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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Sabato 19 dicembre 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 19 dicembre 2015.

  Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bonifazi, Michele Bordo, Brambilla, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Crippa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Menech, Dellai, Di Gioia, Epifani, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Garofani, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Gozi, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Manciulli, Mazziotti Di Celso, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Schullian, Scotto, Sereni, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Adornato, Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bonifazi, Michele Bordo, Brambilla, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Crippa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Menech, Dellai, Di Gioia, Epifani, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Garofani, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Gozi, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Manciulli, Mazziotti Di Celso, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Zanetti.

(Alla ripresa notturna della seduta).

  Adornato, Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Brambilla, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Crippa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Garofani, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mazziotti Di Celso, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 18 dicembre 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   CATANIA e GALLINELLA: «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all'articolo 145 del codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e altre disposizioni per il contrasto della contraffazione» (3502);
   CRIVELLARI: «Modifiche al codice della navigazione e altre disposizioni per lo sviluppo della rete delle vie navigabili interne e l'istituzione del sistema dei servizi di informazione fluviale» (3503).

  Saranno stampate e distribuite.

Trasmissioni dal Senato.

  In data 18 dicembre 2015 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza la seguente proposta di legge:
   S. 998. – Senatori TAVERNA ed altri: «Disposizioni in materia di accertamenti diagnostici neonatali obbligatori per la prevenzione e la cura delle malattie metaboliche ereditarie» (approvata dalla 12a Commissione permanente del Senato) (3504).

  Sarà stampata e distribuita.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B  al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

  Sono pervenute alla Presidenza dai competenti Ministeri risposte scritte ad interrogazioni. Sono pubblicate nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 2111 – DISPOSIZIONI PER LA FORMAZIONE DEL BILANCIO ANNUALE E PLURIENNALE DELLO STATO (LEGGE DI STABILITÀ 2016) (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 3444-A)

A.C. 3444-A – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

  sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 2, nonché sugli emendamenti 1.4500 e 1.5000 della Commissione e sul subemendamento 0.1.53.100.

A.C. 3444-A – Proposte emendative

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO UNICO DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 1.

  Al comma 52-quaterdecies, primo periodo, sostituire le parole: 31 marzo 2016 con le seguenti: 30 aprile 2016.
1. 4000. Governo.
(Approvato)

  Al comma 52-quaterdecies aggiungere, in fine, i seguenti periodi:
  Per l'anno 2016, per le assunzioni di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia lo sgravio di cui al comma 83 è elevato fino a concorrenza dell'esonero completo di contributi e nel limite massimo di 8.060 euro su base annua, per un periodo massimo di 12 mesi. L'INPS, con propria circolare, da emanarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, definisce le modalità operative di applicazione della misura di cui al periodo precedente. L'agevolazione rispetta i requisiti previsti dal Regolamento (UE) 651/2014 che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune in applicazione degli articoli 107 del TFUE.

  Conseguentemente, dopo il comma 52-quaterdecies aggiungere il seguente:
  52-quaterdecies. 1. All'integrazione dell'esonero di cui al comma 83, disposta dal comma 52-quaterdecies, secondo periodo, pari a 300 milioni di euro per il 2016, 610 milioni di euro per il 2017, 840 milioni di euro per il 2018 e 1.200 milioni a decorrere dal 2019, si provvede a valere delle maggiori risorse derivanti da interventi di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica. Entro la data del 15 luglio 2016, mediante interventi di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica, sono approvati provvedimenti regolamentari e amministrativi normativi che assicurano minori spese pari a 300 milioni di euro per l'anno 2016. Entro la data del 15 gennaio 2017, sempre mediante interventi di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica, sono approvati provvedimenti normativi che assicurano 610 milioni di euro per l'anno 2017, 840 milioni di euro per l'anno 2018 e 1.200 milioni a decorrere dall'anno 2019. Qualora le misure previste dal comma precedente non siano adottate o siano adottate per importi inferiori a quelli indicati, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro il 15 luglio 2016 per la previsione relativa a quell'anno ed entro il 15 gennaio 2017 per la seconda, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, sono disposte variazioni delle aliquote di imposta e riduzioni della misura delle agevolazioni e delle detrazioni vigenti tali da assicurare maggiori entrate pari agli importi di cui al periodo precedente.
1. 25. (ex 0. 1. 7. 39. 58.) Prestigiacomo, Occhiuto, Russo, Carfagna, Brunetta, Alberto Giorgetti, Milanato, De Girolamo, Nizzi, Sandra Savino, Giacomoni.

  Dopo il comma 55 aggiungere il seguente:
  55. 1. Qualora risulti che nell'anno precedente il contribuente che applica il regime forfetario abbia conseguito ricavi o compensi non superiori a 10.000 euro rispetto al valore soglia dei ricavi/compensi stabilito per ciascun gruppo di settore nell'allegato 4, annesso alla legge 23 dicembre 2014, n. 190, il contribuente può avvalersi, per una sola annualità, in alternativa all'uscita dal regime, della possibilità che sull'ammontare superiore al valore soglia suddetto sia applicata l'aliquota del 27 per cento. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze i regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale di cui all'allegato A della nota integrativa al bilancio di previsione relativa alla Tabella 1 dello Stato di previsione delle entrate prevista ai sensi dell'articolo 21, comma 11, lettera a), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, che appaiono, in tutto o in parte, ingiustificati o superati alla luce delle mutate esigenze sociali o economiche ovvero che costituiscono una duplicazione, sono modificati, soppressi o ridotti, a decorrere dall'anno 2016 al fine di assicurare maggiori entrate pari a 10 milioni di euro, a copertura degli oneri derivanti dal comma 55-bis. Nei casi in cui la disposizione del primo periodo del presente comma non sia suscettibile di diretta e immediata applicazione, con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità tecniche per l'attuazione del presente comma con riferimento ai singoli regimi interessati.
1. 114. (ex 1. 8. 8.) Mucci, Barbanti, Prodani, Rizzetto.

  Al comma 59, sostituire le parole: all'articolo 47 con le seguenti: ai commi 1, secondo periodo e da 5 a 8 dell'articolo 47.
1. 4001. Governo.
(Approvato)

  Dopo il comma 68-sexies aggiungere il seguente:
  68-septies. All'articolo 63 della legge 21 novembre 2000, n. 342 sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. I veicoli ed i motoveicoli, esclusi quelli adibiti ad uso professionale, a decorrere dall'anno in cui si compie il trentesimo anno dalla loro costruzione, sono assoggettati ad una tassa di proprietà annua di euro 25,82 per gli autoveicoli e di euro 10,32 per i motoveicoli. Salvo prova contraria, i veicoli di cui al primo periodo si considerano costruiti nell'anno di prima immatricolazione in Italia o in altro Stato. Ai fini di quanto previsto dal presente comma l'Automobilclub Storico (ASI) per gli autoveicoli e la Federazione Motociclistica Italiano Italiana (FMI) per i motoveicoli, redigono un apposito elenco indicante i periodi di produzione dei veicoli.»;
   b) dopo il comma 1 sono aggiunti i seguenti:
  1-bis. I autoveicoli e i motoveicoli, esclusi quelli adibiti ad uso professionale, di particolare interesse storico e collezionistico, a decorrere dall'anno in cui si compire il ventesimo anno dalla costruzione e fino al compimento del trentesimo anno sono assoggettati ad una tassa di proprietà annua di euro 41,00 per gli autoveicoli e di euro 20,00 per i motoveicoli. Si considerano veicoli di particolare interesse storico e collezionistico:
   a) i veicoli costruiti specificamente per le competizioni;
   b) i veicoli costruiti a scopo di ricerca tecnica o estetica, anche in vista di partecipazione ad esposizioni o mostre;
   c) i veicoli per i quali, pur non appartenendo alle categorie di cui alle lettere a) e b), rivestano un particolare interesse storico o collezionistico in ragione del loro rilievo industriale, sportivo, estetico o di costume.
  1-ter. I veicoli di cui al comma 1-bis sono individuati, con propria determinazione, dall'ASI per gli autoveicoli e dalla FMI per i motoveicoli. Tale determinazione è aggiornata annualmente.
   c) il comma 4 è sostituito dal seguente: 4. Per la liquidazione, la riscossione e l'accertamento della tasse di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni che disciplinano la tassa automobilistica, di cui al testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953, n. 39, e successive modificazioni. Per i predetti veicoli di cui al comma 1 e 1-bis l'imposta provinciale di trascrizione è fissata in euro 60 per gli autoveicoli ed in euro 30 per i motoveicoli.

  Conseguentemente, al comma 551, aggiungere, in fine, le parole: ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni relative alle autorizzazioni di spesa di parte corrente di cui alla predetta Tabella C sono ridotte proporzionalmente in maniera lineare per un importo pari a 50 milioni di euro annui a decorrere dal 2016.
1. 28. Marco Di Stefano.

Subemendamenti all'emendamento 1. 4002 del Governo

  All'emendamento 1. 4002 del Governo, sostituire le parole: alle condizioni ivi indicate con le seguenti: alle premesse ivi rigorosamente prescritte.
0. 1. 4002. 1. Scotto, Franco Bordo, Fassina, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Folino, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaratti.

  All'emendamento 1. 4002 del Governo, sostituire le parole: anche le società controllate con le seguenti: anche le società controllate e partecipate e in ogni caso le società quotate in borsa.
0. 1. 4002. 2. Scotto, Franco Bordo, Fassina, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Folino, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaratti.

  Al comma 70-septies, sostituire le parole: sono tenute anche le società con le seguenti: alle condizioni ivi indicate, sono tenute anche le società controllate.
1. 4002. Governo.
(Approvato)

  Al comma 79, primo periodo, sostituire le parole da: all'Erario fino alla fine del periodo con le seguenti: alla riduzione proporzionale del canone stesso.
1. 111. (ex 1. 10. 70.) Matteo Bragantini, Caon, Marcolin, Prataviera.

  Dopo il comma 95, aggiungere i seguenti:
  95-bis. Al Testo Unico dell'imposta sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, dopo l'articolo 11 è inserito il seguente:
  «Art. 11-bis. – (Determinazione dell'imposta attraverso il sistema quoziente familiare).
  1. I contribuenti, appartenenti ad un nucleo familiare, possono determinare l'imposta sul reddito delle persone fisiche applicando, in alternativa, a quanto stabilito dall'articolo 11, comma 1, le disposizioni fissate al comma 3 del presente articolo nei limiti massimi, di cui al comma 2. Ai fini dell'esercizio di tale facoltà, il nucleo familiare è costituito:
   a) dal contribuente;
   b) dal coniuge non legalmente ed effettivamente separato;
   c) dai figli, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi e gli affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro;
   d) dai figli, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi e gli affidati o affiliati di età non superiore ai ventisei anni e dediti agli studi o a tirocinio gratuito;
   e) dagli ascendenti in linea retta di entrambi i coniugi, a condizione che convivano con il contribuente e non possiedano un reddito complessivo, al lordo degli oneri deducibili, di ammontare superiore all'importo della pensione minima vigente alla data dell'anno di riferimento.

  2. Per le finalità del comma 1 è costituito, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, un Fondo di 4 miliardi di euro a decorrere dal 1o gennaio 2016.
  3. L'imposizione in capo al nucleo familiare si determina dividendo il reddito imponibile complessivo, al netto degli oneri deducibili, per la somma degli coefficienti attribuiti ai componenti della famiglia, stabiliti, con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da emanarsi entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente norma, nell'ambito delle risorse di cui al comma 2. A decorrere dall'anno 2016, entro il 31 dicembre di ciascun anno, il Ministro può, con proprio decreto, rideterminare i coefficienti applicabili per l'anno successivo.
  4. L'applicazione delle disposizioni del presente articolo non può dar luogo, con riferimento a tutti i componenti del nucleo familiare, ad un risparmio di imposta, rispetto alla eventuale applicazione del metodo di determinazione dell'imposta di cui all'articolo 11, superiore all'ammontare di 2.000 euro annui moltiplicato per il numero dei componenti ridotto di uno.
  5. Ciascun componente del nucleo familiare che intende avvalersi della facoltà stabilita dal presente articolo deve dame comunicazione nella dichiarazione dei redditi, alla quale va allegato un apposito prospetto redatto su stampato conforme al modello approvato con decreto dirigenziale ai sensi dell'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, e sottoscritto da tutti i componenti del nucleo familiare che hanno raggiunto la maggiore età. Il prospetto deve contenere l'indicazione degli elementi necessari per il calcolo di cui al comma 2 del presente articolo, dei dati identificativi degli altri componenti del nucleo familiare e del rapporto intercorrente tra gli stessi e il dichiarante. I contribuenti diversi dal coniuge, indicati al comma 1, devono attestare nella dichiarazione dei redditi o in apposito allegato, l'esistenza dei requisiti ivi previsti.
  6. I possessori di redditi di lavoro dipendente e assimilati indicati negli articoli 49 e 50, comma 1, del presente testo unico, che adempiono agli obblighi della dichiarazione dei redditi in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 28 dicembre 1998, n. 490, in materia di disciplina dei centri di assistenza fiscale, possono esercitare la facoltà di cui al comma 1 del presente articolo dandone comunicazione nell'apposita dichiarazione dei redditi, nella quale devono essere indicati i dati identificativi degli altri componenti del nucleo familiare.
  7. Le disposizioni del presente articolo hanno un effetto a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello di entrata in vigore della presente disposizione».
  95-ter. Per far fronte agli oneri derivanti dalle disposizioni introdotte dal comma 95-bis, pari a 4.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, si provvede a valere sulle maggiori risorse derivanti da interventi di razionalizzazione e revisione della spesa pubblica. Entro la data del 15 luglio 2016, mediante interventi di razionalizzazione, e di revisione della spesa pubblica, sono approvati, provvedimenti regolamentari e amministrativi che assicurano minori spese pari a 4,000 milioni di euro per l'anno 2016. Entro la data del 15 gennaio 2017, sempre mediante interventi di razionalizzazione e revisione della spesa pubblica, sono approvati provvedimenti normativi che assicurano 5.000 milioni di euro per l'anno 2017 e 4.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018. Qualora le misure previste dal precedente periodo non siano adottate o siano adottate per importi inferiori a quelli indicati, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare entro il 15 luglio 2016, per la previsione relativa a quell'anno e entro il 15 gennaio 2017 per la seconda, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, sono disposte variazioni delle aliquote di imposta e riduzione della misura delle agevolazioni e delle detrazioni vigenti, tali da assicurare maggiori entrate, pari agli importi di cui al precedente periodo.
1. 30. (ex 1. 12. 31.) Sandra Savino, Brunetta, Alberto Giorgetti, Milanato, Prestigiacomo, Gelmini, Giacomoni.

  Al comma 99, sopprimere il secondo periodo.
1. 4003. Governo.
(Approvato)

  Dopo il comma 107 aggiungere il seguente:
  107-bis. Al comma 35 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, capoverso Art. 3 apportare le seguenti modificazioni:
   a) al comma 1 le parole: «nella misura del 25 per cento» sono sostituite con le seguenti: «nella misura del 50 per cento»;
   b) al comma 3 le parole: «5 milioni di euro» sono sostituite dalle seguenti: «10 milioni di euro».

  Conseguentemente le dotazioni di parte corrente relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla Tabella C, allegata alla presente legge, ad eccezione di quelle relative al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al Ministero della salute e al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 300 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016.
1. 116. (ex 1. 14. 2.) Vaccaro.

  Al comma 109-bis, secondo periodo, sostituire le parole: di ciascun anno con la seguente: 2016.
1. 4004. Governo.
(Approvato)

  Al comma 112, lettera a), aggiungere, in fine, le parole: e per i ricercatori e professori appartenenti alle università italiane, anche il possesso dell'abilitazione scientifica nazionale.
1. 31. (ex 1. 15. 29.) Vacca, D'Uva, Sibilia, Brescia, Simone Valente, Luigi Gallo, Marzana, Di Benedetto, Caso, Castelli, Cariello, Brugnerotto, D'Incà, Sorial.

  Al comma 112, lettera d), sostituire le parole: da studiosi italiani e stranieri con le seguenti:, almeno per il cinquanta per cento, da studiosi internazionali.
1. 32. Capua, Vargiu, Librandi, Palladino, Monchiero, Marzano, Locatelli, Quintarelli, Nesi, Brunetta.

  Al comma 116, aggiungere, in fine, i seguenti periodi: Fermo il rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 1, commi 557, 557-quater e 562, primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, la proroga può essere disposta in deroga ai limiti o divieti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge. Per l'anno 2016 agli enti territoriali di cui al primo periodo del presente comma, che si trovino nelle condizioni di cui all'articolo 259 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 6, 7 e 8 dell'articolo medesimo. Per gli stessi enti la proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato è subordinata all'assunzione integrale degli oneri a carico della Regione ai sensi dall'articolo 259, comma 10, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
1. 33. Capodicasa, Berretta, Boccadutri, Schirò, Iacono, Albanella, Burtone, Amoddio, Zappulla, Piccione, Culotta, Ribaudo, Lauricella, Moscatt, Cardinale, Raciti, Causi, Greco, Taranto, Gullo, Bosco, Garofalo, D'Alia, Minardo, Misuraca, Pagano.
(Approvato)

  Al comma 117-ter, lettera b), capoverso comma 3, sostituire le parole da: sono trasferite fino alla fine del capoverso, con le seguenti: sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione ai pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e costituiscono limite di spesa per l'organizzazione dei corsi-concorsi di cui all'articolo 29 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e successive modificazioni. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato a apportare le occorrenti variazioni di bilancio.
1. 4005. Governo.
(Approvato)

  Al comma 125, primo periodo, aggiungere, in fine, le parole:, utilizzando in via prioritaria le graduatorie concorsuali per l'accesso dall'esterno vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge. A tal fine la validità delle predette graduatorie è prorogata al 31 dicembre 2018.
1. 34. (ex 1. 16. 152.) Rizzetto, Mucci, Prodani, Barbanti, Polverini.

  Sostituire il comma 126 con il seguente:
  126. In relazione al riordino delle funzioni di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, le regioni e gli enti locali destinano le risorse assunzionali relative agli anni 2016 e 2017, nelle percentuali stabilite dall'articolo 3, comma 5, del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, al prioritario ricollocamento del personale soprannumerario degli enti di area vasta addetto a funzioni non fondamentali, al netto di quelle finalizzate all'assunzione dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della presente legge. Sono fatte salve le procedure di reclutamento di personale a tempo indeterminato per cui sia richiesta una specifica professionalità attestata da titoli di studio o abilitazioni professionali non posseduti dal personale soprannumerario di cui al precedente periodo. Il comma 424 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è abrogato. Le regioni che abbiano completato il riordino delle funzioni di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 e portato a termine i processi di mobilità del personale interessato ne danno tempestiva comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica al fine del ripristino delle ordinarie facoltà di assunzione per le amministrazioni situate nel rispettivo ambito regionale.
1. 117. (ex 1. 16. 19.) Pisicchio.

  Dopo il comma 129, aggiungere i seguenti:
  129.1. Al fine di garantire la sostenibilità economico-finanziaria e prevenire situazioni di dissesto finanziario dei comuni, è istituito presso il Ministero dell'Interno un fondo denominato «Fondo per i contenziosi connessi a sentenze esecutive relative a calamità o cedimenti» con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016-2018. Le risorse sono attribuite ai comuni che, a seguito di sentenze esecutive di risarcimento conseguenti a calamità naturali o cedimenti strutturali, o ad accordi transattivi ad esse collegate, sono obbligati a sostenere spese di ammontare complessivo superiore al 50 per cento della spesa corrente sostenuta come risultante dalla media degli ultimi tre rendiconti approvati.
  129. 2. I comuni di cui al comma 129.1 comunicano al Ministero dell'interno, entro il termine perentorio del 15 gennaio 2016, con riferimento all'anno 2015, ed entro il termine perentorio del 30 giugno con riferimento agli anni 2016, 2017 e 2018 la sussistenza della fattispecie di cui al comma 129.1, con modalità telematiche individuate dal Ministero dell'interno. La ripartizione del Fondo avviene con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Nel caso in cui le richieste superino l'ammontare annuo complessivamente assegnato, le risorse sono attribuite proporzionalmente alle richieste e tenendo conto della priorità temporale degli eventi che hanno determinato il risarcimento.

  Conseguentemente, al comma 551, aggiungere, in fine, le parole:, ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 20 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016.
1. 35. (ex 1. 16. 76.), Palese, Abrignani, Chiarelli.

  Al comma 129-ter, capoverso, secondo periodo, sopprimere le parole: per la durata di vita utile del giacimento.

  Conseguentemente:
     al medesimo comma, aggiungere, in fine, il seguente periodo
: I procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, finalizzati al rilascio dei titoli minerari, sono interrotti.
    al comma 129-quater:
      sopprimere la lettera
b);
     alla lettera c), capoverso, sostituire le parole: o a seguito del rilascio con le seguenti: a seguito del rilascio.
1. 36. Folino, Melilla, Zaratti, Marcon, Pellegrino, Ricciatti, Ferrara, Paglia, Placido, Pili, Gianluca Pini.

  Al comma 129-ter, capoverso, dopo il secondo periodo, aggiungere il seguente: Il divieto di cui al primo periodo si applica ai procedimenti finalizzati al rilascio dei titoli minerari in corso all'entrata in vigore della presente legge. L'amministrazione competente applica tale divieto con il rigetto delle relative istanze entro due mesi dall'entrata in vigore della presente legge.

  Conseguentemente, al comma 129-quater, sostituire la lettera b) con la seguente:
   b)
il comma 1-bis, è sostituito dal seguente: «1-bis. La Conferenza Stato Regioni, su proposta del Ministero dello Sviluppo Economico sentito il Ministero dell'Ambiente, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attività di cui al comma 1. Il piano di cui al primo periodo è adottato con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.»
1. 37. Baldassarre, Pastorino, Artini, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Melilla, Pellegrino.

  Al comma 131, sopprimere la lettera a).
1. 38. (ex 1. 16. 193.) Manlio Di Stefano, Caso, Brugnerotto, Cariello, Castelli, D'Incà, Sorial.

  Al comma 139 sostituire le parole: 54.750.000 di euro per l'anno 2016 con le seguenti: 345.000.000 di euro per l'anno 2016.

  Conseguentemente, alla lettera b), sopprimere i commi 548-terdecies e 548-quaterdecies.
1. 39. (ex 0. 1. 1. 1. 67.) Marcon, Melilla, Pannarale, Giancarlo Giordano, Carlo Galli, Scotto, Fassina, Paglia.

  Dopo il comma 141, aggiungere il seguente:
  141-bis. All'articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente: «2-bis. Per i soggetti di cui ai commi 1 che hanno, al momento dell'accesso al regime fiscale di cui al presente articolo, un'età anagrafica non superiore a quaranta anni, il reddito prodotto in Italia concorre alla determinazione del reddito complessivo nella misura del 20 per cento del suo ammontare per le lavoratrici e nella misura del 30 per cento del suo ammontare per i lavoratori. Si applicano le previsioni di cui all'articolo 3, commi da 2 a 5, della legge 31 dicembre 2010, n. 238.»;
1. 40. (ex 1. 17. 60.) Pagano.

  Al comma 146, lettera d), sostituire le parole da: in congedo fino alla fine della lettera, con le seguenti: che assistono da almeno 20 anni familiari conviventi entro il secondo grado e non ultra sessantacinquenni, che a causa di malattia, infermità o disabilità, sono riconosciuti invalidi civili al 100 per cento e inabili al lavoro, e necessitano di assistenza globale e continua ai sensi dell'articolo 3, comma 3, legge n. 104 del 1992, con priorità per coloro che assistono da un maggiore numero di anni, per coloro che assistono più di un disabile senza il sostegno di altri familiari conviventi e per coloro che assistono senza il sostegno di altri familiari conviventi, i quali perfezionano i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico, secondo la disciplina vigente prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011, entro il sessantesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge.

  Conseguentemente:
   al comma 551, aggiungere, in fine, le parole:, ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni di parte corrente, relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C, ad eccezione di quelle relative al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al Ministero della salute e al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sono corrispondentemente ridotte in maniera lineare per un importo pari a 250 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016.
   dopo il comma 555, aggiungere il seguente:
  555-bis. 1. A decorrere dal 1o gennaio 2016 è istituita un'imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all'estero effettuati attraverso gli istituti bancari, le agenzie «money transfer», o altri agenti in attività finanziaria, pari al 10 per cento, sul denaro trasferito da persone fisiche non munite di matricola Inps e codice fiscale. Le maggiori entrate di cui al presente articolo confluiscono nel fondo previsto dall'articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012 per essere riassegnate agli scopi di cui all'articolo 19, comma 1.
1. 41. (ex 1. 18. 102.) Matteo Bragantini, Caon, Marcolin, Prataviera.

  Al comma 155, ultimo periodo, sostituire le parole da: con successivo provvedimento fino alla fine del comma con le seguenti: si effettua l'accertamento delle somme non impegnate, utilizzabili per ulteriori interventi con finalità analoghe, annualmente con il procedimento di cui all'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

  Conseguentemente, dopo il comma 155, aggiungere il seguente:
  155-bis. Ai fini della compensazione dei maggiori effetti finanziari derivanti dalle disposizioni di cui al comma 155, il Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189, e successive modificazioni, è ridotto di 16 milioni di euro nell'anno 2017, di 40,5 milioni di euro nell'anno 2018, di 70,2 milioni di euro nell'anno 2019, di 59,3 milioni di euro l'anno 2020, di 44,6 milioni di euro nell'anno 2021 e di 14,4 milioni di euro nell'anno 2022.
1. 43. Simonetti, Guidesi, Saltamartini, Busin, Fedriga, Melilla, Ciprini, Cominardi, Polverini, Rizzetto, Gelmini, Giorgia Meloni, Lombardi, Tripiedi, Nicchi.

  Dopo il comma 158-ter, aggiungere i seguenti:
  158-quater. Al fine di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, all'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, i commi 25, 25-bis e 25-ter sono abrogati.
  158-quinquies. Con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, da adottare il entro il 30 marzo 2016, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, sono disposte variazioni delle aliquote di imposta e riduzioni della misura delle agevolazioni e delle detrazioni vigenti tali da assicurare la copertura degli oneri delle disposizioni di cui al comma 158-quater, pari a 16.500 milioni di euro per l'anno 2016, e di 4.500 milioni a decorrere dall'anno 2017, ferma restando la necessaria tutela, costituzionalmente garantita, dei contribuenti più deboli, della famiglia e della salute, prevedendo un limite di reddito sotto il quale non si applica la riduzione delle spese fiscali.

  Conseguentemente, al comma 551, aggiungere, in fine, le parole:, ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C sono ridotte proporzionalmente in maniera lineare per un importo pari al 35 per cento.
1. 44. (ex 0. 1. 19. 141. 4.) Polverini, Brunetta, Alberto Giorgetti, Milanato, Prestigiacomo, Sandra Savino, Giacomoni.

  Dopo il comma 161, aggiungere i seguenti:
  161.1. L'articolo 38, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, è sostituito dal seguente:
  «1. A decorrere dal 10 gennaio 2016 è incrementata, a favore dei soggetti di età pari o superiore a settanta anni e fino a garantire un reddito proprio pari a 800 euro al mese per tredici mensilità, la misura delle maggiorazioni sociali dei trattamenti pensionistici di cui:
   a) all'articolo 1 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, e successive modificazioni;
   b) all'articolo 70, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, con riferimento ai titolari dell'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335;
   c) all'articolo 2 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, con riferimento ai titolari della pensione sociale di cui all'articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153.

  2. I medesimi benefici di cui al comma i in presenza dei requisiti anagrafici di cui al medesimo comma, sono corrisposti ai titolari dei trattamenti trasferiti all'INPS ai sensi dell'articolo 10 della legge 26 maggio 1970, n. 381, e dell'articolo 19 della legge 30 marzo 1971, n. 118, nonché ai ciechi civili titolari di pensione, tenendo conto dei medesimi criteri economici adottati per l'accesso e per il calcolo dei predetti benefici.
  3. L'età anagrafica relativa ai soggetti di cui al comma i è ridotta, fino ad un massimo di cinque anni, di un anno ogni cinque anni di contribuzione fatta valere dal soggetto. Il requisito del quinquennio di contribuzione risulta soddisfatto in presenza di periodi contributivi complessivamente pari o superiori alla metà del quinquennio.
  4. I benefici incrementativi di cui al comma 1 sono altresì concessi ai soggetti con età pari o superiore a sessanta anni, che risultino invalidi civili totali o sordomuti o ciechi civili assoluti titolari di pensione o che siano titolari di pensione di inabilità di cui all'articolo 2 della legge 12 giugno 1984, n. 222.
  5. L'incremento di cui al comma i è concesso in base alle seguenti condizioni:
   a) il beneficiario non possieda redditi propri su base annua pari o superiori alla somma dell'ammontare del trattamento minimo delle pensioni a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e dell'ammontare dell'incremento rispetto all'anno precedente;
   b) il beneficiario non possieda, se coniugato e non effettivamente e legalmente separato, redditi propri per un importo annuo pari o superiore a quello previsto per il singolo pensionato, né redditi cumulati con quello del coniuge, per un importo totale pari o superiore alla somma dell'ammontare annuo del limite personale e dell'ammontare annuo dell'assegno sociale;
   c) qualora i redditi posseduti risultino inferiori ai limiti di cui alle lettere a) e b), l'incremento è corrisposto in misura tale da non comportare il superamento dei limiti stessi.

  6. Ai fini della concessione delle maggiorazioni di cui al presente articolo non si tiene conto del reddito della casa di abitazione».

  161.2. Per far fronte agli oneri derivanti dalle disposizioni introdotte dal comma 161.1, pari a 2.500 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, si provvede a valere sulle maggiori risorse derivanti da interventi di razionalizzazione e revisione della spesa pubblica. Entro la data del 15 luglio 2016, mediante interventi di razionalizzazione, e di revisione della spesa pubblica, sono approvati, provvedimenti regolamentari e amministrativi che assicurano minori spese pari a 2.500 milioni di euro per l'anno 2016. Entro la data del 15 gennaio 2017, sempre mediante interventi di razionalizzazione e revisione della spesa pubblica, sono approvati provvedimenti normativi che assicurano 2.500 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. Qualora le misure previste dal precedente periodo non siano adottate o siano adottate per importi inferiori a quelli indicati, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare entro il 15 luglio 2016, per la previsione relativa a quell'anno e entro il 15 gennaio 2017 per la seconda, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, sono disposte variazioni delle aliquote di imposta e riduzione della misura delle agevolazioni e delle detrazioni vigenti, tali da assicurare maggiori entrate, pari agli importi di cui al precedente periodo.
1. 45. (ex 0. 1. 19. 141. 2.) Brunetta, Alberto Giorgetti, Milanato, Prestigiacomo, Gelmini, Sandra Savino, Giacomoni.

  Dopo il comma 161, aggiungere il seguente:
  161. 1. Il comma 5 dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1977, n. 284, si interpreta nel senso che le disposizioni concernenti il computo del Servizio comunque prestato, con percezione dell'indennità di servizio d'istituto o di quelle indennità da essa assorbite per effetto della legge 22 dicembre 1969 n. 967, si applicano anche nel caso in cui venga costituita posizione assicurativa previdenziale a seguito di instaurazione di rapporto di lavoro dipendente regolato dal diritto privato.

  Conseguentemente, al comma 551, aggiungere, infine, le parole:, ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni di parte corrente, relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 10 milioni di euro a decorrere dal 2016.
1. 46. (ex 1. 19. 59.) Abrignani.

  Al comma 187-bis, primo periodo, la parola:, anche è soppressa e le parole: previste dalla legislazione vigente a carico dei soggetti inclusi nell'elenco delle amministrazioni pubbliche formato dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni sono sostituite dalle seguenti: di cui all'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, nei limiti di quanto strettamente necessario allo svolgimento dell'evento. Le spese di cui al presente comma non concorrono alla definizione dell'ammontare della riduzione della spesa di personale ai sensi dell'articolo 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni.
1. 4006.(versione corretta) Il Governo.
(Approvato)

  Sopprimere il comma 192-septies.

  Conseguentemente:
    al comma 207, sopprimere la lettera
g-bis);
    sopprimere il comma 253;
    sopprimere il comma 254-
bis;
    sopprimere il comma 548-quaterdecies.1
1. 48. Sorial, Caso, Castelli, Cariello, D'Incà, Brugnerotto.

  Sopprimere il comma 194-bis.
1. 49. Fratoianni, Marcon, Melilla, Paglia.

Subemendamento all'emendamento 1. 4008 del Governo

  All'emendamento 1. 4008 del Governo, dopo le parole: il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti aggiungere le seguenti: sentita la Conferenza Stato-Regioni.
0. 1. 4008. 1. Scotto, Franco Bordo, Fassina, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Folino, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaratti.
(Approvato)

  Al comma 194-ter, capoverso comma 2-ter, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottare entro il 15 marzo 2016, sono disciplinate le modalità di attuazione delle disposizioni recate dal presente comma.
1. 4008. Governo.
(Approvato)

  Dopo il comma 196, aggiungere i seguenti:
  196-bis. Al fine di potenziare l'internazionalizzazione del sistema delle imprese italiane e l'attività di attrazione degli investimenti in Italia, in considerazione delle competenze assegnate all'Agenzia ICE dall'articolo 30 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164, l'Agenzia ICE è autorizzata all'assunzione a tempo indeterminato di un contingente di personale amministrativo di area III, livello F1, attraverso lo scorrimento delle graduatorie del relativo concorso in corso di validità presso la medesima Agenzia, anche in deroga ai limiti per le assunzioni previsti dalla legislazione vigente e comunque entro il limite dello stanziamento previsto dal successivo periodo. A tal fine, le risorse finanziarie iscritte nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico per effetto della previsione dell'articolo 12, comma 18-bis, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e destinate all'Agenzia ICE, sono corrispondentemente ridotte. La pianta organica dell'Agenzia ICE è rideterminata di conseguenza in 479 unità.
  196-ter. Per le medesime finalità di cui al comma 196-bis, i posti vacanti nella dotazione organica dell'Agenzia ICE, sono coperti mediante il reclutamento, previa valutazione del relativo curriculum e delle esperienze professionali acquisite, del personale a tempo indeterminato, di qualifica non dirigenziale, in servizio presso l'ENIT – Agenzia nazionale del turismo che ha optato per la mobilità presso altra pubblica amministrazione, ai sensi dell'articolo 16, comma 9, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106.

  Conseguentemente, al comma 551, aggiungere, in fine, le parole: ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni relative alle autorizzazioni di spesa di parte corrente di cui alla predetta Tabella C sono ridotte proporzionalmente in maniera lineare per un importo pari a 2 milioni di euro annui a decorrere dal 2016.
1. 115. (ex 1. 23. 12.) Pagano, Sammarco, Bargero.

  Dopo il comma 209, è aggiunto il seguente:
  209-bis. All'articolo 47, terzo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1985, n. 222, le parole: «la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse» sono sostituite dalle seguenti: «le relative somme sono destinate al Fondo nazionale per la protezione civile».
1. 51. (ex 1. 24. 7.) Andrea Maestri, Brignone, Civati, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Marzano, Daniele Farina, Sannicandro, Marcon, Melilla.

  Dopo il comma 212, aggiungere il seguente:
  212-bis. A decorrere dall'anno 2016 è istituita la carta della famiglia, destinata alle famiglie costituite da cittadini italiani o da cittadini stranieri regolarmente residenti sul territorio italiano, con almeno tre figli minori a carico di età non superiore a ventisei anni. La carta è rilasciata alle famiglie che ne facciano richiesta, previo pagamento dei soli costi di emissione, con i criteri e le modalità stabile con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per lo sviluppo economico da emanarsi entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge. La carta da diritto a sconti sull'acquisto di beni o servizi ovvero a riduzioni tariffarie con i soggetti pubblici o privati che intendano contribuire all'iniziativa. I partner che concederanno sconti o riduzioni maggiori di quelli normalmente praticati sul mercato potranno valorizzare la loro partecipazione all'iniziativa a scopi promozionali e pubblicitari. La Carta famiglia nazionale è emessa dai singoli Comuni, che attestano lo stato della famiglia al momento del rilascio, ed ha una durata biennale dalla data di emissione. La Carta famiglia nazionale è funzionale anche alla creazione di uno o più Gruppo di acquisto familiare (Gaf) o gruppi di acquisto solidale (Gas) nazionali, nonché della fruizione dei biglietti famiglia ed abbonamenti famiglia per servizi di trasporto, culturali, sportivi, ludici, turistici ed altro. Il Dipartimento delle politiche per la famiglia predispone ed aggiorna sul sito istituzionale l'elenco dei soggetti convenzionati. Le attività di promozione e di diffusione delle iniziative poste in essere da parte del dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri rientrano tra quelle previste, per il Fondo delle politiche della famiglia di cui all'articolo 19, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, dall'articolo 1, comma 1250, delle legge 27 dicembre 2006, n. 296.

  Conseguentemente, al comma 551, aggiungere, in fine, le parole:, ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018.
1. 52. (ex 1. 24. 74.) Sberna, Dellai, Gigli, Marguerettaz, Falcone, Marazziti.

  Dopo il comma 212, aggiungere il seguente:
  212-bis. A decorrere dall'anno 2016 è istituita la carta della famiglia, destinata alle famiglie costituite da cittadini italiani o da cittadini stranieri regolarmente residenti sul territorio italiano, con almeno tre figli minori a carico. La carta è rilasciata alle famiglie che ne facciano richiesta, previo pagamento degli interi costi di emissione, con i criteri e le modalità stabilite, sulla base dell'ISEE, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per lo sviluppo economico da emanarsi entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge. La carta consente l'accesso a sconti sull'acquisto di beni o servizi ovvero a riduzioni tariffarie con i soggetti pubblici o privati che intendano contribuire all'iniziativa. I partner che concederanno sconti o riduzioni maggiori di quelli normalmente praticati sul mercato potranno valorizzare la loro partecipazione all'iniziativa a scopi promozionali e pubblicitari. La Carta famiglia nazionale è emessa dai singoli Comuni, che attestano lo stato della famiglia al momento del rilascio, ed ha una durata biennale dalla data di emissione. La Carta famiglia nazionale è funzionale anche alla creazione di uno o più Gruppo di acquisto familiare (Gaf) o gruppi di acquisto solidale (Gas) nazionali, nonché della fruizione dei biglietti famiglia ed abbonamenti famiglia per servizi di trasporto, culturali, sportivi, ludici, turistici ed altro.
1. 52. (ex 1. 24. 74.) (Testo modificato nel corso della seduta) Sberna, Dellai, Gigli, Marguerettaz, Falcone, Baradello, Marazziti.
(Approvato)

  Al comma 213, primo periodo, dopo le parole: contrasto della povertà educativa aggiungere la seguente: minorile.
1. 130. Zampa, Antezza, Bindi.
(Approvato)

Subemendamento all'emendamento 1. 53

  Sostituire le parole: di 10 milioni di euro per l'anno 2016 con le seguenti: di 2 milioni di euro per l'anno 2016 e di 5 milioni di euro a decorrere dal 2017.

  Conseguentemente, sostituire la parte conseguenziale con la seguente:

  alla Tabella A, voce Ministero dell'economia e delle finanze apportare la seguente variazione:
   2016: – 2.000.000;
   2017: – 5.000.000;
   2018: – 5.000.000.
0. 1. 53. 100. La Commissione.
(Approvato)

  Dopo il comma 217, aggiungere il seguente:
  217. 1. Il fondo di cui all'articolo 58, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, è rifinanziato di 10 milioni di euro per l'anno 2016.
  Conseguentemente, alla Tabella A, voce Ministero dell'economia e delle finanze apportare la seguente variazione:
   2016 – 10.000.000.
1. 53. (vedi 1. 24. 34.) Fiorio, Oliverio, Sani, Luciano Agostini, Antezza, Capozzolo, Carra, Cova, Dal Moro, Falcone, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin, Cariello, Cenni, Gallinella, Gagnarli, Lupo, Massimiliano Bernini, L'Abbate, Parentela, Benedetti, Gadda, Ferrari, Ferro, Fiano.
(Approvato)

  Dopo il comma 222, aggiungere il seguente:
  222-bis. A decorrere dal 1o gennaio 2016 sono in ogni caso escluse dal computo dei redditi per la determinazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento.

  Conseguentemente, sopprimere il comma 339.
1. 54. (ex 1. 25. 49.) Rampelli, Giorgia Meloni, Gianluca Pini, Rizzetto, Prodani, Barbanti, Polverini, Brunetta, Binetti, Cozzolino, Abrignani, Pili, Palese, Cera, Nastri, Cirielli.

  Al comma 236-bis, capoverso comma 2-bis, aggiungere, in fine, le parole: nei limiti delle risorse preordinate allo scopo.

  Conseguentemente, al capoverso comma 2-ter, dopo le parole: Per i tributi non sospesi né differiti ai sensi del comma 2, aggiungere le seguenti: nei limiti delle risorse preordinate allo scopo,;
1. 4009. Governo.
(Approvato)

  Al comma 246, sostituire le parole: 300 milioni di euro, con le seguenti: 1.500 milioni di euro.

  Conseguentemente:
   al medesimo comma, sostituire le parole:
74 milioni di euro, con le seguenti: 1000 milioni di euro.
   dopo il comma 246 aggiungere il seguente: 246-bis. Per far fronte agli oneri derivanti dalle disposizioni introdotte dal comma 246, pari a 1.500 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, si provvede a valere sulle maggiori risorse derivanti da interventi di razionalizzazione e revisione della spesa pubblica. Entro la data del 15 luglio 2016, mediante interventi di razionalizzazione, e di revisione della spesa pubblica, sono approvati, provvedimenti regolamentari e amministrativi che assicurano minori spese pari a 1.500 milioni di euro per l'anno 2016. Entro la data del 15 gennaio 2017, sempre mediante interventi di razionalizzazione e revisione della spesa pubblica, sono approvati provvedimenti normativi che assicurano 1.500 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. Qualora le misure previste dal precedente periodo non siano adottate o siano adottate per importi inferiori a quelli indicati, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare entro il 15 luglio 2016, per la previsione relativa a quell'anno e entro il 15 gennaio 2017 per la seconda, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, sono disposte variazioni delle aliquote di imposta e riduzione della misura delle agevolazioni e delle detrazioni vigenti, tali da assicurare maggiori entrate, pari agli importi di cui al precedente periodo.
1. 57. (ex 0. 1. 1. 1. 110.) Vito, Brunetta, Gelmini, Gregorio Fontana, Alberto Giorgetti, Milanato, Prestigiacomo, Polverini, Russo, Occhiuto, Petrenga, Sandra Savino, Giacomoni.

  Dopo il comma 256 aggiungere i seguenti:
  256-bis. Nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi e al fine di rispondere all'esigenza degli operatori del mercato di usufruire di un quadro normativo stabile, conformemente ai principi comunitari, che consenta lo sviluppo e l'innovazione dell'impresa turistico-balneare, come disciplinata dal comma 6, dell'articolo 11 della legge 15 dicembre 2011, n. 217, le concessioni di beni demaniali marittimi in essere alla data del 31 dicembre 2015 sono prorogati di diciannove anni.
  256-ter. Il comma 6, dell'articolo 11 della legge 15 dicembre 2011, n. 217 è sostituito dal seguente: ”6. Si intendono quali imprese turistico-balneari le attività classificate all'articolo 1, comma 1, lettere b), c), d) ed e), del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, che si svolgono su beni del demanio marittimo, ovvero le attività di stabilimento balneare, anche quando le strutture sono ubicate su beni diversi dal demanio marittimo. Al fine di promuovere il rilancio delle attività turistico-balneari e la tutela della concorrenza, non possono essere poste limitazioni di orario o di attività, diverse da quelle applicate agli altri esercizi ubicati nel territorio comunale, per le attività accessorie degli stabilimenti balneari, quali le attività ludico-ricreative, l'esercizio di bar e ristoranti e gli intrattenimenti musicali e danzanti, nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica, igienico-sanitaria e di eliminazione delle barriere architettoniche. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 6, comma 2-quinquies, del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, le attività di intrattenimento musicale e di svago danzante ivi previste non sono soggette a limitazioni nel numero degli eventi, nelle modalità di espletamento e nell'utilizzo degli apparati tecnici e impiantistici necessari allo svolgimento delle manifestazioni. Per gli eventi di intrattenimento musicale e danzante si applicano i limiti di rumorosità previsti per le attività a carattere temporaneo stabiliti dalle regioni in attuazione della legge 26 ottobre 1995, n. 447.
  256-quater. Per poter accedere alla proroga di cui al comma 256-bis le imprese turistico-balneari devono svolgere opere di adeguamento edilizio, igienico-sanitario e di eliminazione delle barriere architettoniche nonché di messa in sicurezza delle strutture esistenti o opere di manutenzione straordinaria che consistono in opere e modifiche necessarie per rinnovare e sostituire elementi strutturali degradati. Queste opere devono prevedere un periodo di ammortamento non inferiore ai 18 anni. Con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, vengono stabilite le modalità di adeguamento del canone in relazione alla proroga della concessione operata dal comma 256-bis. Con il medesimo decreto viene stabilita altresì la modalità di destinazione dei proventi derivanti dal maggior gettito in relazione all'adeguamento del canone, i quali dovranno essere suddivisi nella quota di un terzo a favore dell'entrata del bilancio dello Stato e di due terzi a favore dei comuni sui quali insistono le concessioni, con la finalità di potenziare la sicurezza balneare e alla prevenzione e contrasto dell'abusivismo commerciale e della contraffazione.
  256-quinquies. Le nuove concessioni di beni demaniali marittimi nonché quelle decadute o revocate sono affidate mediante procedure competitive di selezione, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell'esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, per un periodo non inferiore a trenta anni e non superiore ai cinquanta, in modo da assicurare un uso rispondente all'interesse pubblico nonché proporzionato all'entità degli investimenti.
  256-sexies. Con il decreto di cui al comma 256-quater vengono stabiliti in caso di revoca della concessione, nei casi previsti dall'articolo 42 del codice della navigazione, i criteri per l'equo indennizzo del concessionario nonché criteri per l'eventuale dichiarazione di decadenza delle concessioni e le modalità per il subingresso in caso di vendita o di affitto delle aziende.
  256-septies. Lo schema di decreto di cui al comma 256-quater è trasmesso al Parlamento per il parere delle commissioni parlamentari competenti per materia nonché per quelle relative ai profili finanziari da esprimere entro 60 giorni dalla trasmissione.
  256-octies. L'articolo 34-duodecies del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 dicembre 2012, n. 221, è abrogato.
1. 58. (ex 1. 27. 29.) Gianluca Pini, Prataviera, Occhiuto.

  Sopprimere il comma 257-bis.
1. 59. Costantino, Zaratti.

  Al comma 257-bis, aggiungere, in fine, le parole: nonché nei comuni e nei municipi sciolti o commissariati ai sensi degli articoli 143 e 146 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
1. 61. Marchi, Melilla, Bindi, Miotto.
(Approvato)

  Al comma 259-bis, sostituire le parole da: cui provvede il commissario straordinario delegato fino alla fine del comma, con le seguenti: cui provvede d'intesa con il titolare della contabilità speciale n. 5458, a valere sulle risorse disponibili della medesima contabilità, il commissario straordinario delegato per il rischio idrogeologico nel Veneto, di cui all'articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116;
1. 4010. Governo.
(Approvato)

  Al comma 278-bis, terzo periodo, dopo le parole: risolvere il contratto aggiungere le seguenti: senza che sia dovuto alcun indennizzo come conseguenza della risoluzione del contratto.
1. 62. Minnucci, Melilla, Miotto.
(Approvato)

  Al comma 279, ultimo periodo, dopo le parole: in deroga ai vincoli aggiungere la seguente: assunzionali.
1. 4011. Governo.
(Approvato)

  Al comma 304-octies, primo periodo, dopo le parole: medico e infermieristico aggiungere le seguenti: professionale e tecnico-amministrativo.

  Conseguentemente al medesimo comma, secondo periodo, dopo le parole: medico e infermieristico aggiungere le seguenti: professionale e tecnico-amministrativo.
1. 64. Calabrò, Amato, Miotto.

  Al comma 304-octies, primo periodo, dopo la parola: medico aggiungere le seguenti:, tecnico professionale.

  Conseguentemente al medesimo comma, secondo periodo, dopo la parola: medico aggiungere le seguenti:, tecnico professionale.
1. 64.(Testo modificato nel corso della seduta) Calabrò, Amato, Miotto.
(Approvato)

  Al comma 324-ter, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario standard cui concorre ordinariamente lo Stato è incrementato di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018.
1. 4012. Governo.
(Approvato)

  Al comma 327, dopo il primo periodo, aggiungere i seguenti: Al fine di conseguire quanto previsto al periodo precedente, nonché rendere omogenei gli accordi negoziali, quali pay back, note di credito e scaglioni prezzo/volume dei medicinali innovativi per uso umano che accedono al fondo previsto al comma 593, articolo 1 della legge 23 dicembre 2014 n. 190, il Ministero della salute e il Ministero dell'economia e delle finanze demandano all'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), entro e non oltre 45 giorni dall'approvazione della presente legge, la rinegoziazione degli accordi nonché la predisposizione della clausola del payment by result attraverso la verifica trimestrale dei registri di monitoraggio a disposizione dell'AIFA. Riguardo medicinali innovativi per uso umano Daklinza, Exviera, Harvoni, Sovaldi, Viekirax, Olysio, a far data dalla loro autorizzazione all'immissione in commercio, concorrono tutti insieme al raggiungimento dei 50.000 trattamenti terapeutici per l'eradicazione del virus dell'epatite C su base nazionale. Dal trattamento 50.001 il prezzo deve essere compreso tra i 3.300 e i 4.000 euro IVA esclusa. Tali disposizioni devono contemplare la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei risultati della rinegoziazione con le aziende farmaceutiche nonché la perdita di tutte le clausole di riservatezza fino ad ora previste.
1. 65. (ex 1. 32-bis. 7.) Grillo, Baroni, Colonnese, Di Vita, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero, Caso, Brugnerotto, Cariello, Castelli, D'Incà, Sorial.

  Al comma 330-bis, lettera b), sopprimere le parole:, nonché di prestazioni erogate, da parte degli IRCCS, a favore di cittadini residenti in regioni diverse da quelle di appartenenza ricomprese negli accordi di cui ai successivi commi 330-ter e 330-quater.
1. 4013. Governo.

  Al comma 330-bis, lettera b), aggiungere, in fine, i seguenti periodi: «Le regioni trasmettono trimestralmente ai Ministeri della salute e dell'economia e delle finanze i provvedimenti di propria competenza di compensazione della maggiore spesa sanitaria regionale per i pazienti extraregionali presi in carico dagli IRCCS. Ne danno altresì comunicazione alle regioni di residenza dei medesimi pazienti e al coordinamento regionale per la salute e per gli affari finanziari al fine di permettere, alla fine dell'esercizio, le regolazioni in materia di compensazione della mobilità sanitaria nell'ambito del riparto delle disponibilità finanziarie del SSN. Le regioni pubblicano per ciascun IRCCS su base trimestrale il valore delle prestazioni rese ai pazienti extraregionali di ciascuna regione.
1. 4500. La Commissione.
(Approvato)

  Al comma 330-quater, aggiungere, in fine, le parole: entro il 31 dicembre 2016.
1. 66. Miotto.
(Approvato)

  Al comma 337, aggiungere in fine le seguenti parole: a decorrere dal 1o gennaio 2017.

  Conseguentemente:
   sostituire il comma 337-bis, con il seguente: A decorrere dal 1o gennaio 2017 è istituito un fondo con una dotazione di 5 milioni di euro annui in favore delle regioni a statuto ordinario confinanti con l'Austria e la Svizzera per la riduzione del prezzo alla pompa della benzina e del gasolio per autotrazione nelle aree di confine. Entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sono definite le modalità di ripartizione del fondo tra le regioni interessate;
   dopo il comma 337-bis, aggiungere il seguente:
  337-ter.
Il fondo di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è ridotto nella misura di 2 milioni di euro nell'anno 2016.

  Alla tabella A, voce Ministero dell'economia e delle finanze, apportare le seguenti variazioni:
   2016: -1.000.000.
1. 5000. La Commissione.
(Approvato)

  Dopo il comma 339-ter, aggiungere il seguente:
  339-quater. Lo stanziamento del Fondo rimpatri, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è incrementato di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018.

  Conseguentemente, al comma 551, aggiungere, in fine, le parole: ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni di parte corrente, relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 20 milioni di euro a decorrere dal 2016.
1. 67. Rampelli, Cirielli, Molteni.

  Dopo il comma 342 aggiungere i seguenti:
  342-bis. Sono istituite, ai sensi dell'articolo 1, comma 340, della legge 24 dicembre 2006, n. 296, zone franche, in via sperimentale e temporanea, per un periodo non inferiore a tre anni, nei territori dei comuni di Trieste, Gorizia, Monfalcone, Cividale del Friuli e Tarvisio, al fine di contrastare la situazione di svantaggio di tali realtà territoriali dovute alla concorrenza di regimi più vantaggiosi, in particolare quelli fiscali che vigono negli Stati confinanti.
  342-ter. Agli oneri derivanti dal comma precedente si provvede mediante l'apposito Fondo istituito dal Ministero dello sviluppo economico, che provvede al finanziamento di programmi di intervento, ai sensi dell'articolo 1, comma 342, della legge 24 dicembre 2006, n. 296.
1. 68. (ex 1. 33. 370.) Prodani, Rizzetto, Mucci, Barbanti, Sandra Savino.

  Al comma 344, sostituire il terzo ed il quarto periodo con i seguenti: All'articolo 15 comma 1 della legge n. 152 del 2001 sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «A decorrere dall'esercizio 2016, la vigilanza sull'attività trasmessa in via telematica con gli enti previdenziali si esercita esclusivamente con certificazioni rese dagli enti medesimi. In conseguenza dell'introduzione del sistema semplificato di ispezione di cui al presente comma, effettuata utilizzando le informazioni in possesso degli enti previdenziali trasmessa per via telematica, sono ridotti di 15 milioni di euro annui i relativi stanziamenti destinati alla certificazione dell'attività degli istituti di cui al comma 1 dell'articolo 13 della legge 30 marzo 2001, n. 152.».

  Conseguentemente, al comma 551, aggiungere, in fine, le parole: ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni di parte corrente, relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 16 milioni di euro a decorrere dal 2017.
1. 69. (vedi 1. 33. 16.) Vaccaro.

  Dopo il comma 363, aggiungere i seguenti:
  363-bis. Al fine di misurare, riconoscere e colmare gli svantaggi economici e infrastrutturali derivanti dall'insularità della Sardegna lo Stato d'intesa con la regione autonoma della Sardegna finanzia l'articolo 13 della legge costituzionale n. 3 del 26 febbraio 1948 – Statuto speciale per la Sardegna.
  363-ter. Lo Stato su proposta e d'intesa con la regione Sardegna, entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge, predispone un Piano attuativo riequilibrio insulare Sardegna (P.A.R.I.S) che individui parametri oggettivi in grado di misurare il divario insulare e definisca le misure economiche, infrastrutturali, fiscali e sociali per colmare tale divario.
  363-quater. Il piano dovrà contenere misure economiche e fiscali tese ad abbattere in particolar modo:
   a) il divario in materia di trasporti, aerei e marittimi, passeggeri e merci, nei collegamenti da e per la Sardegna;
   b) il divario infrastrutturale da colmare attraverso la realizzazione della Piastra Logistica EuroMediterranea della Sardegna con la connessione viaria e ferroviaria tra i porti e gli aeroporti dell'isola;
   c) il divario economico per le attività produttive legato al costo energetico e ai principali fattori della produzione endogena legati al divario insulare.

  363-quinquies. Nell'ambito dell'attuazione del piano decennale di riequilibrio insulare la Sardegna è riconosciuta per cinque anni, prorogabili, una Zona franca insulare alla Produzione in attuazione delle disposizioni vigenti. A tal fine il Ministro dell'economia e delle finanze entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge emana, d'intesa con la regione Sardegna, un decreto attuativo della Zona franca insulare.
  363-sexies. Nell'ambito dell'attuazione del P.A.R.I.S., l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico predispone direttive tese al riconoscimento di un costo energetico per le industrie energivore pari al minimo costo europeo dell'energia elettrica per tale tipologia di impianti e riconosce in virtù dell'insularità alle centrali elettriche della Sardegna il regime di essenzialità insulare.
  363-septies. A tal fine sono stanziati 200.000.000 di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018.

  Conseguentemente, dopo il comma 554, aggiungere il seguente:
  554-bis. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze i regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale di cui all'allegato A della nota integrativa al bilancio di previsione relativa alla Tabella 1 dello Stato di previsione delle entrate prevista ai sensi dell'articolo 21, comma 11, lettera a), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, che appaiono, in tutto o in parte, ingiustificati o superati alla luce delle mutate esigenze sociali o economiche ovvero che costituiscono una duplicazione, sono modificati; soppressi o ridotti, a decorrere dall'anno 2016 al fine di assicurare maggiori entrate pari a 200 milioni di euro, a copertura degli oneri derivanti dai commi da 363-bis a 363-septies. Nei casi in cui la disposizione del primo periodo del presente comma non sia suscettibile di diretta e immediata applicazione, con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità tecniche per l'attuazione del presente comma con riferimento ai singoli regimi interessati.
1. 70. (ex 1. 33. 352.) Pili.

  Sostituire il comma 369, con il seguente:
369. Il Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre, 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, è ridotto di 5,201 milioni di euro per l'anno 2016 ed è incrementato di 39,604 milioni di euro per l'anno 2017, di 90,504 milioni di euro per l'anno 2018, di 177,294 milioni di euro per l'anno 2019, di 180,494 milioni di euro per l'anno 2020, di 177,594 milioni di euro per l'anno 2021, di 186,794 milioni di euro per l'anno 2022, 197,294 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023, 2024, 2025 e 2026, di 245,894 milioni di euro per l'anno 2027 e di 226,084 milioni di euro a decorrere dall'anno 2028.

  Conseguentemente, al comma 548-duodevicies, ultimo periodo, sostituire le parole: 110 milioni di euro per l'anno 2016 con le seguenti: 100 milioni di euro per l'anno 2016.
1. 4023. Governo.
(Approvato)

  Al comma 370, sostituire le parole: 10 milioni di euro annui a decorrere dal 2016 con le seguenti: 20 milioni di euro per l'anno 2016 e 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017.

  Conseguentemente,

  dopo il comma 545, aggiungere il seguente:
    545-bis. Le maggiori entrate derivanti dal comma 545 sono pari a 12 milioni di euro.
   alla Tabella A, voce Ministero dell'economia e delle finanze, apportare le seguenti variazioni:
  2016:
  CP + 2.000.000; CS + 2.000.000.
  2017:
  CP + 12.000.000; CP + 12.000.000.
  2018:
  CP + 12.000.000; CP + 12.000.000.
1. 4024. Governo.
(Approvato)

  Al comma 371, primo periodo, sostituire le parole da:, con priorità per i percorsi fino a: (Ciclovia VENTO) con le seguenti: così come individuate dalla delibera CIPE, 1 febbraio 2001, nel progetto Bicitalia-Rete ciclabile nazionale, con priorità per i percorsi Verona-Firenze (Ciclovia del Sole), Venezia-Torino (Ciclovia VENTO), Caposele-Leuca (ciclovia dell'Acquedotto Pugliese).
1. 74. De Lorenzis, Nicola Bianchi, Carinelli, Dell'Orco, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Cariello, L'Abbate.

  Al comma 371, primo periodo, dopo le parole: (Ciclovia VENTO) aggiungere le seguenti:, da Caposele (AV) a Santa Maria di Leuca (LE) attraverso la Campania, la Basilicata e la Puglia (Ciclovia dell'acquedotto pugliese).
1. 75. Capone, Mariano, Ginefra, Vico, Mongiello, Michele Bordo, Cassano, Massa, Grassi, Ventricelli, Losacco, Pelillo, Capozzolo, Antezza.

  Al comma 371, primo periodo, dopo le parole: (Ciclovia VENTO) aggiungere le seguenti:, da Caposele (AV) a Santa Maria di Leuca (LE) attraverso la Campania, la Basilicata e la Puglia (Ciclovia dell'acquedotto pugliese).
*1. 74.(Testo modificato nel corso della seduta) De Lorenzis, Nicola Bianchi, Carinelli, Dell'Orco, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Palese, Realacci.
(Approvato)

  Al comma 371, primo periodo, dopo le parole: (Ciclovia VENTO) aggiungere le seguenti:, da Caposele (AV) a Santa Maria di Leuca (LE) attraverso la Campania, la Basilicata e la Puglia (Ciclovia dell'acquedotto pugliese).
*1. 75.(Testo modificato nel corso della seduta) Capone, Mariano, Ginefra, Vico, Mongiello, Michele Bordo, Cassano, Massa, Grassi, Ventricelli, Losacco, Pelillo, Realacci, Antezza.
(Approvato)

  Dopo il comma 387, aggiungere il seguente:
  387.1. Il Ministero dell'economia e delle finanze, prima di procedere a qualsiasi iniziativa di alienazione di quote o di aumento di capitale riservato al mercato del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. o di altre società direttamente o indirettamente di proprietà dello Stato, presenta al Parlamento una relazione che evidenzia in modo puntuale l'impatto economico, industriale, occupazionale e sociale derivante dal piano di privatizzazione e contenente, in particolare;
   1) i dati finanziari e industriali degli effetti della alienazione o dell'aumento di capitale sulle società interessate e sul bilancio dello Stato;
   2) la minore spesa per interessi sul debito pubblico che si verrebbe a conseguire qualora le risorse raccolte mediante l'alienazione risultino dedicate alla riduzione di debito pubblico;
   3) i minori dividendi versati al bilancio dello Stato in conseguenza dell'alienazione;
   4) gli effetti dell'alienazione o dell'aumento di capitale riservato al mercato sul piano industriale della società interessata o di altre società dei gruppo al quale la società interessata fa riferimento;
   5) l'impatto sull'assetto proprietario e sulla governance delle società coinvolte nell'alienazione o nell'aumento di capitale riservato al mercato e l'evidenziazione dei connessi rischi di perdita di controllo da parte dello Stato di società direttamente o indirettamente da esso controllate;
   6) l'indicazione delle modalità attraverso le quali utilizzare le risorse raccolte attraverso l'alienazione di quote o attraverso l'aumento di capitale di società direttamente o indirettamente di proprietà dello Stato per finanziare iniziative di sviluppo industriale e occupazionale delle società interessate.
1. 78. (ex 1. 33. 237.) Franco Bordo, Fassina, Marcon, Melilla, Pannarale.

  Dopo il comma 387, aggiungere il seguente:
  387.1. Qualora entro il 31 dicembre 2016 si proceda all'alienazione di quote o di aumento di capitale riservato al mercato del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. il Ministero dell'economia e delle finanze presenta al Parlamento una relazione che evidenzia in modo puntuale l'impatto economico, industriale e occupazionale derivante dalla privatizzazione nella quale sono indicati in particolare;
   1) i dati finanziari e industriali degli effetti della alienazione o dell'eventuale aumento di capitale sulle società interessate e sul bilancio dello Stato;
   2) la minore spesa per interessi derivante dall'utilizzo per la riduzione del debito pubblico delle risorse incassate dall'alienazione;
   3) i minori dividendi versati al bilancio dello Stato in conseguenza dell'alienazione;
   4) gli effetti dell'alienazione o dell'aumento di capitale riservato al mercato sul piano industriale del gruppo.
1. 78. (ex 1. 33. 237.) (Testo modificato nel corso della seduta) Franco Bordo, Fassina, Marcon, Melilla, Pannarale.
(Approvato)

  Dopo il comma 392, aggiungere il seguente:
  392.1. Dopo il comma 9-bis dell'articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183, e successive modificazioni, è aggiunto il seguente:
  «9-ter. Per gli anni 2016, 2017 e 2018, nel saldo finanziario in termini di competenza mista rilevante ai fini della verifica del patto di stabilità interno, non sono considerati, per un importo complessivo di 1,2 miliardi all'anno, gli interventi effettuati da province e comuni in materia di edilizia scolastica».

  Conseguentemente, al comma 551, aggiungere, in fine, le parole: ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni di parte corrente, relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 1.200 milioni di euro dal 2016 al 2018.
1. 79. (ex 1. 34. 79.) Matteo Bragantini, Caon, Marcolin, Prataviera.

  Al comma 409, sostituire le parole: «ai sensi dei commi 424, 425 e 426» con le parole: «ai sensi dei commi 424, 425, 426 e 427».
1. 4014. Governo.
(Approvato)

  Al comma 417, aggiungere, in fine, il seguente periodo: La disposizione di cui al primo periodo si applica anche nel caso di mancata trasmissione da parte di ciascun ente locale della relazione di cui al comma 12-quater dell'articolo 142 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
1. 81. (ex 1. 35. 69.) Baldelli, Sandra Savino, Giacomoni.

  Al comma 427, dopo il terzo periodo, aggiungere il seguente: Gli spazi finanziari resi disponibili sono prioritariamente attribuiti agli enti che hanno fatto richiesta ed in proporzione all'avanzo di amministrazione libero e destinato agli investimenti, risultante dall'approvazione del rendiconto dell'anno 2015, sempreché tale somma sia inferiore al saldo di cassa positivo risultante al 31 dicembre 2015.
1. 82. (ex *1. 35. 231.) Prataviera, Caon, Matteo Bragantini, Marcolin.

  Sopprimere il comma 429-quater.
1. 83. De Rosa, Mannino, Busto, Daga, Micillo, Terzoni, Zolezzi, Caso, Brugnerotto, Cariello, Castelli, D'Incà, Sorial, Pellegrino, Tripiedi.

  Al comma 429-quater, sopprimere le parole e delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.
1. 1638. Mannino, De Rosa, Busto, Daga, Micillo, Terzoni, Zolezzi.

  Al comma 429-quater, dopo le parole in materia edilizia, aggiungere le parole: fatta eccezione per le sanzioni di cui all'articolo 31, comma 4-bis.
1. 1638.(Testo modificato nel corso della seduta) Mannino, De Rosa, Busto, Daga, Micillo, Terzoni, Zolezzi.
(Approvato)

  Al comma 439, aggiungere, in fine, le parole: e riservando una quota non inferiore al 5 per cento degli oneri di cui al presente comma a progetti e interventi volti allo sviluppo della mobilità ciclistica, all'estensione delle piste ciclabili, all'integrazione modale bici e trasporto pubblico e collettivo, alla realizzazione di aree di sosta e di parcheggio per biciclette negli edifici scolastici e in quelli adibiti a pubbliche funzioni.
1. 84. (ex 1. 38. 79.) Cristian Iannuzzi.

  Al comma 439-decies, sostituire le parole: 12 milioni con le seguenti: 9 milioni;

  Conseguentemente, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Per l'anno 2016 la dotazione del Fondo di solidarietà comunale di cui al comma 380-ter dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, da ripartire sulla base dei criteri di cui ai punti da 1) a 3) della lettera. B) del medesimo comma 380-ter, è ridotta di 9 milioni di euro.
1. 4015. Governo.
(Approvato)

Subemendamento all'emendamento 1.4016 del Governo

  All'emendamento 1. 4016 del Governo, sostituire la parte principale con la seguente:
  Al comma 440, al primo periodo, sostituire le parole
: 100 milioni con le seguenti: 60 milioni e, al terzo periodo, sostituire le parole: 30 per cento con le seguenti: 66 per cento.

  Conseguentemente:
   alla parte consequenziale relativa al quarto periodo, sostituire le parole:
il fondo è finalizzato con le seguenti: la restante quota del 34 per cento del fondo è finalizzata.
   alla parte consequenziale relativa al quinto periodo, sostituire le parole: il predetto fondo è ripartito con le seguenti: la predetta quota del 34 per cento del fondo di cui al presente comma è ripartita.
0. 1. 4016. 1. Marchi, Cinzia Maria Fontana.
(Approvato)

  Al comma 440, sopprimere il terzo periodo.

  Conseguentemente, al medesimo comma:
   al quarto periodo sostituire le parole
: la restante quota del 70 per cento del fondo è finalizzata con le seguenti: il fondo è finalizzato;
   al quinto periodo sostituire le parole: la predetta quota del 70 per cento del fondo di cui al presente comma è ripartita con le seguenti: il predetto fondo è ripartito;
   sopprimere l'ultimo periodo.
1. 4016. Governo.
(Approvato)

  Al comma 449, sostituire le lettere g), h) e i) con la seguente:
  g) l'articolo 3 è sostituito dal seguente:
  «Art. 3. – (Procedimento). – 1. La domanda di equa riparazione si propone dinanzi alla corte di appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata.
  2. La domanda si propone con ricorso depositato nella cancelleria della corte di appello, sottoscritto da un difensore munito di procura speciale e contenente gli elementi di cui all'articolo 125 del codice di procedura civile.
  3. Il ricorso è proposto nei confronti del Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario, del Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice Militare. Negli altri casi è proposto nei confronti del Ministro dell'economia e delle finanze.
  4. La corte di appello provvede ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione della camera di consiglio, è notificato, a cura del ricorrente, all'amministrazione convenuta, presso l'Avvocatura dello Stato. Tra la data della notificazione e quella della camera di consiglio deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni.
  5. Le parti hanno facoltà di richiedere che la corte disponga l'acquisizione in tutto o in parte degli atti e dei documenti del procedimento in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'articolo 2 ed hanno diritto, unitamente ai loro difensori, di essere sentite in camera di consiglio se compaiono. Sono ammessi il deposito di memorie e la produzione di documenti sino a cinque giorni prima della data in cui è fissata la camera di consiglio, ovvero sino al termine che è a tale scopo assegnato dalla corte a seguito di relativa istanza delle parti.
  6. La corte pronuncia, entro quattro mesi dal deposito del ricorso, decreto impugnabile per cassazione. Il decreto è immediatamente esecutivo».
1. 85. (vedi 1. 39. 27.) Colletti, Ferraresi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Sarti, Caso, Cariello, Castelli, Brugnerotto, D'Incà, Sorial.

  Sopprimere i commi 452-bis e 452-ter.
1. 86. Nicchi, Costantino, Quaranta, Gregori, Pannarale, Ricciatti, Duranti, Daniele Farina, Sannicandro, Marzano, Pellegrino, Civati, Brignone, Andrea Maestri, Pastorino, Martelli, Locatelli.

  Al comma 452-bis, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Per l'istituzione di detto percorso si provvede nell'ambito delle risorse finanziarie, umane e strumentali previste a legislazione vigente.
1. 4017. Governo.
(Approvato)

  Al comma 452-ter, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Ai partecipanti ai predetti gruppi multidisciplinari non è prevista l'erogazione di indennità, gettoni, rimborsi o altri emolumenti.
1. 4018. Governo.
(Approvato)

  Al comma 471-bis, sostituire le parole: utilizzando le somme con le seguenti: utilizzando le risorse a tal fine preordinate al medesimo sito di interesse nazionale «Bussi sul Tirino»,.
1. 4019. Governo.
(Approvato)

  Al comma 471-ter, primo periodo, sostituire le parole: pubblici a tempo determinato con le seguenti: pubblici a tempo indeterminato;

  Conseguentemente, al medesimo comma, al secondo periodo, sopprimere le parole: al fine di dare vita ad apposito ruolo tecnico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare,
1. 4020. Governo.
(Approvato)

  Al comma 489, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Il divieto di assunzione di personale di cui al comma 2 dell'articolo 41 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, limitatamente alle sanzioni erogate nei precedenti anni, non si applica ai soggetti che allo stato risultano essere vincitori di concorso.
1. 87. (ex 1. 42. 44.) Barbanti, Prodani, Mucci, Rizzetto.

  Dopo il comma 490, aggiungere il seguente:
  490-bis. Il 30 per cento delle risorse del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni ed integrazioni è riservato agli interventi in controgaranzia del Fondo.
1. 88. (ex *1. 42. 18.) Galgano, Librandi.

  Dopo il comma 491 aggiungere i seguenti:
  491.1. È istituito nello stato previsionale del Ministero dell'economia e delle finanze, un fondo gestito dallo stesso Ministero, denominato «Fondo Sociale per la Città di Taranto», con una dotazione finanziaria di 40 milioni di euro per l'anno 2016, la cui durata è strettamente legata agli anni di commissariamento Ilva.

  491.1.1. Finalità del fondo:
   a) defiscalizzazione nuove attività imprenditoriali legate alla green economy;
   b) sussidi economici ai lavoratori dipendenti Ilva in cassa integrazione, e ai lavoratori dell'indotto;
   c) destinazione di risorse agli imprenditori e lavoratori del settore primario le cui attività sono state penalizzate dall'inquinamento.

  491.1.1. Il Ministro dell'economia e delle finanze definisce con proprio decreto, da emanarsi, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le modalità per l'accesso al fondo di cui al comma 491.1.
  Conseguentemente, al comma 551 aggiungere, in fine, le parole:, ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni di parte corrente relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 40 milioni di euro per il 2016.
1. 89. (ex 1. 42. 60.) Labriola.

  Sostituire i commi da 491-bis a 491-quaterdecies con i seguenti:
  491-bis. Al fine di conseguire gli obiettivi di rafforzamento patrimoniale di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., di Banca delle Marche S.p.A., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti S.p.A., (di seguito «Banche»), il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (di seguito «Fondo»), su specifica richiesta delle Banche provvede a sottoscrivere, fino al 1o gennaio 2017, strumenti finanziari computabili nel patrimonio di vigilanza fino al valore della riduzione del capitale rappresentato da azioni, anche non computate nel capitale regolamentare, e del valore degli elementi di classe 2 computabili nei fondi propri, a seguito dell'avvio della procedura di risoluzione, fatta eccezione degli investitori istituzionali. Gli strumenti finanziari hanno una durata massima di 5 anni.
  491-ter. Il Ministero dell'economia e delle finanza (di seguito «Ministero»), ai sensi degli articoli 70 e seguenti del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni ed integrazioni, dispone un nuovo commissariamento individuando, con decreto, i commissari straordinari.
  491-quater. La sottoscrizione degli strumenti finanziari è consentita solo dopo la predisposizione di un piano di ristrutturazione da parte dei commissari straordinari sottoposto alla valutazione ed approvazione del Ministero e del Fondo. Per il tempo necessario all'attuazione del Piano di ristrutturazione le Banche non possono acquisire, direttamente o indirettamente, nuove partecipazioni in banche, in intermediari finanziari e in imprese di assicurazione e di riassicurazione.
  491-quinquies. Le Banche non possono distribuire bonus monetari e stock options agli organi di amministrazione e controllo, al direttore generale ed agli alti dirigenti, nonché non possono prevedere meccanismi di remunerazione ed incentivazione a favore del personale dipendente e dei promotori finanziari delle Banche. In caso di inosservanza delle disposizioni di cui al presente comma si applica al beneficiario del premio o della somma una sanzione amministrativa pecuniaria pari al valore complessivo del premio o della somma ricevuta che verrà versata al Fondo.
  491-sexies. A decorrere dalla data di sottoscrizione degli strumenti finanziari le Banche non possono deliberare o effettuare distribuzione di dividendi ordinari o straordinari.
  491-septies. Le Banche corrispondono un interesse sugli strumenti finanziari pari al 3 per cento annuo pagato in forma monetaria.
  491-octies. Alla scadenza contrattuale degli strumenti finanziari la mancata corresponsione del capitale ovvero degli interessi maturati ne determina la conversione in azioni ordinarie di nuova emissione.
  491-novies. Nell'ipotesi di incapienza del Fondo le banche aventi sede legale in Italia e le succursali italiane di banche comunitarie ed extracomunitarie versano contributi addizionali al medesimo Fondo entro il limite del valore degli strumenti finanziari di cui al comma 491-bis. In caso di inadempimento si applica una sanzione pari al doppio del contributo da versare ai sensi delle disposizioni di cui al presente comma che verrà integralmente versata al medesimo Fondo.
  491-decies. La Banca d'Italia ed il Fondo entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge provvedono ad apportare le dovute modifiche allo Statuto del Fondo ed a ricevere l'autorizzazione dalla Banca centrale europea al fine di attuare le disposizioni di cui al precedente comma.
  491-undecies. Le Banche hanno la facoltà di rimborso o riscatto, a condizione che l'esercizio della facoltà di rimborso o riscatto sia autorizzato dal Ministero avendo riguardo alle condizioni finanziarie e di solvibilità delle Banche.
  491-duodecies. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni di attuazione dei commi da 491-bis a 491-quaterdecies.
  491-terdecies. Il decreto legge 22 novembre 2015, n. 183 è abrogato. Sono nulli gli atti e i provvedimenti adottati e sono nulli gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto legge n. 183 del 2015.
  491-quaterdecies. Al comma 3, dell'articolo 4, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, convertito legge, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 2014, n. 5, sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) le parole «6 per cento» sono sostituite dalle seguenti: «3 per cento»;
   b) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Una quota di dividendi annuali, a valere sugli utili netti, per un importo non superiore al 3 per cento del capitale è destinato al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi fino a concorrenza del valore degli strumenti finanziari di cui al comma 491-bis».

  491-quaterdecies.1. Le disposizioni di cui all'articolo 35, comma 3, del decreto legislativo n. 180 del 2015 non si applicano per Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., di Banca delle Marche S.p.A., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti S.p.A.
1. 90. Villarosa, Pesco, Alberti, Ruocco, Pisano, Fico, Agostinelli, Cecconi, Terzoni, Castelli, Caso, D'Incà, Brugnerotto, Cariello, Sorial.

  Dopo il comma 491-bis, aggiungere il seguente:
  491-bis.1. I soggetti che hanno subito la riduzione del valore nominale degli elementi di classe 2 computabili nei fondi propri, di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., di Banca delle Marche S.p.A., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti S.p.A., a seguito dell'avvio della procedura di risoluzione, fatta eccezione degli investitori istituzionali, hanno diritto di ricevere un indennizzo, pari al valore complessivo della riduzione, il cui onere è a carico del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Nell'ipotesi di incapienza del Fondo le banche aventi sede legale in Italia e le succursali italiane di banche comunitarie ed extracomunitarie versano contributi addizionali al medesimo Fondo entro il limite complessivo pari al valore nominale dei suddetti elementi di classe 2. In caso di inadempimento si applica una sanzione pari al doppio del contributo da versare ai sensi delle disposizioni di cui al presente comma che verrà versata al medesimo Fondo. La Banca d'Italia ed il Fondo entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge provvedono ad apportare le dovute modifiche allo Statuto del Fondo ed a ricevere l'autorizzazione dalla Banca centrale europea al fine di attuare le disposizioni di cui al presente comma.
1. 91. Pesco, Alberti, Villarosa, Ruocco, Pisano, Fico, Agostinelli, Cecconi, Terzoni, Castelli, Caso, D'Incà, Brugnerotto, Cariello, Sorial, Giorgia Meloni.

  Dopo il comma 491-quinquies aggiungere il seguente:
  491-quinquies.1. All'articolo 35 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, il comma 3 è sostituito dal seguente:
  «3. È fatto obbligo ai commissari speciali di esercitare l'azione sociale di responsabilità e quella dei creditori sociali contro i membri degli organi amministrativi e di controllo e il direttore generale, l'azione contro il soggetto incaricato della revisione legale dei conti, nonché l'azione del creditore sociale contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento. In mancanza di loro nomina, l'esercizio dell'azione spetta al soggetto a tal fine designato dalla Banca d'Italia».

1. 92. Paglia, Scotto, Marcon, Melilla.

  Al comma 491-sexiesdecies, primo periodo, sostituire le parole da:, sulla base delle esigenze finanziarie fino alla fine del comma con le seguenti: dal Fondo interbancario di tutela dei depositi e dalle plusvalenze derivanti dalla cessione di azioni, partecipazioni, diritti, nonché attività e passività delle banche in risoluzione, fino al completo ristoro degli obbligazionisti subordinati.

  Conseguentemente:
  sostituire il comma 491-
undevicies, con il seguente:
  491-undevicies. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sono stabiliti i requisiti per la nomina degli arbitri presso collegi arbitrali già esistenti, per lo più situati presso le Camere di commercio.

  dopo il comma 491-vicies semel, aggiungere i seguenti:
  491-vicies bis. In alternativa alle procedure giudiziali ed extragiudiziali previste dalle presenti disposizioni speciali, gli investitori di cui al comma 491-bis possono richiedere, in ragione del credito vantato nei confronti delle banche in risoluzione, l'emissione di warrant che diano diritto alla sottoscrizione delle azioni degli enti-ponte di cui al medesimo comma 491-bis.
  491-vicies ter: Gli amministratori delle banche sottoposte a procedura di risoluzione sono oggetto di misure di natura cautelare e conservativa oltre che per iniziativa degli investitori anche di ufficio da parte della Banca d'Italia e della Consob. I provvedimenti cautelari e conservativi di cui sopra possono riguardare anche quei beni che gli amministratori delle banche in risoluzione, nello svolgimento del mandato gestionale, hanno estraniato dalla propria disponibilità ma di cui risultano essere titolari anche per interposta persona fisica o giuridica. Gli amministratori delle banche in risoluzione non possono più ricoprire incarichi della medesima natura all'interno di banche ed intermediari finanziari.
1. 93. Brunetta, Alberto Giorgetti, Milanato, Prestigiacomo, Bergamini, Polverini, Occhiuto, Rampelli, Sandra Savino, Giacomoni.

  Al comma 491-sexiesdecies, dopo il primo periodo, aggiungere il seguente: Per l'anno 2016 una quota di 300.000.000 di euro degli utili netti di cui al comma 3 dell'articolo 4 del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, convertito con modificazioni dalle legge 29 gennaio 2014, n. 5, è destinato al Fondo di cui al comma 491-quinquiesdecies.
1. 94. (vedi 0. 1. 42. 75. 52.) Pastorino, Baldassarre, Artini, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri.

  Sostituire il comma 491-vicies con il seguente:
  
491-vicies. Si fa salvo il diritto al risarcimento del danno come disciplinato dal codice civile e relativamente al diritto del risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale degli obbligazionisti subordinati non si applicano le disposizioni del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, una deroga al codice civile. Il Fondo di solidarietà è surrogato nel diritto dell'investitore al risarcimento del danno, salvo i casi di responsabilità personale dei dirigenti e dei funzionari in merito alla mancata osservanza degli obblighi previsti dall'articolo 21 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Tutti coloro che hanno subito una diminuzione o una riduzione di capitale degli strumenti finanziari emessi dalle banche in risoluzione possono comunque promuovere un'azione di classe ai fini del risarcimento del danno secondo le modalità e i principi stabiliti dall'articolo 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206. Resta salva altresì l'applicazione dell'articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180.
1. 95. Guidesi, Busin, Fedriga.

  Dopo il comma 491-vicies semel, aggiungere il seguente:
  491-vicies bis. In alternativa alle procedure giudiziali ed extragiudiziali previste dalle presenti disposizioni speciali, gli investitori di cui al comma 491-bis possono richiedere, in ragione del credito vantato nei confronti delle banche in risoluzione, l'emissione di warrant che diano diritto alla sottoscrizione delle azioni degli enti-ponte di cui al medesimo comma 491-bis.
1. 96. Paglia, Scotto, Melilla, Marcon.

  Dopo il comma 491-vicies semel, aggiungere il seguente:
  491-vicies bis. Allo scopo di prevenire situazioni pregiudizievoli a danno dei risparmiatori e degli investitori in situazioni analoghe a quelle verificatesi in relazione alle banche indicate al comma 491-bis, e al fine di assicurare la massima trasparenza, l'articolo 114 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applica anche ai casi disciplinati dal decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180.
1. 97. (ex 0. 1. 42. 75. 2.) Brunetta, Alberto Giorgetti, Prestigiacomo, Milanato, Polverini, Occhiuto, Rampelli, Sandra Savino, Giacomoni.

  Dopo il comma 491-vicies semel, aggiungere il seguente:
  491-vicies bis. Con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con la Banca d'Italia e la CONSOB, da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è vietata la vendita di obbligazioni subordinate, di strumenti finanziari derivati e di qualsiasi altro titolo rischioso agli investitori non istituzionali. Gli schemi dei decreti sono trasmessi entro 30 giorni, dalla data di entrata in vigore della presente legge alle Camere, affinché le Commissioni competenti, esprimano un parere vincolante entro 20 giorni dalla data di trasmissione.
1. 98. (ex 0. 1. 42. 75. 11.) Busin.

  Dopo il comma 496, aggiungere il seguente:
  496.1. La dotazione annuale complessiva del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle Regioni a statuto ordinario, di cui all'articolo 16-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, è incrementata a decorrere dall'anno 2016 di 74 milioni euro.

  Conseguentemente, al comma 551, aggiungere, in fine, le parole: ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni in conto corrente, relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 74 milioni di euro a decorrere dal 2016.
1. 99. (vedi 1. 43. 17.) Gregorio Fontana, Sandra Savino, Giacomoni.

  Al comma 496-quinquies, sostituire le parole: in gestione diretta e in convenzione con l'ANAS con le seguenti: in gestione diretta di ANAS.
1. 4021. Governo.
(Approvato)

  Dopo il comma 499 aggiungere il seguente:
  499.1. A decorrere dal 1o gennaio 2016, sulle somme dovute per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, risultanti da fatture emesse dal 1o gennaio 2016, la certificazione di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, è estesa anche agli interessi maturati sino alla data in cui è emessa la certificazione.

  Conseguentemente al comma 551, aggiungere, infine, le parole:, ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni di parte corrente, relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 300 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2016-2018.
1. 100. (ex 1. 44. 33.) Ruocco, Castelli, Caso, Brugnerotto, Cariello, D'Incà, Sorial.

  Sostituire il comma 499-novies con il seguente:
  499-novies. Una quota non inferiore al 20 per cento delle risorse disponibili del fondo di garanzia di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, è riservata alle imprese localizzate nelle regioni di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna;

  Conseguentemente, sopprimere il comma 499-decies.
1. 4025. Governo.
(Approvato)

  Dopo il comma 515, aggiungere il seguente:
  515.1. Al fine di sostenere il settore lattiero caseario, la dotazione del fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti di cui all'articolo 58 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, è incrementata di 30 milioni di euro per l'anno 2016 da destinare all'acquisto di formaggi italiani DOP ed IGP.

  Conseguentemente, dopo il comma 544, aggiungere il seguente:
  544-bis. Per l'anno 2016 è istituita una imposta di bollo sui trasferimenti di denaro o moneta all'estero attraverso istituti bancari, agenzie di trasferimento money transfer ed altri agenti in attività finanziaria. L'imposta è dovuta in misura pari allo 0,6 per cento dell'importo trasferito con ogni singola operazione. L'intermediario bancario o finanziario che esegue il trasferimento opera una ritenuta a titolo d'imposta, con obbligo di rivalsa sui soggetti che trasferiscono denaro, all'atto della singola operazione di trasferimento.
1. 101. (ex 1. 47. 54.) Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Caso, Brugnerotto, Cariello, Castelli, D'Incà, Sorial.

  Al comma 516, terzo periodo, sostituire le parole: presente comma con le seguenti: precedente periodo.
1. 4022. Governo.
(Approvato)

  Dopo il comma 535 aggiungere il seguente:
  535-bis. Al comma 133 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Una quota delle risorse di cui al primo periodo, nel limite di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017, è destinata a progetti sperimentali nel campo del recupero delle dipendenze in particolare delle dipendenze «sine materia», ivi compresa la ludopatia, nonché all'adozione di una campagna di comunicazione pubblica televisiva volta a sensibilizzare i cittadini sui problemi derivanti dal gioco patologico, prevedendo altresì che la trasmissione dei relativi spot sia effettuata immediatamente dopo quella degli spot del gioco online.».
1. 104. (ex 1. 48. 17.) Binetti, Palese.

  Al comma 548-bis, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Un quinto dell'importo della suddetta dotazione finanziaria è destinato al rafforzamento della formazione del personale dei dipartimenti e delle sezioni della polizia postale, nonché all'aggiornamento della tecnologia dei macchinari e delle postazioni informatiche.

  Conseguentemente, al comma 548-ter, primo periodo, sopprimere le parole: in via prioritaria.
1. 2146. (ex 0. 1. 1. 1. 75.) Lombardi, Nesci, Dieni, Nuti, Cecconi, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Toninelli, Castelli, Caso, Sorial, D'Incà, Brugnerotto, Colonnese.

  Al comma 548-bis, dopo il primo periodo aggiungere il seguente: Un decimo della dotazione finanziaria del fondo di cui al presente comma è destinato al rafforzamento della formazione del personale del servizio polizia postale e delle comunicazioni, nonché all'aggiornamento della tecnologia dei macchinari e delle postazioni informatiche.
1. 2146.(Testo modificato nel corso della seduta) (ex 0. 1. 1. 1. 75.) Lombardi, Nesci, Dieni, Nuti, Cecconi, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Toninelli, Castelli, Caso, Sorial, D'Incà, Brugnerotto, Colonnese.
(Approvato)

  Al comma 548-quater, primo periodo, sostituire le parole: 50 milioni con le seguenti: 100 milioni.

  Conseguentemente, al comma 551, aggiungere, in fine, le parole: ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni in conto corrente, relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 50 milioni di euro per l'anno 2016.
1. 71. Rampelli, Cirielli.

  Al comma 548-quater, dopo il primo periodo aggiungere il seguente: Per il rinnovo e l'adeguamento della dotazione di giubbotti antiproiettile della polizia di Stato, è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per il 2016.

   Conseguentemente, al comma 551 aggiungere, in fine, le parole: ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni di parte corrente, relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 10 milioni di euro per l'anno 2016.
1. 2154. Nuti, Lombardi, Cozzolino, Cecconi, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Toninelli, Nesci, Luigi Di Maio, Caso, Castelli, Brugnerotto, Cariello, D'Incà, Sorial.

  Al comma 548-quater, dopo il primo periodo aggiungere il seguente: Per il rinnovo e l'adeguamento della dotazione di giubbotti antiproiettile della polizia di Stato, è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per il 2016.

   Conseguentemente, dopo il comma 548-quater, aggiungere il seguente:
  548-quater.1 Alla copertura degli oneri derivanti dal comma 548-quater, pari a 10 milioni di euro per l'anno 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
1. 2154.(Testo modificato nel corso della seduta) Nuti, Lombardi, Cozzolino, Cecconi, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Toninelli, Nesci, Luigi Di Maio, Caso, Castelli, Brugnerotto, Cariello, D'Incà, Sorial.

  Al comma 548-sexies, aggiungere, in fine, le seguenti parole:; le forze speciali di cui al presente comma sono definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
1. 106. (ex 0. 1. 1. 1. 92.) Tofalo, Frusone, Caso, Castelli, Sorial, D'Incà, Brugnerotto, Cariello.

  Al comma 548-septies, primo periodo, sostituire le parole: 960 euro su base annua con le seguenti: 1.360 euro su base annua, a titolo di ristoro del potere d'acquisto perduto nel corso della recessione economica internazionale.

  Conseguentemente, al comma 551, aggiungere, in fine, le parole: ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni in conto corrente, relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a 400 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018.
1. 107. Molteni.

  Al comma 548-septies, quarto periodo, sostituire le parole: è autorizzata la spesa di 500 milioni di euro per l'anno 2016 con le seguenti: è autorizzata la spesa di 510,5 milioni di euro per l'anno 2016.
1. 4026. Governo.
(Approvato)

  Dopo il comma 548-septies, aggiungere i seguenti:
  548-septies.1. Per garantire gli standard operativi e i livelli di efficienza ed efficacia del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, la dotazione organica della qualifica di vigile del fuoco del predetto Corpo è incrementata di 814 unità. Conseguentemente la dotazione organica del ruolo dei vigili del fuoco di cui alla tabella A allegata al decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, e successive modificazioni, è incrementata di 700 unità.
  548-septies.2. Per la copertura dei posti portati in aumento nella qualifica di vigile del fuoco ai sensi del comma 246-bis, è autorizzata l'assunzione di un corrispondente numero di unità mediante il ricorso, in parti uguali, alle graduatorie di cui all'articolo 8 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125.
  548-septies.3. Gli oneri derivanti dalle disposizioni di cui ai commi 246-bis e 246-ter sono determinati nel limite della misura massima complessiva di euro 27 milioni per ciascuno degli anni 2016, 2017, 2018.

  Conseguentemente, al comma 551 aggiungere, in fine, le seguenti parole: , ivi comprese le variazioni di cui al periodo successivo. Le dotazioni relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla predetta Tabella C sono ridotte in maniera lineare per un importo pari a euro 27 milioni di euro annui per il triennio 2016-2018.
1. 2145. (ex 27. 204) Furnari, Labriola.

  Sostituire il comma 548-terdecies con il seguente:
  
548-terdecies. Al fine di aumentare il numero di studenti che si iscrivono a corsi universitari e di sostenere l'accesso agli studi avanzati degli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, a partire dal 2016, 290 milioni annui sono attribuiti alla Fondazione per il merito di cui all'articolo 9 del decreto-legge 14 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e confluiscono nel fondo per il merito di cui all'articolo 4 della legge 30 dicembre 2010, n. 240. La Fondazione destina prioritariamente, nell'ambito delle risorse a disposizione, una cifra pari almeno a 500 euro annui come contributo di studio a quanti si iscrivono a corsi universitari negli atenei italiani. I criteri di attribuzione del fondo sono stabiliti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze.

  Conseguentemente, al comma 548-quaterdecies, sostituire le parole: Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con le seguenti: Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
1. 108. (vedi 1. 17. 27.) Gelmini, Brunetta, Alberto Giorgetti, Milanato, Prestigiacomo, Sandra Savino, Giacomoni.

  Al comma 548-terdecies, primo periodo, sostituire le parole: i quali compiono diciotto anni di età nell'anno 2016 con le seguenti: che abbiano un'età compresa tra i 18 e i 20 anni nell'anno 2016 e che presentino un Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), relativo al proprio nucleo familiare, inferiore a 15.000 euro.

  Conseguentemente:
   al medesimo comma, secondo periodo, dopo le parole:
essere utilizzata aggiungere le seguenti: per il pagamento delle tasse universitarie,;
   al comma 548-quaterdecies, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Eventuali risparmi di spesa derivanti dalla parziale utilizzazione delle risorse di cui al periodo precedente sono destinati al Fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
1. 109. Luigi Gallo, Sibilia, Vacca, D'Uva, Simone Valente, Marzana, Brescia, Di Benedetto, Caso, Castelli, Sorial, D'Incà, Brugnerotto, Cariello.

  Al comma 548-terdecies, ultimo periodo, aggiungere, in fine, le parole: fermo restando che l'attribuzione della Carta avviene su espressa richiesta dell'avente diritto, mediante presentazione di apposita istanza contenente anche l'assunzione dell'impegno di svolgimento nel corso del 2016 di almeno una giornata intera di servizio volontario e non retribuito presso una Onlus o un ente territoriale.
1. 110. (ex 0. 1. 1. 1. 8.) Librandi, Palladino, Monchiero, Mazziotti Di Celso, Catalano.

TABELLA A

   Alla Tabella A, voce Ministero dell'economia e delle finanze, apportare le seguenti variazioni:
   2016: – 6.000.000;
   2017: – 6.000.000;
   2018: – 6.000.000.

   Conseguentemente, alla Tabella C, missione: Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, programma: Promozione e garanzia dei diritti e delle pari opportunità, voce: Ministero dell'economia e delle finanze, decreto-legge n. 93 del 2013, articolo 5-bis, comma 1: Incremento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità al fine dell'assistenza ed al sostegno delle donne vittime di violenza: (17.4 – cap. 2108/P), apportare le seguenti variazioni:
  2016:
   CP: + 6.000.000;
   CS: + 6.000.000.

  2017:
   CP: + 6.000.000;
   CS: + 6.000.000.

  2018:
   CP: + 6.000.000;
   CS: + 6.000.000.
Tab. A. 1. (ex 1. Tab. C. 7.) Galgano, Librandi, Rossomando, Dorina Bianchi, Milanato, Locatelli, Spadoni, Carfagna, Nicchi, Saltamartini.

  Alla Tabella A, voce Ministero dell'economia e delle finanze, apportare le seguenti variazioni:
   2016: – 184.976;
   2017: – 184.434;
   2018: – 184.434;

  Conseguentemente, alla Tabella D, missione L'Italia in Europa e nel Mondo, programma Coordinamento dell'amministrazione in ambito internazionale, voce: Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, decreto-legge n. 209 del 2008, articolo 1, comma 4, «Potenziamento di analisi e documentazione» (1.10 – cap. 1157), apportare le seguenti variazioni:
   2016:
    CP: + 184.976;
    CS: + 184.976.
   2017:
    CP: + 184.434;
    CS: + 184.434.
   2018:
    CP: + 184.434;
    CS: + 184.434.
Tab. A. 2. (ex *1. Tab. D. 5. e ex *1. Tab. D. 6.) Fedi, Garavini.
(Approvato)

TABELLA B

  Alla tabella B, sostituire le seguenti voci:

2016 2017 2018
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE 173.500.000  252.100.000  268.100.000 
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI
TRASPORTI
 –   –   – 
TOTALE ACCANTONAMENTI PER NUOVE
O MAGGIORI SPESE O RIDUZIONI DI ENTRATE
295.006.000  375.268.000  401.268.000 

Tab. B. 100. Il Governo.
(Approvato)

TABELLA C

  Alla Tabella C, Missione – Commercio internazionale ed internalizzazione del sistema produttivo, Programma – Sostegno all'internazionalizzazione delle imprese e promozione del made in Italy del Ministero dello sviluppo economico – legge n. 549 del 1995, articolo 1, comma 43: contributi ad enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi (4.2-Cap.2501/p), apportare le seguenti modificazioni:
  2016:
   CP: – 2.500.000;
   CS: – 2.500.000.
Tab. C. 100. Il Governo.
(Approvato)

TABELLA E

Subemendamenti all'emendamento TAB. E. 100 del Governo

  All'emendamento Tab. E. 100 sopprimere la seguente voce: Sistemi stradali, autostradali ed intermodali – Infrastrutture e trasporti legge n. 662 del 1996 art. 2 comma 88: completamento del raddoppio dell'autostrada A8 Torino-Savona (Set. 16) interventi per la viabilità ordinaria, speciale e di grande comunicazione (1.2 – cap. 7483).
0. Tab. E. 100. 1. Guidesi, Simonetti, Saltamartini.

  All'emendamento Tab. E. 100 sopprimere la seguente voce: Art. 32 comma 1 punto 5: accessibilità alla Valtellina: SS 38 Io lotto – variante di Morbegno IIo stralcio dallo svincolo di Corsio allo svincolo del Tartano (Set. 11) interventi nel settore dei trasporti (1.2 – cap. 7519).
0. Tab. E. 100. 2. Guidesi, Simonetti, Saltamartini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi.

  Alla lettera d), capoverso Sistemi stradali, autostradali e intermodali, Infrastrutture e trasporti, sopprimere la voce: «Decreto-legge n. 69 del 2013, articolo 18, comma 2, punto 6: somme da assegnare all'ANAS per l'asse di collegamento tra la SS 640 e la A19 Agrigento-Caltanissetta (set. 11) interventi nel settore dei trasporti (1.2 – cap. 7519».

