emergere quanto questo Governo e questa maggioranza non abbiano capito quali siano i problemi da affrontare del mercato del lavoro e, soprattutto non abbiano capito che anche il nord sta vivendo la crisi in modo profondo.
  Comunico ai colleghi di maggioranza che esistono disoccupati anche nel nord del Paese, e lo comunico anche al gruppo di SEL. Dico questo, perché con il provvedimento che oggi esaminiamo, mi auguro che magari anche i cittadini che sono in vacanza in questo momento abbiano l'attenzione o perlomeno i mezzi di informazione abbiano la responsabilità di far conoscere che il Governo e la maggioranza stanziano finanziamenti quasi esclusivamente per i disoccupati del sud. Si dimenticano totalmente che esistono disoccupati nel centro e nel nord del Paese.
  Ma per non passare come il solito leghista che dice banalità e cose scontate, voglio parlare dei fatti e le norme previsti in questo decreto. Infatti, l'incentivo per l'assunzione è di 500 milioni solo per i giovani del Mezzogiorno e di 294 milioni per tutto il resto, il Centro e il Nord. Anche questo voglio ricordare ai colleghi di maggioranza: il numero dei disoccupati del Centro e del Nord è superiore a quello del Mezzogiorno, eppure nel Mezzogiorno viene dato il doppio delle risorse, per quanto riguarda i disoccupati, rispetto al Centro-nord.
  Non solo: ricordo ai colleghi di maggioranza e al Governo che la povertà, la povertà assoluta esiste anche nel centro e nel nord del Paese, ma il Governo e la maggioranza stanziano risorse solo per il Mezzogiorno. Questo provvedimento introduce infatti la carta cosiddetta della povertà esclusivamente per le aree del Mezzogiorno del Paese. Soldi solo per il Mezzogiorno del Paese, come se al Nord e al Centro la povertà non esistesse.
  Ricordo alla maggioranza e al Governo che anche i giovani del Nord disoccupati vorrebbero avere la possibilità di intraprendere una attività imprenditoriale. Eppure, maggioranza e Governo stanziano soldi esclusivamente per i giovani del Sud che vogliono impegnarsi nell'auto imprenditorialità e l'autoimpiego. Solo per il Sud !
  Ricordo a maggioranza e Governo che l'attività di tirocinio, magari retribuito sarebbe utile anche ai disoccupati del Nord, ma maggioranza e Governo stanziano soldi esclusivamente per i giovani del Mezzogiorno, per svolgere questo tipo di attività.
  Ricordo a maggioranza e Governo che esistono beni culturali anche nel centro e nel nord del Paese, ma maggioranza e Governo stanziano soldi esclusivamente per i giovani che vogliono impegnarsi in attività di promozione dei beni culturali e beni pubblici solo nel Mezzogiorno.
  Noi riteniamo, come Lega, che queste siano misure inaccettabili. In un momento di difficoltà economica è impensabile, ingiustificabile e indegno fare dei disoccupati di «serie A» e degli altri disoccupati di «serie B». Non ci stiamo. Il Nord non ci sta, il Nord che ha pagato per tanti anni il prezzo degli sprechi di questo Paese. Adesso è inaccettabile che in un momento di difficoltà economica i cittadini del Nord, i disoccupati del Nord, chi vive la crisi nel Nord venga abbandonato da questo Governo e da questa maggioranza.
  Io domando ai colleghi di PD, PdL, Scelta Civica e anche di SEL con quale coraggio (sto parlando per i colleghi eletti nelle circoscrizioni del Centro-nord) torneranno dai loro cittadini – magari troveranno il giovane disoccupato che non trova lavoro – e diranno che in questo Parlamento hanno votato una norma che aiuta quasi esclusivamente i disoccupati del Sud. Nessuno vuole essere contro i disoccupati del Sud, come qualche quotidiano ha scritto, ma noi vogliamo essere a favore e aiutare anche i disoccupati del Nord e del Centro.
  Voglio ricordare poi, per andare avanti su questo decreto, che il Governo e la maggioranza, non paghi di ciò, visto che hanno dato molti soldi ai disoccupati del Nord, decidono di attribuire però 5,5 milioni di euro a chi assume detenuti. Altri soldi, a chi assume detenuti. Non ai cittadini Pag. 46onesti che in questo momento non trovano lavoro, ma decidono di darli a chi assume chi ha commesso reati.
  Proprio ieri abbiamo discusso – Presidente lei lo ricorderà bene – il cosiddetto «decreto svuota carceri». In questo caso voi pensate all'assurdità del Governo: viene dato un credito di imposta per chi assume un detenuto o un ex detenuto di 700 euro al mese; in questo decreto si dà un incentivo a chi assume un cittadino onesto di 650 euro al mese. Si aiuta di più chi assume chi ha commesso dei reati rispetto al cittadino che, malgrado il periodo di crisi che sta vivendo, non commette alcun tipo di illecito ma chiede semplicemente un aiuto dello Stato perché gli venga garantito quel diritto costituzionale, ovvero il diritto al lavoro.
  Non solo, allora il Governo ha detto: «Bene, abbiamo abbandonato il Nord e aiutiamo solo il Sud. Abbiamo abbandonato i cittadini onesti, aiutiamo soltanto i delinquenti. Allora adesso dove bisogna intervenire ? Bene, interveniamo sulla questione immigrazione». Infatti, sulla questione immigrazione il Governo, fra le tante misure sbagliate, cosa decide di fare ? Allo stato attuale – non so se tutti lo sanno – se un'impresa chiede di assumere un cittadino residente in un Paese straniero deve fare domanda, deve avere il nulla osta e quando presenta il nulla osta ci deve essere una verifica che non ci siano altri cittadini residenti nel nostro Paese che vogliono e possono svolgere quel determinato lavoro. Cosa giusta, mi sembra, soprattutto in un momento di difficoltà economica in cui la gente non trova lavoro, che ci sia questa verifica per garantire prima di tutto chi è residente sul nostro territorio.
  Governo e maggioranza vanno a smontare questo procedimento e dicono che questo tipo di verifica deve essere antecedente alla richiesta di nulla osta. Io vorrei sapere come si può fare. Quando il datore di lavoro dice: «È disponibile questo lavoro, richiedo un cittadino proveniente da un Paese straniero» come ci può essere una verifica prima che avvenga questo processo di richiesta ? Lo domando alla maggioranza e al Governo. La maggioranza, così prona alle esigenze del Governo, non obietta, non dice nulla, dice che questo provvedimento non può tornare al Senato per avere una valutazione più approfondita.
  Ma dopo questi importanti passaggi il Governo dice: «Bene, visto che abbiamo ancora qualche milione di euro, dobbiamo investirlo su qualcosa di profondo e importante, una crisi che è avvenuta poco tempo fa, esattamente nel 1968». Il terremoto del Belice viene finanziato in questo provvedimento con 10 milioni di euro. Noi non stiamo finanziando i giovani che non trovano lavoro al Nord e al Centro, però ci permettiamo di dare altri 10 milioni di euro al terremoto del 1968, con una norma introdotta al Senato, ovviamente con il benestare del Governo.
  Presidente, come possiamo avere un giudizio positivo su un provvedimento di questo tenore ? Dopo non voglio entrare in tutti gli altri passaggi che lasciano quantomeno interdetti. Si dice che il giovane disoccupato ha l'incentivo soltanto se ha un titolo di studio non superiore alla terza media. Come sanno bene il Governo e la maggioranza effettivamente chi ha fatto le superiori o magari ha un titolo di laurea il lavoro lo trova il giorno dopo. Mi sembra molto intelligente come tipo di paletto, si tratta di paletti che chiaramente sono stati introdotti esclusivamente per il fatto che nella sostanza i fondi a disposizione sono pochissimi e dunque si cerca in modo artificiale di mettere un argine alla platea di riferimento.
  Un argine che, per esempio, si riscopre anche quando si parla di start up. Si richiede che i due terzi della forza lavoro deve avere la laurea magistrale. È vero, è stato ampliato ma io mi domando perché non si pensa anche all'innovazione prodotta da quei cittadini che magari hanno la laurea di primo livello, che poi si chiama semplicemente laurea, che magari fanno moltissima innovazione e sono molto bravi a portare uno sviluppo nell'attività imprenditoriale nel nostro Paese.
  Insomma, noi chiediamo che venga rivisto questo provvedimento e lo chiediamo Pag. 47con anche la consapevolezza che i tempi sono stretti e, dunque, mettendo a disposizione, per quanto riguarda ovviamente il gruppo della Lega Nord, la massima celerità nello svolgere la discussione in quest'Aula e anche – mi prendo questa responsabilità, la Lega Nord si prende questa la responsabilità – sensibilizzare il gruppo al Senato nel caso il provvedimento venisse rimandato in terza lettura al Senato, per approvarlo nel più breve tempo possibile e quindi cercare di fare andare avanti l’iter senza degli intoppi eccessivi.
  Dico questo – e mi avvio a concludere, Presidente – con la consapevolezza che abbiamo un problema molto serio di coperture. Questo tipo di problema non lo segnala esclusivamente la Lega, ma anzi un ente molto più autorevole della Lega che è la Ragioneria generale dello Stato.
  L'articolo 9, comma 16-quinquies, non è coperto: lo dice la relazione della Ragioneria generale dello Stato e ci sono problemi di copertura anche su altri commi di altri articoli. Quindi, per questa ragione, invito alla massima riflessione. Mi auguro – lo dico chiaramente e pubblicamente in quest'Aula – che non iniziamo a fare provvedimenti non coperti per ragioni di interesse governativo o di interessi di chiusura della discussione, senza poter apportare modifiche al testo. Me lo auguro perché sarebbe un precedente gravissimo. Faccio appello anche al senso di responsabilità che ha sempre dimostrato la Ragioneria generale dello Stato che, con fermezza, ha fatto tenere dei paletti molto chiari e molto netti. Infatti non vorrei che questi paletti venissero modificati in relazione a pressioni provenienti anche dalla Commissione bilancio della Camera che vada a superare a pie’ pari delle criticità che non possiamo far finta che non esistono.
  Quindi, per questo motivo, la nostra disponibilità ovviamente è assoluta in relazione al fatto che vengano accolte anche delle nostre proposte emendative che riteniamo di assoluto buonsenso. Quindi il senso di responsabilità che noi mettiamo a disposizione mi auguro sia anche del Governo e della maggioranza. Non staremo zitti né in Commissione bilancio né tanto meno in Aula se questi tipi di procedure che servono alla stabilità dei conti pubblici venissero messi sotto le scarpe semplicemente perché bisogna approvare questo decreto-legge senza apportarvi alcun tipo di modifica. Non staremo zitti perché a quel punto lo riterremo un precedente che varrà da qui a tutti i provvedimenti successivi.

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Fedriga. Un'informazione e spero una tranquillizzazione. L'informazione è la ragione dei tempi stretti per gli emendamenti: sappiamo tutti quali sono i tempi con i quali la Camera deve affrontare questo decreto-legge, che è arrivato pochi giorni fa, e inevitabilmente, essendo stato calendarizzato per questa mattina per l'esame in Assemblea, poiché bisogna comporre il fascicolo degli emendamenti, inevitabilmente il termine per gli emendamenti non poteva che essere questa mattina alle 9. Presumo che al Senato lamenteranno la stessa cosa con il decreto «del fare» che è arrivato lì cinque giorni fa. Però quello non lo contesto. Era solo per spiegare che la ragione dei tempi stretti per gli emendamenti è semplicemente tecnica, dovendo affrontare oggi l'esame in Assemblea.
  Per quanto riguarda, invece, la questione delle coperture, alle 13 si riunisce la Commissione bilancio e mi auguro che sarà in grado ovviamente di superare tutti i suoi dubbi e le sue perplessità.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Petrini. Ne ha facoltà.

  PAOLO PETRINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel dibattito di ieri qui alla Camera alcuni colleghi ricordavano la ricorrenza dei cento giorni del Governo Letta. Sarebbe molto positivo se, parallelamente a questo, ci ricordassimo ogni volta che discutiamo di provvedimenti come quello di oggi, che sono cento giorni di Governo con il bilancio 2013 cioè cento giorni di Governo con un bilancio che Pag. 48sicuramente non era stato elaborato per andare incontro alla ripresa e per stimolare la crescita ma era stato elaborato, a Parlamento pressoché sciolto, per poter mantenere una stabilità finanziaria che rafforza quelli che erano gli impegni con l'Unione europea.
  Quindi l'attività, l'azione del Governo Letta si è concentrata maggiormente sul semplificare, efficientare, ottimizzare quello che c’è già e di ridefinire, riallocare delle spese agendo in particolare sul credito, sui crediti e sul fisco o, come anche con il provvedimento in discussione, sulla possibilità di stimolare anche l'occupazione giovanile. Un lavoro svolto sino ad oggi come ricordiamo in particolare con il decreto-legge n. 69 o il decreto-legge n. 35 su crediti, con il decreto-legge n. 54 sull'IMU e la CIG. Tutte attività finalizzate all'avvicinarsi a una ripresa della crescita sulla quale innegabilmente agirà in maniera positiva o negativa anche naturalmente la nostra attività, oltre agli innumerevoli fattori che la influenzano.
  Infatti, sui tempi e l'intensità della ripresa incideranno le misure prese dal Governo e dal Parlamento, la capacità di definire un quadro di politica economica stabile e il rafforzamento delle azioni volte a migliorare il contesto in cui operano le imprese. Un lungo percorso di cui vanno coperti tantissimi tratti, non una corsa perdifiato, a cominciare da quello importantissimo dei crediti verso la pubblica amministrazione.
  Io credo che, attraverso questo provvedimento, con la modifica apportata dal Senato, diamo una risposta adeguata ed appropriata al problema, mettendo a disposizione, oltre ai 40 miliardi di euro già precedentemente stabiliti, ulteriori 20-25 miliardi di euro all'inizio del prossimo anno. I crediti maturati nei precedenti esercizi possono, infatti, essere ceduti pro soluto agli intermediari finanziari assistiti da un meccanismo di garanzia sussidiaria dello Stato sui crediti certificati acquistati dalle banche o dalle società di factoring. Evidente il vantaggio per gli operatori economici fornitori della pubblica amministrazione, non solo per una questione che definirei etica, ma anche per il necessario avvicinamento a quelle che sono le norme dell'Unione europea che ormai ci impongono tempi molto più brevi per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. Ma molto positivo il giudizio anche dal lato dello Stato. Tale garanzia, infatti, non incide sul debito pubblico perché è riferita al pagamento di debiti già contabilizzati nel bilancio pubblico. Dal lato delle banche, poi, questi crediti, in quanto garantiti dallo Stato, pesano in modo limitato sui coefficienti patrimoniali ai sensi delle regole di Basilea 3. Inoltre, questi crediti potrebbero pure essere usati, analogamente all'esperienza svolta in Spagna, come collaterali per i finanziamenti presso la BCE.
  L'altra questione di notevole importanza economica è il posticipo dal 1o luglio al 1o ottobre 2013 del termine di applicazione dell'aumento dell'aliquota ordinaria dell'IVA dal 21 al 22 per cento previsto dal decreto-legge n. 98 del 2011, e successive modificazioni, come ci ricordava all'inizio di questa discussione il relatore Causi. Questo provvedimento va a limitare gli effetti depressivi sui consumi. Ricordiamo quelli che sono i dati, ricordiamo le urla di dolore delle associazioni del commercio, ma verifichiamo anche il calo che ha avuto l'IVA pure nei primi sei mesi di quest'anno, del 3,2 per cento, cioè 2,9 miliardi di euro, che dimostra quanto siano depressi i consumi attualmente in Italia. Ma questo provvedimento va a limitare anche gli effetti regressivi dell'imposta. Regressivi devo dire in maniera parziale perché, in questo momento, con l'aumento dell'aliquota ordinaria dal 21 al 22 per cento – voglio ricordare: non dell'aliquota agevolata o super agevolata, cioè quella del 10 o del 4 per cento – gli effetti regressivi sarebbero stati comunque più attenuati. Effetti che riguardano un paniere di beni appartenenti a fasce di reddito più ricche rispetto a quelle più povere che risentono naturalmente delle maggiorazioni sulle altre aliquote IVA.
  La copertura a questo provvedimento, come ricorderete, è data da un'anticipazione di cassa che noi chiediamo ai contribuenti Pag. 49italiani su quello che è il secondo acconto dell'IRPEF e dell'IRES, passando dal 99 al 100 per cento per quel che riguarda l'IRPEF e dal 100 al 101 per cento per quel che riguarda l'IRES, fatta salva comunque la possibilità per i contribuenti di scegliere diversamente in relazione alle aspettative di reddito imponibile e, quindi, di utile che hanno maturato nel corso di quest'anno.
  Credo che questo aspetto legato alla parziale regressività dell'IVA nell'aliquota ordinaria debba farci riflettere anche per quel che riguarda le soluzioni che il Governo dovrà dare alla copertura definitiva di questo provvedimento. Io credo che sia appropriato un intervento selettivo sui panieri, proprio per migliorare la progressività dell'imposta, per migliorare l'equità di questa imposta.
  Del resto, anche attraverso la delega fiscale, anche attraverso, quindi, quelle disposizioni di cui si sta discutendo in VI Commissione – disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita –, ci si sta orientando al riordino anche dei sistemi di agevolazione fiscale finalizzati, naturalmente, alla riduzione dell'erosione dell'imponibile, salvaguardando, comunque, le detrazione dei redditi da lavoro dipendente e autonomo, dei redditi da imprese minori e da pensioni, oltre che quelle legate alla famiglia e alla salute.
  Un'attività, quella su cui si sta decisamente orientando la Commissione riguardo alla delega fiscale, assolutamente necessaria per recuperare base imponibile, limitando non solo l'evasione, ma anche l'elusione e l'erosione delle basi imponibili, finalizzata – come è auspicabile – a diminuire le tasse sul lavoro e sulle imprese, mantenendo, invece, un'imposizione indiretta, magari, più selettiva rispetto ad alcuni prodotti che possano rendere, appunto, meno regressiva questa imposta.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  PAOLO PETRINI. Termino con altri due interventi di questo decreto, di questo provvedimento. In primo luogo, quello sull'indebitamento e il Fondo svalutazione crediti: molto importante per i nostri comuni, perché il limite di indebitamento imposto agli enti locali risalirà all'8 per cento e, quindi, guadagnerà due punti quest'anno e due punti il prossimo anno, così come pure la percentuale per il Fondo svalutazione crediti diminuirà dal 50 al 30 per cento. E questo darà ulteriore ossigeno ai nostri stanchi comuni.

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  PAOLO PETRINI. L'ultima questione, ma la ritengo importante anche se va, semplicemente, ulteriormente a semplificare la normativa, è quella della riduzione di ostacoli al fare impresa e, cioè, il provvedimento che riguarda le società a responsabilità limitata semplificate, la cui disciplina oggi viene unificata.

  PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Petrini.

  PAOLO PETRINI. E voglio ricordare che, attraverso questa disciplina, noi avremo davvero una modalità per fare impresa totalmente gratuita (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldassarre. Ne ha facoltà.

  MARCO BALDASSARRE. Signor Presidente, ammetto che quando ho letto questo decreto la prima cosa che ho pensato è stata: rilancio dell'occupazione giovanile ? Coesione sociale ? Forse hanno sbagliato il titolo. E, poi, sono andato avanti e mi sono soffermato su due parole: «social» e «card». Ancora con la social card ? Promuovere la coesione sociale attraverso la social card: promuovere la coesione sociale attraverso uno strumento che, praticamente, ti identifica come povero. È questo quello di cui abbiamo bisogno, soprattutto in un momento in cui il divario tra i cosiddetti ricchi e i cosiddetti poveri è sempre più ampio ?
  Ebbene, noi vogliamo eliminare del tutto queste forme inutili di assistenzialismo. Pag. 50Noi vogliamo istituire un diritto, secondo il quale nessun individuo deve rimanere, deve vivere sotto il livello minimo di povertà. Questo attraverso l'istituzione di un reddito minimo garantito: non una forma di assistenzialismo, appunto – come ho detto prima –, un aiuto che, in questo caso, si deve chiamare elemosina, ma un diritto. Questo sì che creerebbe veramente coesione sociale, questo sì che garantirebbe la circolazione di denaro, l'aumento dei consumi, con conseguente aumento di lavoro. Certo, questa non può essere l'unica soluzione a tutti i mali, ma sicuramente è la soluzione ideale per far sì che la parola povertà sia solo un brutto ricordo, un errore del passato. Questa social card per noi è l'ennesima finta toppa che il Governo mette su un problema che non vuole veramente risolvere.
  Ma cambiamo pagina; andando avanti e scorrendo vari articoli sono arrivato dove si parla delle start up innovative; qui, le speranze di vedere qualcosa di positivo sono leggermente aumentate per poi vederle subito crollare. Siamo ormai abituati a questo modo di operare tutto all'italiana: si fa qualcosa che potrebbe essere positivo per le imprese, si snatura e si rende difficoltoso nell'applicazione. Dopo qualche tempo si fa un'analisi dove si evince che lo strumento normativo non ha apportato gli effetti desiderati e si abbandona la questione con la frase: ci abbiamo provato, è andata male. Non vorrei che fosse quello che sta accadendo alle start up innovative e agli incubatori. Lo scorso anno, con il decreto-legge n. 179, si è fatto un primo passo per normare quello che esisteva ormai da decenni e che la politica si era scordata o nemmeno si era resa conto che esistesse. Con l'articolo 25 e l'articolo 32 si sono così affrontate le misure per la nascita e lo sviluppo di imprese start up innovative. Un primo passo, certo, che può apparire, ad una prima analisi, come positivo, ma che andando ad analizzarlo nel dettaglio, confrontandosi con tutte quelle imprese che ne dovrebbero usufruire, appare inadeguato, ingessante e poco dinamico e flessibile. Le idee innovative hanno bisogno per loro natura di velocità di azione, flessibilità nello sviluppo, dinamismo nel disbrigo delle pratiche amministrative. Se la normativa non si adegua a questa necessità i progetti di start up innovative sono destinati a nascere e morire incastrati tra la burocrazia e i tempi infiniti per l'accesso ai fondi ed agevolazioni, vincoli inadeguati, termini e adeguamenti normativi che non hanno senso di esistere.
  Ci siamo mai chiesti se è il caso di aprire un vero canale di dialogo con tutti gli attori in campo ? Chi meglio delle imprese che sono tirate in causa direttamente possono dire quali sono le cose che funzionano e quelle che purtroppo non funzionano ? Allora dobbiamo cominciare a fare un bagno di umiltà, uscire da queste stanze, andare ad incontrare i protagonisti di tutti quei progetti innovatori, che stanno funzionando, e capire quali sono stati gli ingredienti che hanno portato a tale risultato.
  Con lo stesso impegno si dovrebbero incontrare tutte quelle realtà che hanno fallito nel nostro Paese, che se ne sono andate via dall'Italia, che sono morte sul nascere e chiedere le motivazioni e capire cosa ha portato a questo risultato. Solo così la normativa in merito alle start up innovative può svilupparsi ed essere realmente di aiuto allo sviluppo delle idee innovative. Dobbiamo partire da qui. Dobbiamo applicare l'innovazione alle nostre imprese storiche italiane, le imprese artigiane, il manifatturiero e nel contempo aprire le porte a tutte quelle idee che un giorno segneranno la vita nei vari campi dell'innovazione. Dobbiamo recuperare terreno e prendere ad esempio le migliori realtà a livello internazionale; se non facciamo questo non ci sarà nessuna via di uscita per quello che riguarda il sistema lavorativo italiano. Un giorno, come detto prima, non vogliamo sentir dire: non ha funzionato, ci abbiamo provato, ma dobbiamo abbandonare. Invece no, non ci abbiamo nemmeno provato perché con il decreto-legge n. 76 del 2013, il decreto lavoro, il Governo poteva davvero correggere gli aspetti che non hanno funzionato, Pag. 51sbloccare le procedure ancora ferme dal 2012 e invece no, anche questa volta, nessun gesto di coraggio. Mai una volta che riuscite in un gesto di innovazione vero con una visione al futuro, alle nuove tecnologie, alla valorizzazione delle imprese che innovano veramente nel nostro Paese.
  Non ce la farete mai e questa è la dura realtà. Non ce la farete mai perché non avete a cuore questo Paese, ma solo i vostri interessi. Chiudo con una frase di un famoso filosofo rivoluzionario russo, Michail Bakunin, che disse: è ricercando l'impossibile che l'uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile non hanno mai avanzato di un solo passo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Giammanco. Ne ha facoltà.

  GABRIELLA GIAMMANCO. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, è innegabile che il problema della disoccupazione nel nostro Paese rappresenti, ormai, una vera e propria emergenza sociale a cui dobbiamo dare delle risposte concrete nel più breve lasso di tempo possibile. È soprattutto per questo che abbiamo scelto di dare la fiducia al Presidente del Consiglio Letta e al suo Governo. Lo abbiamo fatto perché vogliamo riconoscere a tanti italiani, giovani e meno giovani, che non riescono a trovare un'occupazione, la dignità che meritano, milioni di italiani che hanno imparato ad arrangiarsi come possono, tra mille sacrifici e rinunce quotidiane.
  Il decreto in discussione costituisce, quindi, un primo parziale intervento dell'Esecutivo a sostegno dell'occupazione, emanato in attesa di ulteriori misure da realizzare anche attraverso il ricorso alle risorse della nuova programmazione comunitaria 2014-2020. Si tratta, quindi, di un provvedimento che da un lato risponde all'emergenza occupazionale, introducendo incentivi principalmente al sostegno, ma non solo, dell'occupazione giovanile, e dall'altro interviene per consentire al nostro Paese di dotarsi della strumentazione dei servizi necessari alla piena attuazione delle misure e delle opportunità di crescita offerte dai fondi comunitari dei prossimi sette anni. Si sarebbe potuto fare certamente di più lasciando da parte qualche eccessiva timidezza nella elaborazione di provvedimenti strutturali destinati a rilanciare consumi, produzione e investimenti, ma noi, parlamentari del Popolo della Libertà, ci auguriamo che questo decreto, emanato subito dopo l'importante Consiglio europeo focalizzato sulla questione del lavoro giovanile, possa rappresentare un primo importante passo nella direzione giusta. La promozione dell'occupazione giovanile è essenzialmente perseguita dal primo articolo del decreto, che mantiene in parte ciò che avevamo chiesto noi del Popolo della Libertà, ciò che volevamo, ciò che avevamo promesso ai nostri elettori, prevedendo uno sgravio fiscale per un periodo massimo di 18 mesi per chi assume a tempo determinato giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni, che secondo il regolamento comunitario (CE) 800/2008 della Commissione rientrano nella categoria dei lavoratori svantaggiati.
  Dal 2013 al 2016 verranno destinati alle imprese, in via sperimentale, circa 794 milioni di euro, di cui 500 per le regioni del Mezzogiorno e 294 per le restanti. Purtroppo la differenza nello stanziamento della dotazione finanziaria ha sollevato in Commissione lavoro non poche polemiche in «salsa» nordista da parte degli amici della Lega Nord, che lamentano gli sprechi di danaro pubblico nelle regioni del Sud. È vero, da siciliana mi spiace ammettere che abbiamo assistito fin troppo spesso a gestioni scellerate della cosa pubblica, ma è altrettanto vero che non possono essere i cittadini e soprattutto chi vive nella miseria a dover scontare gli errori di amministratori locali che hanno contribuito non poco a far rimanere indietro il Mezzogiorno rispetto al resto del Paese. Tra l'altro, lo voglio ribadire con forza, non stiamo parlando di un nuovo stanziamento di risorse per il Sud, ma di fondi europei già destinati alle aree più Pag. 52povere del Paese. Nessuna discriminazione, quindi, è stata fatta tra Nord e Sud. Si tratta, lo voglio ripetere, di somme che sarebbero dovute andare in ogni caso alle regioni del Mezzogiorno, per aiutarle a mettersi al passo con le altre regioni d'Italia. Critichiamo quindi con forza chi continua a sostenere la battaglia tra il nord e il sud del Paese. L'Italia è una e va difesa nella sua interezza. Le sterili polemiche di questi giorni dovrebbero quindi lasciare il posto allo spirito solidale che si dovrebbe avere nei confronti delle regioni che stanno peggio. Nel Mezzogiorno il tasso di disoccupazione è di 15 punti percentuali superiore al resto d'Italia. Più di un giovane su due è disoccupato. Gli investimenti nell'industria sono crollati di quasi il 50 per cento, e un terzo delle famiglie è a rischio povertà.
  Potrei continuare ancora, ma già questi dati credo siano sufficienti a denunciare tutto il malessere del Mezzogiorno e ci impongono di individuare soluzioni che possano aiutare presto, al più presto possibile, una popolazione sempre più insofferente. Il decreto in questione, inoltre, consentirà a circa 200 mila giovani di accedere a nuove opportunità di formazione, per esempio consentendo ai giovani che lavorano, non studiano e non partecipano ad alcuna attività di formazione, di svolgere tirocini formativi, e oltre a ciò rilancia il contratto di apprendistato professionalizzante, rendendo più semplice per le imprese il ricorso a questa tipologia di contratto. Per i giovani il decreto prevede inoltre il rifinanziamento con 80 milioni di euro del fondo per l'autoimpiego e per l'autoimprenditorialità, così come da me sollecitato nell'ordine del giorno presentato al Governo il 5 giugno scorso per incentivare nuove forme di impresa e per ampliare la base produttiva del Paese.
  Il decreto-legge corregge poi le storture della legge cosiddetta Fornero, che nulla di buono hanno portato nel mercato del lavoro (e l'abbiamo visto), ripristinando quindi i meccanismi di flessibilità in entrata aboliti dal Governo Monti.
  Il provvedimento, infine, non mira ad incentivare solo l'occupazione giovanile, ma prevede anche la concessione di un nuovo contributo per l'assunzione a tempo indeterminato dei disoccupati, a prescindere dall'età, che fruiscono dell'ASPI.
  Complessivamente, quindi, si tratta di misure concrete, ma al tempo stesso parziali a favore dell'occupazione, che pur facendomi apprezzare il valore del decreto-legge in questione mi portano comunque a spronare il Governo ad avere più coraggio nei prossimi mesi, adottando misure maggiormente incisive: non c’è tempo, gli italiani non possono più aspettare, e non possiamo limitarci a dare dei segnali.
  Si tratta sicuramente di un beneficio, l'incentivo che viene dato ai datori di lavoro per l'assunzione di giovani a tempo indeterminato; ma non sarà uno sgravio fiscale di 18 mesi a cambiare ciò che oggi condiziona il mercato del lavoro e lo rende quanto mai incerto: mi riferisco alla precarietà delle prospettive, che induce i datori di lavoro a non assumere giovani in assenza di un'economia vitale, che promette crescita in modo stabile. Pur potendo avvalersi di un importante sgravio fiscale, nessuna impresa, piccola, media o grande che sia, assumerà a tempo indeterminato se non ha commesse, se ha giacenze di magazzino per mesi e se non vede sicure prospettive di ripresa che incoraggino gli investimenti e la produzione.
  È necessario, quindi – non ci stancheremo mai di ripeterlo –, intervenire sul cuneo fiscale e contributivo per abbassare il costo del lavoro; semplificare e snellire procedure burocratiche e regole per chi vuole fare impresa; e garantire un solido sistema creditizio alle aziende, perché troppe non hanno capitali sufficienti per poter competere sui mercati internazionali.
  Tutto ciò, unitamente a tempi della giustizia civile più rapidi, scoraggerà la delocalizzazione delle aziende, e anzi incentiverà anche gli investimenti dall'estero. Servono, perciò, riforme di sistema, che affrontino l'emergenza disoccupazione nella sua complessità, nella consapevolezza Pag. 53che i problemi strutturali di questo Paese vanno risolti con progetti organici di sviluppo, che dovranno tradursi necessariamente in meno tasse, regole meno stringenti e più competenze professionali. Quindi andiamo avanti, continuiamo a lavorare, ma facciamo presto (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente) !

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lavagno. Ne ha facoltà.

  FABIO LAVAGNO. Signor Presidente, il disegno di legge di conversione del decreto-legge in discussione oggi...

  PRESIDENTE. Le chiedo scusa, onorevole Lavagno: per informazione generale, siccome alcuni dei colleghi mi hanno chiesto come proseguiamo con i lavori, interromperemo alle 13,45 e riprenderemo alle 15 in punto. Prego, onorevole Lavagno.

