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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 18 maggio 2016

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 18 maggio 2016.

  Aiello, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Berlinghieri, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Caparini, Capelli, Carnevali, Casero, Castiglione, Catania, Centemero, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Incerti, Kronbichler, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Moretto, Nicoletti, Orlando, Palazzotto, Pes, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Quartapelle Procopio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rondini, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scopelliti, Scotto, Sereni, Tabacci, Velo, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta)

  Aiello, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Berlinghieri, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Caparini, Capelli, Carnevali, Casero, Castiglione, Catania, Centemero, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Lorenzo Guerini, Guerra, Incerti, Kronbichler, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Moretto, Nicoletti, Orlando, Palazzotto, Pes, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Quartapelle Procopio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rondini, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scopelliti, Scotto, Sereni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 17 maggio 2016 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   BONACCORSI e SBROLLINI: «Modifiche al decreto legislativo 9 gennaio 2008, n. 9, in materia di titolarità e commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi» (3834);
   MELILLA ed altri: «Modifica all'articolo 5 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, in materia di sequestrabilità e pignorabilità dell'indennità mensile e della diaria spettanti ai membri del Parlamento» (3835);
   MINARDO: «Modifica all'articolo 8 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, concernente il potenziamento del servizio di guardia medica» (3836);
   MINNUCCI: «Istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime della strada» (3837).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge TULLO ed altri: «Modifiche al codice della navigazione in materia di responsabilità dei piloti dei porti» (2721) è stata successivamente sottoscritta dalla deputata Carloni.

Modifica del titolo di proposte di legge.

  La proposta di legge n. 3664, d'iniziativa dei deputati ZOLEZZI ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Disposizioni per il censimento dei materiali contenenti amianto, la bonifica progressiva e lo smaltimento sostenibile dei suddetti materiali nei luoghi pubblici e privati, per l'eguaglianza nell'accesso ai benefìci previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto, per l'istituzione del registro economico dell'amianto nonché per il recepimento della direttiva 2009/148/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con l'esposizione all'amianto durante il lavoro».

Ritiro di proposte di legge.

  In data 17 maggio 2016 la deputata Giacobbe ha comunicato, anche a nome degli altri firmatari, di ritirare la seguente proposta di legge:
   GIACOBBE ed altri: «Modifiche alla legge 2 febbraio 1990, n. 17, concernenti l'ordinamento professionale dei periti industriali» (3697).

  La proposta di legge sarà pertanto cancellata dall'ordine del giorno.

Assegnazione di un progetto di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, il seguente progetto di legge è assegnato, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   Commissioni riunite III (Affari esteri) e VII (Cultura):
  FEDI ed altri: «Interventi di formazione linguistica e culturale, di formazione continua e di sostegno all'integrazione in favore dei cittadini italiani e dei loro congiunti e discendenti residenti all'estero, nonché per la promozione e la diffusione della lingua italiana nel mondo. Riforma delle istituzioni scolastiche italiane all'estero» (2041) Parere delle Commissioni I, V, XI e XIV.

Assegnazione di una proposta di inchiesta parlamentare a Commissione in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, la seguente proposta di inchiesta parlamentare è assegnata, in sede referente, alla sottoindicata Commissione permanente:
   VII Commissione (Cultura):
  CRISTIAN IANNUZZI: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'attività, la gestione e il funzionamento della Società italiana degli autori ed editori» (Doc. XXII, n. 63) – Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni) e V.

Trasmissione dal Ministro dell'economia e delle finanze.

  Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 13 maggio 2016, ha trasmesso, la relazione prevista dall'articolo 43, comma 5-quater, quarto periodo, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, in ordine al decreto ministeriale recante adozione di un'integrazione della nota metodologica relativa alla procedura di calcolo e dell'aggiornamento della stima delle capacità fiscali per singolo comune delle regioni a statuto ordinario, di cui all'articolo 1, comma 380-quater, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (atto del Governo sottoposto a parere n. 284).

  Questa relazione è trasmessa, d'intesa con il Presidente del Senato della Repubblica, alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. Essa è altresì trasmessa alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione di delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, in data 17 maggio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le seguenti delibere CIPE, che sono trasmesse alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente):
   n. 106/2015 del 23 dicembre 2015, concernente «Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443 del 2001). Collegamento Lecco-Bergamo, SP ex SS 639 dei laghi Pusiano e Garlate – variante di Cisano Bergamasco. Reiterazione vincolo preordinato all'esproprio per il 1o lotto funzionale, approvazione progetto definitivo 1o lotto funzionale e assegnazione risorse»;
   n. 109/2015 del 23 dicembre 2015, concernente «Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443 del 2001). Asse viario Marche Umbria e quadrilatero di penetrazione interna. Maxilotto n. 2 – Pedemontana delle Marche. Reiterazione del vincolo preordinato all'esproprio e approvazione del progetto definitivo del secondo stralcio funzionale “Matelica Nord – Matelica Sud/Castelraimondo Nord”».

Annunzio di risoluzioni del Parlamento europeo.

  Il Presidente del Parlamento europeo ha trasmesso il testo di ventuno risoluzioni approvate nella tornata dall'11 al 14 aprile 2016, che sono assegnate, ai sensi dell'articolo 125, comma 1, del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, nonché, per il parere, alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), se non già assegnate alle stesse in sede primaria:
   Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante applicazione dei regimi per prodotti originari di alcuni Stati appartenenti al gruppo degli Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) previsti in accordi che istituiscono, o portano a istituire, accordi di partenariato economico (Rifusione) (Doc. XII, n. 922) – alla X Commissione (Attività produttive);
   Risoluzione legislativa sul progetto di decisione del Consiglio relativo alla conclusione, a nome dell'Unione europea, del protocollo che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall'accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea, da un lato, e il Governo della Danimarca e il Governo locale della Groenlandia, dall'altro (Doc. XII, n. 923) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione legislativa sul progetto di decisione del Consiglio concernente la conclusione dell'accordo su determinati aspetti dei servizi aerei tra l'Unione europea e il Governo della regione amministrativa speciale di Macao della Repubblica popolare cinese (Doc. XII, n. 924) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, in relazione alla durata dell'obbligo di applicazione di un'aliquota normale minima (Doc. XII, n. 925) – alla VI Commissione (Finanze);
   Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle condizioni zootecniche e genealogiche applicabili agli scambi commerciali e alle importazioni nell'Unione di animali riproduttori e del loro materiale germinale (Doc. XII, n. 926) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
   Risoluzione sulla situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell'Unione europea in materia di immigrazione (Doc. XII, n. 927) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   Risoluzione sul programma di controllo dell'adeguatezza e dell'efficacia della regolamentazione (REFIT): situazione attuale e prospettive (Doc. XII, n. 928) – alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
   Risoluzione «Verso una migliore normativa sul mercato unico» (Doc. XII, n. 929) – alla X Commissione (Attività produttive);
   Risoluzione «Apprendere l'Unione europea a scuola» (Doc. XII, n. 930) – alla VII Commissione (Cultura);
   Risoluzione concernente la posizione del Consiglio sul progetto di bilancio rettificativo n. 1/2016 dell'Unione europea per l'esercizio 2016, nuovo strumento che fornisce sostegno di emergenza all'interno dell'Unione (Doc. XII, n. 931) – alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e VIII (Ambiente);
   Risoluzione sul progetto di regolamento di esecuzione della Commissione che rinnova l'approvazione della sostanza attiva glifosato a norma del regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che modifica l'allegato del regolamento di esecuzione (UE) n. 540/2011 (Doc. XII, n. 932) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
   Risoluzione sull'epidemia del virus Zika (Doc. XII, n. 933) – alla XII Commissione (Affari sociali);
   Risoluzione sulla situazione in Polonia (Doc. XII, n. 934) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione legislativa sulla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (Doc. XII, n. 935) – alla II Commissione (Giustizia);
   Risoluzione legislativa sulla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio (Doc. XII, n. 936) – alla II Commissione (Giustizia);
   Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'uso dei dati del codice di prenotazione a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi (Doc. XII, n. 937) – alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia);
   Risoluzione sul Pakistan, in particolare l'attacco a Lahore (Doc. XII, n. 938) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sull'Honduras: situazione dei difensori dei diritti umani (Doc. XII, n. 939) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sulla Nigeria (Doc. XII, n. 940) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 14 aprile 2016 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l'acquisizione, l'utilizzo e la divulgazione illeciti (Doc. XII, n. 941) – alla X Commissione (Attività produttive);
   Risoluzione del Parlamento europeo del 14 aprile 2016 sulla relazione 2015 sulla Turchia (Doc. XII, n. 942) – alla III Commissione (Affari esteri).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro (COM(2016) 248 final), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata, in data 16 maggio 2016, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), è altresì assegnata alla medesima XIV Commissione ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 17 maggio 2016.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 17 maggio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

  Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Con la predetta comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sulla relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Valutazione ex post del secondo programma in materia di salute 2008-2013 a norma della decisione n. 1350/2007/CE che istituisce un secondo programma d'azione comunitaria in materia di salute (2008-2013) (COM(2016) 243 final), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento.

Richiesta di parere parlamentare su atti del Governo.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 17 maggio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 11, commi 1, lettera p), e 2, della legge 7 agosto 2015, n. 124, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (305).

  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla XII Commissione (Affari sociali) e, per le conseguenze di carattere finanziario, alla V Commissione (Bilancio), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 17 luglio 2016.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI DE GIROLAMO ED ALTRI N. 1-01205, VEZZALI E MONCHIERO N. 1-01252, BINETTI ED ALTRI N. 1-01255, COSTANTINO ED ALTRI N. 1-01256, RONDINI ED ALTRI N. 1-01257, BECHIS ED ALTRI N. 1-01258, PALESE ED ALTRI N. 1-01259, SANTERINI ED ALTRI N. 1-01263, MARZANO ED ALTRI N. 1-01272, BENI ED ALTRI N. 1-01274, RAMPELLI ED ALTRI N. 1-01275 E BARONI ED ALTRI N. 1-01278 CONCERNENTI INIZIATIVE PER PREVENIRE E CONTRASTARE IL FENOMENO DEL BULLISMO

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    la cronaca recente è contraddistinta da ripetuti episodi di bullismo nel nostro Paese, che spesso connotano le relazioni tra ragazzi più e meno giovani. Casi in cui, nelle scuole o in ambienti frequentati da giovani, si verificano vessazioni e violenze (fisiche, verbali e psicologiche) ai danni dei più deboli o semplicemente di «categorie» percepite come «diverse», sono all'ordine del giorno;
    l'ultimo rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità sulla salute e il benessere dei ragazzini di 11, 13 e 15 anni certifica che il 2 per cento delle ragazze e il 3 per cento dei ragazzi riferisce di aver subito atti di bullismo nella sua vita;
    molto più diffuso il fenomeno del cyber-bullismo. Secondo una ricerca del Censis e della polizia postale in metà delle scuole italiane prese in esame sono avvenuti atti di bullismo attraverso la rete, nonché tentativi di adescamento da parte degli adulti, vessazioni, minacce, invio di foto o video a contenuto sessuale;
    sia l'Organizzazione mondiale della sanità che il Censis certificano l'impotenza dei genitori, incapaci di difendere i loro figli dalle minacce e dai rischi reali e della rete;
    anche in Italia si registrano costantemente gravi episodi di bullismo, come testimoniano le cronache degli ultimi mesi. Qualche esempio:
     a) a Torino un quindicenne del Canavese ha vissuto un incubo lungo 3 mesi, finendo in depressione. Perseguitato da un gruppo di bulletti, il ragazzo era costretto a pagarli di volta in volta e, se non lo avesse fatto, sarebbe stato sistematicamente picchiato, 500 euro a settimana la richiesta folle, denaro che il ragazzino doveva sfilare ai genitori. «Se non puoi pagare la rata dovrai spacciare hashish per noi», 2 settimane fa; dopo 3 mesi, il ragazzo si è rivolto ai genitori e con loro ai carabinieri, che hanno arrestato due studenti minorenni, tutti della scuola superiore di Caluso;
     b) in Brianza, in un tremendo video, visibile su tutti i social dal febbraio 2016, si vede una banda di ragazzini, molto probabilmente di origine straniera, nel comune di Mezzago (Monza e Brianza), mentre pesta con violenza inaudita un coetaneo. Nessuno degli altri adolescenti interviene. Ci prova un residente di mezza età, ma viene, a sua volta, insultato e minacciato;
     c) a Lecce, in un paesino (Galatone) del Salento, l'11 febbraio 2016, un dodicenne è stato costretto dai suoi compagni a stendersi sui binari ferroviari e ad essere colpito da piombini di gomma sparati da un fucile ad aria compressa;
     d) a Pordenone nel mese di gennaio 2016 una ragazzina di 12 anni si è gettata dal balcone per colpa degli scherzi dei compagni di classe, lasciando una lettera: «Adesso sarete contenti». Il gesto è il risultato di mesi di bullismo perpetrato nei suoi confronti dai suoi compagni di classe;
    a questi episodi si devono aggiungere i dati allarmanti sui fenomeni crescenti legati a condotte vessatorie nei confronti di giovani, come il cyber-bullismo ed altri usi impropri di strumenti di comunicazione;
    si tratta di una situazione che rende evidente l'inadeguatezza degli attuali strumenti di monitoraggio e di contrasto ad un fenomeno devastante che produce danni irreversibili nei confronti delle giovani vittime,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa di competenza volta a prevenire, individuare e reprimere con fermezza episodi di bullismo anche attraverso:
    a) azioni mirate alla sicurezza nella rete, per garantire comportamenti corretti e per un uso consapevole delle tecnologie, attraverso un'opera di informazione, divulgazione e conoscenza, al fine di promuovere l'educazione ai media e la comprensione critica dei mezzi di comunicazione intesi non solo come strumenti, ma soprattutto come linguaggio e cultura;
    b) l'implementazione delle linee guida destinate al personale della scuola, agli studenti e alle famiglie in merito alle indicazioni e riflessioni per la conoscenza e la prevenzione del bullismo e del cyber-bullismo e dei fenomeni ad esso riconducibili, e per realizzare interventi mirati di prevenzione del disagio, ponendo in essere specifiche azioni culturali ed educative rivolte a tutta la comunità scolastica e alle famiglie;
    c) la realizzazione di una capillare campagna di sensibilizzazione presso le scuole, le istituzioni pubbliche e private, le famiglie e l'opinione pubblica sul grave problema della violenza giovanile, che coinvolga in particolare anche i minori, in modo da aiutarli a parlarne in famiglia o a scuola, per ridurre i rischi e le conseguenze di tali comportamenti;
    d) la promozione di attività di aggiornamento e formazione dei docenti e l'attivazione presso le scuole di punti di ascolto deputati ad intercettare ed offrire assistenza personale a studenti vittime di episodi di violenza e bullismo, con l'introduzione di percorsi di rieducazione nei confronti di questi ultimi;
    e) la promozione di specifici incontri informativi tra gli enti interessati, al fine di condividere indicatori osservativi sul bullismo, strategie di intervento e metodologie operative;
    f) l'introduzione, nel sistema nazionale educativo di istruzione, di attività didattiche volte alla prevenzione e alla conoscenza del fenomeno del bullismo, anche nelle sue manifestazioni più recenti;
    g) l'introduzione di un sistema sanzionatorio nei confronti di quanti, istituzionalmente deputati alla vigilanza e tutela dei minori, omettano di denunciare o comunque consentano fenomeni di bullismo.
(1-01205)
(Nuova formulazione) «De Girolamo, Occhiuto, Gullo, Palmieri».


   La Camera,
   premesso che:
    la cronaca recente è contraddistinta da ripetuti episodi di bullismo nel nostro Paese, che spesso connotano le relazioni tra ragazzi più e meno giovani. Casi in cui, nelle scuole o in ambienti frequentati da giovani, si verificano vessazioni e violenze (fisiche, verbali e psicologiche) ai danni dei più deboli o semplicemente di «categorie» percepite come «diverse», sono all'ordine del giorno;
    l'ultimo rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità sulla salute e il benessere dei ragazzini di 11, 13 e 15 anni certifica che il 2 per cento delle ragazze e il 3 per cento dei ragazzi riferisce di aver subito atti di bullismo nella sua vita;
    molto più diffuso il fenomeno del cyber-bullismo. Secondo una ricerca del Censis e della polizia postale in metà delle scuole italiane prese in esame sono avvenuti atti di bullismo attraverso la rete, nonché tentativi di adescamento da parte degli adulti, vessazioni, minacce, invio di foto o video a contenuto sessuale;
    sia l'Organizzazione mondiale della sanità che il Censis certificano l'impotenza dei genitori, incapaci di difendere i loro figli dalle minacce e dai rischi reali e della rete;
    anche in Italia si registrano costantemente gravi episodi di bullismo, come testimoniano le cronache degli ultimi mesi. Qualche esempio:
     a) a Torino un quindicenne del Canavese ha vissuto un incubo lungo 3 mesi, finendo in depressione. Perseguitato da un gruppo di bulletti, il ragazzo era costretto a pagarli di volta in volta e, se non lo avesse fatto, sarebbe stato sistematicamente picchiato, 500 euro a settimana la richiesta folle, denaro che il ragazzino doveva sfilare ai genitori. «Se non puoi pagare la rata dovrai spacciare hashish per noi», 2 settimane fa; dopo 3 mesi, il ragazzo si è rivolto ai genitori e con loro ai carabinieri, che hanno arrestato due studenti minorenni, tutti della scuola superiore di Caluso;
     b) in Brianza, in un tremendo video, visibile su tutti i social dal febbraio 2016, si vede una banda di ragazzini, molto probabilmente di origine straniera, nel comune di Mezzago (Monza e Brianza), mentre pesta con violenza inaudita un coetaneo. Nessuno degli altri adolescenti interviene. Ci prova un residente di mezza età, ma viene, a sua volta, insultato e minacciato;
     c) a Lecce, in un paesino (Galatone) del Salento, l'11 febbraio 2016, un dodicenne è stato costretto dai suoi compagni a stendersi sui binari ferroviari e ad essere colpito da piombini di gomma sparati da un fucile ad aria compressa;
     d) a Pordenone nel mese di gennaio 2016 una ragazzina di 12 anni si è gettata dal balcone per colpa degli scherzi dei compagni di classe, lasciando una lettera: «Adesso sarete contenti». Il gesto è il risultato di mesi di bullismo perpetrato nei suoi confronti dai suoi compagni di classe;
    a questi episodi si devono aggiungere i dati allarmanti sui fenomeni crescenti legati a condotte vessatorie nei confronti di giovani, come il cyber-bullismo ed altri usi impropri di strumenti di comunicazione;
    si tratta di una situazione che rende evidente l'inadeguatezza degli attuali strumenti di monitoraggio e di contrasto ad un fenomeno devastante che produce danni irreversibili nei confronti delle giovani vittime,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa di competenza volta a prevenire, individuare e reprimere con fermezza episodi di bullismo anche attraverso:
    a) azioni mirate alla sicurezza nella rete, per garantire comportamenti corretti e per un uso consapevole delle tecnologie, attraverso un'opera di informazione, divulgazione e conoscenza, al fine di promuovere l'educazione ai media e la comprensione critica dei mezzi di comunicazione intesi non solo come strumenti, ma soprattutto come linguaggio e cultura;
    b) l'implementazione delle linee guida destinate al personale della scuola, agli studenti e alle famiglie in merito alle indicazioni e riflessioni per la conoscenza e la prevenzione del bullismo e del cyber-bullismo e dei fenomeni ad esso riconducibili, e per realizzare interventi mirati di prevenzione del disagio, ponendo in essere specifiche azioni culturali ed educative rivolte a tutta la comunità scolastica e alle famiglie;
    c) la realizzazione di una capillare campagna di sensibilizzazione presso le scuole, le istituzioni pubbliche e private, le famiglie e l'opinione pubblica sul grave problema della violenza giovanile, che coinvolga in particolare anche i minori, in modo da aiutarli a parlarne in famiglia o a scuola, per ridurre i rischi e le conseguenze di tali comportamenti;
    d) la promozione, nell'ambito delle risorse che si renderanno disponibili, di attività di aggiornamento e formazione dei docenti e la valutazione della possibilità di assumere iniziative per attirare presso le scuole punti di ascolto deputati ad intercettare ed offrire assistenza personale a studenti vittime di episodi di violenza e bullismo, con l'introduzione di percorsi di rieducazione nei confronti di questi ultimi;
    e) la promozione di specifici incontri informativi tra gli enti interessati, al fine di condividere indicatori osservativi sul bullismo, strategie di intervento e metodologie operative;
    f) la promozione, nel sistema nazionale di istruzione e formazione, di attività didattiche volte alla prevenzione e alla conoscenza del fenomeno del bullismo, anche nelle sue manifestazioni più recenti.
(1-01205)
(Nuova formulazione) (Testo modificato nel corso della seduta) «De Girolamo, Occhiuto, Gullo, Palmieri».


   La Camera,
   premesso che:
    con il termine «Bullismo» si definiscono quei comportamenti offensivi e/o aggressivi che un singolo individuo o più persone mettono in atto, ripetutamente nel corso del tempo, ai danni di una o più persone con lo scopo di esercitare un potere o un dominio sulla vittima;
    il bullo è a persona che usa violenza psicologica o fisica, ma anche se a livello comportamentale esprime una forza, mostra, in realtà, tutta la debolezza di soggetto che cerca di attirare l'attenzione su di sé perché vive un disagio o lo subisce, magari in famiglia;
    essere vittima di bullismo crea problemi nei soggetti più deboli, che si sentono inadeguati, esclusi dal gruppo e perfino in colpa;
   da qualche anno, la diffusione dei supporti informatici ha fatto riscontrare anche casi di cyber-bullismo o bullismo elettronico;
    il bullismo è, in sintesi, comportamento che nuoce alla società, rappresenta una minaccia per il suo naturale sviluppo, alimenta l'aggressività e la criminalità, comportamenti, questi, che un Paese civile e, soprattutto moderno non può e non deve tollerare;
    il bullismo non può essere circoscritto a nessuna categoria né sociale, né anagrafica;
    esso è una prevaricazione spesso legata all'affermazione di una superiorità dovuta all'età, alla forza fisica o al sesso e può nascondere disagio conseguente a una discriminazione religiosa o a diversità etnica o di genere;
    alcune indagini condotte nelle scuole superiori italiane hanno evidenziato che un ragazzo su due subisce episodi di violenza verbale, psicologica e fisica e terzo è vittima ricorrente di abusi; le prepotenze sono perlopiù verbali e psicologiche rispetto a quelle fisiche; il 42 per cento dei ragazzi ammette di essere stato preso in giro, il 30 per cento ha subito offese, circa il 24 per cento è stato vittima di calunnie, l'11 per cento dichiara di essere stato minacciato;
    la risposta migliore al bullismo è la cultura del rispetto; ricerche sul fenomeno, infatti, hanno dimostrato che se la scuola riesce a far sentire integrato e rispettato ogni studente, i fenomeni di prevaricazione violenta e della sottomissione alla violenza diminuiscono in modo evidente;
    in questi anni lo sport si è rivelato un interessante mezzo di contrasto al fenomeno del bullismo e della violenza in generale, con i suoi valori positivi, tanto che più volte si sono schierati per combattere questo fenomeno, Coni, Figc e campioni di diverse discipline;
    come lo sport, la scuola è un luogo di competizione dove si impara anche a perdere, perché la sconfitta non è un fallimento, ma è sempre e comunque un momento per crescere, per migliorare ripensando se stessi;
    il bullismo è un problema serio e diffuso che coinvolge scuola, famiglia, organizzazioni giovanili e contesto sociale; un atto di bullismo non va confuso con un banale «scherzo fra ragazzi», ma va punito perché è un atto di inciviltà ma, soprattutto, non va taciuto perché il silenzio non aiuta né vittima, né persecutore, entrambi, comunque, bisognosi di aiuto;
    sono molti i siti internet, i numeri attivi, le iniziative di comuni che puntano a combattere il fenomeno del bullismo e sono altrettante le segnalazioni di disservizi da parte di famiglie che chiedono informazioni e aiuto senza riuscire a contattare personale qualificato; anche la polizia di Stato e i Carabinieri hanno sui loro siti internet pagine dedicate al bullismo con descrizioni, consigli e numeri a cui rivolgersi;
    un grande ruolo possono assumere i media nel contrasto al bullismo se solo si provasse a fare una maggiore e più corretta informazione sul problema, se si promuovesse l'utilizzo di un linguaggio appropriato e rispettoso di gerarchie, ruoli, regole, se si attivassero controlli per evitare il turpiloquio che spesso ricorre in alcuni programmi televisivi e che è diseducativo, se si contrastasse l'esasperata violenza che caratterizza alcuni giochi elettronici che dovrebbe essere denunciata e vietata soprattutto in alcune fasce di età;
    alcuni episodi recenti ai quali ha dato risalto la cronaca portano a pensare che il bullismo è più diffuso di quanto non si sia immaginato finora e necessita di azioni di repressione che nascano da sinergie fra famiglie, scuola, istituzioni, media, affinché si possa evitare di annoverare anche questo disagio fra le malattie sociali da affrontare,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni iniziativa di competenza volta a contrastare il fenomeno del bullismo, a favorire una crescita equilibrata di bambini e adolescenti e ad ostacolare ogni forma di prevaricazione che deve essere punita e stigmatizzata;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative rivolte alle famiglie e alle scuole per contrastare, in particolare, il fenomeno del cyber-bullismo, considerato che le stesse da sole non riescono a fronteggiare i rischi che presenta il web in materia e che rendono vulnerabili i ragazzi che vi accedono;
   ad attivare percorsi per formare adeguatamente gli insegnanti, affinché possano cogliere tempestivamente i disagi delle vittime e bloccare tutte le forme di bullismo, e a promuovere campagne di informazione sui rischi derivanti da un uso poco consapevole di internet e dai giochi elettronici cruenti, che possono contribuire a determinare violenze gratuite verso i soggetti deboli.
(1-01252) «Vezzali, Monchiero».


   La Camera,
   premesso che:
    con il termine «Bullismo» si definiscono quei comportamenti offensivi e/o aggressivi che un singolo individuo o più persone mettono in atto, ripetutamente nel corso del tempo, ai danni di una o più persone con lo scopo di esercitare un potere o un dominio sulla vittima;
    il bullo è a persona che usa violenza psicologica o fisica, ma anche se a livello comportamentale esprime una forza, mostra, in realtà, tutta la debolezza di soggetto che cerca di attirare l'attenzione su di sé perché vive un disagio o lo subisce, magari in famiglia;
    essere vittima di bullismo crea problemi nei soggetti più deboli, che si sentono inadeguati, esclusi dal gruppo e perfino in colpa;
   da qualche anno, la diffusione dei supporti informatici ha fatto riscontrare anche casi di cyber-bullismo o bullismo elettronico;
    il bullismo è, in sintesi, comportamento che nuoce alla società, rappresenta una minaccia per il suo naturale sviluppo, alimenta l'aggressività e la criminalità, comportamenti, questi, che un Paese civile e, soprattutto moderno non può e non deve tollerare;
    il bullismo non può essere circoscritto a nessuna categoria né sociale, né anagrafica;
    esso è una prevaricazione spesso legata all'affermazione di una superiorità dovuta all'età, alla forza fisica o al sesso e può nascondere disagio conseguente a una discriminazione religiosa o a diversità etnica o di genere;
    alcune indagini condotte nelle scuole superiori italiane hanno evidenziato che un ragazzo su due subisce episodi di violenza verbale, psicologica e fisica e terzo è vittima ricorrente di abusi; le prepotenze sono perlopiù verbali e psicologiche rispetto a quelle fisiche; il 42 per cento dei ragazzi ammette di essere stato preso in giro, il 30 per cento ha subito offese, circa il 24 per cento è stato vittima di calunnie, l'11 per cento dichiara di essere stato minacciato;
    la risposta migliore al bullismo è la cultura del rispetto; ricerche sul fenomeno, infatti, hanno dimostrato che se la scuola riesce a far sentire integrato e rispettato ogni studente, i fenomeni di prevaricazione violenta e della sottomissione alla violenza diminuiscono in modo evidente;
    in questi anni lo sport si è rivelato un interessante mezzo di contrasto al fenomeno del bullismo e della violenza in generale, con i suoi valori positivi, tanto che più volte si sono schierati per combattere questo fenomeno, Coni, Figc e campioni di diverse discipline;
    come lo sport, la scuola è un luogo di competizione dove si impara anche a perdere, perché la sconfitta non è un fallimento, ma è sempre e comunque un momento per crescere, per migliorare ripensando se stessi;
    il bullismo è un problema serio e diffuso che coinvolge scuola, famiglia, organizzazioni giovanili e contesto sociale; un atto di bullismo non va confuso con un banale «scherzo fra ragazzi», ma va punito perché è un atto di inciviltà ma, soprattutto, non va taciuto perché il silenzio non aiuta né vittima, né persecutore, entrambi, comunque, bisognosi di aiuto;
    sono molti i siti internet, i numeri attivi, le iniziative di comuni che puntano a combattere il fenomeno del bullismo e sono altrettante le segnalazioni di disservizi da parte di famiglie che chiedono informazioni e aiuto senza riuscire a contattare personale qualificato; anche la polizia di Stato e i Carabinieri hanno sui loro siti internet pagine dedicate al bullismo con descrizioni, consigli e numeri a cui rivolgersi;
    un grande ruolo possono assumere i media nel contrasto al bullismo se solo si provasse a fare una maggiore e più corretta informazione sul problema, se si promuovesse l'utilizzo di un linguaggio appropriato e rispettoso di gerarchie, ruoli, regole, se si attivassero controlli per evitare il turpiloquio che spesso ricorre in alcuni programmi televisivi e che è diseducativo, se si contrastasse l'esasperata violenza che caratterizza alcuni giochi elettronici che dovrebbe essere denunciata e vietata soprattutto in alcune fasce di età;
    alcuni episodi recenti ai quali ha dato risalto la cronaca portano a pensare che il bullismo è più diffuso di quanto non si sia immaginato finora e necessita di azioni di repressione che nascano da sinergie fra famiglie, scuola, istituzioni, media, affinché si possa evitare di annoverare anche questo disagio fra le malattie sociali da affrontare,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni iniziativa di competenza volta a contrastare il fenomeno del bullismo, a favorire una crescita equilibrata di bambini e adolescenti e ad ostacolare ogni forma di prevaricazione che deve essere stigmatizzata;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative rivolte alle famiglie e alle scuole per contrastare, in particolare, il fenomeno del cyber-bullismo, considerato che le stesse da sole non riescono a fronteggiare i rischi che presenta il web in materia e che rendono vulnerabili i ragazzi che vi accedono;
   ad attivare percorsi per formare adeguatamente gli insegnanti, affinché possano cogliere tempestivamente i disagi delle vittime e bloccare tutte le forme di bullismo, e a promuovere campagne di informazione sui rischi derivanti da un uso poco consapevole di internet e dai giochi elettronici cruenti, che possono contribuire a determinare violenze gratuite verso i soggetti deboli.
(1-01252)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Vezzali, Monchiero».