  Conseguentemente, alla tabella E, Missione L'Italia in Europa e nel mondo, Programma Partecipazione italiana alla politica di bilancio in ambito UE voce Ministero dell'economia e delle finanze legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 170, apportare le seguenti variazioni:
  Rimodulazione:
   2016:
   CP – 76.558.497;
   CS: – 76.558.497.
0. Tab. E. 100. 3. Prestigiacomo, Occhiuto.

  Alla Tabella E, apportare le seguenti modificazioni:
   a) sostituire le seguenti voci e i relativi importi come segue:

2016   2017   2018   2019
e
successivi
anno
ter.
l.imp
Rapporti finanziari con Enti territoriali
  ECONOMIA E FINANZE
  Decreto-legge n. 148 del 1993 art. 3: interventi nei settori della manutenzione idraulica e forestale (Set. 19) difesa del suolo e tutela ambientale (2.5 – cap. 7499)
Legislazione vigente  cp 140.000.000 
 cs 140.000.000 
Riduzione  cp -30.000.000 
 cs -30.000.000 
Rifinanziamento  cp 20.000.000 
 cs 20.000.000 
Rimodulazione  cp -
 cs -
Legge di Stabilità  cp 130.000.000 
 cs 130.000.000 
2016   2017   2018   2019
e
successivi
anno
ter.
lim.
imp.
Politica economica e finanziaria
in ambito internazionale

  ECONOMIA E FINANZE
  Legge di stabilità n. 228 del 2012 art. 1 comma 170: banche e fondi (Set. 27) interventi diversi (3.2 – cap. 7175)
Legislazione vigente  cp 295.000.000  295.000.000  295.000.000  1.180.000.000 2042
 cs 140.000.000  295.000.000  295.000.000  1.180.000.000
Riduzione  cp -
 cs -
Rifinanziamento  cp - 30.000.000 60.000.000 1.390.000.000
 cs - 30.000.000 60.000.000 1.390.000.000
Rimodulazione  cp - - - -
 cs - - - -
Legge di Stabilità  cp 295.000.000  325.000.000  355.000.000  2.570.000.000
 cs 295.000.000  325.000.000  355.000.000  2.570.000.000

   b) aggiungere la seguente voce:

2016   2017   2018   2019
e
successivi
anno
ter.
lim.
imp.
Sistemi stradali, autostradali ed intermodali
  INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
  Legge di stabilità n. 147 del 2013 art. 1 comma 68: Anas (Set. 11) interventi nel settore dei trasporti (1.2 – cap. 7002)
Legislazione vigente  cp -
 cs -
Riduzione  cp -
 cs -
Rifinanziamento  cp 2.030.195.080 2.043.616.693 2.006.836.452 4.114.167.002 2024 3
 cs 2.030.195.080 2.043.616.693 2.006.836.452 4.114.167.002
Rimodulazione  cp -
 cs -
Legge di Stabilità  cp 2.030.195.080 2.043.616.693 2.006.836.452 4.114.167.002
 cs 2.030.195.080 2.043.616.693 2.006.836.452 4.114.167.002

   c) rideterminare le seguenti voci:

2016   2017   2018   2019
e
successivi
anno
ter.
lim.
imp.
Opere strategiche, edilizia statale ed interventi speciali e per pubbliche calamità
  INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
  Legge finanziaria n. 266 del 2005 art. 1 comma 78: rifinanziamento legge 166 del 2002, interventi infrastrutture (Set. 27) interventi diversi (1.7 – cap. 7060/P)
Legislazione vigente  cp 128.061.000  128.061.000  128.061.000  384.183.000 2021 3 
 cs 128.061.000  128.061.000  128.061.000  384.183.000
Riduzione  cp -20.388.750  -20.388.750  -20.388.750  -61.166.250 2021
 cs -20.388.750  -20.388.750  -20.388.750  -61.166.250
Rifinanziamento  cp - - - -
 cs - - - -
Rimodulazione  cp - - - -
 cs - - - -
Legge di Stabilità  cp 107.672.250  107.672.250  107.672.250  323.016.750
 cs 107.672.250  107.672.250  107.672.250  323.016.750


2016   2017   2018   2019
e
successivi
anno
ter.
lim.
imp.
Legge finanziaria n. 296 del 2006 art. 1 comma 977 punto c: Fondo opere strategiche (Set. 27) interventi diversi (1.7 – cap. 7060/P)
Legislazione vigente  cp 90.450.000  90.450.000  90.450.000  452.250.000 2023 3 
 cs 90.450.000  90.450.000  90.450.000  452.250.000
Riduzione  cp -15.345.833  -15.345.833  -15.345.833  -76.729.165 2023
 cs -15.345.833  -15.345.833  -15.345.833  -76.729.165
Rifinanziamento  cp - - - -
 cs - - - -
Rimodulazione  cp - - - -
 cs - - - -
Legge di Stabilità  cp 75.104.167  75.104.167  75.104.167  375.520.835
 cs 75.104.167  75.104.167  75.104.167  375.520.835
Legge finanziaria n. 244 del 2007 art. 2 comma 257 punto b: legge obiettivo (Set. 27) interventi diversi (1.7 – cap. 7060/P)
Legislazione vigente  cp 91.612.000  91.612.000  91.612.000  458.060.000 2023 3 
 cs 91.612.000  91.612.000  91.612.000  458.060.000
Riduzione  cp -25.151.937  -25.151.937  -25.151.937  -125.759.685 2023
 cs -25.151.937  -25.151.937  -25.151.937  -125.759.685
Rifinanziamento  cp - - - -
 cs - - - -
Rimodulazione  cp - - - -
 cs - - - -
Legge di Stabilità  cp 66.460.063  66.460.063  66.460.063  332.300.315
 cs 66.460.063  66.460.063  66.460.063  332.300.315
art. 2 comma 257 punto c: legge obiettivo (Set. 27) interventi diversi (1.7 – cap. 7060/P)
Legislazione vigente  cp 90.517.000  90.517.000  90.517.000  543.102.000 2024 3 
 cs 90.517.000  90.517.000  90.517.000  543.102.000
Riduzione  cp -25.151.937  -25.151.937  -25.151.937  -150.911.622 2024
 cs -25.151.937  -25.151.937  -25.151.937  -150.911.622
Rifinanziamento  cp - - - -
 cs - - - -
Rimodulazione  cp - - - -
 cs - - - -
Legge di Stabilità  cp 65.365.063  65.365.063  65.365.063  392.190.378
 cs 65.365.063  65.365.063  65.365.063  392.190.378

   d) azzerare le seguenti voci:
  Sostegno allo sviluppo del trasporto.
  ECONOMIA E FINANZE
  Decreto-legge n. 98 del 2011 art. 32 comma 1: fondo per le infrastrutture ferroviarie e stradali (Set. 11) interventi nel settore dei trasporti (9.1 – cap. 7372/P)
  Legge di stabilità n. 147 del 2013 art. 1 comma 68: Anas (Set. 11) interventi nel settore dei trasporti (9.1 – cap. 7372/P)
  Art. 1 comma 69: Anas (Set. 11) interventi nel settore dei trasporti (9.1 – cap. 7372/P)

  Sistemi stradali, autostradali ed intermodali.
  INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
  Decreto-legge n. 69 del 2013 art. 18 comma 2 punto 3: Programma ponti e gallerie stradali (Set. 11) interventi nel settore dei trasporti (1.2 – cap. 7538)
  Decreto-legge n. 98 del 2011 articolo 32 comma 1 punto 5: Accessibilità alla Valtellina: ss 38 1o lotto - Variante di Morbegno II stralcio dallo svincolo di Corsio allo svincolo del Tartano (set. 11) Interventi nel settore dei trasporti (1.2 - cap. 7519)
  Decreto–legge n. 69 del 2013 articolo 18 comma 2 punto 6: Somme da assegnare all'Anas per l'asse di collegamento tra la ss 640 e la A 19 Agrigento-Caltanissetta (set. 11) Interventi nel settore dei trasporti (1.2 – cap. 7541)
  Legge finanziaria n. 311 del 2004 articolo 1 comma 452: Interventi strutturali viabilità Italia-Francia (set. 16) Interventi per la viabilità ordinaria, speciale e di grande comunicazione (1.2 – cap. 7481)
  Legge n. 662 del 1996 articolo 2 comma 86: completamento del raddoppio dell'Autostrada A6 Torino-Savona (set. 16) Interventi per la viabilità ordinaria, speciale e di grande comunicazione (1.2 – cap. 7483)
  Legge n. 662 del 1996 articolo 2 comma 87: Avvio della realizzazione della variante di valico Firenze-Bologna (set. 27) Interventi diversi (1.2 – cap. 7484)
  Decreto–legge n. 67 del 1997 articolo 19/bis comma 1 punto 1: Realizzazione e potenziamento tratte autostradali (set. 16) Interventi per la viabilità ordinaria, speciale e di grande comunicazione (1.2 – cap. 7485)
  Decreto–legge n. 98 del 2011 articolo 32 comma 1 punto 11: Megalotto 2 della strada statale n. 106 Ionica (set. 11) Interventi nel settore dei trasporti (1.2 – cap. 7155)
Tab. E. 100. Il Governo.
(Approvato)

A.C. 3444-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto-legge n. 112 del 2008 è stato istituito il commissario straordinario del debito di Roma capitale, con l'obiettivo della ricognizione della situazione economica finanziaria del Comune di Roma e della predisposizione ed attuazione di un piano di rientro all'indebitamento del pregresso;
    con il decreto-legge n. 78 del 2010 convertito in legge 122 del 2010 è stato istituito il fondo destinato al risanamento dell'eccezionale situazione di squilibrio finanziario del Comune di Roma, di cui 300 milioni a carico dello Stato e 200 milioni derivanti dall'applicazione di un'addizionale comunale IRPEF aggiuntiva e da un'addizionale commissariale sui diritti d'imbarco;
   considerato che:
    nel corso di questi 5 anni il carico fiscale sulle famiglie romane si è rivelato particolarmente gravoso a causa della generale condizione di recessione economica e di contrazione dei consumi l'impostazione di fondo della presente legge di stabilità è ispirata ad un alleggerimento della pressione fiscale da ottenersi attraverso varie misure tra le quali la strutturale revisione delle imposte sulla casa e che, quindi, il carico fiscale sulle famiglie romane – attraverso la maggiorazione IRPEF per il debito – appare ancor più gravoso il rilancio del sistema economico e produttivo della capitale – tanto importante anche per il rilancio dell'intiera economia nazionale – è legato ad una ripresa di investimenti per opere pubbliche e per servizi, possibilmente in un quadro non del tutto condizionato dai vincoli del Patto di stabilità;

impegna il Governo

ad adottare misure conseguenti a favorire ed accelerare la estinzione del debito pregresso del Comune di Roma coniugando tale obiettivo con una riduzione della pressione fiscale locale, in particolare l'aliquota IRPEF commissariale, destinata al finanziamento del deficit anteriore al 2008 e con la destinazione delle relative economie del fondo dedicato al finanziamento del debito pregresso al sostegno degli investimenti del Comune di Roma finanziando nuove annualità della legge per Roma Capitale n. 396 del 1990.
9/3444-A/1Morassut.


   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto-legge n. 112 del 2008 è stato istituito il commissario straordinario del debito di Roma capitale, con l'obiettivo della ricognizione della situazione economica finanziaria del Comune di Roma e della predisposizione ed attuazione di un piano di rientro all'indebitamento del pregresso;
    con il decreto-legge n. 78 del 2010 convertito in legge 122 del 2010 è stato istituito il fondo destinato al risanamento dell'eccezionale situazione di squilibrio finanziario del Comune di Roma, di cui 300 milioni a carico dello Stato e 200 milioni derivanti dall'applicazione di un'addizionale comunale IRPEF aggiuntiva e da un'addizionale commissariale sui diritti d'imbarco;
   considerato che:
    nel corso di questi 5 anni il carico fiscale sulle famiglie romane si è rivelato particolarmente gravoso a causa della generale condizione di recessione economica e di contrazione dei consumi l'impostazione di fondo della presente legge di stabilità è ispirata ad un alleggerimento della pressione fiscale da ottenersi attraverso varie misure tra le quali la strutturale revisione delle imposte sulla casa e che, quindi, il carico fiscale sulle famiglie romane – attraverso la maggiorazione IRPEF per il debito – appare ancor più gravoso il rilancio del sistema economico e produttivo della capitale – tanto importante anche per il rilancio dell'intiera economia nazionale – è legato ad una ripresa di investimenti per opere pubbliche e per servizi, possibilmente in un quadro non del tutto condizionato dai vincoli del Patto di stabilità;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare misure conseguenti a favorire ed accelerare la estinzione del debito pregresso del Comune di Roma coniugando tale obiettivo con una riduzione della pressione fiscale locale, in particolare l'aliquota IRPEF commissariale, destinata al finanziamento del deficit anteriore al 2008 e con la destinazione delle relative economie del fondo dedicato al finanziamento del debito pregresso al sostegno degli investimenti del Comune di Roma finanziando nuove annualità della legge per Roma Capitale n. 396 del 1990.
9/3444-A/1. (Testo modificato nel corso della seduta) Morassut.


   La Camera,
   considerato che:
    l'attuale sistema di collettamento dei Comuni del Lago di Garda è stato realizzato più di 30 anni fa e risente, quindi, dell'usura del tempo anche in ragione dei materiali utilizzati all'epoca. Ciò imporrebbe anche riflessioni sulle possibili conseguenze sanitarie. Inoltre, è posizionato sui fondali, non prevede la separazione tra acque bianche e nere (con relativi problemi per le reti fognarie di molti dei Comuni che si affacciano sul Garda), deve considerare gli elevati incrementi turistici degli ultimi anni e, in prospettiva, deve tener conto dei circa due milioni di metri cubi che i vari Comuni del comprensorio hanno deciso con i rispettivi Piani urbanistici;
    il progetto del nuovo collettore è stato predisposto dal Consorzio Azienda Gardesana Servizi e la cifra stimata per l'intervento si aggirerebbe intorno ai 200 milioni di euro;
    è stata costituita un'Associazione Temporanea di Scopo formata dai Comuni del Lago di Garda con la finalità di favorire tutte le azioni possibili e a tutti i livelli amministrativi e politici per reperire risorse economiche e le procedure burocratiche previste;
    la Comunità del Garda, Ente di coordinamento dei Comuni del Lago di Garda è concorde con il progetto del rinnovamento del collettore e anima il dibattito in sede locale in quella direzione;
    allo stato è in essere il confronto tra Regione Veneto e Regione Lombardia alle quali viene pressantemente chiesto di valutare la possibilità di preparare un accordo di programma con la finalità di inserire l'opera in una delle prossime delibere CIPE;
    le rilevanti implicazioni sanitarie e ambientali in caso di definitivo collassamento dell'attuale sistema;
    il rilievo assunto dal Lago di Garda nel panorama turistico internazionale a beneficio del Paese;

impegna il Governo

a valutare la possibilità di istituire un tavolo di confronto con le Regioni Lombardia e Veneto e con le rappresentanze dei Comuni del Lago di Garda finalizzato a valutare il contesto in evidenza e le possibili soluzioni, progettuali ed economiche.
9/3444-A/2D'Arienzo.


   La Camera,
   considerato che:
    Ferrovie dello Stato e la Provincia di Verona all'inizio degli anni 2000 hanno stipulato una convenzione per cofinanziare la progettazione del collegamento Ferroviario con l'aeroporto Valerio Catullo. A tale scopo commissionarono alla società «RPA engineering consulting» il progetto preliminare del collegamento ferroviario Verona-aeroporto Valerio Catullo-Villafranca di Verona;
    scopo del progetto era garantire il celere e facile raggiungimento dell'aeroporto sia per i passeggeri in transito dalla stazione di Verona Porta Nuova che per quelli in transito dalla stazione di Mantova centrale;
    il progetto preliminare era stato portato all'esame del Consiglio superiore dei LL.PP. che lo ha approvato con prescrizioni;
    con delibera CIPE del 21 dicembre 2001, n. 121 (Gazzetta Ufficiale n. 51/2002 supplemento ordinario), è stato approvato il 1o programma delle opere strategiche, inserito nella legge obiettivo del 2001 il quale sotto la voce: collegamenti ferroviari degli aeroporti di Venezia e Verona, attribuiva all'opera le caratteristiche previste dalla legge n. 443 del 2001;
    nella ricognizione dello stato di attuazione della legge obiettivo del 2011 viene riportata nell'elenco opere inserite nel programma delle infrastrutture strategiche – Dati aggiornati al 30 aprile 2011, alla pagina 109, come:
     n. macro opera: 014;
     n. opera: 001;
     denominazione: Collegamento ferroviario con aeroporto di Verona (linea Modena-Verona);
     tipo opera: Rete ferroviaria;
     classificazione intervento: Intervento compreso nel 9o allegato infrastrutture;
     n. scheda: ___;
     delibera CIPE attuativa: ___;
     soggetto competente: RFI Spa;
     luogo lavori: Veneto;
     stato di attuazione: PP;
     ultimazione lavori al 30 aprile 2011: oltre 2015;
     costi dicembre 2001-Del. 121/2001: ___;
     costi aprile 2011-9o All. Infrastrutture: 90,400;
     costi 30 aprile 2011: 90,400;
     stima disponibilità 30 aprile 2011: 0,000;
     fabbisogno 30 aprile 2011: 90,400;
    l'attenta e puntuale valutazione dei costi e dei benefici dell'opera ne consigliava ampiamente la realizzazione all'epoca della progettazione e la rende urgente ora sia a causa del permanente bisogno di ridurre l'inquinamento derivante dai mezzi a combustione interna ora unica risorsa per raggiungere la struttura aeroportuale, sia per la necessità di collegare le città di Verona e di Mantova direttamente all'aeroporto,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di riesaminare il contesto al fine di riavviare le previste procedure per attualizzare la progettazione e i possibili finanziamenti per l'opera in questione.
9/3444-A/3Nicoletti, D'Arienzo.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge, approvato dal Senato, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), profondamente modificato in seconda lettura, contiene le misure necessarie a conseguire gli obiettivi di finanza pubblica indicati nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2015;
    il provvedimento, che rappresenta il principale strumento della manovra di finanza pubblica insieme alla legge di bilancio, interviene in un ambito complesso e articolato della fiscalità generale ed in particolare locale, le cui decisioni del Governo, mutate anche nel corso del passaggio della manovra, di entrambi i rami del Parlamento, hanno accresciuto le difficoltà per numerosi enti locali, nell'applicazione delle norme inizialmente previste e successivamente rivisitate nella loro formulazione;
    al riguardo, la decisione del Governo (come indicato dai commi sostitutivi 23 e 24 dell'articolo 1 del disegno di legge in oggetto), di sopprimere le delibere approvate in ritardo di oltre 844 comuni, (dopo il termine del 30 luglio 2015) aventi ad oggetto le modifiche delle aliquote dei tributi adottati in materia di IMU, TASI, TARI e addizionale IRPEF, decise per apportare le modifiche ritenute opportune per le esigenze di bilancio degli stessi enti locali, oltre ad aumentare l'incertezza e la confusione per i contribuenti, in prossimità dell'avvenuta scadenza del 16 dicembre, determinerà ulteriori difficoltà finanziarie per gli enti locali, in quanto non potranno più beneficiare del «tesoretto» inizialmente conseguito;
    il sottoscrittore del presente atto, evidenzia inoltre, come le cause che hanno determinato il ritardo delle delibere per numerosi enti locali, delle aliquote TASI e TARI, sono imputabili all'insediamento avvenuto lo scorso mese di giugno, a seguito delle elezioni amministrative, che non hanno consentito per le giunte comunali, di poter disporre del tempo materiale per l'approvazione delle aliquote da parte dei consigli comunali;
    ulteriori profili di criticità, che si rinvengono a seguito delle nuove riformulazioni dei commi 23 e 24 dell'articolo 1 del disegno di legge di stabilità in oggetto, che espungono la disposizione che (con riferimento al 2015) manteneva valide le deliberazioni relative alle aliquote dei tributi adottate dai comuni entro il 30 settembre 2015, si evidenziano dalla possibilità (più che reale) dell'avvenuto pagamento da parte dei contribuenti, del saldo dei tributi, avvenuto in data anteriore alle modifiche intervenute in seconda lettura del provvedimento medesimo, calcolato con gli aumenti oppure usufruendo maggiori detrazioni;
    la necessità di intervenire in favore degli enti locali, limitatamente a quelli nei quali si sono svolte le elezioni amministrative, lo scorso giugno e di definire ai fini della legittimità le decisioni comunali, (connesse all'efficacia delle delibere), nonché delle difficoltà per molti contribuenti, che hanno effettuato il pagamento per effetto nell'intervallo tra le modifiche adottate dal Senato (che indicavano valide le deliberazioni entro il 30 settembre 2015 ed in seguito rivisitate dalla Camera dei deputati, relativamente ai commi 23 e 24 dell'articolo 1) i cui calcoli esatti evidentemente non corrispondono, risulta pertanto urgente e necessario al fine di stabilire maggiore chiarezza nell'ambito della fiscalità locale sempre più complicata,

impegna il Governo

   a valutare l'opportunità di prevedere compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione, ed i vincoli di bilancio, misure compensative nei riguardi degli enti locali che hanno deliberato entro il 30 settembre 2015 e nel rispetto dei vincoli posti dalla legge di stabilità 2014, il cui mancato rispetto dei termini del 30 luglio 2015 sono stati causati dal ritardo causato dalle elezioni amministrative;
   a chiarire quale orientamento intenda perseguire, nei confronti dei contribuenti che hanno già pagato il saldo con gli aumenti o usufruito delle maggiori detrazioni, prima delle nuove riformulazioni dei commi 23 e 24 dell'articolo 1 del disegno di legge di stabilità 2016 in oggetto.
9/3444-A/4Nastri.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge, approvato dal Senato, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), profondamente modificato in seconda lettura, contiene le misure necessarie a conseguire gli obiettivi di finanza pubblica indicati nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2015;
    il provvedimento, che rappresenta il principale strumento della manovra di finanza pubblica insieme alla legge di bilancio, interviene in un ambito complesso e articolato della fiscalità generale ed in particolare locale, le cui decisioni del Governo, mutate anche nel corso del passaggio della manovra, di entrambi i rami del Parlamento, hanno accresciuto le difficoltà per numerosi enti locali, nell'applicazione delle norme inizialmente previste e successivamente rivisitate nella loro formulazione;
    al riguardo, la decisione del Governo (come indicato dai commi sostitutivi 23 e 24 dell'articolo 1 del disegno di legge in oggetto), di sopprimere le delibere approvate in ritardo di oltre 844 comuni, (dopo il termine del 30 luglio 2015) aventi ad oggetto le modifiche delle aliquote dei tributi adottati in materia di IMU, TASI, TARI e addizionale IRPEF, decise per apportare le modifiche ritenute opportune per le esigenze di bilancio degli stessi enti locali, oltre ad aumentare l'incertezza e la confusione per i contribuenti, in prossimità dell'avvenuta scadenza del 16 dicembre, determinerà ulteriori difficoltà finanziarie per gli enti locali, in quanto non potranno più beneficiare del «tesoretto» inizialmente conseguito;
    il sottoscrittore del presente atto, evidenzia inoltre, come le cause che hanno determinato il ritardo delle delibere per numerosi enti locali, delle aliquote TASI e TARI, sono imputabili all'insediamento avvenuto lo scorso mese di giugno, a seguito delle elezioni amministrative, che non hanno consentito per le giunte comunali, di poter disporre del tempo materiale per l'approvazione delle aliquote da parte dei consigli comunali;
    ulteriori profili di criticità, che si rinvengono a seguito delle nuove riformulazioni dei commi 23 e 24 dell'articolo 1 del disegno di legge di stabilità in oggetto, che espungono la disposizione che (con riferimento al 2015) manteneva valide le deliberazioni relative alle aliquote dei tributi adottate dai comuni entro il 30 settembre 2015, si evidenziano dalla possibilità (più che reale) dell'avvenuto pagamento da parte dei contribuenti, del saldo dei tributi, avvenuto in data anteriore alle modifiche intervenute in seconda lettura del provvedimento medesimo, calcolato con gli aumenti oppure usufruendo maggiori detrazioni;
    la necessità di intervenire in favore degli enti locali, limitatamente a quelli nei quali si sono svolte le elezioni amministrative, lo scorso giugno e di definire ai fini della legittimità le decisioni comunali, (connesse all'efficacia delle delibere), nonché delle difficoltà per molti contribuenti, che hanno effettuato il pagamento per effetto nell'intervallo tra le modifiche adottate dal Senato (che indicavano valide le deliberazioni entro il 30 settembre 2015 ed in seguito rivisitate dalla Camera dei deputati, relativamente ai commi 23 e 24 dell'articolo 1) i cui calcoli esatti evidentemente non corrispondono, risulta pertanto urgente e necessario al fine di stabilire maggiore chiarezza nell'ambito della fiscalità locale sempre più complicata,

impegna il Governo

   a valutare l'opportunità di prevedere compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione, ed i vincoli di bilancio, misure compensative nei riguardi degli enti locali che hanno deliberato entro il 30 settembre 2015 e nel rispetto dei vincoli posti dalla legge di stabilità 2014, il cui mancato rispetto dei termini del 30 luglio 2015 sono stati causati dal ritardo causato dalle elezioni amministrative;
   a valutare l'opportunità di chiarire quale orientamento intenda perseguire, nei confronti dei contribuenti che hanno già pagato il saldo con gli aumenti o usufruito delle maggiori detrazioni, prima delle nuove riformulazioni dei commi 23 e 24 dell'articolo 1 del disegno di legge di stabilità 2016 in oggetto.
9/3444-A/4. (Testo modificato nel corso della seduta)  Nastri.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2016), contiene per il settore agricolo, una serie di interventi di natura fiscale ed economica particolarmente favorevoli per le imprese del settore, finalizzati a liberare nuove risorse finanziarie da utilizzare per la crescita economica;
    al riguardo, nell'anno dell'EXPO, l'agricoltura italiana è tornata ad essere un motore fondamentale della ripresa dell'economia italiana, come evidenziato dai più recenti indicatori evidenziati dall'ISTAT, che rilevano il +3,7 per cento del valore aggiunto sommato ai 16 mila nuovi posti di lavoro creati nei primi sei mesi dell'anno;
    il riassetto delle agevolazioni dei terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, attraverso l'esenzione dell'IMU, l'esenzione dal pagamento dell'IRAP per i settori dell'agricoltura e della pesca, lo sgravio contributivo dell'IRAP, in favore dei datori di lavoro del settore agricolo, rappresentano una parte delle articolate e condivisibili misure a sostegno del comparto, che determineranno un alleggerimento dell'imposizione fiscale delle imprese, al fine di migliorare i livelli competitivi di un mercato globale;
    all'interno delle misure di crescita indicate, il comparto dell'ippica (nei confronti del quale, si è configurato un ritardo pesante dello Stato, nel corrispondere per i vari operatori, i debiti contratti e riconosciuti, inevasi per diversi mesi), non è stato adeguatamente considerato, nonostante sia caratterizzato da una tradizione di eccellenza e un forte radicamento nel Paese;
    l'assenza di significativi interventi, unitamente ai ritardi dettati dai nuovi meccanismi di governance del settore, contribuiscono in forma negativa ad accentuare il declino dell'ippica, anche a causa dell'assenza di iniziative legislative ad hoc, in grado di fornire risposte agli operatori e all'intera filiera;
    i valori fondamentali espressi dal settore, nonostante l'attuale situazione di sofferenza, consentono tuttavia di ipotizzare un concreto rilancio delle attività, attraverso l'introduzione di misure rapide ed incisive, in grado di ridisegnare l'intero sistema, sia attraverso una chiara programmazione pluriennale del ruolo dello Stato nel settore, a partire dalle risorse finanziarie stanziate a suo supporto, che dall'effettiva operatività dell'organo di gestione del settore tuttora inattivo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione, ed i vincoli di bilancio, iniziative legislative volte a sostenere il settore ippico, salvaguardando l'esistenza stessa della filiera nazionale, nelle sue componenti migliori, sia ripristinando le riduzioni finanziarie previste, che accelerando gli interventi volti al funzionamento reale dell'organo di gestione della Lega ippica italiana.
9/3444-A/5Faenzi.


   La Camera,
   premesso che:
     l'agricoltura italiana rappresenta un comparto fondamentale per l'intero sistema economico, produttivo ed occupazionale del nostro paese per numero di addetti, volume di fatturati ed esportazioni;
    nel disegno di legge in esame «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di Stabilità 2016)», sono presenti disposizioni per il finanziamento per il «Fondo di solidarietà nazionale» per gli interventi in agricoltura;
    la peculiare incidenza negativa sulle produzioni agricole degli andamenti climatici ed atmosferici ha tradizionalmente indotto il Legislatore a definire interventi in favore delle popolazioni e delle zone colpite da calamità naturali di particolare gravità, allo scopo tanto di assicurare i soccorsi immediati ed alleviare i disagi più gravi, quanto di garantire il più possibile la conservazione del patrimonio produttivo agricolo e delle sue potenzialità e di promuoverne il ripristino. Col passare degli anni e col crescere della complessità degli interventi si è infatti resa necessaria l'introduzione di una normativa di intervento di carattere generale, applicabile costantemente ed uniformemente in tutti i casi di calamità naturali, tale da eliminare la necessità di far ricorso, per ogni evento, a provvedimenti legislativi ad hoc;
    la legislazione che si è venuta a sovrapporre nel tempo è stata interamente sostituita da un provvedimento organico che, oltre ad accogliere le precedenti modalità di intervento compensativo dei danni subiti, ha anche riproposto gli interventi volti ad incentivare misure di protezione verificarsi degli eventi calamitosi;
    la vigente normativa del Fondo di solidarietà nazionale, approvata con il decreto legislativo n. 102 del 2004, disciplina gli interventi del soccorso a favore delle aziende agricole colpite da calamità naturali e da avversità atmosferiche eccezionali;
    gli stanziamenti previsti per l'anno 2016, nel provvedimento in esame, per il citato Fondo di solidarietà nazionale per gli interventi in agricoltura è di 20 milioni;
    tale cifra appare palesemente insufficiente, rispetto alla crescita esponenziale degli eventi calamitosi che si sono verificati su tutto il territorio nazionale negli ultimi anni creando gravissimi danni nel settore agricolo;
    secondo recenti stime, basate sui rilevamenti statistici, i cambiamenti climatici, con gli eventi estremi, avrebbero infatti provocato in Italia danni alla produzione agricola nazionale, alle strutture e alle infrastrutture per oltre 14 miliardi di euro nel corso dell'ultimo decennio,

impegna il Governo

a rifinanziare, nel prossimo provvedimento utile, con adeguate risorse economiche il Fondo di solidarietà nazionale, di cui al decreto legislativo n. 102 del 2004, al fine di sostenere il settore agricolo nei confronti dei danni causati dalle calamità naturali.
9/3444-A/6Fiorio, Antezza, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    l'agricoltura italiana rappresenta un comparto fondamentale per l'intero sistema economico, produttivo ed occupazionale del nostro paese per numero di addetti, volume di fatturati ed esportazioni;
    nel disegno di legge in esame «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di Stabilità 2016)», sono presenti disposizioni per il finanziamento per il «Fondo di solidarietà nazionale» per gli interventi in agricoltura;
    la peculiare incidenza negativa sulle produzioni agricole degli andamenti climatici ed atmosferici ha tradizionalmente indotto il Legislatore a definire interventi in favore delle popolazioni e delle zone colpite da calamità naturali di particolare gravità, allo scopo tanto di assicurare i soccorsi immediati ed alleviare i disagi più gravi, quanto di garantire il più possibile la conservazione del patrimonio produttivo agricolo e delle sue potenzialità e di promuoverne il ripristino. Col passare degli anni e col crescere della complessità degli interventi si è infatti resa necessaria l'introduzione di una normativa di intervento di carattere generale, applicabile costantemente ed uniformemente in tutti i casi di calamità naturali, tale da eliminare la necessità di far ricorso, per ogni evento, a provvedimenti legislativi ad hoc;
    la legislazione che si è venuta a sovrapporre nel tempo è stata interamente sostituita da un provvedimento organico che, oltre ad accogliere le precedenti modalità di intervento compensativo dei danni subiti, ha anche riproposto gli interventi volti ad incentivare misure di protezione verificarsi degli eventi calamitosi;
    la vigente normativa del Fondo di solidarietà nazionale, approvata con il decreto legislativo n. 102 del 2004, disciplina gli interventi del soccorso a favore delle aziende agricole colpite da calamità naturali e da avversità atmosferiche eccezionali;
    gli stanziamenti previsti per l'anno 2016, nel provvedimento in esame, per il citato Fondo di solidarietà nazionale per gli interventi in agricoltura è di 20 milioni;
    tale cifra appare palesemente insufficiente, rispetto alla crescita esponenziale degli eventi calamitosi che si sono verificati su tutto il territorio nazionale negli ultimi anni creando gravissimi danni nel settore agricolo;
    secondo recenti stime, basate sui rilevamenti statistici, i cambiamenti climatici, con gli eventi estremi, avrebbero infatti provocato in Italia danni alla produzione agricola nazionale, alle strutture e alle infrastrutture per oltre 14 miliardi di euro nel corso dell'ultimo decennio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rifinanziare, nel prossimo provvedimento utile, con adeguate risorse economiche il Fondo di solidarietà nazionale, di cui al decreto legislativo n. 102 del 2004, al fine di sostenere il settore agricolo nei confronti dei danni causati dalle calamità naturali.
9/3444-A/6. (Testo modificato nel corso della seduta)  Fiorio, Antezza, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 23 del 2011 ha soppresso, a partire dagli atti pubblici formati dal 1o gennaio 2014 e dalle scritture private autenticate da tale data, tutte le agevolazioni e le esenzioni tributarie sugli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e degli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, quale è il diritto di superficie. Tale norma riguarda anche la tassazione degli atti di acquisto dai comuni del diritto di superficie su case costruite su aree Peep (Piano per l'edilizia economico popolare);
    l'articolo 10 del citato decreto legislativo n. 23 del 2011 ha, nello specifico, modificato l'aliquota fissandola al 9 per cento con un minimo, a carico dei contribuenti, di mille euro. Successivamente con la legge n. 164 dell'11 novembre 2014, all'articolo 20, comma 4-ter, sono state ripristinate le agevolazioni fiscali in materia di edilizia economica e popolare e di trasferimento di immobili pubblici in vigore antecedentemente a quanto disposto dal decreto legislativo n. 23 del 2011;
    risulta evidente come dal lo di gennaio all'il novembre 2014 a coloro che hanno sottoscritto, per necessità, i contratti per il riscatto dell'area Peep è stata applicata una tassazione maggiorata rispetto ai cittadini che non hanno dovuto effettuare tale pratica entro questa ristretta finestra temporale;
    appare quindi palese la disparità di trattamento economico tra coloro che sono riusciti a concludere l'iter per il riscatto prima del 1o gennaio 2014 e quelli che lo faranno a decorrere dal 12 novembre 2014;
    la stessa Ragioneria dello Stato, in una relazione tecnica sulle coperture economiche necessarie ad attuare tale provvedimento, ha affermato che gli effetti sarebbero di entità «non apprezzabile»;
   valutato che:
    l'articolo 31, commi 45 e seguenti, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 – legge finanziaria del 1999 – ha dato la facoltà ai comuni di cedere in proprietà le aree comprese nei Peep (Piani di edilizia economica e popolare), già concesse in diritto di superficie, agli attuali proprietari degli alloggi. In particolare la disposizione prevede, per gli assegnatari delle aree in superficie, l'opportunità di ottenere la pienezza del diritto di proprietà dell'immobile posseduto e di disporre del medesimo senza più alcun vincolo e condizionamento giuridico; per tale fattispecie il corrispettivo da pagare al comune è determinato entro il 31 marzo di ogni anno dalla giunta comunale secondo determinati criteri e parametri;
    la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (articolo 2, comma 89), novellando i commi 1 e 2, dell'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, ha successivamente introdotto nuovi parametri per la determinazione del corrispettivo;
    l'applicazione di tali parametri, la cui interpretazione consente comunque una autonomia da parte delle singole amministrazioni comunali rispetto alle indicazioni degli uffici competenti (come ad esempio la rivalutazione in base agli indici Istat), sta creando alcune criticità consistenti nelle molteplici differenziazioni dei corrispettivi da pagare. Le differenziazioni dei corrispettivi, oltre a generare gravi disparità di trattamento economico fra i cittadini rispetto alla tempistica di richiesta del riscatto ed alla residenza (oltre a ricorsi nei tribunali competenti), stanno di fatto bloccando e rallentando numerose pratiche di cessione;
    sarebbe auspicabile, anche in relazione alla crisi economica ed occupazionale che sta investendo il nostro Paese e per promuovere il diritto all'abitazione, addivenire ad una definizione di criteri uniformi, su tutto il territorio nazionale, che possa agevolare l'acquisto degli alloggi nelle aree comprese nei Peep, risolvendo il problema delle domande che ad oggi risultano bloccate ed impedendo di fatto alle singole amministrazioni comunali interpretazioni difformi della norma in oggetto;
    l'articolo 1, comma 392, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha modificato l'articolo 31, comma 48, della legge 23 dicembre 1998, n. 448: tale novella interviene sulla disciplina della determinazione del corrispettivo delle aree cedute in proprietà da parte del comune, al fine di prevedere che l'ente, su parere del proprio ufficio tecnico, fissi tale corrispettivo in misura pari al 60 per cento (percentuale già prevista dalla normativa vigente) di quello determinato attraverso il valore venale del bene, con facoltà per il Comune di abbattere tale valore fino al 50 per cento;
    questa norma ha però causato problematiche di carattere interpretativo. La Sezione delle autonomie della Corte dei conti, con la deliberazione n. 58/2015/PAR del 9 marzo 2015, ha pronunciato il seguente principio di diritto: «La disposizione di cui all'articolo 31, comma 48, legge n. 448 del 1998, come novellata dall'articolo 1, comma 392, legge n. 147 del 2013 deve essere intesa nel senso che, al fine della determinazione del corrispettivo per la trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà, è data all'Ente la facoltà di abbattere sino al 50 per cento la quota percentuale da applicarsi al valore venale del bene e, dunque, correlativamente di elevare la già prevista riduzione del 40 per cento sino al 50 per cento;
    appare palese che questa interpretazione della Corte dei conti differisca sostanzialmente dalle originarie finalità introdotte dall'articolo 1, comma 392, della legge 27 dicembre 2013, n. 147,

impegna il Governo

   ad inserire, nel prossimo provvedimento utile:
    una norma che modifichi l'articolo 20, comma 4-ter, della legge n. 164 dell'11 novembre 2014, sancendo che nei riguardi delle domande di trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà, già definite mediante contratti sottoscritti in sede di rogito notarile tra il 1° gennaio 2014 e l'11 novembre 2014, venga ricalcolato l'importo dovuto utilizzando i criteri vigenti (previsti dall'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 23 del 2011) e contestualmente vengano rimborsate ai cittadini coinvolti le maggiori somme versate;
    una norma che disponga che la disposizione di cui all'articolo 31, comma 48, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, come modificata dell'articolo 1, comma 392, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, si interpreti nel senso che il corrispettivo è determinato partendo dal valore venale del bene, che l'ente può abbattere fino al 50 per cento, e calcolando successivamente il 60 per cento di tale valore già abbattuto, al netto degli oneri di concessione del diritto di superficie rivalutati.
9/3444-A/7Sani, Arlotti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 23 del 2011 ha soppresso, a partire dagli atti pubblici formati dal 1o gennaio 2014 e dalle scritture private autenticate da tale data, tutte le agevolazioni e le esenzioni tributarie sugli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e degli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, quale è il diritto di superficie. Tale norma riguarda anche la tassazione degli atti di acquisto dai comuni del diritto di superficie su case costruite su aree Peep (Piano per l'edilizia economico popolare);
    l'articolo 10 del citato decreto legislativo n. 23 del 2011 ha, nello specifico, modificato l'aliquota fissandola al 9 per cento con un minimo, a carico dei contribuenti, di mille euro. Successivamente con la legge n. 164 dell'11 novembre 2014, all'articolo 20, comma 4-ter, sono state ripristinate le agevolazioni fiscali in materia di edilizia economica e popolare e di trasferimento di immobili pubblici in vigore antecedentemente a quanto disposto dal decreto legislativo n. 23 del 2011;
    risulta evidente come dal lo di gennaio all'il novembre 2014 a coloro che hanno sottoscritto, per necessità, i contratti per il riscatto dell'area Peep è stata applicata una tassazione maggiorata rispetto ai cittadini che non hanno dovuto effettuare tale pratica entro questa ristretta finestra temporale;
    appare quindi palese la disparità di trattamento economico tra coloro che sono riusciti a concludere l'iter per il riscatto prima del 1o gennaio 2014 e quelli che lo faranno a decorrere dal 12 novembre 2014;
    la stessa Ragioneria dello Stato, in una relazione tecnica sulle coperture economiche necessarie ad attuare tale provvedimento, ha affermato che gli effetti sarebbero di entità «non apprezzabile»;
   valutato che:
    l'articolo 31, commi 45 e seguenti, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 – legge finanziaria del 1999 – ha dato la facoltà ai comuni di cedere in proprietà le aree comprese nei Peep (Piani di edilizia economica e popolare), già concesse in diritto di superficie, agli attuali proprietari degli alloggi. In particolare la disposizione prevede, per gli assegnatari delle aree in superficie, l'opportunità di ottenere la pienezza del diritto di proprietà dell'immobile posseduto e di disporre del medesimo senza più alcun vincolo e condizionamento giuridico; per tale fattispecie il corrispettivo da pagare al comune è determinato entro il 31 marzo di ogni anno dalla giunta comunale secondo determinati criteri e parametri;
    la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (articolo 2, comma 89), novellando i commi 1 e 2, dell'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, ha successivamente introdotto nuovi parametri per la determinazione del corrispettivo;
    l'applicazione di tali parametri, la cui interpretazione consente comunque una autonomia da parte delle singole amministrazioni comunali rispetto alle indicazioni degli uffici competenti (come ad esempio la rivalutazione in base agli indici Istat), sta creando alcune criticità consistenti nelle molteplici differenziazioni dei corrispettivi da pagare. Le differenziazioni dei corrispettivi, oltre a generare gravi disparità di trattamento economico fra i cittadini rispetto alla tempistica di richiesta del riscatto ed alla residenza (oltre a ricorsi nei tribunali competenti), stanno di fatto bloccando e rallentando numerose pratiche di cessione;
    sarebbe auspicabile, anche in relazione alla crisi economica ed occupazionale che sta investendo il nostro Paese e per promuovere il diritto all'abitazione, addivenire ad una definizione di criteri uniformi, su tutto il territorio nazionale, che possa agevolare l'acquisto degli alloggi nelle aree comprese nei Peep, risolvendo il problema delle domande che ad oggi risultano bloccate ed impedendo di fatto alle singole amministrazioni comunali interpretazioni difformi della norma in oggetto;
    l'articolo 1, comma 392, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha modificato l'articolo 31, comma 48, della legge 23 dicembre 1998, n. 448: tale novella interviene sulla disciplina della determinazione del corrispettivo delle aree cedute in proprietà da parte del comune, al fine di prevedere che l'ente, su parere del proprio ufficio tecnico, fissi tale corrispettivo in misura pari al 60 per cento (percentuale già prevista dalla normativa vigente) di quello determinato attraverso il valore venale del bene, con facoltà per il Comune di abbattere tale valore fino al 50 per cento;
    questa norma ha però causato problematiche di carattere interpretativo. La Sezione delle autonomie della Corte dei conti, con la deliberazione n. 58/2015/PAR del 9 marzo 2015, ha pronunciato il seguente principio di diritto: «La disposizione di cui all'articolo 31, comma 48, legge n. 448 del 1998, come novellata dall'articolo 1, comma 392, legge n. 147 del 2013 deve essere intesa nel senso che, al fine della determinazione del corrispettivo per la trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà, è data all'Ente la facoltà di abbattere sino al 50 per cento la quota percentuale da applicarsi al valore venale del bene e, dunque, correlativamente di elevare la già prevista riduzione del 40 per cento sino al 50 per cento;
    appare palese che questa interpretazione della Corte dei conti differisca sostanzialmente dalle originarie finalità introdotte dall'articolo 1, comma 392, della legge 27 dicembre 2013, n. 147,

impegna il Governo

   a valutare l'opportunità di inserire, nel prossimo provvedimento utile:
    una norma che modifichi l'articolo 20, comma 4-ter, della legge n. 164 dell'11 novembre 2014, sancendo che nei riguardi delle domande di trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà, già definite mediante contratti sottoscritti in sede di rogito notarile tra il 1° gennaio 2014 e l'11 novembre 2014, venga ricalcolato l'importo dovuto utilizzando i criteri vigenti (previsti dall'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 23 del 2011) e contestualmente vengano rimborsate ai cittadini coinvolti le maggiori somme versate;
    una norma che disponga che la disposizione di cui all'articolo 31, comma 48, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, come modificata dell'articolo 1, comma 392, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, si interpreti nel senso che il corrispettivo è determinato partendo dal valore venale del bene, che l'ente può abbattere fino al 50 per cento, e calcolando successivamente il 60 per cento di tale valore già abbattuto, al netto degli oneri di concessione del diritto di superficie rivalutati.
9/3444-A/7. (Testo modificato nel corso della seduta). Sani, Arlotti.


   La Camera,
   premesso che:
    nel disegno di legge in esame «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», sono presenti norme che prevedono detrazioni fiscali;
    l'Italia è uno dei Paesi occidentali con i maggiori tassi di propensione al risparmio e un elevato stock di ricchezza. Secondo i più recenti dati della Banca d'Italia la ricchezza delle famiglie italiane ammonta a 9.000 miliardi di euro (quasi 6 volte il Pil), 3.600 dei quali detenuti attraverso attività finanziarie;
    a fine ottobre 2015 l'intera industria del risparmio gestito amministrava 1.816 miliardi di euro, dei quali circa 890 miliardi di euro da parte, delle Sgr (Società di gestione del risparmio) italiane ovvero il 25 per cento circa delle attività finanziarie detenute dalle famiglie, in crescita del 20 per cento sull'anno precedente. Secondo la Relazione 2014 della Banca d'Italia tra il 2013 e il 2014 i flussi nei fondi comuni sono passati da 27 a 56 miliardi di euro mentre i titoli obbligazionari hanno registrato con deflussi superiore a 123 miliardi;
    nei primi 10 mesi del 2015 la raccolta netta di fondi aperti hanno superato gli 88 miliardi di euro e per fine 2015 l'ufficio studi di Intermonte SIM stima una raccolta netta positiva per oltre 90 miliardi e 67 miliardi nel 2016 ovvero oltre 150 miliardi di euro di 2 anni;
    analizzando i dati dei fondi per tipologia di investimento emerge come nella componente obbligazionaria siano investiti tuttora 500 miliardi di euro mentre in quelli puri azionari solo 180 miliardi di euro. Focalizzandosi solo sul mercato italiano i dati appaiono ancora più modesti: a fine del 2014 le azioni italiane detenute dai fondi non arrivavano a 15 miliardi di euro, ovvero circa l'1,5 per cento del totale delle masse amministrate delle Sgr italiane;
    appare quindi evidente come a fronte di un crescente interesse da parte delle famiglie italiane per il risparmio gestito e lo spostamento delle scelte di investimento verso il capitale di rischio (azioni) dato il basso livello dei rendimenti di Bot e Btp (le forme di investimento preferite dalle famiglie italiane) la Borsa italiana non stia intercettando il flusso di risparmio che potrebbe aiutare la patrimonializzazione delle imprese e nei complesso rappresentare un fattore di crescita del Paese;
    dal punto di vista macroeconomico il saldo delle partite correnti cumulato da inizio anno a fine settembre 2015, era attivo per 32 miliardi di euro, rispetto ai 25 miliardi di un anno prima. Un contributo importante è arrivato dalla bilancia commerciale che, sempre cumulato da inizio anno a fine settembre 2015, era positiva per circa 50 miliardi, oltre il 3 per cento del Pil. Un dato inferiore, nell'Eurozona, solo a quella della Germania (7 per cento del Pil), mentre la Francia nello stesso periodo presentava un deficit commerciale pari a 3 per cento del Pil. Il saldo della bilancia commerciale dell'Eurozona a fine 2014 era positivo per 200 miliardi di euro derivante quasi interamente dai surplus di Germania e Italia;
    per contro è cresciuto in modo significativo il flusso degli investimenti di portafoglio in attività finanziarie estere da parte degli italiani che sempre cumulato da inizio anno a fine settembre 2015, era pari a 47 miliardi di euro. Il nostro sistema non riesce quindi a rimettere in circolazione in Italia il surplus dalle partite correnti finendo, di fatto, per finanziare la crescita di Paesi esteri;
    alla luce di quanto appena esposto si rende quindi necessaria una riflessione per cercare di canalizzare, almeno una parte, della ricchezza delle famiglie italiane per favorire lo sviluppo anche del nostro Paese;
    una proposta in questa direzione è quella di intervenire favorendo l'afflusso dei risparmi privati verso il sistema delle Pmi (piccole e medie imprese);
    l'Italia, con 5,3 milioni di imprese attive al 31 dicembre 2013, è il Paese che vanta il maggior numero di microimprese e di Pmi nell'Unione europea, superando di gran lunga anche paesi più popolosi come la Germania e la Francia. In Italia le Pmi infatti oltre il 99 per cento delle realtà imprenditoriali presenti. In base agli ultimi dati disponibili, le Pmi occupano nei complesso poco meno di 4 milioni di addetti, hanno realizzato un volume di fatturato complessivo pari a 851 miliardi di euro, un valore aggiunto di 183 miliardi (pari al 12 per cento del valore del Pil). Le Pmi non costituiscono solo numericamente l'ossatura dei sistema produttivo nazionale, ma anche il loro contributo in termini di occupazione è significativo: impiegano, infatti, oltre l'81 per cento degli occupati totali, in particolare nel settore dei servizi;
    si sottolinea inoltre che già da tempo alcuni dei maggiori Paesi europei hanno istituito un regime di incentivazione fiscale per favorire l'afflusso di capitali privati verso le Pmi, attraverso l'istituzione di fondi di investimento specializzati di tipo chiuso, con importanti risultati tanto in termini di sviluppo imprenditoriale quanto di crescita economica e occupazionale. In particolare, merita ricordare le misure predisposte in tal senso dalla Francia e dal Regno Unito: nel primo caso, attraverso la creazione dei Fonds Communs de Placement dans l'innovation (Fcpi); nel secondo mediante lo schema di incentivo del Venture Capital Trust (Vct);
    le migliori pratiche a livello internazionale interpretano l'utilizzo della leva fiscale come strumento di sostegno allo sviluppo del sistema economico ed imprenditoriale, e pertanto potrebbe pertanto essere opportuno prevedere incentivi specifici a vantaggio dei sottoscrittori di fondi specializzati in Pmi. Tali incentivi avrebbero l'effetto di rendere più attraenti tali veicoli nei confronti degli investitori, andando così ad aumentare la dotazione di capitale privato a disposizione del settore, canalizzando al tempo stesso tale capitale verso quelle categorie di imprese che stentano ancora a reperire i capitali necessari a finanziare i propri progetti di sviluppo;
    è quindi auspicabile favorire la nascita di fondi «specializzati» di tipo chiuso, nella forma del «Fia» ovvero Fondi di Investimento Alternativo, rivolti alle persone fisiche, dedicati esclusivamente all'investimento in Pmi e che intendano utilizzare le risorse raccolte per fare investimenti, creare occupazione;
    per rendere i fondi convenienti per i risparmiatori le società beneficiarie dei capitali si dovrebbero impegnare a pagare un dividendo minimo del 2 per cento all'anno ovvero in linea con il rendimento del Btp a 10 anni, per 5 anni. Le Sgr promotrici dei fondi si potrebbero invece impegnare a praticare un livello commissionale inferiore quello medio di mercato;
    per rendere appetibile l'investimento nei Fia di Sviluppo, per superare il rischio della liquidabilità degli investimenti, coerentemente con il ruolo strategico che tali fondi assumerebbero per il sistema economico italiano, e sulla base delle migliori pratiche a livello internazionale, dovrebbero prevedere:
     che il fondo sia quotato ovvero negoziabile sul mercato secondario;
     una detrazione fiscale riconosciuta al sottoscrittore del fondo, persona fisica, pari al 19 per cento del capitale investito annualmente con un limite implicito all'investimento (essendo prevista, una detraibilità massima di 20 mila euro da suddividere in 5 anni);
    l'effetto finanziario per il bilancio dello Stato del Fia di Sviluppo, ovvero la differenza tra il costo annuo della detrazione e la tassazione del rendimento annuo pagato dal fondo ai sottoscrittori nello stesso periodo, è stimato in circa 11 milioni di euro. Tuttavia il Fia di Sviluppo rappresenterebbe una forma di investimento sostitutiva/alternativa rispetto a quella in altri strumenti finanziari come ad esempio quello nelle «Pmi Innovative» che riconoscono, alle persone fisiche che li sottoscrivono, il medesimo beneficio fiscale. Un effetto sostituzione dei Fia con gli strumenti finanziari emessi dalle Pmi Innovative è assolutamente ragionevole e ipotizzabile e quindi l'effetto finanziario per il bilancio dello Stato potrebbe ulteriormente ridursi;
    si consideri inoltre che la raccolta aggiuntiva legata alla nascita di nuovi fondi chiusi porterà degli effetti indiretti positivi sul bilancio dello Stato ed in particolare:
     le entrate generate dalla tassazione sui dividendi delle Pmi oggetto di investimento da parte del fondo;
     le entrate generate dall'effetto patrimonializzazione delle Pmi e maggiori investimenti delle Pmi;
     le entrate generate dai profitti dell'industria del risparmio gestito per le attività a servizio dello sviluppo e la gestione dei Fia di Sviluppo che essendo focalizzati su Pmi, impiegherebbero prevalentemente personale basato in Italia;
     le entrate generate dall'emersione dei profitti delle società che affrontano un processo di quotazione e cambio di governance essendo le Pmi prevalentemente di proprietà familiare e quindi non focalizzate sulla generazione degli utili come fattore distintivo per la creazione di valore;
    alla luce di quanto appena esposto appare quindi evidente come tale norma a regime potrebbe prevedere a breve non solo nessun onere per lo Stato, ma addirittura maggiori introiti per la finanza pubblica,

impegna il Governo

all'elaborazione di un disegno di legge basato sulla introduzione, anche sulla base delle migliori pratiche a livello internazionale, di una categoria speciale di Fondi alternativi di investimento, denominabili FIA di Sviluppo, da costituirsi in forma chiusa e destinati all'investimento in Pmi, da quotarsi in un mercato regolamentato o da trattarsi in un mercato secondario, investiti dell'obbligo di procurare un rendimento annuo pari ad almeno il 2 per cento (comunque in linea con quello del BTP decennali), rivolti alla sottoscrizione delle sole persone fisiche e assistiti da un beneficio fiscale in termini di detrazione riconosciuta al sottoscrittore pari al 19 per cento del capitale investito annualmente prevedendosi una detraibilità massima di 20 mila euro ripartiti su 5 anni.
9/3444-A/8Fregolent, Coppola, Dallai, Donati, Gadda, Morani, Moretto, Piccoli Nardelli, Vazio, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    nel disegno di legge in esame «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», sono presenti norme che prevedono detrazioni fiscali;
    l'Italia è uno dei Paesi occidentali con i maggiori tassi di propensione al risparmio e un elevato stock di ricchezza. Secondo i più recenti dati della Banca d'Italia la ricchezza delle famiglie italiane ammonta a 9.000 miliardi di euro (quasi 6 volte il Pil), 3.600 dei quali detenuti attraverso attività finanziarie;
    a fine ottobre 2015 l'intera industria del risparmio gestito amministrava 1.816 miliardi di euro, dei quali circa 890 miliardi di euro da parte, delle Sgr (Società di gestione del risparmio) italiane ovvero il 25 per cento circa delle attività finanziarie detenute dalle famiglie, in crescita del 20 per cento sull'anno precedente. Secondo la Relazione 2014 della Banca d'Italia tra il 2013 e il 2014 i flussi nei fondi comuni sono passati da 27 a 56 miliardi di euro mentre i titoli obbligazionari hanno registrato con deflussi superiore a 123 miliardi;
    nei primi 10 mesi del 2015 la raccolta netta di fondi aperti hanno superato gli 88 miliardi di euro e per fine 2015 l'ufficio studi di Intermonte SIM stima una raccolta netta positiva per oltre 90 miliardi e 67 miliardi nel 2016 ovvero oltre 150 miliardi di euro di 2 anni;
    analizzando i dati dei fondi per tipologia di investimento emerge come nella componente obbligazionaria siano investiti tuttora 500 miliardi di euro mentre in quelli puri azionari solo 180 miliardi di euro. Focalizzandosi solo sul mercato italiano i dati appaiono ancora più modesti: a fine del 2014 le azioni italiane detenute dai fondi non arrivavano a 15 miliardi di euro, ovvero circa l'1,5 per cento del totale delle masse amministrate delle Sgr italiane;
    appare quindi evidente come a fronte di un crescente interesse da parte delle famiglie italiane per il risparmio gestito e lo spostamento delle scelte di investimento verso il capitale di rischio (azioni) dato il basso livello dei rendimenti di Bot e Btp (le forme di investimento preferite dalle famiglie italiane) la Borsa italiana non stia intercettando il flusso di risparmio che potrebbe aiutare la patrimonializzazione delle imprese e nei complesso rappresentare un fattore di crescita del Paese;
    dal punto di vista macroeconomico il saldo delle partite correnti cumulato da inizio anno a fine settembre 2015, era attivo per 32 miliardi di euro, rispetto ai 25 miliardi di un anno prima. Un contributo importante è arrivato dalla bilancia commerciale che, sempre cumulato da inizio anno a fine settembre 2015, era positiva per circa 50 miliardi, oltre il 3 per cento del Pil. Un dato inferiore, nell'Eurozona, solo a quella della Germania (7 per cento del Pil), mentre la Francia nello stesso periodo presentava un deficit commerciale pari a 3 per cento del Pil. Il saldo della bilancia commerciale dell'Eurozona a fine 2014 era positivo per 200 miliardi di euro derivante quasi interamente dai surplus di Germania e Italia;
    per contro è cresciuto in modo significativo il flusso degli investimenti di portafoglio in attività finanziarie estere da parte degli italiani che sempre cumulato da inizio anno a fine settembre 2015, era pari a 47 miliardi di euro. Il nostro sistema non riesce quindi a rimettere in circolazione in Italia il surplus dalle partite correnti finendo, di fatto, per finanziare la crescita di Paesi esteri;
    alla luce di quanto appena esposto si rende quindi necessaria una riflessione per cercare di canalizzare, almeno una parte, della ricchezza delle famiglie italiane per favorire lo sviluppo anche del nostro Paese;
    una proposta in questa direzione è quella di intervenire favorendo l'afflusso dei risparmi privati verso il sistema delle Pmi (piccole e medie imprese);
    l'Italia, con 5,3 milioni di imprese attive al 31 dicembre 2013, è il Paese che vanta il maggior numero di microimprese e di Pmi nell'Unione europea, superando di gran lunga anche paesi più popolosi come la Germania e la Francia. In Italia le Pmi infatti oltre il 99 per cento delle realtà imprenditoriali presenti. In base agli ultimi dati disponibili, le Pmi occupano nei complesso poco meno di 4 milioni di addetti, hanno realizzato un volume di fatturato complessivo pari a 851 miliardi di euro, un valore aggiunto di 183 miliardi (pari al 12 per cento del valore del Pil). Le Pmi non costituiscono solo numericamente l'ossatura dei sistema produttivo nazionale, ma anche il loro contributo in termini di occupazione è significativo: impiegano, infatti, oltre l'81 per cento degli occupati totali, in particolare nel settore dei servizi;
    si sottolinea inoltre che già da tempo alcuni dei maggiori Paesi europei hanno istituito un regime di incentivazione fiscale per favorire l'afflusso di capitali privati verso le Pmi, attraverso l'istituzione di fondi di investimento specializzati di tipo chiuso, con importanti risultati tanto in termini di sviluppo imprenditoriale quanto di crescita economica e occupazionale. In particolare, merita ricordare le misure predisposte in tal senso dalla Francia e dal Regno Unito: nel primo caso, attraverso la creazione dei Fonds Communs de Placement dans l'innovation (Fcpi); nel secondo mediante lo schema di incentivo del Venture Capital Trust (Vct);
    le migliori pratiche a livello internazionale interpretano l'utilizzo della leva fiscale come strumento di sostegno allo sviluppo del sistema economico ed imprenditoriale, e pertanto potrebbe pertanto essere opportuno prevedere incentivi specifici a vantaggio dei sottoscrittori di fondi specializzati in Pmi. Tali incentivi avrebbero l'effetto di rendere più attraenti tali veicoli nei confronti degli investitori, andando così ad aumentare la dotazione di capitale privato a disposizione del settore, canalizzando al tempo stesso tale capitale verso quelle categorie di imprese che stentano ancora a reperire i capitali necessari a finanziare i propri progetti di sviluppo;
    è quindi auspicabile favorire la nascita di fondi «specializzati» di tipo chiuso, nella forma del «Fia» ovvero Fondi di Investimento Alternativo, rivolti alle persone fisiche, dedicati esclusivamente all'investimento in Pmi e che intendano utilizzare le risorse raccolte per fare investimenti, creare occupazione;
    per rendere i fondi convenienti per i risparmiatori le società beneficiarie dei capitali si dovrebbero impegnare a pagare un dividendo minimo del 2 per cento all'anno ovvero in linea con il rendimento del Btp a 10 anni, per 5 anni. Le Sgr promotrici dei fondi si potrebbero invece impegnare a praticare un livello commissionale inferiore quello medio di mercato;
    per rendere appetibile l'investimento nei Fia di Sviluppo, per superare il rischio della liquidabilità degli investimenti, coerentemente con il ruolo strategico che tali fondi assumerebbero per il sistema economico italiano, e sulla base delle migliori pratiche a livello internazionale, dovrebbero prevedere:
     che il fondo sia quotato ovvero negoziabile sul mercato secondario;
     una detrazione fiscale riconosciuta al sottoscrittore del fondo, persona fisica, pari al 19 per cento del capitale investito annualmente con un limite implicito all'investimento (essendo prevista, una detraibilità massima di 20 mila euro da suddividere in 5 anni);
    l'effetto finanziario per il bilancio dello Stato del Fia di Sviluppo, ovvero la differenza tra il costo annuo della detrazione e la tassazione del rendimento annuo pagato dal fondo ai sottoscrittori nello stesso periodo, è stimato in circa 11 milioni di euro. Tuttavia il Fia di Sviluppo rappresenterebbe una forma di investimento sostitutiva/alternativa rispetto a quella in altri strumenti finanziari come ad esempio quello nelle «Pmi Innovative» che riconoscono, alle persone fisiche che li sottoscrivono, il medesimo beneficio fiscale. Un effetto sostituzione dei Fia con gli strumenti finanziari emessi dalle Pmi Innovative è assolutamente ragionevole e ipotizzabile e quindi l'effetto finanziario per il bilancio dello Stato potrebbe ulteriormente ridursi;
    si consideri inoltre che la raccolta aggiuntiva legata alla nascita di nuovi fondi chiusi porterà degli effetti indiretti positivi sul bilancio dello Stato ed in particolare:
     le entrate generate dalla tassazione sui dividendi delle Pmi oggetto di investimento da parte del fondo;
     le entrate generate dall'effetto patrimonializzazione delle Pmi e maggiori investimenti delle Pmi;
     le entrate generate dai profitti dell'industria del risparmio gestito per le attività a servizio dello sviluppo e la gestione dei Fia di Sviluppo che essendo focalizzati su Pmi, impiegherebbero prevalentemente personale basato in Italia;
     le entrate generate dall'emersione dei profitti delle società che affrontano un processo di quotazione e cambio di governance essendo le Pmi prevalentemente di proprietà familiare e quindi non focalizzate sulla generazione degli utili come fattore distintivo per la creazione di valore;
    alla luce di quanto appena esposto appare quindi evidente come tale norma a regime potrebbe prevedere a breve non solo nessun onere per lo Stato, ma addirittura maggiori introiti per la finanza pubblica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di elaborare un disegno di legge basato sulla introduzione, anche sulla base delle migliori pratiche a livello internazionale, di una categoria speciale di Fondi alternativi di investimento, denominabili FIA di Sviluppo, da costituirsi in forma chiusa e destinati all'investimento in Pmi, da quotarsi in un mercato regolamentato o da trattarsi in un mercato secondario, investiti dell'obbligo di procurare un rendimento annuo pari ad almeno il 2 per cento (comunque in linea con quello del BTP decennali), rivolti alla sottoscrizione delle sole persone fisiche e assistiti da un beneficio fiscale in termini di detrazione riconosciuta al sottoscrittore pari al 19 per cento del capitale investito annualmente prevedendosi una detraibilità massima di 20 mila euro ripartiti su 5 anni.
9/3444-A/8. (Testo modificato nel corso della seduta).  Fregolent, Coppola, Dallai, Donati, Gadda, Morani, Moretto, Piccoli Nardelli, Vazio, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    nel disegno di legge in esame «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», sono presenti disposizioni per gli investimenti ambientali e le amministrazioni straordinarie;
    la laguna di Orbetello, situata in provincia di Grosseto, è una zona dal rilevante valore ambientale e naturalistico e rappresenta un volano irrinunciabile per l'economia e l'occupazione territoriale;
    la particolare conformazione della laguna (che presenta uno specchio d'acqua di oltre 2500 ettari ed una profondità media di meno di un metro) ne fa un sistema ambientale molto delicato e vulnerabile, che necessita di una serie continuativa di interventi manutentivi e gestionali tali da conservare e migliorare progressivamente l'attuale stato di equilibrio ambientale. A causa dello scarso apporto di acqua dal mare e dell'immissione di scarichi ricchi di nitrati e di sali di potassio, provenienti dalle colture agricole, che hanno determinato il proliferare delle alghe, ed il conseguente impoverimento di ossigeno, la laguna di Orbetello è quindi un ambiente ad alto rischio;
    proprio a seguito di una grave crisi ambientale che ha causato una ingente moria di pesci nel corso degli anni ’90, che ha avuto il suo periodo più acuto nella primavera del 1993, la laguna di Orbetello è stata dichiarata «area ad elevato rischio di crisi ambientale». Successivamente, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto al «Ministro per il coordinamento della protezione civile», l'adozione di un'ordinanza che consentisse l'attuazione di interventi urgenti ed in conseguenza di ciò è stata emanata la prima ordinanza per la nomina del Commissario delegato al risanamento della laguna;
    da anni sono state intraprese azioni e procedure gestionali finalizzate al risanamento della laguna, tra le quali l'incremento dello scambio tra mare e laguna, grazie alla messa in esercizio di idrovore nel periodo primaverile-estivo;
    con una serie di ordinanze e di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri la gestione commissariale si è protratta fino al 2014;
    è emersa in questi anni l'assoluta necessità, da parte delle istituzioni coinvolte, di procedere gradualmente dalla fase commissariale a quella ordinaria affidando gestione e competenze della laguna agli enti locali dotando, al contempo, le amministrazioni territoriali di opportuni finanziamenti statali capaci di strutturare una adeguata programmazione al fine di prevenire emergenze ambientali e salvaguardare le ricchezze naturali della zona;
    nel mese di febbraio 2014 Regione Toscana, Provincia di Grosseto e Comune di Orbetello hanno firmato un accordo di programma per la gestione della laguna e del suo ecosistema: una gestione unitaria, fino al 2016, che assicuri la raccolta delle alghe che si accumulano in superficie, il loro trattamento e collocazione finale, ma anche la manutenzione dei canali necessari a migliorare la circolazione delle acque in laguna ed interventi per la conservazione di fondali e sponde. Una regia unica degli enti locali competenti in regime ordinario, necessaria al termine della lunga gestione commissariale e della fase transitoria assicurata dalla Regione Toscana fino alla fine del 2014;
    tale accordo prevede che la Regione Toscana provvederà a bandire la gara per affidare il servizio di gestione della laguna fino al 2017. Nel frattempo, nel 2015, la gestione provvisoria concordata è stata affidata al Comune di Orbetello;
    va specificato che l'accordo sopracitato non è stato però firmato dal Ministero dell'economia e delle finanze, nonostante la laguna faccia parte del Demanio Marittimo e lo stesso dicastero ne sia proprietario. A seguito del rifiuto ad assumersi le relative responsabilità la Regione è ricorsa al TAR del Lazio, chiedendo che il Ministero paghi quanto dovuto e cioè il costo della gestione e del recupero e smaltimento delle alghe;
    nonostante le istituzioni locali abbiano messo a disposizione anche un serie di mezzi, natanti, pompe e strumenti vari da utilizzare per la gestione della laguna e lo stanziamento complessivo della Regione Toscana di 7 milioni di euro per tre anni è palese che le risorse economiche degli agli enti locali competenti (Comune di Orbetello e Provincia di Grosseto) non siano assolutamente sufficienti a far fronte a situazioni emergenziali che interessano ciclicamente la laguna di Orbetello;
    nella seconda metà del mese di luglio del 2015, anche a causa delle ondate anomale di calore che hanno interessato gran parte d'Italia, la laguna di Orbetello è stata oggetto di una vera e propria catastrofe ecologica che sta tenendo impegnati anche la Protezione Civile e la Guardia Forestale dello Stato;
    è stata rilevata, in pochi giorni, la morte di oltre 200 tonnellate di pesci: si tratta di un bilancio ancora provvisorio ma che annovera tale disastro come il peggiore degli ultimi 70 anni;
    l'intera zona, dal 20 luglio scorso, è oggetto di un monitoraggio continuato e straordinario da parte dell'Arpat (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana). Le analisi hanno rilevato che il fenomeno di moria è da attribuire unicamente ad un evento anossico (mancanza di ossigeno nell'acqua), mentre è da escludere qualsiasi evento distrofico (processo solfato – riducente con sviluppo di componenti tossiche, quali idrogeno solforato) evento, quest'ultimo, che è stato quasi sempre la diretta causa della morte della fauna ittica che si è verificata ciclicamente negli ultimi decenni;
    la calamità naturale ha causato una perdita economica per l'indotto territoriale di circa 20 milioni di euro senza dimenticare che ad oggi oltre 100 addetti potrebbero rischiare il posto di lavoro;
    è inoltre emerso, da organi di informazione, che non sarebbero stati effettuati negli anni passati a guida della gestione commissariale gli interventi strutturali del bacino, ed in particolare quei canali interni che avrebbero consentito un naturale ricambio delle acque nella laguna;
    appare quindi evidente, aldilà delle singole responsabilità, che il modello di governance attuale della Laguna di Orbetello, pur affidando le competenze della laguna agli enti territoriali, manca però di adeguate risorse economiche e tecniche capaci di assicurare una corretta gestione di un ecosistema così complesso e fragile e che interessa un vasto e diversificato tessuto ambientale, occupazionale ed economico,

impegna il Governo:

   ad aderire, tramite il Ministero dell'economia e delle finanze in qualità di ente titolare della proprietà demaniale marittima, all'accordo di programma citato in premessa per la gestione della laguna di Orbetello o a valutare altre forme di gestione della laguna che prevedano comunque il coinvolgimento diretto dello Stato;
   a stanziare annualmente adeguate risorse economiche per assicurare, di concerto con gli altri enti territoriali preposti, la corretta gestione del complesso e delicato ecosistema ambientale della laguna di Orbetello al fine di prevenire e contrastare, anche attraverso la realizzazione di adeguati interventi infrastrutturali ad oggi mancanti, i disastri ecologici che ciclicamente stanno interessando la fauna ittica presente nella laguna di Orbetello;
   a prevedere stanziamenti economici, agevolazioni ed interventi contributivi e creditizi per le attività della filiera ittica ed ammortizzatori sociali per i lavoratori coinvolti che ricadono nel territorio della laguna di Orbetello, al fine di sostenerne la continuità produttiva ed occupazionale, anche attraverso un apposito finanziamento del Fondo di solidarietà nazionale della pesca e dell'acquacoltura, istituito dall'articolo 14 del decreto legislativo 26 maggio 2004, numero 154.
9/3444-A/9Dallai, Sani.


   La Camera,
   premesso che:
    l'emergenza e la precarietà abitativa costituiscono, nella attuale congiuntura economica, uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale, che continua a interessare larghi strati della popolazione appartenenti, oltre che alle tradizionali categorie a rischio, anche a fasce di ceto medio e professionisti;
    i dati del 2014 sugli sfratti continuano a confermare questa emergenza sociale, con l'aumento del 5,7 per cento degli sfratti per morosità e del 14,7 per cento delle richieste di esecuzione. Si conferma in aumento il trend degli ultimi anni: i provvedimenti emessi passano dai 67.790 del 2012 ai 73.385 del 2013 e raggiungono i 77.278 nel 2014 (+5,3 per cento rispetto al 2013). Tale incremento risulta più rilevante in Molise (+86,1 per cento), Puglia (+57,9 per cento), Marche (+37,2 per cento), Trentino Alto Adige (+32,2 per cento), Sardegna (+23,5 per cento), Liguria (+19,8 per cento). Ciò a testimonianza di una problematica che investe in maniera sempre più capillare l'intero territorio nazionale, sebbene la quota più significativa riguardi in ogni caso le grandi regioni, come la Lombardia (14.533 provvedimenti, il 18,8 per cento del totale nazionale), il Lazio (9.648, il 12,5 per cento del totale) e il Piemonte (8.266, 10,7 per cento su scala nazionale);
    rimane preoccupante l'incremento degli sfratti per morosità che raggiungono l'89 per cento del totale di quelli emessi, con un aumento su base annua del 5,7 per cento. In aumento anche le richieste di esecuzione dello sfratto mediante ufficiale giudiziario che dalle 129.577 del 2013, passano alle 150.075 del 2014 (+14,6 per cento) e gli sfratti in tal modo eseguiti: dai 31.399 del 2013 ai 36.083 del 2014 (+13,5 per cento);
    in merito alla situazione descritta il Governo ha messo in campo una serie di misure di contrasto all'emergenza abitativa, tra cui il rifinanziamento del Fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione (istituito dalla legge n. 431 del 1998) e l'istituzione del Fondo per il sostegno degli inquilini morosi incolpevoli, ciò mediante il decreto-legge n. 103 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 124 del 2013 e il successivo decreto-legge n. 47 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 80 del 2014;
    nello specifico l'articolo 6, commi 4 e 5, del decreto-legge n. 103 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 124 del 2013, finanziava con 100 milioni complessivi per il biennio 2014/2015 il Fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione e istituiva il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, con una dotazione pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015;
    il decreto-legge n. 47 del 2014 convertito con modificazioni dalla legge n. 80 del 2014 incrementava gli stanziamenti sopra citati portando a 200 milioni di euro complessivi per il biennio 2014/2015 le risorse del Fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione (articolo 1, comma 1 della norma citata) e rendeva strutturale il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, con stanziamenti programmati sino all'anno 2020 e incrementando altresì gli stessi (articolo 1, comma 2);
    in relazione al Fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 29 gennaio 2015 (articolo 1, commi 2 e 3), decreto di riparto dei 100 milioni destinati a quell'annualità, ha stabilito che una quota non superiore al 25 per cento delle risorse ripartite dovesse essere destinata a dare idonea soluzione abitativa ai soggetti di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9 (famiglie in condizione di disagio) sottoposti a procedure esecutive di rilascio per finita locazione, promuovendo, prioritariamente, la sottoscrizione di nuovi contratti a canone concordato. Per le finalità di cui al comma 2 i comuni interessati, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del decreto, dovevano comunicare alla regione il numero dei provvedimenti esecutivi di rilascio emessi nei confronti delle categorie sociali di cui alla norma da ultimo citata, provvedendo le regioni, nei successivi trenta giorni, al riparto delle disponibilità e all'erogazione delle risorse statali trasferite;
    sull'effettivo utilizzo delle risorse stanziate mediante i due Fondi in questione, un monitoraggio del Ministero delle infrastrutture e i trasporti reso noto dal Sottosegretario Umberto del Basso De Caro durante lo svolgimento dell'interpellanza urgente n. 2-01034, presentata dall'On. Morassut, ha restituito un quadro insoddisfacente;
    in merito al Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni, dai dati acquisiti alla data del 30 aprile 2015, sulla disponibilità complessiva per il biennio 2014-2015 pari ad oltre 324 milioni di euro (di cui 200 milioni statali) le risorse assegnate dalle regioni ai comuni risultano ammontare a 93,7 milioni di euro e quelle effettivamente trasferite a meno di 75 milioni. Mentre, sull'utilizzo della riserva del 25 per cento, inerente il riparto 2015 di 100 milioni, il monitoraggio restituisce un dato di pressoché inutilizzo: 1,4 milioni su 25. Anche alla data del 30 giugno 2015 è stato evidenziato un utilizzo che, seppure incrementato rispetto al precedente valore riscontrato, risulta comunque ridotto: euro 3.540.854,23. Fattore di forte criticità, all'interno della procedura di assegnazione e utilizzo delle risorse in questione, è stato segnalato dalle regioni nell'estrema difficoltà dei comuni di accedere ai dati relativi al numero dei provvedimenti esecutivi di rilascio emessi nei confronti delle specifiche categorie sociali indicate dal decreto ministeriale;
    per quanto concerne invece il Fondo per gli inquilini morosi incolpevoli, il monitoraggio di cui sopra ha restituito un quadro procedurale regionale molto articolato. Su un totale di 83,39 milioni di euro disponibili (di cui 68,46 statali) le risorse assegnate dalle regioni (alla data sopra indicata) si attesterebbero a 23,49 milioni, mentre quelle effettivamente trasferite supererebbero di poco i 12 milioni;
    a fronte di una situazione di emergenza abitativa che non sembra diminuire, le farraginosità del meccanismo di trasferimento delle risorse dallo Stato centrale, alle Regioni, agli enti locali e soprattutto la lentezza nell'espletamento delle procedure per l'accertamento dei beneficiari hanno limitato fortemente l'impatto e l'efficacia degli interventi finanziati;
   considerato che:
    il Fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione risulta sprovvisto di dotazione finanziaria per l'annualità 2016;
    il Fondo in questione ha visto un finanziamento continuo dalla sua istituzione (seppur decrescente) eccetto la parentesi delle annualità 2012 e 2013, rappresentando quest'ultimo il principale strumento di sostegno per l'accesso alle categorie più deboli a una casa in locazione e di contrasto allo scivolamento di queste ultime in una situazione di morosità per l'impossibilità di sostenere le spese relative all'abitazione;
    l'inefficacia dei meccanismi di trasferimento delle risorse stanziate dai Fondi citati ai beneficiari pongono la necessità di una riforma di questi strumenti, che possa garantire un sostegno in tempi ragionevolmente rapidi e una maggiore efficacia nel perseguimento delle finalità a cui essi sono preposti, essendo ineludibile in ogni caso il finanziamento di interventi a tal fine indirizzati,

impegna il Governo

a vincolare al Fondo per l'accesso alle abitazioni in locazione e al Fondo per gli inquilini morosi incolpevoli – tenendo fermi i trasferimenti alle regioni – gli stanziamenti non spesi nelle annualità di riferimento, nonché le eventuali evidenze di risparmi dei due Fondi citati.
9/3444-A/10Piazzoni, Miccoli, Morassut.


   La Camera,
   premesso che:
    l'emergenza e la precarietà abitativa costituiscono, nella attuale congiuntura economica, uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale, che continua a interessare larghi strati della popolazione appartenenti, oltre che alle tradizionali categorie a rischio, anche a fasce di ceto medio e professionisti;
    i dati del 2014 sugli sfratti continuano a confermare questa emergenza sociale, con l'aumento del 5,7 per cento degli sfratti per morosità e del 14,7 per cento delle richieste di esecuzione. Si conferma in aumento il trend degli ultimi anni: i provvedimenti emessi passano dai 67.790 del 2012 ai 73.385 del 2013 e raggiungono i 77.278 nel 2014 (+5,3 per cento rispetto al 2013). Tale incremento risulta più rilevante in Molise (+86,1 per cento), Puglia (+57,9 per cento), Marche (+37,2 per cento), Trentino Alto Adige (+32,2 per cento), Sardegna (+23,5 per cento), Liguria (+19,8 per cento). Ciò a testimonianza di una problematica che investe in maniera sempre più capillare l'intero territorio nazionale, sebbene la quota più significativa riguardi in ogni caso le grandi regioni, come la Lombardia (14.533 provvedimenti, il 18,8 per cento del totale nazionale), il Lazio (9.648, il 12,5 per cento del totale) e il Piemonte (8.266, 10,7 per cento su scala nazionale);
    rimane preoccupante l'incremento degli sfratti per morosità che raggiungono l'89 per cento del totale di quelli emessi, con un aumento su base annua del 5,7 per cento. In aumento anche le richieste di esecuzione dello sfratto mediante ufficiale giudiziario che dalle 129.577 del 2013, passano alle 150.075 del 2014 (+14,6 per cento) e gli sfratti in tal modo eseguiti: dai 31.399 del 2013 ai 36.083 del 2014 (+13,5 per cento);
    in merito alla situazione descritta il Governo ha messo in campo una serie di misure di contrasto all'emergenza abitativa, tra cui il rifinanziamento del Fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione (istituito dalla legge n. 431 del 1998) e l'istituzione del Fondo per il sostegno degli inquilini morosi incolpevoli, ciò mediante il decreto-legge n. 103 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 124 del 2013 e il successivo decreto-legge n. 47 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 80 del 2014;
    nello specifico l'articolo 6, commi 4 e 5, del decreto-legge n. 103 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 124 del 2013, finanziava con 100 milioni complessivi per il biennio 2014/2015 il Fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione e istituiva il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, con una dotazione pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015;
    il decreto-legge n. 47 del 2014 convertito con modificazioni dalla legge n. 80 del 2014 incrementava gli stanziamenti sopra citati portando a 200 milioni di euro complessivi per il biennio 2014/2015 le risorse del Fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione (articolo 1, comma 1 della norma citata) e rendeva strutturale il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, con stanziamenti programmati sino all'anno 2020 e incrementando altresì gli stessi (articolo 1, comma 2);
    in relazione al Fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 29 gennaio 2015 (articolo 1, commi 2 e 3), decreto di riparto dei 100 milioni destinati a quell'annualità, ha stabilito che una quota non superiore al 25 per cento delle risorse ripartite dovesse essere destinata a dare idonea soluzione abitativa ai soggetti di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9 (famiglie in condizione di disagio) sottoposti a procedure esecutive di rilascio per finita locazione, promuovendo, prioritariamente, la sottoscrizione di nuovi contratti a canone concordato. Per le finalità di cui al comma 2 i comuni interessati, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del decreto, dovevano comunicare alla regione il numero dei provvedimenti esecutivi di rilascio emessi nei confronti delle categorie sociali di cui alla norma da ultimo citata, provvedendo le regioni, nei successivi trenta giorni, al riparto delle disponibilità e all'erogazione delle risorse statali trasferite;
    sull'effettivo utilizzo delle risorse stanziate mediante i due Fondi in questione, un monitoraggio del Ministero delle infrastrutture e i trasporti reso noto dal Sottosegretario Umberto del Basso De Caro durante lo svolgimento dell'interpellanza urgente n. 2-01034, presentata dall'On. Morassut, ha restituito un quadro insoddisfacente;
    in merito al Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni, dai dati acquisiti alla data del 30 aprile 2015, sulla disponibilità complessiva per il biennio 2014-2015 pari ad oltre 324 milioni di euro (di cui 200 milioni statali) le risorse assegnate dalle regioni ai comuni risultano ammontare a 93,7 milioni di euro e quelle effettivamente trasferite a meno di 75 milioni. Mentre, sull'utilizzo della riserva del 25 per cento, inerente il riparto 2015 di 100 milioni, il monitoraggio restituisce un dato di pressoché inutilizzo: 1,4 milioni su 25. Anche alla data del 30 giugno 2015 è stato evidenziato un utilizzo che, seppure incrementato rispetto al precedente valore riscontrato, risulta comunque ridotto: euro 3.540.854,23. Fattore di forte criticità, all'interno della procedura di assegnazione e utilizzo delle risorse in questione, è stato segnalato dalle regioni nell'estrema difficoltà dei comuni di accedere ai dati relativi al numero dei provvedimenti esecutivi di rilascio emessi nei confronti delle specifiche categorie sociali indicate dal decreto ministeriale;
    per quanto concerne invece il Fondo per gli inquilini morosi incolpevoli, il monitoraggio di cui sopra ha restituito un quadro procedurale regionale molto articolato. Su un totale di 83,39 milioni di euro disponibili (di cui 68,46 statali) le risorse assegnate dalle regioni (alla data sopra indicata) si attesterebbero a 23,49 milioni, mentre quelle effettivamente trasferite supererebbero di poco i 12 milioni;
    a fronte di una situazione di emergenza abitativa che non sembra diminuire, le farraginosità del meccanismo di trasferimento delle risorse dallo Stato centrale, alle Regioni, agli enti locali e soprattutto la lentezza nell'espletamento delle procedure per l'accertamento dei beneficiari hanno limitato fortemente l'impatto e l'efficacia degli interventi finanziati;
   considerato che:
    il Fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione risulta sprovvisto di dotazione finanziaria per l'annualità 2016;
    il Fondo in questione ha visto un finanziamento continuo dalla sua istituzione (seppur decrescente) eccetto la parentesi delle annualità 2012 e 2013, rappresentando quest'ultimo il principale strumento di sostegno per l'accesso alle categorie più deboli a una casa in locazione e di contrasto allo scivolamento di queste ultime in una situazione di morosità per l'impossibilità di sostenere le spese relative all'abitazione;
    l'inefficacia dei meccanismi di trasferimento delle risorse stanziate dai Fondi citati ai beneficiari pongono la necessità di una riforma di questi strumenti, che possa garantire un sostegno in tempi ragionevolmente rapidi e una maggiore efficacia nel perseguimento delle finalità a cui essi sono preposti, essendo ineludibile in ogni caso il finanziamento di interventi a tal fine indirizzati,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di vincolare al Fondo per l'accesso alle abitazioni in locazione e al Fondo per gli inquilini morosi incolpevoli – tenendo fermi i trasferimenti alle regioni – gli stanziamenti non spesi nelle annualità di riferimento, nonché le eventuali evidenze di risparmi dei due Fondi citati.
9/3444-A/10. (Testo modificato nel corso della seduta). Piazzoni, Miccoli, Morassut.


   La Camera,
   premesso che:
    la regione Lombardia e il Ministero per i beni e le attività culturali hanno sostenuto e collaborato alla realizzazione del museo della fotografia contemporanea fin dalla fase di avvio del progetto nel 1998, il progetto voluto dalla provincia di Milano e dal comune di Cinisello Balsamo rispondeva al grave ritardo con cui l'Italia riconosceva la fotografia carne bene culturale e prevedeva che si istituisse presso la Villa Ghirlanda a Cinisello Balsamo il primo museo pubblico in Italia dedicato alla fotografia contemporanea e più in generale all'immagine tecnologica;
    il patrimonio fotografico del museo di fotografia contemporanea comprende 29 fondi fotografici di proprietà e di pertinenza della provincia di Milano e del comune di Cinisello Balsamo, fondatori del Museo, della regione Lombardia, della fondazione e di privati che hanno depositato al museo la propria collezione o l'archivio, per un totale di un milione e ottocentomila immagini, stampe fotografiche in bianco e nero e a colori di più di seicento autori italiani e stranieri; l'insieme costituisce Uno spaccato significativo della fotografia italiana e straniera dal dopoguerra ad oggi;
    il patrimonio librario del museo comprende diciottomila libri e annate di riviste, provenienti da acquisti e scambi con altre istituzioni;
    il museo ha realizzato nel corso degli anni più di 30 mostre, esponendo artisti di rilevanza internazionale, ha pubblicato 20 libri tra i quali i quaderni di studio dedicati alla riflessione teorica sulla ricerca fotografica e sul rapporto fra la fotografia e le altre arti e discipline espressive;
    dal 2005 è gestito da una fondazione di diritto privato i cui soci sono la provincia di Milano e il comune di Cinisello Balsamo, nel 2010 è nata l'associazione Amici del museo che oggi conta circa 200 soci;
    il Museo nonostante le difficoltà economiche e le incertezze sulle prospettive future, il Museo ha saputo crescere diventando per l'area milanese, nazionale ed internazionale un riferimento scientifico riconosciuto per lo studio, la conservazione e la divulgazione della fotografia come arte contemporanea,
   considerato che:
    la Città metropolitana di Milano non ha tra le sue competenze i beni culturali e per questo non può più far parte della Fondazione, garantendo un contributo annuale per il funzionamento del Museo;
    la Regione Lombardia sembrerebbe non è intenzionata a succedere alla Provincia di Milano/Città Metropolitana nella Fondazione che gestisce il Museo;
    la Triennale di Milano, è disponibile a collaborare per far continuare l'attività del Museo che ha un archivio di collezioni fotografiche e librarie, che vantano il primato in Italia per il contemporaneo e sono un patrimonio di valenza nazionale tutelato ai sensi del codice Urbani;
   tutto ciò premesso:
    per evitare che importanti collezioni possano rischiare di essere smembrate e disperse qualora l'istituzione museale non dovesse trovare nuovi e più ampi sostegni,

impegna il Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo:

   a promuovere le opportune collaborazioni con Regione Lombardia, Città Metropolitana, Comune di Cinisello Balsamo e la Triennale al fine di salvaguardare e valorizzare il patrimonio rappresentato dal Museo di Fotografia Contemporanea;
   a sostenere l'impegno della Triennale di Milano a favore del Museo di Fotografia Contemporanea.
9/3444-A/11Gasparini.


   La Camera,
   premesso che:
    la regione Lombardia e il Ministero per i beni e le attività culturali hanno sostenuto e collaborato alla realizzazione del museo della fotografia contemporanea fin dalla fase di avvio del progetto nel 1998, il progetto voluto dalla provincia di Milano e dal comune di Cinisello Balsamo rispondeva al grave ritardo con cui l'Italia riconosceva la fotografia carne bene culturale e prevedeva che si istituisse presso la Villa Ghirlanda a Cinisello Balsamo il primo museo pubblico in Italia dedicato alla fotografia contemporanea e più in generale all'immagine tecnologica;
    il patrimonio fotografico del museo di fotografia contemporanea comprende 29 fondi fotografici di proprietà e di pertinenza della provincia di Milano e del comune di Cinisello Balsamo, fondatori del Museo, della regione Lombardia, della fondazione e di privati che hanno depositato al museo la propria collezione o l'archivio, per un totale di un milione e ottocentomila immagini, stampe fotografiche in bianco e nero e a colori di più di seicento autori italiani e stranieri; l'insieme costituisce Uno spaccato significativo della fotografia italiana e straniera dal dopoguerra ad oggi;
    il patrimonio librario del museo comprende diciottomila libri e annate di riviste, provenienti da acquisti e scambi con altre istituzioni;
    il museo ha realizzato nel corso degli anni più di 30 mostre, esponendo artisti di rilevanza internazionale, ha pubblicato 20 libri tra i quali i quaderni di studio dedicati alla riflessione teorica sulla ricerca fotografica e sul rapporto fra la fotografia e le altre arti e discipline espressive;
    dal 2005 è gestito da una fondazione di diritto privato i cui soci sono la provincia di Milano e il comune di Cinisello Balsamo, nel 2010 è nata l'associazione Amici del museo che oggi conta circa 200 soci;
    il Museo nonostante le difficoltà economiche e le incertezze sulle prospettive future, il Museo ha saputo crescere diventando per l'area milanese, nazionale ed internazionale un riferimento scientifico riconosciuto per lo studio, la conservazione e la divulgazione della fotografia come arte contemporanea,
   considerato che:
    la Città metropolitana di Milano non ha tra le sue competenze i beni culturali e per questo non può più far parte della Fondazione, garantendo un contributo annuale per il funzionamento del Museo;
    la Regione Lombardia sembrerebbe non è intenzionata a succedere alla Provincia di Milano/Città Metropolitana nella Fondazione che gestisce il Museo;
    la Triennale di Milano, è disponibile a collaborare per far continuare l'attività del Museo che ha un archivio di collezioni fotografiche e librarie, che vantano il primato in Italia per il contemporaneo e sono un patrimonio di valenza nazionale tutelato ai sensi del codice Urbani;
   tutto ciò premesso:
    per evitare che importanti collezioni possano rischiare di essere smembrate e disperse qualora l'istituzione museale non dovesse trovare nuovi e più ampi sostegni,

impegna il Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo:

   a valutare l'opportunità di promuovere le opportune collaborazioni con Regione Lombardia, Città Metropolitana, Comune di Cinisello Balsamo e la Triennale al fine di salvaguardare e valorizzare il patrimonio rappresentato dal Museo di Fotografia Contemporanea;
   a valutare l'opportunità di sostenere l'impegno della Triennale di Milano a favore del Museo di Fotografia Contemporanea.
9/3444-A/11. (Testo modificato nel corso della seduta).  Gasparini.


   La Camera,
   premesso che:
    in data 26 novembre 2014 è stata presentata interrogazione (5-04133) a firma Gasparini/Mauri che aveva come obiettivo conoscere dal Governo la volontà/disponibilità a finanziare il completamento della Metropolitana 5 di Milano nel tratto che comprende i comuni di Cinisello Balsamo e Monza;
    le dichiarazioni del Ministro Graziano Delrio congiuntamente all'assessore alla mobilità di Milano Maran, che s'impegnano a realizzare quanto previsto nel piano della mobilità del comune di Milano del 2001/2010 riguardante la tratta della M5 da Bignami/Bettola e aggiungendo ulteriori fermate sulla verso Monza e Settimo Milanese;
    l'ordine del giorno approvato al Senato – primo firmatario senatore Mandelli – in cui si chiedono finanziamenti per il prolungamento della M5 da Bettola fino all'ospedale San Gerardo e Parco Villa Reale:
   ricordando che:
    il Nord Milano e Monza e Brianza sono una delle aree del Paese a più alta intensità di popolazione e di attività produttive con il conseguente carico di traffico automobilistico che si aggiunge a quello di attraversamento sul sistema viabilistico di valenza nazionale (SS36), tangenziale (nord, ovest e est) e autostradale Milano-Venezia;
    la frammentazione dei decisori (regione, province, comuni, comuni capoluoghi) non ha permesso di rendere coerenti gli investimenti per potenziare il trasporto metropolitano e realizzare aree di interscambio capaci di intercettare e fermare il traffico di penetrazione sulle aree urbane più densamente popolate offrendo servizi di parcheggio e accesso al sistema di trasporto su gomma e su ferro (treno e metropolitane);
    la progettazione della linea 5 della metropolitana e il prolungamento della linea M1 con capolinea di entrambi a Monza-Cinisello/Bettola e la realizzazione del relativo parcheggio di interscambio, si era operato affinché ci fosse coerenza nelle finalità degli interventi realizzati: ridurre il traffico automobilistico nelle aree più densamente popolate e collegando il sistema metropolitano milanese con Monza;
    la decisione di non realizzare quanto era stato approvato dal consiglio comunale di Milano con il piano della mobilità 2001/2010 (delibera n. 30 del 19 marzo 2001) ha determinato incongruenze e danni per l'intero sistema milanese e della Brianza, in quanto:
     a) non creando le condizioni di interscambio ferro/metropolitane/gomma nell'area MonzaCinisello/Bettola, non rende possibile offrire un servizio reale agli automobilisti diretti a Milano che permetta di affrontare radicalmente il problema dell'inquinamento dell'aria, la tutela della salute dei cittadini;
     b) non rendendo coerente e sinergica l'organizzazione della complessa rete viabilistica e trasporti del nord Milano (SS36, tangenziale ovest, tangenziale nord-Rho/Monza, autostrada Milano Venezia, viale Fulvio Testi/viale Zara/viale Sarca, prolungamento metropolitana) il traffico di attraversamento a Cinisello Balsamo e Sesto San Giovanni è aumentato in maniera esponenziale, caricando sulla comunità di Cinisello Balsamo, in particolare, il traffico di accumulo a causa di lavori incoerenti;
   si evidenzia inoltre:
     c) che si sta realizzando il prolungamento e il nuovo capolinea della metropolitana 1 da Sesto San Giovanni all'area di confine tra Monza e Cinisello Balsamo denominata frazione Bettola con già predisposto l'innesto della metropolitana 5 prevista lungo il viale Fulvio Testi;
    d) che con il finanziamento del tratto metropolitano M5 da Bignami a Monza si renderebbe anche possibile riqualificare il tratto stradale viale Fulvio Testi, Viale Zara, e l'incrocio Clerici-Sarca, eliminando il grave disagio che si è venuto a creare a Cinisello Balsamo con l'interramento della SS36 nel tratto monzese e il mancato completamento della riqualificazione del viale Fulvio Testi,

impegna il Governo:

   a dare priorità al finanziamento della metropolitana linea 5 da Milano/Bignami a MonzaCinisello/Bettola che permetterebbe la realizzazione di una infrastruttura strategica per collegare la città metropolitana di Milano con la provincia di Monza e Brianza e il suo capoluogo Monza;
   a prevedere ulteriori spazi finanziari per il prolungamento fino alle stazioni di «Ospedale San Gerardo» e «Parco Villa Reale»;
   a prevedere nel prossimo documento di programmazione economica, che il Governo deve presentare al Parlamento entro il 10 aprile del 2016, i finanziamenti per la realizzazione di questa opera strategica.
9/3444-A/12Mauri, Gasparini.


