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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 18 aprile 2017

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 18 aprile 2017.

  Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, Colonnese, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Migliore, Mucci, Orlando, Pannarale, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Scalfarotto, Tabacci, Terzoni, Valeria Valente, Velo.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 12 aprile 2017 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa del deputato:
   MAROTTA: «Disposizioni per favorire la definizione transattiva di debiti insoluti verso banche e intermediari finanziari» (4424).

  In data 13 aprile 2017 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   ARTINI: «Modifica all'articolo 37 del codice penale militare di pace in materia di reati militari e altre disposizioni concernenti il trasferimento di personale civile in servizio presso i tribunali militari» (4425);
   MASSIMILIANO BERNINI: «Disposizioni concernenti la competenza per l'esecuzione del controllo dei funghi epigei destinati alla vendita al dettaglio» (4426);
   CANCELLERI: «Disposizioni in materia di turismo all'aria aperta» (4427);
   SIBILIA ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul dissesto finanziario delle banche Monte dei Paschi di Siena Spa, Cassa di risparmio di Ferrara Spa, Banca delle Marche Spa, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa, Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa, Banca popolare di Vicenza, Veneto Banca e Banca Carige» (4428);
   VILLAROSA ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul dissesto finanziario della banca Monte dei Paschi di Siena» (4429);
   SCOPELLITI ed altri: «Modifica all'articolo 2-quinquies del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 2008, n. 186, in materia di benefìci per i superstiti delle vittime della criminalità organizzata» (4430);
   PANNARALE ed altri: «Modifiche alla legge 13 luglio 2015, n. 107, in materia di reclutamento del personale scolastico» (4431).

  In data 14 aprile 2017 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa del deputato:
   D'AGOSTINO: «Modifiche all'articolo 35 della legge 12 dicembre 2016, n. 238, concernenti la delimitazione della zona di imbottigliamento nei disciplinari di produzione dei vini a denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta» (4432).

  Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di proposte di inchiesta parlamentare.

  In data 12 aprile 2017 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di inchiesta parlamentare d'iniziativa dei deputati:
   PALAZZOTTO ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni» (Doc. XXII, n. 78).

  Sarà stampata e distribuita.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge LA RUSSA ed altri: «Modifiche all'articolo 52 del codice penale in materia di legittima difesa» (3380) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Garnero Santanchè, Romele e Squeri.

Modifica dell'assegnazione di proposta di legge a Commissioni in sede referente.

  Su richiesta della XI Commissione (Lavoro) e della XII Commissione (Affari sociali), la seguente proposta di legge – già assegnata alla XI Commissione (Lavoro) – è assegnata, in sede referente, alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali), per consentire di procedere all'abbinamento, ai sensi dell'articolo 77 del Regolamento, con la proposta di legge n. 3925:
   CIRIELLI e VITO: «Disposizioni concernenti la tutela assicurativa per infortuni e malattie del personale del comparto sicurezza e difesa» (4243) Parere delle Commissioni I, IV e V.

Trasmissione dal Ministro dell'economia e delle finanze.

  Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 14 aprile 2017, ha trasmesso una nota concernente alcune correzioni al testo del Documento di economia e finanza 2017 (Doc. LVII, n. 5) nonché del rapporto sullo stato di attuazione della riforma della contabilità e finanza pubblica (Doc. LVII, n. 5 – Allegato I) e del documento «Il benessere equo e sostenibile nel processo decisionale» (Doc. LVII, n. 5 – Allegato VI), ad esso allegati, trasmessi in data 12 aprile 2017.

  Questa documentazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) nonché a tutte le altre Commissioni permanenti e alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 12 aprile 2017, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare a nome dell'Unione europea in sede di Organizzazione marittima internazionale in occasione della 98ª sessione del comitato per la sicurezza marittima e della 71ª sessione del comitato per la protezione dell'ambiente marino riguardo all'adozione delle modifiche della regola SOLAS II-1/23, della regola SOLAS II-2/9.4.1.3, dei codici per le unità veloci 1994 e 2000, del codice internazionale per i dispositivi di salvataggio e dell'appendice V dell'allegato VI della convenzione MARPOL (COM(2017) 174 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 13 aprile 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

  Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Con la predetta comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sulla relazione della Commissione al Consiglio sull'esecuzione dell'11o Fondo europeo di sviluppo per il periodo 2014-2015 (COM(2017) 159 final), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI MARCON ED ALTRI N. 1-01589, CAPEZZONE ED ALTRI N. 1-01600, CASO ED ALTRI N. 1-01601, MELILLA ED ALTRI N. 1-01602 E BRUNETTA N. 1-01604 CONCERNENTI LA QUESTIONE DELL'INSERIMENTO DEL COSIDDETTO FISCAL COMPACT NEI TRATTATI EUROPEI, NONCHÉ LE POLITICHE ECONOMICHE E DI BILANCIO DELL'UNIONE EUROPEA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    per la prima volta dalla firma del Trattato di Roma nel 1957, le spinte verso la disintegrazione prevalgono sulla costruzione di «una Unione sempre più stretta fra i popoli europei». L'Unione europea è ben lungi dalla stabilità, dalla legittimità, dallo sviluppo concertato che avevano garantito le sue classi dirigenti. Alla vigilia dei negoziati della Brexit, che rappresenta un campanello d'allarme sull'impopolarità del «progetto europeo», sembra al contrario che, questo, sia entrato in una crisi irreversibile e la sua stessa esistenza sia messa in questione;
    si sono accumulati ostacoli e contraddizioni la cui coincidenza non dipende dal caso; questi sono:
     a) persistente effetto divaricante e deflattivo dell'euro e conseguente innalzamento dei debiti pubblici in rapporto al Pil senza che si intraveda una soluzione;
     b) tragedia dei rifugiati che l'accordo con la Turchia non ha fatto che spostare temporaneamente da una frontiera all'altra;
     c) continuità delle politiche mercantiliste legate all'austerità e alla svalutazione del lavoro che accelerano la deindustrializzazione dei territori e mettono in concorrenza al ribasso i lavoratori di diverse nazionalità e liquidano le risorse del welfare;
     d) crisi delle istituzioni parlamentari nazionali;
     e) guerra lungo tutti i confini d'Europa, dall'Ucraina alla Siria alla Libia;
    l'obiettivo di un'unione sempre più stretta ha ceduto il passo a un sistema di integrazione a «varie velocità». Le celebrazioni ufficiali per il 60esimo della firma dei Trattati di Roma hanno segnato, di fatto, la decisione di disintegrare l'Europa che, lungo la rotta dei Trattati europei e del Fiscal compact, porta a disintegrare l'Unione europea, con la solita prassi di dichiarare che si tratta di un grande passo in avanti nella direzione del suo rafforzamento;
    l'unione monetaria così come è stata realizzata, all'insegna del mercantilismo tedesco e senza politiche comuni in ambito economico, fiscale e sociale, si è dimostrata insostenibile: si è realizzata attraverso una svalutazione del lavoro, la riduzione della spesa pubblica e degli investimenti pubblici, la privatizzazione del patrimonio collettivo ed ha alimentato gli squilibri geografici, ha depresso l'economia e la crescita, ha fatto crescere le diseguaglianze; l'organizzazione dell'eurogruppo presieduto da Dijsselbloom si è dimostrata per i presentatori del presente atto di indirizzo una struttura opaca, non democratica e senza regole condivise;
    l'euro-riformismo di facciata che chiede «più Europa», la riforma dei trattati, maggiore flessibilità e meno rigore, ma che in realtà si accontenta del piccolo cabotaggio e degli «zero-virgola», rispettoso di regole ingiuste e controproducenti non è una soluzione; è la continuazione di politiche neoliberiste che fanno crescere povertà e diseguaglianze;
    infatti, se le pratiche attuali dell'eurogruppo proseguiranno, si avrà presto una grave crisi politico-finanziaria italiana, che avrà ricadute anche in Germania. Si riaffaccia, inoltre, il progetto della «Kernel Europa», un'Unione europea a più velocità ed a cerchi concentrici subordinati ad un nucleo centrale. Questo piano è destinato al fallimento nel medio termine. In ogni caso, l'Italia ne verrebbe probabilmente esclusa di fatto;
    altre forze politiche nazionaliste e xenofobe premono per una disintegrazione dell'Unione europea, la fine della democrazia liberale e una ricostruzione di muri e frontiere;
    ma oltre la falsa opposizione fra Europa e Stato nazionale, la questione chiave sarà come ricostruire potere popolare per cambiare e democratizzare entrambi;
    il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria» o «Patto di Bilancio Europeo» (cosiddetto «Fiscal compact») è un trattato intergovernativo europeo, sottoscritto dai Paesi dell'eurozona, il quale prevede, in particolare:
     a) il vincolo dello 0,5 per cento di deficit «strutturale» rispetto al Pil;
     b) l'obbligo di ridurre il rapporto debito/Pil di almeno 1/20esimo all'anno per i Paesi con un rapporto superiore al 60 per cento, come previsto dal Trattato di Maastricht;
     c) l'obbligo di mantenere al massimo al 3 per cento il rapporto tra deficit e Pil, come previsto dal Trattato di Maastricht;
    per l'Italia – vista la situazione del suo bilancio strutturale e con un rapporto debito/Pil attualmente pari a circa il 133 per cento – si tratterebbe di impostare manovre finanziarie annuali da decine di miliardi di euro, onde rispettare l'accordo;
    il Fiscal compact prevede, inoltre, l'introduzione dell'equilibrio di bilancio per ciascuno Stato in «disposizioni vincolanti di natura permanente – preferibilmente costituzionale»;
    l'Italia ha proceduto non solo al recepimento del Trattato – senza, peraltro, alcuna consultazione popolare, ma solo con un passaggio parlamentare – nel luglio 2012, ed è tra i pochi Paesi dell'eurozona che ha introdotto tale obbligo in Costituzione nel 2012 (legge costituzionale n. 1 del 2012);
    ma lo stesso Fiscal compact ha obbligato sì a introdurre principi di equilibrio dei conti «tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente», ma con una semplice indicazione di «preferenza» per il livello costituzionale (articolo 3, comma 2). La scelta dunque di «costituzionalizzare» il princìpio dell'equilibrio di bilancio ricade pienamente nella responsabilità politica del Parlamento italiano. Ciò comporta il gravissimo effetto di rendere immodificabili le politiche del rigore anche nell'ipotesi – auspicabile e da perseguire politicamente – di un ravvedimento a livello europeo;
    l'articolo 16 del Trattato prevede che, entro cinque anni dall'entrata in vigore (1o gennaio 2013) del Fiscal compact, esso venga inserito nell'ordinamento comunitario; di conseguenza che avvenga la sua trasformazione – entro il 31 dicembre 2017 – da accordo intergovernativo in parte integrante dei trattati fondativi dell'Unione europea;
    tale trasformazione imporrà ai Paesi sottoscrittori il pieno dispiegamento dei suoi obblighi, il suo farsi parte costitutiva e fondante dell'Unione europea, e assai più difficoltoso, complesso e arduo procedere alla sua cancellazione o anche solo ad una sua revisione;
    per l'inserimento del Fiscal compact nei Trattati europei è necessaria l'unanimità dei consensi;
    il Fiscal compact è solo uno di quelli che appaiono ai presentatori del presente atto i soffocanti paletti imposti dall'inizio della crisi. Infatti, l'Europa ha adottato una serie di regole che – sommate alle storture congenite dell'unione monetaria europea – obbediscono alla stessa logica, quella di evitare la condivisione dei rischi:
     a) nel 2010-2012, il programma straordinario di acquisti di titoli di Stato (Securities Market Programme – SMP), mentre aiutava i Paesi periferici a risollevarsi, ha trasferito 10 miliardi di euro alla Banca centrale europea (Bce) (di cui oltre 2 sono andati alla Bundesbank) sotto forma di interessi pagati sui titoli coinvolti nel programma;
     b) i 2 mega-prestiti a lungo termine (LTRO) da 1.000 miliardi di euro erogati dalla Bce tra dicembre 2011 e febbraio 2012 alle banche della periferia che, con questa liquidità, hanno saldato i debiti con le banche tedesche e comprato titoli emessi dai loro rispettivi governi. Così le banche tedesche hanno ridotto la loro esposizione verso la periferia per oltre 750 miliardi di euro;
     c) a marzo 2012, il Fiscal Compact ha aggravato gli interventi di contenimento della spesa pubblica, compresa quella destinata agli investimenti infrastrutturali, il cui crollo è la causa della perdita di quasi 1/4 della nostra produzione industriale;
     d) nell'autunno 2012, l'accordo sul Meccanismo europeo di stabilità ha imposto clausole di azione collettiva (CAC) sulle nuove emissioni di titoli di Stato a partire dal gennaio 2013, con le quali una minoranza degli obbligazionisti (appena il 25 per cento+1) può bloccare la ridenominazione del debito nella nuova valuta nazionale nel caso un Paese esca dalla moneta unica;
     e) per coprirsi dal rischio del debito privato, a gennaio 2016, è entrato in vigore il bail-in che riversa sui risparmiatori domestici le perdite delle banche dovute a una prolungata congiuntura avversa;
     f) il Quantitative Easing (QE) risponde alla stessa logica di segregazione dei rischi. Le banche centrali nazionali si fanno carico della maggioranza degli acquisti di titoli emessi dai rispettivi Governi e, per farlo, si indebitano con la Bce; perciò, se un Governo non paga, a farne le spese è la sua banca centrale, mentre – proprio come in un derivato di credito – la Bce non subirà perdite. Il saldo negativo più o meno elevato dei Paesi periferici dell'eurozona all'interno del sistema Target2, in larga misura, è dovuto proprio al QE. La liquidità ricevuta dai Paesi periferici nell'ambito del QE non è andata a supportare la loro economia reale, bensì è finita all'estero, pompando il loro disavanzo Target2 e, in parallelo, l'avanzo tedesco. La somma dei saldi negativi di Italia e Spagna corrisponde quasi al surplus Target2 della Germania, cieca 720 miliardi di euro. Per l'Italia, il conto sarebbe di 363 miliardi di euro, oltre il 20 per cento del Pil;
    nel 2016, la Bce ha continuato e addirittura rafforzato la sua politica di creazione di abbondante liquidità. Ma tale politica sembra aver raggiunto i suoi limiti. Nel corso della crisi, la Bce ha acquisito nuovi ampi poteri e responsabilità, che fanno ancora di più della sua indipendenza da tutti gli organi politici dell'Unione europea una forzatura dei principi democratici;
    tali politiche, che hanno imposto l'austerità dei conti pubblici all'insieme dell'eurozona, come ha dovuto ammettere ormai anche la maggior parte degli economisti mainstream, hanno avuto effetti negativi sulla crescita economica;
    nell'ambito di un quadro di recessione globale, la zona euro mostra, infatti, particolari difficoltà e il peggioramento dell'economia si è accompagnato a una crisi sociale senza precedenti, mentre si sono sviluppati movimenti xenofobi e antieuropei; l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari, imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010, sono stati così varati programmi di riequilibrio delle bilance commerciali dei Paesi in deficit, attraverso drastici interventi sui conti pubblici, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici, il riequilibrio della bilancia commerciale è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), che hanno determinato un aumento del debito pubblico in rapporto al Pil dovuto alla recessione indotta dalle politiche di austerità;
    la gestione neoliberista della crisi economica ha aumentato le asimmetrie e le disuguaglianze esistenti all'interno dei Paesi europei e tra di loro, attuando una competizione sulla base di svalutazioni interne concorrenziali che si sono tradotte in un attacco sistematico al lavoro ed al welfare;