  FABIO LAVAGNO. Per solidarietà ai colleghi, dirò che non arrivo fino alle 13,45.
  Il disegno di legge che converte il decreto-legge in discussione oggi si inserisce ormai nella troppo lunga serie di provvedimenti caratterizzati da titoli di forte impatto mediatico e densi di materie eterogenee fra loro. Ancora una volta, dobbiamo richiamare il Governo a fare politiche realmente utili, incisive, capaci di programmare, e non solo utili a creare titoli o articoli di giornale. Non usare allo stesso tempo lo strumento della decretazione per mettere assieme materie generiche in una generica miscellanea, come invece troppo spesso abbiamo assistito in quest'Aula e in questi mesi.
  Non condividiamo la filosofia ispiratrice del provvedimento, che punta ad aumentare l'occupazione attraverso incentivi alle imprese e maggiore flessibilità, anziché politiche attive sul lavoro. Abbiamo detto, altri colleghi in Commissione hanno detto: non sono gli incentivi che creano lavoro, ma sono le politiche, e sono le politiche industriali che da troppo tempo mancano in questo Paese.
  Denunciamo in particolare le forzature sui contratti di apprendistato, utilizzati per ridurre il costo del lavoro e fronteggiare carenze di organico nella pubblica amministrazione. Si tratta ancora una volta – e spiace ribadirlo – di interventi parziali, in cui denunciamo il rinvio di scelte essenziali.
  Le perplessità però rispetto a questo decreto-legge a quanto pare non sono solo nostre, non sono solo delle opposizioni di questa Camera, ma sono ben più diffuse e ben più larghe.
  Lo stesso esito delle votazioni al Senato, che ha approvato il decreto qualche giorno fa, ci dice che sì sono stati 203 i favorevoli, ma oltre ai contrari dell'opposizione addirittura 30 senatori si sono astenuti e forse questo ci spiega la frettolosità, la modalità del tutto irrituale con cui questo decreto è stato affrontato nella sua discussione in Commissione, la modalità della blindatura della Commissione in cui tutta la parte relativa agli emendamenti è passata senza discussione, a colpi di maggioranza. Ci sembra un modo di procedere affrettato e che le discussioni che si stanno facendo a margine di quest'Aula rispetto alle dubbie coperture, rispetto all'ipotesi che questo possa tornare al Senato, insomma in qualche modo riapre non solo la discussione, ma tutte le perplessità che noi abbiamo sollevato in Commissione.
  Signor Presidente, noi ieri in Commissione non abbiamo apprezzato l'atteggiamento della Presidenza della Commissione, non solo non lo abbiamo apprezzato ma avremmo voluto stigmatizzarlo; è per rispetto stesso della Commissione che comunque abbiamo partecipato a quei lavori, ma sono lavori fatti in un modo che non è degno rispetto a dei lavori parlamentari e al rispetto stesso della Commissione, per come si sono svolti. Spero che questo sia un increscioso evento che non debba più ripetersi in quella modalità e con quell'irrisione stessa di chi conduceva la Presidenza nei confronti delle obiezioni delle opposizioni.
  Non è solo all'interno di queste Aule che si rilevano perplessità rispetto al decreto, Pag. 54perché anche la Conferenza delle regioni e delle province ha dichiarato di ritenere insufficiente il contenuto del provvedimento rispetto alla platea dei destinatari e che servono ulteriori misure per quanto riguarda la promozione dell'occupazione e la ripresa dello sviluppo. Qua non si fa né l'uno né l'altro, a nostro avviso. La Conferenza in particolare ha rimarcato l'assenza di concertazione con le regioni – quindi la strozzatura del dibattito non ci lascia soli ma ci lascia in qualche modo in buona compagnia – che ha portato alla duplicazione, attraverso le misure contenute all'interno del decreto stesso, di manovre che spesso vengono svolte sia a livello territoriale sia a livello regionale, quindi con una mancata programmazione e forse anche una dispersione di risorse e di energie, rispetto a tematiche che dovrebbero essere, per le stesse dichiarazioni del Presidente del Consiglio, prioritarie, e se non lo sono per dichiarazione del Presidente del Consiglio lo sono per la situazione contingente, che noi tutti conosciamo, rispetto all'andamento occupazionale del nostro Paese.
  Alle poche misure positive che si registrano nei primi articoli relativi al mondo del lavoro, se ne registra un numero ben superiore di aspetti negativi, come le misure di ulteriore precarizzazione dei contratti flessibili e atipici, e con i primi tentativi di rendere il contratto di apprendistato come nuova forma di sfruttamento vero e proprio dei lavoratori, ciò in un Paese in cui, come testimoniano i dati, è precario il 52 per cento dei giovani sotto i 25 anni, il doppio rispetto a una decina di anni fa.
  Sostenere che si vuole proseguire un cammino intrapreso significa non rendersi conto di non aver mai avviato nessun percorso, determinando così un peggioramento della situazione; ad esempio restano da sciogliere nodi importanti come il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, la questione degli esodati e la questione del blocco dell'aumento dell'IVA, di cui diremo tra poco, così come il non aumento dell'IVA nel settore socio-sanitario. Si tratta di vere e proprie emergenze sociali, che però appaiono totalmente aliene dal dibattito parlamentare e questo non può che farci impressione rispetto al totale distacco tra i problemi reali del Paese e quello che invece avviene fuori da queste Aule.
  Sul fronte fiscale, oltre al noto differimento ad ottobre dell'aumento di un punto percentuale dell'aliquota IVA, con alcune norme si provvede ad assegnare agli enti locali maggiori margini finanziari attraverso proprie leve fiscali, al fine di dotarle di più risorse per onorare i debiti delle pubbliche amministrazioni, così come una serie di misure – e qui viene la collettanea, miscellanea e un po’ generica di questo decreto, di altre misure che vanno dalla normativa sulle società a responsabilità limitata semplice alle agevolazioni sui danni da eventi sismici, presenti e passati, a tutta un'altra serie di provvedimenti che intervengono sul Fondo sociale piuttosto che sul Fondo del servizio civile; però stiamo – credo – sul punto principale, quello del mancato aumento dell'IVA dal punto di vista fiscale.
  Ebbene, la proroga di tre mesi dell'aumento delle aliquote IVA, quindi la ciccia vera della parte finanziaria di questo decreto, sta in tre parole, che derogano dal 1o di luglio al 1o di ottobre questo aumento. In realtà, è il segno di una politica che non segue una logica di previsione, o la segue a breve o a brevissimo termine, che denuncia la mancanza di una programmazione seria di questo Governo, ma – mi permetto di dire – anche dei tre precedenti.
  Lo slittamento dell'IVA è storia degli ultimi anni, che attraversa l'attività di almeno tre Governi, a partire dal 2009, dal Governo Berlusconi, quando, in virtù del pareggio di bilancio concordato in sede europea, si era ipotizzato un aumento, o un non aumento dell'IVA, in base a come venissero modulate le detrazioni e le agevolazioni fiscali. Il decreto-legge «salva Italia» l'ha ulteriormente procrastinato in virtù di tagli o del riordino della politica sociale, e oggi siamo a un rinvio, non strutturale, non ad una sua definizione generale e stabile, ma a un rinvio di tre Pag. 55mesi, in cui, ancora una volta, le scelte prioritarie vengono meno e non vengono affrontate perché la modalità per coprire questo mancato aumento delle aliquote, in realtà, non risiede in altro che, in buona parte, nell'anticipo o nell'aumento degli acconti rispetto a tassazioni come l'IRAP o l'IRES, ovvero in un'ulteriore riduzione della base imponibile, una proposta fatta per ottenere a breve termine liquidità, una misura che difficilmente, nella sua performance, potrà essere replicata già a partire dal prossimo anno. In questo – dico – è scellerato il fatto di proseguire, non attraverso scelte di carattere generale, incisivo e stabile, ma, ancora una volta, con scelte assolutamente effimere, che hanno realmente la durata di pochi mesi e non riescono a traguardare, andando a riferirsi e a colpire ancora una volta, attraverso gli anticipi di cui dicevamo, quegli aspetti di chi o risente, o richiede maggiormente il non aumento delle aliquote IVA.
  Guardate che non siamo noi che vogliamo certamente aumentare l'IVA, che va ad incidere pesantemente sui consumatori finali, quindi su una platea molto ampia, però occorre farlo con buonsenso e non con alchimie ragionieristiche, come avviene in questo caso.
  C’è poi una parte, che sfugge in buona parte alla discussione, che è quella della tassazione dei cosiddetti prodotti succedanei da tabacco, le cosiddette sigarette elettroniche. È una novità, un'introduzione uscita dal cappello all'interno di questo decreto, che ci lascia non perplessi, ma attoniti per l'approssimazione rispetto a questa tematica. Si tratta di una tassazione, della messa sotto monopolio di una serie di prodotti nuovi, che sono sbarcati sul mercato negli ultimi anni: una tassazione altissima, superiore al 58 per cento nei confronti di strumenti e prodotti, la cui nocività, o meno, non è testata e quindi in assenza di una normativa generale rispetto alla salute su questi tipi di prodotto, ma, così come non è certa la nocività o meno di questi progetti, è certo che hanno creato un sistema produttivo e un indotto commerciale notevole e piuttosto diffuso nel nostro Paese in questo anno.
  Ora mi chiedo: ha senso andare a deprimere un sistema produttivo di commercializzazione, che si è diffuso e sembra, a quanto pare, essere fiorente – dico sembra perché mancano, allo stesso Ministero dell'economia delle finanze, i dati relativi alla vendita di sigarette elettroniche e di prodotti ad esse correlati – che sembra essere diffuso e sembra dare occupazione o ricollocazione rispetto a gente che ha perso il lavoro ? Si tratta di una parte, per quanto residuale, di sistema produttivo italiano, che vede una forte esportazione. Ora, trovo piuttosto ridicolo, all'interno di un decreto sull'occupazione, andare, allo stesso tempo, nella norma finanziaria, a deprimere una parte di sistema produttivo, per quanto magari esiguo e residuale. Noi abbiamo proposto modalità alternative rispetto a questo, perché se è riduzione di un vizio bene, ma sia riduzione di un vizio davvero ! Se vogliamo tassare qualche vizio, tassiamo quello del gioco, che mi sembra una vera piaga sociale.
  Noi abbiamo proposto anche molti altri emendamenti al Governo e all'attenzione delle Commissioni che sono stati stralciati – non solo quelli sulle materie del lavoro ma anche quelli sulle materie finanziarie – che dessero senso e corpo alla miscellanea che è corollario di questo decreto. Un innalzamento rispetto al Fondo sul servizio civile che non fosse di facciata ma fosse di sostanza ed effettivamente garantisse l'opportunità formativa non lavorativa rispetto a questo processo. Abbiamo, come dicevo, portato emendamenti rispetto alla tassazione del mercato delle sigarette elettroniche, attraverso coperture della tax expenditure piuttosto che della tassazione da gioco. Abbiamo portato emendamenti rispetto al continuo saccheggio di due fondi, quello dell'IRAP, di cui abbiamo detto, così come quello dell'8 per mille, più volte saccheggiati da questo Governo.
  Ebbene, tutti questi emendamenti propositivi, che potevano stare in piedi e che Pag. 56potevano dare alcuni aspetti positivi a questo decreto, sono stati stralciati, irrisi dalla conduzione della Commissione di ieri. Questo non è un fatto che noi diciamo per vittimismo. È un fatto che noi diciamo e rimarchiamo e denunciamo per la dignità e per il rispetto che abbiamo nei confronti di quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baruffi. Ne ha facoltà.

  DAVIDE BARUFFI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, con questo decreto siamo al quarto atto significativo di questa legislatura, che segna un ulteriore elemento di discontinuità e di cambiamento rispetto alle scelte di politica economica degli ultimi cinque anni. Quello dei pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione, il «decreto del fare» che conteneva le prime misure attive a sostegno della crescita, quello degli ecobonus e infine questo, il «decreto lavoro», appunto, che noi giudichiamo un primo parziale ma importante passo in avanti rispetto alle priorità indicate dal Governo per sostenere una crescita occupazionale buona, in particolare per i giovani.
  Parziale, come ha ricordato anche il relatore Pizzolante, perché le risorse destinate, pur importanti, sono insufficienti a generare quel significativo sgravio fiscale di cui abbisognano lavoratori e imprese. Parziale anche perché, ne siamo ben consapevoli, per creare lavoro occorrono investimenti pubblici e privati, nonché un sostegno ai redditi medio-bassi per rilanciare la domanda interna. E parziale, infine, perché anche nel definire una platea di giovani più ampia di quanto non faccia la Commissione europea, le risorse limitate hanno costretto a circoscriverla più di quanto sarebbe necessario fare e gli incentivi avrebbero, di converso, bisogno di essere più stabili nel tempo se non più cospicui.
  E, tuttavia, io credo che non si possa minimizzare come tra gli altri vi siano nel decreto due elementi essenziali innovativi che, se perseguiti con coerenza negli anni a venire, rappresentano un cambiamento importante sostanziale destinato a lasciare traccia e a modificare il quadro del mercato del lavoro. Il primo obiettivo è generare nuova e stabile occupazione. Gli incentivi fiscali, come ricordato, sono, quindi, per chi assume giovani a tempo indeterminato. L'occupazione stabile non si crea per via regolamentare e legislativa, magari impedendo il lavoro flessibile, ma facendo sì che il lavoro stabile sia più vantaggioso e conveniente rispetto a quello precario, a partire naturalmente dai suoi costi. Noi stiamo dalla parte di chi crea lavoro, di chi assume giovani e non scarica sulla qualità e sui diritti del lavoro una fittizia competitività. Con questo decreto diamo, quindi, questa prima importante indicazione.
  Il secondo elemento è che vogliamo sostenere quelle imprese che decidono di stabilizzare il lavoro che oggi è precario. Quest'ultimo può senz'altro essere una strada di accesso al mondo del lavoro per i più giovani. Il lavoro flessibile è senz'altro preferibile all'inoccupazione, soprattutto per tanti ragazzi che rischiano oggi di non lavorare mai. Bene, quindi, gli interventi sull'apprendistato e anche quelli sui tirocini. Bene anche le modifiche introdotte per i contratti a tempo determinato – io non condivido i giudizi dei colleghi di SEL – per rendere questo istituto più coerente alle sollecitazioni venute financo dalle parti sociali stesse. Ripeto: la priorità è consentire a migliaia di giovani, in cerca di prima occupazione, di iniziare e di non essere tagliati cronicamente fuori dal mercato del lavoro e, in definitiva, dalla società.
  Ma, non possiamo rassegnarci ad una generazione – ormai a più generazioni – di precari. Il Paese deve fare scelte strategiche e il Governo deve sapere indicare una direzione di marcia precisa, fornendo strumenti e incentivi coerenti per perseguirla.
  Io, Presidente, ho anche ascoltato qui, in Commissione, nel dibattito le sollecitazioni che sono venute da parte dei gruppi delle Pag. 57minoranze, alcune di queste assolutamente condivisibili, e raccolgo senz'altro la sollecitazione del relatore Causi.
  Credo che nei prossimi provvedimenti, nella prossima iniziativa legislativa, noi dovremo raccogliere una parte di quei contributi. Mi chiedo però quale sia il senso di marcia che viene proposto dalle minoranze che hanno presentato queste singole proposte. Ho ascoltato infatti che dentro questo decreto-legge e nell'agenda del Governo non vi sarebbe una tabella di marcia precisa, un orizzonte, una strategia. Ho sentito anche qui dibattere rispetto al possibile e all'impossibile, citando Bakunin.
  A me viene in mente più che altro Seneca, cioè non c’è davvero nessun vento favorevole per il marinaio che non sa dove vuole andare. A me pare invece che, con tutti i limiti segnalati, che ho ricordato brevemente, questa indicazione nuova oggi, anche all'interno di questo provvedimento, vi sia. Ci sono strumenti dentro questo decreto-legge che offrono secondo me coerenti risposte alla direzione di marcia indicata dal Governo. D'altra parte, Presidente, fra la urgenze ed emergenze che abbiamo segnalato questa dell'occupazione giovanile è senz'altro la più seria e persistente in Italia, come nel resto d'Europa e, per questa ragione, abbiamo sostenuto lo sforzo del Governo in sede comunitaria per riorientare le priorità dell'agenda ed abbiamo salutato anche come un primo significativo successo le scelte assunte di recente, lo scorso 28 giugno, dal Consiglio europeo rispetto proprio al tema dell'occupazione giovanile.
  È sufficiente tutto questo ? Certamente no, ma non vedere il cambio e non riconoscere quanto vi sia dell'iniziativa del nostro Governo, di Enrico Letta in particolare, dentro quel cambio di agenda, oltre che ingeneroso, a me appare davvero sbagliato. Non dimentichiamo neanche per un istante, tuttavia, le altre due questioni urgenti che sono state richiamate, che sono forse di minor respiro strategico, ma nell'immediato ancora più scottanti sul piano sociale: il finanziamento della cassa in deroga e la necessità di riordinare gli ammortizzatori sociali, affinché nessuno che perde il posto di lavoro sia lasciato solo. Ed è confortante l'indicazione venuta anche oggi dal Ministro Giovannini rispetto all'impegno di rifinanziare a settembre con un ulteriore miliardo e mezzo questo istituto. Attendiamo anche in Aula, da questo punto di vista, un segnale da parte del sottosegretario Dell'Aringa. La seconda è l'emergenza esodati in un quadro di rivisitazione e direi anche di civilizzazione di quella riforma previdenziale, che ci consegna giorno per giorno problemi crescenti. Queste tre priorità, giovani, ammortizzatori sociali e pensioni, in questa fase per noi si tengono. L'iniziativa del Partito Democratico incalzerà il Governo a dare risposte coerenti con gli impegni assunti nel momento del suo insediamento. Concludo davvero, Presidente, con una annotazione che esula dai problemi affrontati nel seno della mia Commissione, la Commissione lavoro, perché riguarda un aspetto a me caro, ossia la ricostruzione dell'Emilia dopo il sisma del 20 e 29 maggio del 2012. Sono contenute nel decreto-legge alcune prime puntuali risposte a sollecitazioni stringenti poste da noi al Governo in occasione della recente conversione del decreto-legge emergenze. Voglio dare atto al Governo di aver tempestivamente onorato gli impegni assunti in quella sede, dando qualche certezza in più ad un territorio che, se adeguatamente sostenuto nella sua ricostruzione, credo potrà dare un contributo di primo livello alla crescita del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. A questo punto non ci sarebbe il tempo per il prossimo intervento. Quindi quello dell'onorevole Busin sarà il primo degli interventi alla ripresa pomeridiana alle 15. Immagino che l'onorevole Busin sarà contento. Abbiamo cinque minuti, se lei sta nei cinque minuti, le posso dare la parola adesso, se no dobbiamo sospendere.

  FILIPPO BUSIN. Signor Presidente, interverrò alla ripresa pomeridiana della seduta.

Pag. 58

  PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15.

  La seduta, sospesa alle 13,40, è ripresa alle 15.

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bressa, Capezzone, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gitti, Leone, Melilla, Meta, Pisicchio e Toninelli sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione del disegno di legge n. 1458.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 1458)

  PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono iniziati gli interventi in sede di discussione sulle linee generali.
  Ha chiesto la parola la vicepresidente della Commissione lavoro, Renata Polverini. Prego.

  RENATA POLVERINI, Vicepresidente della XI Commissione. Signor Presidente, volevo chiederle, anche a nome del presidente della VI Commissione, onorevole Capezzone, la possibilità di avere mezz'ora di tempo a disposizione, perché non siamo riusciti a riunire il Comitato dei diciotto in quanto la VI Commissione è impegnata in altra seduta, ugualmente importante.

  PRESIDENTE. Onorevole Polverini, io farei così: siccome un po’ conosciamo come vanno le cose e, magari, vi è necessità di un po’ di tempo in più, onde evitare che noi sospendiamo e poi, eventualmente, riprendiamo la seduta, per poi sospenderla nuovamente, e approfittando del fatto che è in corso anche l'Ufficio di Presidenza, se lei è d'accordo e se i colleghi sono d'accordo, a questo punto sospenderei la seduta fino alle ore 16, in maniera tale che si concludano tutti i lavori che ci sono da concludere in Commissione e nel Comitato dei nove e che si concluda l'Ufficio di Presidenza, e alle ore 16 riprendiamo con il seguito dell'esame. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 16.

  La seduta, sospesa alle 15,05, è ripresa alle 16.

  PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono iniziati gli interventi in sede di discussione sulle linee generali.
  Ricordo anche che la seduta è stata sospesa per permettere la riunione delle Commissioni VI (Finanze) e XI (Lavoro). Riprendiamo ora gli interventi in discussione sulle linee generali.

(Ripresa della discussione sulle linee generali – A.C. 1458)

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Busin. Ne ha facoltà.

  FILIPPO BUSIN. Signor Presidente, volevo ricordare come ha avuto inizio questo decreto-legge, almeno per quanto riguarda l'argomento IVA e per quello che mi riguarda. Lo ricordo benissimo: è stato l'intervento del Ministro dello sviluppo economico, Flavio Zanonato, ad una assemblea di commercianti, mi pare, del padovano, nel quale il Ministro stesso ha dichiarato, subissato dai fischi, che l'aumento dell'IVA non poteva essere evitato per mancanza di copertura, per mancanza di risorse. A ciò è seguito il fuoco incrociato, ma fuoco amico, da parte dei suoi stessi colleghi, compagni di partito, e alleati di Governo, i quali hanno subito smentito e si sono premurati di rettificare le sue dichiarazioni, stigmatizzando la sua Pag. 59uscita e mettendolo, a mio parere, in grave imbarazzo. Questo inizio così irrituale, quasi da teatro dell'assurdo, poi si è protratto anche per quanto riguarda l'iter parlamentare, almeno fino alla fase odierna, la discussione in Aula (anche se sono poco ottimista sul fatto che la discussione in Aula mi farà cambiare idea sull'iter procedurale di questo decreto). Infatti, vorrei quasi che il popolo italiano avesse a disposizione un video in cui fossero state riprodotte le vicende della discussione nelle Commissioni riunite, VI (Finanze) e XI (Lavoro), durante la quale gli emendamenti, per quanto di buonsenso, per quanto migliorativi del testo, per quanto a maggior chiarimento del decreto-legge che ci accingiamo a discutere, sono stati completamente ignorati, valutati con grave superficialità, svuotando così di qualsiasi contenuto il lavoro del deputato, le sue prerogative e il suo possibile contributo al miglioramento del testo.
  Dobbiamo dircelo in modo chiaro, senza ipocrisia: in questo, come in altri decreti-legge, la democrazia è stata commissariata, in questo Paese. In questo senso il Governo Letta è nella scia del Governo precedente, del Governo Monti, e il Parlamento è stato completamente svuotato del suo ruolo. Ciò è stato anche certificato dal comportamento dei deputati del Movimento 5 Stelle, che non si può che condividere, i quali, nel corso della discussione, si sono alzati e hanno abbandonato l'aula, a certificare la loro inutilità. Questo lo condivido. È stato un brutto momento, anche secondo me, della democrazia del nostro Paese.
  Ma per arrivare al contenuto di questo decreto-legge, esso si compone di due sezioni, una più corposa che riguarda il lavoro. Anche se non è la mia materia, vorrei sottolineare la grave, gravissima sperequazione che è stata portata avanti con questo decreto, tutto a favore di alcune regioni, regioni meridionali, e a svantaggio del settentrione. I dati del resto parlano chiaro, non è una nostra posizione preconcetta o strumentale: più del 70 per cento delle risorse messe in campo per stabilizzare il lavoro a tempo determinato, per favorire l'assunzione di giovani, per stimolare l'autoimprenditorialità e quant'altro, è stato rivolto, tutto, verso le regioni meridionali.
  Poiché abbiamo messo in rilievo questa grave ingiustizia, siamo stati accusati di egoismo, di mancanza di sensibilità, di mancanza di solidarietà territoriale per quanto riguarda le parti più svantaggiate del nostro Paese. Allora io vorrei ricordare alcuni dati, perché questo provvedimento si innesta in una situazione che è gravemente anomala per quanto riguarda il nostro Paese, che vede un trasferimento abnorme di risorse, che vanno tutte in un verso e che vanno ben oltre quello che è il limite che noi consideriamo giusto e verso il quale ci esprimiamo in modo favorevole, di solidarietà territoriale fra regioni più ricche e regioni più povere.
  Si parla di 80 miliardi di euro circa che, ogni anno, prendono una strada ed è sempre una strada a senso unico: vale a dire dalle regioni cosiddette «produttive», più ricche d'Italia, vanno in altre regioni e non tornano indietro. Solo il Veneto ha un residuo fiscale, cioè risorse che dà allo Stato centrale e che non riceve né in trasferimenti né in investimenti da parte dello Stato, di 18 miliardi di euro. Allora, per fare un riferimento, per avere una dimensione della cifra, sappiate che il bilancio della regione Veneto è di 12 miliardi di euro. Quindi, siamo ad una cifra che è del 50 per cento superiore al bilancio della regione Veneto. Con questi soldi noi potremmo avere un'altra mezza regione Veneto che funziona nel nostro territorio.
  È chiaro che meccanismi di perequazione sono logici e sono perfettamente sottoscrivibili, però devono essere logici. Qui abbiamo superato il limite. Basti un esempio, quello della capacità fiscale. Voi sapete che, anche in Germania (o in altri Paesi federali), c’è questo meccanismo perequativo da parte dei Länder più ricchi nei confronti dei Länder più poveri. Ecco, in base alla Costituzione tedesca, però, questo meccanismo perequativo non può Pag. 60stravolgere la classifica della capacità contributiva e della capacità fiscale dei Länder.
  Cosa vuol dire ? Vuol dire che se io faccio una donazione o faccio dell'elemosina non posso, nel momento in cui l'ho fatta, trovarmi più povero di chi è stato beneficiario di questa donazione o di questa elemosina. Invece, è quello che paradossalmente succede proprio in Italia. Il Veneto è la seconda regione per capacità contributiva in Italia prima della perequazione. Avvenuta la perequazione, si trova al sesto posto in classifica, cioè diventa più povero di regioni che hanno beneficiato del suo contributo.
  Questo non vale solo per le risorse finanziarie, ma anche per altre cose in cui la generosità del popolo veneto – e in generale delle regioni settentrionali – è certificata. Faccio un esempio che non riguarda le risorse finanziarie ma il sangue, fuori da metafora, proprio il plasma. La regione Veneto è la prima per donazioni di sangue pro capite con litri di sangue donati e soddisfa il fabbisogno non solo della propria regione e delle proprie strutture ospedaliere, ma anche di regioni che sono cronicamente deficitarie in questo senso, e vi lascio immaginare dove sono collocate nel nostro Paese. Quindi, per favore, accuse di egoismo o di insensibilità tenetevele, le rispediamo al mittente (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
  A nostro avviso, sarebbe stato più logico destinare le risorse su altre basi e con altri criteri, ad esempio per contrastare il tasso di disoccupazione, che vede le regioni del nord in questo senso gravemente sofferenti, con aumenti dei tassi di disoccupazione anche a due cifre e mi pare di poter dire – questo è condivisibile – che la disoccupazione in certe aree del Paese, dove l'economia è più strutturata e ci sono meno spazi per il sommerso e per il lavoro nero, sia molto più drammatica e abbia effetti molto più gravi rispetto a quanto succede in altre parti del Paese, che tra l'altro possono anche beneficiare di ammortizzatori sociali più generosi e anche di ammortizzatori sociali impropri.
  Noi richiamiamo sempre come paradigma l'esempio dei 27 mila forestali siciliani che non sappiamo come altro chiamare se non come degli «ammortizzatori sociali impropri». Anzi, per chiarezza e per onestà bisognerebbe cominciare a chiamare queste persone «sussidiate con sussidi di povertà o di indigenza o di disoccupazione» e non forestali, anche per rispetto a chi poi il forestale lo fa veramente, tipo i 400 veneti che svolgono un ruolo indispensabile per la salvaguardia dell'ambiente e del patrimonio boschivo nel nostro Paese.
  Ma la sperequazione non riguarda solo il lavoro. In questo decreto sono state inserite altre misure che poco hanno a che fare con l'argomento trattato. Ci sono, per esempio, interventi che riguardano solo alcune regioni d'Italia. Il meridione, ad esempio, può beneficiare della cosiddetta «carta di povertà». Allora, il postulato di questo provvedimento è che i poveri sono tutti uguali, ma ci sono dei poveri che sono più poveri di altri, non saprei come altro dirlo, e cioè che i poveri al Nord o la povertà al Nord non esiste o i poveri del Nord sono meno poveri degli altri.
  Qui mi pare di poter dire chiaramente che vi sbagliate e chi sostiene questo non conosce la realtà territoriale del Nord. Poi ci sono risorse per coprire dissesti del trasporto ferroviario in Campania e qui c’è stato risposto alle nostre obiezioni che questi fondi erano comunque destinati a quelle regioni ma allora ci chiediamo – la domanda sorge spontanea – perché c’è bisogno di inserirli in questo decreto-legge, visto che erano già destinati a quella regione ? La risposta penso non sia difficile da trovare.
  E poi c’è veramente un'integrazione scandalosa che riguarda i famosi 10 milioni destinati alle bonifiche ambientali del Belice. E qui si tratta ovviamente di una marchetta politica che niente ha a che fare con il provvedimento, che in modo molto improprio è stata inserita in questo provvedimento, trascurando, invece, ingiustamente altri emendamenti che, invece, erano perfettamente congrui all'argomento trattato e che miglioravano e integravano Pag. 61in modo migliorativo e rendendo maggior giustizia agli effetti del provvedimento. Parliamo di una vera e propria vergogna. Si richiama un evento che, per quanto tragico, è avvenuto nel 1968. Abbiate almeno il pudore di chiamarlo con un altro nome e non citare sempre il Belice per fare questo tipo di marchette politiche che sono la conseguenza di una politica che per troppi anni si è dimostrata cinica e irresponsabile in questo senso (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
  Per quanto riguarda invece l'IVA, qui è stata trovata una copertura al posticipo dell'incremento dell'1 per cento al 1o di ottobre in modo del tutto, secondo noi, sbagliato. Anche qui per quanto riguarda, ad esempio, l'IRES, l'aumento dal 100 al 101 per cento dell'acconto IRES, dico che la copertura qui non c’è, è solo fittizia, è solo teorica e mi pare che qualche dubbio sia venuto anche alla Ragioneria di Stato.
  Come si può pensare che in un momento di crisi l'aumento di un punto percentuale dell'IRES, la cui base è fortemente influenzata dal ciclo economico che è gravemente depresso, come sappiamo benissimo, come possiamo pensare che un punto dell'aumento dell'anticipo possa generare risorse ? La mia previsione è che le aziende faranno l'anticipo IVA su base previsionale semplicemente e versando ancora meno di quanto dovevano versare, visto che sono state in qualche modo provocate malamente.
  Ma ancora più grave è l'aumento di un punto percentuale previsto per l'acconto IRAP. Proprio per quanto riguarda l'acconto IRAP, nella terza sezione del DEF, approvato appena pochi mesi fa, ad aprile, in questa stessa Aula, si prevedeva nel PNR che per questa imposta, considerata all'unanimità ormai ingiusta e da superare, fosse almeno prevista la possibilità di decurtare quello che è il costo del lavoro. Ad aprile si sostiene una cosa e, in questo provvedimento, si sostiene la cosa completamente opposta. Nessuna coerenza, nessuna linearità, nessun mantenimento della parola data, nessun mantenimento degli impegni da parte di questo Governo che abbiamo ormai capito naviga completamente a vista. Oltretutto con l'aumento dell'anticipo andiamo a penalizzare le imprese, le imprese che sono le uniche – ed è stato giustamente segnalato anche in Commissione – che creano lavoro. Non sono gli incentivi che creano il lavoro; non è il Governo con i suoi provvedimenti che crea il lavoro. Sono le imprese e gli imprenditori che creano lavoro e anche in questo provvedimento, come in molti altri che abbiamo visto approvati in quest'aula da questo Governo, le imprese sono penalizzate ancora sul fronte delle tasse, che sono già insostenibili, ancora sul fronte dell'IRAP che è una tassa ingiusta che penalizza le assunzioni e penalizza gli investimenti. Contraddizioni all'interno dello stesso provvedimento: da una parte si generano degli stimoli all'occupazione o si tenta di farlo e, dall'altra, si penalizza chi questa occupazione potrebbe effettivamente crearla, cioè le imprese.
  Un'ultima considerazione per quanto riguarda l'IVA che forse potrebbe indirizzare l'azione di Governo in modo più efficace. Noi abbiamo in Italia il Vat gap, cioè la differenza tra quanto è l'IVA teorica che dovrebbe essere incassata e l'IVA effettivamente incassata, più alto tra i Paesi industrializzati, tra i Paesi dell'OCSE. Allora, forse, se vogliamo ricavare risorse da questa imposta importante, imprescindibile, forse è meglio muoversi in questa direzione e cioè combattere l'evasione che interessa questa imposta.
  Inoltre, l'ultima osservazione e poi chiudo. Tenete presente i dati dei primi cinque mesi di quest'anno che hanno visto un calo del gettito IVA di 2,8 miliardi, pari a un 6,5 per cento del gettito totale. Devono, quindi, farci preoccupare e riflettere e soprattutto considerare se la direzione dell'aumento di questa imposta sia veramente la direzione giusta o se non ci stiamo involvendo in una specie di circolo vizioso per cui più aumenta il livello di tassazione, più cala la base imponibile e meno si incassa (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

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  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cominardi. Ne ha facoltà.

  CLAUDIO COMINARDI. Signor Presidente, questo decreto-legge va nella direzione che, dando incentivi alle imprese per le assunzioni e flessibilizzando i contratti, si creano nuovi posti di lavoro. Nulla di più falso. Lo dimostra l'applicazione delle leggi Treu, Biagi, Maroni che introdussero con il precariato lo schiavo moderno, senza diritti e senza un futuro. Doveva servire per rilanciare l'economia anche allora, secondo i proclami dei partiti e delle parti sociali. Oggi, con l'economia in ginocchio e l'emigrazione di massa di nostri laureati e diplomati, sappiamo che era solo una concessione alle grandi imprese con il sostegno dei maggiori sindacati e di una certa sinistra o presunta tale.
  Una volta precarizzato il precarizzabile, l'impressione è che si voglia andare verso un nuovo dualismo del mercato del lavoro. Stavolta non tra garantiti e non garantiti, ma tutto interno alla precarietà, di tipo generazionale; da un lato il precario giovane, di bassa scolarizzazione, che vive da solo con familiari a carico, che va a fare l'apprendista manuale con salario ridotto e a basso costo per le imprese; dall'altro il precario adulto che vive di contratti a termine.

  PRESIDENTE. Scusi, onorevole Cominardi. Colleghi, fino a questa mattina siamo andati bene perché si riusciva ad ascoltare e a parlare. Pregherei, visto che siamo nella fase della discussione sulle linee generali, chi non è interessato di uscire e di lasciare che chi interviene lo possa fare con la stessa serenità di chi ha parlato questa mattina.

  CLAUDIO COMINARDI. L'Europa, con il piano Youth Guarantee per la lotta alla disoccupazione giovanile, ci impone delle misure volte a riorganizzare i centri per l'impiego, azione necessaria per mettere fine alla frammentazione degli stessi, frammentazione messa in atto dalle innumerevoli norme che negli ultimi anni hanno svuotato la centralità degli stessi. Tra i fallimenti del passato e del presente, la società partecipata dello Stato Italia Lavoro, fondata nel lontano 1997 per la promozione, la progettazione, la realizzazione e la gestione di attività e di interventi finalizzati allo sviluppo dell'occupazione sull'intero territorio nazionale, con particolare riguardo alle aree territoriali depresse e ai soggetti svantaggiati del mercato del lavoro, che nel decreto-legge ha un ruolo non marginale nella riorganizzazione dei centri per l'impiego. Società che ad oggi ha sperperato «vagonate» di milioni di euro, dove ogni progetto costa circa il 50 per cento di costi aziendali.
  Tra questi progetti, gli Sportelli Biagi, che chiudono a Milano con soli due anni e mezzo di attività, ricollocando stabilmente 32 persone, (per questo si sono spesi 4 milioni di euro); o il portale Cliclavoro, banca dati on line che permette l'incontro tra domanda e offerta e che agli italiani costa 2 milioni di euro all'anno senza raccogliere soddisfacenti risultati, dove vi è un enorme numero di dirigenti lautamente stipendiati, mentre chi ci lavora a più basse sfere, oltre ad essere precario, si ritrova ad essere licenziato. Chi ha come finalità lo sviluppo e l'occupazione si ritrova a non sapersi gestire nemmeno al suo interno. Una contraddizione in termini che in qualche modo rappresenta il paradosso di questa classe politica che ha la presunzione di risolvere i danni che essa stessa ha creato.
  I provvedimenti del decreto-legge lavoro, così come il piano Youth Guarantee, non serviranno a creare occupazione. Gli incentivi per le assunzioni sono solo uno «spottone» che nasconde dei trappoloni come la precarizzazione dei contratti a tempo determinato con l'estensione della causalità. Proprio parte dell'articolo 7 in questione pare sia fatto appositamente per Expo 2015, Expo che rappresenta la cultura del cemento e che giorno dopo giorno sta dimostrando di essere un fallimento annunciato e che, dopo aver devastato i territori, si prepara a devastare i diritti dei lavoratori.
  Servono idee nuove per cambiare un sistema economico finanziario al collasso. Pag. 63Serve un piano che valorizzi il patrimonio nazionale ed in particolare chi ci vive. Si potrebbe far ripartire l'edilizia sostenibile investendo nell'efficienza energetica a partire dagli edifici pubblici, il tutto senza cementificare un centimetro di verde, abbattendo così ogni forma di dipendenza energetica e abbattendo le emissioni inquinanti. Si potrebbe operare verso un riassetto idrogeologico del territorio, riordino e manutenzione e messa in sicurezza degli edifici scolastici, messa in sicurezza antisismica, bonifica dei siti industriali, valorizzare il patrimonio artistico, architettonico, paesaggistico, culturale, museale, archeologico, storico che ci invidia tutto il mondo. Nel Paese con il più alto numero di siti UNESCO del mondo non esiste al momento nessuna politica di valorizzazione.
  Tra le azioni concrete: incentivare il mercato locale, a partire dai prodotti della terra con un piano nazionale per la sostenibilità alimentare; azioni per tutelare l'artigianato, patrimonio di conoscenza che porta con sé millenni di storia; collegare la ricerca universitaria con le aziende in modo tale da incentivare la reale innovazione. Potremmo produrre, con un terzo della materia, un terzo dell'energia e un terzo delle ore lavoro. Questa è economia, ovvero: modo di operare volto a ottenere il massimo vantaggio con il minimo dispendio di energie e di risorse per soddisfare al meglio bisogni individuali e collettivi. L'economia non è lo spread, i punti di PIL, gli indici di mercato e agenzie di rating.
  Queste sono solo alcune azioni che da decenni si dovrebbero attuare per l'occupazione, ma a tutto ciò si è preferito attuare politiche attive del lavoro – così come per questo decreto – che dal lato pratico hanno ben poco di attivo e che, negli anni, hanno portato solo: disoccupazione, precarietà, sfruttamento, morti bianche, suicidi, fabbriche della morte, mobbing, discriminazione, emarginazione sociale. Questo è il risultato della politica della crescita del «lavoro purché sia» che si continua a perseguire.
  Noi siamo lontani anni luce da questo modello economico sociale in fallimento che ci propinano. Vogliamo, invece, restituire dignità alle persone attraverso un cambiamento socio-culturale, per cui i cittadini tornino ad avere un ruolo nella società, non più come strumento del profitto, ma come patrimonio dell'umanità per l'umanità, perché lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo non crea benessere e nemmeno posti di lavoro. Creare occupazione attraverso lavoro di qualità è possibile, però serve un modello diverso. Serve una nuova visione, non solo del lavoro, ma anche della vita. E qui voglio riprendere le parole di un bambino adulto, che porta con sé la saggezza dell'ingenuità e della purezza d'animo.
  Questo discorso è caro anche a chi la precarietà l'ha vissuta sulla propria pelle. Questo è il discorso: «Uno degli aspetti più micidiale dell'attuale cultura è di far credere che sia l'unica cultura, invece è semplicemente la peggiore. Gli esempi sono nel cuore di ognuno, per esempio, il fatto che la gente vada a lavorare sei giorni alla settimana è la cosa più pezzente che si possa immaginare. Come si fa a rubare la vita agli esseri umani in cambio del cibo, del letto, della macchinetta ? Mentre fino a ieri credevo che mi avessero fatto un piacere a darmi un lavoro, da oggi penso: “ Pensa a questi bastardi che mi stanno rubando l'unica vita che ho, perché non ne avrò un'altra, ho solo questa, e loro mi fanno andare a lavorare cinque volte, sei giorni alla settimana e mi lasciano un miserabile giorno per fare cosa ? Come si fa in un giorno a costruire la vita ?” Allora, intanto uno non deve mettere i fiorellini alla finestra della cella nella è quale è prigioniero, perché sennò, anche se un giorno la porta sarà aperta, lui non vorrà uscire. Deve sempre pensare con una coscienza perfetta: “Questi stanno rubandomi la vita, in cambio di mille euro al mese, bene che vada, mentre io sono un capolavoro, il cui valore è inenarrabile”. Non capisco perché un quadro di Van Gogh debba valere 77 miliardi e un essere umano mille al mese, bene che vada.Pag. 64
  Secondo me, poi, siccome c’è un parametro che, con le nuove tecnologie, i profitti sono aumentati almeno cento volte, allora, il lavoro doveva diminuire almeno di dieci volte. Invece no ! L'orario di lavoro è rimasto intatto. Oggi so che mi stanno rubando il bene più prezioso che mi è stato dato dalla natura. Pensa alla cosa più bella che la natura propone, che è quella di, mettiamo, di fare l'amore, no ? Immagina che tu vivi in un sistema politico, economico e sociale dove le persone sono obbligate, con quello che le sorveglia, a fare l'amore otto ore al giorno, sarebbe una vera tortura; e quindi perché non dovrebbe essere la stessa cosa per il lavoro che non è certamente più gradevole che fare l'amore, no ?
  Per esempio, il fatto che la gente vada a lavorare sei giorni alla settimana, certo ho il mitra puntato alla nuca, lo faccio, perché faccio il discorso:  “Meglio leccare il pavimento o morire ? Meglio leccare il pavimento”. Ma quello che è orrendo in questa cultura è che leccare il pavimento è diventata addirittura un'aspirazione, capisci ? Ma è mostruoso che il tipo debba andare a lavorare otto ore al giorno e debba essere pure grato a chi gli fa leccare il pavimento. Tutto ciò è oggettivamente mostruoso, ma laddove la coscienza produce coscienza, tutto ciò è effettivamente mostruoso.
  E qui qualcuno potrebbe dire:  “Sì, va bene, ma ormai è irreversibile la situazione” . E a questi rispondo: “Sì, tu fai giustamente un discorso in difesa di chi ti opprime, perché è tipico dello schiavo, no ? Il vero schiavo difende il padrone, mica lo combatte. Perché lo schiavo non è tanto quello che ha la catena al piede, quanto quello che non è più capace di immaginarsi la libertà”.
  Ma rispetto a quello che tu mi hai detto adesso: quando Galileo ha enunciato che era la terra a girare intorno al sole, ci sarà sicuramente stato qualcuno come te che gli avrà detto: “Eh sì ! Sono ventidue secoli che tutti dicono che è il sole che gira intorno, adesso arrivi te a dire questa cavolata ! E come fai a spiegarlo a tutti gli esseri umani ?”. E lui: “Non è affar mio, signori”. “Allora, guarda, noi intanto ti caliamo in un pozzo e ti facciamo dire che non è vero, così tutto torna nell'ordine delle cose”. Hai capito ?
  Perché tutto l'Occidente vive in un'area di beneficio, perché sta rubando otto decimi dei beni del resto del mondo. Quindi, non è che noi stiamo vivendo in un regime politico capace di darci la televisione, la macchinetta, no.
  È un sistema politico che sa rubare otto decimi a tre quarti di mondo e dà un po’ di benessere a un quarto di mondo, che siamo noi. Quindi, signori miei, o ci si sveglia o si fa finta di dormire, o bisogna accorgersi che siete tutti morti». Silvano Agosti.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Centemero. Ne ha facoltà.