   La Camera,
   premesso che:
    in data 26 novembre 2014 è stata presentata interrogazione (5-04133) a firma Gasparini/Mauri che aveva come obiettivo conoscere dal Governo la volontà/disponibilità a finanziare il completamento della Metropolitana 5 di Milano nel tratto che comprende i comuni di Cinisello Balsamo e Monza;
    le dichiarazioni del Ministro Graziano Delrio congiuntamente all'assessore alla mobilità di Milano Maran, che s'impegnano a realizzare quanto previsto nel piano della mobilità del comune di Milano del 2001/2010 riguardante la tratta della M5 da Bignami/Bettola e aggiungendo ulteriori fermate sulla verso Monza e Settimo Milanese;
    l'ordine del giorno approvato al Senato – primo firmatario senatore Mandelli – in cui si chiedono finanziamenti per il prolungamento della M5 da Bettola fino all'ospedale San Gerardo e Parco Villa Reale:
   ricordando che:
    il Nord Milano e Monza e Brianza sono una delle aree del Paese a più alta intensità di popolazione e di attività produttive con il conseguente carico di traffico automobilistico che si aggiunge a quello di attraversamento sul sistema viabilistico di valenza nazionale (SS36), tangenziale (nord, ovest e est) e autostradale Milano-Venezia;
    la frammentazione dei decisori (regione, province, comuni, comuni capoluoghi) non ha permesso di rendere coerenti gli investimenti per potenziare il trasporto metropolitano e realizzare aree di interscambio capaci di intercettare e fermare il traffico di penetrazione sulle aree urbane più densamente popolate offrendo servizi di parcheggio e accesso al sistema di trasporto su gomma e su ferro (treno e metropolitane);
    la progettazione della linea 5 della metropolitana e il prolungamento della linea M1 con capolinea di entrambi a Monza-Cinisello/Bettola e la realizzazione del relativo parcheggio di interscambio, si era operato affinché ci fosse coerenza nelle finalità degli interventi realizzati: ridurre il traffico automobilistico nelle aree più densamente popolate e collegando il sistema metropolitano milanese con Monza;
    la decisione di non realizzare quanto era stato approvato dal consiglio comunale di Milano con il piano della mobilità 2001/2010 (delibera n. 30 del 19 marzo 2001) ha determinato incongruenze e danni per l'intero sistema milanese e della Brianza, in quanto:
     a) non creando le condizioni di interscambio ferro/metropolitane/gomma nell'area MonzaCinisello/Bettola, non rende possibile offrire un servizio reale agli automobilisti diretti a Milano che permetta di affrontare radicalmente il problema dell'inquinamento dell'aria, la tutela della salute dei cittadini;
     b) non rendendo coerente e sinergica l'organizzazione della complessa rete viabilistica e trasporti del nord Milano (SS36, tangenziale ovest, tangenziale nord-Rho/Monza, autostrada Milano Venezia, viale Fulvio Testi/viale Zara/viale Sarca, prolungamento metropolitana) il traffico di attraversamento a Cinisello Balsamo e Sesto San Giovanni è aumentato in maniera esponenziale, caricando sulla comunità di Cinisello Balsamo, in particolare, il traffico di accumulo a causa di lavori incoerenti;
   si evidenzia inoltre:
     c) che si sta realizzando il prolungamento e il nuovo capolinea della metropolitana 1 da Sesto San Giovanni all'area di confine tra Monza e Cinisello Balsamo denominata frazione Bettola con già predisposto l'innesto della metropolitana 5 prevista lungo il viale Fulvio Testi;
    d) che con il finanziamento del tratto metropolitano M5 da Bignami a Monza si renderebbe anche possibile riqualificare il tratto stradale viale Fulvio Testi, Viale Zara, e l'incrocio Clerici-Sarca, eliminando il grave disagio che si è venuto a creare a Cinisello Balsamo con l'interramento della SS36 nel tratto monzese e il mancato completamento della riqualificazione del viale Fulvio Testi,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    dare priorità al finanziamento della metropolitana linea 5 da Milano/Bignami a MonzaCinisello/Bettola che permetterebbe la realizzazione di una infrastruttura strategica per collegare la città metropolitana di Milano con la provincia di Monza e Brianza e il suo capoluogo Monza;
    prevedere ulteriori spazi finanziari per il prolungamento fino alle stazioni di «Ospedale San Gerardo» e «Parco Villa Reale»;
    prevedere nel prossimo documento di programmazione economica, che il Governo deve presentare al Parlamento entro il 10 aprile del 2016, i finanziamenti per la realizzazione di questa opera strategica.
9/3444-A/12. (Testo modificato nel corso della seduta).  Mauri, Gasparini.


   La Camera,
   visto il principio di pubblicità dei lavori parlamentari sancito dall'articolo 64 della Costituzione;
   considerato quanto previsto dall'articolo 14-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in legge dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221, che prevede che «al Senato della Repubblica e alla Camera dei deputati è assicurata a titolo gratuito la funzione trasmissiva al fine di garantire la trasparenza e l'accessibilità dei lavori parlamentari su tutto il territorio nazionale nel nuovo sistema universale digitale» e che, a tal fine, prevede che il Ministro dello sviluppo economico adotti gli opportuni provvedimenti;
   visto anche quanto previsto dal comma (riforma canone Rai) dell'articolo 1 del disegno di legge n. 3444 – legge di stabilità 2016;
   considerato che tra le finalità del servizio pubblico radiotelevisivo vi è anche quella di garantire la massima diffusione dei lavori parlamentari, attraverso mezzi che ne garantiscano la piena accessibilità su tutto il territorio nazionale;
   rilevato che in questo senso si è già espressa anche la Commissione parlamentare di vigilanza sui servizi radiotelevisivi che nel parere sullo schema di Contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai-Radiotelevisione italiana Spa per il triennio 2013-2015, ancora non stipulato, ha previsto una condizione che impegna la Rai a «mettere gratuitamente a disposizione della Camera e del Senato – entro 6 mesi dall'entrata in vigore del contratto – una funzione trasmissiva nella sua piattaforma digitale tale da consentire alle due Camere la migrazione degli attuali canali istituzionali nel nuovo sistema universale mantenendone una piena autonomia», nonché a riservare nel palinsesto delle tre reti generaliste «adeguati spazi e contenitori giornalistici all'informazione sulle attività delle Assemblee e delle Commissioni parlamentari, delle altre istituzioni costituzionali, di rilievo costituzionale, di garanzia e di controllo e dell'Unione Europea, illustrando le tematiche con linguaggio accessibile a tutti»,

impegna il Governo

ad assumere tutte le iniziative ritenute necessarie, anche attraverso l'integrazione del contratto di servizio con la Rai-Radiotelevisione italiana Spa, affinché, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità 2016, sia messa gratuitamente a disposizione della Camera e del Senato una funzione trasmissiva nella piattaforma digitale della Rai stessa per consentire alle due Camere di migrare gli attuali canali istituzionali su due canali digitali terrestri, mantenendone una piena autonomia nelle modalità di definizione del palinsesto.
9/3444-A/13Fontanelli, Gregorio Fontana, Dambruoso.


   La Camera,
   visto il principio di pubblicità dei lavori parlamentari sancito dall'articolo 64 della Costituzione;
   considerato quanto previsto dall'articolo 14-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in legge dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221, che prevede che «al Senato della Repubblica e alla Camera dei deputati è assicurata a titolo gratuito la funzione trasmissiva al fine di garantire la trasparenza e l'accessibilità dei lavori parlamentari su tutto il territorio nazionale nel nuovo sistema universale digitale» e che, a tal fine, prevede che il Ministro dello sviluppo economico adotti gli opportuni provvedimenti;
   visto anche quanto previsto dal comma (riforma canone Rai) dell'articolo 1 del disegno di legge n. 3444 – legge di stabilità 2016;
   considerato che tra le finalità del servizio pubblico radiotelevisivo vi è anche quella di garantire la massima diffusione dei lavori parlamentari, attraverso mezzi che ne garantiscano la piena accessibilità su tutto il territorio nazionale;
   rilevato che in questo senso si è già espressa anche la Commissione parlamentare di vigilanza sui servizi radiotelevisivi che nel parere sullo schema di Contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai-Radiotelevisione italiana Spa per il triennio 2013-2015, ancora non stipulato, ha previsto una condizione che impegna la Rai a «mettere gratuitamente a disposizione della Camera e del Senato – entro 6 mesi dall'entrata in vigore del contratto – una funzione trasmissiva nella sua piattaforma digitale tale da consentire alle due Camere la migrazione degli attuali canali istituzionali nel nuovo sistema universale mantenendone una piena autonomia», nonché a riservare nel palinsesto delle tre reti generaliste «adeguati spazi e contenitori giornalistici all'informazione sulle attività delle Assemblee e delle Commissioni parlamentari, delle altre istituzioni costituzionali, di rilievo costituzionale, di garanzia e di controllo e dell'Unione Europea, illustrando le tematiche con linguaggio accessibile a tutti»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere tutte le iniziative ritenute necessarie, anche attraverso l'integrazione del contratto di servizio con la Rai-Radiotelevisione italiana Spa, affinché, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità 2016, sia messa gratuitamente a disposizione della Camera e del Senato una funzione trasmissiva nella piattaforma digitale della Rai stessa per consentire alle due Camere di migrare gli attuali canali istituzionali su due canali digitali terrestri, mantenendone una piena autonomia nelle modalità di definizione del palinsesto.
9/3444-A/13. (Testo modificato nel corso della seduta). Fontanelli, Gregorio Fontana, Dambruoso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Associazione nazionale vittime civili di guerra (ANVCG) Onlus è l'ente morale preposto per legge alla rappresentanza e tutela delle vittime civili di guerra e delle loro famiglie. Al contrario di quello che si immagina si tratta di una categoria, quella delle vittime della guerra, ancora molto ampia ed attuale, che solo in Italia conta oltre 120.000 persone (fonte: Elaborazione statistica sulle partite di pensioni di guerra in pagamento per il 2014, a cura del Ministero dell'Economia delle Finanze – Direzione dei servizi del tesoro). Si tratta di mutilati, invalidi, grandi invalidi, vedove e orfani cui l'associazione offre quotidiana assistenza, anche domiciliare;
    a fianco alle tradizionali attività di assistenza diretta, oggi in buona parte anche di carattere domiciliare attraverso le oltre 80 sedi periferiche, l'ANVCG è inoltre impegnata in diverse, attualissime iniziative nazionali ed internazionale, che la vedono coinvolta a fianco di importanti partner istituzionali e non;
   a titolo esemplificativo e non esaustivo si possono citare:
    la campagna di sensibilizzazione sugli ordigni bellici inesplosi e sullo sminamento umanitario, condotta anche in collaborazione con la RAI, il Ministero degli esteri, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'UNMAS (Agenzia ONU per l'azione contro le mine e gli ordigni inesplosi) ed altri partner italiani ed internazionali;
    la partecipazione alle campagne internazionali di sostegno alle vittime civili di guerra in Sierra Leone, Congo e nella striscia di Gaza, in collaborazione con le Agenzie delle Nazioni Unite UNRWA e UNMAS;
    la stipula, il 13 novembre 2015, di un protocollo d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per la diffusione e la sensibilizzazione di diverse tematiche che ricadono nell'ambito della attività dell'associazione;
    la creazione di un osservatorio con compiti di ricognizione e studio a livello internazionale nel campo del diritto umanitario, dei diritti umani e delle conseguenze dei conflitti sulla popolazione civile nel mondo;
    numerose campagne di sensibilizzazione, tra cui attualmente in corso quella sul tema dei rifugiati, nell'ambito della quale l'Associazione ha anche aderito al «Comitato 3 ottobre», dove sono presenti l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), Save the Children, Emergency, Amnesty International, Medici Senza Frontiere ecc.;
    la partecipazione al Comitato nazionale per l'azione umanitaria contro le mine anti-persona presso il Ministero degli affari esteri;
    la creazione, della Scuola di aggiornamento e alta formazione «Giuseppe Arcaroli» sui temi dei diritti umani in relazione alle situazioni di conflitto;
    la realizzazione di ricerche e pubblicazioni di carattere storico, di cui da ultimo il progetto di ricerca documentale, attualmente in corso, per un «Atlante dei bombardamenti e delle vittime civili di guerra», sotto il coordinamento del Prof. Nicola Labanca, Presidente del centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militari;
   l'associazione percepisce due tipi di contributi, uno ordinario annuo specifico, ai sensi del comma 113 dell'articolo 1 della legge n. 311 del 2004 come modificato dall'articolo 11-quaterdecies, comma 10, del decreto-legge n. 203 del 2005 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, allocato nel capitolo 2310 Tab. 8 del Ministero dell'interno e l'altro, soggetto a riparto con altre Associazioni, allocato nel capitolo 2309 Tab. 8 del Ministero dell'interno;
   negli ultimi anni, a fronte delle numerose e crescenti attività svolte dall'ANVCG anche in collaborazione con diversi Ministeri, la certezza e la regolarità di tali contributi è stata costantemente compromessa da ripetuti tagli da parete del Governo, cui sono sempre seguiti altrettanti interventi del Parlamento diretti al ripristino degli stessi;
   anche in occasione della legge di stabilità 2016 – a fronte di precisi impegni del Governo a ripristinare integralmente le risorse relative ai due contributi – il Parlamento ha approvato specifici emendamenti che ripristinato soltanto in parte i contributi dell'Associazione, grazie ai quali si è impedito il rischio di pregiudicarne alcune, importanti, attività in favore della categoria e della collettività in genere,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative, se del caso in un primo provvedimento utile o al più nell'ambito delle prossima sessione di assestamento del bilancio, volte a ripristinare il contributo ordinario previsto dal comma 113 dell'articolo 1 della legge n. 311 del 2004 come modificato dall'articolo 11-quaterdecies, comma 10, del decreto-legge n. 203 del 2005 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, come allocato nel capitolo 2310 Tab. 8 del Ministero dell'interno, nell'importo originario di 400.000 euro annui, nonché il contributo soggetto a riparto di cui al capitolo 2309 Tab. 8 del Ministero dell'Interno nell'importo originario di 2.000.000 di euro annui;
   ad ogni modo, ad intraprendere azioni dirette ad assicurare stabilità, continuità e certezza nell'allocazione e nella misura delle risorse da stanziare in favore dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra.
9/3444-A/14Mongiello.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Associazione nazionale vittime civili di guerra (ANVCG) Onlus è l'ente morale preposto per legge alla rappresentanza e tutela delle vittime civili di guerra e delle loro famiglie. Al contrario di quello che si immagina si tratta di una categoria, quella delle vittime della guerra, ancora molto ampia ed attuale, che solo in Italia conta oltre 120.000 persone (fonte: Elaborazione statistica sulle partite di pensioni di guerra in pagamento per il 2014, a cura del Ministero dell'Economia delle Finanze – Direzione dei servizi del tesoro). Si tratta di mutilati, invalidi, grandi invalidi, vedove e orfani cui l'associazione offre quotidiana assistenza, anche domiciliare;
    a fianco alle tradizionali attività di assistenza diretta, oggi in buona parte anche di carattere domiciliare attraverso le oltre 80 sedi periferiche, l'ANVCG è inoltre impegnata in diverse, attualissime iniziative nazionali ed internazionale, che la vedono coinvolta a fianco di importanti partner istituzionali e non;
   a titolo esemplificativo e non esaustivo si possono citare:
    la campagna di sensibilizzazione sugli ordigni bellici inesplosi e sullo sminamento umanitario, condotta anche in collaborazione con la RAI, il Ministero degli esteri, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'UNMAS (Agenzia ONU per l'azione contro le mine e gli ordigni inesplosi) ed altri partner italiani ed internazionali;
    la partecipazione alle campagne internazionali di sostegno alle vittime civili di guerra in Sierra Leone, Congo e nella striscia di Gaza, in collaborazione con le Agenzie delle Nazioni Unite UNRWA e UNMAS;
    la stipula, il 13 novembre 2015, di un protocollo d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per la diffusione e la sensibilizzazione di diverse tematiche che ricadono nell'ambito della attività dell'associazione;
    la creazione di un osservatorio con compiti di ricognizione e studio a livello internazionale nel campo del diritto umanitario, dei diritti umani e delle conseguenze dei conflitti sulla popolazione civile nel mondo;
    numerose campagne di sensibilizzazione, tra cui attualmente in corso quella sul tema dei rifugiati, nell'ambito della quale l'Associazione ha anche aderito al «Comitato 3 ottobre», dove sono presenti l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), Save the Children, Emergency, Amnesty International, Medici Senza Frontiere ecc.;
    la partecipazione al Comitato nazionale per l'azione umanitaria contro le mine anti-persona presso il Ministero degli affari esteri;
    la creazione, della Scuola di aggiornamento e alta formazione «Giuseppe Arcaroli» sui temi dei diritti umani in relazione alle situazioni di conflitto;
    la realizzazione di ricerche e pubblicazioni di carattere storico, di cui da ultimo il progetto di ricerca documentale, attualmente in corso, per un «Atlante dei bombardamenti e delle vittime civili di guerra», sotto il coordinamento del Prof. Nicola Labanca, Presidente del centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militari;
   l'associazione percepisce due tipi di contributi, uno ordinario annuo specifico, ai sensi del comma 113 dell'articolo 1 della legge n. 311 del 2004 come modificato dall'articolo 11-quaterdecies, comma 10, del decreto-legge n. 203 del 2005 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, allocato nel capitolo 2310 Tab. 8 del Ministero dell'interno e l'altro, soggetto a riparto con altre Associazioni, allocato nel capitolo 2309 Tab. 8 del Ministero dell'interno;
   negli ultimi anni, a fronte delle numerose e crescenti attività svolte dall'ANVCG anche in collaborazione con diversi Ministeri, la certezza e la regolarità di tali contributi è stata costantemente compromessa da ripetuti tagli da parete del Governo, cui sono sempre seguiti altrettanti interventi del Parlamento diretti al ripristino degli stessi;
   anche in occasione della legge di stabilità 2016 – a fronte di precisi impegni del Governo a ripristinare integralmente le risorse relative ai due contributi – il Parlamento ha approvato specifici emendamenti che ripristinato soltanto in parte i contributi dell'Associazione, grazie ai quali si è impedito il rischio di pregiudicarne alcune, importanti, attività in favore della categoria e della collettività in genere,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative, se del caso in un primo provvedimento utile o al più nell'ambito delle prossima sessione di assestamento del bilancio, volte a ripristinare il contributo ordinario previsto dal comma 113 dell'articolo 1 della legge n. 311 del 2004 come modificato dall'articolo 11-quaterdecies, comma 10, del decreto-legge n. 203 del 2005 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, come allocato nel capitolo 2310 Tab. 8 del Ministero dell'interno, nell'importo originario di 400.000 euro annui, nonché il contributo soggetto a riparto di cui al capitolo 2309 Tab. 8 del Ministero dell'Interno nell'importo originario di 2.000.000 di euro annui;
   ad ogni modo, a valutare l'opportunità di intraprendere azioni dirette ad assicurare stabilità, continuità e certezza nell'allocazione e nella misura delle risorse da stanziare in favore dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra.
9/3444-A/14. (Testo modificato nel corso della seduta).  Mongiello.


   La Camera,
   premesso che:
    la sempre maggiore internazionalizzazione del sistema universitario italiano è una priorità per il Paese;
    tale obiettivo è presente nel provvedimento in esame, come dimostrano gli interventi previsti dai commi 110, 111, 112, 113, 114 e 115 dell'articolo 1;
    la mobilità internazionale costituisce un requisito imprescindibile per accedere alla maggior parte dei fondi alla ricerca finanziati dall'Unione Europea;
    secondo i dati resi pubblici da MAECI e EUROSTAT, solo il 3,8 per cento degli studenti iscritti alle università italiane sono stranieri, a fronte di una media europea dell'8 per cento;
    secondo l'Ufficio di statistica del MAECI, la quota di docenti di ruolo stranieri operanti nel sistema italiano è equivalente a meno del 3 per cento del totale;
    rispetto a molti altri Paesi europei, la quantità di corsi universitari in lingua inglese offerti dalle università italiane è contenuta;
    nel suo percorso di internazionalizzazione, il nostro Paese dispone di una risorsa d'eccellenza costituita dalla comunità scientifica italiana impiegata presso università straniere;
    lo sforzo di sostenere la proiezione del nostro sistema economico in ambito globale, non sempre si è coniugato, anche nelle misure volte al rilancio della nostra economia adottate in questi ultimi tempi, con un'adeguata consapevolezza dell'opportunità di valorizzare la presenza degli italiani all'estero come leva dello sviluppo del «sistema Paese»;
    prevedere che nel sistema universitario italiano venga inserito un maggior numero di studiosi di qualità eccellente, non necessariamente in possesso della cittadinanza italiana e con significativa esperienza lavorativa in un Paese diverso dal Paese di attuale residenza, contribuirebbe in modo determinante al suo svecchiamento e alla sua internazionalizzazione,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di destinare una quota dello stanziamento di cui ai commi 110, 111, 112, 113, 114, e 115 dell'articolo 1 a personale docente che negli ultimi dieci anni abbia svolto attività di ricerca o di insegnamento per almeno due anni continuativi presso un ente di ricerca o presso una università di un Paese estero diverso dal Paese di attuale residenza.
9/3444-A/15Garavini, Gianni Farina, Fedi, La Marca, Porta, Tacconi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, all'articolo 1, comma 548-terdecies, reca l'introduzione della «card cultura giovani», strumento volto alla promozione e allo sviluppo della cultura e della conoscenza del patrimonio culturale;
    la «card cultura giovani» consiste in una Carta elettronica, dell'importo nominale massimo di euro 500 per l'anno 2016, assegnata a tutti i cittadini italiani ed europei residenti sul territorio nazionale i quali compiono i diciotto anni nell'anno 2016, da utilizzare per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo,

impegna il Governo

a reinvestire eventuali risparmi all'interno del sistema, prevedendone la destinazione al «Fondo per il contrasto della povertà educativa» di cui all'articolo 1, comma 213 del provvedimento in esame.
9/3444-A/16Ascani, Antezza, Amato, Arlotti, Bazoli, Blazina, Bonaccorsi, Bonomo, Bossa, Carocci, Carrescia, Carrozza, Coccia, Coppola, Covello, Crivellari, Dallai, De Menech, Marco Di Maio, Donati, D'Ottavio, Ghizzoni, Grassi, Gribaudo, Lodolini, Manzi, Marco Meloni, Morani, Narduolo, Pes, Salvatore Piccolo, Preziosi, Prina, Quartapelle Procopio, Rubinato, Sgambato, Taricco, Tidei, Zardini, Romanini, Malisani, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, all'articolo 1, comma 548-terdecies, reca l'introduzione della «card cultura giovani», strumento volto alla promozione e allo sviluppo della cultura e della conoscenza del patrimonio culturale;
    la «card cultura giovani» consiste in una Carta elettronica, dell'importo nominale massimo di euro 500 per l'anno 2016, assegnata a tutti i cittadini italiani ed europei residenti sul territorio nazionale i quali compiono i diciotto anni nell'anno 2016, da utilizzare per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di reinvestire eventuali risparmi all'interno del sistema, prevedendone la destinazione al «Fondo per il contrasto della povertà educativa» di cui all'articolo 1, comma 213 del provvedimento in esame.
9/3444-A/16. (Testo modificato nel corso della seduta).  Ascani, Antezza, Amato, Arlotti, Bazoli, Blazina, Bonaccorsi, Bonomo, Bossa, Carocci, Carrescia, Carrozza, Coccia, Coppola, Covello, Crivellari, Dallai, De Menech, Marco Di Maio, Donati, D'Ottavio, Ghizzoni, Grassi, Gribaudo, Lodolini, Manzi, Marco Meloni, Morani, Narduolo, Pes, Salvatore Piccolo, Preziosi, Prina, Quartapelle Procopio, Rubinato, Sgambato, Taricco, Tidei, Zardini, Romanini, Malisani, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 496 dell'articolo 1 dell'Atto Camera 3444-A recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)» istituisce, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un Fondo finalizzato all'acquisto diretto, ovvero per il tramite di società specializzate, degli automezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale, e in particolare per l'accessibilità per persone a mobilità ridotta;
    al Fondo confluiscono, previa intesa con le Regioni, le risorse disponibili di cui all'articolo 1, comma 83, della legge di stabilità 2014 (comma 496);
    l'articolo 1, comma 83, della legge di stabilità 2014 ha stanziato 300 milioni per il 2014 e 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016 da destinare all'acquisto di materiale rotabile su gomma e di materiale rotabile ferroviario, nonché di vaporetti e ferryboat;
    i relativi pagamenti sono esclusi dal patto di stabilità interno, nel limite del 45 per cento dell'assegnazione di ciascuna regione per l'anno 2014 e integralmente per gli anni 2015 e 2016;
    le modifiche introdotte nel provvedimento in esame relative all'inclusione della riqualificazione elettrica tra le finalità del Fondo per l'acquisto diretto dei mezzi del trasporto pubblico locale risultano positive ancorché insufficienti dal punto di vista della mobilità sostenibile;
    la promozione e l'incentivazione della mobilità sostenibile sono elementi fondamentali per il conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020,

impegna il Governo

ad adottare opportune iniziative volte a garantire e monitorare che il Fondo istituito per la sostituzione del parco mezzi adibito al trasporto pubblico locale e regionale venga utilizzato prioritariamente per investimenti destinati alla riqualificazione elettrica dei veicoli già circolanti piuttosto che ad acquisti di mezzi nuovi consentendo così la realizzazione, nel nostro Paese, di una mobilità sostenibile di persone e merci a basso impatto ambientale ed economico.
9/3444-A/17Cristian Iannuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 496 dell'articolo 1 dell'Atto Camera 3444-A recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)» istituisce, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un Fondo finalizzato all'acquisto diretto, ovvero per il tramite di società specializzate, degli automezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale, e in particolare per l'accessibilità per persone a mobilità ridotta;
    al Fondo confluiscono, previa intesa con le Regioni, le risorse disponibili di cui all'articolo 1, comma 83, della legge di stabilità 2014 (comma 496);
    l'articolo 1, comma 83, della legge di stabilità 2014 ha stanziato 300 milioni per il 2014 e 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016 da destinare all'acquisto di materiale rotabile su gomma e di materiale rotabile ferroviario, nonché di vaporetti e ferryboat;
    i relativi pagamenti sono esclusi dal patto di stabilità interno, nel limite del 45 per cento dell'assegnazione di ciascuna regione per l'anno 2014 e integralmente per gli anni 2015 e 2016;
    le modifiche introdotte nel provvedimento in esame relative all'inclusione della riqualificazione elettrica tra le finalità del Fondo per l'acquisto diretto dei mezzi del trasporto pubblico locale risultano positive ancorché insufficienti dal punto di vista della mobilità sostenibile;
    la promozione e l'incentivazione della mobilità sostenibile sono elementi fondamentali per il conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare opportune iniziative volte a garantire e monitorare che il Fondo istituito per la sostituzione del parco mezzi adibito al trasporto pubblico locale e regionale venga utilizzato prioritariamente per investimenti destinati alla riqualificazione elettrica dei veicoli già circolanti piuttosto che ad acquisti di mezzi nuovi consentendo così la realizzazione, nel nostro Paese, di una mobilità sostenibile di persone e merci a basso impatto ambientale ed economico.
9/3444-A/17. (Testo modificato nel corso della seduta).  Cristian Iannuzzi.


   La Camera,
   considerato che:
    l'impianto complessivo del disegno di legge di stabilità 2016 conferma le linee guida di un'azione di Governo concentrata – secondo quanto sintetizzato nella richiamata Relazione al Parlamento 2015 – su: Misure di alleviamento della povertà e stimolo all'occupazione, agli investimenti privati, all'innovazione, all'efficienza energetica e alla rivitalizzazione dell'economia anche meridionale, sostegno alle famiglie e alle imprese anche attraverso l'eliminazione dell'imposizione fiscale sulla prima casa, i terreni agricoli e i macchinari cosiddetti «imbullonati», l'azzeramento per l'anno 2016 delle clausole di salvaguardia previste da precedenti disposizioni legislative;
    considerato, altresì, che, in coerenza con gli obiettivi di bilancio stabiliti nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2015, il disegno di legge di stabilità per il 2016 persegue l'obiettivo del sostegno della crescita sia attraverso il contenimento del carico fiscale, sia attraverso l'impulso all'aumento della domanda aggregata ed al miglioramento della competitività,

impegna il Governo

a valutare la possibilità, in prossimi provvedimenti legislativi, di implementare il credito d'imposta per le attività di ricerca e sviluppo e, nel quadro delle compatibilità e degli equilibri della finanza pubblica, la possibilità di un percorso di progressivo rafforzamento della deducibilità dell'IMU corrisposta sugli immobili strumentali all'esercizio dell'attività economica dal reddito d'impresa e dal reddito di lavoro autonomo.
9/3444-A/18Giulietti.


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese il canone televisivo, o canone Rai, è un'imposta sulla detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano e la sua natura giuridica deriva da quanto disposto dal Regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246;
    con il disegno di legge n. 3444-A «Disposizioni per la formulazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» – legge di stabilità 2016 – commi 71-79, si introduce una nuova presunzione di possesso dell'apparecchio televisivo: in presenza di un contratto di fornitura dell'energia elettrica, nelle relative fatture sarà addebitato il canone, suddiviso in 10 rate per un complessivo di 100,00 euro rispetto a 113,50 euro;
   con il suddetto meccanismo il Governo stima maggiori entrate per gli anni dal 2016 al 2018, che saranno riversate all'Erario per una quota pari al 33 per cento del loro ammontare per l'anno 2016 e del 50 per cento per ciascuno degli anni 2017 e 2018, per essere destinate prioritariamente: a) all'ampliamento sino a 8.000, della soglia per l'esenzione dal pagamento del canone di abbonamento in favore di soggetti di pari età o superiore a settantacinque anni; b) al finanziamento, fino ad un importo massimo di 50 milioni di euro annuo, ad un Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, da istituire nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico; c) al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, di cui all'articolo 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147;
    questo nuovo meccanismo di prelievo fiscale, pur garantendo a Rai SpA trasferimenti annui di circa 1,7 miliardi di euro, di fatto stravolge in concetto giuridico di «imposta di scopo» poiché il surplus non viene destinato interamente alla riduzione d'imposta, se non per una residua quota e per una specifica categoria di cittadini;
    nello stesso tempo i produttori e distributori di energia elettrica sono di fatto trasformati in esattori, compito che giuridicamente non gli compete;
    se poi consideriamo che, non tutti i possessori di un televisore sono possessori di un contratto di fornitura di energia elettrica, e che non tutti i possessori di un contratto di fornitura di energia elettrica, sono possessori di un televisore, il pasticcio normativo diventa sempre più evidente e grossolano. Se a ciò aggiungiamo le migliaia di abitazioni civili dotate di mini impianti per la produzione di energia rinnovabile, numeri peraltro sempre in aumento negli ultimi anni, allora diventa evidente l'approssimazione giuridica sulla quale si basa il nuovo meccanismo di prelievo fiscale,

impegna il Governo

a destinare, le eventuali maggiori entrate versate, a titolo di canone di abbonamento alla televisione, rispetto alle somme già iscritte per l'anno 2016, alla riduzione proporzionale del canone stesso così come d'altronde viene fatto con tutte le imposte di scopo, cercando di evitare le grossolane incongruenze evidenziate nelle premesse.
9/3444-A/19Matteo Bragantini, Caon, Marcolin, Prataviera, Cenni.


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese il canone televisivo, o canone Rai, è un'imposta sulla detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano e la sua natura giuridica deriva da quanto disposto dal Regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246;
    con il disegno di legge n. 3444-A «Disposizioni per la formulazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» – legge di stabilità 2016 – commi 71-79, si introduce una nuova presunzione di possesso dell'apparecchio televisivo: in presenza di un contratto di fornitura dell'energia elettrica, nelle relative fatture sarà addebitato il canone, suddiviso in 10 rate per un complessivo di 100,00 euro rispetto a 113,50 euro;
   con il suddetto meccanismo il Governo stima maggiori entrate per gli anni dal 2016 al 2018, che saranno riversate all'Erario per una quota pari al 33 per cento del loro ammontare per l'anno 2016 e del 50 per cento per ciascuno degli anni 2017 e 2018, per essere destinate prioritariamente: a) all'ampliamento sino a 8.000, della soglia per l'esenzione dal pagamento del canone di abbonamento in favore di soggetti di pari età o superiore a settantacinque anni; b) al finanziamento, fino ad un importo massimo di 50 milioni di euro annuo, ad un Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, da istituire nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico; c) al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, di cui all'articolo 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147;
    questo nuovo meccanismo di prelievo fiscale, pur garantendo a Rai SpA trasferimenti annui di circa 1,7 miliardi di euro, di fatto stravolge in concetto giuridico di «imposta di scopo» poiché il surplus non viene destinato interamente alla riduzione d'imposta, se non per una residua quota e per una specifica categoria di cittadini;
    nello stesso tempo i produttori e distributori di energia elettrica sono di fatto trasformati in esattori, compito che giuridicamente non gli compete;
    se poi consideriamo che, non tutti i possessori di un televisore sono possessori di un contratto di fornitura di energia elettrica, e che non tutti i possessori di un contratto di fornitura di energia elettrica, sono possessori di un televisore, il pasticcio normativo diventa sempre più evidente e grossolano. Se a ciò aggiungiamo le migliaia di abitazioni civili dotate di mini impianti per la produzione di energia rinnovabile, numeri peraltro sempre in aumento negli ultimi anni, allora diventa evidente l'approssimazione giuridica sulla quale si basa il nuovo meccanismo di prelievo fiscale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di destinare, le eventuali maggiori entrate versate, a titolo di canone di abbonamento alla televisione, rispetto alle somme già iscritte per l'anno 2016, alla riduzione proporzionale del canone stesso così come d'altronde viene fatto con tutte le imposte di scopo, cercando di evitare le grossolane incongruenze evidenziate nelle premesse.
9/3444-A/19. (Testo modificato nel corso della seduta).  Matteo Bragantini, Caon, Marcolin, Prataviera, Cenni.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, modificando l'articolo 1 della legge n. 392 del 1941 – trasferisce allo Stato, dal 1o settembre 2015, l'obbligo di corrispondere le spese per gli uffici giudiziari, attualmente a carico dei comuni ai sensi della stessa legge;
    la legge n. 392 del 1941 stabilisce che le spese necessarie per i locali ad uso degli uffici giudiziari, e per le pigioni, riparazioni, manutenzione, pulizia, illuminazione, riscaldamento e custodia dei locali medesimi; per le provviste di acqua, il servizio telefonico, la fornitura e le riparazioni dei mobili e degli impianti per i detti Uffici e loro sedi, per i registri e gli oggetti di cancelleria costituiscono spese obbligatorie dei comuni che ospitano detti uffici. A titolo di parziale rimborso, lo Stato attualmente eroga ai comuni un contributo annuo alle spese medesime nella misura stabilita nella tabella allegata alla stessa legge n. 392 (articolo 2); spetterà ad un decreto ministeriale Giustizia – Economia determinare l'entità delle spese per il funzionamento degli uffici giudiziari, sulla base dei costi standard per categorie omogenee di beni e servizi e a un decreto del Presidente della Repubblica individuare le misure organizzative necessarie ad attuare la nuova disciplina. In particolare, per lo svolgimento dei compiti correlati a tali nuovi oneri, è prevista l'assegnazione prioritaria al Ministero della giustizia del personale delle province che, a seguito dell'attuazione della legge n. 56 del 2014, dovesse risultare in esubero,

impegna il Governo

a fornire ai comuni adeguate garanzie in merito alla sostenibilità delle spese giudiziarie anche nelle more di una totale regolazione normative del passaggio allo Stato di tali competenze.
9/3444-A/20Albini, Becattini, Argentin.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, modificando l'articolo 1 della legge n. 392 del 1941 – trasferisce allo Stato, dal 1o settembre 2015, l'obbligo di corrispondere le spese per gli uffici giudiziari, attualmente a carico dei comuni ai sensi della stessa legge;
    la legge n. 392 del 1941 stabilisce che le spese necessarie per i locali ad uso degli uffici giudiziari, e per le pigioni, riparazioni, manutenzione, pulizia, illuminazione, riscaldamento e custodia dei locali medesimi; per le provviste di acqua, il servizio telefonico, la fornitura e le riparazioni dei mobili e degli impianti per i detti Uffici e loro sedi, per i registri e gli oggetti di cancelleria costituiscono spese obbligatorie dei comuni che ospitano detti uffici. A titolo di parziale rimborso, lo Stato attualmente eroga ai comuni un contributo annuo alle spese medesime nella misura stabilita nella tabella allegata alla stessa legge n. 392 (articolo 2); spetterà ad un decreto ministeriale Giustizia – Economia determinare l'entità delle spese per il funzionamento degli uffici giudiziari, sulla base dei costi standard per categorie omogenee di beni e servizi e a un decreto del Presidente della Repubblica individuare le misure organizzative necessarie ad attuare la nuova disciplina. In particolare, per lo svolgimento dei compiti correlati a tali nuovi oneri, è prevista l'assegnazione prioritaria al Ministero della giustizia del personale delle province che, a seguito dell'attuazione della legge n. 56 del 2014, dovesse risultare in esubero,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di fornire ai comuni adeguate garanzie in merito alla sostenibilità delle spese giudiziarie anche nelle more di una totale regolazione normative del passaggio allo Stato di tali competenze.
9/3444-A/20. (Testo modificato nel corso della seduta)  Albini, Becattini, Argentin.


   La Camera,
    tenuto conto delle disposizioni approvate in materia di Sicurezza e Difesa, con particolare riguardo alle norme contenute all'articolo 1, commi 548-bis, 548-quinquies e 548-sexies con le quali viene istituito un fondo per il potenziamento degli interventi e delle dotazioni strumentali in materia di protezione cibernetica e sicurezza informatica nazionali;
    preso atto delle misure destinate al contrasto e alla prevenzione dai rischi del terrorismo internazionale, al fine di garantire le dotazioni necessarie alla sicurezza delle Forze armate nelle attività di contrasto al terrorismo,

impegna il Governo:

   a riservare una parte significativa delle risorse assegnate al fondo citato in premessa, ad investimenti da destinare alla progettazione, sviluppo, integrazione e produzione di sistemi di guerra elettronica tramite inibizione dell'uso efficace dello spettro elettromagnetico, anche tenendo conto delle eccellenze produttive presenti in Abruzzo, con particolare riguardo ai:
    a) Sistemi di contromisure elettroniche (ECM), contro-contromisure elettroniche (ECCM) e misure di supporto elettroniche (ESM);
    b) Sistemi C-RCIED (Counter – Radio Controlled Improvised Explosive Device), realizzati tramite sistemi integrati di disturbo (jamming) comprendenti: apparecchiature di disturbo, sistemi radianti, protezioni meccaniche ed elettriche, interfacce di comunicazione, controllo remoto o locale.
9/3444-A/21Fusilli, Castricone.


   La Camera,
    tenuto conto delle disposizioni approvate in materia di Sicurezza e Difesa, con particolare riguardo alle norme contenute all'articolo 1, commi 548-bis, 548-quinquies e 548-sexies con le quali viene istituito un fondo per il potenziamento degli interventi e delle dotazioni strumentali in materia di protezione cibernetica e sicurezza informatica nazionali;
    preso atto delle misure destinate al contrasto e alla prevenzione dai rischi del terrorismo internazionale, al fine di garantire le dotazioni necessarie alla sicurezza delle Forze armate nelle attività di contrasto al terrorismo,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di riservare una parte significativa delle risorse assegnate al fondo citato in premessa, ad investimenti da destinare alla progettazione, sviluppo, integrazione e produzione di sistemi di guerra elettronica tramite inibizione dell'uso efficace dello spettro elettromagnetico, anche tenendo conto delle eccellenze produttive presenti in Abruzzo, con particolare riguardo ai:
    a) Sistemi di contromisure elettroniche (ECM), contro-contromisure elettroniche (ECCM) e misure di supporto elettroniche (ESM);
    b) Sistemi C-RCIED (Counter – Radio Controlled Improvised Explosive Device), realizzati tramite sistemi integrati di disturbo (jamming) comprendenti: apparecchiature di disturbo, sistemi radianti, protezioni meccaniche ed elettriche, interfacce di comunicazione, controllo remoto o locale.
9/3444-A/21. (Testo modificato nel corso della seduta).  Fusilli, Castricone.


   La Camera,
    tenuto conto delle norme approvate in sede di discussione dell'atto Camera 3444 (legge di stabilità 2016) con particolare riferimento a quanto previsto nell'articolo 1 comma 217-bis in relazione al personale del Corpo militare della Croce rossa italiana;
    delle professionalità e delle competenze riconosciute al personale del Corpo militare della CRI e delle consolidate capacità operative – logistiche del Corpo stesso che risultano potenzialmente impiegabili in altre realtà di pubblica utilità;
    della contestuale necessità di ridurre in tempi ragionevoli gli attuali assetti organici dello stesso personale in servizio continuativo nel Corpo militare della CRI,

impegna il Governo:

   ad estendere al suddetto personale la possibilità di essere collocato nella posizione di «aspettativa per riduzione di quadri» a similitudine di quanto previsto per il personale delle Forze Armate attraverso l'adozione di una specifica normativa che tenga conto delle peculiarità del Corpo;
   a prevedere il possibile assorbimento delle strutture logistico-operative del Corpo e dello stesso personale nel costituendo sistema della «Capacità europea di risposta emergenziale» previsto dall'articolo 27 della legge Europea 2014 n. 115 del 29 luglio 2015.
9/3444-A/22Villecco Calipari, Fusilli, Scanu, Marantelli, D'Arienzo, Salvatore Piccolo, Zanin, Bolognesi, Paola Boldrini, Ferro.


   La Camera,
    tenuto conto delle norme approvate in sede di discussione dell'atto Camera 3444 (legge di stabilità 2016) con particolare riferimento a quanto previsto nell'articolo 1 comma 217-bis in relazione al personale del Corpo militare della Croce rossa italiana;
    delle professionalità e delle competenze riconosciute al personale del Corpo militare della CRI e delle consolidate capacità operative – logistiche del Corpo stesso che risultano potenzialmente impiegabili in altre realtà di pubblica utilità;
    della contestuale necessità di ridurre in tempi ragionevoli gli attuali assetti organici dello stesso personale in servizio continuativo nel Corpo militare della CRI,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di estendere al suddetto personale la possibilità di essere collocato nella posizione di «aspettativa per riduzione di quadri» a similitudine di quanto previsto per il personale delle Forze Armate attraverso l'adozione di una specifica normativa che tenga conto delle peculiarità del Corpo;
   a prevedere il possibile assorbimento delle strutture logistico-operative del Corpo e dello stesso personale nel costituendo sistema della «Capacità europea di risposta emergenziale» previsto dall'articolo 27 della legge Europea 2014 n. 115 del 29 luglio 2015.
9/3444-A/22. (Testo modificato nel corso della seduta).  Villecco Calipari, Fusilli, Scanu, Marantelli, D'Arienzo, Salvatore Piccolo, Zanin, Bolognesi, Paola Boldrini, Ferro.


   La Camera,
   premesso che:
    con il comma 2 dell'articolo 45 della legge n. 99 del 2009 era stato costituito un apposito Fondo presso il Ministero dello sviluppo economico preordinato alla riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti per i residenti nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi nonché dalle attività di rigassificazione «anche attraverso impianti fissi offshore»;
    con l'articolo 30-quinquies del decreto-legge n. 91 del 2014, introdotto durante l'esame al Senato, veniva ad essere modificato l'articolo 45, comma 2, della legge 23 luglio 2009, n. 99, con la soppressione delle parole: nonché dalle attività di rigassificazione anche attraverso impianti fissi off-shore; con tale disposizione erano pertanto esclusi gli impianti fissi off-shore da quelli la cui presenza all'interno di un territorio regionale consente ai residenti di poter beneficiare del cosiddetto «bonus carburante»;
    in sede di conversione in legge del decreto alla Camera, il Governo prese già l'impegno, con il Viceministro dello sviluppo economico De Vincenti, di correggere la norma dell'articolo 30-quinquies e di reintrodurre un meccanismo agevolativo destinato alle Regioni interessate dalle attività di rigassificazione, come il Veneto, anche attraverso impianti off-shore, «che assicuri un analogo impatto finanziario e sia in coerenza con le linee fondamentali della strategia energetica nazionale»;
    con sentenza n. 4134/2013 il Consiglio di Stato ha comunque riconosciuto il «bonus idrocarburi» anche per i cittadini veneti, in quanto nella sentenza si legge testualmente: «va riconosciuta una compensazione sotto forma di minor costo del carburante a tutti i residenti delle regioni che sopportano la presenza di impianti di elevato impatto ambientale a vantaggio dell'intera collettività»;
    lo stesso Ministero dello sviluppo economico con una propria nota ha già sostenuto che occorra stabilire una normativa che possa determinare modalità e quantum spettante in relazione all'effettivo «svantaggio» avuto nell'ospitare gli impianti estrattivi e anche di rigassificazione;
    nel corso del dibattito sulla legge di stabilità 2016 al Senato il Viceministro Morando ha confermato, in sede di Commissione Bilancio, l'impegno del Governo su questo fronte, da attuarsi anche mediante una «soluzione per via amministrativa» da presentare all'attenzione della Conferenza Stato-Regioni,

impegna il Governo

a valutare il riconoscimento effettivo, entro il nuovo anno, di un meccanismo agevolativo destinato alle Regioni interessate dalle attività di rigassificazione, anche attraverso impianti off-shore, che assicuri un analogo impatto finanziario e sia in coerenza con le linee fondamentali della strategia energetica nazionale.
9/3444-A/23Crivellari.


   La Camera,
   premesso che:
    con il comma 2 dell'articolo 45 della legge n. 99 del 2009 era stato costituito un apposito Fondo presso il Ministero dello sviluppo economico preordinato alla riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti per i residenti nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi nonché dalle attività di rigassificazione «anche attraverso impianti fissi offshore»;
    con l'articolo 30-quinquies del decreto-legge n. 91 del 2014, introdotto durante l'esame al Senato, veniva ad essere modificato l'articolo 45, comma 2, della legge 23 luglio 2009, n. 99, con la soppressione delle parole: nonché dalle attività di rigassificazione anche attraverso impianti fissi off-shore; con tale disposizione erano pertanto esclusi gli impianti fissi off-shore da quelli la cui presenza all'interno di un territorio regionale consente ai residenti di poter beneficiare del cosiddetto «bonus carburante»;
    in sede di conversione in legge del decreto alla Camera, il Governo prese già l'impegno, con il Viceministro dello sviluppo economico De Vincenti, di correggere la norma dell'articolo 30-quinquies e di reintrodurre un meccanismo agevolativo destinato alle Regioni interessate dalle attività di rigassificazione, come il Veneto, anche attraverso impianti off-shore, «che assicuri un analogo impatto finanziario e sia in coerenza con le linee fondamentali della strategia energetica nazionale»;
    con sentenza n. 4134/2013 il Consiglio di Stato ha comunque riconosciuto il «bonus idrocarburi» anche per i cittadini veneti, in quanto nella sentenza si legge testualmente: «va riconosciuta una compensazione sotto forma di minor costo del carburante a tutti i residenti delle regioni che sopportano la presenza di impianti di elevato impatto ambientale a vantaggio dell'intera collettività»;
    lo stesso Ministero dello sviluppo economico con una propria nota ha già sostenuto che occorra stabilire una normativa che possa determinare modalità e quantum spettante in relazione all'effettivo «svantaggio» avuto nell'ospitare gli impianti estrattivi e anche di rigassificazione;
    nel corso del dibattito sulla legge di stabilità 2016 al Senato il Viceministro Morando ha confermato, in sede di Commissione Bilancio, l'impegno del Governo su questo fronte, da attuarsi anche mediante una «soluzione per via amministrativa» da presentare all'attenzione della Conferenza Stato-Regioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valutare il riconoscimento effettivo, entro il nuovo anno, di un meccanismo agevolativo destinato alle Regioni interessate dalle attività di rigassificazione, anche attraverso impianti off-shore, che assicuri un analogo impatto finanziario e sia in coerenza con le linee fondamentali della strategia energetica nazionale.
9/3444-A/23. (Testo modificato nel corso della seduta).  Crivellari.


   La Camera,
   premesso che:
    con la legge 7 agosto 2015, n. 124 il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi volti a modificare e integrare, il codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
    tra i criteri della legge delega il Parlamento ha chiesto di ridefinire e semplificare i procedimenti amministrativi mediante una disciplina basata sulla loro digitalizzazione e per la piena realizzazione del principio «innanzitutto digitale» (digital first);
   considerato che:
    la stampa e l'utilizzo di strumenti analogici all'interno dei procedimenti amministrativi corrisponde spesso ad uno spreco di denaro pubblico e ad un danno vero e proprio dal momento che con la stampa si perdono i metadati associati al documento informatico rendendone più difficile e costosa l'elaborazione successiva;
    una riorganizzazione dei procedimenti amministrativi secondo il principio del digital first implica una drastica riduzione dell'uso della carta all'interno degli uffici delle pubbliche amministrazioni;

impegna il Governo

a ridurre progressivamente gli acquisti di carta e materiale di consumo per stampanti e fotocopiatrici da parte delle amministrazioni pubbliche e le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, adeguando i loro processi interni al fine di programmare la completa transizione ai processi paperless e utilizzando i risparmi conseguenti alla riduzione di acquisti per la digitalizzazione di archivi e per la realizzazione di sistemi documentali.
9/3444-A/24Coppola, Quintarelli, Capua, Tentori, Boccadutri, Bruno Bossio, Dallai, Ascani, Galgano, Basso, Barbanti, Bonaccorsi, Gadda, Caparini, Marco Di Maio, Scuvera, Bonomo, Malpezzi, Rampi, Peluffo, D'Alia, Rotta.


   La Camera,
   premesso che:
    per la Regione Valle d'Aosta, la disciplina del patto di stabilità ha avuto un notevole impatto sui bilanci dei Comuni che vi sono assoggettati e sul bilancio della Regione stessa, costringendo gli enti ad accantonare risorse finanziarie e risolvendosi di fatto in una forte limitazione degli investimenti;
    sembrerebbe che la partecipazione economica della Valle d'Aosta alla riduzione della spesa pubblica nazionale inciderà per l'anno 2016 per circa il 22 per cento sul bilancio regionale e questo prelievo forzato rappresenta un sacrificio non più sostenibile per le casse regionali e per la comunità valdostana;
    a partire dal prossimo anno tutte le regioni ordinarie passeranno al pareggio di bilancio;
    per le regioni a statuto speciale e le due province autonome di Trento e di Bolzano la disciplina del patto di stabilità si discosta dalla disciplina «ordinaria» per la necessità della definizione di una intesa tra ciascun ente e il Ministero dell'economia per determinare la misura e le modalità del concorso di ciascuna regione agli obiettivi del patto di stabilità;
    ad oggi la Regione Valle d'Aosta, a differenza delle altre Regioni speciali, non ha avuto modo di iniziare un tavolo di confronto per raggiungere un accordo con lo Stato ai sensi dell'articolo 1, comma 454, della legge n. 228 del 2012, con validità temporale anche per gli anni 2016 e 2017;

impegna il Governo

a porre in essere ogni possibile valutazione e azione per predisporre una regolamentazione applicabile, che possa prevedere per la Regione Valle d'Aosta il passaggio sin dall'anno 2016 alla nuova disciplina del pareggio di bilancio, salvaguardando le competenze legislative e amministrative degli enti autonomi in materia di finanza locale, coerentemente con le previsioni degli Statuti speciali e delle relative norme di attuazione, e attribuendo, in analogia a quanto già precedentemente previsto in materia di patto di stabilità (articolo 1, comma 457, della legge n. 228 del 2012), alle Regioni e alle Province autonome la competenza a regolamentare le modalità attuative della nuova disciplina del pareggio di bilancio per gli enti locali dei rispettivi territori.
9/3444-A/25Marguerettaz.


   La Camera,
   premesso che:
    l'istituto del distacco trova applicazione, per la prima volta, nel campo dei rapporti di lavoro privatistico in base ai contenuti di cui all'articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la precedente previsione di cui all'articolo 8 della legge n. 236 del 1993 era strettamente connessa alla fattispecie «di evitare le riduzioni di personale»;
    il distacco in quest'ottica realizza uno specifico interesse imprenditoriale del datore di lavoro che consente di qualificare detto strumento quale atto organizzativo proprio del distaccante;
    a far fronte alla crescente domanda della cassa integrazione guadagni straordinaria, finalizzata a fronteggiare gravi crisi o per consentire alle aziende di affrontare processi di ristrutturazione/riorganizzazione, con conseguente riduzione dei costi per lo Stato italiano, maggiore sostegno all'occupazione dei lavoratori, migliore salvaguardia del capitale e delle competenze delle imprese, sarebbe auspicabile incentivare l'uso di un istituto giuridico poco adoperato in Italia, che però trova utilizzazione stabile e sistematica già in altri Paesi europei;
    in questo caso, l'interesse al distacco del lavoratore, nel caso delle imprese in difficoltà risulta capovolto, in quanto se spesso si tratta di un requisito richiesto al lavoratore distaccante, in caso di crisi questo si sposta sui lavoratori, che attraverso il distacco, evitano di essere estromessi dall'azienda;
    il prestito di personale fra aziende può costituire uno strumento interessante per fronteggiare un periodo difficile per l'azienda senza dover rinunciare, procedendo a licenziamenti, ai propri dipendenti, si attua difatti mettendo a disposizione di un'altra azienda un determinato numero di dipendenti, al fine di evitare riduzioni d'orario e/o licenziamenti per motivi economici;
    attraverso l'incentivo al distacco dei lavoratori in aziende in crisi (CIGS) presso altre aziende non appartenenti al medesimo gruppo, il lavoratore dalla sottoscrizione dell'accordo della CIGS e del collegato consenso al distacco, potrà operare presso altre aziende;
    oltre a non dover rinunciare al proprio personale in caso di «bassa congiuntura», per l'azienda prestatrice vi sarebbero ulteriori motivi a giustificazione dell'uso di questo tipo di contratto, quali ad esempio la necessità di ridurre temporaneamente la massa salariale per generare liquidità, la necessità di reciproca assistenza tecnica fra aziende, oppure ancora la volontà di favorire il perfezionamento professionale di determinati dipendenti;
    con circolare del ministero del lavoro n. 28 del 24 giugno 2005 in materia di distacco e cassa integrazione si rileva che l'utilizzo dell'istituto del distacco può costituire un'alternativa all'utilizzo della CIG, in quanto volto al mantenimento del patrimonio professionale dell'impresa;
    l'interesse che legittima il distacco è, in questo caso rappresentato dall'interesse dei lavoratori a non essere licenziati al termine della CIGS, in presenza di crisi aziendale mentre, per quanto attiene il distaccante, l'interesse può essere individuato sia nel mantenimento delle professionalità esistenti, per un eventuale riammissione al lavoro al termine del periodo della Cassa integrazione guadagni straordinaria, sia nel passaggio dei costi della manodopera eccedentaria in capo al distaccatario,

impegna il Governo

a prevedere in un prossimo provvedimento e, in ogni caso in occasione dell'adozione dei decreti legislativi correttivi delle norme attuative della legge n. 183 del 2014, misure volte a promuovere tale istituto giuridico concernente il distacco dei lavoratori presso altre aziende in caso di crisi aziendali.
9/3444-A/26Petrini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'istituto del distacco trova applicazione, per la prima volta, nel campo dei rapporti di lavoro privatistico in base ai contenuti di cui all'articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la precedente previsione di cui all'articolo 8 della legge n. 236 del 1993 era strettamente connessa alla fattispecie «di evitare le riduzioni di personale»;
    il distacco in quest'ottica realizza uno specifico interesse imprenditoriale del datore di lavoro che consente di qualificare detto strumento quale atto organizzativo proprio del distaccante;
    a far fronte alla crescente domanda della cassa integrazione guadagni straordinaria, finalizzata a fronteggiare gravi crisi o per consentire alle aziende di affrontare processi di ristrutturazione/riorganizzazione, con conseguente riduzione dei costi per lo Stato italiano, maggiore sostegno all'occupazione dei lavoratori, migliore salvaguardia del capitale e delle competenze delle imprese, sarebbe auspicabile incentivare l'uso di un istituto giuridico poco adoperato in Italia, che però trova utilizzazione stabile e sistematica già in altri Paesi europei;
    in questo caso, l'interesse al distacco del lavoratore, nel caso delle imprese in difficoltà risulta capovolto, in quanto se spesso si tratta di un requisito richiesto al lavoratore distaccante, in caso di crisi questo si sposta sui lavoratori, che attraverso il distacco, evitano di essere estromessi dall'azienda;
    il prestito di personale fra aziende può costituire uno strumento interessante per fronteggiare un periodo difficile per l'azienda senza dover rinunciare, procedendo a licenziamenti, ai propri dipendenti, si attua difatti mettendo a disposizione di un'altra azienda un determinato numero di dipendenti, al fine di evitare riduzioni d'orario e/o licenziamenti per motivi economici;
    attraverso l'incentivo al distacco dei lavoratori in aziende in crisi (CIGS) presso altre aziende non appartenenti al medesimo gruppo, il lavoratore dalla sottoscrizione dell'accordo della CIGS e del collegato consenso al distacco, potrà operare presso altre aziende;
    oltre a non dover rinunciare al proprio personale in caso di «bassa congiuntura», per l'azienda prestatrice vi sarebbero ulteriori motivi a giustificazione dell'uso di questo tipo di contratto, quali ad esempio la necessità di ridurre temporaneamente la massa salariale per generare liquidità, la necessità di reciproca assistenza tecnica fra aziende, oppure ancora la volontà di favorire il perfezionamento professionale di determinati dipendenti;
    con circolare del ministero del lavoro n. 28 del 24 giugno 2005 in materia di distacco e cassa integrazione si rileva che l'utilizzo dell'istituto del distacco può costituire un'alternativa all'utilizzo della CIG, in quanto volto al mantenimento del patrimonio professionale dell'impresa;
    l'interesse che legittima il distacco è, in questo caso rappresentato dall'interesse dei lavoratori a non essere licenziati al termine della CIGS, in presenza di crisi aziendale mentre, per quanto attiene il distaccante, l'interesse può essere individuato sia nel mantenimento delle professionalità esistenti, per un eventuale riammissione al lavoro al termine del periodo della Cassa integrazione guadagni straordinaria, sia nel passaggio dei costi della manodopera eccedentaria in capo al distaccatario,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere in un prossimo provvedimento e, in ogni caso in occasione dell'adozione dei decreti legislativi correttivi delle norme attuative della legge n. 183 del 2014, misure volte a promuovere tale istituto giuridico concernente il distacco dei lavoratori presso altre aziende in caso di crisi aziendali.
9/3444-A/26. (Testo modificato nel corso della seduta)  Petrini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'ospedale Umberto I di Siracusa è una struttura sita in un contesto oggi fortemente urbanizzato, in area a interesse archeologico e paesaggistico, ove non è possibile prevedere alcuna espansione né una elisuperficie;
    le strutture sono risalenti agli anni ’40 ed essendo quelle più antiche a struttura muraria portante non sismo-resistenti, necessiterebbero di interventi costosi di adeguamento sismico;
    la realizzazione di una nuova struttura ospedaliera è sostenuta da tutte le forze politiche, sociali, economiche della città e dell'intero territorio considerandola una condizione irrinunciabile del diritto alla salute e di civiltà;
    l'Azienda ha avviato già da molto tempo iniziative volte alla realizzazione di un nuovo ospedale che risponda alle esigenze di una moderna sanità, volta a soddisfare in primis il bisogno di assistenza del malato fornendo prestazioni avanzate ed una struttura accreditabile secondo le direttive vigenti;
    l'Azienda, per tramite delle sue strutture tecniche ha provveduto a considerare positiva la soluzione per la realizzazione del nuovo ospedale, che dovrebbe sorgere nell'area individuata dal Piano Regolatore Generale con la dizione «FS2» ed estesa per circa 108.000 mq nella zona nord della città. A tal fine si è pervenuti ad una soluzione di progetto preliminare che risulta in linea con gli standards di edilizia ospedaliera, che è stata trasmessa all'Assessorato per la Salute;
    il finanziamento dell'opera è previsto a valere sui fondi ex articolo 20 legge n. 67 del 1988 per circa 110 milioni di euro (95 per cento a carico delle Stato e 5 per cento a carico della Regione) e per i restanti 30 milioni da ricavarsi con l'alienazione di beni immobili dell'Azienda da dismettere. A tal fine l'Assessorato per la Salute ha riferito circa la previsione di finanziamento con nota protocollo n. Serv 3/4608 del 18 gennaio 2011 chiedendo nel contempo di precedere alla valorizzazione dei beni immobili da alienare;
    con delibera n. 640 del 30 giugno 2011 è stato approvato il progetto preliminare per la realizzazione del nuovo ospedale di Siracusa poi trasmesso all'Assessorato per la Salute ai fini delle sua programmazione con fondi ex articolo 20 della legge n. 67 del 1988;
    con delibera n. 390 del 29 marzo 2012, nel prender atto che si doveva sviluppare la progettazione esecutiva del P.P.E. per la zona individuata venne affidato allo studio EsseA Project l'incarico relativo all'attività di indagine tecnica, rilievi e valutazioni, finalizzati alla predisposizione del P.P.E;
    in data 13 luglio 2012 si chiedeva specificatamente l'autorizzazione per l'inizio del procedimento di esproprio dei terreni per l'area interessata;
    la realizzazione del nuova struttura ospedaliera di Siracusa rientra già nel piano nazionale del Ministero della Salute e individuata tra le priorità nazionali da finanziare,

impegna il Governo

ad attivarsi, nel rispetto delle sue competenze in materia di edilizia sanitaria e nel rispetto di quelle della Regione Sicilia, affinché, nel più breve tempo possibile e possibilmente entro la prima metà del prossimo anno, si possa procedere alla corrispondente erogazione dei relativi finanziamenti a carico dello Stato, migliorando così l'offerta della locale rete ospedaliera.
9/3444-A/27Zappulla, Burtone, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    l'ospedale Umberto I di Siracusa è una struttura sita in un contesto oggi fortemente urbanizzato, in area a interesse archeologico e paesaggistico, ove non è possibile prevedere alcuna espansione né una elisuperficie;
    le strutture sono risalenti agli anni ’40 ed essendo quelle più antiche a struttura muraria portante non sismo-resistenti, necessiterebbero di interventi costosi di adeguamento sismico;
    la realizzazione di una nuova struttura ospedaliera è sostenuta da tutte le forze politiche, sociali, economiche della città e dell'intero territorio considerandola una condizione irrinunciabile del diritto alla salute e di civiltà;
    l'Azienda ha avviato già da molto tempo iniziative volte alla realizzazione di un nuovo ospedale che risponda alle esigenze di una moderna sanità, volta a soddisfare in primis il bisogno di assistenza del malato fornendo prestazioni avanzate ed una struttura accreditabile secondo le direttive vigenti;
    l'Azienda, per tramite delle sue strutture tecniche ha provveduto a considerare positiva la soluzione per la realizzazione del nuovo ospedale, che dovrebbe sorgere nell'area individuata dal Piano Regolatore Generale con la dizione «FS2» ed estesa per circa 108.000 mq nella zona nord della città. A tal fine si è pervenuti ad una soluzione di progetto preliminare che risulta in linea con gli standards di edilizia ospedaliera, che è stata trasmessa all'Assessorato per la Salute;
    il finanziamento dell'opera è previsto a valere sui fondi ex articolo 20 legge n. 67 del 1988 per circa 110 milioni di euro (95 per cento a carico delle Stato e 5 per cento a carico della Regione) e per i restanti 30 milioni da ricavarsi con l'alienazione di beni immobili dell'Azienda da dismettere. A tal fine l'Assessorato per la Salute ha riferito circa la previsione di finanziamento con nota protocollo n. Serv 3/4608 del 18 gennaio 2011 chiedendo nel contempo di precedere alla valorizzazione dei beni immobili da alienare;
    con delibera n. 640 del 30 giugno 2011 è stato approvato il progetto preliminare per la realizzazione del nuovo ospedale di Siracusa poi trasmesso all'Assessorato per la Salute ai fini delle sua programmazione con fondi ex articolo 20 della legge n. 67 del 1988;
    con delibera n. 390 del 29 marzo 2012, nel prender atto che si doveva sviluppare la progettazione esecutiva del P.P.E. per la zona individuata venne affidato allo studio EsseA Project l'incarico relativo all'attività di indagine tecnica, rilievi e valutazioni, finalizzati alla predisposizione del P.P.E;
    in data 13 luglio 2012 si chiedeva specificatamente l'autorizzazione per l'inizio del procedimento di esproprio dei terreni per l'area interessata;
    la realizzazione del nuova struttura ospedaliera di Siracusa rientra già nel piano nazionale del Ministero della Salute e individuata tra le priorità nazionali da finanziare,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di attivarsi, nel rispetto delle sue competenze in materia di edilizia sanitaria e nel rispetto di quelle della Regione Sicilia, affinché, nel più breve tempo possibile e possibilmente entro la prima metà del prossimo anno, si possa procedere alla corrispondente erogazione dei relativi finanziamenti a carico dello Stato, migliorando così l'offerta della locale rete ospedaliera.
9/3444-A/27. (Testo modificato nel corso della seduta)  Zappulla, Burtone, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    nella legge di stabilità 2016 il Governo, all'articolo 1, commi da 41 a 43, ha confermato gli incentivi agli investimenti per l'efficientamento energetico e in generale per la riduzione del consumo di fonti fossili, anche in coerenza con gli obiettivi rilanciati dalla recente COP 21 di Parigi sul Cambiamento climatico;
   considerato che:
    in Italia annualmente vengono consumate circa 17,7 milioni di tonnellate di legna da ardere per il riscaldamento domestico: un mercato di elevato valore sociale, dato che interessa circa 5 milioni di nuclei familiari, ovvero più di una famiglia su cinque, che consuma in media circa 3,2 tonnellate di legna all'anno (ISTAT 2014). Detratta la quota derivante dall'autoproduzione, circa 9,9 milioni di tonnellate proviene dal mercato, con un valore economico stimabile intorno a 1,3 miliardi di euro;
    la compravendita di legna da ardere senza regolare documentazione fiscale è un fenomeno estremamente diffuso e capillare, che interessa sia la produzione interna sia l’import. È stimato che il mercato sommerso sia quantificabile nell'85 per cento del volume interamente acquistato, ovvero in poco meno di 8,5 milioni di tonnellate. Trattasi di un valore economico complessivo di circa 1,1 miliardi di euro, che generano un mancato gettito per l'erario quantificabile in più di 200 milioni di euro, considerando un mancato versamento di IVA e altre imposte sul reddito;
    assunto inoltre che l'eventuale emersione di tale mercato, attraverso uno stimolo alla richiesta di un documento fiscale al commerciante da parte degli acquirenti, genererebbe, oltre al vantaggio diretto di un accrescimento del valore del gettito per l'erario, anche una serie di altri vantaggi indiretti conseguibili dalla graduale regolarizzazione di un settore, tra i quali l'emersione del lavoro nero – e quindi il rispetto delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro come previsto dal decreto legislativo n. 81 del 2008 – oltre che di tutte le operazioni di processo connesse (gestione forestale, trasformazione, trasporto, ecc.) a beneficio in primo luogo di una maggiore competitività delle imprese che operano in modo professionale nel rispetto delle leggi vigenti, garantendo quindi una continuità delle prospettive di lavoro soprattutto nei contesti rurali e montani, dove sono maggiori sia il consumo di legna da ardere, sia la presenza di territori boscati e di imprese di produzione e distribuzione del biocombustibile legnoso,

impegna il Governo

a introdurre quanto prima, anche solo nella forma di una sperimentazione triennale al fine di verificarne gli effetti, uno strumento atto a stimolare tra l'altro l'emersione del mercato sommerso che caratterizza la compravendita di legna da ardere, attraverso un'agevolazione fiscale annua da restituire ai cittadini che comprovano l'acquisto della legna da ardere con regolare emissione di ricevuta da parte del venditore.
9/3444-A/28Zanin, Cova, Paola Boldrini.


   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione bilancio ha accolto l'emendamento 33.169 che, modificando il comma 337, ha inserito tra le finalità del Piano per il rilancio delle attività di ISMEA, quella legata all'innovazione tecnologica, anche finalizzata alla tracciabilità delle filiere agricole ed agroalimentari;
    tale modifica è utile ma non sufficiente per il comparto del riso che attraversa una fase di cambiamento di notevole portata ed è vulnerabile a causa del progressivo aumento delle importazioni a dazio zero dai paesi che hanno aderito all'accordo EBA;
    l'Italia è il primo produttore nell'Unione europea, con oltre il cinquanta per cento della produzione e più di 14 milioni di quintali l'anno, e il sesto tra i principali paesi esportatori di riso al mondo;
    il sistema di preferenze generalizzate – istituito fin dal 1971 per aiutare la crescita dei Paesi in via di sviluppo – è lo strumento con il quale l'Unione europea accorda un accesso preferenziale al proprio mercato ad alcuni Paesi mediante la concessione di una tariffa preferenziale dei dazi applicabili all'atto dell'importazione;
    il riso è uno dei prodotti che stanno maggiormente risentendo degli effetti di questo sistema; in particolare, le importazioni di riso a basso prezzo dai Paesi asiatici stanno schiacciando i produttori nazionali, che devono invece affrontare costi che superano ampiamente i ricavi per alcune varietà di riso;
    i risicoltori italiani chiedono una maggiore difesa del riso made in Italy dalle importazioni di prodotto spacciato come italiano e dalle attività di contraffazione rese possibili dalla mancanza di un sistema trasparente di etichettatura che obblighi ad indicare la provenienza del prodotto;
    la tracciabilità del riso non è riducibile alla sola indicazione del seme, occorre quindi incentivare nuove tecnologie per combattere la contraffazione,

impegna il Governo

a adottare, nel primo provvedimento utile, misure di incentivo a sostegno dell'innovazione tecnologica della filiera nazionale del riso, finalizzate alla tracciabilità dei prodotti e all'informazione dei consumatori sulla varietà del riso e dei componenti dei prodotti a base di riso, tramite l'adozione di tecnologie informatiche e telematiche da parte degli operatori nazionali.
9/3444-A/29Falcone.


   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione bilancio ha accolto l'emendamento 33.169 che, modificando il comma 337, ha inserito tra le finalità del Piano per il rilancio delle attività di ISMEA, quella legata all'innovazione tecnologica, anche finalizzata alla tracciabilità delle filiere agricole ed agroalimentari;
    tale modifica è utile ma non sufficiente per il comparto del riso che attraversa una fase di cambiamento di notevole portata ed è vulnerabile a causa del progressivo aumento delle importazioni a dazio zero dai paesi che hanno aderito all'accordo EBA;
    l'Italia è il primo produttore nell'Unione europea, con oltre il cinquanta per cento della produzione e più di 14 milioni di quintali l'anno, e il sesto tra i principali paesi esportatori di riso al mondo;
    il sistema di preferenze generalizzate – istituito fin dal 1971 per aiutare la crescita dei Paesi in via di sviluppo – è lo strumento con il quale l'Unione europea accorda un accesso preferenziale al proprio mercato ad alcuni Paesi mediante la concessione di una tariffa preferenziale dei dazi applicabili all'atto dell'importazione;
    il riso è uno dei prodotti che stanno maggiormente risentendo degli effetti di questo sistema; in particolare, le importazioni di riso a basso prezzo dai Paesi asiatici stanno schiacciando i produttori nazionali, che devono invece affrontare costi che superano ampiamente i ricavi per alcune varietà di riso;
    i risicoltori italiani chiedono una maggiore difesa del riso made in Italy dalle importazioni di prodotto spacciato come italiano e dalle attività di contraffazione rese possibili dalla mancanza di un sistema trasparente di etichettatura che obblighi ad indicare la provenienza del prodotto;
    la tracciabilità del riso non è riducibile alla sola indicazione del seme, occorre quindi incentivare nuove tecnologie per combattere la contraffazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare, nel primo provvedimento utile, misure di incentivo a sostegno dell'innovazione tecnologica della filiera nazionale del riso, finalizzate alla tracciabilità dei prodotti e all'informazione dei consumatori sulla varietà del riso e dei componenti dei prodotti a base di riso, tramite l'adozione di tecnologie informatiche e telematiche da parte degli operatori nazionali.
9/3444-A/29. (Testo modificato nel corso della seduta)  Falcone.


   La Camera,
   premesso che:
    il tribunale Civile di Campobasso, con diverse sentenze emesse nei giorni scorsi, ha condannato i cinque responsabili del crollo della scuola «F. Jovine» e della conseguente morte di 27 alunni e di una maestra, in solido con il Comune di San Giuliano di Puglia, al risarcimento dei danni sofferti dalle famiglie coinvolte;
    dai calcoli effettuati per tutti gli attori, l'importo complessivo dei risarcimenti dovrebbe ammontare a circa trentacinque milioni di euro;
    gli aventi diritto, a seguito delle predette sentenze, chiederanno il pagamento dei risarcimenti che, molto verosimilmente – non avendo i 5 condannati alcun bene in proprietà – ricadranno interamente sul Comune di San Giuliano di Puglia;
    il comune di circa 1.050 abitanti e con un Bilancio annuale di circa 400.000,00 euro ovviamente non detiene tale capacità finanziaria per cui è nella impossibilità di procedere al pagamento;
    sarà, pertanto, inevitabile la dichiarazione di dissesto finanziario che, oltre a non garantire le risorse finanziarie necessarie per il pagamento degli indennizzi, graverebbe pesantemente su tutti cittadini di San Giuliano di Puglia e, paradossalmente, anche su coloro che hanno diritto ai risarcimenti;
    in tale situazione, al danno incommensurabile subito dai familiari delle vittime del crollo della scuola, si aggiungerebbe la «beffa» di non poter ottenere il risarcimento stabilito dall'autorità giudiziaria;
    ciò posto, si ritiene che l'unica possibilità per ottemperare alle citate sentenze, sarebbe rappresentata dalla concessione di un contributo straordinario di 35 milioni di euro, in favore del Comune di San Giuliano di Puglia;
    lo Stato è già intervenuto diverse volte, mediante apposite leggi o con stanziamenti nelle leggi di Stabilità, a sostegno delle vittime di tragedie, sciagure e disastri anche non strettamente connessi con le funzioni dello Stato ed in particolare:
     1) vittime del disastro aereo di Ustica del 27 giugno 1980 – legge 8 agosto 1995 n. 340 e legge 3 agosto 2004, n. 206;
     2) disposizioni in favore delle famiglie delle vittime del disastro aereo di Verona – legge 18 novembre 1999, n. 436;
     3) disposizioni in favore delle famiglie delle vittime del disastro aereo di Linate – legge 27 febbraio 2003, n. 33;
     4) norme in favore dei familiari superstiti degli aviatori italiani vittime dell'eccidio avvenuto a Kindu FU novembre 1961 – legge 20 febbraio 2006, n. 91;
     5) disposizioni in favore dei familiari delle vittime e in favore dei superstiti del disastro ferroviario della Val Venosta/Vinschgau – legge 12 luglio 2011, n. 135;
     6) vittime del disastro aereo del Monte Serra del 3 marzo 1977 – legge 24 dicembre 2012, n. 228, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013). Articolo 1 comma 258;
     7) disposizioni in favore dei familiari delle vittime e in favore dei superstiti del disastro ferroviario di Viareggio – legge 7 luglio 2010, n. 106;
    nel caso di San Giuliano di Puglia le vittime hanno subito il crollo di una scuola pubblica dell'obbligo (scuola primaria),

impegna il Governo

a trovare una soluzione adeguata a ottemperare alle sentenze di cui in premessa, con particolare riguardo al risarcimento delle famiglie delle vittime e a scongiurare il dissesto finanziario del Comune di San Giuliano di Puglia.
9/3444-A/30Venittelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge oggetto di esame riscrive, al comma 38 dell'articolo 1, la disciplina dell'Imposta Regionale sulle Attività Produttive nel settore agricolo e della pesca modificando il decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446;
    la normativa vigente (articolo 45, comma 1, del decreto legislativo n. 446 del 1997) prevede un'aliquota dell'1,90 per cento «per i soggetti che operano nel settore agricolo e per le cooperative della piccola pesca e loro consorzi, di cui all'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973»;
    l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001 n. 228, considera imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli che forniscono beni o servizi diretti alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico prevalentemente ai soci;
    in forza di detta disposizione anche le cooperative che forniscono beni o servizi diretti alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico prevalentemente ai soci rientrano tra i soggetti che operano nel settore agricolo di cui all'articolo 45, comma 1, del decreto legislativo n. 446 del 1997 e, di conseguenza, applicano l'aliquota Irap dell'1,90 per cento;
    con il comma 38 dell'articolo 1 del disegno di legge in esame tutti i soggetti operanti nel settore agricolo di cui all'articolo 45, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446, vengono esentati dal pagamento dell'imposta regionale per le attività produttive;
    tuttavia, le modifiche apportate dal disegno di legge in esame alla norma istitutiva della predetta imposta, sono tali per cui il concetto di «settore agricolo» è stato sostituito con un elenco puntuale dei soggetti che beneficiano dell'esenzione;
    tra i soggetti esclusi non compaiono espressamente le cooperative di imprenditori agricoli che, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001 n. 228, forniscono ai soci beni o servizi diretti alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico nonostante esse siano tra i soggetti che ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo 15 dicembre 1997 sono sottoposti ad aliquota del 1,9 per cento;
   considerato che:
    tutte le cooperative di imprenditori agricoli di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo del 18 maggio 2001 n. 228, rientrano tra i 250.000 contribuenti IRAP a cui viene applicata l'aliquota agricola del 1,90 per cento ed il cui gettito complessivo è stato contabilizzato nella relazione tecnica al disegno di legge in 196,4 milioni di euro;
    è necessario chiarire che tra i soggetti beneficiari dell'esenzione dell'IRAP rientra anche questa categoria di imprese agricole le quali, in caso contrario, si troverebbero assoggettate al pagamento dell'imposta con aliquota ordinaria (3,90 per cento) con grave pregiudizio verso i soci, appalesandosi una evidente ed ingiustificata disparità di trattamento tra imprese agricole, per giunta in contrasto con le reali intenzioni della misura agevolativa si come esplicitate nelle relazioni di corredo al provvedimento in esame,

impegna il Governo

a chiarire con il primo provvedimento utile che le cooperative agricole di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001 n. 228, ivi incluse quelle che forniscono beni o servizi per lo sviluppo e la cura di un ciclo biologico, sono tra le imprese operanti nel settore agricolo che beneficiano dell'esenzione dall'imposta regionale sulle attività produttive.
9/3444-A/31Pagani, Oliverio.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge oggetto di esame riscrive, al comma 38 dell'articolo 1, la disciplina dell'Imposta Regionale sulle Attività Produttive nel settore agricolo e della pesca modificando il decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446;
    la normativa vigente (articolo 45, comma 1, del decreto legislativo n. 446 del 1997) prevede un'aliquota dell'1,90 per cento «per i soggetti che operano nel settore agricolo e per le cooperative della piccola pesca e loro consorzi, di cui all'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973»;
    l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001 n. 228, considera imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli che forniscono beni o servizi diretti alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico prevalentemente ai soci;
    in forza di detta disposizione anche le cooperative che forniscono beni o servizi diretti alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico prevalentemente ai soci rientrano tra i soggetti che operano nel settore agricolo di cui all'articolo 45, comma 1, del decreto legislativo n. 446 del 1997 e, di conseguenza, applicano l'aliquota Irap dell'1,90 per cento;
    con il comma 38 dell'articolo 1 del disegno di legge in esame tutti i soggetti operanti nel settore agricolo di cui all'articolo 45, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446, vengono esentati dal pagamento dell'imposta regionale per le attività produttive;
    tuttavia, le modifiche apportate dal disegno di legge in esame alla norma istitutiva della predetta imposta, sono tali per cui il concetto di «settore agricolo» è stato sostituito con un elenco puntuale dei soggetti che beneficiano dell'esenzione;
    tra i soggetti esclusi non compaiono espressamente le cooperative di imprenditori agricoli che, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001 n. 228, forniscono ai soci beni o servizi diretti alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico nonostante esse siano tra i soggetti che ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo 15 dicembre 1997 sono sottoposti ad aliquota del 1,9 per cento;
   considerato che:
    tutte le cooperative di imprenditori agricoli di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo del 18 maggio 2001 n. 228, rientrano tra i 250.000 contribuenti IRAP a cui viene applicata l'aliquota agricola del 1,90 per cento ed il cui gettito complessivo è stato contabilizzato nella relazione tecnica al disegno di legge in 196,4 milioni di euro;
    è necessario chiarire che tra i soggetti beneficiari dell'esenzione dell'IRAP rientra anche questa categoria di imprese agricole le quali, in caso contrario, si troverebbero assoggettate al pagamento dell'imposta con aliquota ordinaria (3,90 per cento) con grave pregiudizio verso i soci, appalesandosi una evidente ed ingiustificata disparità di trattamento tra imprese agricole, per giunta in contrasto con le reali intenzioni della misura agevolativa si come esplicitate nelle relazioni di corredo al provvedimento in esame,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di chiarire con il primo provvedimento utile che le cooperative agricole di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001 n. 228, ivi incluse quelle che forniscono beni o servizi per lo sviluppo e la cura di un ciclo biologico, sono tra le imprese operanti nel settore agricolo che beneficiano dell'esenzione dall'imposta regionale sulle attività produttive.
9/3444-A/31. (Testo modificato nel corso della seduta)  Pagani, Oliverio.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame istituisce un Fondo di solidarietà finalizzato al risarcimento dei danni subiti dagli investitori che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalle quattro banche poste in risoluzione con i provvedimenti del 21 novembre scorso;
    le misure introdotte si pongono l'obiettivo di minimizzare gli effetti negativi del processo di risoluzione sulla componente socialmente più debole degli investitori coinvolti, che possa aver agito senza la necessaria consapevolezza del livello di rischio del prodotto acquistato;
    il Fondo di solidarietà è gestito e alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, con una dotazione sino a un massimo di 100 milioni di euro; con decreto interministeriale saranno definite le modalità di accesso alle prestazioni in favore degli investitori, i criteri di quantificazione e le procedure da esperire, anche di natura arbitrale;
    l'istituzione del Fondo di solidarietà è volta ad assicurare la tutela verso tutti i detentori di obbligazioni subordinate delle quattro banche che risultano danneggiati, per numerose ragioni, dall'investimento effettuato, anche in ragione del fatto che una parte degli investitori ha subito perdite patrimoniali tali da determinare condizioni di particolare vulnerabilità economica e sociale;
    in particolare le procedure arbitrali stabiliranno gli indennizzi dovuti, valutando i casi i cui gli istituti bancari hanno contribuito a ingenerare nell'acquirente la convinzione di avere sottoscritto un titolo a basso livello di rischiosità; in numerosi casi gli strumenti finanziari, sottoscritti anche in parallelo all'accensione di mutui, sono stati acquistati su indirizzo di figure del sistema bancario locale verso cui il cittadino riponeva la massima fiducia; alcuni investitori dichiarano inoltre di aver subito pressioni o di aver espresso un consenso non consapevole, dovuto anche alla sottoscrizione di moduli di scarsa comprensibilità,

impegna il Governo

nel garantire la massima tutela degli investitori che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa, a valutare l'opportunità e la necessità di alimentare ulteriormente il Fondo di solidarietà a tal fine istituito, se la dotazione attualmente prevista non risulterà in grado di far fronte alle esigenze finanziarie connesse alla corresponsione di tutte le prestazioni che saranno dovute.
9/3444-A/32Verini, Parrini, Melilli, Petrini, Bratti, Carrescia, Morani, Tidei, Boldrini, Sereni, Ascani, Giulietti, Fanucci, Donati, Rocchi, Cenni, Dallai, Bini, Terrosi, D'Incecco, Lodolini.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame istituisce un Fondo di solidarietà finalizzato al risarcimento dei danni subiti dagli investitori che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalle quattro banche poste in risoluzione con i provvedimenti del 21 novembre scorso;
    le misure introdotte si pongono l'obiettivo di minimizzare gli effetti negativi del processo di risoluzione sulla componente socialmente più debole degli investitori coinvolti, che possa aver agito senza la necessaria consapevolezza del livello di rischio del prodotto acquistato;
    il Fondo di solidarietà è gestito e alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, con una dotazione sino a un massimo di 100 milioni di euro; con decreto interministeriale saranno definite le modalità di accesso alle prestazioni in favore degli investitori, i criteri di quantificazione e le procedure da esperire, anche di natura arbitrale;
    l'istituzione del Fondo di solidarietà è volta ad assicurare la tutela verso tutti i detentori di obbligazioni subordinate delle quattro banche che risultano danneggiati, per numerose ragioni, dall'investimento effettuato, anche in ragione del fatto che una parte degli investitori ha subito perdite patrimoniali tali da determinare condizioni di particolare vulnerabilità economica e sociale;
    in particolare le procedure arbitrali stabiliranno gli indennizzi dovuti, valutando i casi i cui gli istituti bancari hanno contribuito a ingenerare nell'acquirente la convinzione di avere sottoscritto un titolo a basso livello di rischiosità; in numerosi casi gli strumenti finanziari, sottoscritti anche in parallelo all'accensione di mutui, sono stati acquistati su indirizzo di figure del sistema bancario locale verso cui il cittadino riponeva la massima fiducia; alcuni investitori dichiarano inoltre di aver subito pressioni o di aver espresso un consenso non consapevole, dovuto anche alla sottoscrizione di moduli di scarsa comprensibilità,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di garantire la massima tutela degli investitori che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa, a valutare l'opportunità e la necessità di alimentare ulteriormente il Fondo di solidarietà a tal fine istituito, se la dotazione attualmente prevista non risulterà in grado di far fronte alle esigenze finanziarie connesse alla corresponsione di tutte le prestazioni che saranno dovute.
9/3444-A/32. (Testo modificato nel corso della seduta)  Verini, Parrini, Melilli, Petrini, Bratti, Carrescia, Morani, Tidei, Boldrini, Sereni, Ascani, Giulietti, Fanucci, Donati, Rocchi, Cenni, Dallai, Bini, Terrosi, D'Incecco, Lodolini.


   La Camera,
   premesso che:
    a partire dall'anno 2015 è considerata direttamente adibita ad abitazione principale una ed una sola unità immobiliare posseduta in Italia dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) a condizione che non risulti locata o data in comodato d'uso e che gli stessi siano titolari di pensione estera o in convenzione internazionale;
    tale equiparazione esenta i soggetti succitati dal pagamento dell'IMU e a partire dal 2016 anche dal pagamento della TASI. Per gli stessi soggetti la TARI è ridotta di due terzi;
    sono esclusi invece dalle agevolazioni succitate tutti gli altri cittadini italiani non pensionati, o titolari di sola pensione italiana, residenti permanentemente all'estero e proprietari di immobili in Italia;
    da una parte quindi il legislatore ha concesso con sensibilità e lungimiranza un beneficio fiscale ad una specifica categoria di italiani residenti all'estero – i pensionati – dall'altra si è creata una disparità di trattamento nei riguardi di cittadini non pensionati i quali ritengono di aver subito una discriminazione ingiusta e illogica;
    lo Stato italiano ha inteso giustamente concedere un beneficio concreto ai cittadini italiani residenti all'estero, esentandoli dal pagamento di alcune imposte immobiliari, in riconoscimento dei loro sacrifici e in virtù del loro contributo all'economia italiana tramite le rimesse e gli investimenti, ma non dovrebbe escludere da tale riconoscimento coloro i quali non possono far valere la qualifica di pensionato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica, di equiparare ad abitazione principale ai fini delle imposte sugli immobili anche le unità immobiliari possedute dai cittadini italiani residenti all'estero e iscritti all'AIRE i quali non possono far valere la qualifica di pensionato e non risultino proprietari di immobili all'estero, in modo tale da eliminare l'attuale disparità di trattamento tra cittadini italiani beneficiati per il solo fatto di essere titolari di prestazione pensionistica e cittadini italiani esclusi da qualunque beneficio per il solo fatto di non essere pensionati.
9/3444-A/33Gianni Farina, Tacconi, Garavini, Fedi, La Marca, Porta.


   La Camera,
   premesso che:
    la normativa in vigore sul trattamento sanitario riconosciuto ai cittadini italiani, contenuta nel Decreto del Ministro della Sanità 1 febbraio 1996, prevede le cure ospedaliere urgenti per un periodo non superiore a 90 giorni per ogni anno solare ai cittadini italiani residenti all'estero in occasione di soggiorni temporanei in Italia, accompagnando tuttavia tale previsione a una serie di limitazioni e condizioni;
    tali condizioni consistono nel fatto di essere nati in Italia, di essere emigrati permanentemente all'estero o di essere titolari di prestazione pensionistica, di essere comunque sprovvisti di assicurazione pubblica o privata;
    dal possibile trattamento sanitario urgente sono esclusi i cittadini italiani nati all'estero, anche se da genitori nati in Italia e tale limitativa prescrizione ricade in particolari sui figli minorenni di famiglie italiane e miste;
    l'esclusione dei figli minorenni, oltre ad essere censurabile in termini di principio riguardando in ogni caso cittadini italiani, rappresenta una remora di non poco conto per il turismo di ritorno e per gli auspicabili soggiorni di studio da realizzare nel nostro Paese, soprattutto in una fase di iniziale ripresa della nostra economia, come quella che attraversiamo;
    le regioni, nell'ambito della loro autonomia organizzativa del servizio sanitario, su tale questione provvedono in modo non omogeneo, seguendo spesso indirizzi e pratiche differenti,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di ridefinire, anche mediante successivi interventi e di concerto con la Conferenza Stato-Regioni, criteri uniformi di trattamento per le cure urgenti dei cittadini italiani residenti all'estero in soggiorno temporaneo in Italia, anche al fine di estendere le cure ospedaliere urgenti anche ai figli minori di cittadini italiani iscritti all'AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero) che rientrano in Italia per periodi temporanei, a condizione che non siano in possesso di una copertura assicurativa pubblica o privata per le prestazioni sanitarie, sia al fine di riconoscere una loro tutela sia in considerazione dei benefici che dalla facilità dei loro soggiorni può derivarne per il nostro Paese.
9/3444-A/34La Marca, Fedi, Porta, Gianni Farina, Garavini, Tacconi.


   La Camera,
   premesso che:
    con la legge di Stabilità per il 2014 è stato introdotto un contributo di 300 euro a carico di coloro che avanzano richiesta di riconoscimento della cittadinanza con il dichiarato intento di utilizzare i proventi che ne derivano per l'Amministrazione per rafforzare gli uffici consolari che hanno un maggior numero di percezioni, presso i quali in genere si sono accumulate giacenze la cui previsione di smaltimento si proietta ormai negli anni;
    un diverso provvedimento ha fissato in 200 euro l'entità del contributo a carico di coloro che fanno la richiesta di riconoscimento di cittadinanza in Italia, con un'evidente sperequazione di trattamento che non trova giustificazione se non nell'impegno di sostenere misure straordinarie per far fronte alle richieste e alle giacenze accumulatesi in non poche sedi consolari estere, nelle quali storicamente il livello delle domande si è rilevato più elevato;
    contrariamente a quanto ipotizzato al momento dell'introduzione del tributo i proventi, in forza dell'articolo 7-bis della tabella dei diritti consolari allegata al decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71, confluiscono nella disponibilità del Ministero delle finanze e da esso non vengono destinati al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per essere impiegati per il rafforzamento dei servizi consolari, soprattutto nelle aree di maggiore sofferenza;
    in diversi consolati, soprattutto dell'America latina, la decorrenza della sola prenotazione per la consegna della domanda di cittadinanza si prolunga per mesi e i tempi di risoluzione delle relative pratiche si estendono per anni, in qualche caso anche per più di dieci anni, letteralmente polverizzando il diritto del cittadino ad avere una risposta dalla pubblica amministrazione entro i prescritti 180 giorni;
    la presente legge di Stabilità per il 2016 ha riconosciuto un finanziamento di 2 milioni da destinare ai consolati italiani all'estero al fine di rafforzare le iniziative di assistenza alle comunità italiane all'estero, provvedere alla manutenzione delle sedi consolari e far fronte ad altre incombenze di iniziativa consolare,

impegna il Governo:

   a dare priorità nella destinazione delle risorse aggiuntive assegnate ai consolati, oltre che alle attività di assistenza, al rafforzamento dei servizi consolari rivolti alle nostre comunità;
   a considerare e accogliere l'esigenza di dare attuazione all'iniziale intendimento di introdurre il tributo di 300 euro per migliorare i servizi consolari, disponendo, con successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, la riassegnazione di una quota parte dei proventi al MAECI, affinché esso provveda a trasferire tali risorse ai consolati in proporzione alle percezione dei diritti realizzata in ciascun ufficio consolare e con l'esplicito mandato di riassorbire le giacenze delle domande di cittadinanza accumulatesi negli anni.
9/3444-A/35Porta, Fedi, La Marca, Gianni Farina, Garavini, Tacconi.


   La Camera,
   premesso che:
    con la legge di Stabilità per il 2014 è stato introdotto un contributo di 300 euro a carico di coloro che avanzano richiesta di riconoscimento della cittadinanza con il dichiarato intento di utilizzare i proventi che ne derivano per l'Amministrazione per rafforzare gli uffici consolari che hanno un maggior numero di percezioni, presso i quali in genere si sono accumulate giacenze la cui previsione di smaltimento si proietta ormai negli anni;
    un diverso provvedimento ha fissato in 200 euro l'entità del contributo a carico di coloro che fanno la richiesta di riconoscimento di cittadinanza in Italia, con un'evidente sperequazione di trattamento che non trova giustificazione se non nell'impegno di sostenere misure straordinarie per far fronte alle richieste e alle giacenze accumulatesi in non poche sedi consolari estere, nelle quali storicamente il livello delle domande si è rilevato più elevato;
    contrariamente a quanto ipotizzato al momento dell'introduzione del tributo i proventi, in forza dell'articolo 7-bis della tabella dei diritti consolari allegata al decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71, confluiscono nella disponibilità del Ministero delle finanze e da esso non vengono destinati al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per essere impiegati per il rafforzamento dei servizi consolari, soprattutto nelle aree di maggiore sofferenza;
    in diversi consolati, soprattutto dell'America latina, la decorrenza della sola prenotazione per la consegna della domanda di cittadinanza si prolunga per mesi e i tempi di risoluzione delle relative pratiche si estendono per anni, in qualche caso anche per più di dieci anni, letteralmente polverizzando il diritto del cittadino ad avere una risposta dalla pubblica amministrazione entro i prescritti 180 giorni;
    la presente legge di Stabilità per il 2016 ha riconosciuto un finanziamento di 2 milioni da destinare ai consolati italiani all'estero al fine di rafforzare le iniziative di assistenza alle comunità italiane all'estero, provvedere alla manutenzione delle sedi consolari e far fronte ad altre incombenze di iniziativa consolare,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di dare priorità nella destinazione delle risorse aggiuntive assegnate ai consolati, oltre che alle attività di assistenza, al rafforzamento dei servizi consolari rivolti alle nostre comunità;
   a valutare l'opportunità di considerare e accogliere l'esigenza di dare attuazione all'iniziale intendimento di introdurre il tributo di 300 euro per migliorare i servizi consolari, disponendo, con successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, la riassegnazione di una quota parte dei proventi al MAECI, affinché esso provveda a trasferire tali risorse ai consolati in proporzione alle percezione dei diritti realizzata in ciascun ufficio consolare e con l'esplicito mandato di riassorbire le giacenze delle domande di cittadinanza accumulatesi negli anni.
9/3444-A/35. (Testo modificato nel corso della seduta)  Porta, Fedi, La Marca, Gianni Farina, Garavini, Tacconi.


   La Camera,
   premesso che:
    il pagamento dell'abbonamento del Canone RAI si basa su due presunzioni fissate da un Regio decreto del 1938:
     a) la detenzione di apparecchi adattabili alla ricezione di segnali televisivi su piattaforma terrestre e piattaforma satellitare;
     b) la presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione dei segnali di cui alla lettera a);
    alle prime due presunzioni il legislatore la presente legge di stabilità 2016 ha inteso aggiungere una terza presunzione che collega il presunto utilizzo degli apparecchi radioriceventi ad un contratto per l'energia elettrica e alla residenza anagrafica nel luogo di detenzione dell'apparecchio;

il pagamento del canone viene dunque subordinato – ancorché non esclusivamente ma significativamente – alla residenza anagrafica nel luogo dove si detengono gli apparecchi soggetti al canone;
    i cittadini italiani residenti permanentemente all'estero, e quindi iscritti all'AIRE, non solo non hanno la residenza negli immobili posseduti in Italia ma non usufruiscono per la maggior parte del periodo di imposta delle trasmissioni radio-televisive italiane nei suddetti immobili,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di considerare a favore dei cittadini italiani residenti permanentemente all'estero ed iscritti all'AIRE l'esenzione o la riduzione del Canone RAI sugli immobili da essi posseduti in Italia, ove siano presenti le presunzioni fissate dal Regio decreto del 1938, a condizione che non siano locati o dati in comodato d'uso.
9/3444-A/36Tacconi, Fedi, Gianni Farina, Garavini, La Marca, Porta.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 5, commi da 1 a 4, della legge 3 agosto 2007, n. 127, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, prevede a partire dall'anno 2007 la corresponsione di una somma aggiuntiva, in presenza di determinate condizioni reddituali, a favore dei pensionati ultrasessantaquattrenni titolari di uno o più trattamenti pensionistici a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, gestite da enti pubblici di previdenza obbligatoria;
    il beneficiario deve possedere i requisiti di contribuzione previsti dalla Tabella A allegata della legge n. 127 del 2007; per la corresponsione dell'aumento viene considerata tutta la contribuzione (obbligatoria, figurativa, volontaria e da riscatto), nonché quella utilizzata per la liquidazione di supplementi. Gli aumenti variano d'importo a seconda della entità dell'anzianità contributiva;
    i requisiti di contribuzione della Tabella A suindicata prevedono che i lavoratori dipendenti i quali facciano valere: fino a 15 anni di contribuzione abbiano diritto per l'anno 2015 ad una 14ma pari a 336 euro, oltre 15 e fino a 25 anni a 420 euro ed infine oltre 25 anni a 504 euro (per i lavoratori autonomi gli anni di contribuzione sono leggermente più alti);
    nel caso di pensioni liquidate in regime internazionale l'INPS ha invece deciso arbitrariamente di considerare utile solo la contribuzione italiana. Ovviamente l'utilizzo della sola contribuzione italiana e non di quella estera ai fini della determinazione dell'importo penalizza tutti i titolari di pensione in convenzione internazionale ai quali viene perciò erogato l'importo più basso previsto dalla legge visto che la stragrande maggioranza dei lavoratori emigrati può far valere meno di 15 anni di contribuzione nell'assicurazione italiana;
    si ritiene invece corretto e opportuno disporre la presa in considerazione da parte dell'INPS anche della contribuzione estera ai fini del calcolo dell'importo della somma aggiuntiva (altrimenti detta 14ma) considerato che la contribuzione estera, in virtù del principio dell'assimilazione dei territori che informa tutte le convenzioni internazionali di sicurezza sociale stipulate dall'Italia, viene sempre presa in considerazione dall'INPS sia ai fini della maturazione dei diritti che ai fini del calcolo delle prestazioni italiane in convenzione internazionale,

impegna il Governo

a verificare la correttezza dei motivi per cui l'INPS non prenda in considerazione ai fini del calcolo della 14ma (o somma aggiuntiva) erogata all'estero anche la contribuzione versata all'estero dai lavoratori italiani emigrati e utilizzata invece per il perfezionamento del diritto a pensione in convenzione internazionale, valutando l'eventuale opportunità di modificare la legge in vigore o, diversamente, a predisporre una norma di interpretazione della disciplina vigente, volta a far includere anche la contribuzione estera ai fini del calcolo dell'importo della 14ma.
9/3444-A/37Giuditta Pini, Porta, Gianni Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Tacconi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 5, commi da 1 a 4, della legge 3 agosto 2007, n. 127, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, prevede a partire dall'anno 2007 la corresponsione di una somma aggiuntiva, in presenza di determinate condizioni reddituali, a favore dei pensionati ultrasessantaquattrenni titolari di uno o più trattamenti pensionistici a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, gestite da enti pubblici di previdenza obbligatoria;
    il beneficiario deve possedere i requisiti di contribuzione previsti dalla Tabella A allegata della legge n. 127 del 2007; per la corresponsione dell'aumento viene considerata tutta la contribuzione (obbligatoria, figurativa, volontaria e da riscatto), nonché quella utilizzata per la liquidazione di supplementi. Gli aumenti variano d'importo a seconda della entità dell'anzianità contributiva;
    i requisiti di contribuzione della Tabella A suindicata prevedono che i lavoratori dipendenti i quali facciano valere: fino a 15 anni di contribuzione abbiano diritto per l'anno 2015 ad una 14ma pari a 336 euro, oltre 15 e fino a 25 anni a 420 euro ed infine oltre 25 anni a 504 euro (per i lavoratori autonomi gli anni di contribuzione sono leggermente più alti);
    nel caso di pensioni liquidate in regime internazionale l'INPS ha invece deciso arbitrariamente di considerare utile solo la contribuzione italiana. Ovviamente l'utilizzo della sola contribuzione italiana e non di quella estera ai fini della determinazione dell'importo penalizza tutti i titolari di pensione in convenzione internazionale ai quali viene perciò erogato l'importo più basso previsto dalla legge visto che la stragrande maggioranza dei lavoratori emigrati può far valere meno di 15 anni di contribuzione nell'assicurazione italiana;
    si ritiene invece corretto e opportuno disporre la presa in considerazione da parte dell'INPS anche della contribuzione estera ai fini del calcolo dell'importo della somma aggiuntiva (altrimenti detta 14ma) considerato che la contribuzione estera, in virtù del principio dell'assimilazione dei territori che informa tutte le convenzioni internazionali di sicurezza sociale stipulate dall'Italia, viene sempre presa in considerazione dall'INPS sia ai fini della maturazione dei diritti che ai fini del calcolo delle prestazioni italiane in convenzione internazionale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di verificare la correttezza dei motivi per cui l'INPS non prenda in considerazione ai fini del calcolo della 14ma (o somma aggiuntiva) erogata all'estero anche la contribuzione versata all'estero dai lavoratori italiani emigrati e utilizzata invece per il perfezionamento del diritto a pensione in convenzione internazionale, valutando l'eventuale opportunità di modificare la legge in vigore o, diversamente, a predisporre una norma di interpretazione della disciplina vigente, volta a far includere anche la contribuzione estera ai fini del calcolo dell'importo della 14ma.
9/3444-A/37. (Testo modificato nel corso della seduta)  Giuditta Pini, Porta, Gianni Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Tacconi.