    nel 2008 la Germania e la Grecia avevano quasi lo stesso livello di disoccupazione, nel 2015 la Germania l'aveva ridotto dal 7,4 per cento al 4,6 per cento, mentre in Grecia è aumentato dal 7,8 per cento al 25 per cento. La gestione della crisi economica in Europa ha portato benefici al Nord contro il Sud Europa;
    in Italia, la disoccupazione è aumentata ad oltre il 12 per cento (quella giovanile oltre il 43 per cento), la capacità produttiva del sistema industriale è scesa del 25 per cento (rispetto all'inizio della crisi) e lo stesso debito pubblico è continuato a salire arrivando nel 2016 al 133 per cento sul Pil che, in 9 anni di crisi, è sceso di oltre 7 punti;
    è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione, l'aumento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo (Pil) è stato, nei Paesi periferici, solo leggermente superiore alla media della zona euro. La sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;
    i risultati di queste politiche economiche sono stati largamente fallimentari ed hanno portato alla stagnazione e alla depressione economica. La disoccupazione è cresciuta del 40 per cento, gran parte dei Paesi della zona euro è stata colpita dalla recessione e – nonostante le politiche dei tagli – il debito pubblico è cresciuto mediamente dal 66 per cento (in rapporto al Pil) del 2008 al 93 per cento del 2015;
    pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall'esperienza pratica (Grecia), il moltiplicatore fiscale, in una fase di recessione, è positivo e l'austerità porterà, quindi, a un calo del Pil maggiore del calo del debito, rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione del rapporto tra debito e Pil;
    si è attuata una transizione dei poteri dagli Stati nazionali all'oligarchia dell'Unione europea, una vera espropriazione della democrazia a favore di una tecnocrazia che risponde, di fatto, solo ai poteri finanziari e a ristretti gruppi sociali che, secondo i presentatori del presente atto, di tali politiche di austerità si stanno avvantaggiando in maniera scandalosa; tra il 1976 e il 2006, la quota dei salari (incluso il reddito dei lavoratori autonomi) sul Pil è diminuita in media di 10 punti, scendendo dal 67 al 57 per cento circa. In Italia, è andata peggio: il calo ha toccato i 15 punti, dal 68 al 53 per cento (dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), un trasferimento di ricchezza, a favore soprattutto del capitale finanziario, pari – in moneta attuale – a 240 miliardi di euro;
    le misure economiche varate in questi ultimi 15 anni stanno dunque minando alle radici, insieme alla dimensione sostanziale e sociale del costituzionalismo europeo, lo stesso processo di integrazione dell'Unione europea;
    l'unità politica di un popolo è data dall'uguaglianza nei diritti, stabiliti nelle Costituzioni, di quanti in esso si riconoscono, appunto come uguali. È quanto afferma lo stesso preambolo alla Carta europea dei diritti fondamentali: «l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà». Prima ancora, del resto, il Consiglio europeo di Colonia del 3-4 giugno 1999 aveva dichiarato: «la tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell'Unione europea» e «il presupposto indispensabile della sua legittimità»;
    l'Unione europea, ben più che un mercato comune, è quindi un insieme di popoli che si vogliono unificati da comuni valori di civiltà, oggi, però, posposti ai valori dei bilanci dalle inadeguate tecnocrazie comunitarie; le quali, mentre minacciano l'espulsione della Grecia, culla dell'Europa, nulla dicono delle derive autoritarie dell'Ungheria e del riemergere in tanti Paesi di rigurgiti neonazisti, antisemiti e razzisti. Ben più della libera concorrenza, l'unificazione politica dell'Europa richiederebbe, insomma, come presupposto, l'uguaglianza dei cittadini europei e l'indivisibilità dei loro diritti fondamentali;
    l'economia, che dai padri costituenti dell'Europa fu concepita e progettata come un fattore di unificazione – dapprima il mercato comune e poi la moneta unica – è oggi diventata, in assenza di politiche in grado di governarla, un fattore di conflitto e divisione;
    la ricetta giusta per uscire dalla crisi è sopperire alla carenza di domanda privata con la politica di bilancio. In un periodo durante il quale consumi ed investimenti privati faticano a crescere, è lo Stato che deve intervenire con politiche espansive, in particolare aumentando la spesa pubblica per investimenti per stimolare direttamente la domanda. Date le attuali condizioni di sottoutilizzo della capacità produttiva, è altamente probabile che lo stimolo fiscale incrementi a sua volta anche consumi ed investimenti privati, perché l'impatto positivo dell'aumento del reddito sarebbe superiore all'impatto negativo dell'aumento dei tassi di interesse. Grazie all'effetto moltiplicatore, la politica espansiva genera un aumento più che proporzionale dell’output, innescando un circolo virtuoso: maggiore produzione, maggiori investimenti e maggior capacità produttiva;
    lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, Matteo Renzi, ebbe a dichiarare nel novembre 2016 che: «Nel 2017 il “fiscal compact”, le regole del pareggio di bilancio dovrebbero entrare nei trattati. Io sono nettamente contrario a questa ipotesi. Monti, Bersani e Brunetta ci hanno regalato il fiscal compact. Nel 2017 l'Italia dirà no al suo inserimento nei trattati», ed ha aggiunto: «Al netto delle elezioni francesi, tedesche e olandesi, sarà l'anno in cui, in un senso o nell'altro, si metterà la parola fine alle discussioni sulle politiche europee. La politica dell’austerity è fallita». C’è da chiedersi se il Governo attualmente in carica, sostenuto dalla stessa maggioranza parlamentare del Governo pro tempore, darà un seguito concreto a tali affermazioni;
    il pareggio di bilancio strutturale dei nostri conti pubblici, calcolato al netto del ciclo e delle una tantum, era previsto in origine nel 2014, ma è slittato di anno in anno. Lo stesso calcolo dell’output gap (la differenza tra crescita effettiva e crescita potenziale) è una costruzione artificiosa, tant’è che esistono diverse metodologie di calcolo che danno risultati molto diversi: con i criteri della Commissione europea, si è in deficit, ma per i criteri Ocse si è in surplus, mentre per i criteri del Fondo monetario internazionale si è in pareggio;
    l'inserimento del Fiscal Compact nei Trattati europei avrebbe effetti moltiplicativi di queste politiche fallimentari, oltre ad alimentare un clima di distacco e sfiducia delle popolazioni europee verso l'Unione europea. Tale clima potrebbe contribuire a determinare una vera e propria disintegrazione dell'Unione europea e portare all'acuirsi del consenso a soggettività politiche che individuano in politiche nazionalistiche e di colpevolizzazione dei migranti le responsabilità della situazione venutasi a creare;
    il dogma dell'obbedienza cieca ai parametri del Fiscal compact è stato contraddetto anche dalla sentenza della Corte costituzionale italiana n.  275 dell'ottobre 2016, dove si indica – in estrema sintesi – che servizi primari incomprimibili per i cittadini non possono venir negati da vincoli di bilancio e che il corpus normativo costituzionale nazionale ha primazia sul rispetto dei trattati medesimi (anche se inserito in un singolo articolo della Carta costituzionale). Aspetto, quest'ultimo, già sentenziato dagli organi preposti dello Stato tedesco;
    l'8 marzo 2016 la Commissione europea ha presentato una prima stesura del «Pilastro europeo dei diritti sociali». Il 31 dicembre 2016 si è conclusa la consultazione europea che ha visto la partecipazione di istituzioni, parlamenti, sindacati e associazioni; ora si tratta di procedere alla stesura definitiva che dovrà avvenire entro il 2017;
    il «Pilastro europeo dei diritti sociali» rappresenta un obiettivo condivisibile se il risultato finale è quello di fissare principi essenziali da garantire in tutti i Paesi aderenti all'Unione europea. Nel «Pilastro europeo dei diritti sociali», si afferma tra gli altri, il diritto ad un reddito minimo; ma non viene posto in essere un vincolo giuridico per stabilire a livello europeo un reddito minimo, né tantomeno per gli altri diritti sociali in esso contenuti. Se la volontà è di andare in questa direzione, allora occorre definire questo diritto e renderlo effettivo per tutti gli Stati aderenti come misura fondamentale di lotta all'esclusione sociale;
    la politica macroeconomica dell'Unione europea richiede un approccio alternativo che, nel breve periodo, generi una dinamica di sviluppo capace di auto sostenersi, che assicuri la piena occupazione e, in una prospettiva di lungo periodo, una crescita equa e capace di correggere gli evidenti squilibri macroeconomici;
    è necessario ottenere innovazioni radicali dei trattati che regolano le relazioni intraeuropee, a partire dal Fiscal compact, in almeno sei distinte aree:
     a) il requisito di bilancio in pareggio deve essere sostituito da un requisito di bilanciamento dell'economia, che includa fra gli obiettivi livelli di occupazione alti e sostenibili. Merita ricordare che, nelle versioni consolidate del Trattato dell'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ricorrono pochissime volte espressioni che impegnino l'Unione a promuovere «un elevato livello di occupazione». Tale obiettivo non risulta attualmente un impegno dell'Unione, bensì appare come l'esito dell'economia sociale di mercato fortemente competitiva, di stampo neo-liberale, che purtroppo l'Unione e le sue istituzioni (Banca centrale europea in testa) hanno promosso. La modifica dei trattati dell'Unione europea nel senso indicato può segnare il ritorno allo spirito della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, che «pone la persona al centro della sua azione», ridisegnando la sua «costituzione economica», contro quella «costituzione finanziaria» che, acriticamente assunta, ha sottratto linfa allo spirito e alla lettera della Carta dei diritti fondamentali e alla costruzione del «popolo europeo»;
     b) in una prospettiva di lungo termine, le dimensioni del budget comunitario devono aumentare sostanzialmente, così da poter finanziare investimenti europei, insieme a beni e servizi pubblici e poter mettere in atto una politica fiscale anticiclica europea, a supporto delle politiche fiscali nazionali;
     c) piuttosto che concentrare l'attenzione solamente sulla crescita complessiva, dare priorità anche al superamento delle disuguaglianze regionali e intersettoriali;
     d) è necessaria una strategia europea per gli investimenti a lungo termine, finalizzata allo sviluppo europeo, nazionale e locale;
     e) politiche per la (re)industrializzazione dei Paesi periferici, che richiedono l'introduzione di specifiche misure protezionistiche. Le politiche anti-cicliche di breve periodo dovrebbero includere misure per la promozione di una ristrutturazione del tessuto produttivo esistente. Tutto ciò richiede, ovviamente, specifici interventi di messa in discussione dell'attuale regolamentazione europea e dell’acquis comunitario;
     f) l'odierna strategia deflazionistica di svalutazione competitiva deve essere rimpiazzata da una strategia di crescita dei salari che assicuri un'inflazione stabile e la partecipazione dei lavoratori alla crescita del reddito nazionale;
     g) vanno poste in atto misure incisive per combattere la concorrenza fiscale,