  ELENA CENTEMERO. Signor Presidente, intervengo sul disegno di legge in oggetto detto decreto «lavoro», mettendo in luce come si tratta sicuramente di un provvedimento importante anche se, come ha ricordato prima uno dei relatori, parziale. È stato fatto ciò che è possibile, indubbiamente si può fare di più e si può fare di più soprattutto pensando all'abbattimento di quello che è il costo del lavoro, come è stato ricordato prima, in alcuni interventi che mi hanno preceduto.
  Parlare di lavoro e parlare soprattutto del lavoro dei giovani, perché il decreto-legge in oggetto reca appunto i primi interventi urgenti in materia di occupazione, in particolar modo per i giovani, significa parlare anche della disoccupazione giovanile non solo nel Sud, ma anche nel Nord e nel Centro, perché questo è un problema che riguarda non solo un'area del Paese, ma riguarda tutto il Paese e, quindi, ci attendiamo per il futuro delle misure complessive. Per noi elementi qualificanti sono sicuramente le misure, appunto, a favore dell'occupazione dei giovani, nell'ottica dell'occupabilità e dell'inclusione sociale che sono cardini dell'azione delle politiche dell'Unione europea e che sono stati con forza e con determinazione perseguiti prima da Forza Italia e poi dal Popolo della Libertà.

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  PRESIDENTE. Colleghi, gentilmente...

  ELENA CENTEMERO. Grazie, Presidente. Ricordando quella che è stata l'azione di Forza Italia, prima, e del Popolo della Libertà, dopo, in questa direzione voglio ricordare solo il decreto legislativo n. 77 del Ministro Moratti nel 2005 che riguarda proprio l'alternanza scuola lavoro. Intervengo proprio in questa discussione sulle linee generali ricordando quelli che sono i temi che ci hanno occupato in VII Commissione (Cultura), dove sono stata relatrice del provvedimento, e soffermandomi, in modo particolare, sui provvedimenti che riguardano l'alternanza scuola lavoro, i tirocini formativi, e soprattutto di orientamento, e l'apprendistato, fortemente voluto dal Popolo della Libertà come momento per espletare il diritto e il dovere all'istruzione e alla formazione per il conseguimento di quello che è un diploma entro il diciottesimo anno di età. L'alternanza scuola lavoro e i tirocini formativi riguardano sia il mondo dell'università ma anche il mondo della scuola superiore, e in modo particolare, all'interno del provvedimento, l'istruzione tecnica e professionale e sono una opzione formativa importante perché risponde ai bisogni individuali di istruzione e di formazione, arricchendo l'acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro, favorendo l'orientamento dei giovani per valorizzare le proprie vocazioni, i propri talenti personali, ma realizzando, soprattutto, un armonico ed organico collegamento con il mondo del lavoro, con la società civile – e per quello parliamo di occupabilità e di inclusione sociale – e anche con l'offerta formativa del territorio sia in senso culturale, sociale che economico.
  Indubbiamente questo provvedimento prevede degli interventi e delle misure molto importanti come gli sgravi contributivi per l'assunzione dei giovani under 29 che sono stati uno dei temi centrali all'interno della nostra campagna elettorale, così come i pagamenti per i debiti della pubblica amministrazione, ma comprende anche altre misure importanti come il Fondo mille giovani per la cultura che è stato introdotto nel decreto-legge al Senato che è estremamente importante perché permette la promozione di tirocini formativi e di orientamento nel settore delle attività culturali. Esso permette anche, come vi dicevo prima, lo svolgimento, attraverso l'istituzione di fondi, di tirocini formativi per l'università. Qui vorrei sottolineare due criticità: innanzitutto che si parla solo di università statali e in secondo luogo che 7, 6 milioni di euro per questi tirocini vanno a valere sul Fondo di finanziamento ordinario delle università. Per questo abbiamo chiesto in Commissione cultura che si possa trovare un finanziamento o una copertura differente.
  Viene sottolineato anche un altro concetto per noi molto importante, che è quello del merito, perché si accede a questi fondi se si è in regola con il percorso degli studi in base alla votazione degli esami sostenuti ma anche, e questo non da ultimo, ma è molto importante, in base alle condizioni economiche dello studente.
  È istituita inoltre una banca dati, che è importante per le politiche attive e passive e soprattutto per collocare i soggetti all'interno del mondo del lavoro. Su questo aspetto vorrei rilevare, nell'ambito della banca dati, la necessità di completare l'anagrafe scolastica degli studenti sia universitari che delle scuole superiori. Importantissimo è il pacchetto per l'autoimprenditorialità e l'autoimpiego rivolto al Mezzogiorno e i 168 milioni di euro nel triennio, appunto, in oggetto, per le borse di studio formative.
  Mi spiace vedere che nel provvedimento non sono state incluse, invece, alcune norme sulla flessibilità del lavoro legate ai lavori per l'Expo di Milano, che rappresenta un'opportunità per il nostro Paese, non solo per il Nord; e poi che sia stato espunto al Senato l'articolo 6. Perché ? Perché l'articolo 6 prevedeva la possibilità di intersecare e di mettere insieme istruzione e formazione professionale statale e regionale nell'ottica della sussidiarietà integrativa, Pag. 66e mi auguro che il Governo, in seguito, nei prossimi provvedimenti favorirà questa intersezione.
  Altro aspetto molto importante, che credo sia stato ripreso nel «decreto del fare» al Senato, è la possibilità che le regioni possano istituire, senza ulteriori oneri per lo Stato, ulteriori istituti tecnici superiori, e poi, da ultimo, la possibilità – e concludo – che i tirocini formativi che si svolgono per il mondo universitario all'interno delle nostre pubbliche amministrazioni, all'interno del mondo pubblico e privato, possano anche usufruire di tutte quelle forme di mobilità transnazionale, di tutti quei programmi di mobilità transnazionale per i nostri studenti e per i nostri lavoratori che prevede l'Unione europea, che purtroppo sono ancora poco utilizzati e poco conosciuti. Questo perché rappresentano una grande opportunità, l'opportunità di essere cittadini europei, l'opportunità soprattutto di contaminare la nostra cultura e la nostra mentalità con altre culture, altri modi di vivere, altri modi di lavorare e di pensare, che aprono al mondo e al futuro (Applausi dei deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sannicandro. Ne ha facoltà.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Signor Presidente, egregi colleghi, errare humanum est – si diceva –, perseverare diabolicum. Con questo ulteriore ennesimo decreto-legge si insiste in una pratica veramente deleteria, come i risultati statistici dimostrano; una pratica che ritiene che se si mortifica il lavoro, il lavoro aumenterà. C’è una logica in questo decreto-legge, una logica che conosciamo già da parecchio tempo, io mi limiterò ad approfondire un po’ gli articoli relativi alla liberalizzazione ulteriore – chiamiamola così – dell'apprendistato, all'articolo relativo all'ulteriore liberalizzazione dei contratti a termine e soprattutto ad una sorta di amnistia per i datori di lavoro, che è contenuta nell'articolo 7-bis. Noi continuiamo a dare soldi, quattrini, ai datori di lavoro, perché facciano nientepopodimeno che delle assunzioni. Io non ho mai conosciuto un datore di lavoro che potesse fare a meno del lavoro. Sfido chiunque a darmene un esempio. Sfido chiunque a dimostrarmi che un datore di lavoro assume o non assume se ci sono o meno incentivi di varia natura, contributiva, assicurativa, fiscale o economica.
  Sono vent'anni che stiamo raschiando il barile, stiamo mettendo in moto una fantasia degna di miglior causa. Noi fino a quarant'anni fa (ormai, credo, cinquant'anni fa), nel 1962, avremmo risolto il problema del contratto di lavoro, a termine o a tempo indeterminato, a costo zero; perché i colleghi sanno che fino al 18 aprile 1962, in Italia...

  PRESIDENTE. Mi scusi onorevole Sannicandro. Colleghi ! In particolare, onorevole Manfredi, onorevole Richetti, onorevole Magorno, se gentilmente facciamo parlare..., sì, c’è un bel capannello che fa chiasso. Grazie.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Fino al 18 aprile 1962, dicevo, in Italia la norma era quella di assumere a tempo determinato; e i datori di lavoro avevano un interesse ad assumere a tempo determinato, perché se non avesse conseguito un anno di lavoro, il lavoratore non aveva diritto per esempio a quello che poi si è chiamato il rateo di tredicesima, cioè non aveva diritto alla tredicesima. Non aveva diritto alle ferie. E poiché ci fu un abuso del contratto a termine per questa chiara finalità di risparmio, il Parlamento italiano che cosa fece ? Modificò il codice civile, e fece una riforma a costo zero: articolo 1 della legge n. 230 del 1962, il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, punto; salvo le eccezioni che seguono. Facendo un'opera di verità e di realtà !
  Quali erano le eccezioni ? Le eccezioni di natura, perché quando una persona apre un'azienda, uno studio professionale, apre a tempo indeterminato ! Non ho mai visto mettere su una fabbrica a termine ! Non ho mai visto aprire uno studio notarile Pag. 67a termine ! Non ho mai visto aprire uno studio professionale a termine ! Anzi, l'ambizione molto spesso è quella di consegnare l'azienda o lo studio professionale ai propri successori, ai propri figli, ai propri nipoti: farla vivere il più a lungo possibile.
  E allora mi dovete spiegare per quale motivo un lavoratore all'interno dell'azienda dovrebbe lavorare a termine. Perché dovrebbe lavorare a termine ? Qual è la ragione economica o imprenditoriale che giustifichi l'apposizione di un termine ? L'apposizione di un termine invece è possibile, ed è giusto che ci sia, che avvenga, solo quando la prestazione si qualifichi per sua natura a termine: infatti in quella legge, fatta a costo zero, era consentito apporre un termine solo per sostituire la persona assente avente diritto alla conservazione del posto, per malattia, per puerperio, per gravidanza, per servizio militare e altre situazioni simili; oppure per i lavori stagionali; oppure perché erano lavori meramente occasionali. Lo Stato italiano quindi non spendeva una lira, ma prendeva atto semplicemente che i contratti di lavoro dovevano seguire la dinamica naturale dell'economia.
  Di fronte a quell'abuso, si determinò quella riforma; che si accompagnò – sempre perché allora si riteneva che l'Italia fosse una Repubblica democratica fondata sul lavoro (la legge è del 1962) – ad un'ulteriore conquista: nel 1966 strappammo la legge sulla disciplina dei licenziamenti individuali. Nel 1970 perfezionammo poi la legge sui licenziamenti individuali, con l'obbligo della reintegrazione nel posto di lavoro (articolo 18 dello Statuto dei lavoratori). Il Parlamento italiano era ancora sensibile all'articolo 1 della Costituzione, e faceva del lavoro l'alpha e l'omega della sua iniziativa politica, per quanto è possibile.
  Ora, è evidente che l'apposizione del termine non si giustifica per ragioni economiche ma soltanto per ragioni politiche ed ideologiche, perché l'apposizione del termine, come tutta l'esperienza anteriore al 1962 dimostra, ti consente di tenere il lavoratore subordinato, al di là dell'espressione giuridica. Ti consente di tenere il lavoratore piegato, flessibile. Ecco la lunga battaglia, da un lato contro il tempo indeterminato e dall'altra contro la legge sui licenziamenti individuali, perché chi fu sconfitto con l'indicazione nell'articolo 41 della Costituzione che l'iniziativa privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con la libertà, con la dignità e la sicurezza dei lavoratori, male ha sopportato quella norma, sia pur fissata nell'articolo 41 e non più nell'articolo 1 della Costituzione com'era nello statuto Albertino o nella Dichiarazione precedente dei diritti dell'uomo della rivoluzione francese.
  Allora, queste forze mai arresesi, si sono messe in moto e, non potendo all'epoca affrontare di petto l'eliminazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che riguarda i lavoratori a tempo indeterminato, hanno preso all'epoca un'altra strada e hanno cominciato a ritenere insopportabile l'esistenza del contratto di lavoro a tempo indeterminato. Di qui è cominciato quel percorso che va avanti e che anzi trova una svolta nel 2001, quando si cominciò a picconare l'edificio, e questo percorso è andato avanti ancora con altre leggi per arrivare poi alla cosiddetta «legge Fornero» e arrivare ad oggi.
  Insomma, sono anni, dal 2001 in particolare in poi, in cui ci si affatica sempre con grande zelo da parte dei nemici dell'articolo 41 della Costituzione, dell'articolo 1 e dell'articolo 4, per riportare il lavoratore indietro. Una volta a Jesolo, parlando di lavoratori nell'ambito di una conversazione, una nobildonna veneta – visto che parlano i veneti qua – mi disse: «Mio nonno mi ha insegnato che i contadini bisogna tenerli mogi mogi». Me la ricordo sempre questa frase, che mi gelò. Come dire, bisogna tenerli calmi calmi, piegati piegati, oggi si dice flessibili.
  Quindi sono state sempre in moto, sono uscite allo scoperto e abbiamo cominciato a dire che, per combattere la disoccupazione, bisogna pagare i datori di lavoro perché così si tengono quei lavoratori di cui hanno un indispensabile bisogno. Con l'articolo 1 di questo decreto-legge siamo appunto ancora un passo avanti in questa Pag. 68politica di destrutturazione del ruolo del lavoro nella società attuale, e noi dovremmo pagare – poi c’è anche una grande ipocrisia in tutto ciò – 724 milioni di euro in tre anni perché le imprese – prima si diceva «i padroni» – assumano i lavoratori disoccupati da almeno sei mesi, lavoratori che siano privi del titolo di studio di scuola superiore e, come si diceva nel testo originario, vivano soli, con una o più persone a carico. Una platea credo quantitativamente miserrima, ho fatto i calcoli e dividendo per l'incentivo di 650 euro al massimo per 18 mesi, viene fuori che noi stiamo facendo questo per 60-67 mila lavoratori, cosa che la dice lunga sull'insufficienza di questo provvedimento. Ma la cosa più simpatica è che si scrive che noi faremo questa operazione in via sperimentale: cioè cosa dovremmo scoprire in questi tre anni addirittura, perché la norma è strutturata praticamente su tre anni ?
  Dovremmo fare un esperimento per vedere se qualche datore di lavoro, che avesse bisogno di manodopera perché si è aperto uno sbocco di mercato alle sue merci, eventualmente si andasse e prendere l'incentivo. Ebbene, c’è bisogno di fare la sperimentazione ? Pure io, se dovessi avere bisogno per la mia attività professionale, di fronte all'incremento dell'attività professionale di un lavoratore, non potrei fare altro certamente che assumerlo e – visto che sono previsti gli incentivi – me li prenderei pure. Non ci vuole certo un osservatorio per scoprire queste cose anche perché le abbiamo sperimentate in questi vent'anni e i risultati ci dicono che l'esperimento è negativo. Così come è negativo ogni altro strumento che vuole sempre di più liberalizzare il mercato del lavoro.
  Credo che sia stato già ricordato da qualcuno che mi ha preceduto a cosa si sta riducendo il contratto di apprendistato, che è stato poi anche molto spesso enfatizzato più del necessario. In questa legge, poi si dice, «sempre per sviluppare l'occupazione, noi consentiamo, quando si faranno le linee guida, di derogare niente poco di meno che alla giustificazione unica del contratto di apprendistato», cioè di fare il cosiddetto piano formativo, il che significa praticamente che, già oggi, per la mia esperienza, vi posso dire che nel passato, quando si voleva pagare poco un giovane e pagare meno contributi, si metteva la qualifica di «apprendista» e si stava tranquillamente apposto. Questo avveniva per i meccanici, per tanti artigiani e così via.
  Oggi abbiamo – come dire – cristallizzato il fenomeno dell'ipocrisia. Ora, non soltanto si liberalizza il testo unico sull'apprendistato, ma poi si mette mano, ancora una volta – e credo che non l'abbia detto ancora nessuno – anche alla legge sui licenziamenti individuali. Ricordavo prima che nel 1966 noi, in Italia, finalmente introducemmo la norma – il 15 luglio, quindi praticamente sono già cinquantacinque anni – per la quale un datore di lavoro non poteva licenziare ad libitum. Si cominciava a dire che occorre spiegare il perché.
  Ora, questa norma – come sapete – fu integrata con l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che la rafforzò, stabilendo che il datore di lavoro che licenziasse illegittimamente doveva poi reintegrare nel posto di lavoro il lavoratore. Ora, è inutile qui ripercorrere la storia e le vicissitudini dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e come questa integrazione sostanzialmente è sparita anche nella intitolazione della legge, perché non si parla più di reintegrazione nel posto di lavoro, se andiamo a vedere la rubrica dell'attuale articolo 18. Però – ripeto –, nonostante la battaglia sia stata sostanzialmente vinta dai nemici dei lavoratori, dai nemici del lavoro e dai nemici della civiltà del lavoro, continua ancora a rendere sempre più libero il datore di lavoro, e infatti qui abbiamo una ulteriore modifica sempre a quell'articolo della legge sui licenziamenti, la n. 604 del 1966, con la quale si dice che il lavoratore, in caso di licenziamento, può tentare la conciliazione e sospendere provvisoriamente gli effetti del licenziamento, la conciliazione, un antenato della mediazione, Pag. 69di cui abbiamo parlato qualche tempo fa in quest'Aula con il «decreto del fare».
  Anche lì, si dice: non perdiamo tempo, ci sono delle ipotesi, che qui vengono disciplinate, nelle quali non c’è bisogno di perdere tempo: io ti licenzio e non ne parliamo più. Poi, come al solito, bisogna sempre convincere i datori di lavoro a stare nella legalità: noi, non usiamo mai la repressione, ma sempre la persuasione. Infatti, se non ho letto male, questo articolo 7-bis, «stabilizzazione di associati in partecipazione con apporto di lavoro», io lo definisco un'amnistia a pagamento. Leggo l'articolo perché può darsi che abbia capito male.
  Qui si parte da che cosa ? Si parte dal fatto che ci possono stare dei lavoratori associati ad un'impresa, conferendo il proprio lavoro. Ora, qui si dice che se ad un certo momento si controverte sulla natura di questo rapporto, se è un rapporto di lavoro subordinato, se è un co.co.co. o se è altra cosa insomma, allora in questo caso il datore di lavoro può presentarsi all'INPS, che eventualmente ha fatto le sue indagini, i suoi accertamenti, ha aperto un processo, ha avuto forse ragione – e si capisce da questo articolo – e dire: «Guardate – forse si chiamerà pentimento operoso, mutuando dal codice penale –, forse avete ragione. Io avevo un lavoratore con un rapporto di lavoro subordinato, però lo avevo camuffato come associazione in partecipazione». Allora, che faccio ? Pago il 5 per cento dei miei obblighi assicurativi – il 5 per cento –, però nella misura massima di sei mesi e se l'ho tenuto per due anni vale sempre per sei mesi. Lo trasformo in lavoratore a tempo indeterminato con contratto di lavoro subordinato. In caso di verifica positiva l'articolo dice che ciò determina l'estinzione degli illeciti previsti dalle disposizioni in materia di versamenti contributivi, assicurativi e fiscali anche connessi ad attività ...

  PRESIDENTE. Scusi, onorevole Sannicandro. Grazie.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Era per me ?

  PRESIDENTE. No, era perché il Governo fosse libero di ascoltare.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Ho capito.

  PRESIDENTE. La informo solo che ha 19 minuti, ma questo solo per sua informazione. Prego.

  ARCANGELO SANNICANDRO. D'accordo. Sarò molto più breve, non si preoccupi.

  PRESIDENTE. Ha fino a 30 minuti.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Allora, dicevo: «Il buon esito della verifica di cui al comma 5 comporta, relativamente ai pregressi rapporti di lavoro di associazione o forme di tirocinio, l'estinzione degli illeciti, previsti dalle disposizioni in materia di versamenti contributivi, assicurativi e fiscali, anche connessi ad attività ispettiva già compiuta alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e con riferimento alle forme di tirocinio avviate dalle aziende sottoscrittrici dei contratti di cui al comma 1. Subordinatamente alla predetta verifica viene altresì meno l'efficacia dei provvedimenti amministrativi emanati in conseguenza di contestazioni riguardanti i medesimi rapporti anche se già oggetto di accertamento giudiziale non definitivo». Cioè, se hai perso la causa in primo grado perché l'INPS ti ha contestato che quello non era un tirocinio, uno stage o altro e, quindi, tu sei in appello, eventualmente allora tu presenti... Paghi il 5 per cento, si dice avanti, e quindi sistemiamo la tua pendenza.
  Ma non basta. E il lavoratore in tutto ciò che ci guadagna ? Il lavoratore pensava di avere guadagnato qualcosa perché forse aveva chiamato l'INPS che era intervenuto. Aveva fatto il verbale di accertamento, aveva richiesto il contributo a suo favore. No, è il datore di lavoro che ci deve guadagnare qualcosa in più ancora. E sapete che cosa ? Che non si potrà procedere a questa amnistia se il lavoratore Pag. 70non si arrende del tutto. E sapete come deve fare il lavoratore ? Deve firmare un verbale di conciliazione in cui dice: «Io per primo ti perdono e ti assolvo e tu potrai quindi procedere a guadagnarti l'amnistia». E qui non si capisce da questo provvedimento, visto che vengono annullati i provvedimenti amministrativi, visto che vengono annullati i provvedimenti giurisdizionali, visto che vengono annullati gli illeciti. Io poi non ho capito che fine fanno i contributi eventualmente dovuti da quel datore di lavoro all'INPS rispetto a quel lavoratore per tutto il periodo pregresso. Questo qui non si capisce ma, comunque, questo penso che sia un dettaglio per coloro i quali hanno tutt'altra intenzione.
  Ho detto che mi limitavo a discutere soltanto di questi quattro aspetti di questa legislazione.
  Ora qui è inutile che insistiamo. Ho detto all'inizio errare humanum est, perseverare autem diabolicum, ma dopo venti anni cosa dobbiamo aspettare per prendere atto che queste politiche sono state e sono fallimentari, sono fallimentari ? Non si può ancora continuare a sfruttare i comunicatori che stanno a Palazzo Chigi. Prima ero abituato ad indicare le leggi con il numero, poi è venuta fuori la legge Baslini-Fortuna per il divorzio, la legge Merlin per le «case chiuse», ma da qualche anno invece avranno assunto certamente qualche comunicatore, qualche propagandista. Abbiamo – mi ricordo – la legge e la prospettiva di sviluppo, poi il salva-Italia – Berlusconi lì aveva esercitato qualche influenza – poi siamo arrivati al «fare» e al «malaffare» e oggi qui siamo arrivati ad una legge per l'occupazione giovanile. Ma siamo veramente a scherzare ? Ma siamo veramente a scherzare ? Ormai ci siamo affidati soltanto ai pubblicitari.
  È stato detto – non ricordo da quale altro collega – che la disoccupazione giovanile ormai ha raggiunto livelli intollerabili, credo che soltanto quarant'anni fa stavamo in queste condizioni. Qui abbiamo un problema di milioni e milioni di disoccupati e anche il fatto di parlare ai giovani a me dà fastidio, non so, forse per l'età. Ciò perché giustamente quando parlo in qualche assemblea, specialmente dove ci sono pochi giovani e dici che abbiamo fatto una legge per la disoccupazione giovanile, ti dicono: scusi, e per me ? E per me ? Dicono gli operai, i contadini oppure gli esodati e via discorrendo.
  Quindi, è una legge che non funziona, che praticamente non tiene conto dei dati veri e i dati veri non sono soltanto quelli della disoccupazione. I dati veri sono quelli della diseguaglianza economica e sociale che in Italia in questi ultimi anni va sempre più aumentando. C’è il famoso rapporto della Banca d'Italia che ha monitorato l'andamento della ricchezza nazionale e della ripartizione della ricchezza nazionale – il compagno Florian me lo aveva prima fornito – dal 2008 al 2010. Ma scusate, è impressionante. È impressionante cioè che, mentre aumenta la crisi, aumenta la concentrazione della ricchezza, aumenta la concentrazione della ricchezza ! Infatti, quando io nella mia sezione parlo con i compagni della crisi, c’è quello che dice: scusa ma la crisi che cosa è ? Poi risponde il vicino: la crisi è quella cosa nella quale sei vissuto da quando sei nato !

  PRESIDENTE. Solo ed esclusivamente per sua informazione siamo a venticinque, così lei si può regolare, perché siamo arrivati quasi alla fine.

  ARCANGELO SANNICANDRO. Quando si parla per tradurre il famoso rapporto della Banca d'Italia in soldoni, quando si parla di crisi, bisogna sempre chiedersi perché. Perché c’è chi la crisi l'ha sempre conosciuta e non ha mai conosciuto altro e chi nella crisi si arricchisce. E infatti la concentrazione della ricchezza – dice la Banca d'Italia, non il segretario della sezione di pincopallino – è aumentata notevolmente. Quello è il nocciolo, cioè il problema è che può darsi pure che la torta si sia ridimensionata – voi lo chiamante il PIL – diciamo che la ricchezza nazionale, la produzione nazionale, sia diminuita in questi anni, però è anche vero che la fetta che è andata ai lavoratori Pag. 71e ai pensionati si è assottigliata sempre di più.
  Quindi, se vogliamo uscire dalla crisi, dobbiamo stabilire perché c’è la crisi, perché soltanto se capiamo questo possiamo già da questa analisi cominciare poi a pensare da che parte metterci. Ma se parliamo genericamente del fatto che c’è la crisi, vuol dire che stiamo ingannando, perché nella crisi c’è chi non l'ha mai vista. Anzi, quando chiesi ad un'agente immobiliare del mio Paese: scusa ma gli affari vanno male ? Mi disse: no, non vanno male, vanno bene, perché qui chi non ha quattrini vende e chi ha i soldi compra. Ecco il discorso: la crisi, per chi ? Certo per i lavoratori, e allora da qui bisogna partire, se vogliamo rimettere le cose in sesto (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà – Congratulazioni).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Incerti. Ne ha facoltà.

  ANTONELLA INCERTI. Signor Presidente, io credo che, se vogliamo leggere in modo più corretto, al di là delle tante considerazioni, molto importanti, che ho sentito, questo provvedimento che oggi è approdato in Aula, non possiamo non fare riferimento, comunque, al contesto in cui si muove. Un contesto davvero durissimo, di profonda e prolungata difficoltà congiunturale, segnata da una crisi economica e sociale che ormai si protrae da sei, lunghissimi anni. Una crisi globale che per il nostro Paese è ancora molto più acuta che per altri, per la mancanza, colpevole, da quasi più di vent'anni, di una seria ed efficace politica industriale. L'analisi del mercato del lavoro, poi, non offre spunti, oggi, di grande ottimismo: l'economia è sprofondata e si è aggravata profondamente nell'ultimo biennio 2011-2012.
  Ora gli interventi proposti non hanno, quindi, l'ambizione di risolvere un tale groviglio di criticità, ma credo che, con lucidità e concretezza e con la consapevolezza della situazione data e delle poche risorse che abbiamo a disposizione, fanno dei passi graduali, soprattutto per invertire una rotta. Quindi, non una riforma epocale e radicale, di cui io spesso dubito e temo (ne abbiamo visti degli esempi); piuttosto, alcuni chiari, seri provvedimenti per offrire qualche soluzione. Due, a mio avviso, sono gli elementi propositivi su cui si muove questo decreto: da una parte, l'attenzione all'occupabilità, stabile e più duratura, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile, indubbiamente una delle vere e tante emergenze di questo Paese; dall'altro, l'avvio, e anche il recupero, di politiche di coesione e protezione sociale di quelle fasce più deboli, quelle che stanno pagando questa crisi in modo più assoluto e che da anni non rientrano nell'agenda politica.
  Sul primo punto, l'occupabilità, si è lavorato sugli incentivi in favore dei datori di lavoro per la stipula di contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato. Vi è, quindi, un abbattimento, – è vero, transitorio, ma, credo, significativo – del costo del lavoro. Il cuneo fiscale, e quindi la separatezza dal reddito del costo del lavoro, è un punto fondamentale.
  Mi pare che, a differenza di tante agevolazioni che hanno attraversato diverse proposte in questi anni, ad esempio quelle che erano state previste nel decreto-legge salva Italia, in cui si parlava sempre, in modo generico, di più giovani e di più donne, ma che poi, di fatto, aveva visto finanziare assunzioni già previste, qui la condizionabilità e l'aggiuntività sono affrontate in modo certamente più rigoroso e più selettivo. E forse per la prima volta, la maggiore flessibilità, tanto invocata come soluzione, in realtà vira decisamente verso l'idea di occupabilità e stabilità, ed è un'occupabilità, quella giovanile, che va in questa direzione, la cosiddetta «Garanzia Giovani». Non possiamo, credo, non sottolineare come positivo che, forse per la prima volta, l'occupazione giovanile è inserita in un contesto europeo, con l'obiettivo di fare intraprendere un nuovo lavoro ai giovani o un ciclo di istruzione e formazione entro un periodo di quattro mesi, come, peraltro, stabilito dalle raccomandazioni del Consiglio d'Europa.Pag. 72
  Positivo è poi che queste misure siano state finanziate dai fondi strutturali comunitari. L'istituzione, poi, di una struttura di missione avrà il compito di indirizzare e definire le linee guida per attuare già dal 1o gennaio 2014 la Youth Guarantee. Una struttura che opererà, ovviamente, in modo sperimentale, in attesa del riordino dei servizi per l'impiego, che è un'altra tappa fondamentale, ed è un obiettivo da perseguire, senza il quale queste misure saranno più vane. Strumentazione che sarà decisiva, questa dei centri per l'impiego, per sostenere in modo attivo l'occupazione. D'altra parte, le migliori esperienze europee della Youth Guarantee mostrano che il loro pieno successo dipende non solo, ovviamente, dagli incentivi economici alle imprese, ma anche dalla capacità degli operatori di politica attiva, pubblici e privati, di prendersi carico soprattutto dei giovani e di attivare tutte quelle potenzialità e possibilità che il mercato altro può offrire.
  Altro profilo importante del provvedimento è quello della tutela sociale, una delle misure che attendevamo, di lotta alla povertà.
  I recentissimi dati ISTAT ci dicono che in Italia i poveri relativi sono quasi 10 milioni, il 15 per cento della popolazione, in fortissimo aumento rispetto al 2011, persone in difficoltà e a grande rischio di marginalizzazione sociale. Quasi la metà – e sono dati ISTAT, non del Partito Democratico – vive al Sud e un milione di loro sono minori. Allora, il decreto, con l'innovazione della «carta acquisti», che è affiancata alla precedente social card, finanzia un intervento, contro la povertà assoluta, che ci auguriamo possa raggiungere il numero più alto di persone.
  Io, francamente, trovo fuori luogo qui, chi continua a reiterare, come la Lega Nord, sulla distribuzione territoriale delle risorse. Voglio ricordare che già l'articolo 60 del decreto-legge n. 5 del 2012 stabiliva la sperimentazione della social card, e carta acquisti, alle famiglie che avevano bisogno, residenti nelle città con più di 250 mila abitanti, che erano Milano, Torino, Firenze, Venezia, Verona, Genova, Bologna, a cui ovviamente oggi questo decreto aggiunge anche le altre città del Sud. Vogliamo fare la gara a chi è più povero ? Non mi sembra il caso.
  Cito da ultimo – non per importanza – un punto che caratterizza questo decreto e va nella direzione di protezione sociale delle fasce più deboli, le persone con disabilità e il loro inserimento lavorativo. L'emendamento introdotto al Senato prevede l'istituzione e la dotazione di un fondo per il diritto al lavoro dei disabili (10 milioni nel 2013 e 20 milioni nel 2014). Voglio ricordare che in questi ultimi anni questi fondi erano stati completamente eliminati e che solo la volontà e i sacrifici degli enti locali e degli amministratori locali avevano permesso di dare delle risposte. Con questo colmiamo un vulnus che contraddistingue in senso profondamente negativo il nostro Paese, troppo inadeguato com’è a garantire le fasce, appunto, più deboli.
  Sto concludendo: siamo consapevoli che rimangono aperte moltissime questioni, a partire dal finanziamento della cassa integrazione in deroga, a partire dagli esodati, e che nelle prossime settimane saranno all'ordine del giorno alcune scelte fondamentali in materia fiscale, come quella sull'IMU e sull'IVA, che noi abbiamo solo sospeso. Dovremo tracciare un profilo fiscale che garantisca sostegno a chi produce e a chi lavora, sostenendo i redditi e gli investimenti produttivi – ho finito. Oggi, nella situazione data e con le risorse – che, come ho detto, sono pochissime, troppo poche – che abbiamo a disposizione, prefiguriamo comunque una strada diversa e l'idea di un Paese che vogliamo più giusto e più equo. Gli ingredienti credo che ci siano.

  PRESIDENTE. Deve concludere, gentilmente. Abbia pazienza.

  ANTONELLA INCERTI. È necessario però metterci delle risorse e proseguire con i futuri provvedimenti. Questa è una responsabilità che ci vogliamo prendere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ciprini. Ne ha facoltà.