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno del bullismo – ovvero quei comportamenti e quegli atti offensivi o aggressivi che una o più persone mettono in atto ai danni di una o più persone per umiliarle, marginalizzarle, o ridicolizzarle – è in continua evoluzione; tanto più che, attraverso le nuove tecnologie che permettono agli aggressori di insinuarsi continuamente nella vita altrui e con pervasività sempre maggiore, si sono moltiplicati i mezzi mediante i quali vengono perpetrate prepotenze o soprusi. Il termine «bullismo» è stato utilizzato per la prima volta in una norma di rango legislativo nel 2012: in particolare nell'articolo 50 del decreto-legge n. 5/2012 convertito dalla legge n. 35 del 2012, laddove si parla di integrazione degli alunni diversamente abili, di prevenzione dell'abbandono e di contrasto dell'insuccesso scolastico e formativo, specie per le aree di massima corrispondenza tra povertà e dispersione scolastica. Il nostro ordinamento però non prevede allo stato attuale disposizioni specifiche per prevenire e contrastare lo specifico fenomeno del bullismo, specie nella sua forma informatica. Pertanto si pone come improcrastinabile un intervento normativo finalizzato a delineare una cornice normativa ben definita per la tutela e la salvaguardia dei minori;
    negli ultimi anni infatti è cresciuta in modo costante l'attenzione dei media e della società nei confronti del fenomeno del bullismo a scuola. In Italia, lo studio di questa tematica risale agli anni ’90, quando un gruppo di ricercatori dell'università di Firenze ha effettuato un'indagine nazionale sul fenomeno del bullismo a scuola rilevando una situazione di una certa gravità;
    il ripetersi di atti di bullismo, sulla base di quell'indagine, risultò maggiore rispetto ad altri Paesi europei. Il fenomeno si presentava con alcune caratteristiche peculiari, soprattutto come aggressività verbale: era diffuso tra i più piccoli e tendeva a decrescere man mano che si proseguiva nelle classi superiori;
    a rendere ancora più allarmante il fenomeno è che gli atti sono compiuti, nella maggior parte dei casi negli ambienti di prossimità in cui vivono i ragazzi e gli stessi bambini: la scuola, gli ambienti sportivi e i luoghi in cui abitualmente i bambini giocano. Perché si possa parlare di bullismo è necessario che gli atti di prepotenza, le molestie o le aggressioni siano intenzionali, messi in atto dal bullo (o dai bulli) per provocare un danno alla vittima; le azioni dei bulli debbono durare nel tempo, per settimane, mesi o anni e ci deve essere una evidente asimmetria nella relazione, cioè uno squilibrio di potere tra chi compie l'azione e chi la subisce, per ragioni di età, di forza, di genere e per la popolarità che il bullo ha nel gruppo di suoi coetanei; ciò che conta è che la vittima non è in grado di difendersi, è isolata e ha paura di denunciare gli episodi di bullismo perché teme vendette. Per questo nella prevenzione occorre coinvolgere i minorenni, le loro famiglie, le scuole e le diverse realtà educative (sportive, parrocchiali, associazioni);
    il bullismo informatico negli ultimi anni ha avuto una crescita esponenziale tra i ragazzi in quanto messo facilmente in atto attraverso mezzi elettronici di cui la maggior parte dei minori dispone fin da un'età molto precoce, ossia telefoni cellulari, blog, social network e posta elettronica. Come nel bullismo tradizionale, il prevaricatore prende di mira chi è ritenuto «diverso», che diviene vittima per un qualsiasi tipo di discriminazione che va dall'aspetto fisico, al modo in cui si presenta, per esempio con un abbigliamento non convenzionale, e altro;
    oggi come oggi si va allargando la percezione della responsabilità che coinvolge non solo chi commette il fatto, ma anche la rete dei fiancheggiatori e perfino quella dei semplici spettatori che assistono senza intervenire positivamente a porre un freno e se possibile uno stop alla violenza che si sta perpetrando;
    una ricerca di Save the Children, svolta in collaborazione con l'Ipsos, ha messo in evidenza proprio che 4 minori su 10 sono testimoni di atti di bullismo verso coetanei, percepiti «diversi» per aspetto fisico (67 per cento), per orientamento sessuale (56 per cento) o perché stranieri (43 per cento). Sebbene i dati forniti siano basati su racconti ricevuti e pareri personali degli intervistati, il 33 per cento degli adolescenti ritiene che sia diffuso, fra gli amici, fornire il proprio numero di cellulare a un soggetto conosciuto su internet, o avere con questo un incontro di persona (28 per cento). Il 22 per cento dei ragazzi intervistati ritiene frequente l'invio di immagini o video di conoscenti nudi o seminudi, ovvero l'attivazione della webcam, per mostrarsi seminudi o nudi al fine di ricevere regali, il 19 per cento, con conseguenze tristemente note. Le conseguenze che, spesso, configurano veri e propri atti persecutori, sono l'immediato isolamento della vittima con conseguenti danni psicologici che nei casi più gravi spingono a gesti estremi, come il suicidio;
    sono stati infatti soprattutto alcuni gravi episodi di cronaca, in particolare alcuni suicidi avvenuti nell'ambito studentesco, a far emergere questo fenomeno. Recentemente, il bullismo si è manifestato e continua a manifestarsi anche attraverso l'uso della rete internet; spesso i molestatori, soprattutto se giovanissimi, non hanno piena coscienza delle conseguenze dei loro atti persecutori e di quanto ciò possa nuocere al coetaneo, in troppi casi irreparabilmente;
    sulla definizione e le forme del fenomeno nel nostro Paese è necessario sottolineare come la Fondazione Censis, su incarico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha svolto nel 2008 la «Prima indagine nazionale sul bullismo». Ricerche più recenti sono state condotte da singoli studiosi e sono state presentate nel 2010, nel 2012 e, per gli Stati Uniti, nel 2014; secondo il Censis, il 22,3 per cento delle famiglie denuncia frequenti atti di bullismo nelle classi frequentate dai figli; il 27,6 per cento episodi isolati, mentre il 50,1 per cento non rileva il problema. Nella maggioranza dei casi i genitori segnalano offese ripetute ai danni del proprio figlio;
    recentemente, sul fronte del contrasto alla lotta al bullismo ed al cyber-bullismo, il Governo, rispondendo all'interrogazione n. 5-02483 presentata dalle prime firmatarie del presente atto, ha ricordato che sono stati messi a disposizione delle istituzioni scolastiche, delle famiglie e delle vittime del fenomeno una serie di strumenti, ad iniziare dalla direttiva n. 16 del 5 febbraio 2007;
    tra le iniziative già intraprese per contrastare il bullismo è necessario ricordare: l'istituzione di un numero verde riservato a genitori e studenti per la segnalazione dei casi, richieste di informazioni e consigli; una nuova versione aggiornata del sito internet «smontailbullo.it», che si occupa di inquadrare il fenomeno da un punto di vista psico-sociologico e culturale fornendo suggerimenti per fronteggiarlo e infine gli osservatori regionali permanenti sul bullismo, attivi presso gli uffici scolastici regionali;
    rispetto al tema del cyber-bullismo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha promosso e sostenuto azioni volte al contrasto di tale fenomeno nel Piano nazionale denominato «Più scuola meno mafia» realizzando, a partire dal 2010, una serie di iniziative e progetti volti a contrastare tale fenomeno attraverso il sostegno psicologico alle vittime e l'informazione e la formazione degli studenti e delle famiglie sull'uso ed abuso della rete informatica;
    recentemente, il suddetto Ministero ha promosso il progetto «Safer Internet-Generazioni Connesse» per un uso consapevole di internet e dei new media. Il Ministero, inoltre, ha realizzato il già citato portale «smontailbullo.it» e il portale «Urp Social» tematico, nel quale vengono offerte alle scuole opportunità di approfondimento e di orientamento rispetto a questo fenomeno sociale, sempre più diffuso;
    nell'ottica del processo di innovazione della didattica educativa e della formazione, lo stesso Ministero ha realizzato due social network rivolti ai ragazzi under 13 e 14, che possono così comunicare e socializzare le proprie esperienze ed emozioni nel quadro delle regole sulla sicurezza informatica e delle norme sulla privacy;
    è altresì necessario sottolineare come presso le Commissioni parlamentari giustizia ed affari sociali della Camera dei deputati si stanno discutendo progetti di legge d'iniziativa parlamentare diretti a: a) definire gli atti di bullismo e di bullismo informatico; b) prevedere specifiche sanzioni penali (reclusione da sei mesi a quattro anni) per coloro che compiono atti di bullismo; c) disciplinare il risarcimento dei danni causati alle strutture scolastiche; d) regolare le attività del dirigente scolastico che venga a conoscenza delle attività di bullismo;
    l'Unione europea ha sviluppato strumenti di contrasto al fenomeno del cyber-bullismo con particolare riguardo alle politiche di protezione dei minori in attuazione dell'articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali. Va ricordato anche il Programma per i diritti dei minori del febbraio 2011, che include, tra le sue azioni, il sostegno agli Stati membri e alle altre parti interessate al potenziamento della prevenzione, della responsabilizzazione e della partecipazione dei minori al fine del contrasto del cyber-bullismo. Questa azione si realizza con il programma Safer Internet e mediante la cooperazione con l'industria attraverso iniziative di autoregolamentazione;
    un obiettivo on line sicuro per i minori rientra tra gli obiettivi dell'Agenda digitale per l'Europa. Si segnala in particolare la comunicazione del maggio 2012 «Strategia europea per un'internet migliore per i ragazzi» che prevede, tra l'altro, raccomandazioni agli Stati membri ed agli operatori del settore volte ad instaurare meccanismi affidabili di segnalazione dei contenuti e dei contatti dannosi per i ragazzi. In tale quadro, deve ricordarsi l'autoregolamentazione europea nell'ambito della CEO Coalition che prevede, tra l'altro, meccanismi di segnalazione degli abusi, strumenti di classificazione dei contenuti e misure per la rimozione degli stessi;
    è, quindi, fondamentale contrastare ed intensificare ulteriormente la lotta contro il fenomeno del bullismo e del bullismo informatico attraverso misure dirette a prevenire e reprimere tale fenomeno che sta drammaticamente sviluppandosi nel nostro Paese,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, oltre a quelle già attivate, volte a contrastare il fenomeno del bullismo e soprattutto del cyber-bullismo mediante l'adozione di campagne informative dirette a rendere consapevole e, quindi, a sensibilizzare l'opinione pubblica ed in particolare le famiglie circa la gravità di tale fenomeno;
   ad avviare corsi di formazione dei docenti nelle scuole sul tema del bullismo al fine di prevenire tale fenomeno e comunque di intervenire tempestivamente per porvi un limite;
   a favorire, per quanto di competenza, un rapido iter dei progetti di legge sul contrasto al bullismo e al cyber-bullismo;
   ad assumere iniziative per informare, sensibilizzare e responsabilizzare i minori in merito alle forme di violenza e di prevaricazione di cui possono essere oggetto in modo da aiutarli a parlarne in famiglia o a scuola, per ridurre i rischi e le conseguenze di tali comportamenti;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre nelle scuole la figura dello psicologo, o per lo meno di uno sportello psicologico, che sia di sostegno ai docenti, alle famiglie ed ai minori nella soluzione dei loro problemi e delle loro difficoltà in modo da prevenire eventuali fenomeni di bullismo, anche attraverso interventi efficaci e tempestivi;
   ad adottare iniziative dirette a sensibilizzare i minori circa i rischi ed i rilevanti pericoli della rete internet al fine di un corretto utilizzo degli strumenti informatici.
(1-01255) «Binetti, Calabrò, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno del bullismo – ovvero quei comportamenti e quegli atti offensivi o aggressivi che una o più persone mettono in atto ai danni di una o più persone per umiliarle, marginalizzarle, o ridicolizzarle – è in continua evoluzione; tanto più che, attraverso le nuove tecnologie che permettono agli aggressori di insinuarsi continuamente nella vita altrui e con pervasività sempre maggiore, si sono moltiplicati i mezzi mediante i quali vengono perpetrate prepotenze o soprusi. Il termine «bullismo» è stato utilizzato per la prima volta in una norma di rango legislativo nel 2012: in particolare nell'articolo 50 del decreto-legge n. 5/2012 convertito dalla legge n. 35 del 2012, laddove si parla di integrazione degli alunni diversamente abili, di prevenzione dell'abbandono e di contrasto dell'insuccesso scolastico e formativo, specie per le aree di massima corrispondenza tra povertà e dispersione scolastica. Il nostro ordinamento però non prevede allo stato attuale disposizioni specifiche per prevenire e contrastare lo specifico fenomeno del bullismo, specie nella sua forma informatica. Pertanto si pone come improcrastinabile un intervento normativo finalizzato a delineare una cornice normativa ben definita per la tutela e la salvaguardia dei minori;
    negli ultimi anni infatti è cresciuta in modo costante l'attenzione dei media e della società nei confronti del fenomeno del bullismo a scuola. In Italia, lo studio di questa tematica risale agli anni ’90, quando un gruppo di ricercatori dell'università di Firenze ha effettuato un'indagine nazionale sul fenomeno del bullismo a scuola rilevando una situazione di una certa gravità;
    il ripetersi di atti di bullismo, sulla base di quell'indagine, risultò maggiore rispetto ad altri Paesi europei. Il fenomeno si presentava con alcune caratteristiche peculiari, soprattutto come aggressività verbale: era diffuso tra i più piccoli e tendeva a decrescere man mano che si proseguiva nelle classi superiori;
    a rendere ancora più allarmante il fenomeno è che gli atti sono compiuti, nella maggior parte dei casi negli ambienti di prossimità in cui vivono i ragazzi e gli stessi bambini: la scuola, gli ambienti sportivi e i luoghi in cui abitualmente i bambini giocano. Perché si possa parlare di bullismo è necessario che gli atti di prepotenza, le molestie o le aggressioni siano intenzionali, messi in atto dal bullo (o dai bulli) per provocare un danno alla vittima; le azioni dei bulli debbono durare nel tempo, per settimane, mesi o anni e ci deve essere una evidente asimmetria nella relazione, cioè uno squilibrio di potere tra chi compie l'azione e chi la subisce, per ragioni di età, di forza, di genere e per la popolarità che il bullo ha nel gruppo di suoi coetanei; ciò che conta è che la vittima non è in grado di difendersi, è isolata e ha paura di denunciare gli episodi di bullismo perché teme vendette. Per questo nella prevenzione occorre coinvolgere i minorenni, le loro famiglie, le scuole e le diverse realtà educative (sportive, parrocchiali, associazioni);
    il bullismo informatico negli ultimi anni ha avuto una crescita esponenziale tra i ragazzi in quanto messo facilmente in atto attraverso mezzi elettronici di cui la maggior parte dei minori dispone fin da un'età molto precoce, ossia telefoni cellulari, blog, social network e posta elettronica. Come nel bullismo tradizionale, il prevaricatore prende di mira chi è ritenuto «diverso», che diviene vittima per un qualsiasi tipo di discriminazione che va dall'aspetto fisico, al modo in cui si presenta, per esempio con un abbigliamento non convenzionale, e altro;
    oggi come oggi si va allargando la percezione della responsabilità che coinvolge non solo chi commette il fatto, ma anche la rete dei fiancheggiatori e perfino quella dei semplici spettatori che assistono senza intervenire positivamente a porre un freno e se possibile uno stop alla violenza che si sta perpetrando;
    una ricerca di Save the Children, svolta in collaborazione con l'Ipsos, ha messo in evidenza proprio che 4 minori su 10 sono testimoni di atti di bullismo verso coetanei, percepiti «diversi» per aspetto fisico (67 per cento), per orientamento sessuale (56 per cento) o perché stranieri (43 per cento). Sebbene i dati forniti siano basati su racconti ricevuti e pareri personali degli intervistati, il 33 per cento degli adolescenti ritiene che sia diffuso, fra gli amici, fornire il proprio numero di cellulare a un soggetto conosciuto su internet, o avere con questo un incontro di persona (28 per cento). Il 22 per cento dei ragazzi intervistati ritiene frequente l'invio di immagini o video di conoscenti nudi o seminudi, ovvero l'attivazione della webcam, per mostrarsi seminudi o nudi al fine di ricevere regali, il 19 per cento, con conseguenze tristemente note. Le conseguenze che, spesso, configurano veri e propri atti persecutori, sono l'immediato isolamento della vittima con conseguenti danni psicologici che nei casi più gravi spingono a gesti estremi, come il suicidio;
    sono stati infatti soprattutto alcuni gravi episodi di cronaca, in particolare alcuni suicidi avvenuti nell'ambito studentesco, a far emergere questo fenomeno. Recentemente, il bullismo si è manifestato e continua a manifestarsi anche attraverso l'uso della rete internet; spesso i molestatori, soprattutto se giovanissimi, non hanno piena coscienza delle conseguenze dei loro atti persecutori e di quanto ciò possa nuocere al coetaneo, in troppi casi irreparabilmente;
    sulla definizione e le forme del fenomeno nel nostro Paese è necessario sottolineare come la Fondazione Censis, su incarico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha svolto nel 2008 la «Prima indagine nazionale sul bullismo». Ricerche più recenti sono state condotte da singoli studiosi e sono state presentate nel 2010, nel 2012 e, per gli Stati Uniti, nel 2014; secondo il Censis, il 22,3 per cento delle famiglie denuncia frequenti atti di bullismo nelle classi frequentate dai figli; il 27,6 per cento episodi isolati, mentre il 50,1 per cento non rileva il problema. Nella maggioranza dei casi i genitori segnalano offese ripetute ai danni del proprio figlio;
    recentemente, sul fronte del contrasto alla lotta al bullismo ed al cyber-bullismo, il Governo, rispondendo all'interrogazione n. 5-02483 presentata dalle prime firmatarie del presente atto, ha ricordato che sono stati messi a disposizione delle istituzioni scolastiche, delle famiglie e delle vittime del fenomeno una serie di strumenti, ad iniziare dalla direttiva n. 16 del 5 febbraio 2007;
    tra le iniziative già intraprese per contrastare il bullismo è necessario ricordare: l'istituzione di un numero verde riservato a genitori e studenti per la segnalazione dei casi, richieste di informazioni e consigli; una nuova versione aggiornata del sito internet «smontailbullo.it», che si occupa di inquadrare il fenomeno da un punto di vista psico-sociologico e culturale fornendo suggerimenti per fronteggiarlo e infine gli osservatori regionali permanenti sul bullismo, attivi presso gli uffici scolastici regionali;
    rispetto al tema del cyber-bullismo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha promosso e sostenuto azioni volte al contrasto di tale fenomeno nel Piano nazionale denominato «Più scuola meno mafia» realizzando, a partire dal 2010, una serie di iniziative e progetti volti a contrastare tale fenomeno attraverso il sostegno psicologico alle vittime e l'informazione e la formazione degli studenti e delle famiglie sull'uso ed abuso della rete informatica;
    recentemente, il suddetto Ministero ha promosso il progetto «Safer Internet-Generazioni Connesse» per un uso consapevole di internet e dei new media. Il Ministero, inoltre, ha realizzato il già citato portale «smontailbullo.it» e il portale «Urp Social» tematico, nel quale vengono offerte alle scuole opportunità di approfondimento e di orientamento rispetto a questo fenomeno sociale, sempre più diffuso;
    nell'ottica del processo di innovazione della didattica educativa e della formazione, lo stesso Ministero ha realizzato due social network rivolti ai ragazzi under 13 e 14, che possono così comunicare e socializzare le proprie esperienze ed emozioni nel quadro delle regole sulla sicurezza informatica e delle norme sulla privacy;
    è altresì necessario sottolineare come presso le Commissioni parlamentari giustizia ed affari sociali della Camera dei deputati si stanno discutendo progetti di legge d'iniziativa parlamentare diretti a: a) definire gli atti di bullismo e di bullismo informatico; b) prevedere specifiche sanzioni penali (reclusione da sei mesi a quattro anni) per coloro che compiono atti di bullismo; c) disciplinare il risarcimento dei danni causati alle strutture scolastiche; d) regolare le attività del dirigente scolastico che venga a conoscenza delle attività di bullismo;
    l'Unione europea ha sviluppato strumenti di contrasto al fenomeno del cyber-bullismo con particolare riguardo alle politiche di protezione dei minori in attuazione dell'articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali. Va ricordato anche il Programma per i diritti dei minori del febbraio 2011, che include, tra le sue azioni, il sostegno agli Stati membri e alle altre parti interessate al potenziamento della prevenzione, della responsabilizzazione e della partecipazione dei minori al fine del contrasto del cyber-bullismo. Questa azione si realizza con il programma Safer Internet e mediante la cooperazione con l'industria attraverso iniziative di autoregolamentazione;
    un obiettivo on line sicuro per i minori rientra tra gli obiettivi dell'Agenda digitale per l'Europa. Si segnala in particolare la comunicazione del maggio 2012 «Strategia europea per un'internet migliore per i ragazzi» che prevede, tra l'altro, raccomandazioni agli Stati membri ed agli operatori del settore volte ad instaurare meccanismi affidabili di segnalazione dei contenuti e dei contatti dannosi per i ragazzi. In tale quadro, deve ricordarsi l'autoregolamentazione europea nell'ambito della CEO Coalition che prevede, tra l'altro, meccanismi di segnalazione degli abusi, strumenti di classificazione dei contenuti e misure per la rimozione degli stessi;
    è, quindi, fondamentale contrastare ed intensificare ulteriormente la lotta contro il fenomeno del bullismo e del bullismo informatico attraverso misure dirette a prevenire e reprimere tale fenomeno che sta drammaticamente sviluppandosi nel nostro Paese,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, oltre a quelle già attivate, volte a contrastare il fenomeno del bullismo e soprattutto del cyber-bullismo mediante l'adozione di campagne informative dirette a rendere consapevole e, quindi, a sensibilizzare l'opinione pubblica ed in particolare le famiglie circa la gravità di tale fenomeno;
   a prevedere, nell'ambito delle risorse disponibili, corsi di formazione rivolti al personale scolastico nelle scuole sul tema del bullismo al fine di prevenire tale fenomeno e comunque di intervenire tempestivamente per porvi un limite;
   a favorire, per quanto di competenza, un rapido iter dei progetti di legge sul contrasto al bullismo e al cyber-bullismo;
   ad assumere iniziative per informare, sensibilizzare e responsabilizzare i minori in merito alle forme di violenza e di prevaricazione di cui possono essere oggetto in modo da aiutarli a parlarne in famiglia o a scuola, per ridurre i rischi e le conseguenze di tali comportamenti;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre nelle scuole la figura dello psicologo, o per lo meno di uno sportello psicologico, che sia di sostegno ai docenti, alle famiglie ed ai minori nella soluzione dei loro problemi e delle loro difficoltà in modo da prevenire eventuali fenomeni di bullismo, anche attraverso interventi efficaci e tempestivi;
   ad adottare iniziative dirette a sensibilizzare i minori circa i rischi ed i rilevanti pericoli della rete internet al fine di un corretto utilizzo degli strumenti informatici.
(1-01255)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Binetti, Calabrò, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    a partire dagli anni ’70, nell'ambito delle scienze psico-sociali sono stati studiati comportamenti aggressivi intenzionali, spesso ripetuti nel corso del tempo, ad opera di uno o più pari, contro un individuo o un gruppo. Tali comportamenti realizzati da bambini o da adolescenti sono raggruppati sotto il termine di «bullismo» e includono atteggiamenti antisociali come colpire, dare calci e pugni, prendere in giro o insultare, ma anche atti intimidatori indiretti, come il pettegolezzo, l'isolamento sociale e la distruzione, il furto o la perdita di oggetti delle vittime;
    la lotta bullismo è al centro dell'attività di tante istituzioni anche a livello internazionale. L'Unesco in un manuale per insegnanti del 2009, scrive che «chi è vittima di bullismo è più probabile che, rispetto ai compagni, sia depresso, si senta solo o ansioso e abbia una bassa stima di sé. I bulli di solito, mettono in atto comportamenti aggressivi per gestire situazioni in cui si sentono ansiosi, frustrati, umiliati o derisi dagli altri». Il bullismo può portare, in alcuni casi, anche a scelte estreme;
    la vittimizzazione, fisica o psicologica, può essere dovuta all'ignoranza, alla paura, all'odio o ai pregiudizi e può essere rafforzata dalle norme culturali, dalla pressione dei pari e in alcuni casi dal desiderio di vendetta nei confronti di una specifica persona. Le vittime possono essere persone incapaci di difendersi o considerate differenti a causa della loro provenienza etnica o culturale, del colore della pelle, della disabilità o perché non mostrano quelle caratteristiche che la cultura attribuisce in modo stereotipato alla mascolinità o alla femminilità, colpendo persone omosessuali, trans o ritenute tali pur non essendolo;
    il bullismo è visto come una modalità di relazione che si svolge tra due persone, una nel ruolo del bullo e l'altra in quello della vittima, anche se molte ricerche mostrano come il bullismo spesso coinvolga non tanto singoli individui quanto gruppi interi di ragazzi o studenti, ma in realtà affonda le sue radici nel contesto sociale dei bambini e degli adolescenti e nelle aspettative sociali che spingono questi giovani a conformarsi a certi atteggiamenti attesi e condivisi;
    un altro fattore importante menzionato da molte ricerche è l'importanza del ruolo di chi assiste agli atti di bullismo, anche se solo alcuni hanno osservato a fondo questa dinamica. Ad esempio, alcune ricerche hanno messo in evidenza che nei contesti scolastici gli studenti che si dichiaravano spettatori di fenomeni di bullismo, erano di volta in volta assistenti che aiutavano attivamente i bulli; sostenitori che li incoraggiavano; esterni che si chiamavano fuori e osservavano a distanza; difensori che intervenivano per proteggere le vittime;
    il bullismo è un processo sociale complesso essendo un comportamento aggressivo riconosciuto come diverso da ogni altra forma di violenza. La frequenza e la gravità di questo comportamento può variare a seconda delle situazioni ed è stato evidenziato dalle ricerche che studenti che mostrano lo stesso livello di aggressività tendono a coalizzarsi tra di loro, con conseguente aumento dell'intensità del loro comportamento nel corso del tempo, anche grazie al rinforzo ricevuto dai pari;
    i risultati delle ricerche condotte in Italia e all'estero dimostrano che il bullismo è parte integrante della quotidianità della maggioranza degli studenti presi in considerazione, i quali possono essere bulli o vittime, ma è stata osservata in percentuali non indifferenti anche la condizione di chi ricopre entrambi i ruoli a seconda delle circostanze;
    la diffusione di computer, internet, cellulari e altri strumenti di comunicazione elettronica ha portato con sé anche la diffusione del cyberbullismo e la tecnologia è diventata la nuova alleata di quei bulli che utilizzano telefono, e-mail, messaggi, siti web, bacheche elettroniche e newsgroup come strumenti per aggredire le loro vittime;
    secondo la recente ricerca Istat «Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi» (diffusa a dicembre 2015 su dati relativi al 2014) più del 50 per cento degli intervistati 11-17enni ha dichiarato di essere rimasto vittima, nei 12 mesi precedenti l'intervista, di un qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento. Una percentuale significativa, pari al 19,8 per cento, dichiara di aver subìto azioni tipiche di bullismo una o più volte al mese. Per quasi la metà di questi (9,1 per cento), si tratta di una ripetizione degli atti decisamente asfissiante, una o più volte a settimana. Speso due diversi tipi di prepotenze riguardano una stessa persona: circa il 72 per cento di quanti hanno lamentato azioni diffamatore e/o di esclusione sono stati vittima anche di offese e/o minacce. Le ragazze presentano una percentuale di vittimizzazione superiore rispetto ai ragazzi;
    tra le molteplici azioni attraverso cui il bullismo si manifesta, la ricerca ha rilevato che quella più comune è l'uso di espressioni offensive: il 12,1 per cento delle vittime dichiara di essere stato ripetutamente offeso con soprannomi offensivi, parolacce o insulti; il 6,3 per cento lamenta offese legate all'aspetto fisico e/o al modo di parlare. Più contenuta la quota di quanti dichiarano di aver subìto azioni diffamatorie (5,1 per cento) e di esclusione dovuta alle proprie opinioni (4,7 per cento). Non mancano le violenze fisiche: il 3,8 per cento degli 11-17enni è stato colpito con spintoni, botte, calci e pugni da parte di altri ragazzi/adolescenti;
    secondo una indagine condotta nel 2016 da Sos Il Telefono Azzurro e DoxaKids, in Italia un adolescente su cinque subisce episodi di bullismo, da parte dei suoi coetanei, in quasi l'80 per cento dei casi a scuola, mentre il 10 per cento lo subisce online e sui social network;
    varie ricerche hanno osservato il legame esistente tra bullismo e disturbi alimentari, che colpisce non solo la vittima, ma anche il bullo. Uno studio dell'università della North Carolina, condotto su 1420 bambini e pubblicato sull’International Journal of Eating Disorders a novembre 2015, ha rilevato che i bulli hanno un rischio doppio di comportamenti bulimici, come l'abbuffarsi o sottoporsi a purghe rispetto agli altri bambini non vittime di bullismo. I ricercatori nella loro indagine hanno analizzato le interviste raccolte nel database del Great Smoky Mountains Study, con oltre 20 anni di informazioni su partecipanti seguiti dai 9 ai 16 anni. In questo modo hanno visto che le vittime di abusi da parte di coetanei hanno un rischio doppio di disturbi alimentari, in particolare di anoressia (11,2 per cento rispetto al 5,6 per cento dei coetanei non bullizzati) e bulimia (27,9 per cento contro il 17,6 per cento) rispetto a chi non ha subito episodi di bullismo. Valori che crescono nei bambini che sono stati sia bulli che vittime (22,8 per cento di anoressia contro il 5,6 per cento degli altri, 4,8 per cento di abbuffate contro l'1 per cento), e ancora di più nei bulli, dove il 30,8 per cento mostra sintomi di bulimia contro il 17,6 per cento dei bambini non coinvolti nel bullismo;
    i risultati di 11 studi pubblicati dal 1989 al 2003 dimostrano che gli alunni con disabilità, sia visibili che invisibili, sono vittime di bullismo più frequentemente dei coetanei non disabili, e i ragazzi disabili sono oggetto di prepotenze più spesso rispetto alle ragazze disabili (Carter e Spencer, 2006). La ricerca, peraltro limitata, sulla relazione tra bullismo e necessità educative speciali si è inserita maggiormente nell'ambito delle disabilità visibili, mentre poche ricerche sono state effettuate sull'associazione tra bullismo e disabilità invisibili, tra i quali i disturbi dell'apprendimento. Ma i pochi studi effettuati sono concordi nell'affermare che avere una disabilità, come un disturbo dell'apprendimento, rende gli studenti maggiormente a rischio di subire forme di bullismo;
    a tal proposito, va segnalato che, nonostante l'Italia abbia ratificato e dato esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità fin dal 2009, ad essa non è stata data piena e completa attuazione e ciò produce effetti negativi anche sulle persone con disabilità vittime di bullismo. Dell'inadeguatezza della legislazione italiana, si dà dato atto nel primo rapporto dettagliato sulle misure prese per rendere efficaci gli obblighi assunti dall'Italia in virtù della Convenzione e sui progressi conseguiti al riguardo, che l'Italia ha presentato all'ONU a novembre 2012. Ad oggi, la principale fonte normativa italiana che si occupa di persone con disabilità (legge 5 febbraio 1992, n. 104) rimane centrata sulla nozione di persona handicappata, superata anche dal punto di vista linguistico, che come scritto nel rapporto: «pone l'accento sulle limitazioni delle facoltà (minorazioni) e lo svantaggio sociale che ne deriva (handicap), dunque sugli elementi che condizionano in negativo la vita della persona con disabilità. Nella legge manca, quindi, un riferimento all'ambiente in cui la «persona con disabilità» vive ed interagisce, in rapporto al quale le «menomazioni» devono essere valutate. L'automatismo secondo cui l'handicap è conseguenza della minorazione è un aspetto potenzialmente critico e superato dalle visioni più recenti della condizione di disabilità»;
    anche se dalle ricerche a livello internazionale emerge che tra gli atti di bullismo gli insulti razzisti sono più diffusi, in ambito scolastico è stato osservato che gli studenti riferiscono di sentirsi feriti piuttosto da offese che chiamano in causa la loro «sessualità» che da insulti legati alla loro razza o etnia, alle credenze religiose o al diverso bagaglio culturale;
    la maggiore sensibilità mostrata dai giovani verso gli insulti con una connotazione sessuale dipende dal fatto che questi epiteti costituiscono un attacco diretto all'identità dell'individuo, invece che al suo background razziale, culturale o religioso. Ricerche condotte in scuole inglesi, ma la realtà non è differente in Italia, hanno mostrato che epiteti a sfondo sessuale, in particolare quelli che mettono in dubbio la virilità, continuano a essere frequenti nei contesti scolastici e sono scambiati soprattutto tra i maschi;
    sul piano socio-politico, numerosi studi qualitativi e quantitativi condotti sempre in diversi Paesi hanno messo in evidenza che il ruolo della scuola continua ad essere quello di un «fattore di mascolinizzazione», cioè un veicolo di promozione di una serie di valori e ideali (maschili) che devono prevalere sugli altri e tutto ciò che non è maschile ed eterosessuale è automaticamente considerato come debole;
    esiste ancora un problema di poca considerazione della popolazione studentesca femminile. Questo non indica, come spiegano ad esempio alcuni autori inglesi (Mac e Ghaill), una scelta intenzionale del corpo docente, ma un problema endemico di un sistema educativo mirato a promuovere una visione tradizionalista dei ruoli di genere. Tali atteggiamenti e convinzioni di stampo conservatore sono rafforzati non solo tra generi, ma anche all'interno dello stesso genere. I ragazzi che non corrispondono agli stereotipi, ad esempio, si espongono al rischio di essere aggrediti dai coetanei in quanto non soddisfano le aspettative legate al loro ruolo di genere;
    il tema della decostruzione critica dei modelli sociali dominanti tuttora alla base delle relazioni tra i sessi è centrale nella lotta al bullismo. Esso di recente è entrato anche nella Convenzione di Istanbul, ratificata da parte dell'Italia, che ha riaperto nelle sedi istituzionali il dibattito sul fenomeno della violenza sulle donne. Come prevede esplicitamente il III capitolo della Convenzione i Paesi aderenti devono adottare politiche di prevenzione tra le quali un ruolo fondamentale è affidato ad interventi che accompagnino i percorsi scolastici delle ragazze e dei ragazzi, per promuovere cambiamenti nei modelli di comportamento socio-culturali per sradicare i pregiudizi, i costumi, le tradizioni e le altre pratiche basate sull'idea dell'inferiorità della donna o su ruoli stereotipati per donne e uomini. In particolare, si invitano «le Parti [ad intraprendere] le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi». L'invito è a promuovere tali azioni anche nelle strutture di istruzione non formale, nonché nei centri sportivi, culturali e di svago e nei mass media;
    programmare e sostenere interventi strutturali, soprattutto a scuola, che contrastino e prevengano il bullismo è fondamentale, ma nessun intervento può raggiungere l'obiettivo se ci si limita al momento repressivo, ignorando la conoscenza dei fenomeni sottostanti e i documenti internazionali che chiedono un impegno nella direzione di decostruire stereotipi e pregiudizi;
    tra gli interventi che – soprattutto nella scuola – occorre mettere in campo per contrastare il bullismo, deve esserci quello dell'ascolto da parte degli insegnanti. Su questo è necessario investire per offrire al personale docente gli strumenti e l'aggiornamento necessario a sviluppare o rafforzare le capacità di ascolto dei bisogni degli studenti e delle studentesse;
    la recente indagine ISTAT, già citata, contiene dati che non possono essere ignorati relativamente ai diversi contesti socio-educativi in cui i ragazzi si muovono. L'ambito familiare di appartenenza, il rapporto con il gruppo dei pari e il percorso scolastico intrapreso rappresentano elementi rilevanti del vivere quotidiano che incidono sui comportamenti e il modo di relazionarsi dei giovanissimi;
    guardando al tipo e al livello di formazione scolastica, è possibile distinguere particolari ambiti dove le azioni di bullismo sono più ricorrenti. Le quote di vittime sono più alte tra i ragazzi 11-13 enni che frequentano la scuola secondaria di primo grado. Quelle che in passato si chiamavano «scuole medie» si presentano come l'anello debole del sistema dell'istruzione;
    la percentuale di vittimizzazione varia a seconda delle caratteristiche delle famiglie in cui vivono gli 11-17 enni. Il 12,2 per cento di quanti vivono in famiglie poco numerose (meno di quattro persone) dichiara di aver ricevuto prepotenze, con cadenza più che settimanale, mentre nelle famiglie in cui sono presenti più fratelli/sorelle risulta relativamente meno consistente la percentuale di ragazzi/adolescenti rimasti vittima di azioni di bullismo;
    il 23,6 per cento degli 11-17 enni che si vedono raramente con gli amici è rimasto vittima di prepotenze una o più volte al mese, contro il 18 per cento riscontrato tra chi incontra gli amici quotidianamente,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per avviare la modifica e l'integrazione dei piani di studio delle scuole e dei programmi degli insegnamenti del primo e del secondo ciclo, in coerenza con gli obiettivi generali del processo formativo di ciascun ciclo e nel rispetto dell'autonomia scolastica, al fine di garantire – come richiesto dall'articolo 14 della Convenzione di Istanbul – l'inclusione di materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi;
   ad assumere iniziative per finanziare, mediante lo stanziamento di adeguate risorse, un piano di formazione per insegnanti di ogni ordine e grado, ma in particolare nella scuola secondaria di primo grado, per lo sviluppo di capacità di ascolto degli studenti, mediante l'adozione di tecniche di « empowerment» delle relazioni, della valorizzazione degli studenti, della pedagogia e della didattica;
   a contrastare il bullismo nei confronti delle persone con disabilità dando piena e completa attuazione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, partendo dall'assunzione di iniziative per eliminazione dell'espressione «persona handicappata» dovunque ricorra leggi e regolamenti e finanziando interventi nelle scuole per diffondere tra i giovani i principi e i contenuti del nuovo «paradigma» introdotto dalla Convenzione;
   a partecipare, nella persona della Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, all'incontro internazionale dei ministri dell'istruzione organizzato a Parigi dall'UNESCO il 17 maggio 2016 dal titolo «Education Sector Responses to Violence based on Sexual Orientation and Gender Identity/Expression» e a riferirne gli esiti al Parlamento con l'indicazione puntuale delle misure e degli interventi ai quali il Governo intende dare seguito.
(1-01256) «Costantino, Nicchi, Gregori, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    a partire dagli anni ’70, nell'ambito delle scienze psico-sociali sono stati studiati comportamenti aggressivi intenzionali, spesso ripetuti nel corso del tempo, ad opera di uno o più pari, contro un individuo o un gruppo. Tali comportamenti realizzati da bambini o da adolescenti sono raggruppati sotto il termine di «bullismo» e includono atteggiamenti antisociali come colpire, dare calci e pugni, prendere in giro o insultare, ma anche atti intimidatori indiretti, come il pettegolezzo, l'isolamento sociale e la distruzione, il furto o la perdita di oggetti delle vittime;
    la lotta bullismo è al centro dell'attività di tante istituzioni anche a livello internazionale. L'Unesco in un manuale per insegnanti del 2009, scrive che «chi è vittima di bullismo è più probabile che, rispetto ai compagni, sia depresso, si senta solo o ansioso e abbia una bassa stima di sé. I bulli di solito, mettono in atto comportamenti aggressivi per gestire situazioni in cui si sentono ansiosi, frustrati, umiliati o derisi dagli altri». Il bullismo può portare, in alcuni casi, anche a scelte estreme;
    la vittimizzazione, fisica o psicologica, può essere dovuta all'ignoranza, alla paura, all'odio o ai pregiudizi e può essere rafforzata dalle norme culturali, dalla pressione dei pari e in alcuni casi dal desiderio di vendetta nei confronti di una specifica persona. Le vittime possono essere persone incapaci di difendersi o considerate differenti a causa della loro provenienza etnica o culturale, del colore della pelle, della disabilità o perché non mostrano quelle caratteristiche che la cultura attribuisce in modo stereotipato alla mascolinità o alla femminilità, colpendo persone omosessuali, trans o ritenute tali pur non essendolo;
    il bullismo è visto come una modalità di relazione che si svolge tra due persone, una nel ruolo del bullo e l'altra in quello della vittima, anche se molte ricerche mostrano come il bullismo spesso coinvolga non tanto singoli individui quanto gruppi interi di ragazzi o studenti, ma in realtà affonda le sue radici nel contesto sociale dei bambini e degli adolescenti e nelle aspettative sociali che spingono questi giovani a conformarsi a certi atteggiamenti attesi e condivisi;
    un altro fattore importante menzionato da molte ricerche è l'importanza del ruolo di chi assiste agli atti di bullismo, anche se solo alcuni hanno osservato a fondo questa dinamica. Ad esempio, alcune ricerche hanno messo in evidenza che nei contesti scolastici gli studenti che si dichiaravano spettatori di fenomeni di bullismo, erano di volta in volta assistenti che aiutavano attivamente i bulli; sostenitori che li incoraggiavano; esterni che si chiamavano fuori e osservavano a distanza; difensori che intervenivano per proteggere le vittime;
    il bullismo è un processo sociale complesso essendo un comportamento aggressivo riconosciuto come diverso da ogni altra forma di violenza. La frequenza e la gravità di questo comportamento può variare a seconda delle situazioni ed è stato evidenziato dalle ricerche che studenti che mostrano lo stesso livello di aggressività tendono a coalizzarsi tra di loro, con conseguente aumento dell'intensità del loro comportamento nel corso del tempo, anche grazie al rinforzo ricevuto dai pari;
    i risultati delle ricerche condotte in Italia e all'estero dimostrano che il bullismo è parte integrante della quotidianità della maggioranza degli studenti presi in considerazione, i quali possono essere bulli o vittime, ma è stata osservata in percentuali non indifferenti anche la condizione di chi ricopre entrambi i ruoli a seconda delle circostanze;
    la diffusione di computer, internet, cellulari e altri strumenti di comunicazione elettronica ha portato con sé anche la diffusione del cyberbullismo e la tecnologia è diventata la nuova alleata di quei bulli che utilizzano telefono, e-mail, messaggi, siti web, bacheche elettroniche e newsgroup come strumenti per aggredire le loro vittime;
    secondo la recente ricerca Istat «Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi» (diffusa a dicembre 2015 su dati relativi al 2014) più del 50 per cento degli intervistati 11-17enni ha dichiarato di essere rimasto vittima, nei 12 mesi precedenti l'intervista, di un qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento. Una percentuale significativa, pari al 19,8 per cento, dichiara di aver subìto azioni tipiche di bullismo una o più volte al mese. Per quasi la metà di questi (9,1 per cento), si tratta di una ripetizione degli atti decisamente asfissiante, una o più volte a settimana. Speso due diversi tipi di prepotenze riguardano una stessa persona: circa il 72 per cento di quanti hanno lamentato azioni diffamatore e/o di esclusione sono stati vittima anche di offese e/o minacce. Le ragazze presentano una percentuale di vittimizzazione superiore rispetto ai ragazzi;
    tra le molteplici azioni attraverso cui il bullismo si manifesta, la ricerca ha rilevato che quella più comune è l'uso di espressioni offensive: il 12,1 per cento delle vittime dichiara di essere stato ripetutamente offeso con soprannomi offensivi, parolacce o insulti; il 6,3 per cento lamenta offese legate all'aspetto fisico e/o al modo di parlare. Più contenuta la quota di quanti dichiarano di aver subìto azioni diffamatorie (5,1 per cento) e di esclusione dovuta alle proprie opinioni (4,7 per cento). Non mancano le violenze fisiche: il 3,8 per cento degli 11-17enni è stato colpito con spintoni, botte, calci e pugni da parte di altri ragazzi/adolescenti;
    secondo una indagine condotta nel 2016 da Sos Il Telefono Azzurro e DoxaKids, in Italia un adolescente su cinque subisce episodi di bullismo, da parte dei suoi coetanei, in quasi l'80 per cento dei casi a scuola, mentre il 10 per cento lo subisce online e sui social network;
    varie ricerche hanno osservato il legame esistente tra bullismo e disturbi alimentari, che colpisce non solo la vittima, ma anche il bullo. Uno studio del- l'università della North Carolina, condotto su 1420 bambini e pubblicato sull’International Journal of Eating Disorders a novembre 2015, ha rilevato che i bulli hanno un rischio doppio di comportamenti bulimici, come l'abbuffarsi o sottoporsi a purghe rispetto agli altri bambini non vittime di bullismo. I ricercatori nella loro indagine hanno analizzato le interviste raccolte nel database del Great Smoky Mountains Study, con oltre 20 anni di informazioni su partecipanti seguiti dai 9 ai 16 anni. In questo modo hanno visto che le vittime di abusi da parte di coetanei hanno un rischio doppio di disturbi alimentari, in particolare di anoressia (11,2 per cento rispetto al 5,6 per cento dei coetanei non bullizzati) e bulimia (27,9 per cento contro il 17,6 per cento) rispetto a chi non ha subito episodi di bullismo. Valori che crescono nei bambini che sono stati sia bulli che vittime (22,8 per cento di anoressia contro il 5,6 per cento degli altri, 4,8 per cento di abbuffate contro l'1 per cento), e ancora di più nei bulli, dove il 30,8 per cento mostra sintomi di bulimia contro il 17,6 per cento dei bambini non coinvolti nel bullismo;
    i risultati di 11 studi pubblicati dal 1989 al 2003 dimostrano che gli alunni con disabilità, sia visibili che invisibili, sono vittime di bullismo più frequentemente dei coetanei non disabili, e i ragazzi disabili sono oggetto di prepotenze più spesso rispetto alle ragazze disabili (Carter e Spencer, 2006). La ricerca, peraltro limitata, sulla relazione tra bullismo e necessità educative speciali si è inserita maggiormente nell'ambito delle disabilità visibili, mentre poche ricerche sono state effettuate sull'associazione tra bullismo e disabilità invisibili, tra i quali i disturbi dell'apprendimento. Ma i pochi studi effettuati sono concordi nell'affermare che avere una disabilità, come un disturbo dell'apprendimento, rende gli studenti maggiormente a rischio di subire forme di bullismo;
    a tal proposito, va segnalato che, nonostante l'Italia abbia ratificato e dato esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità fin dal 2009, ad essa non è stata data piena e completa attuazione e ciò produce effetti negativi anche sulle persone con disabilità vittime di bullismo. Dell'inadeguatezza della legislazione italiana, si dà dato atto nel primo rapporto dettagliato sulle misure prese per rendere efficaci gli obblighi assunti dall'Italia in virtù della Convenzione e sui progressi conseguiti al riguardo, che l'Italia ha presentato all'ONU a novembre 2012. Ad oggi, la principale fonte normativa italiana che si occupa di persone con disabilità (legge 5 febbraio 1992, n. 104) rimane centrata sulla nozione di persona handicappata, superata anche dal punto di vista linguistico, che come scritto nel rapporto: «pone l'accento sulle limitazioni delle facoltà (minorazioni) e lo svantaggio sociale che ne deriva (handicap), dunque sugli elementi che condizionano in negativo la vita della persona con disabilità. Nella legge manca, quindi, un riferimento all'ambiente in cui la «persona con disabilità» vive ed interagisce, in rapporto al quale le «menomazioni» devono essere valutate. L'automatismo secondo cui l'handicap è conseguenza della minorazione è un aspetto potenzialmente critico e superato dalle visioni più recenti della condizione di disabilità»;
    anche se dalle ricerche a livello internazionale emerge che tra gli atti di bullismo gli insulti razzisti sono più diffusi, in ambito scolastico è stato osservato che gli studenti riferiscono di sentirsi feriti piuttosto da offese che chiamano in causa la loro «sessualità» che da insulti legati alla loro razza o etnia, alle credenze religiose o al diverso bagaglio culturale;
    la maggiore sensibilità mostrata dai giovani verso gli insulti con una connotazione sessuale dipende dal fatto che questi epiteti costituiscono un attacco diretto all'identità dell'individuo, invece che al suo background razziale, culturale o religioso. Ricerche condotte in scuole inglesi, ma la realtà non è differente in Italia, hanno mostrato che epiteti a sfondo sessuale, in particolare quelli che mettono in dubbio la virilità, continuano a essere frequenti nei contesti scolastici e sono scambiati soprattutto tra i maschi;
    sul piano socio-politico, numerosi studi qualitativi e quantitativi condotti sempre in diversi Paesi hanno messo in evidenza che il ruolo della scuola continua ad essere quello di un «fattore di mascolinizzazione», cioè un veicolo di promozione di una serie di valori e ideali (maschili) che devono prevalere sugli altri e tutto ciò che non è maschile ed eterosessuale è automaticamente considerato come debole;
    esiste ancora un problema di poca considerazione della popolazione studentesca femminile. Questo non indica, come spiegano ad esempio alcuni autori inglesi (Mac e Ghaill), una scelta intenzionale del corpo docente, ma un problema endemico di un sistema educativo mirato a promuovere una visione tradizionalista dei ruoli di genere. Tali atteggiamenti e convinzioni di stampo conservatore sono rafforzati non solo tra generi, ma anche all'interno dello stesso genere. I ragazzi che non corrispondono agli stereotipi, ad esempio, si espongono al rischio di essere aggrediti dai coetanei in quanto non soddisfano le aspettative legate al loro ruolo di genere;
    il tema della decostruzione critica dei modelli sociali dominanti tuttora alla base delle relazioni tra i sessi è centrale nella lotta al bullismo. Esso di recente è entrato anche nella Convenzione di Istanbul, ratificata da parte dell'Italia, che ha riaperto nelle sedi istituzionali il dibattito sul fenomeno della violenza sulle donne. Come prevede esplicitamente il III capitolo della Convenzione i Paesi aderenti devono adottare politiche di prevenzione tra le quali un ruolo fondamentale è affidato ad interventi che accompagnino i percorsi scolastici delle ragazze e dei ragazzi, per promuovere cambiamenti nei modelli di comportamento socio-culturali per sradicare i pregiudizi, i costumi, le tradizioni e le altre pratiche basate sull'idea dell'inferiorità della donna o su ruoli stereotipati per donne e uomini. In particolare, si invitano «le Parti [ad intraprendere] le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi». L'invito è a promuovere tali azioni anche nelle strutture di istruzione non formale, nonché nei centri sportivi, culturali e di svago e nei mass media;
    programmare e sostenere interventi strutturali, soprattutto a scuola, che contrastino e prevengano il bullismo è fondamentale, ma nessun intervento può raggiungere l'obiettivo se ci si limita al momento repressivo, ignorando la conoscenza dei fenomeni sottostanti e i documenti internazionali che chiedono un impegno nella direzione di decostruire stereotipi e pregiudizi;
    tra gli interventi che – soprattutto nella scuola – occorre mettere in campo per contrastare il bullismo, deve esserci quello dell'ascolto da parte degli insegnanti. Su questo è necessario investire per offrire al personale docente gli strumenti e l'aggiornamento necessario a sviluppare o rafforzare le capacità di ascolto dei bisogni degli studenti e delle studentesse;
    la recente indagine ISTAT, già citata, contiene dati che non possono essere ignorati relativamente ai diversi contesti socio-educativi in cui i ragazzi si muovono. L'ambito familiare di appartenenza, il rapporto con il gruppo dei pari e il percorso scolastico intrapreso rappresentano elementi rilevanti del vivere quotidiano che incidono sui comportamenti e il modo di relazionarsi dei giovanissimi;
    guardando al tipo e al livello di formazione scolastica, è possibile distinguere particolari ambiti dove le azioni di bullismo sono più ricorrenti. Le quote di vittime sono più alte tra i ragazzi 11-13enni che frequentano la scuola secondaria di primo grado. Quelle che in passato si chiamavano «scuole medie» si presentano come l'anello debole del sistema dell'istruzione;
    la percentuale di vittimizzazione varia a seconda delle caratteristiche delle famiglie in cui vivono gli 11-17enni. Il 12,2 per cento di quanti vivono in famiglie poco numerose (meno di quattro persone) dichiara di aver ricevuto prepotenze, con cadenza più che settimanale, mentre nelle famiglie in cui sono presenti più fratelli/sorelle risulta relativamente meno consistente la percentuale di ragazzi/adolescenti rimasti vittima di azioni di bullismo;
    il 23,6 per cento degli 11-17enni che si vedono raramente con gli amici è rimasto vittima di prepotenze una o più volte al mese, contro il 18 per cento riscontrato tra chi incontra gli amici quotidianamente,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, nel primo e nel secondo ciclo di istruzione, finalizzate a favorire l'acquisizione di comportamenti corretti e rispettosi di sé e degli altri, in coerenza con gli obiettivi generali del processo formativo di ciascun ciclo e nel rispetto dell'autonomia scolastica e dell'informazione alle famiglie, anche attraverso l'ausilio, come previsto anche dalla Convenzione di Istanbul, di materiali didattici sul tema del contrasto ad ogni forma di violenza e di discriminazione appropriati al livello cognitivo degli allievi;
   a valutare la possibilità di finanziare, nell'ambito delle risorse che si renderanno disponibili, un piano di formazione per insegnanti di ogni ordine e grado, ma in particolare nella scuola secondaria di primo grado, per lo sviluppo di capacità di ascolto degli studenti, mediante l'adozione di tecniche di « empowerment» delle relazioni, della valorizzazione degli studenti, della pedagogia e della didattica;
   a contrastare il bullismo nei confronti delle persone con disabilità dando piena e completa attuazione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, partendo dall'assunzione di iniziative per eliminazione dell'espressione «persona handicappata» dovunque ricorra leggi e regolamenti e finanziando interventi nelle scuole per diffondere tra i giovani i principi e i contenuti del nuovo «paradigma» introdotto dalla Convenzione;
   a valutare la possibilità che l'Italia sia rappresentata all'incontro internazionale dei ministri dell'istruzione organizzato a Parigi dall'UNESCO il 17 maggio 2016 dal titolo «Education Sector Responses to Violence based on Sexual Orientation and Gender Identity/Expression» e che il Governo riferisca gli esiti al Parlamento con l'indicazione puntuale delle misure e degli interventi ai quali il Governo intende dare seguito.
(1-01256)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Costantino, Nicchi, Gregori, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi tempi si nota un incremento generale di atti violenti e intimidatori, denominati dal termine inglese « bulling», atti di bullismo, nelle scuole di tutto il Paese, che sono sfociati anche in tentati omicidi, suicidi e problemi psicologici semi irreversibili da parte di chi li subisce. Un fenomeno che non può essere considerato come semplice bolla mediatica. Pari al 49,9 per cento del totale, difatti, risulta la quota di famiglie che segnala il verificarsi di prepotenze di diverso tipo (verbale, fisico, psicologico) all'interno delle classi frequentate dai propri figli, con una diffusione che risulta elevata in tutti gli ordini di scuola, e particolarmente nella scuola secondaria inferiore dove raggiunge il 59,0 per cento delle classi. La frequenza delle segnalazioni è invece la stessa nelle quattro aree geografiche maggiori (si va da un massimo del 50,8 per cento al Nord ovest, ad un minimo del 48,3 per cento al Nord est) e nei diversi centri abitati, con una leggera flessione nelle aree urbane di dimensione mediogrande (nella città che hanno tra i 100 ed i 250.000 abitanti le famiglie che segnalano sono il 43,7 per cento del totale);
    questo fenomeno, inoltre, non può essere più slegato da quello denominato cyberbullismo o bullismo informatico;
    il progresso tecnologico degli ultimi anni in relazione al fenomeno del mercantilismo radicale ha imposto nella società del consumo un utilizzo fuorviante delle nuove tecnologie, senza, in nessun modo e allo stesso tempo, essere accompagnato da un progresso culturale mirato a far maturare un giusto e responsabile utilizzo delle stesse;
    il mondo virtuale ha trovato sempre più spazio in un contesto dove gli uomini sono sempre più soli e difficilmente riescono a sviluppare relazioni interpersonali;
    la pericolosità del bullismo è data soprattutto dalla pervasività e dalla sua forza trainante in quanto fa leva su alcuni aspetti che caratterizzano sia l'età adolescenziale sia la nostra epoca: un generalizzato disagio epocale causato dalla perdita di solidi punti di riferimento, la debolezza etica del tessuto sociale, un futuro poco promettente. Questa minaccia pesa sulla scuola mettendo a rischio l'ambiente educativo, ma pesa anche sull'intera società che ne è corresponsabile e che, quindi, ha il dovere di sostenerla in questo difficile impegno;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, le cause di ciò che è accaduto devono essere individuate al fine di comprendere meglio il fenomeno: una sistematica rinuncia ai riferimenti valoriali nell'istituzione scuola, una continua aggressione verso l'istituito della famiglia, la diffusione ideologica di una visione della vita volta a rinnegare le radici culturali e tradizionali del nostro popolo, la continua propaganda del pensiero relativista che ha creato nelle giovani generazioni uno stato di confusione permanente dove diventa dote personale la capacità di distinguere ciò che è bene da ciò che è male;
    il progresso della società moderna è stato viziato dalla rinuncia a quei riferimenti valoriali che rappresentavano le fondamenta di una comunità capace di comprendere l'importanza della tutela dei propri figli quale bene primario;
    il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo va contrastato con energia e con provvedimenti mirati e specifici, volti a sviluppare una giusta modalità di intervento partendo in primo luogo dalla conoscenza del problema e dalla formazione degli educatori;
    la famiglia e la scuola sono certamente i primi ambiti dove i bambini e i giovani possono conoscere il valore e il senso della partecipazione e il rispetto degli altri;
    è doveroso ribadire che al fine di realizzare un sistema che funzioni è necessario che vi sia la tutela dei diritti dei minori ma anche la tutela delle famiglie in cui i minori sono inseriti;
    la frantumazione dell'istituto familiare, in una comunità sempre meno capace di farsi carico della crescita sana dei bambini, è il primo fattore che pone i giovani adolescenti in una condizione di precario equilibrio ed estrema fragilità, rendendoli soggetti a rischio;
    la capacità dei genitori di investire sul futuro dei figli dipende da molti fattori, tra questi il loro stato occupazionale, di salute, il livello di istruzione raggiunto. La possibilità di disporre di competenze e risorse, non solo economiche, è essenziale, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    una società incapace di garantire i diritti dei minori è una società destinata ad implodere. Come insegna Aristotele, una buona politica non afferma principi, ma propone risposte fattibili a problemi concreti;
    è importante promuovere ed incoraggiare la partecipazione dei giovani e valorizzare l'informazione a studenti e famiglie quali strumenti indispensabili allo sviluppo della cittadinanza attiva di tutti e di ciascuno attraverso progetti volti all'elaborazione condivisa del regolamento d'istituto, all'organizzazione delle assemblee di classe e d'istituto, alla partecipazione alla consulta degli studenti e all'educazione al volontariato;
    è necessario riconoscere il ruolo fondamentale della componente studentesca nella vita della scuola e della comunità;
    lo sport rappresenta un fenomeno sociale che ha svolto, ed ancora oggi svolge, un ruolo fondamentale per la formazione individuale e la promozione del benessere fisico e mentale del singolo, con effetti positivi sulle capacità di apprendimento. Lo sport è una delle attività che da sempre ha contribuito a promuovere uno stile di vita positivo, consentendo ai giovani di esprimere le loro inclinazioni e la loro personalità, di sviluppare un'attitudine alla cura del corpo, di promuovere uno spirito partecipativo ed incline alla sana competizione destinato ad agevolare la vita ed il lavoro in gruppo. I valori di onestà e solidarietà impliciti nell'attività sportiva offrono, infatti, uno stimolo fondamentale per prevenire le tendenze disgreganti comuni nella società contemporanea, particolarmente evidenti nel fenomeno del bullismo, favorendo il consolidamento di uno spirito di comunione e fraternità sempre più indispensabile per l'integrazione sociale e culturale e contrastando le devianze della discriminazione e dell'intolleranza;
    tali rilievi trovano specifici riscontri anche a livello internazionale e comunitario, come confermato dalla Dichiarazione sullo sport, adottata dalla Conferenza dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri dell'Unione europea ad Amsterdam, nel 1997, ove si sottolinea la rilevanza sociale dello sport, evidenziando il ruolo che esso assume nel forgiare l'identità e nel ravvicinare le persone. L'Unione europea ha da tempo mostrato una particolare attenzione al tema della funzione educativa e sociale dello sport, con particolare riguardo alle scuole, occupandosi di rendere l'attività sportiva accessibile a tutti, nel rispetto delle aspirazioni e delle capacità di ciascuno e nella diversità delle pratiche agonistiche o amatoriali, organizzate o individuali. È quanto viene previsto dalla relazione sul ruolo dello sport nell'educazione, presentata dalla Commissione per la cultura e l'istruzione al Parlamento europeo il 30 ottobre 2007. Nella relazione, in particolare, si incoraggiano gli Stati membri ad ammodernare e migliorare le loro politiche in materia di educazione fisica, anche attraverso un ampliamento dell'orario scolastico, assicurando un equilibrio tra le attività fisiche ed intellettuali nelle scuole, investendo nelle strutture sportive di qualità, prendendo misure adeguate per rendere accessibili a tutti gli studenti i centri sportivi e i corsi di sport nelle scuole e prestando particolare attenzione ai bisogni degli studenti disabili. Tale impegno deve coinvolgere un'ampia gamma di attività sportive, affinché ogni studente possa avere una vera e propria opportunità di partecipare a varie discipline. Rispetto agli obiettivi indicati come prioritari dall'Unione europea, il nostro Paese vanta una tradizione di primario rilievo nel settore dell'attività sportiva agonistica studentesca, che tuttavia, nell'ultimo decennio, ha subito una radicale interruzione. Il riferimento è agli originari Giochi della gioventù, istituiti 3 settembre 1968 dall'allora Presidente del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) Giulio Onesti, con lo scopo di arginare il diffuso disagio sociale giovanile, creando un momento di interazione all'interno delle scuole attraverso la disciplina sportiva. Uno dei meriti fondamentali ed indiscutibili dei Giochi della Gioventù è stato quello di aver introdotto nell'ambito della scuola una forte sensibilizzazione nei confronti dell'attività sportiva, intesa come mezzo insostituibile nella formazione dei giovani, fin dalla scuola primaria,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa volta a prevenire, ridurre e reprimere con fermezza episodi di bullismo e cyberbullismo, che contempli azioni mirate per ogni ordine e grado di scuola;
   ad attuare una capillare campagna informativa sul fenomeno del bullismo e cyberbullismo e sulla «dipendenza dai social network», mettendo in evidenza i pericoli ad essi connessi;
   a promuovere attività di aggiornamento e formazione dei docenti e di tutto il personale scolastico tecnico-ausiliario nell'azione di educazione alla cittadinanza, di prevenzione del disagio e di contrasto a fenomeni di bullismo e di violenza fisica e psicologica;
   ad attivare una rilevazione ed un monitoraggio permanente del fenomeno e delle attività promosse dalle istituzioni scolastiche, sia singolarmente che in raccordo con altre strutture territoriali, e a relazionare annualmente al Parlamento;
   a sostenere il ruolo fondamentale della componente studentesca nella vita della scuola e della comunità;
   a promuovere, d'intesa con le forze dell'ordine e le associazioni a tutela dell'infanzia, protocolli di modelli comportamentali;
   ad assumere iniziative per introdurre un sistema sanzionatorio nei confronti di quanti, istituzionalmente deputati alla presa in carico dei minori, omettano di denunciare fenomeni di bullismo o comunque assumano comportamenti conniventi;
   a migliorare e ampliare le politiche in materia di educazione fisica, assicurando un equilibrio tra le attività fisiche ed intellettuali nelle scuole, investendo nelle strutture sportive di qualità, prendendo misure adeguate per rendere accessibili a tutti gli studenti i centri sportivi e i corsi di sport nelle scuole e prestando particolare attenzione ai bisogni degli studenti disabili.
(1-01257) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi tempi si nota un incremento generale di atti violenti e intimidatori, denominati dal termine inglese « bulling», atti di bullismo, nelle scuole di tutto il Paese, che sono sfociati anche in tentati omicidi, suicidi e problemi psicologici semi irreversibili da parte di chi li subisce. Un fenomeno che non può essere considerato come semplice bolla mediatica. Pari al 49,9 per cento del totale, difatti, risulta la quota di famiglie che segnala il verificarsi di prepotenze di diverso tipo (verbale, fisico, psicologico) all'interno delle classi frequentate dai propri figli, con una diffusione che risulta elevata in tutti gli ordini di scuola, e particolarmente nella scuola secondaria inferiore dove raggiunge il 59,0 per cento delle classi. La frequenza delle segnalazioni è invece la stessa nelle quattro aree geografiche maggiori (si va da un massimo del 50,8 per cento al Nord ovest, ad un minimo del 48,3 per cento al Nord est) e nei diversi centri abitati, con una leggera flessione nelle aree urbane di dimensione mediogrande (nella città che hanno tra i 100 ed i 250.000 abitanti le famiglie che segnalano sono il 43,7 per cento del totale);
    questo fenomeno, inoltre, non può essere più slegato da quello denominato cyberbullismo o bullismo informatico;
    il progresso tecnologico degli ultimi anni in relazione al fenomeno del mercantilismo radicale ha imposto nella società del consumo un utilizzo fuorviante delle nuove tecnologie, senza, in nessun modo e allo stesso tempo, essere accompagnato da un progresso culturale mirato a far maturare un giusto e responsabile utilizzo delle stesse;
    il mondo virtuale ha trovato sempre più spazio in un contesto dove gli uomini sono sempre più soli e difficilmente riescono a sviluppare relazioni interpersonali;
    la pericolosità del bullismo è data soprattutto dalla pervasività e dalla sua forza trainante in quanto fa leva su alcuni aspetti che caratterizzano sia l'età adolescenziale sia la nostra epoca: un generalizzato disagio epocale causato dalla perdita di solidi punti di riferimento, la debolezza etica del tessuto sociale, un futuro poco promettente. Questa minaccia pesa sulla scuola mettendo a rischio l'ambiente educativo, ma pesa anche sull'intera società che ne è corresponsabile e che, quindi, ha il dovere di sostenerla in questo difficile impegno;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, le cause di ciò che è accaduto devono essere individuate al fine di comprendere meglio il fenomeno: una sistematica rinuncia ai riferimenti valoriali nell'istituzione scuola, una continua aggressione verso l'istituito della famiglia, la diffusione ideologica di una visione della vita volta a rinnegare le radici culturali e tradizionali del nostro popolo, la continua propaganda del pensiero relativista che ha creato nelle giovani generazioni uno stato di confusione permanente dove diventa dote personale la capacità di distinguere ciò che è bene da ciò che è male;
    il progresso della società moderna è stato viziato dalla rinuncia a quei riferimenti valoriali che rappresentavano le fondamenta di una comunità capace di comprendere l'importanza della tutela dei propri figli quale bene primario;
    il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo va contrastato con energia e con provvedimenti mirati e specifici, volti a sviluppare una giusta modalità di intervento partendo in primo luogo dalla conoscenza del problema e dalla formazione degli educatori;
    la famiglia e la scuola sono certamente i primi ambiti dove i bambini e i giovani possono conoscere il valore e il senso della partecipazione e il rispetto degli altri;
    è doveroso ribadire che al fine di realizzare un sistema che funzioni è necessario che vi sia la tutela dei diritti dei minori ma anche la tutela delle famiglie in cui i minori sono inseriti;
    la frantumazione dell'istituto familiare, in una comunità sempre meno capace di farsi carico della crescita sana dei bambini, è il primo fattore che pone i giovani adolescenti in una condizione di precario equilibrio ed estrema fragilità, rendendoli soggetti a rischio;
    la capacità dei genitori di investire sul futuro dei figli dipende da molti fattori, tra questi il loro stato occupazionale, di salute, il livello di istruzione raggiunto. La possibilità di disporre di competenze e risorse, non solo economiche, è essenziale, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    una società incapace di garantire i diritti dei minori è una società destinata ad implodere. Come insegna Aristotele, una buona politica non afferma principi, ma propone risposte fattibili a problemi concreti;
    è importante promuovere ed incoraggiare la partecipazione dei giovani e valorizzare l'informazione a studenti e famiglie quali strumenti indispensabili allo sviluppo della cittadinanza attiva di tutti e di ciascuno attraverso progetti volti all'elaborazione condivisa del regolamento d'istituto, all'organizzazione delle assemblee di classe e d'istituto, alla partecipazione alla consulta degli studenti e all'educazione al volontariato;
    è necessario riconoscere il ruolo fondamentale della componente studentesca nella vita della scuola e della comunità;
    lo sport rappresenta un fenomeno sociale che ha svolto, ed ancora oggi svolge, un ruolo fondamentale per la formazione individuale e la promozione del benessere fisico e mentale del singolo, con effetti positivi sulle capacità di apprendimento. Lo sport è una delle attività che da sempre ha contribuito a promuovere uno stile di vita positivo, consentendo ai giovani di esprimere le loro inclinazioni e la loro personalità, di sviluppare un'attitudine alla cura del corpo, di promuovere uno spirito partecipativo ed incline alla sana competizione destinato ad agevolare la vita ed il lavoro in gruppo. I valori di onestà e solidarietà impliciti nell'attività sportiva offrono, infatti, uno stimolo fondamentale per prevenire le tendenze disgreganti comuni nella società contemporanea, particolarmente evidenti nel fenomeno del bullismo, favorendo il consolidamento di uno spirito di comunione e fraternità sempre più indispensabile per l'integrazione sociale e culturale e contrastando le devianze della discriminazione e dell'intolleranza;
    tali rilievi trovano specifici riscontri anche a livello internazionale e comunitario, come confermato dalla Dichiarazione sullo sport, adottata dalla Conferenza dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri dell'Unione europea ad Amsterdam, nel 1997, ove si sottolinea la rilevanza sociale dello sport, evidenziando il ruolo che esso assume nel forgiare l'identità e nel ravvicinare le persone. L'Unione europea ha da tempo mostrato una particolare attenzione al tema della funzione educativa e sociale dello sport, con particolare riguardo alle scuole, occupandosi di rendere l'attività sportiva accessibile a tutti, nel rispetto delle aspirazioni e delle capacità di ciascuno e nella diversità delle pratiche agonistiche o amatoriali, organizzate o individuali. È quanto viene previsto dalla relazione sul ruolo dello sport nell'educazione, presentata dalla Commissione per la cultura e l'istruzione al Parlamento europeo il 30 ottobre 2007. Nella relazione, in particolare, si incoraggiano gli Stati membri ad ammodernare e migliorare le loro politiche in materia di educazione fisica, anche attraverso un ampliamento dell'orario scolastico, assicurando un equilibrio tra le attività fisiche ed intellettuali nelle scuole, investendo nelle strutture sportive di qualità, prendendo misure adeguate per rendere accessibili a tutti gli studenti i centri sportivi e i corsi di sport nelle scuole e prestando particolare attenzione ai bisogni degli studenti disabili. Tale impegno deve coinvolgere un'ampia gamma di attività sportive, affinché ogni studente possa avere una vera e propria opportunità di partecipare a varie discipline. Rispetto agli obiettivi indicati come prioritari dall'Unione europea, il nostro Paese vanta una tradizione di primario rilievo nel settore dell'attività sportiva agonistica studentesca, che tuttavia, nell'ultimo decennio, ha subito una radicale interruzione. Il riferimento è agli originari Giochi della gioventù, istituiti 3 settembre 1968 dall'allora Presidente del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) Giulio Onesti, con lo scopo di arginare il diffuso disagio sociale giovanile, creando un momento di interazione all'interno delle scuole attraverso la disciplina sportiva. Uno dei meriti fondamentali ed indiscutibili dei Giochi della Gioventù è stato quello di aver introdotto nell'ambito della scuola una forte sensibilizzazione nei confronti dell'attività sportiva, intesa come mezzo insostituibile nella formazione dei giovani, fin dalla scuola primaria,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa volta a prevenire, ridurre e reprimere con fermezza episodi di bullismo e cyberbullismo, che contempli azioni mirate per ogni ordine e grado di scuola;
   ad attuare, nell'ambito delle risorse che si renderanno disponibili, una capillare campagna informativa sul fenomeno del bullismo e cyberbullismo e sulla «dipendenza dai social network», mettendo in evidenza i pericoli ad essi connessi;
   a promuovere, nell'ambito delle risorse che si renderanno disponibili, attività di aggiornamento e formazione dei docenti e di tutto il personale scolastico tecnico-ausiliario nell'azione di educazione alla cittadinanza, di prevenzione del disagio e di contrasto a fenomeni di bullismo e di violenza fisica e psicologica;
   ad attivare, nell'ambito delle risorse umane e finanziarie disponibili, una rilevazione ed un monitoraggio permanente del fenomeno e delle attività promosse dalle istituzioni scolastiche, sia singolarmente che in raccordo con altre strutture territoriali, e a relazionare annualmente al Parlamento;
   a sostenere il ruolo fondamentale della componente studentesca nella vita della scuola e della comunità;
   a promuovere, d'intesa con le forze dell'ordine e le associazioni a tutela dell'infanzia, protocolli di modelli comportamentali per prevenire e contrastare qualsiasi forma di violenza e sopraffazione dei minori;
   a migliorare e ampliare, nell'ambito delle risorse disponibili, le politiche in materia di educazione fisica, motoria e sportiva, assicurando un equilibrio tra le attività fisiche e didattiche nelle scuole, investendo, nell'ambito delle risorse disponibili, nelle strutture sportive di qualità, prendendo misure adeguate per rendere accessibili a tutti gli studenti le strutture e i centri sportivi presenti sul territorio, promuovendo corsi e attività nelle scuole sia in orario scolastico che extrascolastico, prestando particolare attenzione ai bisogni degli studenti con disabilità.
(1-01257)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il bullismo non è un fenomeno recente, ma esiste da generazioni e in varie forme e consiste nell'esporre ripetutamente e continuamente, ad azioni negative da parte di una o più persone consistente nell'infliggere intenzionalmente danni o sofferenze ad un'altra, attraverso contatto fisico, parole o in altri modi (Olweus, 1993). Questo include bullismo fisico (esempio spingere, colpire, calciare), bullismo psicologico (esempio diffondere pettegolezzi falsi), bullismo verbale (esempio ingiurie e molestie verbali), bullismo cibernetico, bullismo razziale e bullismo sessuale;
    sebbene nella maggior parte dei casi il bullismo avvenga durante gli anni scolastici, implica reali conseguenze a lungo termine, sia per la vittima che per chi compie l'atto di bullismo procurando una ferita permanente sia emotiva che psicologica che fisica sia sulle vittime che sui bulli a volte per il resto delle loro vite;
    sono stati attuati vari e importanti progetti riguardo il bullismo a livello europeo e l'unica iniziativa che ha coinvolto 17 partner provenienti da 12 stati membri dell'Unione europea con un'importante esperienza nel campo è il progetto EAN che fornisce un approccio unificato europeo e, finanziato dal Programma DAPHNE III della Commissione europea, si pone come obiettivo la creazione di strumenti di intervento e una politica comune europea contro il bullismo;
    in Italia, la direttiva ministeriale n. 16/2007 sulle linee guida generali e le misure a livello nazionale per la prevenzione e la lotta contro il bullismo («Linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo») ha introdotto la Campagna nazionale contro il bullismo (2007) includendo tra i suoi obiettivi: a) registrare e studiare la violenza scolastica e il bullismo, b) sviluppare strategie generali a livello nazionale per la prevenzione e la lotta contro il bullismo, c) fornire informazioni utili per la prevenzione alla lotta al bullismo, d) coordinare e facilitare gli interventi mirati a livello locale;
    ogni regione ha il suo osservatorio, composto da personale accademico, membri scolastici, autorità locali e società civile (ad esempio associazioni per la promozione sociale, genitori) e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca finanzia e supervisiona la campagna ed è, in cooperazione con i consigli scolastici regionali, responsabile della sua attuazione;
    in generale, la campagna comprende diverse misure e azioni, che includono un numero verde e un indirizzo email per poter dare informazioni e consigli per ricevere resoconti sui casi di bullismo; inoltre il sito web www.smontailbullo.it fornisce strumenti e suggerimenti per gestire il bullismo, nonché un'estesa bibliografia e filmografia sull'argomento al quale si aggiungono gli osservatori regionali permanenti sul bullismo inseriti nel sistema dei Consigli regionali scolastici;
    esistono altri progetti regionali, nazionali e europei e iniziative per la prevenzione e la lotta al bullismo (ad esempio, la conferenza nazionale «Irretiti-impigliati nella rete» sul cyberbullismo; il progetto nazionale «Safer internet-connected generations»; il progetto europeo TabbyThreat Assessment of Bullying Behavior) le cui attività sono supervisionate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dagli osservatori regionali e finanziate dal dipartimento nazionale dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dai consigli scolastici regionali e dalle comunità scolastiche e dagli esperti sparsi sul territorio nazionale;
    alcuni dei resoconti regionali sul bullismo sono stati pubblicati dagli osservatori regionali permanenti, sulla base di dati statistici e di altri resoconti sull'evoluzione del fenomeno non riscontrando analisi ufficiali sui problemi e su eventuali ostacoli; i programmi hanno avuto come esito la soddisfazione dei partecipanti oltre che l'efficacia del metodo, la competenza del trainer, la conoscenza acquisita, il cambiamento di comportamento nei confronti dei trainer/insegnanti e bambini/studenti, e la prontezza ad affrontare possibili episodi di bullismo. Inoltre, diversi sforzi di divulgazione sono stati fatti, come la circolare ministeriale mandata a tutti i consigli regionali scolastici, al Ministro dell'interno, alle autorità locali e regionali; il sito web; manifesti, volantini e libretti; realizzazione di specifici programmi tv e video con il supporto di Rai Educational (sezione del canale televisivo pubblico nazionale dedicato alla scuola e all'istruzione); la campagna nazionale contro il bullismo a prima politica generale e sistematica sulla prevenzione e la lotta contro il bullismo e la violenza tra gli studenti in Italia;
    le misure adottate vengono coordinate a livello nazionale con una mappatura e una coordinazione dei progetti regionali e delle iniziative effettuata attraverso gli Osservatori regionali permanenti, mentre i servizi forniti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le scuole, gli insegnanti, gli studenti e le famiglie sono tutte attivamente coinvolti in uno sforzo di cooperazione concertato. La campagna ha ricevuto molta pubblicità sul sito web e grazie al coinvolgimento dei media e, a livello di ricerca, sono stati raccolti tre studi nazionali sull'Italia: il primo (Arcigay, 2010) è stato il primo caso di indagine sul bullismo omofobico in Italia, effettuato su un campione di scuole divise per tipologia e territorio mentre sono stati eseguiti altri due tipi di ricerca, una qualitativa, che ha investigato le forme del bullismo omofobico vissuto dalle vittime, EAN Strategy Position ricavandone una serie di episodi, e una quantitativa, che ha identificato la diffusione dell'omofobia nelle scuole italiane usando un questionario. La ricerca qualitativa ha messo in luce la severità e la specificità agli episodi di aggressione omofobica. Nella stragrande maggioranza dei casi riportati gli incidenti subiscono un calo quando inseriti in una continua serie di attacchi. La ricerca quantitativa mostra che la maggior parte degli studenti sono esposti ad atti di bullismo omofobico verbale;
    un altro studio (Ipsos e Save the Children, 013) si è concentrato sul cyberbullismo, un report originale, basato sui risultati di 810 colloqui (CAWI Computer Assisted Web Interviewing) effettuati su adolescenti e pre-adolescenti (12-17 anni) che è stato distribuito in base a varianti socio demografiche;
    nella delicata età tra i 12 e i 17 anni, ragazzi e ragazze sono particolarmente sensibili alle pressioni esterne, che comprendono la centralità dell'apparenza fisica proposta dai media e la volontà dei genitori nello spingerli sin da subito verso un'identità di genere. Nella schiacciante maggioranza dei casi, i giovani esprimono «solidarietà» verso le persone perseguitate e negano ogni possibile responsabilità dell'individuo perseguitato per la condizione in cui si trova (88 per cento, l'individuo non lo merita). I social network sono il modo preferito di attaccare da parte dei cyber bulli (61 per cento), i quali in genere perseguitano la vittima attraverso la diffusione di foto e immagini denigratorie (59 per cento) o creando gruppi «contro di lui/lei» (57 per cento) Il terzo studio (Università degli Studi di Sassari, 2012) ha esaminato la giustizia rafforzativa come strumento per l'inclusione sociale e il modello per occuparsi del bullismo;
    i membri dello staff che hanno partecipato alla ricerca hanno riferito che gli incidenti di bullismo posso principalmente verificarsi quando, in un gruppo di studenti, qualcuno è percepito come più debole (fisicamente, verbalmente e psicologicamente) agli atti di bullismo sono intenzionali e ripetuti o anche nel caso in cui i dispetti, le battute, gli insulti o gli attacchi siano particolarmente pesanti. In più, in linea con i problemi che gli studenti esprimono secondo i loro insegnanti, gli obiettivi degli interventi sono stati principalmente la promozione del rispetto per le regole, la coesistenza democratica e l'ascolto. Infine, per quanto riguarda la valutazione sull'efficacia delle azioni proposte, i soggetti coinvolti nella ricerca hanno dichiarato di non sentirsi in grado di gestire efficacemente il fenomeno utilizzando i mezzi ordinari e hanno quindi proposto come soluzione utile il miglioramento della cooperazione non solo tra le parti interne delle scuole ma anche con altri soggetti, in una logica di collaborazione fra diversi enti;
    è stata fortemente enfatizzata la necessità di condurre una formazione sull'argomento, specialmente in relazione alla promozione di misure per prevenire e combattere bullismo, ponendo particolare attenzione nell'approfondire le tecniche di risoluzione estendendo tale formazione non solo allo staff di insegnamento ma anche alle famiglie, finora considerate marginali tra i beneficiari delle azioni intraprese,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative finalizzate a contrastare efficacemente il fenomeno del bullismo promuovendo:
    a) l'accrescimento della conoscenza del problema e la partecipazione dei bambini creando una rete europea anti bullismo;
    b) l'assistenza alle organizzazioni non governative e alle altre organizzazioni attive in questo campo;
    c) lo sviluppo e la realizzazione delle azioni di sensibilizzazione mirate;
    d) la diffusione dei risultati ottenuti;
    e) l'identificazione e lo sviluppo azioni che contribuiscano ad un trattamento positivo delle persone a rischio di violenza;
    f) l'impostazione e il sostegno di reti multidisciplinari;
    g) ideazione dei materiali educativi e di sensibilizzazione, integrando e adattando quelli già disponibili;
    h) lo studio di fenomeni legati alla violenza e al suo impatto;
    i) programmi di sostegno per le vittime e per chi compie violenza, con l'introduzione di percorsi di rieducazione nei confronti di questi ultimi, anche mediante attività didattiche volte alla prevenzione e alla conoscenza del fenomeno del bullismo;
    j) percorsi di aggiornamento e di formazione dei docenti presso le scuole.
(1-01258) «Bechis, Artini, Baldassarre, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».