   La Camera,
   premesso che:
    le Camere di Commercio italiane all'estero (CCIE) riconosciute dallo Stato italiano sono 76, operanti in 54 Paesi del mondo. Associano, su base volontaria, 20.000 imprese, sviluppando annualmente più di 300 mila contatti di affari;
    le CCIE sono connesse «a rete» in un sistema di promozione, ben radicato sui territori esteri, che costituisce un punto di riferimento per le comunità di affari italo-locali e un supporto di servizio alle piccole e medie imprese italiane;
    le CCIE, ai sensi delle leggi n. 518 del 10 luglio 1970 e n. 549 del 1995, sono destinatarie annualmente di un cofinanziamento sul valore dei programmi di promozione realizzati, nell'ambito delle disponibilità di cui alla tab. C. cap. 2501/P(4.2) del Ministero dello sviluppo economico;
    ogni anno viene effettuata la ripartizione delle disponibilità sul capitolo sulla base del valore dei programmi presentati allo stesso Ministro dello sviluppo economico, che ha impegnato negli ultimi anni, orientativamente, circa il 60 per cento delle risorse complessive del capitolo 2501 IP per l'attività delle CCIE;
    negli ultimi cinque anni la dotazione del capitolo è stata ridotta dell'80 per cento e il disegno di legge di stabilità 2016, dispone un'ulteriore riduzione, corretta solo per gli anni 2017 e 2018;
    l'anno 2015, anche in forza di un indirizzo del Parlamento, la percentuale di risorse impegnate a favore dei programmi delle CCIE è salita all'85 per cento dei fondi disponibili sul cap. 2501, pur rimanendo largamente insufficiente a cofinanziare le spese sostenute dalle CCIE;
    sulla base delle percentuali di contribuzione degli scorsi anni, la contribuzione pubblica a favore delle CCIE scenderebbe a meno del 7 per cento rispetto alla previsione massima del 50 per cento;
    questa prospettiva appare insostenibile e foriera di situazioni di dissesto in soggetti che hanno visto, in cinque anni, ridurre il cofinanziamento pubblico a meno di un quarto, mettendo a repentaglio la continuità di servizio, la capacità di rappresentanza degli interessi imprenditoriali all'estero, nonché l'attivo supporto ai processi d'internazionalizzazione delle piccole e media imprese italiane;
    nell'anno 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha ricevuto programmi di attività delle Camere per una spesa prevista di circa 44 milioni di euro,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di aumentare la dotazione del capitolo 2501 (4.2) anche con successivi interventi normativi;
   a provvedere in sede di ripartizione del cap. 2501 (4.2) in favore delle Camere di commercio italiane all'estero, affinché sia riservato un contributo comunque non inferiore al 95 per cento della dotazione, globale del capitolo, al fine di realizzare una più coerente copertura dei programmi.
9/3444-A/38Fedi, Porta, Garavini, Mongiello, Marco Di Maio, Gianni Farina, Boccadutri, La Marca, Tacconi.


   La Camera,
   premesso che:
    le Camere di Commercio italiane all'estero (CCIE) riconosciute dallo Stato italiano sono 76, operanti in 54 Paesi del mondo. Associano, su base volontaria, 20.000 imprese, sviluppando annualmente più di 300 mila contatti di affari;
    le CCIE sono connesse «a rete» in un sistema di promozione, ben radicato sui territori esteri, che costituisce un punto di riferimento per le comunità di affari italo-locali e un supporto di servizio alle piccole e medie imprese italiane;
    le CCIE, ai sensi delle leggi n. 518 del 10 luglio 1970 e n. 549 del 1995, sono destinatarie annualmente di un cofinanziamento sul valore dei programmi di promozione realizzati, nell'ambito delle disponibilità di cui alla tab. C. cap. 2501/P(4.2) del Ministero dello sviluppo economico;
    ogni anno viene effettuata la ripartizione delle disponibilità sul capitolo sulla base del valore dei programmi presentati allo stesso Ministro dello sviluppo economico, che ha impegnato negli ultimi anni, orientativamente, circa il 60 per cento delle risorse complessive del capitolo 2501 IP per l'attività delle CCIE;
    negli ultimi cinque anni la dotazione del capitolo è stata ridotta dell'80 per cento e il disegno di legge di stabilità 2016, dispone un'ulteriore riduzione, corretta solo per gli anni 2017 e 2018;
    l'anno 2015, anche in forza di un indirizzo del Parlamento, la percentuale di risorse impegnate a favore dei programmi delle CCIE è salita all'85 per cento dei fondi disponibili sul cap. 2501, pur rimanendo largamente insufficiente a cofinanziare le spese sostenute dalle CCIE;
    sulla base delle percentuali di contribuzione degli scorsi anni, la contribuzione pubblica a favore delle CCIE scenderebbe a meno del 7 per cento rispetto alla previsione massima del 50 per cento;
    questa prospettiva appare insostenibile e foriera di situazioni di dissesto in soggetti che hanno visto, in cinque anni, ridurre il cofinanziamento pubblico a meno di un quarto, mettendo a repentaglio la continuità di servizio, la capacità di rappresentanza degli interessi imprenditoriali all'estero, nonché l'attivo supporto ai processi d'internazionalizzazione delle piccole e media imprese italiane;
    nell'anno 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha ricevuto programmi di attività delle Camere per una spesa prevista di circa 44 milioni di euro,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di aumentare la dotazione del capitolo 2501 (4.2) anche con successivi interventi normativi;
    a valutare l'opportunità di provvedere in sede di ripartizione del cap. 2501 (4.2) in favore delle Camere di commercio italiane all'estero, affinché sia riservato un contributo comunque non inferiore al 95 per cento della dotazione, globale del capitolo, al fine di realizzare una più coerente copertura dei programmi.
9/3444-A/38. (Testo modificato nel corso della seduta)  Fedi, Porta, Garavini, Mongiello, Marco Di Maio, Gianni Farina, Boccadutri, La Marca, Tacconi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede importanti interventi di carattere sociale, soprattutto per la disabilità, istituendo tra l'altro all'articolo 1, comma 218, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali una dotazione di 90 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016 destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi recanti misure di sostegno alle persone con disabilità grave prive di legami familiari;
    le misure di sostegno alla disabilità dovrebbero anche tutelare la quotidianità del disabile, semplificando soprattutto il disbrigo di pratiche amministrative spesso farraginose, come il rinnovo della patente di guida;
    il decreto-legge del 24 giugno 2014 n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014 n. 114 (cosiddetto Decreto semplificazioni) all'articolo 25, comma 2, stabilisce che, per i soggetti con patologie invalidanti non suscettibili di aggravamento col trascorrere del tempo, il rinnovo di validità della patente di guida potrà espletarsi ogni 10 anni (invece che ogni 5 anni secondo la disciplina ante-riforma), che si riducono a 5 se il guidatore ha superato i 50 anni e a 3 se ha superato i 70;
    secondo quanto dispone l'articolo 119, comma 4, del Decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285 (Codice della Strada), l'accertamento dei requisiti fisici e psichici per il rinnovo della patente di guida del disabile è effettuato da commissioni mediche locali costituite in ogni provincia;
    tuttavia diverse Associazioni presenti sul territorio nazionale, tra cui l'Adico (Associazione Difesa Consumatori), denunciano numerose problematiche legate a tale pratica;
    si evidenzia infatti la carenza di personale medico nelle commissioni: ciò causa un forte arretrato nella gestione delle pratiche che porta alla creazione di lunghe liste d'attesa per l'ottenimento della data della visita; inoltre alcune di esse, tipo le visite oculistiche, devono essere eseguite in strutture esterne con evidenti aggravi di costi;
    in molti casi inoltre il rinnovo viene rilasciato per periodi inferiori a quelli previsti dalla normativa e, ciò che è più penalizzante, è la prassi di chiedere una nuova domanda di rinnovo della patente presso la Motorizzazione, che allunga i tempi e aumenta i costi;
    va inoltre considerata la rilevante mole di documenti che l'interessato deve presentare e che spesso non risulta sufficiente: al disabile in molti casi il personale medico ordina ulteriori accertamenti per patologie passate e già risolte, del tutto ininfluenti per il rinnovo della patente;
    tutto quanto esposto provoca un evidente allungamento dei tempi per l'ottenimento del rinnovo delle patenti speciali per i disabili, con gravi ripercussioni sulla loro vita quotidiana,

impegna il Governo

nell'ambito degli interventi a sostegno della disabilità presenti nella legge di stabilità 2016 e nello spirito del decreto-legge del 24 giugno 2014 n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014 n. 114 (cosiddetto Decreto semplificazioni), a stabilire ulteriori misure di facilitazione delle pratiche amministrative per il rinnovo delle patenti speciali, con particolare riferimento alla riduzione dei tempi e dei costi per ciascun utente.
9/3444-A/39Becattini, Albini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede importanti interventi di carattere sociale, soprattutto per la disabilità, istituendo tra l'altro all'articolo 1, comma 218, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali una dotazione di 90 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016 destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi recanti misure di sostegno alle persone con disabilità grave prive di legami familiari;
    le misure di sostegno alla disabilità dovrebbero anche tutelare la quotidianità del disabile, semplificando soprattutto il disbrigo di pratiche amministrative spesso farraginose, come il rinnovo della patente di guida;
    il decreto-legge del 24 giugno 2014 n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014 n. 114 (cosiddetto Decreto semplificazioni) all'articolo 25, comma 2, stabilisce che, per i soggetti con patologie invalidanti non suscettibili di aggravamento col trascorrere del tempo, il rinnovo di validità della patente di guida potrà espletarsi ogni 10 anni (invece che ogni 5 anni secondo la disciplina ante-riforma), che si riducono a 5 se il guidatore ha superato i 50 anni e a 3 se ha superato i 70;
    secondo quanto dispone l'articolo 119, comma 4, del Decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285 (Codice della Strada), l'accertamento dei requisiti fisici e psichici per il rinnovo della patente di guida del disabile è effettuato da commissioni mediche locali costituite in ogni provincia;
    tuttavia diverse Associazioni presenti sul territorio nazionale, tra cui l'Adico (Associazione Difesa Consumatori), denunciano numerose problematiche legate a tale pratica;
    si evidenzia infatti la carenza di personale medico nelle commissioni: ciò causa un forte arretrato nella gestione delle pratiche che porta alla creazione di lunghe liste d'attesa per l'ottenimento della data della visita; inoltre alcune di esse, tipo le visite oculistiche, devono essere eseguite in strutture esterne con evidenti aggravi di costi;
    in molti casi inoltre il rinnovo viene rilasciato per periodi inferiori a quelli previsti dalla normativa e, ciò che è più penalizzante, è la prassi di chiedere una nuova domanda di rinnovo della patente presso la Motorizzazione, che allunga i tempi e aumenta i costi;
    va inoltre considerata la rilevante mole di documenti che l'interessato deve presentare e che spesso non risulta sufficiente: al disabile in molti casi il personale medico ordina ulteriori accertamenti per patologie passate e già risolte, del tutto ininfluenti per il rinnovo della patente;
    tutto quanto esposto provoca un evidente allungamento dei tempi per l'ottenimento del rinnovo delle patenti speciali per i disabili, con gravi ripercussioni sulla loro vita quotidiana,

impegna il Governo

nell'ambito degli interventi a sostegno della disabilità presenti nella legge di stabilità 2016 e nello spirito del decreto-legge del 24 giugno 2014 n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014 n. 114 (cosiddetto Decreto semplificazioni), a valutare l'opportunità di stabilire ulteriori misure di facilitazione delle pratiche amministrative per il rinnovo delle patenti speciali, con particolare riferimento alla riduzione dei tempi e dei costi per ciascun utente.
9/3444-A/39. (Testo modificato nel corso della seduta)  Becattini, Albini.


   La Camera,
   premesso che:
    il lascito documentario di Giuseppe Verdi, è custodito a Villa Verdi a S. Agata di proprietà degli eredi Carrara Verdi, della Casa di Riposo Giuseppe Verdi di Milano e della Famiglia Motta Verdi di Bologna;
    nel corso del 2013, grazie alla legge dedicata alle Celebrazioni del secondo centenario della nascita del Maestro (legge 12 novembre 2012 n. 206), oltre a sottolineare il ruolo rilevante a livello nazionale del complesso di Villa Verdi (articolo 1 comma 3 della legge sopra citata), veniva assegnato un consistente contributo (articolo 2 comma 1 lettera f) della legge sopra citata) per lavori di restauro dell'immobile;
   considerato che:
    non si poté allora intervenire sulla inventari azione e digitalizzazione del patrimonio archivistico, che rappresenta una fonte primaria per la storia della musica e della cultura dell'Ottocento. Oggi tale azione, fortemente richiesta da tutti gli studiosi, è indispensabile, sia per garantire una adeguata conservazione degli originali, sia per consentire la massima diffusione dei contenuti, grazie anche alle nuove tecnologie;
    l'Istituto di studi verdiani ha proposto al Ministeri dei beni delle attività culturali e del turismo di realizzare un progetto specifico sull'argomento. Progetto che non potrà, per la sua rilevanza nazionale e internazionale, che promanare dal Ministero per i beni le attività culturali e il turismo, l'unico organismo capace di garantire il rispetto delle esigenze conservative, catalografiche e di diffusione connesse al tema;
    dal canto suo l'Istituto nazionale di studi verdiani che già opera in accordo con gli Eredi Carrara Verdi e la Soprintendenza archivistica competente per rendere consultabili nella propria sede alcune parziali riproduzioni del materiale documentario (in particolare le lettere), si impegna sin da ora a mettere a disposizione in consultazione, nella propria sede, e in accordo con i proprietari e i competenti uffici statali, le riproduzioni digitali e gli inventari che verranno realizzati. L'Istituto è inoltre disponibile a fornire la collaborazione scientifica e tecnica, maturata in oltre cinquant'anni di esperienza nel campo degli studi verdiani, alla definizione dei contenuti e all'organizzazione del progetto. C’è stata anche l'adesione della Casa di Riposo Giuseppe Verdi di Milano che è proprietaria di una parte degli abbozzi musicali del Maestro conservati a Villa Verdi e della Signora Maria M. Carrara Verdi, oggi rappresentante della Famiglia in seno al consiglio di amministrazione dell'Istituto nazionale di studi verdiani,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre misure concrete per la valorizzazione e la promozione della digitalizzazione e della fruizione del patrimonio indicato, considerato il rilevante valore storico-culturale sia a livello nazionale che internazionale.
9/3444-A/40Romanini, Patrizia Maestri, Paolo Rossi, Amato.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di Stabilità 2016 ha destinato importanti risorse alla valorizzazione del patrimonio artistico e di numerose iniziative e istituti culturali;
    il Festival Verdi, realizzato dalla Fondazione Teatro Regio di Parma, in onore del Maestro Giuseppe Verdi, nasce nella seconda metà degli anni ottanta ed ha avuto luogo fino al 1993, per poi essere reintrodotto nel 2001 in occasione delle celebrazioni nazionali del centenario verdiano (Giuseppe Verdi è morto a Milano il 27 gennaio 1901). Da allora è riprogrammato con cadenza annuale;
    il Festival Verdi è oggi escluso dai finanziamenti di cui alla legge n. 238 del 2012 nonostante la sua indiscussa valenza nazionale ed internazionale,

impegna il Governo

a stanziare, a decorrere dal 2016, un contributo annuo di 1 milione di euro a favore della Fondazione Teatro Regio di Parma per la realizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto.
9/3444-A/41Patrizia Maestri, Romanini, Rampi, Iori, Galperti, Gnecchi, Giacobbe, Baruffi, Prina, Manzi, Malisani, Rotta, Malpezzi.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di Stabilità 2016 ha destinato importanti risorse alla valorizzazione del patrimonio artistico e di numerose iniziative e istituti culturali;
    il Festival Verdi, realizzato dalla Fondazione Teatro Regio di Parma, in onore del Maestro Giuseppe Verdi, nasce nella seconda metà degli anni ottanta ed ha avuto luogo fino al 1993, per poi essere reintrodotto nel 2001 in occasione delle celebrazioni nazionali del centenario verdiano (Giuseppe Verdi è morto a Milano il 27 gennaio 1901). Da allora è riprogrammato con cadenza annuale;
    il Festival Verdi è oggi escluso dai finanziamenti di cui alla legge n. 238 del 2012 nonostante la sua indiscussa valenza nazionale ed internazionale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di stanziare, a decorrere dal 2016, un contributo annuo di 1 milione di euro a favore della Fondazione Teatro Regio di Parma per la realizzazione del Festival Verdi di Parma e Busseto.
9/3444-A/41. (Testo modificato nel corso della seduta)  Patrizia Maestri, Romanini, Rampi, Iori, Galperti, Gnecchi, Giacobbe, Baruffi, Prina, Manzi, Malisani, Rotta, Malpezzi.


   La Camera,
   premesso che:
    nel 2006 nell'ambito della riforma della Organizzazione Comune di Mercato (OCM) zucchero, che per l'Italia ha comportato una drammatica ristrutturazione (chiusura di 15 fabbriche e rinuncia a più del 50 per cento della quota di produzione), i Regolamenti comunitari (nn. 318/2006 e 319/2006) avevano disegnato un articolato quadro di interventi tra cui spiccava l'erogazione di aiuti sia comunitari sia nazionali per il quinquennio 2006/2010;
    mentre le risorse comunitarie sono state continuativamente pagate, quelle nazionali sono state versate per il triennio 2006, 2007, 2008, ma mancano quelle delle campagne 2009 e 2010 per complessi 86 milioni di euro (43 milioni di euro per ciascun anno);
    la filiera bieticolo-saccarifera italiana, industria e parte agricola, quindi attende ancora l'assolvimento dell'impegno governativo, preso nel 2006 nell'ambito della riforma della Organizzazione Comune di Mercato (OCM) zucchero, relativo al completamento degli aiuti nazionali previsti dalla normativa comunitaria;
    la Delibera CIPE N. 6 del 20 gennaio 2012, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 14 aprile, ha stanziato aiuti, ex articolo 36 del Reg. (CE) n. 318/2006 alle imprese operanti nel settore bieticolo saccarifero per l'ammontare di 35.000.000 euro (35 milioni di euro). Tali somme, hanno rappresentato una «prima assegnazione a copertura dell'aiuto nazionale per la campagna di commercializzazione 2009-2010. Lo stanziamento relativo alla campagna di commercializzazione 2010-2011 verrà definito con successivo provvedimento.». Tali somme sono state effettivamente erogate ad aprile 2013 a copertura di una parte dell'anno 2009;
    la legge di stabilità 2014, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, legge 27 dicembre 2013, n. 147 pubblicata il 27 dicembre in Gazzetta Ufficiale (serie Generale n. 302 – Suppl. Ordinario n. 87), prevede all'articolo 1 comma 293, il rifinanziamento dell'importo di 5 milioni di euro del fondo per la razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticolosaccarifera di cui all'articolo 1, comma 1063, della legge 27 dicembre 2006, n. 296; tale stanziamento è espressamente indicato come «competenza di una parte del quarto anno del quinquennio previsto dalla normativa europea»;
    l'impegno al completamento dello stanziamento di tutte le somme è stato ripetutamente formalmente confermato in diverse occasioni dal Comitato interministeriale ex legge n. 81 del 2006 – Presieduto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e composto dai Ministri delle politiche agricole, dell'economia, sviluppo economico, ambiente, lavoro – dal Parlamento (entrambe le Commissioni Agricoltura di Camera e Senato con apposite Risoluzioni) e dallo stesso Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF) e nella legge di Stabilità 2014. La legge di stabilità 2016 come modificata al Senato prevede un rifinanziamento per l'importo di 1 milione di euro per l'anno 2016 e di 4 milioni di euro per l'anno 2017. Un emendamento a prima firma Romanini prevede un ulteriore stanziamento anche per il 2017;
    a copertura di tutte le somme ancora dovute per entrambe le campagne, è necessario un intervento di 41 milioni di euro (già considerando lo stanziamento nella legge di stabilità 2016);
    in aggiunta l'intero settore bieticolo-saccarifero nazionale sta attraversando una fortissima crisi a seguito della decisione comunitaria di porre termine al regime delle quote zucchero nel 2017, che ha portato già ora tra l'altro un crollo delle quotazioni di vendita dello zucchero comunitario e nazionale. Tale contesto di mercato sta ledendo la sostenibilità del comparto ed i rilevanti investimenti fatti per aumentare la competitività con rischi di ricadute su tutta la filiera;
    l'intervento oramai da troppo atteso a favore della filiera bieticolo-saccarifera permetterebbe agli operatori una maggiore prospettiva di mediolungo termine garantendo i livelli occupazionali anche in vista di eventuali riconversioni produttive,

impegna il Governo

a valutare a possibilità di disporre il rifinanziamento del Fondo per la razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticolosaccarifera programmando in maniera certa lo stanziamento e l'erogazione della parte residua degli aiuti per gli anni 2009 e 2010 attesi dalla filiera bieticolo-saccarifera per complessivi 41 milioni di euro.
9/3444-A/42Paolo Rossi, Romanini, Patrizia Maestri, Incerti, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    nel disegno di legge in esame «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», sono presenti norme che prevedono detrazioni fiscali;
    sono presenti in Italia 86 impianti di teleriscaldamento a biomasse; tali strutture rappresentano, soprattutto nelle zone marginali e montane non raggiunte dal metano (in particolare nelle zone climatiche «E» ed «F», ed in alcuni casi nelle zone climatiche «D»), uno strumento irrinunciabile per offrire alla popolazione un servizio a costi contenuti, per valorizzare l'utilizzo sostenibile di risorse locali, per promuovere l'economia territoriale e per incentivare l'utilizzo di fonti energetiche pulite;
   valutato che:
    la questione energetica rappresenta un elemento strategico delle politiche ambientali ed economiche dal momento che i combustibili fossili sono i principali responsabili dell'inquinamento atmosferico;
    la Commissione Europea ha rilevato in numerose occasioni l'importanza del contributo offerto dalle biomasse per raggiungere gli obiettivi preposti sul clima e sull'energia al 2020 (20 per cento di riduzione delle emissioni, 20 per cento di aumento di efficienza energetica, 20 per cento di rinnovabili negli usi finali di energia);
    la stessa Commissione Ue ha recentemente fissato nuovi obiettivi, rispetto al 1990, da raggiungere entro l'anno 2030: riduzione delle emissioni di CO2 del 40 per cento; aumento della quota di energia rinnovabile ad almeno il 27 per cento ed incremento dell'efficienza energetica di almeno il 27 per cento;
    i sistemi di teleriscaldamento contribuiscono alla riduzione dell'inquinamento locale, soprattutto se alimentati da biomasse, e rappresentano una soluzione alternativa, rispettosa dell'ambiente, sicura ed economica per il riscaldamento degli edifici;
   considerato che:
    gli impianti di teleriscaldamento a biomasse sono alimentati quasi esclusivamente da prodotti della filiera territoriale. In particolare:
     sottoprodotti di origine agro-forestale proveniente dalla manutenzione di boschi, dalla manutenzione dei fiumi, dalle potature agricole, dalle potature di verde urbano, dalle vinacce;
     sottoprodotti industriali come avanzi di segheria;
     e coltivazioni dedicate: «medium rotation forestry» (pioppeti a 5 anni);
    è quindi evidente come la produzione da biomasse rappresenti un punto significativo di sintesi capace di coniugare gli impegni in materia di salvaguardia ambientale con un equilibrato sviluppo delle aree boschive, ed in grado di prevenire il dissesto idrogeologico, garantire occupazione, redditività e corretta manutenzione e gestione dei boschi mediante il sostegno allo sviluppo di filiere foresta-legno-energia;
   preso atto che:
    il comma 577 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013 (legge di Stabilità per l'anno 2014), ha previsto che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, per ciascuno dei crediti d'imposta di cui all'elenco 2 allegato, siano stabilite le quote percentuali di fruizione dei crediti d'imposta non inferiori all'85 per cento di quanto spettante sulla base della normativa vigente istitutiva del credito d'imposta;
    il decreto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 21 marzo 2014 («Riduzione delle quote percentuali di fruizione dei crediti d'imposta indicati all'elenco 2 allegato alla legge di stabilità per l'anno 2014»);
    tale decreto stabilisce una riduzione del 15 per cento del credito d'imposta a favore dei soggetti allacciati a reti di teleriscaldamento alimentate con biomasse ovvero con energia geotermica, beneficiari delle agevolazioni contenute in origine nell'articolo 6 del decreto-legge numero 356 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 418 del 2001;
    la disposizione del decreto (il cui gettito complessivo di risparmio per la finanza pubblica è stimato ad oggi «solamente» intorno ai 1,6 milioni di euro) ha carattere di retroattività a far data dal 1o gennaio 2014;
    la riduzione del 15 per cento del credito di imposta ha comportato un aumento di circa il 5 per cento delle bollette del teleriscaldamento, andando così a gravare direttamente sui cittadini;
   esaminato che:
    il Ministero dello sviluppo economico ha posto in consultazione, a fine luglio 2015, le linee guida inerenti al meccanismo dei «Certificati Bianchi» con l'intento, da come si apprende dal documento stesso, di fissare le nuove misure che il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, intende introdurre per qualificare e potenziare il meccanismo, per un uso più efficiente ed efficace delle risorse, in vista degli obiettivi nazionali da raggiungere al 2020;
    pressoché contemporaneamente (2 settembre 2015) lo stesso Ministero ha inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per l'acquisizione dell'intesa della Conferenza unificata uno schema di decreto ministeriale concernente la revoca di alcune schede tecniche nell'ambito del meccanismo dei certificati bianchi ivi incluse quelle (22T e 21T) inerenti al teleriscaldamento e alla piccola cogenerazione in ambito civile;
    nel documento posto in consultazione a fine luglio si esclude quindi, dal meccanismo dei «Certificati Bianchi», il teleriscaldamento alimentato da fonti rinnovabili, che ad oggi, oltre ai «Certificati Bianchi», non gode di alcuna altra forma di agevolazione;
    tali politiche (riduzione del 15 per cento del credito di imposta a beneficio dei soggetti allacciati a tali reti di teleriscaldamento e la mancanza di agevolazioni nei «Certificati Bianchi») risulterebbero contrastanti nell'ottica complessiva di un sistema che dovrebbe incentivare anziché penalizzare l'uso di energie rinnovabili e promuovere lo sviluppo della filiera locale di produzione di biomasse quale volano fondamentale per la crescita sostenibile economica, occupazionale e sociale,

impegna il Governo:

   a verificare le dimensioni contrastanti delle norme sopra richiamare, a promuovere approfondimenti con i soggetti interessati, e, in relazione a quanto esposto in premessa, a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative specifiche per:
    rivedere la riduzione del 15 per cento del credito d'imposta a favore dei soggetti allacciati a reti di teleriscaldamento alimentate con biomasse, al fine di annullare gli aumenti nelle bollette degli utenti causate dagli effetti del comma 577 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013;
    prevedere che le disposizioni vigenti per le reti di teleriscaldamento alimentate da biomasse siano estese anche ai comuni ricadenti nella zona climatica «D»;
    inserire, nella riforma dei «Certificati Bianchi», forme di incentivazione per l'utilizzo di impianti di teleriscaldamento alimentati con biomasse.
9/3444-A/43Cenni, Borghi, Mariani, Albini, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    nel disegno di legge in esame «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», sono presenti norme che prevedono detrazioni fiscali;
    sono presenti in Italia 86 impianti di teleriscaldamento a biomasse; tali strutture rappresentano, soprattutto nelle zone marginali e montane non raggiunte dal metano (in particolare nelle zone climatiche «E» ed «F», ed in alcuni casi nelle zone climatiche «D»), uno strumento irrinunciabile per offrire alla popolazione un servizio a costi contenuti, per valorizzare l'utilizzo sostenibile di risorse locali, per promuovere l'economia territoriale e per incentivare l'utilizzo di fonti energetiche pulite;
   valutato che:
    la questione energetica rappresenta un elemento strategico delle politiche ambientali ed economiche dal momento che i combustibili fossili sono i principali responsabili dell'inquinamento atmosferico;
    la Commissione Europea ha rilevato in numerose occasioni l'importanza del contributo offerto dalle biomasse per raggiungere gli obiettivi preposti sul clima e sull'energia al 2020 (20 per cento di riduzione delle emissioni, 20 per cento di aumento di efficienza energetica, 20 per cento di rinnovabili negli usi finali di energia);
    la stessa Commissione Ue ha recentemente fissato nuovi obiettivi, rispetto al 1990, da raggiungere entro l'anno 2030: riduzione delle emissioni di CO2 del 40 per cento; aumento della quota di energia rinnovabile ad almeno il 27 per cento ed incremento dell'efficienza energetica di almeno il 27 per cento;
    i sistemi di teleriscaldamento contribuiscono alla riduzione dell'inquinamento locale, soprattutto se alimentati da biomasse, e rappresentano una soluzione alternativa, rispettosa dell'ambiente, sicura ed economica per il riscaldamento degli edifici;
   considerato che:
    gli impianti di teleriscaldamento a biomasse sono alimentati quasi esclusivamente da prodotti della filiera territoriale. In particolare:
     sottoprodotti di origine agro-forestale proveniente dalla manutenzione di boschi, dalla manutenzione dei fiumi, dalle potature agricole, dalle potature di verde urbano, dalle vinacce;
     sottoprodotti industriali come avanzi di segheria;
     e coltivazioni dedicate: «medium rotation forestry» (pioppeti a 5 anni);
    è quindi evidente come la produzione da biomasse rappresenti un punto significativo di sintesi capace di coniugare gli impegni in materia di salvaguardia ambientale con un equilibrato sviluppo delle aree boschive, ed in grado di prevenire il dissesto idrogeologico, garantire occupazione, redditività e corretta manutenzione e gestione dei boschi mediante il sostegno allo sviluppo di filiere foresta-legno-energia;
   preso atto che:
    il comma 577 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013 (legge di Stabilità per l'anno 2014), ha previsto che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, per ciascuno dei crediti d'imposta di cui all'elenco 2 allegato, siano stabilite le quote percentuali di fruizione dei crediti d'imposta non inferiori all'85 per cento di quanto spettante sulla base della normativa vigente istitutiva del credito d'imposta;
    il decreto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 21 marzo 2014 («Riduzione delle quote percentuali di fruizione dei crediti d'imposta indicati all'elenco 2 allegato alla legge di stabilità per l'anno 2014»);
    tale decreto stabilisce una riduzione del 15 per cento del credito d'imposta a favore dei soggetti allacciati a reti di teleriscaldamento alimentate con biomasse ovvero con energia geotermica, beneficiari delle agevolazioni contenute in origine nell'articolo 6 del decreto-legge numero 356 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 418 del 2001;
    la disposizione del decreto (il cui gettito complessivo di risparmio per la finanza pubblica è stimato ad oggi «solamente» intorno ai 1,6 milioni di euro) ha carattere di retroattività a far data dal 1o gennaio 2014;
    la riduzione del 15 per cento del credito di imposta ha comportato un aumento di circa il 5 per cento delle bollette del teleriscaldamento, andando così a gravare direttamente sui cittadini;
   esaminato che:
    il Ministero dello sviluppo economico ha posto in consultazione, a fine luglio 2015, le linee guida inerenti al meccanismo dei «Certificati Bianchi» con l'intento, da come si apprende dal documento stesso, di fissare le nuove misure che il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, intende introdurre per qualificare e potenziare il meccanismo, per un uso più efficiente ed efficace delle risorse, in vista degli obiettivi nazionali da raggiungere al 2020;
    pressoché contemporaneamente (2 settembre 2015) lo stesso Ministero ha inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per l'acquisizione dell'intesa della Conferenza unificata uno schema di decreto ministeriale concernente la revoca di alcune schede tecniche nell'ambito del meccanismo dei certificati bianchi ivi incluse quelle (22T e 21T) inerenti al teleriscaldamento e alla piccola cogenerazione in ambito civile;
    nel documento posto in consultazione a fine luglio si esclude quindi, dal meccanismo dei «Certificati Bianchi», il teleriscaldamento alimentato da fonti rinnovabili, che ad oggi, oltre ai «Certificati Bianchi», non gode di alcuna altra forma di agevolazione;
    tali politiche (riduzione del 15 per cento del credito di imposta a beneficio dei soggetti allacciati a tali reti di teleriscaldamento e la mancanza di agevolazioni nei «Certificati Bianchi») risulterebbero contrastanti nell'ottica complessiva di un sistema che dovrebbe incentivare anziché penalizzare l'uso di energie rinnovabili e promuovere lo sviluppo della filiera locale di produzione di biomasse quale volano fondamentale per la crescita sostenibile economica, occupazionale e sociale,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    verificare le dimensioni contrastanti delle norme sopra richiamare, a promuovere approfondimenti con i soggetti interessati, e, in relazione a quanto esposto in premessa, a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative specifiche per:
    rivedere la riduzione del 15 per cento del credito d'imposta a favore dei soggetti allacciati a reti di teleriscaldamento alimentate con biomasse, al fine di annullare gli aumenti nelle bollette degli utenti causate dagli effetti del comma 577 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013;
    prevedere che le disposizioni vigenti per le reti di teleriscaldamento alimentate da biomasse siano estese anche ai comuni ricadenti nella zona climatica «D»;
    inserire, nella riforma dei «Certificati Bianchi», forme di incentivazione per l'utilizzo di impianti di teleriscaldamento alimentati con biomasse.
9/3444-A/43. (Testo modificato nel corso della seduta).  Cenni, Borghi, Mariani, Albini, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    con decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, contenente le nuove misure in materia di tutela del patrimonio culturale, sviluppo della cultura e rilancio del turismo, convertito in legge n. 106 29 luglio 2014 per accelerare la progettazione degli interventi previsti nell'ambito del Grande Progetto Pompei, al fine di rispettare la scadenza del programma, è stata prevista la costituzione di una Segreteria Tecnica di Progettazione presso la Soprintendenza Speciale per i Beni archeologici di Pompei. Ercolano e Stabia, composta da non più di 20 unità di personale, alle quali possono essere conferiti, in deroga ai limiti finanziari previsti dalla legislazione vigente, incarichi di collaborazione, ai sensi dell'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per la durata massima di 12 mesi, entro i limiti di spesa di 900.000 euro, per la partecipazione alle attività progettuali e di supporto al Grande Progetto Pompei, secondo le esigenze e i criteri stabiliti dal Direttore generale di progetto d'intesa con il Soprintendente Speciale per i Beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia;
    il termine dei 12 mesi relativo alla costituzione della suddetta Struttura, è stato, con successivo emendamento a 24 mesi considerata l'oggettiva necessità di coprire un arco temporale più lungo per la mole di lavoro gravante sulla Struttura stessa;
    l'attività posta in essere nel corso di questi mesi è stata determinante per la riuscita dei progetti di recupero e di valorizzazione del «Grande Progetto Pompei» ormai riconosciuto anche a livello internazionale come esempio di operatività e funzionalità;
    per quanto concerne la individuazione dei professionisti che vi lavorano è stata adottata una procedura di selezione pubblica mediante avviso e quindi sono stati chiamati a superare prove che hanno consentito loro di poter accedere all'incarico;
    attualmente la struttura di progettazione svolge compiti specifici non ricoperti da alcuna altra struttura all'interno delle competenti soprintendenze ed in considerazione della evidente carenza di organico costituiscono un punto di forza per l'intero sito archeologico interessato, avendo selezionato professionisti archeologi, architetti e ingegneri di elevata specializzazione;
    i risultati positivi fin qui ottenuti necessitano di essere adeguatamente evidenziati e soprattutto analizzati dalle competenti istituzioni al fine di valutare il prosieguo della suddetta attività con la individuazione di un processo di stabilizzazione del personale impegnato,

impegna il Governo

ed in particolare il Ministero dei beni e delle attività culturali a valutare l'opportunità, entro l'anno 2016, di prevedere un percorso di stabilizzazione per la suddetta struttura, insediatasi a seguito della emanazione del decreto-legge n. 83 del 2014, della sua conversione in legge e delle successive proroghe, in considerazione dei risultati raggiunti e delle professionalità qualificate impegnate e ormai indispensabili per l'attività legata al Grande Progetto Pompei anche alla luce delle evidenti carenze di personale presenti.
9/3444-A/44Cuomo, Bossa, Giorgio Piccolo, Salvatore Piccolo, Palma.


   La Camera,
   premesso che:
    a seguito della recente rideterminazione della dotazione organica degli appartenenti alla carriera prefettizia, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 maggio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 settembre 2015, la stessa dotazione è pari a 1.320 unità di personale dirigenziale a fronte invece di una effettiva presenza di circa soltanto 1.100 unità, con una vacanza di posti disponibile per la qualifica iniziale di Consigliere pari a oltre 210 unità;
    vi è un elevato numero di appartenenti alla carriera prefettizia non più in servizio per dimissioni già presentate o per collocamento in quiescenza per raggiunti limiti di età, avvenute nel triennio 2012-2014;
    ulteriori cessazioni avverranno nel triennio 2015-2017;
    al termine della procedura concorsuale bandita il 26 ottobre 2012, lo scorso 28 maggio 2015 è stata approvata la relativa graduatoria finale, che si riferisce complessivamente a 98 candidati che hanno superato con merito tutte le 5 prove scritte e la prova orale;
    le facoltà assunzionali del Ministero dell'interno, per il triennio 2016-2018, sono ampiamente adeguate per consentire l'immediata assunzione nella qualifica iniziale di Consigliere della carriera prefettizia, ad inizio di anno 2016, dei candidati che hanno superato con merito il concorso di cui sopra;
    tenendo conto che l'onere annuo per l'assunzione di un Consigliere in prova ammonta a 89.923,67 euro circa (lordo amministrazione), non figurano oneri di spesa aggiuntivi in quanto l'immissione in ruolo degli idonei al concorso di cui sopra può essere effettuata utilizzando le risorse già previste, a legislazione vigente, sia per il triennio 2012-2014 che, in parte, per il triennio 2016-2018,

impegna il Governo

a valutare la possibilità che nel triennio 2016-2018 siano autorizzate le assunzioni nei profili iniziali della carriera prefettizia attingendo alla graduatoria degli idonei al concorso di cui in premessa, nel rispetto delle facoltà assunzionali del medesimo triennio, in deroga all'articolo 2, comma 7, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125.
9/3444-A/45Salvatore Piccolo, Cuomo, Giorgio Piccolo, Valiante, Famiglietti, Bossa, Antezza, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    nel comune di Pernumia, in provincia di Padova vi è uno stabilimento oramai abbandonato denominato Ex C&C;
    tale struttura è un fatiscente edificio al centro di una nota e abnorme vicenda di traffico di rifiuti tossici, avvenuta ai piedi del Parco dei Colli Euganei, vicino alle rinomate stazioni termali di Battaglia Terme, Montegrotto Terme e Abano Terme. La storia è risaputa, e ha lasciato in eredità al territorio 52.000 tonnellate di rifiuti speciali pericolosi all'interno di capannoni fatiscenti, nelle immediate vicinanze di centri abitati, campagne produttive e di un corso d'acqua che porta le sue acque a ridosso della Laguna di Venezia;
    in seguito ad un processo per traffico di rifiuti tossici la struttura è stata prima sottoposta a sequestro e in seguito, dopo la revoca del sequestro, abbandonata a se stessa con il suo pericoloso contenuto;
    la struttura è inserita nell'allegato A del Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali del Veneto approvato il 29 aprile 2015 con deliberazione del Consiglio regionale n. 30 del 29 aprile 2015, pubblicato sul B.U.R. n. 55 del 1 giugno 2015 inserita dalla regione Veneto nell'elenco dei siti inquinati;
    nel 2011 la regione Veneto ha stanziato, in un primo momento 500.000 euro per la messa in sicurezza e per attività di caratterizzazione, fondi spesi nel corso del 2013-2014 per rinforzare alcune strutture e tappare le numerose falle sul tetto e alle pareti ma al primo evento meteorologico importante, la struttura ha evidenziato la sua estrema fragilità e i gravi rischi cui è esposta; successivamente, attraverso un altro intervento, la Regione ha stanziato un ulteriore milione e mezzo al fine di proseguire i lavori di rimozione dei rifiuti presenti e caratterizzazione delle aree interessate dal deposito;
    nel mese di Novembre di quest'anno, attraverso una gara d'appalto promossa dal comune di Pernumia e grazie al risparmio cospicuo ottenuto attraverso il bando europeo, è stata possibile la rimozione e lo smaltimento di 2.400 tonnellate;
    per completare l'intera bonifica, servirebbero altre risorse;
    la struttura è sottoposta ad altri rischi, dall'incendio (già verificatosi) al terremoto, all'alluvione, rischi che non sono affatto teorici e che più volte hanno fatto temere il verificarsi di una tragedia di immani proporzioni; l'andamento ciclico di eventi meteorologici eccezionali dimostra che i rischi sono sempre più probabili e le conseguenze per la popolazione e l'ambiente sono imprevedibili e potenzialmente disastrose;
    dal momento che la Regione veneto non ha a disposizione ulteriori risorse finanziarie al fine di completare l'opera di bonifica del sito,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di reperire urgentemente le risorse necessarie mancanti per la prosecuzione degli interventi finalizzati sia alla rimozione dei rifiuti depositati che per le operazioni di bonifica e ripristino ambientale, della messa in sicurezza permanente e ripristino dello stato dei luoghi nell'area interessata di cui in premessa.
9/3444-A/46Rostellato.


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni il Legislatore è intervenuto di frequente sulla disciplina normativa della circolazione del contante. Tali interventi sono stati introdotti con una doppia finalità: da un lato l'esigenza di aumentare la tracciabilità dei movimenti finanziari per contrastare il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita e dall'altro l'obiettivo dell'Amministrazione finanziaria di contrastare l'evasione e l'elusione fiscale, attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti;
    il decreto-legge n. 201 del 2011, (cosiddetto decreto «Salva Italia») ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da euro 2.500 ad euro 1.000 la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore;
    il decreto-legge n. 16/2012 (cosiddetto decreto «Semplificazioni») ha introdotto una deroga alle norme sulla limitazione di circolazione del contante, per acquisti effettuati da cittadini extraeuropei presso commercianti al minuto, nonché agenzie di viaggio e turismo;
    la legge di Stabilità 2014, (legge n. 147/2013) al comma 50 dell'articolo 1, dispone che i canoni di locazione delle abitazioni non possano più essere pagati in contanti;
    i commi, da 511 a 514, del provvedimento in esame, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) contengono norme volte a innalzare da mille a tremila euro il limite a partire dal quale è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore; per il servizio di rimessa la soglia è invece fissata in mille euro; sono inoltre stati eliminati l'obbligo di pagare i canoni di locazione di unità abitative in forme e modalità che escludano l'uso del contante e ne assicurino la tracciabilità, nonché l'obbligo per i soggetti della filiera dei trasporti ad effettuare i pagamenti dei corrispettivi relativi ai contratti di trasporto su strada utilizzando mezzi elettronici di pagamento o il canale bancario o postale, o altri strumenti comunque tracciabili, indipendentemente dall'ammontare;
    inoltre, durante l’iter alla Camera, sono stati introdotti ulteriori commi aggiuntivi, dal comma 512-bis al 512-quater specifici in tema di pagamenti elettronici, estendendo l'obbligo per i commercianti e i professionisti di accettare pagamenti anche mediante carte di credito, oltre che di debito, tranne nei casi di oggettiva impossibilità tecnica e l'obbligo dal 1o luglio 2016, di accettare pagamenti elettronici anche con riferimento ai dispositivi di controllo di durata della sosta,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi delle norme sull'andamento dell'evasione fiscale e sull'utilizzo dei sistemi elettronici di pagamento, anche attraverso la presentazione di relazioni semestrali alle competenti commissioni parlamentari.
9/3444-A/47Boccuzzi, Portas, Baruffi, Misiani, Berretta, Gribaudo, Incerti, Impegno, Zappulla, Miccoli, Tinagli, Patrizia Maestri, Simoni, Di Salvo, Rostellato, Albanella, Giacobbe, Casellato, Marantelli, D'Arienzo, Ventricelli, Mazzoli, Ribaudo, Camani, Minnucci, Coccia, Raciti, Rossomando, Giuditta Pini, Culotta, Gnecchi, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni il Legislatore è intervenuto di frequente sulla disciplina normativa della circolazione del contante. Tali interventi sono stati introdotti con una doppia finalità: da un lato l'esigenza di aumentare la tracciabilità dei movimenti finanziari per contrastare il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita e dall'altro l'obiettivo dell'Amministrazione finanziaria di contrastare l'evasione e l'elusione fiscale, attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti;
    il decreto-legge n. 201 del 2011, (cosiddetto decreto «Salva Italia») ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da euro 2.500 ad euro 1.000 la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore;
    il decreto-legge n. 16/2012 (cosiddetto decreto «Semplificazioni») ha introdotto una deroga alle norme sulla limitazione di circolazione del contante, per acquisti effettuati da cittadini extraeuropei presso commercianti al minuto, nonché agenzie di viaggio e turismo;
    la legge di Stabilità 2014, (legge n. 147/2013) al comma 50 dell'articolo 1, dispone che i canoni di locazione delle abitazioni non possano più essere pagati in contanti;
    i commi, da 511 a 514, del provvedimento in esame, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) contengono norme volte a innalzare da mille a tremila euro il limite a partire dal quale è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore; per il servizio di rimessa la soglia è invece fissata in mille euro; sono inoltre stati eliminati l'obbligo di pagare i canoni di locazione di unità abitative in forme e modalità che escludano l'uso del contante e ne assicurino la tracciabilità, nonché l'obbligo per i soggetti della filiera dei trasporti ad effettuare i pagamenti dei corrispettivi relativi ai contratti di trasporto su strada utilizzando mezzi elettronici di pagamento o il canale bancario o postale, o altri strumenti comunque tracciabili, indipendentemente dall'ammontare;
    inoltre, durante l’iter alla Camera, sono stati introdotti ulteriori commi aggiuntivi, dal comma 512-bis al 512-quater specifici in tema di pagamenti elettronici, estendendo l'obbligo per i commercianti e i professionisti di accettare pagamenti anche mediante carte di credito, oltre che di debito, tranne nei casi di oggettiva impossibilità tecnica e l'obbligo dal 1o luglio 2016, di accettare pagamenti elettronici anche con riferimento ai dispositivi di controllo di durata della sosta,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di monitorare gli effetti applicativi delle norme sull'andamento dell'evasione fiscale e sull'utilizzo dei sistemi elettronici di pagamento, anche attraverso la presentazione di relazioni semestrali alle competenti commissioni parlamentari.
9/3444-A/47. (Testo modificato nel corso della seduta)  Boccuzzi, Portas, Baruffi, Misiani, Berretta, Gribaudo, Incerti, Impegno, Zappulla, Miccoli, Tinagli, Patrizia Maestri, Simoni, Di Salvo, Rostellato, Albanella, Giacobbe, Casellato, Marantelli, D'Arienzo, Ventricelli, Mazzoli, Ribaudo, Camani, Minnucci, Coccia, Raciti, Rossomando, Giuditta Pini, Culotta, Gnecchi, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 372-terdecies autorizza l'ANAS Spa, in attuazione dell'articolo 99, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, a stipulare accordi con regioni ed enti locali finalizzati alla manutenzione e gestione delle strade non rientranti nella rete autostradale e stradale nazionale; lo stesso comma fissa alcune condizioni per la stipula degli accordi, che potranno essere siglati, previa intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e fino ad un importo massimo di 100 milioni di euro;
    le funzioni a cui fa riferimento il comma in esame sono state conferite a regioni ed enti locali dall'articolo 99 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, il quale ha altresì previsto (al comma 2) la possibilità, per tali enti, di affidare temporaneamente le citate funzioni all'ANAS, sulla base di specifici accordi;
    i fondi statali assegnati a regioni ed enti locali, dopo la riforma del 1998, per la gestione delle strade ex Anas rappresentano il corrispettivo economico riconosciuto a tali enti per l'esercizio delle funzioni conferitegli dallo Stato per l'esercizio della rete stradale ex ANAS;
    tali fondi sono stati determinati nell'anno 2000, contestualmente al trasferimento a regioni ed enti locali delle funzioni di manutenzione della rete stradale ex Anas, e la loro quantificazione è avvenuta in base a criteri concertati nell'ambito della Conferenza Unificata per garantire la congrua copertura degli oneri derivanti dall'esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti alle province, come prescritto dall'articolo 7 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112;
    il trasferimento delle suddette funzioni ha comportato anche il transito di un cospicuo numero di dipendenti ex ANAS agli enti locali e la gestione da parte delle medesime di un numero non meno elevato di chilometri di strade ex ANAS;
    successivamente i fondi inizialmente trasferiti come spesa dedicata e finalizzata per la nuova viabilità in gestione, sono rientrati nella generalità dei trasferimenti statali, e quindi soggetti ai tagli previsti dalla revisione della spesa;
    con i tagli ai trasferimenti determinati dal 2010 ad oggi gli stanziamenti per la gestione da parte degli enti locali delle strade ex ANAS sono stati notevolmente ridotti e in alcuni aree vaste risultano oggi assolutamente insufficienti;
    la situazione che si è generata ha provocato, nell'ultimo periodo, il pericolo concreto che alcune gestioni di queste strade non siano più in grado di garantire adeguati standard di manutenzione e quindi di sicurezza per i cittadini che usano quotidianamente tali reti stradali;
    esiste, inoltre, la necessità di passare, nel sistema di finanziamento degli enti locali basato sulla spesa e sui trasferimenti storici all'individuazione puntuale dei costi per l'esercizio delle funzioni specifiche delegate;
    il comma 372-terdecies ha lo scopo di risolvere in maniera puntuale con finanziamenti mirati e dedicati il problema della gestione delle strade ex Anas in quanto prevede che l'ANAS Spa possa, sentito il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, contribuire alla gestione di dette strade intervenendo in quelle aree vaste in cui si dimostra che i trasferimenti o le entrate proprie dedicati a tale funzione sono insufficienti,

impegna il Governo

a stimolare attivamente il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti affinché l'ANAS intervenga celermente in quelle aree vaste dove la situazione delle entrate fiscali e dei trasferimenti si dimostri insufficiente per la funzione a suo tempo delegata e riguardanti il patrimonio delle ex strade Anas, e affinché l'intervento di Anas possa essere eseguito anche tramite la concessione di un puntuale contributo economico all'ente a cui lo stato ha delegato le competenze e funzioni citate in premessa.
9/3444-A/48De Menech, Gasparini, Misiani.


   La Camera,
   premesso che:
    già l'articolo 9, comma 17, del decreto-legge n. 78/2010, ha previsto che si dia luogo alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013 e 2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche esclusivamente per la parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica;
    successivamente, l'articolo 1, commi da 254 a 256 della legge 190/2014 (legge di Stabilità per il 2015) ha disposto ulteriori norme per il blocco della contrattazione e degli incrementi stipendiali nel pubblico impiego;
    il citato comma 254 ha prorogato fino al 31 dicembre 2015 il blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto fino al 31 dicembre 2014 dall'articolo 9, comma 17, secondo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018;
    il blocco della contrattazione nel pubblico impiego, per la parte economica, è pertanto operante fin dal 2010 e che le Commissioni riunite I e XI della Camera, già in sede di esame dello schema di regolamento di proroga della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti per il 2014(decreto del Presidente della Repubblica 122/2013), in attuazione dell'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 88/2011, con il quale sono state prorogate a tutto il 2014 varie misure di contenimento delle spese di personale previste dall'articolo 9 del decreto-legge 78/2010, avevano posto una condizione in cui si chiedeva al Governo di tenere conto del fatto che le misure adottate dovessero «avere un carattere del tutto eccezionale e provvisorio rendendo, per il futuro, non ipotizzabile un ulteriore allungamento temporale, che rischierebbe di trasformare un intervento che doveva essere urta tantum e limitato nel tempo in una vera e propria deroga al meccanismo medesimo, da valutare attentamente rispetto alle previsioni costituzionali, con particolare riguardo a quelle recate dagli articoli 3, 36, 39 e 97 della Costituzione»;
    il Documento di Economia e Finanza 2015 stabilisce di fatto il blocco della contrattazione collettiva per tutto il settore del pubblico impiego fino al 2019, evidenziando, altresì, come l'incidenza della spesa per redditi da lavoro dipendente delle PA. sul PIL nel 2014 ha rafforzato quel trend decrescente avviato dal 2009, registrando un ulteriore calo dello 0,6 per cento rispetto al 2013, che si aggiunge alla diminuzione dello 0,7 per cento del 2013 e al 2,1 per cento del 2012;
    anche a seguito della sentenza n. 178/2015 della Corte Costituzionale, con i commi 246-249 del provvedimento in oggetto si approntano 300 milioni di euro annui, per il triennio 2016-2018, per i rinnovi della contrattazione collettiva nazionale e integrativa contrattuali del personale delle pubbliche amministrazioni. Tali stanziamenti, sebbene condizionati dal quadro di compatibilità con i saldi di finanza pubblica, possono rappresentare una base per il parziale recupero del potere d'acquisto delle retribuzioni dei dipendenti pubblici,

impegna il Governo

ad assumere le opportune iniziative per il reperimento delle idonee risorse finanziare che possano consentire, progressivamente e in tempi rapidi, la riapertura della contrattazione nelle pubbliche amministrazioni, sia per la parte normativa che per la parte economica, finalizzate alla valorizzazione delle professionalità del personale del comparto pubblico e la difesa del potere d'acquisto delle retribuzioni; nonché al fine di sostenere adeguatamente il processo di riordino e di riqualificazione della pubblica amministrazione e per garantirne l'efficienza e la qualità dei servizi offerti ai cittadini e alle imprese.
9/3444-A/49Damiano, Gnecchi, Miccoli, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Di Salvo, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Paris, Giorgio Piccolo, Zappulla, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    già l'articolo 9, comma 17, del decreto-legge n. 78/2010, ha previsto che si dia luogo alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013 e 2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche esclusivamente per la parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica;
    successivamente, l'articolo 1, commi da 254 a 256 della legge 190/2014 (legge di Stabilità per il 2015) ha disposto ulteriori norme per il blocco della contrattazione e degli incrementi stipendiali nel pubblico impiego;
    il citato comma 254 ha prorogato fino al 31 dicembre 2015 il blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto fino al 31 dicembre 2014 dall'articolo 9, comma 17, secondo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018;
    il blocco della contrattazione nel pubblico impiego, per la parte economica, è pertanto operante fin dal 2010 e che le Commissioni riunite I e XI della Camera, già in sede di esame dello schema di regolamento di proroga della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti per il 2014(decreto del Presidente della Repubblica 122/2013), in attuazione dell'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 88/2011, con il quale sono state prorogate a tutto il 2014 varie misure di contenimento delle spese di personale previste dall'articolo 9 del decreto-legge 78/2010, avevano posto una condizione in cui si chiedeva al Governo di tenere conto del fatto che le misure adottate dovessero «avere un carattere del tutto eccezionale e provvisorio rendendo, per il futuro, non ipotizzabile un ulteriore allungamento temporale, che rischierebbe di trasformare un intervento che doveva essere urta tantum e limitato nel tempo in una vera e propria deroga al meccanismo medesimo, da valutare attentamente rispetto alle previsioni costituzionali, con particolare riguardo a quelle recate dagli articoli 3, 36, 39 e 97 della Costituzione»;
    il Documento di Economia e Finanza 2015 stabilisce di fatto il blocco della contrattazione collettiva per tutto il settore del pubblico impiego fino al 2019, evidenziando, altresì, come l'incidenza della spesa per redditi da lavoro dipendente delle PA. sul PIL nel 2014 ha rafforzato quel trend decrescente avviato dal 2009, registrando un ulteriore calo dello 0,6 per cento rispetto al 2013, che si aggiunge alla diminuzione dello 0,7 per cento del 2013 e al 2,1 per cento del 2012;
    anche a seguito della sentenza n. 178/2015 della Corte Costituzionale, con i commi 246-249 del provvedimento in oggetto si approntano 300 milioni di euro annui, per il triennio 2016-2018, per i rinnovi della contrattazione collettiva nazionale e integrativa contrattuali del personale delle pubbliche amministrazioni. Tali stanziamenti, sebbene condizionati dal quadro di compatibilità con i saldi di finanza pubblica, possono rappresentare una base per il parziale recupero del potere d'acquisto delle retribuzioni dei dipendenti pubblici,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere le opportune iniziative per il reperimento delle idonee risorse finanziare che possano consentire, progressivamente e in tempi rapidi, la riapertura della contrattazione nelle pubbliche amministrazioni, sia per la parte normativa che per la parte economica, finalizzate alla valorizzazione delle professionalità del personale del comparto pubblico e la difesa del potere d'acquisto delle retribuzioni; nonché al fine di sostenere adeguatamente il processo di riordino e di riqualificazione della pubblica amministrazione e per garantirne l'efficienza e la qualità dei servizi offerti ai cittadini e alle imprese.
9/3444-A/49. (Testo modificato nel corso della seduta) Damiano, Gnecchi, Miccoli, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Di Salvo, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Paris, Giorgio Piccolo, Zappulla, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame contiene disposizioni che abrogano le norme relative alla disciplina del patto di stabilità interno degli enti locali nonché quelle relative al conseguimento del pareggio di bilancio da parte delle regioni così come disciplinato dalla legge n. 190 del 2014 e introducono il conseguimento del pareggio del bilancio per gli enti locali e le regioni ovvero del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali;
    in particolare, per l'anno 2016 sono escluse dal predetto saldo le spese sostenute dagli enti locali per interventi di edilizia scolastica effettuati a valere sull'avanzo di amministrazione e su risorse rivenienti dal ricorso al debito;
    la disposizione di cui al comma 412 esclude dal saldo non negativo succitato le spese sostenute dagli enti locali per interventi di edilizia scolastica effettuati a valere sull'avanzo di amministrazione e su risorse rivenienti dal ricorso al debito. L'esclusione opera nel limite massimo di 500 milioni di euro;
    a tal fine gli enti locali comunicano entro il termine perentorio del 1o marzo, alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Struttura di missione per il coordinamento e l'impulso per gli interventi di edilizia scolastica, gli spazi finanziari di cui necessitano per sostenere interventi di edilizia scolastica;
    gli spazi finanziari sono attribuiti secondo un ordine prioritario, dando dunque priorità assoluta alle costruzione di scuole nuove, mentre sarebbe auspicabile considerare anche l'urgenza di interventi strutturali, mettendo in sicurezza gli edifici già esistenti;
    la messa in sicurezza degli edifici scolastici è da considerarsi senz'altro una attività primaria che deve coinvolgere i sindaci e i responsabili degli uffici tecnici comunali, gli operatori scolastici, le famiglie ai fini del raggiungimento delle condizioni di sicurezza degli alunni che frequentano gli istituti scolastici,

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di intervenire nella definizione dell'ordine prioritario di attribuzione degli spazi finanziari di cui necessitano i Comuni per sostenere interventi di edilizia scolastica in deroga dai vincoli del pareggio e dare priorità alle spese sostenute per la messa in sicurezza degli edifici scolastici di cui all'articolo 18 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (cosiddetto decreto del fare).
9/3444-A/50Di Benedetto.


   La Camera,
   considerato che:
    nel corso dell'esame la Commissione bilancio ha ritenuto di inserire, ai commi 226-bis, ter e quater, alcune disposizioni volte ad alleviare il disagio che tanti cittadine e cittadini vivono per l'impossibilità di provvedere al mantenimento proprio e dei figli a causa della mancata corresponsione dell'assegno di mantenimento da parte del coniuge che vi era tenuto; tale disagio non si limita ai profili economico-finanziari ma investe, evidentemente, anche delicati aspetti psicologici per lo stato di umiliazione e di frustrazione cui i soggetti potenziali beneficiari delle norme richiamate sono costrette per l'altrui inadempimento;
    le misure inserite, pur avendo natura sperimentale, sono pienamente riconducibili alla categoria degli interventi di sostegno del reddito di categorie disagiate, avendo l'indubbio merito di rispondere ad un problema che si va diffondendo e che rischia di assumere i caratteri di vera e propria emergenza sociale;
    la gravità del fenomeno è tale da richiedere la tempestiva attuazione delle disposizioni richiamate anche per verificarne l'efficacia e per misurare concretamente l'entità della platea dei potenziali beneficiari,

impegna il Governo

ad assumere tutte le iniziative necessarie per adottare al più presto, e comunque entro il termine indicato di 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità per l'anno 2016, i provvedimenti attuativi previsti al comma 226-quater ai fini dell'individuazione dei tribunali presso i quali avviare la sperimentazione e le modalità per la corresponsione, a titolo di anticipazione, delle somme spettanti relativamente agli assegni mantenimento non versati.
9/3444-A/51Schirò, Verini, Dell'Aringa, Amoddio.


   La Camera,
   considerato che:
    nel corso dell'esame la Commissione bilancio ha ritenuto di inserire, ai commi 226-bis, ter e quater, alcune disposizioni volte ad alleviare il disagio che tanti cittadine e cittadini vivono per l'impossibilità di provvedere al mantenimento proprio e dei figli a causa della mancata corresponsione dell'assegno di mantenimento da parte del coniuge che vi era tenuto; tale disagio non si limita ai profili economico-finanziari ma investe, evidentemente, anche delicati aspetti psicologici per lo stato di umiliazione e di frustrazione cui i soggetti potenziali beneficiari delle norme richiamate sono costrette per l'altrui inadempimento;
    le misure inserite, pur avendo natura sperimentale, sono pienamente riconducibili alla categoria degli interventi di sostegno del reddito di categorie disagiate, avendo l'indubbio merito di rispondere ad un problema che si va diffondendo e che rischia di assumere i caratteri di vera e propria emergenza sociale;
    la gravità del fenomeno è tale da richiedere la tempestiva attuazione delle disposizioni richiamate anche per verificarne l'efficacia e per misurare concretamente l'entità della platea dei potenziali beneficiari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere tutte le iniziative necessarie per adottare al più presto, e comunque entro il termine indicato di 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità per l'anno 2016, i provvedimenti attuativi previsti al comma 226-quater ai fini dell'individuazione dei tribunali presso i quali avviare la sperimentazione e le modalità per la corresponsione, a titolo di anticipazione, delle somme spettanti relativamente agli assegni mantenimento non versati.
9/3444-A/51. (Testo modificato nel corso della seduta)  Schirò, Verini, Dell'Aringa, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    i Cammini italiani ripercorrono quasi tutta la storia spirituale e culturale della nostra nazione e hanno permesso ai viandanti, turisti e pellegrini che hanno camminato su questi percorsi di arricchire la propria vita spirituale e culturale;
    il 2016 sarà un anno particolare per i Cammini in quanto nella sua doppia valenza sia laica (ANNO DEI CAMMINI) che religiosa (ANNO GIUBILARE), potrebbe creare le basi concrete e condivise di un sistema di turismo sostenibile destinato a diventare il sistema turistico più accessibile del nostro Paese, Sarà anche l'anno per valorizzare tutti i Cammini storici Italiani che costituiscono una fitta rete distribuita su tutto il nostro territorio;
    i Cammini sono una grande occasione di riscoperta della nostra bellissima Italia «minore» e di luoghi e centri culturali spesso poco visitati e frequentati. Inoltre sono una occasione per dare maggiore impulso e diffusione alla pratica dei camminare lento e consapevole come fonte per favorire la salute fisica e mentale dei cittadini, la riscoperta di culture del nostro paese e alla scoperta di antichi itinerari religiosi e dello spirito nell'anno in cui Papa Francesco ha proclamato il Giubileo Straordinario della Misericordia;
    gli Enti locali si sono fatti carico in questi anni della gestione ordinaria e straordinaria di questi Cammini, come gli interventi di manutenzione o tracciatura o segnaletica o anche di ospitalità. Negli anni questi interventi sono sempre più difficili da realizzare per i vincoli di bilancio, mentre diventa più urgente investire su questo sistema di turismo,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di finanziare gli Enti Locali per interventi di valorizzazione e messa in sicurezza dei Cammini Italiani attraverso una segnaletica puntuale dei tracciati, percorsi accessibili e una ospitalità adeguata per i viandanti recuperando risorse dal fondo del Ministero delle Infrastrutture destinato a interventi in favore dei beni culturali, di cui all'articolo 60, comma 4 della legge 289/2002, pari al 3 per cento delle risorse aggiuntive annualmente previste per infrastrutture, iscritte nello stato di previsione del Ministero delle Infrastrutture.
9/3444-A/52Cova, Terrosi, Cenni, Cani, Albini, Dallai, Romanini, Paolo Rossi, Ascani, Amato, Stella Bianchi, Crimì, Francesco Sanna, Zanin, Capone, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il 2016 sarà l'anno di piena e completa attuazione della legge 56/14 di riforma delle Province e delle Città metropolitane;
    attualmente in questi enti sono occupati oltre 1.000 lavoratori a tempo determinato, altamente qualificati, impiegati nell'erogazione di servizi essenziali con specifiche professionalità non presenti nelle piante organiche, i cui contratti scadranno il 31 dicembre 2015;
    in caso di mancata proroga dei contratti di questi lavoratori, si creerebbe nelle Province e nelle Città metropolitane una condizione di grave difficoltà organizzativa rispetto ai servizi essenziali in cui fino ad oggi questi lavoratori sono stati impiegati;
    il decreto-legge 78/15 ha previsto all'articolo 1 comma 7 la proroga fino al 31 dicembre 2015 dei contratti di tali lavoratori;
    alcune proposte di emendamento presentate nel corso dell'esame in Commissione bilancio sulla legge di Stabilità chiedevano la proroga per tali contratti al 31 dicembre 2016,

impegna il Governo

a inserire nel decreto cosiddetto «proroga termini» di prossima predisposizione una specifica norma che consenta la proroga dei contratti dei lavoratori a tempo determinato impiegati nelle Province e nelle Città metropolitane, fino al 31 dicembre 2016.
9/3444-A/53Misiani, Paris, Gasparini, Fabbri, Boccuzzi, Borghi, Giovanna Sanna, De Menech, Marantelli, Carnevali, Valeria Valente, Mazzoli, Sanga, Culotta, Bargero, Giuditta Pini, D'Arienzo, Gandolfi, Moscatt, Chaouki, Ventricelli, D'Ottavio, Porta, Minnucci, Guerra, Marrocu, Rossomando, Massa, Prina, Carra, Cenni.


   La Camera,
   premesso che:
    un provvedimento contenuto nel decreto-legge n. 95/12, meglio noto come «Spending Review 2», limita drasticamente, per le amministrazioni pubbliche, le spese per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture;
    più precisamente l'articolo 5 comma 2 del decreto-legge n. 95/12 dispone che «A decorrere da 1o maggio 2014, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), non possono effettuare spese di ammontare superiore al 30 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2011 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi. Tale limite può essere derogato, per il solo anno 2014, esclusivamente per effetto di contratti pluriennali già in essere. Tale limite non si applica alle autovetture utilizzate dall'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco o per i servizi istituzionali di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, per i servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza, ovvero per i servizi istituzionali svolti nell'area tecnico-operativa della difesa e per i servizi di vigilanza e intervento sulla rete stradale gestita da ANAS Spa e sulla rete delle strade provinciali e comunali, per i servizi istituzionali delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari svolti all'estero. I contratti di locazione o noleggio in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto possono essere ceduti, anche senza l'assenso del contraente privato, alle Forze di polizia, con il trasferimento delle relative risorse finanziarie sino alla scadenza del contratto.»;
   considerato che:
    tale provvedimento, come formulato, si applica anche alle auto di servizio che le Regioni utilizzano per le attività di controllo in agricoltura;
    per conseguenza tale norma comporta di fatto una situazione di blocco delle attività ispettive e di controllo operate dalle Regioni sulle tematiche fitosanitarie e dell'erogazione dei fondi Comunitari con la grave conseguenza di cadere in procedure di infrazione o in recuperi di somme importanti per mancati adempimenti nell'applicazione dei regolamenti europei;
   considerato inoltre che:
    il legislatore aveva posto attenzione a tutte le attività di servizio, ispettive e di controllo effettuate dallo Stato, esentando dalla norma le autovetture utilizzate dall'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco o per i servizi istituzionali di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, per i servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza, ovvero per i servizi istituzionali svolti nell'area tecnico-operativa della difesa e per i servizi di vigilanza e intervento sulla rete stradale gestita da ANAS Spa e sulla rete delle strade provinciali e comunali, per i servizi istituzionali delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari svolti all'estero,

impegna il Governo

ad adottare le misure necessarie ad evitare che i limiti di spesa introdotti con la precitata norma della «spending review 2» debbano applicarsi alle auto a disposizione delle Regioni per attività ispettive e di controllo effettuate per l'applicazione di disposizioni unionali o nazionali di attuazione della Politica Agricola comunitaria, ad evitare di conseguenza un grave pregiudizio a tali attività ispettive e di controllo, a scongiurare il rischio di incorrere in procedure di infrazione o in recuperi di somme ingenti per mancati adempimenti nell'applicazione dei regolamenti europei.
9/3444-A/54Prina, Romanini, Carra, Cova, Taricco.


   La Camera,
   premesso che:
    un provvedimento contenuto nel decreto-legge n. 95/12, meglio noto come «Spending Review 2», limita drasticamente, per le amministrazioni pubbliche, le spese per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture;
    più precisamente l'articolo 5 comma 2 del decreto-legge n. 95/12 dispone che «A decorrere da 1o maggio 2014, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), non possono effettuare spese di ammontare superiore al 30 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2011 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi. Tale limite può essere derogato, per il solo anno 2014, esclusivamente per effetto di contratti pluriennali già in essere. Tale limite non si applica alle autovetture utilizzate dall'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco o per i servizi istituzionali di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, per i servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza, ovvero per i servizi istituzionali svolti nell'area tecnico-operativa della difesa e per i servizi di vigilanza e intervento sulla rete stradale gestita da ANAS Spa e sulla rete delle strade provinciali e comunali, per i servizi istituzionali delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari svolti all'estero. I contratti di locazione o noleggio in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto possono essere ceduti, anche senza l'assenso del contraente privato, alle Forze di polizia, con il trasferimento delle relative risorse finanziarie sino alla scadenza del contratto.»;
   considerato che:
    tale provvedimento, come formulato, si applica anche alle auto di servizio che le Regioni utilizzano per le attività di controllo in agricoltura;
    per conseguenza tale norma comporta di fatto una situazione di blocco delle attività ispettive e di controllo operate dalle Regioni sulle tematiche fitosanitarie e dell'erogazione dei fondi Comunitari con la grave conseguenza di cadere in procedure di infrazione o in recuperi di somme importanti per mancati adempimenti nell'applicazione dei regolamenti europei;
   considerato inoltre che:
    il legislatore aveva posto attenzione a tutte le attività di servizio, ispettive e di controllo effettuate dallo Stato, esentando dalla norma le autovetture utilizzate dall'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco o per i servizi istituzionali di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, per i servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza, ovvero per i servizi istituzionali svolti nell'area tecnico-operativa della difesa e per i servizi di vigilanza e intervento sulla rete stradale gestita da ANAS Spa e sulla rete delle strade provinciali e comunali, per i servizi istituzionali delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari svolti all'estero,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le misure necessarie ad evitare che i limiti di spesa introdotti con la precitata norma della «spending review 2» debbano applicarsi alle auto a disposizione delle Regioni per attività ispettive e di controllo effettuate per l'applicazione di disposizioni unionali o nazionali di attuazione della Politica Agricola comunitaria, ad evitare di conseguenza un grave pregiudizio a tali attività ispettive e di controllo, a scongiurare il rischio di incorrere in procedure di infrazione o in recuperi di somme ingenti per mancati adempimenti nell'applicazione dei regolamenti europei.
9/3444-A/54. (Testo modificato nel corso della seduta)  Prina, Romanini, Carra, Cova, Taricco.


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito delle disposizioni indicate all'interno del disegno di legge di stabilità per il 2016, in materia di sanità, si evidenziano alcune misure dirette a conseguire miglioramenti nella produttività ed efficienza degli enti del servizio sanitario nazionale all'interno delle quali, si prevedono al contempo, interventi sulla ricerca, attraverso l'intervento del Comitato interministeriale per la programmazione economica, per la destinazione dei fondi necessari, che tuttavia appaiono nel complesso limitativi;
    al riguardo, per il settore sanitario, fra le attività d'intervento, le misure previste che si evidenziano, si circoscrivono, limitatamente alla sperimentazione clinica di fase II basata sul trapianto di cellule staminali cerebrali umane in pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica;
    nel corso di un'interrogazione a risposta immediata il Ministro della salute, in relazione alla cosiddetta sindrome di Pandas (acronimo di Pediatrie autoimmune neuropsychiatry disorders associated with streptococci) ovvero «disordine autoimmune pediatrico associato allo streptococco beta-emolitico di gruppo A, ha evidenziato come L'insorgenza della patologia è subdola e difficile da diagnosticare, anche in considerazione del fatto che non sono al momento disponibili biomarcatori validati a supporto delle valutazioni psicomotorie da parte dei medici pediatri e dei neuropsichiatri infantili;
    a giudizio del sottoscrittore del presente atto, la necessità di sostenere gli studi epidemiologici e sperimentali, volti ad accrescere le conoscenze sulla diffusione della patologia e la possibile identificazione di biomarcatori utili per una diagnosi efficace ai fini di interventi terapeutici mirati, affiancati da una maggiore sensibilizzazione sul tema dei pediatri di base e dei neuropsichiatri infantili, appare urgente e necessaria, per sostenere le attività di ricerca e di studio di tale patologia, i cui interventi di sostegno peraltro andrebbero estesi opportunamente per l'intero sistema in tutti gli ambiti delle patologie mediche ancora carenti sotto l'aspetto delle conoscenze e delle terapie a livello nazionale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione, ed i vincoli di bilancio, un intervento normativo ad hoc, volto a sostenere le attività di ricerca dell'Università la Sapienza, Dipartimento di pediatria e neuropsichiatria infantile per la ricerca e la cura della sindrome di Pandas (Pediatrie autoimmune neuropsychiatric disorders associated with streptococci).
9/3444-A/55Ciracì.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede d'esame del disegno di legge recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016 – C3444);
    l'articolo 7, comma 1, decreto ministeriale 18 aprile 1996, e l'articolo 5, comma 1, lettera a), ultimo alinea del decreto ministeriale 12 ottobre 2000, stabiliscono, rispettivamente, in 21 e 12 le visite settimanali che i medici inseriti nelle liste speciali effettuano a seconda se garantiscono la disponibilità in entrambe le fasce di reperibilità o soltanto in una;
    l'INPS, dal maggio 2013, ha ridotto notevolmente le visite fiscali richieste d'Ufficio ritenendo che tali oneri, transitati in bilancio da spese obbligatorie a quelle non obbligatorie, rientrano tra le spese di funzionamento e pertanto concorrono al conseguimento dei risparmi cui sono soggetti gli Enti di Previdenza e Assistenza Sociale, a norma dell'articolo 1, comma 108, legge 24 dicembre 2012, n. 228, anche se ivi non previsto;
    la consistente riduzione delle visite richieste d'Ufficio non consente un efficace ed efficiente controllo dell'assenteismo ed inoltre potrebbe essere causa di un incremento delle spese per indennità di malattia, quindi a carico della finanza pubblica;
    i medici inseriti nelle liste speciali, i cui compensi sono a prestazione devono, per obblighi convenzionali sottoscritti a norma dei decreti ministeriali sopra citati, garantire la disponibilità, anche se non hanno visite da effettuare e che tale obbligo è divenuto ancora più insistente a seguito della introduzione di applicativi informatici, in particolare dell'applicativo SA.Vi.O,

impegna il Governo

al fine di condurre una efficiente ed efficace lotta all'assenteismo, evitando anche un possibile incremento degli oneri per l'indennità di malattia, rispettare gli accordi convenzionali con i medici addetti alle visite mediche di controllo domiciliare inseriti nelle liste speciali ed evitare un sicuro contenzioso a causa della disponibilità che quest'ultimi sono tenuti comunque a garantire senza effettuare le visite divenuta ancora più insistente dopo l'introduzione degli applicativi informatici, in particolare SA.Vi.O, ad assicurare i carichi di lavoro previsti dall'articolo 7, comma 1, decreto ministeriale 18 aprile 1996 e dall'articolo 5, comma 1, lettera a) ultimo alinea, del decreto ministeriale 12 ottobre 2000, mediante l'aumento delle richieste d'Ufficio degli accertamenti medico legali sui lavoratori privati assenti dal servizio per malattia effettuate dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
9/3444-A/56Rizzetto, Mucci, Prodani, Barbanti.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede d'esame del disegno di legge recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016 – C3444);
    l'articolo 7, comma 1, decreto ministeriale 18 aprile 1996, e l'articolo 5, comma 1, lettera a), ultimo alinea del decreto ministeriale 12 ottobre 2000, stabiliscono, rispettivamente, in 21 e 12 le visite settimanali che i medici inseriti nelle liste speciali effettuano a seconda se garantiscono la disponibilità in entrambe le fasce di reperibilità o soltanto in una;
    l'INPS, dal maggio 2013, ha ridotto notevolmente le visite fiscali richieste d'Ufficio ritenendo che tali oneri, transitati in bilancio da spese obbligatorie a quelle non obbligatorie, rientrano tra le spese di funzionamento e pertanto concorrono al conseguimento dei risparmi cui sono soggetti gli Enti di Previdenza e Assistenza Sociale, a norma dell'articolo 1, comma 108, legge 24 dicembre 2012, n. 228, anche se ivi non previsto;
    la consistente riduzione delle visite richieste d'Ufficio non consente un efficace ed efficiente controllo dell'assenteismo ed inoltre potrebbe essere causa di un incremento delle spese per indennità di malattia, quindi a carico della finanza pubblica;
    i medici inseriti nelle liste speciali, i cui compensi sono a prestazione devono, per obblighi convenzionali sottoscritti a norma dei decreti ministeriali sopra citati, garantire la disponibilità, anche se non hanno visite da effettuare e che tale obbligo è divenuto ancora più insistente a seguito della introduzione di applicativi informatici, in particolare dell'applicativo SA.Vi.O,

impegna il Governo

al fine di condurre una efficiente ed efficace lotta all'assenteismo, evitando anche un possibile incremento degli oneri per l'indennità di malattia, rispettare gli accordi convenzionali con i medici addetti alle visite mediche di controllo domiciliare inseriti nelle liste speciali ed evitare un sicuro contenzioso a causa della disponibilità che quest'ultimi sono tenuti comunque a garantire senza effettuare le visite divenuta ancora più insistente dopo l'introduzione degli applicativi informatici, in particolare SA.Vi.O, a valutare l'opportunità di assicurare i carichi di lavoro previsti dall'articolo 7, comma 1, decreto ministeriale 18 aprile 1996 e dall'articolo 5, comma 1, lettera a) ultimo alinea, del decreto ministeriale 12 ottobre 2000, mediante l'aumento delle richieste d'Ufficio degli accertamenti medico legali sui lavoratori privati assenti dal servizio per malattia effettuate dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
9/3444-A/56. (Testo modificato nel corso della seduta)  Rizzetto, Mucci, Prodani, Barbanti.


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese sono presenti Istituti Superiori di Studi Musicale e Coreutici (ex istituti musicali pareggiati che svolgono il ruolo di presidio culturale ed il compito di alta formazione musicale, rappresentando circa il 30 per cento dell'offerta nazionale;
    tali Istituti formano ogni anno oltre mille orchestrali. L'articolo 1, commi da 102 a 107, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ha aggiornato le precedenti norme che equiparavano i diplomi accademici dei diversi livelli alle equipollenti lauree rilasciate dal sistema universitario nazionale;
    nella presente legislatura sono stati presentati numerosi progetti di legge per la statizzazione degli istituti musicali ex pareggiati per dare attuazione alle previsioni della legge 21 dicembre 1999, n. 508;
    i costi del personale (docente e tecnico-amministrativo) degli istituti ex pareggiati, nonché la gestione delle strutture, ricadono ancora quasi interamente sui bilanci dei comuni e delle province di appartenenza;
    negli ultimi anni il Governo ha provveduto a dare parziale sostegno ai sopra citati istituti con capitoli di stanziamento all'interno delle leggi di stabilità e della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti,

impegna il Governo

a mettere in atto tutte le iniziative necessarie a definire l’iter di statizzazione degli Istituti superiori di studi musicali non statali essenziali all'interno del sistema dell'Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica entro il 31 Dicembre 2016, così come indicato nella legge n. 508 del 21 dicembre 1999.
9/3444-A/57Senaldi, Carrescia, Benamati, Berlinghieri, Taranto, Moscatt, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese sono presenti Istituti Superiori di Studi Musicale e Coreutici (ex istituti musicali pareggiati che svolgono il ruolo di presidio culturale ed il compito di alta formazione musicale, rappresentando circa il 30 per cento dell'offerta nazionale;
    tali Istituti formano ogni anno oltre mille orchestrali. L'articolo 1, commi da 102 a 107, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ha aggiornato le precedenti norme che equiparavano i diplomi accademici dei diversi livelli alle equipollenti lauree rilasciate dal sistema universitario nazionale;
    nella presente legislatura sono stati presentati numerosi progetti di legge per la statizzazione degli istituti musicali ex pareggiati per dare attuazione alle previsioni della legge 21 dicembre 1999, n. 508;
    i costi del personale (docente e tecnico-amministrativo) degli istituti ex pareggiati, nonché la gestione delle strutture, ricadono ancora quasi interamente sui bilanci dei comuni e delle province di appartenenza;
    negli ultimi anni il Governo ha provveduto a dare parziale sostegno ai sopra citati istituti con capitoli di stanziamento all'interno delle leggi di stabilità e della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di mettere in atto tutte le iniziative necessarie a definire l’iter di statizzazione degli Istituti superiori di studi musicali non statali essenziali all'interno del sistema dell'Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica entro il 31 Dicembre 2016, così come indicato nella legge n. 508 del 21 dicembre 1999.
9/3444-A/57. (Testo modificato nel corso della seduta)  Senaldi, Carrescia, Benamati, Berlinghieri, Taranto, Moscatt, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame interviene sulla disciplina delle garanzie che possono essere concesse – a valere sulle risorse del Fondo di garanzia per le Pmi – a favore delle imprese fornitrici/creditrici delle società di gestione di almeno di uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale soggette ad amministrazione straordinaria (tra cui ILVA Spa);
    in particolare, il comma 490 inserisce nella attuale normativa (contenuta nel comma 2-bis dell'articolo 2-bis del decreto-legge n. 1 del 2015) la previsione secondo la quale – con decreto ministeriali del Ministro dello sviluppo economico, adottato di concerto con il Ministro dell'economia e finanze – possono essere definiti, ai fini dell'accesso al fondo di garanzia, per le imprese sopra indicate, appositi criteri di valutazione economico-finanziaria, che tengano conto delle caratteristiche e dei particolari fabbisogni delle predette imprese;
    quanto stabilito non risolve i problemi che la Città di Taranto sta vivendo. Oltre alla crisi delle piccole e medie imprese si assiste alla chiusura di numerose attività che determina la perdita di posti di lavoro ed a pagarne sono le 13 mila famiglie tra operai dell'Ilva e dell'indotto che non possono più attendere, inoltre il prolungamento del Commissariamento dell'Ilva apre un fronte di forte incertezza per il futuro dell'impianto e per i cittadini,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di istituire presso il Ministero dell'economia e delle finanze un «Fondo Sociale per la Città di Taranto» per aiutare le nuove attività imprenditoriali legate alla green economy, per supportare i lavoratori dipendenti Ilva in cassa integrazione, i lavoratori dell'indotto, gli imprenditori e lavoratori del settore primario le cui attività sono state penalizzate dall'inquinamento.
9/3444-A/58Labriola, Pastorelli.


   La Camera,
   premesso che:
    con il provvedimento in esame si è posta particolare importanza alla sicurezza prevedendo una serie di interventi mirati al potenziamento e miglioramento delle strategie ad essa relative;
    in particolare si è dato rilievo agli interventi diretti a potenziare le capacità di controllo del territorio, dello spazio aereo e di intervento delle forze speciali e delle forze per le operazioni speciali nell'intero dominio di azione terrestre, marittimo, aereo e spaziale, a sviluppare sistemi di sorveglianza, ad ammodernamento mezzi, sistemi ed equipaggiamenti di difesa, nonché a rafforzare i supporti e i sistemi logistici per la protezione delle infrastrutture sensibili e di rilevanza strategica;
    nell'ottica di assicurare la piena operatività delle varie forze dell'ordine tra cui il Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco, chiamato in eguale misura, nell'ambito delle proprie funzioni, a garantire la sicurezza e la pubblica incolumità del Paese,

impegna il Governo

a prevede l'assunzione di ulteriori unità collocate nelle graduatorie a vigile del fuoco vigenti sino al 31 dicembre 2016, per l'immissione di nuovo personale necessario al potenziamento ed ammodernamento del Corpo.
9/3444-A/59Furnari, Labriola, Pastorelli.


   La Camera,
   premesso che:
    con il provvedimento in esame si è posta particolare importanza alla sicurezza prevedendo una serie di interventi mirati al potenziamento e miglioramento delle strategie ad essa relative;
    in particolare si è dato rilievo agli interventi diretti a potenziare le capacità di controllo del territorio, dello spazio aereo e di intervento delle forze speciali e delle forze per le operazioni speciali nell'intero dominio di azione terrestre, marittimo, aereo e spaziale, a sviluppare sistemi di sorveglianza, ad ammodernamento mezzi, sistemi ed equipaggiamenti di difesa, nonché a rafforzare i supporti e i sistemi logistici per la protezione delle infrastrutture sensibili e di rilevanza strategica;
    nell'ottica di assicurare la piena operatività delle varie forze dell'ordine tra cui il Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco, chiamato in eguale misura, nell'ambito delle proprie funzioni, a garantire la sicurezza e la pubblica incolumità del Paese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere l'assunzione di ulteriori unità collocate nelle graduatorie a vigile del fuoco vigenti sino al 31 dicembre 2016, per l'immissione di nuovo personale necessario al potenziamento ed ammodernamento del Corpo.
9/3444-A/59. (Testo modificato nel corso della seduta)  Furnari, Labriola, Pastorelli.


   La Camera,
   premesso che:
    considerando che la Via Francigena e più in generale i cammini, nell'anno 2015, sono stati percorsi da un numero molto elevato di camminatori e pellegrini;
    considerando che presumibilmente detto numero aumenterà ulteriormente nel corso dell'anno 2016, alla luce del crescente interesse maturato in uno specifico target turistico rappresentato da camminatori, pellegrini e viandanti che scelgono di attraversare tanti territori, spesso sconosciuti, imparando a conoscerli e ad apprezzarli un passo dietro l'altro;
    considerando che detto numero, con ampia probabilità aumenterà nel corso dei prossimi mesi, anche perché l'anno 2016 è l'anno del Giubileo della Misericordia che una parte consistente di credenti vorrà onorare proprio raccogliendo la sfida rappresentata dal raggiungere i luoghi della cristianità camminando e meditando;
    ricordando che i territori italiani attraversati dalla Via Francigena e dagli altri cammini sono caratterizzati da paesaggi integri, da attività agricole e artigianali tipiche e di alto valore, da ricchezze culturali diffuse e spesso non conosciute;
    sottolineando che nei suddetti territori, attraverso il lavoro di molti degli Enti locali in essi ricadenti e a quello delle rispettive regioni, nel corso degli anni è stato portato avanti un lavoro di valorizzazione, messa in sicurezza dei percorsi e adeguamento della segnaletica che hanno visto impegnate consistenti risorse umane e economico-finanziarie;
    considerando che da alcuni anni a questa parte, in quegli stessi territori in cui si è investito anche in ospitalità, inizia ad essere evidente il ritorno economico legato al passaggio dei viandanti pellegrini;
    considerando che non appare velleitario pensare che la Via Francigena e gli altri cammini possano rappresentare un volano economico importante, se opportunamente sostenuti in termini economico-finanziari e promozionali, da tutte le istituzioni compreso lo Stato,

impegna il Governo:

   a valutare la opportunità di dare prioritario sostegno economico e promozionale agli interventi previsti per il settore museale, ai musei situati nei comuni interessati dalla Via Francigena e dagli altri cammini;
   a valutare la opportunità di dare prioritario sostegno economico e promozionale agli interventi relativi alla ciclabilità cittadina che si sviluppa lungo la via Francigena e lungo gli altri cammini;
   a valutare la opportunità di dare prioritario sostegno economico e promozionale agli interventi relativi alla realizzazione di percorsi cicloturistici che verranno attuati lungo la via Francigena e lungo gli altri cammini.
9/3444-A/60Terrosi, Cenni, Cova, Capone.


   La Camera,
   premesso che:
    la musica corale costituisce una delle forme artistiche che meglio rappresentano la cultura di un popolo;
    in molte parti del mondo la pratica del canto corale è fortemente sostenuta a livello educativo e istituzionale;
    in Italia sono presenti in ogni realtà territoriale gruppi corali che a vario livello e con differenti repertori, coinvolgono oltre un milione di coristi che dedicano a questa disciplina tempo e risorse economiche;
    troppo spesso tali attività vengono derubricate a semplice passatempo, dimenticandone o sottovalutandone la straordinaria portata formativa ed educativa, il contributo alla diffusione della cultura e la insostituibile funzione sociale;
    esistono anche in Italia complessi corali amatoriali di alto livello qualitativo che possono ben rappresentare la cultura italiana anche a livello internazionale nelle numerosissime iniziative previste in ogni parte del mondo, come festival e concorsi;
    si sta rafforzando, in particolare, la presenza in ogni regione italiana di cori giovanili che hanno dimostrato, anche in occasione della recente esposizione universale di Milano, un potenziale espressivo straordinario;
    nel nostro paese la cultura corale merita una maggiore attenzione da parte delle Istituzioni, che si può manifestare anche in termini di maggiore sinergia tra gli interventi messi in atto a livello ministeriale e quelli previsti a livello locale da regioni e comuni;
    occorre rendere più efficace il supporto alla pratica corale sia a livello educativo e formativo nei percorsi scolastici, sia con il sostegno delle iniziative messe in atto a livello dei cori e delle loro organizzazioni di settore;
    anche le recenti dichiarazioni del presidente del Consiglio sottolineano come gli investimenti in campo culturale costituiscono un elemento indispensabile per il rafforzamento della nostra identità e per il contrasto ai fenomeni di radicalizzazione, favorendo un reale dialogo tra culture diverse;
    la musica corale appare una tra le forme di espressione culturale più adeguate a rafforzare identità e dialogo tra i popoli;
    nel campo della musica corale è possibile ottenere grandi risultati con investimenti assai più modesti rispetto a quelli richiesti in altri settori del mondo culturale;
    il servizio pubblico radiofonico e televisivo appare scarsamente interessato rispetto al fenomeno della musica corale, che pure meriterebbe grande attenzione per le ragioni sopra elencate;
   preso atto che:
    nel corso del 2015 sono stati azzerati i contributi alla Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali;
    tali contributi sono stati parzialmente reintrodotti nella attuale legge di stabilità, ma che la loro entità appare inadeguata rispetto alle necessità,

impegna il Governo:

   a ripensare complessivamente la strategia di sostegno al settore corale in Italia, in sinergia con le regioni e gli Enti Locali, predisponendo un adeguato programma di interventi;
   a prevedere, nell'ambito delle risorse finanziarie assegnate dalla legge di stabilità, un più significativo supporto agli sforzi messi in atto dalla comunità corale italiana, anche attraverso nuove forme di sostegno economico sia alle organizzazioni del settore, sia ad iniziative di particolare livello qualitativo nazionale ed internazionale come concorsi, Festival, workshop, corsi di formazione specifici;
   a sostenere la partecipazione dei migliori complessi corali italiani a manifestazioni all'estero, come elemento significativo di presenza della nostra cultura nel mondo, anche attraverso la rete delle nostre Ambasciate e degli Istituti Italiani di Cultura all'estero;
   a rafforzare la presenza della disciplina corale nei percorsi scolastici e formativi a tutti i livelli dalla scuola primaria fino ai conservatori;
   a prestare una particolare attenzione ai cori giovanili come elemento di investimento per il futuro culturale del paese;
   a sollecitare il servizio radiofonico e televisivo pubblico nazionale perché dimostri un maggior interesse e una adeguata attenzione nei confronti della musica corale.
9/3444-A/61Alli, Rampi, Palmieri, Vezzali, Santerini, Manzi, Marguerettaz, Adornato, Vignali.


   La Camera,
   premesso che:
    la musica corale costituisce una delle forme artistiche che meglio rappresentano la cultura di un popolo;
    in molte parti del mondo la pratica del canto corale è fortemente sostenuta a livello educativo e istituzionale;
    in Italia sono presenti in ogni realtà territoriale gruppi corali che a vario livello e con differenti repertori, coinvolgono oltre un milione di coristi che dedicano a questa disciplina tempo e risorse economiche;
    troppo spesso tali attività vengono derubricate a semplice passatempo, dimenticandone o sottovalutandone la straordinaria portata formativa ed educativa, il contributo alla diffusione della cultura e la insostituibile funzione sociale;
    esistono anche in Italia complessi corali amatoriali di alto livello qualitativo che possono ben rappresentare la cultura italiana anche a livello internazionale nelle numerosissime iniziative previste in ogni parte del mondo, come festival e concorsi;
    si sta rafforzando, in particolare, la presenza in ogni regione italiana di cori giovanili che hanno dimostrato, anche in occasione della recente esposizione universale di Milano, un potenziale espressivo straordinario;
    nel nostro paese la cultura corale merita una maggiore attenzione da parte delle Istituzioni, che si può manifestare anche in termini di maggiore sinergia tra gli interventi messi in atto a livello ministeriale e quelli previsti a livello locale da regioni e comuni;
    occorre rendere più efficace il supporto alla pratica corale sia a livello educativo e formativo nei percorsi scolastici, sia con il sostegno delle iniziative messe in atto a livello dei cori e delle loro organizzazioni di settore;
    anche le recenti dichiarazioni del presidente del Consiglio sottolineano come gli investimenti in campo culturale costituiscono un elemento indispensabile per il rafforzamento della nostra identità e per il contrasto ai fenomeni di radicalizzazione, favorendo un reale dialogo tra culture diverse;
    la musica corale appare una tra le forme di espressione culturale più adeguate a rafforzare identità e dialogo tra i popoli;
    nel campo della musica corale è possibile ottenere grandi risultati con investimenti assai più modesti rispetto a quelli richiesti in altri settori del mondo culturale;
    il servizio pubblico radiofonico e televisivo appare scarsamente interessato rispetto al fenomeno della musica corale, che pure meriterebbe grande attenzione per le ragioni sopra elencate;
   preso atto che:
    nel corso del 2015 sono stati azzerati i contributi alla Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali;
    tali contributi sono stati parzialmente reintrodotti nella attuale legge di stabilità, ma che la loro entità appare inadeguata rispetto alle necessità,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    ripensare complessivamente la strategia di sostegno al settore corale in Italia, in sinergia con le regioni e gli Enti Locali, predisponendo un adeguato programma di interventi;
    prevedere, nell'ambito delle risorse finanziarie assegnate dalla legge di stabilità, un più significativo supporto agli sforzi messi in atto dalla comunità corale italiana, anche attraverso nuove forme di sostegno economico sia alle organizzazioni del settore, sia ad iniziative di particolare livello qualitativo nazionale ed internazionale come concorsi, Festival, workshop, corsi di formazione specifici;
    sostenere la partecipazione dei migliori complessi corali italiani a manifestazioni all'estero, come elemento significativo di presenza della nostra cultura nel mondo, anche attraverso la rete delle nostre Ambasciate e degli Istituti Italiani di Cultura all'estero;
    rafforzare la presenza della disciplina corale nei percorsi scolastici e formativi a tutti i livelli dalla scuola primaria fino ai conservatori;
    prestare una particolare attenzione ai cori giovanili come elemento di investimento per il futuro culturale del paese;
    sollecitare il servizio radiofonico e televisivo pubblico nazionale perché dimostri un maggior interesse e una adeguata attenzione nei confronti della musica corale.
9/3444-A/61. (Testo modificato nel corso della seduta)  Alli, Rampi, Palmieri, Vezzali, Santerini, Manzi, Marguerettaz, Adornato, Vignali.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, cosiddetto «Destinazione Italia», convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, all'articolo 6, comma 10, ha istituito un credito d'imposta fino al 2016 per le piccole e medie imprese o consorzi e reti di piccole e medie imprese, per l'attivazione di servizi di connettività digitale nell'ambito di un apposito programma operativo nazionale relativo alla programmazione dei fondi strutturali comunitari 2014-2020 e collegato alla pianificazione degli interventi nazionali finanziati dal fondo sviluppo e coesione 2014-2020 e dal fondo di rotazione;
    si tratta di un credito d'imposta che prevede il recupero del 65 per cento delle spese documentate e sostenute fino al 2016 da piccole e medie imprese, ovvero da consorzi e da reti di piccole e medie imprese, per gli interventi di rete fissa e mobile che consentano l'attivazione dei servizi di connettività digitale con capacità uguale o superiore a 30 mbps, fino ad un massimo di 20.000 euro, nella misura massima complessiva stanziata dal Governo di 50 milioni di euro, finanziato con il PON 2014-2020;
    per rendere operativo tale credito d'imposta è necessario, però, un decreto attuativo del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con i Dipartimenti per la coesione territoriale e per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio, volto a stabilire le modalità per usufruire del credito d'imposta e per consentire il monitoraggio dell'agevolazione ed il rispetto del limite massimo di risorse stanziate, che ancora non è stato emanato, poiché bisognava attendere l'approvazione del PON 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari e del fondo di sviluppo e coesione, al fine di consentire alla Ragioneria generale dello Stato di verificare l'effettiva disponibilità delle risorse stesse;
    in estate la Commissione europea ha finalmente dato il via libera al Programma presentato dall'Italia, ma siamo ormai a fine anno, gli incentivi ancora non sono partiti e, nella fase di perdurante crisi economica, è indispensabile sostenere le piccole e medie imprese attraverso misure che ne favoriscano lo sviluppo in modo da garantire la competitività nel mercato nazionale ed internazionale e le agevolazioni previste nel decreto-legge «Destinazione Italia» vanno certamente in questa direzione,

impegna il Governo

a prorogare per il triennio 2016/2018, nel prossimo provvedimento utile, gli incentivi fiscali per la digitalizzazione delle Pmi, considerato il ritardo con cui tali incentivi saranno realmente operativi le imprese.
9/3444-A/62Alfreider, Gebhard, Plangger, Schullian, Ottobre, Marguerettaz.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, cosiddetto «Destinazione Italia», convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, all'articolo 6, comma 10, ha istituito un credito d'imposta fino al 2016 per le piccole e medie imprese o consorzi e reti di piccole e medie imprese, per l'attivazione di servizi di connettività digitale nell'ambito di un apposito programma operativo nazionale relativo alla programmazione dei fondi strutturali comunitari 2014-2020 e collegato alla pianificazione degli interventi nazionali finanziati dal fondo sviluppo e coesione 2014-2020 e dal fondo di rotazione;
    si tratta di un credito d'imposta che prevede il recupero del 65 per cento delle spese documentate e sostenute fino al 2016 da piccole e medie imprese, ovvero da consorzi e da reti di piccole e medie imprese, per gli interventi di rete fissa e mobile che consentano l'attivazione dei servizi di connettività digitale con capacità uguale o superiore a 30 mbps, fino ad un massimo di 20.000 euro, nella misura massima complessiva stanziata dal Governo di 50 milioni di euro, finanziato con il PON 2014-2020;
    per rendere operativo tale credito d'imposta è necessario, però, un decreto attuativo del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con i Dipartimenti per la coesione territoriale e per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio, volto a stabilire le modalità per usufruire del credito d'imposta e per consentire il monitoraggio dell'agevolazione ed il rispetto del limite massimo di risorse stanziate, che ancora non è stato emanato, poiché bisognava attendere l'approvazione del PON 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari e del fondo di sviluppo e coesione, al fine di consentire alla Ragioneria generale dello Stato di verificare l'effettiva disponibilità delle risorse stesse;
    in estate la Commissione europea ha finalmente dato il via libera al Programma presentato dall'Italia, ma siamo ormai a fine anno, gli incentivi ancora non sono partiti e, nella fase di perdurante crisi economica, è indispensabile sostenere le piccole e medie imprese attraverso misure che ne favoriscano lo sviluppo in modo da garantire la competitività nel mercato nazionale ed internazionale e le agevolazioni previste nel decreto-legge «Destinazione Italia» vanno certamente in questa direzione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prorogare per il triennio 2016/2018, nel prossimo provvedimento utile, gli incentivi fiscali per la digitalizzazione delle Pmi, considerato il ritardo con cui tali incentivi saranno realmente operativi le imprese.
9/3444-A/62. (Testo modificato nel corso della seduta)  Alfreider, Gebhard, Plangger, Schullian, Ottobre, Marguerettaz.