  TIZIANA CIPRINI. Gentile Presidente, deputati, questo decreto è un vero spot propagandistico, volutamente incapace di una visione globale del problema e pieno di atteggiamenti ipocriti e contraddittori nei confronti della piaga del precariato. L'unica cosa che si intende incentivare davvero con questo decreto è il ricorso al precariato selvaggio, per nascondere ancora meglio forme simulate di lavoro dipendente. La precarietà è un modello di vita che ci volete imporre. L'ex Governo Monti parlava di illusione del posto fisso, della monotonia del fare lo stesso lavoro tutta la vita, ma poi scriveva nella «legge Fornero» che il contratto a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro. Il tempo indeterminato è la carota davanti all'asino e lo spacciate per punto di arrivo per illudere i cittadini. In verità, sapete benissimo che a ciò non si arriverà mai più, perché un giovane passerà la sua vita lavorativa nel groviglio dei contratti atipici. Solo che non avete il coraggio di ammetterlo apertamente, perché sapete benissimo che sono questi gli argomenti da guerra civile, e non certo le urla di unti dal Signore sopra palchetti abusivi. E quindi ci andate prudentemente cauti, nella consapevolezza che al mondo esistono due tipi di potenti: chi ha tutto e chi non ha niente.
  La strada senza ritorno intrapresa è quella del precariato stabile, ma quello che è peggio è che gli italiani si stanno abituando.
  Allora, vivere con un contratto atipico, o meglio precario, significa vivere a scadenza, nell'angoscia e nella speranza di un rinnovo tra una scadenza e l'altra. Significa pregare qualcuno affinché ti conceda il lavoro, rendendoti nei fatti sotto ricatto.
  Con il contratto a progetto ci puoi fare di tutto, tranne che progettare la tua vita. Avere un lavoro precario riduce addirittura di dieci volte la probabilità che una lavoratrice faccia un figlio.
  Sappiamo bene che in verità questo decreto fa da apripista al modello Expò, un nuovo modello di contratti di lavoro da esportare a tutti i settori. L'obiettivo vero è rendere stabile il sistema del precariato. Abbiamo oggi una nuova tipologia di contratto: il contratto precario a tempo indeterminato. La flessibilità, come la chiamate elegantemente voi, ha portato a livelli salariali più bassi, ai limiti dell'indecenza. Ciò porta a una minore domanda di beni a causa dei più bassi livelli di reddito.
  Certo, a un buon costruttore di politiche pubbliche non sarebbe di certo sfuggito che una riforma che aumentava l'insicurezza dei lavoratori andava accompagnata di pari passo con un aumento delle misure di protezione sociale, come il reddito di cittadinanza. Senza queste, la flessibilità si traduce in precarietà ed è quello che è accaduto in Italia. L'abuso distorto della «legge Biagi», più che aiutare i giovani a inserirsi nel mercato del lavoro, ne ha tenuti milioni ai suoi margini; ha creato una generazione di schiavi moderni; ha trasformato il lavoro in progetti a tempo; ha trasformato i giovani in merce a basso costo e si è estesa anche ai lavoratori di 40 e 50 anni.
  Durante le audizioni in Commissione è emerso con chiarezza che l'ampia diffusione dei contratti di lavoro a termine e flessibili conducono a carriere lavorative, soprattutto dei più giovani, caratterizzate da frammentarietà e discontinuità, mettendo a rischio l'accumulo di anzianità contributiva e l'ammontare degli assegni pensionistici. Quindi, nemmeno una vecchiaia dignitosa potremo avere.
  Ma prima di addentrarci nei meandri del decreto, facciamo qualche ripasso di rudimenti di psicologia del lavoro. Il lavoro rappresenta per l'individuo una delle dimensioni più importanti del suo rapporto con il mondo. Secondo lo psicologo americano Maslow, nel corso della vita l'individuo si trova nella necessità di soddisfare sei tipologie di bisogni che vanno dai più basilari ai più complessi ed elevati. Non si può passare ad un bisogno successivo se prima non si è soddisfatto quello precedente. Quindi abbiamo alla base i bisogni fisiologici, da cui dipende la stessa sopravvivenza dell'individuo; poi, c’è il bisogno Pag. 74di sicurezza, che fa riferimento alla ricerca di stabilità; poi, c’è il bisogno di appartenenza, ovvero il sentirsi parte di una comunità; poi, c’è il bisogno di stima, ovvero l'essere riconosciuto dagli altri per ciò che si fa e per i risultati raggiunti; da ultimo, c’è il bisogno di realizzazione, che corrisponde alla fase più elevata dello sviluppo dell'individuo, raggiungibile solo dopo aver soddisfatto le esigenze precedenti, e riguarda l'esigenza di sviluppare pienamente le proprie potenzialità, l'aspirazione individuale a essere ciò che si vuole essere e a diventare ciò che si vuole diventare.
  Nel lavoro una persona cerca di soddisfare tutti questi bisogni: quelli fisiologici, attraverso il guadagno dei soldi necessari all'acquisto di generi di prima necessità, quelli di sicurezza e appartenenza a un gruppo, quelli di stima e, alla fine, quelli di autorealizzazione. Ma si sa, ogni vertice di una qualsiasi piramide è privilegio di pochi. D'altronde, il vertice è stretto e c’è posto solo per pochi eletti. Così succede che un'intera generazione, quella dei «bamboccioni» per intenderci, sia rimasta bloccata alla base della piramide di Maslow. Stando alle attuali condizioni, all'orizzonte non si profila nessuna possibilità di scalata. D'altronde, la perdita della forza contrattuale esclude ogni titanico tentativo.
  Si è creato un far west di lavori atipici per mascherare vere e proprie forme di lavoro dipendente che ha alimentato un mercato degli schiavi a basso costo, ricattabili e senza tutele. Infatti, proprio perché considerato all'inizio atipico, per queste forme di lavoro non erano previste le stesse tutele del lavoro tipico ed è stato necessario intervenire più volte nel corso degli anni, a pezzi e bocconi, a livello legislativo per riconoscere qualche tutela in più.
  Da ultimo con questo decreto si estende la disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro anche al lavoro in somministrazione e le tutele per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco ai lavoratori Co.Co.Co., a progetto e con contratti di associazione in partecipazione.
  Però, da una parte, si aggiunge qualche tutela in più, dall'altra si tolgono tutele per precarizzare ancora di più. La prova ? Con questo decreto-legge si trasforma la forma tipica del tempo determinato in forma atipica, istituendo di fatto il tempo determinato atipico. Come lo si fa ? Togliendo la causalità come previsto dall'articolo 7. Con l'acausalità il precariato sarà la condizione normale dei lavoratori. Il decreto legislativo n. 368 del 2001 stabiliva, quale regola generale, che un lavoratore può essere assunto a tempo determinato solo qualora sussistano ragioni di carattere tecnico-produttivo, organizzativo o sostitutivo, il cosiddetto «causalone».
  La legge prevedeva anche alcune deroghe a questa regola generale. Ovvero, se il lavoratore è assunto per la prima volta con contratto a termine e tale contratto ha una durata non superiore a 12 mesi, non è necessario indicare il «causalone». La stessa esclusione è prevista con riferimento alla prima missione di un lavoratore nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato. In alternativa i contratti collettivi possono prevedere che l'indicazione del «causalone» non sia richiesta nei casi in cui l'assunzione a tempo determinato o la missione avvengano nel limite complessivo del 6 per cento del totale dei lavoratori occupati nell'unità produttiva e purché essi rientrino nell'ambito di: avvio di nuova attività; lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; fase strumentale di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; rinnovo o proroga di una commessa consistente. La legge stabiliva, però, che i contratti a termine stipulati senza l'indicazione del «causalone» non possono essere oggetto di proroga.
  Ebbene il comma 1 dell'articolo 7, introduce ulteriori deroghe alla disciplina generale: tutti i contratti, anche quelli aziendali, possono così ora stabilire norme di deroga al «causalone» in aggiunta, anziché in alternativa, alle altre deroghe già previste dalla legge e senza limiti. Inoltre viene soppresso il divieto di proroga Pag. 75dei contratti a termine stipulati senza l'indicazione del «causalone». Questo, ad esempio, era uno dei nostri emendamenti volti a mantenere alcune delle principali garanzie che erano previste nel testo originario. Avevamo proposto emendamenti di buon senso e migliorativi ma, in Commissione, la litania è sempre la stessa: chi è a favore ? Chi è contrario ? Chi si astiene ? Respinto. Inoltre ricordo che l'80 per cento dei contratti atipici sono illegittimi per carenza del presupposto di temporaneità delle esigenze produttive e in ogni caso il lavoratore poteva sottrarsi al ricatto, denunziandone l'illegittimità, ottenendo la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.
  Ricordo, inoltre, che la acausalità dei contratti a termine, viola la direttiva europea 1999/70 la quale richiede che siano determinati da condizioni obiettive ai fini della loro legittimità. Il modello comportamentista ci insegna, inoltre, che una causa produce sempre un effetto, e allora quale sarà l'effetto della acausalità ? L'effetto è l'indebolimento dell'obiettivo di favorire il ricorso a rapporti a tempo indeterminato, perseguito dalla riforma del 2012.
  Inoltre, cambiando una congiunzione da «o» a «e» il decreto-legge incentiva ancora di più il precariato selvaggio. La precedente legge, infatti, stabiliva che «il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi» al fine di evitare che questo tipo di contratto fosse utilizzato per coprire forme di vero e proprio lavoro subordinato.
  Ma ecco che interviene l'articolo 7 a prevedere, invece, che ora «il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi», di fatto allargando ulteriormente la possibilità di utilizzo del contratto a progetto.
  E per una «mandrakata» legislativa, sarà ora possibile applicare il progetto a tutto; ad esempio gli addetti alle cucine svolgono un lavoro esecutivo ma non ripetitivo, perché cambiano i menu ogni giorno !
  Altro esempio offerto dal decreto-legge: per il lavoro accessorio si amplia l'ambito di applicazione, ovvero per lavorare con i buoni, i voucher, non c’è più bisogno che l'attività sia di natura meramente occasionale. Prima con i buoni ci andavamo a fare la spesa, ora ci andiamo al lavoro !
  Meccanismo perverso quello dei buoni lavoro. Lo spiego a chi non lo sapesse: c’è un prestatore di lavoro accessorio che si reca da un concessionario per riscuotere il compenso, consegnando il buono che gli ha erogato il beneficiario del suo lavoro, che a sua volta ha comprato il blocchetto dei buoni presso le rivendite autorizzate.
  Proprio un bel modo di rendere flessibile il mercato del lavoro ! Questo siffatto mercato flessibile non sblocca il lavoro, ma blocca bensì il lavoro dei tribunali. E da qui ecco spuntare l'articolo 7-bis, che tenta di mettere una toppa al modo fasullo con cui era stato utilizzato il contratto di associazione in partecipazione, sperando così di sanare tutti i contenziosi aperti.
  E poi c’è il contratto, il più simpatico di tutti, che funziona come le luci dell'albero di Natale: il lavoro intermittente, che è stato introdotto in Italia dalla «legge Biagi» nel 2003. Con il cosiddetto Protocollo sul welfare, promosso dal Governo Prodi e sottoscritto da tutte le parti sociali nel 2007, era stata decisa l'abrogazione di questo tipo di contratto in quanto riconosciuto come uno dei principali strumenti di diffusione del precariato. Nel 2008, il Governo Berlusconi lo ha ripristinato, e adesso si pone il limite di quattrocento giornate annue giusto per limitarne gli abusi. Ma qui gli unici veri abusati sono i lavoratori. Sono abusati nella loro dignità.
  Inoltre, contestiamo questo pazzesco modo volutamente ingarbugliato di legiferare su un tema così importante come il lavoro che dovrebbe essere facilmente comprensibile da tutti. Chiediamo, quindi, al più presto un testo unico sul lavoro.
  E, allora, vi propongo di svolgere insieme, adesso, un rebus rompicapo escogitato ad hoc semplicemente per dire che è ripristinato lo stato di disoccupazione per coloro che svolgono un'attività lavorativa Pag. 76tale da determinare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione e per i soggetti che svolgono lavori socialmente utili. Allora, per dire questa cosa semplice si percorre un tortuoso meccanismo. L'articolo 7, comma 5, lettera d), numero 2, va ad abrogare, cioè eliminare dall'ordinamento giuridico, la norma di cui all'articolo 4, comma 33, lettera c), numero 1, della legge n. 92 del 2012. Quest'ultima norma, che oggi viene abrogata dal decreto-legge n. 76 del 2013, prevedeva a sua volta l'abrogazione della norma dell'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 181 del 2000. L'articolo 7, comma 5, lettera d), numero 2, dell'attuale decreto-legge n. 76 del 2013 va, quindi, a eliminare una norma che eliminava a sua volta un'altra norma. Si tratta dell'abrogazione di una norma che prevedeva l'abrogazione di un'altra norma. Tale meccanismo farebbe rivivere la norma da ultimo abrogata e, cioè, l'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 181 del 2000, la quale prevede ciò che vi ho letto prima. La norma zombie tornerebbe a rivivere dall'oltretomba del nostro ordinamento. Ma tale meccanismo è discutibile. Se l'articolo 4, comma 33, lettera c), numero 1, della legge n. 92 del 2012 abrogò l'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 181 del 2000, quest'ultima norma non esiste più nell'ordinamento. Se la norma non esiste più, anche l'abrogazione della norma abrogativa non farebbe rivivere la vecchia norma perché quest'ultima non esisteva più. Ed ecco la «mandrakata» finale: il decreto-legge n. 76 del 2013, per sgombrare ogni problema interpretativo, ha previsto, nel comma 7 dell'articolo 7, che al decreto legislativo n. 181 del 2000, all'articolo 4, è inserita la seguente lettera: «a) conservazione dello stato di disoccupazione a seguito di svolgimento di attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione. Tale soglia di reddito non si applica ai soggetti di cui all'articolo 8, commi 2 e 3, del legislativo 1o dicembre 1997, n. 468».
  Bene, ci avete capito qualcosa ? Pensate un po’ ai poveri cittadini e ai poveri enti pubblici che sono poi chiamati ad applicare purtroppo tali norme. Quindi, il MoVimento 5 Stelle propone, invece, cose semplici. Innanzitutto, evidenzia che non si crea occupazione variando i margini di flessibilità attraverso modifiche degli istituti contrattuali. Servono posti di lavoro. È inutile parlare di contratti quando si permette alle aziende di delocalizzare all'estero portandosi via tutto, dai macchinari al know how, ma lasciando in mezzo alla strada i lavoratori e le loro famiglie.
  Ed ecco allora che il MoVimento 5 Stelle propone di fare alcune semplici cose. Numero uno: reddito di cittadinanza, perché in periodi di crisi i regimi di reddito minimo non andrebbero considerati un fattore di costo, bensì un elemento centrale della lotta alla crisi. Numero due: riduzione delle retribuzioni e delle pensioni d'oro. Numero tre: vietare per legge la delocalizzazione e incentivare le aziende italiane e non la vendita di marchi italiani alle aziende straniere. Numero quattro: riduzione dell'orario di lavoro. Numero cinque: riscoprire il valore del tempo per non essere schiavi di un lavoro squalificante e umiliante.
  Poi, c’è anche la questione dell'estensione della social card a tutto il Mezzogiorno. Sarebbe da sostituire con il reddito di cittadinanza da applicare all'Italia intera, perché anche le regioni fuori dall'eterna lotta tra Nord e Sud sono in sofferenza.
  In Umbria, ad esempio, c’è una crisi del lavoro senza precedenti, con svuotamento di intere aree industriali. Ricordo che l'Umbria era definita una volta il cuore verde d'Italia: oggi il cuore è in affanno e, pertanto, il Paese rischia l'arresto cardiaco. Ma c’è una cosa che in Umbria va a gonfie vele: sono gli affari delle mafie. Nella regione di San Francesco oggi comandano i lupi: si parla, infatti, di mafizzazione dell'Umbria. Commercio, appalti, usura, edilizia sono i settori a infiltrazione criminale. L'Umbria è tra le rotte del narcotraffico internazionale per collocazione geografica, poco collegata al resto Pag. 77d'Italia e, quindi, meno esposta. Riciclaggio di danaro sporco derivante da droga, prostituzione e scommesse illecite, investimenti nel mercato edile umbro. L'Umbria è così passata da cuore verde d'Italia a lavanderia di Cosa Nostra.
  A proposto di droga, Presidente, colgo l'occasione per affrontare in quest'Aula un tema tabù: quello di un eventuale legame tra politica e consumo di cocaina. Il quesito che pongo è: affidereste la guida del Paese a persone con capacità cerebrali alterate a causa del consumo di cocaina ? Nel rispetto del rapporto di fiducia, chiarezza e responsabilità con il proprio elettorato e con il Paese intero, sarebbe essenziale capire se un parlamentare è libero da dipendenze da sostanze che potrebbero alterarne in maniera significativa la capacità di giudizio nell'attività legislativa, ponendo in pericolo la guida del Paese. Ripeto: alterare in maniera significativa la capacità di giudizio nell'attività legislativa, ponendo in pericolo la guida del Paese, con il rischio di cadere sotto ricatto da influenze esterne o dovute dalle stesse sostanze assunte.
  Pertanto, propongo di prevedere narcotest periodici per tutti i parlamentari, analogamente a quanto avviene per alcune categorie di lavoratori, quali autisti, camionisti, addetti ai trasporti interni alle aziende (cioè, i mulettisti), conducenti di treni, piloti, che devono essere sottoposti regolarmente ad analisi da parte delle aziende. Tutto questo nella speranza che, finalmente, potremo avere un Parlamento pulito in tutti i sensi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, e nel frattempo diamo il benvenuto al Presidente Di Maio che mi sostituisce. È iscritta a parlare l'onorevole Madia. Ne ha facoltà.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 17,25)

  MARIA ANNA MADIA. Signor Presidente, in questi minuti che mi sono concessi in discussione sulle linee generali sulla conversione di questo decreto-legge, vorrei fare innanzitutto tre premesse. La prima: non è una legge che ci fa superare la grave e prolungata crisi congiunturale che viviamo, e non vogliamo scaricare sulla riforma del lavoro il peso di una crescita che non c’è.
  La seconda premessa è che, così come non è una legge, non è neanche un Paese da solo che può agire in modo compiuto sul tema del lavoro e della disoccupazione. Noi abbiamo bisogno di una governance all'altezza a tutti livelli e, in questo senso, rilevo positivamente che c’è stato un cambiamento importante, un segno importante di cambiamento nel dibattito pubblico europeo, anche grazie all'azione del Governo italiano.
  La terza premessa è che, certamente, il fenomeno della disoccupazione, e della disoccupazione giovanile in particolare, è più grave in Italia, perché l'Italia ha, rispetto agli altri Paesi europei, un record negativo, purtroppo, che è quello degli scoraggiati, cioè di coloro che neanche cercano un lavoro e, tra i ragazzi e le ragazze, il record dei cosiddetti NEET, cioè quei ragazzi e quelle ragazze che non studiano e non lavorano. Quindi, l'urgenza è riconnettere le ragazze e i ragazzi con le istituzioni e, in questo senso, la debolezza dei nostri centri per l'impiego non ci aiuta.
  Questo è il primo provvedimento del Governo – voglio sottolineare il primo provvedimento, non la prima azione del Governo – che, anche se in modo parziale, con risorse limitate, quelle che ci sono, quelle che sono disponibili, interviene per promuovere l'occupazione e, in particolare, l'occupazione giovanile. Sottolineo quattro punti che ritengo importanti in questo provvedimento proprio per la promozione dell'occupazione giovanile.
  Il primo è il cuore del provvedimento ed è rappresentato, come è stato detto anche in interventi precedenti, dagli incentivi per chi assume giovani a tempo indeterminato. Io credo che qui l'importante sia il proseguimento di una tendenza culturale, anche questa completamente europea, che ci dice che la forma normale di lavoro è la forma a tempo indeterminato Pag. 78e che, quindi, è la forma a tempo indeterminato che va incentivata, liberata da costi e promossa per i giovani. Non ci sottraiamo al dibattito sulla minore efficacia di incentivi su una platea selettiva rispetto a un abbassamento generale del costo del lavoro, ma per quello, per abbassare il cuneo fiscale per tutti, servono maggiori risorse e quindi auspichiamo che quando ci saranno le risorse si potrà fare anche quello.
  Il secondo punto è la garanzia per i giovani. Noi dobbiamo attrezzarci, qui sì, per avere gambe e strumenti per spendere le risorse, queste sì, più consistenti, che il Governo italiano ha conquistato per questa politica europea: un miliardo e mezzo di euro dal 2014 per inserire i giovani che finiscono il loro percorso di studio nel mercato del lavoro entro quattro mesi dalla fine del loro percorso di studio. Nel decreto-legge ci si attrezza a recepire questi fondi attraverso una struttura di missione; mi sembra, anche, positivo che la struttura di missione si dia come obiettivo di migliorare i centri per l'impiego; tutto questo basta ? No, non basta; dobbiamo andare avanti anche qui, ma è un punto molto importante e lo troviamo in questo provvedimento.
  Il terzo punto è l'attenuazione dei vincoli per alcuni contratti, in particolare per il tempo determinato. A me qui sembra importante, proprio per le nuove generazioni, sottolineare che, in questo momento, in una congiuntura come quella che viviamo, liberare un contratto come il tempo determinato non significa negare quello che ho detto prima, non significa non riconoscere che il tempo indeterminato sia la forma da incentivare, ma significa, però, fare un'analisi vera, secondo un principio di realtà, e riconoscere che, oggi, di lavoro ce n’è poco e che per un giovane è meglio lavorare con un contratto a tempo determinato, che pure prevede dei diritti, perché rispetto al tempo indeterminato, l'unica differenza è che ha un termine, ma ha tutti i diritti sociali ed economici in caso di perdita di lavoro, rispetto al non lavorare.
  Il quarto punto che voglio sottolineare è quello del servizio civile. C’è un inizio importante in questo decreto-legge: 11 milioni di euro per il rifinanziamento; il Ministro Kyenge, che ha la delega al servizio civile, si è impegnata, in quest'Aula, a volerlo valorizzare ulteriormente; noi auspichiamo che anche qui sia un inizio e che si possa, in autunno, finanziare e rifinanziare con maggiori risorse e anche riformare, dando a questo istituto uno stampo maggiormente europeo e di collegamento con il mercato del lavoro per le nuove generazioni.
  Concludo, sottolineando ancora una volta, come è stato detto in molti altri interventi, che si tratta di un primo passo, ma di un primo passo importante, perché le direzioni di marcia sono direzioni di marcia giuste. Dobbiamo andare avanti in un percorso parallelo: da una parte, la creazione di lavoro attraverso nuove risorse e nuovi investimenti, anche ricordandoci che il lavoro non è solo lavoro subordinato e che ci sono i giovani autonomi, che ci sono i giovani che vogliono accedere a delle professioni dove ancora, purtroppo, rischiano di essere vittime di miopi corporativismi, e però, dall'altra, il percorso deve andare in parallelo con una europeizzazione di diritti che affermi concretamente che qualunque sia il tipo di lavoro che si fa, ci sono dei diritti che devono valere per tutti che sono l'accesso, l'apprendimento, le tutele sociali, le tutele economiche in caso di perdita di lavoro e poi, quando sarà il momento, una pensione giusta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rizzetto. Ne ha facoltà.

  WALTER RIZZETTO. Signor Presidente, buonasera, colleghi deputati, sottosegretario Dell'Aringa, mi pare sia abbastanza evidente che il MoVimento 5 Stelle non è d'accordo con questo decreto-legge, non si trova d'accordo con la ratio stessa di questo decreto-legge.
  Ci siamo battuti, in questi giorni, in queste ore, per far capire le nostre motivazioni, Pag. 79per farle capire al Governo, per farle capire ai nostri compagni di avventura in Commissione, ma evidentemente tutto questo non è bastato. Quando parliamo di «decreto lavoro» parliamo innanzitutto di contributi. Le posizione politiche sono differenti, nel senso che magari certi gruppi o certe persone pensano che i contributi non servano per creare dei posti di lavoro o magari qualcun altro non è d'accordo con questa cosa, ma tutto sommato ci si poteva mettere d'accordo su una razionalità di contributi da dare alle aziende ed in seconda battuta ai lavoratori, ma non è stato così. Quando noi andiamo ad agevolare i giovani fino a ventinove anni privi di impiego non retribuito da almeno sei mesi, tutto sommato, potremmo anche esserci, potremmo anche starci. Al Senato hanno cassato la terza peculiarità, che era quella che dovevano vivere da soli, con delle persone a carico, e sin qui, quasi quasi, potevamo anche essere d'accordo; ma quando si vanno ad agevolare soltanto i giovani che sono privi – e cito – di un diploma di scuola media superiore o professionale, significa che tutto un'amplissima parte di giovani diplomati e laureati vengono esclusi da questo provvedimento. Questo noi non lo accettiamo. Non lo accettiamo anche perché noi in Commissione lavoro abbiamo fatto un ottimo lavoro di audizione, e gli stessi auditi – mi pare fosse presente anche il sottosegretario – hanno riferito che i maggiori problemi per l'occupazione vanno a colpire coloro che sono laureati, non coloro che hanno un tasso di scolarità piuttosto basso. Ma per noi andrebbe bene andare a favorire colui che ha la terza media, colui che ha le scuole superiori, colui che ha la laurea, ma questo decreto ce lo vieta. Per poi andare a fare che cosa ? Andare, ad esempio – e iniziamo a parlare di coperture –, a tassare forse l'unico settore che in questo momento poteva dare una sussistenza a coloro che aprivano questi negozietti di sigarette elettroniche – ammesso e non concesso che facciano bene o male; il fumo, ricordiamo, fa male, qualunque esso sia –; però questi signori avevano una propria sussistenza e adesso, con una tassazione superiore al 50 per cento, abbiamo distrutto un altro settore lavorativo, che creerà dei nuovi disoccupati.
  Andiamo quindi, come ricordato stamattina al tavolo, a rinviare l'IVA per andare a prendere anticipatamente IRAP ed IRES, e quindi sempre di tasse parliamo. Io penso modestissimamente che, quando ad un'azienda si chiede: vuoi avere lavoro o non vuoi avere lavoro e più tasse ? Immagino che questa azienda ci dirà: voglio avere lavoro e se dopo devo, con le tasse, contribuire al mio Paese, in questo momento drammatico, allora forse faccio un sacrificio. Ma il problema, signori, è a monte. Il problema è che non c’è lavoro, e quindi, se non c’è lavoro, falliscono le imprese. Se non c’è lavoro, tra l'altro, neanche i cittadini forse possono pagare l'IMU. Parliamo, ad esempio, delle start up, per le quali l'articolo 25 del decreto-legge n. 179 del 2012 – della crescita-bis, ricordo – tra i requisiti prevedeva l'impiego, già nel 2012, di dipendenti con dottorato di ricerca in percentuale uguale o superiore a più di un terzo del totale della forza lavoro e che comunque avessero svolto un'attività di ricerca almeno per tre anni. Questo è stato mantenuto, ma è stato anche detto, ed è stato anche scritto in questo decreto, che adesso le start up devono avere dipendenti in misura uguale o superiore ai due terzi della forza lavoro complessiva con personale in possesso di laurea magistrale.
  Quindi, se da una parte non andiamo ad agevolare coloro che sono diplomati o laureati, andiamo ad agevolare tutto sommato coloro che hanno un tasso di scolarità piuttosto basso, dall'altra parte entro le start-up diciamo: no, dovete elevare questa asticella al vostro grado di professionalità e di studi, per rientrare in eventuali contributi.
  Ci siamo scandalizzati del fatto che la maggioranza, PD e PdL, non abbia presentato emendamenti, non abbia presentato proposte su questo decreto-legge. Soltanto le opposizioni hanno avuto il coraggio di presentare degli emendamenti, hanno avuto il coraggio di inchiodare tra Pag. 80l'altro il Senato alle proprie responsabilità e fargli fare due o tre giorni prima delle ferie estive. Nessun altro ha presentato emendamenti, ma in sede di Commissione il Governo ci dice: proviamo a trattare qualche emendamento, proviamo a trattare qualche questione, parliamoci quanto meno. Bene: emendamento dopo emendamento, indistintamente ci è stato detto un «no» ad ogni proposta, ad ogni emendamento; tanto è vero che dopo, alla fine, con sommo sollievo di tutta la Commissione, il MoVimento 5 Stelle è uscito dalla sede della Commissione perché quello era tempo perso (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Mancanza di dialogo: non abbiam potuto dialogare sulle buone o sulle cattive proposte che ci siamo fatti, ma che evidentemente ci siamo fatti tra di noi, tra pochi intimi. Il Parlamento quindi ritorna per l'ennesima volta, ed in maniera ancor più preponderante, con questo decreto-legge a fare da passacarte: abbiamo passato semplicemente delle carte calate dall'alto, senza tra l'altro pensare al lavoro.
  Mi rivolgo al Partito Democratico. Dal dopoguerra avete fatto del lavoro una delle vostre bandiere, ed su questo provvedimento siete stati silenti: non siamo riusciti a collaborare su un qualcosa che per noi sarebbe, e anche per voi dovrebbe essere, una fondamentale opportunità, e di fondamentale importanza per i lavoratori.
  Abbiamo sacrificato quindi il primo provvedimento del Governo Letta: ricordo che il Premier Letta, nel discorso inaugurale alla Camera, disse che la prima peculiarità di questo Governo sarebbe stata quella di risolvere il problema lavoro. Bene: dopo cinque mesi siamo arrivati al primo provvedimento sul lavoro, e l'abbiam fatto passare in poche ore ! Ieri sera in Commissione alle 21,30 dovevamo finire i lavori, ritornarcene a casa e stare tutti zitti. Bene: noi non staremo zitti su questa cosa, continueremo a parlarne.
  Se il coraggio, Presidente, e la paura sono due concetti antitetici, il coraggio significa avere la possibilità di ottenere la fiducia su questo decreto-legge; ma evidentemente la paura la fa da padrona. Perché dobbiamo dirci le cose come stanno: perché non mettiamo la fiducia ? Perché potevamo essere succubi del MoVimento 5 Stelle, che avrebbe comunque potuto fare ostruzionismo sino a venerdì notte in Aula, e obbligare l'Esecutivo a mettere la fiducia. Bene: la fiducia non si mette, perché è chiaro, il momento politico è piuttosto teso, e quindi per non subire dei contraccolpi o affinché la navigazione vada dritta all'obiettivo, senza maretta a destra o a manca, la fiducia avete avuto paura a metterla. Noi ve l'abbiamo chiesto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Commenti del deputato Brandolin) !
  Sento il collega Brandolin che mi incita, e io... Quindi c’è stata un'effettiva paura a mettere la fiducia su questo provvedimento. 2.500 anni fa Tucidide diceva che il male non è soltanto di chi lo fa: è anche di chi, potendo impedire che lo si faccia, non lo impedisce. Questa maggioranza è stata per l'ennesima volta, e soprattutto su questo decreto-legge, esautorata del suo potere; non è stato esautorato il Parlamento del potere di legiferare: la stessa maggioranza è stata esautorata del potere di legiferare. Sicuramente emendamenti e ordini del giorno sarebbero stati approvati tranquillamente da parte della maggioranza; ma non si è voluto fare !
  Quindi siamo qui senza nessun tipo di senso. Siamo dei passacarte. Che quindi il Presidente Napolitano prenda coraggio, ed obblighi le Camere a cambiare questa legge elettorale per andare quanto prima al voto, perché questa maggioranza non ha più senso (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
  Dobbiamo parlare, signori, di responsabilità nei confronti di coloro che ci hanno votato, dobbiamo parlare di responsabilità nei confronti di coloro che andiamo a trovare quasi tutti i fine settimana, quando non siamo qui. Forse il PD in questo passaggio – ma non ce l'ho soltanto con Partito Democratico, attenzione, la mia è un'indignazione abbastanza trasversale – in questo caso forse si è Pag. 81dimostrato più berlusconiano di qualche deputato del PdL (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Concludo, signor Presidente, dicendo che questo provvedimento in primis andrà a favorire, ripeto, i giovani privi di impiego non retribuito da più di sei mesi, giovani privi di un diploma di scuola media superiore o professionale, mancava soltanto che come caratteristica ci infilaste la patente per guidare gli F35 e allora avevate fatto bingo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Preciso ovviamente che il Presidente della Repubblica non può obbligare nessuna forza politica ad agire in nessuna direzione.
  È iscritto a parlare il deputato Pelillo. Ne ha facoltà.

  MICHELE PELILLO. Signor Presidente, penso che nessuno si illuda che questo provvedimento legislativo sia esaustivo, è stato più volte ricordato dal Governo prima nel lavoro di Commissione e dalla maggioranza in quest'Aula, e nessuno crede che questa legge possa in qualche modo trovare spazio nella storia della legislazione italiana. Questo non significa però non attribuire importanza al provvedimento che ci accingiamo a votare.
  Questo è un provvedimento legislativo molto importante, è molto importante almeno per due ragioni. È importante perché interviene tempestivamente, facendo tutto quello che si poteva fare nel 2013. Nell'analisi che viene fatta dalle opposizioni sfugge sempre questo particolare, questo è un intervento che cerca in qualche modo di dare risposta ad un'emergenza ed è un intervento che viene...

  PRESIDENTE. Deputati vi invito ad abbassare un po’ il tono della voce, cortesemente.

  MICHELE PELILLO. ... è un intervento che viene realizzato senza nessuna manovra di bilancio nel 2013, quindi a condizione data. Poi c’è un'altra ragione che rende importante questo provvedimento, perché esplicita una volontà politica, la volontà politica che fu dichiarata in modo espresso dal Presidente Letta in quest'Aula, la priorità del lavoro ai giovani. Quindi è un atto che anche dal punto di vista politico ha una sua particolare rilevanza, indica la strada, indica un percorso, è un primo provvedimento, è un provvedimento che ovviamente non ha nessuna caratteristica miracolistica ma ci indica la strada giusta, una strada che già nel 2014 potrà dare, in termini quantitativi di approccio a questa grande emergenza, una risposta senz'altro molto efficace.
  Allora, per questi semplici ragioni, mi sembra che l'atteggiamento delle opposizioni non sia adeguato al momento che stiamo vivendo e al tipo di provvedimento che ci accingiamo a votare. In modo particolare mi sembra che l'atteggiamento della Lega Nord sia da stigmatizzare, la Lega Nord rispolvera il vecchio armamentario antimeridionalista, provando a distorcere la verità e a manipolare i fatti che scaturiscono dal testo, solo magari per rianimare qualche militante un po’ depresso.
  Io mi voglio soffermare soltanto su questo aspetto, sull'aspetto che è stato richiamato più volte in Commissione e anche in Aula nella giornata odierna: sembra che questo provvedimento possa discriminare tra i disoccupati del Sud e del Nord e addirittura facilitare il rientro nel mercato del lavoro e l'entrata nel mercato del lavoro, ai disoccupati o agli inoccupati del Meridione.
  Questo emerge da una lettura molto frettolosa del testo, molto superficiale del testo, che merita invece una lettura un po’ più attenta.
  Allora, Presidente, non c’è neanche un euro, neanche un euro di risorse fresche, di risorse nuove che viene destinato per i disoccupati del Sud. Tutti i soldi che sono destinati a questo intervento – e mi riferisco in particolare all'articolo 1 – sono tutte risorse che erano già iscritte nel bilancio dello Stato come cofinanziamento per i fondi strutturali destinati alle regioni meridionali, o come fondi FAS, quei fondi FAS ai quali alcuni colleghi – soprattutto Pag. 82quelli con il fazzoletto verde – erano abituati, con il Ministro Tremonti (Applausi polemici dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie)...

  PRESIDENTE. Deputati, facciamo continuare, cortesemente.

  MICHELE PELILLO. ... a utilizzare per necessità che non erano certo quelle del Mezzogiorno.
  Ricordo, tra tutte, la questione più emblematica, più conosciuta, quella per la quale furono distolte molte risorse dai fondi per il Mezzogiorno andando a pagare le multe...

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  MICHELE PELILLO. Concludo, Presidente. Concludo, dicendo che, tra le pieghe di questo decreto-legge, che stiamo discutendo, c’è anche un altro pregio, un altro pregio perché questo Governo, al contrario di quello che è stato fatto negli anni passati dal Ministro Tremonti, non sposta le risorse del Meridione in un'altra direzione: riprogramma, rimodula le stesse risorse per affrontare un'emergenza che si è verificata, in modo particolare negli ultimi anni, e quindi non sottrarre nulla al Meridione. Nel contempo, però, non dimentica la situazione delle altre regioni e destina, in questo caso, con risorse fresche e risorse nuove, anche somme per le altre regioni d'Italia. Mi sembra che questo atteggiamento meriti apprezzamento, anche perché in discontinuità con quella brutta esperienza che abbiamo vissuto negli anni passati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e applausi polemici dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tripiedi. Ne ha facoltà.

  DAVIDE TRIPIEDI. Signor Presidente, mentre centinaia di piccole aziende chiudono, ci troviamo oggi in quest'Aula, a discutere del «decreto Giovannini» che, con il lavoro, c'entra ben poco. Avrà comunque un risultato, quello di portare più precari nel nostro Paese, come se non bastassero quelli che avete già creato con le vostre scelte sbagliate, dando vita ad un numero ancora maggiore di schiavi moderni.
  Tutto è scritto nell'articolo 7 di questo vergognoso decreto-legge, che, noi del MoVimento 5 Stelle, avremmo voluto migliorare, ma non abbiamo potuto per il vostro solito opportunismo, abbinato alla vostra calcolata fretta.
  Leggendo l'articolo 7, ci si pone immediatamente una domanda: credete veramente che, diminuendo i diritti e la stabilità dei lavoratori, si possa avere una netta e positiva ripresa economica ? In questo Paese, succede tutto e il contrario di tutto, eppure i problemi sono evidenti. Le nostre imprese hanno bisogno di poche cose per risollevarsi: su tutte, abbassare il cuneo fiscale. È, infatti, impensabile che un'impresa deve avere un socio, che è lo Stato che, pur non facendo nulla, incassa quasi il 70 per cento del proprio utile. I grandi dirigenti e gli amministratori dello Stato continuano a sperperare enormi capitali per grandi opere, come il TAV, l'Expo di Milano, e le sue opere annesse, come Pedemontana lombarda, Tem, Brebemi, Rho-Monza, non memori che i grandi eventi in Italia hanno portato solo debiti, nonché inutili devastazioni del territorio.
  Citando solo alcune recenti disastri, già avvenuti e già dimenticati, ricordo i mondiali del Novanta, i mondiali di nuoto di Roma, le Olimpiadi invernali di Torino. Se poi, in questo enorme calderone, ci aggiungiamo anche il caso FIAT e finanziamenti a pioggia ricevuti dallo Stato, c’è da rimanere sgomenti: 7 miliardi 600 milioni di euro negli ultimi 34 anni per promesse mai mantenute, con l'unico risultato di tagliare 147 mila posti di lavoro, con i continui ricatti di delocalizzazione.
  Il tutto sulla pelle dei lavoratori e dei contribuenti italiani, con l'illogica assurda tipicamente italiana di chi combina il disastro e incassa comunque il bottino, Pag. 83lasciando terra bruciata, disastri immani, debiti da pagare e le rovine, lasciate anche qui ai contribuenti e agli italiani.
  La direzione scelta da voi per risolvere il problema è per l'ennesima volta quella sbagliata. Di nuovo non vi state accorgendo – o forse meglio direi che fate finta di non accorgervi – che si sta ripetendo l'errore che si ripete da vent'anni. La vostra soluzione alla sfascio economico del nostro Paese sarebbe quella di provvedere con un decreto-legge, che va esattamente all'opposto della direzione ideale per risolvere i problemi che continuano a maturare nel nostro Stato.
  Una domanda sorge spontanea: come potete pensare di trovare una soluzione al disastro economico creato da voi stessi ? Ma io dico: voi, che per la maggior parte nella vita non avete mai lavorato, come pensate di poter trovare la soluzione alla drammatica situazione in Italia (Commenti dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia) ? Con questo decreto...