   La Camera,
   premesso che:
    il bullismo non è un fenomeno recente, ma esiste da generazioni e in varie forme e consiste nell'esporre ripetutamente e continuamente, ad azioni negative da parte di una o più persone consistente nell'infliggere intenzionalmente danni o sofferenze ad un'altra, attraverso contatto fisico, parole o in altri modi (Olweus, 1993). Questo include bullismo fisico (esempio spingere, colpire, calciare), bullismo psicologico (esempio diffondere pettegolezzi falsi), bullismo verbale (esempio ingiurie e molestie verbali), bullismo cibernetico, bullismo razziale e bullismo sessuale;
    sebbene nella maggior parte dei casi il bullismo avvenga durante gli anni scolastici, implica reali conseguenze a lungo termine, sia per la vittima che per chi compie l'atto di bullismo procurando una ferita permanente sia emotiva che psicologica che fisica sia sulle vittime che sui bulli a volte per il resto delle loro vite;
    sono stati attuati vari e importanti progetti riguardo il bullismo a livello europeo e l'unica iniziativa che ha coinvolto 17 partner provenienti da 12 stati membri dell'Unione europea con un'importante esperienza nel campo è il progetto EAN che fornisce un approccio unificato europeo e, finanziato dal Programma DAPHNE III della Commissione europea, si pone come obiettivo la creazione di strumenti di intervento e una politica comune europea contro il bullismo;
    in Italia, la direttiva ministeriale n. 16/2007 sulle linee guida generali e le misure a livello nazionale per la prevenzione e la lotta contro il bullismo («Linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo») ha introdotto la Campagna nazionale contro il bullismo (2007) includendo tra i suoi obiettivi: a) registrare e studiare la violenza scolastica e il bullismo, b) sviluppare strategie generali a livello nazionale per la prevenzione e la lotta contro il bullismo, c) fornire informazioni utili per la prevenzione alla lotta al bullismo, d) coordinare e facilitare gli interventi mirati a livello locale;
    ogni regione ha il suo osservatorio, composto da personale accademico, membri scolastici, autorità locali e società civile (ad esempio associazioni per la promozione sociale, genitori) e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca finanzia e supervisiona la campagna ed è, in cooperazione con i consigli scolastici regionali, responsabile della sua attuazione;
    in generale, la campagna comprende diverse misure e azioni, che includono un numero verde e un indirizzo email per poter dare informazioni e consigli per ricevere resoconti sui casi di bullismo; inoltre il sito web www.smontailbullo.it fornisce strumenti e suggerimenti per gestire il bullismo, nonché un'estesa bibliografia e filmografia sull'argomento al quale si aggiungono gli osservatori regionali permanenti sul bullismo inseriti nel sistema dei Consigli regionali scolastici;
    esistono altri progetti regionali, nazionali e europei e iniziative per la prevenzione e la lotta al bullismo (ad esempio, la conferenza nazionale «Irretiti-impigliati nella rete» sul cyberbullismo; il progetto nazionale «Safer internet-connected generations»; il progetto europeo TabbyThreat Assessment of Bullying Behavior) le cui attività sono supervisionate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dagli osservatori regionali e finanziate dal dipartimento nazionale dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dai consigli scolastici regionali e dalle comunità scolastiche e dagli esperti sparsi sul territorio nazionale;
    alcuni dei resoconti regionali sul bullismo sono stati pubblicati dagli osservatori regionali permanenti, sulla base di dati statistici e di altri resoconti sull'evoluzione del fenomeno non riscontrando analisi ufficiali sui problemi e su eventuali ostacoli; i programmi hanno avuto come esito la soddisfazione dei partecipanti oltre che l'efficacia del metodo, la competenza del trainer, la conoscenza acquisita, il cambiamento di comportamento nei confronti dei trainer/insegnanti e bambini/studenti, e la prontezza ad affrontare possibili episodi di bullismo. Inoltre, diversi sforzi di divulgazione sono stati fatti, come la circolare ministeriale mandata a tutti i consigli regionali scolastici, al Ministro dell'interno, alle autorità locali e regionali; il sito web; manifesti, volantini e libretti; realizzazione di specifici programmi tv e video con il supporto di Rai Educational (sezione del canale televisivo pubblico nazionale dedicato alla scuola e all'istruzione); la campagna nazionale contro il bullismo a prima politica generale e sistematica sulla prevenzione e la lotta contro il bullismo e la violenza tra gli studenti in Italia;
    le misure adottate vengono coordinate a livello nazionale con una mappatura e una coordinazione dei progetti regionali e delle iniziative effettuata attraverso gli Osservatori regionali permanenti, mentre i servizi forniti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le scuole, gli insegnanti, gli studenti e le famiglie sono tutte attivamente coinvolti in uno sforzo di cooperazione concertato. La campagna ha ricevuto molta pubblicità sul sito web e grazie al coinvolgimento dei media e, a livello di ricerca, sono stati raccolti tre studi nazionali sull'Italia: il primo (Arcigay, 2010) è stato il primo caso di indagine sul bullismo omofobico in Italia, effettuato su un campione di scuole divise per tipologia e territorio mentre sono stati eseguiti altri due tipi di ricerca, una qualitativa, che ha investigato le forme del bullismo omofobico vissuto dalle vittime, EAN Strategy Position ricavandone una serie di episodi, e una quantitativa, che ha identificato la diffusione dell'omofobia nelle scuole italiane usando un questionario. La ricerca qualitativa ha messo in luce la severità e la specificità agli episodi di aggressione omofobica. Nella stragrande maggioranza dei casi riportati gli incidenti subiscono un calo quando inseriti in una continua serie di attacchi. La ricerca quantitativa mostra che la maggior parte degli studenti sono esposti ad atti di bullismo omofobico verbale;
    un altro studio (Ipsos e Save the Children, 013) si è concentrato sul cyberbullismo, un report originale, basato sui risultati di 810 colloqui (CAWI Computer Assisted Web Interviewing) effettuati su adolescenti e pre-adolescenti (12-17 anni) che è stato distribuito in base a varianti socio demografiche;
    nella delicata età tra i 12 e i 17 anni, ragazzi e ragazze sono particolarmente sensibili alle pressioni esterne, che comprendono la centralità dell'apparenza fisica proposta dai media e la volontà dei genitori nello spingerli sin da subito verso un'identità di genere. Nella schiacciante maggioranza dei casi, i giovani esprimono «solidarietà» verso le persone perseguitate e negano ogni possibile responsabilità dell'individuo perseguitato per la condizione in cui si trova (88 per cento, l'individuo non lo merita). I social network sono il modo preferito di attaccare da parte dei cyber bulli (61 per cento), i quali in genere perseguitano la vittima attraverso la diffusione di foto e immagini denigratorie (59 per cento) o creando gruppi «contro di lui/lei» (57 per cento) Il terzo studio (Università degli Studi di Sassari, 2012) ha esaminato la giustizia rafforzativa come strumento per l'inclusione sociale e il modello per occuparsi del bullismo;
    i membri dello staff che hanno partecipato alla ricerca hanno riferito che gli incidenti di bullismo posso principalmente verificarsi quando, in un gruppo di studenti, qualcuno è percepito come più debole (fisicamente, verbalmente e psicologicamente) agli atti di bullismo sono intenzionali e ripetuti o anche nel caso in cui i dispetti, le battute, gli insulti o gli attacchi siano particolarmente pesanti. In più, in linea con i problemi che gli studenti esprimono secondo i loro insegnanti, gli obiettivi degli interventi sono stati principalmente la promozione del rispetto per le regole, la coesistenza democratica e l'ascolto. Infine, per quanto riguarda la valutazione sull'efficacia delle azioni proposte, i soggetti coinvolti nella ricerca hanno dichiarato di non sentirsi in grado di gestire efficacemente il fenomeno utilizzando i mezzi ordinari e hanno quindi proposto come soluzione utile il miglioramento della cooperazione non solo tra le parti interne delle scuole ma anche con altri soggetti, in una logica di collaborazione fra diversi enti;
    è stata fortemente enfatizzata la necessità di condurre una formazione sull'argomento, specialmente in relazione alla promozione di misure per prevenire e combattere bullismo, ponendo particolare attenzione nell'approfondire le tecniche di risoluzione estendendo tale formazione non solo allo staff di insegnamento ma anche alle famiglie, finora considerate marginali tra i beneficiari delle azioni intraprese,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative finalizzate a contrastare efficacemente il fenomeno del bullismo promuovendo:
    a) l'accrescimento della conoscenza del problema e la partecipazione dei bambini creando una rete europea anti bullismo;
    b) la collaborazione con le organizzazioni non governative e le altre organizzazioni attive in questo campo;
    c) lo sviluppo e la realizzazione delle azioni di sensibilizzazione mirate;
    d) la diffusione dei risultati ottenuti;
    e) lo sviluppo di azioni che contribuiscano ad incrementare atteggiamenti positivi nelle persone a rischio di violenza;
    f) il sostegno alla creazione di reti multidisciplinari per il contrasto al bullismo e al cyberbullismo;
    g) ideazione dei materiali educativi e di sensibilizzazione, integrando e adattando quelli già disponibili;
    h) lo studio di fenomeni legati alla violenza e al suo impatto;
    i) programmi di sostegno per le vittime e per chi compie violenza, con l'introduzione di percorsi di rieducazione nei confronti di questi ultimi, anche mediante attività didattiche volte alla prevenzione e alla conoscenza del fenomeno del bullismo;
    j) percorsi di aggiornamento e di formazione dei docenti presso le scuole, nell'ambito delle risorse disponibili.
(1-01258)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Bechis, Artini, Baldassarre, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».


   La Camera,
   premesso che:
    con il termine «bullismo» si intendono quei comportamenti aggressivi ed offensivi che una o più persone mettono in atto ai danni di una o più persone allo scopo di esercitare un dominio sulla vittima;
    la cronaca recente riporta che nel nostro Paese, purtroppo, in maniera sempre più frequente si verificano episodi di bullismo con vessazioni e violenze fisiche, verbali e psicologiche ai danni di soggetti deboli o di «categorie» come «diverse»;
    secondo una recente ricerca del Censis e della polizia postale, è in forte crescita il fenomeno del cyber-bullismo: infatti, in metà delle scuole italiane prese in esame sono avvenuti fenomeni di bullismo attraverso la rete;
    si registra l'impotenza dei genitori, incapaci di difendere i loro figli dalle minacce e dai rischi provocati dalla rete;
    negli ultimi mesi si sono verificati a Torino, Lecce, Pordenone, Monza episodi bravissimi di bullismo;
    a questi episodi se ne devono aggiungere altri non scoperti e denunciati, nonché i fenomeni crescenti legati a condotte vessatorie nei confronti di giovani, come cyber-bullismo ed altri usi impropri di strumenti di comunicazione;
    il bullismo è un problema serio e sempre più diffuso che coinvolge scuola, famiglia, organizzazioni giovanili;
    il fenomeno del bullismo e del cyber-bullismo va contrastato con provvedimenti mirati e specifici, volti a sviluppare un'appropriata modalità di intervento partendo in primo luogo dalla conoscenza del problema e dalla formazione degli educatori,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni utile iniziativa per prevenire, ridurre e reprimere con fermezza episodi di bullismo e cyber-bullismo con progetti educativi mirati per ogni ordine e grado di scuola;
   a predisporre una campagna informativa sul fenomeno del bullismo e cyber-bullismo e sulla «dipendenza dai social network» evidenziandone i possibili pericoli;
   a promuovere iniziative di aggiornamento e formazione del corpo docente delle scuole, al fine di facilitare la prevenzione di atti di bullismo e l'individuazione dei colpevoli;
   a predisporre presso le scuole dei punti di ascolto per intercettare ed offrire assistenza agli studenti vittime di episodi di violenza e di bullismo;
   ad assumere iniziative per introdurre misure sanzionatorie nei confronti di quanti, istituzionalmente deputati alla vigilanza e tutela dei minori, non denuncino o comunque consentano fenomeni di bullismo.
(1-01259) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    con il termine «bullismo» si intendono quei comportamenti aggressivi ed offensivi che una o più persone mettono in atto ai danni di una o più persone allo scopo di esercitare un dominio sulla vittima;
    la cronaca recente riporta che nel nostro Paese, purtroppo, in maniera sempre più frequente si verificano episodi di bullismo con vessazioni e violenze fisiche, verbali e psicologiche ai danni di soggetti deboli o di «categorie» come «diverse»;
    secondo una recente ricerca del Censis e della polizia postale, è in forte crescita il fenomeno del cyber-bullismo: infatti, in metà delle scuole italiane prese in esame sono avvenuti fenomeni di bullismo attraverso la rete;
    si registra l'impotenza dei genitori, incapaci di difendere i loro figli dalle minacce e dai rischi provocati dalla rete;
    negli ultimi mesi si sono verificati a Torino, Lecce, Pordenone, Monza episodi bravissimi di bullismo;
    a questi episodi se ne devono aggiungere altri non scoperti e denunciati, nonché i fenomeni crescenti legati a condotte vessatorie nei confronti di giovani, come cyber-bullismo ed altri usi impropri di strumenti di comunicazione;
    il bullismo è un problema serio e sempre più diffuso che coinvolge scuola, famiglia, organizzazioni giovanili;
    il fenomeno del bullismo e del cyber-bullismo va contrastato con provvedimenti mirati e specifici, volti a sviluppare un'appropriata modalità di intervento partendo in primo luogo dalla conoscenza del problema e dalla formazione degli educatori,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni utile iniziativa per prevenire, ridurre e reprimere con fermezza episodi di bullismo e cyber-bullismo con progetti educativi mirati per ogni ordine e grado di scuola;
   a predisporre una campagna informativa, nell'ambito delle risorse che si renderanno disponibili, sul fenomeno del bullismo e cyber-bullismo e sulla «dipendenza dai social network» evidenziandone i possibili pericoli;
   a promuovere, nell'ambito delle risorse che si renderanno disponibili, iniziative di aggiornamento e formazione del corpo docente delle scuole, al fine di facilitare la prevenzione di atti di bullismo;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per attivare presso le scuole dei punti di ascolto per intercettare ed offrire assistenza agli studenti vittime di episodi di violenza e di bullismo.
(1-01259)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    per bullismo s'intendono quei comportamenti, fatti e azioni compiuti da minorenni a danno di altri minorenni; questi atti non si configurano obbligatoriamente come reati penali, ma offendono duramente la sensibilità e la dignità del minore vessato, che si trova posto in situazione di dileggio, marginalizzazione, se non anche di violenza fisica;
    alle già gravissime aggressioni che si registrano con i modi «tradizionali» del bullismo, si sono aggiunte quelle condotte con le tecnologie digitali;
    a differenza del bullismo, infatti, il cyberbullismo consente di aggredire una persona in modo indiretto, senza contatto fisico, arrecando offese tramite il mondo virtuale;
    si tratta, però, di offese che hanno pesanti ricadute nel mondo reale. La vittima, infatti, subisce l'aggressione esattamente come se fosse stato assalito fisicamente;
    secondo una ricerca Ipsos del 2014 quasi il 70 per cento dei giovani percepisce il «cyberbullismo» come la principale minaccia in rete e il 35 per cento ne ha avuto esperienza diretta o indiretta;
    il nuovo fenomeno di bullismo è definito dai giuristi anglofoni cyberbullying, mentre esiste una definizione più generale, quella di hate speech (discorso d'odio) utilizzato dalle autorità europee a partire dalla raccomandazione n. (97) sull’hate speech del 30 ottobre 1997 del Consiglio dei ministri del Consiglio d'Europa: «Tutte le forme d'espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l'odio razziale, la xenofobia, l'antisemitismo o altre forme di odio basate sull'intolleranza, tra cui l'intolleranza espressa in forma di nazionalismo aggressivo o di etnocentrismo, discriminazione e l'ostilità contro le minoranze, i migranti, e le persone di origine immigrata»;
    questo hate speech è, purtroppo, molto diffuso in rete e spesso coincide con forme di bullismo in ambiente digitale di minori nei confronti di coetanei;
    naturalmente i due termini non sono sovrapponibili completamente, ma appare evidente come, almeno a livello preventivo, tutti possano essere inclusi nei comportamenti scorretti in rete a fronte dei quali è chiamato in causa l'intervento delle istituzioni, ma ancor di più, una corretta media education;
    sono, quindi, necessari interventi educativi e formativi, ancor più che penali o repressivi;
    le aggressioni si configurano sempre di più come espressione di scarsa o nulla tolleranza nei confronti del «diverso», qualunque sia il significato che si vuol dare a questa parola;
    la vittima, come già ricordato, infatti, è tale perché «diversa» per etnia, religione, caratteri fisici e psichici, genere, natura sessuale e altro; si rende quindi indispensabile lo sviluppo di competenze adeguate che permettano di apprendere a convivere senza violenza e prevaricazione, in uno scambio interculturale;
    quindi, il contrasto al bullismo ed al «cyberbullismo» non può non partire dall'educazione, con il coinvolgimento delle singole istituzioni scolastiche, pur nella loro autonomia;
    in particolare, l'apprendimento di comportamenti responsabili e di rispetto dell'altro non possono essere appresi solo come conoscenza ma come competenze sociali e civiche, in particolare in ambito interculturale;
    per contrastare tali fenomeno sono attualmente in discussione in Parlamento varie proposte di legge;
    il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha pubblicato nell'aprile 2015 le «Linee di orientamento per le azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo»;
    a livello di Consiglio d'Europa si è costituita l'Alleanza parlamentare contro l'intolleranza e il razzismo del Consiglio d'Europa e sono in corso da tempo campagne a livello giovanile contro l’hate speech;
    in alcuni Paesi europei sono state avviate interessanti iniziative tra Ministeri e social network,

impegna il Governo:

   a promuovere iniziative che coinvolgano i gestori delle piattaforme di comunicazione, dei motori di ricerca e dei social network nel monitoraggio e nella prevenzione di comportamenti scorretti e alla rapida rimozione di atti discriminatori e di «hate speech», che costituiscono terreno fertile per ogni forma di bullismo;
   a promuovere le iniziative contro l’hate speech, specificamente volte al contrasto al cyberbullismo, proposte dalle campagne del Consiglio d'Europa e dall'Alleanza parlamentare contro l'intolleranza e il razzismo del Consiglio d'Europa ai fini della prevenzione e del sostegno alle scuole «hate free» che combattono il bullismo, l'odio e l'intolleranza in tutte le sue forme;
   a sostenere, per quanto di competenza, le reti tra università ed enti del terzo settore che studino i comportamenti non conformi tenuti da minori nell'ambito e attraverso i media digitali, e propongano e sperimentino percorsi concreti ed efficaci di educazione preventiva con metodologie integrate;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per modificare, per quanto di competenza, le norme che regolano l'educazione alla cittadinanza nella scuola al fine di fornire agli studenti competenze sociali e civiche utili a gestire le relazioni interculturali.
(1-01263) «Santerini, Baradello, Capelli, Caruso, Fauttilli, Fitzgerald Nissoli, Gigli, Marazziti, Piepoli, Sberna, Tabacci, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    con il termine «bullismo» si qualificano quei comportamenti e quegli atti offensivi o aggressivi che un singolo individuo o più persone mettono in atto, ripetutamente nel tempo, ai danni di una o più persone al fine di umiliarle, marginalizzarle, dileggiarle o ridicolizzarle e, con il termine «cyberbullismo», si intendono gli stessi atti e comportamenti agiti o realizzati con strumenti telematici o informatici, compresi i furti di identità, le manipolazioni e le alterazioni dei dati identitari;
    si tratti di bullismo o di cyberbullismo, le dinamiche sono le stesse: la sistematicità e l'asimmetricità delle persone coinvolte, molto spesso in ragione di una disabilità fisica, del peso corporeo, della religione, del sesso o dell'orientamento sessuale; si tratta di atti che provocano presso le vittime un senso di inadeguatezza e di insicurezza talmente diffuse e profonde che portano queste persone, invece che a chiedere aiuto e protezione, a nascondersi e isolarsi;
    attraverso le nuove tecnologie che permettono agli aggressori di insinuarsi nella vita altrui senza soluzione di continuità e con pervasività ancora maggiore, si sono moltiplicati i mezzi attraverso cui compiere, e quindi poi anche subire, prepotenze o soprusi;
    secondo una recente ricerca europea svolta nel 2013 nell'ambito del progetto Europe Anti-Bullying, quasi il 16 per cento delle ragazze e dei ragazzi italiani sarebbero stati vittime negli ultimi anni di bullismo online o offline;
    una ricerca di Save the Children, svolta in collaborazione con l'Ipsos, ha messo in evidenza che 4 minori su 10 sono testimoni di atti di bullismo verso coetanei, percepiti «diversi» per aspetto fisico (67 per cento), per orientamento sessuale (56 per cento) o perché stranieri (43 per cento), e che le forme più insidiose di bullismo e cyberbullismo si riscontrano proprio tra i minori di quattordici anni, spesso in contesto scolastico;
    tra le iniziative già intraprese per contrastare il bullismo meritano di essere ricordate: l'istituzione di un numero verde riservato a genitori e studenti per la segnalazione dei casi, richieste di informazioni e consigli; la realizzazione del portale internet «smontailbullo.it», che si occupa di inquadrare il fenomeno da un punto di vista psico-sociologico e culturale, fornendo suggerimenti per fronteggiarlo; l'istituzione di osservatori regionali permanenti sul bullismo, attivi presso gli uffici scolastici regionali,

impegna il Governo:

   ad adottare, oltre alle iniziative già attivate e nel rispetto delle direttive europee in materia e nell'ambito del programma pluriennale dell'Unione europea di cui alla decisione 1351/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, ogni altra iniziativa volta a contrastare e prevenire i fenomeni di bullismo e di cyberbullismo, promuovendo campagne di informazione e di sensibilizzazione circa la gravità di tali fenomeni e incoraggiando un uso consapevole, sicuro e responsabile delle tecnologie digitali;
   ad avviare corsi di formazione dei docenti nelle scuole al fine non solo di prevenire bullismo e cyberbullismo, ma anche di intervenire tempestivamente per porvi un limite.
(1-01272) «Marzano, Locatelli, Parisi, Tabacci, Capelli, Bruno, Faenzi, Labriola, Catalano, Nesi, Pastorelli».


   La Camera,
   premesso che:
    con il termine «bullismo» si qualificano quei comportamenti e quegli atti offensivi o aggressivi che un singolo individuo o più persone mettono in atto, ripetutamente nel tempo, ai danni di una o più persone al fine di umiliarle, marginalizzarle, dileggiarle o ridicolizzarle e, con il termine «cyberbullismo», si intendono gli stessi atti e comportamenti agiti o realizzati con strumenti telematici o informatici, compresi i furti di identità, le manipolazioni e le alterazioni dei dati identitari;
    si tratti di bullismo o di cyberbullismo, le dinamiche sono le stesse: la sistematicità e l'asimmetricità delle persone coinvolte, molto spesso in ragione di una disabilità fisica, del peso corporeo, della religione, del sesso o dell'orientamento sessuale; si tratta di atti che provocano presso le vittime un senso di inadeguatezza e di insicurezza talmente diffuse e profonde che portano queste persone, invece che a chiedere aiuto e protezione, a nascondersi e isolarsi;
    attraverso le nuove tecnologie che permettono agli aggressori di insinuarsi nella vita altrui senza soluzione di continuità e con pervasività ancora maggiore, si sono moltiplicati i mezzi attraverso cui compiere, e quindi poi anche subire, prepotenze o soprusi;
    secondo una recente ricerca europea svolta nel 2013 nell'ambito del progetto Europe Anti-Bullying, quasi il 16 per cento delle ragazze e dei ragazzi italiani sarebbero stati vittime negli ultimi anni di bullismo online o offline;
    una ricerca di Save the Children, svolta in collaborazione con l'Ipsos, ha messo in evidenza che 4 minori su 10 sono testimoni di atti di bullismo verso coetanei, percepiti «diversi» per aspetto fisico (67 per cento), per orientamento sessuale (56 per cento) o perché stranieri (43 per cento), e che le forme più insidiose di bullismo e cyberbullismo si riscontrano proprio tra i minori di quattordici anni, spesso in contesto scolastico;
    tra le iniziative già intraprese per contrastare il bullismo meritano di essere ricordate: l'istituzione di un numero verde riservato a genitori e studenti per la segnalazione dei casi, richieste di informazioni e consigli; la realizzazione del portale internet «smontailbullo.it», che si occupa di inquadrare il fenomeno da un punto di vista psico-sociologico e culturale, fornendo suggerimenti per fronteggiarlo; l'istituzione di osservatori regionali permanenti sul bullismo, attivi presso gli uffici scolastici regionali,

impegna il Governo:

   ad adottare, oltre alle iniziative già attivate e nel rispetto delle direttive europee in materia e nell'ambito del programma pluriennale dell'Unione europea di cui alla decisione 1351/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, ogni altra iniziativa volta a contrastare e prevenire i fenomeni di bullismo e di cyberbullismo, promuovendo, nell'ambito delle risorse che si renderanno disponibili, campagne di informazione e di sensibilizzazione circa la gravità di tali fenomeni e incoraggiando un uso consapevole, sicuro e responsabile delle tecnologie digitali;
   ad avviare, nell'ambito delle risorse che si renderanno disponibili, corsi di formazione dei docenti nelle scuole al fine non solo di prevenire bullismo e cyberbullismo, ma anche di intervenire tempestivamente per porvi un limite.
(1-01272)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Marzano, Locatelli, Parisi, Tabacci, Capelli, Bruno, Faenzi, Labriola, Catalano, Nesi, Pastorelli».


   La Camera,
   premesso che:
    il crescente verificarsi di episodi di bullismo fra i giovani e gli adolescenti, confermato da fatti di cronaca sempre più frequenti, che sfociano talvolta anche in esiti drammatici, evidenzia la gravità di un fenomeno che sta assumendo la portata di un rilevante problema sociale;
    nelle scuole pubbliche e private 13 in altri ambienti frequentati dai giovani sempre più spesso si verificano atti vessatori, violenze fisiche o psicologiche, minacce, offese o derisioni da parte di singoli o gruppi di coetanei al fine di intimorire e provocare sentimenti di ansia, isolamento o emarginazione nei confronti di soggetti percepiti come più deboli o additati come diversi in base a pregiudizi discriminatori purtroppo ancora diffusi;
    il fenomeno del bullismo è un disturbo delle relazioni sociali che accomuna vittime e persecutori; una manifestazione di disagio che investe non solo i comportamenti degli autori degli atti persecutori, molte volte inconsapevoli delle conseguenze di tali azioni, ma anche degli stessi spettatori che col loro atteggiamento contribuiscono ad incoraggiarli;
    il fenomeno si è ulteriormente esteso con la diffusione, sempre più massiccia anche fra i giovanissimi, dei dispositivi che consentono l'accesso alla rete internet e l'uso dei social network e della messaggistica via chat, mezzi grazie ai quali immagini o video offensivi o minacciosi vengono diffusi in moda incondizionato e le intimidazioni, le molestie e le derisioni assumono una dimensione virtuale;
    si è coniato il termine « cyberbullismo» per indicare quei ripetuti comportamenti in rete il cui scopo intenzionale e predominante è quello di isolare un minore o un gruppo di minori, ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso o la loro messa in ridicolo, e facendo ragionevolmente temere per la loro sicurezza;
    la psicologia mondiale distingue alcuni comportamenti tipici del cyberbullismo: diffusione di messaggi violenti e volgari mirati a suscitare battaglie verbali online, molestie, spedizione ripetuta di messaggi insultanti mirati a ferire qualcuno, denigrazione verbale, sostituzione di persona, esclusione da un gruppo online, cyberstalking;
    gli atti di buddismo « online» hanno conseguenze ancora più gravi per le vittime, a causa delle stesse caratteristiche della rete internet che consente di diffondere e replicare senza limiti qualsiasi contenuto offensivo, allargando in misura esponenziale il pubblico che assiste all'umiliazione della vittima e la durata della sua esposizione al dileggio;
    l'allarme per la crescente diffusione di episodi di cyberbullismo è confermato dall'indagine condotta nel 2013 da Ipsos per Save the Children fra ragazzi italiani di età compresa fra i 12 e i 17 anni: dalle risposte dei ragazzi emerge che i due terzi degli intervistati percepiscono il cyberbullismo come la principale minaccia, mentre il 38 per cento è convinto che tale fenomeno possa compromettere il rendimento scolastico e il 65 per cento ritiene che esserne vittima faccia perdere la voglia di aggregazione e porti alla depressione;
    recenti tragici fatti di cronaca confermano, di fatto, le impressioni espresse degli stessi ragazzi, evidenziando come il profondo sentimento di isolamento, il calo di autostima, il disagio fisico e psicologico, la depressione e la paura di denunciare quanto subito possano spingere la vittima a comportamenti autolesionistici e nei casi più gravi anche al suicidio;
    la gravità del fenomeno anche da una recente indagine condotta dal Censis in collaborazione con la polizia postale fra oltre 1.700 dirigenti scolastici di scuole medie e superiori: in oltre metà delle scuole oggetto della ricerca risulta infatti che ci siano stati nell'ultimo anno episodi di cyberbullismo, per i quali nel 51 per cento dei casi i capi di istituto si sono dovuti rivolgere alle forze dell'ordine;
    sempre nell'ambito della medesima indagine condotta dal Censis e dalla polizia postale oltre l'80 per cento dei presidi intervistati sostiene che i genitori hanno la tendenza a sottovalutare il fenomeno del bullismo digitale, sminuiscono la gravità degli episodi e in gran parte dei casi li considerano semplici «ragazzate»;
    ancora dall'indagine del Censis risulta che solo il 39 per cento delle scuole italiane attua azioni specifiche di prevenzione e repressione del cyberbullismo, e che solo il 10 per cento degli istituti si è dotato di un vero e proprio programma di monitoraggio attraverso specifici questionari rivolti a studenti e genitori;
    il forte incremento del fenomeno negli ultimi anni e la gravità delle conseguenze che ne derivano rilevano la necessità di uno specifico intervento legislativo, mirato a colmare l'attuale vuoto normativo in materia e finalizzato a contrastare, sanzionare e prevenire il bullismo e il cyberbullismo, con particolare riferimento all'esigenza di tutela dei minori, anche mediante azioni di carattere informativo, formativo ed educativo;
    in questa legislatura sono state molte le iniziative parlamentari in tal senso. In particolare, il Senato ha licenziato un testo di legge che alla Camera è stato unificato con altre proposte il cui iter è in corso presso le commissioni affari sociali e giustizia,

impegna il Governo:

   ad intraprendere ogni possibile iniziativa finalizzata a prevenire e contrastare il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, con particolare riferimento alla tutela dei minori, anche mediante campagne di informazione e sensibilizzazione dell'opinione pubblica;
   a prevedere specifici percorsi di formazione e aggiornamento per la conoscenza del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo rivolti agli insegnanti, nonché agli operatori socio-educativi dei centri di aggregazione giovanile;
   a promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado, coerentemente con gli indirizzi definiti dalla legge n. 107 del 2015, progetti e attività didattiche finalizzate al contrasto del bullismo e del cyberbullismo, nonché all'acquisizione di competenze digitali e di una maggiore consapevolezza nell'utilizzo della rete internet e dei social network;
   ad assumere iniziative per favorire la relazione fra scuola e famiglie al fine di informare e sensibilizzare i genitori sui rischi connessi al fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, nonché sulla necessità di educare i minori ad un uso responsabile della rete internet;
   ad assumere iniziative volte a predisporre misure di sostegno e di assistenza alle vittime, nonché percorsi rieducativi per gli autori di atti di bullismo o cyberbullismo, anche mediante il coinvolgimento dei servizi socio-educati territoriali, delle associazioni e degli altri enti che si occupano di tale fenomeno;
   a realizzare un monitoraggio costante dell'evoluzione del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, anche mediante un sistema di raccolta dati, avvalendosi in particolare della polizia postale e delle comunicazioni;
   a sollecitare i gestori di siti Internet, social network e altre piattaforme telematiche ad adottare adeguati codici di condotta e dotarsi di opportuni strumenti e procedure di controllo dei contenuti pubblicati, al fine di contrastare eventuali episodi di cyberbullismo;
   ad assumere iniziative per porre in essere adeguati strumenti giuridici per favorire l'azione degli inquirenti e della polizia postale nell'ambito di indagini volte alla prevenzione e/o repressione dei casi più gravi di bullismo e cyberbullismo;
   a favorire, alla luce degli impegni di cui sopra e per quanto di competenza, un rapido iter dei progetti di legge, sul contrasto al bullismo e al cyberbullismo.
(1-01274) «Beni, Coscia, Lenzi, Campana, Patriarca, D'Incecco, Miotto, Capone, Piazzoni, Carnevali, Amato, Murer, Piccione, Grassi, Sbrollini, D'Ottavio, Rampi, Narduolo, Ascani, Rocchi, Dallai, Malisani, Manzi, Carocci, Ghizzoni, Blazina, Sgambato, Malpezzi, Antezza, Amoddio, Paola Bragantini».


   La Camera,
   premesso che:
    il crescente verificarsi di episodi di bullismo fra i giovani e gli adolescenti, confermato da fatti di cronaca sempre più frequenti, che sfociano talvolta anche in esiti drammatici, evidenzia la gravità di un fenomeno che sta assumendo la portata di un rilevante problema sociale;
    nelle scuole pubbliche e private 13 in altri ambienti frequentati dai giovani sempre più spesso si verificano atti vessatori, violenze fisiche o psicologiche, minacce, offese o derisioni da parte di singoli o gruppi di coetanei al fine di intimorire e provocare sentimenti di ansia, isolamento o emarginazione nei confronti di soggetti percepiti come più deboli o additati come diversi in base a pregiudizi discriminatori purtroppo ancora diffusi;
    il fenomeno del bullismo è un disturbo delle relazioni sociali che accomuna vittime e persecutori; una manifestazione di disagio che investe non solo i comportamenti degli autori degli atti persecutori, molte volte inconsapevoli delle conseguenze di tali azioni, ma anche degli stessi spettatori che col loro atteggiamento contribuiscono ad incoraggiarli;
    il fenomeno si è ulteriormente esteso con la diffusione, sempre più massiccia anche fra i giovanissimi, dei dispositivi che consentono l'accesso alla rete internet e l'uso dei social network e della messaggistica via chat, mezzi grazie ai quali immagini o video offensivi o minacciosi vengono diffusi in moda incondizionato e le intimidazioni, le molestie e le derisioni assumono una dimensione virtuale;
    si è coniato il termine « cyberbullismo» per indicare quei ripetuti comportamenti in rete il cui scopo intenzionale e predominante è quello di isolare un minore o un gruppo di minori, ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso o la loro messa in ridicolo, e facendo ragionevolmente temere per la loro sicurezza;
    la psicologia mondiale distingue alcuni comportamenti tipici del cyberbullismo: diffusione di messaggi violenti e volgari mirati a suscitare battaglie verbali online, molestie, spedizione ripetuta di messaggi insultanti mirati a ferire qualcuno, denigrazione verbale, sostituzione di persona, esclusione da un gruppo online, cyberstalking;
    gli atti di buddismo « online» hanno conseguenze ancora più gravi per le vittime, a causa delle stesse caratteristiche della rete internet che consente di diffondere e replicare senza limiti qualsiasi contenuto offensivo, allargando in misura esponenziale il pubblico che assiste all'umiliazione della vittima e la durata della sua esposizione al dileggio;
    l'allarme per la crescente diffusione di episodi di cyberbullismo è confermato dall'indagine condotta nel 2013 da Ipsos per Save the Children fra ragazzi italiani di età compresa fra i 12 e i 17 anni: dalle risposte dei ragazzi emerge che i due terzi degli intervistati percepiscono il cyberbullismo come la principale minaccia, mentre il 38 per cento è convinto che tale fenomeno possa compromettere il rendimento scolastico e il 65 per cento ritiene che esserne vittima faccia perdere la voglia di aggregazione e porti alla depressione;
    recenti tragici fatti di cronaca confermano, di fatto, le impressioni espresse degli stessi ragazzi, evidenziando come il profondo sentimento di isolamento, il calo di autostima, il disagio fisico e psicologico, la depressione e la paura di denunciare quanto subito possano spingere la vittima a comportamenti autolesionistici e nei casi più gravi anche al suicidio;
    la gravità del fenomeno anche da una recente indagine condotta dal Censis in collaborazione con la polizia postale fra oltre 1.700 dirigenti scolastici di scuole medie e superiori: in oltre metà delle scuole oggetto della ricerca risulta infatti che ci siano stati nell'ultimo anno episodi di cyberbullismo, per i quali nel 51 per cento dei casi i capi di istituto si sono dovuti rivolgere alle forze dell'ordine;
    sempre nell'ambito della medesima indagine condotta dal Censis e dalla polizia postale oltre l'80 per cento dei presidi intervistati sostiene che i genitori hanno la tendenza a sottovalutare il fenomeno del bullismo digitale, sminuiscono la gravità degli episodi e in gran parte dei casi li considerano semplici «ragazzate»;
    ancora dall'indagine del Censis risulta che solo il 39 per cento delle scuole italiane attua azioni specifiche di prevenzione e repressione del cyberbullismo, e che solo il 10 per cento degli istituti si è dotato di un vero e proprio programma di monitoraggio attraverso specifici questionari rivolti a studenti e genitori;
    il forte incremento del fenomeno negli ultimi anni e la gravità delle conseguenze che ne derivano rilevano la necessità di uno specifico intervento legislativo, mirato a colmare l'attuale vuoto normativo in materia e finalizzato a contrastare, sanzionare e prevenire il bullismo e il cyberbullismo, con particolare riferimento all'esigenza di tutela dei minori, anche mediante azioni di carattere informativo, formativo ed educativo;
    in questa legislatura sono state molte le iniziative parlamentari in tal senso. In particolare, il Senato ha licenziato un testo di legge che alla Camera è stato unificato con altre proposte il cui iter è in corso presso le commissioni affari sociali e giustizia,

impegna il Governo:

   ad intraprendere ogni possibile iniziativa finalizzata a prevenire e contrastare il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, con particolare riferimento alla tutela dei minori, anche mediante campagne di informazione e sensibilizzazione dell'opinione pubblica, nell'ambito delle risorse che si renderanno disponibili;
   a prevedere specifici percorsi di formazione e aggiornamento, nell'ambito delle risorse che si renderanno disponibili, per la conoscenza del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo rivolti agli insegnanti, nonché agli operatori socio-educativi dei centri di aggregazione giovanile;
   a promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado, coerentemente con gli indirizzi definiti dalla legge n. 107 del 2015, progetti e attività didattiche finalizzate al contrasto del bullismo e del cyberbullismo, nonché all'acquisizione di competenze digitali e di una maggiore consapevolezza nell'utilizzo della rete internet e dei social network;
   ad assumere iniziative per favorire la relazione fra scuola e famiglie al fine di informare e sensibilizzare i genitori sui rischi connessi al fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, nonché sulla necessità di educare i minori ad un uso responsabile della rete internet;
   ad assumere iniziative volte a predisporre misure di sostegno e di assistenza alle vittime, nonché percorsi rieducativi per gli autori di atti di bullismo o cyberbullismo, anche mediante il coinvolgimento dei servizi socio-educati territoriali, delle associazioni e degli altri enti che si occupano di tale fenomeno;
   a realizzare un monitoraggio costante, nell'ambito delle risorse umane e finanziarie disponibili, dell'evoluzione del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, anche mediante un sistema di raccolta dati, avvalendosi in particolare della polizia postale e delle comunicazioni;
   a sollecitare i gestori di siti Internet, social network e altre piattaforme telematiche ad adottare adeguati codici di condotta e dotarsi di opportuni strumenti e procedure di controllo dei contenuti pubblicati, al fine di contrastare eventuali episodi di cyberbullismo;
   ad assumere iniziative per porre in essere adeguati strumenti giuridici per favorire l'azione degli inquirenti e della polizia postale nell'ambito di indagini volte alla prevenzione e/o repressione dei casi più gravi di bullismo e cyberbullismo;
   a favorire, alla luce degli impegni di cui sopra e per quanto di competenza, un rapido iter dei progetti di legge, sul contrasto al bullismo e al cyberbullismo.
(1-01274)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Beni, Coscia, Lenzi, Campana, Patriarca, D'Incecco, Miotto, Capone, Piazzoni, Carnevali, Amato, Murer, Piccione, Grassi, Sbrollini, D'Ottavio, Rampi, Narduolo, Ascani, Rocchi, Dallai, Malisani, Manzi, Carocci, Ghizzoni, Blazina, Sgambato, Malpezzi, Antezza, Amoddio, Paola Bragantini».