impegna il Governo:

1) ad intervenire con forza, in tutte le sedi europee, assumendo iniziative per una radicale riscrittura dei Trattati europei per ridurne le contraddizioni con i princìpi delle Costituzioni dei Paesi dell'Unione europea, nate dopo la II Guerra mondiale. In assenza di tale riscrittura, a rifiutare di inserire il Fiscal compact nei Trattati europei, opponendo il veto in sede europea;

2) a promuovere la rimozione delle disposizioni pro-cicliche (come quelle contenute nel Fiscal compact) e lo scorporo della spesa per investimenti dal calcolo del saldo strutturale dal momento che, senza investimenti pubblici, è impensabile che il Pil possa riprendere a crescere oltre lo zero virgola, e quindi permettere al Paese di creare da sé le risorse necessarie per finanziare il fabbisogno del settore pubblico e ridurne il debito;

3) a proporre la mutualizzazione dei rischi del Quantitative Easing e l'introduzione, a livello europeo, di politiche di bilancio di compensazione dei disallineamenti dei cicli economici dei vari Stati membri, esattamente come accadrebbe in una unione monetaria completata dall'unione politica (si veda l'esempio degli Stati Uniti d'America);

4) a proporre una conferenza europea sui debiti sovrani per affrontare le situazioni nazionali più critiche;

5) a proporre, in sede europea, che i titoli di Stato comprati dalle banche centrali nazionali nell'ambito del Quantitative Easing siano trasferiti nell'attivo di bilancio della Banca centrale europea e successivamente congelati a tempo indefinito, senza alcuna sterilizzazione;

6) ad assumere iniziative per reperire, in sede europea, le necessarie risorse finanziarie e, per garantire, specialmente nei Paesi più poveri, che i trasferimenti sociali ai rifugiati non siano a loro spese, e per realizzare diversi interventi di sostegno sia verso i richiedenti asilo, che verso le aree più sotto pressione dai flussi migratori considerato che entrambi gli obiettivi potrebbero essere perseguiti se l'Unione europea potesse incanalare in tale direzione almeno una parte della moneta creata attraverso il Quantitative Easing della Banca centrale europea;

7) a mettere in discussione l'aumento delle spese militari dell'Unione europea, respingendo le proposte di rafforzamento della capacità militare dell'Unione in risposta alla crisi, dato che il ricorso alla coercizione nazionale e internazionale non potrà risolvere i problemi socio-economici più di quanto non abbia fatto in passato;

8) a proporre l'utilizzazione, a livello europeo, di una quota del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie, unitamente all'emissione di eurobond e project bond, per finanziare e promuovere l'occupazione, in particolare quella giovanile, e la riconversione ecologica del sistema produttivo;

9) a proporre la ridefinizione del ruolo della Banca centrale europea come prestatrice di ultima istanza;

10) a proporre un programma europeo, una sorta di «social compact», per lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale, la lotta alle disuguaglianze ed alla povertà, da concordare con gli altri partner continentali, nel quale inserire, in particolare, un'indennità di disoccupazione europea;

11) a promuovere una modifica dei Trattati e del diritto dell'Unione europea nel senso di includere la lotta alla disoccupazione e la promozione di un'elevata occupazione tra gli obiettivi principali delle politiche dell'Unione, nonché ad assumere iniziative per integrare e a modificare lo Statuto del sistema europeo di Banche centrali (Sebc) e della Banca centrale europea (Bce), al fine di includere tra i princìpi generali per le operazioni di credito a banche dell'eurozona la condizione per cui un credito viene concesso soltanto se appare promuovere sicuramente l'occupazione netta nel Paese dell'ente richiedente;

12) ad assumere iniziative per fare sì che, in sede di Unione europea, la stesura finale del «Pilastro europeo dei diritti sociali»:
   a) sia approvata definitivamente entro giugno del 2017;
   b) si riferisca espressamente all'articolo 151, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ovvero alla armonizzazione verso l'alto, e che non si limiti alla sola necessità di una maggiore convergenza degli Stati, affermando che i principi sociali di riferimento siano da garantire in tutti Paesi aderenti all'Unione europea;

13) a sostenere, a livello nazionale, attraverso risorse adeguate, azioni, programmi ed iniziative di carattere normativo, il diritto ad un reddito minimo e tutti i diritti recati dal «Pilastro europeo dei diritti sociali»;

14) ad assumere le opportune iniziative normative al fine di cancellare le modifiche agli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione, apportate dalla legge costituzionale n.  1 del 2012, al fine di eliminare il principio dell’«equilibrio di bilancio» e di garantire la salvaguardia dei diritti fondamentali;

15) ad assumere le opportune iniziative anche al fine di modificare i meccanismi di cui alla cosiddetta «legge rinforzata», la legge 24 dicembre 2012, n.  243, con particolare riguardo alla definizione del saldo strutturale, alla cosiddetta «regola del debito» per quanto concerne i fattori rilevanti, alla cosiddetta «regola della spesa», alle modalità del monitoraggio da parte del Ministro dell'economia e delle finanze del livello della spesa, alla definizione di eventi eccezionali, alle norme concernenti gli enti territoriali, al ruolo dell'Ufficio parlamentare di bilancio che dovrà essere di supporto del ruolo democratico e sovrano del Parlamento.

(1-01589) «Marcon, Fratoianni, Civati, Airaudo, Brignone, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pastorino, Pellegrino, Placido».