  PRESIDENTE. Deputati... Deputati, vi prego solo di abbassare il tono della voce. Deputato Tripiedi, cortesemente ! Deputato Tripiedi, io la prego solo di rivolgersi agli altri deputati con un tono consono e senza rivolgere offese. Prego (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  GIANLUCA BUONANNO. Censuralo. Devi censurarlo !

  PRESIDENTE. No, deputati, per cortesia (Commenti dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia) ! L'ho già richiamato. Adesso è il caso di proseguire. Grazie deputato Rosato.

  DAVIDE TRIPIEDI. Con questo decreto dimostrate, ancora una volta, la vostra incapacità politica. Voi potete contestarmi tutto quello che volete, ma io nelle mani ho i calli, i calli del lavoro. Io sono un operaio. Voi i calli non lo sapete dove li avete (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Commenti dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia).

  PAOLA BINETTI. Ma cosa dici !

  PRESIDENTE. Andiamo avanti. È iscritta a parlare la deputata Simoni. Ne ha facoltà. Vi invito ad abbassare il tono della voce. Prego.

  ELISA SIMONI. Signor Presidente, il decreto-legge che stiamo discutendo è il primo provvedimento, come è stato sottolineato da parecchi interventi, che anche se in maniera parziale si occupa di occupazione e di lavoro e, in particolar modo, del lavoro giovanile. Il provvedimento interviene in una situazione di grande difficoltà economica e sociale e individua, in maniera a mio parere opportuna e anche innovativa, nelle politiche attive uno strumento fondamentale per il sostegno alla ricerca del lavoro e, quindi, anche alla diminuzione della disoccupazione.
  Il programma europeo della Youth Guarantee, cui il Governo si ispira e per cui si sono ottenuti sia l'anticipazione sia l'aumento delle risorse, è diretto ai giovani in difficoltà e tenta di garantire loro un percorso personalizzato per inserirsi nel mercato del lavoro, attraverso il rafforzamento delle competenze, l'orientamento, le esperienze di stage, offerte di lavoro ma anche con il sostegno alle attività autonome.
  D'altra parte, l'istituzione di una sorta di task force per il riordino dei servizi per l'impiego e il loro coordinamento con le politiche attive è indispensabile, proprio al fine di sfruttare al meglio le risorse per il programma della Youth Guarantee, risorse che dovrebbero permettere di dare ai giovani la possibilità di avere un contatto con il mondo dell'occupazione e in questo modo arginare il fenomeno sempre più preoccupante dei Neet, come veniva ricordato dall'onorevole Madia.
  La previsione di incentivi previsti dal decreto senza dubbio aiuta il processo di inserimento. D'altra parte, le migliori esperienze europee mostrano che il successo Pag. 84dipende non solo dagli incentivi alle imprese ma soprattutto dalla capacità degli operatori di politica attiva, pubblici e privati e, ancora meglio, pubblici e privati insieme, di prendere in carico i giovani. La scelta di un'unità di missione, infatti, che metta insieme i vari protagonisti delle politiche per il lavoro, è molto utile ed è motivata certo anche dall'incertezza dell'assetto istituzionale riguardante le province e la conseguente collocazione dei servizi per l'impiego.
  Proprio il futuro dei servizi per il lavoro deve divenire da subito oggetto di una seria discussione e di interventi conseguenti, anche grazie a questo provvedimento. I servizi per l'impiego in Italia sono 550 e vi collaborano 6.600 operatori, tra dipendenti ed esperti. Malgrado ciò, solo il 3,5 per cento delle assunzioni dei disoccupati avviene grazie alle attività dei centri per l'impiego e soprattutto risultano ben poco utili alla categoria dei lavoratori più giovani, ai quali invece il provvedimento si riferisce. Questa è evidentemente una media nazionale e significa che vi sono regioni dove le performance di incrocio tra domanda e offerta sono molto buone e da altre parti molto deludenti.
  È così: in alcune parti del Paese i servizi al lavoro sono deboli. Sì, in alcune parti del Paese si fa più fatica a trovare lavoro. Per questo condividiamo la filosofia alla base di alcuni interventi presenti nel decreto, che aiutano proporzionalmente chi è più in difficoltà. L'Italia uscirà dalla crisi e lo farà da Nord a Sud, colleghi. Allora, la condizione dei nostri centri per l'impiego ha d'altra parte anche ragioni specifiche: i 550 servizi in Italia devono gestire una mole enorme di disoccupati, 3.500 persone ad ufficio, 200 disoccupati per ogni operatore.
  Con questi numeri, gli interventi personalizzati non saranno possibili. Mi riferisco all'intervento che ho ascoltato poc'anzi. I servizi per l'impiego in Italia non sono serbatoi di voti, ma spesso serbatoi di disperazione. Inoltre, l'Italia è tra i Paesi europei con la più bassa spesa per i servizi per l'impiego. Risulta che la spesa in media è intorno ai 600 milioni di euro ed è diminuita nel 2008. Anche la distribuzione della spesa è interessante. Io ritengo che questo decreto cambi la filosofia ed infatti nel 2010, dei 26 miliardi di euro per le politiche del lavoro, 20 miliardi sono stati destinati alle politiche passive, 5 miliardi alle attive e solo 50 milioni per i servizi, in totale controtendenza rispetto agli altri Paesi europei, dove il paradigma è ribaltato, come dovrebbe, in favore delle politiche attive e dei servizi.
  Allora, questo provvedimento fa un cambiamento di approccio e lo fa senza dubbio. D'altra parte, è altresì necessario che il Governo si adoperi per consentire quanto prima la riapertura per l'esercizio della delega di cui all'articolo 4, commi 48 e 49, della legge n. 92 nel 2012, in modo tale da assicurare l'immediata e più efficace attuazione delle misure previste dall'articolo 1, comma 5, del presente provvedimento e negli equilibri di finanza pubblica tenere conto anche delle esigenze di coordinamento tra il riordino istituzionale e il riordino per materia con l'obiettivo della soluzione più efficace ed efficiente. Gestire questa fase intermedia diventa essenziale anche per la salvaguardia delle professionalità attualmente impiegate nei nostri servizi.

  PRESIDENTE. Deputata Simoni, dovrebbe concludere.

  ELISA SIMONI. Concludo, Presidente. Con questo provvedimento vogliamo innanzitutto affermare che il futuro passa attraverso l'inclusione lavorativa dei giovani e, d'altra parte, già da questo provvedimento pensiamo che sia possibile iniziare un percorso di riforma sostanziale dei servizi al lavoro che possa cambiare la filosofia di approccio, da passiva ad attiva, e possa conseguire finalmente obiettivi europei in materia di incrocio di domanda e offerta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Uva. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO D'UVA. Signor Presidente, membri del Governo, colleghi deputati, Pag. 85oggi discutiamo un decreto inerente, tra le tante cose, IVA, questione sociale e promozione dell'occupazione. Quest'ultimo è un argomento di primaria importanza, perciò mi spiace che il decreto sia arrivato così tardi alla Camera dei deputati. Sarebbe stato bello parlarne anche prima. Mi spiace anche che questa discussione avvenga ad agosto, quando gli italiani sono al mare e difficilmente seguono il nostro lavoro con il dovuto interesse. Mi spiace, ma con tutta la buona volontà di questo mondo, il MoVimento 5 Stelle non può approvare questo modus operandi. Premesso ciò, sono costretto a puntare il dito sulle contraddizioni di questo Esecutivo e quindi della maggioranza, qualora votasse a favore del provvedimento che mi accingo ad esporre. Posso solo puntare il dito e vigilare, dal momento che le nostre proposte e i nostri suggerimenti non vengono mai ascoltati, ma del resto è il ruolo dell'opposizione vigilare, come quello della maggioranza è bocciare tutto ciò che propone l'opposizione. Voi fate un provvedimento per i giovani senza ascoltare i giovani, che in questa legislatura trovate anche tra questi scranni. È una presenza che sottolinea il fallimento della vecchia politica. Certo mi auguro che abbiate ascoltato almeno i giovani colleghi, miei coetanei del resto, della maggioranza.

  PRESIDENTE. Deputati, se è possibile abbassare il tono della voce, grazie !

  FRANCESCO D'UVA. Se non l'avete fatto vi invito a farlo, non limitatevi a lasciarli nei social network e a dare opinioni. Ascoltateli ! Fateli lavorare, sono persone che potrebbero dare un contributo positivo ai vostri provvedimenti.
  Ma torniamo al decreto. Da tale decreto lavoro il Governo si appresta a ridurre il Fondo di finanziamento ordinario, ovvero il fondo dedicato all'università di 7,6 milioni di euro per garantire in parte la copertura finanziaria del decreto stesso. Colleghi, proprio l'ultima volta che ho preso la parola in questa Aula, fra le tante critiche, ho espresso apprezzamento per l'aumento del turnover dei ricercatori dal 20 al 50 per cento, aumento garantito dal taglio ai servizi di pulizia scolastici, taglio questo che invece ho apprezzato molto meno.
  Ebbene, se quello era il decreto «del fare», questo è il decreto «dell'annullare». Infatti, è assurdo dare ieri più fondi alle università per aumentare il turnover e toglierli oggi per la copertura finanziaria del decreto. Questa è una contraddizione.
  Le vostre contraddizioni, il vostro perenne ignorarci o al più prenderci in giro, non si fermano qui, sì perché questo Governo ha deciso di perorare la via del merito, che diceva di portare avanti il Governo precedente, e quindi, abbiamo i fondi premiali da dare alle università in base al rendimento della ricerca valutata dall'Anvur, agenzia che oggi è solo candidata all'Enqa, ente europeo che accredita le agenzie di valutazione.
  Constato che questa oltre ad essere l'ennesima mossa, questa dell'Anvur, che non riguarda questo decreto e che serve ad erogare meno fondi all'abbandonato Meridione, va a cozzare con la decisione espressa dal Governo in questo decreto. È qui la contraddizione tra quanto fatto prima e quanto si fa oggi. Ridando sostegno economico ai soggetti non diplomati finisce per discriminare coloro che hanno investito su formazione culturale e professionale. Così se da un lato si premiano le università più meritevoli, ovvero quelle dal Rubicone in su (è chiaro), dall'altro si premia chi non ha studiato e non ha nemmeno un diploma. Questa è una vera e propria premialità inversa.
  Si potrebbe ovviare a questo problema garantendo finanziamenti anche per i meritevoli così da scongiurare l'innescarsi di un circolo vizioso che vede i cittadini abbandonare gli studi per accedere ai finanziamenti andando quindi contro gli obiettivi europei come quello di Horizon 20-20, in cui si chiede l'abbassamento dell'abbandono scolastico dal 19 al 10 per cento. Ricordo infatti che il provvedimento in esame è indirizzato ai giovani tra i 18 e i 29 anni. Ricordo anche che a 18 anni si frequenta l'ultimo anno di scuola in Pag. 86Italia: quindi, il problema che un diciottenne possa in Italia abbandonare la scuola per avere accesso a questi fondi è reale.
  Concludo, Presidente, sono ben conscio del fatto che questo discorso non convincerà i colleghi della maggioranza a votare contro questo decreto. Ho voluto prendere la parola più che altro per spronare il Governo ad evitare queste contraddizioni in futuro, bisognerebbe tenere a mente cosa è stato fatto nei decreti passati e se qualcuno ritiene che questi decreti siano troppo grandi e troppo variegati per essere ricordati adeguatamente, suggerisco di smetterla di proporre decreti omnibus e di realizzare piuttosto decreti snelli o meglio ancora restituire il potere legislativo al Parlamento eletto dal popolo sovrano (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Burtone. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, non è necessario indicare dati per sottolineare la gravità della condizione della disoccupazione giovanile. È difficile in tutto il Paese, mi si permetta ma è drammatica soprattutto nel Mezzogiorno. Dico questo perché qualche collega, soprattutto della Lega Nord, ha voluto ironizzare, sottolineare negativamente l'impegno del Governo a favore del Mezzogiorno. Il Governo sta affrontando la crisi del Paese ma è vero, lo vogliamo sottolineare, finalmente è rientrato nell'agenda politica il Mezzogiorno. Il Governo non c’è dubbio deve tener conto del fatto che ad una condizione di arretratezza strutturale dal punto di vista produttivo del Sud si è aggiunta una grave crisi economica e ci sono aree in cui vi è una piena desertificazione: l'occupazione zero, quindi se la situazione non è esplosa è perché nel Sud c’è ancora tanta capacità di adattamento, ci sono le famiglie, c’è la capacità di stringere i denti, di resistere.
  Allora la prima considerazione che noi vogliamo fare è che, di fronte alla gravità della crisi, questo Governo sta facendo qualcosa, e la sta facendo con una certa celerità, prevalentemente al Sud, utilizzando – è vero – risorse europee che erano state individuate per lo scopo dell'avanzamento produttivo del Mezzogiorno.
  La seconda considerazione che voglio fare è che il provvedimento – lo dico al collega che ha parlato prima di me – va letto con attenzione, e non con superficialità. Non vi è una contrapposizione tra chi ha studiato e chi, invece, è rimasto fermo alla terza media. Bisogna prendere atto che vi è una realtà, la fotografia è che il 20 per cento dei giovani tra i 14 e i 24 anni non studia e non lavora. Che facciamo ? Sono un vuoto a perdere ? Sono la manovalanza che deve riempire la criminalità organizzata ? Noi pensiamo che siamo davanti ad un intervento di emergenza, un intervento di pronto soccorso.
  Certo, vi deve essere il resto, vi sono altri provvedimenti che stanno per essere varati, vi è la necessità di una ripresa produttiva, di un piano industriale, bisogna guardare alle eccellenze del Paese, ai beni culturali, al turismo. Comunque, rimane l'emergenza, e noi la dobbiamo affrontare.
  Infine, vi è la terza considerazione: l'estensione della social card. Vi è un rischio, il filo sottile che separa il sostegno dall'assistenzialismo. Il disagio, però, va affrontato. Abbiamo perso interi segmenti produttivi. I numeri sono diventati giganteschi: vi sono lavoratori in cassa integrazione ordinaria e straordinaria, vi sono ex lavoratori che non riescono ad essere ricollocati, vi sono gli esodati. Non vi è dubbio che la risposta non deve essere assistenzialistica.
  Vi è bisogno di dare risposte piene. Comunque, bisogna intervenire per affrontare la grave condizione di disagio in cui si ritrovano ampie fasce della nostra comunità. Concludo, signor Presidente: il Governo deve continuare a lavorare. Bisogna incrociare gli altri provvedimenti che stanno arrivando.
  Si dice, lo dicono alcuni organi di stampa, che stiamo incrociando una piccola ripresa. Vi sono dati importanti, positivi. Pag. 87Io credo che si debbano mettere da parte gli interessi particolari e procedere per portare avanti gli interessi veri della nostra comunità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Villarosa. Ne ha facoltà.

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Signor Presidente, colleghi, ieri ho incontrato Daniele: mi ha raccontato che è stato licenziato e che da settembre non potrà più pagare l'affitto. Daniele è laureato, ha anche un master e lavora come consulente esterno in un asilo, ma realmente è un dipendente, anche se il suo contratto non lo dice. Lavora per oltre 8 ore al giorno e alla fine del mese porta a casa mila euro. In pratica, lavora in nero, ma ora neanche quello.
  Poi ho telefonato a Nicola: Nicola ha 27 anni, ha una laurea, un master in economia, ma a Messina lavoro non ce n’è. Chiede al padre: papà, che cosa faccio ? Cerco lavoro ? E quello: e che lo cerchi a fare ? Tanto non ce n’è !
  Infine, l'altro giorno ho incontrato anche Giovanna, che è ancora convinta di essere rispettata dal proprio datore di lavoro. Lavora part time in un call center, questo è vero, ci lavora 4 ore al giorno, ma essere contenti per una paga di 350 euro al mese, 4,50 euro all'ora, privi di alcun contratto, è un po’ troppo, cari colleghi !
  Passeggiando nella mia città ho anche notato che non vi è più la bottega di Maria, quella di Francesco, non vi è più Giovanni il macellaio, il negozio di elettronica di Angelo, nel quale lavoravano anche Michele, Samuele e Sara.
  In questo posto sono arrivato in silenzio. I primi giorni, nonostante conoscessi bene la storia, ho cancellato i preconcetti e ho vissuto la quotidianità, come se non vi conoscessi. Anche perché è vero, non vi conoscevo affatto: conoscevo solo i vostri leader e le persone vicine ai vostri leader. Questo Paese, purtroppo, lo hanno distrutto loro, questo è innegabile ! Loro, che parlano di soluzioni, siedono affianco a voi e parlano ancora oggi di soluzioni e di responsabilità, dopo tutti questi anni. Parlano di Governo di scopo, di bene per il Paese, di «ce lo chiede l'Europa». Magari, amici miei ! Questa è demagogia, non la nostra. Questa è demagogia !
  Questa non è politica, questo è politichese, lingua che noi non conosciamo affatto, ma voi benissimo. Non è quindi il partito nella sua interezza, è solo colpa dei capi e dei capoccia, questo lo dovete ammettere. Non posso dare la colpa a chi prima non c'era, e quindi è chiaro a tutti che nessuno può dare colpe o attribuire responsabilità al MoVimento 5 Stelle. Noi non c'eravamo, Eravate voi che guidavate questo Paese. Noi la vogliamo questa responsabilità. Noi vogliamo un Governo a 5 Stelle, per dimostrarvi come risollevare questo Paese, che, come ribadisco, siete voi ad aver affossato.
  Purtroppo a questo Governo non è ancora chiara la situazione. Lo vediamo da questo decreto. Questo Governo passa troppo tempo con champagne e caviale. Questo Governo usa troppe auto blu, non gira sui tram. Questo Governo scappa e si fa coprire dalla scorta quando si avvicina un cittadino. Questo Governo sa di essere attenzionato dai cittadini, e sfrutta la comunicazione, sfrutta i media sostenitori per lanciare messaggi fuorvianti: «l'IVA è rinviata», «Trovata una soluzione per il rinvio dell'IVA», «I cittadini respireranno per tre mesi». Come un bravo baro, questo Governo nasconde la realtà: l'IVA la pagheremo lo stesso. Sarebbero stati 4 miliardi, ne dobbiamo trovare uno. E dove lo trova il Governo ? Sull'IRPEF, sull'IRES, sull'IRAP. Vogliamo ancora prenderci in giro ? Vogliamo soprattutto prendere in giro i cittadini italiani ? Voi vi domandate come mai la tensione nelle strade è alta. Davvero credete di poter prendere in giro la gente ? Perché, se prendete questo decreto, vi potrete rendere conto che al massimo le persone che riuscirete a favorire (per un anno, massimo due, ricordiamoci) sono 20 mila. Abbiamo un milione di disoccupati giovani, abbiamo 8 milioni di persone sotto la soglia di povertà, e voi vi occupate di 20 mila persone. Come si fa a credere di poter risolvere queste enorme Pag. 88problema riformando alcuni tecnicismi delle srl semplificate ? Come possono delle agevolazioni sulle assunzioni risolvere i problemi reali legati al lavoro ? Il mercato è fermo. La liquidità è ai minimi e la propensione al consumo idem. Ciò su cui bisogna puntare è sulla domanda, non sull'offerta. È molto semplice, ma voi state dimostrando di non essere capaci perché, vi ripeto, è molto semplice. La gente non può comprare. La gente non può comprare ! Il problema, vi ripeto, è la domanda. Però questo Governo purtroppo non vive la quotidianità, non conosce i problemi della gente.

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Non conosce i Daniele, non conosce i Nicola, non conosce le Giovanna e purtroppo credo che non conosca la realtà europea. Quando lo capirete ? Quando potremo smettere di ripetervi che l'Italia, insieme alla Grecia, non possiede una misura di reddito minimo garantito ? Quando smetteremo di essere uno Stato assistenzialista, smetteremo di donare tutto questo potere ai sindacati e alle forze politiche ? Potere di giocare con cassa integrazione e mobilità, potere di giocare con la vita degli operai.
  Neanche vi rendete conto di ciò che significa vivere con l'incertezza di domani: ti chiudi in te stesso, non vivi più. Serve una misura di reddito minimo, serve adesso e non potete chiudere gli occhi. Lavoriamoci insieme. Lavoriamoci adesso. Noi abbiamo un testo pronto su cui accettiamo ogni proposta migliorativa. L'importante è non prendersi in giro. Gli sprechi e i privilegi in questo Paese sono tanti. Ve lo ripeto, lavoriamoci subito, lavoriamoci adesso. La gente è qui fuori. La gente non può aspettare. La gente non aspetterà (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gallinella. Ne ha facoltà.

  FILIPPO GALLINELLA. Signor Presidente, colleghi, oggi parliamo di occupazione giovanile e IVA con la conversione in legge del decreto-legge n. 76 del 2013. Un altro. Innanzitutto, come al solito ci opponiamo alla modalità presentata, perché nonostante la tematica importantissima, c’è stata l'impossibilità di intervenire concretamente sul provvedimento con proposte emendative migliorative, a causa dell'acceleramento nell’iter di approvazione voluto dal Governo.
  Per questo quando il decreto ci è pervenuto in Commissione (io sono della Commissione agricoltura, dove si trattano argomenti che coinvolgono il comparto primario) noi ci siamo immediatamente trovati ad essere in opposizione, perché, nonostante l'impegno – a nostro avviso comunque poco incisivo – di assumere giovani tra i 18 e i 29 anni tramite incentivi al datore di lavoro, questa fascia d'età non è tanto a rischio e quindi noi volevamo chiedere e chiediamo al Governo – presenteremo degli ordini del giorno in tal senso – di considerare anche una fascia di età più ampia, perché sono le persone dai 35 ai 40 anni che magari hanno una famiglia e non hanno un lavoro. Inoltre, questa fascia più giovane fino a 29 anni, per quanto in un momento di crisi, comunque è già tutelata perché fino a 26 anni, almeno in agricoltura, ci sono i vaucher e poi fino a 29 anni ci sono i contratti di apprendistato. Questo lo volevamo segnalare.
  Oltre questo, riteniamo che l'idea dell'incentivo a tempo, prevista in questo decreto, è solo un provvedimento tampone che sposterà – per quanto poi funzionerà, vedremo – il problema nel tempo. Quindi siamo critici anche per questo motivo.
  Poi bisogna considerare che le caratteristiche strutturali del settore agricolo – come tutti sanno – sono piuttosto complesse e peculiari rispetto ad altri ambiti ed influiscono profondamente sulle modalità occupazionali. Il lavoratore agricolo è, infatti, esposto più che in altri settori a forte precarietà e a possibili abusi spesso legati alle attività prevalentemente stagionali del settore. In questo testo non c’è nulla in merito a creare dei contratti ad hoc, che tengano conto di queste esigenze, Pag. 89perché ci sono attività in cui è richiesta la stagionalità e la flessibilità, come per esempio per la vendemmia, la raccolta delle olive, dei pomodori e dei peperoni.
  Ovviamente, gli ordini del giorno che presenteremo al Governo saranno per invitarlo – perché non possiamo fare altro che sollecitarlo – a tener conto del fatto che nel settore agricolo si dovranno prevedere situazioni diversificate per chi si trova nel comparto dirigenziale dei consorzi, per chi è dipendente o per chi è un operatore agricolo o florovivaistico, come ci viene indicato nella rivista «Il capitale umano in agricoltura», Inea.
  Oltre questo, sarebbe stato utile, in questo momento di crisi, sicuramente prevedere, almeno per il settore agricolo che nonostante la crisi ancora un po’ tira, degli sgravi sul costo del lavoro, magari anche in base alle fasce di età.
  Ricordiamo poi all'Aula il Primo rapporto sul caporalato e sulle agromafie. Il caporalato è un reato che è entrato nel codice penale solo nel 2011. Questo rapporto è stato realizzato da FLAI e CGIL e indica che 400 mila lavoratori sono coinvolti in questo fenomeno. Il magistrato De Luca della Direzione antimafia scrive che sono i mercati agricoli quelli più pesantemente influenzati da questo fenomeno.
  Per questo motivo, considerando che non c’è nulla in tal senso nel decreto per la protezione dei lavoratori, siamo ancora critici. Anche perché il contrasto al lavoro nero si potrebbe fare semplicemente con un controllo incrociato: produzione aziendale, uomini necessari in un giorno per la tipologia di lavoro e si vede all'INPS se per quella tipologia di lavoro in quel periodo sono stati versati i contributi. Quindi il controllo potrebbe partire subito.
  Aggiungo infine un'altra criticità, nulla è previsto in materia di agricoltura sociale, nonostante la Corte di giustizia europea ci ha già criticato per gli scarsi livelli occupazionali delle persone diversamente abili, eppure questo è un tema comunque a noi caro perché in Commissione lo stiamo affrontando e nel decreto non c’è nulla.
  Infine, siamo ulteriormente critici perché una materia delicata come il lavoro che tocca la vita quotidiana di ogni cittadino italiano necessita, ormai da troppo tempo, di una riforma strutturale ed organica e non di interventi «mordi e fuggi» come questi, oppure interventi spot come noi riteniamo che siano.
  Per questo riteniamo che il decreto così com’è fatto non ci piace per nulla e sarebbe stato più opportuno che il lavoro fosse fatto con più calma nelle Commissioni competenti, affrontando tutta la problematica del lavoro, perché è molto ampia. Comunque sia noi proveremo con gli ordini del giorno a dare un consiglio al Governo per tener conto anche di queste esigenze (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Chimienti. Ne ha facoltà.

  SILVIA CHIMIENTI. Signor Presidente, vorrei cominciare il mio intervento ricordando come si sia giunti alla discussione di questo decreto, che approda oggi in Aula dopo il passaggio al Senato privato di qualsiasi possibilità migliorativa. La Camera dei deputati infatti è stata costretta al silenzio e a una totale passività durante l'esame del provvedimento nelle Commissioni competenti; un immobilismo che vogliamo denunciare a gran voce.
  Su qualunque emendamento migliorativo proposto dal MoVimento 5 Stelle o da altri schieramenti è stato posto il veto dal Governo nella figura dei presidenti di Commissione che guidavano la discussione in maniera autoritaria e senza consentire un dibattito approfondito. Non consideriamo democratico essere estromessi dalla discussione su testi di legge così rilevanti che vertono su temi assolutamente cruciali per le sorti del Paese dopo averci lavorato duramente solo perché costretti a rispettare i tempi propri di uno strumento normativo, il decreto-legge, che, peraltro, ci vede contrari a prescindere. La pantomima a cui siamo stati costretti durante l'esame delle Commissioni congiunte lavoro e finanze ha dell'incredibile. Con la presidenza che non ha lasciato neppure il tempo di alzare le mani al momento delle Pag. 90votazioni, annunciando anticipatamente la bocciatura di tutti gli emendamenti e fissando alle 21,30 di ieri sera il termine ultimo per la fine dei lavori indipendentemente dalla conclusione o meno dell'esame del decreto-legge.
  Eppure questo testo così com’è andrà a produrre i suoi effetti sulla cittadinanza. E poco importa, a chi ha avuto la fretta di approvarlo, che l'impatto sociale di queste norme sarà modestissimo o quasi impercettibile. L'importante è approvarlo senza «se» e senza «ma». Quello che è sorprendente è che il testo stravolge in parte la disciplina della riforma del lavoro a firma Fornero. Questa improvvisa retromarcia che vede la modifica di una serie di norme approvate appena un anno fa da una maggioranza analoga a quella attuale indica due cose: o un'ammissione di colpa o, per l'appunto, un'inspiegabile schizofrenia legislativa. Quanto alla norma che disciplina gli incentivi per i datori di lavoro che assumono con contratto a tempo indeterminato giovani tra i 18 e i 29 anni...

  PRESIDENTE. Deputati, vi invito ad abbassare il tono della voce, grazie.

  SILVIA CHIMIENTI. ... privi di impiego da almeno sei mesi o privi di diploma di scuola media superiore o professionale, ribadiamo come questa misura risulti insoddisfacente e troppo restrittiva, anche alla luce delle cifre che vi vado a leggere. Secondo un'indagine conoscitiva dell'ISTAT, infatti, la composizione per età dei disoccupati e la dinamica seguita dalle diverse fasce di età sottolinea come in realtà l'incertezza e i rischi occupazionali stiano aumentando in misura significativa anche per i lavoratori più adulti. I disoccupati con meno di 29 anni sono circa il 38 per cento del totale nel 2012, gli ultra trentanovenni rappresentano invece circa il 35 per cento del totale.
  Inoltre, rispetto al 2007, la crescita più forte in termini di numero di disoccupati sì è registrata proprio nelle fasce di età superiori ai 39 anni. Risulta evidente da queste cifre come fosse necessario intervenire a più ampio respiro non restringendo a determinate fasce di età l'erogazione degli incentivi, ma proponendo un piano di investimenti e di interventi trasversali che tenesse conto delle reali esigenze dei cittadini immersi in un sistema di reclutamento profondamente dispersivo in cui i centri per l'impiego non hanno alcun peso a differenza di ciò che avviene, ad esempio, in Germania dove, come sottolinea sempre l'ISTAT, l'82 per cento della popolazione utilizza i centri pubblici per l'impiego per cercare lavoro. In Italia, invece, si rivolge ad essi solo il 33 per cento dei disoccupati e solo l'1 per cento dei giovani impiegati nell'ultimo anno ha trovato lavoro tramite questi centri pubblici per l'impiego. Mentre nel nostro Paese – dice ancora l'ISTAT – la modalità tradizionale di ricerca di un'occupazione è legata alla propria rete di conoscenze di parenti e amici più o meno ampia e influente, in Germania il sistema educativo prevede un collegamento molto stretto tra scuola e lavoro e una forma di apprendistato che è intesa dalle imprese come un dovere sociale dal momento che questo è tradizionalmente il principale canale di formazione e di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Non caso la Germania conta tra le più basse percentuali di disoccupazione giovanile rispetto alla media europea e, anche con la crisi, la diminuzione dell'offerta di posti di formazione, ai giovani continua ad essere garantito un tirocinio o un'opportunità di formazione professionale a tempo pieno allo scopo di renderli competitivi per ottenere un posto di apprendistato l'anno successivo.
  È la società intera che si fa carico in maniera responsabile dell'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, anche tramite un servizio di consulenza e di orientamento per i ragazzi in merito alla professione da scegliere. Qui in Italia siamo lontani anni luce da un efficiente raccordo tra formazione e occupazione, e i giovani vengono letteralmente abbandonati a se stessi il giorno dopo il conseguimento del diploma o della laurea. In questo decreto-legge si considerano lavoratori svantaggiati Pag. 91soltanto coloro che sono in possesso della licenza media, ma sappiamo benissimo che ormai questa descrizione del Paese non fotografa più la realtà che è fatta anche di migliaia di diplomati, laureati e di dottori di ricerca le cui competenze acquisite con ingenti costi per lo Stato e per le famiglie, vengono disperse o sprecate in altri Stati.
  Noi non abbiamo un sistema di orientamento. Le nostre facoltà universitarie non sono abilitanti alle professioni. Mancano incentivi e agevolazioni reali per chi è in cerca di un'occupazione. E quel che è più grave è che non siamo neppure consapevoli...

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  SILVIA CHIMIENTI. ... dello spreco di risorse che un sistema così irrazionale comporta per l'intera società. Ci piacerebbe che anche in Italia fosse percepito come un dovere sociale l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Il MoVimento 5 Stelle ha tante idee innovative per il rilancio dell'occupazione, ma se la dialettica parlamentare continua ad essere svilita a suon di decreti-legge, sarà difficile far capire che i problemi potrebbero essere affrontati seguendo un'ottica opposta a quella di mettere una pezza elargendo pochi incentivi a pioggia e con modalità discutibilissime, a fronte di una situazione ormai degenerata. Chiediamo a gran voce almeno la possibilità di dialogare nelle Commissioni, perché non accetteremo che tutte le nostre proposte restino solo un bel libro dei sogni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 18,30).

  PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 1458)

  PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la VI Commissione, deputato Causi, rinunzia ad intervenire in sede di replica. Ha facoltà di replicare il relatore per l'XI Commissione, deputato Pizzolante.

  SERGIO PIZZOLANTE, Relatore per la XI Commissione. Signor Presidente, soltanto brevissime considerazioni in replica ad alcune puntualizzazioni. Noi abbiamo detto, sia nelle relazioni e anche in molti interventi, che questo non è il provvedimento generale sul lavoro e sulla disoccupazione giovanile. Questo è un primo intervento, questa è la prima tappa di un percorso all'interno del quale dovranno esserci più provvedimenti. Per questo, noi abbiamo finalizzato le risorse disponibili per questo provvedimento soltanto per l'emergenza più nera che è quella dei disoccupati che non lavorano, non studiano e che sono, appunto, un grande problema in questo momento nel nostro Paese, al Sud come al Nord.
  Noi non stiamo escludendo qualcuno, come si è detto. Noi non è che escludiamo i giovani scolarizzati con alta formazione. Noi stiamo includendo chi pensiamo che in questo momento sia in una situazione particolarmente grave per poi dopo, in prossimi provvedimenti, in prossime iniziative, includere anche gli altri. E noi non stiamo escludendo i giovani rispetto all'opportunità di avere incentivi sull'autoimpiego, sull'autoimprenditorialità. Noi abbiamo fatto una scelta sul Sud in questo momento perché le risorse sono limitate e perché queste risorse erano già a disposizione del Sud, del Mezzogiorno d'Italia.Pag. 92
  E così, anche per quanto riguarda i più poveri, quelli più in difficoltà. Noi non è che stiamo escludendo qualcuno dalla possibilità di utilizzare la social card. Abbiamo ampliato la platea, rispetto ad alcune città che già ne usufruivano, a tutto il Sud, ma pensiamo che bisognerà poi fare dei passi in avanti anche verso il Nord dove ci sono situazioni di crisi molto grave, dove la crisi sta colpendo molto duramente e ci sono situazioni di disagio che noi riconosciamo molto gravi. Quindi, con le risorse disponibili e con la destinazione già prevista delle risorse, noi abbiamo fatto, il Governo ha fatto delle scelte che tendono ad includere alcuni in attesa di includere tutti. Non è un'operazione di esclusione nei confronti di qualcuno.
  Poi un altro ragionamento va fatto sulla questione della flessibilità sulla quale si sono intrattenuti tutti. Non voglio fare un ragionamento adesso di valore sulla questione della flessibilità. Dico alcune cose precise...

  PRESIDENTE. Deputati, vi invito ad abbassare il tono della voce.

  SERGIO PIZZOLANTE, Relatore per la XI Commissione. ... e concrete.
  Qui non c’è soltanto il tema delle nuove opportunità che si possono costruire con la reintroduzione di meccanismi più flessibili per l'accesso al lavoro. Qui c’è un problema di mantenimento dei contratti e dei rapporti di lavoro già esistenti, che, nelle attuali condizioni di rigidità, rischiano di non poter essere mantenuti. E, quindi, c’è il rischio di decine di migliaia di posti di lavoro, di contratti di lavoro, che tendono ad essere interrotti, se noi non interveniamo, e per questo stiamo intervenendo. Nello stesso tempo, con riferimento alla flessibilità che noi reintroduciamo, c’è stata da parte delle imprese una fortissima richiesta in questo senso per ampliare le possibilità di nuovo impiego.
  In più, l'ultima considerazione è la seguente. L'articolo 1, che introduce degli incentivi per la trasformazione di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, non è in contraddizione con l'articolo 7, che semplifica la flessibilità, i contratti e l'accesso al lavoro, perché noi non abbiamo una posizione ideologica a favore di una tipologia di contratto contro un'altra tipologia di contratto, che sarebbe il contratto a tempo indeterminato. Noi pensiamo che la flessibilità serva all'impresa, serva ai lavoratori; pensiamo che, molte volte, l'alternativa al contratto a termine è la disoccupazione, nessun contratto o il lavoro nero. Ma nello stesso tempo, pensiamo sia giusto incentivare, dov’è possibile, il passaggio dal rapporto a tempo determinato al rapporto a tempo indeterminato.
  Queste sono le linee sulle quali abbiamo lavorato, le motivazioni che ci hanno mosso e pensiamo, come primo intervento – ripeto, come primo intervento –, di aver fatto qualcosa di utile e positivo per l'occupazione giovanile.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

  CARLO DELL'ARINGA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, poche parole innanzitutto di ringraziamento per le parole che ho sentito durante la discussione, sia per quelle dei relatori e degli esponenti della maggioranza, che hanno sostenuto le ragioni di questo provvedimento, sia per le parole degli esponenti dell'opposizione che hanno espresso critiche, anche radicali, sui contenuti del provvedimento; critiche che naturalmente non accettiamo come Governo, pur tuttavia, anche dalle critiche si può trarre lo stimolo per fare di più e di meglio in futuro.
  Colleghe e colleghi, il Governo è assolutamente consapevole dei problemi che ha di fronte e di come intende affrontarli. Nei mesi scorsi, la nostra economia ha perso posti di lavoro al ritmo di 30 mila ogni mese e la disoccupazione è aumentata al ritmo di 40 mila unità...