   La Camera,
   premesso che:
    per bullismo si intendono tutte quelle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso messe in atto da parte di un bambino o di un adolescente, o da parte di un gruppo, nei confronti di un altro bambino o adolescente percepito come più debole a causa di motivi di diversa natura;
    secondo le definizioni date dai primi studiosi del fenomeno, i quali muovendo dai casi di suicidio di alcuni studenti teorizzavano il bullismo come manifestazione quasi esclusivamente presente all'interno delle scuole, «uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto deliberatamente da uno o più compagni»;
    purtroppo il tempo ha dimostrato come la scuola non sia l'unico luogo nel quale si verificano atti o situazioni di bullismo, ma che questi si verificano anche all'interno di tutti gli altri luoghi di aggregazione sociale frequentati da bambini e adolescenti quali centri sportivi, parrocchie e altro;
    il ruolo della scuola, tuttavia, rimane di primo piano, soprattutto con riferimento alla prevenzione e formazione, come si evince anche da un recente studio pubblicato sulla rivista « Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine», il quale, prendendo in esame l'efficacia di programmi scolastici specificamente finalizzati a un'educazione contro il bullismo, ha dimostrato che, se la scuola riesce nell'obiettivo di far sentire integrato e rispettato ogni studente, i fenomeni della prevaricazione violenta e della sottomissione alla violenza calano in modo sostanziale in ogni ambiente;
    in ogni caso, al di là delle singole forme di prepotenza, il bullismo assume sempre le caratteristiche dell'intenzionalità, della durata nel tempo della disuguaglianza tra bullo e vittima, dell'isolamento della vittima e del danno per l'autostima che la stessa subisce;
    il bullismo può anche assumere una forma indiretta, nel qual caso è meno evidente e più difficile da individuare, ma altrettanto dannoso per la vittima, e generalmente comprende episodi che mirano deliberatamente all'esclusione dal gruppo dei coetanei, all'isolamento e alla diffusione di pettegolezzi e calunnie sul conto della vittima;
    la dimensione sociale del fenomeno è ben documentata dal report dell'Istat, pubblicato il 15 dicembre 2015 su «Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi» dal quale risulta che, nel 2014, poco più del cinquanta per cento degli 11-17enni ha subito qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze, mentre quasi il venti per cento è vittima assidua di una delle «tipiche» azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese, e per quasi il dieci per cento delle vittime gli atti di prepotenza, si ripetono con cadenza settimanale;
    le prepotenze più comuni consistono in offese verbali, derisione per l'aspetto fisico e/o il modo di parlare, diffamazione, esclusione per le proprie opinioni, aggressioni fisiche;
    nell'ambito del bullismo si inserisce anche il preoccupante fenomeno del cyberbullismo, vale a dire di quel tipo di bullismo che è esercitato attraverso supporti tecnologici e che sta conoscendo una sorprendente diffusione a causa delle diverse piattaforme social e di condivisione maggiormente usate dai giovani quali, prima tra tutte, facebook;
    il cyberbullismo non è diverso dal bullismo «comune», se non per il fatto che utilizza mezzi che permettono, da un lato, l'anonimato del bullo e, dall'altro, aumentano in modo esponenziale la diffusione di foto e video di atti di bullismo, mettendo la vittima alla berlina non di un ristretto gruppo di persone, ma bensì di centinaia o migliaia di sconosciuti;
    i dati forniti dall'Istat ci dicono che sono le ragazze a cadere più frequentemente vittime di cyberbullismo e che c’è una gran parte delle vittime che non denuncia, sottraendosi a queste statistiche, che, di conseguenza, sottostimano il fenomeno;
    sono sempre più frequenti i fatti di cronaca che ci raccontano la tragica storia di ragazzi e ragazze vessati per anni nell'indifferenza generale e che, a un certo punto, sopraffatti dal dolore e dalla vergogna, decidono di sfuggire ai loro persecutori attraverso la scelta estrema del suicidio;
    comunemente, quando si pensa al bullismo, ci si riferisce soltanto a due tipi di soggetti coinvolti, i bulli e le vittime, ma in realtà esiste anche una terza categoria, quella degli spettatori che, pur non partecipando attivamente agli atti di prepotenza, vi assistono e svolgono comunque un ruolo importante nella legittimazione di tali condotte;
    il ruolo degli spettatori è di grandissima importanza perché la loro presenza e la loro reazione di fronte a ciò che vedono possono favorire o frenare il dilagare del fenomeno;
    per il bullismo non è stato configurato un reato specifico ma esistono delle fattispecie di reato per una serie di comportamenti che nel bullismo trovano spesso espressione, quali minacce, furti, estorsioni, percosse, e simili;
    alcune proposte di legge che affrontano il fenomeno del cyberbullismo sono, invece, state esaminate al Senato e ora sono all'esame delle commissioni giustizia e affari sociali della Camera, in attesa che se ne prosegua l’iter;
    il cupo fenomeno del bullismo è incomprensibilmente sottovaluto anche quando esso è una manifestazione di un vero e proprio malessere sociale sia per coloro che commettono il danno, che per coloro che lo subiscono; i primi, in quanto corrono il rischio di problematiche antisociali e devianti, i secondi, in quanto rischiano una eccessiva insicurezza caratteriale che può sfociare in sintomatologie anche di tipo depressivo;
    numerosi studi si sono occupati della relazione intercorrente tra il bullismo e il suicidio, mettendo in evidenza come i disagi psicologici sociali e fisici agiscano tanto nella contingenza degli avvenimenti, quanto a distanza di medio e lungo tempo, e rilevando come sia «possibile affermare che proprio l'escalation di episodi di vittimizzazione subiti possa mandare in “corto circuito” il soggetto che li subisce che vedrà quindi nel suicidio l'unica via di uscita e di interruzione dei soprusi»;
    il bullismo, in quanto sintomo di malessere sociale, deve essere individuato e affrontato in modo adeguato nei singoli contesti educativi, portando allo scoperto le situazioni nascoste e fermando gli episodi nel preciso momento in cui si manifestano,

impegna il Governo:

   ad assumere e favorire ogni iniziativa volta a diffondere soprattutto tra i più giovani una cultura del rispetto delle diversità, attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione nelle scuole e negli altri luoghi di aggregazione;
   a favorire la realizzazione, in sinergia con gli enti locali e le regioni, di strutture di aiuto per i giovani che cadono vittime di violenze e soprusi da parte dei propri coetanei;
   a sostenere le iniziative assunte in ambito scolastico, con riferimento all'aggiornamento e alla formazione dei docenti con specifico riguardo ai temi del bullismo e della violenza, coinvolgendo le famiglie, e favorendo processi di reinserimento dei ragazzi responsabili di atti di bullismo attraverso lavori di utilità sociale all'interno della scuola;
   ad agevolare la realizzazione, in seno agli istituti scolastici, di iniziative di solidarietà nei confronti delle vittime di fenomeni di bullismo, anche attraverso una collaborazione con associazioni che si occupano di inclusione sociale attraverso progetti sperimentali da realizzare con il supporto degli studenti.
(1-01275) «Rampelli, Maietta, Nastri, Taglialatela, Cirielli, Giorgia Meloni, Petrenga, Totaro, La Russa, Rizzetto».


   La Camera,
   premesso che:
    per bullismo si intendono tutte quelle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso messe in atto da parte di un bambino o di un adolescente, o da parte di un gruppo, nei confronti di un altro bambino o adolescente percepito come più debole a causa di motivi di diversa natura;
    secondo le definizioni date dai primi studiosi del fenomeno, i quali muovendo dai casi di suicidio di alcuni studenti teorizzavano il bullismo come manifestazione quasi esclusivamente presente all'interno delle scuole, «uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto deliberatamente da uno o più compagni»;
    purtroppo il tempo ha dimostrato come la scuola non sia l'unico luogo nel quale si verificano atti o situazioni di bullismo, ma che questi si verificano anche all'interno di tutti gli altri luoghi di aggregazione sociale frequentati da bambini e adolescenti quali centri sportivi, parrocchie e altro;
    il ruolo della scuola, tuttavia, rimane di primo piano, soprattutto con riferimento alla prevenzione e formazione, come si evince anche da un recente studio pubblicato sulla rivista « Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine», il quale, prendendo in esame l'efficacia di programmi scolastici specificamente finalizzati a un'educazione contro il bullismo, ha dimostrato che, se la scuola riesce nell'obiettivo di far sentire integrato e rispettato ogni studente, i fenomeni della prevaricazione violenta e della sottomissione alla violenza calano in modo sostanziale in ogni ambiente;
    in ogni caso, al di là delle singole forme di prepotenza, il bullismo assume sempre le caratteristiche dell'intenzionalità, della durata nel tempo della disuguaglianza tra bullo e vittima, dell'isolamento della vittima e del danno per l'autostima che la stessa subisce;
    il bullismo può anche assumere una forma indiretta, nel qual caso è meno evidente e più difficile da individuare, ma altrettanto dannoso per la vittima, e generalmente comprende episodi che mirano deliberatamente all'esclusione dal gruppo dei coetanei, all'isolamento e alla diffusione di pettegolezzi e calunnie sul conto della vittima;
    la dimensione sociale del fenomeno è ben documentata dal report dell'Istat, pubblicato il 15 dicembre 2015 su «Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi» dal quale risulta che, nel 2014, poco più del cinquanta per cento degli 11-17enni ha subito qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze, mentre quasi il venti per cento è vittima assidua di una delle «tipiche» azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese, e per quasi il dieci per cento delle vittime gli atti di prepotenza, si ripetono con cadenza settimanale;
    le prepotenze più comuni consistono in offese verbali, derisione per l'aspetto fisico e/o il modo di parlare, diffamazione, esclusione per le proprie opinioni, aggressioni fisiche;
    nell'ambito del bullismo si inserisce anche il preoccupante fenomeno del cyberbullismo, vale a dire di quel tipo di bullismo che è esercitato attraverso supporti tecnologici e che sta conoscendo una sorprendente diffusione a causa delle diverse piattaforme social e di condivisione maggiormente usate dai giovani quali, prima tra tutte, facebook;
    il cyberbullismo non è diverso dal bullismo «comune», se non per il fatto che utilizza mezzi che permettono, da un lato, l'anonimato del bullo e, dall'altro, aumentano in modo esponenziale la diffusione di foto e video di atti di bullismo, mettendo la vittima alla berlina non di un ristretto gruppo di persone, ma bensì di centinaia o migliaia di sconosciuti;
    i dati forniti dall'Istat ci dicono che sono le ragazze a cadere più frequentemente vittime di cyberbullismo e che c’è una gran parte delle vittime che non denuncia, sottraendosi a queste statistiche, che, di conseguenza, sottostimano il fenomeno;
    sono sempre più frequenti i fatti di cronaca che ci raccontano la tragica storia di ragazzi e ragazze vessati per anni nell'indifferenza generale e che, a un certo punto, sopraffatti dal dolore e dalla vergogna, decidono di sfuggire ai loro persecutori attraverso la scelta estrema del suicidio;
    comunemente, quando si pensa al bullismo, ci si riferisce soltanto a due tipi di soggetti coinvolti, i bulli e le vittime, ma in realtà esiste anche una terza categoria, quella degli spettatori che, pur non partecipando attivamente agli atti di prepotenza, vi assistono e svolgono comunque un ruolo importante nella legittimazione di tali condotte;
    il ruolo degli spettatori è di grandissima importanza perché la loro presenza e la loro reazione di fronte a ciò che vedono possono favorire o frenare il dilagare del fenomeno;
    per il bullismo non è stato configurato un reato specifico ma esistono delle fattispecie di reato per una serie di comportamenti che nel bullismo trovano spesso espressione, quali minacce, furti, estorsioni, percosse, e simili;
    alcune proposte di legge che affrontano il fenomeno del cyberbullismo sono, invece, state esaminate al Senato e ora sono all'esame delle commissioni giustizia e affari sociali della Camera, in attesa che se ne prosegua l’iter;
    il cupo fenomeno del bullismo è incomprensibilmente sottovaluto anche quando esso è una manifestazione di un vero e proprio malessere sociale sia per coloro che commettono il danno, che per coloro che lo subiscono; i primi, in quanto corrono il rischio di problematiche antisociali e devianti, i secondi, in quanto rischiano una eccessiva insicurezza caratteriale che può sfociare in sintomatologie anche di tipo depressivo;
    numerosi studi si sono occupati della relazione intercorrente tra il bullismo e il suicidio, mettendo in evidenza come i disagi psicologici sociali e fisici agiscano tanto nella contingenza degli avvenimenti, quanto a distanza di medio e lungo tempo, e rilevando come sia «possibile affermare che proprio l'escalation di episodi di vittimizzazione subiti possa mandare in “corto circuito” il soggetto che li subisce che vedrà quindi nel suicidio l'unica via di uscita e di interruzione dei soprusi»;
    il bullismo, in quanto sintomo di malessere sociale, deve essere individuato e affrontato in modo adeguato nei singoli contesti educativi, portando allo scoperto le situazioni nascoste e fermando gli episodi nel preciso momento in cui si manifestano,

impegna il Governo:

   ad assumere e favorire ogni iniziativa volta a diffondere soprattutto tra i più giovani una cultura del rispetto delle diversità, attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione nelle scuole e negli altri luoghi di aggregazione;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per attivare presso le scuole punti di ascolto deputati ad intercettare e offrire assistenza a studenti vittime di episodi di violenza e bullismo attraverso misure di prevenzione, consulenza e tutela;
   a sostenere le iniziative assunte in ambito scolastico, con riferimento all'aggiornamento e alla formazione dei docenti con specifico riguardo ai temi del bullismo e della violenza, nell'ambito delle risorse che si renderanno disponibili, coinvolgendo le famiglie, e favorendo processi di reinserimento dei ragazzi responsabili di atti di bullismo attraverso lavori di utilità sociale all'interno della scuola;
   ad agevolare la realizzazione, in seno agli istituti scolastici, di iniziative di solidarietà nei confronti delle vittime di fenomeni di bullismo, anche attraverso una collaborazione con associazioni che si occupano di inclusione sociale attraverso progetti sperimentali da realizzare con il supporto degli studenti.
(1-01275)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Rampelli, Maietta, Nastri, Taglialatela, Cirielli, Giorgia Meloni, Petrenga, Totaro, La Russa, Rizzetto».


   La Camera,
   premesso che:
    molti esperti del mondo accademico e dei tribunali per minori non sono in accordo con l'idea di trasformare condotte ascrivibili al bullismo e al cyberbullismo in un reato a sé stante a fronte di oltre 17 fattispecie di reato che sono già ascrivibili alla suddetta condotta. Laddove infatti coinvolga come autori della condotta ragazzi/e sopra i 14 anni, in età imputabile, per azioni come furto d'identità, atti persecutori (articolo 612-bis del codice penale), violenza privata, furto, ed altri, in quanto l'inquadramento giuridico contiene già i reati penali necessari alla repressione. Quello che manca un sistema globale di educazione all'affettività, al rispetto delle relazioni e, dell'altro, un sistema di interventi realmente efficaci che coinvolgano e restituiscano risorse alla comunità, al di là di scuola e famiglia. Servizi socio-sanitari per la prevenzione e gli interventi di sostegno, servizi della giustizia minorile per gli interventi di responsabilizzazione (basti pensare all'istituto della messa alla prova, articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 da applicare nel caso di reati di cui sopra che avvengono nelle scuole, al posto della mera sospensione) e gli enti pubblici preposti in rete con le scuole, quale bacino privilegiato per gli interventi di rete;
    inoltre, come recita la voce ottimamente scritta su « wikipedia Italia» supportata da oltre 15 fonti di ottimo livello, la « Restorative Justice» (o giustizia riparativa o giustizia rigenerativa) è un approccio a considerare il reato principalmente in termini di danno alle persone. Da ciò ne consegue l'obbligo, in capo all'autore di porre rimedio alle conseguenze lesive della sua condotta. A tal fine, si prospetta un coinvolgimento attivo di vittima, dell'agente e della stessa comunità civile nella ricerca di soluzioni atte a far fronte all'insieme di bisogni scaturiti a seguito del reato;
    tematizzata alla fine degli anni ‘80, la Restorative Justice nasce anzitutto da prassi, ossia da modelli sperimentali emersi in Nord America in modo spontaneo solo successivamente approfonditi. Essi peraltro intercettano un dibattito complesso e variegato, che, a partire dagli anni ‘70, stava portando al confronto di diverse voci critiche della teoria e della prassi penalistica nordamericana;
    la giustizia riparativa analizza il problema della giustizia penale intorno a quattro elementi fondamentali:
     considerare il reato in termini non meramente formali (come condotta corrispondente ad una fattispecie astratta descritta da una norma penale), bensì «esperienziali», ossia come «lesione» che coinvolge direttamente, e sotto molteplici aspetti (morali, materiali, emotivi, relazionali) singole persone e una comunità;
     ritenere che al reato corrisponda, in primo luogo, l'obbligo – in capo all'autore – di porre attivamente rimedio alle conseguenze dannose che la sua condotta ha cagionato, avendo riguardo in primo luogo ai bisogni della vittima;
     puntare, nella ricerca di tale soluzione «riparativa», ad un coinvolgimento attivo della vittima, dell'offensore, dei rispettivi entourage di relazioni, e della comunità civile;
     ricercare una soluzione che risulti, se possibile, concordata tra tali soggetti;
    come spiega uno dei suoi fondatori, Howard Zehr, la Restorative Justice si distingue criticamente dal modello moderno e contemporaneo di pena, tende a considerare il reato come «violazione di una norma» (o meglio, come realizzazione di una condotta ascrivibile ad una fattispecie astratta descritta da una norma penale) e la pena come «conseguenza giuridica» che sanziona tale condotta (pur diversamente caratterizzata per giustificazione e finalità). Diversamente, la Restorative Justice propone una sorta di equazione per la quale «Il crimine è una violazione delle persone e delle relazioni interpersonali; le violazioni creano obblighi; l'obbligo principale è quello di «rimediare ai torti commessi» («to put right the wrongs»)». Ne emerge una sorta di «rivoluzione copernicana» per effetto della quale il problema centrale per la giustizia penale non è un concetto astratto di ordine giuridico, bensì la persona come singolo e come essere relazionale. Per questo, la Restorative justice è stata definita come un nuovo «paradigma», caratterizzato da una profonda rivendicazione della centralità della persona e dell'intersoggettivita nell'analisi del problema penale e nella proposta di una riforma organica della giustizia penale. In senso critico, la Restorative Justice denuncia l'impostazione formalistica del diritto penale moderno e contemporaneo, che si ritiene abbia prodotto un sistema altamente burocratizzato e astratto, nel quale le persone – con le loro esperienze, il vissuto, le esigenze e le relazioni – rimangono del tutto marginali. Ciò emergerebbe soprattutto con riferimento alla vittima del reato, destinata ad assumere un ruolo del tutto secondario ed eventuale nella tradizionale «amministrazione della giustizia». Essa andrebbe invece ritenuta la principale destinataria delle attenzioni del sistema-giustizia, e perciò coinvolta attivamente nel procedimento che, a partire dalle indagini, conduce all'irrogazione e all'esecuzione della pena;
    andrebbe parimenti valorizzata l'esigenza di un'autentica responsabilizzazione dell'offensore, sostanzialmente privo di reali occasioni per prendere coscienza delle conseguenze che le sue azioni hanno sortito in altre vite: una finalità, quest'ultima, che non dovrebbe essere perseguita attraverso astratti e pre-definiti programmi di «rieducazione», bensì, in primo luogo, mostrando all'offensore gli effetti del suo comportamento sulle vite che da questo sono state affette e chiamandolo, nei limiti del possibile, a porvi rimedio attivamente. Non da ultimo, la Restorative Justice propone modelli di soluzione della controversia atti a favorire il coinvolgimento di vittima, offensore e comunità civile nella ricerca di una soluzione atta a rispondere in termini adeguati alla lesione cagionata dal reato: tale proposta risponderebbe all'esigenza di correggere l'eccessiva dimensione «burocratizzata ed agonistica» del processo, cui si contesta l'incapacità di evidenziare e ricomporre le «ferite» effettivamente causate dal reato nel tessuto sociale da esso colpito. L'idea riparativa e partecipativa di giustizia penale avanzata dalla Restorative Justice, risponde all'esigenza di restituire attenzione alla dimensione personale e sociale che investe il crimine, senza la quale la pena altro non sarebbe che un'afflizione dagli esiti alienanti, non di rado violenti, e comunque incapace di rispondere alle esigenze concretamente sorte, nelle persone e nelle comunità civili, a seguito della commissione di un reato;
    la direttiva europea 29/2012/UE sulla protezione delle vittime nei procedimenti giudiziari è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212 (entrato in vigore lo scorso 20 gennaio 2016), che riguarda la testimonianza d bambini in ambito penale; non è stata ancora recepita l'indicazione di prevedere dei servizi di «giustizia riparativa» nei Paesi membri. Questa potrebbe essere un'occasione per unire la triplice esigenza imposta dagli interventi sul bullismo: quello di creare delle strategie di sistema (pubblico), quella di agire per creare dei percorsi di responsabilizzazione in un'ottica riparativa del danno prodotto nella relazione tra le persone coinvolte (logica degli approcci riparativi e relazionali) e quella di rispondere a quanto previsto a livello europeo seppur previsto nel caso dei reati;
    una ricerca dell'università di Sassari, il cui tema affrontato è quello della giustizia riparativa come strumento di prevenzione e gestione della devianza minorile e del bullismo, riporta che in alcuni Paesi, come ad esempio in Inghilterra (Hall), ci sono intere «cittadine riparative» che hanno ridotto notevolmente il bullismo e altri fenomeni di disagio nelle scuole (anche con tassi di successo dell'80 per cento),

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per recepire l'indicazione della suddetta direttiva europea 29/2012/UE di prevedere dei servizi di «giustizia riparativa» anche per l'Italia, nelle scuole e nei consultori familiari, oltre a tutte le altre strutture impegnate nella presa in carico del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo;
   a non assumere iniziative volte a prevedere una nuova fattispecie di reato relativo al bullismo informatico e al bullismo «semplice», in quanto tale approccio strettamente normativo esprime, a parere dei firmatari del presente atto, solo una logica repressiva anziché favorire la presa in carico di tipo preventivo del fenomeno;
   a favorire ogni iniziativa volta a favorire la prevenzione del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, prevedendo di destinare adeguate risorse per la prevenzione in materia di salute mentale e al sostegno dei minori con difficoltà sistemiche.
(1-01278) «Baroni, Grillo, Silvia Giordano, Colonnese, Di Vita, Lorefice, Mantero, D'Incà».


   La Camera,
   premesso che:
    molti esperti del mondo accademico e dei tribunali per minori non sono in accordo con l'idea di trasformare condotte ascrivibili al bullismo e al cyberbullismo in un reato a sé stante a fronte di oltre 17 fattispecie di reato che sono già ascrivibili alla suddetta condotta. Laddove infatti coinvolga come autori della condotta ragazzi/e sopra i 14 anni, in età imputabile, per azioni come furto d'identità, atti persecutori (articolo 612-bis del codice penale), violenza privata, furto, ed altri, in quanto l'inquadramento giuridico contiene già i reati penali necessari alla repressione. Quello che manca un sistema globale di educazione all'affettività, al rispetto delle relazioni e, dell'altro, un sistema di interventi realmente efficaci che coinvolgano e restituiscano risorse alla comunità, al di là di scuola e famiglia. Servizi socio-sanitari per la prevenzione e gli interventi di sostegno, servizi della giustizia minorile per gli interventi di responsabilizzazione (basti pensare all'istituto della messa alla prova, articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 da applicare nel caso di reati di cui sopra che avvengono nelle scuole, al posto della mera sospensione) e gli enti pubblici preposti in rete con le scuole, quale bacino privilegiato per gli interventi di rete;
    inoltre, come recita la voce ottimamente scritta su « wikipedia Italia» supportata da oltre 15 fonti di ottimo livello, la « Restorative Justice» (o giustizia riparativa o giustizia rigenerativa) è un approccio a considerare il reato principalmente in termini di danno alle persone. Da ciò ne consegue l'obbligo, in capo all'autore di porre rimedio alle conseguenze lesive della sua condotta. A tal fine, si prospetta un coinvolgimento attivo di vittima, dell'agente e della stessa comunità civile nella ricerca di soluzioni atte a far fronte all'insieme di bisogni scaturiti a seguito del reato;
    tematizzata alla fine degli anni ‘80, la Restorative Justice nasce anzitutto da prassi, ossia da modelli sperimentali emersi in Nord America in modo spontaneo solo successivamente approfonditi. Essi peraltro intercettano un dibattito complesso e variegato, che, a partire dagli anni ‘70, stava portando al confronto di diverse voci critiche della teoria e della prassi penalistica nordamericana;
    la giustizia riparativa analizza il problema della giustizia penale intorno a quattro elementi fondamentali:
     considerare il reato in termini non meramente formali (come condotta corrispondente ad una fattispecie astratta descritta da una norma penale), bensì «esperienziali», ossia come «lesione» che coinvolge direttamente, e sotto molteplici aspetti (morali, materiali, emotivi, relazionali) singole persone e una comunità;
     ritenere che al reato corrisponda, in primo luogo, l'obbligo – in capo all'autore – di porre attivamente rimedio alle conseguenze dannose che la sua condotta ha cagionato, avendo riguardo in primo luogo ai bisogni della vittima;
     puntare, nella ricerca di tale soluzione «riparativa», ad un coinvolgimento attivo della vittima, dell'offensore, dei rispettivi entourage di relazioni, e della comunità civile;
     ricercare una soluzione che risulti, se possibile, concordata tra tali soggetti;
    come spiega uno dei suoi fondatori, Howard Zehr, la Restorative Justice si distingue criticamente dal modello moderno e contemporaneo di pena, tende a considerare il reato come «violazione di una norma» (o meglio, come realizzazione di una condotta ascrivibile ad una fattispecie astratta descritta da una norma penale) e la pena come «conseguenza giuridica» che sanziona tale condotta (pur diversamente caratterizzata per giustificazione e finalità). Diversamente, la Restorative Justice propone una sorta di equazione per la quale «Il crimine è una violazione delle persone e delle relazioni interpersonali; le violazioni creano obblighi; l'obbligo principale è quello di «rimediare ai torti commessi» («to put right the wrongs»)». Ne emerge una sorta di «rivoluzione copernicana» per effetto della quale il problema centrale per la giustizia penale non è un concetto astratto di ordine giuridico, bensì la persona come singolo e come essere relazionale. Per questo, la Restorative justice è stata definita come un nuovo «paradigma», caratterizzato da una profonda rivendicazione della centralità della persona e dell'intersoggettivita nell'analisi del problema penale e nella proposta di una riforma organica della giustizia penale. In senso critico, la Restorative Justice denuncia l'impostazione formalistica del diritto penale moderno e contemporaneo, che si ritiene abbia prodotto un sistema altamente burocratizzato e astratto, nel quale le persone – con le loro esperienze, il vissuto, le esigenze e le relazioni – rimangono del tutto marginali. Ciò emergerebbe soprattutto con riferimento alla vittima del reato, destinata ad assumere un ruolo del tutto secondario ed eventuale nella tradizionale «amministrazione della giustizia». Essa andrebbe invece ritenuta la principale destinataria delle attenzioni del sistema-giustizia, e perciò coinvolta attivamente nel procedimento che, a partire dalle indagini, conduce all'irrogazione e all'esecuzione della pena;
    andrebbe parimenti valorizzata l'esigenza di un'autentica responsabilizzazione dell'offensore, sostanzialmente privo di reali occasioni per prendere coscienza delle conseguenze che le sue azioni hanno sortito in altre vite: una finalità, quest'ultima, che non dovrebbe essere perseguita attraverso astratti e pre-definiti programmi di «rieducazione», bensì, in primo luogo, mostrando all'offensore gli effetti del suo comportamento sulle vite che da questo sono state affette e chiamandolo, nei limiti del possibile, a porvi rimedio attivamente. Non da ultimo, la Restorative Justice propone modelli di soluzione della controversia atti a favorire il coinvolgimento di vittima, offensore e comunità civile nella ricerca di una soluzione atta a rispondere in termini adeguati alla lesione cagionata dal reato: tale proposta risponderebbe all'esigenza di correggere l'eccessiva dimensione «burocratizzata ed agonistica» del processo, cui si contesta l'incapacità di evidenziare e ricomporre le «ferite» effettivamente causate dal reato nel tessuto sociale da esso colpito. L'idea riparativa e partecipativa di giustizia penale avanzata dalla Restorative Justice, risponde all'esigenza di restituire attenzione alla dimensione personale e sociale che investe il crimine, senza la quale la pena altro non sarebbe che un'afflizione dagli esiti alienanti, non di rado violenti, e comunque incapace di rispondere alle esigenze concretamente sorte, nelle persone e nelle comunità civili, a seguito della commissione di un reato;
    la direttiva europea 29/2012/UE sulla protezione delle vittime nei procedimenti giudiziari è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212 (entrato in vigore lo scorso 20 gennaio 2016), che riguarda la testimonianza d bambini in ambito penale; non è stata ancora recepita l'indicazione di prevedere dei servizi di «giustizia riparativa» nei Paesi membri. Questa potrebbe essere un'occasione per unire la triplice esigenza imposta dagli interventi sul bullismo: quello di creare delle strategie di sistema (pubblico), quella di agire per creare dei percorsi di responsabilizzazione in un'ottica riparativa del danno prodotto nella relazione tra le persone coinvolte (logica degli approcci riparativi e relazionali) e quella di rispondere a quanto previsto a livello europeo seppur previsto nel caso dei reati;
    una ricerca dell'università di Sassari, il cui tema affrontato è quello della giustizia riparativa come strumento di prevenzione e gestione della devianza minorile e del bullismo, riporta che in alcuni Paesi, come ad esempio in Inghilterra (Hall), ci sono intere «cittadine riparative» che hanno ridotto notevolmente il bullismo e altri fenomeni di disagio nelle scuole (anche con tassi di successo dell'80 per cento),

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per recepire l'indicazione della suddetta direttiva europea 29/2012/UE di prevedere dei servizi di «giustizia riparativa» anche per l'Italia, nelle scuole e nei consultori familiari, oltre a tutte le altre strutture impegnate nella presa in carico del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo;
   a favorire ogni iniziativa volta a sostenere la prevenzione del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, prevedendo di destinare adeguate risorse alle misure di prevenzione stessa e al sostegno dei minori a rischio.
(1-01278)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Baroni, Grillo, Silvia Giordano, Colonnese, Di Vita, Lorefice, Mantero, D'Incà».


MOZIONI CARLO GALLI ED ALTRI N. 1-01193, D'UVA ED ALTRI N. 1-01265, BUTTIGLIONE E BOSCO N. 1-01269, PALESE ED ALTRI N. 1-01271, BORGHESI ED ALTRI N. 1-01276, GIAMMANCO E OCCHIUTO N. 1-01277, DALLAI, MONCHIERO ED ALTRI N. 1-01279, SANTERINI ED ALTRI N. 1-01280 E SEGONI ED ALTRI N. 1-01281 CONCERNENTI INTERVENTI PER IL RILANCIO DEL COMPARTO DELLA RICERCA ITALIANA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    il grado di civiltà e di democrazia di una nazione si misura anche dal grado di diffusione delle conoscenze scientifiche e, più in generale, dalla consapevolezza culturale dei suoi cittadini e tali principi sono sanciti dall'articolo 9 della Costituzione secondo il quale: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»;
    le sfide poste dalla globalizzazione, dalla rivoluzione delle comunicazioni e dell'informatica e dal passaggio alla «società della conoscenza», rendono necessario adeguare le forme sin qui invalse nell'accesso al sapere e nel sostegno alla ricerca, in relazione sia alla crescente importanza delle conoscenze nella competitività internazionale, sia alla esigenza di confrontarsi con altre lingue e culture;
    l'Unione europea ha elaborato dal 2001 una apposita «Strategia di Lisbona», rinnovata con la Strategia 2020, che mira ad accrescere il livello scientifico e tecnologico e a rendere l'Unione una delle aree più avanzate del pianeta e pone come obiettivo quantitativo minimo la quota del 3 per cento del prodotto interno lordo per ricerca e sviluppo;
    spetta agli Stati membri dell'Unione europea assicurare un armonioso sviluppo di ricerca e cultura, il cui snodo istituzionale è l'università pubblica, garantendone una idonea distribuzione territoriale per assicurare pari opportunità e coesione sociale;
    davanti alle sfide aperte dalla trasformazione delle società industriali e dalle esigenze di maggiore formazione e qualificazione dei cittadini e della forza lavoro, gli ultimi Governi italiani, disattendendo il dettato costituzionale e in contraddizione con gli impegni di Lisbona, hanno progressivamente ridotto ad università ed enti di ricerca il supporto finanziario necessario al loro funzionamento, al punto da metterne a volte a repentaglio la sopravvivenza;
    l'analisi del bilancio dello Stato su dati della ragioneria generale testimonia come, mentre cresce la spesa pubblica corrente, sulla ricerca si siano addensati tagli superiori a qualsiasi altro settore pubblico: la missione 17 (ricerca e innovazione) dal 2008 al 2014 è passata da 4 miliardi di euro a 2,8 miliardi di euro e la missione 23 (istruzione universitaria) nel medesimo arco temporale è passata da 8,6 miliardi di euro a 7,8 miliardi di euro, con un calo totale del 20 per cento. Come dichiarato nel corso di un'audizione al Senato dalla ragioneria dello Stato tra le complessive 34 missioni che costituiscono il bilancio statale quelle maggiormente ridimensionate (nel suddetto periodo) sono state, nell'ordine, la missione, Istruzione universitaria (-19,9 per cento in media), la missione fondi da ripartire (-14,5 per cento in media) e la missione ricerca e innovazione (-12,17 per cento in media);
    la struttura dei finanziamenti pubblici alla ricerca, stanziati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca quale organo istituzionalmente deputato, è riconducibile a due tipi di fondi: il fondo ordinario all'università (FFO), che dovrebbe coprire la spesa per gli stipendi del personale docente e amministrativo, per la ricerca e per la manutenzione delle strutture; il fondo ordinario agli enti (Foe), a cui si aggiungono i finanziamenti competitivi (Prin) e (Firb) a università ed enti e di finanziamenti alla ricerca industriale (Far). L'analisi dei dati relativi restituisce una immagine disastrosa: a fronte di un costante declino dei fondi ordinari, si può osservare anche l'esiguità dei finanziamenti ai ricercatori su base competitiva, essenziali per selezionare nel Paese quei gruppi che, svolgendo ricerca ai livelli più alti, potranno confrontarsi a livello internazionale. I cosiddetti PRIN (progetti di ricerca di interesse nazionale) sono rimasti inattivi dal 2012. Istituiti nel 1996 dal Governo Prodi, rappresentavano allora il principale supporto per la ricerca pubblica: da un budget di 137 milioni di euro destinati nel 2003 alle 14 aree di ricerca, si era passati, complice la spending review, ad appena 92 milioni di euro, da destinare a tutte le aree di ricerca. I progetti Firb per i giovani ricercatori, partiti nel 2004 con 155 milioni di euro, sono andati estinguendosi progressivamente fino a cessare dal 2013. Tali riduzioni di spesa hanno portato l'Italia a retrocedere rapidamente, per risorse investite, numero di laureati, dottori di ricerca, professori e ricercatori in senso lato agli ultimi posti fra i Paesi Ocse;
    il persistente trend di flessione del finanziamento pubblico alla ricerca distingue in negativo a livello internazionale il nostro Paese, il quale nel 2014 registra un totale di finanziamenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo pari all'1,28 per cento del prodotto interno lordo a fronte di una media Ocse del 2,37 per cento. Questi scarsi fondi sono ripartiti per circa lo 0,70 per cento alla ricerca industriale, e circa lo 0,16 per cento ad enti pubblici, mentre nel 2014 i finanziamenti pubblici all'università erano pari allo 0,42 per cento contro lo 0,99 per cento della Francia, lo 0,98 per cento della Germania e lo 0,73 per cento della Spagna;
    il trend italiano mostra un Paese inginocchiato da una crisi frutto anche di mancate scelte di investimento nella conoscenza, nell'innovazione tecnologica e nei settori industriali a più alto valore aggiunto, ed evoca lo spettro di una strisciante desertificazione culturale, scientifica e tecnologica, già occorsa in alcune aree del Paese. Dati di questi giorni della Banca d'Italia parlano di un prodotto interno lordo pro-capite del Mezzogiorno pari alla metà di quello del Nord, mentre procede un esodo di studenti dal Sud al resto del Paese che getta le basi per la genesi di una nuova «questione meridionale»;
    il mondo della ricerca italiana conosce da tempo fermenti di critica a questo orientamento, manifestatisi già nella gestazione della legge n. 240 del dicembre 2010 e che hanno assunto forme diverse in relazione a singole emergenze – dalla protesta contro i tagli e gli scatti stipendiali del 2011-2015 che discriminano i professori e ricercatori di ruolo delle università, alle modalità di valutazione della qualità della ricerca (VQR), allo sciopero alla rovescia promosso dal Coordinamento nazionale ricercatori e ricercatrici non strutturati per il riconoscimento della ricerca come attività lavorativa, o alla richiesta di estensione dell'indennità di disoccupazione «DIS-COLL» e delle tutele previdenziali e sanitarie anche agli assegnisti, ai dottorandi e ai titolari di borse di studio – istanze comunque tutte riconducibili all'assenza di prospettive nella ricerca e nella cultura per le giovani generazioni;
    per tali ragioni, assieme ad altre iniziative, è in atto una campagna di sensibilizzazione promossa dal mondo scientifico ed accademico sullo stato allarmante in cui versa la ricerca pubblica italiana che, nell'indifferenza generale, sopravvive e mantiene una elevata produttività internazionale, nonostante la scarsità di risorse e la completa assenza di programmazione. Con il loro accorato appello, che conta oltre 45.000 adesioni, gli scienziati italiani invitano l'Unione europea a fare pressione sul Governo italiano affinché finanzi adeguatamente la ricerca portando i relativi fondi ad un livello sensibilmente superiore e congruo con la media europea del 2,2 per cento del prodotto interno lordo;
    invero, una riduttiva lettura della globalizzazione dell'economia e dell'impetuoso sviluppo di Paesi come l'India e la Cina, legata esclusivamente all'accelerazione tecnologica, ha trascurato i nodi strutturali e determinato nel nostro Paese la diffusa idea che l'obiettivo imprescindibile di aumentare la competitività dei settori produttivi potesse essere raggiunto a costo zero attraverso una scorciatoia burocratica: trasformando la ricerca di base in ricerca applicata, concentrando le risorse in pochi centri ed università di eccellenza, lasciando alle altre il ruolo di teaching university, ed infine prosciugando la cultura umanistica, ritenuta un onere superfluo allo sviluppo economico delle imprese private. In tale accezione, la ricerca pubblica rappresenterebbe soltanto uno strumento per accrescere la competitività economica delle aziende esistenti, dimenticando che la ricerca è chiamata ad assurgere al ruolo di propulsore della crescita civile oltre che economica di lungo periodo. Peraltro, elevare il livello culturale complessivo del Paese è un'esigenza segnalata dalla stessa teoria dello sviluppo economico che insiste sul nesso tra gli investimenti in ricerca e innovazione e la complessiva coesione culturale come premessa alla sua capacità di accrescere il livello di benessere nel tempo;
    non a caso la strategia «Europa 2020» mira ad accrescere la competitività globale del Vecchio continente investendo nel cosiddetto «triangolo della conoscenza» (istruzione/ricerca/innovazione), attraverso il programma «Horizon 2020» grazie al quale vengono finanziati dal 1o gennaio 2014 fino al 31 dicembre 2020, i progetti di ricerca ed innovazione di università, istituti di ricerca, ricercatori, imprese e aziende attive soprattutto nel settore tecnologico. Il Consiglio europeo, già nel marzo del 2005 rilevando il ritardo della strategia di Lisbona, aveva sottolineato, oltre l'obiettivo generale del 3 per cento, l'obiettivo complementare di modificare il rapporto tra le fonti di finanziamento, facendo sostenere al settore privato almeno i due terzi della spesa per la ricerca e sviluppo da parte di imprese e settore privato non profit;
    invece di cogliere quell'opportunità per collegare imprese e ricerca con lo straordinario patrimonio culturale, e partecipare in modo non subalterno ai programmi europei, la politica italiana si è prodotta in schizofreniche disposizioni: da un lato quelle incentivanti, come il riconoscimento di un credito d'imposta per investimenti in ricerca ed innovazione; dall'altro, un accresciuto controllo burocratico ministeriale che esautora le autonomie della ricerca e dell'università, inibisce l'operatività dei programmi comunitari e blocca l'avvio dei bandi pubblici. Insomma, un mix di concause che determinano il «paradosso italiano», in virtù del quale si continua a contribuire ai fondi europei in misura nettamente maggiore rispetto all'entità dei finanziamenti che, con l'esiguo numero dei ricercatori, si riesce a catturare con progetti di ricerca. In conseguenza della carenza di attenzione e dell'incertezza delle opportunità e dei finanziamenti si depaupera il capitale umano e si finanziano i nostri concorrenti col trasferimento di ricercatori italiani (cosiddetta «fuga di cervelli»), formati a nostre spese, che negli altri Paesi trovano condizioni migliori per esprimere i propri talenti;
    la scarsa attrattività dell'Italia ha portato all'estero circa 15.000 ricercatori, creando un vero e proprio buco generazionale e facendo perdere competitività al nostro Paese rispetto agli altri Stati membri: un regalo di intelligenze non compensato da contestuali ingressi dall'estero. Secondo recenti rilevazioni, infatti, le uscite sono pari al 16,2 per cento mentre gli ingressi dall'estero sono fermi al 3 per cento. Nel 2013 operava in Italia un numero di ricercatori pubblici e privati pari a 164 mila unità (4,9 ogni 1.000 occupati), mentre negli altri maggiori Paesi europei, la presenza di ricercatori è più numerosa e capillare: 357 mila in Francia (9,8 ricercatori per 1.000 occupati); 522 mila in Germania (8,5); 442 mila nel Regno Unito (8,7); 216 mila in Spagna (6,9);
    la dispersione delle scarse risorse per la ricerca tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e altri Ministeri quali politiche agricole alimentari e forestali, salute, difesa, sviluppo economico e ambiente e tutela del territorio e del mare, imporrebbe un maggior coordinamento, mentre in senso opposto procede la creazione, a fianco del CNR e delle università, dell'IIT, ovvero una fondazione privata finanziata direttamente dal Ministero dell'economia e delle finanze, che nel 2008 ha ricevuto in dotazione il patrimonio finanziario della fondazione IRI pari a circa 130 milioni di euro, cioè risorse pubbliche provenienti dalle spoglie della più grande holding industriale pubblica del Paese: un trattamento di favore che dovrebbe sollevare l'indignazione della comunità scientifica contro una linea emergenziale che con una mano toglie fondi e risorse alla ricerca ed all'alta formazione pubblica e, dall'altra, le affida a poteri discrezionali, in assenza di qualsiasi controllo di merito e di verifiche;
    all'IIT il Presidente del Consiglio dei ministri ha ufficialmente affidato la concessione del progetto definitivo dello Human Technopole, in associazione ai tre atenei milanesi ed a diversi istituti di ricerca di area confindustriale, progetto per il quale verranno stanziati 1,5 miliardi di euro in dieci anni. Una scelta paradossale se confrontata coi tagli mascherati al settore pubblico dell'università e della ricerca nella legge di stabilità per il 2016 che portano il definanziamento del sistema universitario a quota 1,1 miliardi di euro;
    lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha annunciato nei mesi scorsi lo stanziamento di 2,5 miliardi di euro per la ricerca pur sapendo che non si tratta di risorse aggiuntive ma della quota di cofinanziamento spettante al nostro Paese per la sua appartenenza al programma europeo «Horizon 2020». Nello stesso contesto il Premier ha confermato il varo di un programma nazionale per la ricerca 2015-2020 da 2,5 miliardi di euro, importo che non sarebbe però costituito da risorse «fresche» ma che corrisponderebbe a fondi contabilizzati da oggi al 2017, tra stanziamenti già presenti nel bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per un importo pari a 1,9 miliardi di euro e una quota relativa alla programmazione nazionale del fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al periodo 2014-2020 per un importo di 500 milioni di euro: in sostanza si tratterebbe della programmazione attuativa di risorse già disponibili;
    il suddetto piano del Governo per rilanciare ricerca ed innovazione manca all'appello dal 30 gennaio 2014 quando il Consiglio dei ministri esaminava in via preliminare il teste elaborato dall'allora Ministra Maria Chiara Carrozza e mai varato. Nonostante quello che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano il tentato e continuo «depistaggio cognitivo» da parte del Premier resta un'amara realtà: il Governo in perfetta continuità con quelli precedenti prosegue una rotta catastrofica per il Paese ed ha stanziato per i prossimi due anni solo 100 milioni di euro con i quali poter assumere solo 861 ricercatori all'anno, mentre, invece, ne servirebbero almeno 2.400 all'anno per i prossimi otto;
    l'istruzione universitaria è un investimento pubblico che si ripaga nel medio periodo: per i giovani che la frequenta o per il quali, oltre all'acquisizione di conoscenze e competenze, che consentono di svolgere attività maggiormente retribuite, essa rappresenta il principale fattore di mobilità sociale se si pensa che nel nostro Paese oltre il 70 per cento degli studenti universitari appartiene a famiglie in cui nessuno dei genitori è in possesso di una laurea; per le imprese, perché disporre di una forza lavoro con elevato grado di istruzione aumenta la competitività e rende possibile un maggiore tasso d'innovazione;
    dunque anche le politiche di reclutamento del personale universitario sono da ripensare. È oltremodo prioritario e doveroso affrontare l'attuale condizione di gravissima carenza di personale se si vuole evitare che il sistema universitario pubblico si avviti in una spirale di declino irreversibile, sottraendo all'Italia quegli strumenti indispensabili di innovazione e crescita culturale, economica e sociale di cui le università da sempre sono centri insostituibili di sviluppo e disseminazione;
    il sotto-dimensionamento del corpo docente universitario italiano, e più in generale del complesso degli addetti alla ricerca universitaria, emerge evidente dal confronto europeo, e peggiora ogni anno di più. La consistenza numerica attuale è in Italia inferiore di almeno il 25 per cento alla media dei valori di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, solo per limitarsi ai Paesi più simili al nostro per dimensioni e tradizioni;
    per l'effetto combinato della riduzione dei finanziamenti, dei blocchi del turnover e dei concorsi, e dell'abbassamento dell'età di pensionamento, negli ultimi sette anni si è verificato un crollo verticale del numero di docenti in servizio, pari a meno 30 per cento per gli ordinari, e meno 17 per cento per gli associati, superiore alla contemporanea modesta riduzione del numero degli studenti. A questo si aggiungano gli effetti derivanti dal graduale esaurimento della cosiddetta terza fascia prevista dalla normativa vigente;
    numerose analisi dimostrano che in assenza di interventi normativi che sblocchino l'attuale limite al turn-over previsto dall'attuale regime per le assunzioni delle università statali, si assisterà da un'ulteriore pesante contrazione del corpo docente che comporterà nel 2018 il dimezzamento del numero dei professori ordinari in servizio, rispetto a quello del 2008. Effetti analoghi si avranno sempre nel 2018, nell'ipotesi in cui nel frattempo non si proceda ad alcuna nuova assunzione o promozione dei professori associati, con una sensibile riduzione degli stessi pari al 27 per cento rispetto a quelli in servizio nel 2008. L'attuale normativa, infatti, prevede che nel 2016 risulti spendibile per il reclutamento il 60 per cento del turnover, per poi passare all'80 per cento nel 2017 e solo a partire dal 2018 a stabilizzarsi al 100 per cento;
    altrettanto improponibile è la persistente chiusura del sistema universitario ai giovani ricercatori, aggravata ancora una volta da interventi normativi (come la suddetta messa ad esaurimento della fascia dei ricercatori) che, sconvolgendo il regime ordinario di carriera nell'organico docente, per di più in un contesto di carenza di risorse, hanno innescato incertezze e meccanismi di instabilità esiziali per l'ordinaria attività didattica e di ricerca;
    di più. Sul medesimo fronte del reclutamento universitario la legge 30 dicembre 2010, n. 240, (riforma del sistema universitario), nell'individuare un percorso pre-ruolo per accedere alla docenza, ha reso meno attraente per i giovani la carriera. La stessa legge, infatti, ha previsto che il percorso che deve affrontare un ricercatore universitario e che porta alla stabilizzazione della posizione professionale duri almeno sei anni, percorso destinato ad allungarsi ulteriormente e che può portare l'età media di ingresso alla docenza a 37 anni, se invece si guarda alle variegate di figure di accesso (assegnisti di ricerca, ricercatori a tempo determinato di tipo A e di tipo B, borse post-doc);
    la figura del ricercatore a tempo determinato (cosiddetta RTD), nelle previsioni della suddetta legge n. 240 del 2010, si articola nelle due distinte fattispecie: quella del RTD-a e quella del RTD-b, molto simili tra loro dal punto di vista qualitativo e dei compiti istituzionali, essendo prevista per entrambi l'attività di ricerca e quella didattica e quindi distinti solo per aspetti quantitativi nel rapporto tra questi impegni, ma profondamente diversi dal punto di vista dell'accesso alla docenza dal momento che i ricercatori appartenenti alla categoria B, a seguito di valutazione positiva dopo un triennio, possono transitare nel ruolo di professore associato, mentre per quelli appartenenti alla categoria A, la stessa valutazione positiva dopo il triennio da loro solo il diritto di vedersi riconosciuta la proroga biennale dell'incarico e a poter aspirare al ruolo solo in presenza di un concorso disponibile;
    inoltre, la stessa legge, laddove disciplina la possibilità per le università di stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, non contempla, tra i soggetti ammessi alle procedure pubbliche di selezione, tutti i titolari di assegni di ricerca, valutando come titoli utili ai fini della partecipazione al concorso per ricercatore solo quegli assegni conseguiti nel vigore dell'articolo 51 della legge n. 449 del 1997 e non anche quelli conseguiti in forza della normativa attuale. Ed invero tale esclusione degli abilitati dal novero dei possibili candidati ha già prodotto fino ad oggi effetti paradossali, avendo costretto gli atenei a reclutare quali ricercatori di tipo B soggetti che non hanno ottenuto l'abilitazione nazionale, pur avendo partecipato alla procedura, a scapito di altri che invece l'hanno ottenuta, guadagnandosi il diritto a partecipare a concorsi per posizioni di seconda fascia, ma, paradossalmente, non a quelli per posti di ricercatore di tipo B. L'esclusione dei candidati abilitati, peraltro discriminatoria e contraria alla promozione del merito, ha aumentato il rischio per gli atenei di investire a vuoto su parte di essi essendo i primi, al termine del percorso triennale, destinati a fuoriuscire dal sistema;
    eppure la condizione del ricercatore a tempo determinato, oltre ad essere centrale nel meccanismo di reclutamento universitario, vista la sua funzione di traghettamento verso posizioni a tempo indeterminato, assolve, allo stesso tempo, seppur in modo disordinato ed improprio, il compito di supporto formale alla permanenza nei dipartimenti per tanti giovani attivi ed interessati alla ricerca, sempre più spesso diretti responsabili del funzionamento di corsi di laurea e di dottorato;
    attualmente, la gran parte dei ricercatori italiani usufruisce di assegni di ricerca, cioè di una forma di contratto di lavoro parasubordinato che però non dà luogo a tutele degne di questo nome, nemmeno nel caso di periodi purtroppo sempre più frequenti, di disoccupazione. Essi non si vedono, infatti, riconosciuta la «DIS-COLL» e ciò rende evidente quanto siano necessarie spinte «esterne», affinché all'attività di ricerca dei precari possa essere attribuito un degno riconoscimento, come nel resto d'Europa. Lasciando pertanto fuori dal sistema di protezione sociale decine di migliaia di persone già sottoposte a condizioni contrattuali ed economiche di precarietà e che, nonostante questo, contribuiscono con passione alla crescita e allo sviluppo del nostro Paese, offrendo un lavoro invisibile che si cela dietro il progredire della conoscenza: insomma, una generosità, quella dei precari, non ripagata visto che negli ultimi dieci anni più del 93 per cento di essi è stato espulso dagli atenei italiani;
    se è vero che il declino dell'università è una questione nazionale, non vi è dubbio, che una serie di fenomeni preoccupanti si stia concentrando maggiormente al Sud, acuendo quel gap economico e sociale creatosi storicamente nel Paese e meglio noto come «questione meridionale» e determinandone una tutta nuova all'interno dell'università italiana;
    la crisi del sistema universitario meridionale è ben fotografata dall'ultimo rapporto Svimez, da cui emerge lo strettissimo rapporto tra la drammatica condizione giovanile nel Sud ed il declino dei suoi atenei e del sistema regionale di diritto allo studio. Se le risorse diminuiscono, anche le opportunità formative calano, escludendo inevitabilmente un'intera generazione dallo studio e quindi dalle prospettive di lavoro. Del resto le misure del Governo continuano a favorire una biforcazione su base territoriale del sistema universitario italiano, a parità di risorse, favorendo gli atenei del Nord, prova ne è l'investimento sullo Human Technopole, che produrrà un fortissimo effetto attrattivo di ricercatori verso l'area milanese;
    inoltre, stando all'ultimo rapporto Anvur sullo stato del sistema universitario, negli ultimi dieci anni, le università meridionali hanno perso 45.000 immatricolazioni; non lo stesso può dirsi per quelle collocate al Centro-nord, che dopo un'iniziale perdita, hanno superato la crisi. Lo stesso rapporto evidenzia che in Italia, 7 diplomati su 10 proseguono gli studi immatricolandosi all'università, secondo un flusso migratorio di studenti dal Sud al Centro nord pari al 25 per cento. In totale, quindi, le università del Sud riescono a «trattenere» poco più del 60 per cento dei diplomati meridionali, mentre pochissimi studenti del Centro-nord si immatricolano nelle università del Sud. Il sistema universitario del Centro-nord, invece, oltre ai diplomati locali riesce ad attrarre altri 2 diplomati su 10 provenienti dal Sud;
    il suddetto fenomeno non può essere semplicisticamente motivato dall'attrazione esercitata dalle grandi università o dalle città del Nord, quanto, piuttosto, da un'iniqua distribuzione delle già scarse risorse finanziarie destinate al diritto allo studio universitario e messe in campo dalle regioni, ripartizione che, essendo paradossalmente legata allo stato dei bilanci di queste ultime, tiene solo parzialmente conto dei potenziali beneficiari, rappresentati da quegli studenti capaci e privi di mezzi ai quali la Costituzione italiana attribuisce il diritto a raggiungere i più alti gradi degli studi, e che sono maggiormente presenti al Sud;
    il suddetto progressivo abbandono delle università meridionali è il risultato anche dell'adozione, in sede di valutazione della didattica e della ricerca da parte dell'Anvur di meccanismi premiali distorti e che dietro alla presunta oggettività dei numeri, sta portando al collasso gli atenei meridionali ritenuti meno meritevoli di altri, dirottando la maggior parte delle poche risorse, insufficienti al finanziamento del sistema, verso il Nord. Inoltre, anche i criteri di ripartizione della quota premiale del fondo di finanziamento ordinario sono diventati una clava contro gli atenei meridionali, perché questi – tenendo conto del rapporto fra entrate da tasse, entrate da Fondo di finanziamento ordinario e spese – risentono della minore capacità reddituale delle famiglia di pagare tasse alte, e penalizzano quegli atenei che si trovano in territori più poveri;
    tale situazione è anche generata dall'onere finanziario che grava sugli studenti. In dimensione comparativa, il nostro Paese non solo destina poche risorse pubbliche al sistema universitario, ma ha anche la tassazione studentesca tra le più alte d'Europa. Inoltre, anche il sistema di attribuzione delle borse di studio, affidato alle regioni attraverso un meccanismo redistributivo, di fatto pone il finanziamento a carico degli stessi studenti universitari;
    in termini sociali chi patisce di più il fortissimo aumento delle tasse universitarie e l'inconsistenza del diritto allo studio sono le famiglie più povere, con un effetto negativo sulla dinamica della diseguaglianza nel nostro Paese;
    dopo le nefaste riforme dei Ministri Moratti, e successivamente, Gelmini e Profumo che hanno imposto agli atenei italiani di ragionare in termini aziendalistici costringendoli a ridurre l'offerta formativa e le proprie strutture nei territori e ad affidarsi, per sopravvivere, alle mani di finanziatori privati, i provvedimenti dell'attuale Governo, in piena continuità con i precedenti, confermano, accentuandola, la politica di smantellamento del sistema universitario pubblico, il solo capace di garantire uguali opportunità formative, in favore di poche istituzioni universitarie di eccellenza, finendo con il determinare un'odiosa discriminazione tra studenti che hanno la possibilità economica di studiare nelle sedi più prestigiose e chi, anche se più meritevole, invece non ce l'ha;
    al fine di accrescere l'attrattività a livello internazionale del sistema universitario italiano, la legge di stabilità per il 2016 ha istituito in via sperimentale il «Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta» finalizzato al reclutamento straordinario, in deroga alle procedure di cui alla legge n. 240 del 2010, di 500 professori ordinari e associati per chiamata diretta per elevato merito scientifico, secondo procedure nazionali da definire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsione che, perpetuando la possibilità di far salire in cattedra i titolari di quelle vecchie abilitazioni che secondo le previsioni originarie avrebbero dovuto avere una validità limitata a tre anni, introduce, di fatto, nel sistema un secondo canale di reclutamento dei docenti di natura extraconcorsuale. Insomma, si tratta, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, di una sorta di «pannicello caldo» presentato dal Governo come una misura risolutoria ai problemi strutturali della scienza e dell'università italiana, che potrebbe, fra l'altro, produrre effetti distorsivi tra i quali una ulteriore delegittimazione del sistema universitario, la creazione di disparità inaccettabili tra individui con professionalità comparabili, la marginalità dei possibili effetti sistemici unita al rafforzamento di alcune sedi universitarie di eccellenza ed individuate in base alle libere scelte dei vincitori;
    anche in ambito universitario si assiste, oramai da alcuni decenni, al disinvestimento che sta subendo quel settore della formazione e della ricerca italiana e che sinora ha rappresentato l'asse portante dell'identità culturale della nazione, e cioè quello degli studi umanistici, deperimento che, in una fase storica in cui il sistema economico-finanziario fa da traino indisturbato alle scelte politiche e sociali, è supportato da un «pensiero unico» tecnico-nazionale e materialista modellato su posizioni neoliberiste e secondo il quale ogni conoscenza dev'essere finalizzata ad una prestazione e tutto dev'essere orientato all'utile: una pericolosa deriva che, attraverso una continua delegittimazione del ruolo civile dell'insegnamento umanistico, porta al graduale impoverimento della capacità critica delle coscienze;
    in un mondo dominato oramai dall'economia della conoscenza, la ricerca insieme all'istruzione sono i pilastri su cui si costruisce il futuro e la prosperità, pertanto un Paese che non investe in ricerca, sviluppo e cultura è condannato a non avere futuro,