   La Camera,
   premesso che:
    il 25 marzo 2017 si sono celebrati i sessanta anni dalla firma dei Trattati di Roma e dell'inizio di un percorso che sino a tempi recenti ha assicurato non solo pace, ma anche prosperità al continente europeo;
    il testo finale della «Dichiarazione di Roma», lungi dal definire un minimo comune denominatore europeo, al fine di ottenere la sottoscrizione di tutti e 27 gli Stati aderenti e di contenere la sottolineatura che l'Unione europea è «indivisa e indivisibile», non poteva che essere il risultato di compromessi e ambiguità tali che dalla sua interpretazione ognuno si potrà appellare a ciò che più convince, interessa e conviene;
    sul problema dei profughi e migranti si limita a indicare una generica politica «efficace, responsabile, sostenibile, rispettosa delle norme internazionali», senza nemmeno accennare ad una cooperazione europea per l'esercizio di filtri più efficaci, soprattutto sul versante mediterraneo;
    ancora più evanescente appare il paragrafo dedicato all'economia, che non indica alcuna priorità decisiva, se non l'affermazione che si vuole la crescita sostenibile, la coesione, la convergenza, tenuto conto della diversità dei sistemi nazionali, la lotta contro la disoccupazione e la discriminazione e l'esclusione sociale;
    il Consiglio dei capi di Stato e di governo dell'Unione, riuniti a Bruxelles il 9 e 10 marzo 2017 ha riproposto quanto, a Versailles, Germania, Francia, Italia e Spagna, il 7 marzo 2017, avevano annunciato: l'idea di un'Europa a più velocità, che, di fatto già da alcuni decenni è attuata grazie alle varie «cooperazioni rafforzate». Un'idea che difficilmente potrà rilanciare in modo efficace il progetto europeo;
    nessuna riflessione per un rilancio di un processo di «federalismo competitivo», in cui i vari Stati competono virtuosamente tra loro per trovare le soluzioni migliori; nessuna idea per un'Unione più moderna e più giusta o per una riflessione su un modello confederale o federale; nessun accenno allo storico deficit democratico delle istituzioni europee;
    il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria», più noto come «Fiscal Compact», all'articolo 16, stabilisce che, al più tardi entro cinque anni dalla data dalla sua entrata in vigore (1o gennaio 2013), «sulla base di una valutazione dell'esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea»;
    tra fine 2017 e inizio 2018, quindi gli Stati membri dovranno decidere che futuro riservare al Fiscal compact e come modificarlo, ricordando che, per l'inserimento nei trattati europei, è richiesta l'unanimità degli Stati membri;
    il Fiscal compact è stato firmato in occasione del Consiglio europeo del 1o-2 marzo 2012 da tutti gli Stati membri dell'Unione europea ad eccezione di Regno Unito e Repubblica ceca (che ha aderito nel 2014);
    il suddetto trattato, concordato al di fuori della cornice giuridica dei trattati europei, all'articolo 3, ha impegnato le Parti contraenti ad applicare e ad introdurre, entro un anno dalla sua entrata in vigore, con norme vincolanti e a carattere permanente, preferibilmente di tipo costituzionale, o di altro tipo purché ne garantiscano l'osservanza nella procedura di bilancio nazionale, diverse regole, in aggiunta a e senza pregiudizio per gli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europea:
     a) il bilancio dello Stato dovrà essere in pareggio o in attivo; tale regola si considera rispettata se il disavanzo strutturale dello Stato è pari all'obiettivo a medio termine specifico per Paese, con un deficit che non eccede lo 0,5 per cento del Pil;
     b) gli Stati contraenti potranno temporaneamente deviare dall'obiettivo a medio termine o dal percorso di aggiustamento solo nel caso di circostanze eccezionali, ovvero eventi inusuali che sfuggono al controllo dello Stato interessato e che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure in periodi di grave recessione, a patto che tale disavanzo non infici la sostenibilità di bilancio a medio termine;
     c) qualora il rapporto debito pubblico/Pil risulti significativamente al di sotto della soglia del 60 per cento, e qualora i rischi per la sostenibilità a medio termine delle finanze pubbliche siano bassi, il valore di riferimento del deficit può essere superiore allo 0,5 per cento, ma in ogni caso non può eccedere il limite dell'1 per cento del Pil;
     d) qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la misura del 60 per cento, le parti contraenti si impegnano a ridurlo mediamente di 1/20 all'anno per la parte eccedente tale misura. Il ritmo di riduzione, tuttavia, dovrà tener conto di alcuni fattori rilevanti, quali la sostenibilità dei sistemi pensionistici e il livello di indebitamento del settore privato;
    il Parlamento italiano, oltre a ridisegnare la propria disciplina contabile ordinaria, con la legge costituzionale 12 aprile 2012, n. 1, ha introdotto nella Costituzione il pareggio di bilancio, modificando gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione;
    già nel gennaio 2014 la Camera dei deputati, approvando tre diversi atti di indirizzo ha evidenziato l'opportunità ed ha impegnato il Governo ad agire in sede europea per un riesame dei meccanismi posti a presidio delle regole della governance economica al fine dell'introduzione di una maggiore flessibilità degli obiettivi di bilancio a medio termine. Con lo scopo di liberare risorse da destinare alle politiche di sviluppo e crescita;
    in vista della scadenza del dicembre 2017, nell'ambito dell'Unione europea, sta operando un gruppo di lavoro sulla revisione del Fiscal compact, che starebbe seguendo l'idea di rendere il Fiscal compact più flessibile, incorporandolo, contestualmente, nel Trattato di Maastricht;
    la necessità di dover «ratificare» il Fiscal compact nei Trattati europei può costituire un'opportunità unica per inserire la norma di buon senso volta a scorporare gli investimenti che creano valore. Inoltre, è un'occasione sia per rivedere i parametri di Maastricht, che non hanno retto alla prova di circa un quarto di secolo di esperienza, sia per ripensare le basi stesse dell'unione monetaria – senza per questo percorrere la via del ritorno alle monete nazionali – a cominciare dall'esistenza di una moneta senza un bilancio comune e una condivisione dei rischi. Una tale riflessione diventa ancora più importante per l'Italia, anche in prospettiva di un probabile prossimo ridimensionamento del Quantitative easing da parte della Bce;
    il Trattato di Maastricht venne firmato nella convinzione che si sarebbe presto giunti a una piena integrazione politico-statuale europea; invece, venne creata una valuta priva di Stato e furono trasferite alle istituzioni comunitarie le politiche monetarie e la garanzia del mercato unico,

impegna il Governo:

1) nell'ambito di una revisione del Fiscal Compact, a promuovere una rinegoziazione complessiva di tutti gli altri trattati dell'Unione europea vigenti, nessuno escluso;
2) ad assumere iniziative per fare dell'Italia la promotrice e la protagonista, con le opportune alleanze, di un processo di rinegoziazione globale nell'Unione europea, nella direzione della flessibilità, del riconoscimento delle diversità territoriali, del rifiuto di soluzioni uniche – specialmente fiscali e di bilancio – imposte indiscriminatamente all'intera Unione;
3) sul piano interno, a perseguire una politica di consistente riduzione di tasse-spesa-debito, visto che non è infatti in discussione il principio astratto del pareggio di bilancio, ma il livello concreto di tassazione e di spesa pubblica al quale questo pareggio viene conseguito.
(1-01600) «Capezzone, Palese, Altieri, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    nel preambolo alla carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che a partire dal Trattato di Lisbona è stata equiparata come valenza ai trattati istitutivi dell'Unione europea si legge: «l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l'Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. [...]. L'Unione contribuisce al mantenimento e allo sviluppo di questi valori comuni, nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei, dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa cerca di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali nonché la libertà di stabilimento»;
    gli articoli 99 e 104 del Trattato di Roma istitutivo della Comunità economica europea (così come modificato con il Trattato di Maastricht e dal Trattato di Lisbona) trovano attuazione attraverso il rafforzamento delle politiche di vigilanza sui deficit ed i debiti pubblici, nonché con un particolare tipo di procedura di infrazione;
    la procedura per deficit eccessivo (pde), che ne costituisce il principale strumento, è stata implementata dal Patto di stabilità e crescita (psc). Stipulato nel 1997, il Patto di stabilità e crescita ha rafforzato le disposizioni sulla disciplina fiscale nell'unione economica e monetaria, di cui agli articoli 99 e 104 del suddetto trattato di Roma, ed è entrato in vigore con l'adozione dell'euro, il 1o gennaio 1999;
    in base al Patto di stabilità e crescita, gli Stati membri devono continuare a rispettare nel tempo i parametri di deficit pubblico (3 per cento) e di debito pubblico (60 per cento del prodotto interno lordo);
    da più parti si è sottolineata l'eccessiva rigidità del patto, perché questa, se non applicata considerando l'intero ciclo economico, genera rischi involutivi derivanti dalla contrazione della politica degli investimenti;
    l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha in diversi studi fatto presente come il prodotto interno lordo non sia un indicatore esaustivo per parametrare il benessere di un Paese e dei suoi cittadini, e che bisogna tener conto anche di altri indicatori, come la qualità e il costo delle abitazioni, salari, sicurezza dell'impiego e disoccupazione, l'educazione, la coesione sociale, la qualità dell'ambiente, la salute, la sicurezza e altri;
    la politica economica europea nel suo complesso non è riuscita a risolvere gli enormi squilibri tra i Paesi dell'Unione europea, in particolare i problemi di decadimento sociale e di mancati livelli minimi di benessere dei cittadini, accentuati dalla crisi sopraggiunta a partire dal 2007;
    le misure di austerità adottate in Italia, e non solo, non hanno prodotto gli effetti positivi sperati, anzi hanno acuito effetti ciclici negativi;
    le misure di austerità avevano come scopo di diminuire la spesa pubblica e miravano a equilibrare il bilancio, con l'ovvia conseguenza di ridurre ulteriormente la spesa nazionale senza risultati notevoli in termini di crescita, recupero, nonché in termini di riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo;
    tali politiche di austerità hanno prodotto come risultato una riduzione della domanda aggregata e, direttamente e indirettamente, hanno indebolito il potere d'acquisto dei lavoratori (ad esempio, riducendo la spesa per i servizi pubblici, sanità e istruzione);
    le cattive performance dell'Italia, stando ai dati, sono da ricercarsi nelle cattive politiche legislative e, in particolare, relative alla non tutela dei posti di lavoro;
    oltre a essere dannose, le politiche di austerity sono anche tarate su vincoli oramai anacronistici. Il numero «3» del famoso vincolo del 3 per cento deficit/Prodotto interno lordo deriva da una mera espressione algebrica e serviva a stabilizzare il rapporto debito/Prodotto interno lordo al valore medio (60 per cento) dei primi Paesi che, negli anni ’90, sono entrati nell'Unione monetaria europea, tutto ciò a condizione che il Prodotto interno lordo reale crescesse, in media, attorno al 3 per cento annuo. Tale obiettivo (60 per cento rapporto debito/Prodotto interno lordo) e tale ipotesi (3 per cento crescita annua Prodotto interno lordo) si sono rivelati nei trascorsi 20 anni, secondo i presentatori del presente atto, palesemente irrealistici;
    tale parametro non era nato da considerazioni di tipo politico, e a maggior ragione non lo è dopo 20 anni dal suo primo utilizzo, ma è stato riutilizzato acriticamente e sistematicamente senza nessuna correlazione coi Paesi a cui si riferisce;
    oltre all'anacronismo della misura di austerity, va tenuto presente che da ricerche effettuate sia dal Fondo monetario internazionale, che in ambito accademico, emerge che, in periodo di crisi finanziaria, i moltiplicatori assumono valori molto più alti. Da ciò si desume che è proprio nei momenti di crisi che l'investimento genera i maggiori benefici;
    essendo oramai chiaro che tali vincoli sono troppo penalizzanti per la nostra economia, appare evidente che la miglior strategia da adottare per superare lo stallo in cui è precipitato il nostro Paese e rilanciarne la crescita economica, è quella di superare tali vincoli;
    servirebbero politiche, sia a livello nazionale che europeo, coerenti con un sano sviluppo delle economie europee, tendenti quindi a migliorare il benessere dei cittadini, con policy atte a aumentare gli investimenti, nonché l'occupazione e la stabilità del salario, sia con politiche di sostegno al reddito, che eliminando qualsivoglia politica di precarizzazione del mercato del lavoro,