  PRESIDENTE. Deputati, vi invito ad abbassare il tono della voce, per favore.

Pag. 93

  CARLO DELL'ARINGA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali.. ..ogni mese. Compito del Governo è, innanzitutto, di arrestare questa emorragia e, in secondo luogo, di porre in essere una serie di misure che siano in grado di accompagnare, sfruttare e rafforzare quei timidi accenni di ripresa che la nostra economia comincia a mostrare.
  Questi interventi di politica del lavoro, come è stato giustamente detto, non vogliono essere né decisivi né risolutivi, per due motivi: innanzitutto, perché i posti di lavoro dipendono in larga misura dalla ripresa economica e, in secondo luogo, perché noi non abbiamo fatto altro che toccare, con alcuni interventi urgenti, alcuni campi di intervento che dovremo sviluppare ulteriormente in futuro. Indico solo i titoli, dal momento che già su questi si sono soffermati coloro che hanno difeso e giustificato i motivi di questo provvedimento. Cuneo fiscale: guardate che questa misura, di cui gli incentivi alle assunzioni sono solo un semplice inizio, rappresenta la chiave per rilanciare la nostra economia e noi saremo impegnati nella riduzione del cuneo fiscale attraverso una riduzione del costo del lavoro per le imprese e attraverso una riduzione del carico fiscale dei lavoratori. Lo faremo non appena saremo riusciti ad evitare gli effetti di quelle misure che il Governo della passata legislatura ha dovuto assumere per portare i conti in ordine; noi dobbiamo contrastare gli effetti di quelle misure, innanzitutto: l'aumento dell'IVA, la tassazione sulla prima casa, le risorse per la cassa integrazione in deroga, gli esodati e il primo avvio di un vero contrasto alla povertà e la necessità di inserimento dei lavoratori che non hanno lavoro.
  Questo è un impegno forte che il Governo sta assumendo, ma accanto a questo impegno c’è l'impegno di rilanciare l'economia attraverso misure ulteriori che diminuiscano la pressione fiscale, innanzitutto quella sul lavoro e le imprese. Le politiche del lavoro, e concludo brevemente, che rappresentano il nucleo di questo decreto, servono come accompagnamento delle misure macroeconomiche che verranno prese, rafforzando soprattutto le istituzioni che operano nel mercato del lavoro. Di queste noi abbiamo bisogno, siamo ultimi nelle classifiche internazionali, non per la flessibilità del mercato del lavoro, non per i sussidi alle imprese e alle assunzioni, non per le risorse spese per gli ammortizzatori sociali; noi siamo negli ultimi posti delle classifiche per la cattiva qualità delle istituzioni che preparano i giovani ad entrare nel mondo del lavoro. Ora, se è vero che non si possono creare posti di lavoro per decreto, non si possono creare buone istituzioni per decreto, ma dovremo lavorare per migliorare queste istituzioni, come siamo attualmente impegnati a migliorare quella istituzione fondamentale rappresentata dai servizi per l'impiego che è essenziale per realizzare quel Piano per i giovani che l'Europa ci chiede.
  La scuola, la formazione, l'orientamento, l'alternanza, l'istruzione tecnica superiore, i servizi per l'impiego, noi dobbiamo migliorare queste istituzioni e siamo impegnati per questo; le istituzioni che permettono al mondo del lavoro di mettere in condizione domanda e offerta di incontrarsi, a livelli più elevati di occupazione. Queste sono le misure necessarie per accompagnare la futura ripresa dell'economia.
  L'ultima parola sulla flessibilità: il nostro Paese ha fatto, a ripetizione, riforme della legislazione del lavoro, riforme dei contratti di lavoro individuali, in nessun altro Paese al mondo sono state fatte tante riforme a ripetizione come in questo Paese negli ultimi quindici anni.
  Sono stati ottenuti miglioramenti, ma noi ormai dobbiamo pensare che le imprese soprattutto hanno bisogno di certezza del diritto, di semplificazione e di non aggiungere riforme a riforme. Noi abbiamo riformato alcuni aspetti della legge Fornero perché ritenevamo che questi corrispondessero alle necessità del momento, ma non intendiamo cambiare l'impianto delle riforme che sono state portate a compimento oggi; le dobbiamo far sedimentare. È in corso un processo di monitoraggio della riforma. Noi dobbiamo Pag. 94almeno aspettare quello per capire se dobbiamo fare qualcosa in più. Certamente, molti sono rimasti insoddisfatti dall'ultima riforma fatta, ma ricordate che questa insoddisfazione è di segno contrario a seconda delle forze politiche e delle forze sociali che noi consideriamo. Non c’è riforma perfetta. D'ora in avanti bisognerà procedere con ragionevolezza e a ragion veduta per non ulteriormente complicare una legislazione di cui le stesse imprese si lamentano perché spesso è troppo confusa, e aumenta i costi burocratici che loro devono sostenere. È in corso un'esperienza – e concludo – molto interessante a Milano sull'Expo, frutto della contrattazione collettiva, dove la contrattazione collettiva è riuscita, utilizzando anche le norme esistenti, a garantire flessibilità in quel territorio, flessibilità necessaria per affrontare l'aumento dell'occupazione che l'Expo comporterà. Se verrà qualche indicazione utile da questa esperienza, il Governo la farà propria, ma lasciando ampio spazio alle relazioni industriali.
  Il Presidente del Consiglio ha detto che farà leva sulle forze sociali per avviare un programma di piena occupazione in questo Paese. Le forze sociali sono in un periodo in cui hanno trovato anche una certa compattezza al loro interno. Forse non è mai esistito, nella storia recente di questo Paese, un periodo migliore di questo per avviare un confronto costruttivo fra Governo e forze sociali. Anche sul terreno della politica del lavoro, da questi corpi intermedi penso potranno arrivare dei suggerimenti utili.
  Concludo dicendo ancora una volta che ringrazio per tutto quello che ho sentito e che continuerò a sentire sia durante la discussione e la votazioni degli emendamenti che durante, naturalmente, la discussione degli ordini del giorno. Sarà tutto molto utile per aiutarci ad andare avanti nella direzione che abbiamo tracciato in questo documento (Applausi).

(Esame dell'articolo unico – A.C. 1458)

  PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A – A.C. 1458), nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A – A.C. 1458).
  Avverto che le proposte emendative presentate si intendono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A – A.C. 1458).
  Le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri, che sono distribuiti in fotocopia (Vedi l'allegato A – A.C. 1458).
  Informo l'Assemblea che, in relazione al numero di emendamenti presentati, la Presidenza applicherà l'articolo 85-bis del Regolamento, procedendo in particolare a votazioni per principi o riassuntive, ai sensi dell'articolo 85, comma 8, ultimo periodo, ferma restando l'applicazione dell'ordinario regime delle preclusioni e delle votazioni a scalare. A tal fine, il gruppo Lega Nord e Autonomie è stato invitato a segnalare gli emendamenti da porre comunque in votazione.
  Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi degli articoli 86, comma 1, e 96-bis, comma 7, del Regolamento, le seguenti proposte emendative, non previamente presentate nelle Commissioni, in quanto del tutto estranee rispetto al contenuto del provvedimento in esame: Borghesi 9.100, in materia di pubblicità del trasferimento delle partecipazioni societarie; Borghesi 9.101, volto ad escludere determinati procedimenti giudiziari dall'applicazione dell'articolo 1 della legge n. 742 del 1969, in materia di sospensione feriale dei termini processuali.
  Avverto, inoltre, che è in distribuzione la versione tecnicamente corretta delle seguenti proposte emendative: Barbanti 1.24, rinumerato come 11.200; Fedriga 5.8, rinumerato come 1.201; Fedriga 10.1, rinumerato come 1.202; Fedriga 11.20, rinumerato come 1.200.
  Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative il deputato Enrico Zanetti. Ne ha facoltà.

  ENRICO ZANETTI. Signor Presidente, questo è un decreto-legge che, come è Pag. 95stato opportunamente ricordato questa mattina dal relatore per la Commissione finanze, Marco Causi, deve necessariamente arrivare in porto in tempi rapidi: basti solo pensare a quello che si determinerebbe sul fronte dell'IVA, ove si dovesse a ritroso ritornare ad un'applicazione della maggiore aliquota del 22 per cento a partire dallo scorso 1o luglio.
  Ciò detto, proprio con riguardo all'IVA, come Scelta Civica, noi rimaniamo abbastanza perplessi della modalità di copertura che è stata trovata per dare soluzione alla volontà di rinvio dell'aumento. La scelta di anticipare gli acconti IRPEF, IRES e IRAP come copertura al rinvio dell'aumento da un punto di vista di algida matematica finanziaria e di contabilità sembra avere una sua razionalità, ma nella sostanza è evidente che determina in buona parte il depotenziamento in partenza dello spirito stesso che stava alla base della volontà di rinviare l'aumento dell'IVA, cioè mantenere nella disponibilità del settore privato una determinata quantità maggiore di risorse, al fine di non deperire ulteriormente i consumi. In questo modo – dobbiamo dirlo chiaramente – l'obiettivo non viene praticamente centrato.
  Credo sia anche importante avere chiaro...

  PRESIDENTE. Deputati, vi prego di abbassare il tono della voce. Prego.

  ENRICO ZANETTI. Grazie, Presidente. Credo sia anche importante avere chiaro che oggi ci troviamo a cercare di scongiurare un aumento che in larga parte è già stato scongiurato nel corso del 2012, e devo dire francamente con modalità operative assai più convincenti di quelle alle quali si ricorre ora, e che sono quelle che in precedenza ricordavo. Ci troviamo in queste ambasce perché nel corso dell'estate 2011 si è deciso di introdurre una velocizzazione nel raggiungimento del pareggio di bilancio in sede di impegni con l'Europa, andando inizialmente a porre una clausola che prevedeva un aumento di pressione fiscale di 20 miliardi, clausola che avrebbe dovuto essere riempita da tagli assolutamente improbabili.

  PRESIDENTE. Deputati, cortesemente, dovreste abbassare il tono della voce: non riesco a sentire neanche il deputato che sta parlando. Grazie.

  ENRICO ZANETTI. Grazie, Presidente. Tagli assolutamente improbabili alle agevolazioni fiscali, detrazioni, deduzioni, che avrebbero colpito nella carne viva la fiscalità relativa alla parte più debole del Paese. Erano soluzioni talmente incredibili, nel senso tecnico, da non risultare poi credute dai mercati; ed infatti, nonostante queste appostazioni a scatola vuota nel Documento di economia e finanza che fu aggiornato a settembre 2011, la tempesta finanziaria che attraversava e riguardava il nostro Paese non si placò.
  Per dare sostanza a questi 20 miliardi di maggiori imposte decise dal Governo dell'epoca, il Governo di Berlusconi, di Tremonti, e anche della Lega, quando vi fu il cambio della guardia, con il passaggio sostanzialmente del cerino al Governo Monti, si decise di agire appunto con un aumento dell'IVA, che per raggiungere però questo obiettivo così rilevante avrebbe dovuto portare ad un aumento dell'aliquota dal 10 per cento al 12 a decorrere dal 1o ottobre 2012, e dal 21 per cento al 23 dell'aliquota maggiore, per poi fare un nuovo step dal 1o gennaio 2014 di un ulteriore mezzo punto.
  Nel corso del 2012, come dicevo, si riuscì ad evitare in toto l'aumento dell'aliquota intermedia del 10 per cento, che infatti ad oggi è ancora al 10 – né ha prospettive di ulteriore aumento – e si riuscì a riassorbire parte dell'aumento già messo a bilancio, innanzitutto rinviandone la decorrenza fino inizialmente al 30 giugno 2013, e limitandola ad un solo punto percentuale: quel punto percentuale, dal 21 al 22, su cui ancora stiamo ragionando. Nel 2012 però fu fatto come ? Fu fatto non ricorrendo ad alchimie contabili di anticipazioni di acconto assai poco credibili, ma fu fatto con un'attività di spending review, che per quanto allora bollata come Pag. 96non sufficientemente invasiva, non sufficientemente radicale (e sicuramente poteva esserlo di più), rispetto ad oggi diventa un'attività assolutamente più importante di quella che in questo momento è stata condotta.
  Noi non mettiamo in discussione naturalmente il voto a questo decreto-legge, anche per le ragioni che dicevamo prima, però è evidente che con la prossima scadenza, che diventa il primo ottobre, si vedrà se questo differimento ha avuto un suo reale significato o se si tradurrà invece in una riproposizione a distanza di poco di quella che rischia davvero di diventare un'agonia per il Paese.
  Dobbiamo sicuramente agire sulla spesa per poterci permettere di non fare ulteriormente questi aumenti, ma diversamente prendiamo atto di quella che è la situazione perché altrimenti non riusciremo mai ad affrontare in modo serio i nodi veramente nevralgici e prospettici e continueremo a parlare sempre e soltanto di un punto di IVA e di un'IMU prima casa, che sono importanti, ma che se sono l'orizzonte ultimo della politica di questo Paese, vuol dire che la politica di questo Paese ha veramente poco da dare. Noi, invece, pensiamo di avere molto (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Di Salvo. Ne ha facoltà.

  TITTI DI SALVO. Signor Presidente, grazie anche al Governo, voglio dire subito al sottosegretario Dell'Aringa che non condivido le cose che lui ci ha detto, però ho apprezzato moltissimo il fatto che ci sia stato un ascolto vero e un'interlocuzione vera con il dibattito che si è tenuto, e di per sé questo, a mio avviso, è molto apprezzabile. Avrei voluto poter dire la stessa cosa di quello che non è successo invece ieri in Commissione; ieri in Commissione – lei, sottosegretario, sa, perché c'era – è successo un fatto grave, perché ci è stato detto che per trasparenza si comunicava subito che gli emendamenti dell'opposizione sarebbero stati tutti bocciati. Allora, al di là del fatto che forse il sostantivo da usare era franchezza e non trasparenza, cioè in modo franco, però tra la franchezza e l'arroganza c’è un confine, e non superarlo è un problema della maggioranza perché è la maggioranza che ha i numeri, è la maggioranza che deve avere cura di quel rapporto democratico che è nelle sue mani, più che nelle mani dell'opposizione. Allora era della maggioranza forse la preoccupazione di far arrivare questo decreto-legge in tempo utile alla Camera, perché fosse esaminato. Soprattutto, colleghi, Governo e Presidente della Camera, quando si decide, per franchezza, e si dice che gli emendamenti verranno tutti bocciati, bisogna assumersene la responsabilità; si chiama fiducia, e la fiducia si mette e si paga il prezzo per averla messa. Non si fa una sfiducia strisciante.
  Ora, non penso che questo sia il modo, colleghi e colleghe della maggioranza, per affrontare, risolvere e chiudere gli occhi rispetto ad una difficoltà che la maggioranza ha, non è in questo modo che si dimostra l'efficacia e l'efficienza dell'azione di Governo. Io lo so che lo sappiamo tutti, ma il problema della politica di oggi è che pur sapendo le cose si fa il contrario; io francamente faccio un po’ di fatica a trovare un modo per tenere insieme il fatto che tutti sappiamo tutto ma non cambia nulla, la responsabilità non produce atti conseguenti, allora...

  PRESIDENTE. Deputati, dovete abbassare cortesemente il tono della voce.

  TITTI DI SALVO. La ringrazio, Presidente, ma non si preoccupi. Dicevo, venendo al merito degli emendamenti e al loro senso, nel decreto ci sono poche risorse, colleghi della Lega Nord, il problema non sono le risorse che ci sono per il Mezzogiorno, intanto perché il Mezzogiorno è un tema nazionale, è un interesse nazionale, ma perché quei soldi sono lì perché sono destinati dall'Europa al Mezzogiorno, come diceva ieri, spiegandolo bene, l'onorevole Buttiglione. Quei soldi sono vincolati, hanno una destinazione Pag. 97precisa, ma sono pochi, sono poche le risorse. Soprattutto, l'idea che pervade tutto il decreto-legge, nella parte sul lavoro, che si possa con gli incentivi creare lavoro, non è vera, è sbagliata. Anche questa è una verità assodata, assoluta.
  Non soltanto il professor Boeri quantifica in 28 mila le unità di lavoro in più che potrebbero essere create da questi incentivi, ma anche il Ministro Giovannini – lo ricordava lei, sottosegretario, quando diceva che non si crea lavoro con un decreto-legge – ci ha detto in Commissione che lo sviluppo di questo Paese e l'uscita dalla crisi presuppone una politica industriale, presuppone politiche di sistema, non certo politiche del lavoro, costruite in questo modo.
  E, ancora, voglio sottolineare un punto: i piccoli passi. Si dice che questo provvedimento non è sufficiente, però si comincia. I piccoli passi sono una teoria che viene sempre brandita come una clava nei confronti di una proposta, che si riterrebbe riformista. Quindi, viene detto a chi si riterrebbe estremista: guarda, ci sono i piccoli passi. Il problema, invece, non è questo: intanto, i piccoli passi devono essere nella giusta direzione perché, se ci fossero piccoli passi nella direzione sbagliata, sarebbe un problema. Ma nel decreto-legge, colleghi e colleghe, il punto è che non si capisce qual è la direzione, qual è la visione prevalente.
  Tre esempi: i piccoli passi sono nella direzione del premiare il lavoro stabile (articolo 1), oppure del premiare il lavoro instabile e la precarietà (articolo 7) ? Sono per premiare la formazione, evocata ? Perché poi, con riguardo all'apprendistato, si cancella il contenuto formativo – e non in deroga – per sempre. Quindi, cosa vuol dire l'apprendistato, che diventa la forma vera di ingresso nel lavoro, ma privato dei suoi contenuti ?
  E, ancora, la direzione qual è, quando si parla di responsabilità solidale nei confronti degli appalti ? L'articolo 9 è un articolo serio: si comincia dicendo che c’è una responsabilità del committente nei confronti delle commesse e delle persone, in contraddizione con quanto previsto nel «decreto del fare», secondo noi positivamente, però si esclude da quella responsabilità la pubblica amministrazione. Ma guardiamoci negli occhi: chi fa gli appalti, se non la pubblica amministrazione ? Cosa vuol dire evocare la responsabilità solidale negli appalti e non negli appalti pubblici ? Se sono pubblici gli appalti, di cosa stiamo parlando ? Qual è la visione e qual è la direzione di marcia ?
  Nomino soltanto – è già stato detto in discussione generale – quanto detto a proposito delle coperture fatte attraverso la tassazione sulle sigarette elettroniche e anche il dispiacere – noi voteremo contro; verrà detto successivamente – di non poter apprezzare cose anche positive che ci sono nel decreto-legge, per questa abitudine, anche questa, da tutti recriminata, ma continua, di decreti omnibus, nei quali c’è un po’ di tutto. Tre le cose positive, nomino la possibilità per le imprese di scontare i propri crediti, anche se forse anche a tal proposito probabilmente si dovrebbe trovare un modo che renda più appetibile alle banche questa possibilità. Noi abbiamo presentato un emendamento in questo senso.
  Infine, noi non siamo di fronte a una svolta copernicana e questo potrebbe anche prevedere il fatto che l'opposizione calibri i decibel di questa sua opposizione, perché non è una svolta copernicana, ma vedete ci sono due cose che per noi meritano l'opposizione. La prima: nell'articolo 7, dove si ripropone l'idea secondo la quale l'occupabilità presuppone la precarietà e questo, a nostro avviso, è smentito dall'evidenza. Lo dice l'OCSE, ed è uno dei problemi del fallimento delle politiche dell’austerity europea e del fallimento della politica economica italiana. Quindi, questo, di per sé, merita l'opposizione. Poi, lo merita anche l'asimmetria fortissima che c’è tra l'aspettativa delle persone, degli esodati, e i soldi per la cassa integrazione in deroga che mancano. Lei parlava, sottosegretario, di classifiche e graduatorie europee, ma noi siamo il Paese che è al secondo posto negativamente per il tasso di disuguaglianza: il nostro tasso di disuguaglianza è aumentato, siamo secondi Pag. 98dopo l'Inghilterra. Ecco, merita l'opposizione, il voto contrario, l'asimmetria tra tutto questo e l'evocazione del decreto, che non fa un passo nella direzione giusta – come ho provato a dire – e che non si pone, una volta di più, il problema. Non si esce dalla crisi, senza affrontare il nodo della redistribuzione della ricchezza nel Paese.
  È un nodo, colleghe e colleghi, che a nostro avviso questo Governo non è strutturalmente in grado di risolvere, perché nel Governo convivono su questo punto – spero convivano – due idee diverse (spero convivano due idee diverse) e c’è quindi questo problema strutturale in questo Governo sulla redistribuzione della ricchezza. Ai problemi vecchi se ne aggiungono di nuovi, recenti recenti, e quindi questo problema non si risolverà e noi temiamo che in questo modo dalla crisi non si uscirà. Quindi, siamo qui a rappresentare il dissenso rispetto a queste politiche (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare sul complesso degli emendamenti, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

  MARCO CAUSI, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, per tutti gli emendamenti presentati vi è la richiesta, l'invito al ritiro, altrimenti il parere è contrario.

  PRESIDENTE. Il Governo ?

  CARLO DELL'ARINGA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.

  PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento Fedriga 1.1.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fedriga. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, l'emendamento 1.1 che ha presentato il gruppo della Lega Nord, è mirato a dare una vera misura strutturale per incentivare l'occupazione. Questo cosa vuole dire ? Che vorremmo superare l'impostazione data dal Governo ...

  PRESIDENTE. Deputati, vi invito ad abbassare il tono della voce, anche perché siamo in fase di dichiarazioni di voto e, quindi, in una fase molto delicata. Prego.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Dicevo che è un emendamento mirato a mettere in piedi una misura strutturale, a differenza di quanto proposto dal Governo. Infatti, noi in questo emendamento andiamo a sostituire l'articolo 1, mirato esclusivamente ad incentivi che – voglio ricordarlo ai colleghi, ma avrò modo di ricordarlo durante tutta la discussione di questo provvedimento – sono, diciamo, garantiti quasi esclusivamente per i disoccupati del Mezzogiorno. Detto questo, ricordo invece che questo provvedimento vuole andare ad incidere sulla pressione fiscale e sulla parte contributiva che aziende e lavoratori devono pagare – ricordo che la parte contributiva supera ormai abbondantemente il 40 per cento del costo del lavoro –, senza però andare ad inficiare il futuro trattamento previdenziale che lo stesso lavoratore andrà a percepire una volta raggiunta l'età anagrafica per accedere alla pensione.
  In questo caso noi andiamo ad intervenire per i primi cinque anni di assunzione di un lavoratore a tempo indeterminato per quanto riguarda l'IRPEF, per quanto riguarda l'IRAP e per quanto riguarda la parte, come ho detto, contributiva. Abbiamo differenziato, nell'emendamento ovviamente, il lavoratore assunto a tempo indeterminato e quello a tempo determinato, con una politica che si discosta da quanto fatto precedentemente. Faccio l'esempio dei Governi di centro-sinistra, dove la loro logica era stata quella che per incentivare il lavoro a tempo indeterminato, si andavano a penalizzare tutti gli altri tipi di contratto.
  Noi, invece, vogliamo incentivare il lavoro a tempo indeterminato andando a favorire questa tipologia di contratto senza Pag. 99penalizzare gli altri e, anzi, aiutandoli, seppure in modo inferiore. Infatti, c’è una detrazione, che riguarda i primi 18 mesi dall'assunzione per i lavoratori a tempo determinato, che riguarda il 50 per cento della parte contributiva a carico dello Stato, mentre per i contratti a tempo indeterminato questa agevolazione riguarda i primi 24 mesi.
  Quindi, io penso che questo tipo di provvedimento sarebbe anche un auspicio per le iniziative che prende – ma ho l'impressione che la maggioranza voterà contro questo emendamento – ma anche per quelle che prenderà il Governo stesso. Crediamo che in un momento di difficoltà economica, nel quale è necessario affrontare la crisi in modo strutturale, sia necessario mettere in campo dei provvedimenti che veramente possano andare ad aiutare nuove assunzioni e rendere anche le nostre aziende competitive. Io ricordo, come ho avuto modo di fare nelle Commissioni riunite, che per quanto riguarda il global tax rate, ovvero il totale delle tasse e degli oneri che le aziende sono costrette a pagare nel nostro Paese, arriviamo a quota 68,3 per cento.
  Vuol dire che un'azienda fino a luglio all'incirca, produce semplicemente per pagare tasse e contributi, a differenza di altri Paesi, e non stiamo parlando di Cina o India, Paesi molto distanti da noi, ma di Paesi confinanti con il nostro. La Slovenia ha una global tax rate che non supera il 34 per cento, l'Austria il 50 per cento. È chiaro che con questo emendamento invece andremo a favorire la competitività delle imprese e, quindi, a dare alle imprese la possibilità di produrre e veramente assumere giovani, che possano quindi permettersi anche di investire e spendere nel mercato interno, quindi con un rilancio dello stesso mercato interno. È una misura quindi – e concludo Presidente – che vada a colpire più aspetti critici del nostro mercato del lavoro e va ad influire direttamente sulla possibilità di rilancio economico del Paese stesso. Per questo invito, malgrado i pareri dei relatori, maggioranza e Governo a riflettere e a dare un parere, e la maggioranza un voto, favorevole al nostro emendamento (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
  Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fedriga 1.1, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Catania, Magorno, Paolucci, Misuraca, Cassano, Oliverio...

  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  501   
   Votanti  467   
   Astenuti   34   
   Maggioranza  234   
    Hanno votato  114    
    Hanno votato no  353.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rostellato 1.3, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Benamati, Murer, Garavini, Milanato, D'Ambruoso...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  503   
   Votanti  486   
   Astenuti   17   
   Maggioranza  244   
    Hanno votato  97    
    Hanno votato no   389.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

Pag. 100

  Passiamo alla votazione dell'emendamento Di Salvo 1.2.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Airaudo. Ne ha facoltà.

  GIORGIO AIRAUDO. Signor Presidente, noi con questo emendamento non vogliamo rinunciare a chiedere a questa Assemblea, pur nei limiti che sono stati posti con questo testo, di fare qualcosa di più per contrastare la disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Per questo vi chiediamo e vi proponiamo con questo emendamento di estendere gli incentivi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato dai 29 ai 35 anni. Per fare questo, con l'emendamento incrementiamo le risorse a disposizione sia per il 2013 che per il 2014 e, visto che sappiamo che il limite dei 29 anni è dato dalle regole dell'Unione europea, che consentono l'uso dei fondi strutturali solo nel limite dei 29 anni, vi chiediamo di mettere e proponiamo, con l'emendamento, che vengano trovati nuovi oneri e nuove risorse, con l'esclusione dei redditi da lavoro dipendente, autonomo, dei redditi da pensione, della famiglia ed altro che vi illustriamo.
  Vi chiediamo di fare ciò perché questo decreto sulla disoccupazione giovanile è stato molto enfatizzato e molto utilizzato nei limiti legittimi di quella che è una propaganda a favore delle politiche del Governo.
  Penso che però, fuori da quest'Aula, chi vive l'angoscia di aver perso il posto di lavoro, chi vive l'angoscia di non trovarlo, richieda più fatti concreti possibili. Per cui, pur nei vostri limiti, vi chiediamo di estendere questa misura dai 29 ai 35 anni (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Di Salvo 1.2, non accettato dalle Commissioni né dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Sannicandro, Gutgeld, Simoni, Magorno...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  503   
   Votanti  502   
   Astenuti    1   
   Maggioranza  252   
    Hanno votato  146    
    Hanno votato no  356.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  L'emendamento Fedriga 1.6 non è stato segnalato.
  Passiamo all'emendamento Fedriga 1.5. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fedriga. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, molto brevemente, intervengo soltanto per comunicare ai colleghi che questo emendamento è mirato ad estendere l'età per cui vi è la possibilità di concedere incentivi per i giovani assunti, ovvero la si porta da 29 a 32 anni.
  Questo perché tutte le statistiche ci dicono che ormai l'età nella quale si vive maggiormente la crisi economica, per quanto riguarda la possibilità di accedere a un'occupazione, raggiunge, addirittura, i 35 anni. Ovviamente, tenendo in considerazione le risorse scarsissime messe a disposizione dal Governo, abbiamo ritenuto opportuno, perlomeno, elevare l'età fino ai 32 anni.

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fedriga 1.5, non accettato dalle Commissioni né dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

Pag. 101

  Marazziti, Malisani, Giacomelli, Vitelli, Spadoni...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  504   
   Votanti  410   
   Astenuti   94   
   Maggioranza  206   
    Hanno votato  22    
    Hanno votato no  388.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  (Il deputato Carlo Galli ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto contrario).

  Passiamo all'emendamento Fedriga 1.4. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fedriga. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, questo emendamento è mirato ad indirizzare l'incentivo per l'assunzione di giovani ai cittadini italiani ovvero ai cittadini comunitari residenti sul territorio nazionale da almeno cinque anni.
  Visto che – dopo avremo modo di trattare del provvedimento – il Governo vuole, in realtà, aumentare il numero dei disoccupati nel nostro Paese, garantendo la maggiore permanenza anche di quei cittadini stranieri che non trovano occupazione nel nostro Paese, e visti i tassi di disoccupazione presenti, noi crediamo che vi debba essere una priorità per i cittadini del nostro Paese facenti parte di quelle famiglie che hanno contribuito a creare la ricchezza nei nostri territori.
  Abbiamo ritenuto opportuno presentare questo emendamento, visto sempre, come ricorderò più volte, le scarsissime risorse messe a disposizione dal Governo, per indirizzarle, perlomeno, ai cittadini del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fedriga 1.4, non accettato dalle Commissioni né dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Malisani, Giacomoni... Hanno votato tutti ?
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  505   
   Votanti  412   
   Astenuti   93   
   Maggioranza  207   
    Hanno votato  21    
    Hanno votato no  391.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Passiamo alla votazione dell'emendamento Airaudo 1.7.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Airaudo. Ne ha facoltà.

  GIORGIO AIRAUDO. Signor Presidente, intervengo brevemente, ma su questo emendamento vi chiediamo una attenzione e un ripensamento, perché, vedete, con questo emendamento si cambia la natura del contratto di apprendistato. Rendendo stabile la deroga ai piani di formazione, cioè rendendo possibile che un lavoratore venga assunto con contratto di apprendistato, ma non faccia i centoventi giorni di formazione, si svuota di significato il contratto. Non solo non si fa formazione, ma si determina che a uguale lavoro vi è un differente salario, con dei vantaggi fiscali. Si crea, cioè, una situazione di svantaggio per i lavoratori, si mantiene una situazione di vantaggio per le imprese, si annulla qualunque formazione. Noi troviamo che ciò sia in contraddizione anche con quanto ci ha esposto il sottosegretario, difendendo il provvedimento del Governo, poco fa. Quindi vi chiediamo di mantenere la natura del contratto di apprendistato.

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Airaudo 1.7, non accettato dalle Commissioni né dal Governo.Pag. 102
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Magorno, Colonnese, Russo... Russo, ecco ha votato... Hanno votato tutti ? Spadoni... Bene.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  509   
   Maggioranza  255   
    Hanno votato  129    
    Hanno votato no  380.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Passiamo alla votazione dell'emendamento Rostellato 1.8, con il parere contrario e invito al ritiro di Commissione e Governo.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Rostellato. Ne ha facoltà.

  GESSICA ROSTELLATO. Signor Presidente, questo emendamento chiede di ampliare gli incentivi dell'articolo 1 a tutti i disoccupati non regolarmente retribuiti da almeno sei mesi e iscritti al Centro per l'impiego, quindi, di non prevedere più una limitazione di età, perché riteniamo che tutti i disoccupati di qualsiasi età abbiano gli stessi diritti di ricevere gli incentivi e quindi le stesse possibilità di trovare lavoro. Questo emendamento va letto insieme all'emendamento 1.18 che prevede, ovviamente, quindi, una riduzione degli incentivi dal 33 per cento al 10 per cento, in modo da avere una redistribuzione dell'incentivo stesso.

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rostellato 1.8, non accettato dalle Commissioni né dal Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Gelmini, Moretti... Hanno votato tutti ? Albanella... Ha votato.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  511   
   Votanti  478   
   Astenuti   33   
   Maggioranza  240   
    Hanno votato  116    
    Hanno votato no  362.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Passiamo alla votazione dell'emendamento Fedriga 1.12.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fedriga. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, questo emendamento vuole andare ad ampliare la platea di possibili beneficiari per quanto riguarda gli incentivi all'assunzione, ovvero portando da sei a tre mesi il periodo di disoccupazione quale condizione per l'assunzione agevolata.
  Io voglio ricordare che il Governo ha inserito dei paletti per andare a limitare la platea, assolutamente strumentali al fatto che non ha messo a disposizione abbastanza risorse per andare ad incidere realmente sul problema della disoccupazione nel Paese. Infatti, dopo avrò modo di motivare altri emendamenti in tal senso, però è assolutamente irrazionale che non si parta dal problema per capire che tipo di problema c’è e come lo si risolve, ma si guarda al problema, si crea una platea assolutamente fittizia che non è quella che effettivamente vive la crisi e che non trova lavoro, semplicemente ad uso e consumo delle risorse che il Governo decide di mettere a disposizione.
  Questo tipo di impostazione mi ricorda tragicamente la questione esodati del Ministro Fornero, la quale non andava a vedere quante sono le persone che effettivamente sono rimaste senza alcun tipo di reddito, senza alcun tipo di ammortizzatore, senza alcun tipo di beneficio previdenziale, ma andava a creare una platea fittizia, basata sulle delle regole autodecise dallo stesso Ministro e dal precedente Pag. 103Governo, e diceva quindi che gli esodati erano quella platea decisa dallo stesso Ministro. Questo Governo sta facendo lo stesso errore per quanto riguarda i giovani disoccupati: va a decidere una platea a suo uso e consumo e fa in modo molto mediatico le conferenze stampa dicendo che ha affrontato e sta facendo i passi per andare ad affrontare la crisi occupazionale giovanile, va in Europa a dire quanto è bravo questo Governo ad affrontare la crisi occupazionale giovanile. Peccato che i nostri cittadini non si accorgano di quanto è bravo questo Governo ad affrontare la crisi occupazionale, perché non si vedranno, se non in parte assolutamente irrilevante, gli interventi che ha fatto questo Governo in questa direzione.
  Quindi, noi chiediamo perlomeno di tenere in considerazione quanto stiamo dicendo e quanto abbiamo detto durante la discussione di questo decreto, perché i nostri emendamenti sono proprio mirati a cercare di risolvere questi problemi che il Governo ha voluto mettere in questo decreto.
  La chiusura che abbiamo visto in questi giorni... Ricordo ai colleghi che non hanno avuto modo di partecipare alle Commissioni referenti che abbiamo discusso tutto questo provvedimento, per i tempi dettati dal Governo e accettati supinamente dalla maggioranza in due ore e mezza, dalla discussione generale, alla discussione degli emendamenti, al mandato ai relatori in Commissione. Noi avevamo garantito la possibilità di poter approvare il provvedimento in tempi rapidissimi – più delle aspettative della stessa maggioranza – sia alla Camera sia, facendo un'opera di moral suasion, con i colleghi del Senato, riuscire a chiudere entro questa settimana il decreto apportando perlomeno quei doverosi correttivi che avrebbero portato a seppur piccoli benefici per i nostri cittadini. Il Governo è stato sordo, la maggioranza continua a rimanere sorda, noi in quest'Aula ci illudiamo che qualche collega possa ravvedersi, vedremo nel prosieguo delle votazioni e per questo invitiamo a votare favorevolmente al nostro emendamento (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fedriga 1.12, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Giachetti, Magorno, Cassano, Guidesi...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  509   
   Votanti  475   
   Astenuti   34   
   Maggioranza  238   
    Hanno votato  116    
    Hanno votato no  359    

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rostellato 1.11, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Kronbichler, Rotta, Abrignani, Del Basso De Caro...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  508   
   Maggioranza  255   
    Hanno votato  147    
    Hanno votato no  361.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Passiamo alla votazione dell'emendamento Fedriga 1.14.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fedriga. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, intanto, se permette, ringrazio il collega Bressa che sono riuscito a convincere Pag. 104a votare favorevolmente sul nostro precedente emendamento, in dissenso dal suo gruppo parlamentare e per questo lo ringrazio.

  PRESIDENTE. Prego, deputato.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Invece per quanto riguarda questo emendamento, esso vorrebbe ancora andare ad abbattere questi paletti strumentali che il Governo ha messo per...