impegna il Governo:

   a rilanciare, con la massima urgenza, il settore della ricerca e della cultura italiana, abbandonando definitivamente la logica emergenziale e discrezionale con cui si è proceduto negli ultimi anni e impostando una programmazione lungimirante con cadenza almeno triennale che dia stabilità e prospettive alla ricerca ed all'università;
   a varare con urgenza l'annunciato programma nazionale per la ricerca 2015-2020 e ad assumere iniziative per elevare, in prospettiva, l'attuale spesa per investimenti in ricerca e sviluppo ad un livello pari al 3 per cento del prodotto interno lordo, anche al fine di accrescere i livelli di occupazione e benessere sociale del nostro Paese, e per adeguare nell'immediato i finanziamenti al sistema pubblico di formazione e ricerca alla media dei Paesi OCSE, del 2,2 per cento, ripristinando i fondi PRIN (progetti di rilevante interesse nazionale) e FIRB (fondo per gli investimenti della ricerca di base);
   ad assumere iniziative per sospendere dal 2017 il meccanismo di contingentamento delle assunzioni, eliminando dalla normativa ogni limitazione del turnover, al fine di assicurare il ricambio generazionale per tutte le figure del mondo universitario e della ricerca pubblica;
   ad affrontare il problema del co-finanziamento dei fondi europei con strumenti innovativi di sostegno che agevolino sul piano finanziario e amministrativo la partecipazione della ricerca italiana ai bandi su fondi comunitari;
   ad assumere iniziative per rivedere il sistema di valutazione della ricerca e dell'istruzione universitaria nazionale basata su fondi pubblici:
    a) affidando la valutazione ex post della ricerca ad un'autorità indipendente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, eventualmente modificando le attuali strutture e funzioni dell'Anvur e affidandole come obiettivi oltre a quello del miglioramento della ricerca e, con riferimento al sistema universitario, quello della didattica e dei servizi, anche l'individuazione di punti di forza e debolezze della complessa stratificazione della geografia accademica italiana;
    b) creando un fondo premiale per le università, separato dal Fondo di finanziamento ordinario, da distribuire periodicamente in ragione dei progressi realizzati da ciascun ateneo nella ricerca e nei servizi, oltre che nella correttezza della gestione economica, e definendo i criteri in virtù della collocazione territoriale, anche rivedendo gli attuali criteri di distribuzione del Fondo di finanziamento ordinario per giungere a degli indicatori stabili e noti ex ante, sottoposti al vaglio rigoroso della comunità scientifica attraverso il Consiglio universitario nazionale;
   ad assumere iniziative per fare del dottorato di ricerca un titolo preferenziale di accesso alla pubblica amministrazione e agli enti locali, in modo da accrescere il livello della competenza tecnica nello Stato, nelle regioni e negli enti locali, e creare circuiti virtuosi di competenza;
   ad assumere iniziative per definire un chiaro percorso post-dottorato, non superiore a quattro anni, che recepisca quanto stabilito dalla Carta europea dei ricercatori, con un contratto unico pre-ruolo, con retribuzione, tutele e diritti di rappresentanza conformi a quelle dei lavoratori a tempo determinato;
   ad individuare strategie per l'assunzione in ruolo di ricercatori a tempo determinato sia di tipo A che di tipo B in possesso di abilitazione scientifica nazionale.
(1-01193)
(Nuova formulazione) «Carlo Galli, Pannarale, Giancarlo Giordano, Nicchi, Ricciatti, Gregori, Ferrara, Martelli, Scotto».


   La Camera

impegna il Governo:

   a rilanciare, con la massima urgenza, il settore della ricerca e della cultura italiana, abbandonando definitivamente la logica emergenziale e discrezionale con cui si è proceduto negli ultimi anni e impostando una programmazione lungimirante con cadenza almeno triennale che dia stabilità e prospettive alla ricerca ed all'università;
   a varare con urgenza l'annunciato programma nazionale per la ricerca 2015-2020 e ad assumere iniziative per elevare, in prospettiva, l'attuale spesa per investimenti in ricerca e sviluppo ad un livello pari al 3 per cento del prodotto interno lordo, anche al fine di accrescere i livelli di occupazione e benessere sociale del nostro Paese, e per adeguare nell'immediato i finanziamenti al sistema pubblico di formazione e ricerca alla media dei Paesi OCSE, del 2,2 per cento, ripristinando i fondi PRIN (progetti di rilevante interesse nazionale) e FIRB (fondo per gli investimenti della ricerca di base);
   ad assumere iniziative per sospendere dal 2017 il meccanismo di contingentamento delle assunzioni, eliminando dalla normativa ogni limitazione del turnover, al fine di assicurare il ricambio generazionale per tutte le figure del mondo universitario e della ricerca pubblica;
   ad affrontare il problema del co-finanziamento dei fondi europei con strumenti innovativi di sostegno che agevolino sul piano finanziario e amministrativo la partecipazione della ricerca italiana ai bandi su fondi comunitari;
   ad assumere iniziative per rivedere il sistema di valutazione della ricerca e dell'istruzione universitaria nazionale basata su fondi pubblici:
    creando un fondo premiale per le università, separato dal Fondo di finanziamento ordinario, da distribuire periodicamente anche in ragione dei progressi realizzati da ciascun ateneo nella ricerca e nei servizi, oltre che nella correttezza della gestione economica, e definendo i criteri in virtù della collocazione territoriale attraverso indicatori stabili e noti ex ante, scelti da ogni ateneo rispetto ad un parere di indicatori definiti dal Miur;
   a valorizzare il titolo di dottore di ricerca nell'ambito della disciplina dell'accesso al pubblico impiego, in modo da accrescere il livello della competenza tecnica nello Stato, nelle regioni e negli enti locali, e creare circuiti virtuosi di competenza;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per definire un percorso post-dottorato, che recepisca quanto stabilito dalla Carta europea dei ricercatori;
   ad individuare strategie per l'assunzione in ruolo di ricercatori a tempo determinato sia di tipo A che di tipo B in possesso di abilitazione scientifica nazionale, in coerenza con il dettato costituzionale.
(1-01193)
(Nuova formulazione – Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Carlo Galli, Pannarale, Giancarlo Giordano, Nicchi, Ricciatti, Gregori, Ferrara, Martelli, Scotto».


   La Camera,
   premesso che:
    in data 18 marzo 2014 l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) ha presentato il «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca in Italia», un documento di approfondita e attenta analisi sulla condizione del sistema universitario nazionale;
    dalla lettura del citato documento dell'Agenzia emerge una rappresentazione del sistema universitario nazionale certamente preoccupante, anche con riferimento agli impegni assunti dal nostro Paese in sede europea;
    l'Italia rimane, infatti, tra gli ultimi paesi in Europa per quota di popolazione in possesso di un titolo di istruzione terziaria, anche tra la popolazione più giovane con un ritardo ritenuto dallo stesso documento considerevole;
    con i programmi di riforme economiche «Strategia di Lisbona» prima e «Strategia Europa 2020» poi, l'Unione europea ha inteso agevolare l'innalzamento dei livelli di istruzione quali obiettivi di primaria importanza per lo sviluppo europeo, con l'intenzione di costruire e agevolare la nascita di un'economia maggiormente basata sulla conoscenza e sulla ricerca;
    tuttavia, l'analisi documentava il preoccupante divario dell'Italia rispetto alla percentuale di riferimento della media europea, costringendo il nostro Paese al terzultimo posto nella classifica dei vari Stati dell'Unione, e mostrando, inoltre, come le significative di differenze territoriali del nostro Paese influenzassero in maniera rilevante tale andamento;
    in relazione alla composizione degli iscritti per area territoriale si notava, ad esempio, «una sostanziale stabilità di studenti iscritti in corsi di studio del Nord Italia (circa 685.000 negli ultimi anni), una lieve flessione degli iscritti nel Centro e un netto calo degli iscritti nel Mezzogiorno»;
    nonostante tali evidenze siano emerse con chiarezza già nel precedente triennio non sembra possibile affermare, a oggi, che provvedimenti significativi siano stati assunti dal Governo al fine di migliorare la condizione del sistema universitario e della ricerca italiano, assistendo, piuttosto, a un progressivo e costante peggioramento delle condizioni segnalate dall'Agenzia di valutazione nell'anno 2014;
    a tal fine è bene ricordare come lo stesso ANVUR presenti tra le funzioni di propria competenza l'elaborazione, su richiesta del Ministro, dei parametri di riferimento per l'allocazione dei finanziamenti statali, ivi inclusa la determinazione dei livelli essenziali di prestazione e dei costi unitari riferiti a specifiche tipologie di servizi, compiti essenziali per la determinazione dei finanziamenti da erogare all'università italiane al fine di assicurarne il corretto funzionamento;
    l'introduzione di nuovi sistemi di finanziamento, tra i quali l'assunzione di criteri valutativi nell'allocazione delle risorse da destinare ad atenei ed enti di ricerca, viene prevista dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240, «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario», cosiddetta legge Gelmini, la cui concreta attuazione ha comportato, nel corso degli anni, una progressiva scissione funzionale, organizzativa ed economica tra gli atenei italiani, con particolare evidenza tra quelli situati nei territori settentrionali e quelli meridionali del territorio dello Stato;
    l'esasperata ricerca del merito, a discapito di una crescita unitaria di tutto il sistema universitario, fondata, tra l'altro, su una valutazione non del tutto oggettiva ha condotto ad uno svilimento della funzione formativa universitaria, attraverso l'erogazione di finanziamenti «premiali» basati su criteri non evidentemente adeguati all'effettiva valorizzazione del merito e, soprattutto, con attribuzioni economiche direttamente sottratte dai finanziamenti destinati all'ordinario funzionamento delle università italiane;
    il nuovo sistema di stanziamenti utilizza, infatti, le risorse del fondo di finanziamento ordinario (FFO), per poi ridistribuirne parte di queste agli atenei considerati meritevoli, premiando la qualità della ricerca attraverso un metodo sostanzialmente punitivo, essendo la cosiddetta quota premiale non prevista attraverso stanziamenti ulteriori e diversi;
    il meccanismo di finanziamento richiamato viene disciplinato per l'anno in corso dall'articolo 3 del decreto ministeriale 8 giugno 2015, n. 335, il quale prevede che 1.385.000.000 di euro, pari a circa il 20 per cento del totale delle risorse disponibili, vengano assegnati a fini premiati, e che «tale somma è assegnata alle Università e agli Istituti ad ordinamento speciale secondo i criteri e le modalità di cui all'allegato 1 e per le percentuali di seguito indicate: 65 per cento in base ai risultati conseguiti nella valutazione della qualità della ricerca (VQR 2004-2010);
    gli attuali parametri della valutazione della qualità della ricerca non risultano, tuttavia, adeguati a calibrare in maniera corretta l'erogazione dei fondi universitari, rendendo necessaria l'assunzione di urgenti iniziative al fine di introdurre un nuovo sistema di finanziamento che garantisca, prima di ogni previsione premiale, le risorse comunque necessarie al funzionamento ordinario di tutte le università pubbliche italiane;
    appare evidente come il progressivo allontanamento qualitativo e funzionale degli atenei italiani, con le marcate evidenze sopra richiamate in riferimento alle università del Meridione, sia scelta politica assunta dal Governo, volontà confermata dallo stesso Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il quale, pur sostenendo la presenza di università di diverso livello nel territorio ha riferito di voler limitare a poche realtà la possibilità di competere a livello internazionale;
    appare evidente sia dalla concreta applicazione delle normative richiamate, sia dagli attuali sistemi premiali di finanziamento agli atenei italiani, come questi non conducano in alcun modo ad una reale competizione tra atenei, dal momento che tali stanziamenti, già direttamente sottratti al regolare funzionamento degli atenei, subiscono sostanziali e progressive contrazioni di spesa nel corso degli anni;
    si ritiene, infatti, che un sistema efficiente possa essere considerato tale esclusivamente qualora i finanziamenti vengano razionalmente distribuiti a tutti gli atenei nella misura necessaria a garantirne il buon andamento, per poi introdurre eventuali e collaterali sistemi premiali che distribuiscano risorse ulteriori e a quegli atenei che dimostrino di aver utilizzato al meglio le risorse erogate;
    oggi, al contrario, si assiste a consistenti riduzioni finanche degli stanziamenti ordinari destinati al sistema universitario, dal momento che per il solo anno 2015 il fondo di finanziamento ordinario (FFO) ha subito per una decurtazione pari a 87,4 milioni di euro rispetto allo stesso stanziamento disposto per l'anno 2014, e con differenze ancora maggiori se raffrontate ai finanziamenti previsti negli ultimi 10 anni;
    in data 20 maggio 2015 il Consiglio universitario nazionale, in sede di parere sullo schema di decreto di riparto del fondo di finanziamento ordinario delle università per l'anno 2015, rilevava come le diverse voci del fondo di finanziamento ordinario, in quanto soggette a un'ulteriore riduzione, comporteranno un inevitabile aumento del divario con gli altri Paesi dell'Unione europea, evidenziando altresì come gli obiettivi già richiamati dal documento redatto dall'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca non possano essere raggiunti;
    lo stesso Consiglio ha ricordato, infatti, «come la frazione di PIL dedicata dallo Stato al sistema universitario» risulti ormai «meno della metà di quanto spendono Francia e Germania, nonostante le importanti risorse derivanti dal massiccio esodo degli ultimi cinque anni (quasi 2000 docenti in meno ogni anno in media) e dal blocco degli scatti (che valevano circa il 2 per cento del monte salari ogni anno)»;
    analoghe critiche venivano sollevate in merito alla cosiddetta quota premiale, dal momento che il Consiglio universitario nazionale ha ribadito come tale quota «per non incidere negativamente sui livelli minimali di funzionalità degli Atenei, dovrebbe essere prevalentemente aggiuntiva», confermando, di fatto, le forti approssimazioni che l'attuale sistema di finanziamento presenta e sin qui sostenute;
    il Consiglio sottolineava, infatti, «le perplessità metodologiche espresse in relazione alla significatività attuale degli esiti della VQR 2004-2010» anche a causa della staticità dei parametri adottati per periodi significativamente lunghi e sull'impossibilità per gli atenei di beneficiare di eventuali interventi correttivi;
    simili e sostanziali riduzioni hanno interessato, nel corso degli ultimi anni, il Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni della ricerca (FOE), il quale ha subito continue diminuzioni che, anche in questo caso, hanno inevitabilmente ridotto ovvero fortemente limitato la competitività del sistema italiano anche a livello comunitario;
    tali criticità sono state recentemente sollevate dalla VII Commissione permanente della Camera dei deputati, la quale esprimendosi in sede di schema di decreto ministeriale per il riparto del fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca (FOE) per l'anno 2015, atto n. 186, evidenziava notevoli difficoltà sia del sistema inteso nel suo complesso, sia gli inadeguati provvedimenti assunti dall'Esecutivo che ne modificassero l'andamento;
    così come rilevato dalla Commissione, infatti, «le assegnazioni ordinarie per il 2015 non costituiscono – tranne che per il CNR – il 100 per cento delle assegnazioni ordinarie 2014, ma, rispetto a queste, registrano riduzioni tra l'1,6 e il 7,9 per cento», riportando come «le assegnazioni complessive ai 12 enti di ricerca vigilati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – al netto degli importi destinati alla società Sincrotrone di Trieste, a INDIRE, INVALSI, ANVUR e CMCC, della quota premiale, delle risorse destinate alle assunzioni dirette per meriti eccezionali – ammontano a 1.567,1 milioni di euro: rispetto al 2014 (1.622,4 milioni di euro), si registra un decremento del 3,4 per cento»;
    anche per gli enti di ricerca il cosiddetto sistema di finanziamento presenta, quindi, caratteri di incompatibilità con il raggiungimento dei fini preposti dalla normativa, dal momento che la quota premiale suddivisa sulla base dei criteri di valutazione della qualità non risultava essere, anche in questo caso, ulteriore e diversa rispetto al fondo ordinario previsto per il regolare funzionamento, e che lo stesso FOE veniva ulteriormente ridotto;
    in particolare, il finanziamento premiale, pari a 98.799.582 euro, corrisponde al 7 per cento delle assegnazioni ordinarie previste per l'anno 2015, e risulta ripartito per il 70 per cento sulla base dei risultati della VQR 2004-2010, prendendo quale riferimento prodotti attesi, indicatori di qualità della ricerca di area e di struttura e valutazione complessiva di ogni ente evidentemente datati e non suscettibili di una efficace verifica, acuendo ulteriormente le eventuali sperequazioni tra gli enti e gli istituti della ricerca;
    le sostanziali riduzioni di spesa, congiuntamente all'attuazione del turnover per le assunzioni all'interno delle università italiane e della ricerca, nonché alla continua precarizzazione contrattuale degli organici, hanno contribuito a creare una condizione di preoccupante instabilità ed inadeguatezza relativamente al personale docente e ricercatore, così come evidenziato anche dal Consiglio nazionale universitario e dall'Agenzia di valutazione all'interno dei citati documenti;
    nel proprio parere il Consiglio nazionale universitario ribadiva la necessità di attuare un piano straordinario ad hoc, risultando oggi «quasi impossibile reclutare ricercatori di tipo b)», difficoltà senz'altro ampliate dalla presenza di un sistema nazionale con turnover del personale, il quale, pur comportando eventuali utili in bilancio per gli atenei, potrebbe comunque condurli all'impossibilità di predisporre nuovi reclutamenti, nonché dall'utilizzo di somme per il reclutamento di personale ricercatore stabile direttamente sottratte dal fondo di finanziamento ordinario (FFO), anche in questo caso, non aggiuntive;
    la figura di ricercatore «RTD di tipo B», contestualmente all'altra tipologia di ricercatore denominata «RTD di tipo A», veniva introdotta dall'articolo 24, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, norma che ha di fatto disposto l'utilizzo di modelli sempre più precari all'interno del sistema universitario e della ricerca;
    così come rilevato dall'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) nel «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca Italia», la «contrazione del corpo docente registrata negli ultimi anni è stata accompagnata da una crescita costante del numero dei ricercatori a tempo determinato e, in generale, del personale non strutturato impegnato in attività di ricerca (assegnisti, borsisti e collaboratori). Nel complesso si tratta di circa 27.000 persone, circa il 50 per cento del corpo docente»;
    «i ricercatori a tempo determinato», concludeva il documento, «sono destinati a sostituire i ricercatori di ruolo, ormai a esaurimento dopo la riforma del reclutamento introdotta dalla legge n. 240 del 2010; tuttavia i ricercatori ex lege n. 240, sono ancora relativamente poco diffusi, anche se in crescita, e risulta ancora raro il ricorso al tipo B, in tenure track»;
    tali riduzioni, pur venendo per lo più giustificate da una più generale condizione economica di particolare sofferenza per l'intero Paese, costituiscono piuttosto specifiche scelte di carattere politico, dal momento che in numerosi casi le limitate risorse destinate al sistema statale, vengono invece destinate a progetti che dovrebbero risultare almeno subordinati alla realizzazione dei fondamentali obiettivi sin qui richiamati;
    benché in presenza della necessità di disporre adeguati stanziamenti per i fondi di funzionamento dell'università e della ricerca, con l'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, il Governo ha «attribuito all'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) un primo contributo dell'importo di 80 milioni di euro per l'anno 2015 per la realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca», pur in assenza di un progetto specifico, e che l'istituto beneficiario sarà tenuto ad elaborare solo successivamente a tale stanziamento;
    successivamente, in data 24 febbraio 2016, alla presenza del premier Matteo Renzi e del Ministro con delega ad Expo Maurizio Martina, è stato presentato dal Governo il progetto per il nuovo polo di ricerca dopo Expo Milano 2015 denominato «Human Technopole», la cui realizzazione veniva ancora una volta affidata all'Istituto italiano di tecnologia (IIT), insieme al Politecnico di Milano, l'università degli studi di Milano e l'università degli studi Milano Bicocca, in collaborazione con gli istituti di ricerca clinica e ospedaliera di Milano, la Fondazione Edmund Mach di Trento, la Fondazione ISI di Torino, il CINECA di Bologna e il CREA;
    l'Istituto italiano di tecnologia (IIT), istituito nell'anno 2003 e direttamente sostenuto dal Ministero dell'economia e delle finanze, presenta sì caratteri formalmente pubblici, ma la propria governance viene direttamente gestita da una fondazione di tipo privato;
    tale istituto ha ricevuto nel solo anno 2015 finanziamenti pubblici per circa 96 milioni di euro, così come riportato dal proprio sito istituzionale, ovvero un'erogazione pari all'intera quota premiale prevista per gli enti e gli istituti di ricerca italiani per l'anno 2015;
    gli ulteriori finanziamenti, nonché l'attribuzione da parte del Governo del progetto denominato «Human Technopole», così come assegnati all'istituto italiano di tecnologia (IIT), rappresentano, ancora una volta, condizione di particolare rilevanza se relazionata la già richiamata volontà di allontanare e squilibrare il funzionamento degli atenei italiani;
    ancora una volta, infatti, il Governo ha inteso valorizzare la qualità la ricerca senza l'utilizzo di alcun parametro specifico, arrivando a stabilirne, nel caso di specie, a priori il carattere meritocratico, sottraendo di fatto tali risorse dalla disponibilità e alla concorrenza degli altri atenei pubblici e, in particolare, degli istituti del Mezzogiorno d'Italia che maggiormente dovrebbero essere oggetto di progetti che ne possano rilanciare il prestigio;
    ancor più evidenti appaiono quindi le discrasie tra i mancati o ridotti finanziamenti delle università e degli enti di ricerca statali, e le scelte politiche assunte dai Governi nel corso degli ultimi anni, conducendo ad un generale decadimento qualitativo dell'intero sistema italiano, ad esclusivo vantaggio di pochi istituti i quali, non potendo contare su un tessuto economico e culturale adeguato, non potranno comunque diventare realmente competitivi in campo internazionale;
    infine, è necessario ricordare come le riduzioni di spesa degli ultimi anni non soltanto hanno interessato gli enti di ricerca e gli atenei italiani, ma hanno condotto a stanziali ridimensionamenti anche di quegli strumenti che erano stati messi a disposizione del sistema di ricerca italiano, tra cui i progetti di rilevante interesse nazionale (PRIN);
    i PRIN, com’è noto, sono specifici progetti di ricerca finanziati annualmente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e attraverso tale programma si intendono finanziare progetti che per complessità e natura richiedono la collaborazione di più studiosi e di più organismi di ricerca e le cui esigenze di finanziamento eccedono la normale disponibilità delle singole istituzioni;
    il fondo, così come rilevabile dalla relazione redatta dall'ANVUR, raggiunge una soglia di finanziamento massimo nel 2004, per poi mostrare una progressiva tendenza alla diminuzione, intensificatasi negli ultimi anni, con una drastica riduzione tra l'anno 2010 e l'anno 2012, laddove i fondi PRIN sono passati da 100 a 39 milioni di euro, fino ad ottenere uno stanziamento pari a 92 milioni di euro da destinare alla ricerca di base per l'anno 2015, con un parziale rilancio dell'istituto che, tuttavia, necessiterebbe di finanziamenti più ingenti e, soprattutto costanti nel tempo;
    per i motivi sin qui esposti appaiono necessarie misure urgenti che possano urgentemente rilanciare il sistema dell'università e della ricerca italiana, attualmente lontano dagli standard europei e sempre più indirizzato verso la volontà di assicurare la competitività a pochi enti ed istituti, impedendo, di fatto, lo sviluppo di un sistema efficiente che porti l'intero Paese verso un progressivo sviluppo scientifico-economico, in accordo con gli impegni già sottoscritti dall'Italia a livello comunitario,

impegna il Governo:

   a programmare stanziamenti costanti e rapportati al fabbisogno del sistema della ricerca nonché idonei a garantire standard retributivi adeguati per i ricercatori;
   al fine di valorizzare i sistemi universitari e di ricerca italiani e di garantirne l'efficienza, ad assumere iniziative per ripristinare il regolare turnover dei docenti universitari nonché valutare la rispondenza dei livelli occupazionali alle esigenze dei singoli enti;
   ad assumere iniziative per riformare il sistema di valutazione della qualità della ricerca (VQR), anche attraverso l'introduzione di un sistema di premialità che attribuisca risorse nuove ed aggiuntive rispetto alle risorse destinate al funzionamento ordinario;
   al fine di valorizzare l'attività di ricerca e premiarne l'eccellenza, ad incrementarne le risorse destinate ai progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale, anche attraverso il trasferimento di fondi già stanziati, nell'ambito del progetto «dopo-Expo» in favore dell'Istituto italiano di tecnologia;
   a porre in essere iniziative volte a consentire a privati cittadini di effettuare donazioni destinate ai fondi statali per la ricerca di base.
(1-01265) «D'Uva, Vacca, Brescia, Simone Valente, Luigi Gallo, Marzana, Di Benedetto, D'Incà».


   La Camera

impegna il Governo:

   a programmare stanziamenti costanti e rapportati al fabbisogno del sistema della ricerca nonché idonei a garantire standard retributivi adeguati per i ricercatori;
   al fine di valorizzare i sistemi universitari e di ricerca italiani e di garantirne l'efficienza, ad assumere iniziative per ripristinare il regolare turnover dei docenti universitari nonché valutare la rispondenza dei livelli occupazionali alle esigenze dei singoli enti;
   ad assumere iniziative per riformare il sistema di valutazione della qualità della ricerca (VQR), anche attraverso l'introduzione di un sistema di premialità che attribuisca risorse nuove ed aggiuntive rispetto alle risorse destinate al funzionamento ordinario;
   a porre in essere iniziative volte a consentire a privati cittadini di effettuare donazioni destinate ai fondi statali per la ricerca di base.
(1-01265)
(Testo risultante dalla votazione per parti separate) «D'Uva, Vacca, Brescia, Simone Valente, Luigi Gallo, Marzana, Di Benedetto, D'Incà».


   La Camera,
   premesso che:
    la base del diritto allo studio universitario è fissata dagli articoli 3 e 32 della nostra Carta costituzionale. Infatti, il secondo comma dell'articolo 3, affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale;
    l'articolo 34 prevede, proprio per l'affermazione dei diritti allo studio universitario, che i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, abbiano diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Lo stesso articolo stabilisce che la Repubblica rende effettivo tale diritto attraverso la concessione di borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso;
    la riforma del titolo V della Costituzione, varata con la legge costituzionale n. 3 del 2001, ha attribuito alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Nell'ambito di tale titolo, la potestà legislativa in materia di diritto allo studio universitario spetta esclusivamente alle regioni, non rientrando né tra le materie di potestà esclusiva dello Stato, né tra quelle di legislazione concorrente;
    da sottolineare come l'articolo 3 del decreto legislativo n. 68 del 2012 prevede un sistema integrato di strumenti e servizi per la garanzia del diritto allo studio universitario, al quale partecipano, nell'ambito delle rispettive competenze, diversi soggetti;
    in particolare, lo Stato ha la competenza esclusiva in materia di determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) erogate dalle università statali. Le regioni a statuto ordinario esercitano la competenza esclusiva in materia di diritto allo studio, disciplinando ed attivando gli interventi per il concreto esercizio di tale diritto mentre le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano le competenze ad esse spettanti in base ai rispettivi statuti, tenendo conto dei livelli essenziali delle prestazioni stabilite, come detto dallo Stato. Inoltre, le università e le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam), nei limiti delle proprie risorse, organizzano i propri servizi, compresi quelli di orientamento e tutorato, al fine di realizzare il successo formativo degli studi e promuovono attività culturali, sportive e ricreative, nonché interscambi tra studenti di università italiane e straniere;
    l'articolo 12 del decreto legislativo citato, inoltre, attribuisce al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il compito di promuovere accordi di programma e protocolli d'intesa per favorire le diverse istituzioni che concorrono al successo formativo degli studenti e per potenziare la gamma dei servizi ed interventi posti in essere dalle stesse;
    il sistema di finanziamento delle borse di studio previsto dall'articolo 18 del citato decreto legislativo, prevede che, nelle more della completa definizione dei Lep e dell'attuazione delle disposizioni in materia di federalismo fiscale, si provveda alla concessione di borse di studio mediante un nuovo Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio da ripartire tra le regioni. Il fondo è inoltre alimentato dal gettito della tassa regionale per il diritto allo studio, il cui importo è articolato in tre fasce a seconda della condizione economica dello studente e dalle risorse proprie delle regioni, pari almeno al 40 per cento dell'assegnazione del fondo;
    sempre lo stesso decreto legislativo disciplina la possibilità che le regioni, le province autonome, le università e le istituzioni Afam, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio e sulla base di criteri definiti con decreto tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni, disciplinino le modalità per la concessione di prestiti d'onore agli studenti che possiedano i requisiti di merito. I medesimi soggetti possono altresì concedere un prestito d'onore aggiuntivo rispetto alla borsa di studio agli studenti dei corsi di laurea magistrale e di dottorato, nonché agli studenti iscritti almeno al quarto anno dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, in possesso dei requisiti per l'accesso alle borse di studio;
    altre norme dispongono l'esonero totale dal pagamento della tassa di iscrizione e dei contributi universitari per gli studenti in possesso dei requisiti per l'accesso alle borse di studio, per gli studenti disabili e per gli studenti stranieri. Inoltre, il citato decreto legislativo dispone la collaborazione fra i soggetti che offrono servizi per il diritto allo studio, il potenziamento dell'offerta abitativa nazionale e la programmazione integrata della disponibilità di alloggi pubblici e privati;
    inoltre, al fine di promuovere il merito e l'eccellenza fra gli studenti universitari è stato istituito presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca un fondo destinato ad erogare premi di studio a fondo perduto, buoni studi ed a costituire una garanzia per i finanziamenti concessi agli studenti;
    una recente indagine del Censis ha inoltre rilevato come circa 170 mila studenti provenienti dalle regioni del Sud si iscrivano ad università delle città settentrionali, in particolare nella città di Milano;
    lo studio del Censis sottolinea, altresì, come il mancato versamento di denaro nel sistema universitario meridionale sia pari a circa 122 milioni di euro nell'anno accademico 2014-2015. A fronte dei mancati incassi delle tasse universitarie al Sud occorre aggiungere che la spesa sostenuta per iscriversi agli atenei del Nord costa circa 126 milioni di euro in più;
    è, inoltre, da rilevare come proprio nel Sud, nell'anno accademico 2014-2015, le iscrizioni alle facoltà universitarie sono diminuite del 25,5 per cento e nelle isole addirittura del 30,2 per cento rispetto all'anno 2003-2004. In sintesi, i giovani del nostro Mezzogiorno si iscrivono sempre meno all'università e, di quelli che si iscrivono, lo fanno in università del Centro o del Nord del nostro Paese. Infine, tra coloro che si laureano nel Sud, moltissimi emigrano, portando le loro competenze in altre parti del Paese o addirittura all'estero;
    la Fondazione RES ha pubblicato un rapporto «Nuovi divari: un'indagine sulle università del nord e del sud», che analizza le problematiche relative alla presenza di studenti negli atenei del settentrione e del mezzogiorno del nostro Paese ed agli investimenti effettuati dallo Stato. In particolare, l'Italia investe in istruzione di terzo livello 7 miliardi di euro all'anno, con il fondo ordinario. La Germania, al contrario, di miliardi nell'università ne investe 26. Tale divario diventa ancora più grande se si confrontano i dati relativi alle università del Sud del nostro Paese. Infatti, si può riscontrare che la spesa media per abitante in Germania è di 332 euro l'anno, in Francia è di 305 euro, in Spagna di 157 euro, nel Centro-Nord dell'Italia è di 117, mentre nel Sud è soltanto di 99 euro;
    inoltre, la spesa complessiva per l'università in Italia è diminuita. Infatti, tra il 2008 ed il 2005, gli atenei del Nord hanno perso, nel periodo 2008-2015, il 4,3 per cento del finanziamento pubblico, mentre quelli del Mezzogiorno il 12 per cento ed ancora di più quelli situati nelle isole;
    come sottolinea il rapporto della Fondazione RES, si sta creando una grave differenziazione tra le università italiane. L'eccellenza degli atenei è infatti concentrata nel triangolo Milano, Bologna, Venezia, con estensioni fino a Torino, Trento ed Udine, mentre nel resto del Paese esistono università cosiddette di «serie B»;
    il 2 maggio 2016 è stato approvato dal Cipe il Programma nazionale per la ricerca, che prevede un investimento di 2,5 miliardi di euro di fondi pubblici per aumentare il numero di ricercatori in Italia. Il programma destina oltre il 40 per cento delle risorse totali al capitale umano, con l'obiettivo di aumentare il numero di ricercatori e dottori di ricerca nel Paese e di attrarre i migliori talenti. In particolare, è previsto l'ingresso di 6 mila giovani (dottori e ricercatori) in più rispetto agli stanziamenti ordinari. Inoltre, vengono triplicati i fondi per le infrastrutture di ricerca;
    il Programma nazionale per la ricerca si configura come un vero e proprio programma quadro per la ricerca nazionale. Si tratta, infatti, di una «cornice» all'interno della quale, idealmente, si iscrivono programmi specifici di intervento, capaci di migliorare la performance innovativa del nostro Paese. La strategia del piano è, inoltre, quella di favorire in Italia la costituzione di un sistema efficace ed efficiente di azioni dirette allo sviluppo economico ed alla coesione sociale;
    il programma opera su tre assi prioritari:
     1) investire nello sviluppo e favorire l'attrazione di capitale umano altamente qualificato da inserire nel tessuto produttivo del Paese;
     2) identificare un numero limitato di progetti tematici di forte impatto al fine di favorire il benessere dei cittadini;
     3) investire sulla promozione della competitività del sistema produttivo, attraverso l'incremento della capacità di ricerca e di innovazione delle imprese, in particolare delle piccole e piccolissime,

impegna il Governo:

   ad elaborare una visione coerente dell'ingresso del nostro Paese nell'economia della conoscenza assumendo iniziative per elevare la qualificazione professionale ed il livello della preparazione universitaria ed individuando aree prioritarie di ricerca in connessione con il potenziale di sviluppo dell'Italia;
   ad assumere iniziative per favorire lo sviluppo di attività di ricerca che consentano di realizzare il programma industria 4.0 ovvero l'applicazione sistematica al nostro sistema manifatturiero dell'innovazione Ict;
   a collegare più organicamente il programma di ricerca nazionale con il corrispettivo programma quadro europeo;
   a favorire un migliore coordinamento delle spese per la ricerca oggi ripartite tra i diversi Ministeri all'interno di un'unica visione nazionale connessa con una visione europea;
   ad assumere iniziative di competenza per garantire la trasparenza per i bandi di ricerca emessi dai diversi organismi a ciò deputati ed il facile ed imparziale accesso a questi bandi da parte di tutti i ricercatori;
   a favorire, in collaborazione con le associazioni delle piccole e medie imprese, la valutazione del fabbisogno di ricerca delle stesse creando la possibilità di contatto e di collaborazione con le università ed i centri di ricerca;
   a valutare l'istituzione di un'Agenzia nazionale della ricerca la quale svolga i compiti richiamati nei punti precedenti;
   ad affrontare il problema indilazionabile delle aree del Mezzogiorno del nostro Paese, assumendo iniziative per creare in queste zone dei centri di eccellenza che elevino la qualità e la competitività del nostro sistema universitario e di ricerca del Sud anche mediante l'utilizzo dei fondi strutturali europei;
   ad assumere iniziative per migliorare il rapporto tra il sistema formativo universitario, la formazione professionale ed il sistema dell'impresa in modo da assicurare ai giovani una formazione orientata verso la domanda di lavoro formulata dal sistema produttivo.
(1-01269) «Buttiglione, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    la base del diritto allo studio universitario è fissata dagli articoli 3 e 32 della nostra Carta costituzionale. Infatti, il secondo comma dell'articolo 3, affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale;
    l'articolo 34 prevede, proprio per l'affermazione dei diritti allo studio universitario, che i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, abbiano diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Lo stesso articolo stabilisce che la Repubblica rende effettivo tale diritto attraverso la concessione di borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso;
    la riforma del titolo V della Costituzione, varata con la legge costituzionale n. 3 del 2001, ha attribuito alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Nell'ambito di tale titolo, la potestà legislativa in materia di diritto allo studio universitario spetta esclusivamente alle regioni, non rientrando né tra le materie di potestà esclusiva dello Stato, né tra quelle di legislazione concorrente;
    da sottolineare come l'articolo 3 del decreto legislativo n. 68 del 2012 prevede un sistema integrato di strumenti e servizi per la garanzia del diritto allo studio universitario, al quale partecipano, nell'ambito delle rispettive competenze, diversi soggetti;
    in particolare, lo Stato ha la competenza esclusiva in materia di determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) erogate dalle università statali. Le regioni a statuto ordinario esercitano la competenza esclusiva in materia di diritto allo studio, disciplinando ed attivando gli interventi per il concreto esercizio di tale diritto mentre le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano le competenze ad esse spettanti in base ai rispettivi statuti, tenendo conto dei livelli essenziali delle prestazioni stabilite, come detto dallo Stato. Inoltre, le università e le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam), nei limiti delle proprie risorse, organizzano i propri servizi, compresi quelli di orientamento e tutorato, al fine di realizzare il successo formativo degli studi e promuovono attività culturali, sportive e ricreative, nonché interscambi tra studenti di università italiane e straniere;
    l'articolo 12 del decreto legislativo citato, inoltre, attribuisce al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il compito di promuovere accordi di programma e protocolli d'intesa per favorire le diverse istituzioni che concorrono al successo formativo degli studenti e per potenziare la gamma dei servizi ed interventi posti in essere dalle stesse;
    il sistema di finanziamento delle borse di studio previsto dall'articolo 18 del citato decreto legislativo, prevede che, nelle more della completa definizione dei Lep e dell'attuazione delle disposizioni in materia di federalismo fiscale, si provveda alla concessione di borse di studio mediante un nuovo Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio da ripartire tra le regioni. Il fondo è inoltre alimentato dal gettito della tassa regionale per il diritto allo studio, il cui importo è articolato in tre fasce a seconda della condizione economica dello studente e dalle risorse proprie delle regioni, pari almeno al 40 per cento dell'assegnazione del fondo;
    sempre lo stesso decreto legislativo disciplina la possibilità che le regioni, le province autonome, le università e le istituzioni Afam, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio e sulla base di criteri definiti con decreto tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni, disciplinino le modalità per la concessione di prestiti d'onore agli studenti che possiedano i requisiti di merito. I medesimi soggetti possono altresì concedere un prestito d'onore aggiuntivo rispetto alla borsa di studio agli studenti dei corsi di laurea magistrale e di dottorato, nonché agli studenti iscritti almeno al quarto anno dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, in possesso dei requisiti per l'accesso alle borse di studio;
    altre norme dispongono l'esonero totale dal pagamento della tassa di iscrizione e dei contributi universitari per gli studenti in possesso dei requisiti per l'accesso alle borse di studio, per gli studenti disabili e per gli studenti stranieri. Inoltre, il citato decreto legislativo dispone la collaborazione fra i soggetti che offrono servizi per il diritto allo studio, il potenziamento dell'offerta abitativa nazionale e la programmazione integrata della disponibilità di alloggi pubblici e privati;
    inoltre, al fine di promuovere il merito e l'eccellenza fra gli studenti universitari è stato istituito presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca un fondo destinato ad erogare premi di studio a fondo perduto, buoni studi ed a costituire una garanzia per i finanziamenti concessi agli studenti;
    una recente indagine del Censis ha inoltre rilevato come circa 170 mila studenti provenienti dalle regioni del Sud si iscrivano ad università delle città settentrionali, in particolare nella città di Milano;
    lo studio del Censis sottolinea, altresì, come il mancato versamento di denaro nel sistema universitario meridionale sia pari a circa 122 milioni di euro nell'anno accademico 2014-2015. A fronte dei mancati incassi delle tasse universitarie al Sud occorre aggiungere che la spesa sostenuta per iscriversi agli atenei del Nord costa circa 126 milioni di euro in più;
    è, inoltre, da rilevare come proprio nel Sud, nell'anno accademico 2014-2015, le iscrizioni alle facoltà universitarie sono diminuite del 25,5 per cento e nelle isole addirittura del 30,2 per cento rispetto all'anno 2003-2004. In sintesi, i giovani del nostro Mezzogiorno si iscrivono sempre meno all'università e, di quelli che si iscrivono, lo fanno in università del Centro o del Nord del nostro Paese. Infine, tra coloro che si laureano nel Sud, moltissimi emigrano, portando le loro competenze in altre parti del Paese o addirittura all'estero;
    la Fondazione RES ha pubblicato un rapporto «Nuovi divari: un'indagine sulle università del nord e del sud», che analizza le problematiche relative alla presenza di studenti negli atenei del settentrione e del mezzogiorno del nostro Paese ed agli investimenti effettuati dallo Stato. In particolare, l'Italia investe in istruzione di terzo livello 7 miliardi di euro all'anno, con il fondo ordinario. La Germania, al contrario, di miliardi nell'università ne investe 26. Tale divario diventa ancora più grande se si confrontano i dati relativi alle università del Sud del nostro Paese. Infatti, si può riscontrare che la spesa media per abitante in Germania è di 332 euro l'anno, in Francia è di 305 euro, in Spagna di 157 euro, nel Centro-Nord dell'Italia è di 117, mentre nel Sud è soltanto di 99 euro;
    inoltre, la spesa complessiva per l'università in Italia è diminuita. Infatti, tra il 2008 ed il 2005, gli atenei del Nord hanno perso, nel periodo 2008-2015, il 4,3 per cento del finanziamento pubblico, mentre quelli del Mezzogiorno il 12 per cento ed ancora di più quelli situati nelle isole;
    come sottolinea il rapporto della Fondazione RES, si sta creando una grave differenziazione tra le università italiane. L'eccellenza degli atenei è infatti concentrata nel triangolo Milano, Bologna, Venezia, con estensioni fino a Torino, Trento ed Udine, mentre nel resto del Paese esistono università cosiddette di «serie B»;
    il 2 maggio 2016 è stato approvato dal Cipe il Programma nazionale per la ricerca, che prevede un investimento di 2,5 miliardi di euro di fondi pubblici per aumentare il numero di ricercatori in Italia. Il programma destina oltre il 40 per cento delle risorse totali al capitale umano, con l'obiettivo di aumentare il numero di ricercatori e dottori di ricerca nel Paese e di attrarre i migliori talenti. In particolare, è previsto l'ingresso di 6 mila giovani (dottori e ricercatori) in più rispetto agli stanziamenti ordinari. Inoltre, vengono triplicati i fondi per le infrastrutture di ricerca;
    il Programma nazionale per la ricerca si configura come un vero e proprio programma quadro per la ricerca nazionale. Si tratta, infatti, di una «cornice» all'interno della quale, idealmente, si iscrivono programmi specifici di intervento, capaci di migliorare la performance innovativa del nostro Paese. La strategia del piano è, inoltre, quella di favorire in Italia la costituzione di un sistema efficace ed efficiente di azioni dirette allo sviluppo economico ed alla coesione sociale;
    il programma opera su tre assi prioritari:
     1) investire nello sviluppo e favorire l'attrazione di capitale umano altamente qualificato da inserire nel tessuto produttivo del Paese;
     2) identificare un numero limitato di progetti tematici di forte impatto al fine di favorire il benessere dei cittadini;
     3) investire sulla promozione della competitività del sistema produttivo, attraverso l'incremento della capacità di ricerca e di innovazione delle imprese, in particolare delle piccole e piccolissime,