   La Camera,
   premesso che:
    il credito di imposta per il teleriscaldamento alimentato a biomassa è una misura fiscale speciale, introdotta nell'ordinamento con la legge finanziaria per il 1999 (legge n. 448 del 1998), per compensare l'incremento delle accise sugli oli minerali e la conseguente introduzione della cosiddetto carbon tax ai fini del recepimento del protocollo di Kyoto, proprio con l'intento di incentivare l'uso delle fonti rinnovabili a discapito dei combustibili fossili;
    agli utenti che si allacciavano alle reti di teleriscaldamento alimentate a biomassa nei comuni montani veniva riconosciuto un incentivo pari a 0,01033 centesimi/kwh che, con il decreto-legge n. 268 del 2000, è stato aumentato a 0,01549 centesimi/kwh, e le varie leggi finanziarie, negli anni, hanno sempre prorogato finché la legge finanziaria per il 2009 (articolo 2, comma 12, della legge n. 203 del 2008) lo ha poi reso permanente;
    il credito d'imposta riconosciuto agli utenti allacciati alle reti di teleriscaldamento a biomassa non può, pertanto, essere annoverato tra i crediti d'imposta speciali, che sono per loro natura estemporanei, perché dal 2009 è una misura permanente che attinge direttamente dalle unità previsionali di base del bilancio annuale dello stato;
    l'articolo 1, comma 577, della legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del 2013), nell'ottica di un risparmio per lo Stato, ha previsto la riduzione di una serie di crediti d'imposta, da attuare con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che è stato emanato il 20 febbraio 2014, stabilendo anche una riduzione del 15 per cento degli incentivi sulle reti di teleriscaldamento a decorrere dal 1o gennaio 2014, pari a 0,00038734 centesimi/kwh;
    la ratio alla base dell'agevolazione fiscale, inoltre, è strettamente collegata alla promozione delle fonti rinnovabili locali, alla politica energetica e all'autonomia dei comuni dove hanno sede gli impianti e la biomassa utilizzata, peraltro, è esclusivamente prodotta nella filiera locale con importanti ricadute in termini economici, ambientali ed occupazionali;
    parimenti, dal 1o gennaio 2016 sarà innalzata l'aliquota IVA, dal 10 al 22 per cento, per l'acquisto dei pellets di legno, a seguito dello stralcio del taglio dell'IVA disposto durante l'esame della legge di stabilità in Commissione Bilancio del Senato, in totale contrasto con la politica di riduzione dei consumi energetici attuata con la sistematica proroga delle detrazioni fiscali per gli interventi di ristrutturazione edilizia volti all'efficienza energetica degli edifici;
    rimane quindi confermata l'esclusione delle cessioni di pellets dall'aliquota IVA ridotta alla quale sono già assoggettate, invece, le cessioni di legni da ardere in tondelli, ceppi, ramaglie e cascami di legno compreso la segatura, con un ingiusto rincaro per il consumatore di circa 50 centesimi di euro per ogni sacco da 15 kg e di circa 31/35 euro per ogni tonnellata;
    tale incremento peserà in maniera preponderante soprattutto sulle zone montane, che utilizzano su larga scala impianti di riscaldamento alimentati a pellets, che potrebbero presumibilmente valutare anche l'opportunità di riconvertire gli impianti a gasolio, viste le agevolazioni fiscali per il gasolio e il gas metano in ambito montano;
    dalla documentazione del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, predisposta in occasione dell'audizione del vice Presidente della Commissione europea e Commissario europeo per l'Unione dell'Energia Maros Sefcovic del 3 dicembre 2015, risulta che le fonti rinnovabili termiche sono state piuttosto trascurate dalle politiche energetiche del paese, nonostante risultino in generale più efficienti e meno costose per gli obiettivi europei 20-20-20, infatti lo sviluppo delle rinnovabili termiche, negli ultimi 5 anni, è avvenuto in assenza di un quadro di incentivazione stabile e dedicato, in grado di orientare il consumatore verso le tecnologie più «virtuose»,

impegna il Governo

a valutare incentivi stabili e dedicati in grado di orientare il consumatore verso le tecnologie termiche virtuose e a ripristinare il credito d'imposta antecedente al 2014 per il teleriscaldamento alimentato a biomassa nonché concedere un credito d'imposta per i residenti nelle zone climatiche di fascia E ed F che compensi il maggior costo per l'utente derivante dall'incremento dell'aliquota IVA sui pellets per l'anno 2016 con un prossimo intervento legislativo a favore dei territori montani e delle zone climaticamente svantaggiate.
9/3444-A/63Plangger, Alfreider, Gebhard, Schullian, Ottobre, Marguerettaz.


   La Camera,
   premesso che:
    il credito di imposta per il teleriscaldamento alimentato a biomassa è una misura fiscale speciale, introdotta nell'ordinamento con la legge finanziaria per il 1999 (legge n. 448 del 1998), per compensare l'incremento delle accise sugli oli minerali e la conseguente introduzione della cosiddetto carbon tax ai fini del recepimento del protocollo di Kyoto, proprio con l'intento di incentivare l'uso delle fonti rinnovabili a discapito dei combustibili fossili;
    agli utenti che si allacciavano alle reti di teleriscaldamento alimentate a biomassa nei comuni montani veniva riconosciuto un incentivo pari a 0,01033 centesimi/kwh che, con il decreto-legge n. 268 del 2000, è stato aumentato a 0,01549 centesimi/kwh, e le varie leggi finanziarie, negli anni, hanno sempre prorogato finché la legge finanziaria per il 2009 (articolo 2, comma 12, della legge n. 203 del 2008) lo ha poi reso permanente;
    il credito d'imposta riconosciuto agli utenti allacciati alle reti di teleriscaldamento a biomassa non può, pertanto, essere annoverato tra i crediti d'imposta speciali, che sono per loro natura estemporanei, perché dal 2009 è una misura permanente che attinge direttamente dalle unità previsionali di base del bilancio annuale dello stato;
    l'articolo 1, comma 577, della legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del 2013), nell'ottica di un risparmio per lo Stato, ha previsto la riduzione di una serie di crediti d'imposta, da attuare con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che è stato emanato il 20 febbraio 2014, stabilendo anche una riduzione del 15 per cento degli incentivi sulle reti di teleriscaldamento a decorrere dal 1o gennaio 2014, pari a 0,00038734 centesimi/kwh;
    la ratio alla base dell'agevolazione fiscale, inoltre, è strettamente collegata alla promozione delle fonti rinnovabili locali, alla politica energetica e all'autonomia dei comuni dove hanno sede gli impianti e la biomassa utilizzata, peraltro, è esclusivamente prodotta nella filiera locale con importanti ricadute in termini economici, ambientali ed occupazionali;
    parimenti, dal 1o gennaio 2016 sarà innalzata l'aliquota IVA, dal 10 al 22 per cento, per l'acquisto dei pellets di legno, a seguito dello stralcio del taglio dell'IVA disposto durante l'esame della legge di stabilità in Commissione Bilancio del Senato, in totale contrasto con la politica di riduzione dei consumi energetici attuata con la sistematica proroga delle detrazioni fiscali per gli interventi di ristrutturazione edilizia volti all'efficienza energetica degli edifici;
    rimane quindi confermata l'esclusione delle cessioni di pellets dall'aliquota IVA ridotta alla quale sono già assoggettate, invece, le cessioni di legni da ardere in tondelli, ceppi, ramaglie e cascami di legno compreso la segatura, con un ingiusto rincaro per il consumatore di circa 50 centesimi di euro per ogni sacco da 15 kg e di circa 31/35 euro per ogni tonnellata;
    tale incremento peserà in maniera preponderante soprattutto sulle zone montane, che utilizzano su larga scala impianti di riscaldamento alimentati a pellets, che potrebbero presumibilmente valutare anche l'opportunità di riconvertire gli impianti a gasolio, viste le agevolazioni fiscali per il gasolio e il gas metano in ambito montano;
    dalla documentazione del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, predisposta in occasione dell'audizione del vice Presidente della Commissione europea e Commissario europeo per l'Unione dell'Energia Maros Sefcovic del 3 dicembre 2015, risulta che le fonti rinnovabili termiche sono state piuttosto trascurate dalle politiche energetiche del paese, nonostante risultino in generale più efficienti e meno costose per gli obiettivi europei 20-20-20, infatti lo sviluppo delle rinnovabili termiche, negli ultimi 5 anni, è avvenuto in assenza di un quadro di incentivazione stabile e dedicato, in grado di orientare il consumatore verso le tecnologie più «virtuose»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di incentivi stabili e dedicati in grado di orientare il consumatore verso le tecnologie termiche virtuose e a ripristinare il credito d'imposta antecedente al 2014 per il teleriscaldamento alimentato a biomassa nonché concedere un credito d'imposta per i residenti nelle zone climatiche di fascia E ed F che compensi il maggior costo per l'utente derivante dall'incremento dell'aliquota IVA sui pellets per l'anno 2016 con un prossimo intervento legislativo a favore dei territori montani e delle zone climaticamente svantaggiate.
9/3444-A/63. (Testo modificato nel corso della seduta)  Plangger, Alfreider, Gebhard, Schullian, Ottobre, Marguerettaz.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità per il 2016 contiene una serie di misure volte alla rimozione degli ostacoli che impediscono la libera concorrenza in diversi settori dell'economia, anche in applicazione dei principi del diritto comunitario e delle politiche europee in materia di concorrenza, in parte anche recependo le indicazioni dell'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato;
    nella legge tedesca sulla concorrenza, al § 3, si prevede che non costituisce un'illegittima intesa restrittiva della concorrenza quella che ha come obiettivo la razionalizzazione delle attività economiche attraverso la cooperazione tra le imprese concorrenti, a condizione che tale intesa non elimini in modo significativo la concorrenza sul mercato e serva a migliorare la competitività delle piccole e medie imprese coinvolte nell'impresa;
    un'analoga disposizione è contenuta nella legge austriaca sulla concorrenza che, al § 2, comma 2, n. 3, prevede che sono esenti dal divieto di intese restrittive della concorrenza le intese tra i soci delle cooperative e tra questi e la cooperativa, nella misura in cui queste intese sono necessarie al fine di perseguire lo scopo promozionale – equivalente allo scopo mutualistico nel diritto italiano – della cooperativa;
    si ritiene giusto e necessario introdurre una norma similare anche nell'ordinamento italiano che consenta la cooperazione tra le imprese concorrenti di piccole o medie dimensioni (come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE), a condizione che queste costituiscano tra loro un'organizzazione (qualificabile per la disciplina sulla concorrenza come un'impresa comune cooperativa) rispettosa della disciplina delle cooperative a mutualità prevalente, la quale garantisce sia l'esistenza di una funzione sociale a tale forma di cooperazione ai sensi dell'articolo 45 della Costituzione, sia la presenza di una vera cooperativa in conformità con l'importante sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'8 settembre 2011 (causa C-78-80/08, Paint Graphos e a.);
    la cooperazione appena auspicata non dovrebbe pregiudicare il mercato tra gli Stati membri dell'Unione europea, dovrebbe migliorare la competitività tra le imprese cooperanti e dovrebbe consentire ai consumatori dei beni o servizi offerti da queste imprese di partecipare ai vantaggi e agli utili derivanti da tale cooperazione;
    in tal modo si introdurrebbe nel diritto italiano una norma speculare all'articolo 101, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, prevedendosi così un'esenzione legale senza termine (fino a quando siano rispettate le condizioni indicate nella predetta esenzione) e automatica (cioè senza che le imprese interessate debbano richiedere una specifica autorizzazione all'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato),

impegna il Governo

ad armonizzare la normativa italiana a quella degli altri Stati membri, come illustrato in premessa, al fine di prevedere esenzioni al divieto di intese restrittive della libertà di concorrenza in caso di collaborazioni tra piccole e medie imprese mediante la costituzione di organizzazioni aventi funzione sociale ai sensi dell'articolo 45 della Costituzione, migliorando così la competitività tra le imprese cooperanti.
9/3444-A/64Gebhard, Alfreider, Schullian, Plangger.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità per il 2016 contiene una serie di misure volte alla rimozione degli ostacoli che impediscono la libera concorrenza in diversi settori dell'economia, anche in applicazione dei principi del diritto comunitario e delle politiche europee in materia di concorrenza, in parte anche recependo le indicazioni dell'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato;
    nella legge tedesca sulla concorrenza, al § 3, si prevede che non costituisce un'illegittima intesa restrittiva della concorrenza quella che ha come obiettivo la razionalizzazione delle attività economiche attraverso la cooperazione tra le imprese concorrenti, a condizione che tale intesa non elimini in modo significativo la concorrenza sul mercato e serva a migliorare la competitività delle piccole e medie imprese coinvolte nell'impresa;
    un'analoga disposizione è contenuta nella legge austriaca sulla concorrenza che, al § 2, comma 2, n. 3, prevede che sono esenti dal divieto di intese restrittive della concorrenza le intese tra i soci delle cooperative e tra questi e la cooperativa, nella misura in cui queste intese sono necessarie al fine di perseguire lo scopo promozionale – equivalente allo scopo mutualistico nel diritto italiano – della cooperativa;
    si ritiene giusto e necessario introdurre una norma similare anche nell'ordinamento italiano che consenta la cooperazione tra le imprese concorrenti di piccole o medie dimensioni (come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE), a condizione che queste costituiscano tra loro un'organizzazione (qualificabile per la disciplina sulla concorrenza come un'impresa comune cooperativa) rispettosa della disciplina delle cooperative a mutualità prevalente, la quale garantisce sia l'esistenza di una funzione sociale a tale forma di cooperazione ai sensi dell'articolo 45 della Costituzione, sia la presenza di una vera cooperativa in conformità con l'importante sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'8 settembre 2011 (causa C-78-80/08, Paint Graphos e a.);
    la cooperazione appena auspicata non dovrebbe pregiudicare il mercato tra gli Stati membri dell'Unione europea, dovrebbe migliorare la competitività tra le imprese cooperanti e dovrebbe consentire ai consumatori dei beni o servizi offerti da queste imprese di partecipare ai vantaggi e agli utili derivanti da tale cooperazione;
    in tal modo si introdurrebbe nel diritto italiano una norma speculare all'articolo 101, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, prevedendosi così un'esenzione legale senza termine (fino a quando siano rispettate le condizioni indicate nella predetta esenzione) e automatica (cioè senza che le imprese interessate debbano richiedere una specifica autorizzazione all'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di armonizzare la normativa italiana a quella degli altri Stati membri, come illustrato in premessa, al fine di prevedere esenzioni al divieto di intese restrittive della libertà di concorrenza in caso di collaborazioni tra piccole e medie imprese mediante la costituzione di organizzazioni aventi funzione sociale ai sensi dell'articolo 45 della Costituzione, migliorando così la competitività tra le imprese cooperanti.
9/3444-A/64. (Testo modificato nel corso della seduta)  Gebhard, Alfreider, Schullian, Plangger.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia possiede un patrimonio culturale tra più ampi al mondo e può vantare tra le proprie ricchezze il castello ed il parco di Miramare, nella provincia di Trieste;
    il sito – inserito anche tra i beni del FAI – si colloca tra i musei e parchi più visitati nel nostro Paese ed introita dalla vendita dei biglietti circa 450 mila euro all'anno;
    con l'ordine del giorno 9/01628/032 è stato impegnato il Governo a valutare la possibilità di prevedere interventi idonei ad assicurare una più efficace tutela e valorizzazione del castello di Miramare, anche mediante accordi con il comune di Trieste;
    il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha recentemente adottato una riforma del sistema museale italiano che intende garantire una effettiva valorizzazione del patrimonio culturale;
    questa operazione di rilancio del Ministero è perseguita anche mediante l'adozione di modelli innovativi di gestione come, ad esempio, la costituzione di appositi consorzi e fondazioni;
    il modello fondazione consente, infatti, di coinvolgere soggetti pubblici e privati nella gestione di un sito e può assicurare una maggior integrazione con il territorio;
    le enormi potenzialità oggi ancora in parte inespresse del castello e del parco di Miramare potrebbero trovare un punto di forza nella costituzione di una Fondazione del Museo e del parco,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di costituire, ai sensi della normativa vigente, la Fondazione Museo e parco di Miramare, in collaborazione con la regione Friuli Venezia Giulia e il comune di Trieste e altri soggetti pubblici o privati, e di attribuire ad essa la gestione del sito culturale.
9/3444-A/65Blazina.


   La Camera,
   premesso che:
    il Building Information Modeling (BIM) è un modello innovativo di informazioni e progettazione di un edificio che consente di poter comunicare, senza perdita qualitativa, con colleghi e partner che usano altri software, il proprio progetto e tutti i dati in esso presenti;
    nella progettazione BIM esistono diversi passaggi di verifica della coerenza dei dati, un controllo più accurato sulle fasi e sulla sequenza sempre aggiornata di parti coinvolte nel processo, che permettono di dialogare correttamente, evitando sprechi economici;
    l'adozione di questo modello di progettazione favorirebbe l'effettiva riduzione dei costi operativi di costruzione, il monitoraggio e il controllo sullo stato avanzamento lavori, nonché la manutenzione e la riqualificazione delle opere;
    la legge di stabilità 2016 ha dato un forte impulso all'innovazione tecnologica nelle aziende, prevedendo il super ammortamento per gli investimenti e incentivi di settore per alcuni acquisiti innovativi,

impegna il Governo

a favorire l'acquisto, da parte di professionisti singoli o associati, di software relativi a metodi e strumenti di modellazione elettronica ed informatica per l'edilizia e le infrastrutture, e a incentivare il passaggio a questo modello innovativo di progettazione.
9/3444-A/66Gadda, Coppola, Dallai, Moretto, Donati, Vazio, Famiglietti, Galgano, Bonomo, Crimì, Morani, Capozzolo, Fanucci, Piccoli Nardelli, Marco Di Maio, Fregolent, Bruno Bossio, Quintarelli, Scuvera, Bonomo.


   La Camera,
   premesso che:
    il Building Information Modeling (BIM) è un modello innovativo di informazioni e progettazione di un edificio che consente di poter comunicare, senza perdita qualitativa, con colleghi e partner che usano altri software, il proprio progetto e tutti i dati in esso presenti;
    nella progettazione BIM esistono diversi passaggi di verifica della coerenza dei dati, un controllo più accurato sulle fasi e sulla sequenza sempre aggiornata di parti coinvolte nel processo, che permettono di dialogare correttamente, evitando sprechi economici;
    l'adozione di questo modello di progettazione favorirebbe l'effettiva riduzione dei costi operativi di costruzione, il monitoraggio e il controllo sullo stato avanzamento lavori, nonché la manutenzione e la riqualificazione delle opere;
    la legge di stabilità 2016 ha dato un forte impulso all'innovazione tecnologica nelle aziende, prevedendo il super ammortamento per gli investimenti e incentivi di settore per alcuni acquisiti innovativi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di favorire l'acquisto, da parte di professionisti singoli o associati, di software relativi a metodi e strumenti di modellazione elettronica ed informatica per l'edilizia e le infrastrutture, e a incentivare il passaggio a questo modello innovativo di progettazione.
9/3444-A/66. (Testo modificato nel corso della seduta)  Gadda, Coppola, Dallai, Moretto, Donati, Vazio, Famiglietti, Galgano, Bonomo, Crimì, Morani, Capozzolo, Fanucci, Piccoli Nardelli, Marco Di Maio, Fregolent, Bruno Bossio, Quintarelli, Scuvera, Bonomo.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, insieme al «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2016 e bilancio pluriennale per il triennio 2016-2018» rappresenta la norma principale prevista dall'ordinamento giuridico italiano per regolare la vita economica del Paese per un triennio, appunto, attraverso misure di finanza pubblica;
    l'articolo 1, commi da 246 a 249, reca disposizioni per i rinnovi contrattuali del personale delle pubbliche amministrazioni, quantificando in 300 milioni di euro annui, di cui 74 milioni per FF.AA. e Polizia, gli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale e integrativa nel bilancio pluriennale 2016- 2018;
    l'articolo 19, comma 1, della legge 4 novembre 2010 n. 183 ha riconosciuto la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco «Ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale»;
    la specificità dello status di militare si configura nella peculiarità dei compiti istituzionali delle FF.AA. concernenti la difesa dello Stato e il mantenimento della sicurezza del Paese;
    ai sensi dell'articolo 1465, comma 2, Codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66) «Lo Stato predispone misure effettive volte a tutelare e promuovere lo sviluppo della personalità dei militari nonché ad assicurare loro un dignitoso trattamento di vita»;
    l'ultimo provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze armate relativamente al biennio 2008-2010 è il decreto del Presidente della Repubblica 1o ottobre 2010, n. 185; mentre per le Forze di Polizia si fa riferimento al decreto del Presidente della Repubblica 1o ottobre 2010, n. 184;
    gli istituti economici e, in particolare, i livelli retributivi rappresentano un primo e fondamentale supporto a tutela della «specificità militare»;
    gli uomini e donne delle nostre Forze armate e del Comparto Difesa e sicurezza sono i meno retribuiti rispetto ai colleghi dei Paesi dell'Unione europea con un PIL simile all'Italia;
    il nostro Paese e tutta l'area del Mediterraneo – dove i nostri uomini e donne sono impegnati in delicate operazioni – sta vivendo un periodo storico e politico particolarmente difficile, a cui si somma il non meno trascurabile aumento della microcriminalità e delle criticità legate alla gestione dell'incontrollato flusso migratorio,

impegna il Governo

a prevedere un incremento del 15 per cento delle misure mensili lorde relative al trattamento stipendiale del personale delle Forze armate e del Comparto Difesa e sicurezza attraverso il recepimento di accordi o schemi di provvedimento concordati nell'ambito delle rispettive trattative sindacali o concertazioni militari.
9/3444-A/67Cirielli, Rampelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, insieme al «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2016 e bilancio pluriennale per il triennio 2016-2018» rappresenta la norma principale prevista dall'ordinamento giuridico italiano per regolare la vita economica del Paese per un triennio, appunto, attraverso misure di finanza pubblica;
    l'articolo 1, commi da 246 a 249, reca disposizioni per i rinnovi contrattuali del personale delle pubbliche amministrazioni, quantificando in 300 milioni di euro annui, di cui 74 milioni per FF.AA. e Polizia, gli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale e integrativa nel bilancio pluriennale 2016- 2018;
    l'articolo 19, comma 1, della legge 4 novembre 2010 n. 183 ha riconosciuto la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco «Ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale»;
    la specificità dello status di militare si configura nella peculiarità dei compiti istituzionali delle FF.AA. concernenti la difesa dello Stato e il mantenimento della sicurezza del Paese;
    ai sensi dell'articolo 1465, comma 2, Codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66) «Lo Stato predispone misure effettive volte a tutelare e promuovere lo sviluppo della personalità dei militari nonché ad assicurare loro un dignitoso trattamento di vita»;
    l'ultimo provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze armate relativamente al biennio 2008-2010 è il decreto del Presidente della Repubblica 1o ottobre 2010, n. 185; mentre per le Forze di Polizia si fa riferimento al decreto del Presidente della Repubblica 1o ottobre 2010, n. 184;
    gli istituti economici e, in particolare, i livelli retributivi rappresentano un primo e fondamentale supporto a tutela della «specificità militare»;
    gli uomini e donne delle nostre Forze armate e del Comparto Difesa e sicurezza sono i meno retribuiti rispetto ai colleghi dei Paesi dell'Unione europea con un PIL simile all'Italia;
    il nostro Paese e tutta l'area del Mediterraneo – dove i nostri uomini e donne sono impegnati in delicate operazioni – sta vivendo un periodo storico e politico particolarmente difficile, a cui si somma il non meno trascurabile aumento della microcriminalità e delle criticità legate alla gestione dell'incontrollato flusso migratorio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere un incremento del 15 per cento delle misure mensili lorde relative al trattamento stipendiale del personale delle Forze armate e del Comparto Difesa e sicurezza attraverso il recepimento di accordi o schemi di provvedimento concordati nell'ambito delle rispettive trattative sindacali o concertazioni militari.
9/3444-A/67. (Testo modificato nel corso della seduta)  Cirielli, Rampelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di stabilità reca importanti misure volte, tra le altre, alla promozione di infrastrutture viarie e ferroviarie a sostegno dello sviluppo del Paese;
    lo stesso disegno di legge di stabilità prevede al comma 465-bis la realizzazione di un sistema di verifica dell'utilizzo dei finanziamenti per la realizzazione di interventi e programmi pubblici e norme sul funzionamento del CIPE;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 ottobre 2008, Interventi necessari per la realizzazione dell'EXPO Milano 2015, all'allegato 2 inserisce tra le opere «connesse» all'evento, con «priorità 1», l'autostrada Pedemontana Lombarda, un sistema viabilistico con uno sviluppo complessivo di circa 157 Km di cui 67 Km di autostrada, 20 Km di tangenziali e 70 Km di viabilità locale che interessa cinque province Bergamo, Como, Milano, Monza Brianza e Varese e 58 comuni e che persegue gli obiettivi di potenziare l'asse est-ovest lungo la direttrice del Corridoio 5 della rete TEN-T dell'Unione europea permettendo una riorganizzazione dell'intero sistema stradale pedemontano in modo da ridurre le attuali situazioni di crisi della viabilità ordinaria;
    l'intera opera è frazionata nei lotti A, B1, B2, C, D, e prevede per 20 Km le tangenziali di Como e di Varese a loro volta ripartite in due lotti ciascuna;
    la Tangenziale di Como (A59) si sviluppa per circa 9 Km di cui circa 6 Km in galleria naturale ed è suddivisa in due lotti. Il 1o lotto, lungo circa 3 Km, si innesta sull'autostrada A9 a Grandate e termina con lo svincolo di Acquanegra, tra i Comuni di Como e Casnate con Bernate. In questo 1o lotto sono realizzate anche due opere connesse, la TG CO 03 che si sviluppa tra l'interconnessione con l'A9 e la SP n. 24 di Appiano Gentile in comune di Villa Guardia, e la TG CO 04 che partendo dallo svincolo di Acquanegra si dirige a nord verso la città di Como e a sud verso il Comune di Casnate con Bernate. Il 2o Lotto, per uno sviluppo complessivo di oltre 6 Km, inizia in corrispondenza dello svincolo di Acquanegra per terminare con l'interconnessione alla SS 342 «Briantea», a sud del comune di Albese con Cassano;
    il 23 maggio 2015 è stato inaugurato il 1o lotto della tangenziale di Como nel tratto che collega Villa Guardia allo svincolo dell'Acquanegra, mentre per quanto riguarda il 2o lotto non ci sono certezze sulla sua concreta realizzazione, a seguito del mancato inserimento, in assenza di indicazioni da parte di regione Lombardia, dello stesso 2o lotto nel progetto definitivo approvato dal CIPE con delibera 97/2009, in quanto non ricompreso nel Piano Economico Finanziario della Convenzione Unica; il secondo lotto della tangenziale di Como, inoltre, era stato espunto dal Documento di economia e finanza 2014 da parte della giunta regionale lombarda e solo a seguito della mobilitazione del territorio si è deciso di reinserirlo nel DEF regionale del 2015,
   considerato che:
    i costi complessivi della Pedemontana inclusivi di oneri sono stimati in 5.200 milioni di euro, a fronte di un investimento diretto complessivo pari a 4.118 milioni. Le coperture finanziarie dell'opera prevedono interventi tramite: la finanza di progetto (il cosiddetto project fìnancing) per un importo di circa 2.500 milioni di euro che ad oggi risulta quanto mai una fonte di finanziamento incerta e fortemente a rischio; un contributo pubblico per circa 1.245 milioni di euro; un equity (aumento del capitale di rischio) per 536 milioni di euro (al momento versato per 300 milioni); l'ulteriore forma di contributo pubblico consistente nella defiscalizzazione dell'importo teorico di 349 milioni di euro che scatterà solo a partire dall'apertura al traffico delle tratte B2 e C, prevista per luglio 2018;
    nel 2013, è stato ottenuto da CAL spa, Concessioni autostradali lombarde, l'aumento dell'intensità di erogazione del contributo pubblico sulla tratta in costruzione (tratta A e primi lotti delle tangenziali di Como e Varese) dal 35,74 per cento all'80 per cento, con l'inevitabile conseguenza del rischio di esclusione di gran parte del restante tracciato ancora da realizzare dall'erogazione di contributi pubblici;
    il completamento della tratta A, delle tangenziali di Como e Varese e la tratta B1 in via di ultimazione sono ad oggi pagate dal contributo pubblico statale di 1.245 milioni di euro e dai 300 milioni di capitale sociale già versati. Ne consegue che gli ipotetici futuri lavori per le tratte non ancora realizzate dovrebbero essere interamente finanziati dai privati;
   ritenuto che:
    in ragione del piano finanziario dell'opera proposto da CAL spa e da Autostrada Pedemontana approvato insieme al progetto definitivo da CIPE con delibera 97/2009, dopo una prima fase sperimentale di gratuità, si è data applicazione al sistema di pedaggiamento dell'importo di 0,62 euro ai 2,4 Km del 1o Lotto della tangenziale di Como senza tuttavia avere alcuna certezza in merito alla realizzazione, anche questa prevista nel progetto definitivo di Pedemontana, del 2o Lotto della tangenziale comasca, rimasta tutt'oggi sulla carta e fatta oggetto di una pesante indeterminatezza circa il suo reale compimento;
    da novembre 2015 sull'autostrada Pedemontana (fino allo svincolo di Lomazzo) e sulle Tangenziali di Como (A59) e Varese (A60) il pagamento del pedaggio avviene attraverso l'utilizzo del nuovo sistema di esazione Free Flow che permette di registrare le targhe dei veicoli in transito al loro semplice passaggio sotto portali elettronici, senza quindi trovare barriere o fermarsi in coda ai caselli. Un sistema di pagamento innovativo e comodo che pur tuttavia, dal punto di vista burocratico, sta generando notevoli difficoltà all'utenza per via di procedure di iscrizione e di registrazione al «conto targa» farraginose e lunghe che rischiano di scoraggiare gli automobilisti all'uso della tangenziale;
    l'applicazione del costo pedaggio fissato in 0,62 euro per percorre i circa 3 Km del 1o Lotto della tangenziale comasca (più di 0,20 euro al chilometro), a cui si aggiunge l'eccessiva burocratizzazione dovuta alle procedure di funzionamento del «conto targa», il sistema di pagamento personale, associato alla targa del proprio veicolo, ne sta determinando uno scarso utilizzo da parte degli automobilisti,

impegna il Governo

ad esercitare un puntuale monitoraggio della fase iniziale di apertura al traffico e del relativo pedaggiamento del primo lotto della tangenziale di Como e a promuovere presso il Ministero delle Infrastrutture, con il coinvolgimento dei concessionari autostradali e degli amministratori locali del territorio, entro il mese di gennaio 2016, un tavolo di confronto finalizzato a valutare l'applicabilità e la congruità o meno del pedaggio adottato e l'effettiva sostenibilità e fruibilità da parte dell'utenza, oltre a verificare le condizioni di reale fattibilità economica-finanziaria dell'intero sistema autostradale pedemontano, con particolare riguardo al completamento della tangenziale di Como.
9/3444-A/68Guerra, Braga.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di stabilità reca importanti misure volte, tra le altre, alla promozione di infrastrutture viarie e ferroviarie a sostegno dello sviluppo del Paese;
    lo stesso disegno di legge di stabilità prevede al comma 465-bis la realizzazione di un sistema di verifica dell'utilizzo dei finanziamenti per la realizzazione di interventi e programmi pubblici e norme sul funzionamento del CIPE;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 ottobre 2008, Interventi necessari per la realizzazione dell'EXPO Milano 2015, all'allegato 2 inserisce tra le opere «connesse» all'evento, con «priorità 1», l'autostrada Pedemontana Lombarda, un sistema viabilistico con uno sviluppo complessivo di circa 157 Km di cui 67 Km di autostrada, 20 Km di tangenziali e 70 Km di viabilità locale che interessa cinque province Bergamo, Como, Milano, Monza Brianza e Varese e 58 comuni e che persegue gli obiettivi di potenziare l'asse est-ovest lungo la direttrice del Corridoio 5 della rete TEN-T dell'Unione europea permettendo una riorganizzazione dell'intero sistema stradale pedemontano in modo da ridurre le attuali situazioni di crisi della viabilità ordinaria;
    l'intera opera è frazionata nei lotti A, B1, B2, C, D, e prevede per 20 Km le tangenziali di Como e di Varese a loro volta ripartite in due lotti ciascuna;
    la Tangenziale di Como (A59) si sviluppa per circa 9 Km di cui circa 6 Km in galleria naturale ed è suddivisa in due lotti. Il 1o lotto, lungo circa 3 Km, si innesta sull'autostrada A9 a Grandate e termina con lo svincolo di Acquanegra, tra i Comuni di Como e Casnate con Bernate. In questo 1o lotto sono realizzate anche due opere connesse, la TG CO 03 che si sviluppa tra l'interconnessione con l'A9 e la SP n. 24 di Appiano Gentile in comune di Villa Guardia, e la TG CO 04 che partendo dallo svincolo di Acquanegra si dirige a nord verso la città di Como e a sud verso il Comune di Casnate con Bernate. Il 2o Lotto, per uno sviluppo complessivo di oltre 6 Km, inizia in corrispondenza dello svincolo di Acquanegra per terminare con l'interconnessione alla SS 342 «Briantea», a sud del comune di Albese con Cassano;
    il 23 maggio 2015 è stato inaugurato il 1o lotto della tangenziale di Como nel tratto che collega Villa Guardia allo svincolo dell'Acquanegra, mentre per quanto riguarda il 2o lotto non ci sono certezze sulla sua concreta realizzazione, a seguito del mancato inserimento, in assenza di indicazioni da parte di regione Lombardia, dello stesso 2o lotto nel progetto definitivo approvato dal CIPE con delibera 97/2009, in quanto non ricompreso nel Piano Economico Finanziario della Convenzione Unica; il secondo lotto della tangenziale di Como, inoltre, era stato espunto dal Documento di economia e finanza 2014 da parte della giunta regionale lombarda e solo a seguito della mobilitazione del territorio si è deciso di reinserirlo nel DEF regionale del 2015,
   considerato che:
    i costi complessivi della Pedemontana inclusivi di oneri sono stimati in 5.200 milioni di euro, a fronte di un investimento diretto complessivo pari a 4.118 milioni. Le coperture finanziarie dell'opera prevedono interventi tramite: la finanza di progetto (il cosiddetto project fìnancing) per un importo di circa 2.500 milioni di euro che ad oggi risulta quanto mai una fonte di finanziamento incerta e fortemente a rischio; un contributo pubblico per circa 1.245 milioni di euro; un equity (aumento del capitale di rischio) per 536 milioni di euro (al momento versato per 300 milioni); l'ulteriore forma di contributo pubblico consistente nella defiscalizzazione dell'importo teorico di 349 milioni di euro che scatterà solo a partire dall'apertura al traffico delle tratte B2 e C, prevista per luglio 2018;
    nel 2013, è stato ottenuto da CAL spa, Concessioni autostradali lombarde l'aumento dell'intensità di erogazione del contributo pubblico sulla tratta in costruzione (tratta A e primi lotti delle tangenziali di Como e Varese) dal 35,74 per cento all'80 per cento, con l'inevitabile conseguenza del rischio di esclusione di gran parte del restante tracciato ancora da realizzare dall'erogazione di contributi pubblici;
    il completamento della tratta A, delle tangenziali di Como e Varese e la tratta B1 in via di ultimazione sono ad oggi pagate dal contributo pubblico statale di 1.245 milioni di euro e dai 300 milioni di capitale sociale già versati. Ne consegue che gli ipotetici futuri lavori per le tratte non ancora realizzate dovrebbero essere interamente finanziati dai privati;
   ritenuto che:
    in ragione del piano finanziario dell'opera proposto da CAL spa e da Autostrada Pedemontana approvato insieme al progetto definitivo da CIPE con delibera 97/2009, dopo una prima fase sperimentale di gratuità, si è data applicazione al sistema di pedaggiamento dell'importo di 0,62 euro ai 2,4 Km del 1o Lotto della tangenziale di Como senza tuttavia avere alcuna certezza in merito alla realizzazione, anche questa prevista nel progetto definitivo di Pedemontana, del 2o Lotto della tangenziale comasca, rimasta tutt'oggi sulla carta e fatta oggetto di una pesante indeterminatezza circa il suo reale compimento;
    da novembre 2015 sull'autostrada Pedemontana (fino allo svincolo di Lomazzo) e sulle Tangenziali di Como (A59) e Varese (A60) il pagamento del pedaggio avviene attraverso l'utilizzo del nuovo sistema di esazione Free Flow che permette di registrare le targhe dei veicoli in transito al loro semplice passaggio sotto portali elettronici, senza quindi trovare barriere o fermarsi in coda ai caselli. Un sistema di pagamento innovativo e comodo che pur tuttavia, dal punto di vista burocratico, sta generando notevoli difficoltà all'utenza per via di procedure di iscrizione e di registrazione al «conto targa» farraginose e lunghe che rischiano di scoraggiare gli automobilisti all'uso della tangenziale;
    l'applicazione del costo pedaggio fissato in 0,62 euro per percorre i circa 3 Km del 1o Lotto della tangenziale comasca (più di 0,20 euro al chilometro), a cui si aggiunge l'eccessiva burocratizzazione dovuta alle procedure di funzionamento del «conto targa», il sistema di pagamento personale, associato alla targa del proprio veicolo, ne sta determinando uno scarso utilizzo da parte degli automobilisti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di esercitare un puntuale monitoraggio della fase iniziale di apertura al traffico e del relativo pedaggiamento del primo lotto della tangenziale di Como e a promuovere presso il Ministero delle Infrastrutture, con il coinvolgimento dei concessionari autostradali e degli amministratori locali del territorio, entro il mese di gennaio 2016, un tavolo di confronto finalizzato a valutare l'applicabilità e la congruità o meno del pedaggio adottato e l'effettiva sostenibilità e fruibilità da parte dell'utenza, oltre a verificare le condizioni di reale fattibilità economica-finanziaria dell'intero sistema autostradale pedemontano, con particolare riguardo al completamento della tangenziale di Como.
9/3444-A/68. (Testo modificato nel corso della seduta)  Guerra, Braga.


   La Camera,
   premesso che:
    al comma 492 dell'articolo 1 del presente disegno di legge si stabilisce che: «al fine di favorire il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, con effetto dal 1o gennaio 2016, presso l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) è istituito un fondo con la dotazione di 45 milioni di euro per l'anno 2016 e di 35 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017. Il fondo è destinato a finanziare gli investimenti per l'acquisto o il noleggio con patto di acquisto di trattori agricoli o forestali o di macchine agricole e forestali, caratterizzati da soluzioni innovative per l'abbattimento delle emissioni inquinanti, la riduzione del rischio rumore, il miglioramento del rendimento e della sostenibilità globali delle aziende agricole, nel rispetto del regolamento (UE) n. 702/2014 della Commissione, del 25 giugno 2014, e vi possono accedere le micro e le piccole imprese operanti nel settore della produzione agricola primaria dei prodotti agricoli»,

impegna il Governo

a garantire l'opportunità richiamata in premessa anche alle imprese agromeccaniche, la cui attività è considerata agricola ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 99 del 2004.
9/3444-A/69Carra, Romanini, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    al comma 492 dell'articolo 1 del presente disegno di legge si stabilisce che: «al fine di favorire il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, con effetto dal 1o gennaio 2016, presso l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) è istituito un fondo con la dotazione di 45 milioni di euro per l'anno 2016 e di 35 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017. Il fondo è destinato a finanziare gli investimenti per l'acquisto o il noleggio con patto di acquisto di trattori agricoli o forestali o di macchine agricole e forestali, caratterizzati da soluzioni innovative per l'abbattimento delle emissioni inquinanti, la riduzione del rischio rumore, il miglioramento del rendimento e della sostenibilità globali delle aziende agricole, nel rispetto del regolamento (UE) n. 702/2014 della Commissione, del 25 giugno 2014, e vi possono accedere le micro e le piccole imprese operanti nel settore della produzione agricola primaria dei prodotti agricoli»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di garantire l'opportunità richiamata in premessa anche alle imprese agromeccaniche, la cui attività è considerata agricola ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 99 del 2004.
9/3444-A/69. (Testo modificato nel corso della seduta)  Carra, Romanini, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    in base all'articolo 6, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 è prevista l'imponibilità dei proventi, indennità o risarcimenti (anche assicurativi) riscossi in sostituzione di redditi;
    questa previsione normativa sta determinando nell'ambito dei territori della Riviera del Brenta colpiti dal tornado dell'8 luglio 2015 contenziosi tra cittadini e fisco dagli aspetti molto controversi; i comuni maggiormente colpiti dalla suddetta calamità sono quelli di Mira, Dolo e Pianiga con 71 milioni di euro di danni complessivi di cui 44,9 a Dolo, 19,2 a Pianiga e 6,5 a Mira; la maggior parte dei quali si sono verificati sulle abitazioni private;
    la situazione paradossale che si viene a determinare in base alla citata norma del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 è che i risarcimenti delle assicurazioni finiscono per essere ulteriormente tassati poiché le somme liquidate dalle compagnie assicurative, a copertura dei danni subiti, vanno inserite nella dichiarazione dei redditi e quindi conseguentemente soggette a tassazione;
    al fine di superare al più presto le criticità che hanno colpito i territori devastati da calamità naturali, nel corso della riunione dei sindaci dei comuni interessati con il commissario delegato per gli interventi di ricostruzione, nominato a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, e emersa anche la necessità di assicurare l'esclusione dal reddito imponibile dei risarcimenti ottenuti delle assicurazioni così da destinare maggiori risorse agli investimenti e garantire una rapida ricostruzione e un più rapido ritorno alla normalità,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare specifiche iniziative per definire idonee agevolazioni fiscali nelle aree colpite da eventi calamitosi anche prevedendo, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, l'esclusione dal reddito imponibile dei rimborsi assicurativi ricevuti a fronte dei danni subiti.
9/3444-A/70Martella, Mognato, Moretto, Murer, Zoggia.


   La Camera,
   premesso che:
    è stato approvato l'emendamento 1.1 del Governo che aggiunge, all'articolo 1, i commi da 548-octies a 548-duodecies, concernenti la disciplina delle procedure per la predisposizione di un «Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia»;
    il Programma, in particolare, è finalizzato alla realizzazione di interventi urgenti per la rigenerazione delle aree urbane degradate e l'accrescimento della sicurezza territoriale, per il potenziamento delle prestazioni urbane, anche in relazione alla mobilità sostenibile ed allo sviluppo di pratiche per l'inclusione sociale, come quelle del terzo settore e del Servizio civile nazionale (come specificato dal sub. 0.1.1.42), nonché per l'attuazione di nuovi modelli di welfare metropolitano, anche con riferimento all'adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali (e come aggiunto dal sub. 01.1.68) culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali (e sulla base del sub 0.1.1.55) educative promosse da soggetti pubblici e privati;
    il Servizio civile nazionale, di cui alla legge 6 marzo 2001, n. 64, realizza, tra l'altro, progetti di inclusione sociale, finalizzati ad inglobare le periferie nell'ambito delle dinamiche che caratterizzano la città, ricostruendo i legami sociali e rafforzando in tal modo il senso di appartenenza alla comunità urbana, nonché a potenziare i servizi forniti dalle Istituzioni pubbliche e private alla persona nell'ambito delle periferie degradate;
    il programma è finanziato mediante l'istituzione di un apposito Fondo, con una dotazione di 500 milioni di euro per il 2016,

impegna il Governo:

   a realizzare il «Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia», destinando adeguate risorse finanziarie al fine di attuare il citato Programma mediante la realizzazione dei progetti di servizio civile nazionale, finalizzati allo sviluppo dell'inclusione sociale ed al potenziamento dei servizi alla persona nell'ambito delle periferie degradate;
   a prevedere l'adozione di bandi straordinari di servizio civile, recanti le modalità di redazione dei progetti, a cura del Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale.
9/3444-A/71Patriarca, Berlinghieri, Capone, Paola Boldrini, Lodolini, Bonomo, Miotto, Narduolo, Beni, Ascani, Baruffi, Amoddio, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    è stato approvato l'emendamento 1.1 del Governo che aggiunge, all'articolo 1, i commi da 548-octies a 548-duodecies, concernenti la disciplina delle procedure per la predisposizione di un «Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia»;
    il Programma, in particolare, è finalizzato alla realizzazione di interventi urgenti per la rigenerazione delle aree urbane degradate e l'accrescimento della sicurezza territoriale, per il potenziamento delle prestazioni urbane, anche in relazione alla mobilità sostenibile ed allo sviluppo di pratiche per l'inclusione sociale, come quelle del terzo settore e del Servizio civile nazionale (come specificato dal sub. 0.1.1.42), nonché per l'attuazione di nuovi modelli di welfare metropolitano, anche con riferimento all'adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali (e come aggiunto dal sub. 01.1.68) culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali (e sulla base del sub 0.1.1.55) educative promosse da soggetti pubblici e privati;
    il Servizio civile nazionale, di cui alla legge 6 marzo 2001, n. 64, realizza, tra l'altro, progetti di inclusione sociale, finalizzati ad inglobare le periferie nell'ambito delle dinamiche che caratterizzano la città, ricostruendo i legami sociali e rafforzando in tal modo il senso di appartenenza alla comunità urbana, nonché a potenziare i servizi forniti dalle Istituzioni pubbliche e private alla persona nell'ambito delle periferie degradate;
    il programma è finanziato mediante l'istituzione di un apposito Fondo, con una dotazione di 500 milioni di euro per il 2016,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    realizzare il «Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia», destinando adeguate risorse finanziarie al fine di attuare il citato Programma mediante la realizzazione dei progetti di servizio civile nazionale, finalizzati allo sviluppo dell'inclusione sociale ed al potenziamento dei servizi alla persona nell'ambito delle periferie degradate;
    prevedere l'adozione di bandi straordinari di servizio civile, recanti le modalità di redazione dei progetti, a cura del Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale.
9/3444-A/71. (Testo modificato nel corso della seduta)  Patriarca, Berlinghieri, Capone, Paola Boldrini, Lodolini, Bonomo, Miotto, Narduolo, Beni, Ascani, Baruffi, Amoddio, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca interventi non soddisfacenti sul fronte della ricerca e l'innovazione, quali il mancato rafforzamento del credito di imposta introdotto con la legge di Stabilità 2015, indispensabile al fine di favorire gli investimenti di imprese nazionali ed estere, l'assenza di un rifinanziamento dei voucher per la digitalizzazione delle piccole e medie imprese e dei contratti di rete;
    l'unico intervento concernente ricerca e innovazione è stato introdotto nel corso dell'esame del provvedimento al Senato ove è stata in sostanza estesa la tipologia dei soggetti ammissibili agli incentivi nei settori della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione, finanziati nell'ambito del FIRST (Fondo per gli investimenti in ricerca scientifica e tecnologica) prevedendo, tra l'altro, anche società composte da professori e ricercatori ed altri enti pubblici che operano in alcuni settori della ricerca ed inserendo, tra le attività ammesse all'intervento di sostegno, anche quella industriale, di sviluppo precompetitivo e di diffusione di tecnologie;
    purtuttavia, risultano sostanzialmente assenti misure di politica industriale rivolte a sostegno dei settori innovativi che operano nella conversione del sistema produttivo energetico verso un modello efficiente e basso consumo di energia prodotta da fonti rinnovabili,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa di competenza finalizzata a rafforzare gli investimenti in ricerca e sviluppo nel campo delle energie rinnovabili, del risparmio energetico e dei servizi collettivi ad alto contenuto tecnologico, nonché nell'ideazione di nuovi prodotti che realizzino un significativo miglioramento della protezione dell'ambiente per la salvaguardia dell'assetto idrogeologico e le bonifiche ambientali, nonché nella prevenzione del rischio sismico;
   a valutare l'opportunità di incrementare gli investimenti in materia di efficienza negli usi finali dell'energia nei settori civile, industriale e terziario, ivi compresi gli interventi di social housing.
9/3444-A/72Ricciatti, Ferrara, Pellegrino, Duranti, Zaratti.


   La Camera,
   premesso che:
    dalla lettura del provvedimento in esame, anche a seguito delle modifiche introdotte in sede referente, appare del tutto evidente l'assenza di un piano strutturale per il rilancio dell'economia nel Mezzogiorno. A ciò si aggiunga che, come rilevato dalla Banca d'Italia in sede di audizione al Senato, il debito continua a rimanere troppo alto, mentre l'ISTAT misura una crescita 2016 troppo modesta rispetto alle attese, stigmatizzando una ripresa molto debole nel 2016 e leggermente superiore nel 2017;
    con particolare riferimento al Mezzogiorno, emerge, in tutta la sua evidenza, la perdurante discrepanza tra le annunciate politiche governative volte al rilancio dell'industria italiana e le misure concrete effettivamente adottate. Il 7 dicembre, a Palazzo Chigi, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti ha presieduto riunioni politico-tecniche con i Presidenti di quattro regioni – Paolo Di Laura Frattura Molise), Luciano D'Alfonso (Abruzzo), Mario Oliverio (Calabria) e Vincenzo De Luca (Campania) – per stringere le intese sugli interventi prioritari da realizzare nei rispettivi territori allo scopo di contribuire al loro rilancio produttivo ed occupazionale. Il 9 dicembre sono stati previsti in calendario incontri con i Presidenti Michele Emiliano (Puglia), Marcello Pittella (Basilicata) e Rosario Crocetta (Sicilia), mentre lunedì 14 dicembre sarà la volta del Presidente della Sardegna Francesco Pigliaru. Infine gli incontri conclusivi con le otto Città Metropolitane. Insomma una sorta di vero e proprio rush finale che ha per obiettivo la firma dei patti per il sud prima di Natale;
    il quadro di riferimento entro cui si collocano le scelte operative nel confronto Governo-regioni-città metropolitane sui sedici patti per il Sud indicati dal Masterplan per il Mezzogiorno-Linee Guida pubblicate sul sito internet della Presidenza del Consiglio dei ministri in data 6 novembre 2015 dovrebbe orientare via prioritaria le risorse rinvenienti dai fondi strutturali FERS e FSE 2014-2020 pari a 56,2 miliardi di euro cui si aggiungono i fondi di cofinanziamento regionale per 4,3 miliardi di euro a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione al perseguimento degli obiettivi contenuti nelle impegni delle mozioni presentate da diversi Gruppi parlamentari approvate lo scorso aprile dalla Camera dei deputati,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa di competenza finalizzata a disporre la messa a regime di forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, a favore delle imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;

   a valutare l'opportunità di adottare ogni atto di competenza finalizzato a realizzare un concreto ammodernamento dell'intera rete infrastrutturale del Sud, quale presupposto determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di collocamento geostrategico degli scambi internazionali lungo le direttrici nord-sud e est-ovest, nonché a incrementare gli investimenti nella riqualificazione del territorio, la rigenerazione delle città, con uno specifico programma di risanamento urbano per le città capitali del Sud a partire dalla città di Napoli, e l'ammodernamento della rete dei trasporti, gli assi viari, i collegamenti ferroviari tra le città del Mezzogiorno, le opere di consolidamento idrogeologico, di adeguamento statico e di efficientamento energetico degli edifici e di risanamento dell'edilizia pubblica e scolastica e il risanamento dei centri storici e delle periferie.
9/3444-A/73Ferrara, Ricciatti, Franco Bordo, Folino, Giancarlo Giordano, Duranti.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame non prevede misure volte a garantire un adeguato finanziamento ed efficientamento del trasporto pubblico locale;
    il Fondo Nazionale Trasporti istituito con la legge di stabilità per il 2013 non garantisce il pieno ristoro delle risorse del settore rispetto ai tagli operati negli ultimi anni ed è insufficiente a far fronte, non solo agli oneri derivanti dai contratti di servizio in essere, ma soprattutto al rinnovo del materiale rotabile, alla manutenzione straordinaria delle infrastrutture, all'innovazione tecnologica e al rinnovo dei contratti. Per garantire un ristoro completo rispetto alle decurtazioni precedenti, la dotazione del fondo dovrebbe essere elevata da 4.929 milioni di euro a 6.330 milioni di euro;
    a tutto questo fanno da contraltare gli importanti finanziamenti per le grandi opere come il TAV e il MOSE che potrebbero essere meglio impiegate per il perseguimento di altre finalità quali la manutenzione e la messa in sicurezza della rete ferroviaria italiana, la manutenzione delle principali infrastrutture di trasporto esistenti e il miglioramento dell'offerta di trasporto pubblico locale. In particolare, il mancato miglioramento dell'offerta del trasporto pubblico locale si ripercuote inesorabilmente nei confronti dei pendolari come peraltro emerge dal rapporto quanto dal rapporto Pendolaria 2014 curato da Legambiente;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo appare quanto mai urgente, stante la critica e non più sopportabile situazione in cui versano in particolare gli utenti del trasporto pubblico locale pendolare, impedire il taglio dei collegamenti ferroviari e avviare un'azione di monitoraggio sulla rete pubblica affidata in concessione a RFI finalizzata ad un ripensamento degli investimenti indispensabili ad aumentare la velocità dei collegamenti che parta innanzitutto dalla necessità di valorizzare la presenza di treni pendolari rispetto a quelli a mercato nella definizione delle tracce. I treni pendolari italiani, peraltro, sono i più lenti d'Europa. La media è di 35,9 km/h sulle linee di collegamento con le grandi città, mentre è di 51 in Spagna, 48,1 in Germania, 46,6 in Francia ed i 40,5 del Regno Unito. Oltre che lenti, i treni sono anche vecchi,

impegna il Governo

   a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa utile finalizzata ad adottare finalmente scelte coraggiose e mirate in termini di mobilità e trasporto pendolare, a partire dallo stanziamento di maggiori risorse per arrivare a 5.000.000 di cittadini trasportati ogni giorno nel 2020, portando il trasporto ferroviario agli stessi standard qualitativi europei.
9/3444-A/74Franco Bordo, Folino, Ricciatti, Duranti, Pannarale, Ferrara.


   La Camera,
   premesso che:
    sono passati quattro anni dall'entrata in vigore della manovra finanziaria che ha modificato il sistema pensionistico italiano, con lo scopo di far fronte ai debiti dello Stato con le risorse del sistema previdenziale;
    tale riforma contiene numerose iniquità ed errori che i Governi che si sono succeduti non hanno voluto correggere mediante un intervento strutturale;

l'iniquità più nota è quella dei lavoratori chiamati «esodati», generati della mancanza di una seria disposizione di transizione per consentire il passaggio graduale dal vecchio al nuovo sistema a quei lavoratori e lavoratrici che si trovavano prossimi alla maturazione dei requisiti di età e di contribuzione per ottenere il trattamento pensionistico;
    per porvi rimedio sono stati adottati ben sei provvedimenti di salvaguardia dei lavoratori esodati e un settimo è recato dalla legge di stabilità in esame;
    ogni volta il Governo si è affrettato a precisare che si sarebbe trattato dell'ultimo e risolutivo intervento, ma puntualmente si è verificato che molti altri lavoratori esodati non rientravano nella fattispecie legislativa e la loro sorte, senza lavoro e senza possibilità di accedere alla pensione, è rimasta in balia del caso;
    la salvaguardia recata dalla legge di stabilità in esame non fa eccezione e sembrerebbe lasciare nel limbo ancora molti lavoratori esodati, stimati in un numero superiore a ventimila unità. Numeri certi non ce ne sono mai, perché il Governo e l'INPS non hanno mai condotto una seria verifica sui numeri, ma anche perché il procedere in maniera casistica – anziché con una disposizione transitoria generale che valga per tutti – porta inevitabilmente a mantenere confini mobili e incerti relativi a chi possa rientrare nella definizione di lavoratore esodato;
    ad esempio, come ha dichiarato il presidente dell'INPS Boeri, sono esodati dei quali bisognerebbe preoccuparsi, ma che non sono mai stati presi in considerazione «soprattutto i lavoratori di piccole imprese dove non c'erano accordi, che semplicemente sono stati licenziati e non sono mai stati coperti, che si trovano tra i 55 e i 65 anni e che si sono ridotti in povertà»;
    a causa di una manovra pensionistica del 2011, scritta ad occhi chiusi, e nonostante sette salvaguardie, inclusa l'attuale, continueranno ad esserci molte lavoratrici, lavoratori e le loro famiglie che vivranno una situazione di disagio, anche estremo, per l'assenza del lavoro e della pensione, alla quale avrebbero avuto accesso in questi anni, sulla base delle regole del previgente sistema;
    non va taciuto che la disposizione della legge di stabilità in esame, che reca la settima salvaguardia, è scritta con una tecnica legislativa molto complessa, ma anche involuta, che rischia di porre problemi di interpretazione e, certamente, manca dell'elementare requisito della leggibilità, aggravato dal fatto che la presentazione del maxi-emendamento, conseguente alla fiducia apposta al Senato, ha ridotto l'unitarietà dell'articolo in una serie di commi dispersi tra molte centinaia di altri commi;
    è particolarmente grave, inoltre, aver previsto per la presentazione delle domande di accesso alla settimana salvaguardia un termine decadenziale di 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità, trasformando l'accesso ad un meritato diritto in una corsa ad ostacoli, dove la disattenzione o la mancanza di informazione potrebbe comportare un danno enorme. Tale termine è troppo breve, ma anche ingiustificato, considerando che le disposizioni contengono un limite numerico e un tetto di spesa,

impegna il Governo

a provvedere con il primo provvedimento utile, in attesa di una modifica strutturale della manovra pensionistica del 2011, a salvaguardare le lavoratrici e i lavoratori esodati non inclusi nella salvaguardia recata dalla legge di stabilità in esame, coinvolgendo nella definizione della platea degli aventi diritto l'INPS e le associazioni e i comitati che rappresentano i lavoratori esodati.
9/3444-A/75Airaudo, Placido, Pannarale, Fassina, Scotto.


   La Camera,
   premesso che:
    sono passati quattro anni dall'entrata in vigore della manovra finanziaria che ha modificato il sistema pensionistico italiano, con lo scopo di far fronte ai debiti dello Stato con le risorse del sistema previdenziale;
    tale riforma contiene numerose iniquità ed errori che i Governi che si sono succeduti non hanno voluto correggere mediante un intervento strutturale;

l'iniquità più nota è quella dei lavoratori chiamati «esodati», generati della mancanza di una seria disposizione di transizione per consentire il passaggio graduale dal vecchio al nuovo sistema a quei lavoratori e lavoratrici che si trovavano prossimi alla maturazione dei requisiti di età e di contribuzione per ottenere il trattamento pensionistico;
    per porvi rimedio sono stati adottati ben sei provvedimenti di salvaguardia dei lavoratori esodati e un settimo è recato dalla legge di stabilità in esame;
    ogni volta il Governo si è affrettato a precisare che si sarebbe trattato dell'ultimo e risolutivo intervento, ma puntualmente si è verificato che molti altri lavoratori esodati non rientravano nella fattispecie legislativa e la loro sorte, senza lavoro e senza possibilità di accedere alla pensione, è rimasta in balia del caso;
    la salvaguardia recata dalla legge di stabilità in esame non fa eccezione e sembrerebbe lasciare nel limbo ancora molti lavoratori esodati, stimati in un numero superiore a ventimila unità. Numeri certi non ce ne sono mai, perché il Governo e l'INPS non hanno mai condotto una seria verifica sui numeri, ma anche perché il procedere in maniera casistica – anziché con una disposizione transitoria generale che valga per tutti – porta inevitabilmente a mantenere confini mobili e incerti relativi a chi possa rientrare nella definizione di lavoratore esodato;
    ad esempio, come ha dichiarato il presidente dell'INPS Boeri, sono esodati dei quali bisognerebbe preoccuparsi, ma che non sono mai stati presi in considerazione «soprattutto i lavoratori di piccole imprese dove non c'erano accordi, che semplicemente sono stati licenziati e non sono mai stati coperti, che si trovano tra i 55 e i 65 anni e che si sono ridotti in povertà»;
    a causa di una manovra pensionistica del 2011, scritta ad occhi chiusi, e nonostante sette salvaguardie, inclusa l'attuale, continueranno ad esserci molte lavoratrici, lavoratori e le loro famiglie che vivranno una situazione di disagio, anche estremo, per l'assenza del lavoro e della pensione, alla quale avrebbero avuto accesso in questi anni, sulla base delle regole del previgente sistema;
    non va taciuto che la disposizione della legge di stabilità in esame, che reca la settima salvaguardia, è scritta con una tecnica legislativa molto complessa, ma anche involuta, che rischia di porre problemi di interpretazione e, certamente, manca dell'elementare requisito della leggibilità, aggravato dal fatto che la presentazione del maxi-emendamento, conseguente alla fiducia apposta al Senato, ha ridotto l'unitarietà dell'articolo in una serie di commi dispersi tra molte centinaia di altri commi;
    è particolarmente grave, inoltre, aver previsto per la presentazione delle domande di accesso alla settimana salvaguardia un termine decadenziale di 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità, trasformando l'accesso ad un meritato diritto in una corsa ad ostacoli, dove la disattenzione o la mancanza di informazione potrebbe comportare un danno enorme. Tale termine è troppo breve, ma anche ingiustificato, considerando che le disposizioni contengono un limite numerico e un tetto di spesa,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di provvedere con il primo provvedimento utile, in attesa di una modifica strutturale della manovra pensionistica del 2011, a salvaguardare le lavoratrici e i lavoratori esodati non inclusi nella salvaguardia recata dalla legge di stabilità in esame, coinvolgendo nella definizione della platea degli aventi diritto l'INPS e le associazioni e i comitati che rappresentano i lavoratori esodati.
9/3444-A/75. (Testo modificato nel corso della seduta)  Airaudo, Placido, Pannarale, Fassina, Scotto.


   La Camera,
   premesso che:
    durante l'esame della legge di stabilità è stato approvato un emendamento che interviene a modificare l'articolo 13 della legge 431 del 1998 in materia di locazioni ad uso abitativo; le modifiche apportate, in apparenza minime, possono determinare effetti molto negativi per gli inquilini, considerati fondatamente la parte più debole del rapporto contrattuale locatizio; in particolare viene modificato l'articolo 13, comma 5, nella parte che riguarda i contratti conclusi in forma verbale;
    con sentenza numero 18214 del settembre 2015, le Sezioni unite della Cassazione hanno chiarito che il contratto concluso solo in forma verbale (o contratto di fatto) è nullo in maniera insanabile ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 431 del 1998 per mancanza della forma scritta;
    riconosce la Cassazione che l'unica ipotesi in cui la legge prevede la possibilità di sanare la nullità del contratto è quella prevista dal citato articolo 13, comma 5, a beneficio del solo il conduttore, che può agire giudizialmente per ottenere la registrazione del contratto, provando:
     a) l'esistenza del contratto verbale di locazione;
     b) che il locatore ha preteso l'instaurazione di un rapporto di locazione di fatto;
    fornire la prova della «pretesa» del locatore di instaurare un contratto solo verbale è difficile, anzi improbabile nella maggioranza dei casi. Se non si fornisce la predetta prova, il contratto è nullo e il proprietario di casa può pretendere che l'inquilino liberi prontamente l'immobile, senza neppure fare ricorso alla procedura di sfratto, in quanto l'occupazione dell'immobile è considerata abusiva;
    l'emendamento alla legge di stabilità interviene ad eliminare anche questa unica possibilità da parte dell'inquilino di rendere legale il contratto. Vieni invece previsto, del tutto genericamente, che il conduttore possa agire in giudizio quando il locatore non ha provveduto alla registrazione del contratto, a cui lo obbliga una nuova previsione introdotta dallo stesso emendamento;
    è evidente che la fattispecie della mancata registrazione è del tutto diversa dall'ipotesi del contratto concluso in forma orale o di fatto. Infatti, la mancata registrazione presuppone comunque l'esistenza di un contratto in forma scritta, a cui obbliga l'articolo 1, comma 4, della legge;
    il contratto concluso verbalmente, invece, non può essere registrato, dal momento che è e resta nullo per violazione dell'articolo 1, comma 4, che l'emendamento non ha modificato. In altre parole, la situazione per i contratti conclusi verbalmente va ad essere peggiorata, perché non saranno mai sanabili, neppure nell'ipotesi oggi prevista in cui sono frutto di un abuso del proprietario/locatore, dimostrabile in giudizio;
    la sentenza della Corte di cassazione che ho sopra citato, ha definito in maniera chiara che la legge 431 del 1998 ha come ratio unicamente quella della emersione dell'evasione fiscale, quindi la tutela di un interesse pubblico. Per tale legge, infatti, proprietario e inquilino non sono in una situazione di asimmetria in ragione della quale il locatore deve ricevere protezione. Infatti, a tacere di quanto previsto dagli altri articoli della legge, nel caso del contratto concluso verbalmente, la legge prevede si la possibilità di salvare la nullità « ad essentiam» solo a favore dell'inquilino, ma unicamente se questi riesce a dare la prova dell'abuso, ovvero della «pretesa», del proprietario di non ricorrere alla forma scritta. Quindi, non vi è nessuna presunzione o automaticità favorevole al conduttore;
    pertanto l'emendamento introdotto nella legge di stabilità ha modificato la legge in senso sfavorevole agli inquilini nei casi di contratti verbali, che sono la maggior parte del contratti in nero;
    se l'intento dell'emendamento era quello di intervenire a favore degli inquilini con contratto concluso verbalmente, sarebbe stato necessario ampliare le ipotesi in cui il conduttore può ricorrere al giudice facendo riconoscere l'esistenza del contratto, eliminando l'obbligo di dover dimostrare l'abuso del proprietario, che non sarebbe infondato presumere, salvo la prova contraria;
    a poco serve che l'emendamento abbia previsto che in caso di esisto favorevole del giudizio instaurato dall'inquilino (che comunque dovrà avere un contratto scritto) il canone di locazione debba essere rideterminato nel valore minimo stabilito dagli accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative. Tale disposizione – peraltro – non è immune da profili di incostituzionalità, oltre che non aver previsto – a favore dell'inquilino – che sia fatto salvo il canone previsto dal contratto quando risulti più basso di quello che il giudice andrebbe a rideterminare;
    allo stesso modo non comporta alcuna differenza, sul piano interpretativo, l'aver lasciato nel comma 5 il riferimento all'accertamento dell’«esistenza del contratto» che fa comunque riferimento ad un contratto scritto e non fa venire meno il dato normativo in materia di nullità del contratto verbale;
    quello recato dalla legge di stabilità appare essere l'ennesimo intervento confuso, illogico e con conseguenze pratiche ed economiche negative nei confronti degli inquilini;
    infatti, con la sentenza del 10 marzo 2014, n. 50, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. Tali commi stabilivano una disciplina legale sostitutiva nel caso in cui il contratto di locazione fosse «in nero» e l'inquilino avesse proceduto alla registrazione;
    all'inquilino che registrava il contratto veniva riconosciuto un contratto di locazione della durata di quattro anni più quattro, e la riduzione del canone annuo di locazione in misura pari al triplo della rendita catastale;
    dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, le Associazioni degli inquilini avevano avviato una campagna per la registrazione dei contratti in nero, evidenziando i vantaggi economici e di durata che questo comportava per gli inquilini che procedevano alla registrazione; secondo le stime diffuse da tali Associazioni, nel 2011 i contratti di locazione erano oltre 500 mila, con punte a Roma di ben il 90 per cento tra i contratti degli studenti fuori sede (circa 70 mila contratti); la citata sentenza della Corte costituzionale ha giudicato, del tutto correttamente, che la specifica misura per l'emersione delle locazioni in nero fosse incostituzionale in quanto inserita dal Governo nel decreto legislativo in mancanza di delega ricevuta dal Parlamento;
    subito dopo la sentenza della Corte costituzionale, il legislatore ha introdotto l'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80, secondo cui «Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23»;
    come emerge dai lavori parlamentari e dalle dichiarazioni del relatore, con questa norma il Parlamento ha inteso salvaguardare «fino al 31 dicembre 2015 gli effetti della legge contro gli affitti in nero che la Corte costituzionale ha cancellato. Si è trovata una soluzione che non mette in discussione la sentenza, ma riconosce che coloro che ne hanno beneficiato oggi non possono subire le conseguenze di aver applicato la legge e garantisce loro un tempo congruo per non dover sopportare un aggravio ingiusto delle proprie condizioni di vita»;
    tuttavia, anche la nuova norma è stata portata dinanzi alla Corte costituzionale, che – con la sentenza 24 giugno 2015, n. 169 – ha riconosciuto che con essa il Parlamento ha inteso perseguire l'obiettivo «di preservare, per un certo tempo, gli effetti prodotti dalla normativa dichiarata costituzionalmente illegittima, facendo beneficiare di una singolare prorogatio la categoria degli inquilini». Pertanto, anche l'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 è stato dichiarato incostituzionale;
    a seguito delle sentenze della Corte costituzionale, che hanno evidenziato una eccessiva superficialità del legislatore, anche di quello delegato, si è venuta a creare una situazione difficile per gli inquilini che avevano solo un contratto verbale;
    molti di loro, facendo affidamento sulla norma, hanno proceduto alla registrazione dei contratti, con l'effetto che quando questa è stata dichiarata incostituzionale hanno subito conseguenze giudiziarie ed economiche non irrilevanti e in molti casi hanno dovuto liberare l'immobile nel quale abitavano; lo Stato ha fatto ricadere su di loro per intero le conseguenze di una legge incostituzionale e si è completamente disinteressato della loro situazione;
    tuttavia nel corso dell'esame alla Camera del presente disegno di legge è stato modificato il comma 32, capoverso articolo 13, con un emendamento che cerca di rimediare agli effetti negativi sugli inquilini delle disposizioni dichiarate incostituzionali;
    l'emendamento inserito nella legge di stabilità stabilisce che gli inquilini (conduttori) che avevano fatto affidamento sulla disposizione dichiarata incostituzionale sono tenuti a pagare – per il periodo tra il 7 aprile 2011 e il 16 luglio 2015 (data di deposito della seconda sentenza della Corte costituzionale) – un canone di locazione pari al triplo della rendita catastale dell'immobile;
    purtroppo – e per la terza volta – il legislatore sta approvando una norma palesemente incostituzionale, anche se le finalità perseguite sono lodevoli. Le ulteriori conseguenze negative della probabile futura dichiarazione di incostituzionalità saranno pagate dalle stesse persone che la disposizione cerca di aiutare;
    infatti, non si può intervenire su un rapporto giuridico tra privati con effetti retroattivi, imponendo per legge delle clausole diverse da quelle che erano state stabilite nel contratto, peraltro sulla base solo di una violazione tributaria dovuta alla mancanza della registrazione;
    vengono violati diversi articoli della Costituzione a partire dall'articolo 42 sulla libertà di iniziativa economica e senza che nell'emendamento sia stata inserita alcuna motivazione che possa rappresentare un idoneo bilanciamento alla violazione del predetto articolo;
    la nuova previsione legislativa crea anche una irragionevole disparità di trattamento tra locatore e conduttore, in quanto, malgrado siano entrambi obbligati al pagamento della imposta di registro, soltanto il primo sarebbe sanzionato, mentre il secondo premiato con una sostituzione del canone pattuito con altro determinato ex lege in misura irrisoria;
    vi sarebbe anche una violazione dell'articolo 53 Cost., in quanto le sanzioni previste dalla normativa oggetto di censura risulterebbero ingiustificatamente penalizzanti per il locatore, dal momento che sostituiscono il canone convenzionale con altro determinato ex lege in misura irrisoria, e premiali, invece, per il conduttore;
    potrebbe sussistere, infine, anche una violazione dell'articolo 3 della Costituzione perché la disposizione si applica alle locazioni ad uso abitativo, ma non a quelle commerciali (ancora una volta senza una valida motivazione);
    è sufficiente leggere la sentenza n. 50 del 2014 della Corte costituzionale per verificare che diversi Tribunali avevano già sollevato questione di illegittimità costituzionale rispetto ai parametri sopra indicati. Tuttavia, la Corte non aveva esaminato tali profili sostanziali, essendo preminente e assorbente il motivo della violazione dell'articolo 76 Cost. (ovvero l'eccesso di delega);
    l'unica via per sanare la questione che si è venuta a produrre con la dichiarazione di incostituzionalità dell'originaria disposizione del 2011 sarebbe la costituzione di un Fondo pubblico che tenga indenni dalle conseguenze economiche gli inquilini che avevano fatto affidamento sulla disposizione incostituzionale;
    Governo e Parlamento possono immaginare anche altre modalità di intervento, ma sempre e solo mediante l'intervento pubblico. In nessun caso sarebbe oggi possibile addossare sui proprietari degli immobili le conseguenze economiche prodotte dalla disposizione dichiarata incostituzionale. Ogni tentativo in questo senso è destinato a naufragare dinanzi alla Corte costituzionale. Con il rischio, però, che molte persone, economicamente deboli, si imbarchino in nuove spese giudiziarie confidando in una norma che verrà dichiarata incostituzionale. Alla fine si troveranno a pagare ulteriori soldi per canoni non versati, interessi e spese legali;
    attualmente non esistono disposizioni di legge che contrastino il mercato delle locazioni in nero mediante contratti verbali e che, al contempo tutelino gli inquilini che si trovano in tale situazione; in tale contesto, la novella recata dalla legge di stabilità contribuirà a peggiorare la situazione degli inquilini, ma produrrà anche l'effetto di accrescere nel nostro Paese un problema sociale rilevantissimo di evasione fiscale,

impegna il Governo

a far fronte al problema delle locazioni in nero partendo dal principio della tutela degli inquilini, approfondendo gli effetti della novella recata dalla legge di stabilità con particolare riferimento ai contratti conclusi verbalmente o di fatto e valutando l'opportunità di creare un fondo per sostenere gli inquilini che in maniera incolpevole hanno fatto affidamento sulla disposizione del 2011, citata in premessa, dichiarata incostituzionale.
9/3444-A/76Pellegrino, Zaratti.


   La Camera,
   premesso che:
    durante l'esame della legge di stabilità è stato approvato un emendamento che interviene a modificare l'articolo 13 della legge 431 del 1998 in materia di locazioni ad uso abitativo; le modifiche apportate, in apparenza minime, possono determinare effetti molto negativi per gli inquilini, considerati fondatamente la parte più debole del rapporto contrattuale locatizio; in particolare viene modificato l'articolo 13, comma 5, nella parte che riguarda i contratti conclusi in forma verbale;
    con sentenza numero 18214 del settembre 2015, le Sezioni unite della Cassazione hanno chiarito che il contratto concluso solo in forma verbale (o contratto di fatto) è nullo in maniera insanabile ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 431 del 1998 per mancanza della forma scritta;
    riconosce la Cassazione che l'unica ipotesi in cui la legge prevede la possibilità di sanare la nullità del contratto è quella prevista dal citato articolo 13, comma 5, a beneficio del solo il conduttore, che può agire giudizialmente per ottenere la registrazione del contratto, provando:
     a) l'esistenza del contratto verbale di locazione;
     b) che il locatore ha preteso l'instaurazione di un rapporto di locazione di fatto;
    fornire la prova della «pretesa» del locatore di instaurare un contratto solo verbale è difficile, anzi improbabile nella maggioranza dei casi. Se non si fornisce la predetta prova, il contratto è nullo e il proprietario di casa può pretendere che l'inquilino liberi prontamente l'immobile, senza neppure fare ricorso alla procedura di sfratto, in quanto l'occupazione dell'immobile è considerata abusiva;
    l'emendamento alla legge di stabilità interviene ad eliminare anche questa unica possibilità da parte dell'inquilino di rendere legale il contratto. Vieni invece previsto, del tutto genericamente, che il conduttore possa agire in giudizio quando il locatore non ha provveduto alla registrazione del contratto, a cui lo obbliga una nuova previsione introdotta dallo stesso emendamento;
    è evidente che la fattispecie della mancata registrazione è del tutto diversa dall'ipotesi del contratto concluso in forma orale o di fatto. Infatti, la mancata registrazione presuppone comunque l'esistenza di un contratto in forma scritta, a cui obbliga l'articolo 1, comma 4, della legge;
    il contratto concluso verbalmente, invece, non può essere registrato, dal momento che è e resta nullo per violazione dell'articolo 1, comma 4, che l'emendamento non ha modificato. In altre parole, la situazione per i contratti conclusi verbalmente va ad essere peggiorata, perché non saranno mai sanabili, neppure nell'ipotesi oggi prevista in cui sono frutto di un abuso del proprietario/locatore, dimostrabile in giudizio;
    la sentenza della Corte di cassazione che ho sopra citato, ha definito in maniera chiara che la legge 431 del 1998 ha come ratio unicamente quella della emersione dell'evasione fiscale, quindi la tutela di un interesse pubblico. Per tale legge, infatti, proprietario e inquilino non sono in una situazione di asimmetria in ragione della quale il locatore deve ricevere protezione. Infatti, a tacere di quanto previsto dagli altri articoli della legge, nel caso del contratto concluso verbalmente, la legge prevede si la possibilità di salvare la nullità « ad essentiam» solo a favore dell'inquilino, ma unicamente se questi riesce a dare la prova dell'abuso, ovvero della «pretesa», del proprietario di non ricorrere alla forma scritta. Quindi, non vi è nessuna presunzione o automaticità favorevole al conduttore;
    pertanto l'emendamento introdotto nella legge di stabilità ha modificato la legge in senso sfavorevole agli inquilini nei casi di contratti verbali, che sono la maggior parte del contratti in nero;
    se l'intento dell'emendamento era quello di intervenire a favore degli inquilini con contratto concluso verbalmente, sarebbe stato necessario ampliare le ipotesi in cui il conduttore può ricorrere al giudice facendo riconoscere l'esistenza del contratto, eliminando l'obbligo di dover dimostrare l'abuso del proprietario, che non sarebbe infondato presumere, salvo la prova contraria;
    a poco serve che l'emendamento abbia previsto che in caso di esisto favorevole del giudizio instaurato dall'inquilino (che comunque dovrà avere un contratto scritto) il canone di locazione debba essere rideterminato nel valore minimo stabilito dagli accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative. Tale disposizione – peraltro – non è immune da profili di incostituzionalità, oltre che non aver previsto – a favore dell'inquilino – che sia fatto salvo il canone previsto dal contratto quando risulti più basso di quello che il giudice andrebbe a rideterminare;
    allo stesso modo non comporta alcuna differenza, sul piano interpretativo, l'aver lasciato nel comma 5 il riferimento all'accertamento dell’«esistenza del contratto», che fa comunque riferimento ad un contratto scritto e non fa venire meno il dato normativo in materia di nullità del contratto verbale;
    quello recato dalla legge di stabilità appare essere l'ennesimo intervento confuso, illogico e con conseguenze pratiche ed economiche negative nei confronti degli inquilini;
    infatti, con la sentenza del 10 marzo 2014, n. 50, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. Tali commi stabilivano una disciplina legale sostitutiva nel caso in cui il contratto di locazione fosse «in nero» e l'inquilino avesse proceduto alla registrazione;
    all'inquilino che registrava il contratto veniva riconosciuto un contratto di locazione della durata di quattro anni più quattro, e la riduzione del canone annuo di locazione in misura pari al triplo della rendita catastale;
    dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, le Associazioni degli inquilini avevano avviato una campagna per la registrazione dei contratti in nero, evidenziando i vantaggi economici e di durata che questo comportava per gli inquilini che procedevano alla registrazione; secondo le stime diffuse da tali Associazioni, nel 2011 i contratti di locazione erano oltre 500 mila, con punte a Roma di ben il 90 per cento tra i contratti degli studenti fuori sede (circa 70 mila contratti); la citata sentenza della Corte costituzionale ha giudicato, del tutto correttamente, che la specifica misura per l'emersione delle locazioni in nero fosse incostituzionale in quanto inserita dal Governo nel decreto legislativo in mancanza di delega ricevuta dal Parlamento;
    subito dopo la sentenza della Corte costituzionale, il legislatore ha introdotto l'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80, secondo cui «Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23»;
    come emerge dai lavori parlamentari e dalle dichiarazioni del relatore, con questa norma il Parlamento ha inteso salvaguardare «fino al 31 dicembre 2015 gli effetti della legge contro gli affitti in nero che la Corte costituzionale ha cancellato. Si è trovata una soluzione che non mette in discussione la sentenza, ma riconosce che coloro che ne hanno beneficiato oggi non possono subire le conseguenze di aver applicato la legge e garantisce loro un tempo congruo per non dover sopportare un aggravio ingiusto delle proprie condizioni di vita»;
    tuttavia, anche la nuova norma è stata portata dinanzi alla Corte costituzionale, che – con la sentenza 24 giugno 2015, n. 169 – ha riconosciuto che con essa il Parlamento ha inteso perseguire l'obiettivo «di preservare, per un certo tempo, gli effetti prodotti dalla normativa dichiarata costituzionalmente illegittima, facendo beneficiare di una singolare prorogatio la categoria degli inquilini». Pertanto, anche l'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 è stato dichiarato incostituzionale;
    a seguito delle sentenze della Corte costituzionale, che hanno evidenziato una eccessiva superficialità del legislatore, anche di quello delegato, si è venuta a creare una situazione difficile per gli inquilini che avevano solo un contratto verbale;
    molti di loro, facendo affidamento sulla norma, hanno proceduto alla registrazione dei contratti, con l'effetto che quando questa è stata dichiarata incostituzionale hanno subito conseguenze giudiziarie ed economiche non irrilevanti e in molti casi hanno dovuto liberare l'immobile nel quale abitavano; lo Stato ha fatto ricadere su di loro per intero le conseguenze di una legge incostituzionale e si è completamente disinteressato della loro situazione;
    tuttavia nel corso dell'esame alla Camera del presente disegno di legge è stato modificato il comma 32, capoverso articolo 13, con un emendamento che cerca di rimediare agli effetti negativi sugli inquilini delle disposizioni dichiarate incostituzionali;
    l'emendamento inserito nella legge di stabilità stabilisce che gli inquilini (conduttori) che avevano fatto affidamento sulla disposizione dichiarata incostituzionale sono tenuti a pagare – per il periodo tra il 7 aprile 2011 e il 16 luglio 2015 (data di deposito della seconda sentenza della Corte costituzionale) – un canone di locazione pari al triplo della rendita catastale dell'immobile;
    purtroppo – e per la terza volta – il legislatore sta approvando una norma palesemente incostituzionale, anche se le finalità perseguite sono lodevoli. Le ulteriori conseguenze negative della probabile futura dichiarazione di incostituzionalità saranno pagate dalle stesse persone che la disposizione cerca di aiutare;
    infatti, non si può intervenire su un rapporto giuridico tra privati con effetti retroattivi, imponendo per legge delle clausole diverse da quelle che erano state stabilite nel contratto, peraltro sulla base solo di una violazione tributaria dovuta alla mancanza della registrazione;
    vengono violati diversi articoli della Costituzione a partire dall'articolo 42 sulla libertà di iniziativa economica e senza che nell'emendamento sia stata inserita alcuna motivazione che possa rappresentare un idoneo bilanciamento alla violazione del predetto articolo;
    la nuova previsione legislativa crea anche una irragionevole disparità di trattamento tra locatore e conduttore, in quanto, malgrado siano entrambi obbligati al pagamento della imposta di registro, soltanto il primo sarebbe sanzionato, mentre il secondo premiato con una sostituzione del canone pattuito con altro determinato ex lege in misura irrisoria;
    vi sarebbe anche una violazione dell'articolo 53 Cost., in quanto le sanzioni previste dalla normativa oggetto di censura risulterebbero ingiustificatamente penalizzanti per il locatore, dal momento che sostituiscono il canone convenzionale con altro determinato ex lege in misura irrisoria, e premiali, invece, per il conduttore;
    potrebbe sussistere, infine, anche una violazione dell'articolo 3 della Costituzione perché la disposizione si applica alle locazioni ad uso abitativo, ma non a quelle commerciali (ancora una volta senza una valida motivazione);
    è sufficiente leggere la sentenza n. 50 del 2014 della Corte costituzionale per verificare che diversi Tribunali avevano già sollevato questione di illegittimità costituzionale rispetto ai parametri sopra indicati. Tuttavia, la Corte non aveva esaminato tali profili sostanziali, essendo preminente e assorbente il motivo della violazione dell'articolo 76 Cost. (ovvero l'eccesso di delega);
    l'unica via per sanare la questione che si è venuta a produrre con la dichiarazione di incostituzionalità dell'originaria disposizione del 2011 sarebbe la costituzione di un Fondo pubblico che tenga indenni dalle conseguenze economiche gli inquilini che avevano fatto affidamento sulla disposizione incostituzionale;
    Governo e Parlamento possono immaginare anche altre modalità di intervento, ma sempre e solo mediante l'intervento pubblico. In nessun caso sarebbe oggi possibile addossare sui proprietari degli immobili le conseguenze economiche prodotte dalla disposizione dichiarata incostituzionale. Ogni tentativo in questo senso è destinato a naufragare dinanzi alla Corte costituzionale. Con il rischio, però, che molte persone, economicamente deboli, si imbarchino in nuove spese giudiziarie confidando in una norma che verrà dichiarata incostituzionale. Alla fine si troveranno a pagare ulteriori soldi per canoni non versati, interessi e spese legali;
    attualmente non esistono disposizioni di legge che contrastino il mercato delle locazioni in nero mediante contratti verbali e che, al contempo tutelino gli inquilini che si trovano in tale situazione; in tale contesto, la novella recata dalla legge di stabilità contribuirà a peggiorare la situazione degli inquilini, ma produrrà anche l'effetto di accrescere nel nostro Paese un problema sociale rilevantissimo di evasione fiscale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di far fronte al problema delle locazioni in nero partendo dal principio della tutela degli inquilini, approfondendo gli effetti della novella recata dalla legge di stabilità con particolare riferimento ai contratti conclusi verbalmente o di fatto e valutando l'opportunità di creare un fondo per sostenere gli inquilini che in maniera incolpevole hanno fatto affidamento sulla disposizione del 2011, citata in premessa, dichiarata incostituzionale.
9/3444-A/76. (Testo modificato nel corso della seduta)  Pellegrino, Zaratti.


   La Camera,
   premesso che:
    le «Fiberfrax» sono fibre ceramiche refrattarie presenti in numerosi prodotti (materassini, pannelli, cementi, tessuti, corde, vernici) che vengono utilizzate solo a fini industriali e segnatamente come isolanti termici o guarnizioni per forni, caldaie o nel settore aerospaziale e automobilistico essendo resistenti a temperature che superano i 1.400o C;
    la pericolosità del prodotto è stata confermata dall'Unione europea che l'ha inserito nella categoria 2 («sostanze che devono essere considerate come se fossero cancerogene per l'uomo»), giudizio, peraltro, confermato dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) che ha ribadito la classificazione 2B («possibile cancerogeneità per l'uomo»);
    studi condotti da altri Paesi europei come la Svezia e la Francia, che nel frattempo hanno adeguato la loro legislazione, hanno evidenziato che le fibre ceramiche refrattarie (RCF), avendo un diametro inferiore a tre micron sono capaci di persistere nei tessuti polmonari, rappresentano un potente agente capace di causare nell'uomo disturbi alla pleura fino a generare il mesotelioma. Gli stessi studi hanno confermato una chiara relazione tra il tempo di esposizione alla fibra e l'insorgere della patologia in termini d'incidenza e di tempo di latenza. Inoltre i rischi per i lavoratori lungamente esposti all'agente patogeno durante la lavorazione del prodotto sono altresì confermati dal programma intensivo che l'Associazione europea delle industrie delle fibre ceramiche (ECFIA) ha promosso al fine di monitorare la concentrazione di polveri presso i produttori, come anche gli utilizzatori finali, con l'intento di ridurre il più possibile l'esposizione dei lavoratori alle polveri;
    alla luce di tali valutazioni, che lo hanno classificato come dannoso per la salute e per l'ambiente, il prodotto «fiberfrax» è da alcuni anni bandito dal mercato europeo e non potendo più essere venduto direttamente al pubblico, viene utilizzato oramai solo per uso professionale, circostanza che ha portato la società «Thermal Ceramics Italiana» srl di Atella (Potenza), unico stabilimento di lavorazione della fibra presente nel nostro Paese, a cessare la sua attività lasciando senza occupazione i suoi venti addetti;
    la legge finanziaria per l'anno 2008 ha provveduto ad istituire presso l'Inail un Fondo, il cui onere finanziario a carico dello Stato è determinato a decorrere dall'anno 2010 in 22 milioni di euro, finalizzato ad erogare a tutti i lavoratori che hanno contratto patologie asbesto-correlate, a causa di esposizione all'amianto ed alla fibra «fiberfrax», una prestazione economica, aggiuntiva alla rendita riconosciuta dall'INAIL, anche prevedendo, in caso di premorte del lavoratore, risarcimenti in favore degli eredi. Ciò dimostra che il legislatore, in quella occasione, ha già riservato una particolare attenzione al problema, che però si è limitata alle finalità del Fondo;
    il comma 154-quinquies dell'articolo 1 del provvedimento all'esame dell'aula riconosce ai lavoratori del settore della produzione di materiale rotabile ferroviario che hanno prestato la loro attività nel sito produttivo, senza essere dotati degli equipaggiamenti di protezione adeguati all'esposizione alle polveri di amianto, per l'intero periodo di durata delle operazioni di bonifica dallo stesso poste in essere mediante sostituzione del tetto, riconosce i benefìci previdenziali di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, per tutto il periodo corrispondente alla medesima bonifica. Così come il successivo comma 154-sexies, istituisce nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Fondo per le vittime dell'amianto, in favore degli eredi di coloro che sono deceduti a seguito di patologie asbesto-correlate per esposizione all'amianto nell'esecuzione delle operazioni portuali nei porti. Di contro i lavoratori impiegati nei processi di lavorazione della fiberfrax non si sono più visti dal 2008 riconosciuti i loro diritti, rimanendo ingiustamente confinati in un limbo giuridico che li penalizza fortemente;
    quanto esposto finora fa emergere la evidente necessità, da una parte in ossequio al principio universale di tutela della salute dei lavoratori esposti a rischi e dall'altra per ragioni di pura equità che sconsiglierebbero un trattamento differenziato, di estendere le tutele ed i benefici previdenziali già riconosciuti dalla legislazione attuale ai lavoratori esposti all'amianto anche ai lavoratori coinvolti nella produzione di fiberfrax,

impegna il Governo

ad emanare un provvedimento che equipari il fiberfrax all'amianto, ed a stanziare risorse economiche adeguate, al fine di consentire a tutti quei lavoratori esposti in maniera continuativa e per un periodo non inferiore a dieci anni all'agente patogeno, di accedere alla disciplina attinente al trattamento straordinario di integrazione salariale ed al pensionamento anticipato, di cui all'articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, ed attualmente riservata esclusivamente ai lavoratori esposti all'amianto.
9/3444-A/77Placido, Airaudo.