  PRESIDENTE. Deputati, vi invito ad abbassare il tono della voce e rispettare l'intervento del collega.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Sarebbe interessante che i colleghi che non hanno forse seguito approfonditamente il provvedimento sapessero quello che stanno votando. Stiamo votando il fatto che gli incentivi per i giovani disoccupati in questo caso valgono solamente per quei giovani che siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale, vuol dire chi ha fatto fino alla terza media. È come se dicessimo che nel nostro Paese per i disoccupati che hanno frequentato le scuole superiori, le scuole professionali, che si sono laureati, per questi, il problema non esistesse. Cioè il Governo ha deciso di intervenire esclusivamente per quei disoccupati che sono arrivati alla terza media. Vorrei che i colleghi andassero a confrontarsi con i nostri cittadini sui loro territori, andassero a chiedere a chi ha conseguito il diploma di laurea che sono convinto, secondo l'impostazione del Governo, che saranno occupati al 100 per cento, tutti hanno un lavoro e, dunque, il Governo decide di fare un provvedimento per escludere queste persone dagli incentivi all'assunzione.
  Per questo motivo noi diciamo con questo emendamento che non si può mettere questo paletto fittizio fatto ad uso e consumo – lo ripeto per l'ennesima volta – delle coperture individuate dal Governo. Non si può pensare di creare questo tipo di discriminazione oltretutto andando a colpire chi magari ha avuto modo di andare avanti con gli studi, magari ha avuto una famiglia che ha fatto sacrifici per fare studiare il proprio figlio, si trova alla fine del percorso di studi escluso dal mondo del lavoro perché questo Stato non è in grado di dargli opportunità occupazionali mettendo le imprese nelle condizioni di poter assumere e poter produrre. E, in più, che cosa si decide di fare ? Si decide di fare un decreto-legge ad hoc per escludere questi stessi soggetti dalla possibilità perlomeno di avere un'agevolazione per l'impresa che l'assume. Su questo ovviamente noi siamo profondamente contrari. Ci sembra che vada a discriminare i nostri giovani che hanno studiato. Ripeto l'esclusione vale anche per chi ha fatto esclusivamente le scuole superiori e, dunque, chiediamo che la maggioranza voti favorevolmente al nostro emendamento.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Rizzetto. Ne ha facoltà.

  WALTER RIZZETTO. Signor Presidente, solo per appoggiare l'emendamento proposto dall'onorevole Fedriga in quanto sulla ratio dello stesso siamo assolutamente d'accordo con quanto dice il deputato Fedriga. Stiamo creando a tutti gli effetti – voglio ribadirlo adesso che l'aula è un po’ più piena – stiamo creando una nuova categoria. Quindi dopo gli esodati, dopo gli esuberati, dopo i quindicenni, dopo la gente disperata stiamo creando una nuova categoria nel senso che attualmente nessuno vieta alle aziende di andare dal prossimo lavoratore a dirgli: «Guarda, fermati alla terza media perché soltanto così noi riusciremo ad assumerti cercando di prendere contributi». Questa è una cosa assolutamente ingiusta. Abbiamo sempre detto che l'istruzione, che le scuole superiori, che l'università sono un'eccellenza a cui ambire a tutti gli effetti e con questo decreto-legge stiamo andando verso l'esatto contrario. Quindi anche il MoVimento 5 Stelle voterà favorevolmente rispetto all'emendamento proposto dalla Lega (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Pag. 105

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Martelli. Ne ha facoltà.

  GIOVANNA MARTELLI. Signor Presidente, giusto per una precisazione che comunque si tratta di «o...o»: quindi sei mesi di disoccupazione o il seguente requisito.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Cominardi. Ne ha facoltà.

  CLAUDIO COMINARDI. Signor Presidente, giusto per avvalorare la tesi del collega Rizzetto. Noi siamo ben consci del fatto che ci sono le opzioni, quindi «o...o», però, comunque, la platea è molto ristretta e va comunque ad escludere tante, ma tante persone che vivono gli stessi drammi e gli stessi bisogni. Per noi, quindi, è fondamentale fare un ragionamento sul voto di questo emendamento. Pensiamoci bene e vediamo di votare nel modo più appropriato e che sia nel bene e nell'interesse di tutti i disoccupati.

  MARCO CAUSI, Relatore per la VI Commissione. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  MARCO CAUSI, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, solo per ricordare che in tutti i Paesi del mondo, per accedere ad un beneficio in termini di sussidio di disoccupazione o un beneficio collegato alla condizione di disoccupazione, questa condizione di disoccupazione deve durare per un certo periodo di tempo, appunto sei mesi. L'accesso a quel beneficio, quindi, è garantito a tutti quelli, anche col PhD, che hanno un periodo di sei mesi di disoccupazione. E, invece, l'unica categoria che può accedere a questo beneficio pur non avendo un periodo di disoccupazione è quella dei lavoratori a più bassa qualifica. Avviene così in tutti i regimi di aiuto alla disoccupazione di tutto il mondo.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, la deputata Rostellato. Ne ha facoltà.

  GESSICA ROSTELLATO. Signor Presidente, vorremmo appunto appoggiare questo emendamento in quanto ci sembra anche assurdo il fatto che, mentre al punto 1 è specificato che i disoccupati devono essere privi di impiego regolarmente retribuito da sei mesi, alla lettera b) questo non è nemmeno specificato. Sembra quasi, quindi, che addirittura chi non ha il diploma di scuola media superiore professionale, anche se non disoccupato da almeno sei mesi, possa accedere a questa agevolazione. Non si capisce bene a cosa vogliamo dare priorità, ai disoccupati o a chi magari è già impiegato e comunque gli diamo questa agevolazione. Forse, in ogni caso, sarebbe stato meglio inserire un minimo di periodo di disoccupazione perché scritto così potrebbe anche essere interpretabile in maniera sbagliata.

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fedriga 1.14, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Fitto, Colonnese, Pastorino, Cassano, Vecchio, Palma, De Micheli...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  508   
   Votanti  506   
   Astenuti    2   
   Maggioranza  254   
    Hanno votato  116    
    Hanno votato no   390.    
  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Passiamo alla votazione dell'emendamento Brescia 1.15.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Brescia. Ne ha facoltà.

Pag. 106

  GIUSEPPE BRESCIA. Signor Presidente, questo emendamento, come tante idee che vengono in mente all'opposizione, in particolare al MoVimento 5 Stelle, è un emendamento di buon senso perché è un emendamento che considera la questione dei destinatari di questo provvedimento proposto dal Governo, che sono i ragazzi tra i 18 e i 29 anni di età. Quindi noi ci siamo detti: se vengono proposti degli incentivi a dei ragazzi che potrebbero essere ancora coinvolti nel loro percorso formativo – e mi riferisco a quelli dai 18 ai 19 anni che potrebbero avere avuto dei problemi nel loro percorso di studio, quindi sono magari all'ultimo anno –, questi ragazzi potrebbero addirittura decidere di abbandonare volutamente il percorso di studi o di farsi bocciare volutamente per poter accedere a questi incentivi. Ci chiediamo, quindi, se sia il caso di adottare provvedimenti di questo genere.
  Abbiamo sollevato la questione anche nelle Commissioni e abbiamo avuto ragione anche dal sottosegretario Rossi Doria, che ci ha detto che una politica di questo genere dovrebbe essere accompagnata da un'altra politica che vada ad aiutare quelle persone che, invece, hanno deciso di concludere il loro percorso di studio.
  Siccome questo non è stato fatto dal Governo, noi abbiamo proposto questo emendamento, che, ovviamente, ha avuto parere negativo della maggioranza e del Governo, come tutti gli altri emendamenti. E mi chiedo io, se è il caso da parte di tutti noi di prestarci a questo teatrino allucinante: cioè, qui siamo stati a parlare, parliamo, interveniamo sugli emendamenti, diciamo tante cose di buon senso, per poi sentirci liquidare in due parole dalla maggioranza, avallate dal Governo. Ci dicono: invito al ritiro o parere contrario, parere conforme del Governo: e noi possiamo andare a casa oppure stare qui a spingere i bottoni fino alla fine e a vederci bocciati tutti gli emendamenti. Continuiamo così ! Grazie a tutti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Brescia 1.15, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Mannino, Lorefice, Carrescia, Ragosta, Placido, Scanu, Casellato... Hanno votato tutti ?
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  504   
   Maggioranza  253   
    Hanno votato   97    
    Hanno votato no   407.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Passiamo all'emendamento Rostellato 1.16.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Rostellato. Ne ha facoltà.

  GESSICA ROSTELLATO. Grazie Presidente, questo emendamento vuole chiedere di dare una data certa per la decorrenza degli incentivi previsti dall'articolo 1 sulle assunzioni. Quindi, chiediamo che, appunto, gli incentivi partano dal sessantesimo giorno dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, in modo da dare una certezza alle aziende che devono applicare questi incentivi di quale sarà esattamente la data da cui potranno procedere con le assunzioni.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Cominardi. Ne ha facoltà.

  CLAUDIO COMINARDI. Grazie Presidente, vorrei evidenziare l'importanza di questo emendamento. È allucinante veramente che non ci sia una data certa. Lo Stato deve essere preciso nelle sue cose. Le aziende non possono sempre rimanere così nel dubbio: percepirò questo incentivo, Pag. 107non lo percepirò, quando lo percepirò. Quindi, dare una data perentoria, sicura, certa, sembra una questione proprio di buon senso più che altro.

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rostellato 1.16, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Carrescia, Rizzetto, D'Incecco, Piccione, Dambruoso... Hanno votato tutti ?
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  508   
   Votanti  489   
   Astenuti   19   
   Maggioranza  245   
    Hanno votato  125    
    Hanno votato no   364.    
  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Passiamo all'emendamento Rostellato 1.17.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Rostellato. Ne ha facoltà.

  GESSICA ROSTELLATO. Signor Presidente, con l'emendamento Rostellato 1.17 chiediamo di togliere la data di fine degli incentivi, cioè il 30 giugno 2015, in quanto crediamo che gli incentivi sulla disoccupazione possono sempre essere utili e quindi potrebbero, anzi, dovrebbero non avere una data di fine ma essere, possibilmente, per sempre, e ampliati, ovviamente, a tutta la platea dei disoccupati, come abbiamo detto prima. Quindi proponiamo di togliere, appunto, la data del 30 giugno 2015; questa è la nostra richiesta.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Madia. Ne ha facoltà.

  MARIA ANNA MADIA. Signor Presidente, vorrei solo sottolineare il paradosso dell'intervento della deputata Rostellato perché, in quasi tutti gli interventi, gli esponenti del MoVimento 5 Stelle ci hanno detto che gli incentivi per le assunzioni sono inutili; qui, invece, si chiede addirittura che non ci sia un termine perché, come ha detto in questo momento la deputata Rostellato, sono utili e, quindi, non meritano di avere un termine (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Pisano. Ne ha facoltà.

  GIROLAMO PISANO. Signor Presidente, volevo chiarire questa posizione che è legata al fatto che non riuscendo ad ottenere emendamenti che abbiano un senso, ci attacchiamo là dove è possibile per cercare di dare un senso agli articoli (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico)...

  PRESIDENTE. Deputati, facciamo esprimere serenamente il deputato Pisano. Deputati...
  Prego deputato, continui. Ha finito ? Sta bene.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Rizzetto. Ne ha facoltà.

  WALTER RIZZETTO. Signor Presidente, intervengo sempre a titolo personale soltanto per sottolineare il fatto che abbiamo capito che per il Governo, per la maggioranza, molto probabilmente, la crisi, quindi, finirà nel 2015. Molto probabilmente quindi andremo a votare prima del 2015, visto che questo emendamento è pura campagna elettorale (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico – Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)...

  PRESIDENTE. Deputati, non è tollerabile questo atteggiamento. Avete la vostra dichiarazione di voto sull'emendamento, vi prego.

Pag. 108

  WALTER RIZZETTO. Grazie, Presidente, qualora riuscissi a parlare e a spiegare sarebbe chiaro che noi andiamo emendamento per emendamento a cercare di migliorare le cose e, quindi, qualora non fosse possibile un'estensione di questo tipo di contributi ad una più ampia platea, andremmo necessariamente a prenderci le briciole, cercando di portare più avanti possibile questo tipo di contributi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rostellato 1.17, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Ragosta, Cassano, Magorno, Gallo Luigi...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  506   
   Votanti  477   
   Astenuti   29   
   Maggioranza  239   
    Hanno votato  116    
    Hanno votato no   361.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rostellato 1.18, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Sannicandro...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  506   
   Votanti  474   
   Astenuti   32   
   Maggioranza  238   
    Hanno votato  112    
    Hanno votato no   362.    
  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Cominardi 1.19, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Rizzetto, Monchiero...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  507   
   Votanti  475   
   Astenuti   32   
   Maggioranza  238   
    Hanno votato  116    
    Hanno votato no   359.    
  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Passiamo alla votazione dell'emendamento Rizzetto 1.20.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Rizzetto. Ne ha facoltà.

  WALTER RIZZETTO. Signor Presidente, intervengo solo per pochi secondi, per cercare di far capire anche quest'Aula che parliamo sempre molto di tassazione delle aziende dicendo che dobbiamo far qualcosa per le aziende, che dobbiamo diminuire il cuneo fiscale delle aziende stesse, ebbene, questo è un emendamento semplice semplice che ci dice di andare a diminuire l'IRAP alle aziende che assumono almeno due dipendenti. Vi è già stato un passaggio al Senato rispetto a questo emendamento. Infatti, il MoVimento 5 Stelle aveva fissato nel numero di cinque i lavoratori da assumere affinché le aziende avessero questo tipo di sgravio; adesso abbiamo abbassato la soglia, per renderla più fruibile, per renderla più lineare e per cercare di farla votare.

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Pag. 109Rizzetto 1.20, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Magorno, Chaouki, Roberta Agostini, Oliverio, Giammanco, Colaninno.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti e votanti  505   
   Maggioranza  253   
    Hanno votato  116    
    Hanno votato no  389.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Passiamo alla votazione dell'emendamento Fedriga 1.23.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fedriga. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, anche questo emendamento fa emergere le limitazioni che ha posto il Governo in questo decreto. Ovvero, l'incentivo viene garantito – secondo il decreto – anche a chi stabilizza il lavoratore, ovvero chi con un tipo di contratto diverso da quello indeterminato lo porta a tempo indeterminato. Bene, peccato però che il datore di lavoro, per avere un'agevolazione che, ricordo, vale solo per dodici mesi, non soltanto garantisce un contratto a tempo indeterminato, quindi con tutti gli oneri che per la parte datoriale questo comporta, ma deve in più assumere un altro lavoratore con un altro tipo di contratto, altrimenti non ha l'incentivo.
  Mi domando: secondo voi, chi mai utilizzerà un incentivo di questo tipo, assumendo a tempo indeterminato, avendo un'agevolazione per dodici mesi, quindi solo per un anno, e in più dovendo prendere un altro lavoratore ? Ciò vuol dire che questi fondi non verranno mai utilizzati da nessuno. Il Governo deve finire di prenderci in giro, perché questo è un provvedimento che nessun datore di lavoro metterà mai in atto. Però la maggioranza vuole continuare a tapparsi gli occhi e dire che queste cose vanno benissimo, e che porterà milioni di nuovi posti di lavoro. Sappiamo benissimo – e mi auguro ne siano consapevoli anche i colleghi della maggioranza – che è l'ennesima presa in giro, l'ennesima misura spot da parte del Governo.

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fedriga 1.23, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Magorno, Sannicandro, Palma, Abrignani.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  499   
   Votanti  498   
   Astenuti    1   
   Maggioranza  250   
    Hanno votato  112    
    Hanno votato no   386.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rostellato 1.22, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Vignali, Colonnese, Bonifazi.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  503   
   Votanti  486   
   Astenuti   17   
   Maggioranza  244   
    Hanno votato  127    
    Hanno votato no   359.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

Pag. 110

  Come già comunicato, l'emendamento Barbanti 1.24, a seguito di una riscrittura di natura tecnica, è stato rinumerato come 11.200 e ricollocato a pagina 31 del fascicolo. Sarà pertanto esaminato in tale sede.
  Passiamo alla votazione dell'emendamento Rostellato 1.26.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rostellato 1.26, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Villecco Calipari, Richetti, Battaglia...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  501   
   Votanti  500   
   Astenuti    1   
   Maggioranza  251   
    Hanno votato  146    
    Hanno votato no   354.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Cominardi 1.25, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Richetti, Vecchio, Donati, Baruffi, Rostan, Capodicasa, Guidesi...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:
   Presenti e votanti  500   
   Maggioranza  251   
    Hanno votato  147    
    Hanno votato no   353.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rostellato 1.27, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Malpezzi, Basso, Lainati, Del Basso De Caro...
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:
   Presenti e votanti  501   
   Maggioranza  251   
    Hanno votato  143    
    Hanno votato no   358.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Passiamo alla votazione dell'emendamento Fedriga 1.42.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Buonanno. Ne ha facoltà (Commenti). Deputati ! Prego.

  GIANLUCA BUONANNO. Siccome ogni volta che parlo c’è un po’ di brusio, mi viene in mente un celebre motto di Gabriele D'Annunzio...

  PRESIDENTE. Non si preoccupi: vada avanti.

  GIANLUCA BUONANNO. ...che diceva: non timeo culices. Quelli di sinistra stiano calmi: culices vuol dire «zanzare», non vuol dire altro.

  PRESIDENTE. Prego, prego, vada avanti col suo intervento. La prego.

  GIANLUCA BUONANNO. Per quanto riguarda...no, che poi magari mi fanno qualche osservazione (Commenti).

  PRESIDENTE. Deputati...silenzio, per favore.

  GIANLUCA BUONANNO. Adesso mi chiamano «Buonanni», mi danno del plurale: sono singolare io !

  PRESIDENTE. Deputato, direi di attenersi alla dichiarazione di voto sull'emendamento.

Pag. 111

  GIANLUCA BUONANNO. Benissimo. Signor Presidente, mi fa piacere però che, se dicono «Buonanni», vuol dire che siamo in tanti.
  In questo emendamento il Governo decide di fare ancora una volta una discriminazione. Siccome danno a noi dei razzisti, in realtà il Governo fa una discriminazione molto pesante: infatti destina 500 milioni di euro ai disoccupati del sud, e ne destina solo 294 al centro-nord.
  È l'esatto contrario, cioè se c’è la locomotiva del Paese, dove ci sono le industrie, dove c’è il lavoro è evidentemente il nord, voi date molti meno soldi alla locomotiva del Paese e ne date molti di più dove invece le aziende non ci sono, o ce ne sono poche e quelle poche che ci sono molto spesso vanno male.
  Allora, la prima cosa che mi viene in mente è che se voi, Governo, parlate con degli imprenditori dicono immediatamente una cosa: prima di dare gli incentivi per l'assunzione di personale, sarebbe bene avere gli incentivi, gli sgravi e la sburocratizzazione sul fatto che è difficile già mantenere quelle che ci sono, allora si continua a fare una politica in favore di una parte del Paese che continua a non produrre, che continua ad avere delle grosse difficoltà, e quelli che riescono ancora oggi a mantenere una parte della produzione del nostro Paese e che sono i leader mondiali in aree importanti, dove abito anch'io – ad esempio in Valsesia è stata fatta da poco purtroppo la vendita della Loro Piana a favore del gruppo francese, dove comunque il gruppo Loro Piana oltre a mantenere migliaia di persone è un gruppo importantissimo, che se vuole assumere ha bisogno di un aiuto, così come nel valvolame, i rubinettai sono industriali e sono imprese che hanno bisogno di una mano – quando vedono che invece questa mano va data in zone dove le industrie non ci sono, magari ci sono i capannoni e dentro non c’è nessuno e si sono già presi gli aiuti per fare i capannoni ma poi non hanno portato alcun lavoro, è evidente che questo Governo sbaglia ancora una volta. Poi è facile lamentarsi.
  Vogliamo, noi del nord, avere la giusta consapevolezza e la giusta ricompensa sul fatto che dovete aiutare le zone produttive, non si capisce perché il centro-nord prende solo 294 milioni di euro e, ribadisco, il sud 500 milioni di euro. Vogliamo girare l'Italia al contrario che forse riusciamo a fare qualcosa di meglio ? Oppure questa decisione è fatta per cosa ? Per l'ennesima campagna elettorale, per dire ai disoccupati del sud «vi assumiamo» e poi dopo tre mesi stanno a casa un'altra volta o vogliamo fare come voi fate del Governo: maggiore istruzione ai nostri giovani, dobbiamo far studiare i nostri giovani, siamo indietro nella scuola mondiale, e poi date gli aiuti a chi ha la terza media, come dire – ho sentito prima – uno meno studia e più aiuti gli diamo. Complimenti ! Allora, da una parte dite che la scuola deve essere migliorata, modernizzata, i nostri giovani si devono mettere al livello degli altri, devono sapere l'inglese, devono girare il mondo, devono essere capaci di aggiustarsi in maniera tale da essere competitivi con gli americani, con gli indiani, con i cinesi, con i tedeschi e con gli inglesi e poi diciamo ai nostri giovani: tenetevi la terza media, che è meglio ! Poi magari, con quello che è la scuola al sud, la terza media la prenda senza neanche andare a scuola (Proteste dei deputati del gruppo Partito Democratico). Questo è l'esempio lampante di come...

  PRESIDENTE. Deputati ! Deputati !

  GIANLUCA BUONANNO. Sto dicendo solo la verità, ma non solo la terza media, anche l'università ! È molto semplice vedere che le università del nord sono molto più competitive di quelle del sud, perché il 30 e lode del sud non è quello del nord !

  PRESIDENTE. No, deputati, non è...un attimo deputato Buonanno, le blocco il timer. Allora, non è tollerabile che con le urla si censurino altri interventi, se ravvisate delle irregolarità ci sono gli interventi sul Regolamento, se per caso io non le ho ravvisate, però non è assolutamente Pag. 112tollerabile che con le urla si censurino altri interventi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Prego, le sono rimasti 40 secondi.

  GIANLUCA BUONANNO. La ringrazio, signor Presidente, per avermi tutelato e lo dirò a mia mamma stasera, però...

  PRESIDENTE. Prego, vada avanti. Deputati !

  GIANLUCA BUONANNO. ... che quello che ho detto sulla scuola, visto che faccio anche parte della Commissione cultura, è che il 30 e lode del nord non è quello del sud, al sud il 110 e lode è una fabbrica come un raviolificio, da noi è un po’ diverso, signor Presidente.

  PRESIDENTE. Non credo che sia il caso di identificare i cittadini italiani per appartenenza territoriale e da questo dedurne una loro qualità dal punto di vista dell'educazione (Applausi).

  GIANLUCA BUONANNO. Signor Presidente, le volevo solo dire che chi va a laurearsi al Sud è evidentemente molto più facilitato che al Nord...

  PRESIDENTE. Io credo che può andare avanti, può andare avanti...

  GIANLUCA BUONANNO. Questo proprio per dire che per l'ennesima volta c’è un distinguo, che quelli che si impegnano sono sempre bastonati, quelli che sono un po’ più lavativi vengono sempre premiati.

  ALESSANDRO ZAN. Il trota in Albania !

  ETTORE ROSATO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ETTORE ROSATO. Signor Presidente, lei ha ragione quando richiama i colleghi dei gruppi a non interloquire quando c’è un comportamento che comunque ai nostri occhi risulta inaccettabile, alle nostre orecchie risulta inaccettabile. Io capisco la sua difficoltà a interromperlo in continuazione.
  Gli interventi del collega Buonanno sono provocatori volutamente, sempre tesi a creare discriminanti in questo Paese: una volta tra il nord ed il sud, una volta tra orientamenti sessuali. Questo diventa inaccettabile. Noi chiediamo che l'Ufficio di Presidenza prenda in esame questa situazione, perché la questione non è più tollerabile (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà) !

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, ho stima per il collega Rosato, ma ritengo che, se qualcuno non condivide le opinioni espresse da un collega – è legittimo –, interviene e dice la sua opinione, ma è inaccettabile che, in quest'Aula, non si possa dire che, per esempio, un'università vale più di un'altra, o che è più difficile conseguire un titolo di studio, rispetto ad un altro, e questo venga percepito come qualcosa di denigratorio che deve essere censurato. Uno può non condividere una opinione, però ricordo che siamo ancora in un Parlamento democratico e ritengo inaccettabile che un collega si alzi e dica che, se un altro collega non offende nessuno, non possa esprimere liberamente il suo punto di vista, che può essere non condiviso, ma gli deve essere permessa la libertà di esprimerlo.
  Mi auguro anche che chi la pensa in modo diverso dalle parole espresse da Buonanno, si alzi per tutelare la sua libertà di espressione perché, questa volta, lui non ha offeso nessuno ed è inaccettabile che qualcuno si alzi e chieda la censura (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie – Commenti dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  GIUSEPPE D'AMBROSIO. Chiedo di parlare.

Pag. 113

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GIUSEPPE D'AMBROSIO. Signor Presidente, noi del MoVimento 5 Stelle vogliamo sicuramente tutelare la libertà di espressione all'interno di quest'Aula e, quindi, compatibilmente ai toni civili di confronto tra i parlamentari, noi siamo sicuramente aperti in questo senso.
  Però, al collega che prima si riferiva alle università del sud, leggendo anche che comunque ha origini familiari pugliesi, da pugliese mi rivolgo a lui che, tra parentesi, vedo nemmeno essere laureato...

  PRESIDENTE. Lei si rivolga alla Presidenza.

  GIUSEPPE D'AMBROSIO. Sì, mi rivolgo alla Presidenza e dico: da pugliese del MoVimento 5 Stelle, mi offro, anche perché vogliamo magari aprire ad un confronto con chi, tutto sommato, in quest'Aula, ci aveva accolto con promesse di calci in culo, noi invece lo vogliamo abbracciare e lo invitiamo magari a farsi un tour in tutte le università del sud per vedere con quali mezzi attualmente le università, nonostante tutto, vanno avanti, lavorano, nonostante magari qualche forza politica voglia ulteriormente tagliare i fondi per le università del sud (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Sinistra Ecologia Libertà e di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Semplicemente per concludere su questa questione e per rispondere al deputato Rosato, per quanto riguarda i fatti pregressi a questa seduta, che non c'entrano con quello che si è detto questa sera, l'Ufficio di Presidenza ha già assunto dei provvedimenti sulla questione del deputato Buonanno, che ha espresso alcune considerazioni, in passato, in quest'Aula. Per quanto riguarda oggi, direi di proseguire.
  Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Corsaro. Ne ha facoltà.

  MASSIMO ENRICO CORSARO. Signor Presidente, vorrei tornare al tema dell'emendamento – per quanto neanche a noi sia sfuggito come, in questa occasione, il collega Rosato, per il quale esprimiamo stima, abbia veramente preso lucciole per lanterne – per dire che questo provvedimento, signor Presidente, è un provvedimento che è un compendio di sperequazioni. Prevede delle sperequazioni in termini anagrafici, limitando delle attribuzioni a fasce d'età, il cui dimensionamento non appare oggettivabile in alcuna forma, prevede delle discriminazioni in ragione delle modalità di accesso, prevede delle discriminazioni di cui abbiamo parlato in termini di tipologia di formazione e di percorso formativo acquisito.
  Ma quello che risulta più odioso perché...

  PRESIDENTE. Mi scusi, deputato Corsaro. Per favore, deputati. Deputato Palese, cortesemente, urlare da lì sopra non mi sembra il caso. Prego.

  MASSIMO ENRICO CORSARO. Quello che appare più odioso, perché una sperequazione di ambito più generale è la sperequazione di carattere territoriale, atteso che questo dovrebbe essere un provvedimento che si occupa di migliorare le condizioni di accesso al lavoro in una stagione di crisi.
  Questo ancorché il Presidente del Consiglio, in uno dei suoi tanti spot elettorali e televisivi, ci abbia tempestivamente informato che la crisi sia finita, dal che forse sarebbe stato più ragionevole attendersi da lui la decisione di ritirare questo decreto, vista l'inutilità e il superamento dell'emergenza che questo decreto si poneva l'obiettivo di coprire.
  Ma, dicevo, questa sperequazione di carattere territoriale non tiene conto che se, al contrario di quello che dice il Presidente del Consiglio, una crisi economica è assolutamente in atto e sta riversando i suoi negativi effetti soprattutto sul dimensionamento dell'occupazione, quella crisi assume dei livelli percentualmente non conosciuti tali da, come dire, definire i caratteri della drammaticità proprio perché per la prima volta incide sulla «carne Pag. 114viva» della realtà socio-economica più produttiva del Paese, laddove maggiormente si concentrano le industrie, le imprese, le aziende, l'artigianato e il commercio.
  Allora, io non credo che sia corretto e giusto dire che in luogo di una certa identificazione di vantaggio territoriale dovremmo, invece, percorrerne un'altra, come magari qualcuno potrebbe intendere, ma credo semplicemente che oggettività vorrebbe che questo tipo di sperequazione territoriale venisse espunta dagli obiettivi di questo provvedimento di legge e che gli interventi a favore dei giovani, che non riescono a entrare nel mondo del lavoro, siano coscientemente indirizzati nei confronti di tutti i giovani, indipendentemente dalla loro residenza e dalla loro territorialità.
  Questo è il motivo, signor Presidente, per il quale Fratelli d'Italia voterà a favore di questo emendamento, ma è anche – lo dico adesso per economia dei lavori – il motivo per il quale, viceversa, Fratelli d'Italia non voterà a favore di una serie di successivi emendamenti, pure anch'essi presentati dai colleghi della Lega, che si pongono il problema di sostituire il vantaggio di talune regioni al vantaggio di altre. Per noi l'obiettivo è un obiettivo di razionalità territoriale, di giusta composizione degli interventi a favore di chiunque provenga da qualunque parte del territorio. Non si tratta di anticipare i vantaggi di questa o di quella regione alle altre, ma si tratta di prendere coscienza che siamo di fronte a un tema, a un problema che non ha più confini. Quindi, credo che sia giusto appoggiare e sostenere il voto su questo emendamento e non su quelli che, invece, tendono a sostituire i vantaggi di una regione a quelli di un'altra.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Martelli. Ne ha facoltà.

  GIOVANNA MARTELLI. Signor Presidente, intervengo giusto per sottolineare la natura del provvedimento che è, comunque, un provvedimento che agisce sull'urgenza e, quindi, il fenomeno della disoccupazione è un fenomeno che ha una sostanza diversa al Sud rispetto al Nord. Anche il Nord sta soffrendo per la crisi, ma la dimensione della crisi e la persistenza della crisi al sud Italia è chiaro che richiede, proprio per un intervento di urgenza, un maggiore investimento. Questo ha l'obiettivo anche di riequilibrare la crisi in Italia ed è chiaro, come è già stato detto precedentemente, che questo è un primo provvedimento e quindi ha, mi ripeto, la natura dell'urgenza.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Fedriga. Ne ha facoltà.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, intervengo solo per rispondere alla collega, perché bisogna dire i dati veri e guardare i numeri. Voglio ricordare ai colleghi – e soprattutto a quelli eletti nel centro-nord – che il numero, ovviamente in valore assoluto, di disoccupati nel centro-nord è superiore a quello del Mezzogiorno. Di cosa stiamo parlando ? Vengono dati 500 milioni di euro solo per i residenti nel Mezzogiorno mentre per il centro-nord 294 milioni, quando il valore assoluto è superiore (guardatevi gli ultimi dati ISTAT). Se sommate il numero dei disoccupati del centro e del nord, a cui sono riferiti 294 milioni, risulterà che il numero dei disoccupati è superiore a quelli del Mezzogiorno.
  Quindi, non diciamo bugie. Viene dato quasi il doppio di risorse per un numero minore di disoccupati. La maggioranza sta votando questo. Io vorrei capire come i colleghi del Nord andranno a chiedere ancora i voti nei loro collegi elettorali (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Ribaudo. Ne ha facoltà.

  FRANCESCO RIBAUDO. Signor Presidente, insomma, non lo dico né io né la Pravda, ma l'ISTAT: nell'ultimo trimestre Pag. 115la disoccupazione al Sud è il doppio del Nord. Questo è un dato (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie). C’è un altro elemento e ieri ne ha parlato in quest'Aula il dottor Buttiglione: queste risorse – lo abbiamo detto anche in Commissione – sono risorse rimodulate dai fondi FAS e sono risorse che mirano a intervenire nelle regioni del Sud, le regioni dell'obiettivo 1 individuate dall'Unione europea. Non sono risorse nostre, lo ha detto anche il compagno... il collega Pelillo ( ma compagno gli sta pure bene). Quindi, Presidente, speculare su questa discussione, che è stata rifatta dieci volte, mi pare veramente assurdo.

  SERGIO PIZZOLANTE, Relatore per la XI Commissione. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  SERGIO PIZZOLANTE, Relatore per la XI Commissione. Signor Presidente, avevo chiesto di intervenire, in realtà mi ha anticipato Ribaudo. Il tema è questo: non c’è una differenziazione, una scelta di differenziazione. Qui c’è una questione molto chiara: le risorse destinate alla disoccupazione giovanile in questo provvedimento per il Sud sono risorse che erano già allocate al Sud e, siccome giustamente molti colleghi spesso pongono il problema dello spreco delle risorse, che c’è stato in molte regioni del Sud, io credo che noi dovremmo essere contenti che in questo caso queste risorse così finalizzate sicuramente non saranno sprecate per la natura stessa dell'intervento. Non c’è una differenziazione di valore tra Sud e Nord, perché siamo consapevoli che la crisi sta aggredendo il Sud, ma sta aggredendo anche il Nord. Ed io che sono meridionale e vivo al Nord sono consapevole della situazione del Nord, della crisi industriale del Nord, del processo di desertificazione di alcune aree industriali del Nord. Quindi, basta con questa disputa Sud-Nord. Il tema non è questo. Il tema è che noi abbiamo utilizzato le risorse disponibili per il Sud e per il Nord e le risorse per il Sud erano già destinate al Sud.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Grimoldi. Ne ha facoltà.

  PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, il mio collega Fedriga si riferiva alla disoccupazione in numeri assoluti, che al Nord evidentemente è più cospicua, non alle percentuali.
  Detto questo, io volevo lasciare un contributo, prendendo spunto da quello che ha detto l'onorevole Buonanno, il quale può averlo detto in modo magari un po’ colorito, però in questa legislatura ancora non si è iniziato a parlare di tematiche che invece nelle altre legislature si erano affrontate. Aveva cercato di affrontarle il Governo Monti con le liberalizzazioni e ci aveva provato anche Bersani quando era Ministro durante il Governo Prodi. Di tanto in tanto si parla della questione del valore legale del titolo di studio. Se ogni tanto viene posta questa questione – e i colleghi della VII Commissione della scorsa legislatura lo sanno – evidentemente è perché un problema di differenziazione tra scuole e università del Paese c’è. E non è perché lo dice il PD, che a volte lo dice, o lo dice la Lega o lo dice un sindacato o la Banca d'Italia, lo dicono anche le strutture internazionali. Per esempio l'OCSE Pisa non perde occasione per dirci che le università del Nord e del Sud o le scuole del Nord e del Sud sono assolutamente diverse.

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  PAOLO GRIMOLDI. Concludo lasciando un ultimo contributo. Nell'ambito di un provvedimento come questo nel campo del lavoro noi non dobbiamo dimenticarci che il valore legale del titolo di studio conta soprattutto ai fini dei concorsi pubblici, che negli ultimi decenni hanno evidentemente favorito chi ha cercato di accedervi provenendo dagli atenei del Sud. Quindi se al Nord oggi abbiamo pochi occupati nel settore pubblico è anche per questo motivo. Oggi, in un momento di crisi economica, dove non viene colpito soprattutto il comparto pubblico, Pag. 116ma chi perde il posto di lavoro ha lavorato in aziende private, questi, a differenza di chi ha preso il posto pubblico, oggi sono senza lavoro.

  PRESIDENTE. Deve concludere.

  PAOLO GRIMOLDI. È anche per questo che è un provvedimento che, se aiuta solo la componente del Sud, è assolutamente discriminatorio, alla luce anche degli ultimi decenni delle politiche di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Rizzetto. Ne ha facoltà.

  WALTER RIZZETTO. Signor Presidente, solo per confermare per l'ennesima volta che il MoVimento 5 Stelle non è assolutamente contro i fondi al Sud, anzi se ce ne fossero di più, bisognerebbe darne di più di fondi al Sud. Su questo siamo perfettamente tutti d'accordo. Ricordo solo un particolare: coloro che fanno parte del Consiglio regionale siciliano donano parte del proprio stipendio per la piccola e media impresa siciliana. Unico caso ! Quindi non siamo assolutamente contro i fondi al Sud, ci mancherebbe altro. Ci saremmo semplicemente aspettati che in questo provvedimento, che non quota grandissime risorse, il Governo cercasse di capire dove inizia e dove finisce il Mezzogiorno d'Italia; è spurio questo mio discorso da aspetti federalistici o da qualcosa che può accomunarci alla Lega Nord, ad esempio; è semplicemente per dire che il lavoro nelle regioni italiane è in una situazione drammatica ovunque, tutto qui. Spero con questo di essere stato chiaro per l'ennesima volta.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale il deputato Matteo Bragantini. Ne ha facoltà.