impegna il Governo:

1) a intervenire nelle sedi europee rifiutando in modo perentorio l'inserimento del Fiscal compact nei Trattati europei, e quindi opponendo il veto dell'Italia;

2) a intervenire nelle sedi europee assumendo iniziative volte a modificare i trattati europei per promuovere il ritorno ad una Unione europea dei popoli, realmente dedita alla creazione e allo sviluppo di un'unione ove si concretizzino i valori fondamentali comuni codificati nelle Costituzioni degli Stati nella parte in cui promuovono la solidarietà tra i popoli;

3) ad assumere iniziative per rimuovere le deleterie disposizioni di austerity inserite con legge costituzionale n. 1 del 2012;

4) a intervenire nelle sedi europee, in attesa di una coerente rivisitazione dei trattati, per promuovere una interpretazione estensiva dei trattati esistenti in modo da contrastare le attuali interpretazioni promotrici di politiche di austerità e passare a interpretazioni foriere di espansione economica;

5) a intervenire, anche nelle sedi europee, per rilanciare il principio di una gestione autonoma del debito da parte degli Stati, basata non più su politiche di austerity, ma di riduzione progressiva del debito, attraverso la crescita economica;

6) a programmare una politica di crescita basata su obiettivi chiari e ben definiti e sulla promozione dell'innovazione nei settori chiave come quello dell'energia pulita;

7) ad assumere iniziative per scorporare dal computo dell'indebitamento netto gli investimenti pubblici relativi a finanziamenti per opere innovative, per la ricerca, per la salute, il benessere dei cittadini, la coesione sociale, l'occupazione e la sicurezza dell'impiego e per gli obiettivi di missione intrapresi dai Paesi per il loro rilancio economico;

8) a intervenire in sede europea per una armonizzazione interna dei montanti di surplus/deficit tra i vari Paesi dell'Unione europea;

9) a non considerare in alcun caso come vincolante l'obiettivo di mantenere al 3 per cento il rapporto deficit/Prodotto interno lordo;

10) a considerare come vincolanti gli indicatori di benessere equo  e sostenibile recentemente individuati nel documento di economia e finanza, rendendoli programmatici;