   La Camera,
   premesso che:
    le «Fiberfrax» sono fibre ceramiche refrattarie presenti in numerosi prodotti (materassini, pannelli, cementi, tessuti, corde, vernici) che vengono utilizzate solo a fini industriali e segnatamente come isolanti termici o guarnizioni per forni, caldaie o nel settore aerospaziale e automobilistico essendo resistenti a temperature che superano i 1.400o C;
    la pericolosità del prodotto è stata confermata dall'Unione europea che l'ha inserito nella categoria 2 («sostanze che devono essere considerate come se fossero cancerogene per l'uomo»), giudizio, peraltro, confermato dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) che ha ribadito la classificazione 2B («possibile cancerogeneità per l'uomo»);
    studi condotti da altri Paesi europei come la Svezia e la Francia, che nel frattempo hanno adeguato la loro legislazione, hanno evidenziato che le fibre ceramiche refrattarie (RCF), avendo un diametro inferiore a tre micron sono capaci di persistere nei tessuti polmonari, rappresentano un potente agente capace di causare nell'uomo disturbi alla pleura fino a generare il mesotelioma. Gli stessi studi hanno confermato una chiara relazione tra il tempo di esposizione alla fibra e l'insorgere della patologia in termini d'incidenza e di tempo di latenza. Inoltre i rischi per i lavoratori lungamente esposti all'agente patogeno durante la lavorazione del prodotto sono altresì confermati dal programma intensivo che l'Associazione europea delle industrie delle fibre ceramiche (ECFIA) ha promosso al fine di monitorare la concentrazione di polveri presso i produttori, come anche gli utilizzatori finali, con l'intento di ridurre il più possibile l'esposizione dei lavoratori alle polveri;
    alla luce di tali valutazioni, che lo hanno classificato come dannoso per la salute e per l'ambiente, il prodotto «fiberfrax» è da alcuni anni bandito dal mercato europeo e non potendo più essere venduto direttamente al pubblico, viene utilizzato oramai solo per uso professionale, circostanza che ha portato la società «Thermal Ceramics Italiana» srl di Atella (Potenza), unico stabilimento di lavorazione della fibra presente nel nostro Paese, a cessare la sua attività lasciando senza occupazione i suoi venti addetti;
    la legge finanziaria per l'anno 2008 ha provveduto ad istituire presso l'Inail un Fondo, il cui onere finanziario a carico dello Stato è determinato a decorrere dall'anno 2010 in 22 milioni di euro, finalizzato ad erogare a tutti i lavoratori che hanno contratto patologie asbesto-correlate, a causa di esposizione all'amianto ed alla fibra «fiberfrax», una prestazione economica, aggiuntiva alla rendita riconosciuta dall'INAIL, anche prevedendo, in caso di premorte del lavoratore, risarcimenti in favore degli eredi. Ciò dimostra che il legislatore, in quella occasione, ha già riservato una particolare attenzione al problema, che però si è limitata alle finalità del Fondo;
    il comma 154-quinquies dell'articolo 1 del provvedimento all'esame dell'aula riconosce ai lavoratori del settore della produzione di materiale rotabile ferroviario che hanno prestato la loro attività nel sito produttivo, senza essere dotati degli equipaggiamenti di protezione adeguati all'esposizione alle polveri di amianto, per l'intero periodo di durata delle operazioni di bonifica dallo stesso poste in essere mediante sostituzione del tetto, riconosce i benefìci previdenziali di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, per tutto il periodo corrispondente alla medesima bonifica. Così come il successivo comma 154-sexies, istituisce nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Fondo per le vittime dell'amianto, in favore degli eredi di coloro che sono deceduti a seguito di patologie asbesto-correlate per esposizione all'amianto nell'esecuzione delle operazioni portuali nei porti. Di contro i lavoratori impiegati nei processi di lavorazione della fiberfrax non si sono più visti dal 2008 riconosciuti i loro diritti, rimanendo ingiustamente confinati in un limbo giuridico che li penalizza fortemente;
    quanto esposto finora fa emergere la evidente necessità, da una parte in ossequio al principio universale di tutela della salute dei lavoratori esposti a rischi e dall'altra per ragioni di pura equità che sconsiglierebbero un trattamento differenziato, di estendere le tutele ed i benefici previdenziali già riconosciuti dalla legislazione attuale ai lavoratori esposti all'amianto anche ai lavoratori coinvolti nella produzione di fiberfrax,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di emanare un provvedimento che equipari il fiberfrax all'amianto, ed a stanziare risorse economiche adeguate, al fine di consentire a tutti quei lavoratori esposti in maniera continuativa e per un periodo non inferiore a dieci anni all'agente patogeno, di accedere alla disciplina attinente al trattamento straordinario di integrazione salariale ed al pensionamento anticipato, di cui all'articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, ed attualmente riservata esclusivamente ai lavoratori esposti all'amianto.
9/3444-A/77. (Testo modificato nel corso della seduta)  Placido, Airaudo.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità in esame continua il saccheggio del Fondo per il pensionamento di chi svolge lavori usuranti con la motivazione che le risorse non sono ancora utilizzate;
    150 milioni di euro sono destinati agli ammortizzatori sociali in deroga e altre centinaia di milioni di euro sono destinati alla riduzione della pressione fiscale in favore dei pensionati anche per anni successivi al 2016;
    la relazione tecnica afferma che, nel breve periodo, gli oneri derivanti dai pensionamenti anticipati dei lavoratori usuranti sono previsti in misura inferiore rispetto agli stanziamenti disponibili e che, di conseguenza, la riduzione delle risorse «non compromette l'erogazione dei benefici»;
    le risorse del Fondo per il pensionamento di chi svolge lavori usuranti non vengono utilizzate perché vi sono problemi applicativi della legge sui lavori usuranti;
    nei documenti di alcuni sindacati, si legge chiaramente che l'impossibilità di accedere al pensionamento con i benefici per i lavori usuranti deriva dagli adempimenti sulla certificazione che sono stati posti a carico dei datori di lavoro;
    il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha disposto, infatti, che alla domanda per il pensionamento anticipato, bisogna allegare la certificazione rilasciata dal datore di lavoro, che deve essere costituita da documenti risalenti all'epoca in cui sono state svolte le attività usuranti;
    molti lavoratori che avrebbero maturato il diritto si vedono negata la domanda di pensionamento perché non sono in grado di procurarsi e produrre i predetti documenti e vengono considerate insufficienti le dichiarazioni dei datori di lavoro (ora per allora) e le buste paga;
    al fine di consentire a chi ha svolto lavori usuranti di accedere al Fondo va ritenuta sufficiente la produzione di documentazione anche non risalente all'epoca in cui l'attività è stata svolta e l'onere di provare la sussistenza dei requisiti per il pensionamento anticipato va trasferito all'ente di previdenza quando il lavoratore è oggettivamente impedito a procurarsi la documentazione – ad esempio perché l'impresa è fallita o la documentazione non esiste più;
    la richiesta di documentazione risalente all'epoca in cui sono state svolte le attività usuranti ha di fatto bloccato ogni possibilità di pensionamento;
    in presenza di domande di pensione corredate di certificazioni, ma non quelle dell'epoca, i comitati provinciali INPS hanno rifiutato le domande senza dare spiegazioni congrue sulle motivazioni;
    un esempio su tutti, ma ne potremmo fare altri, il caso di un dirigente movimento di Foggia impossibilitato ad accedere a questo beneficio nonostante le certificazioni rilasciategli da Ferservizi e la consegna delle buste paghe che attestavano le presenze in servizio di notte;
    simili difficoltà si sono anche e soprattutto rilevate tra i lavoratori degli appalti ferroviari, che scontano i problemi dei loro rapporti di lavoro, che cambiano spesso con una certa cadenza anche per fallimenti, più o meno strumentali delle loro ditte e pertanto hanno difficoltà insormontabili per accedere alla documentazione utile,

impegna il Governo

a stabilire criteri più elastici per l'accesso al Fondo per il pensionamento dei lavoratori che svolgono lavori usuranti, tenendo conto della difficoltà o impossibilità per i predetti lavoratori di corredare la domanda di pensionamento con documenti risalenti all'epoca in cui sono state svolte le attività usuranti. Al contempo reintegrare la dotazione del Fondo con le risorse distratte per coprire altre spese.
9/3444-A/78Sannicandro, Placido, Airaudo, Nicchi, Gregori.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità in esame continua il saccheggio del Fondo per il pensionamento di chi svolge lavori usuranti con la motivazione che le risorse non sono ancora utilizzate;
    150 milioni di euro sono destinati agli ammortizzatori sociali in deroga e altre centinaia di milioni di euro sono destinati alla riduzione della pressione fiscale in favore dei pensionati anche per anni successivi al 2016;
    la relazione tecnica afferma che, nel breve periodo, gli oneri derivanti dai pensionamenti anticipati dei lavoratori usuranti sono previsti in misura inferiore rispetto agli stanziamenti disponibili e che, di conseguenza, la riduzione delle risorse «non compromette l'erogazione dei benefici»;
    le risorse del Fondo per il pensionamento di chi svolge lavori usuranti non vengono utilizzate perché vi sono problemi applicativi della legge sui lavori usuranti;
    nei documenti di alcuni sindacati, si legge chiaramente che l'impossibilità di accedere al pensionamento con i benefici per i lavori usuranti deriva dagli adempimenti sulla certificazione che sono stati posti a carico dei datori di lavoro;
    il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha disposto, infatti, che alla domanda per il pensionamento anticipato, bisogna allegare la certificazione rilasciata dal datore di lavoro, che deve essere costituita da documenti risalenti all'epoca in cui sono state svolte le attività usuranti;
    molti lavoratori che avrebbero maturato il diritto si vedono negata la domanda di pensionamento perché non sono in grado di procurarsi e produrre i predetti documenti e vengono considerate insufficienti le dichiarazioni dei datori di lavoro (ora per allora) e le buste paga;
    al fine di consentire a chi ha svolto lavori usuranti di accedere al Fondo va ritenuta sufficiente la produzione di documentazione anche non risalente all'epoca in cui l'attività è stata svolta e l'onere di provare la sussistenza dei requisiti per il pensionamento anticipato va trasferito all'ente di previdenza quando il lavoratore è oggettivamente impedito a procurarsi la documentazione – ad esempio perché l'impresa è fallita o la documentazione non esiste più;
    la richiesta di documentazione risalente all'epoca in cui sono state svolte le attività usuranti ha di fatto bloccato ogni possibilità di pensionamento;
    in presenza di domande di pensione corredate di certificazioni, ma non quelle dell'epoca, i comitati provinciali INPS hanno rifiutato le domande senza dare spiegazioni congrue sulle motivazioni;
    un esempio su tutti, ma ne potremmo fare altri, il caso di un dirigente movimento di Foggia impossibilitato ad accedere a questo beneficio nonostante le certificazioni rilasciategli da Ferservizi e la consegna delle buste paghe che attestavano le presenze in servizio di notte;
    simili difficoltà si sono anche e soprattutto rilevate tra i lavoratori degli appalti ferroviari, che scontano i problemi dei loro rapporti di lavoro, che cambiano spesso con una certa cadenza anche per fallimenti, più o meno strumentali delle loro ditte e pertanto hanno difficoltà insormontabili per accedere alla documentazione utile,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di stabilire criteri più elastici per l'accesso al Fondo per il pensionamento dei lavoratori che svolgono lavori usuranti, tenendo conto della difficoltà o impossibilità per i predetti lavoratori di corredare la domanda di pensionamento con documenti risalenti all'epoca in cui sono state svolte le attività usuranti. Al contempo reintegrare la dotazione del Fondo con le risorse distratte per coprire altre spese.
9/3444-A/78. (Testo modificato nel corso della seduta)  Sannicandro, Placido, Airaudo, Nicchi, Gregori.


   La Camera,
   premesso che:
    ormai da oltre cinquant'anni il tema dell'utilizzo degli indicatori di benessere è oggetto di dibattito e di sperimentazione nelle politiche pubbliche. Da tempo decisori politici, economisti e ricercatori sono consapevoli del fatto che il prodotto interno lordo (PIL) e gli altri indicatori di natura macroeconomica non sono più sufficienti a misurare il grado di benessere di una comunità e a orientare, perciò, le politiche pubbliche verso la realizzazione di questo obiettivo;
    a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, crescita economica e intervento pubblico nell'economia hanno garantito un forte miglioramento del benessere economico e più in generale delle condizioni di vita in tutti i Paesi a capitalismo avanzato. Questa concomitanza di eventi ha ingenerato la falsa credenza che la crescita economica (e quindi la crescita del PIL) fosse condizione necessaria e sufficiente al miglioramento della qualità sociale e delle condizioni di vita della popolazione, rendendo di fatto il PIL l'indicatore guida di gran parte delle politiche pubbliche;
    ma gli stessi inventori del PIL, tra cui l'economista bielorusso emigrato negli Stati Uniti Simon Kuznets, negli anni trenta ammonirono a non considerare la nuova creatura come un indicatore di benessere. Calcolare il reddito nazionale non equivale a misurare il benessere di una nazione. Anche le critiche al PIL – e la nuova ricerca di nuovi indicatori o sistemi di indicatori – sono ormai da decenni oggetto di dibattiti e convegni pubblici, promossi non solo da organizzazioni della società civile e dal mondo universitario, ma anche dalle istituzioni pubbliche, e ne ha condiviso i risultati a livello mediterraneo con il progetto sostenuto dalla UE, Wealth (Promoting Local Sustainable Economic Development);
    la necessità di misurare lo sviluppo in maniera multidimensionale condusse già nel 1990 alla creazione da parte dell'UNDP (il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) dell'Indice di sviluppo umano (HDI – Human Development Index) che misura e confronta il grado di sviluppo di 186 Stati del pianeta sulla base di pochi indicatori significativi (aspettativa di vita, accesso all'istruzione, reddito). Più di recente, la Commissione europea promosse nel 2007 un convegno pubblico dal significativo titolo «Oltre il PIL» (Beyond GDP), da cui prese avvio un lavoro di ricerca e di proposta che ancora continua (una nuova edizione della conferenza si è tenuta a Bruxelles nell'ottobre 2014 nell'ambito delle attività del semestre di Presidenza italiano) e l'OCSE da tempo ha avviato un percorso volto al superamento del PIL come unico indicatore di misurazione del benessere, che ha portato nel 2011 alla creazione del Better Life Index. Anche nel documento finale della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, svoltasi a Rio de Janeiro nel 2012 (Rio 20) intitolato « The future we want» è richiamata al paragrafo 38 la necessità di un complesso ampio di indicatori di progresso a complemento del PIL per meglio informare le politiche pubbliche. L'insufficienza del PIL è quindi ormai un dato acquisito nel mondo dei decisori politici, degli economisti, dei ricercatori e della società civile;
    una società civile (associazioni, movimenti, campagne e mondo universitario) che negli ultimi trent'anni ha proposto e creato indicatori alternativi (o integrativi) rispetto al PIL, per evidenziare proprio la necessità di catturare il carattere multidimensionale del benessere, la qualità sociale, la sostenibilità ambientale, la parità tra i sessi. Esistono numerose rassegne delle proposte sviluppate in questi, anni tra le quali segnaliamo il sito internet www.beyondgdy.eu promosso dal Parlamento europeo o il sito www.misuredelbenessere.it promosso in Italia dal Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) e dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Per limitarci a quelli più conosciuti vale la pena citare a livello internazionale l’Index of Sustainable Economic Welfare (ISEW), il Canadian Index of Well-being o l’Happy Planet Index. In Italia hanno avuto rilevanza il PIQ (prodotto interno di qualità) promosso dalla Fondazione Symbola l'indice di qualità della vita de Il Sole 24 ore o il QUARS (qualità regionale dello sviluppo) promosso dalla campagna Sbilanciamoci (che raccoglie oltre cinquanta organizzazioni della società civile). Proprio dalla campagna Sbilanciamoci partì nel 2010 un'iniziativa dal titolo «Benessere e sostenibilità» (che raccoglieva decine di associazioni, università e ricercatori e accademici) che riassumeva gli auspici e le richieste nella direzione dell'introduzione di indicatori di benessere nelle politiche pubbliche;
    punto fondamentale della riflessione – ancora attuale – è proprio questo: gli indicatori di benessere non sono semplicemente un'esigenza tecnica e scientifica (misurare meglio il benessere e avere così un quadro più chiaro delle condizioni materiali e sociali della popolazione di una comunità). Gli indicatori di benessere hanno un senso se sono uno strumento teorico e operativo per le politiche pubbliche, se servono ad orientarle alle finalità del benessere di una società;
    dalla società civile, l'interesse e la sperimentazione degli indicatori di benessere si sono diffusi anche tra le istituzioni pubbliche di Stati esteri (come l'Australia, la Gran Bretagna e la Germania) e in Italia tra molti enti locali, come nel caso delle regioni Veneto, Toscana, Umbria, Lazio, della provincia autonoma di Trento, delle province di Roma e di Ascoli Piceno, dei comuni di Arezzo e di Forlì. In Europa, è da ricordare l'importanza della commissione istituita dal Governo francese, presieduta dal premio Nobel Joseph Stiglitz, con la partecipazione di Amartya Sen, Jean Paul Fitoussi, Enrico Giovannini, che nel 2009 diffuse un documento in cui suggeriva di integrare il PIL con la misurazione del benessere, della sostenibilità ambientale e della distribuzione del reddito;
    in Italia una significativa esperienza è quella degli indicatori, per il solo Mezzogiorno, degli obiettivi di servizio. Si tratta di undici indicatori, individuati attraverso un processo decisionale condiviso, scelti per incentivare le amministrazioni regionali a migliorare i servizi essenziali in quattro ambiti strategici per le politiche di sviluppo regionale: istruzione, servizi di cura per l'infanzia e gli anziani, gestione dei rifiuti urbani e servizio idrico integrato. È interessante mettere in luce come i criteri stabiliti per la scelta degli indicatori nel quadro delle prestazioni degli obiettivi di servizio siano: misurabilità (cioè gli indicatori devono fornire informazioni statistiche adeguate, affidabili e tempestive), responsabilità (ad esempio, deve essere possibile identificare chiaramente l'organo responsabile dell'attuazione della politica, a diversi livelli di governo), comprensione del pubblico e condivisione (i cittadini devono essere in grado di comprendere la rilevanza degli obiettivi e, quindi, contribuire alla loro realizzazione). Tale processo partecipativo è essenziale per aumentare la responsabilità degli attori direttamente o indirettamente responsabili della fornitura di servizi (e quindi del raggiungimento degli obiettivi);
    sempre a livello nazionale, nel dicembre del 2010 si è aperto un importante processo di collaborazione inter-istituzionale tra l'ISTAT e il CNEL (anche con l'apporto di università, enti locali, organizzazioni della società civile, parti sociali, eccetera) che ha portato al varo del BES (Benessere equo e sostenibile): un complesso di indicatori composto da dodici dimensioni del benessere (salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi) che non danno vita ad un indicatore sintetico, ma rappresentano in ogni caso la condizione del Paese in modo dettagliato e organico. Il BES – il cui primo rapporto, dopo un lavoro di due anni, è stato pubblicato nel 2013 e il cui lavoro si può rilevare nel sito internet www.misuredelbenessere.it – può essere considerato lo strumento più prezioso che i decisori politici hanno nel nostro Paese per orientare le politiche pubbliche nel segno del benessere. Il CNEL e l'ISTAT hanno dato vita al «BES delle province» per la costruzione di indicatori territoriali per la governance di area vasta e il progetto «UrBES », promosso dalla rete delle città metropolitane dell'Associazione nazionale dei comuni italiani insieme con l'ISTAT, propone un sistema di indicatori del benessere per le città metropolitane e per alcuni comuni capoluogo. Attualmente il BES viene citato in un breve riquadro nell'ambito della sezione del Documento di economia e finanza (DEF) dedicata al Programma nazionale di riforma (PNR). Si tratta di poco più di una lunga citazione, che però non lega i risultati e le indicazioni del BES alle politiche necessarie da realizzare, né tanto meno alle misure concrete di riforma che pure, su altri versanti, sono contenute nel DEF;
    invece, l'utilizzo degli indicatori del BES può essere fondamentale per fare un'efficace programmazione economica e un buon uso della spesa pubblica. La prassi adottata in Italia per la programmazione economica tende a privilegiare l'uso di indicatori che forniscono una rappresentazione del Paese essenzialmente economica, trascurando indicatori e misure che riguardino anche aspetti di natura sociale e ambientale più legati alla qualità della vita, al contesto socio-economico di riferimento e alle opportunità offerte all'individuo. In Europa sono moltissimi gli esempi di impostazione dell'attività di governo che partono da un'osservazione più attenta e complessa dei fenomeni. Tra gli esempi più significativi si trovano gli apparati di indicatori inclusi nei Piani nazionali d'azione (NAP) dell'Unione europea, oppure il DEF francese (Rapport sur l’évolution de l’économie nationale et sur les orientations des fìnances publiques) che definisce, per ogni area d'intervento dello Stato, missioni, programmi e obiettivi, e per ognuno di questi uno o più indicatori per monitorare il fenomeno. Questa maggiore completezza di informazione, a volte, si riflette in una considerevole mole di indicatori specifici;
    anche l'Italia da alcuni anni ha intrapreso un percorso che va in questa direzione nell'ambito del processo di riforma della contabilità pubblica il cui ultimo atto è rappresentato dalla legge n. 196 del 2009 (legge di contabilità e finanza pubblica). Il bilancio dello Stato da alcuni anni già si articola secondo missioni e programmi di spesa che individuano le finalità cui sono destinate le risorse pubbliche; alle missioni e ai programmi di spesa, nell'ambito delle note preliminari che accompagnano il bilancio dello Stato, sono associati obiettivi da raggiungere e uno o più indicatori finalizzati a verificare il conseguimento degli obiettivi. La legge n. 196 del 2009 tende a rafforzare questo sistema, anche nell'ottica di estenderlo in modo armonizzato a tutte le amministrazioni pubbliche. Occorre assicurarsi che la nuova norma venga attuata pienamente e che si superino le criticità riscontrate nelle prassi applicative correnti, in modo che il sistema di obiettivi e indicatori associati ai programmi di spesa costituisca un efficace strumento di accompagnamento del bilancio utile alla programmazione e alla verifica dell'impiego delle risorse pubbliche;
    è importante che i documenti di programmazione economica e di bilancio, così come riformati dalla recente legge n. 196 del 2009 (la Relazione sull'economia e la finanza pubblica, la Decisione di finanza pubblica, la legge di stabilità eccetera), si basino sulla considerazione di un più completo apparato di informazioni e indicatori, rappresentativi di tutti gli aspetti del benessere, per la formulazione delle politiche, per indirizzare gli interventi economico-finanziari e per determinare obiettivi di breve, medio e lungo termine;
    è inoltre importante che venga data piena attuazione alla legge n. 196 del 2009 in materia di indicatori per la verifica dei programmi di spesa del bilancio dello Stato e delle altre amministrazioni pubbliche. Occorre compiere tutti i passi necessari affinché gli indicatori siano effettivamente rappresentativi, in modo trasparente, del raggiungimento delle finalità ultime delle politiche e vengano utilizzati correntemente nel dibattito pubblico. A tal fine è opportuno anche prevedere un sottoinsieme di indicatori meno vasto, ma egualmente rappresentativo e trasparente, in modo da facilitare la comunicazione e il confronto;
    infine, si vuole ricordare ancora una volta l'importanza della pubblicizzazione e della conoscenza degli indicatori di benessere tra l'opinione pubblica e del coinvolgimento partecipato dei cittadini nell'elaborazione e individuazione degli indicatori che più appropriatamente rispondono all'idea e alle caratteristiche di benessere della nostra società;

impegna il Governo

ad introdurre nei documenti della sessione di bilancio gli indicatori di benessere, di sostenibilità ambientale, di qualità sociale e di parità tra i sessi quali strumenti per l'elaborazione, l'adozione e la valutazione delle politiche pubbliche, affinché esse possano essere efficaci nel migliorare le condizioni di benessere per il Paese nel suo complesso.
9/3444-A/79Kronbichler, Marcon, Melilla, Fassina, Paglia.


   La Camera,
   premesso che:
    ormai da oltre cinquant'anni il tema dell'utilizzo degli indicatori di benessere è oggetto di dibattito e di sperimentazione nelle politiche pubbliche. Da tempo decisori politici, economisti e ricercatori sono consapevoli del fatto che il prodotto interno lordo (PIL) e gli altri indicatori di natura macroeconomica non sono più sufficienti a misurare il grado di benessere di una comunità e a orientare, perciò, le politiche pubbliche verso la realizzazione di questo obiettivo;
    a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, crescita economica e intervento pubblico nell'economia hanno garantito un forte miglioramento del benessere economico e più in generale delle condizioni di vita in tutti i Paesi a capitalismo avanzato. Questa concomitanza di eventi ha ingenerato la falsa credenza che la crescita economica (e quindi la crescita del PIL) fosse condizione necessaria e sufficiente al miglioramento della qualità sociale e delle condizioni di vita della popolazione, rendendo di fatto il PIL l'indicatore guida di gran parte delle politiche pubbliche;
    ma gli stessi inventori del PIL, tra cui l'economista bielorusso emigrato negli Stati Uniti Simon Kuznets, negli anni trenta ammonirono a non considerare la nuova creatura come un indicatore di benessere. Calcolare il reddito nazionale non equivale a misurare il benessere di una nazione. Anche le critiche al PIL – e la nuova ricerca di nuovi indicatori o sistemi di indicatori – sono ormai da decenni oggetto di dibattiti e convegni pubblici, promossi non solo da organizzazioni della società civile e dal mondo universitario, ma anche dalle istituzioni pubbliche, e ne ha condiviso i risultati a livello mediterraneo con il progetto sostenuto dalla UE, Wealth (Promoting Local Sustainable Economic Development);
    la necessità di misurare lo sviluppo in maniera multidimensionale condusse già nel 1990 alla creazione da parte dell'UNDP (il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) dell'Indice di sviluppo umano (HDI – Human Development Index) che misura e confronta il grado di sviluppo di 186 Stati del pianeta sulla base di pochi indicatori significativi (aspettativa di vita, accesso all'istruzione, reddito). Più di recente, la Commissione europea promosse nel 2007 un convegno pubblico dal significativo titolo «Oltre il PIL» (Beyond GDP), da cui prese avvio un lavoro di ricerca e di proposta che ancora continua (una nuova edizione della conferenza si è tenuta a Bruxelles nell'ottobre 2014 nell'ambito delle attività del semestre di Presidenza italiano) e l'OCSE da tempo ha avviato un percorso volto al superamento del PIL come unico indicatore di misurazione del benessere, che ha portato nel 2011 alla creazione del Better Life Index. Anche nel documento finale della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, svoltasi a Rio de Janeiro nel 2012 (Rio 20) intitolato « The future we want» è richiamata al paragrafo 38 la necessità di un complesso ampio di indicatori di progresso a complemento del PIL per meglio informare le politiche pubbliche. L'insufficienza del PIL è quindi ormai un dato acquisito nel mondo dei decisori politici, degli economisti, dei ricercatori e della società civile;
    una società civile (associazioni, movimenti, campagne e mondo universitario) che negli ultimi trent'anni ha proposto e creato indicatori alternativi (o integrativi) rispetto al PIL, per evidenziare proprio la necessità di catturare il carattere multidimensionale del benessere, la qualità sociale, la sostenibilità ambientale, la parità tra i sessi. Esistono numerose rassegne delle proposte sviluppate in questi, anni tra le quali segnaliamo il sito internet www.beyondgdy.eu promosso dal Parlamento europeo o il sito www.misuredelbenessere.it promosso in Italia dal Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) e dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Per limitarci a quelli più conosciuti vale la pena citare a livello internazionale l’Index of Sustainable Economic Welfare (ISEW), il Canadian Index of Well-being o l’Happy Planet Index. In Italia hanno avuto rilevanza il PIQ (prodotto interno di qualità) promosso dalla Fondazione Symbola l'indice di qualità della vita de Il Sole 24 ore o il QUARS (qualità regionale dello sviluppo) promosso dalla campagna Sbilanciamoci (che raccoglie oltre cinquanta organizzazioni della società civile). Proprio dalla campagna Sbilanciamoci partì nel 2010 un'iniziativa dal titolo «Benessere e sostenibilità» (che raccoglieva decine di associazioni, università e ricercatori e accademici) che riassumeva gli auspici e le richieste nella direzione dell'introduzione di indicatori di benessere nelle politiche pubbliche;
    punto fondamentale della riflessione – ancora attuale – è proprio questo: gli indicatori di benessere non sono semplicemente un'esigenza tecnica e scientifica (misurare meglio il benessere e avere così un quadro più chiaro delle condizioni materiali e sociali della popolazione di una comunità). Gli indicatori di benessere hanno un senso se sono uno strumento teorico e operativo per le politiche pubbliche, se servono ad orientarle alle finalità del benessere di una società;
    dalla società civile, l'interesse e la sperimentazione degli indicatori di benessere si sono diffusi anche tra le istituzioni pubbliche di Stati esteri (come l'Australia, la Gran Bretagna e la Germania) e in Italia tra molti enti locali, come nel caso delle regioni Veneto, Toscana, Umbria, Lazio, della provincia autonoma di Trento, delle province di Roma e di Ascoli Piceno, dei comuni di Arezzo e di Forlì. In Europa, è da ricordare l'importanza della commissione istituita dal Governo francese, presieduta dal premio Nobel Joseph Stiglitz, con la partecipazione di Amartya Sen, Jean Paul Fitoussi, Enrico Giovannini, che nel 2009 diffuse un documento in cui suggeriva di integrare il PIL con la misurazione del benessere, della sostenibilità ambientale e della distribuzione del reddito;
    in Italia una significativa esperienza è quella degli indicatori, per il solo Mezzogiorno, degli obiettivi di servizio. Si tratta di undici indicatori, individuati attraverso un processo decisionale condiviso, scelti per incentivare le amministrazioni regionali a migliorare i servizi essenziali in quattro ambiti strategici per le politiche di sviluppo regionale: istruzione, servizi di cura per l'infanzia e gli anziani, gestione dei rifiuti urbani e servizio idrico integrato. È interessante mettere in luce come i criteri stabiliti per la scelta degli indicatori nel quadro delle prestazioni degli obiettivi di servizio siano: misurabilità (cioè gli indicatori devono fornire informazioni statistiche adeguate, affidabili e tempestive), responsabilità (ad esempio, deve essere possibile identificare chiaramente l'organo responsabile dell'attuazione della politica, a diversi livelli di governo), comprensione del pubblico e condivisione (i cittadini devono essere in grado di comprendere la rilevanza degli obiettivi e, quindi, contribuire alla loro realizzazione). Tale processo partecipativo è essenziale per aumentare la responsabilità degli attori direttamente o indirettamente responsabili della fornitura di servizi (e quindi del raggiungimento degli obiettivi);
    sempre a livello nazionale, nel dicembre del 2010 si è aperto un importante processo di collaborazione inter-istituzionale tra l'ISTAT e il CNEL (anche con l'apporto di università, enti locali, organizzazioni della società civile, parti sociali, eccetera) che ha portato al varo del BES (Benessere equo e sostenibile): un complesso di indicatori composto da dodici dimensioni del benessere (salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi) che non danno vita ad un indicatore sintetico, ma rappresentano in ogni caso la condizione del Paese in modo dettagliato e organico. Il BES – il cui primo rapporto, dopo un lavoro di due anni, è stato pubblicato nel 2013 e il cui lavoro si può rilevare nel sito internet www.misuredelbenessere.it – può essere considerato lo strumento più prezioso che i decisori politici hanno nel nostro Paese per orientare le politiche pubbliche nel segno del benessere. Il CNEL e l'ISTAT hanno dato vita al «BES delle province» per la costruzione di indicatori territoriali per la governance di area vasta e il progetto «UrBES », promosso dalla rete delle città metropolitane dell'Associazione nazionale dei comuni italiani insieme con l'ISTAT, propone un sistema di indicatori del benessere per le città metropolitane e per alcuni comuni capoluogo. Attualmente il BES viene citato in un breve riquadro nell'ambito della sezione del Documento di economia e finanza (DEF) dedicata al Programma nazionale di riforma (PNR). Si tratta di poco più di una lunga citazione, che però non lega i risultati e le indicazioni del BES alle politiche necessarie da realizzare, né tanto meno alle misure concrete di riforma che pure, su altri versanti, sono contenute nel DEF;
    invece, l'utilizzo degli indicatori del BES può essere fondamentale per fare un'efficace programmazione economica e un buon uso della spesa pubblica. La prassi adottata in Italia per la programmazione economica tende a privilegiare l'uso di indicatori che forniscono una rappresentazione del Paese essenzialmente economica, trascurando indicatori e misure che riguardino anche aspetti di natura sociale e ambientale più legati alla qualità della vita, al contesto socio-economico di riferimento e alle opportunità offerte all'individuo. In Europa sono moltissimi gli esempi di impostazione dell'attività di governo che partono da un'osservazione più attenta e complessa dei fenomeni. Tra gli esempi più significativi si trovano gli apparati di indicatori inclusi nei Piani nazionali d'azione (NAP) dell'Unione europea, oppure il DEF francese (Rapport sur l’évolution de l’économie nationale et sur les orientations des fìnances publiques) che definisce, per ogni area d'intervento dello Stato, missioni, programmi e obiettivi, e per ognuno di questi uno o più indicatori per monitorare il fenomeno. Questa maggiore completezza di informazione, a volte, si riflette in una considerevole mole di indicatori specifici;
    anche l'Italia da alcuni anni ha intrapreso un percorso che va in questa direzione nell'ambito del processo di riforma della contabilità pubblica il cui ultimo atto è rappresentato dalla legge n. 196 del 2009 (legge di contabilità e finanza pubblica). Il bilancio dello Stato da alcuni anni già si articola secondo missioni e programmi di spesa che individuano le finalità cui sono destinate le risorse pubbliche; alle missioni e ai programmi di spesa, nell'ambito delle note preliminari che accompagnano il bilancio dello Stato, sono associati obiettivi da raggiungere e uno o più indicatori finalizzati a verificare il conseguimento degli obiettivi. La legge n. 196 del 2009 tende a rafforzare questo sistema, anche nell'ottica di estenderlo in modo armonizzato a tutte le amministrazioni pubbliche. Occorre assicurarsi che la nuova norma venga attuata pienamente e che si superino le criticità riscontrate nelle prassi applicative correnti, in modo che il sistema di obiettivi e indicatori associati ai programmi di spesa costituisca un efficace strumento di accompagnamento del bilancio utile alla programmazione e alla verifica dell'impiego delle risorse pubbliche;
    è importante che i documenti di programmazione economica e di bilancio, così come riformati dalla recente legge n. 196 del 2009 (la Relazione sull'economia e la finanza pubblica, la Decisione di finanza pubblica, la legge di stabilità eccetera), si basino sulla considerazione di un più completo apparato di informazioni e indicatori, rappresentativi di tutti gli aspetti del benessere, per la formulazione delle politiche, per indirizzare gli interventi economico-finanziari e per determinare obiettivi di breve, medio e lungo termine;
    è inoltre importante che venga data piena attuazione alla legge n. 196 del 2009 in materia di indicatori per la verifica dei programmi di spesa del bilancio dello Stato e delle altre amministrazioni pubbliche. Occorre compiere tutti i passi necessari affinché gli indicatori siano effettivamente rappresentativi, in modo trasparente, del raggiungimento delle finalità ultime delle politiche e vengano utilizzati correntemente nel dibattito pubblico. A tal fine è opportuno anche prevedere un sottoinsieme di indicatori meno vasto, ma egualmente rappresentativo e trasparente, in modo da facilitare la comunicazione e il confronto;
    infine, si vuole ricordare ancora una volta l'importanza della pubblicizzazione e della conoscenza degli indicatori di benessere tra l'opinione pubblica e del coinvolgimento partecipato dei cittadini nell'elaborazione e individuazione degli indicatori che più appropriatamente rispondono all'idea e alle caratteristiche di benessere della nostra società;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre nei documenti della sessione di bilancio gli indicatori di benessere, di sostenibilità ambientale, di qualità sociale e di parità tra i sessi quali strumenti per l'elaborazione, l'adozione e la valutazione delle politiche pubbliche, affinché esse possano essere efficaci nel migliorare le condizioni di benessere per il Paese nel suo complesso.
9/3444-A/79. (Testo modificato nel corso della seduta)  Kronbichler, Marcon, Melilla, Fassina, Paglia.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento, legge di Stabilità 2016, prevede disposizioni atte a garantire l'attuazione di un Piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, istituendo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un fondo denominato «Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale» al quale sono state assegnate le seguenti risorse: 600 milioni per l'anno 2016 e di 1000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017;
    in occasione della 19esima «Giornata nazionale della colletta alimentare» è emerso che, sulla base dei dati ISTAT, in Italia sono oltre 6 milioni le persone che non hanno denaro a sufficienza per alimentarsi adeguatamente;
    in Italia il 12,6 per cento degli individui non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni. Le maggiori difficoltà vi sono nel Sud Italia dove la percentuale sale al 17 per cento, tra le famiglie monoreddito dove è il 17,3 per cento, e tra le persone sole con più di 65 anni con il 14,5 per cento;
    ogni italiano butta annualmente nella spazzatura la media di 76 chilogrammi di prodotti alimentari, che sarebbero in quantità più che sufficienti a garantire cibo adeguato per tutti i cittadini;
    questo problema in Italia riguarda tutta la filiera dove gli sprechi alimentari ammontano in valore a 12,5 miliardi che sono persi per il 54 per cento al consumo, per il 21 per cento nella ristorazione, per il 15 per cento nella distribuzione commerciale e per l'8 per cento nell'agricoltura e per il 2 per cento nella trasformazione;
    è ormai accertato che il peggioramento delle abitudini alimentari, al crescere della povertà e degli sprechi alimentari, si concretizza anche con la progressiva riduzione del consumo di prodotti ortofrutticoli freschi, prodotti invece fondamentali per il mantenimento dello stato di salute dei soggetti vulnerabili;
    è necessario, al fine di migliorare l'accesso dei soggetti in condizione di povertà e di disagio sociale ad un paniere alimentare equilibrato ed atto a prevenire patologie derivanti da carenze nutrizionali, che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, definisca, con proprio decreto, le linee-guida di un «progetto obiettivo», destinato ad utenti in possesso dei requisiti per l'accesso all'assistenza, finalizzato alla erogazione, a cura dei comuni, di buoni per l'acquisto di prodotti ortofrutticoli freschi presso esercizi convenzionati al fine di ridurre lo spreco di alimenti freschi e consentire una ripartizione oculata delle quantità oltre a favorire le politiche di filiera corta,

impegna il Governo

ad avviare, con un adeguata dotazione a valere sul «Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale», il «progetto obiettivo» a decorrere dall'anno 2016.
9/3444-A/80Zaccagnini, Scotto, Franco Bordo, Nicchi, Gregori.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento, legge di Stabilità 2016, prevede disposizioni atte a garantire l'attuazione di un Piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, istituendo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un fondo denominato «Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale» al quale sono state assegnate le seguenti risorse: 600 milioni per l'anno 2016 e di 1000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017;
    in occasione della 19esima «Giornata nazionale della colletta alimentare» è emerso che, sulla base dei dati ISTAT, in Italia sono oltre 6 milioni le persone che non hanno denaro a sufficienza per alimentarsi adeguatamente;
    in Italia il 12,6 per cento degli individui non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni. Le maggiori difficoltà vi sono nel Sud Italia dove la percentuale sale al 17 per cento, tra le famiglie monoreddito dove è il 17,3 per cento, e tra le persone sole con più di 65 anni con il 14,5 per cento;
    ogni italiano butta annualmente nella spazzatura la media di 76 chilogrammi di prodotti alimentari, che sarebbero in quantità più che sufficienti a garantire cibo adeguato per tutti i cittadini;
    questo problema in Italia riguarda tutta la filiera dove gli sprechi alimentari ammontano in valore a 12,5 miliardi che sono persi per il 54 per cento al consumo, per il 21 per cento nella ristorazione, per il 15 per cento nella distribuzione commerciale e per l'8 per cento nell'agricoltura e per il 2 per cento nella trasformazione;
    è ormai accertato che il peggioramento delle abitudini alimentari, al crescere della povertà e degli sprechi alimentari, si concretizza anche con la progressiva riduzione del consumo di prodotti ortofrutticoli freschi, prodotti invece fondamentali per il mantenimento dello stato di salute dei soggetti vulnerabili;
    è necessario, al fine di migliorare l'accesso dei soggetti in condizione di povertà e di disagio sociale ad un paniere alimentare equilibrato ed atto a prevenire patologie derivanti da carenze nutrizionali, che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, definisca, con proprio decreto, le linee-guida di un «progetto obiettivo», destinato ad utenti in possesso dei requisiti per l'accesso all'assistenza, finalizzato alla erogazione, a cura dei comuni, di buoni per l'acquisto di prodotti ortofrutticoli freschi presso esercizi convenzionati al fine di ridurre lo spreco di alimenti freschi e consentire una ripartizione oculata delle quantità oltre a favorire le politiche di filiera corta,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di avviare, con un adeguata dotazione a valere sul «Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale», il «progetto obiettivo» a decorrere dall'anno 2016.
9/3444-A/80. (Testo modificato nel corso della seduta)  Zaccagnini, Scotto, Franco Bordo, Nicchi, Gregori.


   La Camera,
   premesso che:
    dopo tanti sacrifici molti attendevano che la legge di Stabilità ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 25 per cento della produzione di beni e servizi e ha visto crescere la disoccupazione a tassi che mostrano un quadro di assoluta gravità e che continuano a peggiorare;
    i dubbi sono quasi certezza sul fatto che la manovra non riuscirà a portare il PIL a crescere almeno di un punto percentuale e mezzo nel 2016 come il Governo prevede;
    non determinante, trascurabile o irrilevante è l'impegno che la legge di stabilità contiene per combattere la disoccupazione;
    grave è la completa sudditanza del Governo – in questa legge di stabilità – alle ricette del pensiero neoliberista: più sgravi fiscali e meno investimenti pubblici; più tagli alla spesa pubblica e meno politiche per il sostegno alla domanda pubblica;
    gli sgravi alle imprese (come i bonus per gli investimenti e per le assunzioni, i contratti di lavoro precario e lo stesso smantellamento dello Statuto dei lavoratori tramite il cosiddetto « Jobs act») non hanno mai creato più posti di lavoro, ma solo vantaggi e maggiori margini di profitto subito incamerati da chi pensa solo alla rendita e alla speculazione;
    la disoccupazione rappresenta una vera e propria emorragia di posti di lavoro, che colpisce gli under 30, ma non di meno tutte le altre fasce di età. Quello che più turba è l'enorme crescita di quanti si dicono «scoraggiati», che hanno smesso di cercare lavoro perché ritengono di non trovarlo;
    i costi economici della disoccupazione sono incalcolabili: incidono direttamente sul PIL che non viene prodotto in percentuale di molto superiore al costo delle misure di sostegno al reddito dei disoccupati – si tratta di 80 miliardi di ricchezza reale che non viene creata –; generano costi ulteriori derivanti dalla perdita di produttività del lavoro e comportano costi sociali quali povertà, perdita della casa, criminalità, denutrizione, abbandoni scolastici, antagonismo etnico, crisi familiari, tensioni sociali potenzialmente esplosive;
    i disoccupati nel nostro Paese sono circa 6 milioni disoccupati. Anche se il quadro economico mutasse e vi fosse un boom (evento del tutto improbabile) non si riuscirebbe a creare lavoro per una tale mole di lavoratori e occorrerebbero non meno di 15 anni per riportare la disoccupazione a livelli che si possano considerare fisiologici, ma non si riuscirebbe comunque a tornare ai livelli precedenti (ad esempio al dato del 2005 che ha costituito l'anno migliore del nuovo secolo per l'occupazione nei Paesi UE), tenendo presente che la maggior parte delle imprese stanno provvedendo a sostituire in misura e rapidità crescente il lavoro umano con varie forme di automazione;
    riteniamo, pertanto, che non vi sia altra possibilità di creare lavoro e riassorbire l'enorme mole di disoccupati se non ricorrendo allo Stato come datore di lavoro di ultima istanza attraverso la creazione di un Piano nazionale del lavoro basato su un programma nazionale di interventi pubblici, che si ispiri al New Deal statunitense che tra il 1933 e il 1943 riuscì a creare occupazione per circa 8,5 milioni di lavoratori;
    è importante porsi l'obiettivo minimo di creare un milione e mezzo di posti di lavoro in un triennio, sostenendo un'occupazione produttiva e un lavoro dignitoso, come promossi dall'Organizzazione internazionale del lavoro e dall'Unione europea;
    l'obiettivo del Piano deve essere quello di occupare lavoratori tra le persone inoccupate, disoccupate o occupate in cerca di altra occupazione, qualora il loro reddito sia al di sotto di ottomila euro, dando tuttavia la priorità a coloro che a parità di altre condizioni rientrano nella definizione di lavoratori svantaggiati ai sensi dell'articolo 2, lettera f), del Regolamento CE del 12 dicembre 2002, n. 2204, e che possiedono un patrimonio personale finanziario, mobiliare e immobiliare inferiore; oppure tra persone che usufruiscono di ammortizzatori sociali;
    un tale Programma deve essere realizzato da tutte le amministrazioni dello Stato e dagli enti locali ispirandosi ad interventi che, oltre ad assicurare la creazione di occupazione, consentano lo sviluppo di un nuovo modello produttivo al quale l'Italia deve ambire, ponendosi come obietto primario quello della tutela dell'ambiente e della salute, innanzitutto attraverso il recupero di aree urbane e rurali, degli ecosistemi e della biodiversità;
    gli interventi, pertanto, sono da realizzarsi nei settori della protezione del territorio per prevenire e contrastare il dissesto idrogeologico del Paese; per bonificare e riqualificare dal punto di vista ambientale tutte le aree del territorio nazionale; per recuperare, ristrutturare, adeguare, mettere in sicurezza e valorizzare edifici scolastici, ospedali, asili nido pubblici e il patrimonio immobiliare pubblico da destinare a prima casa e a iniziative di cohousing e coworking; per incrementare l'efficienza energetica e ridurre i consumi per gli uffici pubblici; per recuperare e valorizzare il patrimonio storico, architettonico, museale e archeologico italiano; per recuperare terreni pubblici incolti o abbandonati e salvare dall'inquinamento fiumi, aree paludose, spiagge e coste;
    il Programma dovrebbe basarsi su progetti presentati dagli enti locali e che questi vogliono realizzare, utilizzando le strutture periferiche del Ministero delle attività produttive, per la valutazione dei progetti, e del Ministero del lavoro, per l'assunzione del personale;
    lo Stato dovrebbe mettere a disposizione dei progetti le risorse, con la partecipazione degli enti locali, e le attrezzature e gli strumenti già in dotazione o di proprietà delle Forze armate e di polizia, nonché quelle degli enti locali, mentre i centri per l'impiego dovrebbero procedere a organizzare la formazione dei lavoratori da impiegare;
    i Progetti non direttamente realizzati dagli enti pubblici devono essere assegnati attraverso gare d'appalto ad imprese che si impegnino ad assumere, con contratto a tempo determinato per la durata dell'appalto o a tempo indeterminato, almeno il 50 per cento del personale necessario tra i lavoratori svantaggiati come definiti dal Regolamento europeo n. 2204 del 2002, di cui si è scritto sopra. La riserva di manodopera nei bandi di appalto sarebbe così conforme alle norme dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato;
    per quanto riguarda le risorse da destinare alla realizzazione del Programma nazionale per un triennio sperimentale lo Stato dovrebbe stanziare risorse non inferiori a 60 miliardi da ripartire tra un Fondo nazionale per finanziare i progetti e l'incremento delle risorse a disposizione – a legislazione vigente – degli interventi per la messa in sicurezza del territorio, per gli asili nido pubblici, per la messa in sicurezza degli edifici scolastici pubblici e per incrementare l'efficienza, la prestazione energetica e la riduzione del consumo di energia negli edifici pubblici;
    per mettere insieme le risorse necessarie si potrebbe far ricorso alla Cassa depositi e prestiti che può impiegare risorse proprie e emettere obbligazioni da far sottoscrivere alle Fondazioni bancarie, all'INAIL e ai Fondi pensioni negoziali; destinare quota parte dei fondi strutturali europei; escludere dal patto di stabilità interno, per il triennio di sperimentazione, le spese in conto capitale collegate ai Progetti; ridurre le tax expenditures, i costi per auto blu, la deducibilità degli interessi passivi per le banche, la spesa per gli F35, le fregate FREMM e la TAV Lione-Torino; utilizzare le risorse oggi sprecate per ridurre l'Irap e per gli sgravi per le assunzioni; introdurre la web fax e riformare la tassa sulle transazioni finanziarie eccetera,

impegna il Governo

a creare, con apposito provvedimento normativo, un Piano sperimentale triennale per la creazione di nuovi posti di lavoro per contrastare la piaga della disoccupazione, sulla base di quanto indicato in premessa.
9/3444-A/81Scotto, Airaudo, Placido, Marcon, Fassina, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    dopo tanti sacrifici molti attendevano che la legge di Stabilità ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 25 per cento della produzione di beni e servizi e ha visto crescere la disoccupazione a tassi che mostrano un quadro di assoluta gravità e che continuano a peggiorare;
    i dubbi sono quasi certezza sul fatto che la manovra non riuscirà a portare il PIL a crescere almeno di un punto percentuale e mezzo nel 2016 come il Governo prevede;
    non determinante, trascurabile o irrilevante è l'impegno che la legge di stabilità contiene per combattere la disoccupazione;
    grave è la completa sudditanza del Governo – in questa legge di stabilità – alle ricette del pensiero neoliberista: più sgravi fiscali e meno investimenti pubblici; più tagli alla spesa pubblica e meno politiche per il sostegno alla domanda pubblica;
    gli sgravi alle imprese (come i bonus per gli investimenti e per le assunzioni, i contratti di lavoro precario e lo stesso smantellamento dello Statuto dei lavoratori tramite il cosiddetto « Jobs act») non hanno mai creato più posti di lavoro, ma solo vantaggi e maggiori margini di profitto subito incamerati da chi pensa solo alla rendita e alla speculazione;
    la disoccupazione rappresenta una vera e propria emorragia di posti di lavoro, che colpisce gli under 30, ma non di meno tutte le altre fasce di età. Quello che più turba è l'enorme crescita di quanti si dicono «scoraggiati», che hanno smesso di cercare lavoro perché ritengono di non trovarlo;
    i costi economici della disoccupazione sono incalcolabili: incidono direttamente sul PIL che non viene prodotto in percentuale di molto superiore al costo delle misure di sostegno al reddito dei disoccupati – si tratta di 80 miliardi di ricchezza reale che non viene creata –; generano costi ulteriori derivanti dalla perdita di produttività del lavoro e comportano costi sociali quali povertà, perdita della casa, criminalità, denutrizione, abbandoni scolastici, antagonismo etnico, crisi familiari, tensioni sociali potenzialmente esplosive;
    i disoccupati nel nostro Paese sono circa 6 milioni disoccupati. Anche se il quadro economico mutasse e vi fosse un boom (evento del tutto improbabile) non si riuscirebbe a creare lavoro per una tale mole di lavoratori e occorrerebbero non meno di 15 anni per riportare la disoccupazione a livelli che si possano considerare fisiologici, ma non si riuscirebbe comunque a tornare ai livelli precedenti (ad esempio al dato del 2005 che ha costituito l'anno migliore del nuovo secolo per l'occupazione nei Paesi UE), tenendo presente che la maggior parte delle imprese stanno provvedendo a sostituire in misura e rapidità crescente il lavoro umano con varie forme di automazione;
    riteniamo, pertanto, che non vi sia altra possibilità di creare lavoro e riassorbire l'enorme mole di disoccupati se non ricorrendo allo Stato come datore di lavoro di ultima istanza attraverso la creazione di un Piano nazionale del lavoro basato su un programma nazionale di interventi pubblici, che si ispiri al New Deal statunitense che tra il 1933 e il 1943 riuscì a creare occupazione per circa 8,5 milioni di lavoratori;
    è importante porsi l'obiettivo minimo di creare un milione e mezzo di posti di lavoro in un triennio, sostenendo un'occupazione produttiva e un lavoro dignitoso, come promossi dall'Organizzazione internazionale del lavoro e dall'Unione europea;
    l'obiettivo del Piano deve essere quello di occupare lavoratori tra le persone inoccupate, disoccupate o occupate in cerca di altra occupazione, qualora il loro reddito sia al di sotto di ottomila euro, dando tuttavia la priorità a coloro che a parità di altre condizioni rientrano nella definizione di lavoratori svantaggiati ai sensi dell'articolo 2, lettera f), del Regolamento CE del 12 dicembre 2002, n. 2204, e che possiedono un patrimonio personale finanziario, mobiliare e immobiliare inferiore; oppure tra persone che usufruiscono di ammortizzatori sociali;
    un tale Programma deve essere realizzato da tutte le amministrazioni dello Stato e dagli enti locali ispirandosi ad interventi che, oltre ad assicurare la creazione di occupazione, consentano lo sviluppo di un nuovo modello produttivo al quale l'Italia deve ambire, ponendosi come obietto primario quello della tutela dell'ambiente e della salute, innanzitutto attraverso il recupero di aree urbane e rurali, degli ecosistemi e della biodiversità;
    gli interventi, pertanto, sono da realizzarsi nei settori della protezione del territorio per prevenire e contrastare il dissesto idrogeologico del Paese; per bonificare e riqualificare dal punto di vista ambientale tutte le aree del territorio nazionale; per recuperare, ristrutturare, adeguare, mettere in sicurezza e valorizzare edifici scolastici, ospedali, asili nido pubblici e il patrimonio immobiliare pubblico da destinare a prima casa e a iniziative di cohousing e coworking; per incrementare l'efficienza energetica e ridurre i consumi per gli uffici pubblici; per recuperare e valorizzare il patrimonio storico, architettonico, museale e archeologico italiano; per recuperare terreni pubblici incolti o abbandonati e salvare dall'inquinamento fiumi, aree paludose, spiagge e coste;
    il Programma dovrebbe basarsi su progetti presentati dagli enti locali e che questi vogliono realizzare, utilizzando le strutture periferiche del Ministero delle attività produttive, per la valutazione dei progetti, e del Ministero del lavoro, per l'assunzione del personale;
    lo Stato dovrebbe mettere a disposizione dei progetti le risorse, con la partecipazione degli enti locali, e le attrezzature e gli strumenti già in dotazione o di proprietà delle Forze armate e di polizia, nonché quelle degli enti locali, mentre i centri per l'impiego dovrebbero procedere a organizzare la formazione dei lavoratori da impiegare;
    i Progetti non direttamente realizzati dagli enti pubblici devono essere assegnati attraverso gare d'appalto ad imprese che si impegnino ad assumere, con contratto a tempo determinato per la durata dell'appalto o a tempo indeterminato, almeno il 50 per cento del personale necessario tra i lavoratori svantaggiati come definiti dal Regolamento europeo n. 2204 del 2002, di cui si è scritto sopra. La riserva di manodopera nei bandi di appalto sarebbe così conforme alle norme dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato;
    per quanto riguarda le risorse da destinare alla realizzazione del Programma nazionale per un triennio sperimentale lo Stato dovrebbe stanziare risorse non inferiori a 60 miliardi da ripartire tra un Fondo nazionale per finanziare i progetti e l'incremento delle risorse a disposizione – a legislazione vigente – degli interventi per la messa in sicurezza del territorio, per gli asili nido pubblici, per la messa in sicurezza degli edifici scolastici pubblici e per incrementare l'efficienza, la prestazione energetica e la riduzione del consumo di energia negli edifici pubblici;
    per mettere insieme le risorse necessarie si potrebbe far ricorso alla Cassa depositi e prestiti che può impiegare risorse proprie e emettere obbligazioni da far sottoscrivere alle Fondazioni bancarie, all'INAIL e ai Fondi pensioni negoziali; destinare quota parte dei fondi strutturali europei; escludere dal patto di stabilità interno, per il triennio di sperimentazione, le spese in conto capitale collegate ai Progetti; ridurre le tax expenditures, i costi per auto blu, la deducibilità degli interessi passivi per le banche, la spesa per gli F35, le fregate FREMM e la TAV Lione-Torino; utilizzare le risorse oggi sprecate per ridurre l'Irap e per gli sgravi per le assunzioni; introdurre la web fax e riformare la tassa sulle transazioni finanziarie eccetera,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di creare, con apposito provvedimento normativo, un Piano sperimentale triennale per la creazione di nuovi posti di lavoro per contrastare la piaga della disoccupazione, sulla base di quanto indicato in premessa.
9/3444-A/81. (Testo modificato nel corso della seduta)  Scotto, Airaudo, Placido, Marcon, Fassina, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, istituisce un «Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale», con una dotazione di 600 milioni per il 2016, e 1 miliardo di euro a decorrere dall'anno 2017, per il finanziamento di un Piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale;
    è evidente che se l'obiettivo del suddetto Piano nazionale, è quello di far uscire dalla soglia di povertà assoluta le famiglie che si trovano in questa situazione, le risorse stanziate si dimostrano chiaramente insufficienti. Dai dati ISTAT si evince che sarebbero necessari circa 56 miliardi di euro;
    la stessa proposta di un credibile programma di lotta alla povertà e all'esclusione sociale, presentato dall’«Alleanza contro la povertà in Italia», alleanza fondata da moltissime associazioni, organismi e Onlus (Acli, Action Aid, Anci, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Cgil-Cisl-Uil, Cnca, Comunità di Sant'Egidio, Confcooperative, Conferenza delle regioni e delle province autonome, Federazione nazionale Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Nazionale Italiano – ONLUS, Fio.PSD, Fondazione Banco Alimentare ONLUS, Forum Nazionale del Terzo Settore, Jesuit Social Network, Legautonomie, Save the Children, Umanità Nuova-Movimento dei Focolari) prevede, a regime, un intervento finanziario di oltre 7 miliardi di euro;
    è quindi evidente che le risorse messe in campo con questa legge di stabilità dal Governo, seppur siano un primo passo verso la giusta direzione, risultato del tutto inadeguate a dare una risposta credibile a centinaia di migliaia di famiglie che vivono in grave disagio economico;
    una risposta adeguata dovrebbe venire dall'attuazione di un reddito di inclusione sociale o di un reddito minimo, comunque lo si voglia declinare, con lo scopo di contrastare realmente la marginalità, attraverso l'inclusione sociale per gli inoccupati, i disoccupati e i lavoratori precariamente occupati, quale misura di contrasto alla disuguaglianza e di sostegno economico e all'inserimento sociale dei soggetti maggiormente esposti al rischio di marginalità nella società e nel mercato del lavoro;
    peraltro, a partire dal 2017, si prevede una futura introduzione di un'unica misura nazionale di contrasto alla povertà, a cui si destina il miliardo annuo previsto, e la revisione della legislazione vigente in materia di trattamenti, indennità, assegni di natura assistenziale, accesso alle prestazioni sociali, ecc., attraverso la predisposizione, da parte del Governo, di uno o più provvedimenti legislativi;
    dal testo in esame, non è dato sapere nulla di più su come detto miliardo annuo verrà utilizzato dal 2017 per il contrasto alla povertà. Il Parlamento dovrà infatti attendere i provvedimenti legislativi che saranno decisi e presentati durante il prossimo anno, per sapere cosa il Governo intenderà fare. L'unica cosa chiara, è che si metterà mano alla normativa vigente in termini di trattamenti, indennità, integrazioni di reddito, assegni di natura assistenziale (anche l'indennità di accompagnamento o l'invalidità civile ? Saranno soppresse o riformate ?), accesso alle prestazioni sociali, ecc.,

impegna il Governo:

   a incrementare progressivamente le risorse stanziate per consentire un'efficace lotta alla povertà e all'esclusione sociale;
   a implementare le politiche di contrasto alla disuguaglianza e di sostegno economico e di inserimento sociale delle persone in condizione, o a rischio, di povertà, anche attraverso l'introduzione, a regime, di un reddito di inclusione sociale o di un reddito minimo, quale forma reddituale diretta da affiancare contestualmente a misure efficaci volte a favorire l'uscita dalla condizione di marginalità, e per il (re)inserimento nel mercato del lavoro;
   a prevedere che gli eventuali risparmi conseguenti alla prevista revisione da parte del Governo, della normativa vigente in materia di trattamenti, indennità, assegni di natura assistenziale, accesso alle prestazioni sociali, ecc., siano destinati a incrementare le risorse previste per il contrasto alla povertà.
9/3444-A/82Fratoianni, Nicchi, Marcon, Gregori, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, istituisce un «Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale», con una dotazione di 600 milioni per il 2016, e 1 miliardo di euro a decorrere dall'anno 2017, per il finanziamento di un Piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale;
    è evidente che se l'obiettivo del suddetto Piano nazionale, è quello di far uscire dalla soglia di povertà assoluta le famiglie che si trovano in questa situazione, le risorse stanziate si dimostrano chiaramente insufficienti. Dai dati ISTAT si evince che sarebbero necessari circa 56 miliardi di euro;
    la stessa proposta di un credibile programma di lotta alla povertà e all'esclusione sociale, presentato dall’«Alleanza contro la povertà in Italia», alleanza fondata da moltissime associazioni, organismi e Onlus (Acli, Action Aid, Anci, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Cgil-Cisl-Uil, Cnca, Comunità di Sant'Egidio, Confcooperative, Conferenza delle regioni e delle province autonome, Federazione nazionale Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Nazionale Italiano – ONLUS, Fio.PSD, Fondazione Banco Alimentare ONLUS, Forum Nazionale del Terzo Settore, Jesuit Social Network, Legautonomie, Save the Children, Umanità Nuova-Movimento dei Focolari) prevede, a regime, un intervento finanziario di oltre 7 miliardi di euro;
    è quindi evidente che le risorse messe in campo con questa legge di stabilità dal Governo, seppur siano un primo passo verso la giusta direzione, risultato del tutto inadeguate a dare una risposta credibile a centinaia di migliaia di famiglie che vivono in grave disagio economico;
    una risposta adeguata dovrebbe venire dall'attuazione di un reddito di inclusione sociale o di un reddito minimo, comunque lo si voglia declinare, con lo scopo di contrastare realmente la marginalità, attraverso l'inclusione sociale per gli inoccupati, i disoccupati e i lavoratori precariamente occupati, quale misura di contrasto alla disuguaglianza e di sostegno economico e all'inserimento sociale dei soggetti maggiormente esposti al rischio di marginalità nella società e nel mercato del lavoro;
    peraltro, a partire dal 2017, si prevede una futura introduzione di un'unica misura nazionale di contrasto alla povertà, a cui si destina il miliardo annuo previsto, e la revisione della legislazione vigente in materia di trattamenti, indennità, assegni di natura assistenziale, accesso alle prestazioni sociali, ecc., attraverso la predisposizione, da parte del Governo, di uno o più provvedimenti legislativi;
    dal testo in esame, non è dato sapere nulla di più su come detto miliardo annuo verrà utilizzato dal 2017 per il contrasto alla povertà. Il Parlamento dovrà infatti attendere i provvedimenti legislativi che saranno decisi e presentati durante il prossimo anno, per sapere cosa il Governo intenderà fare. L'unica cosa chiara, è che si metterà mano alla normativa vigente in termini di trattamenti, indennità, integrazioni di reddito, assegni di natura assistenziale (anche l'indennità di accompagnamento o l'invalidità civile ? Saranno soppresse o riformate ?), accesso alle prestazioni sociali, ecc.,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    incrementare progressivamente le risorse stanziate per consentire un'efficace lotta alla povertà e all'esclusione sociale;
    implementare le politiche di contrasto alla disuguaglianza e di sostegno economico e di inserimento sociale delle persone in condizione, o a rischio, di povertà, anche attraverso l'introduzione, a regime, di un reddito di inclusione sociale o di un reddito minimo, quale forma reddituale diretta da affiancare contestualmente a misure efficaci volte a favorire l'uscita dalla condizione di marginalità, e per il (re)inserimento nel mercato del lavoro;
    prevedere che gli eventuali risparmi conseguenti alla prevista revisione da parte del Governo, della normativa vigente in materia di trattamenti, indennità, assegni di natura assistenziale, accesso alle prestazioni sociali, ecc., siano destinati a incrementare le risorse previste per il contrasto alla povertà.
9/3444-A/82. (Testo modificato nel corso della seduta)  Fratoianni, Nicchi, Marcon, Gregori, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    ai sensi dell'articolo 2, comma 57, della legge 28 giugno 2012, n. 92, l'aliquota contributiva pensionistica e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche relativa ai lavoratori con partita IVA, iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non inseriti in alcun albo professionale e privi di cassa previdenziale, si dispone un costante incremento contributivo;
    per il 2016 il provvedimento al nostro esame prevede la sterilizzazione di detti incrementi contributivi;
    ma rimane in vigore il richiamato aumento dell'aliquota contributiva per le partite Iva iscritte alla gestione separata, rischiando così di determinare le condizioni per spingere fuori dal mercato del lavoro centinaia di migliaia di freelance, professionisti e lavoratori della conoscenza;
    sarebbe equo ed opportuno che l'aliquota contributiva per tali figure lavorative fosse ricondotte al valore dell'aliquota che si applica per il lavoro autonomo, ossia pari al 24 per cento,

impegna il Governo

ad intervenire, con opportune iniziative anche legislative, al fine di ricondurre l'aliquota contributiva per i lavoratori con partita IVA iscritti alla citata gestione separata al valore del 24 per cento in maniera tale da uniformare l'aliquota a quella valida per i lavoratori autonomi.
9/3444-A/83Fassina, Airaudo, Placido, Melilla, Marcon.


   La Camera,
   premesso che:
    ai sensi dell'articolo 2, comma 57, della legge 28 giugno 2012, n. 92, l'aliquota contributiva pensionistica e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche relativa ai lavoratori con partita IVA, iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non inseriti in alcun albo professionale e privi di cassa previdenziale, si dispone un costante incremento contributivo;
    per il 2016 il provvedimento al nostro esame prevede la sterilizzazione di detti incrementi contributivi;
    ma rimane in vigore il richiamato aumento dell'aliquota contributiva per le partite Iva iscritte alla gestione separata, rischiando così di determinare le condizioni per spingere fuori dal mercato del lavoro centinaia di migliaia di freelance, professionisti e lavoratori della conoscenza;
    sarebbe equo ed opportuno che l'aliquota contributiva per tali figure lavorative fosse ricondotte al valore dell'aliquota che si applica per il lavoro autonomo, ossia pari al 24 per cento,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire, con opportune iniziative anche legislative, al fine di ricondurre l'aliquota contributiva per i lavoratori con partita IVA iscritti alla citata gestione separata al valore del 24 per cento in maniera tale da uniformare l'aliquota a quella valida per i lavoratori autonomi.
9/3444-A/83. (Testo modificato nel corso della seduta)  Fassina, Airaudo, Placido, Melilla, Marcon.


   La Camera,
   considerato che:
    neanche il varo della legge di stabilità per l'anno 2016 ha rappresentato l'occasione giusta per chiudere, sul fronte pensionistico, definitivamente e positivamente due scottanti questioni rimaste così ancora sul tappeto: quella degli addetti alla condotta di treni e traghetti e quella dei cosiddetti «quota 96»;
    si tratta di una platea di aspiranti pensionati rimasta ostaggio degli aberranti effetti della riforma Fornero che, pur contemplando una norma di salvaguardia a tutela dei diritti pensionistici maturati prima della sua entrata in vigore, non ha tenuto conto per i primi del diritto ad accedere anticipatamente al trattamento previdenziale in ragione di un'aspettativa di vita media di soli 63 anni, mentre per i secondi della specificità del comparto scuola che, al fine di garantire il diritto allo studio degli studenti, ha da sempre usufruito di un'unica e sola finestra di uscita in coincidenza con la fine dell'anno scolastico;
    quanto al personale viaggiante di ferrovie e traghetti, questo fino alla entrata in vigore della riforma del sistema pensionistico, come introdotta dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, grazie ad una normativa che riconosceva la natura usurante della loro attività lavorativa ed alle risorse garantite a tal fine da un fondo ad hoc istituito presso l'INPS potevano accedere, all'età di 58 anni, al trattamento previdenziale anticipato. Dopo l'entrata in vigore della stessa riforma, invece, causa di un errore lessicale in essa contenuto, lo stesso personale si è visto in un solo giorno elevare di nove anni il requisito anagrafico e quindi perdere lo status di lavoratori usurati;
    inoltre si tratta di una categoria di lavoratori sottoposta per legge a visite di idoneità annuali, la maggior parte dei quali, dopo qualche anno, non le supera più, perché costretta ogni giorno a guidare convogli che viaggiano fino a 300 chilometri orari, e che dopo 15-20 anni di attività accusa seri problemi all'udito legati ai rumori continui della motrice, spesso molto al di sopra dei livelli consentiti ed alla spina dorsale dovuti alle continue vibrazioni, alle continue oscillazioni trasversali e ai frequenti contraccolpi verticali;
    ad aggravare la condizione di questi lavoratori, rendendola più usurante, è la circostanza che dal 2009 non sono più affiancati in cabina di guida da un collega, e che dal 2011 il loro orario di lavoro è passato da 8 ore e mezza a 10, dei quali 6 ore e 30 di «condotta di guida continuativa», senza, cioè, potersi allontanare dalla postazione di guida, tutti motivi per i quali in altri Paesi europei l'età per accedere alla pensione è mediamente fissata tra i 54 ed i 55 anni;
    sull'altro fronte, quello dei cosiddetti «quota 96», sembra persistere una sorta di accanimento politico nel non voler finalmente risolvere quel « vulnus» inferto dall'articolo 24, comma 3, del citato decreto-legge n. 201 del 2001, che, nell'indicare quale limite tra i vecchi ed i nuovi criteri per l'accesso al trattamento pensionistico il 31 dicembre 2011, non ha considerato che per il solo comparto scuola tale limite dovesse coincidere, invece, con il 31 agosto 2012, data di conclusione dell'anno scolastico, penalizzando tutti quei lavoratori della scuola, all'epoca circa 4.000, nati nel biennio 1951-1952, che, nonostante avessero maturato a fine anno i requisiti pensionistici (61 anni di età e 35 di contributi oppure 60 anni e 36 di contributi) e quindi presentato relativa domanda di accesso al trattamento previdenziale, sono rimasti bloccati in servizio;
    da quel giorno, nonostante in questi ultimi anni siano intervenute a sostegno delle evidenti ragioni di questi lavoratori ingiustamente penalizzati, varie iniziative parlamentari, sia da parte della maggioranza che dell'opposizione, oltre a numerose sentenze che riconoscono il diritto dei ricorrenti, ancora una volta si sono deluse le legittime attese di quanti hanno dedicato la propria esistenza professionale alle nuove generazioni;
    quanto alla platea degli interessati lo stesso Ministro della funzione pubblica recentemente interrogato in Aula ha affermato che la stessa comprenda oggi non più di 3.000 soggetti, facendo in tal modo drasticamente diminuire l'importo delle risorse economiche necessarie per sanare tutte le posizioni rimanenti, operazione che, oltre a favorire, tra l'altro, il ricambio generazionale dei docenti consentirebbe l'immediata stabilizzazione di altrettanti precari,

impegna il Governo

  ad emanare un provvedimento che rimedi all'errore formale contenuto all'articolo 24, comma 18, ultimo periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che a tutt'oggi impedisce all'intera categoria del personale addetto alla condotta di treni e traghetti di accedere anticipatamente al trattamento previdenziale;
   a dare definitiva soluzione entro l'anno scolastico 2015/2016 alle aspettative di tutti quei lavoratori della scuola che, in procinto di accedere al trattamento previdenziale sono stati ingannati da una legge imperfetta e lacunosa che ha negato loro il diritto alla pensione, risolvendo così tutte le problematiche interpretative ed applicative sorte a causa della riforma «Fornero», estendendo l'applicazione dei requisiti di accesso al trattamento pensionistico previgente alla stessa anche al personale della scuola che aveva maturato i requisiti entro l'anno scolastico 2011/2012, ai sensi dell'articolo 59, comma 9, della legge n. 449 del 1997.
9/3444-A/84Pannarale, Airaudo, Giancarlo Giordano, Placido, Tripiedi, Chimienti, Cominardi, Ciprini.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 13 luglio 2015, n. 107, comma 95, e seguenti, non ha previsto all'interno del Piano straordinario di assunzioni una parte importante del personale della scuola che ogni giorno ne assicura e contribuisce al funzionamento, in particolare il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) ed anche il personale cosiddetto «terziarizzato» che vi lavora ormai da anni nei servizi di pulizia e, in minima parte, poche centinaia di lavoratrici e lavoratori in tutto il Paese con contratti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa, con funzioni riconducibili ai profili professionali di assistente amministrativo e assistente tecnico della scuola statale;
    per quanto riguarda il personale ATA, queste lavoratrici e lavoratori sono stati irragionevolmente nonché illegittimamente esclusi dal piano straordinario di immissioni in ruolo della cd «buona scuola», attuato e disciplinato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con il DDG n. 767 del 2015 pur facendo parte del cosiddetto precariato storico della scuola avendo lavorato per anni alle dipendenze del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca su posti disponibili e vacanti con contratti di lavoro a tempo determinato senza alcuna indicazione di tempo per l'espletamento di procedure concorsuali a loro copertura e, per alcuni, ben oltre la durata massima 36 mesi con lo stesso datore di lavoro, anche pubblico, così come previsto dalla normativa europea di merito;
    la legge n. 107 del 2015 in quest'ambito appare in palese contraddizione con le indicazioni di altra normativa nel merito: sia all'articolo 15 della legge n. 128 del 2013 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge n.104 del 2013, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca) che ha deliberato «un piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo ed ATA, per gli anni 2014-2016, tenuto conto dei posti vacanti e disponibili per ciascun anno, delle relative cessazioni del predetto personale», sia alla legge di stabilità 2015, n. 190 del 2014, che ha previsto un apposito fondo nazionale finalizzato all'attuazione degli interventi: «con prioritario riferimento alla realizzazione di un piano straordinario di assunzioni.»;
    per quanto riguarda la cosiddetta «terziarizzazione/esternalizzazione dei servizi ATA» di parte delle scuole statali, risalente ormai al lontano anno 2000, successivamente all'approvazione della legge n. 124 del 1999 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), con esiti più che controversi nonché insostenibili sia per quanto riguarda le risorse impiegate e i costi per il bilancio dello Stato, sia sotto l'aspetto occupazionale delle lavoratrici e lavoratori delle imprese di pulizia, vieppiù reso precario con il trascorrere degli anni, ma anche per la qualità dell'igiene e pulizia delle scuole interessate, situazioni di disagio e emergenza più volte e da anni segnalate dalla stampa;
    anche il Governo di recente non ha potuto non riconoscere le problematiche e criticità dell'attuale sistema di esternalizzazioni dei servizi ATA che anche con gli ultimi appalti/convenzioni stipulati sulla base delle cosiddette «gare Consip» non hanno fatto altro che far deflagrare le criticità di una scelta e di una politica dei servizi giunta ormai al capolinea ed hanno impegnato il Parlamento e il Governo a interventi ripetuti normativi non risolutivi con il reperimento continuo di risorse utili solo per tamponare le emergenze ricorrenti;
    la legge 13 luglio 2015, n. 107, comma 95 e seguenti, ha anche escluso illegittimamente e irragionevolmente dal Piano straordinario di assunzioni una parte di docenti precari appartenenti alla graduatoria di seconda fascia di istituto in possesso di abilitazione: Percorsi abilitanti speciali (PAS)/Tirocinio formativo attivo (TFA), appartenenti alle graduatorie della scuola dell'infanzia escluse dal cosiddetto «potenziamento» e appartenenti a classi di concorso per cui non è stato bandito il concorso di cui al DDG n. 82 del 24 settembre 2012: indizione dei concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole dell'infanzia, primaria, secondaria di I e II grado;
    la procedura assunzionale straordinaria richiamata, attuata in deroga all'attuale disciplina vigente in materia prevista dall'articolo 399 del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione (decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297) è divenuta inevitabilmente oggetto di clamorose proteste del personale precario che da anni porta avanti la scuola italiana supplendone in ogni modo alle carenze strutturali e organizzative e spesso, per riconoscenza, pagato con mesi di ritardo e che con le norme della cosiddetta «buona scuola» si vede di fatto preclusa ogni possibilità di occupazione futura, nonché di numerosissimi ricorsi per: violazione di legge e eccesso e sviamento di potere difetto di motivazione, irragionevolezza, illogicità manifesta, contraddittorietà, nonché violazione dell'articolo 3 e dell'articolo 97 della Costituzione in relazione a violazione e falsa applicazione del principio del legittimo affidamento e del principio di buona fede e questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 95, della legge n. 107 del 2015 per violazione degli articolo 3, 51, 97 e 98 della Costituzione; ed anche per: violazione e falsa applicazione in relazione ai principi di diritto comunitario sull'abuso di rapporti di lavoro a termine ed alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea con speciale riferimento alla sentenza C-22/13 del 22 novembre 2014;
    l'anno 2015, inoltre, avrebbe dovuto essere l'anno della riforma dei «concorsi pubblici», ma ad oggi si sono perse le tracce anche di quello per i dirigenti scolastici: figure ritenute indispensabile a parole, ma nella realtà, anche in questo anno scolastico sottoposte a grandissime difficoltà: quasi mille scuole continuano ad affidate a «reggenza», con i dirigenti plurititolari costretti dividersi con grande affanno tra 6 o 7 sedi e «buone scuole» a loro affidate. Inoltre, come triste consuetudine anche gli ultimi concorsi non sono sfuggiti all'improvvisazione e al comportamento negligente dell'amministrazione che ha generato un contenzioso infinito. Purtroppo, ancora una volta Governo e maggioranza non hanno ritenuto importante intervenire per sanare per via normativa tutte le situazioni di contenzioso ancora aperte, anche al fine di evitare il riprodursi di situazioni di disparità di trattamento tra ricorrenti con ricorsi pendenti relativi a procedure concorsuali di anni diversi,

impegna il Governo:

   a superare gli errori del passato anche al fine di prevenire e tutelare le esigenze di economicità dell'azione amministrativa ed evitare le ripercussioni sul sistema scolastico del possibile esito del contenzioso già in essere e, quindi:
    a) a dare immediata attuazione allo svolgimento del concorso, già indetto ed autorizzato da anni, per l'assunzione dei direttori dei servizi generali e amministrativi, nonché a trovare una soluzione definitiva con il confronto con tutte le parti interessate ai problemi della stabilizzazione del precariato ATA, compresa quella dei lavoratori «terziarizzati» (cosiddetti ex LSU) nel settore scolastico, finalizzata alla definizione di un modello organizzativo funzionale ed efficiente dei servizi delle scuole, dal funzionamento amministrativo a quello dei laboratori, dalle pulizie ai servizi ausiliari e alla sorveglianza;
    b) per quanto riguarda il precariato dei docenti, in relazione ai gravi vizi evidenziati, trovare soluzioni assunzionali, anche straordinarie e graduali, per tutti i docenti in possesso di un'abilitazione all'insegnamento e/o titoli di studio ritenuti validi, nonché a provvedere alla copertura di tutti i posti disponibili e vacanti;
    c) per quanto riguarda il contenzioso relativo ai concorsi per dirigenti scolastici a trovare soluzioni che integrino quanto già previsto dalla legge n. 107 del 2015 per coloro che abbiano avuto una sentenza favorevole almeno nel primo grado di giudizio ovvero non abbiano ancor avuto alcuna sentenza definitiva ma superato le prove concorsuali.
9/3444-A/85Giancarlo Giordano, Pannarale, Carlo Galli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 34 della Costituzione italiana sancisce che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e che la Repubblica deve rendere effettivo questo diritto attraverso l'attribuzione per concorso di borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze;
    il diritto allo studio rappresenta, pertanto, uno degli strumenti più importanti per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona e per dare attuazione a quell'eguaglianza sostanziale fra cittadini abbienti e meno abbienti che è alla base dell'articolo 3, secondo comma, della Costituzione;
    in questo contesto, non è possibile non rilevare come l'università italiana da anni viva una crisi profonda, i segnali sono molti ma quello più drammatico è il calo delle immatricolazioni: meno 23 per cento, in dieci anni come riportano i dati ufficiali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
    i nuovi iscritti che erano 338.482 nell'anno accademico 2003/2004, si sono ridotti a 260.245 nel 2013/2014;
    rallentano i tassi di passaggio dalla scuola secondaria superiore all'università nello stesso anno del diploma: al netto delle tendenze demografiche, siamo scesi 49,1 per cento, riportando così il Paese indietro di dieci anni e, soprattutto, si evidenzia la riduzione delle iscrizioni degli studenti appartenenti alle famiglie meno abbienti del Mezzogiorno;
    il tasso di ingresso all'università in Italia si attesta intorno al 40 per cento, valore ben inferiore alla media Ocse che sfiora il 60 per cento, mentre è clamorosamente fallito l'obiettivo di aumentare il numero dei laureati, una priorità delle politiche sull'istruzione universitaria fin dalle riforme degli anni ’90 e, come risulta dal rapporto Ocse «Education at Glance», con il 20 per cento di laureati nella fascia dei 25-34 anni, l'Italia è al 34o posto su 37 nazioni;
    questa drammatica situazione non può essere considerata una conseguenza di un «destino cinico e baro» ma è il risultato di precise scelte politiche, dei tagli continui e delle riduzioni di risorse per l'istruzione e per la ricerca;
    la legge di stabilità 2016, purtroppo, non rappresenta una vera e reale inversione di tendenza: il primo grande assente è proprio il «diritto allo studio», nonostante le modifiche apportate alla sconveniente previsione di incremento (+5 milioni di euro) previsto dal testo approvato in Senato e aggravato per moltissimi giovani dall'attuale calcolo ISEE;
    la spesa per l'istruzione in Italia resta al di sotto della media europea, per allinearsi alla quale occorrono impegni e investimenti maggiori, infatti le risorse destinate all'università e alla ricerca rappresentano appena l'1 per cento, del PIL rispetto a una media europea di circa l'1,5 per cento;
    deve essere, quindi, prioritario un intervento di rifinanziamento complessivo del FFO e del diritto allo studio, affinché si possa prevedere un rilancio complessivo del sistema universitario e per porre fine alle profonde disuguaglianze legate all'accessibilità del percorso universitario e alla fruibilità dei servizi destinati agli studenti da nord a sud del Paese e impedire che l'università stessa diventi sempre più un lusso per pochi generando in tal modo nuovi privilegi e maggiori disuguaglianze,

impegna il Governo

  ad assicurare al sistema universitario statale finanziamenti adeguati, destinando ad esso risorse tali da raggiungere nell'arco di un quinquennio una percentuale del prodotto interno lordo pari alla media delle risorse destinate alle stesse finalità da parte dei Paesi dell'Unione europea e, come garanzia di un effettivo diritto allo studio per le giovani generazioni, ad aumentare in maniera sostanziale il Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, rivedere criteri di accesso alle borse di studio universitarie attualmente vigenti attraverso una rimodulazione della soglia ISEE a livello nazionale in modo da ampliare e/o garantire una percentuale di studenti idonei e richiedenti almeno in linea con la percentuale degli anni accademici passati nonché diminuire in maniera consistente l'attuale e altissimo tasso di contribuzione studentesca;
   a rivedere in maniera organica tutta la normativa relativa alle forme straordinarie e anomale di reclutamento per chiamata diretta e stipendio «personalizzato», in cui i criteri per l'assunzione tutti da definire – non possono sostituire qualsiasi procedura comparativa ai sensi dell'articolo 18, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ingenerando così una moltiplicazione dei livelli di docenza del tutto inutile e offensiva per il normale corpo docente e, invece, a stanziare risorse adeguate a favore delle chiamate dei professori ordinari abilitati a copertura delle effettive esigenze d'organico;
   a reperire e stanziare le risorse necessarie al fine di ripristinare la regolare progressione di classi e scatti stipendiali dei docenti universitari.
9/3444-A/86Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Pannarale.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 34 della Costituzione italiana sancisce che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e che la Repubblica deve rendere effettivo questo diritto attraverso l'attribuzione per concorso di borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze;
    il diritto allo studio rappresenta, pertanto, uno degli strumenti più importanti per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona e per dare attuazione a quell'eguaglianza sostanziale fra cittadini abbienti e meno abbienti che è alla base dell'articolo 3, secondo comma, della Costituzione;
    in questo contesto, non è possibile non rilevare come l'università italiana da anni viva una crisi profonda, i segnali sono molti ma quello più drammatico è il calo delle immatricolazioni: meno 23 per cento, in dieci anni come riportano i dati ufficiali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
    i nuovi iscritti che erano 338.482 nell'anno accademico 2003/2004, si sono ridotti a 260.245 nel 2013/2014;
    rallentano i tassi di passaggio dalla scuola secondaria superiore all'università nello stesso anno del diploma: al netto delle tendenze demografiche, siamo scesi 49,1 per cento, riportando così il Paese indietro di dieci anni e, soprattutto, si evidenzia la riduzione delle iscrizioni degli studenti appartenenti alle famiglie meno abbienti del Mezzogiorno;
    il tasso di ingresso all'università in Italia si attesta intorno al 40 per cento, valore ben inferiore alla media Ocse che sfiora il 60 per cento, mentre è clamorosamente fallito l'obiettivo di aumentare il numero dei laureati, una priorità delle politiche sull'istruzione universitaria fin dalle riforme degli anni ’90 e, come risulta dal rapporto Ocse «Education at Glance», con il 20 per cento di laureati nella fascia dei 25-34 anni, l'Italia è al 34o posto su 37 nazioni;
    questa drammatica situazione non può essere considerata una conseguenza di un «destino cinico e baro» ma è il risultato di precise scelte politiche, dei tagli continui e delle riduzioni di risorse per l'istruzione e per la ricerca;
    la legge di stabilità 2016, purtroppo, non rappresenta una vera e reale inversione di tendenza: il primo grande assente è proprio il «diritto allo studio», nonostante le modifiche apportate alla sconveniente previsione di incremento (+5 milioni di euro) previsto dal testo approvato in Senato e aggravato per moltissimi giovani dall'attuale calcolo ISEE;
    la spesa per l'istruzione in Italia resta al di sotto della media europea, per allinearsi alla quale occorrono impegni e investimenti maggiori, infatti le risorse destinate all'università e alla ricerca rappresentano appena l'1 per cento, del PIL rispetto a una media europea di circa l'1,5 per cento;
    deve essere, quindi, prioritario un intervento di rifinanziamento complessivo del FFO e del diritto allo studio, affinché si possa prevedere un rilancio complessivo del sistema universitario e per porre fine alle profonde disuguaglianze legate all'accessibilità del percorso universitario e alla fruibilità dei servizi destinati agli studenti da nord a sud del Paese e impedire che l'università stessa diventi sempre più un lusso per pochi generando in tal modo nuovi privilegi e maggiori disuguaglianze,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    assicurare al sistema universitario statale finanziamenti adeguati, destinando ad esso risorse tali da raggiungere nell'arco di un quinquennio una percentuale del prodotto interno lordo pari alla media delle risorse destinate alle stesse finalità da parte dei Paesi dell'Unione europea e, come garanzia di un effettivo diritto allo studio per le giovani generazioni, ad aumentare in maniera sostanziale il Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, rivedere criteri di accesso alle borse di studio universitarie attualmente vigenti attraverso una rimodulazione della soglia ISEE a livello nazionale in modo da ampliare e/o garantire una percentuale di studenti idonei e richiedenti almeno in linea con la percentuale degli anni accademici passati nonché diminuire in maniera consistente l'attuale e altissimo tasso di contribuzione studentesca;
    rivedere in maniera organica tutta la normativa relativa alle forme straordinarie e anomale di reclutamento per chiamata diretta e stipendio «personalizzato», in cui i criteri per l'assunzione tutti da definire – non possono sostituire qualsiasi procedura comparativa ai sensi dell'articolo 18, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ingenerando così una moltiplicazione dei livelli di docenza del tutto inutile e offensiva per il normale corpo docente e, invece, a stanziare risorse adeguate a favore delle chiamate dei professori ordinari abilitati a copertura delle effettive esigenze d'organico;
   reperire e stanziare le risorse necessarie al fine di ripristinare la regolare progressione di classi e scatti stipendiali dei docenti universitari.
9/3444-A/86. (Testo modificato nel corso della seduta) Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Pannarale.


   La Camera,
   considerato che:
    con i commi da 491-bis a 491-vicies semel dell'articolo 1 del provvedimento, il Governo, attraverso un meccanismo che in parte anticipa il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie che entrerà in vigore il prossimo 1o gennaio 2016, ed in parte ricorre al vecchio bail-out, sorta di salvataggio attuato grazie ad una iniezione di liquidità finanziaria, ha consentito di garantire, senza soluzione di continuità, l'operatività dei quattro istituti di credito, Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti diversamente destinati al default, la cui vicenda sta mettendo a dura prova la fiducia dei risparmiatori italiani nell'intero sistema bancario italiano;
    le suddette disposizioni contemplano una soluzione che lascia insoddisfatti tutti quei clienti, per lo più piccoli risparmiatori, che hanno allocato proprie risorse su titoli offerti dalle quattro banche ad alto rischio d'impresa come le azioni e le obbligazioni subordinate. Infatti, il comma 49-quinquiesdecies, al fine di risarcire almeno una parte di questi ultimi prevede l'istituzione di un Fondo di solidarietà con una dotazione finanziaria massima pari a 100 milioni di euro alimentato, nel pieno rispetto delle regole dell'Unione europea sugli aiuti di Stato, in parte direttamente dal sistema bancario e finanziario ed in parte da risorse statali. La definizione dei criteri e delle modalità di attuazione dello stesso è demandata ad un regolamento da emanarsi entro il 31 marzo 2016;
    al Fondo, al fine di vedersi riconosciuto il proprio pregiudizio economico, potranno accedervi gratuitamente i risparmiatori e gli investitori non professionali attraverso l'attivazione di meccanismi stragiudiziali di contestazione e di ristoro dei danni verso qualsiasi tipo di intermediario (dalle banche alle assicurazioni);
    si tratta di una soluzione incapace di soddisfare le ragioni di tutte le vittime del dissesto che ha mandato in fumo circa 780 milioni di euro di obbligazioni subordinate, oltre la metà delle quali in tasca a piccoli risparmiatori. Secondo dati più precisi diramati nei giorni scorsi con una iconografica dal Ministero dell'economia e delle finanze, il numero dei risparmiatori possessori dei bond subordinati di Banca Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti che hanno perso le loro piccole fortune frutto dei risparmi di una vita sono 10.559, per un controvalore di 392,2 milioni di euro;
    secondo la stessa iconografica i suddetti 10.559 risparmiatori sono stati suddivisi in tre categorie da quella più vulnerabile a quella meno esposta e che saranno valutati caso per caso dall'arbitrato:
     a) la categoria più «esposta»: sono 1.010 clienti che hanno un patrimonio inferiore a 100 mila euro di cui più del 50 per cento impegnati in obbligazioni subordinate rientreranno molto probabilmente tra i beneficiari del nuovo fondo. Il valore del rimborso si aggirerebbe attorno ai 27,4 milioni di euro;
     b) la categoria «di media esposizione»: sono in tutto 1.484 clienti che hanno un patrimonio inferiore a 100 mila euro la cui percentuale di patrimonio impegnato nei bond subordinati oscilla tra il 30 e il 50 per cento. Il controvalore si aggirerebbe attorno ai 100 milioni di euro;
     c) la categoria «meno esposta»: sono i restanti 8 mila con oltre 100 mila euro di patrimonio con una quota di subordinate sotto il 30 per cento. Molto probabilmente questa categoria non accederà al fondo;
    gli sviluppi dell'intera vicenda hanno fatto emergere tutta l'inadeguatezza di un sistema di regole, che antepone la sopravvivenza della stabilità finanziaria europea, principio base del nuovo meccanismo del bail-in europeo progettato, peraltro, per crisi sistemiche ben più grandi rispetto a quelle dei quattro istituti di credito e di altri su cui si sta sperimentando la «risoluzione», alla tutela del risparmio in tutte le sue forme prevista dall'articolo 47 della Costituzione; è del tutto evidente che le risorse stanziate nella legge di stabilità 2016 dal comma 491-sexiesdecies sono molto al di sotto di quelle necessarie a soddisfare l'intera platea dei danneggiati;
    sussiste la necessità inderogabile di dare stabilità al sistema bancario e restituire immediatamente la massima fiducia a risparmiatori e investitori,

impegna il Governo

ad implementare adeguatamente la dotazione finanziaria del Fondo di cui all'articolo 1, comma 491-sexiesdecies, al fine di garantire a tutti i danneggiati un rimborso pieno, senza costringere il collegio arbitrale a dover agire nei limiti della dotazione finanziaria prevista dal medesimo comma, anche prevedendo di destinare tutti gli eventuali maggiori ricavi derivanti dalla cessione dei prestiti non performanti (cosiddetti non performing loans) e delle partecipazioni al capitale o dei diritti degli istituti bancari soggetti alla procedura di risoluzione di cui al decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, agli enti ponte di cui all'articolo 1 del medesimo decreto-legge.
9/3444-A/87Paglia, Scotto, Marcon, Melilla.


   La Camera,
   considerato che:
    il provvedimento, al fine di sostenere la genitorialità condivisa, contiene una serie di disposizioni che si muovono nel solco già tiepidamente tracciato dalla legge Fornero e dal Jobs act, ma che saranno poco capaci, in termini innovativi, a contribuire ad un pieno ed effettivo work life balance, in un mutato contesto sociale nel quale fra le nuove generazioni sono già in corso sperimentazioni di nuovi modelli familiari e di coppia;
    le disposizioni contenute nel provvedimento che intervengono in tale ambito si limitano, infatti, a raddoppiare, portandolo a due giorni, ed a prorogare per un altro anno, il congedo obbligatorio paterno introdotto in via sperimentale dalla legge Fornero, ed al quale però fino ad oggi solo 12 per cento è ricorso, e ad estendere, in via sperimentale per il 2016 e nel limite di 2 milioni di euro, alle madri lavoratrici autonome o imprenditrici quel beneficio, già accordato alla madre lavoratrice dipendente, di richiedere, in sostituzione anche parziale del congedo parentale, un contributo economico da impiegare per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia erogati da soggetti pubblici o da soggetti privati accreditati. Altra misura che non si può tacere ma che merita menzione è quella che introduce una riforma del welfare aziendale che premierà le imprese più sensibili al tema della conciliazione famiglia-lavoro attraverso forme di sgravio fiscali;
    alla stessa stregua della mancanza di occupazione stabile, anche impegni lavorativi che impediscano di conciliare tempi di lavoro e di vita familiare e sociale esercitano un impatto negativo sul livello di benessere individuale, per questo è oramai ineludibile un approccio che faccia della conciliazione famiglia-lavoro una grande opportunità di evoluzione organizzativa non solo delle aziende ma della stessa società civile, deve partire però da una rivoluzione copernicana che cambi approccio anche nell'offerta di politiche pubbliche;
    conciliare lavoro e famiglia è una sfida quotidiana che coinvolge uomini e donne, anche se le pratiche della cura sono state a lungo nascoste e invisibili, relegate nel privato e considerate solo un dovere femminile. Ancora oggi, a causa della diseguale distribuzione del carico di lavoro domestico e di cura all'interno della famiglia, la difficoltà di conciliare è avvertita soprattutto dalle donne, in modo particolare nella fase del ciclo di vita immediatamente successiva alla nascita dei figli. Esse continuano ad accollarsi le maggiori responsabilità di cura dei figli e degli altri familiari, indipendentemente dal regime di welfare e dalle specifiche politiche familiari e per l'infanzia adottate a livello politico;
    tutte le indagini condotte negli ultimi anni in Italia sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro, confermano, di fatto, tale situazione, evidenziando, peraltro, come il nostro Paese presenti, per questo aspetto, uno scenario peculiare nel contesto europeo. Infatti, nonostante si registrino i tassi di occupazione femminile tra i più bassi dell'Unione europea, si caratterizza per la presenza del delicato fenomeno dell'inattività femminile: sono molte le donne occupate che lasciano il lavoro in occasione della maternità e spesso lo fanno in maniera definitiva. Il nostro, poi, è anche il Paese in cui le donne ricevono il minor supporto, da parte degli uomini, nella gestione della casa e nella cura dei familiari: la quota di lavoro familiare di cui le italiane si fanno carico è infatti più impegnativa rispetto agli altri Paesi, a fronte di un contributo degli uomini che resta tra i più bassi al mondo. I dati sulla popolazione adulta indicano che le donne italiane in un giorno medio settimanale dedicano al lavoro familiare più tempo rispetto alle altre donne europee, nello specifico 5 ore e 20 minuti: 1 ora e 30 minuti in più delle norvegesi, delle svedesi e delle finlandesi e più tempo, in ogni caso, delle donne dell'Europa orientale e mediterranea. Al contrario gli uomini italiani dedicano alle stesse attività meno tempo rispetto agli uomini degli altri Stati europei, cioè non più di 1 ora e 35 minuti;
    gli stessi studi evidenziano come l'utilizzo del congedo parentale da parte dei padri italiani è ancora piuttosto limitato. L'esperienza svedese ha mostrato che se la diffusione del congedo tra i padri dipende indubbiamente da fattori culturali, un ruolo rilevante spetta anche agli incentivi, soprattutto economici, che possono renderlo vantaggioso per le famiglie. Gli studi condotti, invece, dall'Osservatorio nazionale delle famiglie, che monitora l'utilizzo del congedo parentale, documentano che negli ultimi anni ne ha usufruito il 24 per cento delle madri che lavora contro il 7 per cento dei padri e che tra i fattori che incoraggiano o scoraggiano l'utilizzo del congedo da parte dei padri, la copertura economica assume un ruolo primario. Il 38 per cento dei padri europei ha, infatti, dichiarato che sarebbe incentivato a utilizzare il congedo se avesse una maggiore copertura finanziaria, e il 42 per cento ha affermato di essere invece scoraggiato dall'insufficiente compensazione economica;
    del resto, qualsiasi congedo parentale può avere una ricaduta negativa sulle lavoratrici, qualora non venga il più possibile condiviso con il partner, in quanto le donne avendo retribuzioni di norma più basse sono generalmente coloro, che usufruiscono di tali congedi, rimanendo quindi più a lungo lontane dal mercato del lavoro, con possibile ripercussione negativa sulle proprie skill e alimentando fattori di segregazione orizzontale e verticale e più in generale di discriminazione;
    eppure sono ormai numerosi gli studi che rivelano la crescente aspirazione maschile a conquistare spazio e tempo per la cura dei figli, soprattutto nei primi anni di vita del bambino. Altre indagini europee sulla qualità della vita e del lavoro hanno evidenziato il crescente desiderio dei padri di avere più tempo da trascorre con i propri figli, e l'attribuzione di un nuovo valore nei confronti della paternità, differente e più affettivo rispetto a quello che veniva assegnato dalle precedenti generazioni;
    fuori dal coro non manca, invece, chi sostiene che per riequilibrare il lavoro di cura dei figli tra madri e padri lo strumento del congedo di paternità, al momento della nascita, non sia fondamentale. Alcune ricerche internazionali hanno mostrato, infatti, che ciò avviene solo se il padre usufruisce di una quota significativa del congedo genitoriale, e assume la principale responsabilità di cura, al posto della madre, per un lungo periodo di tempo. L'esperienza svedese è indubbiamente esemplificativa al riguardo, in questo Paese infatti, dove è alto il numero di uomini che utilizza il congedo parentale, dei 13 mesi retribuiti al 100 per cento, due sono riservati, esclusivamente, ai padri. In Italia, dove il congedo è retribuito al 30 per cento, sono principalmente le donne a richiederlo, poiché è meno svantaggioso rinunciare alla parte dello stipendio più basso (quasi sempre quello femminile) all'interno del nucleo familiare;
    quanto premesso dimostra che pochi giorni di presenza maschile dopo il parto non bastano per attivare la condivisione nella cura da parte dei padri. Diversamente occorrerebbe riconoscere ai padri, all'atto della nascita di un figlio, almeno venti giorni di congedo di paternità obbligatorio dietro la corresponsione di un'indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione;
    quanto alle disposizioni in materia di tutela della genitorialità contenute nel decreto attuativo del Jobs act sulla conciliazione famiglia-lavoro (decreto legislativo n. 80 del 2015), sono abbastanza variegate e si articolano tra implementazioni della normativa obbligatoria preesistente, parziale ampliamento delle norme di favore della genitorialità ed una serie di disposizioni di tutela totalmente novitarie. Pertanto, il grado di estensione delle disposizioni al lavoro pubblico è, anch'esso, variabile delineando, in tal modo, confini ancora incerti tra la disciplina derivante dal Jobs act e quella sul pubblico impiego e comportando, di fatto, un dualismo ed una disparità di trattamento in tale ambito tra dipendenti pubblici e privati,

impegna il Governo:

  ad adottare un provvedimento normativo che preveda per il padre lavoratore dipendente l'obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo pari a venti giorni lavorativi, anche continuativi, entro i trenta giorni successivi alla nascita del figlio, dietro la corresponsione di un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione, al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia;
   ad estendere in via sperimentale per gli anni 2016, 2017 e 2018, le disposizioni di cui al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, in materia di permessi e congedi, anche ai dipendenti del settore pubblico, al fine di attuare una completa universalizzazione delle tutele previste per la genitorialità.
9/3444-A/88Nicchi, Gregori, Costantino, Duranti, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Marcon, Melilla.