impegna il Governo:

   ad elaborare una visione coerente dell'ingresso del nostro Paese nell'economia della conoscenza assumendo iniziative per elevare la qualificazione professionale ed il livello della preparazione universitaria ed individuando aree prioritarie di ricerca in connessione con il potenziale di sviluppo dell'Italia;
   ad assumere iniziative per favorire lo sviluppo di attività di ricerca che consentano di realizzare il programma industria 4.0 ovvero l'applicazione sistematica al nostro sistema manifatturiero dell'innovazione Ict;
   a collegare più organicamente il programma di ricerca nazionale con il corrispettivo programma quadro europeo;
   a favorire un migliore coordinamento delle spese per la ricerca oggi ripartite tra i diversi Ministeri all'interno di un'unica visione nazionale connessa con una visione europea;
   ad assumere iniziative di competenza per garantire la trasparenza per i bandi di ricerca emessi dai diversi organismi a ciò deputati ed il facile ed imparziale accesso a questi bandi da parte di tutti i ricercatori;
   a favorire, in collaborazione con le associazioni delle piccole e medie imprese, la valutazione del fabbisogno di ricerca delle stesse creando la possibilità di contatto e di collaborazione con le università ed i centri di ricerca;
   ad affrontare il problema indilazionabile delle aree del Mezzogiorno del nostro Paese, assumendo iniziative per creare in queste zone dei centri di eccellenza che elevino la qualità e la competitività del nostro sistema universitario e di ricerca del Sud anche mediante l'utilizzo dei fondi strutturali europei;
   ad assumere iniziative per migliorare il rapporto tra il sistema formativo universitario, la formazione professionale ed il sistema dell'impresa in modo da assicurare ai giovani una formazione orientata verso la domanda di lavoro formulata dal sistema produttivo.
(1-01269)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Buttiglione, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9 della Costituzione prevede espressamente che: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»;
    l'Unione europea, sin dal 2001, ha predisposto un'apposita «strategia di Lisbona», rinnovata con la «strategia 2020», indirizzata ad incrementare il livello scientifico e tecnologico della popolazione dell'area dell'Unione;
    per ottenere una pianificazione adeguata al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla «strategia di Lisbona», l'Unione europea pone come obiettivo minimo la quota del 3 per cento del prodotto interno lordo da parte degli stati membri per assicurare gli investimenti necessari per ricerca e sviluppo;
    negli ultimi anni, per esigenze di razionalizzazione della finanza pubblica, le risorse stanziate nel bilancio dello Stato del nostro Paese purtroppo hanno registrato una progressiva riduzione: in particolare, la missione 17 (Ricerca ed innovazione), dal 2008 al 2014, è passata da 4 miliardi di euro a 2,8 miliardi di euro, e la missione 23 (istruzione universitaria), sempre nello stesso periodo, è passata da 8 miliardi di euro a 7,8 miliardi di euro, subendo in questo modo un calo totale di circa il 20 per cento;
    le continue riduzioni di finanziamenti pubblici alla ricerca pongono il nostro Paese in negativo a livello internazionale;
    in alcune aree del Paese, in particolare nel Mezzogiorno, si sta determinando una progressiva desertificazione culturale, scientifica e tecnologica;
    per questi motivi, da tempo, è in atto una sensibilizzazione da parte del mondo scientifico ed accademico sullo stato allarmante in cui versa la ricerca nel nostro Paese, che, ciononostante, continua assicurare con impegno encomiabile, una produzione scientifica apprezzata a livello internazionale;
    la strategia «Europa 2020» è tutta indirizzata ad aumentare la competitività dell'Europa tramite investimenti nel «triangolo della conoscenza» (istruzione, ricerca, innovazione), attraverso il programma «Horizon 2020»;
    occorre indirizzare ogni sforzo possibile affinché si realizzino progetti di ricerca per università, istituti di ricerca, ricercatori, imprese ed aziende, e soprattutto nel settore dell'innovazione tecnologica;
    negli ultimi anni, si è dato corso a misure di forte riduzione delle risorse per il sistema universitario, che hanno comportato il blocco del turnover e dei concorsi per il personale docente, tecnico ed amministrativo;
    la figura del ricercatore purtroppo è tra quelle più penalizzate, a causa dei tagli nei confronti del sistema universitario;
    tutto ciò ha provocato un sottodimensionamento del corpo docente universitario italiano, che emerge con evidenza dal confronto con il resto dell'Europa. La consistenza numerica ad oggi in Italia è inferiore di almeno il 25 per cento alla media dei valori di Germania, Spagna, Francia e Gran Bretagna;
    la legge di stabilità per il 2016 ha istituito in via sperimentale il «Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta», finalizzato al reclutamento straordinario tramite chiamata diretta, in deroga alle procedure di cui alla legge n. 240 del 2010, di 500 professori ordinari ed associati per elevato merito scientifico, secondo procedure nazionali da definire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, anche se tutto ciò non può certo essere considerato sufficiente al fine di affrontare la grave situazione in cui versa il sistema universitario e della ricerca,

impegna il Governo:

   ad assume urgenti iniziative per l'attuazione del programma nazionale per la ricerca 2014-2020;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per incrementare l'attuale dotazione finanziaria prevista per investimenti in ricerca e sviluppo fino ad un livello pari al 3 per cento del prodotto interno lordo;
   ad assumere iniziative volte ad eliminare, a decorrere dall'anno 2017, il blocco del turnover del comparto universitario, con particolare riguardo alla figura del «ricercatore»;
   a valutare l'opportunità di prevedere iniziative tali da dare al dottorato di ricerca titolo preferenziale per l'accesso alla pubblica amministrazione, anche con riferimento agli enti locali;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per la modifica dell'attuale sistema di valutazione della qualità della ricerca (VQR), anche attraverso l'introduzione di premialità che conferiscano risorse ulteriori ed aggiuntive rispetto ai fondi ordinari già trasferiti.
(1-01271) «Palese, Altieri, Chiarelli, Ciracì, Distaso, Fucci, Latronico, Marti, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9 della Costituzione prevede espressamente che: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»;
    l'Unione europea, sin dal 2001, ha predisposto un'apposita «strategia di Lisbona», rinnovata con la «strategia 2020», indirizzata ad incrementare il livello scientifico e tecnologico della popolazione dell'area dell'Unione;
    per ottenere una pianificazione adeguata al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla «strategia di Lisbona», l'Unione europea pone come obiettivo minimo la quota del 3 per cento del prodotto interno lordo da parte degli stati membri per assicurare gli investimenti necessari per ricerca e sviluppo;
    negli ultimi anni, per esigenze di razionalizzazione della finanza pubblica, le risorse stanziate nel bilancio dello Stato del nostro Paese purtroppo hanno registrato una progressiva riduzione: in particolare, la missione 17 (Ricerca ed innovazione), dal 2008 al 2014, è passata da 4 miliardi di euro a 2,8 miliardi di euro, e la missione 23 (istruzione universitaria), sempre nello stesso periodo, è passata da 8 miliardi di euro a 7,8 miliardi di euro, subendo in questo modo un calo totale di circa il 20 per cento;
    le continue riduzioni di finanziamenti pubblici alla ricerca pongono il nostro Paese in negativo a livello internazionale;
    in alcune aree del Paese, in particolare nel Mezzogiorno, si sta determinando una progressiva desertificazione culturale, scientifica e tecnologica;
    per questi motivi, da tempo, è in atto una sensibilizzazione da parte del mondo scientifico ed accademico sullo stato allarmante in cui versa la ricerca nel nostro Paese, che, ciononostante, continua assicurare con impegno encomiabile, una produzione scientifica apprezzata a livello internazionale;
    la strategia «Europa 2020» è tutta indirizzata ad aumentare la competitività dell'Europa tramite investimenti nel «triangolo della conoscenza» (istruzione, ricerca, innovazione), attraverso il programma «Horizon 2020»;
    occorre indirizzare ogni sforzo possibile affinché si realizzino progetti di ricerca per università, istituti di ricerca, ricercatori, imprese ed aziende, e soprattutto nel settore dell'innovazione tecnologica;
    negli ultimi anni, si è dato corso a misure di forte riduzione delle risorse per il sistema universitario, che hanno comportato il blocco del turnover e dei concorsi per il personale docente, tecnico ed amministrativo;
    la figura del ricercatore purtroppo è tra quelle più penalizzate, a causa dei tagli nei confronti del sistema universitario;
    tutto ciò ha provocato un sottodimensionamento del corpo docente universitario italiano, che emerge con evidenza dal confronto con il resto dell'Europa. La consistenza numerica ad oggi in Italia è inferiore di almeno il 25 per cento alla media dei valori di Germania, Spagna, Francia e Gran Bretagna;
    la legge di stabilità per il 2016 ha istituito in via sperimentale il «Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta», finalizzato al reclutamento straordinario tramite chiamata diretta, in deroga alle procedure di cui alla legge n. 240 del 2010, di 500 professori ordinari ed associati per elevato merito scientifico, secondo procedure nazionali da definire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, anche se tutto ciò non può certo essere considerato sufficiente al fine di affrontare la grave situazione in cui versa il sistema universitario e della ricerca,

impegna il Governo:

   ad assumere urgenti iniziative per l'attuazione del programma nazionale per la ricerca 2014-2020;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per incrementare l'attuale dotazione finanziaria prevista per investimenti in ricerca e sviluppo fino ad un livello pari al 3 per cento del prodotto interno lordo;
   ad assumere iniziative volte ad eliminare, a decorrere dall'anno 2017, il blocco del turnover del comparto universitario, con particolare riguardo alla figura del «ricercatore»;
   a valorizzare il titolo di dottore di ricerca nell'ambito della disciplina dell'accesso al pubblico impiego in modo da accrescere il livello della competenza tecnica nello Stato, nelle regioni e negli enti locali e creare circuiti virtuosi di competenza;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per la modifica dell'attuale sistema di valutazione della qualità della ricerca (VQR), anche attraverso l'introduzione di premialità che conferiscano risorse ulteriori ed aggiuntive rispetto ai fondi ordinari già trasferiti.
(1-01271)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Palese, Altieri, Chiarelli, Ciracì, Distaso, Fucci, Latronico, Marti, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    il sistema nazionale della ricerca è afflitto da anni da molteplici criticità che ne minano gravemente l'efficienza e spingono molti giovani ricercatori di talento a trasferirsi all'estero, ma ad avviso dei presentatori del presente atto sono soprattutto due i problemi che inficiano l'efficienza del sistema ricerca in Italia: la frammentazione della vigilanza sugli enti di ricerca e la non completa indipendenza del comparto della ricerca da quello della pubblica amministrazione. Si accusa inoltre la carenza di un coordinamento che renda possibile una visione strategica comune all'atto della definizione delle priorità e della destinazione dei finanziamenti per la ricerca;
    si ritengono improcrastinabili investimenti maggiori per la ricerca; il raggiungimento degli obiettivi Horizon 2020 (0,7 per cento di Pil di apporto pubblico) è ritenuto una condizione imprescindibile per assicurare competitività alla ricerca negli anni a venire. C’è forte richiesta di stabilità e programmazione pluriennale dei fondi (3 o 5 anni), ma per ora si assiste unicamente alla presentazione di progetti «bandiera», oppure basati solo su fondi già esistenti, senza stanziare risorse aggiuntive; inoltre, si fa un uso delle risorse dell'Unione europea come sostitutivo dell'impegno pubblico statale, meccanismo pericoloso che implicherà, tra le altre cose, l'etero-direzione degli interventi, con evidente perdita di autonomia decisionale del nostro Paese nel comparto ricerca;
    la disomogeneità dello status giuridico, del trattamento economico e dei diritti e doveri dei ricercatori nei vari comparti della ricerca: università, enti pubblici di ricerca e privati, genera una situazione estremamente disomogenea e richiederebbe una soluzione unitaria;
    la ricerca libera è molto indebolita nel nostro Paese e le risorse sono pilotate dall'alto con spartizioni su base clientelare e nepotistica. È quasi scomparso il fondo Firb, che finanziava negli enti i progetti dei ricercatori, i quali per ottenere risorse devono sperare solo nelle trattative tra i presidenti dei vari enti di ricerca e i funzionari ministeriali, che gestiscono le procedure di finanziamento chiamate «premiali», ma che, di fatto, per i presentatori del presente atto sono altamente discrezionali. Succede che ai bandi Prin del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non possono accedere direttamente gli studiosi del CNR è che, ai bandi del Ministero della salute, non possono accedere gli studiosi universitari, i bandi del CNR sono per il solo CNR, quando spesso gli obiettivi sono gli stessi. Si dovrebbe rimuovere questa frammentazione, unificare gli obiettivi e avere, al contempo, una garanzia di valutazione di ciò che viene finanziato con soldi pubblici;
    il finanziamento in corso dei bandi di ricerca per tutti gli atenei e per l'insieme delle discipline accademiche è ridotto a 30 milioni di euro all'anno, ma non perché il debito non consente di fare meglio, bensì perché, a giudizio dei presentatori del presente atto le risorse sono erogate quando si tratta di assegnarle magari ad un solo ente, che poi distribuisce finanziamenti agli altri atenei, ottenendo magari in cambio in via di fatto, la firma delle pubblicazioni scientifiche, per migliorare il proprio prestigio accademico. È anche per queste modalità che i firmatari del presente atto ritengono sostanzialmente «corruttive» del metodo della scienza, oltre che dell'etica pubblica, che i giovani studiosi fuggono via;
    per consolidare questo sistema i Governi hanno sempre impedito, negli ultimi anni, la costituzione di una moderna Agenzia della ricerca, nonostante le proposte venute dalla comunità scientifica e gli indirizzi approvati dal Parlamento. C’è un modo per superare queste distorsioni, basterebbe guardare ad altri Paesi, mutuando i modelli già esistenti in Spagna, Francia, e, con sistemi più complessi ed efficaci, in Germania e Gran Bretagna, adattandoli alle peculiarità dell'Italia. L'Agenzia consentirebbe un libero confronto di idee e di progetti, entro una ben definita politica nazionale ed europea; avrebbe il compito di diffondere i bandi per i progetti, di eliminare i conflitti di interesse e di coinvolgere le migliori risorse nell'attuazione degli obiettivi strategici;
    esiste un vincolo etico che lega ogni studioso di ogni disciplina ai cittadini che, con le loro tasse, sostengono quegli studi; è attraverso questo meccanismo, che implica libertà e uguaglianza delle idee per l'accesso alle risorse pubbliche su base competitiva, che si restituirà al cittadino la miglior proposta sostenibile con i fondi pubblici. È un metodo, questo, che non si concilia con le convenienze politiche, ma che orienta ogni decisione e valutazione sulla selezione delle idee migliori e sul controllo dei fatti. Adottare queste regole significa rispettare la struttura etica della scienza e rispettare l'impegno verso i cittadini. Questo è quel che si chiede alle comunità scientifiche nei Paesi liberi, democratici ed economicamente avanzati;
    la ricerca pubblica in tutti i settori ha bisogno di cinque componenti: continuità dei bandi presso i quali competere; procedure affidabili unificate nel metodo e diversificate in funzione degli obiettivi; valutazioni terze, indipendenti, competenti; controlli ferrei ad ogni passaggio; rendiconti certi e verificabili su cosa viene finanziato e su cosa si è creato. Si potrebbe pensare a reindirizzare finanze e risorse umane frammentate tra i vari enti governativi, per concentrare in un'unica struttura funzioni duplicate in diversi uffici. Inoltre, si potrebbero ridurre o sospendere per qualche anno i flussi dei finanziamenti pubblici a enti poco efficienti oppure a quelli che hanno già accumulato denaro pubblico. A fronte di ciò bisogna adottare ogni sensibile procedura per garantire al cittadino che i suoi soldi siano ben spesi, ripristinando fiducia nelle istituzioni,

impegna il Governo:

   ad avviare un piano di azione per la ricerca scientifica, al fine di favorire gli obiettivi strategici di alto profilo per il Paese;
   ad affidare la valutazione delle migliori proposte di ricerca ad una commissione internazionale, che ne individui, il progetto meritevole di attuazione, in modo tale che, solo a seguito del progetto così individuato, il Governo promuova i bandi per identificare gli enti coinvolti e i coordinatori delle linee di ricerca e per finanziare – sempre con modalità competitive – gli allestimenti dei laboratori e i progetti specifici volti al conseguimento di obiettivi conoscitivi e di prodotti tecnologici innovativi, tali da rilanciare davvero la ricerca e l'economia del Paese;
   a reperire nuove e concrete risorse per la ricerca, senza limitarsi a riproporre precedenti interventi già rendicontati e senza limitarsi a destinare le sole risorse provenienti dall'Unione europea, che devono ritenersi aggiuntive e non sostitutive degli interventi statali;
   a favorire la formazione di fondi privati per la ricerca italiana;
   a potenziare le iniziative di collaborazione con il mondo imprenditoriale, per lo sfruttamento economico delle idee innovative, e creare nuove produttive interazioni, al fine di scoraggiare la cosiddetta «fuga dei cervelli» e promuovere il rientro dei ricercatori italiani;
   ad assumere iniziative per rimuovere la frammentazione dei finanziamenti tra gli enti di ricerca, al fine di unificare gli obiettivi ed avere, al contempo, una garanzia di valutazione di ciò che viene finanziato con soldi pubblici.
(1-01276) «Borghesi, Allasia, Attaguile, Bossi, Busin, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il sistema nazionale della ricerca è afflitto da anni da molteplici criticità che ne minano gravemente l'efficienza e spingono molti giovani ricercatori di talento a trasferirsi all'estero, ma ad avviso dei presentatori del presente atto sono soprattutto due i problemi che inficiano l'efficienza del sistema ricerca in Italia: la frammentazione della vigilanza sugli enti di ricerca e la non completa indipendenza del comparto della ricerca da quello della pubblica amministrazione. Si accusa inoltre la carenza di un coordinamento che renda possibile una visione strategica comune all'atto della definizione delle priorità e della destinazione dei finanziamenti per la ricerca;
    si ritengono improcrastinabili investimenti maggiori per la ricerca; il raggiungimento degli obiettivi Horizon 2020 (0,7 per cento di Pil di apporto pubblico) è ritenuto una condizione imprescindibile per assicurare competitività alla ricerca negli anni a venire. C’è forte richiesta di stabilità e programmazione pluriennale dei fondi (3 o 5 anni), ma per ora si assiste unicamente alla presentazione di progetti «bandiera», oppure basati solo su fondi già esistenti, senza stanziare risorse aggiuntive; inoltre, si fa un uso delle risorse dell'Unione europea come sostitutivo dell'impegno pubblico statale, meccanismo pericoloso che implicherà, tra le altre cose, l'etero-direzione degli interventi, con evidente perdita di autonomia decisionale del nostro Paese nel comparto ricerca;
    la disomogeneità dello status giuridico, del trattamento economico e dei diritti e doveri dei ricercatori nei vari comparti della ricerca: università, enti pubblici di ricerca e privati, genera una situazione estremamente disomogenea e richiederebbe una soluzione unitaria;
    la ricerca libera è molto indebolita nel nostro Paese e le risorse sono pilotate dall'alto con spartizioni su base clientelare e nepotistica. È quasi scomparso il fondo Firb, che finanziava negli enti i progetti dei ricercatori, i quali per ottenere risorse devono sperare solo nelle trattative tra i presidenti dei vari enti di ricerca e i funzionari ministeriali, che gestiscono le procedure di finanziamento chiamate «premiali», ma che, di fatto, per i presentatori del presente atto sono altamente discrezionali. Succede che ai bandi Prin del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non possono accedere direttamente gli studiosi del CNR è che, ai bandi del Ministero della salute, non possono accedere gli studiosi universitari, i bandi del CNR sono per il solo CNR, quando spesso gli obiettivi sono gli stessi. Si dovrebbe rimuovere questa frammentazione, unificare gli obiettivi e avere, al contempo, una garanzia di valutazione di ciò che viene finanziato con soldi pubblici;
    il finanziamento in corso dei bandi di ricerca per tutti gli atenei e per l'insieme delle discipline accademiche è ridotto a 30 milioni di euro all'anno, ma non perché il debito non consente di fare meglio, bensì perché, a giudizio dei presentatori del presente atto le risorse sono erogate quando si tratta di assegnarle magari ad un solo ente, che poi distribuisce finanziamenti agli altri atenei, ottenendo magari in cambio in via di fatto, la firma delle pubblicazioni scientifiche, per migliorare il proprio prestigio accademico. È anche per queste modalità che i firmatari del presente atto ritengono sostanzialmente «corruttive» del metodo della scienza, oltre che dell'etica pubblica, che i giovani studiosi fuggono via;
    per consolidare questo sistema i Governi hanno sempre impedito, negli ultimi anni, la costituzione di una moderna Agenzia della ricerca, nonostante le proposte venute dalla comunità scientifica e gli indirizzi approvati dal Parlamento. C’è un modo per superare queste distorsioni, basterebbe guardare ad altri Paesi, mutuando i modelli già esistenti in Spagna, Francia, e, con sistemi più complessi ed efficaci, in Germania e Gran Bretagna, adattandoli alle peculiarità dell'Italia. L'Agenzia consentirebbe un libero confronto di idee e di progetti, entro una ben definita politica nazionale ed europea; avrebbe il compito di diffondere i bandi per i progetti, di eliminare i conflitti di interesse e di coinvolgere le migliori risorse nell'attuazione degli obiettivi strategici;
    esiste un vincolo etico che lega ogni studioso di ogni disciplina ai cittadini che, con le loro tasse, sostengono quegli studi; è attraverso questo meccanismo, che implica libertà e uguaglianza delle idee per l'accesso alle risorse pubbliche su base competitiva, che si restituirà al cittadino la miglior proposta sostenibile con i fondi pubblici. È un metodo, questo, che non si concilia con le convenienze politiche, ma che orienta ogni decisione e valutazione sulla selezione delle idee migliori e sul controllo dei fatti. Adottare queste regole significa rispettare la struttura etica della scienza e rispettare l'impegno verso i cittadini. Questo è quel che si chiede alle comunità scientifiche nei Paesi liberi, democratici ed economicamente avanzati;
    la ricerca pubblica in tutti i settori ha bisogno di cinque componenti: continuità dei bandi presso i quali competere; procedure affidabili unificate nel metodo e diversificate in funzione degli obiettivi; valutazioni terze, indipendenti, competenti; controlli ferrei ad ogni passaggio; rendiconti certi e verificabili su cosa viene finanziato e su cosa si è creato. Si potrebbe pensare a reindirizzare finanze e risorse umane frammentate tra i vari enti governativi, per concentrare in un'unica struttura funzioni duplicate in diversi uffici. Inoltre, si potrebbero ridurre o sospendere per qualche anno i flussi dei finanziamenti pubblici a enti poco efficienti oppure a quelli che hanno già accumulato denaro pubblico. A fronte di ciò bisogna adottare ogni sensibile procedura per garantire al cittadino che i suoi soldi siano ben spesi, ripristinando fiducia nelle istituzioni,

impegna il Governo:

   ad avviare un piano di azione per la ricerca scientifica, al fine di favorire gli obiettivi strategici di alto profilo per il Paese;
   a reperire nuove e concrete risorse per la ricerca, senza limitarsi a riproporre precedenti interventi già rendicontati e senza limitarsi a destinare le sole risorse provenienti dall'Unione europea, che devono ritenersi aggiuntive e non sostitutive degli interventi statali;
   a favorire la formazione di fondi privati per la ricerca italiana;
   a potenziare le iniziative di collaborazione con il mondo imprenditoriale, per lo sfruttamento economico delle idee innovative, e creare nuove produttive interazioni, al fine di scoraggiare la cosiddetta «fuga dei cervelli» e promuovere il rientro dei ricercatori italiani;
   ad assumere iniziative per rimuovere la frammentazione dei finanziamenti tra gli enti di ricerca, al fine di unificare gli obiettivi ed avere, al contempo, una garanzia di valutazione di ciò che viene finanziato con soldi pubblici.
(1-01276)
(Testo modificato nel corso della seduta)  «Borghesi, Allasia, Attaguile, Bossi, Busin, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    in una economia a carattere globale quale quella attuale, la forza competitiva di un Paese poggia le sue basi più solide sulla conoscenza e sulla qualità dei prodotti e dei processi produttivi; tutto questo richiede la valorizzazione delle competenze scientifiche e tecnologiche esistenti, la loro capacità di integrazione, la capacità di trasformare conoscenza in nuovi prodotti e processi direttamente usufruibili dal territorio;
    esiste un nesso diretto tra gli investimenti in ricerca e innovazione e la crescita culturale ed esso rappresenta la premessa fondamentale per la crescita e lo sviluppo economico di un Paese nel suo complesso;
    la diffusione di una cultura scientifica e di livello culturale elevato costituiscono un indice fondamentale per giudicare il grado di competitività di un Paese;
    anche a livello europeo, tra gli obiettivi principali, rientra quello della valorizzazione e della promozione della ricerca: la raccomandazione della Commissione europea 2005/251/CE, dell'11 marzo 2005, riguardante la Carta europea dei ricercatori e un codice di condotta per l'assunzione dei ricercatori, reca, infatti, alcuni principi generali e i requisiti (tra cui la libertà di ricerca, i principi etici, la responsabilità professionale, la diffusione e la responsabilità nei confronti dell'opinione pubblica), che specificano il ruolo e i diritti dei ricercatori, dei datori di lavoro e dei finanziatori;
    il documento evidenzia l'obiettivo dell'Unione europea di valorizzare e di promuovere la ricerca, quale importante pilastro per la crescita economica e occupazionale del Paese, attraverso una responsabilizzazione reciproca dei soggetti interessati;
    la strategia Europa 2020, che ha innovato Lisbona 2001, individua negli investimenti nella formazione e nell'innalzamento del livello culturale della popolazione alcune delle condizioni necessarie al fine di rilanciare l'economia dell'Unione europea affinché diventi l'area più competitiva del mondo basata sulla conoscenza. L'obiettivo proposto è quello di un'economia basata sulla conoscenza, caratterizzata da riforme profonde e finalizzata alla promozione di una crescita sostenibile, dell'occupazione, dell'innovazione, della competitività, al rafforzamento della coesione sociale, economica e territoriale. Tra gli strumenti indicati per perseguire questi obiettivi l'Unione europea indica quella della crescita intelligente, da perseguire grazie a investimenti più efficaci nell'istruzione, la ricerca e l'innovazione;
    l'incremento della spesa per investimenti in ricerca e sviluppo portandola ad un livello pari al 3 per cento del prodotto interno lordo al fine anche di adeguare i finanziamenti al sistema della ricerca alla media Ocse rientra tra gli obiettivi principali della Unione europea per la crescita intelligente;
    secondo dati Ocse, la spesa dell'Italia in ricerca e sviluppo nel 2011 ammontava in termini assoluti ad una cifra pari a meno della metà di quella francese e meno del 30 per cento di quella tedesca; in termini percentuali essa rappresentava, nel 2013, soltanto l'1,3 per cento del Pil con indicazioni dei dati di previsione verso una diminuzione della spesa complessiva;
    rispetto alla media europea, l'Italia spende in investimenti per la ricerca e allo sviluppo, una percentuale di Pil molto più bassa; eppure, nell'operare il confronto tra la quantità di risorse impegnate e il numero di ricercatori italiani da una parte e l’output prodotto, questo risulta molto elevato e soddisfacente. La qualità media della ricerca, condotta in gran parte nelle università, non è molto lontana rispetto a quella di Paesi vicini con investimenti maggiori e i ricercatori italiani all'estero sono apprezzati e spesso indicati come esponenti di punta di progetti di ricerca;
    da uno studio della Banca d'Italia si evince che l'attività di ricerca condotta all'interno delle strutture pubbliche rappresenta, nei principali Paesi occidentali, la quota preponderante della ricerca;
    la ricerca è infatti prodotta soprattutto in ambito accademico e negli enti pubblici di ricerca anche perché questo assicura un progresso di conoscenza che non sarebbe ugualmente raggiungibile affidandosi in quota maggioritaria alle risorse private ma, ciononostante, determina ricadute nell'ambito dell'applicazione dei risultati che contribuiscono a sostenere il grado di innovazione del sistema produttivo;
    la ricerca di base, pur rappresentando un nodo necessario e fondamentale allo sviluppo di attività in grado di produrre rendimento economico, non genera direttamente possibilità di ricavo;
    appare necessario a tal fine che ci sia uno scambio reciproco di informazioni e risorse tra il settore pubblico e quello privato che deve avvenire in un contesto in cui il settore pubblico esplica il suo intervento sia in qualità di finanziatore, che come soggetto regolatore del settore;
    il settore della ricerca italiano appare caratterizzato, da una parte, dalla scarsa attitudine del settore pubblico all'applicazione dei risultati e alla collaborazione con le attività imprenditoriali; dall'altra parte, le imprese italiane mostrano difficoltà a connettere la propria attività di ricerca con i risultati raggiunti dagli enti pubblici;
    in Italia, il settore della ricerca soffre di una cronica mancanza di fondi e di una precarietà dei posti di lavoro, che determinano la cosiddetta «fuga di cervelli» italiani all'estero, con un considerevole danno all'economia nazionale, sia dal punto di vista della rilevante perdita di risorse umane altamente qualificate, ma anche tenendo conto del fatto che il Paese ha investito nella formazione di ogni laureato notevoli risorse pubbliche che vengono completamente disperse e dalle quali non si ottiene nessun ritorno economico;
    l'Italia infatti vanta un numero notevole di ricercatori altamente specializzati in diversi settori che rappresentano un fiore all'occhiello per il nostro Paese e il cui lavoro costituisce un prezioso apporto per il progresso scientifico e culturale e per lo sviluppo dell'economia nazionale;
    i ricercatori italiani sono costretti ad accettare opportunità lavorative all'estero, dove riescono a trovare più adeguati e sicuri sbocchi per la propria carriera, depauperando così il nostro Paese in un settore vitale;
    esistono in Italia centri di eccellenza, tra cui l'Istituto Mario Negri di Milano nella ricerca biomedica, il Politecnico di Torino nell'ambito delle nanotecnologie e il dipartimento di tecnologia dei polimeri dell'università Federico II di Napoli nel campo delle biotecnologie. Realtà all'avanguardia che, però, spesso restano delle «cattedrali nel deserto»;
    un'altra grave conseguenza è quella dell'assenza di un flusso inverso di ricercatori stranieri nel nostro Paese, legata alla scarsa competitività e appetibilità del nostro sistema di ricerca. In Italia, infatti, si registrano le remunerazioni più basse rispetto al resto dell'Europa;
    l'Italia partecipa, con ingenti risorse, a finanziare le politiche per l'innovazione per altri Paesi europei;
    la povertà delle risorse investite nella ricerca hanno ripercussioni anche sul debito estero, e vede l'Italia, dal punto di vista internazionale, subalterna dal punto di vista scientifico e tecnologico;
    in sede di esame dello schema di decreto ministeriale per il riparto del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca per l'anno 2015 (Atto n. 186), la VII commissione cultura della Camera dei deputati ha approvato un parere nel quale si chiede che «il Governo si impegni a riportare il Fondo ordinario all'importo assegnato nel 2012, al fine di consentire che i bilanci di previsione 2015 possano contare sul 100 per cento dell'importò assegnato nello stesso 2012, e si adoperi per un intervento legislativo che, modificando quanto attualmente previsto dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 213 del 2009, renda la quota premiale aggiuntiva rispetto alle risorse del medesimo Fondo»;
    investimenti importanti nella ricerca e nell'alta formazione, al di là del forte impatto sul processo di sviluppo del Paese, rappresentano anche una fondamentale occasione per il reclutamento di giovani ricercatori;
    il sistema italiano della ricerca appare frammentato e articolato sia dal punto di vista dei soggetti che vi operano, che dal punto di vista delle fonti di finanziamento. La necessità di rilanciare la capacità innovativa del Paese non può prescindere da un sistema della ricerca pubblica adeguatamente finanziato ed efficacemente governato;
    è importante adottare misure che tendano a rendere il sistema ricerca italiano il punto di forza dello sviluppo del Paese per dare all'Italia il ruolo da protagonista che le spetta nel panorama europeo e internazionale; la ricerca deve essere considerata una priorità strategica per lo sviluppo;
    dal punto di vista delle fonti di finanziamento della ricerca, il sistema italiano appare estremamente frammentato, determinando un contesto di gestione poco strutturata e di difficile coordinamento al fine del raggiungimento di obiettivi strategici per il Paese;
    il 1o maggio 2016 il Cipe ha approvato il nuovo piano nazionale della ricerca che mobilita risorse di diversa provenienza: fondi di diretta competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (FIRST – fondo per la ricerca fondamentale, FFO – fondo delle università, FOE – fondo degli enti di ricerca, FISR – fondo integrativo per interventi specifici); fondi strutturali nazionali (PON) e cofinanziamento di fondi strutturali europei (FSC – Fondo di Sviluppo e Coesione) per alimentare 6 programmi in materia di capitale umano, seguito del finanziamento alla ricerca industriale, il programma per il Mezzogiorno e il cofinanziamento delle infrastrutture di ricerca;
    è indispensabile concentrare l'attenzione verso il settore della ricerca affinché l'Italia non resti tagliata fuori dai processi di sviluppo: nell'era della globalizzazione è importante, per il progresso scientifico e tecnologico, un interscambio di esperienze e di idee;
    è auspicabile che i princìpi contenuti nella Carta europea dei ricercatori trovino effettiva applicazione, così da favorire la diffusione e la condivisione delle conoscenze, nonché lo sviluppo professionale dei ricercatori;
    appare auspicabile l'adozione di una strategia di intervento più mirata ed efficace che copra l'intero corso della vita: investire nel capitale umano è una politica che si deve porre alla base delle strategie di azione e di sviluppo tecnologico, investendo maggiori risorse e ridefinendo la spesa pubblica e gli investimenti destinati alla ricerca,

impegna il Governo:

   ad attuare una politica di sostegno al settore della ricerca che preveda una crescita di risorse allocate secondo criteri precisi e definiti e sulla base di un sistema di valutazione severo e puntuale, disponendo interventi non settoriali ma organici che tendano ad elevare qualitativamente il livello della ricerca, non solo rispetto alle eccellenze, ma anche in ordine agli standard medi, senza comunque perdere di vista il merito, la responsabilizzazione nella gestione delle risorse degli enti destinatari dei finanziamenti, la qualità e la competitività delle nostre università e della nostra ricerca;
   ad istituire l'Anagrafe dei ricercatori italiani all'estero, una banca dati telematica che raccolga informazioni sulle attività, sugli interessi e sulle competenze delle comunità di ricercatori italiani operanti all'estero, finalizzata a far conoscere e a valorizzare l'attività dei ricercatori italiani sparsi nel mondo, dando vita ad una rete che funga da collegamento tra gli scienziati italiani residenti in patria e quelli operanti all'estero, nonché da collegamento tra questi ultimi e le università e le aziende italiane, dando vita ad una rete di scambio di informazioni;
   a rilanciare la valenza dello sviluppo della conoscenza come valore intrinseco di ogni società, anche al di là delle ricadute economiche che essa può comportare, nonché il ruolo della ricerca concepita come strumento per migliorare la qualità della vita dei cittadini per quanto riguarda la salute, la sicurezza, la tutela ambientale e la valorizzazione dei beni culturali.
(1-01277) «Giammanco, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    nella società della conoscenza sapere e scienza sono fondamentali e altrettanto lo sono (per lo sviluppo economico, sociale e culturale del Paese) università e istituti di ricerca e, più in generale, coloro che svolgono un modo di produzione e di consolidamento della conoscenza tecnico-scientifica;
    il progresso e lo sviluppo economico del Paese sono legati alla capacità delle politiche pubbliche di incoraggiare l'attività dei ricercatori, indipendentemente dall'ente o dall'istituzione d'appartenenza, attraverso strumenti regolativi, con l'aumento e la riforma del sistema di allocazione delle risorse destinate alla ricerca;
    i dati elaborati da diverse organizzazioni internazionali evidenziano l'alta qualità della ricerca condotta da cittadini italiani, sia in Italia, sia all'estero; allo stesso tempo, l'elevato tasso di disoccupazione complessiva e l'altissimo tasso di disoccupazione giovanile mostrano la difficoltà di tradurre in benessere di tutta la società il lavoro svolto nella ricerca e nell'innovazione;
    investire sull'istruzione e sulla ricerca è fondamentale in un Paese moderno, soprattutto per tornare alla crescita. Il sistema universitario e degli enti di ricerca è il punto centrale di queste politiche ed è necessario puntare sulla valutazione e sulla premialità, legando l'erogazione dei finanziamenti all'esito della valutazione;
    negli ultimi venti anni, il sistema universitario italiano ha attraversato molte riforme, alcune rimaste incompiute. Leggi e decreti si sono susseguiti intervenendo sui meccanismi di finanziamento pubblico e sull'autonomia universitaria;
    occorre incoraggiare il nesso complementare tra gli atenei e tra questi e gli enti di ricerca, premiandone la vocazione e potenziandone le aree di ricerca più rappresentative;
    è auspicabile una revisione del sistema di allocazione delle risorse e un ripensamento del ruolo dei singoli atenei nei settori della formazione e della ricerca; il presupposto per un'efficace realizzazione di questi obiettivi non può prescindere dall'incremento significativo delle risorse per il comparto, ivi compresi gli enti di ricerca;
    in Italia, il finanziamento pubblico degli atenei rappresenta circa il 77,5 per cento del totale complessivo delle risorse disponibili; si tratta di un dato simile a quello dell'Europa continentale ed al di sopra dei Paesi anglosassoni, mentre negli Usa la parte pubblica è inferiore al 50 per cento. Gli atenei italiani dipendono – dunque – in modo preponderante da finanziamenti pubblici diretti. La maggior parte proviene dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tramite il Fondo di finanziamento ordinario (FFO);
    il FFO è stato istituito per concedere maggiore autonomia finanziaria e gestionale agli atenei; per riequilibrare il finanziamento fra istituzioni universitarie in relazione alla performance e per legare l'allocazione dei fondi pubblici alla valutazione della ricerca e della didattica;
    nel corso degli anni, tuttavia, sono state poste a carico del fondo spese di natura vincolata e indipendenti dall'effettiva dinamica della ricerca;
    è stata inoltre introdotta la riforma del sistema nazionale della ricerca (con il decreto legislativo n. 204 del 1998), con la quale sono state individuate le attività e le iniziative di ricerca considerate strategiche per lo sviluppo del Paese. Il Programma nazionale della ricerca (PNR) definisce gli obiettivi e le modalità di attuazione degli interventi specificati per aree tematiche prioritarie, settori disciplinari, soggetti coinvolti, progetti finanziabili;
    tuttavia, i finanziamenti hanno subito un decremento negli ultimi anni, nel corso dei quali la ricerca di base (PRIN) ha visto progressivamente diminuire i propri stanziamenti;
    negli anni della crisi, a partire dal 2008, vi e stato un calo significativo dell'allocazione di risorse all'università e alla ricerca: il FFO è passato dallo 0,4 per cento del Pil del 1994 al livello massimo dello 0,49 del 2009 (7513 milioni di euro), per poi stabilizzarsi negli anni successivi allo 0,42 per cento del Pil nel 2015 (6904 milioni di euro), con l'arresto della curva discendente;
    la riduzione del finanziamento all'università ha portato a criticità di bilancio per gli atenei, a una riduzione del turn over e a un invecchiamento del personale docente, al mancato inserimento di giovani ricercatori nel sistema, all'indebolimento del sistema formativo;
    per invertire questa tendenza, nella legge di stabilità per il 2016 sono state previste diverse misure, quali per esempio lo sblocco del turn over, la previsione dell'assunzione di 500 docenti d'eccellenza e il reclutamento di circa 1000 nuovi ricercatori;
    le misure richiamate consentiranno di assumere nuovi ricercatori e di stabilizzare una parte di quelli che lavoravano a tempo determinato;
    al fine di contrastare il calo delle immatricolazioni e delle iscrizioni, sono stati elevati il livello ISEE e gli stanziamenti per le borse di studio (questi ultimi, per seconda volta in 10 anni, superano i 200 milioni di euro);
    il nostro Paese deve attivare il contributo delle imprese e del settore privato anche in questo ambito. Guardando i dati europei, appare evidente come i Paesi con elevati coefficienti di spesa in ricerca da parte delle imprese (Finlandia, Svezia, Danimarca, Slovenia, Austria e Germania) abbiano un alto livello di spesa complessiva in ricerca;
    il 1o maggio 2016 il CIPE approvato il PNR 2015-2020 che si muove nella medesima direzione;
    tale programma prevede circa 2 miliardi e mezzo di euro per investimenti complessivi nel triennio 2015-2017, di cui 1 miliardo e 900 milioni a carico del bilancio del MIUR e 500 milioni a carico del PON ricerca, a valere sul Fondo sviluppo e coesione (FSC) 2014-2020;
    il PNR si struttura su sei pilastri: internazionalizzazione, capitale umano, programma nazionale infrastrutture, cooperazione pubblico privato e ricerca industriale, efficacia e qualità della spesa, programma per il Mezzogiorno;
    esso affronta alcune emergenze del sistema universitario per quel che riguarda il capitale umano, cui e destinata una cospicua parte della somma citata (1 miliardo e 200 milioni di euro) al fine di formare, potenziare, incrementare il numero di ricercatori e favorire il trasferimento di conoscenza alla società nel suo complesso;
    il piano compie inoltre un passo avanti nel porre finalmente la ricerca al centro delle strategie di sviluppo del Paese, attraverso politiche pubbliche in grado di portare il Paese verso un modello di crescita fondato sull'innovazione ed il progresso tecnologico e quindi capace di meglio assorbire il capitale umano;
    esso punta anche sul valore della formazione, quale strumento di affermazione professionale per le giovani generazioni e, in definitiva, come strada principale per stimolare e incentivare lo studio post-diploma, cui deve essere accompagnata un'offerta formativa capace di ridurre il gap tra lo studio ed il lavoro;
    peraltro, nel PNR si fa riferimento anche alle risorse destinate al cofinanziamento di programmi transnazionali ed internazionale, indirizzate ai vincitori di progetti banditi dallo European Research Council (246 milioni di euro nel triennio 2015-2017). In questa chiave, l'Italia è chiamata a confrontarsi anche con la metodologia competitiva dell'assegnazione dei fondi, tale per cui la ricerca è finanziata per specifici obiettivi e iniziative,

impegna il Governo:

   a verificare le modalità più efficaci per attuare il coordinamento delle diverse forme di assegnazione dei fondi di ricerca negli enti vigilati dai diversi ministeri;
   ad approfondire, per il conseguimento di una premialità competitiva su un arco temporale prolungato, quali possibili vantaggi e quali difficoltà operative possano ravvisarsi nell'individuazione di un soggetto unico competente per la funzione del finanziamento della ricerca, ovvero a verificare se tale ultimo obiettivo debba essere perseguito mediante l'istituzione di un nuovo soggetto o mediante l'attività dei soggetti esistenti nel settore;
   ad esplorare, in modo concreto, le ipotesi di sinergia tra società pubbliche e o partecipate da enti pubblici, da un lato, e gli atenei, dall'altro, al fine di attivare nuove forme di finanziamento alla ricerca;
   a promuovere la crescita e la competitività dei ricercatori italiani nella spazio europeo della ricerca, anche attraverso il sostegno e la semplificazione delle attività del ricercatore vincitore di bandi internazionali.
(1-01279) «Dallai, Monchiero, Coscia, Piccoli Nardelli, Ghizzoni, Ascani, Blazina, Bonaccorsi, Carocci, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Iori, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Rocchi, Sgambato, Ventricelli, Capua, Benamati, Coppola, Vezzali».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

   La Camera,
   premesso che:
    dal 2008 si registra una costante riduzione della spesa pubblica per la ricerca. Le analisi fatte dalla Ragioneria generale dello Stato sull'andamento delle spese per missioni, programmi e stati di previsione del bilancio dello Stato nel periodo 2008-2014 hanno evidenziato che, a fronte della crescita della spesa pubblica corrente, la spesa per la ricerca subisce tagli superiori a qualsiasi altro settore pubblico. La missione 17 (ricerca e innovazione), dal 2008 al 2015, è passata da 4 miliardi di euro a 2,6 miliardi di euro e la missione 23 (istruzione universitaria), nel medesimo arco temporale, è passata da 8,6 miliardi di euro a 7,7 miliardi di euro;
    il Programma nazionale della ricerca arriva con grande ritardo ed è di difficile lettura. In sostanza si limita ad esporre, peraltro parzialmente, il quadro delle risorse disponibili in quanto «non vincolate» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e alcune risorse destinate alle politiche di coesione. Nello specifico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il programma tiene conto delle risorse a bilancio per la missione ricerca e innovazione n. 17 e per la missione istruzione universitaria n. 23. Per essere chiari, con riferimento all'esercizio finanziario 2015, su 2,65 miliardi di euro per la missione ricerca e innovazione sono esposti meno di 200 milioni di euro e, per la missione istruzione universitaria, per la quale sono stanziati 7,7 miliardi di euro, sono esposte azioni per 215 milioni di euro. D'altra parte, sono otto i Ministeri che gestiscono la missione n. 17, mentre il programma menziona solo le attività riferibili al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, unitamente a risorse che dovrebbero essere sotto l'egida del Ministero dell'economia e delle finanze per le politiche di coesione;
    la mancanza di un quadro chiaro di riferimento nazionale rende peraltro scoordinata e poco incisiva l'azione dello Stato, nelle sue articolazioni interne, e delle regioni che hanno competenze specifiche ma non hanno un quadro chiaro di riferimento strategico nazionale;
    in effetti, lo stesso programma sottolinea che l'intervento pubblico per la ricerca e l'innovazione è caratterizzato da «una molteplicità di strumenti finanziari con scarso o nullo raccordo» (pagina 90), riconoscendo quindi che ci sono i presupposti per una dispersione delle risorse, già scarse, destinate alla ricerca, la cui leggibilità risulta davvero difficile;
    il Governo nel 2015 ha dato timidi segnali di attenzione al mondo della ricerca con la previsione di investire, con decreto-legge (decreto-legge n. 185 del 2015), risorse per la valorizzazione dell'area utilizzata per l'Expo per la realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca denominato «Human Technopole» nell'area. Anche in sede di manovra finanziaria, con la legge di stabilità, sono stati previsti: un piano straordinario per la chiamata di professori di prima fascia; il fondo «Natta» per la chiamata di 500 docenti e il piano ricercatori (Università ed enti di ricerca). Ma anche l'apprezzabile sforzo non ha scalfito il blocco del turn over e la riduzione delle risorse degli ultimi anni. Interventi parziali, con strumenti urgenti che hanno risentito della mancanza di una solida cornice strategica alimentando tensioni nella comunità scientifica, con comprensibili perplessità anche sull'efficacia delle azioni;
    infine, oltre al problema delle risorse, permane un quadro normativo in cui operano università ed enti pubblici nazionali di ricerca frammentario e disorganico, che ne diminuisce la capacità di programmare in autonomia le attività per competere a livello europeo e internazionale. Peraltro, sarebbero urgenti segnali di intervento che potrebbero essere dati anche in occasione dell'esercizio della delega legislativa per la semplificazione delle norme che regolano le attività degli enti pubblici nazionali di ricerca di cui, a ridosso della scadenza del termine, non si hanno notizie,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per investire nella ricerca e nello sviluppo tecnologico, cercando di raggiungere gli obiettivi indicati dalla Strategia Europa 2020;
   a valorizzare e rafforzare le competenze scientifiche presenti nel Paese per non perdere importanti professionalità che non trovano opportunità di carriera, anche a causa delle difficoltà nella programmazione delle risorse umane da parte delle istituzioni universitarie e di ricerca di afferenza;
   a favorire la partecipazione coordinata della comunità scientifica alla definizione delle strategie;
   a presentare in Parlamento, in vista della prossima manovra finanziaria e ad integrazione del documento di economia e finanza 2016, un quadro chiaro degli indirizzi e delle priorità strategiche per gli interventi a favore della ricerca scientifica e tecnologica, definendo il quadro delle risorse finanziare da attivare nei prossimi anni, assicurando il coordinamento con le altre politiche nazionali e tenendo conto delle iniziative, dei contributi e delle realtà di ricerca regionali, secondo quanto stabilito dall'articolo 1 del decreto legislativo n. 204 del 1998.
   a rafforzare i patti di collaborazione con i sistemi di ricerca e innovazione promossi dalle regioni e dalle province autonome, nel rispetto dell'autonomia costituzionale degli enti regionali e provinciali, in relazione all'esercizio delle loro competenze;
   a rafforzare l'impegno, per sostenere i settori umanistici della ricerca, anche favorendo la collaborazione con gli altri settori del sapere.
(1-01280) «Santerini, Fauttilli, Capelli, Caruso, Dellai, Baradello».