  MATTEO BRAGANTINI. Siccome i numeri non sono opinabili, e si parlava di dati assoluti, dati dell'ISTAT, al Nord ci sono 1 milione 182 mila disoccupati, persone con età superiore ai 15 anni che sono in cerca di lavoro; al Centro sono 559 mila, e Centro più Nord fa 1 milione e 781 mila. Al Sud sono 1 milione e 495 mila. Dunque, quello che ha detto il collega Fedriga era corretto, perché in termini assoluti, e lui parlava in termini assoluti, ci sono più disoccupati al Centro-Nord che al Sud. E in questo provvedimento ci sono molti più soldi per i disoccupati del Sud che per quelli del Nord. Oltre tutto bisogna fare anche un'altra considerazione perché traspare da interventi della maggioranza, che nel Sud ci sono disoccupati da più tempo e dunque bisogna dare una risposta.
  Però vi sto dicendo una cosa aggiuntiva: al Nord ci sono tante aziende che stanno chiudendo e dunque tanti nuovi disoccupati, e in economia è più facile salvare un'azienda che crearne di nuove, perché quando verranno chiuse tutte queste aziende, non riusciremo ad avere i soldi per continuare a finanziare magari agli sprechi che ci sono in tutta Italia da parte dei politicanti. Dunque il nostro avviso era: quei pochi soldi che ci sono, utilizziamoli per tutti i disoccupati e magari per dare una mano a quelle aziende e a quelle imprese che sono sull'orlo del fallimento, ma che non sono ancora fallite, perché magari riusciamo a rilanciarle; è questo quello che bisogna fare in un Paese serio, non aspettare che chiudano le aziende per poi ricrearne di nuove.
  Per questo siamo contrari a questo provvedimento, perché è il classico razzismo al contrario che penalizza i cittadini del Nord e non per i cittadini del Sud – perché almeno magari fosse per i cittadini del Sud – ma per dei politicanti del Sud, che per troppi anni hanno lucrato sulle spalle dei cittadini del Nord, del Centro e anche del Sud.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Antimo Cesaro. Ne ha facoltà.

  ANTIMO CESARO. Solo per sottolineare, Presidente, che è davvero incomprensibile Pag. 117quando un collega della Lega Nord fa riferimento a dati statistici per sostenere sue argomentazioni su una supposta differenziazione tra la qualità della ricerca e della didattica tra le università del Nord e del Sud, e poi finge di non saper leggere attentamente i dati statistici dell'ISTAT. Se è così bravo a leggere i dati OCSE, dovrebbe essere ugualmente bravo a leggere i dati ISTAT che il collega gli fa notare. Non è in discussione il valore assoluto della disoccupazione ma il valore relativo della disoccupazione al Sud; basti pensare al differenziale del 13 per cento tra il dato della disoccupazione giovanile al Sud rispetto al resto del Paese e onestamente questa insistenza che è stata già più volte ribadita e discussa in Commissione e riproposta in Aula, ci sembra davvero una perdita di tempo che non ha ragion d'essere. Mi faceva piacere sottolinearlo anche per porre veramente fine a una diatriba che onestamente è mortificante, talvolta anche nell'uso di parole come «politicanti» riferita a chi fa politica nel Sud, che onestamente non fa onore a chi le pronuncia. Grazie.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fitto. Ne ha facoltà.

  RAFFAELE FITTO. Signor Presidente, ho ascoltato con molta attenzione questo dibattito. Avrei evitato di intervenire, però devo dire che, a un certo punto, vi è l'esigenza di chiarire alcuni aspetti. A me dispiace ascoltare alcune considerazioni da parte dei colleghi della Lega, soprattutto quando queste considerazioni non corrispondono a dati di fatto oggettivi. Non mi dilungo o soffermo sulle disquisizioni sui dati, perché le differenze fra le due aree del Paese sono note.
  Mi permetto di ricordare che il criterio di utilizzo di queste risorse vede l'utilizzo di risorse già assegnate alle regioni del Mezzogiorno (Applausi di deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà). Ma dico questo perché non ho mai avuto alcuna difficoltà a votare, tempo fa, qualche anno fa, un provvedimento che prevedeva l'attuazione dell'accordo tra Governo e regioni per coprire le risorse necessarie alla cassa integrazione a livello nazionale. Lo facemmo utilizzando anche parte delle risorse FAS per il nord del Paese, perché quella era, in quel momento, una priorità del Paese (Applausi).
  Quindi, io penso che sarebbe assolutamente fuori luogo discutere o, addirittura, polemizzare, e penso che non sia il momento, in questa fase, di grande complessità e difficoltà per il nostro stesso Paese, immaginare che la priorità possa essere quella di una contrapposizione territoriale di cui, sinceramente, non sento, e penso che l'intero Paese non senta, assolutamente bisogno (Applausi).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Placido. Ne ha facoltà.

  ANTONIO PLACIDO. Signor Presidente, il terreno su cui alcuni di questi emendamenti della Lega stanno conducendo la discussione è veramente grottesco. Noi abbiamo criticato questo provvedimento perché riteniamo che le risorse a disposizione siano scarse per il nord e scarse per il sud; tuttavia, non si può discutere nei termini che abbiamo ascoltato.
  Non vi è ricerca, non vi è analista, non vi è istituto che non attesti che negli ultimi 20 anni vi è stato un trasferimento netto di risorse dal sud al nord, ai più vari titoli (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà – Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie), dalle quote latte fino alla riduzione del Fondo di coesione, e le risorse di cui il sud ha potuto disporre, quelle provenienti dall'Europa, hanno, in larghissima misura, sostituito le risorse ordinarie che avrebbero dovuto essere destinate al sud.
  Noi intendiamo sottrarci ad una discussione di questo genere, che non dà conto della verità dei fatti e che trasforma la realtà in una parodia. La questione meridionale è questione troppo seria per essere evocata nei termini che abbiamo qui ascoltato (Applausi dei deputati del Pag. 118gruppo Sinistra Ecologia Libertà): la scuola che vale di meno, i capannoni che sono vuoti, i disoccupati che sono finti. Per cortesia, siamo seri, perché le questioni di cui stiamo discutendo, purtroppo, hanno una loro durezza drammatica, al nord come al sud (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, la deputata Albanella. Ne ha facoltà.

  LUISELLA ALBANELLA. Signor Presidente, colleghi, anch'io non volevo intervenire, però, francamente, mi sembra opportuno farlo per il semplice motivo che noi dobbiamo cercare di andare avanti, perché quello che sta succedendo in quest'Aula, come ha detto qualcuno prima di me, travisa la verità dei fatti.
  I dati ISTAT chiaramente dicono che il tasso di disoccupazione nel Meridione d'Italia è molto più alto, di oltre 20 punti percentuali, rispetto al nord. Dobbiamo dire che molte volte il Meridione d'Italia non ha ricevuto le somme che molto spesso sono state ad esso destinate proprio perché si è dovuto pagare...

  PRESIDENTE. Deputata, concluda.

  LUISELLA ALBANELLA. Un esempio è stato fatto dal collega che mi ha preceduto: le somme del sud sono state utilizzate per pagare le multe delle quote latte del nord Italia.
  Ma, dico, queste cose sono sotto gli occhi di tutti ! Allora, colleghi, non facciamo diventare una guerra fra poveri la situazione del nord e del sud di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Stiamo attraversando una crisi drammatica.

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  LUISELLA ALBANELLA. È ovvio che le risorse economiche che sono state destinate per altro, sono quelle europee. Devono essere obbligatoriamente destinate al Meridione d'Italia. È ovvio, lo abbiamo detto, in tutti i modi (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà).

  MARCO CAUSI, Relatore per la VI Commissione. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  MARCO CAUSI, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, mi rivolgo a lei perché, a mio modo di vedere, un disoccupato del Nord è uguale a un disoccupato del Sud. Io invito tutti i colleghi, mi rivolgo a lei per invitare tutti i miei colleghi e le mie colleghe a tener conto che siamo di fronte a una questione, quella della crisi occupazionale in Italia, che va al di là degli scontri fra territori. Non si può affrontare in questo modo. C’è un punto che finora non è emerso. Un punto giusto lo ha detto l'onorevole Fitto poco fa, e lo stavo per dire anche io, perché quando si distribuisce la cassa integrazione non c’è nessuno del sud che dice « No, i soldi della CIG vanno troppo al Nord, perché al Nord c’è più base produttiva».
  Ma c’è un secondo punto invece su cui dobbiamo riflettere tutti: qui stiamo parlando di risorse salvate dal non speso del 2007-2013, a valere sui fondi FAS. Quindi, non sono risorse aggiuntive. Sono risorse salvate dalla vecchia programmazione. Si tratta di una programmazione – come l'onorevole Fitto sa, perché l'ha gestita nella sua responsabilità di Ministro – in base alla quale i fondi europei vengono allocati in relazione ai divari di reddito pro capite. Quindi, vanno più soldi al Sud – così come alla Grecia o alla Spagna o alle regioni arretrate della Germania e della Polonia – perché vanno più soldi alle regioni che hanno un PIL pro capite inferiore.
  Allora, qual è il punto ? Il punto è che il Governo adesso, nell'emergenza, ha salvato dei soldi che vengono da quella fonte, e che quindi, poiché vengono da quella fonte, hanno dei vincoli di distribuzione che sono quelli che derivano da quella Pag. 119fonte. Dobbiamo litigare fra noi, fra Nord e Sud ? Ma no ! Il punto è un altro. Presidente, io mi farò promotore domani di un ordine del giorno – e spero che molti lo possano firmare, invito tutti a firmarlo – che impegni il Governo, nelle prossime trattative con l'Unione europea per i nuovi fondi di contrasto alla disoccupazione in Europa, e quindi per il nuovo Fondo sociale e i nuovi fondi che, anche collegati alla Youth Guarantee, rappresentino una nuova gamba dell'intervento europeo contro la disoccupazione, affinché l'allocazione dei fondi contro la disoccupazione sia fatta in ragione del numero di disoccupati e dell'incremento del tasso di disoccupazione. Questo sì, ma devono essere dei nuovi fondi, da decidere in base a nuove decisioni europee e su cui mettere in campo tutta la forza dell'Italia e del nostro Governo per arrivare a questo risultato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fedriga 1.42, con il parere contrario delle Commissioni e del Governo.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

  Sannicandro, Mazzoli, De Lorenzis... Hanno votato tutti ? Frusone, Corda... Hanno votato.
  Dichiaro chiusa la votazione.
  Comunico il risultato della votazione:

   Presenti  476   
   Votanti  382   
   Astenuti   94   
   Maggioranza  192   
    Hanno votato   20    
    Hanno votato no   362.

  La Camera respinge (Vedi votazioni).

  Secondo le intese intercorse, interrompiamo a questo punto l'esame del provvedimento, che riprenderà nella seduta di domani, a partire dalle ore 10.

Sull'ordine dei lavori e per la risposta a strumenti del sindacato ispettivo (ore 20,30).

  FEDERICA MOGHERINI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà. Ovviamente, è inutile ricordare ai deputati che lasciano l'Aula, di rispettare l'intervento di chi interviene in questo momento.

  FEDERICA MOGHERINI. Signor Presidente, intervengo per ricordare in quest'Aula che 68 anni fa, in questo stesso giorno del 1945, veniva sganciata per la prima volta nella storia dell'umanità una bomba atomica sulla città di Hiroshima, provocando nell'immediato più di un centinaio di migliaia di vittime, ma soprattutto nei mesi e negli anni successivi ancora di più furono i morti, soprattutto civili, moltissimi bambini e moltissime donne, a causa delle radiazioni.
  Credo che sia importante farlo in quest'Aula, perché non soltanto è utile conservare la memoria che i tanti sopravvissuti ci hanno tramandato, ma soprattutto è utile assumerci delle responsabilità politiche ed istituzionali, com’è stato fatto anche nella scorsa legislatura da questa Camera, perché il principale insegnamento che quell'episodio tragico della storia contemporanea ci consegna è la necessità, l'urgenza e il bisogno di lavorare costantemente e con coerenza per arrivare a quello che a livello internazionale si chiama comunemente global zero, ovvero l'obiettivo, tutt'altro che realistico, di cancellare dalla faccia della Terra le armi nucleari.
  Credo che sia importante che anche in questa legislatura – penso che oggi possiamo condividere questo obiettivo – si riprenda il lavoro fatto in quella passata per posizionare l'Italia in modo convinto e forte tra quei Paesi che convintamente a livello internazionale, soprattutto dopo che il Presidente Obama ha ridato slancio a questo sogno, che è anche un'esigenza, nelle sedi opportune...

Pag. 120

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  FEDERICA MOGHERINI. Concludo... lavorano per la non proliferazione e per il disarmo nucleare. Penso che sia importante unire alle tante attività che oggi la società civile internazionale e anche italiana sta portando avanti su molti territori del nostro Paese la voce delle istituzioni a sostegno di questa importante visione, che credo che sia il modo migliore per onorare la memoria del bombardamento di Hiroshima e, tra pochi giorni, anniversario anche di quello di Nagasaki (Applausi).

  EMANUELA CORDA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  EMANUELA CORDA. Signor Presidente, colleghi, se avete la pazienza di ascoltare ancora un pochino chi deve ancora parlare...

  PRESIDENTE. Prego, deputata.

  EMANUELA CORDA. Oggi, 6 agosto, ricorre il sessantottesimo anniversario della bomba sganciata sulla città martire di Hiroshima, una delle pagine più tragiche della storia dell'umanità. Per prima cosa occorre non rimuovere, non dimenticare a cosa può arrivare l'uomo per ottenere i suoi progetti di dominio.
  Ogni qual volta si ricorda la tragedia di Hiroshima si piangono le vittime, si denuncia la pericolosità delle tecnologie nucleari. Tuttavia, in taluni commenti, così come nelle menti di molti, alberga un pensiero inconfessabile e cioè che, in fondo, quella bomba, insieme alla successiva di Nagasaki, servirono a far cessare la immane carneficina della Seconda guerra mondiale. Questo concetto viene ossessivamente ripetuto, al fine non solo di sollevare le coscienze di noi occidentali, ma anche per giustificare un atto militare che fu, a nostro parere, criminale perché rivolto verso civili inermi.
  Hiroshima e Nagasaki non furono probabilmente solo due obiettivi militari, la cui distruzione era necessaria per costringere il Giappone alla resa, furono anche e soprattutto dei test sulle modalità d'uso e conseguenze delle armi atomiche. E quel che è più sconvolgente, è che per testare queste armi si presero di mira le popolazioni inermi. Con lo sprigionamento della forza distruttiva dell'atomo non si voleva tanto concludere la vecchia guerra, ma ipotecare l'intera umanità ad una guerra futura, quello che gli strateghi chiamarono «equilibrio del terrore».
  Con la forza distruttiva dell'atomo, per la prima volta dalla nostra comparsa sulla Terra, gli esseri umani dimostrarono di essere in grado di cancellare la vita del pianeta. Ancora oggi, nonostante gli accordi per il disarmo nucleare successivi alla «guerra fredda», le testate atomiche a disposizione delle principali potenze nucleari hanno accumulato un potenziale distruttivo in grado di distruggere per 50 volte il nostro pianeta.
  Ma se la guerra, a nostro parere, non è mai giustificata, come si può accettare di giustificare la strage di milione di innocenti ? Hiroshima e Nagasaki non sono città lontane, le atomiche le abbiamo in casa. Le bombe stoccate nelle basi USA di Aviano e Ghedi, infatti, sono una palese violazione del Trattato di non proliferazione nucleare firmato dall'Italia. Così come le navi e i sommergibili a propulsione nucleare che ancora oggi transitano nei nostri mari. Noi non vogliamo che l'uomo si possa ancora macchiare di orrendi crimini contro l'umanità e contro il pianeta. Abbiamo già votato due referendum che hanno detto «no», gli italiani hanno detto già «no» al nucleare non per una volta ma per ben due volte. L'uomo quindi non deve più macchiarsi di questi crimini e vorrei citare Albert Einstein concludendo, dicendo che l'uomo ha inventato la bomba atomica ma nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  GIUSEPPE L'ABBATE. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 121

  GIUSEPPE L'ABBATE. Signor Presidente, volevo portare all'attenzione dell'Aula i gravissimi atti intimidatori che non si placano nel comune di Lizzano, in provincia di Taranto. Ieri il mio collega De Lorenzis ha ricordato le fucilate con cui è stata colpita qualche giorno fa la porta di casa dell'ex candidato sindaco e attuale consigliere comunale del MoVimento 5 Stelle, Valerio Morelli.
  Ieri purtroppo questa ondata di violenza non si è placata ma, al contrario, ha colpito ben altre tre persone. Tra queste Antonio Lecce, il candidato a sindaco di una coalizione di centrosinistra PD-SEL; Antonio Motolese, sindaco uscente della coalizione di centrodestra, ed anche un vigile urbano. Nei giorni precedenti anche il responsabile provinciale del Movimento Moderati in movimento aveva subito l'incendio della propria auto. Nell'attentato ad Antonio Lecce si è addirittura rischiato di colpire la finestra nella vicinanza del portone che dava sulla Camera da letto dove dormiva un bambino.
  Siamo ovviamente vicini ai cittadini e agli esponenti politici vittime di questi incresciosi atti intimidatori. La gente non può e non deve avere paura. Dobbiamo essere tutti compatti nel difendere i nostri rappresentanti ed il loro operato. Invitiamo dunque tutte le altre forze politiche a partecipare alla manifestazione di solidarietà che si terrà a Lizzano sabato prossimo a partire dalle 19 (Applausi).

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole L'Abbate. Ovviamente la Presidenza si associa alla vicinanza per gli atti subiti da queste personalità politiche.

  LELLO DI GIOIA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, credo che sia inaccettabile, inconcepibile che ormai in quest'Aula stiamo sistematicamente sottolineando il ritardo nell'istituire e, quindi, anche nella possibilità di poter insediare definitivamente le Commissioni bicamerali che ancora oggi, appunto, non sono state insediate. Sono state convocate la scorsa settimana. Ci sono stati dei motivi politici di cui ci rendiamo perfettamente conto. Credo però che le responsabilità politiche debbano essere addebitate, perché non è possibile che per responsabilità politiche non vengano ad essere insediate ancora le Commissioni bicamerali di questo Parlamento. E chiedo con grande forza, conoscendo la disponibilità, l'onestà e soprattutto la responsabilità istituzionale della nostra Presidente, di fare in modo che prima di queste ferie estive possano essere convocate ed insediate queste Commissioni, perché si possa lavorare con serietà e con grande responsabilità.
  Vede, le faccio un esempio per comprendere la necessità di dover insediare queste Commissioni. Non è pensabile, ad esempio, che l'Istituto di previdenza, e mi riferisco all'INPS, possa esternalizzare una serie di attività e che non ci sia una Commissione che possa controllare realmente quelli che sono ...

  PRESIDENTE. Deputato Di Gioia, concluda.

  LELLO DI GIOIA. Mi consenta alcuni secondi... quelle che sono queste attività di esternalizzazione.
  Abbiamo il dovere, come Parlamento, di sapere e di conoscere. Abbiamo il dovere come Parlamento di avere delle relazioni che siano in grado di fotografare chiaramente le questioni importanti che potrebbero mettere in moto risorse per dare risposte ai problemi che oggi attanagliano questo Paese. Ecco perché chiedo a lei che si faccia portavoce, sicuramente diligente, dell'esigenza di fare in modo che si riunisca rapidamente la Conferenza dei presidenti di gruppo, sollecitata sia dal gruppo Misto, sia anche dalla Lega Nord, perché si possa discutere e fissare l'orario dell'insediamento di queste Commissioni.

  PRESIDENTE. Prendo atto del sollecito. Le dico che sicuramente la questione domani sarà affrontata nella Conferenza dei presidenti di gruppo.

Pag. 122

  MICHELE PELILLO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  MICHELE PELILLO. Signor Presidente, riguardo ai fatti di Lizzano, per esprimere, a nome mio personale e del gruppo del Partito Democratico, lo sdegno per i vili atti intimidatori che sono stati consumati nei giorni scorsi e nella notte scorsa e per esprimere la più sentita solidarietà a tutte queste persone impegnate in politica che, in questo momento, stanno vivendo questa situazione strana che le forze dell'ordine stanno cercando in qualche modo di comprendere. Che in quel comune ci fosse la necessità di cambiamento, che ci fosse una necessità di discontinuità, il Partito Democratico l'aveva percepito molto bene proponendo, tre mesi fa, come candidato sindaco, proprio Antonio Lecce, un ragazzo di 25 anni, un operaio specializzato, un ragazzo molto brillante che, per qualche centinaio di voti, non è riuscito a diventare sindaco di Lizzano, a maggio.
  Si vede che la sua schiettezza, il suo modo di essere ragazzo di 25 anni, la voglia e l'entusiasmo di esprimersi in modo diverso rispetto ad un modo di fare magari un po’ consolidato da troppo tempo, ha attirato troppe attenzioni, cioè a qualcuno probabilmente non è piaciuto questo nuovo atteggiamento.
  Presidente, la nostra solidarietà è doverosa, ma in questo caso – e chiudo – la nostra solidarietà è particolarmente calorosa, perché rivolgerla ad un ragazzo di 25 anni che ha avuto la forza e l'entusiasmo di entrare in politica e di misurarvisi, penso sia un qualcosa che vada oltre anche a qualsiasi dichiarazione – e ne facciamo tante – di questo genere. Dobbiamo cercare di far sentire le istituzioni più vicine, soprattutto ai giovani, e aiutarli a tenere duro e a reagire nel modo migliore, anche in questi momenti di difficoltà (Applausi).

  PIERGIORGIO CARRESCIA. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  PIERGIORGIO CARRESCIA. Signor Presidente, ho chiesto la parola per sollecitare la risposta a due interrogazioni. Intervengo per segnalare alla Presidenza che, avendo presentato il 3 aprile un'interrogazione a risposta scritta, la n. 4-00132, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, non ho ancora ricevuto risposta. L'interrogazione riguarda le iniziative che intende assumere il Governo per la mancata sottoscrizione della convenzione tra l'ANAS e l'associazione temporanea di impresa Impregilo-Astaldi-Pizzarotti, che impedisce l'avvio dei lavori per il collegamento tra il porto di Ancona e l'A-14, che è un'opera fondamentale per le infrastrutture viarie delle Marche.
  Il secondo sollecito, invece, riguarda un'altra interrogazione, presentata il 2 luglio, la n. 4-00095, al Ministro dell'istruzione e dell'università e della ricerca, che riguarda le iniziative che il Governo intende assumere per garantire adeguato personale docente nelle scuole delle Marche, in particolare dell'infanzia, e per evitare il sovraffollamento delle classi. Chiedo che, ai sensi dell'articolo 134 del Regolamento, le due interrogazioni siano poste all'ordine del giorno delle sedute successive delle competenti Commissioni.

  PRESIDENTE. La Presidenza prende atto del suo sollecito.

  TITTI DI SALVO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  TITTI DI SALVO. Signor Presidente, intervengo per sollecitare la Presidenza ad aiutarci, ad aiutare il Parlamento nell'insediamento delle Commissioni bicamerali. È un argomento che ha già sottoposto l'onorevole Di Gioia, io stessa, in altre occasioni. Lei, Presidente, perché è stato ricordato, che siamo di fronte ad una convocazione già avvenuta, convocata e sconvocata per tre volte, di alcune Commissioni. Ora, l'insistenza su questo punto Pag. 123ha un valore generale. Noi sappiamo come il lavoro istruttorio delle Commissioni sia il lavoro parlamentare vero e proprio. L'oggetto delle Commissioni bicamerali è un oggetto di grande importanza: penso alla Commissione di controllo degli enti gestori della previdenza pubblica – l'importanza è altrettanto forte anche per le altre Commissioni –, ma con riferimento a questa, sottolineo come oggi tutte le prestazioni di welfare vengano erogate dall'INPS. Tutte.
  Il fatto che la Commissione bicamerale di controllo sugli enti previdenziali in generale e, quindi, anche sull'INPS, non sia insediata, vuol dire che questa importantissima funzione è priva di controllo. Non solo, ma esiste un commissario straordinario che scade nel 2014 e un consiglio di indirizzo e vigilanza interno in prorogatio. Quindi, i suoi organi non sono quelli legittimati, ma in scadenza, e non c’è la commissione di controllo. Per questo – e ho concluso – risollecito l'attenzione della Presidenza: ho ascoltato la sua risposta e, quindi, ho capito che domani sarà affrontata. La ringrazio.

  PRESIDENTE. Aggiungo soltanto che la Presidenza si è già espressa più volte anche in Conferenza dei presidenti di gruppo nel sollecitare i gruppi parlamentari per la formazione, il prima possibile, e la convocazione delle Commissioni.

  GIULIA GRILLO. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GIULIA GRILLO. Signor Presidente, io mi associo ai colleghi nel sollecitare la convocazione della Commissione di controllo degli enti di previdenza e assistenza, però, vorrei anche, ad onore del vero, invitare la Presidenza a redarguire i capigruppo delle formazioni parlamentari di PD, PdL, SEL e Scelta Civica, che il giorno della convocazione della Commissione bicamerale – che è stato il giorno fatidico, poi, della sentenza Berlusconi – non si sono presentati.
  Io reputo questo atto, a prescindere dalla motivazione per la quale poi si è realizzato, un atto gravemente lesivo ed offensivo nei confronti di un'attività così importante, come i colleghi hanno voluto sollecitare. Quindi, mi sembrava giusto dire che non si può solamente pretendere che la Presidenza convochi la seduta e, poi, non presentarsi, perché non si è raggiunto l'accordo per le poltrone: perché noi, comunque, non siamo qui per spartire poltrone, ma semplicemente per fare il nostro dovere. Quindi, ognuno, poi, pensi a fare il proprio dovere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

  GIAMPIERO GIULIETTI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  GIAMPIERO GIULIETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi trovo ad intervenire dopo aver sentito le parole in quest'Aula dell'onorevole Ciprini, relativamente a considerazioni sulla regione Umbria quale terra in mano alle mafie e al narcotraffico. Forse, l'onorevole Ciprini non conosce l'Umbria, pur essendo stata inconsapevolmente e incolpevolmente eletta in questa regione. Forse, l'onorevole Ciprini, pur lavorando per l'ente regione, non frequenta l'Umbria, il suo territorio, le sue città, le tante persone che tutti i giorni devono affrontare difficoltà e problemi, ma che, con passione e fatica, hanno la forza di guardare avanti, con coraggio e determinazione, perché l'Umbria è terra libera, è terra di pace e solidarietà, una terra che non lascia indietro nessuno e che non si ferma innanzi a niente.
  Una regione dove è alta la qualità della vita, dove le istituzioni hanno saputo innovare e hanno avuto il coraggio di riformare; un'istituzione in regione che guida il gruppo di regioni benchmark, cioè di riferimento per la definizione di criteri di qualità dei servizi erogati, dell'appropriatezza e di efficienza dei servizi sanitari.
  L'Umbria, una regione, una terra all'avanguardia per la trasparenza e il rigore Pag. 124nella pubblica amministrazione, negli appalti pubblici e nei servizi. Una regione che è cresciuta rispettando il suo territorio, la peculiarità del suo paesaggio e il suo immenso patrimonio artistico e storico. L'Umbria è la terra delle grandi lotte per il lavoro, penso all'AST, alle acciaierie di Terni, al polo chimico ternano; l'Umbria è la terra che, con Perugia e le terre di Francesco di Assisi, si candida ad essere capitale europea della cultura nel 2019. Questa è l'Umbria di cui, dico all'onorevole Ciprini, occorre essere più rispettosi e seri.
  Concordo, invece, con l'onorevole sulla necessità di estendere a tutti, a cominciare dai parlamentari, i controlli per l'assuefazione a stupefacenti. Forse, anziché vedere le stelle, si potrebbe, finalmente, vedere la realtà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  ADRIANO ZACCAGNINI. Chiedo di parlare.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ADRIANO ZACCAGNINI. Signor Presidente, sono qui a ricordare una situazione abbastanza incresciosa che, appunto, risponde e un po’, poi, conferma quanto la burocrazia italiana sia farraginosa e lenta, il fatto che il decreto contro gli OGM, emanato il 12 luglio, non sia ancora uscito sulla Gazzetta Ufficiale. Ciò è sconcertante perché sappiamo bene che il decreto può entrare in vigore solo il giorno dopo che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e quindi, in una fase stagionale in cui le coltivazioni di mais stanno raggiungendo la fioritura e quindi l'impollinazione e quindi la contaminazione, ci chiediamo perché il Ministro De Girolamo spacci in giro questo decreto come una delle cose fatte nei primi cento giorni di Governo, quando ancora non è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e quindi non può entrare in vigore. Quindi, prima che si concluda questa settimana parlamentare e si vada in ferie, non vorrei dover fare gesti inconsulti o alzare l'attenzione affinché il decreto venga poi pubblicato. Quindi, mi auguro un sollecito affinché ciò accada nel più breve tempo possibile.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Mercoledì 7 agosto 2013, alle 10:

  (ore 10 e ore 16)

  1. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   S. 890 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti (Approvato dal Senato) (C. 1458).
  — Relatori: Causi, per la VI Commissione; Pizzolante, per l'XI Commissione.

  2. – Discussione del disegno di legge:
   Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia (Approvato dalla Camera, ove trasmesso dal Senato) (C. 1248).
  (ore 15)

  3. – Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

  La seduta termina alle 20,55.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO DAVIDE CAPARINI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI (A.C. 925-A ED ABBINATE).

  DAVIDE CAPARINI. Onorevoli Colleghi ! Gli elementi qualificanti di questa riforma sono senza ombra di dubbio: Pag. 125l'esaltazione del ruolo della rettifica e dell'esercizio del diritto di risposta; la conseguente eliminazione della pena detentiva per i delitti contro l'onore (ingiuria e diffamazione) che tuttavia non vengono depenalizzati ma conservano la natura giuridica del delitto; la dimensione cross mediale con l'estensione degli effetti della legge alle testate giornalistiche online registrate, alla radio ed alla tv.
  La rettifica diventa crossmediale.
  Le dichiarazioni o le rettifiche devono essere pubblicate senza commento. Il direttore del giornale deve pubblicare la rettifica entro 48 ore dalla richiesta con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa visibilità della notizia rettificata, in testa alla pagina dell'articolo relativo alla notizia stessa. La rettifica inoltre viene estesa alla stampa non periodica. Per quanto riguarda le testate giornalistiche online con la stessa metodologia di accesso al sito, con lo stesso Url e con caratteristiche grafiche che rendano evidente l'avvenuta modifica. Per le trasmissioni televisive e radiofoniche in fascia e con il rilievo corrispondenti a quelli della trasmissione in cui è avvenuta la diffamazione. Il direttore deve sempre informare l'autore della richiesta di rettifica. Nel caso di inerzia l'autore dell'offesa può obbligare il direttore (o comunque del responsabile) a fare inserire la smentita o la rettifica.
  Le sanzioni nel caso di mancata rettifica.
  Nel caso di mancata rettifica spetta al giudice (che sostituisce il pretore) il compito di ordinarne la pubblicazione adottando un provvedimento d'urgenza ex articolo 700 del codice di procedura penale. La sanzione amministrativa per la mancata o parziale ottemperanza passa da 8.000 euro a 16 mila (oggi va da 15 a 25 milioni di lire). Per quanto riguarda la radiotelevisione in caso di mancato adempimento da parte della trasmissione l'interessato può trasmettere la richiesta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
  L'aspetto più importante è l'eliminazione della pena della reclusione. La diffamazione a mezzo stampa è sanzionata con la multa da 5.000 a 10.000 euro (mentre oggi la sanzione per la diffamazione a mezzo stampa è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a 516 euro).
  Tuttavia se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta nella consapevolezza della sua falsità, la pena: della multa è giustamente aumentata sa 20 mila euro a 60 mila euro (attualmente c’è la semplice attribuzione di un fatto determinato con la reclusione da uno a 6 anni e della multa non inferiore a 516 euro). Alla condanna per il delitto consegue anche la pena accessoria della pubblicazione della sentenza tramite affissione al Comune e pubblicazione su uno o più giornali e sul sito internet del ministero della Giustizia.
  Nell'ipotesi di recidiva con nuovo delitto non colposo della stessa indole si applica la pena accessoria dell'interdizione dalla professione di giornalista per un periodo da un mese a sei mesi e con la sentenza di condanna il giudice dispone la trasmissione degli atti al competente ordine professionale per le determinazioni relative alle sanzioni disciplinari.
  Risarcimento del danno.
  Molto apprezzata è la soppressione del limite al risarcimento del danno patrimoniale. Inoltre, nella determinazione del danno derivante da diffamazione commessa con il mezzo della stampa, il giudice tiene conto della diffusione quantitativa e della rilevanza nazionale o locale del mezzo usato per compiere il reato, della gravità dell'offesa, nonché dell'effetto riparatorio della pubblicazione della rettifica. L'azione si prescrive in due anni. Quindi, viene abrogato l'articolo 12 -della legge n. 47 del 1948 in base al quale per la diffamazione a mezzo stampa la persona può chiedere – oltre al risarcimento dei danni – una somma a titolo di riparazione, determinata in relazione alla gravità dell'offesa e alla diffusione dello stampato.
  I doveri del direttore.
  Il provvedimento modifica le responsabilità del direttore anche delle testate radiotelevisive e online. Il direttore risponde Pag. 126dei delitti commessi a mezzo stampa se il delitto è conseguenza della violazione dei suoi doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione. La pena è ridotta di un terzo e non si applica la pena accessoria dell'interdizione dalla professione. Il direttore può delegare per iscritto la vigilanza a uno o più giornalisti professionisti disponibili ad esercitare tali funzioni di controllo.
  Equità.
  Accogliamo con particolare favore l'abrogazione dell'ipotesi aggravata dell'offesa recata ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una sua rappresentanza o autorità costituita in collegio.
  Gli abusi.
  Viene fugato il rischio che ci possa essere chi, invocando impropriamente la rettifica, ne approfitti per coltivare interessi di qualsiasi genere ma non quello del diritto all'informazione. La condanna del querelante alle spese e ai danni è prevista dietro domanda – nel caso in cui il caso non sussiste o l'imputato non ha commesso fatto. In presenza di colpa grave il giudice può condannare il querelante a risarcire i danni all'imputato e, in caso di querela temeraria, ad una sanzione pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro.
  Cosa deve essere ulteriormente chiarito.
  È stata persa l'occasione di definire diritti e doveri dei blog, taluni dei quali, hanno talvolta una portata comunicativa analoga se non superiore a quella dei mezzi di informazione. Il Parlamento non ha sfruttato nel migliore dei modi la presenza dei colleghi del Movimento 5 Stelle espressione di quel mondo che avrebbero potuto dare un contributo ben maggiore per la definizione di una disciplina che bilanci l'interesse del pubblico ad essere informato con quello della persona, fisica o giuridica, a non essere lesa nella sua identità personale. Il provvedimento in discussione prende finalmente coscienza del fatto che la comunicazione è multimediale e continua. A nostro parere è necessario un ulteriore approfondimento per le modalità di rettifica e l'applicazione della distinzione che la legge prevede per i giornali rispetto ai blog.
  In conclusione, annuncio il voto favorevole della Lega Nord Autonomie.

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 2 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 13)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Ddl 1458 – em. 1.1 501 467 34 234 114 353 54 Resp.
2 Nom. em. 1.3 503 486 17 244 97 389 53 Resp.
3 Nom. em. 1.1 503 502 1 252 146 356 53 Resp.
4 Nom. em. 1.5 504 410 94 206 22 388 53 Resp.
5 Nom. em. 1.4 505 412 93 207 21 391 53 Resp.
6 Nom. em. 1.7 509 509 255 129 380 52 Resp.
7 Nom. em. 1.8 511 478 33 240 116 362 52 Resp.
8 Nom. em. 1.12 509 475 34 238 116 359 52 Resp.
9 Nom. em. 1.11 508 508 255 147 361 52 Resp.
10 Nom. em. 1.14 508 506 2 254 116 390 52 Resp.
11 Nom. em. 1.15 504 504 253 97 407 52 Resp.
12 Nom. em. 1.16 508 489 19 245 125 364 52 Resp.
13 Nom. em. 1.17 506 477 29 239 116 361 52 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). – C = Voto contrario (in votazione palese). – V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). – A = Astensione. – M = Deputato in missione. – T = Presidente di turno. – P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. – X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.

INDICE ELENCO N. 2 DI 2 (VOTAZIONI DAL N. 14 AL N. 22)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
14 Nom. em. 1.18 506 474 32 238 112 362 52 Resp.
15 Nom. em. 1.19 507 475 32 238 116 359 52 Resp.
16 Nom. em. 1.20 505 505 253 116 389 52 Resp.
17 Nom. em. 1.23 499 498 1 250 112 386 52 Resp.
18 Nom. em. 1.22 503 486 17 244 127 359 52 Resp.
19 Nom. em. 1.26 501 500 1 251 146 354 52 Resp.
20 Nom. em. 1.25 500 500 251 147 353 52 Resp.
21 Nom. em. 1.27 501 501 251 143 358 52 Resp.
22 Nom. em. 1.42 476 382 94 192 20 362 52 Resp.