   La Camera,
   considerato che:
    il provvedimento, al fine di sostenere la genitorialità condivisa, contiene una serie di disposizioni che si muovono nel solco già tiepidamente tracciato dalla legge Fornero e dal Jobs act, ma che saranno poco capaci, in termini innovativi, a contribuire ad un pieno ed effettivo work life balance, in un mutato contesto sociale nel quale fra le nuove generazioni sono già in corso sperimentazioni di nuovi modelli familiari e di coppia;
    le disposizioni contenute nel provvedimento che intervengono in tale ambito si limitano, infatti, a raddoppiare, portandolo a due giorni, ed a prorogare per un altro anno, il congedo obbligatorio paterno introdotto in via sperimentale dalla legge Fornero, ed al quale però fino ad oggi solo 12 per cento è ricorso, e ad estendere, in via sperimentale per il 2016 e nel limite di 2 milioni di euro, alle madri lavoratrici autonome o imprenditrici quel beneficio, già accordato alla madre lavoratrice dipendente, di richiedere, in sostituzione anche parziale del congedo parentale, un contributo economico da impiegare per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia erogati da soggetti pubblici o da soggetti privati accreditati. Altra misura che non si può tacere ma che merita menzione è quella che introduce una riforma del welfare aziendale che premierà le imprese più sensibili al tema della conciliazione famiglia-lavoro attraverso forme di sgravio fiscali;
    alla stessa stregua della mancanza di occupazione stabile, anche impegni lavorativi che impediscano di conciliare tempi di lavoro e di vita familiare e sociale esercitano un impatto negativo sul livello di benessere individuale, per questo è oramai ineludibile un approccio che faccia della conciliazione famiglia-lavoro una grande opportunità di evoluzione organizzativa non solo delle aziende ma della stessa società civile, deve partire però da una rivoluzione copernicana che cambi approccio anche nell'offerta di politiche pubbliche;
    conciliare lavoro e famiglia è una sfida quotidiana che coinvolge uomini e donne, anche se le pratiche della cura sono state a lungo nascoste e invisibili, relegate nel privato e considerate solo un dovere femminile. Ancora oggi, a causa della diseguale distribuzione del carico di lavoro domestico e di cura all'interno della famiglia, la difficoltà di conciliare è avvertita soprattutto dalle donne, in modo particolare nella fase del ciclo di vita immediatamente successiva alla nascita dei figli. Esse continuano ad accollarsi le maggiori responsabilità di cura dei figli e degli altri familiari, indipendentemente dal regime di welfare e dalle specifiche politiche familiari e per l'infanzia adottate a livello politico;
    tutte le indagini condotte negli ultimi anni in Italia sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro, confermano, di fatto, tale situazione, evidenziando, peraltro, come il nostro Paese presenti, per questo aspetto, uno scenario peculiare nel contesto europeo. Infatti, nonostante si registrino i tassi di occupazione femminile tra i più bassi dell'Unione europea, si caratterizza per la presenza del delicato fenomeno dell'inattività femminile: sono molte le donne occupate che lasciano il lavoro in occasione della maternità e spesso lo fanno in maniera definitiva. Il nostro, poi, è anche il Paese in cui le donne ricevono il minor supporto, da parte degli uomini, nella gestione della casa e nella cura dei familiari: la quota di lavoro familiare di cui le italiane si fanno carico è infatti più impegnativa rispetto agli altri Paesi, a fronte di un contributo degli uomini che resta tra i più bassi al mondo. I dati sulla popolazione adulta indicano che le donne italiane in un giorno medio settimanale dedicano al lavoro familiare più tempo rispetto alle altre donne europee, nello specifico 5 ore e 20 minuti: 1 ora e 30 minuti in più delle norvegesi, delle svedesi e delle finlandesi e più tempo, in ogni caso, delle donne dell'Europa orientale e mediterranea. Al contrario gli uomini italiani dedicano alle stesse attività meno tempo rispetto agli uomini degli altri Stati europei, cioè non più di 1 ora e 35 minuti;
    gli stessi studi evidenziano come l'utilizzo del congedo parentale da parte dei padri italiani è ancora piuttosto limitato. L'esperienza svedese ha mostrato che se la diffusione del congedo tra i padri dipende indubbiamente da fattori culturali, un ruolo rilevante spetta anche agli incentivi, soprattutto economici, che possono renderlo vantaggioso per le famiglie. Gli studi condotti, invece, dall'Osservatorio nazionale delle famiglie, che monitora l'utilizzo del congedo parentale, documentano che negli ultimi anni ne ha usufruito il 24 per cento delle madri che lavora contro il 7 per cento dei padri e che tra i fattori che incoraggiano o scoraggiano l'utilizzo del congedo da parte dei padri, la copertura economica assume un ruolo primario. Il 38 per cento dei padri europei ha, infatti, dichiarato che sarebbe incentivato a utilizzare il congedo se avesse una maggiore copertura finanziaria, e il 42 per cento ha affermato di essere invece scoraggiato dall'insufficiente compensazione economica;
    del resto, qualsiasi congedo parentale può avere una ricaduta negativa sulle lavoratrici, qualora non venga il più possibile condiviso con il partner, in quanto le donne avendo retribuzioni di norma più basse sono generalmente coloro, che usufruiscono di tali congedi, rimanendo quindi più a lungo lontane dal mercato del lavoro, con possibile ripercussione negativa sulle proprie skill e alimentando fattori di segregazione orizzontale e verticale e più in generale di discriminazione;
    eppure sono ormai numerosi gli studi che rivelano la crescente aspirazione maschile a conquistare spazio e tempo per la cura dei figli, soprattutto nei primi anni di vita del bambino. Altre indagini europee sulla qualità della vita e del lavoro hanno evidenziato il crescente desiderio dei padri di avere più tempo da trascorre con i propri figli, e l'attribuzione di un nuovo valore nei confronti della paternità, differente e più affettivo rispetto a quello che veniva assegnato dalle precedenti generazioni;
    fuori dal coro non manca, invece, chi sostiene che per riequilibrare il lavoro di cura dei figli tra madri e padri lo strumento del congedo di paternità, al momento della nascita, non sia fondamentale. Alcune ricerche internazionali hanno mostrato, infatti, che ciò avviene solo se il padre usufruisce di una quota significativa del congedo genitoriale, e assume la principale responsabilità di cura, al posto della madre, per un lungo periodo di tempo. L'esperienza svedese è indubbiamente esemplificativa al riguardo, in questo Paese infatti, dove è alto il numero di uomini che utilizza il congedo parentale, dei 13 mesi retribuiti al 100 per cento, due sono riservati, esclusivamente, ai padri. In Italia, dove il congedo è retribuito al 30 per cento, sono principalmente le donne a richiederlo, poiché è meno svantaggioso rinunciare alla parte dello stipendio più basso (quasi sempre quello femminile) all'interno del nucleo familiare;
    quanto premesso dimostra che pochi giorni di presenza maschile dopo il parto non bastano per attivare la condivisione nella cura da parte dei padri. Diversamente occorrerebbe riconoscere ai padri, all'atto della nascita di un figlio, almeno venti giorni di congedo di paternità obbligatorio dietro la corresponsione di un'indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione;
    quanto alle disposizioni in materia di tutela della genitorialità contenute nel decreto attuativo del Jobs act sulla conciliazione famiglia-lavoro (decreto legislativo n. 80 del 2015), sono abbastanza variegate e si articolano tra implementazioni della normativa obbligatoria preesistente, parziale ampliamento delle norme di favore della genitorialità ed una serie di disposizioni di tutela totalmente novitarie. Pertanto, il grado di estensione delle disposizioni al lavoro pubblico è, anch'esso, variabile delineando, in tal modo, confini ancora incerti tra la disciplina derivante dal Jobs act e quella sul pubblico impiego e comportando, di fatto, un dualismo ed una disparità di trattamento in tale ambito tra dipendenti pubblici e privati,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    adottare un provvedimento normativo che preveda per il padre lavoratore dipendente l'obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo pari a venti giorni lavorativi, anche continuativi, entro i trenta giorni successivi alla nascita del figlio, dietro la corresponsione di un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione, al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia;
    estendere in via sperimentale per gli anni 2016, 2017 e 2018, le disposizioni di cui al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, in materia di permessi e congedi, anche ai dipendenti del settore pubblico, al fine di attuare una completa universalizzazione delle tutele previste per la genitorialità.
9/3444-A/88. (Testo modificato nel corso della seduta) Nicchi, Gregori, Costantino, Duranti, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Marcon, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    il Ministero della giustizia ha assunto come obiettivo, sin dal 2014, quello «primario di procedere anche alla razionalizzazione della geografia dei distretti delle corti d'appello e di incidere su ulteriori assetti della originaria geografia giudiziaria, così superando alcuni angusti confini della legge di delega originaria e, nel contempo, ponendosi così le premesse per dare soluzione ai casi problematici che finora non hanno ricevuto adeguata considerazione»;
    con decreto ministeriale del 12 agosto 2015 è stata istituita la Commissione per la riforma dell'ordinamento giudiziario. Come primo obiettivo assegnato all'organismo in questione quello di progettare: «lo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria, attraverso una riorganizzazione della distribuzione sul territorio delle corti di appello e delle procure generali presso le corti di appello, dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica ed una collegata promozione del valore della specializzazione nella ripartizione delle competenze»;
    in data 21 giugno 2013 la «CEPEJ – European Commission for the Efficiency of Justice – Commissione europea per l'efficienza della giustizia» ha pubblicato le «Linee guida per favorire le condizioni di accesso a un sistema giudiziario di qualità». Nel documento in oggetto si evince come i fattori da considerare preminenti nella definizione delle mappe giudiziarie siano divisi in due categorie: i «fattori chiave» – di primaria importanza – ed i «fattori aggiuntivi» che sono di rilevanza secondaria e che, se utilizzati in aggiunta ai primi, migliorano la completezza e la robustezza della analisi;
    i «fattori chiave» di predetto documento sono individuati in: densità di popolazione; dimensione dell'ufficio giudiziario; flussi di procedimenti e carichi di lavoro; ubicazione geografica; infrastrutture e trasporti. Per quanto invece riguarda i «fattori aggiuntivi» si può tenere conto di: informatizzazione; tecnologie audio/video disponibili e della cultura generale; industrializzazione del territorio; disponibilità di procedure alternative di risoluzione delle controversie (ADR/mediazione); disponibilità di avvocati; opportunità di assunzione di personale e di assegnazione di giudici nel territorio; cooperazione con sistemi e istituzioni esterne come il sistema penitenziario, le procure e la polizia;
    l'Unione regionale delle Curie Sarde ha ritenuto di interloquire con Governo e Parlamento, al fine di scongiurare che la nuova iniziativa di riassetto territoriale della geografia giudiziaria incida sulla esistenza della Sezione distaccata della corte d'appello di Sassari oltre che degli stessi tribunali circondariali del distretto, che hanno già giustamente e positivamente superato indenni la prima fase del riassetto della geografia giudiziaria;
    nello specifico infatti si ritiene che, nel caso della Sezione di corte d'appello di Sassari, siano pienamente riscontrabili sia i cosiddetti «fattori chiave» che quelli «aggiuntivi», con particolare riferimento a:
     1. densità di popolazione: in quanto la sezione della corte d'appello in oggetto soddisfa l'esigenza di giustizia di utenti di oltre 650.000 abitanti (ISTAT 2015), al netto dei numerosi flussi turistici che gravitano sul territorio stesso;
     2. dimensioni dell'ufficio giudiziario – Flussi di procedimenti e carichi di lavoro: in quanto la Corte in oggetto, pur classificabile di «piccole dimensioni» (ovvero con un bacino di utenza inferiore al milione di abitanti), presenta dei flussi di procedimenti superiori a talune sezioni autonome di corti di appello (come Trento e Campobasso) e sostanzialmente equiparabili a quelli della sede centrale di Cagliari. Oltremodo, in caso di ridefinizione dell'assetto territoriale, il carico di lavoro di Sassari (che ha una media durata di procedimento calcolata in 458 giorni) andrebbe a gravare sulla corte d'appello di Cagliari, che già presenta un grado di « performance» peggiore (quantificabile in 540 giorni) con prevedibili e nefaste conseguenze per tutto il sistema giudiziario sardo, in termini di durata dei procedimenti, di efficienza del sistema e di amministrazione della giustizia;
     3. ubicazione geografica, infrastrutture e trasporti: dal punto di vista geografico il territorio coperto dalla sezione distaccata di Sassari è estremamente vasto comprendendo i circondari dei Tribunali di Sassari, Nuoro e Tempio Pausiana e si estende su oltre 11.600 chilometri. Considerando inoltre le distanze chilometriche fra le sezioni citate e la corte d'appello di Cagliari, che risultano fra le più alte d'Italia data anche la particolare conformazione geografica della Sardegna, un'eventuale accentramento del servizio andrebbe quindi a porsi in contrasto con le richiamate linee guida, nella esplicita previsione della «accessibilità della sede» come uno dei «fattori critici» per la permanenza della sezione distaccata. Il tutto aggravato dalla grave carenza infrastrutturale e del sistema di trasporti, che rende oltremodo difficoltoso il raggiungimento del capoluogo di Regione;
    Lanusei è un centro di circa 7000 abitanti, capoluogo dell'Ogliastra, area collocata nella Sardegna centro meridionale (fra le province di Cagliari, Nuoro ed Olbia), geograficamente e culturalmente omogenea e storicamente segnata da un forte isolamento, poco densamente popolata (circa 58.000 abitanti su di un territorio che si estende per 1854 chilometri quadrati, diviso in 22 comuni), scarsamente collegata ai centri più popolosi dell'Isola stante una rete viaria che non consente lo scorrimento veloce. Territorio segnato da forti problemi economici, che sconta in maniera pesante una politica di tagli e « spending review» totalmente centrata sulla legge dei grandi numeri invece che sul rispetto dei diritti della persona;
    il rischio della perdita del tribunale (che fra le altre cose risulta essere tra i primi 27 tribunali italiani in termini statistici e di definizione dei procedimenti) per le ragioni di riorganizzazione espresse in premessa, denunciato oltremodo dalla Assemblea degli Iscritti all'Albo degli avvocati del foro di Lanusei che ha deliberato l'astensione da tutte le udienze civili, penali ed amministrative per il periodo 16-24 novembre 2015, avrebbe ripercussioni sociali non indifferenti. La soppressione del tribunali, infatti, implicherebbe un ulteriore violento impatto economico sul territorio, con la perdita stimata di circa 500 posti di lavoro fra dipendenti e indotto, senza considerare le difficoltà che emergerebbero nella concreta amministrazione del territorio;
    per quanto espresso, quindi, la soppressione della Sezione distaccata di corte d'appello di Sassari e del tribunale di Lanusei non solo sarebbe in contrasto con le linee guida comunitarie in materia di geografia giudiziaria, ma non comporterebbe alcun risparmio per le finanze dello Stato, se non addirittura un paradossale aumento di costi sia in termini economici che funzionali oltre che arrecare un grave pregiudizio per i cittadini utenti di giustizia del territorio,

impegna il Governo

a tenere in debito conto, nel processo di ulteriore razionalizzazione degli uffici giudiziari, delle condizioni sopra espresse e con particolare riferimento alle specificità del territorio sardo, al fine di non procedere con la soppressione della sezione distaccata di corte d'appello di Sassari ed in particolar modo del tribunale di Lanusei.
9/3444-A/89Piras, Duranti, Ricciatti, Quaranta.


   La Camera,
   premesso che:
    il Ministero della giustizia ha assunto come obiettivo, sin dal 2014, quello «primario di procedere anche alla razionalizzazione della geografia dei distretti delle corti d'appello e di incidere su ulteriori assetti della originaria geografia giudiziaria, così superando alcuni angusti confini della legge di delega originaria e, nel contempo, ponendosi così le premesse per dare soluzione ai casi problematici che finora non hanno ricevuto adeguata considerazione»;
    con decreto ministeriale del 12 agosto 2015 è stata istituita la Commissione per la riforma dell'ordinamento giudiziario. Come primo obiettivo assegnato all'organismo in questione quello di progettare: «lo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria, attraverso una riorganizzazione della distribuzione sul territorio delle corti di appello e delle procure generali presso le corti di appello, dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica ed una collegata promozione del valore della specializzazione nella ripartizione delle competenze»;
    in data 21 giugno 2013 la «CEPEJ – European Commission for the Efficiency of Justice – Commissione europea per l'efficienza della giustizia» ha pubblicato le «Linee guida per favorire le condizioni di accesso a un sistema giudiziario di qualità». Nel documento in oggetto si evince come i fattori da considerare preminenti nella definizione delle mappe giudiziarie siano divisi in due categorie: i «fattori chiave» – di primaria importanza – ed i «fattori aggiuntivi» che sono di rilevanza secondaria e che, se utilizzati in aggiunta ai primi, migliorano la completezza e la robustezza della analisi;
    i «fattori chiave» di predetto documento sono individuati in: densità di popolazione; dimensione dell'ufficio giudiziario; flussi di procedimenti e carichi di lavoro; ubicazione geografica; infrastrutture e trasporti. Per quanto invece riguarda i «fattori aggiuntivi» si può tenere conto di: informatizzazione; tecnologie audio/video disponibili e della cultura generale; industrializzazione del territorio; disponibilità di procedure alternative di risoluzione delle controversie (ADR/mediazione); disponibilità di avvocati; opportunità di assunzione di personale e di assegnazione di giudici nel territorio; cooperazione con sistemi e istituzioni esterne come il sistema penitenziario, le procure e la polizia;
    l'Unione regionale delle Curie Sarde ha ritenuto di interloquire con Governo e Parlamento, al fine di scongiurare che la nuova iniziativa di riassetto territoriale della geografia giudiziaria incida sulla esistenza della Sezione distaccata della corte d'appello di Sassari oltre che degli stessi tribunali circondariali del distretto, che hanno già giustamente e positivamente superato indenni la prima fase del riassetto della geografia giudiziaria;
    nello specifico infatti si ritiene che, nel caso della Sezione di corte d'appello di Sassari, siano pienamente riscontrabili sia i cosiddetti «fattori chiave» che quelli «aggiuntivi», con particolare riferimento a:
     1. densità di popolazione: in quanto la sezione della corte d'appello in oggetto soddisfa l'esigenza di giustizia di utenti di oltre 650.000 abitanti (ISTAT 2015), al netto dei numerosi flussi turistici che gravitano sul territorio stesso;
     2. dimensioni dell'ufficio giudiziario – Flussi di procedimenti e carichi di lavoro: in quanto la Corte in oggetto, pur classificabile di «piccole dimensioni» (ovvero con un bacino di utenza inferiore al milione di abitanti), presenta dei flussi di procedimenti superiori a talune sezioni autonome di corti di appello (come Trento e Campobasso) e sostanzialmente equiparabili a quelli della sede centrale di Cagliari. Oltremodo, in caso di ridefinizione dell'assetto territoriale, il carico di lavoro di Sassari (che ha una media durata di procedimento calcolata in 458 giorni) andrebbe a gravare sulla corte d'appello di Cagliari, che già presenta un grado di « performance» peggiore (quantificabile in 540 giorni) con prevedibili e nefaste conseguenze per tutto il sistema giudiziario sardo, in termini di durata dei procedimenti, di efficienza del sistema e di amministrazione della giustizia;
     3. ubicazione geografica, infrastrutture e trasporti: dal punto di vista geografico il territorio coperto dalla sezione distaccata di Sassari è estremamente vasto comprendendo i circondari dei Tribunali di Sassari, Nuoro e Tempio Pausiana e si estende su oltre 11.600 chilometri. Considerando inoltre le distanze chilometriche fra le sezioni citate e la corte d'appello di Cagliari, che risultano fra le più alte d'Italia data anche la particolare conformazione geografica della Sardegna, un'eventuale accentramento del servizio andrebbe quindi a porsi in contrasto con le richiamate linee guida, nella esplicita previsione della «accessibilità della sede» come uno dei «fattori critici» per la permanenza della sezione distaccata. Il tutto aggravato dalla grave carenza infrastrutturale e del sistema di trasporti, che rende oltremodo difficoltoso il raggiungimento del capoluogo di Regione;
    Lanusei è un centro di circa 7000 abitanti, capoluogo dell'Ogliastra, area collocata nella Sardegna centro meridionale (fra le province di Cagliari, Nuoro ed Olbia), geograficamente e culturalmente omogenea e storicamente segnata da un forte isolamento, poco densamente popolata (circa 58.000 abitanti su di un territorio che si estende per 1854 chilometri quadrati, diviso in 22 comuni), scarsamente collegata ai centri più popolosi dell'Isola stante una rete viaria che non consente lo scorrimento veloce. Territorio segnato da forti problemi economici, che sconta in maniera pesante una politica di tagli e « spending review» totalmente centrata sulla legge dei grandi numeri invece che sul rispetto dei diritti della persona;
    il rischio della perdita del tribunale (che fra le altre cose risulta essere tra i primi 27 tribunali italiani in termini statistici e di definizione dei procedimenti) per le ragioni di riorganizzazione espresse in premessa, denunciato oltremodo dalla Assemblea degli Iscritti all'Albo degli avvocati del foro di Lanusei che ha deliberato l'astensione da tutte le udienze civili, penali ed amministrative per il periodo 16-24 novembre 2015, avrebbe ripercussioni sociali non indifferenti. La soppressione del tribunali, infatti, implicherebbe un ulteriore violento impatto economico sul territorio, con la perdita stimata di circa 500 posti di lavoro fra dipendenti e indotto, senza considerare le difficoltà che emergerebbero nella concreta amministrazione del territorio;
    per quanto espresso, quindi, la soppressione della Sezione distaccata di corte d'appello di Sassari e del tribunale di Lanusei non solo sarebbe in contrasto con le linee guida comunitarie in materia di geografia giudiziaria, ma non comporterebbe alcun risparmio per le finanze dello Stato, se non addirittura un paradossale aumento di costi sia in termini economici che funzionali oltre che arrecare un grave pregiudizio per i cittadini utenti di giustizia del territorio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di tenere in debito conto, nel processo di ulteriore razionalizzazione degli uffici giudiziari, delle condizioni sopra espresse e con particolare riferimento alle specificità del territorio sardo, al fine di non procedere con la soppressione della sezione distaccata di corte d'appello di Sassari ed in particolar modo del tribunale di Lanusei.
9/3444-A/89. (Testo modificato nel corso della seduta) Piras, Duranti, Ricciatti, Quaranta.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 333 dell'articolo del provvedimento in esame reca «riduzioni delle spese ed interventi correttivi dei Ministeri»;
    in base a quanto previsto dal «Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2015-2017», nello specifico nel paragrafo dedicato allo Sviluppo e sostegno del velivolo Joint Strike Fighter e predisposizioni nazionali, vengono stanziati per il 2015, per il programma in parola, 582,7 milioni di euro e nella nota si legge che: «le poste finanziarie a decorrere dall'e.f. 2016 saranno definite, tenuto conto sia degli impegni presi dal Governo in sede parlamentare e sia del processo di Revisione Strategica indicato nel Libro Bianco, e recepite, successivamente, nell'ambito della “legge sessennale per gli investimenti militari” che sarà sottoposta all'approvazione del Parlamento»;
    il 24 settembre 2014 sono state discusse le mozioni sul programma F-35 e la Camera, tra le altre approvava le mozioni: 1-00586 Scanu; 1-00593 Brunetta; 1-00590 Cicchitto; 1-00578 Causin; in particolare, con la mozione 1-00586 Scanu la Camera impegnava il Governo «a riesaminare l'intero programma F-35 per chiarirne criticità e costi con l'obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto, così come indicato dal documento approvato dalla Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati a conclusione dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, in vista del Consiglio europeo del dicembre 2013, tenendo conto dei ritorni economici e di carattere industriale da esso derivanti»,

impegna il Governo

presentare, in occasione della «legge sessennale per gli investimenti militari», o nel prossimo Documento di Economia e Finanza, il piano per l'attuazione di quanto è previsto dalla mozione numero 1-00586 del 24 settembre 2014, a prima firma onorevole Scanu per il dimezzamento delle risorse programmate per il programma Joint Strike Fighter.
9/3444-A/90Duranti, Marcon, Piras, Palazzotto.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi 344, 344-bis e 344-ter recano norme sia transitorie sia a regime per la modifica dei criteri di calcolo del finanziamento statale degli istituti di patronato e di assistenza sociale;
    le modifiche del comma 344 consistono:
     nella riduzione, con effetto sui finanziamenti a decorrere dall'anno 2016, da 0,207 a 0,199 punti percentuali del valore dell'aliquota di finanziamento dei suddetti istituti, la quale si commisura sul gettito dei contributi previdenziali obbligatori incassati da tutte le gestioni amministrate dall'INPS e dall'INAIL;
     nella riduzione, con effetto dall'esercizio finanziario 2017, da 72 a 68 punti percentuali dell'aliquota per la determinazione provvisoria del finanziamento in oggetto, aliquota che si commisura sulle somme in materia impegnate nell'ultimo rendiconto (del bilancio dello Stato) approvato e che dà luogo all'iscrizione delle somme nel bilancio statale di previsione e all'erogazione del relativo acconto (rispetto al finanziamento definitivo) entro il primo trimestre dell'anno solare. La modifica di tale aliquota opera, come detto, a decorrere dal 2017, mentre, per il 2016, si prevede che la riduzione della quota provvisoria sia pari a 15 milioni di euro rispetto al bilancio a legislazione vigente. Si ricorda che l'importo definitivo è determinato con l'approvazione del rendiconto (del bilancio dello Stato) dell'anno precedente quello di riferimento — in base, quindi, alle somme effettivamente affluite all'entrata al bilancio dello Stato, per effetto dell'applicazione dell'aliquota sul gettito contributivo del suddetto anno precedente;
    il finanziamento in oggetto riguarda le attività e l'organizzazione degli istituti di patronato e di assistenza sociale relativamente al conseguimento, in Italia e all'estero, delle prestazioni in materia di previdenza e quiescenza obbligatorie e delle prestazioni di carattere socio-assistenziale, comprese quelle in materia di emigrazione ed immigrazione;
    il comma 344-bis interviene sull'articolo 13, della legge n. 152/2001 di finanziamento degli istituti di patronato, il cui comma 5 prevede che ai medesimi è comunque assicurata l'erogazione delle quote di rispettiva competenza, nei limiti dell'80 per cento delle somme impegnate, entro il primo trimestre di ogni anno, aggiungendovi un ulteriore periodo in cui si stabilisce che agli istituti è altresì assicurata una ulteriore erogazione pari all'80 per cento delle somme eventualmente assegnate in sede di legge di assestamento del bilancio;
    il comma 344-ter interviene sulla normativa che regola una delle ipotesi di scioglimento e commissariamento degli istituti di patronato, operante nel caso in cui l'istituto abbia realizzato, per due anni consecutivi, attività «rilevante» (alla quale sono cioè finalizzati i finanziamenti pubblici, ex articolo 13, legge n. 152/2001), sia in Italia sia all'estero, in una quota percentuale (accertata in via definitiva dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali) inferiore all'1,5 per cento del totale. In particolare, si rinvia l'attuazione concreta di tale ipotesi di commissariamento stabilendo che essa trovi applicazione unicamente a decorrere dalle attività dell'anno 2016 (e non dell'anno 2014, come previsto dalla normativa vigente);
    gli stanziamenti per questi uffici sparsi in tutta Italia e anche all'estero, emanazione diretta delle sigle sindacali e delle associazioni di imprenditori, agricoltori e artigiani, sono costantemente sotto tiro degli ultimi governi: dal 2011 al 2015, ai patronati sono già stati decurtati altri 125 milioni di euro, e nel 2016, con il provvedimento al nostro esame, altri 15 milioni;
    ripetuti tagli che colpiscono sportelli in cui è possibile sbrigare gratuitamente pratiche di lavoro, pensioni e rinnovi dei permessi di soggiorno, e che per i sindacati sono anche avamposti per convogliare nuove tessere e nuovi iscritti. L'attacco è infatti diretto soprattutto al ruolo dei sindacati, ruolo ritenuto evidentemente scomodo dai governi neo-liberisti;
    la sottrazione delle risorse al fondo patronati, si traduce in un'altra tassa occulta ai danni delle persone più deboli, che saranno così costrette a rivolgersi al mercato. Anche perché il Fondo per i patronati non contiene risorse pubbliche, ma i contributi versati dai lavoratori privati e pubblici dipendenti e autonomi e dalle imprese, che così non torneranno nelle tasche dei lavoratori né finiranno a migliorare le politiche del lavoro, ma andranno nelle casse dello Stato per ripianare buchi di bilancio, sottraendoli a un servizio fondamentale per i cittadini. Il Governo così facendo si appropria di soldi che sono dei lavoratori;
    le pratiche sbrigate ogni anno dai patronati sono 11 milioni e 400 mila. Dai sussidi di disoccupazione alle questioni pensionistiche, dai congedi di maternità all'assistenza disabili, dai permessi di soggiorno agli assegni sociali, i patronati sbrigano una serie di servizi che in altri Paesi vengono offerti a pagamento dai privati. Sono presenti su tutto il territorio nazionale con oltre 21 mila uffici e quasi 12 mila dipendenti (oltre a 15 mila collaboratori volontari). Le pratiche sbrigate ogni anno dai patronati sono 11 milioni e 400 mila. Per svolgere questi servizi, ricevono un finanziamento pubblico con un fondo specifico accantonato negli istituti di previdenza, composto da contributi previdenziali versati dai lavoratori ogni anno. La quota viene versata su un conto del Ministero del lavoro che provvede con un decreto a ripartire i finanziamenti ai patronati proporzionalmente all'attività svolta, verificata di anno in anno dagli ispettori del lavoro;
    nel 2013, le persone che hanno versato per i patronati un contributo dalla propria busta paga sono state 21,7 milioni, a fronte di oltre 50 milioni che possono accedere al servizio. Una forma di redistribuzione per assicurare le tutele fondamentali anche a chi non può permettersi un avvocato o un consulente del lavoro. Tanto che anche la Corte Costituzionale nel 2000 ha riconosciuto che «le tutele assicurate in modo universale dai patronati corrispondono a un interesse pubblico direttamente riconducibile all'articolo 3, secondo comma, della Costituzione»;
    in base ai calcoli fatti dall'Inas-Cisl, grazie all'attività dei patronati i cittadini risparmiano 500 milioni di euro ogni anno. Per poter svolgere lo stesso lavoro, Inps, Inail e Ministero degli interni dovrebbero aumentare gli organici di 6.083 unità a tempo pieno con 6.142 nuovi uffici permanenti. Ad oggi, per esempio, i patronati curano il 90 per cento delle domande telematiche presentate all'Inps. A questi calcoli va aggiunta anche l'attività svolta dai patronati per i cittadini italiani residenti all'estero. Per erogare direttamente questi servizi, forniti oggi attraverso una rete di oltre 400 uffici sparsi nel mondo, l'Inps dovrebbe sostenere i costi richiesti dall'invio di personale italiano in missione all'estero;
    dal 2007 i patronati si occupano anche del rinnovo dei permessi di soggiorno degli immigrati, facendo risparmiare tempo, risorse e lunghe code alle questure di tutta Italia. Dal 2006 al 2012 il sistema dei patronati ha rinnovato 2 milioni e 600 mila permessi di soggiorno, a cui si aggiungono varie centinaia di migliaia di procedure per i ricongiungimenti familiari (pratiche che hanno impegnato il personale dei patronati per almeno 1 milione e 300 mila ore di lavoro). Un risparmio, per il Ministero dell'interno, di circa 60 milioni di euro. Gli agenti prima occupati nelle pratiche d'ufficio sono stati reimpiegati in servizi più attinenti alle funzioni di sicurezza sul territorio;
    i conti li ha fatti anche la stessa Inps in occasione della presentazione del bilancio sociale. Se non ci fossero i patronati, la pubblica amministrazione dovrebbe spendere oltre 657 milioni di euro, a fronte dei 430 milioni spesi attualmente,

impegna il Governo

a prendere gli opportuni provvedimenti anche legislativi al fine di reintegrare le somme decurtate a favore dei patronati.
9/3444-A/91Melilla, Placido, Airaudo.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi 344, 344-bis e 344-ter recano norme sia transitorie sia a regime per la modifica dei criteri di calcolo del finanziamento statale degli istituti di patronato e di assistenza sociale;
    le modifiche del comma 344 consistono:
     nella riduzione, con effetto sui finanziamenti a decorrere dall'anno 2016, da 0,207 a 0,199 punti percentuali del valore dell'aliquota di finanziamento dei suddetti istituti, la quale si commisura sul gettito dei contributi previdenziali obbligatori incassati da tutte le gestioni amministrate dall'INPS e dall'INAIL;
     nella riduzione, con effetto dall'esercizio finanziario 2017, da 72 a 68 punti percentuali dell'aliquota per la determinazione provvisoria del finanziamento in oggetto, aliquota che si commisura sulle somme in materia impegnate nell'ultimo rendiconto (del bilancio dello Stato) approvato e che dà luogo all'iscrizione delle somme nel bilancio statale di previsione e all'erogazione del relativo acconto (rispetto al finanziamento definitivo) entro il primo trimestre dell'anno solare. La modifica di tale aliquota opera, come detto, a decorrere dal 2017, mentre, per il 2016, si prevede che la riduzione della quota provvisoria sia pari a 15 milioni di euro rispetto al bilancio a legislazione vigente. Si ricorda che l'importo definitivo è determinato con l'approvazione del rendiconto (del bilancio dello Stato) dell'anno precedente quello di riferimento — in base, quindi, alle somme effettivamente affluite all'entrata al bilancio dello Stato, per effetto dell'applicazione dell'aliquota sul gettito contributivo del suddetto anno precedente;
    il finanziamento in oggetto riguarda le attività e l'organizzazione degli istituti di patronato e di assistenza sociale relativamente al conseguimento, in Italia e all'estero, delle prestazioni in materia di previdenza e quiescenza obbligatorie e delle prestazioni di carattere socio-assistenziale, comprese quelle in materia di emigrazione ed immigrazione;
    il comma 344-bis interviene sull'articolo 13, della legge n. 152/2001 di finanziamento degli istituti di patronato, il cui comma 5 prevede che ai medesimi è comunque assicurata l'erogazione delle quote di rispettiva competenza, nei limiti dell'80 per cento delle somme impegnate, entro il primo trimestre di ogni anno, aggiungendovi un ulteriore periodo in cui si stabilisce che agli istituti è altresì assicurata una ulteriore erogazione pari all'80 per cento delle somme eventualmente assegnate in sede di legge di assestamento del bilancio;
    il comma 344-ter interviene sulla normativa che regola una delle ipotesi di scioglimento e commissariamento degli istituti di patronato, operante nel caso in cui l'istituto abbia realizzato, per due anni consecutivi, attività «rilevante» (alla quale sono cioè finalizzati i finanziamenti pubblici, ex articolo 13, legge n. 152/2001), sia in Italia sia all'estero, in una quota percentuale (accertata in via definitiva dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali) inferiore all'1,5 per cento del totale. In particolare, si rinvia l'attuazione concreta di tale ipotesi di commissariamento stabilendo che essa trovi applicazione unicamente a decorrere dalle attività dell'anno 2016 (e non dell'anno 2014, come previsto dalla normativa vigente);
    gli stanziamenti per questi uffici sparsi in tutta Italia e anche all'estero, emanazione diretta delle sigle sindacali e delle associazioni di imprenditori, agricoltori e artigiani, sono costantemente sotto tiro degli ultimi governi: dal 2011 al 2015, ai patronati sono già stati decurtati altri 125 milioni di euro, e nel 2016, con il provvedimento al nostro esame, altri 15 milioni;
    ripetuti tagli che colpiscono sportelli in cui è possibile sbrigare gratuitamente pratiche di lavoro, pensioni e rinnovi dei permessi di soggiorno, e che per i sindacati sono anche avamposti per convogliare nuove tessere e nuovi iscritti. L'attacco è infatti diretto soprattutto al ruolo dei sindacati, ruolo ritenuto evidentemente scomodo dai governi neo-liberisti;
    la sottrazione delle risorse al fondo patronati, si traduce in un'altra tassa occulta ai danni delle persone più deboli, che saranno così costrette a rivolgersi al mercato. Anche perché il Fondo per i patronati non contiene risorse pubbliche, ma i contributi versati dai lavoratori privati e pubblici dipendenti e autonomi e dalle imprese, che così non torneranno nelle tasche dei lavoratori né finiranno a migliorare le politiche del lavoro, ma andranno nelle casse dello Stato per ripianare buchi di bilancio, sottraendoli a un servizio fondamentale per i cittadini. Il Governo così facendo si appropria di soldi che sono dei lavoratori;
    le pratiche sbrigate ogni anno dai patronati sono 11 milioni e 400 mila. Dai sussidi di disoccupazione alle questioni pensionistiche, dai congedi di maternità all'assistenza disabili, dai permessi di soggiorno agli assegni sociali, i patronati sbrigano una serie di servizi che in altri Paesi vengono offerti a pagamento dai privati. Sono presenti su tutto il territorio nazionale con oltre 21 mila uffici e quasi 12 mila dipendenti (oltre a 15 mila collaboratori volontari). Le pratiche sbrigate ogni anno dai patronati sono 11 milioni e 400 mila. Per svolgere questi servizi, ricevono un finanziamento pubblico con un fondo specifico accantonato negli istituti di previdenza, composto da contributi previdenziali versati dai lavoratori ogni anno. La quota viene versata su un conto del Ministero del lavoro che provvede con un decreto a ripartire i finanziamenti ai patronati proporzionalmente all'attività svolta, verificata di anno in anno dagli ispettori del lavoro;
    nel 2013, le persone che hanno versato per i patronati un contributo dalla propria busta paga sono state 21,7 milioni, a fronte di oltre 50 milioni che possono accedere al servizio. Una forma di redistribuzione per assicurare le tutele fondamentali anche a chi non può permettersi un avvocato o un consulente del lavoro. Tanto che anche la Corte Costituzionale nel 2000 ha riconosciuto che «le tutele assicurate in modo universale dai patronati corrispondono a un interesse pubblico direttamente riconducibile all'articolo 3, secondo comma, della Costituzione»;
    in base ai calcoli fatti dall'Inas-Cisl, grazie all'attività dei patronati i cittadini risparmiano 500 milioni di euro ogni anno. Per poter svolgere lo stesso lavoro, Inps, Inail e Ministero degli interni dovrebbero aumentare gli organici di 6.083 unità a tempo pieno con 6.142 nuovi uffici permanenti. Ad oggi, per esempio, i patronati curano il 90 per cento delle domande telematiche presentate all'Inps. A questi calcoli va aggiunta anche l'attività svolta dai patronati per i cittadini italiani residenti all'estero. Per erogare direttamente questi servizi, forniti oggi attraverso una rete di oltre 400 uffici sparsi nel mondo, l'Inps dovrebbe sostenere i costi richiesti dall'invio di personale italiano in missione all'estero;
    dal 2007 i patronati si occupano anche del rinnovo dei permessi di soggiorno degli immigrati, facendo risparmiare tempo, risorse e lunghe code alle questure di tutta Italia. Dal 2006 al 2012 il sistema dei patronati ha rinnovato 2 milioni e 600 mila permessi di soggiorno, a cui si aggiungono varie centinaia di migliaia di procedure per i ricongiungimenti familiari (pratiche che hanno impegnato il personale dei patronati per almeno 1 milione e 300 mila ore di lavoro). Un risparmio, per il Ministero dell'interno, di circa 60 milioni di euro. Gli agenti prima occupati nelle pratiche d'ufficio sono stati reimpiegati in servizi più attinenti alle funzioni di sicurezza sul territorio;
    i conti li ha fatti anche la stessa Inps in occasione della presentazione del bilancio sociale. Se non ci fossero i patronati, la pubblica amministrazione dovrebbe spendere oltre 657 milioni di euro, a fronte dei 430 milioni spesi attualmente,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prendere gli opportuni provvedimenti anche legislativi al fine di reintegrare le somme decurtate a favore dei patronati.
9/3444-A/91. (Testo modificato nel corso della seduta) Melilla, Placido, Airaudo.


   La Camera,
   premesso che:
    oggi in Italia si valuta che circa il 2 per cento del territorio sia contaminato da amianto;
    l'ultimo piano nazionale ha stimato 33.610 punti, ma si tratta di un numero sottostimato. Da qui della necessità improrogabile sia della mappatura, che delle azioni di bonifica;
    una percentuale significativa degli interventi che esigono interventi di bonifica, riguarda gli immobili, pubblici e privati, gli edifici scolastici, molti dei quali presentano ancora coperture in amianto;
    sotto questo aspetto vanno individuati tutti gli strumenti necessari, a cominciare dallo stanziamento di adeguate risorse finanziarie, volte a favorire la rimozione dell'amianto dalle strutture;
    sotto questo aspetto uno strumento fiscale che può accelerare gli interventi di bonifica e, contestualmente, contribuire a implementare gli interventi volti a incentivare la diffusione delle fonti rinnovabili, è, per esempio, quello legato all'introduzione di misure di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici, qualora installati in sostituzione di coperture o tetti contenenti amianto;
    giova peraltro ricordare come il fotovoltaico, con la fine del Quinto conto energia, non è più incentivato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, al fine di favorire e accelerare gli interventi di bonifica da amianto, e sostenere contestualmente l'energia prodotta da fonti rinnovabili, di reintrodurre meccanismi incentivanti per la produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici, qualora installati in sostituzione di coperture o tetti contenenti amianto.
9/3444-A/92Zaratti, Pellegrino, Ricciatti, Ferrara, Kronbichler.


   La Camera,
   premesso che:
    il Disegno di legge «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», già approvato dal Senato, reca disposizioni in materia di riordino della Croce Rossa Italiana;
    in attuazione della delega prevista dalla legge 183/2010, in materia di riorganizzazione della Croce Rossa, è stato emanato il decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178;
    a seguito della promulgazione del suddetto decreto legislativo, la Croce Rossa Italiana è stata investita da un radicale processo di privatizzazione;
    il decreto legislativo n. 178 del 2012 aveva i seguenti obiettivi:
     a) la riorganizzazione dell'Ente e la diminuzione della spesa pubblica;
     b) l'incentivazione e tutela dell'occupazione;
     c) la riduzione del precariato e del lavoro sommerso;
     d) una maggiore trasparenza di gestione e della democrazia interna di Croce Rossa Italiana;
    il Contributo statale ricevuto da Croce Rossa ogni anno si è sensibilmente ridotto, e nonostante l'adozione di tutte le misure atte alla riduzione della spesa e del debito, questi sono sensibilmente aumentati;
    alcune entrate di Croce Rossa vengono pignorate, a pagamento di debiti nati per la mancata spontanea ottemperanza di sentenze emesse negli anni passati, che hanno sanzionato l'errata gestione ad opera della governance: sembrerebbe che la proposta emendativa n. 24.19 del 6 dicembre 2015 al punto a. 217-bis voglia bloccare il legittimo esercizio dei diritti dei lavoratori vittoriosi sanzionando con la nullità tutti gli atti esecutivi notificati: in questo modo il potere legislativo si intromette, limita ed annulla il potere giudiziario in aperta violazione della costituzione;
    buona parte del personale dell'Ente Pubblico, da diverso tempo viene utilizzato in attività meramente figurative. Le attività «remunerative» vengono affidate alle APS private che assumono nuovo personale precario e meno qualificato. I Comitati Locali e Provinciali, oggi associazioni privatizzate, sono divenuti A.P.S. (Associazioni di Promozione Sociale), ciò permette loro di assumere i propri soci/volontari con contratti a tempo determinato o addirittura di remunerarli a mezzo voucher. Se, invece tali attività fossero espletate, con il personale dell'Ente Pubblico, si favorirebbe sicuramente il riequilibrio della situazione finanziaria dell'Ente;
    Croce Rossa Italiana ha discutibilmente deciso di non impiegare il personale «pubblico», pur dovendone erogare le competenze stipendiali, in attività produttive ma in attività meramente figurative. Ne consegue che non impiegando tale personale in attività remunerative per l'Ente, il bilancio ne soffra ulteriormente. Contemporaneamente alla presenza di questo personale (dipendenti pubblici male impiegati) è stata assunta, nei ruoli ricoperti precedentemente dai dipendenti pubblici, un'ulteriore quota di collaboratori (con contratto prevalentemente precario) ad opera delle neonate associazioni private di Croce Rossa presenti sul territorio. In aggiunta le attività istituzionali dell'Ente pubblico vengono comunque svolte dal personale neoassunto lasciando i lavoratori pubblici malimpiegati (e considerati «esuberi») pretendendo poi da questo Governo lo stanziamento di ulteriori fondi;
    la privatizzazione sta dunque aumentando la spesa pubblica non certo diminuendola;
    l'accordo che ha permesso di assumere parte del personale avente contratto pubblico a tempo determinato, mediante la revoca dello stesso e conseguente firma di nuovo contratto privatistico (apparentemente a tempo indeterminato) ha da un lato completamente annullato la precedente carriera del dipendente (neoassunti e lavoratori con esperienza pluridecennale contrattualizzati nel medesimo profilo — C1 —), dall'altro ha generato ulteriore precariato. Si tenga conto che i contratti di lavoro privatistico sono strettamente connessi alle convenzioni stipulate tra CRI e ASL o Agenzie Regionali alla loro durata ed al loro rinnovo (assolutamente discrezionale e non certo);
    il nuovo contratto A.N.P.A.S. privatistico, adottato dalle associazioni privatizzate, al momento della proposta di passaggio da «contratto pubblico a tempo determinato» a «contratto privato “falsamente” a tempo indeterminato», è stato «gentilmente sconsigliato» alle lavoratrici in stato di gravidanza e/o ai lavoratori con gravi patologie, con il risultato che ad oggi queste due categorie di lavoratori si trovano costrette a vivere la condizione di disoccupazione;
    per effetto della progressiva entrata in vigore del decreto legislativo n. 178 del 2012, oggi si vive la dicotomia presente all'interno di Croce Rossa Italiana: il Comitato Centrale e tutti i Comitati Regionali pubblici da un lato ed i Comitati Provinciali e Locali privatizzati dall'altro. Tutti i Comitati privatizzati possiedono un proprio Codice Fiscale, molti di loro hanno una partita IVA (diversa l'una dall'altra), alcuni sono divenuti O.N.L.U.S. altri non lo sono ancora, in alcune regioni non sono ancora stati ammessi nel Registro delle A.P.S. causando notevoli difficoltà all'espletamento delle funzioni da loro sempre esercitate (soccorso in emergenza, assistenza ad anziani, disabili e fasce deboli della popolazione);
    la doppia natura pubblica/privata non è certo garanzia di trasparenza, offre la possibilità di ottenere affidamenti diretti a mezzo della parte pubblica, che poi subappalta senza alcuna gara pubblica alle associazioni privatizzate;
    alle suddette criticità conseguenti al processo di riorganizzazione dell'Associazione Italiana della Croce Rossa, avviato con il decreto legislativo n. 178 del 2012, si possono inoltre segnalare:
     a) l'assenza dei decreti attuativi del decreto legislativo che vengono sostituiti da Ordinanze Presidenziali;
     b) la presenza di una dicotomia inerente la natura giuridico-economica dell'Ente;
     c) presenza di enormi difficoltà legate al personale in assenza di una precisa pianta organica che, allo stato attuale, risulta di impossibile redazione;
     d) rilevanza della sofferenza economica di molte associazioni privatizzate (A.P.S.) a nemmeno due anni prevedendone la verifica da parte di soggetti terzi al fine di valutare concretamente le ricadute conseguenti all'entrata in vigore del citato decreto di privatizzazione;
     e) presenza di sempre più rilevante insoddisfazione della componente volontaristica;
     f) presenza del reale rischio di perdita del Corpo Militare di Croce Rossa poiché, se il decreto legislativo concluderà il suo iter, si avrà la completa smilitarizzazione della componente, ciò andrà ad aumentare il numero del personale in pianta organica civile e dunque da ricollocare mediante il processo di mobilità eliminando, purtroppo, uno strumento essenziale in caso di calamità. I numerosi interventi svolti dal personale militare della Croce Rossa, che vanta un'altissima formazione ed esperienza, non potranno avere un seguito comportando, pertanto, un'ulteriore esborso di fondi pubblici statali,

impegna il Governo:

   a provvedere all'attuazione urgente delle deleghe per il riordino dell'Associazione italiana della Croce rossa (CRI), entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge;
   a tutelare tutti i livelli occupazionali esistenti (sanitari, tecnici ed amministrativi), anche quelli a carattere precario, garantendone l'inquadramento professionale e i livelli di retribuzione già in essere;
   a valutare la necessità di integrare il Corpo Militare della Croce Rossa all'interno del comparto della Difesa, garantendone i livelli di inquadramento professionale e salariale;
   a rimodulare l'impegno economico pubblico destinato alla Croce Rossa per fronteggiare la crisi delle associazioni di Croce Rossa locali e regionali che hanno subito pesanti tagli e sofferenze nel corso del processo di privatizzazione.
9/3444-A/93Gregori, Fassina, Nicchi, Scotto, Placido, Airaudo, Marcon, Melilla, Duranti.


   La Camera,
   premesso che:
    il Disegno di legge «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», già approvato dal Senato, reca disposizioni in materia di riordino della Croce Rossa Italiana;
    in attuazione della delega prevista dalla legge 183/2010, in materia di riorganizzazione della Croce Rossa, è stato emanato il decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178;
    a seguito della promulgazione del suddetto decreto legislativo, la Croce Rossa Italiana è stata investita da un radicale processo di privatizzazione;
    il decreto legislativo n. 178 del 2012 aveva i seguenti obiettivi:
     a) la riorganizzazione dell'Ente e la diminuzione della spesa pubblica;
     b) l'incentivazione e tutela dell'occupazione;
     c) la riduzione del precariato e del lavoro sommerso;
     d) una maggiore trasparenza di gestione e della democrazia interna di Croce Rossa Italiana;
    il Contributo statale ricevuto da Croce Rossa ogni anno si è sensibilmente ridotto, e nonostante l'adozione di tutte le misure atte alla riduzione della spesa e del debito, questi sono sensibilmente aumentati;
    alcune entrate di Croce Rossa vengono pignorate, a pagamento di debiti nati per la mancata spontanea ottemperanza di sentenze emesse negli anni passati, che hanno sanzionato l'errata gestione ad opera della governance: sembrerebbe che la proposta emendativa n. 24.19 del 6 dicembre 2015 al punto a. 217-bis voglia bloccare il legittimo esercizio dei diritti dei lavoratori vittoriosi sanzionando con la nullità tutti gli atti esecutivi notificati: in questo modo il potere legislativo si intromette, limita ed annulla il potere giudiziario in aperta violazione della costituzione;
    buona parte del personale dell'Ente Pubblico, da diverso tempo viene utilizzato in attività meramente figurative. Le attività «remunerative» vengono affidate alle APS private che assumono nuovo personale precario e meno qualificato. I Comitati Locali e Provinciali, oggi associazioni privatizzate, sono divenuti A.P.S. (Associazioni di Promozione Sociale), ciò permette loro di assumere i propri soci/volontari con contratti a tempo determinato o addirittura di remunerarli a mezzo voucher. Se, invece tali attività fossero espletate, con il personale dell'Ente Pubblico, si favorirebbe sicuramente il riequilibrio della situazione finanziaria dell'Ente;
    Croce Rossa Italiana ha discutibilmente deciso di non impiegare il personale «pubblico», pur dovendone erogare le competenze stipendiali, in attività produttive ma in attività meramente figurative. Ne consegue che non impiegando tale personale in attività remunerative per l'Ente, il bilancio ne soffra ulteriormente. Contemporaneamente alla presenza di questo personale (dipendenti pubblici male impiegati) è stata assunta, nei ruoli ricoperti precedentemente dai dipendenti pubblici, un'ulteriore quota di collaboratori (con contratto prevalentemente precario) ad opera delle neonate associazioni private di Croce Rossa presenti sul territorio. In aggiunta le attività istituzionali dell'Ente pubblico vengono comunque svolte dal personale neoassunto lasciando i lavoratori pubblici malimpiegati (e considerati «esuberi») pretendendo poi da questo Governo lo stanziamento di ulteriori fondi;
    la privatizzazione sta dunque aumentando la spesa pubblica non certo diminuendola;
    l'accordo che ha permesso di assumere parte del personale avente contratto pubblico a tempo determinato, mediante la revoca dello stesso e conseguente firma di nuovo contratto privatistico (apparentemente a tempo indeterminato) ha da un lato completamente annullato la precedente carriera del dipendente (neoassunti e lavoratori con esperienza pluridecennale contrattualizzati nel medesimo profilo — C1 —), dall'altro ha generato ulteriore precariato. Si tenga conto che i contratti di lavoro privatistico sono strettamente connessi alle convenzioni stipulate tra CRI e ASL o Agenzie Regionali alla loro durata ed al loro rinnovo (assolutamente discrezionale e non certo);
    il nuovo contratto A.N.P.A.S. privatistico, adottato dalle associazioni privatizzate, al momento della proposta di passaggio da «contratto pubblico a tempo determinato» a «contratto privato “falsamente” a tempo indeterminato», è stato «gentilmente sconsigliato» alle lavoratrici in stato di gravidanza e/o ai lavoratori con gravi patologie, con il risultato che ad oggi queste due categorie di lavoratori si trovano costrette a vivere la condizione di disoccupazione;
    per effetto della progressiva entrata in vigore del decreto legislativo n. 178 del 2012, oggi si vive la dicotomia presente all'interno di Croce Rossa Italiana: il Comitato Centrale e tutti i Comitati Regionali pubblici da un lato ed i Comitati Provinciali e Locali privatizzati dall'altro. Tutti i Comitati privatizzati possiedono un proprio Codice Fiscale, molti di loro hanno una partita IVA (diversa l'una dall'altra), alcuni sono divenuti O.N.L.U.S. altri non lo sono ancora, in alcune regioni non sono ancora stati ammessi nel Registro delle A.P.S. causando notevoli difficoltà all'espletamento delle funzioni da loro sempre esercitate (soccorso in emergenza, assistenza ad anziani, disabili e fasce deboli della popolazione);
    la doppia natura pubblica/privata non è certo garanzia di trasparenza, offre la possibilità di ottenere affidamenti diretti a mezzo della parte pubblica, che poi subappalta senza alcuna gara pubblica alle associazioni privatizzate;
    alle suddette criticità conseguenti al processo di riorganizzazione dell'Associazione Italiana della Croce Rossa, avviato con il decreto legislativo n. 178 del 2012, si possono inoltre segnalare:
     a) l'assenza dei decreti attuativi del decreto legislativo che vengono sostituiti da Ordinanze Presidenziali;
     b) la presenza di una dicotomia inerente la natura giuridico-economica dell'Ente;
     c) presenza di enormi difficoltà legate al personale in assenza di una precisa pianta organica che, allo stato attuale, risulta di impossibile redazione;
     d) rilevanza della sofferenza economica di molte associazioni privatizzate (A.P.S.) a nemmeno due anni prevedendone la verifica da parte di soggetti terzi al fine di valutare concretamente le ricadute conseguenti all'entrata in vigore del citato decreto di privatizzazione;
     e) presenza di sempre più rilevante insoddisfazione della componente volontaristica;
     f) presenza del reale rischio di perdita del Corpo Militare di Croce Rossa poiché, se il decreto legislativo concluderà il suo iter, si avrà la completa smilitarizzazione della componente, ciò andrà ad aumentare il numero del personale in pianta organica civile e dunque da ricollocare mediante il processo di mobilità eliminando, purtroppo, uno strumento essenziale in caso di calamità. I numerosi interventi svolti dal personale militare della Croce Rossa, che vanta un'altissima formazione ed esperienza, non potranno avere un seguito comportando, pertanto, un'ulteriore esborso di fondi pubblici statali,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    provvedere all'attuazione urgente delle deleghe per il riordino dell'Associazione italiana della Croce rossa (CRI), entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge;
    tutelare tutti i livelli occupazionali esistenti (sanitari, tecnici ed amministrativi), anche quelli a carattere precario, garantendone l'inquadramento professionale e i livelli di retribuzione già in essere;
    valutare la necessità di integrare il Corpo Militare della Croce Rossa all'interno del comparto della Difesa, garantendone i livelli di inquadramento professionale e salariale;
    rimodulare l'impegno economico pubblico destinato alla Croce Rossa per fronteggiare la crisi delle associazioni di Croce Rossa locali e regionali che hanno subito pesanti tagli e sofferenze nel corso del processo di privatizzazione.
9/3444-A/93. (Testo modificato nel corso della seduta) Gregori, Fassina, Nicchi, Scotto, Placido, Airaudo, Marcon, Melilla, Duranti.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, al comma 346, prevede che il Ministero della giustizia adotti misure volte alla razionalizzazione e alla riduzione delle indennità da corrispondere ai giudici di pace, ai giudici onorari aggregati, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari, per un «risparmio» non inferiore a euro 6.650.275 per l'anno 2016 e a euro 7.550.275 a decorrere dall'anno 2017, dunque incidendo per tali somme sulle rispettive indennità;
    tutto ciò malgrado il grande carico di lavoro rilevante sia in termini di quantità che di qualità, da parte della magistratura onoraria che, come noto, non gode neanche di garanzie previdenziali ed assistenziali, pur esercitando le medesime funzioni di un magistrato professionale;
    è del tutto probabile peraltro che la riduzione del fondo per le indennità potrebbe costringere i magistrati onorari a ridurre il proprio apporto alla amministrazione di giustizia;
    il disposto di cui al comma 346, infatti, fa seguito peraltro al mancato aggiornamento delle indennità spettanti agli stessi magistrati onorari, giudici e pubblici ministeri che seppur non togati in ogni caso, e con efficienza, esercitano funzioni giurisdizionali;
   considerato che:
    la magistratura onoraria non ha più un ruolo complementare e occasionale nell'amministrazione della giustizia, eppure poco si è fatto in generale per tutelarla e valorizzarla, ivi compreso il descritto taglio alle relative indennità,

impegna il Governo

ad intervenire a livello normativo per aumentare la misura dell'indennità da corrispondere ai giudici di pace, ai giudici onorari aggregati, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari, nonché, più in generale, per adeguare il trattamento retributivo/previdenziale della magistratura onoraria al considerevole apporto da questa effettivamente fornito all'amministrazione della giustizia.
9/3444-A/94Daniele Farina, Scotto, Sannicandro.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, al comma 346, prevede che il Ministero della giustizia adotti misure volte alla razionalizzazione e alla riduzione delle indennità da corrispondere ai giudici di pace, ai giudici onorari aggregati, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari, per un «risparmio» non inferiore a euro 6.650.275 per l'anno 2016 e a euro 7.550.275 a decorrere dall'anno 2017, dunque incidendo per tali somme sulle rispettive indennità;
    tutto ciò malgrado il grande carico di lavoro rilevante sia in termini di quantità che di qualità, da parte della magistratura onoraria che, come noto, non gode neanche di garanzie previdenziali ed assistenziali, pur esercitando le medesime funzioni di un magistrato professionale;
    è del tutto probabile peraltro che la riduzione del fondo per le indennità potrebbe costringere i magistrati onorari a ridurre il proprio apporto alla amministrazione di giustizia;
    il disposto di cui al comma 346, infatti, fa seguito peraltro al mancato aggiornamento delle indennità spettanti agli stessi magistrati onorari, giudici e pubblici ministeri che seppur non togati in ogni caso, e con efficienza, esercitano funzioni giurisdizionali;
   considerato che:
    la magistratura onoraria non ha più un ruolo complementare e occasionale nell'amministrazione della giustizia, eppure poco si è fatto in generale per tutelarla e valorizzarla, ivi compreso il descritto taglio alle relative indennità,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire a livello normativo per aumentare la misura dell'indennità da corrispondere ai giudici di pace, ai giudici onorari aggregati, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari, nonché, più in generale, per adeguare il trattamento retributivo/previdenziale della magistratura onoraria al considerevole apporto da questa effettivamente fornito all'amministrazione della giustizia.
9/3444-A/94. (Testo modificato nel corso della seduta) Daniele Farina, Scotto, Sannicandro.


   La Camera,
   premesso che:
    il Rapporto SVIMEZ del luglio 2015 osservava come era crollata la spesa in conto capitale, in particolare nel Sud d'Italia;
    in tempi di spending review, è interessante rilevare che a livello nazionale dal 2001 al 2013 la spesa pubblica in conto capitale è diminuita di oltre 17,3 miliardi di euro, passando da 63,7 a 46,3 miliardi di euro. Fatto pari a 100 il livello complessivo del 2001, nel 2013 la spesa è scesa al 72,2 per cento, quale media tra l'80 per cento del Centro-Nord e il 61 per cento del Sud;
    in altri termini, dal 2001 al 2013 la spesa nel Mezzogiorno è diminuita di 9,9 miliardi di euro, passando da 25,7 a 15,8 per cento;
    in più, la spesa complessiva in conto capitale della pubblica amministrazione è arrivata a pesare nel Mezzogiorno nel 2013 sul totale del Paese per il 34,1 per cento, cifra nettamente inferiore all'obiettivo programmatico del 45 per cento fissato in vari documenti di programmazione nei primi anni Duemila;
    sono diminuiti, inoltre, soprattutto al Sud i trasferimenti in conto capitale a favore delle imprese pubbliche e private: tra il 2001 e il 2013 si è registrato un calo del 52 per cento, pari a oltre 6,2 miliardi di euro. A trainare al ribasso i trasferimenti, il crollo degli incentivi alle imprese private;
    sarebbe perciò importante ripristinare la «clausola Ciampi» sulla riserva a favore del Mezzogiorno per gli investimenti pubblici (legge finanziaria per il 2005 – legge n. 311/2004);
    tale clausola prevedeva che le amministrazioni centrali si dovessero conformare all'obiettivo di destinare alle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna, un volume complessivo annuale della spesa in conto capitale, sia ordinaria che straordinaria, tendenzialmente pari al 45 per cento del totale di tale spesa, e che dovessero destinare alle medesime regioni almeno il 30 per cento della spesa ordinaria in conto capitale. Le amministrazioni centrali, nell'esercizio dei diritti dell'azionista nei confronti delle società di capitali a prevalente partecipazione pubblica diretta o indiretta, dovevano altresì adottare le opportune direttive per conformarsi ai principi di cui sopra;
    la verifica del mantenimento degli impegni di spesa era affidata all'Agenzia per la coesione territoriale che doveva inviare al parlamento una relazione entro il 31 marzo di ogni anno,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative, anche legislative, per ripristinare la cosiddetta «Clausola Ciampi» illustrata in premessa.
9/3444-A/95D'Attorre, Scotto, Fassina, Marcon, Melilla, Giancarlo Giordano, Pannarale, Palazzotto, Sannicandro, Costantino, Duranti, Fava, Ferrara, Fratoianni, Piras, Placido.


   La Camera,
   premesso che:
    il Rapporto SVIMEZ del luglio 2015 osservava come era crollata la spesa in conto capitale, in particolare nel Sud d'Italia;
    in tempi di spending review, è interessante rilevare che a livello nazionale dal 2001 al 2013 la spesa pubblica in conto capitale è diminuita di oltre 17,3 miliardi di euro, passando da 63,7 a 46,3 miliardi di euro. Fatto pari a 100 il livello complessivo del 2001, nel 2013 la spesa è scesa al 72,2 per cento, quale media tra l'80 per cento del Centro-Nord e il 61 per cento del Sud;
    in altri termini, dal 2001 al 2013 la spesa nel Mezzogiorno è diminuita di 9,9 miliardi di euro, passando da 25,7 a 15,8 per cento;
    in più, la spesa complessiva in conto capitale della pubblica amministrazione è arrivata a pesare nel Mezzogiorno nel 2013 sul totale del Paese per il 34,1 per cento, cifra nettamente inferiore all'obiettivo programmatico del 45 per cento fissato in vari documenti di programmazione nei primi anni Duemila;
    sono diminuiti, inoltre, soprattutto al Sud i trasferimenti in conto capitale a favore delle imprese pubbliche e private: tra il 2001 e il 2013 si è registrato un calo del 52 per cento, pari a oltre 6,2 miliardi di euro. A trainare al ribasso i trasferimenti, il crollo degli incentivi alle imprese private;
    sarebbe perciò importante ripristinare la «clausola Ciampi» sulla riserva a favore del Mezzogiorno per gli investimenti pubblici (legge finanziaria per il 2005 – legge n. 311/2004);
    tale clausola prevedeva che le amministrazioni centrali si dovessero conformare all'obiettivo di destinare alle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna, un volume complessivo annuale della spesa in conto capitale, sia ordinaria che straordinaria, tendenzialmente pari al 45 per cento del totale di tale spesa, e che dovessero destinare alle medesime regioni almeno il 30 per cento della spesa ordinaria in conto capitale. Le amministrazioni centrali, nell'esercizio dei diritti dell'azionista nei confronti delle società di capitali a prevalente partecipazione pubblica diretta o indiretta, dovevano altresì adottare le opportune direttive per conformarsi ai principi di cui sopra;
    la verifica del mantenimento degli impegni di spesa era affidata all'Agenzia per la coesione territoriale che doveva inviare al parlamento una relazione entro il 31 marzo di ogni anno,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prendere le opportune iniziative, anche legislative, per ripristinare la cosiddetta «Clausola Ciampi» illustrata in premessa.
9/3444-A/95. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Attorre, Scotto, Fassina, Marcon, Melilla, Giancarlo Giordano, Pannarale, Palazzotto, Sannicandro, Costantino, Duranti, Fava, Ferrara, Fratoianni, Piras, Placido.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 548-terdecies dell'articolo 1 prevede l'assegnazione di una carta elettronica del valore di massimale di 500 euro ai giovani che compiono 18 anni nell'anno 2016; tale carta elettronica può essere utilizzata per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'acquisto di libri nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo;
    destinatari dell'iniziativa sono i cittadini italiani o di altri Paesi membri dell'Unione europea residenti nel territori nazionale, per cui ragazze e ragazzi extracomunitari, compresi quelli cresciuti e magari anche nati in Italia, non riceveranno alcuna carta;
    i familiari non comunitari di cittadini italiani o di altri Stati UE residenti nel territorio dello Stato, i titolari di «carta blu Ue» e i titolari di un permesso di soggiorno consenta di lavorare in Italia, come il permesso per lavoro o quello per motivi familiari saranno esclusi dalla misura;
    secondo la norma «le somme assegnate con la Carta non costituiscono reddito imponibile del beneficiario e non rilevano ai fini del computo del valore dell'indicatore della situazione economica equivalente»;
    a riguardo si rammenta che le direttive europee, le quali prevalgono sulla legge italiana, prevedono infatti per le prestazioni assistenziali, quale sarebbe assimilata la misura in oggetto, una più ampia platea di stranieri che hanno diritto alla parità di trattamento con gli italiani;
    l'esclusione di detta platea è per cui illegittima, discriminatoria ed espone lo Stato italiano a prevedibili procedimenti di infrazione da parte della Commissione europea, nonché a contenziosi legali;
    la card giovani deve quindi essere garantito anche ai cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare in Italia, poiché essi beneficiano, in base alla Direttiva 2011/98/UE «dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano». Inoltre esso va garantito anche ai cittadini stranieri titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria e, in base alla direttiva 2011/95/UE e ai titolari di «Carta blu Ue», in base direttiva 2009/50,

impegna il Governo

a correggere, in un prossimo intervento normativo, la norma prevedendo l'applicazione del beneficio di cui al comma 548-terdecies della presente legge anche i cittadini stranieri e familiari titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare in Italia, ai titolari e familiari di «Carta blu Ue», nonché anche ai cittadini stranieri titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria.
9/3444-A/96Costantino, Marcon, Palazzotto, Scotto, Giancarlo Giordano, Nicchi, Fratoianni, Carlo Galli, Pannarale.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 548-terdecies dell'articolo 1 prevede l'assegnazione di una carta elettronica del valore di massimale di 500 euro ai giovani che compiono 18 anni nell'anno 2016; tale carta elettronica può essere utilizzata per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'acquisto di libri nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo;
    destinatari dell'iniziativa sono i cittadini italiani o di altri Paesi membri dell'Unione europea residenti nel territori nazionale, per cui ragazze e ragazzi extracomunitari, compresi quelli cresciuti e magari anche nati in Italia, non riceveranno alcuna carta;
    i familiari non comunitari di cittadini italiani o di altri Stati UE residenti nel territorio dello Stato, i titolari di «carta blu Ue» e i titolari di un permesso di soggiorno consenta di lavorare in Italia, come il permesso per lavoro o quello per motivi familiari saranno esclusi dalla misura;
    secondo la norma «le somme assegnate con la Carta non costituiscono reddito imponibile del beneficiario e non rilevano ai fini del computo del valore dell'indicatore della situazione economica equivalente»;
    a riguardo si rammenta che le direttive europee, le quali prevalgono sulla legge italiana, prevedono infatti per le prestazioni assistenziali, quale sarebbe assimilata la misura in oggetto, una più ampia platea di stranieri che hanno diritto alla parità di trattamento con gli italiani;
    l'esclusione di detta platea è per cui illegittima, discriminatoria ed espone lo Stato italiano a prevedibili procedimenti di infrazione da parte della Commissione europea, nonché a contenziosi legali;
    la card giovani deve quindi essere garantito anche ai cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare in Italia, poiché essi beneficiano, in base alla Direttiva 2011/98/UE «dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano». Inoltre esso va garantito anche ai cittadini stranieri titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria e, in base alla direttiva 2011/95/UE e ai titolari di «Carta blu Ue», in base direttiva 2009/50,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di correggere, in un prossimo intervento normativo, la norma prevedendo l'applicazione del beneficio di cui al comma 548-terdecies della presente legge anche i cittadini stranieri e familiari titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare in Italia, ai titolari e familiari di «Carta blu Ue», nonché anche ai cittadini stranieri titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria.
9/3444-A/96. (Testo modificato nel corso della seduta) Costantino, Marcon, Palazzotto, Scotto, Giancarlo Giordano, Nicchi, Fratoianni, Carlo Galli, Pannarale.


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni, sia negli Usa sia in Europa, sono state avanzate proposte di modifica strutturale dell'attività bancaria che prevedono, pur con modalità differenti, una separazione dell'attività di intermediazione creditizia tradizionale da quella di trading proprietario, attualmente svolte all'interno di molti istituti di credito secondo il modello di banca universale;
    tali misure hanno l'obiettivo di impedire o contenere le ripercussioni che le perdite derivanti dall'attività di trading possono avere sull'attività di banca commerciale, compromettendone la solidità e mettendo a rischio i depositi della clientela;
    una separazione tra le attività di banca commerciale e quelle di trading mitigherebbe, inoltre, il reciproco contagio tra mercato dei capitali e sistema bancario e indebolirebbe il legame tra rischio bancario e rischio sovrano, riducendo l'incentivo al salvataggio pubblico degli istituti in crisi;
    negli Stati Uniti la legge di riforma del sistema finanziario (cosiddetto Dodd-Frank Act), approvata nel 2010, ha introdotto, tra le altre misure, il divieto per le banche statunitensi che svolgono attività di intermediazione creditizia tradizionale di effettuare anche attività di trading proprietario, sia direttamente sia indirettamente attraverso investimenti in hedge funds e fondi di private equity;
    tuttavia tale norma, nota come «Volcker rule» non risulta ancora essere stata attivata. Essa richiede, infatti, l'emanazione di regolamenti attuativi che definiscano in modo preciso le attività soggette al divieto. La formulazione di tali norme di dettaglio è risultata tuttavia particolarmente complessa, principalmente a causa della difficoltà di distinguere le attività di trading proprietario da altre attività che tipicamente le banche commerciali svolgono sul mercato dei capitali, quali ad esempio quelle con finalità di copertura;
    nel Regno Unito l’Independent Commission on Banking, istituita dal governo inglese, ha presentato nel 2011 il Vickers Report proponendo il cosiddetto ringfencing, ossia l'isolamento, all'interno del medesimo gruppo bancario, dell'attività di banca commerciale dalle altre attività (trading e investimento). A differenza della Volcker rule tale proposta consentirebbe di svolgere le attività all'interno dello stesso gruppo bancario, con l'applicazione di requisiti prudenziali più stringenti per le entità che esercitano attività di banca commerciale. La tempistica per l'entrata in vigore della cosiddetta Vickers rule prevede la conclusione dell’iter legislativo entro il 2015 e la piena implementazione delle relative norme entro il 2019;
    anche il Rapporto Liikanen, scritto da un gruppo di esperti guidati da Eri Liikanen, Presidente della banca centrale finlandese, fa intuire una timida volontà di dissociarsi dalle pratiche speculative degli operatori finanziari: sono considerate, per la separazione delle attività, solamente le banche che hanno un volume significativo di attività di trading (sopra 100 miliardi) o con una quota consistente di attività di trading sul totale (tra il 15 e il 25 per cento), ossia la non obbligatorietà della cessazione delle banche universali, solo una separazione giuridica all'occorrenza;
    nell'ottobre 2012, su mandato della Commissione europea, il gruppo di esperti incaricati di elaborare un rapporto sui possibili interventi di riforma del settore bancario europeo ha, infatti, presentato un documento (cosiddetto Liikanen Report) contenente una serie di proposte di modifica strutturale del sistema bancario europeo. Tra le varie proposte il Rapporto individua anche la necessità di procedere alla segregazione delle attività di trading dalle altre attività bancarie. Tali attività, secondo la proposta Liikanen, dovrebbero essere svolte da entità legalmente e finanziariamente indipendenti, all'interno del medesimo gruppo bancario. La proposta individua, inoltre, limiti quantitativi per l'applicazione dell'obbligo di segregazione. L'obiettivo principale di tale misura sarebbe pertanto di impedire che le garanzie di cui beneficiano i depositi bancari possano estendersi alle attività più rischiose quali quelle di trading, riducendo pertanto il rischio di azzardo morale da parte delle banche europee;
    in Italia con il Testo Unico Bancario del 1993 è stata di fatto ripristinata una commistione tra banche commerciali e banche d'affari, abolendo la legge bancaria del 1936 con cui fu introdotto in Italia lo standard americano della legge Glass-Steagall. In particolare, con il processo che va dalla legge Amato (1992) alla legge Draghi (1998) si è passati ad un regime in cui, abolite le specializzazioni, le banche sono diventate banche universali, e cioè fanno tutto, compresa l'attività bancaria di affari,

impegna il Governo:

   al fine di tutelare le attività finanziarie di deposito e di credito inerenti l'economia reale e differenziarle da quelle legate all'investimento e alla speculazione sui mercati finanziari nazionali e internazionali, a prendere le opportune iniziative legislative, anche mediante modifica della disciplina vigente di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 — testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia;
   e, nell'immediato, a prendere un provvedimento urgente di divieto totale di vendita di prodotti finanziari al retail.
9/3444-A/97Quaranta, Paglia, Fassina, Marcon, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni, sia negli Usa sia in Europa, sono state avanzate proposte di modifica strutturale dell'attività bancaria che prevedono, pur con modalità differenti, una separazione dell'attività di intermediazione creditizia tradizionale da quella di trading proprietario, attualmente svolte all'interno di molti istituti di credito secondo il modello di banca universale;
    tali misure hanno l'obiettivo di impedire o contenere le ripercussioni che le perdite derivanti dall'attività di trading possono avere sull'attività di banca commerciale, compromettendone la solidità e mettendo a rischio i depositi della clientela;
    una separazione tra le attività di banca commerciale e quelle di trading mitigherebbe, inoltre, il reciproco contagio tra mercato dei capitali e sistema bancario e indebolirebbe il legame tra rischio bancario e rischio sovrano, riducendo l'incentivo al salvataggio pubblico degli istituti in crisi;
    negli Stati Uniti la legge di riforma del sistema finanziario (cosiddetto Dodd-Frank Act), approvata nel 2010, ha introdotto, tra le altre misure, il divieto per le banche statunitensi che svolgono attività di intermediazione creditizia tradizionale di effettuare anche attività di trading proprietario, sia direttamente sia indirettamente attraverso investimenti in hedge funds e fondi di private equity;
    tuttavia tale norma, nota come «Volcker rule» non risulta ancora essere stata attivata. Essa richiede, infatti, l'emanazione di regolamenti attuativi che definiscano in modo preciso le attività soggette al divieto. La formulazione di tali norme di dettaglio è risultata tuttavia particolarmente complessa, principalmente a causa della difficoltà di distinguere le attività di trading proprietario da altre attività che tipicamente le banche commerciali svolgono sul mercato dei capitali, quali ad esempio quelle con finalità di copertura;
    nel Regno Unito l’Independent Commission on Banking, istituita dal governo inglese, ha presentato nel 2011 il Vickers Report proponendo il cosiddetto ringfencing, ossia l'isolamento, all'interno del medesimo gruppo bancario, dell'attività di banca commerciale dalle altre attività (trading e investimento). A differenza della Volcker rule tale proposta consentirebbe di svolgere le attività all'interno dello stesso gruppo bancario, con l'applicazione di requisiti prudenziali più stringenti per le entità che esercitano attività di banca commerciale. La tempistica per l'entrata in vigore della cosiddetta Vickers rule prevede la conclusione dell’iter legislativo entro il 2015 e la piena implementazione delle relative norme entro il 2019;
    anche il Rapporto Liikanen, scritto da un gruppo di esperti guidati da Eri Liikanen, Presidente della banca centrale finlandese, fa intuire una timida volontà di dissociarsi dalle pratiche speculative degli operatori finanziari: sono considerate, per la separazione delle attività, solamente le banche che hanno un volume significativo di attività di trading (sopra 100 miliardi) o con una quota consistente di attività di trading sul totale (tra il 15 e il 25 per cento), ossia la non obbligatorietà della cessazione delle banche universali, solo una separazione giuridica all'occorrenza;
    nell'ottobre 2012, su mandato della Commissione europea, il gruppo di esperti incaricati di elaborare un rapporto sui possibili interventi di riforma del settore bancario europeo ha, infatti, presentato un documento (cosiddetto Liikanen Report) contenente una serie di proposte di modifica strutturale del sistema bancario europeo. Tra le varie proposte il Rapporto individua anche la necessità di procedere alla segregazione delle attività di trading dalle altre attività bancarie. Tali attività, secondo la proposta Liikanen, dovrebbero essere svolte da entità legalmente e finanziariamente indipendenti, all'interno del medesimo gruppo bancario. La proposta individua, inoltre, limiti quantitativi per l'applicazione dell'obbligo di segregazione. L'obiettivo principale di tale misura sarebbe pertanto di impedire che le garanzie di cui beneficiano i depositi bancari possano estendersi alle attività più rischiose quali quelle di trading, riducendo pertanto il rischio di azzardo morale da parte delle banche europee;
    in Italia con il Testo Unico Bancario del 1993 è stata di fatto ripristinata una commistione tra banche commerciali e banche d'affari, abolendo la legge bancaria del 1936 con cui fu introdotto in Italia lo standard americano della legge Glass-Steagall. In particolare, con il processo che va dalla legge Amato (1992) alla legge Draghi (1998) si è passati ad un regime in cui, abolite le specializzazioni, le banche sono diventate banche universali, e cioè fanno tutto, compresa l'attività bancaria di affari,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    tutelare le attività finanziarie di deposito e di credito inerenti l'economia reale e differenziarle da quelle legate all'investimento e alla speculazione sui mercati finanziari nazionali e internazionali, a prendere le opportune iniziative legislative, anche mediante modifica della disciplina vigente di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 — testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia;
    e, nell'immediato, a prendere un provvedimento urgente di divieto totale di vendita di prodotti finanziari al retail.
9/3444-A/97. (Testo modificato nel corso della seduta) Quaranta, Paglia, Fassina, Marcon, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo con un suo emendamento al provvedimento al nostro esame ha coinvolto nell'operazione di salvataggio della Cassa di risparmio di Ferrara, della Banca delle Marche, della Banca dell'Etruria e del Lazio e della Cassa di risparmio di Chieti, anche le banche virtuose, quelle non profit, quelle che lottano per restare coerenti con la mission di sostenere l'economia reale e sostenibile riuscendo a mantenere in equilibrio i propri bilanci senza alcun aiuto pubblico;
    nello specifico a Banca Etica era stato preventivato e comunicato un contributo di 130 mila euro per il 2015 e identica cifra per il 2016. Ora — a seguito del decreto salva-banche inserito nella legge di stabilità per il 2016 — ne sarà richiesto uno molto più oneroso che potrebbe superare i 500 mila euro nel 2015 e sfiorare i 400 mila nel 2016;
    sono cifre importanti che sottraggono risorse allo sviluppo sostenibile e all'economia sociale a cui Banca Etica fa credito, perché, essendo banca non profit, ogni euro di utile che viene sottratto per salvare altre banche rappresenta 12 euro in meno di credito erogabile;
    una banca che anche durante la crisi è stata sempre in controtendenza: mentre le grandi banche contraevano sempre più il credito all'economia reale, Banca Etica ha mantenuto importanti tassi di crescita nei finanziamenti erogati a favore di famiglie e imprese sociali. Erogazioni che ora potrebbe essere costretta a ridurre a causa dei contributi che vengono richiesti per salvare banche mal gestite;
    Banca Etica è la prima e tutt'ora unica banca italiana interamente dedita alla finanza etica, opera su tutto il territorio nazionale attraverso una rete di filiali, banchieri ambulanti e grazie ai servizi di home e mobile banking;
    il Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico e che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010, all'articolo 70 fissa i criteri per la contribuzione degli istituti bancari al Fondo di risoluzione;
    sono previsti due tipi di contributo, uno fisso proporzionale e uno ponderato in funzione del rischio, e si prevede che la relazione tra il contributo fisso e il contributo ponderato tenga conto di una distribuzione equilibrata dei contributi tra le diverse tipologie di banche,

impegna il Governo

a prendere le opportune misure, anche legislative, volte ad esentare da ogni eventuale versamento aggiuntivo che potrebbe essere richiesto da parte del Fondo di risoluzione nazionale, le banche di piccola dimensione e che negli ultimi tre anni non abbiano distribuito dividendi agli azionisti e che siano orientate a finanziare in via prevalente enti non profit, anche modificando il decreto legislativo n. 180 del 2015, riconoscendo la particolarità tipologica di questi istituti.
9/3444-A/98Marcon, Rubinato, Palese, Paglia, Realacci, Causi, Melilla, Beni, Fossati, Preziosi, Pannarale, Nicchi, Mognato, Miotto, Murer, Fassina, Sereni, Patrizia Maestri, Narduolo, Patriarca, Capone, Zanin.


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo con un suo emendamento al provvedimento al nostro esame ha coinvolto nell'operazione di salvataggio della Cassa di risparmio di Ferrara, della Banca delle Marche, della Banca dell'Etruria e del Lazio e della Cassa di risparmio di Chieti, anche le banche virtuose, quelle non profit, quelle che lottano per restare coerenti con la mission di sostenere l'economia reale e sostenibile riuscendo a mantenere in equilibrio i propri bilanci senza alcun aiuto pubblico;
    nello specifico a Banca Etica era stato preventivato e comunicato un contributo di 130 mila euro per il 2015 e identica cifra per il 2016. Ora — a seguito del decreto salva-banche inserito nella legge di stabilità per il 2016 — ne sarà richiesto uno molto più oneroso che potrebbe superare i 500 mila euro nel 2015 e sfiorare i 400 mila nel 2016;
    sono cifre importanti che sottraggono risorse allo sviluppo sostenibile e all'economia sociale a cui Banca Etica fa credito, perché, essendo banca non profit, ogni euro di utile che viene sottratto per salvare altre banche rappresenta 12 euro in meno di credito erogabile;
    una banca che anche durante la crisi è stata sempre in controtendenza: mentre le grandi banche contraevano sempre più il credito all'economia reale, Banca Etica ha mantenuto importanti tassi di crescita nei finanziamenti erogati a favore di famiglie e imprese sociali. Erogazioni che ora potrebbe essere costretta a ridurre a causa dei contributi che vengono richiesti per salvare banche mal gestite;
    Banca Etica è la prima e tutt'ora unica banca italiana interamente dedita alla finanza etica, opera su tutto il territorio nazionale attraverso una rete di filiali, banchieri ambulanti e grazie ai servizi di home e mobile banking;
    il Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico e che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010, all'articolo 70 fissa i criteri per la contribuzione degli istituti bancari al Fondo di risoluzione;
    sono previsti due tipi di contributo, uno fisso proporzionale e uno ponderato in funzione del rischio, e si prevede che la relazione tra il contributo fisso e il contributo ponderato tenga conto di una distribuzione equilibrata dei contributi tra le diverse tipologie di banche,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prendere le opportune misure, anche legislative, voltead esentare da ogni eventuale versamento aggiuntivo che potrebbe essere richiesto da parte del Fondo di risoluzione nazionale, le banche di piccola dimensione e che negli ultimi tre anni non abbiano distribuito dividendi agli azionisti e che siano orientate a finanziare in via prevalente enti non profit, anche modificando il decreto legislativo n. 180 del 2015, riconoscendo la particolarità tipologica di questi istituti.
9/3444-A/98. (Testo modificato nel corso della seduta) Marcon, Rubinato, Palese, Paglia, Realacci, Causi, Melilla, Beni, Fossati, Preziosi, Pannarale, Nicchi, Mognato, Miotto, Murer, Fassina, Sereni, Patrizia Maestri, Narduolo, Patriarca, Capone, Zanin.


   La Camera,
   in sede di esame del disegno di legge AC 3444-A «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», considerato che:
    come gli eventi degli ultimi giorni che hanno travolto le aspettative e la buona fede di decine di migliaia di risparmiatori dimostrano, da tempo oramai il mondo della finanza ha distolto l'attenzione da famiglie ed imprese, concentrandosi quasi esclusivamente su prodotti finanziari e speculativi più remunerativi;
    di contro, la gravità della situazione finanziaria che ha posto come emergenza il tema della povertà relativa, della esclusione finanziaria e della disoccupazione, ha ridato impulso, dopo anni di emarginazione legata al suddetto modello finanziario ultraliberista, ad intermediari finanziari, come il microcredito e la finanza etica, che investono, invece, in un modello economico di benessere sobrio e solidale, grazie ad un meccanismo finanziario virtuoso con il quale le comunità locali costruiscono e sostengono le imprese dell'economia solidale investendo i propri risparmi per soddisfare bisogni di credito delle micro imprese, delle persone fisiche singole e delle famiglie che rientrano nella categoria definita col triste eufemismo di «soggetti non bancabili»;
    il microcredito è pertanto uno strumento di sviluppo economico che permette anche alle persone in condizioni di povertà ed emarginazione di accedere ai servizi finanziari, consentendo il miglioramento delle loro condizioni di vita (ad esempio sostegno al pagamento di rate d'affitto o avvio di piccole attività artigianali, e altro). Esso è per lo più esercitato dalle cosiddette Mag: le Mutue Auto Gestione) la cui gestione, per lo più indirizzata verso settori d'intervento quali la solidarietà sociale, l'ambiente e i temi dell'ecologia, la cultura e l'informazione, si basa sulle seguenti caratteristiche: la partecipazione dei soci alla gestione; interventi rivolti verso progetti di cooperative e associazioni; garanzie patrimoniali sugli impieghi basate sulla conoscenza delle persone e dei progetti da finanziare;
    ci sono tuttavia alcuni limiti oggettivi nel quadro normativo che ostacolano il riconoscimento come operatori di microcredito;
    con le modifiche apportate nell'anno 2014 al Testo unico bancario e la previsione all'interno di esso di una specifica normativa, con due articoli dedicati al microcredito, il nostro Paese si è posto tra quelli europei più attivi nella costruzione di un quadro regolamentare in grado di favorire l'accesso a forme di credito alternative a quello bancario, normativa necessaria stanti, in particolare, la dimensione ridotta del prestito, l'assenza di garanzie tradizionali prestate dal singolo beneficiario, la presenza di servizi ausiliari, la natura dei beneficiari e, di conseguenza, lo scopo del finanziamento, tutti requisiti che possono anche non risultare simultaneamente soddisfatti in tutti i programmi di microcredito e che, spesso, vengono interpretati differentemente dai diversi soggetti erogatori e nei diversi contesti;
    nello specifico l'articolo 16 del decreto 17 ottobre 2014, n. 176 Disciplina del microcredito, in attuazione dell'articolo 111, comma 5, del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, consente agli operatori di finanza mutualistica e solidale di concedere finanziamenti volti a sostenere la microimprenditorialità dei propri soci, possibilità condizionata al rispetto di specifiche condizioni e all'iscrizione di tali operatori nell'elenco di cui all'articolo 111 del Tub. Quest'ultimo, inoltre, non attribuisce esplicitamente a tali finanziamenti la qualifica di microcredito ma sembra assimilarli ad esso in ragione della finalizzazione del finanziamento ed inoltre, il limite fissato dall'articolo 111, comma 1, lettera a) del Tub a 25.000 euro per i finanziamenti a sostegno dell'avvio o dell'esercizio di attività imprenditoriali, non è sufficiente a garantire un reale sostegno ad attività economiche: in tale misura, infatti, circa il 50 per cento degli attuali finanziamenti delle Mag sarebbe irrealizzabile,

impegna il Governo:

   ad adottare un provvedimento normativo al fine di modificare l'articolo 111 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), aggiungendo due ulteriori commi che prevedano:
    1) La definizione puntuale degli operatori di finanza mutualistica e solidale quali soggetti, iscritti nell'elenco di cui al medesimo articolo e costituiti in forma di cooperativa a mutualità prevalente, il cui statuto preveda che:
     a) i partecipanti al capitale, i dipendenti ed i collaboratori siano esclusivamente soci;
     b) l'assemblea dei soci abbia la competenza esclusiva di deliberare in ordine alle scelte strategiche e gestionali;
     c) siano resi pubblici i nominativi dei partecipanti al capitale, l'ammontare dei finanziamenti concessi e la natura dei beneficiari;
     d) la società non abbia scopo di lucro e non possano essere distribuiti dividendi in misura superiore al tasso di inflazione dell'anno di riferimento;
     e) per ogni finanziamento sia condotta un'istruttoria socio ambientale alla quale è attribuito lo stesso valore di quella economica ai fini dell'erogazione;
    2) che gli stessi operatori di finanza mutualistica e solidale, come definiti dal precedente punto 1), in deroga a quanto già previsto al comma 1 lettera a) dello stesso articolo 111, possono concedere finanziamenti ai propri soci fino ad un ammontare massimo di euro 75.000 e per una durata massima di dieci anni, il cui tasso effettivo globale non può eccedere la somma dei costi di gestione della struttura e del costo di remunerazione del capitale in misura non superiore al tasso d'inflazione. Che sia consentita agli operatori di finanza pubblica e solidale l'attività di credito a propri soci, in deroga ad eventuali limiti del soggetto richiedente relativi a fatturato, dati di bilancio, numero di dipendenti, anni di attività, eventualmente previsti dal regolamento di cui al comma 5 del medesimo articolo 111.
9/3444-A/99Palazzotto, Kronbichler, Paglia.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di Stabilità 2016 ha previsto diversi interventi normativi finalizzati a favorire lo sviluppo del settore culturale ed il consumo di prodotti creativi;
    l'articolo 71-septies della legge 22 aprile 1941, n. 633 stabilisce che gli autori ed i produttori di fonogrammi, nonché i produttori originari di opere audiovisive, gli artisti interpreti esecutori ed i produttori di videogrammi, hanno diritto ad un compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi; un equo compenso a favore dell'industria culturale italiana (imprese, artisti e autori) e della produzione creativa, per consentire il libero utilizzo dei contenuti creativi, specie sui device elettronici di nuova generazione;
    a seguito dell'adozione del decreto di aggiornamento dei compensi del 2014, il Governo aveva manifestato l'intenzione di indirizzare una quota percentuale della parte incrementale degli incassi derivanti dal nuovo e aggiornato sistema tariffario ad attività di sostegno e promozione di giovani autori ed artisti — e la produzione di opere prime;
    il comma 179-bis dell'AC 3444, in particolare, prevede che «al fine di favorire la creatività dei giovani autori» il dieci per cento di tutti i compensi incassati per copia privata sia destinato dalla SIAE, sulla base di apposito atto di indirizzo annuale del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ad attività di promozione culturale nazionale e internazionale,

impegna il Governo:

   a non discriminare nell'ambito dell'atto di indirizzo annuale in premessa, le altre categorie dei titolari dei diritti diverse dagli autori, come previste dall'articolo 71-septies della legge quadro sul diritto d'autore;
   ad assicurare il coinvolgimento delle società di intermediazione dei diritti connessi operanti in Italia nella progettazione e realizzazione nelle suddette attività di promozione culturale e a destinare le somme trattenute ad attività da svolgersi attraverso le citate società di intermediazione.
9/3444-A/100Andrea Romano, Bonomo, Ascani.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di Stabilità 2016 ha previsto diversi interventi normativi finalizzati a favorire lo sviluppo del settore culturale ed il consumo di prodotti creativi;
    l'articolo 71-septies della legge 22 aprile 1941, n. 633 stabilisce che gli autori ed i produttori di fonogrammi, nonché i produttori originari di opere audiovisive, gli artisti interpreti esecutori ed i produttori di videogrammi, hanno diritto ad un compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi; un equo compenso a favore dell'industria culturale italiana (imprese, artisti e autori) e della produzione creativa, per consentire il libero utilizzo dei contenuti creativi, specie sui device elettronici di nuova generazione;
    a seguito dell'adozione del decreto di aggiornamento dei compensi del 2014, il Governo aveva manifestato l'intenzione di indirizzare una quota percentuale della parte incrementale degli incassi derivanti dal nuovo e aggiornato sistema tariffario ad attività di sostegno e promozione di giovani autori ed artisti — e la produzione di opere prime;
    il comma 179-bis dell'AC 3444, in particolare, prevede che «al fine di favorire la creatività dei giovani autori» il dieci per cento di tutti i compensi incassati per copia privata sia destinato dalla SIAE, sulla base di apposito atto di indirizzo annuale del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ad attività di promozione culturale nazionale e internazionale,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    non discriminare nell'ambito dell'atto di indirizzo annuale in premessa, le altre categorie dei titolari dei diritti diverse dagli autori, come previste dall'articolo 71-septies della legge quadro sul diritto d'autore;
    assicurare il coinvolgimento delle società di intermediazione dei diritti connessi operanti in Italia nella progettazione e realizzazione nelle suddette attività di promozione culturale e a destinare le somme trattenute ad attività da svolgersi attraverso le citate società di intermediazione.
9/3444-A/100. (Testo modificato nel corso della seduta) Andrea Romano, Bonomo, Ascani.


   La Camera,
   premesso che:
    preoccupa la situazione di comuni che si trovano in una situazione economico di grave difficoltà a seguito di sentenze esecutive di risarcimento conseguenti a calamità naturali o cedimenti strutturali verificatesi anche molti anni fa;
    in particolare il comune di San Giuliano di Puglia per il crollo della scuola nel 2002 dove persero la vita 27 bambini ed un insegnante ha comportato la condanna dell'ente per 35 milioni di euro. Questo piccolo comune di circa 1.050 abitanti non ha la capacità finanziaria per poter pagare una simile somma e dovrà mettere in vendita i beni dell'ente che non sono comunque sufficienti a far fronte all'ammontare complessivo del debito;
    allo stesso modo anche il comune di Castellaneta è stato condannato ad un risarcimento pari a 20 milioni di euro per il crollo della Palazzina di Via Verdi nel lontano 1984 dove persero la vita oltre 34 persone. A seguito di questa sentenza le casse dell'ente sarebbero prosciugate e il comune di conseguenza si troverebbe in una situazione di dissesto finanziario;
    le sentenze di condanna pronunciate obbligano ora i comuni al riconoscimento del debito fuori bilancio che comporterebbe il dissesto finanziario dell'ente e come naturale conseguenza il commissariamento che comunque non risolverebbe il problema. Difatti per tali comuni si profilerebbe un aumento di tutte le tariffe e di tutti i servizi comunali con un ingiustificato aggravio per cittadini che comunque non consentirebbe il pagamento del debito previsto dalle sentenze,

impegna il Governo

a costituire un fondo dedicato di carattere eccezionale al fine di garantire la sostenibilità economico-finanziaria e prevenire situazioni di dissesto finanziario dei comuni che a seguito di sentenze esecutive di risarcimento conseguenti a calamità naturali o cedimenti strutturali sono obbligati a sostenere spese di ammontare complessivo tale da provocare una crisi insostenibile per le comunità locali.
9/3444-A/101Palese, Chiarelli, Vico, Pelillo.


   La Camera,
   considerato che INPS e ISTAT elaborano periodicamente dati amministrativi e dati statistici sui livelli occupazionali e sui flussi di entrata e di uscita dalla occupazione, che talvolta non sono tra loro coerenti e si prestano anche a letture ed interpretazioni contraddittorie, creando qualche confusione nella analisi degli effetti prodotti da recenti e importanti interventi di politiche del lavoro,

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di affidare al Ministero del Lavoro l'incarico di istituire, con il coinvolgimento di ISTAT e INPS, una piattaforma volta allo studio dell'armonizzazione dei dati provenienti da fonti statistiche diverse e che studi e proponga le modalità per perfezionare i metodi di raccolta dei dati medesimi al fine di superare le succitate incoerenze che possono essere motivo di alterazione dei mercati.
9/3444-A/102Dell'Aringa, Schirò.


   La Camera,
   considerato che INPS e ISTAT elaborano periodicamente dati amministrativi e dati statistici sui livelli occupazionali e sui flussi di entrata e di uscita dalla occupazione, che talvolta non sono tra loro coerenti e si prestano anche a letture ed interpretazioni contraddittorie, creando qualche confusione nella analisi degli effetti prodotti da recenti e importanti interventi di politiche del lavoro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di considerare l'opportunità di affidare al Ministero del Lavoro l'incarico di istituire, con il coinvolgimento di ISTAT e INPS, una piattaforma volta allo studio dell'armonizzazione dei dati provenienti da fonti statistiche diverse e che studi e proponga le modalità per perfezionare i metodi di raccolta dei dati medesimi al fine di superare le succitate incoerenze che possono essere motivo di alterazione dei mercati.
9/3444-A/102. (Testo modificato nel corso della seduta) Dell'Aringa, Schirò.


   La Camera,
   premesso che:
    i comuni, per la loro facoltà di essere punto di erogazione dei servizi principali per la comunità, sono da sempre l'istituzione più vicina al cittadino;
    l'articolo 114 della Costituzione reca: La Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato. I comuni, le province, le città metropolitane e le regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione;
    il comma 14 dell'articolo 1 dell'A.C. 3444 prevede l'eliminazione della TASI sull'abitazione principale;
    i commi 15 e 16 recano invece le misure compensative del minor gettito IMU e TASI conseguente dall'attuazione del nuovo sistema di esenzione per le abitazioni principali e sui terreni agricoli (commi 9-11);
    l'abolizione della TASI sull'abitazione principale riduce sensibilmente i margini di autonomia fiscale dei comuni;
    il meccanismo di compensazione per il mancato gettito, pur opportunamente modificato dalla Commissione bilancio della Camera per tenere conto dei comuni con aliquota TASI a zero o comunque inferiore all'aliquota standard dell'1 per mille, rispecchia le entrate storiche, cristallizzando le scelte di politica fiscale di ciascun comune;
    per quanto riguarda questo secondo aspetto, come confermato anche dal dossier del Servizio Studi Bilancio di Camera e Senato, tale misura può determinare un irrigidimento dei bilanci comunali in quanto limita la possibilità di manovra dei Comuni a valere sulle proprie entrate a scapito della voce maggiormente rigida e fissa del fondo in esame, ma anche la gestione della cassa e dei pagamenti ai fornitori, aspetto sul quale pesano gli arretrati derivanti dai condizionamenti normativi degli anni passati;
    il minor gettito derivante dai tributi locali e la rinnovata dipendenza dai trasferimenti statali non permette ai Sindaci di assumersi quelle responsabilità politiche per amministrare un territorio e la relativa comunità, sulla base di un mandato ricevuto dai cittadini,

impegna il Governo

ad adottare i provvedimenti necessari per riorganizzare l'assetto della fiscalità comunale, valorizzando l'autonomia finanziaria dei Comuni al fine di consentire agli amministratori locali di espletare il loro mandato in maniera responsabile e nell'interesse della collettività.
9/3444-A/103Fabbri, Misiani, Borghi, Guerra, Gasparini, Famiglietti, Incerti, Pagani, Giacobbe, Montroni, Giovanna Sanna, Baruffi, Patrizia Maestri, D'Ottavio, Casellato, Zampa, Amoddio, Cenni.