   La Camera,
   premesso che:
    dal 2008 si registra una costante riduzione della spesa pubblica per la ricerca. Le analisi fatte dalla Ragioneria generale dello Stato sull'andamento delle spese per missioni, programmi e stati di previsione del bilancio dello Stato nel periodo 2008-2014 hanno evidenziato che, a fronte della crescita della spesa pubblica corrente, la spesa per la ricerca subisce tagli superiori a qualsiasi altro settore pubblico. La missione 17 (ricerca e innovazione), dal 2008 al 2015, è passata da 4 miliardi di euro a 2,6 miliardi di euro e la missione 23 (istruzione universitaria), nel medesimo arco temporale, è passata da 8,6 miliardi di euro a 7,7 miliardi di euro;
    il Programma nazionale della ricerca arriva con grande ritardo ed è di difficile lettura. In sostanza si limita ad esporre, peraltro parzialmente, il quadro delle risorse disponibili in quanto «non vincolate» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e alcune risorse destinate alle politiche di coesione. Nello specifico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il programma tiene conto delle risorse a bilancio per la missione ricerca e innovazione n. 17 e per la missione istruzione universitaria n. 23. Per essere chiari, con riferimento all'esercizio finanziario 2015, su 2,65 miliardi di euro per la missione ricerca e innovazione sono esposti meno di 200 milioni di euro e, per la missione istruzione universitaria, per la quale sono stanziati 7,7 miliardi di euro, sono esposte azioni per 215 milioni di euro. D'altra parte, sono otto i Ministeri che gestiscono la missione n. 17, mentre il programma menziona solo le attività riferibili al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, unitamente a risorse che dovrebbero essere sotto l'egida del Ministero dell'economia e delle finanze per le politiche di coesione;
    la mancanza di un quadro chiaro di riferimento nazionale rende peraltro scoordinata e poco incisiva l'azione dello Stato, nelle sue articolazioni interne, e delle regioni che hanno competenze specifiche ma non hanno un quadro chiaro di riferimento strategico nazionale;
    in effetti, lo stesso programma sottolinea che l'intervento pubblico per la ricerca e l'innovazione è caratterizzato da «una molteplicità di strumenti finanziari con scarso o nullo raccordo» (pagina 90), riconoscendo quindi che ci sono i presupposti per una dispersione delle risorse, già scarse, destinate alla ricerca, la cui leggibilità risulta davvero difficile;
    il Governo nel 2015 ha dato timidi segnali di attenzione al mondo della ricerca con la previsione di investire, con decreto-legge (decreto-legge n. 185 del 2015), risorse per la valorizzazione dell'area utilizzata per l'Expo per la realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca denominato «Human Technopole» nell'area. Anche in sede di manovra finanziaria, con la legge di stabilità, sono stati previsti: un piano straordinario per la chiamata di professori di prima fascia; il fondo «Natta» per la chiamata di 500 docenti e il piano ricercatori (Università ed enti di ricerca). Ma anche l'apprezzabile sforzo non ha scalfito il blocco del turn over e la riduzione delle risorse degli ultimi anni. Interventi parziali, con strumenti urgenti che hanno risentito della mancanza di una solida cornice strategica alimentando tensioni nella comunità scientifica, con comprensibili perplessità anche sull'efficacia delle azioni;
    infine, oltre al problema delle risorse, permane un quadro normativo in cui operano università ed enti pubblici nazionali di ricerca frammentario e disorganico, che ne diminuisce la capacità di programmare in autonomia le attività per competere a livello europeo e internazionale. Peraltro, sarebbero urgenti segnali di intervento che potrebbero essere dati anche in occasione dell'esercizio della delega legislativa per la semplificazione delle norme che regolano le attività degli enti pubblici nazionali di ricerca di cui, a ridosso della scadenza del termine, non si hanno notizie,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per investire nella ricerca e nello sviluppo tecnologico, cercando di raggiungere gli obiettivi indicati dalla Strategia Europa 2020;
   a valorizzare e rafforzare le competenze scientifiche presenti nel Paese per non perdere importanti professionalità che non trovano opportunità di carriera, anche a causa delle difficoltà nella programmazione delle risorse umane da parte delle istituzioni universitarie e di ricerca di afferenza;
   a favorire la partecipazione coordinata della comunità scientifica alla definizione delle strategie;
   in vista della prossima manovra finanziaria e ad integrazione del documento di economia e finanza 2016, a considerare l'opportunità di redigere un quadro degli indirizzi e delle priorità strategiche per gli interventi a favore della ricerca scientifica e tecnologica, definendo il quadro delle risorse finanziare da attivare nel medio termine assicurando il coordinamento con le altre politiche nazionali;
   a rafforzare i patti di collaborazione con i sistemi di ricerca e innovazione promossi dalle regioni e dalle province autonome, nel rispetto dell'autonomia costituzionale degli enti regionali e provinciali, in relazione all'esercizio delle loro competenze;
   a rafforzare l'impegno, per sostenere i settori umanistici della ricerca, anche favorendo la collaborazione con gli altri settori del sapere.
(1-01280)
(Testo modificato nel corso della seduta)  «Santerini, Fauttilli, Capelli, Caruso, Dellai, Baradello».


   La Camera,
   premesso che:
    come nei beni culturali esiste l'articolo bonus, per incentivare i contributi con defiscalizzazione all'università da parte dei privati, si potrebbe pensare di istituire un research bonus come ha proposto il rettore dell'ateneo fiorentino Luigi Dei che e, rispetto alle misure predisposte finora dal Governo Renzi, sarebbe il caso di prevedere un piano strutturale pluriennale non misure una tantum;
    lo stato di salute dell'università è precario dal momento che ha subito, nel corso degli ultimi anni, un miliardo e 400 milioni di euro di tagli, non esistendo un comparto della pubblica amministrazione che ha avuto un taglio così marcato;
    sarebbe opportuno valorizzare le sedi universitarie e gli enti di ricerca esistenti, piuttosto che investire risorse per la realizzazione di nuovi istituti di ricerca quali l'istituto italiano di tecnologia ed è necessario rivedere i requisiti dell’«assegnista post doc», dal momento che tale figura non esiste al livello europeo e dunque non viene riconosciuta, pur essendo presente in tutti i progetti di ricerca italiani;
    sono ormai maturi i tempi per mettere mano a una stabilizzazione reale dell'enorme massa di persone precarie che da anni lavorano nell'università senza (attualmente) reali sbocchi;
    da un documento presentato al Senato nel dicembre del 2014 risulta evidente la drastica riduzione dei ricercatori negli ultimi sette anni;
    i tagli ai finanziamenti sono da impuntarsi ad una precisa scelta politica, dato che, nello stesso arco di tempo, la spesa pubblica complessiva è cresciuta, anche al netto della spesa per il debito. Tra i principali tagli ci sono quelli all'istruzione scolastica: – 2,9 miliardi di euro pari al 6,5 per cento del budget massimo relativo del 2010; alla ricerca scientifica: – 1,3 miliardi di euro, rispetto al massimo relativo del 2008; all'istruzione universitaria: – 0,8 miliardi di euro rispetto al massimo relativo del 2008;
    la cronica assenza di fondi si abbatte particolarmente sul fronte del reclutamento, specie nei livelli d'ingresso alla carriera accademica e i dati forniti dall'ufficio di statistica del MIUR mostrano che, a fronte di un crollo progressivo dal 2003 del numero totale dei ricercatori, non si è verificato un tamponamento della pesante riduzione con l'ingresso nel ruolo delle nuove figure contrattuali a tempo determinato previste dalla legge no 240 del 2010;
    i numeri dei ricercatori a tempo determinato (RTD), infatti, restano piuttosto esigui e le università italiane hanno fatto progressivamente ricorso ad assegnisti e ai lavoratori autonomi per sopperire alla scomparsa dei ricercatori. A partire dal 2011, infatti, la somma tra assegnisti ed autonomi eguaglia il numero dei ricercatori superandola, con un andamento in continua crescita;
    il nostro sistema universitario ha perduto, come certificato dal Consiglio universitario Nazionale, più di 12000 docenti (- 20 per cento) negli ultimi sette anni, a causa delle drastiche riduzioni del Fondo di finanziamento ordinario dell'ultimo decennio e delle notevoli limitazioni al turn-over;
    i ricercatori precari, che in questo stesso decennio hanno consentito agli atenei di tenere in piedi le attività di ricerca e di didattica, sono stati oggetto di un massiccio processo di espulsione dall'università; dei circa 50.000 ricercatori attivi nei nostri atenei, nel decennio 2003-2014, solo il 3 per cento risulta attualmente strutturato nell'università, come emerge dall'indagine «Ricercarsi» promossa dalla FLC CGIL. In tale contesto, un piano di reclutamento di 1000 ricercatori tenured – «piano straordinario RtdB» – appare del tutto inadeguato nei numeri alle esigenze del sistema universitario;
    negli ultimi anni, si è verificato un aumento del numero degli assegnisti e dei borsisti di ricerca, figure parasubordinate che non hanno diritto né alle protezioni sociali classiche, né alla DisColl, ossia la nuova e temporanea indennità di disoccupazione per i «Cococo», gli «ex Cocopro» e figure parasubordinate;
    la «liberazione» dal turn-over delle sole figure dei ricercatori a tempo determinato di tipo a) (senza tenure-track), previste dalla legge di stabilità 2016, aggrava il processo di precarizzazione delle figure della ricerca e della docenza, incoraggiando gli atenei ad avvalersi di ricercatori precari meno costosi e più governabili di figure con tenure-track;
    il rischio più grave, al quale peraltro stiamo assistendo, è che a conclusione del contratto di ricercatori a tempo determinato di primo livello, non ci sia una reale possibilità di stabilizzazione;
    con una proposta di legge, mutuata da proposte del Consiglio universitario nazionale (CUN), la componente del gruppo misto Alternativa Libera ha tentato di individuare le procedure e gli adempimenti che, per complessità, per oneri regolatori, amministrativi e informativi correlati, ostacolano, il funzionamento e il potenziamento del sistema universitario e della ricerca, proponendo al contempo misure di semplificazione atte a liberare le risorse necessarie a un'incentivazione della qualità e dell'efficienza affidata alla valorizzazione delle attività di didattica e ricerca;
    con la suddetta proposta si sono esclusi dal controllo della Corte dei conti i contratti stipulati da università ed enti di ricerca su fondi di ricerca, poiché il parere di legittimità viene reso in sessanta giorni, nei casi, peraltro frequenti, di contratti di breve durata e di importi modesti (poche migliaia di euro), il tempo di attesa per l'attivazione del contratto può avere la stessa durata del contratto stesso;
    l'imprescindibile necessità di assicurare competitività internazionale alla ricerca italiana (si pensi, ad esempio, alle opportunità offerte dai bandi Horizon 2020 di intercettare fondi europei) rende preoccupante la condizione in cui si trovano a operare i ricercatori delle università statali italiane che vedono nella gestione amministrativa oggettive limitazioni alla propria affermazione. Fra i principali ostacoli vi sono quelli derivanti dalle modalità di acquisto di beni e servizio che, negli anni, hanno visto crescere i passaggi obbligatori: per acquisti di piccolo importo possono rendersi necessari fino a trentadue adempimenti. La recente disciplina del Mercato elettronico della pubblica amministrazione (MePa) non ha risolto tali problemi, anzi li ha aggravati. Infatti, dal punto di vista della natura dei prodotti e dei servizi negoziabili sul sistema, il MePa si qualifica come strumento di general spending;
    il cosiddetto sistema di autovalutazione, valutazione periodica e accreditamento (AVA) dovrebbe semplificare la materia, prevedendo alcune modifiche normative mirate a ridurre la complessità del sistema, aumentandone l'efficacia e favorendone l'accoglimento da parte della comunità universitaria, in modo che essa possa svolgere al meglio il proprio ruolo di strumento per il miglioramento della qualità dell'offerta didattica;
    come più volte ribadito dal CUN, per realizzare pienamente l'autonomia universitaria, puntando sul miglioramento della qualità, anche dell'offerta formativa, è necessario un sistema AVA in cui i momenti di programmazione, di valutazione e di accreditamento siano chiaramente distinti, con una precisa distribuzione di competenze e responsabilità ai vari soggetti coinvolti, evitando sovrapposizioni, duplicazioni e confusioni negli interventi;
    si ritiene quindi necessaria un'operazione di razionalizzazione e semplificazione del sistema AVA che lo liberi dagli aspetti più formali, permettendo agli atenei di concentrare il lavoro sull'effettivo miglioramento della qualità dell'offerta formativa;
    la normativa vigente prevede che i regolamenti didattici di ateneo siano approvati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentito il CUN, e che gli ordinamenti didattici dei corsi di studio siano parte integrante dei regolamenti didattici di ateneo. L'ordinamento didattico di un corso di studio è un corpo unitario comprendente gli obiettivi formativi, il quadro generale delle attività formative con l'indicazione dei crediti assegnati a ciascuna attività formativa e a ciascun ambito, le caratteristiche della prova finale e gli sbocchi professionali. Come tale, per verificare la coerenza e la qualità del progetto formativo, è indispensabile esaminarlo nella sua interezza e qualsiasi modifica a una sua parte deve essere considerata nel contesto dell'ordinamento nel suo complesso. Il citato articolo 2 del decreto ministeriale n. 47 del 2013 suddivide, invece, l'esame dell'ordinamento fra due organi diversi (CUN e ANVUR), causando seri problemi di incoerenza, anche perché agli atenei è stata concessa la possibilità di modificare, nella scheda unica annuale del corso di studi (SUA-CdS), parti di ordinamenti già approvati, causando disallineamenti all'interno dell'ordinamento e a volte perfino non conformità alla normativa vigente;
    si è quindi verificata una sensibile complicazione delle operazioni richieste agli atenei per la gestione e la modifica degli ordinamenti, in quanto si sono trovati a dover rispondere a richieste diverse con tempistiche diverse e non necessariamente coerenti fra loro,

impegna il Governo

   ad assumere iniziative per garantire adeguati finanziamenti sia alla ricerca di base, che alla ricerca applicata, prevedendo finanziamenti ordinari certi e costanti sui tempi lunghi in modo da favorire un'adeguata programmazione;
   a riaprire in tempi brevi e con cadenza regolare, bandi per la ricerca, sulla scorta dei FIRB e dei SIR, rivolti sia ai ricercatori senior che junior;
   ad intraprendere opportune iniziative che consentano di incentivare e valorizzare in particolare i progetti di ricerca finalizzati alla realizzazione di brevetti che vengano successivamente prodotti e commercializzati in Italia, in modo che la ricerca scientifica possa esercitare il ruolo di volano per una ripresa economica ed occupazionale;
   ad assumere iniziative per istituire un bonus fiscale finalizzato alla ricerca, sulla scorta del cosiddetto art bonus;
   a ripensare tutto il sistema di valutazione della qualità della ricerca (VQR), alleggerendo gli adempimenti a carico dei docenti e dei ricercatori ed aumentando la quota premiale di fondi;
   a valutare l'istituzione di un organismo nazionale indipendente di valutazione della ricerca, il quale svolga i compiti di regolamentare ed organizzare i bandi per i finanziamenti pubblici della ricerca;
   ad eliminare al più presto ogni blocco o limitazione al regolare turn over del personale strutturato universitario e degli enti pubblici di ricerca;
   ad assumere iniziative per fare del dottorato di ricerca un titolo preferenziale di accesso alla pubblica amministrazione, ivi compresi gli enti locali;
   ad assumere ogni iniziativa per riavviare urgentemente le procedure di selezione per l'abilitazione scientifica nazionale;
   a valorizzare come sede per fare ricerca di qualità le eccellenze già riconosciute tra le università e gli enti di ricerca esistenti, utilizzando in via preferenziale le loro sedi e favorendo il loro ammodernamento e restauro piuttosto che l'onerosa costruzione ex-novo di nuovi poli;
   a rivedere la figura giuridica del ricercatore «assegnista post dottorato», al momento non corrispondente ai requisiti richiesti dalla Commissione europea, introducendo una figura unica pre ruolo con tenure track, con retribuzione e tutele conformi a quelle dei lavoratori a tempo determinato;
   ad assumere iniziative per aumentare i fondi in modo che i posti destinati al reclutamento in programmazione triennale nei vari dipartimenti/atenei vengano sensibilmente aumentati;
   a compiere ogni iniziativa opportuna, anche a carattere normativo, per rivedere le procedure di controllo negli atenei facendo in modo che sia rivisto il tema del controllo preventivo nel contesto del quadro normativo dell'autonomia universitaria sancita dalla Costituzione;
   a riconoscere l'esclusione degli atenei statali dall'obbligo di ricorrere al MePA relativamente ai soli acquisti di beni e servizi che gravino su fondi di ricerca;
   ad adottare iniziative per creare, anche all'interno dell'ordinamento italiano, e nel rispetto del sistema Schengen, i giusti presupposti e contesti normativi e amministrativi perché l'ingresso e la permanenza in Italia di professori e ricercatori extra-UE e dei loro familiari si affermino come un dato di sistema, meritevole di procedure dedicate e semplificate che incentivino la presenza e l'impegno di talenti stranieri nel sistema universitario e della ricerca italiano;
   a dare immediata attuazione a quanto previsto dal piano «Destinazione Italia», introducendo un fast track per un «visto di ricerca», analogo a quello del programma «Italia Startup Visa».
(1-01281) «Segoni, Civati, Artini, Baldassarre, Bechis, Turco, Brignone, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».


   La Camera,

impegna il Governo

   a valutare l'opportunità di adeguati finanziamenti sia alla ricerca di base, che alla ricerca applicata, prevedendo finanziamenti ordinari certi e costanti sui tempi lunghi in modo da favorire un'adeguata programmazione;
   a valutare la possibilità di prevedere l'eventuale riapertura in tempi brevi e con cadenza regolare, dei bandi per la ricerca, sulla scorta dei FIRB e dei SIR, rivolti sia ai ricercatori senior che junior;
   ad intraprendere opportune iniziative che consentano di incentivare e valorizzare in particolare i progetti di ricerca finalizzati alla realizzazione di brevetti che vengano successivamente prodotti e commercializzati in Italia, in modo che la ricerca scientifica possa esercitare il ruolo di volano per una ripresa economica ed occupazionale;
   a valutare la possibilità di istituire un bonus fiscale finalizzato alla ricerca, sulla scorta del cosiddetto art bonus;
   a valutare la possibilità di alleggerire gli adempimenti a carico dei docenti e dei ricercatori e aumentare la quota premiale di fondi;
   ad adoperarsi per eliminare al più presto ogni blocco o limitazione al regolare turn over del personale strutturato universitario e degli enti pubblici di ricerca;
   a valorizzare il titolo di dottore di ricerca nell'ambito della disciplina dell'accesso al pubblico impiego in modo da accrescere il livello della competenza tecnica nello Stato, nelle regioni e negli enti locali e creare circuiti virtuosi di competenza;
   ad assumere ogni iniziativa per riavviare urgentemente le procedure di selezione per l'abilitazione scientifica nazionale;
   a valorizzare come sede per fare ricerca di qualità le eccellenze già riconosciute tra le università e gli enti di ricerca esistenti, utilizzando in via preferenziale le loro sedi e favorendo il loro ammodernamento e restauro piuttosto che l'onerosa costruzione ex-novo di nuovi poli;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per aumentare i fondi in modo che i posti destinati al reclutamento in programmazione triennale nei vari dipartimenti/atenei vengano sensibilmente aumentati;
   a valutare l'opportunità di compiere ogni iniziativa opportuna, anche a carattere normativo, per rivedere le procedure di controllo negli atenei facendo in modo che sia rivisto il tema del controllo preventivo nel contesto del quadro normativo dell'autonomia universitaria sancita dalla Costituzione;
   a valutare la possibilità di escludere gli atenei statali dall'obbligo di ricorrere al MePA relativamente ai soli acquisti di beni e servizi che gravino su fondi di ricerca;
   ad adottare iniziative per creare, anche all'interno dell'ordinamento italiano, e nel rispetto del sistema Schengen, i giusti presupposti e contesti normativi e amministrativi perché l'ingresso e la permanenza in Italia di professori e ricercatori extra-UE e dei loro familiari si affermino come un dato di sistema, meritevole di procedure dedicate e semplificate che incentivino la presenza e l'impegno di talenti stranieri nel sistema universitario e della ricerca italiano;
   a valutare la possibilità di dare attuazione a quanto previsto dal piano «Destinazione Italia», introducendo un fast track per un «visto di ricerca», analogo a quello del programma «Italia Startup Visa».
(1-01281)
(Testo modificato nel corso della seduta)  «Segoni, Civati, Artini, Baldassarre, Bechis, Turco, Brignone, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».


PROPOSTA DI LEGGE: S. 580 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: FALANGA ED ALTRI: DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CRITERI DI PRIORITÀ PER L'ESECUZIONE DI PROCEDURE DI DEMOLIZIONE DI MANUFATTI ABUSIVI (APPROVATA DAL SENATO) (A.C. 1994-A)

A.C. 1994-A – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 2.

A.C. 1994-A – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO E SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

  Sul testo del provvedimento in oggetto:

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni, volte a garantire il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione:

  All'articolo 3, sostituire i commi 1, 2 e 3 con i seguenti:
  1. Nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito un fondo di rotazione, ai sensi della legge 25 novembre 1971, n. 1041, finalizzato all'erogazione di finanziamenti ai comuni per l'integrazione delle risorse necessarie agli interventi di demolizione di opere abusive realizzate nei rispettivi territori, con uno stanziamento pari a 5 milioni di euro per l'anno 2016 e a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020. A tal fine è autorizzata l'apertura di un'apposita contabilità speciale.
  2. Con decreto dei Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definiti i criteri, le condizioni e le modalità operative per la gestione e l'utilizzazione del fondo.
  3. L'erogazione dei finanziamenti avviene sulla base delle richieste adeguatamente corredate della documentazione amministrativa e contabile relativa alle demolizioni da eseguire ovvero delle risultanze delle attività di accertamento tecnico e di predisposizione degli atti finalizzati all'acquisizione dei manufatti abusivi al patrimonio, da parte dei comuni e delle regioni. Il tasso di interesse applicato ai finanziamenti è stabilito con il decreto di cui al comma 2. I finanziamenti sono restituiti sulla base di un piano di ammortamento decennale a rate annuali costanti, comprensive di quota capitale e quota interessi. I comuni beneficiari iscrivono nei rispettivi bilanci l'importo dei finanziamenti come accensione di prestiti.

  Conseguentemente, al comma 4 del medesimo articolo sostituire le parole: pari a 50 milioni di euro per l'anno 2016 con le seguenti: pari a 5 milioni di euro per l'anno 2016 e a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020.

  All'articolo 4, comma 4, sostituire le parole da: Agli oneri fino a: 10 milioni con le seguenti: Agli oneri derivanti dalla costituzione della banca di dati nazionale di cui al presente articolo, pari a 5 milioni.

  Conseguentemente, dopo il comma 5 del medesimo articolo aggiungere il seguente:
  5-bis. Al funzionamento della banca di dati nazionale di cui al presente articolo si provvede nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti disponibili a legislazione vigente o, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

  Sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:

PARERE CONTRARIO

sull'emendamento 1.3 e sull'articolo aggiuntivo 4.01, in quanto suscettibili di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica privi di idonea quantificazione e copertura;

NULLA OSTA

sulle restanti proposte emendative.

A.C. 1994-A – Articolo 1

ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 1.
(Modifiche all'articolo 1 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106)

  1. All'articolo 1 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) al comma 6, dopo la lettera c) è aggiunta la seguente:
   «c-bis) i criteri di priorità per l'esecuzione degli ordini di demolizione delle opere abusive disposti ai sensi dell'articolo 31, comma 9, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e degli ordini di rimessione in pristino dello stato dei luoghi disposti ai sensi dell'articolo 181, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nell'ambito dei quali è data adeguata considerazione:
    1) agli immobili di rilevante impatto ambientale o costruiti su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico o a vincolo sismico o a vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico o storico-artistico;
    2) agli immobili che per qualunque motivo costituiscono un pericolo per la pubblica e privata incolumità, nell'ambito del necessario coordinamento con le autorità amministrative preposte;
    3) agli immobili che sono nella disponibilità di soggetti condannati per i reati di cui all'articolo 416-bis del codice penale o per i delitti aggravati ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, o di soggetti ai quali sono state applicate misure di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159»;
   b) dopo il comma 6 è inserito il seguente:
  «6-bis. Nell'ambito di ciascuna tipologia di cui alla lettera c-bis) del comma 6, determinata con provvedimento del procuratore della Repubblica, tenendo conto
dei criteri di cui alla medesima lettera, e delle specificità del territorio di competenza, la priorità è attribuita, di regola, agli immobili in corso di costruzione o comunque non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado e agli immobili non stabilmente abitati».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI LEGGE

ART. 1.
(Modifiche all'articolo 1 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106).

  Sopprimerlo.
*1. 1. Di Lello.

  Sopprimerlo.
*1. 2. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Sarti.

  Al comma 1, lettera a), capoverso c-bis), alinea, sopprimere le parole: di priorità.

  Conseguentemente, all'articolo 4, comma 1, sostituire le parole: le priorità con le seguenti: i criteri.
1. 10. Sannicandro, Daniele Farina.

  Al comma 1, lettera a), capoverso c-bis), alinea, sopprimere le parole: di priorità.

  Conseguentemente, all'articolo 4, comma 1, sostituire le parole: le priorità con le seguenti: i criteri.

  Conseguentemente, al titolo, sopprimere, le parole: di priorità.
1. 10.(Testo modificato nel corso della seduta) Sannicandro, Daniele Farina.
(Approvato)

  Al comma 1, lettera a), capoverso c-bis), alinea, sopprimere le parole: di priorità
*1. 11. Malisani, Coscia, Braga, Verini.

  Al comma 1, lettera a), capoverso c-bis), alinea, sopprimere le parole: di priorità.

  Conseguentemente, all'articolo 4, comma 1, sostituire le parole: le priorità con le seguenti: i criteri.

  Conseguentemente, al titolo, sopprimere, le parole: di priorità.
1. 11.(Testo modificato nel corso della seduta) Malisani, Coscia, Braga, Verini.
(Approvato)

  Al comma 1, lettera a), capoverso c-bis), alinea, sopprimere le parole: di priorità.
*1. 13. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Sarti.

  Al comma 1, lettera a), capoverso c-bis), alinea, sopprimere le parole: di priorità.

  Conseguentemente, all'articolo 4, comma 1, sostituire le parole: le priorità con le seguenti: i criteri.

  Conseguentemente, al titolo, sopprimere, le parole: di priorità.
1. 13.(Testo modificato nel corso della seduta) Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Sarti.
(Approvato)

  Al comma 1, lettera a), capoverso c-bis), alinea, dopo le parole: di priorità aggiungere le seguenti:, di carattere orientativo,

  Conseguentemente, al medesimo alinea, dopo le parole: è data aggiungere le seguenti:, ove possibile,
1. 14. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Sarti.

  Al comma 1, lettera a), capoverso c-bis), alinea, dopo le parole: di priorità aggiungere le seguenti:, di carattere orientativo,
1. 15. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Sarti.

  Al comma 1, sopprimere la lettera b).
1. 17. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Sarti.

  Al comma 1, lettera b), capoverso comma 6-bis), sostituire le parole: procuratore della Repubblica con le seguenti: pubblico ministero.
1. 12. Marotta.

  Al comma 1, lettera b), capoverso comma 6-bis), sostituire le parole: procuratore della Repubblica con le seguenti: titolare dell'ufficio requirente.
1. 12.(Testo modificato nel corso della seduta) Marotta.
(Approvato)

A.C. 1994-A – Articolo 2

ARTICOLO 2 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 2.
(Modifica all'articolo 41 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380)

  1. L'articolo 41 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, è sostituito dal seguente:
  «Art. 41 (L). – (Demolizione di opere abusive). – 1. Entro il mese di dicembre di ogni anno, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale trasmette al prefetto e alle altre amministrazioni statali e regionali preposte alla tutela del vincolo di cui al comma 6 dell'articolo 31 l'elenco delle opere non sanabili, per le quali il responsabile dell'abuso non abbia provveduto nel termine previsto alla demolizione e al ripristino dei luoghi e per le quali sia inutilmente decorso l'ulteriore termine di duecentosettanta giorni entro il quale l'amministrazione comunale è tenuta a concludere il procedimento relativo alla tutela del vincolo di cui al comma 6 dell'articolo 31. Entro il mese di dicembre di ogni anno le amministrazioni statali e regionali preposte alla tutela trasmettono al prefetto l'elenco delle demolizioni da eseguire. Gli elenchi contengono, tra l'altro, i nomi dei proprietari e degli eventuali occupanti abusivi, gli estremi di identificazione catastale, il verbale di consistenza delle opere abusive e l'eventuale titolo di occupazione dell'immobile.
  2. Il prefetto, entro trenta giorni dalla ricezione degli elenchi di cui al comma 1, provvede agli adempimenti conseguenti all'intervenuto trasferimento della titolarità dei beni e delle aree interessate, notificando l'avvenuta acquisizione al proprietario e al responsabile dell'abuso.
  3. L'esecuzione della demolizione delle opere abusive, compresi la rimozione delle macerie e gli interventi a tutela della pubblica incolumità, è disposta dal prefetto. I relativi lavori sono affidati, anche a trattativa privata ove ne sussistano i presupposti, ad imprese tecnicamente e finanziariamente idonee. Il prefetto può anche avvalersi, per il tramite dei provveditorati alle opere pubbliche, delle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa, sulla base di apposita convenzione stipulata tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro della difesa.
  4. Le modalità per l'esecuzione della demolizione delle opere abusive di cui al comma 3 possono essere impiegate anche dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale che vi provveda ai sensi dei commi 5 e 6 dell'articolo 31».

A.C. 1994-A – Articolo 3

ARTICOLO 3 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 3.
(Fondo per le demolizioni delle opere edilizie abusive).

  1. È istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un fondo di rotazione, con una dotazione di 50 milioni di euro, per l'integrazione delle risorse necessarie agli interventi dei comuni per la demolizione di opere abusive realizzate nei loro territori.
  2. Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definite le modalità di erogazione dei finanziamenti a carico del fondo di rotazione di cui al comma 1 sulla base delle richieste adeguatamente corredate della documentazione amministrativa e contabile relativa alle demolizioni da eseguire ovvero delle risultanze delle attività di accertamento tecnico e di predisposizione degli atti finalizzati all'acquisizione dei manufatti abusivi al patrimonio, da parte dei comuni e delle regioni.
  3. L'erogazione delle risorse finanziarie è garantita da apposita convenzione che ne prevede la restituzione entro dieci anni dall'erogazione stessa.
  4. Agli oneri di cui al comma 1, pari a 50 milioni di euro per l'anno 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
  5. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 3 DELLA PROPOSTA DI LEGGE

ART. 3.
(Fondo per le demolizioni delle opere edilizie abusive).

  Sostituire i commi 1, 2 e 3 con i seguenti:
  1. Nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito un fondo di rotazione, ai sensi della legge 25 novembre 1971, n. 1041, finalizzato all'erogazione di finanziamenti ai comuni per l'integrazione delle risorse necessarie agli interventi di demolizione di opere abusive realizzate nei rispettivi territori, con uno stanziamento pari a 5 milioni di euro per l'anno 2016 e a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020. A tal fine è autorizzata l'apertura di un'apposita contabilità speciale.
  2. Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definiti i criteri, le condizioni e le modalità operative per la gestione e l'utilizzazione del fondo.
  3. L'erogazione dei finanziamenti avviene sulla base delle richieste adeguatamente corredate della documentazione amministrativa e contabile relativa alle demolizioni da eseguire ovvero delle risultanze delle attività di accertamento tecnico e di predisposizione degli atti finalizzati all'acquisizione dei manufatti abusivi al patrimonio, da parte dei comuni e delle regioni. Il tasso di interesse applicato ai finanziamenti è stabilito con il decreto di cui al comma 2. I finanziamenti sono restituiti sulla base di un piano di ammortamento decennale a rate annuali costanti, comprensive di quota capitale e quota interessi. I comuni beneficiari iscrivono nei rispettivi bilanci l'importo dei finanziamenti come accensione di prestiti.

  Conseguentemente, al comma 4, sostituire le parole: pari a 50 milioni di euro per l'anno 2016 con le seguenti: pari a 5 milioni di euro per l'anno 2016 e a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020.
3. 100. (da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento).
(Approvato)

  Al comma 2, sostituire la parola: sentita con la seguente: di intesa con
3. 1. Sannicandro, Daniele Farina.

A.C. 1994-A – Articolo 4

ARTICOLO 4 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 4.
(Banca di dati nazionale sull'abusivismo edilizio).

  1. Al fine di garantire la trasparenza, l'efficacia e l'efficienza dell'azione amministrativa che deve quantificare gli interventi e dell'azione giudiziaria che deve determinare le priorità nell'esecuzione delle demolizioni, gli uffici distrettuali competenti nonché le amministrazioni comunali e regionali si avvalgono della Banca di dati nazionale sull'abusivismo edilizio costituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  2. L'interoperabilità dei soggetti coinvolti e la gestione della banca di dati di cui al comma 1 e dei rilievi satellitari sono garantite dall'Agenzia per l'Italia digitale secondo quanto previsto all'articolo 20, comma 2, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che stabilisce le modalità e le procedure di omogeneizzazione e trasmissione dei dati e delle informazioni per l'acquisizione alla medesima banca di dati.
  3. Gli enti, le amministrazioni e gli organi a qualunque titolo competenti nella materia sono tenuti a condividere e trasmettere le informazioni relative agli illeciti e ai provvedimenti emessi. In caso di tardivo inserimento dei dati all'interno della banca di dati nazionale di cui al comma 1 si applica una sanzione pecuniaria pari ad euro 1.000 a carico del dirigente o funzionario inadempiente.
  4. Agli oneri di cui al presente articolo, pari a 10 milioni di euro per l'anno 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
  5. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 4 DELLA PROPOSTA DI LEGGE

ART. 4.
(Banca di dati nazionale sull'abusivismo edilizio).

  Al comma 1, sostituire le parole da: che deve quantificare fino a: determinare le con le seguenti: di repressione dell'abusivismo da parte degli enti competenti nonché dell'azione giudiziaria di determinazione delle.
4. 1. Braga, Borghi, Bergonzi, Stella Bianchi, Bratti, Carrescia, Cominelli, Covello, De Menech, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Massa, Mazzoli, Morassut, Realacci, Giovanna Sanna, Valiante, Zardini.

  Al comma 1, sostituire le parole da: che deve quantificare fino a: determinare con le seguenti: di repressione dell'abusivismo da parte degli enti competenti nonché dell'azione giudiziaria di determinazione dei.
4. 1.(Testo modificato nel corso della seduta) Braga, Borghi, Bergonzi, Stella Bianchi, Bratti, Carrescia, Cominelli, Covello, De Menech, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Massa, Mazzoli, Morassut, Realacci, Giovanna Sanna, Valiante, Zardini.
(Approvato)

  Al comma 1, sostituire le parole: le priorità con le seguenti: i criteri.
*4. 2. Malisani, Coscia, Braga, Verini.

  Al comma 1, sostituire le parole: le priorità con le seguenti: i criteri.
*4. 3. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Sarti.

  Al comma 1, sostituire le parole da: gli uffici distrettuali fino a: regionali con le seguenti: le amministrazioni statali, regionali e comunali nonché gli uffici giudiziari competenti.
4. 50. La Commissione.
(Approvato)

  Al comma 1, dopo le parole: si avvalgono aggiungere le seguenti:, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge,
4. 4. Mannino, Agostinelli.

  Al comma 1, dopo le parole: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti aggiungere le seguenti: la banca di dati nazionale di cui al periodo precedente è costituita entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
4. 4.(Testo modificato nel corso della seduta). Mannino, Agostinelli.
(Approvato)

  Al comma 2, sostituire le parole da: L'interoperabilità fino a: garantite con le seguenti: Le modalità di accesso alla banca di dati di cui al comma 1 da parte delle amministrazioni e degli uffici giudiziari competenti, di gestione della medesima e dei rilievi satellitari effettuati per monitorare il territorio a fini di contrasto dell'abusivismo edilizio sono determinate.
4. 51. La Commissione.
(Approvato)

  Al comma 3, primo periodo, sostituire le parole: nella materia con le seguenti: in materia di abusivismo edilizio.
4. 52. La Commissione.
(Approvato)

  Al comma 3, aggiungere, in fine, le parole: ed è disposto lo scioglimento del consiglio comunale ai sensi dell'articolo 141, comma 1, lettera c-bis), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
4. 5. Mannino, Agostinelli.

  Dopo il comma 3, aggiungere il seguente:
  3-bis. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sulla base delle informazioni relative agli illeciti e ai provvedimenti emessi dalle autorità competenti nonché delle informazioni contenute nella Banca di dati nazionale sull'abusivismo edilizio, presenta alle competenti Commissioni parlamentari, entro il 31 marzo di ciascun anno, una relazione sull'andamento dell'abusivismo edilizio, sulle demolizioni effettuate, sull'attuazione e l'efficacia delle norme di prevenzione e repressione come previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.
4. 6. Realacci, Borghi, Braga, Bergonzi, Stella Bianchi, Bratti, Carrescia, Cominelli, Covello, De Menech, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Massa, Mazzoli, Morassut, Giovanna Sanna, Valiante, Zardini.
(Approvato)

  Dopo il comma 3, aggiungere il seguente:
  3-bis. Entro il 31 marzo di ciascun anno, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti presenta alle Camere la relazione sullo stato dell'abusivismo edilizio e sulle demolizioni attuate. I dati a supporto di tale relazione sono resi disponibili dalla Banca di dati nazionale sull'abusivismo edilizio di cui al presente articolo.
4. 7. Mannino, Agostinelli.

  Dopo il comma 3, aggiungere il seguente:
  3-bis. Il Governo, entro il mese di aprile di ciascun anno, è tenuto a presentare alle Camere una relazione sullo stato dell'abusivismo edilizio e sulle demolizioni attuate.
4. 8. Sannicandro, Daniele Farina.

  Al comma 4, sostituire le parole da: Agli oneri fino a: 10 milioni con le seguenti: Agli oneri derivanti dalla costituzione della banca di dati nazionale di cui al presente articolo, pari a 5 milioni.
  Conseguentemente, dopo il comma 5, aggiungere il seguente:
  5-bis. Al funzionamento della banca di dati nazionale di cui al presente articolo si provvede nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
4. 100. (da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento).
(Approvato)

  Dopo l'articolo 4, aggiungere il seguente:
  Art. 5. – 1. Al fine di realizzare un'adeguata pianificazione e programmazione delle azioni da intraprendere e in considerazione delle dimensioni su scala nazionale del fenomeno dell'abusivismo edilizio e del disagio sociale ad esso connesso relativamente agli immobili utilizzati ad abitazione, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione elabora, entro il termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, linee guida a supporto dell'attività amministrativa degli enti locali in ordine ai profili di competenza degli stessi, finalizzate allo scorrimento delle graduatorie delle richieste di assegnazione di immobili di edilizia economica e popolare, che contengano indicazioni su:
   a) verifica dello stato patrimoniale dei soggetti e/o del nucleo familiare cui viene sottratto o demolito l'immobile abusivo;
   b) mappatura degli immobili della pubblica amministrazione inutilizzati da destinare a fini abitativi ai soggetti che non dispongono di altri luoghi dove poter vivere, previo pagamento di canone di affitto e corresponsione degli oneri locali;
   c) valutazione in ordine all'acquisizione di manufatti abusivi al patrimonio comunale ai sensi di quanto disposto dall'articolo 31 (L), comma 3 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica, 6 giugno 2001, n. 380, da utilizzare ai fini dello scorrimento delle graduatorie previste dalle liste di assegnazione.
4. 01. Mannino, Agostinelli.

  Dopo l'articolo 4, aggiungere il seguente:
  Art. 5. – 1. Al fine di realizzare un'adeguata prevenzione del fenomeno dell'abusivismo edilizio e del disagio sociale ad esso connesso relativamente agli immobili utilizzati ad abitazione, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione elabora, entro il termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, linee guida a supporto dell'attività amministrativa degli enti locali in ordine ai profili di competenza degli stessi, finalizzate allo scorrimento delle graduatorie delle richieste di assegnazione di immobili di edilizia economica e popolare.
4. 02. Mannino, Agostinelli.

A.C. 1994-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    la riforma oggetto del nostro vaglio conferma, per la fase dell'esecuzione delle demolizioni, l'attuale sistema che vede la doppia competenza dell'autorità giudiziaria e amministrativa;
    l'articolo 1 del provvedimento novella il decreto legislativo n. 106 del 2006, nella parte in cui prevede la riorganizzazione degli uffici del pubblico ministero, per attribuire al Procuratore della Repubblica il compito di determinare i criteri per l'esecuzione;
    nella determinazione dei criteri, il PM dovrà dare adeguata considerazione a:
     1. agli immobili di rilevante impatto ambientale o costruiti su area demaniale o su area soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico o a vincolo sismico o a vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico;
     2. agli immobili che per qualunque motivo rappresentano un pericolo per la pubblica o privata incolumità, nell'ambito del necessario coordinamento con le autorità amministrative preposte;
     3. agli immobili nella disponibilità di soggetti condannati per reati di associazione mafiosa, o commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p., o di soggetti colpiti da misure di prevenzione;
    nell'ambito di ciascuna fascia tenendo conto dei criteri sopra elencati e delle specificità del territorio di competenza, la priorità dovrebbe essere attribuita, in base ad una prassi operativa già in uso presso alcune Procure della Repubblica, agli immobili in corso di costruzione o comunque non ancora ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado e agli immobili non stabilmente abitati, ma tale interpretazione non è certa poiché nel testo non è precisato,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine d'adottare eventuali ulteriori iniziative volte a precisare se le tre fasce prioritarie, di cui in premessa, siano indicate in ordine di priorità oppure stiano tra loro sullo stesso piano.
9/1994-A/1Matarrelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno delle demolizioni conseguenti ad abusi edilizi riguarda molte regioni, in particolare la Campania dove la diffusione di manufatti abusivi ha assunto il carattere di emergenza sociale tant’è che, nell'ottobre 2013 si stimavano in circa 70.000 gli ordini di demolizione già pronunciati dall'Autorità Giudiziaria ed in circa il triplo i procedimenti in corso;
    la proposta di legge n. 1994 prevede, in relazione all'esecuzione di sentenze penali disposte ex articolo 44 TU edilizia, una serie di criteri di priorità da seguire negli ordini di demolizione delle opere abusive disposti sulla base dell'articolo 31, comma 9, TU edilizia ai quali deve attenersi il Pubblico Ministero responsabile dell'esecuzione;
    fra i criteri valutativi è prevista anche la rilevanza dell'impatto ambientale dei manufatti da demolire;
    lo smaltimento dei rifiuti da costruzione e demolizione costituisce un aspetto di rilevante impatto ambientale soprattutto nelle realtà in cui non vi sono sufficienti impianti di recupero o discariche autorizzate per rifiuti inerti;
    i quantitativi che derivano dalle esecuzioni, stante l'ampiezza del fenomeno, si prospettano quindi quanto mai significativi ed è indispensabile che anche il giudice competente sia particolarmente attento ad una corretta gestione dei rifiuti derivanti dalla demolizione susseguente all'ordine impartito;
    appare perciò opportuno che la fase di gestione dei rifiuti da demolizione successiva all'abbattimento dei manufatti abusivi sia attentamente monitorata,

impegna il Governo

a prevedere che il Ministero della Giustizia ed il Ministero dell'Ambiente coordinino la loro azione sia per il monitoraggio dell'esecuzione degli ordini di demolizione di manufatti abusivi sia, tramite gli Organi preposti al controllo ed il sistema delle Agenzie Ambientali, alla verifica della corretta gestione dei rifiuti da demolizione nonché a riferire poi, annualmente, alle competenti Commissioni parlamentari sull'esito di tale attività.
9/1994-A/2Carrescia.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 3 si prevede, tra l'altro, che: a) sia istituito presso il Ministero delle infrastrutture un fondo di rotazione, dotato di 50 milioni di euro, per integrare le risorse necessarie per le opere di demolizione dei comuni; b) con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, di concerto con i Ministri dell'ambiente e dei beni culturali, previo parere della Conferenza Unificata, siano definite le modalità di erogazione dei finanziamenti;
    l'attuazione delle disposizioni di cui al disegno di legge in epigrafe produrrà effetti rilevanti sui territori, andando a incidere su questioni rientranti negli interessi delle Autonomie locali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di tenere conto del parere espresso dalla Conferenza Unificata per la definizione delle modalità di erogazione dei finanziamenti di cui all'articolo 3 del disegno di legge in epigrafe.
9/1994-A/3Gregorio Fontana.


   La Camera,
   premesso che:
    il principio della c.d. «doppia conformità» in materia di sanatoria degli abusi edilizi ha avuto nell'articolo 13 legge 47 del 1985 il suo primo riferimento normativo, trovando ulteriore conferma nel successivo articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001, oltre che in molteplici leggi regionali (si pensi, ad esempio, all'articolo 97 della L.R. Veneto 61/1985 o all'articolo 43 della L.R. Campania n. 16/2004 poi abrogato): la ratio è quella della tutela urbanistica;
    la norma, prevedendo la posteriore sanabilità delle sole opere che, ancorché prive del titolo abilitativo od eseguite in parziale difformità dallo stesso, risultassero comunque conformi agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati sia al momento della realizzazione dell'opera sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria, ha l'obiettivo di evitare modifiche arbitrarie e opportunistiche agli strumenti urbanistici, a tutela e a salvaguardia di un più generale e pubblico interesse;
    le opere abusive realizzate per essere sanate devono risultare conformi agli strumenti urbanistici generali, «sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda» (secondo l'attuale formulazione dell'articolo 36 T.U. n. 380/2001);
    tuttavia l'articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 rappresenta l'oggetto del contrasto fra due correnti ermeneutiche in materia di sanatoria edilizia. Parte della giurisprudenza e della dottrina hanno ritenuto che la conformità andrebbe valutata esclusivamente al momento della presentazione dell'istanza, dovendosi superare la scure della «doppia conformità»;
    secondo tale tesi, conosciuta col nome di «sanatoria giurisprudenziale», sostenuta per anni anche da alcune sentenze del Consiglio di Stato, sarebbe assolutamente illogico ed irragionevole demolire un immobile, che seppur conforme al piano urbanistico attuale, risulti difforme dal piano urbanistico vigente al momento della sua realizzazione. Infatti ciò significherebbe che l'immobile, demolito in quanto non conforme al piano urbanistico vigente all'epoca della realizzazione manufatto, potrebbe essere ricostruito tale e quale a quello demolito in quanto conforme al piano urbanistico attuale;
    ciò, quindi, andrebbe a stridere con i principi di ragionevolezza e logicità che sono i cardini dell'azione amministrativa. In sostanza, secondo il giudice amministrativo la sanatoria edilizia può ben intervenire anche a seguito della conformità «sopraggiunta» di un intervento che in un primo tempo (cioè al momento della sua realizzazione) non era assentibile. (sentenza 7 maggio 2009, n. 2835 della Sez. VI del Consiglio di Stato);
    tuttavia di recente il Consiglio di Stato è ritornato sulla questione, mutando nuovamente indirizzo e rigettando in pratica la soluzione della «sanatoria giurisprudenziale». Dello stesso tenore maggior parte dei Tribunali amministrativi regionali,

impegna il Governo

a valutare, in conformità ai principi di ragionevolezza e logicità dell'azione amministrativa la possibilità di introdurre una disposizione chiarificatrice in merito all'applicazione degli articoli 36 e 37 del decreto n.380 del 2001 che consenta di evitare di dover demolire e ricostruire un edificio conforme solamente alle norme attualmente vigenti e non a quelle vigenti al momento dell'attuazione, tramutando l'obbligo di abbattere con una sanzione che preveda l'incremento del contributo di costruzione, nonché delle sanzioni previste dai medesimi articoli 36 e 37 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001.
9/1994-A/4Calabrò.


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno delle demolizioni conseguenti ad abusi edilizi rappresenta una questione molto sentita nel Sud del Paese, specialmente in Campania dove la diffusione del fenomeno dei manufatti abusivi ha assunto il carattere di emergenza sociale;
    per l'esecuzione delle demolizioni il Testo Unico in materia di edilizia (decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001) prevede la competenza sia delle autorità amministrative, che procedono con le forme del procedimento amministrativo, sia dell'autorità giudiziaria in presenza della condanna definitiva del giudice penale per i reati di abusivismo edilizio (articolo 31, comma 9, TU) ove la demolizione non sia stata àncora eseguita;
    l'attuale sistema della classificazione degli illeciti edilizi riserva all'autorità giudiziaria la titolarità dell'esecuzione delle demolizioni solo quando queste conseguano al giudicato penale;
    l'articolo 31, comma 9, del TU stabilisce che il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita;
    la presente proposta di legge, con l'intento di razionalizzare le procedure di demolizione conseguenti ad illeciti edilizi, prevede all'articolo 4 l'istituzione, presso il Ministero delle infrastrutture, di una Banca dati nazionale sull'abusivismo edilizio la cui gestione è affidata all'Agenzia per l'Italia digitale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di presentare ogni anno una relazione non solo sullo stato dell'abusivismo edilizio e sulle demolizioni effettuate, ma anche sull'eventuale riqualificazione urbanistica degli edifici abusivi non demoliti anche attivando la collaborazione istituzionale delle regioni e degli enti locali.
9/1994-A/5Marzano.