11) a promuovere misure adeguate di sostegno al reddito e di inclusione sociale, di entità non inferiore a quelle già adottate dagli altri Paesi europei, considerando anche le proposte di legge depositate in Parlamento su tali temi.
(1-01601) «Caso, Cariello, Brugnerotto, Castelli, D'Incà, Sorial, Cecconi».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    nel suo programma legislativo per il 2017, la Commissione europea, illustrando le misure cui dar corso per assicurare «un'Unione economica e monetaria più profonda e più equa», sottolinea come il Libro bianco sul futuro dell'Europa, che dovrà indicare le tappe per riformare l'Unione europea a 27 Stati membri sessant'anni dopo i Trattati di Roma, comprenderà un ampio capitolo sul futuro dell'Unione economica monetaria, nel quale saranno incluse una revisione del patto di stabilità e crescita incentrata sulla stabilità e misure per conformarsi all'articolo 16 del Fiscal Compact ossia per integrarne il contenuto nel quadro giuridico dell'Unione europea;
    firmato in occasione del Consiglio europeo dell'1 e 2 marzo 2012 da tutti gli Stati membri dell'Unione europea a eccezione del Regno Unito e della Repubblica ceca, il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria (cosiddetto Fiscal Compact) incorpora e integra in una cornice unitaria alcune delle regole di finanza pubblica e delle procedure per il coordinamento delle politiche economiche, in buona parte già introdotte o in via di introduzione nel quadro della governance economica europea. Tra gli elementi principali ivi contenuti meritano di essere richiamati:
     a) l'impegno delle parti contraenti ad applicare e introdurre, entro un anno dall'entrata in vigore del trattato, con norme costituzionali o di rango equivalente, la «regola aurea» in base alla quale il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo. Sotto tale profilo si evidenzia che in Italia, il 17 aprile 2012, è stata approvata la legge costituzionale n. 1 del 2012, volta a introdurre in Costituzione il principio del pareggio di bilancio, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. Con successiva legge «rinforzata» n. 243 del 2012, approvata a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera ai sensi del nuovo comma 6 dell'articolo 81 della Costituzione, sono state dettate le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni;
     b) l'impegno delle parti contraenti, qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la misura del 60 per cento, a ridurlo mediamente di 1/20 l'anno per la parte eccedente tale misura;
     c) la possibilità, per qualsiasi parte contraente che consideri un'altra parte contraente inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti dal patto di bilancio, di adire la Corte di giustizia dell'Unione europea, anche in assenza di un rapporto di valutazione della Commissione europea;
     d) la potestà, per le parti contraenti, di fare ricorso a cooperazioni rafforzate nei settori essenziali per il buon funzionamento dell'eurozona, senza tuttavia recare pregiudizio al mercato interno;
     e) l'istituzione di «vertici euro» informali dei Capi di Stato e di governo delle parti contraenti la cui moneta è l'euro, insieme con il Presidente della Commissione europea;
    come noto, il Fiscal Compact è entrato in vigore il 1o gennaio 2013, dopo essere stato ratificato – come previsto dall'articolo 14 del medesimo trattato – da dodici Paesi dell'Eurozona (Austria, Cipro, Germania, Estonia, Spagna, Francia, Grecia, Italia, Irlanda, Finlandia, Portogallo, Slovenia), oltre che da quattro Paesi non aderenti alla zona euro (Lettonia, Lituania, Romania e Danimarca). Il nostro Paese ha ratificato il Fiscal Compact con la legge n. 114 del 23 luglio 2012. Ultimo Paese a ratificare è stato il Belgio, in data 21 marzo 2014;
    per quanto concerne il livello cui i singoli Stati membri hanno dato seguito agli impegni assunti, firmando e ratificando il Fiscal Compact, uno studio del Servizio Studi e Ricerche del Parlamento europeo (ERPS), pubblicato nel mese di giugno del 2016 (Fiscal Compact Treaty: Scorecard for 2015), evidenziava, a tre anni dall'entrata in vigore, un quadro contrastato;
    gli sforzi per rispettare i termini del Fiscal Compact – incluse le norme volte a rafforzare la disciplina di bilancio – hanno registrato forti variazioni tra uno Stato membro e l'altro. Alcuni Paesi sono riusciti a ridurre significativamente il deficit pubblico, mantenendo una posizione di bilancio solida, in linea con i requisiti del Fiscal Compact. Altri Paesi sono riusciti a tagliare il debito pubblico con la cadenza prevista dal trattato, ma altri ancora hanno realizzato progressi decisamente più limitati. Ciò ha indotto numerosi studiosi ed economisti ad affermare che il Fiscal Compact è stato «inefficace», facendo riferimento, per esempio, ai bilanci di Francia e Italia nel 2015, che risultavano entrambi palesemente disallineati rispetto al Fiscal Compact, oltre a violare gli impegni precedentemente assunti in materia di riduzione deficit. Lo studio del Parlamento europeo si sofferma sulle posizioni espresse dal Fmi e dalla Bce, che hanno entrambi sottolineato come il rispetto del quadro fiscale dell'Unione europea «sia rimasto debole», nonostante gli sforzi per rafforzare l'efficacia delle politiche economiche e il loro coordinamento. Parallelamente, la Corte dei conti europea, in un suo rapporto, ha evidenziato la crescente complessità del quadro di governance dell'economia, che rischia inevitabilmente di comprometterne l'efficacia;
    ormai si discute da anni, sia a livello parlamentare sia extraparlamentare, della necessità di porre con forza il tema della revisione del Fiscal Compact relativamente ai parametri e ai vincoli legati alla riduzione del debito, del rapporto deficit-Pil e della distinzione netta, nell'ambito del patto di stabilità, delle risorse di parte corrente da quelle in conto capitale per gli investimenti;
    già nel gennaio 2014 l'Assemblea della Camera dei deputati approvava tre mozioni, firmate sia da parlamentari di maggioranza che di opposizione e sulle quali il Governo aveva espresso parere favorevole, con cui si evidenziava l'opportunità, e si impegnava in tal senso l'Esecutivo, di agire in sede europea per un riesame degli attuali meccanismi posti a presidio delle regole della governance economica al fine dell'introduzione di una maggiore flessibilità degli obiettivi di bilancio a medio termine al fine di liberare risorse da destinare alle politiche di sviluppo economico e alla crescita;
    ciononostante, al netto degli sforzi profusi dal Governo in sede europea, sino ad oggi, purtroppo, è stato perpetuato un approccio estremamente miope e rigido nella gestione della politica di bilancio e dell'integrazione europea perché si è continuato a governare secondo principi di austerità impraticabili che hanno solo aggravato crisi e recessioni, con l'interdizione di ogni forma di eurobond garantiti pro quota dagli Stati nazionali ed una contraddizione evidente fra politica fiscale restrittiva e politica ultraespansiva della Bce che avrebbe dovuto compensarne gli effetti con la sola leva monetaria;
    a ciò si aggiungono i risultati modestissimi del cosiddetto «Piano Junker», l'arretramento degli investimenti pubblici e del loro potenziale traino agli investimenti privati, gli altissimi livelli di disoccupazione soprattutto giovanile e, infine, il dilagare di una gravissima sofferenza sociale e povertà diffusa;
    in tale contesto, appare quanto mai urgente che il Governo assuma una posizione forte, puntando innanzitutto all'eliminazione di quei paletti rigidi che oggi bloccano la crescita e gli investimenti pubblici in infrastrutture e trasporti, ricerca, innovazione, formazione, politiche per il lavoro e green economy;
    come si ricorderà anche l'ex Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, nel corso di un comizio svoltosi in data 29 ottobre 2016 in Piazza del Popolo a Roma, aveva dichiarato: «Noi diciamo che siccome nel 2017 casualmente a Roma si riuniranno i capi di governo e in UE arriva a scadenza il tema del Fiscal Compact, noi non accetteremo di inserirlo nei trattati UE» e il riferimento al citato articolo 16 del Fiscal Compact appariva chiaro in quanto esso prevede che «al più tardi entro 5 anni (ovverosia entro l'anno 2017), dalla data di entrata in vigore del presente trattato (1o gennaio 2013), sulla base di una valutazione dell'esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea»;
    del resto, appare a tutti chiara la necessità di avviare un confronto critico teso ad una revisione profonda del Fiscal Compact e delle regole europee del bilancio. Il criterio con cui affrontare questo lavoro è noto e dovrebbe essere quello, come più volte auspicato, dell'eliminazione dai vincoli di bilancio di tutte le spese pubbliche definite, con estrema cura e precisione, di investimento, secondo regole e monitoraggi costruiti in modo rigoroso a livello comunitario e applicati da organismi comunitari del tutto indipendenti dai governi e dagli apparati nazionali. Per questa quota di investimenti nazionali riconosciuti come spese di investimento dovrebbe, inoltre, risultare agevole costruire forme di copertura comunitaria a debito e/o forme di garanzia diretta e indiretta del bilancio comunitario, a cui occorrerebbe garantire uno zoccolo fiscale europeo più significativo;
    una strada per trovare una soluzione c’è ed è possibile ed il Governo ha l'opportunità e la possibilità di chiedere e ottenere una modifica del Fiscal Compact che vada nella direzione di una golden rule relativa a spese di investimento, anche nazionali, concordate con e controllate dalla Commissione europea al fine di evitare abusi e usi impropri;
    solo in questo modo l'Italia e l'Europa potranno tornare a crescere e ristabilire un clima di consenso presso le loro popolazioni;
    l'avvento di Trump e ancor prima la Brexit, il ritorno di politiche protezionistiche e di scenari geopolitici che si sperava definitivamente chiusi negli archivi del passato, non lasciano dubbi circa l'assoluta necessità di una svolta europea in questo senso. I lavoratori, i loro diritti, le tutele, il welfare subirebbero effetti devastanti da un improvviso ritorno alle monete nazionali, alle barriere doganali e valutarie, alle svalutazioni competitive, all'inflazione galoppante e un debito pubblico sempre più alto;
    per il nostro Paese la situazione appare molto delicata per diversi fattori che sono sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi mesi, lo spread è cresciuto di circa 80 punti base; la crescita rimane stentata, e la performance dell'Italia continua ad occupare l'ultimo posto tra i principali Paesi europei; la Commissione europea ha chiesto una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro; a fine anno, o forse anche prima, verrà meno il Quantitative Easing della Bce, e quindi i tassi di interesse saliranno con effetti preoccupanti sui nostri conti; con la manovra del prossimo anno dovremo, inoltre, compensare le clausole di salvaguardia di poco meno di 20 miliardi di euro;
    occorre dunque una nuova strategia da declinare a livello europeo che oltre a mettere in sicurezza dei conti, punti a indirizzare tutte le risorse disponibili ad un massiccio programma di spese per investimenti (almeno mezzo punto di Pil l'anno per tre anni), spese che negli ultimi 10 anni sono state ridotte di oltre 10 miliardi di euro,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi, costruendo le opportune alleanze, affinché il Fiscal Compact sia modificato nella direzione di una golden rule sugli investimenti anche nazionali da esercitare almeno entro il limite del 3 per cento oppure, in caso contrario, a contrastare l'inserimento del Fiscal Compact nei Trattati europei;