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Iniziative per garantire il buon funzionamento della pubblica amministrazione, anche attraverso la tutela e la valorizzazione dei dipendenti meritevoli – 3-02261

   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. – Per sapere – premesso che:
   una recente ricerca condotta da Eurispes e UIL-PA ha messo in luce come non sia vero che in Italia vi sia un numero troppo elevato di dipendenti pubblici, ma che, anzi, in Europa ci sono Paesi che ne hanno un numero molto più alto;
   dagli elementi raccolti nel corso della ricerca risulta che in Italia nello scorso decennio i dipendenti pubblici sono diminuiti di quasi il cinque per cento, in netta controtendenza rispetto agli altri Stati europei, dove gli addetti nel pubblico impiego sono perlopiù cresciuti, con aumenti addirittura intorno al trenta per cento in Irlanda e in Spagna, del dieci per cento in Gran Bretagna e Belgio, e quelli più contenuti comunque registrati in Germania, Francia e Paesi Bassi;
   in Italia la spesa per il pubblico impiego pesa per l'11,1 per cento del prodotto interno lordo, pari a una spesa perfettamente in linea con la media europea, e anche con riferimento al numero di impiegati della pubblica amministrazione rispetto alla popolazione, l'Italia appare essere posizionata ai posti più bassi della classifica con 58 impiegati ogni mille abitanti, vicina solo alla Germania che ne ha 54, mentre la Spagna ne ha 65, la Francia 94, il Regno Unito 92, e la Svezia addirittura 135;
   in molti Stati europei, inoltre, negli ultimi anni le retribuzioni nel comparto pubblico sono aumentate, secondo un orientamento del Governo che ha voluto privilegiare l'impulso positivo al prodotto interno lordo che attraverso tali aumenti poteva essere realizzato;
   in Italia, invece, in seguito ai blocchi retributivi e assunzionali introdotti dal 2010 in avanti, i salari sono addirittura diminuiti di un punto percentuale a causa dell'irrigidimento dei vincoli sulla contrattazione integrativa e del blocco delle progressioni economiche e di carriera e delle retribuzioni accessorie, nonché a causa della sospensione dei rinnovi contrattuali, fermi da ben sei anni;
   i casi di assenteismo nella pubblica amministrazione devono essere accertati e perseguiti con la massima severità, ma, al contempo, vanno reintrodotti meccanismi premiali per quei dipendenti che svolgono il proprio dovere con diligenza e dedizione;
   i dipendenti del comparto pubblico svolgono un servizio essenziale per la collettività ed è necessario che tale funzione sia preservata –:
   quali iniziative intenda assumere per garantire il buon funzionamento della pubblica amministrazione attraverso la tutela e la valorizzazione dei suoi dipendenti meritevoli. (3-02261)


Iniziative di competenza volte a garantire il rispetto del divieto di commercializzazione di gameti ai fini della fecondazione eterologa – 3-02262

   GIGLI e SBERNA. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   recenti fatti di cronaca, culminati con l'arresto del professor Severino Antinori e di alcuni suoi collaboratori, stanno gettando nuova, inquietante, luce sulle vicende riguardanti la donazione di ovociti a fini di fecondazione eterologa;
   secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica del 16 maggio 2016, i personaggi interessati, già ampiamente noti nel panorama italiano di quello che agli interroganti appare «far west» della procreazione medicalmente assistita, soprattutto in epoca antecedente la legge 40 del 2004, attribuiscono la condotta per la quale sono stati disposti gli arresti alla volontà «altruistica» di «aiutare le donne ad avere figli»;
   in particolare, risulta, dal citato articolo, che la signora Barbara Bella, considerata «la reclutatrice» della clinica Matris, ha riferito ai giornalisti di essersi impegnata a reclutare «donatrici di ovuli» per l'eterologa, per «spirito di solidarietà verso il prossimo, verso altre donne», che non riuscivano ad avere figli;
   ne risulta che, al di là del caso di violenza che ha condotto agli arresti, sembra esistere un largo giro per la commercializzazione di ovociti per la cui «donazione» veniva corrisposto un «rimborso economico» di 1000 euro;
   la cifra indicata è significativamente la stessa di quella che numerose cliniche spagnole, ampiamente pubblicizzate su internet, corrispondono alle cosiddette «donatrici» in cambio di prelievi di ovociti successivamente acquistati da alcune regioni italiane, tra cui il Friuli Venezia Giulia;
   come è noto, e come riportato anche dalle cronache di questi giorni, le giovani «donatrici» da sottoporre al prelievo di ovociti sono preparate da pesanti stimolazioni ormonali che possono produrre conseguenze negative per la salute, al punto tale che, stando ai racconti della stessa clinica Matris, a nessuna giovane venivano eseguiti più di due cicli di stimolazione all'anno;
   oltre ai rischi della stimolazione ormonale, vi sono evidentemente anche quelli legati all'anestesia ed all'intervento in laparoscopia, come esemplificato dallo stesso caso sopra ricordato;
   è questo il motivo a giudizio degli interroganti per il quale nessuna donna di buonsenso, a meno che non si tratti di persone legate da rapporti di parentela o di affettività molto stretti, è disponibile a sottoporsi ai cicli di stimolazione e ai prelievi, risultandone una evidente insufficienza di ovociti rispetto alla domanda interna di accesso alla fecondazione eterologa;
   a tale carenza si può rispondere incoraggiando l'adozione, anche attraverso la semplificazione delle procedure per l'adozione internazionale, oppure facendo come hanno fatto il Friuli Venezia Giulia e la Toscana, cioè ricorrendo all'acquisto all'estero di ovociti forniti da presunte «donatrici», rispetto alle quali evidentemente a giudizio degli interroganti si fa finta di credere che vi sia abbondanza all'estero, chiudendo gli occhi di fronte al mercato che anche in Spagna o nella Repubblica ceca ruota attorno alla commercializzazione di parti del corpo umano –:
   quali verifiche intenda compiere il Ministro interrogato, per quanto di sua competenza, per accertare le modalità con cui, nei Paesi con i quali sono in corso intese con le autorità sanitarie regionali, risulti possibile spacciare per «rimborsi» quelli che ad avviso degli interroganti il caso Antinori ha evidenziato essere «compensi» a donne in condizioni di bisogno, indagando, in particolare, attraverso i Nas sulla provenienza dei gameti da parte di tutte le strutture di riproduzione assistita sia pubbliche sia, soprattutto, private.
(3-02262)


Iniziative di competenza in ordine al processo di privatizzazione della Croce Rossa Italiana, anche valutando l'opportunità di procedere al suo commissariamento – 3-02263

   MONCHIERO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   domenica 15 maggio 2016 si è concluso il procedimento elettorale della Croce rossa italiana e i presidenti dei comitati di tutta Italia, ad ogni livello, hanno votato a Roma la conferma del presidente nazionale e l'elezione dei membri del consiglio direttivo;
   il presidente Francesco Rocca ha dichiarato che: «Con questo ultimo atto, abbiamo portato a termine la riforma della Croce rossa italiana: un percorso di riordino che ha messo i volontari al centro del processo decisionale, senza più alcuna ingerenza dall'esterno»;
   si tratta, a parere dell'interrogante, di un giudizio decisamente ottimistico, dal momento che, il riordino della Croce rossa italiana, avviato con il decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, è tutt'altro che concluso, anzi la riconferma del presidente suona come inaccettabile avallo di una situazione che all'opinione pubblica e agli operatori del settore appare decisamente critica;
   il presidente, infatti, è anche direttore generale dell'Istituto dermatologico italiano, che ha attraversato gravissime difficoltà e la cui gestione, decisamente impegnativa, appare ad avviso dell'interrogante di fatto incompatibile con la presidenza della Croce rossa che non può essere assimilata ad una «sine cura»;
   il processo di privatizzazione attraversa oggi, un periodo transitorio – che dovrebbe durare dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017 – nel quale opera un ente strumentale che mantiene la personalità giuridica di diritto pubblico, con la finalità di concorrere all'avviamento dell'associazione Aps nazionale Cri ed alla liquidazione della «vecchia» Croce rossa italiana ente pubblico;
   per effetto delle proroghe disposte dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e dall'articolo 7, comma 2, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», la privatizzazione dell'ente è stata rinviata con il risultato di aggravare le difficoltà economiche e di lasciare irrisolte le problematiche, numerose e complesse, relative alla gestione del personale;
   il mantenimento della «doppia natura» – ente pubblico ed associazione privata – consente alla Croce rossa italiana nel periodo transitorio, di ottenere affidamenti di servizi per poi subappaltarli alle sezioni provinciali, e le cronache hanno riferito di soluzioni piuttosto ardite nella gestione dei rapporti con il personale. Tutto ciò a scapito dell'operatività della Croce rossa italiana e della situazione lavorativa degli oltre 4.000 dipendenti a tempo indeterminato e determinato, il cui destino, a tutt'oggi, è tristemente incerto;
   a parere dell'interrogante, il presidente della Croce rossa italiana in carica dal 2013, non ha contribuito ad accelerare il processo di riordino della Croce rossa, rimasto ancora incompiuto, né a tutelare adeguatamente il personale ed il Governo dovrebbe conseguentemente intervenire, assumendo, attraverso una gestione commissariale, una più diretta responsabilità nella conduzione del processo in atto –:
   se non ritenga necessario mettere in atto tutte le iniziative di competenza volte ad accelerare o interrompere il processo di privatizzazione dell'ente, valutando, in ogni caso, l'opportunità di procedere al suo commissariamento come primo passo indispensabile per sostenere ogni ipotesi di cambiamento. (3-02263)


Elementi ed iniziative in ordine alla riforma della medicina territoriale al fine di garantire il diritto alla salute dei cittadini – 3-02264

   LENZI, CAPONE, CARNEVALI, PIAZZONI, PAOLA BOLDRINI, PICCIONE, GRASSI, AMATO, ARGENTIN, BENI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, MARIANO, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, GIUDITTA PINI, SBROLLINI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA, BINI, CAPOZZOLO e ALBANELLA. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 della legge n. 189 del 2012 e il Patto per la salute 2014-2016 propongono una configurazione strutturale dell'assistenza primaria e delle funzioni del medico in rapporto di convenzionamento con il Servizio sanitario nazionale finalizzate ad una diversa organizzazione del sistema sanitario territoriale, in un contesto di appropriatezza, qualificazione ed omogeneità dei servizi resi al cittadino, sostenibilità economica ed integrazione delle diverse attività professionali sanitarie;
   l'attuazione di tali moduli comporta la revisione e riorganizzazione dei processi assistenziali e di accesso alle prestazioni mediante il coordinamento dell'attività dei medici convenzionati e degli altri professionisti sanitari, anche con il supporto e lo sviluppo di strumenti informatici e telematici, salvaguardando la diffusione capillare degli studi medici ed il rapporto di fiducia medico-paziente in un contesto nel quale devono essere assicurati gli obiettivi di salute definiti dalla regione in coerenza con gli indicatori epidemiologici delle aziende territorialmente competenti;
   il documento integrativo dell'atto di indirizzo per la medicina convenzionata deliberato in data 12 febbraio 2014 e approvato dalle regioni il 13 aprile 2016 prevede una nuova aggregazione funzionale territoriale dei medici di cure primarie ed i pediatri di libera scelta, affinché questi «assicurino l'accessibilità di tutti gli assistiti articolando l'apertura degli studi dalle 8,00 alle 20,00, dei giorni feriali dal lunedì al venerdì. I medici di cure primarie a rapporto orario, nell'ambito dell'organizzazione distrettuale assicurano prioritariamente la loro attività tutti i giorni dalle ore 20,00 alle ore 24,00 e nei giorni di sabato e festivi dalle ore 8,00 alle ore 20,00, al fine di realizzare pienamente la continuità dell'assistenza in favore di tutta la popolazione e per garantire ai cittadini un riferimento preciso cui rivolgersi quando lo studio del proprio medico è chiuso. Nella successiva fascia oraria l'assistenza è assicurata dal servizio di emergenza urgenza-118»;
   con questa nuova organizzazione si avranno grandi gruppi di medici di famiglia che lavoreranno insieme, talvolta proprio nella stessa sede (avviene già in 800 strutture), per essere in grado di dare assistenza continua per 16 ore ai cittadini;
   nel contempo, però, la cancellazione della guardia medica notturna scarica direttamente sui pronti soccorsi e sul 118 l'assistenza sanitaria notturna che invece di occuparsi solo delle emergenze/urgenze saranno impegnati a far fronte anche a codici bianchi;
   questa nuova organizzazione pone a rischio, in particolare, l'assistenza notturna nelle zone rurali, nei piccoli comuni senza ospedali e nelle isole, dove la guardia medica rappresenta un importante presidio di sanità pubblica, attraverso il quale il cittadino può avere anche una consulenza telefonica o assistenza domiciliare direttamente con un medico;
   non tutti i sindacati medici approvano questa nuova organizzazione, asserendo che così si danneggia la qualità dell'assistenza ai cittadini e il lavoro dei medici; sostengono, altresì, l'uso improprio del 118 in quella fascia oraria che non si occuperebbe più solo dell'emergenza e urgenza, servizio che oltretutto ha organici sottodimensionati. Si tenga conto che sono circa oltre 3 milioni di interventi l'anno della guardia medica;
   secondo i sindacati medici di Cgil, Cisl e Uil «Se tale progetto dovesse essere attuato, i medici del 118 dovrebbero occuparsi anche di febbre, mal di pancia, mal di schiena, con il rischio di lasciare scoperto quel paziente a cui il 118 può salvare la vita. Inoltre per qualunque malore notturno il cittadino rischia di andare al pronto soccorso»;
   le stesse organizzazioni sindacali hanno organizzato l'11 maggio 2016, davanti alla Camera dei deputati, una manifestazione contro il «nuovo» atto d'indirizzo per il rinnovo delle convenzioni dei medici di famiglia per difendere l'assistenza notturna delle guardie mediche a tutela della salute dei cittadini –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in relazione alla nuova organizzazione delineata in premessa e quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare per garantire che questa nuova organizzazione della medicina territoriale non sia lesiva del diritto alla salute dei cittadini per quanto attiene alla assistenza notturna e come si intenda sostenere, sul piano delle risorse umane e finanziarie, i pronto soccorso e i servizi di 118 a svolgere ulteriori funzioni.
(3-02264)


Iniziative di competenza per far fronte all'ingente flusso di profughi provenienti dall'Austria, con particolare riferimento alla situazione nella città di Tarvisio, in provincia di Udine – 3-02265

   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   il flusso di profughi in arrivo dall'Austria nel tarvisiano è continuo e sempre più ingente;
   i respingimenti in Austria sono sempre più difficili ed il Friuli Venezia Giulia si ritrova in una situazione emergenziale dovuta anche ad una politica regionale che non tutela le esigenze di sicurezza e controllo;
   da inizio 2016 sono stati rintracciati provenienti dall'Austria 2.920 clandestini, più di 720 nel solo mese di aprile, già 420 nel mese di maggio 2016, di questi nei primi tre mesi dell'anno 630, cioè il 40 per cento veniva riammesso in Austria;
   il problema scaturisce anche dal fatto che chi arriva in treno dall'Austria, nella stragrande maggioranza dei casi, ottiene un riscontro negativo all'interno del registro Eurodac e appena varcato il confine si libera di qualunque prova, biglietto del treno incluso, che possa testimoniare il suo arrivo in regione da un altro Paese comunitario;
   così si verifica che i profughi arrivino in stazione a Tarvisio senza apparentemente aver attraversato almeno un altro Stato comunitario (Austria o Slovenia), dove a norma di regolamento avrebbero dovuto presentare richiesta di asilo, per cui non essendo stati «registrati» altrove è l'Italia a doversene fare carico mettendo in moto, a livello locale, il sistema di accoglienza regionale;
   un meccanismo, questo, assurdo e paradossale che continua a riversare i clandestini in Friuli Venezia Giulia, mentre l'Austria ha stretto i controlli al confine;
   si ricorda che i clandestini rintracciati giornalmente sono di media 25, con punte anche di 40, non considerando poi tutti coloro che non riescono ad essere individuati;
   tale situazione comporta anche un elevato rischio per la sicurezza, non sapendo, di fatto, chi sia presente su territorio regionale e italiano;
   è chiaro che devono essere urgentemente implementati gli organici della Polizia di Stato e dell'Esercito, per far sì che il personale del settore polizia di frontiera possa effettuare i controlli in maniera capillare –:
   se e quali urgenti iniziative di propria competenza il Governo intenda adottare per risolvere l'emergenza creatisi a Tarvisio. (3-02265)


Intendimenti del Governo in merito all'insediamento di una commissione di accesso presso il comune di Catania, ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000 – 3-02266

   FAVA, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. – Al Ministro dell'interno. –Per sapere – premesso che:
   la Commissione d'inchiesta sulla mafia dell'Assemblea regionale siciliana ha approvato una relazione su ritenute infiltrazioni mafiose nel consiglio comunale di Catania. La relazione è dunque agli atti parlamentari della XVII legislatura ed è firmata dal relatore Stefano Zito;
   la relazione documenta, tra gli altri, il caso del consigliere comunale di Forza Italia Riccardo Pellegrino, fratello di Gaetano Pellegrino, uomo di spiccato rilievo criminale all'interno del clan mafioso dei Mazzei e il caso del presidente della sesta circoscrizione Lorenzo Leone, aderente al raggruppamento «Articolo 4» nella coalizione di centrosinistra, fratello di Gaetano Leone, appartenente al gruppo di Cosa Nostra dei Santapaola e già condannato con sentenza irrevocabile per associazione mafiosa;
   dalla relazione si evince come i quartieri di massimo consenso elettorale per i due consiglieri in questione coincidano con le aree di conclamata influenza dei gruppi mafiosi a cui aderiscono i fratelli dei consiglieri (San Cristoforo per Pellegrino, Librino per Leone);
   alla luce della suddetta relazione e delle spiegazioni – a giudizio degli interroganti non adeguate alla gravità del caso – che il sindaco di Catania Enzo Bianco ha fornito sulla vicenda in occasione della sua audizione del 16 gennaio 2016 presso la Commissione d'inchiesta parlamentare antimafia, il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo ha interessato il prefetto di Catania, Maria Federico, per chiedere di valutare l'opportunità e l'urgenza di nominare una commissione di accesso al comune di Catania, ai sensi dell'articolo 143 del Testo unico sugli enti locali, in modo da verificare quali conseguenze la permanenza dei consiglieri succitati possa aver determinato sull'andamento dell'attività amministrativa e se vi sia un condizionamento mafioso di tale attività;
   la risposta pervenuta dal prefetto di Catania, due mesi dopo, si limita a riferire della convocazione di una riunione tecnica di coordinamento, convocata il 18 gennaio 2016, e di un generico monitoraggio «sulle situazioni parentali di tutti i componenti del consiglio comunale e dei consigli circoscrizionali» di Catania;
   dopo oltre quattro mesi non risulta alcun risultato del lavoro di monitoraggio predisposto da codesta prefettura, né risulta alcuna iniziativa per predisporre un accesso agli atti del comune di Catania;
   i suddetti consiglieri Pellegrino e Leone sono sempre nel pieno esercizio delle loro funzioni –:
   se il Ministro interrogato non intenda promuovere iniziative per l'esercizio dei poteri di accesso e di accertamento di cui all'articolo 143, comma 2, del Testo unico sugli enti locali attraverso la nomina di una commissione d'accesso presso il comune di Catania, posto che tali determinazioni non sono state fino ad oggi prese dal prefetto di Catania. (3-02266)


Chiarimenti in merito alla mancata adozione di un'interdittiva antimafia nei confronti della società Lande, anche alla luce di recenti indagini giudiziarie relative ad appalti pubblici – 3-02267

   LUIGI GALLO, NUTI, VACCA, BRESCIA, DI BENEDETTO, D'UVA, MARZANA, SIMONE VALENTE, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI e TONINELLI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   la società Lande, che agisce sia come società a responsabilità limitata che come società per azioni, è aggiudicataria di appalti per lavori pubblici in tutto il territorio nazionale, dal Grande progetto Pompei a Metro 4 di Milano, da Villa Adriana a Tivoli al Bosco di Capodimonte, a Porto Marghera a Venezia, in elenco non esaustivo;
   sin dall'ottobre 2015 il Gruppo MoVimento 5 stelle ha chiesto per il tramite di un'interrogazione al Ministro per i beni e delle attività culturali e del turismo chiarimenti riguardo la suddetta società, anche attraverso una verifica, «una ad una», della regolarità delle procedure di affidamento di contratti pubblici di lavori, servizi o forniture aggiudicate dalla ditta Lande sia per quanto concerne il Grande progetto Pompei che per gli altri sopra elencati;
   con riguardo al Grande progetto Pompei, si segnala che il presidente dell'ANAC, Raffaele Cantone, ebbe a dichiarare in proposito: «Conosco molto bene questo caso, ma senza un'interdittiva del prefetto non si poteva far nulla»;
   la richiesta di chiarimenti al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo è scaturita a fronte del «secondo filone» dell'inchiesta cosiddetta «Medea», partita il 20 agosto 2015 e portata avanti dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli, riguardante politici, appalti e imprese legate al clan dei Casalesi, «fazione Zagaria»;
   iscritti al registro degli indagati, tra gli altri, Marco Cascella, allora amministratore della ditta Lande, per corruzione e turbativa d'asta circa l'affidamento sospetto di alcune gare d'appalto riguardanti i beni culturali;
   sul periodico La città di Salerno, disponibile on-line, è riportata la vicenda relativa al rilascio della certificazione antimafia. In particolare, il citato articolo riporta che la prefettura di Napoli non avrebbe rilasciato la certificazione, a seguito della richiesta di «informazione antimafia» del 27 maggio 2014, avanzata dal responsabile dell'ufficio tecnico, lo stesso Di Tommaso arrestato nell'operazione. Nel silenzio della prefettura, nel termine di 45 giorni, il contratto è stato concluso in assenza di certificazione;
   ad avvalorare ulteriori legittimi sospetti il fatto che i responsabili della ditta Lande s.r.l., già nel 2011, sono stati indagati per violazione delle norme sulla sicurezza, reati ambientali, autorizzazioni mancanti, distruzione e deturpamento di bellezze naturali nell'ambito dei lavori svolti nell'oasi Ferrarelle di Riardo;
   preme agli interroganti segnalare altresì che nella risposta alla citata interrogazione, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha dichiarato di non ritenere necessaria una verifica degli affidamenti alla società Lande, in quanto avvenuti in data precedente alla conoscibilità delle indagini;
   nonostante le inchieste che la riguardano e l'hanno riguardata, la società Lande ha continuato a poter partecipare e a vedersi aggiudicare appalti pubblici –:
   se non intenda chiarire i motivi per cui non sia mai stata disposta l'interdittiva antimafia per la società Lande. (3-02267)


Iniziative di competenza volte a garantire il rispetto dei tempi del procedimento per il riconoscimento della cittadinanza italiana, anche alla luce di pronunce della giustizia amministrativa – 3-02268

   BUENO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   recentemente il Parlamento ha preso in esame la problematica relativa al riconoscimento della cittadinanza italiana, finora regolamentata dalla legge del 5 febbraio 1992, n. 91, «Nuove norme sulla cittadinanza» e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 362 del 1994 «Regolamento recante disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana»;
   il 13 ottobre 2015, la Camera dei deputati a grande maggioranza: 310 sì, 66 no e 83 astenuti ha approvato e inviato, per l'approvazione definitiva, al Senato della Repubblica una proposta di legge contenente «Nuove norme in materia riconoscimento della cittadinanza italiana»;
   ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 29 della Costituzione italiana, la cittadinanza italiana si acquista principalmente per ius sanguinis, così come stabilito dalle sentenze della Corte costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983, deve essere riconosciuto il diritto alla «status» di cittadino italiano al richiedente anche nato all'estero, ed eventualmente anche in possesso di un'altra cittadinanza, purché almeno uno dei genitori sia in possesso della cittadinanza italiana;
   oggi la procedura di riconoscimento della cittadinanza, secondo la normativa vigente si dovrebbe concludere entro 730 giorni dalla data di presentazione dei relativi documenti, invece, in media ne passano molti di più e i richiedenti, soprattutto in Brasile, sono costretti ad aspettare addirittura fino a dieci anni di attesa prima di ottenere l'esito della richiesta;
   una situazione inaccettabile che di fatto limita le opportunità di quanti potrebbero accedere a concorsi pubblici, ottenere le prestazioni assistenziali, votare alle elezioni politiche ed amministrative, viaggiare senza dover chiedere visti: in poche parole concorrere appieno alla società civile in qualità di cittadino italiano;
   per ovviare a questa vera e propria discriminazione, è stata proposta nel febbraio 2012 una vera e propria class action al tribunale amministrativo regionale del Lazio, promossa da Cgil, Inca, Federconsumatori e 109 richiedenti la cittadinanza italiana, per chiedere l'ottemperanza alle disposizioni di legge vigenti da parte delle amministrazioni statali nei procedimenti di concessione della cittadinanza italiana agli aventi diritto;
   si tratta di uno dei primi ricorsi allo strumento della azione collettiva (class action) introdotto di recente nel nostro ordinamento;
   il tribunale amministrativo regionale del Lazio (sezione II-quater) con sentenza del 26 febbraio 2014, nell'accogliere l'istanza dei richiedenti, ha intimato al Ministero dell'interno di rispettare i tempi: cioè rispettare i termini dei 730 giorni entro i quali lo Stato deve concludere la procedura di riconoscimento della cittadinanza. Nonostante ciò i tempi di attesa sono sempre di gran lunga superiori;
   la sentenza del tribunale amministrativo regionale riconosce la «violazione generalizzata dei termini di conclusione del procedimento sull'istanza di rilascio della concessione della cittadinanza italiana» e intima al Ministero dell'interno di «porre rimedio a tale situazione mediante l'adozione degli opportuni provvedimenti entro il termine di un anno»;
   questa sentenza oltre a rappresentare un passaggio importante delle legittime aspettative di quanti chiedono il riconoscimento di un proprio diritto fondamentale come quello della cittadinanza, indica soluzioni idonee ad ottemperare, nei tempi prestabiliti, nella conclusione dell’iter di richiesta di cittadinanza come: modalità di utilizzo delle risorse economiche (200 euro per ogni richiedente, spesso anche fino a 300), eliminazione di prassi burocratiche che impongono la presentazione di documentazione inutile o addirittura la ripresentazione di certificati che, a causa dei ritardi e delle responsabilità degli enti coinvolti, nel frattempo scadono. In molti casi basterebbe la digitalizzazione delle informazioni amministrative e il collegamento in rete dei diversi uffici preposti all'iter per il rilascio della cittadinanza;
   visti gli ingiustificati ritardi nell'esame delle istanze per il rilascio della cittadinanza, in Brasile, agli aventi diritto – figli di cittadini italiani – è stata costituita una associazione che ha già mobilitato migliaia di cittadini, i quali, attraverso una petizione al consolato Italiano chiedono al Governo Italiano il rispetto dei tempi previsti dalla legge n. 91 del 1992 –:
   se il Ministro dell'interno sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quali siano i suoi orientamenti e quali iniziative urgenti intenda adottare per far sì che gli uffici ministeriali ottemperino alla sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per quanto riguarda il rispetto dei tempi, sia per lo snellimento burocratico dell’iter di riconoscimento della cittadinanza italiana. (3-02268)


Interventi per il contrasto della criminalità e per la tutela dell'ordine pubblico a Napoli – 3-02269

   RUSSO, CARFAGNA, SARRO, CASTIELLO e LUIGI CESARO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane una lunga sequenza di violenza e morte è tornata ad attanagliare in una morsa i cittadini di Napoli e della sua provincia;
   nel territorio sono sempre più frequenti gli episodi di violenza e di recrudescenza della criminalità, anche legati alle faide interne che in questo momento caratterizzano le azioni criminali: è in atto una vera e propria guerra tra bande, pronte a tutto per il controllo delle attività illecite, a partire dallo spaccio della droga;
   basta scorrere i fatti di cronaca per comprendere la recrudescenza della violenza di stampo camorristico che attacca il territorio napoletano, che solo nelle ultime due settimane ha visto mettere in atto diverse crudeli esecuzioni: l'11 maggio 2016 è stato ucciso Stefano Adamo, 42 anni, precedenti penali per associazione per delinquere di stampo camorristico ed altri reati come lo spaccio di droga. L'omicidio è avvenuto a Soccavo, alla periferia occidentale di Napoli;
   il 7 maggio 2016 addirittura un duplice omicidio: padre e figlio, trucidati in un'autofficina di Marano, in provincia di Napoli;
   il 5 maggio 2016 è morta Giovanna Arrivoli, 41 anni, trovata senza vita, semisepolta, a Melito. Sembra sia stata torturata prima di essere uccisa con tre colpi di pistola;
   il fenomeno criminale è a dir poco inquietante, e crea panico negli abitanti dello sterminato territorio dove la camorra colpisce senza freno e dimostra la propria forza con azioni dimostrative addirittura nei confronti dello Stato. Destano preoccupazione le caserme dei carabinieri, come quella di Secondigliano, prese di mira dalle bande, e i progetti mortali disegnati per far fuori fior di magistrati che ogni giorno combattono il crimine e le sue spietate leggi. La stessa minaccia che arriva dalle baby gang ormai soggiogate da modelli negativi, ai quali non si riesce a contrapporre alcuna alternativa, rappresenta l'ultima chiamata rispetto alla necessità di ripristinare il valore della legalità in un territorio ad alto rischio;
   nel mese di febbraio 2016 il Ministro interrogato aveva annunciato l'invio a Napoli di 250 militari impegnati nell'operazione di controllo del territorio: «un'unità di rinforzo» – aveva spiegato il ministro – per rappresentare «con più forza il presidio di legalità» ad ogni modo, i dati e le cronache mostrano che questa operazione non ha avuto i risultati sperati;
   il rischio è che non si sia ancora giunti all'apice di questo inasprimento di atti criminali e che nelle prossime settimane possano esserci altri casi del genere –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda mettere in campo per garantire una risposta concreta alla domanda di sicurezza e ordine che giunge da parte dei cittadini, ed evitare che nelle prossime settimane, nei prossimi mesi e nel lungo periodo Napoli resti oggetto di continua violenza da parte della criminalità organizzata. (3-02269)


Orientamenti del Governo circa la possibilità di consolidare il ricorso all'azione coordinata tra le Forze di polizia e le Forze armate, così come per l'operazione denominata «Strade Sicure» – 3-02270

   BOSCO, MISURACA, PICCONE e GAROFALO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   l'operazione «Strade Sicure» è iniziata il 4 agosto 2008, in attuazione del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, che ha autorizzato, per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, l'impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate, con la qualifica di agente di pubblica sicurezza, posto a disposizione dei prefetti delle province;
   il personale delle Forze armate è stato impiegato per condurre attività di vigilanza esterna ai centri di accoglienza ed a obiettivi sensibili e di pattugliamento e perlustrazione, in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia;
   con il decreto interministeriale del 27 febbraio 2015, il contingente è stato incrementato a 4.800 unità poi successivamente aumentate. Con il decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2015, al fine di rispondere alle esigenze di sicurezza connesse allo svolgimento del Giubileo straordinario, è stato incrementato di ulteriori 1.500 unità a partire dal 16 novembre 2015 e fino al 30 giugno 2016;
   da ultimo, la legge n. 208 del 28 dicembre 2015 ha prorogato, fino al 31 dicembre 2016, l'impiego di un contingente di 4.800 unità delle Forze armate;
   l'operazione ha dato importanti risultati per il controllo capillare del territorio ed ha effettuato, con la consueta professionalità delle nostre Forze armate, importanti azioni di prevenzione per il contrasto alla criminalità;
   è, quindi, fondamentale che, anche dopo la proroga al 31 dicembre 2016, prosegua questa azione coordinata tra le Forze armate e le Forze di polizia per tutelare i cittadini del nostro Paese –:
   se, in relazione ai risultati raggiunti, prorogata l'azione coordinata tra le Forze armate e le Forze di polizia denominata «Strade Sicure», non ritenga opportuno stabilizzare il concorso di Forze armate e Forze di polizia rispetto agli obiettivi sensibili per rendere ancora più efficace l'opera di prevenzione della criminalità e del terrorismo. (3-02270)


DISEGNO DI LEGGE: RATIFICA ED ESECUZIONE DELL'ACCORDO ISTITUTIVO DELLA BANCA ASIATICA PER GLI INVESTIMENTI IN INFRASTRUTTURE, CON ALLEGATI, FATTO A PECHINO IL 29 GIUGNO 2015 (A.C. 3642-A)

A.C. 3642-A – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

sugli emendamento contenuti nel fascicolo n. 1.

A.C. 3642-A – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO E SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

  Sul testo del provvedimento in oggetto:

PARERE FAVOREVOLE

  Sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:

PARERE CONTRARIO

sugli emendamenti 3.1 e 4.1, in quanto suscettibili di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica privi di idonea quantificazione e copertura;

NULLA OSTA

sulle restanti proposte emendative;

A.C. 3642-A – Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).

  1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'Accordo istitutivo della Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture, con Allegati, fatto a Pechino il 29 giugno 2015.

A.C. 3642-A – Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 2.
(Ordine di esecuzione).

  1. Piena ed intera esecuzione è data all'Accordo di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 59 dell'Accordo stesso.

A.C. 3642-A – Articolo 3

ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 3.
(Quota di partecipazione).

  1. La quota di partecipazione italiana al capitale è fissata in 2.571.800.000 dollari statunitensi, di cui l'80 per cento costituisce capitale a chiamata e il 20 per cento costituisce capitale da versare.
  2. La Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture, per tutto quanto attiene all'attuazione dell'Accordo di cui all'articolo 1, comunica con il Ministero dell'economia e delle finanze, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 33, paragrafo 1, dell'Accordo medesimo.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 3.
(Quota di partecipazione).

  Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
  2-bis. Ai sensi dell'articolo 58 (1) dell'Accordo istitutivo di cui all'articolo 1, i pertinenti strumenti di ratifica, accettazione o approvazione verranno depositati il 31 dicembre 2016.

  Conseguentemente, all'articolo 4, comma 1, dopo le parole: Al relativo onere si provvede aggiungere le seguenti:, a decorrere dal 31 dicembre 2016.
3. 1. Sibilia, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Scagliusi, Del Grosso, Grande.
(Inammissibile)

  Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
  2-bis. Ai sensi dell'articolo 58 (1) dell'Accordo istitutivo di cui all'articolo 1, i pertinenti strumenti di ratifica, accettazione o approvazione verranno depositati il 31 dicembre 2016.
3. 2. Sibilia, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Scagliusi, Del Grosso, Grande.
(Inammissibile)

  Dopo l'articolo 3, aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Obbligo di relazione al Parlamento).

  1. Il Ministero dell'economia e delle finanze, entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, e successivamente con cadenza almeno annuale, è tenuto a relazionare al Parlamento:
   a) sulla sostenibilità della quota di partecipazione italiana al capitale della Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture;
   b) sulla destinazione dei fondi per la realizzazione di progetti infrastrutturali e di altri settori produttivi, sul loro stato di avanzamento e sulla sostenibilità ambientale;
   c) sulla ricaduta economica per le imprese italiane coinvolte, soprattutto di piccola e media dimensione, in termini di opportunità di diversificazione internazionale dell'offerta e di qualità e quantità di penetrazione sui mercati dell'area asiatica;
   d) sull'impatto dell'azione della banca di cui all'articolo 1 in favore dello sviluppo delle infrastrutture in ambito locale e globale e della crescita economica nei Paesi di operatività.

  2. Il rappresentante italiano nel board dell'istituzione di cui all'Accordo istitutivo può riferire alle Commissioni parlamentari competenti in ordine ai profili di cui al comma 1, lettera a).
3. 01. Sibilia, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Scagliusi, Del Grosso, Grande.

A.C. 3642-A – Articolo 4

ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 4.
(Copertura finanziaria).

  1. L'onere derivante dall'attuazione della presente legge è valutato in 206 milioni di euro per l'anno 2016 e in 103 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2019. Al relativo onere si provvede:
   a) per gli importi di 206 milioni di euro per l'anno 2016, di 103 milioni di euro per l'anno 2017 e di 43 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019, mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato delle disponibilità giacenti sul conto corrente di tesoreria di cui all'articolo 7, comma 2-bis, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, e successiva riassegnazione al pertinente capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze;
   b) per l'importo di 60 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per l'anno 2018, dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

  2. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui al comma 1 del presente articolo. Nel caso si verifichino, per effetto del peggioramento del tasso di cambio, scostamenti rispetto alle previsioni di cui al medesimo comma, sono versate in entrata al bilancio dello Stato ulteriori somme dalle disponibilità giacenti sul conto corrente di tesoreria di cui all'articolo 7, comma 2-bis, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, che sono successivamente riassegnate al pertinente capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze.
  3. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 4.
(Copertura finanziaria).

  Al comma 1, alinea, dopo le parole: Al relativo onere si provvede aggiungere le seguenti:, a decorrere dal 31 dicembre 2016.
4. 1. Sibilia, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Scagliusi, Del Grosso, Grande.

  Dopo il comma 3, aggiungere i seguenti:
  3-bis. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio delle attività della Banca relazionando ogni sei mesi al Parlamento sull'impatto delle attività della Banca sulle piccole e medie imprese italiane e sul benessere sociale e ambientale dei cittadini italiani.
  3-ter. Il Ministro dell'economia e delle finanze, nel caso in cui il Parlamento, con un proprio atto di indirizzo, esprima un orientamento negativo sulla relazione di cui al comma 3-bis, provvede a inviare la notifica scritta di recesso, di cui all'articolo 37, comma 1, dell'Accordo, presso la sede principale della Banca.
4. 4. Sibilia, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Scagliusi, Del Grosso, Grande.

A.C. 3642-A – Articolo 5

ARTICOLO 5 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 5.
(Entrata in vigore).

  1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

A.C. 3642-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    le prospettive di successo della Banca asiatica per gli investimenti infrastrutturali sembrano elevate, in ragione dell'appartenenza al capitale della Banca di numerosi Paesi europei, che hanno autonomamente deciso di aggregarsi all'iniziativa cinese;
    il mandato della Banca consiste nella promozione dello sviluppo economico sostenibile in Asia mediante l'investimento infrastrutturale, soprattutto nei settori dell'energia, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle infrastrutture rurali, dello sviluppo e della logistica urbana;
    tra gli obiettivi di medio e lungo periodo si segnala la creazione di opportunità per l'internazionalizzazione delle imprese italiane;
    l'Italia partecipa alla Banca con 2,571 miliardi di dollari, un quinto dei quali da versare, per un importo di 514,36 milioni di dollari, che andranno corrisposti in cinque rate annuali dello stesso ammontare,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di presentare, entro due anni dall'entrata in vigore della presente legge, una relazione non solo sul contributo della Banca allo sviluppo delle infrastrutture in ambito locale e globale e alla crescita economica dell'area di interesse, ma anche sulla ricaduta economica per le imprese italiane.
9/3642-A/1Marzano.


   La Camera,
   premesso che:
    la Banca asiatica, di cui all'Accordo istitutivo in titolo, ha come scopo quello di promuovere lo sviluppo economico sostenibile delle regioni geografiche classificate dalle Nazioni Unite come Asia e Oceania attraverso l'investimento in infrastrutture e in altri settori produttivi;
    pur trattandosi di un provvedimento di grande importanza, sia sul piano economico sia su quello politico, un Accordo che potrebbe anche qualificarsi come epocale dal punto di vista dello scenario politico in quanto modificherebbe notevolmente l'assetto finanziario globale creando di fatto una struttura alternativa al modello «atlantico», imperniato su istituzioni quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, tuttavia vi si evidenziano alcuni aspetti problematici, come riscontrabile anche nell'Analisi di impatto sulla regolamentazione allegata al testo;
    uno di questi aspetti è riferibile alla Sezione IV della stessa (Opzioni alternative all'intervento regolatorio) laddove si riferisce testuale: «Per le specifiche finalità dell'intervento, a livello internazionale, non sono state ravvisate scelte alternative, né era possibile negoziare un testo sostanzialmente diverso da quello concordato.»; considerazione questa che sembra evidenziare il rischio di una riduzione della sovranità nazionale;
    inoltre, non appaiono chiare alcune questioni rilevanti quali: in che modo verranno impiegati tali fondi pubblici, considerate le opzioni prospettate, per evitare che essi possano favorire solo alcune grandi multinazionali straniere o progetti che implichino lo sfruttamento dei combustibili fossili a discapito delle energie rinnovabili; chi valuterà i prestiti per ciascun progetto e sugli standard che verranno applicati, soprattutto per quanto riguarda i diritti dai lavoratori e dell'ambiente;
    appare senza dubbio stigmatizzabile la mancata previsione di meccanismi periodici di revisione dell'Accordo, come evidenziato anche dalla lettera D) della sezione VII dell'AIR;
    il notevole esborso relativo alla prima tranche (pari al 20 per cento dei previsti 2 miliardi e 571.800 di dollari americani) avrebbe potuto essere utilizzato per la creazione di condizioni di favore per le piccole e medie imprese italiane operanti nei mercati asiatici,

impegna il Governo

a vigilare sulla destinazione dei citati fondi e a informare il Parlamento su come essi verranno impiegati, a favore di quali imprese, auspicando possano essere soprattutto piccole e medie imprese italiane impegnate in progetti alternativi allo sfruttamento dei combustibili fossili, e sulla ricaduta economica di cui le stesse beneficeranno.
9/3642-A/2Del Grosso, Grande, Sibilia, Manlio Di Stefano, Spadoni, Di Battista, Scagliusi.


   La Camera,
   premesso che:
    la Banca asiatica, di cui all'Accordo istitutivo in titolo, ha come scopo quello di promuovere lo sviluppo economico sostenibile delle regioni geografiche classificate dalle Nazioni Unite come Asia e Oceania attraverso l'investimento in infrastrutture e in altri settori produttivi;
    pur trattandosi di un provvedimento di grande importanza, sia sul piano economico sia su quello politico, un Accordo che potrebbe anche qualificarsi come epocale dal punto di vista dello scenario politico in quanto modificherebbe notevolmente l'assetto finanziario globale creando di fatto una struttura alternativa al modello «atlantico», imperniato su istituzioni quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, tuttavia vi si evidenziano alcuni aspetti problematici, come riscontrabile anche nell'Analisi di impatto sulla regolamentazione allegata al testo;
    uno di questi aspetti è riferibile alla Sezione IV della stessa (Opzioni alternative all'intervento regolatorio) laddove si riferisce testuale: «Per le specifiche finalità dell'intervento, a livello internazionale, non sono state ravvisate scelte alternative, né era possibile negoziare un testo sostanzialmente diverso da quello concordato.»; considerazione questa che sembra evidenziare il rischio di una riduzione della sovranità nazionale;
    inoltre, non appaiono chiare alcune questioni rilevanti quali: in che modo verranno impiegati tali fondi pubblici, considerate le opzioni prospettate, per evitare che essi possano favorire solo alcune grandi multinazionali straniere o progetti che implichino lo sfruttamento dei combustibili fossili a discapito delle energie rinnovabili; chi valuterà i prestiti per ciascun progetto e sugli standard che verranno applicati, soprattutto per quanto riguarda i diritti dai lavoratori e dell'ambiente;
    appare senza dubbio stigmatizzabile la mancata previsione di meccanismi periodici di revisione dell'Accordo, come evidenziato anche dalla lettera D) della sezione VII dell'AIR;
    il notevole esborso relativo alla prima tranche (pari al 20 per cento dei previsti 2 miliardi e 571.800 di dollari americani) avrebbe potuto essere utilizzato per la creazione di condizioni di favore per le piccole e medie imprese italiane operanti nei mercati asiatici,

impegna il Governo

a vigilare sulla destinazione dei citati fondi e a informare il Parlamento su come essi verranno impiegati.
9/3642-A/2. (Testo modificato nel corso della seduta) Del Grosso, Grande, Sibilia, Manlio Di Stefano, Spadoni, Di Battista, Scagliusi.


   La Camera,
   premesso che:
    la Banca asiatica, di cui all'Accordo istitutivo in titolo, ha come scopo quello di promuovere lo sviluppo economico sostenibile delle regioni geografiche classificate dalle Nazioni Unite come Asia e Oceania attraverso l'investimento in infrastrutture e in altri settori produttivi;
    pur trattandosi di un provvedimento di grande importanza, sia sul piano economico sia su quello politico, un Accordo che potrebbe anche qualificarsi come epocale dal punto di vista dello scenario politico in quanto modificherebbe notevolmente l'assetto finanziario globale creando di fatto una struttura alternativa al modello «atlantico», imperniato su istituzioni quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, tuttavia vi si evidenziano alcuni aspetti problematici, come riscontrabile anche nell'Analisi di impatto sulla regolamentazione allegata al testo;
    uno di questi aspetti è riferibile alla Sezione IV della stessa (Opzioni alternative all'intervento regolatorio) laddove si riferisce testuale: «Per le specifiche finalità dell'intervento, a livello internazionale, non sono state ravvisate scelte alternative, né era possibile negoziare un testo sostanzialmente diverso da quello concordato.»; considerazione questa che sembra evidenziare il rischio di una riduzione della sovranità nazionale;
    senza dubbio stigmatizzabile è anche la mancata previsione di meccanismi periodici di revisione dell'Accordo, come evidenziato anche della lettera D) della sezione VII dell'AIR;
    come si evince dalla relazione tecnica, ai sensi dell'articolo 6 dell'Accordo in titolo, il regolamento della prima rata della quota di partecipazione può essere perfezionato nel termine più favorevole tra due possibili scadenze: entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore dell'Accordo, oppure precedentemente o alla data del deposito dello strumento di ratifica che deve avvenire entro il 31 dicembre 2016,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di procedere al deposito dello strumento di ratifica al 31 dicembre 2016 in modo da considerare come termine più favorevole per il perfezionamento della prima quota di partecipazione, previsto dall'articolo 6 dell'Accordo istitutivo, l'ultima data utile così come previsto dall'articolo 58, paragrafo 1, e cioè la medesima data del 31 dicembre 2016.
9/3642-A/3Sibilia, Grande, Del Grosso, Manlio Di Stefano, Spadoni, Di Battista, Scagliusi.


   La Camera,
   premesso che:
    la Banca asiatica, di cui all'Accordo istitutivo in titolo, ha come scopo quello di promuovere lo sviluppo economico sostenibile delle regioni geografiche classificate dalle Nazioni Unite come Asia e Oceania attraverso l'investimento in infrastrutture e in altri settori produttivi;
    pur trattandosi di un provvedimento di grande importanza, sia sul piano economico sia su quello politico, un Accordo che potrebbe anche qualificarsi come epocale dal punto di vista dello scenario politico in quanto modificherebbe notevolmente l'assetto finanziario globale creando di fatto una struttura alternativa al modello «atlantico», imperniato su istituzioni quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, tuttavia vi si evidenziano alcuni aspetti problematici, come riscontrabile anche nell'Analisi di impatto sulla regolamentazione allegata al testo;
    uno di questi aspetti è riferibile alla Sezione IV della stessa (Opzioni alternative all'intervento regolatorio) laddove si riferisce testuale: «Per le specifiche finalità dell'intervento, a livello internazionale, non sono state ravvisate scelte alternative, né era possibile negoziare un testo sostanzialmente diverso da quello concordato.»; considerazione questa che sembra evidenziare il rischio di una riduzione della sovranità nazionale;
    non appaiono chiare alcune questioni rilevanti quali: in che modo verranno impiegati tali fondi pubblici, considerate le opzioni prospettate, per evitare che essi possano favorire solo alcune grandi multinazionali straniere o progetti che implichino lo sfruttamento dei combustibili fossili a discapito delle energie rinnovabili; chi valuterà i prestiti per ciascun progetto e sugli standard che verranno applicati, soprattutto per quanto riguarda i diritti dai lavoratori e dell'ambiente;
    senza dubbio stigmatizzabile è anche la mancata previsione di meccanismi periodici di revisione dell'Accordo, come evidenziato anche della lettera D) della sezione VII dell'AIR,

impegna il Governo

a sostenere, nell'ambito della partecipazione alle decisioni sulle principali politiche operative e finanziarie della Banca in titolo, il finanziamento di progetti che privilegino l'utilizzo di fonti di energia rinnovabili, la riduzione dell'impatto antropico nella compromissione delle matrici naturali, nell'ottica del perseguimento delle finalità sottese al modello della circular economy.
9/3642-A/4Grande, Sibilia, Del Grosso, Manlio Di Stefano, Spadoni, Di Battista, Scagliusi.


   La Camera,
   premesso che:
    la Banca asiatica, di cui all'Accordo istitutivo in titolo, ha come scopo quello di promuovere lo sviluppo economico sostenibile delle regioni geografiche classificate dalle Nazioni Unite come Asia e Oceania attraverso l'investimento in infrastrutture e in altri settori produttivi;
    pur trattandosi di un provvedimento di grande importanza, sia sul piano economico sia su quello politico, un Accordo che potrebbe anche qualificarsi come epocale dal punto di vista dello scenario politico in quanto modificherebbe notevolmente l'assetto finanziario globale creando di fatto una struttura alternativa al modello «atlantico», imperniato su istituzioni quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, tuttavia vi si evidenziano alcuni aspetti problematici, come riscontrabile anche nell'Analisi di impatto sulla regolamentazione allegata al testo;
    uno di questi aspetti è riferibile alla Sezione IV della stessa (Opzioni alternative all'intervento regolatorio) laddove si riferisce testuale: «Per le specifiche finalità dell'intervento, a livello internazionale, non sono state ravvisate scelte alternative, né era possibile negoziare un testo sostanzialmente diverso da quello concordato.»; considerazione questa che sembra evidenziare il rischio di una riduzione della sovranità nazionale;
    non appaiono chiare alcune questioni rilevanti quali: in che modo verranno impiegati tali fondi pubblici, considerate le opzioni prospettate, per evitare che essi possano favorire solo alcune grandi multinazionali straniere o progetti che implichino lo sfruttamento dei combustibili fossili a discapito delle energie rinnovabili; chi valuterà i prestiti per ciascun progetto e sugli standard che verranno applicati, soprattutto per quanto riguarda i diritti dai lavoratori e dell'ambiente;
    senza dubbio stigmatizzabile è anche la mancata previsione di meccanismi periodici di revisione dell'Accordo, come evidenziato anche della lettera D) della sezione VII dell'AIR,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di sostenere, ove possibile, nell'ambito della partecipazione alle decisioni sulle principali politiche operative e finanziarie della Banca in titolo, il finanziamento di progetti che privilegino l'utilizzo di fonti di energia rinnovabili, la riduzione dell'impatto antropico nella compromissione delle matrici naturali, nell'ottica del perseguimento delle finalità sottese al modello della circular economy.
9/3642-A/4. (Testo modificato nel corso della seduta)  Grande, Sibilia, Del Grosso, Manlio Di Stefano, Spadoni, Di Battista, Scagliusi.


   La Camera,
   premesso che:
    secondo quanto si apprende dalla letteratura in materia, la Banca Asiatica d'Investimento per le Infrastrutture (AIIB – Asian Infrastructure Investment Bank) nasce, su iniziativa della Repubblica Popolare Cinese, nel 2014 allo scopo di fornire e sviluppare progetti infrastrutturali nella regione dell'Asia Pacifica, mediante la promozione dello sviluppo economico-sociale della regione e contribuendo alla sua crescita mondiale;
    sempre in base alla letteratura già esistente in materia, la nascita della AIIB è destinata a svolgere un ruolo fondamentale sulla scena globale, in rapporto dialettico con altre grandi istituzioni finanziarie internazionali, come le cosiddette istituzioni di Bretton Woods (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale);
    l'adesione dell'Italia all'AIIB rappresenta un'importante e positiva occasione per il nostro Paese, a parere di gran parte degli esperti che si sono occupati della questione;
    tale adesione, tuttavia, va attentamente monitorata nei suoi sviluppi, per i riflessi che essa può avere sulle finanze interne e, dunque, sull'intera nazione;
    il ruolo dei Parlamenti nazionali, secondo autorevole dottrina, rappresenta un necessario ed efficace contrappeso rispetto alle insidie presenti nei processi di globalizzazione economica, pur ricchi di prospettive e di opportunità di sviluppo e di cooperazione;
    in base al comma 2 dell'articolo 4 del disegno di legge di ratifica in epigrafe, il Ministro dell'economia e delle finanze, secondo quanto previsto dalla legge di contabilità generale dello Stato (articolo 17, comma 12, legge n. 196 del 2009), è tenuto al monitoraggio degli oneri derivanti dall'attuazione del provvedimento e, in caso di scostamenti derivanti da fluttuazioni dei tassi di cambio del dollaro USA, provvede alla copertura finanziaria dell'eventuale maggior onere versando all'entrata del bilancio dello Stato ulteriori somme dalle disponibilità giacenti sul conto corrente di tesoreria individuato per la copertura fino al 2018-19, per la successiva riassegnazione al pertinente capitolo di spesa del Ministero;
    sempre in base al citato comma 12 dell'articolo 17 della legge n. 196 del 2009, nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni indicate dalle leggi al fine della copertura finanziaria, «sulla base di apposito monitoraggio, il Ministro dell'economia e delle finanze adotta, sentito il Ministro competente, le misure indicate nella clausola di salvaguardia e riferisce alle Camere con apposita relazione»,

impegna il Governo

ove si trovasse in possesso di elementi tali da far ritenere di essere prossimi a fluttuazioni dei tassi di cambio del dollaro USA, suscettibili di provocare una sensibile alterazione degli oneri connessi all'attuazione dell'Accordo di cui al disegno di legge di ratifica in epigrafe, a valutare l'opportunità di comunicare detti dati tempestivamente al Parlamento, perché possa prenderne visione e fare ogni opportuna valutazione di propria competenza.
9/3642-A/5Gregorio Fontana.