2) a intraprendere ogni iniziativa di competenza presso le sedi europee volta a modificare le regole sulla misurazione del pareggio strutturale, attraverso un metodo di calcolo condiviso fra la Commissione europea, il Fmi e l'Ocse, e, in particolare, a riconsiderare quelli che per i presentatori del presente atto sono parametri astrusi e particolarmente penalizzanti per l'Italia, quali l’Output Gap e il NAWRU, in base ai quali per il nostro Paese è considerato di «equilibrio», rispetto a possibili tensioni inflazionistiche, un livello di disoccupazione oltre il 10 per cento ancora per i prossimi anni, con la conseguenza di comprimere la possibilità di adottare politiche espansive e anti-cicliche, adoperandosi affinché siano rivisti i criteri in base ai quali la Commissione calcola i disavanzi strutturali: in particolare, proponendo di rivedere il sistema di calcolo insieme a Fmi e Ocse in modo da avere valutazioni condivise a livello internazionale;
3) ad adottare iniziative presso le competenti sedi europee affinché la Germania ridimensioni il proprio surplus commerciale entro il limite indicato dai Trattati in vigore.
(1-01602) «Melilla, Albini, Capodicasa, Laforgia, D'Attorre, Scotto, Speranza, Zoggia, Bersani, Ragosta, Epifani, Roberta Agostini, Franco Bordo, Bossa, Cimbro, Duranti, Fava, Ferrara, Folino, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Leva, Martelli, Matarrelli, Mognato, Murer, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ricciatti, Rostan, Sannicandro, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    all'origine, il fiscal compact avrebbe dovuto essere un atto europeo – si pensava a un regolamento – per «compattare» (copyright Mario Draghi) in un testo unico tutte le normative che erano state adottate nel periodo della grande crisi dell'eurozona (Six Pack, Two Pack);
    per il Regno Unito un regolamento avrebbe avuto un'influenza eccessiva anche per i Paesi non euro, limitando, per esempio, la libertà di circolazione dei servizi finanziari, e si oppose;
    per superare questa impasse si usò la formula dell'accordo internazionale, la stessa utilizzata in precedenza anche per Schengen, e fu inserito l'articolo 16, per cui a 5 anni data dalla firma (quindi nel 2017) si sarebbe valutata la possibilità di recepire l'accordo internazionale nell'ambito dei Trattati europei (come è effettivamente accaduto, in altra sede e con altri tempi, per Schengen);
    l'appuntamento dei 5 anni non è una scadenza, non è un rinnovo, non è neanche un tagliando/controllo. Al massimo, quello che un Paese può fare è, come per ogni accordo internazionale, ritirare la firma e uscire dal fiscal compact. Resta comunque, come Stato dell'Unione europea vincolato a tutte le regole del Six Pack e del Two Pack, che rimangono in vigore;
    l'unico vincolo di cui ci si libererebbe sarebbe l'equilibrio di bilancio, se non fosse che lo si è inserito nella Costituzione. Quindi si sarebbe tenuti a rispettarlo comunque, salvo nuove modifiche costituzionali;
    l'uscita da fiscal compact preclude la possibilità di ricorso, qualora ve ne fosse bisogno, alle risorse del fondo Salva-Stati;
    piuttosto, è necessario cancellare l’«imbroglio» del dopo Maastricht, e tornare al suo spirito originario con la sospensione delle norme che ne hanno modificato l'impianto iniziale;
    tornare a Maastricht significa recuperare la lezione di Guido Carli. Fu su proposta dell'allora Ministro del tesoro, infatti, che nel testo fu inserita una clausola che, con riferimento ai parametri fissati, consentiva agli Stati «di tenere conto della tendenza ad avvicinarsi al valore di riferimento e di eventuali cause eccezionali o temporanee di scostamento da quei parametri»;
    il patto di stabilità del 1997 (e le modifiche successive) ha cambiato, tra l'altro con modalità di dubbia legittimità, proprio questo punto fondamentale del Trattato, inviso ovviamente ai tedeschi, in quanto contrario alla loro dottrina calvinista e alla loro ossessione nei confronti dell'inflazione;
    così facendo, è stato dato un segnale alla speculazione e ai mercati, che si sono scatenati a scommettere sulla prevedibilità del non rispetto di quei «paletti», considerati troppo rigidi e per questo irrealizzabili. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, soprattutto negli ultimi anni;
    è ora di tornare all'Europa vera, solidale, illuminata, lungimirante, della crescita, vincendo così anche i populismi e gli estremisti. «Sì» alla genialità di Maastricht, ma basta agli egemonismi e ai «ricatti» tedeschi;
    solo così l'Italia e l'Europa tornerebbero più forti, in grado di affrontare le sfide e le difficoltà più grandi. Abbiamo le idee e gli strumenti per ridisegnare il futuro. O ne saremo travolti;
    il trattato di Maastricht fu firmato il 7 febbraio 1992, ma il passaggio clou di tutte le negoziazioni fu l'Ecofin (riunione dei ministri economici e finanziari) del 21 settembre 1991;
    grazie alla clausola citata, inserita su proposta italiana, gli Stati che non rispettavano i «paletti» di Maastricht non erano costretti a realizzarli attraverso un piano di rientro a tappe forzate che avrebbe richiesto misure di politica economica restrittive, bensì adottando politiche virtuose che comportassero miglioramenti progressivi. Vale a dire senza stress eccessivo, e controproducente, bensì impegnandosi a sforzi graduali e compatibili con lo stato dell'economia e del tessuto sociale e produttivo del Paese, senza costringerlo a imprese impossibili;
    viene, cioè, fissato l'obiettivo, ma il suo conseguimento è affidato alle politiche che ciascun Governo adotta autonomamente, tenendo conto delle specificità e delle concrete condizioni della propria economia. Per cui il grado di conseguimento dell'obiettivo varia da Paese a Paese e di anno in anno. «I criteri di convergenza economica rispetto a debito, deficit, inflazione e tassi di interesse da inserire nel Trattato non devono essere applicati in maniera meccanica e occorre lasciare la possibilità di sviluppare un'attenta valutazione politica», annunciò in conferenza stampa, soddisfatto, Guido Carli;
    i parametri, dunque, furono fissati, ma con una dose di flessibilità. Il deficit, per esempio, doveva essere minore o uguale al 3 per cento del prodotto interno lordo, certo, ma andava comunque tutto bene anche se i singoli Stati dimostravano che il rapporto diminuiva in modo sostanziale e continuo nel tempo, raggiungendo livelli sempre più vicini al valore di riferimento. Allo stesso modo, il debito non doveva superare il 60 per cento del prodotto interno lordo, a meno che il Paese non dimostrasse di essere in grado di ridurre quel rapporto in misura sufficiente, avvicinandosi al valore di riferimento con un ritmo adeguato;
    pochi anni dopo, nel 1997, il trattato di Maastricht è stato modificato proprio in questo punto fondamentale. Ma non attraverso un nuovo Trattato, che avrebbe comportato la ratifica dei parlamenti nazionali o un referendum popolare, come era già avvenuto per Maastricht; bensì attraverso dei regolamenti, che non necessitano di alcun via libera popolare, diretto o indiretto per via parlamentare;
    con il patto di stabilità, quindi, dei regolamenti sono stati elevati al rango di Trattati, allorquando essi possono solo disciplinare l'applicazione delle disposizioni previste dai trattati, senza mai entrare, però, in contraddizione con questi ultimi;
    i regolamenti in questione, che costituiscono il patto di stabilità, sono il n. 1466/97 e il n. 1467/97, del 17 giugno 1997, entrati in vigore a marzo 1998. Con un colpo di mano, introducono quel principio di rigidità che Guido Carli era riuscito a evitare. Pertanto il rispetto dei vincoli di bilancio diventa forzato e indipendente dai governi e dalle politiche che essi intendono implementare, nonché incurante delle fasi di congiuntura economica sfavorevole;
    inoltre, vengono inseriti meccanismi di sorveglianza e sanzionatori che, oltre a far venire meno la filosofa portante del trattato di Maastricht, tolgono di fatto agli Stati membri la piena autonomia nelle scelte di politica economica. Si realizza così, con strumenti giuridicamente inadeguati (si ripete: due regolamenti e non un trattato), il primo vero «scippo» di sovranità degli Stati nazionali da parte dell'Europa. Anzi, per essere precisi, di Germania e Francia. Il tutto senza alcun dibattito politico-parlamentare. D'altronde, i regolamenti non lo richiedevano. Tattica perfetta dell'asse franco-tedesco;
    il patto di stabilità resta in vigore fino al 6 dicembre 2011, e pochi giorni dopo, il 13 dicembre 2011, ne entra in vigore uno nuovo e rinforzato. Le misure in esso contenute, denominate six pack, sono scritte in 5 regolamenti e una direttiva approvate dal Parlamento europeo a novembre 2011. Stessi principi dei due precedenti regolamenti, stessi meccanismi di sorveglianza e sanzionatori;
    anche in questo caso (Consiglio europeo del 17 giugno 2010), qualcuno fece inserire una clausola di flessibilità, sulla linea di quanto fatto in passato da Guido Carli: l'allora Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, che insistette a lungo affinché nel percorso di avvicinamento agli obiettivi di bilancio si tenesse conto dei cosiddetti «fattori rilevanti», vale a dire delle specificità delle economie dei singoli Paesi, e del ciclo economico;
    in particolare, la proposta di Berlusconi era incentrata sulla previsione di «attribuire importanza maggiore ai livelli, all'andamento e alla sostenibilità globale dell'indebitamento degli Stati» e che, pertanto, nel calcolo del rapporto debito/prodotto interno lordo si comprendesse, al nominatore, oltre al debito pubblico, anche quello di famiglie e imprese;
    prendendo in considerazione l'indebitamento aggregato, infatti, l'Italia è seconda solo alla Germania. E rivedendo in tal senso i parametri del six pack, sarebbe chiamata a uno sforzo di riduzione del debito pubblico ridotto almeno alla metà rispetto alle manovre del 3 per cento annuo del prodotto interno lordo per 20 anni previste dalle regole attuali e che oggi strozzano il nostro Paese;
    è nato così il fiscal compact, approvato dai capi di Stato e di governo a Bruxelles il 2 marzo 2012, e ratificato in Italia il 19 luglio 2012. Nonostante esso rechi «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'unione economica e monetaria», neanche il fiscal compact ha il rango di trattato in grado di modificare Maastricht, in quanto non è stato adottato all'unanimità, visto che è mancato il voto dell'Inghilterra. Per questo oggi, a cinque anni di distanza, ci si trova a valutare, come previsto dall'articolo 16 dello stesso, la possibilità di recepire l'accordo internazionale nell'ambito dei Trattati europei,

impegna il Governo

1) ad intervenire in tutte le sedi europee, assumendo ogni opportuna iniziativa volta al ritorno all'impianto originale del trattato di Maastricht e alla sospensione di tutte le modifiche intervenute successivamente, in primis il fiscal compact, attraverso strumenti legislativi inadeguati e, per alcuni versi, di dubbia legittimità, che hanno squilibrato il sistema europeo.
(1-01604) «Brunetta».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).