   La Camera,
   premesso che:
    i comuni, per la loro facoltà di essere punto di erogazione dei servizi principali per la comunità, sono da sempre l'istituzione più vicina al cittadino;
    l'articolo 114 della Costituzione reca: La Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato. I comuni, le province, le città metropolitane e le regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione;
    il comma 14 dell'articolo 1 dell'A.C. 3444 prevede l'eliminazione della TASI sull'abitazione principale;
    i commi 15 e 16 recano invece le misure compensative del minor gettito IMU e TASI conseguente dall'attuazione del nuovo sistema di esenzione per le abitazioni principali e sui terreni agricoli (commi 9-11);
    l'abolizione della TASI sull'abitazione principale riduce sensibilmente i margini di autonomia fiscale dei comuni;
    il meccanismo di compensazione per il mancato gettito, pur opportunamente modificato dalla Commissione bilancio della Camera per tenere conto dei comuni con aliquota TASI a zero o comunque inferiore all'aliquota standard dell'1 per mille, rispecchia le entrate storiche, cristallizzando le scelte di politica fiscale di ciascun comune;
    per quanto riguarda questo secondo aspetto, come confermato anche dal dossier del Servizio Studi Bilancio di Camera e Senato, tale misura può determinare un irrigidimento dei bilanci comunali in quanto limita la possibilità di manovra dei Comuni a valere sulle proprie entrate a scapito della voce maggiormente rigida e fissa del fondo in esame, ma anche la gestione della cassa e dei pagamenti ai fornitori, aspetto sul quale pesano gli arretrati derivanti dai condizionamenti normativi degli anni passati;
    il minor gettito derivante dai tributi locali e la rinnovata dipendenza dai trasferimenti statali non permette ai Sindaci di assumersi quelle responsabilità politiche per amministrare un territorio e la relativa comunità, sulla base di un mandato ricevuto dai cittadini,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare i provvedimenti necessari per riorganizzare l'assetto della fiscalità comunale, valorizzando l'autonomia finanziaria dei Comuni al fine di consentire agli amministratori locali di espletare il loro mandato in maniera responsabile e nell'interesse della collettività.
9/3444-A/103. (Testo modificato nel corso della seduta) Fabbri, Misiani, Borghi, Guerra, Gasparini, Famiglietti, Incerti, Pagani, Giacobbe, Montroni, Giovanna Sanna, Baruffi, Patrizia Maestri, D'Ottavio, Casellato, Zampa, Amoddio, Cenni.


   La Camera,
   premesso che:
    sulla base di un ricorso presentato dal patronato INCA Cgil, la Corte di giustizia dell'Unione europea in data 2 settembre 2015, nell'ambito della procedura C-309/14, che ha espressamente statuito che la direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, osta ad una normativa nazionale (decreto 6 ottobre 2011 del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero dell'interno «Contributo per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno» pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2011 n. 304), che impone ai cittadini di Paesi terzi che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nello Stato membro considerato di pagare un contributo di importo variabile tra euro 80 ed euro 200, in quanto detto contributo è sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla direttiva ed è atto a creare un ostacolo all'esercizio dei diritti conferiti da quest'ultima;
    quanto stabilito dalla Corte di giustizia impone l'immediata disapplicazione di tutte le norme interne in contrasto con la direttiva 109/2003, a partire dal decreto citato del 6 ottobre 2011,

impegna il Governo

a valutare, all'interno della normativa nazionale vigente in materia, le modalità di una corretta applicazione della sentenza della Corte di Giustizia di cui sopra.
9/3444-A/104Giuseppe Guerini, Fabbri, Campana, Beni, Chaouki, Marzano, Zampa, Giovanna Sanna, Incerti, Tentori, Gandolfi, Pastorino, Palazzotto, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    sulla base di un ricorso presentato dal patronato INCA Cgil, la Corte di giustizia dell'Unione europea in data 2 settembre 2015, nell'ambito della procedura C-309/14, che ha espressamente statuito che la direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, osta ad una normativa nazionale (decreto 6 ottobre 2011 del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero dell'interno «Contributo per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno» pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2011 n. 304), che impone ai cittadini di Paesi terzi che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nello Stato membro considerato di pagare un contributo di importo variabile tra euro 80 ed euro 200, in quanto detto contributo è sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla direttiva ed è atto a creare un ostacolo all'esercizio dei diritti conferiti da quest'ultima;
    quanto stabilito dalla Corte di giustizia impone l'immediata disapplicazione di tutte le norme interne in contrasto con la direttiva 109/2003, a partire dal decreto citato del 6 ottobre 2011,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valutare, all'interno della normativa nazionale vigente in materia, le modalità di una corretta applicazione della sentenza della Corte di Giustizia di cui sopra.
9/3444-A/104. (Testo modificato nel corso della seduta) Giuseppe Guerini, Fabbri, Campana, Beni, Chaouki, Marzano, Zampa, Giovanna Sanna, Incerti, Tentori, Gandolfi, Pastorino, Palazzotto, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    diversi docenti che hanno superato le prove dell'ultimo concorso sulla scuola, indetto dal Ministero dell'istruzione nel 2012 (DDG 82/2012), in parte risultano collocati in posizione utile nelle graduatorie di merito della regione di propria appartenenza auspicavano di rientrare nel piano straordinario di immissioni in ruolo del 2015;
    essi vengono qualificati con il termine «riservisti sotto soglia 35» in quanto, al test preselettivo del Concorso a Cattedra, hanno ottenuto, alle prove preselettive, una votazione tra i 30 e i 34,5 cinquantesimi. A seguito di ricorso da questi presentato, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio gli ha consentito di partecipare, in via cautelare, alle restanti prove del concorso stesso, quelle utili alla formazione del punteggio finale, entrando così di diritto nella graduatoria di merito da cui attingere successivamente alle assunzioni;
    su di loro, però, pesa una riserva, date anche le varie pronunzie di diversi Tribunali Amministrativi Regionali: TAR Trento sentenza n. 336/13; TAR Lazio sentenze nn. 914/13, 124/2013, 1000/13, 272/14, 287/14 e 5711/14 e la sentenza del TAR Lazio, Sezione III-bis n. 5711/14, ormai definitiva a tutti gli effetti, in base alla quale sono stati emessi i sotto seguenti decreti: decreto USR Puglia prot. n. 8345 del 19/08/2014; decreto USR Sicilia prot. n. 14560 del 21 agosto 2014; decreto USR Sicilia prot. n. 13484/USC del 21/07/2014);
    a seguito dell'espletamento del concorso sopra citato si sono venute a creare delle disparità di trattamento tra i docenti della scuola;
    la legge n. 168 del 2005 sancisce che i candidati che hanno ottenuto l'iscrizione con riserva all'Albo, dopo la sua pubblicazione possono rivolgersi ai TAR e al Consiglio di Stato per far dichiarare la cessazione della materia del contendere;
    ricordato che il Governo, in sede di approvazione dell'A.C. 2679-bis-B (legge di Stabilità 2015) in data 22 dicembre 2014 ha accolto identico OdG, n. 9/2679-bis-B/5, rimasto inattuato circa l'impegno assunto per risolvere finalmente una questione che si trascina ormai da troppo tempo;
    per gli effetti della legge n. 107 del 2015 molti di loro sono stati assunti anche se sono stati costretti a scegliere tra GM e GAE;
    nel frattempo, mentre due sentenze del TAR favorevoli ai ricorrenti sono diventate definitive, altre 40 circa sono state impugnate dando luogo a grande spreco di risorse e ad un incomprensibile disparità di trattamento tra soggetti che vantano gli stessi diritti,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile, anche di natura normativa, che preveda lo scioglimento della riserva al fine di superare, in tempi certi, la situazione di incertezza che diversi docenti stanno vivendo con riguardo alla precarietà del loro status giuridico.
9/3444-A/105Di Lello.


   La Camera,
   premesso che:
    diversi docenti che hanno superato le prove dell'ultimo concorso sulla scuola, indetto dal Ministero dell'istruzione nel 2012 (DDG 82/2012), in parte risultano collocati in posizione utile nelle graduatorie di merito della regione di propria appartenenza auspicavano di rientrare nel piano straordinario di immissioni in ruolo del 2015;
    essi vengono qualificati con il termine «riservisti sotto soglia 35» in quanto, al test preselettivo del Concorso a Cattedra, hanno ottenuto, alle prove preselettive, una votazione tra i 30 e i 34,5 cinquantesimi. A seguito di ricorso da questi presentato, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio gli ha consentito di partecipare, in via cautelare, alle restanti prove del concorso stesso, quelle utili alla formazione del punteggio finale, entrando così di diritto nella graduatoria di merito da cui attingere successivamente alle assunzioni;
    su di loro, però, pesa una riserva, date anche le varie pronunzie di diversi Tribunali Amministrativi Regionali: TAR Trento sentenza n. 336/13; TAR Lazio sentenze nn. 914/13, 124/2013, 1000/13, 272/14, 287/14 e 5711/14 e la sentenza del TAR Lazio, Sezione III-bis n. 5711/14, ormai definitiva a tutti gli effetti, in base alla quale sono stati emessi i sotto seguenti decreti: decreto USR Puglia prot. n. 8345 del 19/08/2014; decreto USR Sicilia prot. n. 14560 del 21 agosto 2014; decreto USR Sicilia prot. n. 13484/USC del 21/07/2014);
    a seguito dell'espletamento del concorso sopra citato si sono venute a creare delle disparità di trattamento tra i docenti della scuola;
    la legge n. 168 del 2005 sancisce che i candidati che hanno ottenuto l'iscrizione con riserva all'Albo, dopo la sua pubblicazione possono rivolgersi ai TAR e al Consiglio di Stato per far dichiarare la cessazione della materia del contendere;
    ricordato che il Governo, in sede di approvazione dell'A.C. 2679-bis-B (legge di Stabilità 2015) in data 22 dicembre 2014 ha accolto identico OdG, n. 9/2679-bis-B/5, rimasto inattuato circa l'impegno assunto per risolvere finalmente una questione che si trascina ormai da troppo tempo;
    per gli effetti della legge n. 107 del 2015 molti di loro sono stati assunti anche se sono stati costretti a scegliere tra GM e GAE;
    nel frattempo, mentre due sentenze del TAR favorevoli ai ricorrenti sono diventate definitive, altre 40 circa sono state impugnate dando luogo a grande spreco di risorse e ad un incomprensibile disparità di trattamento tra soggetti che vantano gli stessi diritti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa utile, anche di natura normativa, che preveda lo scioglimento della riserva al fine di superare, in tempi certi, la situazione di incertezza che diversi docenti stanno vivendo con riguardo alla precarietà del loro status giuridico.
9/3444-A/105. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Lello.


   La Camera,
   premesso che:
    le politiche territoriali e urbanistiche negli ultimi anni hanno progressivamente accentuato il modello dello «zero consumo di suolo» e della rigenerazione e riqualificazione urbana delle città, come pure dell'efficientamento energetico degli edifici;
    all'interno di tale scelta strategica un ruolo particolare è svolto dagli interventi di rinaturalizzazione anche dei contesti urbani, attraverso sia la realizzazione di grandi infrastrutture ambientali (come i boschi e i grandi parchi urbani), sia l'incentivazione alla creazione di un reticolo verde diffuso anche con il coinvolgimento dei proprietari e locatari degli immobili;
    la progressiva riconversione di spazi urbani a verde pubblico e privato consente anche di allargare gli stock di riserve di ossigeno e di abbattimento naturale di gas climalteranti come la CO2;
    la maggiore concentrazione di tali sostanze si realizza oggi nelle grandi aree urbane e metropolitane;
   considerato che:
    è indispensabile affiancare alle opere di riqualificazione ambientale promosse di diretto intervento pubblico il coinvolgimento dei soggetti privati, a partire dai proprietari o locatari di unità immobiliari;
    il ricorso al meccanismo della detrazione fiscale sugli investimenti effettuato ha consentito nel tempo un incremento cospicuo degli interventi di riqualificazione edilizia da parte dei privati;
    è pertanto opportuno prevedere un analogo meccanismo di detrazione fiscale a favore di interventi di conservazione/manutenzione del verde privato esistente, oppure di trasformazione a verde di scoperti privati e condominiali;
    è stato presentato il disegno di legge d'iniziativa del senatore Gianluca Giusta recante «Misure di agevolazione fiscale per gli interventi di “sistemazione e verde” di aree scoperte di pertinenza delle unità immobiliari di proprietà privata»;
    l'introduzione delle detrazioni fiscali sul modello di quello relativo all'efficientamento energetico in tale settore comporterebbe, oltreché un indubbio beneficio ambientale, anche ricadute economiche e occupazionali per una filiera, quella del florovivaismo, che conta in Italia oltre 120.000 unità di cui 37.000 impiegate nel settore della cura e manutenzione del paesaggio,

impegna il Governo

a introdurre un sistema di detrazione fiscale delle spese per interventi di «sistemazione a verde» di aree scoperte di pertinenza delle unità immobiliari private, modificando in tale senso il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917 «Testo unico delle imposte sui redditi».
9/3444-A/106Marroni, Mognato, Braga.


   La Camera,
   premesso che:
    le politiche territoriali e urbanistiche negli ultimi anni hanno progressivamente accentuato il modello dello «zero consumo di suolo» e della rigenerazione e riqualificazione urbana delle città, come pure dell'efficientamento energetico degli edifici;
    all'interno di tale scelta strategica un ruolo particolare è svolto dagli interventi di rinaturalizzazione anche dei contesti urbani, attraverso sia la realizzazione di grandi infrastrutture ambientali (come i boschi e i grandi parchi urbani), sia l'incentivazione alla creazione di un reticolo verde diffuso anche con il coinvolgimento dei proprietari e locatari degli immobili;
    la progressiva riconversione di spazi urbani a verde pubblico e privato consente anche di allargare gli stock di riserve di ossigeno e di abbattimento naturale di gas climalteranti come la CO2;
    la maggiore concentrazione di tali sostanze si realizza oggi nelle grandi aree urbane e metropolitane;
   considerato che:
    è indispensabile affiancare alle opere di riqualificazione ambientale promosse di diretto intervento pubblico il coinvolgimento dei soggetti privati, a partire dai proprietari o locatari di unità immobiliari;
    il ricorso al meccanismo della detrazione fiscale sugli investimenti effettuato ha consentito nel tempo un incremento cospicuo degli interventi di riqualificazione edilizia da parte dei privati;
    è pertanto opportuno prevedere un analogo meccanismo di detrazione fiscale a favore di interventi di conservazione/manutenzione del verde privato esistente, oppure di trasformazione a verde di scoperti privati e condominiali;
    è stato presentato il disegno di legge d'iniziativa del senatore Gianluca Giusta recante «Misure di agevolazione fiscale per gli interventi di “sistemazione e verde” di aree scoperte di pertinenza delle unità immobiliari di proprietà privata»;
    l'introduzione delle detrazioni fiscali sul modello di quello relativo all'efficientamento energetico in tale settore comporterebbe, oltreché un indubbio beneficio ambientale, anche ricadute economiche e occupazionali per una filiera, quella del florovivaismo, che conta in Italia oltre 120.000 unità di cui 37.000 impiegate nel settore della cura e manutenzione del paesaggio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre un sistema di detrazione fiscale delle spese per interventi di «sistemazione a verde» di aree scoperte di pertinenza delle unità immobiliari private, modificando in tale senso il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917 «Testo unico delle imposte sui redditi».
9/3444-A/106. (Testo modificato nel corso della seduta) Marroni, Mognato, Braga.


   La Camera,
   premesso che:
    il porto di Chioggia si trova all'interno della laguna di Venezia, e si sviluppa nei due scali marittimi di val di Rio e dell'isola Saloni;
    il porto clodiense può assolvere una duplice funzione, avuto riguardo in particolare alla navigazione interna (con il collegamento tra l'alto Adriatico e la dorsale padana con particolare riferimento ai poli di Mantova, Cremona, Piacenza e Milano) e allo sviluppo del cabotaggio con una spiccata presenza in settori come il ro-ro e il ro-pax;
    la movimentazione annuale di merci è pari a ca. 2 milioni di tonnellate; Ai fini di garantire la piena accessibilità all'infrastruttura portuale clodiense, vista la sua collocazione all'interno dell'area lagunare veneziana, è necessario un intervento di adeguamento della profondità dei canali portuali;
   considerato che:
    l'intervento di adeguamento della profondità dei fondali del canale di accesso al porto a partire dalla bocca di porto di Chioggia al bacino di porto di val da Rio dal livello attuale a quota –8,50 metri comporta lo scavo di ca. 800.000 me di materiali;
    i fanghi risultanti dall'attività di scavo sono classificabili di tipo «A» purché reimpiegati in opere di ricostruzioni morfologiche nella laguna sud;
    i fanghi sotto banchina del molo di ponente, quantificabili in ca. 24.000 me, sono classificabili in tipo «C»;
    il costo preventivato per l'intervento complessivo, comprensivo dell'escavo dei fanghi, del refluimento in barena del materiale di tipo «A», del conferimento a discarica del materiale di tipo «C» e delle spese tecniche, è pari a 8.900.000,00 euro;
    l'articolo 1 comma 153 della legge n. 190 del 2014 autorizza la spesa di 100.000.000,00 euro per ciascuna delle annualità 2017, 2018 e 2019 per le opere di accesso agli impianti portuali; Le predette risorse sono ripartite con delibera CIPE previa verifica dell'attuazione dell'articolo 13 comma 4 del decreto-legge n. 145 del 2013, che rende disponibili risorse derivanti da revoche di finanziamenti non utilizzati, per la realizzazione di interventi immediatamente cantierabili finalizzati al miglioramento della competitività dei porti italiani e rendere più efficace il trasferimento ferroviario e modale all'interno dei sistemi portuali, per favorire i collegamenti con i Paesi dell'Unione europea,

impegna il Governo

in sede di definizione della delibera CIPE, a finanziare l'adeguamento dell'accessibilità del porto di Chioggia, in quanto intervento immediatamente cantierabile ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1 comma 153 della legge 190/2014 – tabella E.
9/3444-A/107Zoggia, Mognato, Crivellari.


   La Camera,
   premesso che:
    il porto di Chioggia si trova all'interno della laguna di Venezia, e si sviluppa nei due scali marittimi di val di Rio e dell'isola Saloni;
    il porto clodiense può assolvere una duplice funzione, avuto riguardo in particolare alla navigazione interna (con il collegamento tra l'alto Adriatico e la dorsale padana con particolare riferimento ai poli di Mantova, Cremona, Piacenza e Milano) e allo sviluppo del cabotaggio con una spiccata presenza in settori come il ro-ro e il ro-pax;
    la movimentazione annuale di merci è pari a ca. 2 milioni di tonnellate; Ai fini di garantire la piena accessibilità all'infrastruttura portuale clodiense, vista la sua collocazione all'interno dell'area lagunare veneziana, è necessario un intervento di adeguamento della profondità dei canali portuali;
   considerato che:
    l'intervento di adeguamento della profondità dei fondali del canale di accesso al porto a partire dalla bocca di porto di Chioggia al bacino di porto di val da Rio dal livello attuale a quota –8,50 metri comporta lo scavo di ca. 800.000 me di materiali;
    i fanghi risultanti dall'attività di scavo sono classificabili di tipo «A» purché reimpiegati in opere di ricostruzioni morfologiche nella laguna sud;
    i fanghi sotto banchina del molo di ponente, quantificabili in ca. 24.000 me, sono classificabili in tipo «C»;
    il costo preventivato per l'intervento complessivo, comprensivo dell'escavo dei fanghi, del refluimento in barena del materiale di tipo «A», del conferimento a discarica del materiale di tipo «C» e delle spese tecniche, è pari a 8.900.000,00 euro;
    l'articolo 1 comma 153 della legge n. 190 del 2014 autorizza la spesa di 100.000.000,00 euro per ciascuna delle annualità 2017, 2018 e 2019 per le opere di accesso agli impianti portuali; Le predette risorse sono ripartite con delibera CIPE previa verifica dell'attuazione dell'articolo 13 comma 4 del decreto-legge n. 145 del 2013, che rende disponibili risorse derivanti da revoche di finanziamenti non utilizzati, per la realizzazione di interventi immediatamente cantierabili finalizzati al miglioramento della competitività dei porti italiani e rendere più efficace il trasferimento ferroviario e modale all'interno dei sistemi portuali, per favorire i collegamenti con i Paesi dell'Unione europea,

impegna il Governo

in sede di definizione della delibera CIPE, a valutare l'opportunità di finanziare l'adeguamento dell'accessibilità del porto di Chioggia, in quanto intervento immediatamente cantierabile ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1 comma 153 della legge 190/2014 – tabella E.
9/3444-A/107. (Testo modificato nel corso della seduta) Zoggia, Mognato, Crivellari.


   La Camera,
   premesso che:
    a far data dal 1o gennaio 2016, l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 comma 2) del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni e integrazioni non può superare il corrispondente importo dell'annualità 2015 dei fondi per l'incentivazione delle politiche di sviluppo del personale;
   considerato che:
    limitare al solo anno 2015 la base di riferimento per la determinazione degli importi da destinare annualmente – a far data dal 1o gennaio 2016 – al trattamento accessorio del personale è una scelta molto penalizzante per le lavoratrici e i lavoratori delle pubbliche amministrazioni, giacché in questa annualità i vincoli alla spesa per il personale derivanti dal patto di stabilità interno sono stati particolarmente rilevanti, incidendo proprio sulle risorse per il trattamento accessorio del personale;
    che tale situazione si inserisce in un quadro complessivo già critico per le lavoratrici e i lavoratori delle pubbliche amministrazioni, in considerazione del fatto che il CCNL di settore è scaduto ormai dal 2008, e che pure i previsti adeguamenti derivanti dalla recente sentenza della Corte Costituzionale coprono in maniera del tutto parziale e insoddisfacente il mancato aggiornamento dei livelli di retribuzione degli ultimi 5 anni,

impegna il Governo

a intervenire, con i provvedimenti normativi che si riterranno necessari, affinché l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale delle Amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2) del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a valere dall'annualità 2016, non superi il corrispondente importo determinato dalla media del triennio 2011-2013 del corrispettivo dei fondi per l'incentivazione delle politiche di sviluppo delle risorse umane.
9/3444-A/108Murer, Mognato, Martella, Zoggia.


   La Camera,
   premesso che:
    a far data dal 1o gennaio 2016, l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 comma 2) del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni e integrazioni non può superare il corrispondente importo dell'annualità 2015 dei fondi per l'incentivazione delle politiche di sviluppo del personale;
   considerato che:
    limitare al solo anno 2015 la base di riferimento per la determinazione degli importi da destinare annualmente – a far data dal 1o gennaio 2016 – al trattamento accessorio del personale è una scelta molto penalizzante per le lavoratrici e i lavoratori delle pubbliche amministrazioni, giacché in questa annualità i vincoli alla spesa per il personale derivanti dal patto di stabilità interno sono stati particolarmente rilevanti, incidendo proprio sulle risorse per il trattamento accessorio del personale;
    che tale situazione si inserisce in un quadro complessivo già critico per le lavoratrici e i lavoratori delle pubbliche amministrazioni, in considerazione del fatto che il CCNL di settore è scaduto ormai dal 2008, e che pure i previsti adeguamenti derivanti dalla recente sentenza della Corte Costituzionale coprono in maniera del tutto parziale e insoddisfacente il mancato aggiornamento dei livelli di retribuzione degli ultimi 5 anni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire, con i provvedimenti normativi che si riterranno necessari, affinché l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale delle Amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2) del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a valere dall'annualità 2016, non superi il corrispondente importo determinato dalla media del triennio 2011-2013 del corrispettivo dei fondi per l'incentivazione delle politiche di sviluppo delle risorse umane.
9/3444-A/108. (Testo modificato nel corso della seduta) Murer, Mognato, Martella, Zoggia.


   La Camera,
   premesso che:
    che la legge di stabilità 2016 prevede ai commi 524-535 l'introduzione di numerose innovazioni sui giochi tra le quali in particolare:
     al comma 534-bis la definizione in sede di Conferenza unificata le caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonché i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell'ordine pubblico e della prevenzione del rischio di accesso dei minori di età;
     al comma 534-ter il contrasto all'esercizio abusivo dell'attività di gioco o scommessa e le garanzie ai consumatori ed un più elevato livello di tutela ai giocatori e ai minori, inteso a salvaguardare la salute e a ridurre al minimo gli eventuali danni economici che possono derivare da un gioco compulsivo o eccessivo nonché la propaganda pubblicitaria audiovisiva di marchi o prodotti di giochi con vincite in denaro;
     ed ai commi 534-quater, 534-quinquies e 534-sexies regole più stringenti e puntuali relativamente alla pubblicità in generale ed in particolare nelle trasmissioni radiofoniche e televisive generaliste, nel rispetto dei princìpi sanciti in sede europea;
    che, a dette innovazioni e alle modalità di applicazione e di attuazione delle stesse, si lega molta parte della possibilità concreta di rafforzare la lotta al gioco d'azzardo patologico soprattutto per quanto concerne i minori e le persone più fragili e più esposte,

impegna il Governo

a prevedere una rendicontazione, almeno annuale, alle Commissioni competenti sullo stato e le modalità di attuazione delle innovazioni introdotte, con particolare riguardo alle nuove regole per la pubblicità dei giochi ed ai limiti negli orari protetti, nonché alla lotta al gioco compulsivo ed eccessivo ed ai rischi a questi connesso.
9/3444-A/109Taricco, Ventricelli, Zanin, Romanini, Albanella, Beni, Amato, Dell'Aringa, Amoddio, Basso, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    il grave fenomeno della diffusione delle patologie asbesto correlate tra i tanti lavoratori che nel corso dei decenni passati sono stati impiegati in attività a rischio di esposizione di amianto, ha visto ulteriori e importanti risposte nel provvedimento in oggetto;
    in un contesto di drammatica emergenza, alla luce della pericolosità delle patologie in questione, si registrano anche notevoli disfunzioni operative tra le diverse amministrazioni interessate alla gestione delle pratiche relative ai riconoscimenti dei benefici previdenziali riconosciuti dal nostro ordinamento, in alcuni casi, compromettendo l'esercizio stesso di tali diritti,

impegna il Governo

ad adoperarsi affinché, anche per via amministrativa, possa riconoscersi l'interruzione dei termini di prescrizione del diritto della rivalutazione contributiva ai sensi della legge 27 marzo 1992, n. 257 nei confronti dell'INPS, qualora sia stata presentata all'INAIL domanda di certificazione della patita esposizione.
9/3444-A/110Vico, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    il grave fenomeno della diffusione delle patologie asbesto correlate tra i tanti lavoratori che nel corso dei decenni passati sono stati impiegati in attività a rischio di esposizione di amianto, ha visto ulteriori e importanti risposte nel provvedimento in oggetto;
    in un contesto di drammatica emergenza, alla luce della pericolosità delle patologie in questione, si registrano anche notevoli disfunzioni operative tra le diverse amministrazioni interessate alla gestione delle pratiche relative ai riconoscimenti dei benefici previdenziali riconosciuti dal nostro ordinamento, in alcuni casi, compromettendo l'esercizio stesso di tali diritti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adoperarsi affinché, anche per via amministrativa, possa riconoscersi l'interruzione dei termini di prescrizione del diritto della rivalutazione contributiva ai sensi della legge 27 marzo 1992, n. 257 nei confronti dell'INPS, qualora sia stata presentata all'INAIL domanda di certificazione della patita esposizione.
9/3444-A/110. (Testo modificato nel corso della seduta) Vico, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di conversione del disegno di legge si prevede una modifica al regime forfetario di determinazione del reddito da assoggettare a un'unica imposta sostitutiva con l'aliquota del 15 per cento introdotto dalla legge di stabilità 2015 per gli esercenti attività d'impresa e arti e professioni in forma individuale;
    in altre parole si amplia il perimetro di applicabilità aumentando le soglie dei ricavi per accedere al regime;
    per accedere al regime agevolato, che costituisce il regime «naturale» per chi possiede i requisiti, sono previste delle soglie di ricavi ovvero di compensi diverse a seconda del tipo di attività esercitata;
    queste soglie predeterminate sembra non agevolino l'emersione del «nero» rispetto ad un regime che invece prevede la prova del costo effettivamente sostenuto,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere meccanismi di incentivazione all'uso di sistemi tracciabili di pagamento per coloro che usufruiscono del regime forfettario.
9/3444-A/111Mucci, Barbanti, Prodani, Rizzetto.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di approvazione del disegno di legge: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2016) si ritiene opportuno richiamare l'attenzione su quegli interventi che possono essere adottati nell'interesse dei cittadini e dell'ambiente, e che vanno nella direzione degli impegni che l'Italia ha preso a livello europeo e che sono stati al centro del recente vertice sul clima di Parigi;
    la raccomandazione del Consiglio europeo COM(2015)262 finale del 13 maggio 2015, sul programma nazionale di riforma 2015 dell'Italia, al punto 15 afferma che «rimangono lettera morta la revisione dell'imposizione ambientale e l'eliminazione delle sovvenzioni dannose per l'ambiente. L'Italia ha istituito un comitato per la fiscalità ambientale. Questi diversi aspetti sono contemplati dalla legge delega di riforma fiscale, la cui attuazione è stata tuttavia rimandata per l'assenza di decreti legislativi attuativi»;
    il riferimento è alla legge 11 marzo 2014, n. 23, entrata in vigore il 26 marzo 2014, «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita», che all'articolo 1 stabilisce che «Il Governo è delegato ad adottare, entro quindici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, decreti legislativi recanti la revisione del sistema fiscale»;
    in particolare, l'articolo 15 della stessa legge prevede, attraverso decreti attuativi, l'introduzione di nuove forme di fiscalità volte a «orientare il mercato verso modi di consumo e produzione sostenibili, e a rivedere la disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull'energia elettrica, anche in funzione del contenuto di carbonio e delle emissioni di ossido di azoto e di zolfo, in conformità con i princìpi che verranno adottati con l'approvazione della proposta di modifica della direttiva 2003/96/CE di cui alla comunicazione COM(2011)169 della Commissione»;
    in base a tale revisione, l'aliquota minima della tassazione energetica avrebbe dovuto essere scissa in due componenti, una basata sulle emissioni di CO2 e l'altra sul contenuto energetico, che, insieme, avrebbero determinato l'imposta totale da applicare al prodotto;
    le entrate derivanti dall'introduzione della carbon tax sarebbero dunque necessarie, perché destinate, principalmente, a ridurre la tassazione sui redditi, soprattutto sul lavoro, e agli investimenti in tecnologie a basso contenuto di carbonio, nonché alla revisione dei sussidi alle fonti di energia rinnovabile. In questo senso, si otterrebbe da una parte la riduzione di emissioni inquinanti e dall'altra, una più equa distribuzione del carico fiscale, al fine di favorire uno sviluppo sostenibile;
    questo è confermato da uno studio pubblicato dalla Commissione europea il 3 marzo 2014 dimostra come l'adozione di misure fiscali più ecologiche contribuiscano alla crescita economica e alla difesa dell'ambiente. Basandosi sui dati di 12 Paesi membri, viene dimostrato come lo spostamento della pressione fiscale dal lavoro alle fonti di inquinamento atmosferico e idrico, porterebbe a entrate, nelle tesorerie nazionali, pari a 35 miliardi di euro nel 2016 e a 101 miliardi di euro nel 2025, con cifre molto più alte se venissero adottate misure per abolire le sovvenzioni dannose per l'ambiente;
    nonostante l'annuncio più volte rinnovato da parte del Governo del cosiddetto «Green Act» ancora nulla è stato fatto,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di promuovere, anche attraverso l'adozione di provvedimenti normativi, una riforma fiscale che, tramite forme di carbon tax anche associate ad altri sistemi di carbon pricing, sia in grado di attribuire i nuovi costi alla CO2, alleggerendo al contempo la pressione fiscale su lavoro e imprese in modo da sviluppare l'enorme potenziale degli interventi efficaci sull'efficienza energetica in tutti i settori e sulle forme di crescita delle fonti rinnovabili, a cominciare da mobilità, industria ed edifici.
9/3444-A/112Pastorelli, Locatelli, Carrescia, Fitzgerald Nissoli, Capelli, Zardini, Dallai, Brignone, Rostellato, Romanini, Andrea Maestri.


   La Camera,
   premesso che:
    al fine del contenimento della spesa sanitaria e della salvaguardia del livello delle prestazioni di assistenza, il comma 330-bis, lettera b) prevede che le regioni possano programmare l'acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità, all'interno del territorio nazionale;

impegna il Governo

a interpretare la norma nel senso che le suddette prestazioni si intendono erogabili dai centri di assistenza ospedaliera di alta specialità, esclusivamente a favore dei cittadini residenti in regioni diverse da quelle di appartenenza dei medesimi centri.
9/3444-A/113Dorina Bianchi.


   La Camera,
   premesso che:
    al fine del contenimento della spesa sanitaria e della salvaguardia del livello delle prestazioni di assistenza, il comma 330-bis, lettera b) prevede che le regioni possano programmare l'acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità, all'interno del territorio nazionale;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di interpretare la norma nel senso che le suddette prestazioni si intendono erogabili dai centri di assistenza ospedaliera di alta specialità, esclusivamente a favore dei cittadini residenti in regioni diverse da quelle di appartenenza dei medesimi centri.
9/3444-A/113. (Testo modificato nel corso della seduta) Dorina Bianchi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 130, della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) ha previsto lo stanziamento di 45 milioni di euro per la concessione di buoni per l'acquisto di beni e servizi a favore dei nuclei familiari con un numero di figli minori pari o superiore a quattro e in una condizione economica corrispondente a un valore dell'indicatore ISEE non superiore a 8.500 euro annui;
    ad oggi tali risorse non sono state erogate stante la mancata adozione del regolamento, previsto dalla citata norma, recante le disposizioni attuative relative a tale beneficio,

impegna il Governo

ad assicurare che nell'anno 2016 siano predisposte misure di eguale entità a favore dei medesimi destinatari, anche in ragione della primaria finalità sociale dell'intervento in oggetto.
9/3444-A/114Marazziti, Gigli, Sberna, Santerini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 130, della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) ha previsto lo stanziamento di 45 milioni di euro per la concessione di buoni per l'acquisto di beni e servizi a favore dei nuclei familiari con un numero di figli minori pari o superiore a quattro e in una condizione economica corrispondente a un valore dell'indicatore ISEE non superiore a 8.500 euro annui;
    ad oggi tali risorse non sono state erogate stante la mancata adozione del regolamento, previsto dalla citata norma, recante le disposizioni attuative relative a tale beneficio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assicurare che nell'anno 2016 siano predisposte misure di eguale entità a favore dei medesimi destinatari, anche in ragione della primaria finalità sociale dell'intervento in oggetto.
9/3444-A/114. (Testo modificato nel corso della seduta) Marazziti, Gigli, Sberna, Santerini.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito con modificazioni dalla legge 17 aprile 2015, n. 4 – «Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione.» – ha introdotto nuovi strumenti di contrasto al terrorismo interno e internazionale volti anche a garantire un coordinamento su scala nazionale delle indagini e dei procedimenti di prevenzione e, a tal fine, ha attribuito specifiche funzioni al Procuratore nazionale antimafia ampliandone notevolmente competenze e sfera di attività;
    l'attuale situazione internazionale richiede, quindi, agli organismi della Direzione Investigativa Antimafia e Antiterrorismo un maggiore sforzo progettuale, con l'introduzione di strumenti investigativo-giudiziari efficaci ed un coinvolgimento sempre più stretto di coloro che a vari livelli lavorano per la sicurezza del Paese;
    per ottenere questo obiettivo è necessario sostenere anche sul piano economico l'attività del personale impiegato presso la Direzione nazionale che in ragione dell'emergenza terroristica ha visto aumentare notevolmente il campo di attività e il carico di lavoro. Con la nuova normativa, infatti, le competenze e l'impegno richiesti a coloro che collaborano a vario titolo con la nuova Direzione nazionale Antimafia e Antiterrorismo è certamente maggiore e maggiore deve essere anche il trattamento economico accessorio ad essi spettante attraverso un'integrazione retributiva per l'elevato rischio connesso alle nuove funzioni attribuite alla Procura;
    in una logica di massimo impegno istituzionale costituisce, quindi, un vero e proprio imperativo morale riconoscere una gratifica stipendiale a coloro che quotidianamente sono impegnati nella difesa dei cittadini e dello Stato, con una percentuale di rischio sempre maggiore, derivante dall'attribuzione di nuove e qualificate competenze nel coordinamento delle indagini sui delitti con finalità di terrorismo,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di apportare una modifica all'articolo 13 della legge istitutiva della Direzione nazionale Antimafia – oggi anche Antiterrorismo – riconoscendo al personale in essa impiegato un trattamento economico accessorio di importo non inferiore all'indennità di amministrazione per gli impiegati civili dello Stato dalla contrattazione collettiva.
9/3444-A/115Dambruoso.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi da 24-novies a 24-vicies dell'articolo 1 intervengono in materia di disciplina dell'attività del promotore finanziario, attribuendo ad un unico organismo, ordinato in forma di associazione con personalità giuridica di diritto privato, la tenuta dell'albo, nonché i poteri di vigilanza e sanzionatori nei confronti di promotori e consulenti finanziari, e ponendo le spese relative all'albo dei consulenti finanziari a carico dei soggetti interessati;
    tale norma non esplicita la possibilità per i promotori finanziari di iscriversi all'Albo sotto forma di persona giuridica contrariamente a quanto previsto dall'articolo 4, comma 29 della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MIFID II), la quale identifica l’«agente collegato» come persona fisica o giuridica che, sotto la piena e incondizionata responsabilità di una sola impresa di investimento per conto della quale opera, promuove servizi di investimento e/o servizi accessori presso clienti o potenziali clienti, riceve e trasmette le istruzioni o gli ordini dei clienti riguardanti servizi di investimento o strumenti finanziari, colloca strumenti finanziari o presta consulenza ai clienti o potenziali clienti rispetto a detti strumenti o servizi finanziari;
    l'impossibilità per i promotori finanziari di iscriversi all'Albo come persone giuridiche costituisce un indebito limite alla professione, diversamente da quanto previsto dalla normativa europea di riferimento e da quanto previsto da altre categorie di iscritti al futuro Albo, nonché da categorie similari;
    la persona giuridica nella professione è vista come fondamentale opportunità per lo sviluppo del settore, con la creazione di posti di lavoro a favore sia dei giovani, che di soggetti professionalizzati provenienti da altri settori in corso di riforma,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa di carattere normativo al fine di prevedere in maniera esplicita la possibilità per i promotori finanziari di esercitare la professione in forma societaria, garantendo la possibilità di iscrivere al costituendo organismo anche le persone giuridiche.
9/3444-A/116Sottanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 496 dell'articolo 1 prevede l'istituzione di un Fondo finalizzato all'acquisto diretto, ovvero per il tramite di società specializzate, nonché alla riqualificazione elettrica o al noleggio dei mezzi;
    al medesimo comma si prevede che «con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sono individuate modalità innovative e sperimentali (...) per l'attuazione delle disposizioni di cui al presente comma»;
    sono in corso, presso l'ENEA, delle sperimentazioni in fase avanzata aventi a oggetto la riqualificazione elettrica di autobus, nell'ambito dei progetti di «Analisi di elettrificazione del TPL in contesti ITC» e di «ZeroFilo Bus»;
    già in data 30 ottobre 2013 le Commissioni IX e XI avevano approvato, con riformulazione, la Risoluzione conclusiva 8-00019, la quale impegnava «a valutare l'opportunità di assumere iniziative per rivedere la normativa in materia di retrofit nell'ottica di una semplificazione dell’iter burocratico che disciplina le operazioni di conversione dei mezzi a trazione endotermica in mezzi a trazione elettrica, anche al fine di risollevare un settore in crisi quale quello inerente alla produzione di mezzi destinati al trasporto pubblico locale»;
    in data 20 dicembre 2013 il Governo ha accolto l'ordine del Giorno 9/01865-A/194, con il quale si è impegnato «a valutare l'opportunità di istituire, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un Fondo a sostegno delle operazioni di retrofit elettrico»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, in sede di emanazione del decreto di attuazione del predetto comma 496, la previsione di una quota di automezzi, rispetto al totale, dedicata alla riqualificazione elettrica dei veicoli, diretta alle aziende di trasporto pubblico locale interessate alla diffusione della mobilità elettrica per l'esercizio del trasporto.
9/3444-A/117Catalano.


   La Camera,
   premesso che:
    durante l'ultimo decennio, il sistema della ricerca e dell'alta formazione nel nostro Paese è stato oggetto di una sistematica riduzione degli investimenti pubblici, con un approccio che appare in netta controtendenza rispetto ai Paesi Ue ed OCSE e fortemente contraddittorio rispetto alla volontà di potenziare le attività ad alto contenuto di conoscenza ed innovazione, ribadita in tutte le sedi da tutti i Governi che hanno avuto la responsabilità della guida del Paese negli anni più recenti;
    tale progressivo definanziamento ha fortemente ridotto il FFO, ha penalizzato l'insieme dei progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale e internazionale, ha favorito l'emorragia di risorse umane e di capacità intellettuali, e ha rischiato talora di compromettere persino le attività didattiche che garantiscono la pienezza del diritto allo studio;
    a seguito del blocco del turn-over, il numero di docenti di ruolo nell'Università italiana è mediamente diminuito del 20 per cento, con correlato, inevitabile innalzamento dell'età media del personale docente, configurando una struttura anagrafica della docenza caratterizzata da un forte squilibrio generazionale, che non ha uguali negli altri Paesi avanzati e che depriva il mondo della ricerca delle migliori, nuove energie e della creatività nella progettazione e nella produzione scientifica che risentono positivamente della spinta propulsiva e dell'entusiasmo delle giovani generazioni;
    il blocco degli scatti stipendiali dal 2011 al 2015 della docenza universitaria ha inoltre inflitto un pesante danno economico non recuperabile proprio per i giovani docenti nella fase iniziale della loro carriera, analogo danno ha subito il personale tecnico amministrativo, per il quale ad oggi non si è ancora provveduto al rinnovo contrattuale e le risorse stanziate risultano assolutamente insufficienti;
    nel contesto complessivamente preoccupante degli Atenei nazionali, appare emblematico il caso dell'Università degli Studi di Cagliari che, dal 2008 al 2015, ha subito un progressivo depauperamento del numero dei docenti, che si è ridotto di ben 324 unità. Tale riduzione è stata solo in modestissima parte (e in modo certamente inadeguato) compensata dal reclutamento di 74 ricercatori a tempo determinato, di questi meno del 30 per cento su fondi ministeriali;
    nello stesso arco temporale, sempre presso l'Ateneo di Cagliari, il blocco del turn-over ha colpito anche il personale tecnico amministrativo e dirigenziale, ridottosi di 197 unità, con un decremento pari al 16,95 per cento dell'organico totale;
    l'attuale sistema di calcolo del costo standard di formazione per studente utilizza indicatori particolarmente penalizzanti per quegli atenei che, come l'Università degli Studi di Cagliari, sono caratterizzati da un bacino di utenza potenziale limitato dagli handicap di carattere geografico, senza che peraltro siano previsti validi indici di perequazione;
    la situazione sopra descritta, aggravata dalla generale diffusa incertezza circa il futuro stanziamento di adeguati investimenti pubblici, crea una grave difficoltà ai fini di una seria pianificazione da parte dell'Università degli Studi di Cagliari e rischia di provocare, già dal prossimo anno, un preoccupante ridimensionamento dell'offerta formativa, con la conseguente contrazione del numero degli immatricolati e dei laureati che, nella regione Sardegna è già notevolmente inferiore alla media europea;
    un ulteriore elemento di preoccupazione deriva dalla crescente contrazione delle borse di studio. In Sardegna poco più del 50 per cento degli studenti idonei riceve la borsa, a fronte del 90 per cento degli studenti delle università del nord Italia, ciò determina un crescente numero di giovani sardi (ormai stimati su percentuali pari a circa il 30 per cento del totale) che scelgono, a causa di tale ragione, di investire sui propri talenti e capacità seguendo un percorso formativo universitario lontano dalla Sardegna. Tale tendenza (che si accompagna agli esiti disastrosi del master & back regionale che certifica un numeri di rientri inferiore al 50 per cento del totale degli studenti specializzati fuori Sardegna) contribuisce ad aggravare la sofferenza del sistema universitario sardo, mentre la progressiva desertificazione di opportunità nella regione, diretta conseguenza della scomparsa di fattori attrattivi locali, innesca ulteriori sofferenze economiche e sociali;
    la mozione approvata il 4 novembre 2015 dal Senato Accademico dell'Università di Cagliari in occasione della discussione parlamentare sulla legge di stabilità 2016 e dell'avvio della VQR – Valutazione della Qualità della Ricerca 2011-2014 ribadisce con rinnovata apprensione quanto già denunciato nel documento conclusivo approvato il 22 ottobre 2015 dall'Assemblea CRUI – Conferenza dei Rettori delle Università italiane;
    nell'ambito di tali consessi, è stata dedicata un'attenzione particolare alla riaffermazione del riconoscimento dei valori del merito e di criteri e parametri trasparenti di valutazione dei percorsi e della carriere, stabiliti e resi noti ex ante,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità ai adottare misure urgenti volte ad incrementare stabilmente il Fondo di finanziamento ordinario, adeguandolo agli standard delle università europee, in modo tale da garantire risorse certe che consentano:
    a) il reclutamento di ricercatori di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b) della legge n. 240 del 2010, in numero sufficiente per garantire almeno il reintegro dei docenti in quiescenza nei prossimi anni; il reclutamento di un numero di docenti di seconda fascia almeno pari a quello ottenibile con il finanziamento della seconda tranche del piano straordinario, nonché di docenti di prima fascia in grado di garantire almeno il numero esistente; il finanziamento di programmi interni di ricerca, con particolare riguardo allo start-up dei ricercatori ad inizio carriera;
    b) il varo di un piano straordinario di investimenti in infrastrutture e la garanzia concreta del diritto allo studio, attraverso l'incremento del numero e dell'importo delle borse per gli studenti capaci e meritevoli, tenuto anche conto dell'impatto delle nuove modalità di calcolo dell'ISEE;
    c) la riattivazione delle procedure di abilitazione scientifica nazionale;
    d) il riconoscimento ai fini giuridici dell'anzianità professionale dei docenti maturata durante gli anni del blocco di classi e scatti stipendiali (2011-2015), anche in riferimento al passaggio al regime di scatti triennali, come stabilito dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015, nonché lo stanziamento di adeguate risorse per le Università tali da consentire l'attivazione degli scatti stipendiali per tutti gli aventi diritto;
    e) l'attuazione di un turn-over al 100 per cento così come originariamente previsto dall'articolo 66 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.112 e di formazione professionale adeguata per sostenere il cambiamento continuo del sistema universitario ed il rinnovo dei contratti del personale tecnico amministrativo;
    f) l'attivazione di uno specifico programma di sostegno per le Università italiane che – come quella di Cagliari – operano in contesti disagiati, finalizzato al potenziamento delle loro infrastrutture materiali e immateriali, che consenta la crescita dell'offerta formativa e delle attività di ricerca, fungendo da moltiplicatore della stessa crescita economica delle realtà territoriali di riferimento.
9/3444-A/118Vargiu, Mura.


   La Camera,
   premesso che:
    la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale italiano è fondamentale per il rilancio del nostro Paese;
    la conoscenza del patrimonio artistico-culturale svolge un ruolo sociale importante, combattendo fenomeni di esclusione e proponendosi come terreno di sperimentazione per nuove forme di cittadinanza culturale;
    la legge n. 106 del 29 luglio 2014 recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo» assume come priorità la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese, aprendo le porte a nuove forme di incentivazione del finanziamento privato, volte a ridurre nel minor tempo possibile il divario esistente con i concorrenti stranieri;
    i nostri beni culturali, come il museo, per poter esercitare la sua funzione sociale, devono porsi in una posizione «aperta» e «di ascolto» anche nei confronti dei giovani e della scuola, per interagire efficacemente con la società contemporanea;
   considerato inoltre che:
    la riforma Gelmini del 2008 ha ridotto l'insegnamento della storia dell'arte nelle scuole;
    tale disciplina, al contrario, in particolare nella scuola media e nelle superiori è fondamentale per completare la formazione degli studenti, dal momento che l'arte è componente fondamentale della nostra identità culturale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere prossime iniziative legislative per promuovere forme di incentivazione del finanziamento privato per il sostegno alle attività didattiche per le scuole nei musei.
9/3444-A/119Galgano, Molea, Vezzali, Oliaro, Matarrese, Quintarelli, Mazziotti Di Celso, Catalano, Catania, Rabino, D'Agostino.


   La Camera,
   premesso che:
    la lettura è un punto qualificante nella costruzione del patrimonio culturale della persona e può concorrere a contrastare il fenomeno dell'abbandono scolastico;
    il 17 per cento dei giovani italiani non consegue il diploma di scuola secondaria di secondo grado ponendoci fra gli ultimi Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE);
    la lettura rappresenta, inoltre, un valido strumento per il contrasto alla povertà educativa ed economica;
    gli indici di lettura sono infatti strettamente correlati a quelli che segnalano il benessere economico e il livello di qualità civile di un Paese o di una regione;
    leggere più libri non è solo la conseguenza di un maggior livello di reddito ma anche la sua causa e attraverso la lettura di un libro si coltivano e si sviluppano alcune capacità essenziali dell'uomo: la sua fantasia e la sua comprensione del mondo;
    tuttavia occorre constatare che oggi quasi il 90 per cento dei giovani italiani, tra i tre e i diciassette anni, guarda la televisione tutti i giorni, mentre solo uno su due ha letto un libro;
   considerato inoltre che:
    la legge n. 106 del 29 luglio 2014 recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo» assume come priorità la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese, aprendo le porte a nuove forme di incentivazione del finanziamento privato, volte a ridurre nel minor tempo possibile il divario esistente con i concorrenti stranieri,

impegna il Governo

ad estendere le previsioni del cosiddetto Art Bonus alle attività di promozione della lettura così da stimolare il sostegno dei privati ad attività da tutte riconosciute rilevanti, soprattutto considerato il basso tasso di lettura presente nel Paese.
9/3444-A/120Vezzali, Galgano, Vargiu, Molea, Catalano, Quintarelli, Rabino, D'Agostino, Matarrese, Oliaro, Bombassei, Dambruoso.


   La Camera,
   premesso che:
    la lettura è un punto qualificante nella costruzione del patrimonio culturale della persona e può concorrere a contrastare il fenomeno dell'abbandono scolastico;
    il 17 per cento dei giovani italiani non consegue il diploma di scuola secondaria di secondo grado ponendoci fra gli ultimi Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE);
    la lettura rappresenta, inoltre, un valido strumento per il contrasto alla povertà educativa ed economica;
    gli indici di lettura sono infatti strettamente correlati a quelli che segnalano il benessere economico e il livello di qualità civile di un Paese o di una regione;
    leggere più libri non è solo la conseguenza di un maggior livello di reddito ma anche la sua causa e attraverso la lettura di un libro si coltivano e si sviluppano alcune capacità essenziali dell'uomo: la sua fantasia e la sua comprensione del mondo;
    tuttavia occorre constatare che oggi quasi il 90 per cento dei giovani italiani, tra i tre e i diciassette anni, guarda la televisione tutti i giorni, mentre solo uno su due ha letto un libro;
   considerato inoltre che:
    la legge n. 106 del 29 luglio 2014 recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo» assume come priorità la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese, aprendo le porte a nuove forme di incentivazione del finanziamento privato, volte a ridurre nel minor tempo possibile il divario esistente con i concorrenti stranieri,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere le previsioni del cosiddetto Art Bonus alle attività di promozione della lettura così da stimolare il sostegno dei privati ad attività da tutte riconosciute rilevanti, soprattutto considerato il basso tasso di lettura presente nel Paese.
9/3444-A/120. (Testo modificato nel corso della seduta) Vezzali, Galgano, Vargiu, Molea, Catalano, Quintarelli, Rabino, D'Agostino, Matarrese, Oliaro, Bombassei, Dambruoso.


   La Camera,
   premesso che:
    nell'anno scolastico 2014/15 erano 12.211 gli alunni disabili frequentanti le scuole paritarie, pari all'1,27 per cento degli studenti complessivi delle paritarie e pari al 5,6 per cento degli alunni disabili che frequentano le scuole del sistema nazionale di istruzione;
    nelle scuole paritarie in tale anno scolastico i disabili erano 6.255 nelle scuole dell'infanzia, 3.215 nelle primarie, 1.262 nelle secondarie di primo grado e 1.479 nelle superiori;
    la legge n. 128 del 2013 e la successiva legge n. 107 del 2015 hanno previsto importanti misure di potenziamento dell'insegnamento di sostegno per gli alunni delle scuole statali, senza però alcun riferimento ai disabili frequentanti le scuole paritarie, operando così una grave disparità di trattamento;
    ad oggi sono previsti contributi meramente simbolici per gli alunni disabili che frequentano le scuole paritarie, circa 1.000/2.000 euro annui per alunno e il costo per il sostegno alla disabilità, oggi, ricade quindi quasi esclusivamente sulle famiglie e della scuola,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di destinare, nei prossimi provvedimenti normativi utili, risorse maggiormente adeguate a favore di tale categoria di studenti delle scuole paritarie al fine di dare attuazione alle direttive europee emanate sulla questione, per una migliore applicazione della legge n. 62 del 2000 e per permettere alle famiglie una maggiore libertà di scelta educativa.
9/3444-A/121Molea, Galgano, Oliaro, Vargiu, Quintarelli, Vezzali, Catania, Rabino, D'Agostino.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 87, della legge 13 luglio 2015, n. 107, al fine di prevenire le ripercussioni sul sistema scolastico dei possibili esiti dei contenziosi pendenti relativi a precedenti concorsi per dirigente scolastico, prevede l'attivazione di un corso intensivo di formazione, finalizzato all'immissione in ruolo di dirigenti scolastici. Le modalità di svolgimento del corso intensivo di formazione e della prova scritta finale devono essere definite con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da emanare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Alle attività di formazione e alle immissioni in ruolo si provvede, rispettivamente, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente e a valere sulle assunzioni autorizzate per effetto dell'articolo 39 della legge n. 449 del 1997;
    ai sensi del successivo comma 88 possono partecipare al suddetto corso: a) i vincitori, gli idonei e coloro che abbiano superato positivamente tutte le fasi di procedure concorsuali successivamente annullate in sede giurisdizionale, relative al concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 13 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 56 del 15 luglio 2011; b) i soggetti che hanno avuto una sentenza favorevole almeno nel primo grado di giudizio ovvero non abbiano avuto, alla data di entrata in vigore della legge, alcuna sentenza definitiva, nell'ambito del contenzioso legato ai concorsi per dirigente scolastico banditi con decreto direttoriale 22 novembre 2004 e con decreto del Ministro della pubblica istruzione 3 ottobre 2006, ovvero riferibile alle procedure di rinnovazione, in Sicilia, del medesimo concorso del 2004, avviate ai sensi della legge 3 dicembre 2010, n. 202,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di includere tra i partecipanti del corso intensivo di formazione per l'immissione in ruolo di dirigenti scolastici anche i soggetti che non hanno beneficiato di una sentenza favorevole almeno nel primo grado di giudizio, ovvero di alcuna sentenza definitiva, nell'ambito del contenzioso relativo al concorso per dirigente scolastico bandito con decreto direttoriale del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 13 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 56 del 15 luglio 2011.
9/3444-A/122Palladino.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 51 del Testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni e integrazioni, disciplina: a) al comma 5 l'istituto della trasferta o missione cosiddetto «occasionale», che implica un mutamento del luogo in cui il lavoratore è tenuto a prestare, per contratto, la propria attività lavorativa; b) al comma 6 l'istituto del trasfertismo «abituale», che implica, per contratto, l'espletamento dell'attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi;
    il suddetto comma 5 prevede la totale esenzione fiscale e previdenziale, entro determinati limiti giornalieri (46,48 euro per le trasferte nazionali e 77,47 euro per l'estero), nelle ipotesi di trasferte fuori dall'ambito comunale ed il suddetto comma 6 l'assoggettamento al 50 per cento dell'indennità corrisposta in maniera fissa;
    l'Amministrazione finanziaria e l'Inps, al fine di inquadrare correttamente l'istituto della trasferta occasionale e quello della trasferta abituale, hanno emanato rispettivamente la circolare ministeriale n. 326/E del 23 dicembre 1997 e il messaggio n. 27271/08;
    nel corso degli anni è stata emanata altresì dal Ministero del Lavoro la Risoluzione n. prot. 25/1/0008287, del 20 giugno 2008, specifica per il settore edile, nella quale è ammessa l'applicabilità della disciplina della «trasferta occasionale» (articolo 51, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986) alle indennità corrisposte ai lavoratori edili, assunti presso la sede del proprio datore di lavoro ed inviati in trasferta, per l'espletamento delle proprie mansioni, al di fuori del comune in cui è sita la medesima;
    analogamente, sono stati approvati due Ordini del Giorno, il n. 9/2852/12 del 2007 e il n. 9/5109-AR/66 del 2012, con i quali il Governo si è impegnato a precisare espressamente l'applicabilità della suddetta disciplina della trasferta occasionale anche alle indennità corrisposte ai lavoratori edili;
    proprio in virtù di tali indicazioni amministrative, nel corso degli ultimi anni, le imprese edili hanno applicato ai propri operai la disciplina della «trasferta occasionale» (di cui al comma 5 dell'articolo 51 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986);
    soprattutto nell'ultimo biennio le pronunce della Corte di cassazione in materia hanno fornito interpretazioni di segno opposto ai precedenti intendimenti amministrativi, avvalorando la tesi dell'Inps secondo cui, nel settore edile, è prevalente l'istituto del «trasfertismo», ossia della «trasferta abituale» assoggettata alla diversa disciplina di cui all'articolo 51, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986;
    nel settore edile gli operai strutturali sono normalmente assunti presso la sede legale dell'impresa per svolgere generalmente la propria attività lavorativa nel Comune di appartenenza e sono inviati in trasferta a seguito di specifiche occasioni di lavoro;
    la continua mancanza di una specifica disciplina sulla «trasferta» potrebbe dare origine ad una serie di discriminanti di natura contrattuale tra cui, in particolare, l'instabilità dei rapporti di lavoro e la precarietà occupazionale, con conseguente ampio ricorso ad istituti come la Naspi e la DS edile, nonché, di natura sociale, in quanto anche i lavoratori si troverebbero nella condizione di dover corrispondere, nei limiti prescrizionali e delle aliquote di riferimento, le somme non versate agli Enti interessati;
    la condotta degli organi ispettivi oltre ad arrecare un grave pregiudizio al settore delle costruzioni, potrebbe innescare un contenzioso amministrativo e giudiziario con conseguenti ulteriori e gravi ripercussioni sui costi aziendali,

impegna il Governo

a precisare l'applicabilità della disciplina di cui all'articolo 51, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 per le attività lavorative effettuate al di fuori del territorio comunale ove è ubicata la sede di lavoro, o la sede di assunzione e, qualora nel contratto individuale di lavoro, non sia espressamente stabilito che l'espletamento delle stesse debba avvenire in luoghi sempre variabili e diversi.
9/3444-A/123Matarrese, D'Agostino, Vecchio, Vargiu.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 51 del Testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni e integrazioni, disciplina: a) al comma 5 l'istituto della trasferta o missione cosiddetto «occasionale», che implica un mutamento del luogo in cui il lavoratore è tenuto a prestare, per contratto, la propria attività lavorativa; b) al comma 6 l'istituto del trasfertismo «abituale», che implica, per contratto, l'espletamento dell'attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi;
    il suddetto comma 5 prevede la totale esenzione fiscale e previdenziale, entro determinati limiti giornalieri (46,48 euro per le trasferte nazionali e 77,47 euro per l'estero), nelle ipotesi di trasferte fuori dall'ambito comunale ed il suddetto comma 6 l'assoggettamento al 50 per cento dell'indennità corrisposta in maniera fissa;
    l'Amministrazione finanziaria e l'Inps, al fine di inquadrare correttamente l'istituto della trasferta occasionale e quello della trasferta abituale, hanno emanato rispettivamente la circolare ministeriale n. 326/E del 23 dicembre 1997 e il messaggio n. 27271/08;
    nel corso degli anni è stata emanata altresì dal Ministero del Lavoro la Risoluzione n. prot. 25/1/0008287, del 20 giugno 2008, specifica per il settore edile, nella quale è ammessa l'applicabilità della disciplina della «trasferta occasionale» (articolo 51, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986) alle indennità corrisposte ai lavoratori edili, assunti presso la sede del proprio datore di lavoro ed inviati in trasferta, per l'espletamento delle proprie mansioni, al di fuori del comune in cui è sita la medesima;
    analogamente, sono stati approvati due Ordini del Giorno, il n. 9/2852/12 del 2007 e il n. 9/5109-AR/66 del 2012, con i quali il Governo si è impegnato a precisare espressamente l'applicabilità della suddetta disciplina della trasferta occasionale anche alle indennità corrisposte ai lavoratori edili;
    proprio in virtù di tali indicazioni amministrative, nel corso degli ultimi anni, le imprese edili hanno applicato ai propri operai la disciplina della «trasferta occasionale» (di cui al comma 5 dell'articolo 51 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986);
    soprattutto nell'ultimo biennio le pronunce della Corte di cassazione in materia hanno fornito interpretazioni di segno opposto ai precedenti intendimenti amministrativi, avvalorando la tesi dell'Inps secondo cui, nel settore edile, è prevalente l'istituto del «trasfertismo», ossia della «trasferta abituale» assoggettata alla diversa disciplina di cui all'articolo 51, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986;
    nel settore edile gli operai strutturali sono normalmente assunti presso la sede legale dell'impresa per svolgere generalmente la propria attività lavorativa nel Comune di appartenenza e sono inviati in trasferta a seguito di specifiche occasioni di lavoro;
    la continua mancanza di una specifica disciplina sulla «trasferta» potrebbe dare origine ad una serie di discriminanti di natura contrattuale tra cui, in particolare, l'instabilità dei rapporti di lavoro e la precarietà occupazionale, con conseguente ampio ricorso ad istituti come la Naspi e la DS edile, nonché, di natura sociale, in quanto anche i lavoratori si troverebbero nella condizione di dover corrispondere, nei limiti prescrizionali e delle aliquote di riferimento, le somme non versate agli Enti interessati;
    la condotta degli organi ispettivi oltre ad arrecare un grave pregiudizio al settore delle costruzioni, potrebbe innescare un contenzioso amministrativo e giudiziario con conseguenti ulteriori e gravi ripercussioni sui costi aziendali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di precisare l'applicabilità della disciplina di cui all'articolo 51, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 per le attività lavorative effettuate al di fuori del territorio comunale ove è ubicata la sede di lavoro, o la sede di assunzione e, qualora nel contratto individuale di lavoro, non sia espressamente stabilito che l'espletamento delle stesse debba avvenire in luoghi sempre variabili e diversi.
9/3444-A/123. (Testo modificato nel corso della seduta) Matarrese, D'Agostino, Vecchio, Vargiu.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, dal comma 24-novies al comma 24-quaterdecies, hanno ridisegnato il comparto della consulenza finanziaria, prevedendo l'istituzione di un albo unico dei consulenti finanziari dove sono iscritti, in tre distinte sezioni, i consulenti finanziari abilitati all'offerta fuori sede, i consulenti finanziari autonomi e le società di consulenza finanziaria. Tale albo è gestito dall'Organismo per la tenuto dell'albo unico dei consulenti finanziari che eserciterà anche la vigilanza sugli iscritti al medesimo albo, restando in capo alla Consob la vigilanza di secondo livello sul predetto Organismo;
    in tale contesto, il comma 24-undecies offre la possibilità agli agenti di assicurazione persone fisiche iscritti nel Registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi (RUI), Sezione A, di iscriversi nel citato albo, nella sezione dei consulenti finanziari abilitati all'offerta fuori sede, purché in possesso dei medesimi requisiti di onorabilità e professionalità previsti per questi ultimi e previo superamento di una prova valutati semplificata in considerazione dei requisiti di professionalità già posseduti. A tal fine viene specificato che in tal caso si applica il nuovo regime di vigilanza introdotto con il disegno di legge in esame ovvero che tali Agenti di assicurazione, che si iscrivono al citato albo e solo quando agiscono negli ambiti cui tale albo si riferisce, sono soggetti alla vigilanza di primo livello dell'Organismo per la tenuta dell'albo dei consulenti finanziari e alla vigilanza, di secondo livello, della Consob;
    la citata disposizione va nel segno di una tendenza alla razionalizzazione delle discipline di comparti limitrofi e al contenimento, ove possibile, di duplicazioni. In ogni caso per definire in maniera inequivoca i confini del regime vigilanza applicabile alla fattispecie in esame, è doveroso chiarire che la disposizione sulla vigilanza nei confronti degli agenti di assicurazione indicata al comma 24-undecies, terzo periodo, si applica agli agenti assicurativi nella veste di consulenti finanziari abilitati all'offerta fuori sede, quindi, limitatamente all'attività da questi svolta nell'ambito in discussione e che resta integra la vigilanza dell'IVASS e della CONSOB, secondo i rispettivi profili di competenza, sull'attività di intermediazione assicurativa,

impegna il Governo

ad interpretare la disposizione di cui all'articolo 1 comma 24-undecies, del disegno di legge in esame, nel senso indicato nelle premesse.
9/3444-A/124Pinna, Sottanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, dal comma 24-novies al comma 24-quaterdecies, hanno ridisegnato il comparto della consulenza finanziaria, prevedendo l'istituzione di un albo unico dei consulenti finanziari dove sono iscritti, in tre distinte sezioni, i consulenti finanziari abilitati all'offerta fuori sede, i consulenti finanziari autonomi e le società di consulenza finanziaria. Tale albo è gestito dall'Organismo per la tenuto dell'albo unico dei consulenti finanziari che eserciterà anche la vigilanza sugli iscritti al medesimo albo, restando in capo alla Consob la vigilanza di secondo livello sul predetto Organismo;
    in tale contesto, il comma 24-undecies offre la possibilità agli agenti di assicurazione persone fisiche iscritti nel Registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi (RUI), Sezione A, di iscriversi nel citato albo, nella sezione dei consulenti finanziari abilitati all'offerta fuori sede, purché in possesso dei medesimi requisiti di onorabilità e professionalità previsti per questi ultimi e previo superamento di una prova valutati semplificata in considerazione dei requisiti di professionalità già posseduti. A tal fine viene specificato che in tal caso si applica il nuovo regime di vigilanza introdotto con il disegno di legge in esame ovvero che tali Agenti di assicurazione, che si iscrivono al citato albo e solo quando agiscono negli ambiti cui tale albo si riferisce, sono soggetti alla vigilanza di primo livello dell'Organismo per la tenuta dell'albo dei consulenti finanziari e alla vigilanza, di secondo livello, della Consob;
    la citata disposizione va nel segno di una tendenza alla razionalizzazione delle discipline di comparti limitrofi e al contenimento, ove possibile, di duplicazioni. In ogni caso per definire in maniera inequivoca i confini del regime vigilanza applicabile alla fattispecie in esame, è doveroso chiarire che la disposizione sulla vigilanza nei confronti degli agenti di assicurazione indicata al comma 24-undecies, terzo periodo, si applica agli agenti assicurativi nella veste di consulenti finanziari abilitati all'offerta fuori sede, quindi, limitatamente all'attività da questi svolta nell'ambito in discussione e che resta integra la vigilanza dell'IVASS e della CONSOB, secondo i rispettivi profili di competenza, sull'attività di intermediazione assicurativa,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di interpretare la disposizione di cui all'articolo 1 comma 24-undecies, del disegno di legge in esame, nel senso indicato nelle premesse.
9/3444-A/124. (Testo modificato nel corso della seduta) Pinna, Sottanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 175 dell'articolo 1 della legge in esame autorizza l'assunzione a tempo indeterminato presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di 500 funzionari nei profili professionali di antropologo, archeologo, architetto, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, promozione e comunicazione, restauratore e storico dell'arte;
    tale previsione rappresenta una novità rilevante ai fini della valorizzazione e fruizione del patrimonio artistico, museale e archeologico italiano, con indubbi e positivi risvolti occupazionali;
    in sede di esame del provvedimento in Commissione Bilancio alla Camera è stato eliminato dal suddetto comma il riferimento al possesso della laurea triennale come requisito sufficiente per la partecipazione al bando, con l'obiettivo di garantire la partecipazione di candidati dotati di una solida preparazione;
    l'intervento alla Camera si è reso necessario, dopo la modifica fatta al Senato, anche alla luce dell'Accordo tra l'Amministrazione del Ministero per i beni e le attività culturali e le Organizzazioni sindacali, sottoscritto il 20 dicembre 2010;
    l'accordo infatti prevede, tra i requisiti necessari ed indispensabili per lo svolgimento dei profili professionali di antropologo, archeologo, architetto, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, promozione e comunicazione, restauratore e storico dell'arte, il possesso del diploma di laurea magistrale (o di vecchio ordinamento) coerente con la professionalità e diploma di scuola di specializzazione o dottorato di ricerca, in materie attinenti al profilo professionale;
    è opportuno inoltre valorizzare in sede di stesura del bando, nel rispetto dei requisiti previsti dall'accordo del 2010, tutti i titoli di scuola di specializzazione non esplicitamente rispondenti al profilo professionale, ma comunque attinenti allo stesso e in particolare quelli relativi alla tutela dei beni culturali, del restauro di monumenti, delle ricerche in materia archeologica, senza eccezioni;
    appare inoltre necessario prevedere esplicitamente in sede di bando la valorizzazione di esperienze lavorative pregresse sul campo,

impegna il Governo

a tenere conto delle osservazioni esposte in premessa, in sede di stesura del bando per le assunzioni al comma 175, e quindi a consentire la partecipazione al concorso, che sarà indetto col suddetto bando, di tutti i titolari titoli di scuola di specializzazione non esplicitamente rispondenti al profilo professionale, ma comunque attinenti allo stesso e in particolare quelli relativi alla tutela dei beni culturali, del restauro di monumenti, delle ricerche in materia archeologica, senza eccezioni, valorizzando le esperienze pregresse sul campo.
9/3444-A/125Mazziotti Di Celso.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 175 dell'articolo 1 della legge in esame autorizza l'assunzione a tempo indeterminato presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di 500 funzionari nei profili professionali di antropologo, archeologo, architetto, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, promozione e comunicazione, restauratore e storico dell'arte;
    tale previsione rappresenta una novità rilevante ai fini della valorizzazione e fruizione del patrimonio artistico, museale e archeologico italiano, con indubbi e positivi risvolti occupazionali;
    in sede di esame del provvedimento in Commissione Bilancio alla Camera è stato eliminato dal suddetto comma il riferimento al possesso della laurea triennale come requisito sufficiente per la partecipazione al bando, con l'obiettivo di garantire la partecipazione di candidati dotati di una solida preparazione;
    l'intervento alla Camera si è reso necessario, dopo la modifica fatta al Senato, anche alla luce dell'Accordo tra l'Amministrazione del Ministero per i beni e le attività culturali e le Organizzazioni sindacali, sottoscritto il 20 dicembre 2010;
    l'accordo infatti prevede, tra i requisiti necessari ed indispensabili per lo svolgimento dei profili professionali di antropologo, archeologo, architetto, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, promozione e comunicazione, restauratore e storico dell'arte, il possesso del diploma di laurea magistrale (o di vecchio ordinamento) coerente con la professionalità e diploma di scuola di specializzazione o dottorato di ricerca, in materie attinenti al profilo professionale;
    è opportuno inoltre valorizzare in sede di stesura del bando, nel rispetto dei requisiti previsti dall'accordo del 2010, tutti i titoli di scuola di specializzazione non esplicitamente rispondenti al profilo professionale, ma comunque attinenti allo stesso e in particolare quelli relativi alla tutela dei beni culturali, del restauro di monumenti, delle ricerche in materia archeologica, senza eccezioni;
    appare inoltre necessario prevedere esplicitamente in sede di bando la valorizzazione di esperienze lavorative pregresse sul campo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di tenere conto delle osservazioni esposte in premessa, in sede di stesura del bando per le assunzioni al comma 175, e quindi di consentire la partecipazione al concorso, che sarà indetto col suddetto bando, di tutti i titolari titoli di scuola di specializzazione non esplicitamente rispondenti al profilo professionale, ma comunque attinenti allo stesso e in particolare quelli relativi alla tutela dei beni culturali, del restauro di monumenti, delle ricerche in materia archeologica, senza eccezioni, valorizzando le esperienze pregresse sul campo.
9/3444-A/125. (Testo modificato nel corso della seduta) Mazziotti Di Celso.


   La Camera,
   premesso che:
    i dati recentemente diffusi dallo Svimez evidenziano l'affanno nel quale versa l'economia meridionale nonostante la ripresa in atto nel Paese;
    il rapporto del centro studi dell'Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno indica alcuni segnali positivi che, tuttavia, non sono in linea con la ripresa che si registra nel resto del Paese, in particolare sul versante dell'occupazione;
    le previsioni di crescita dello 0,1 per cento del Pil del Sud non sono evidentemente sufficienti a risollevare le sorti di un'economia ancora duramente provata dalla crisi e sostanzialmente ancora in recessione;
    va dato atto al Governo di aver inserito in fase di conversione della legge di stabilità alcuni provvedimenti utili ad avviare l'allineamento dell'economia meridionale ai livelli del Centro Nord, ma che, tuttavia, vanno integrati alla luce della grave condizione di svantaggio in cui operano le imprese del Sud rispetto a quelle del Nord;
    per creare i presupposti necessari al rilancio dell'economia meridionale, il Sud ha bisogno in particolare di nuove infrastrutture, di un poderoso intervento di ammodernamento di quelle già esistenti, della realizzazione di nuove reti informatiche e del contestuale potenziamento di quelle in essere, creando così le condizioni per assicurare servizi sempre più puntuali ed efficienti alle imprese;
    la realizzazione di nuove infrastrutture è imprescindibile per attrarre nuovi investimenti nelle regioni meridionali;
    nel periodo che va dal 2015 al 2018 il Paese è chiamato a cogliere le grandi opportunità offerte dall'utilizzo dei fondi europei e nazionali, in particolare modo alle regioni meridionali;
    il rilancio del Mezzogiorno passa anche e soprattutto attraverso l'efficace utilizzo di detti fondi;
    un dicastero per la coesione agevolerebbe l'utilizzo pieno ed efficace dei fondi europei e nazionali evitando, come è accaduto negli ultimi anni, che centinaia di milioni di euro tornino al mittente in ragione del loro mancato utilizzo;
    un dicastero per la coesione potrebbe sostenere e promuovere i programmi e i progetti per lo sviluppo del Mezzogiorno meglio di quanto possa fare l'Agenzia istituita ai sensi dell'articolo 10 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101;
    solo nel mese di ottobre del 2015 — a più di due anni di distanza dalla sua istituzione — è stato approvato il regolamento di organizzazione di detta Agenzia;
    si ravvisa la necessità per le ragioni esposte di valutare la istituzione di un dicastero per la Coesione territoriale che meglio potrebbe assolvere alle funzioni dell'attuale Agenzia,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di istituire il Ministero per la Coesione territoriale affinché il Governo possa meglio sostenere i programmi e i progetti di sviluppo del Mezzogiorno, in particolare supportando l'attuazione della programmazione comunitaria e nazionale 2014-2020 attraverso azioni di indirizzo e coordinamento, monitoraggio, verifica e attuazione degli interventi.
9/3444-A/126D'Agostino, Matarrese, Vecchio, Molea, Galgano, Vargiu, Vezzali, Rabino.


   La Camera,
   premesso che:
    in considerazione della delicata situazione in cui si trovano i lavoratori in mobilità in deroga ed in particolare coloro che in base al DM 83473 del 1 agosto 2014 alla data del 31 agosto 2014 hanno superato il termine dei tre anni, anche non consecutivi, relativi al beneficio del suddetto ammortizzatore è opportuno che il Governo compia una azione di monitoraggio della loro situazione su tutto il territorio nazionale;
    il presente disegno di legge prevede anche per il 2016 la possibilità di poter utilizzare un accantonamento pari al 5 per cento così come da DM 83473 per misure di sostegno in deroga nei confronti di coloro che hanno comunque superato il limite dei tre anni di beneficio;
    purtroppo si tratta di risorse esigue che non consentono grandi margini di manovra a fronte di situazioni davvero emergenziali dal punto di vista sociale in particolare in quelle realtà legate a processi di deindustrializzazione;
    si è ancora in attesa di chiudere i pagamenti per le ultime mensilità dell'anno 2014;
    molte regioni stanno affrontando in maniera diversa forme di sostegno per questa tipologia di lavoratori con misure che rischiano di trattare in maniera diseguale situazioni simili;
    l'obiettivo è quello di individuare percorsi di reinserimento occupazionale e non di misure assistenziali;
    il presente disegno di legge prevede l'istituzione di un fondo per la copertura assicurativa contro malattie e infortuni di lavoratori beneficiari di misure di sostegno al reddito impegnati «in attività di volontariato a fine di utilità sociale in favore di comuni ed enti locali»;
    si tratta di una misura importante che va potenziata e supportata soprattutto in quelle realtà segnate da processi di chiusura di attività industriali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità entro i prossimi 60 giorni di monitorare con le Regioni la condizione dei lavoratori di cui al DM 83473 nonché di prevedere eventuali misure di sostegno per progetti di rigenerazione e riqualificazione urbana, compresa la possibilità di una deroga al patto di stabilità per comuni interessati, che vedano il coinvolgimento di lavoratori percettori ed ex percettori di mobilità in deroga.
9/3444-A/127Burtone.


   La Camera,
   premesso che:
    da quasi 70 anni esiste nel nostro paese la struttura del Patronato, finanziato attraverso le trattenute effettuate ai lavoratori ed alle aziende per svolgere le funzioni di consulenza, assistenza ed intermediazione con gli enti pubblici che si occupano di Previdenza e Assistenza;
    il ruolo dei patronati ha subito nel corso degli anni un mutamento radicale passando da una azione di complementarietà verso gli Enti di Previdenza a una progressiva sussidiarietà in molte delle pratiche amministrative che i cittadini devono affrontare nel corso della propria esistenza;
    tale mutazione è stata nel tempo aggravata ed accelerata dalla pesante ristrutturazione di personale che gli Enti hanno dovuto affrontare per comprimere i costi di gestione; così i Patronati sono divenuti un insostituibile soggetto di intermediazione tra il cittadino e la pubblica amministrazione;
    nel svolgere le sue funzioni ciascun Patronato è costantemente seguito e controllato dal Ministero preposto, le pratiche eseguite sono certificate e verificate in termini di conformità ai canoni di qualità stabiliti, prima di essere remunerate;
    l'attività svolta da questi enti, ad oggi, è totalmente gratuita e per questa caratteristica spesso rivolta verso le fasce più deboli del Paese; inoltre grandissima importanza rivestono i servizi forniti ai nostri connazionali emigrati. Infatti, anche in questo caso, nel tempo i Patronati sono diventati presidio indispensabile e quasi unico interlocutore per gli Italiani residenti all'Estero;
    per questo ruolo strategico svolto dai Patronati Italiani, ulteriori tagli dei finanziamenti loro assegnati metterebbe in crisi la possibilità stessa di erogare il servizio in modo capillare e gratuito;
    le tipologie di pratiche e procedure trattate dai Patronati sono quasi ottocento e solamente una cinquantina vengono remunerate secondo le regole in vigore; inoltre già nel recente passato ed in particolare con la legge di stabilità 2015 si è proceduto a tagli orizzontali di spesa, dopo lunga discussione e grazie all'intervento del Parlamento che ne ha comunque ridotto la pesantezza;
    questa situazione fa sì che qualsiasi altro intervento di riduzione del finanziamento inciderà su quantità e adeguatezza dei servizi resi all'utenza, rischiando di pregiudicare l'esistenza stessa di questo fondamentale presidio di assistenza per i nostri cittadini. Questo scenario rischia di creare anche la necessità di procedere a riduzioni di personale, per diverse centinaia di unità, e alla dispersione di un patrimonio di alta specializzazione e professionalità nella materia previdenziale;
    soprattutto, l'impatto della riduzione delle risorse è destinata a scaricarsi sui cittadini utenti, con la richiesta di compartecipazione del cittadino alle spese per le prestazioni erogate;
    i provvedimenti applicativi della riforma dei Patronati prevista nella precedente manovra finanziaria, a cui era subordinato l'impegno a non chiedere ulteriori sacrifici a questi istituti, sono stati pubblicati con un ritardo di quasi 6 mesi;
    le strutture dei Patronati sono messe in difficoltà anche dal ritardo sistematico dei pagamenti e dalla riduzione degli acconti. Inoltre si registrano ritardi nella conclusione delle attività ispettive: ad oggi non si è ancora chiusa la verifica dell'attività per l'anno 2012 e non si hanno garanzie in ordine al tempestivo pagamento delle integrazioni ai «rimborsi» dovute per gli anni 2013 e 2014, senza i quali i Patronati non avranno liquidità sufficiente per garantire non solo il corretto pagamento delle retribuzioni e della relativa contribuzione, ma anche la funzionalità degli uffici già dal prossimo gennaio,

impegna il Governo:

   ad operarsi affinché si dia corso al confronto per l'attuazione della riforma dei Patronati, finalizzata a valorizzare le attività di tutela degli Istituti e realizzare l'innovazione dell'offerta di servizi, adeguandola alle esigenze in parte mutate delle persone che si rivolgono alle loro strutture nei territori;
   a sostenere tale innovazione, riconoscendo valore ad attività di cui i cittadini hanno particolare bisogno, anche a fronte delle difficoltà interpretative che gli interventi sulla normativa previdenziale e assistenziale fanno sorgere;
   a considerare quanto il sistema di Patronati potrà essere necessario nella gestione di nuove normative in corso di discussione e di prossima approvazione, come ad esempio la legge sulla cittadinanza, che diversamente si scaricherebbero tutte sulle strutture dei Ministeri, con gravi conseguenze operative;
   a realizzare una reale verifica sui requisiti di efficienza e qualità dei diversi istituti di patronato, facendo sì che la riduzione del trasferimento di contributi ai patronati non metta in discussione la funzionalità delle strutture che funzionano bene;
   a scongiurare l'eventualità che la riduzione dei finanziamenti ai Patronati costringa i cittadini a pagare prestazioni che oggi sono garantite in modo gratuito ed universale, anche perché realizzate in sussidiarietà nei confronti delle pubbliche istituzioni.
9/3444-A/128Tullo, Giacobbe, Garavini, Boccuzzi, Brandolin, Carocci, Mognato, Minnucci, Capone, Patrizia Maestri, Carnevali, Blazina, Casellato, Basso, Casati, Malisani, Terrosi, Fossati, Argentin, Ginefra, Pollastrini, Ferrari, De Maria, Murer, Incerti, Bratti, Mariani, Braga, Borghi, Carra, Albini, Cuperlo, Verini, Roberta Agostini, Fabbri, Giuditta Pini, Miccoli, Baruffi, Amoddio, Cenni.


   La Camera,
   premesso che:
    la procedura di risoluzione della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, della Banca delle Marche, della Cassa di risparmio di Ferrara e della Cassa di risparmio della Provincia di Chieti, da tempo in amministrazione straordinaria, ha permesso la continuazione dell'attività economica in capo alle nuove entità che sono state costituite con il decreto-legge 183 del 2015;
    la risoluzione ha messo al sicuro i risparmi di circa 1 milione di correntisti e obbligazionisti (esclusi quelli titolari di obbligazioni subordinate) per un controvalore di circa 12 miliardi di euro (oltre ai depositi già garantiti) mentre la liquidazione delle quattro Banche avrebbe comportato la vendita di tutte le attività e la distribuzione degli eventuali proventi, comunque insufficienti a un rimborso completo dei creditori, in caso di liquidazione sarebbe stata richiesta la restituzione dei crediti a vista messi a disposizione delle imprese sul territorio per un valore superiore a 10 miliardi di euro;
    le nuove banche hanno una forza patrimoniale molto superiore a quella delle banche originarie, gravate da crediti in sofferenza o non esigibili e ciò consente loro di sostenere il tessuto economico del territorio costituito da circa 200.000 piccole e medie imprese, da commercianti ed artigiani che dispongono di fidi e aperture di credito che possono continuano a godere del sostegno finanziario per la propria attività;
    al momento è stato conservato il livello occupazionale sul territorio, perché i circa 6.000 dipendenti proseguono il loro rapporto di lavoro con le nuove banche e anche le 1.000 persone occupate nell'indotto non hanno subito impatti a causa della crisi dei rispettivi Istituti di credito; i risparmiatori coinvolti che si sono visti azzerare gli investimenti in obbligazioni subordinate sono circa 12.500 di cui 1.010 sono «piccoli risparmiatori» (persone con meno di 100 mila euro di risparmi presso la banca), con una concentrazione di bond subordinati superiore alla metà del proprio patrimonio;
    il Fondo di solidarietà, istituito con la legge di Stabilità, è finalizzato all'erogazione di prestazioni in favore solo degli investitori che alla data di entrata in vigore del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, detenevano strumenti finanziari subordinati ma non di azioni ed è riservato solo a persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti ma non anche ai possessori di azioni o ai cosiddetti «investitori istituzionali» come le Fondazioni;
    la penalizzazione in valori assoluti delle Fondazioni bancarie comporta, per esempio per quanto riguarda le quattro che sono impegnate in Banca delle Marche (Fano Jesi, Macerata, Pesaro), la diminuzione degli interventi per il welfare, la cultura e l'ambiente sui territori di competenza per oltre 25 milioni di euro ogni anno, somme che il sistema delle autonomie locali interessate non è in grado di supplire;
    come è già emerso anche sui media, molti risparmiatori sono stati indotti all'acquisto di azioni o di obbligazioni subordinate senza essere stati ben edotti dei rischi derivanti dall'investimento tant’è che ora si prevede che l'erogazione delle prestazioni da parte del Fondo sia subordinata all'accertamento della responsabilità per violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione o al collocamento degli strumenti finanziari subordinati delle quattro Banche in risoluzione;
    la stessa situazione «genetica» che ha portato molti piccoli risparmiatori a sottoscrivere obbligazioni subordinate si riscontra anche nel caso di acquisto di titoli azionari delle quattro Banche; come ha dichiarato di recente il dottor Roberto Nicastro, Presidente delle quattro nuove Banche, «Il processo di asta delle quattro banche salvate con il Fondo di risoluzione partirà in febbraio dopo lo scorporo delle bad bank, previsto invece entro gennaio, ma già sono arrivate diverse manifestazioni di interesse dall'Italia e dall'estero, da banche e da private equity» la cessione delle Banche-ponte non può però prescindere da un progetto strategico, da strumenti reali ed efficaci per rilanciare le quattro banche e per mantenere il rapporto con la clientela, le imprese, le famiglie;
    è pertanto fondamentale che il processo di cessione delle Nuove Banche non comporti riduzioni di personale, un patrimonio per il sistema bancario stesso perché i dipendenti hanno le competenze e la capacità di gestire sia questo difficile momento di transizione sia il futuro dei nuovi Istituti; in estrema sintesi è necessario un impegno del Governo per trovare soluzioni:
     a) che non siano penalizzanti in modo assoluto, come avviene con l'azzeramento del capitale investito, sia per le Fondazioni relativamente alle obbligazioni subordinate sia per i «piccoli risparmiatori» azionisti;
     b) che garantiscano che nel processo di cessione delle Nuove Banche sia assicurato il mantenimento dei livelli occupazionali e che sia pertanto inserita nei Capitolati di accordo la «clausola sociale» per tutto il personale che verrà interessato al passaggio di proprietà verso i nuovi soggetti societari,

impegna il Governo:

   1) a valutare l'opportunità di intraprendere azioni politiche ed iniziative legislative urgenti affinché:
    a) una quota degli eventuali utili realizzati con la cessione dei «crediti deteriorati» sia destinata ad incrementare le risorse del Fondo a favore dei titolari di obbligazioni subordinate;
    b) una quota degli utili realizzati con la cessione dei «crediti deteriorati» sia destinata ad istituire un nuovo Fondo a favore dei piccoli risparmiatori possessori di azioni delle quattro Banche in Risoluzione;
    c) una quota degli utili realizzati con la cessione dei «crediti deteriorati» sia destinata per interventi sui territori nei settori del welfare, della cultura e dell'ambiente d'intesa con le Fondazioni bancarie e gli Enti Locali, con trasparenti modalità di assegnazione e di verifica;
    d) costituisca minusvalenza ai fini del calcolo del «capital gain» la differenza fra il prezzo di acquisto o di collocamento ed il valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate delle Banche in risoluzione e che essa sia utilizzabile in riduzione di eventuali plusvalenze di analoga natura ovvero attraverso la deduzione dal reddito imponibile in sede di dichiarazione annuale dei redditi;
   2) ad intraprendere ogni iniziativa che:
    a) garantisca che nel processo di cessione delle Nuove Banche sia assicurato il mantenimento dei livelli occupazionali e che sia pertanto inserita nei Capitolati di accordo la «clausola sociale» salvaguardando i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, per tutto il personale dei Gruppi bancari che verrà interessato al passaggio di proprietà verso i nuovi soggetti societari;
    b) favorisca l'emissione da parte degli Istituti di Credito che acquisiranno le nuove Banche-ponte di obbligazioni o di azioni riservate, con condizioni di particolare favore, per i piccoli risparmiatori, obbligazionisti non garantiti ed azionisti, già investitori nelle Banche in risoluzione.
9/3444-A/129Carrescia, Manzi, Morani, Bratti, D'Incecco, Preziosi.


   La Camera,
   premesso che:
    la procedura di risoluzione della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, della Banca delle Marche, della Cassa di risparmio di Ferrara e della Cassa di risparmio della Provincia di Chieti, da tempo in amministrazione straordinaria, ha permesso la continuazione dell'attività economica in capo alle nuove entità che sono state costituite con il decreto-legge 183 del 2015;
    la risoluzione ha messo al sicuro i risparmi di circa 1 milione di correntisti e obbligazionisti (esclusi quelli titolari di obbligazioni subordinate) per un controvalore di circa 12 miliardi di euro (oltre ai depositi già garantiti) mentre la liquidazione delle quattro Banche avrebbe comportato la vendita di tutte le attività e la distribuzione degli eventuali proventi, comunque insufficienti a un rimborso completo dei creditori, in caso di liquidazione sarebbe stata richiesta la restituzione dei crediti a vista messi a disposizione delle imprese sul territorio per un valore superiore a 10 miliardi di euro;
    le nuove banche hanno una forza patrimoniale molto superiore a quella delle banche originarie, gravate da crediti in sofferenza o non esigibili e ciò consente loro di sostenere il tessuto economico del territorio costituito da circa 200.000 piccole e medie imprese, da commercianti ed artigiani che dispongono di fidi e aperture di credito che possono continuano a godere del sostegno finanziario per la propria attività;
    al momento è stato conservato il livello occupazionale sul territorio, perché i circa 6.000 dipendenti proseguono il loro rapporto di lavoro con le nuove banche e anche le 1.000 persone occupate nell'indotto non hanno subito impatti a causa della crisi dei rispettivi Istituti di credito; i risparmiatori coinvolti che si sono visti azzerare gli investimenti in obbligazioni subordinate sono circa 12.500 di cui 1.010 sono «piccoli risparmiatori» (persone con meno di 100 mila euro di risparmi presso la banca), con una concentrazione di bond subordinati superiore alla metà del proprio patrimonio;
    il Fondo di solidarietà, istituito con la legge di Stabilità, è finalizzato all'erogazione di prestazioni in favore solo degli investitori che alla data di entrata in vigore del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, detenevano strumenti finanziari subordinati ma non di azioni ed è riservato solo a persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti ma non anche ai possessori di azioni o ai cosiddetti «investitori istituzionali» come le Fondazioni;
    la penalizzazione in valori assoluti delle Fondazioni bancarie comporta, per esempio per quanto riguarda le quattro che sono impegnate in Banca delle Marche (Fano Jesi, Macerata, Pesaro), la diminuzione degli interventi per il welfare, la cultura e l'ambiente sui territori di competenza per oltre 25 milioni di euro ogni anno, somme che il sistema delle autonomie locali interessate non è in grado di supplire;
    come è già emerso anche sui media, molti risparmiatori sono stati indotti all'acquisto di azioni o di obbligazioni subordinate senza essere stati ben edotti dei rischi derivanti dall'investimento tant’è che ora si prevede che l'erogazione delle prestazioni da parte del Fondo sia subordinata all'accertamento della responsabilità per violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione o al collocamento degli strumenti finanziari subordinati delle quattro Banche in risoluzione;
    la stessa situazione «genetica» che ha portato molti piccoli risparmiatori a sottoscrivere obbligazioni subordinate si riscontra anche nel caso di acquisto di titoli azionari delle quattro Banche; come ha dichiarato di recente il dottor Roberto Nicastro, Presidente delle quattro nuove Banche, «Il processo di asta delle quattro banche salvate con il Fondo di risoluzione partirà in febbraio dopo lo scorporo delle bad bank, previsto invece entro gennaio, ma già sono arrivate diverse manifestazioni di interesse dall'Italia e dall'estero, da banche e da private equity» la cessione delle Banche-ponte non può però prescindere da un progetto strategico, da strumenti reali ed efficaci per rilanciare le quattro banche e per mantenere il rapporto con la clientela, le imprese, le famiglie;
    è pertanto fondamentale che il processo di cessione delle Nuove Banche non comporti riduzioni di personale, un patrimonio per il sistema bancario stesso perché i dipendenti hanno le competenze e la capacità di gestire sia questo difficile momento di transizione sia il futuro dei nuovi Istituti; in estrema sintesi è necessario un impegno del Governo per trovare soluzioni:
     a) che non siano penalizzanti in modo assoluto, come avviene con l'azzeramento del capitale investito, sia per le Fondazioni relativamente alle obbligazioni subordinate sia per i «piccoli risparmiatori» azionisti;
     b) che garantiscano che nel processo di cessione delle Nuove Banche sia assicurato il mantenimento dei livelli occupazionali e che sia pertanto inserita nei Capitolati di accordo la «clausola sociale» per tutto il personale che verrà interessato al passaggio di proprietà verso i nuovi soggetti societari,

impegna il Governo:

   1) a valutare l'opportunità di intraprendere azioni politiche ed iniziative legislative urgenti affinché:
    a) una quota degli eventuali utili realizzati con la cessione dei «crediti deteriorati» sia destinata ad incrementare le risorse del Fondo a favore dei titolari di obbligazioni subordinate;
    b) una quota degli utili realizzati con la cessione dei «crediti deteriorati» sia destinata ad istituire un nuovo Fondo a favore dei piccoli risparmiatori possessori di azioni delle quattro Banche in Risoluzione;
    c) una quota degli utili realizzati con la cessione dei «crediti deteriorati» sia destinata per interventi sui territori nei settori del welfare, della cultura e dell'ambiente d'intesa con le Fondazioni bancarie e gli Enti Locali, con trasparenti modalità di assegnazione e di verifica;
    d) costituisca minusvalenza ai fini del calcolo del «capital gain» la differenza fra il prezzo di acquisto o di collocamento ed il valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate delle Banche in risoluzione e che essa sia utilizzabile in riduzione di eventuali plusvalenze di analoga natura ovvero attraverso la deduzione dal reddito imponibile in sede di dichiarazione annuale dei redditi;
   2) a valutare l'opportunità di intraprendere ogni iniziativa che:
    a) garantisca che nel processo di cessione delle Nuove Banche sia assicurato il mantenimento dei livelli occupazionali e che sia pertanto inserita nei Capitolati di accordo la «clausola sociale» salvaguardando i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, per tutto il personale dei Gruppi bancari che verrà interessato al passaggio di proprietà verso i nuovi soggetti societari;
    b) favorisca l'emissione da parte degli Istituti di Credito che acquisiranno le nuove Banche-ponte di obbligazioni o di azioni riservate, con condizioni di particolare favore, per i piccoli risparmiatori, obbligazionisti non garantiti ed azionisti, già investitori nelle Banche in risoluzione.
9/3444-A/129. (Testo modificato nel corso della seduta)  Carrescia, Manzi, Morani, Bratti, D'Incecco, Preziosi.


   La Camera,
   in sede di esame del disegno di legge n. 3444 approvato dal Senato della Repubblica il 20 novembre 2015 recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica il 21 novembre 2015,
   considerato che:
    il Governo intende perfezionare e valorizzare anche nell'ordinamento italiano gli strumenti di accelerazione del processo a disposizione della parti configurandoli quali veri e propri rimedi di natura preventiva, da attivarsi prima che si integri la violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
    che la raccomandazione di adottare meccanismi acceleratori idonei a scongiurare l'irragionevole durata del processo, proviene anche da parte del Consiglio d'Europa; che il testo in esame prevede da un lato che sia facoltà delle parti, esperire questi rimedi acceleratori preventivi, e dall'altro che la parte che, pur sussistendone i requisiti non si avvalga della facoltà di chiedere l'adozione dei meccanismi tesi ad assicurare una rapida definizione del processo perda il diritto a richiedere l'indennizzo ai sensi della legge Pinto n. 89/2001;
    che il teso intende inserire, riguardo al processo civile, un nuovo comma 2-quinquies, dell'articolo 2 della legge n. 89 del 2001, prevedendo l'esclusione dell'indennizzo nelle ipotesi in cui la parte abbia abusato dello strumento processuale; in particolare al comma 449 comma 1, lettera c) relativo alla sostituzione del comma 2-quinquies dell'articolo 2 della legge 2001/89 la lettera a) esclude la riparazione in favore di chi abbia agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese anche al di fuori dei casi nei quali sia stata pronunciata la condanna per lite temeraria ai sensi dell'articolo 96 codice procedura civile;
    che tale previsione appare definire in termini quanto mai ampi «l'infondatezza della originaria o sopravvenuta delle proprie domande e difese» tale da costituire un'ipotesi atipica che può essere interpretata in modo assolutamente non univoco e capace di ledere il diritto alla difesa della parte e finanche di colpire le ipotesi di colpa «lieve» escluse dal novero dei criteri d'imputazione ex articolo 96 codice di procedura civile; questa ipotesi condurrebbe inevitabilmente, anche in considerazione dell'impossibilità di una valutazione davvero approfondita che consenta di cogliere tutte le sfumature nel processo «presupposto», a negare l'indennizzo nei confronti di tutti i soccombenti;
    questo esito è contrario al principio della ragionevole durata consacrato nella Convenzione Europea per i Diritti dell'Uomo (CEDU) e nella Costituzione italiana: il «bene giuridico» di un processo rapido è posto a beneficio di entrambi i contendenti: del «vittorioso» come dello «sconfitto»;
    si ritiene doveroso concedere la possibilità anche alla parte soccombente di poter accedere con eguale condizione al ristoro del diritto leso, impedendo la richiesta di indennizzo per illegittima durata del processo solo alla parte soccombente, purché sia anche stata condannata ai sensi dell'articolo 96 codice di procedura civile,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire, anche con idonee misure normative, ai fini di limitare l'esclusione dell'indennizzo per illegittima durata del processo nei soli casi nei quali sia dichiarata la condanna di cui all'articolo 96 del codice di procedura civile.
9/3444-A/130Turco, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che:
    con l'emendamento del Governo sono stati inseriti nel provvedimento all'esame di quest'Aula alcuni commi aggiuntivi mediante i quali, in merito al rilascio delle autorizzazioni relative alle infrastrutture energetiche strategiche, date dal Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con le regioni interessate, qualora non si riuscisse ad addivenire a tale intese, non si provvede con la procedura prevista dall'articolo 1 comma 8-bis della legge n. 239 del 2004 (il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri), ma con la procedura prevista dall'articolo 14-quater, comma 3 della legge 7 agosto n. 241 del 1990 che dispone che, «ove venga espresso motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell'articolo 120 della Costituzione, è rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Se l'intesa non è raggiunta entro trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei ministri può essere comunque adottata»;
    il Governo, nel suddetto emendamento, che apparentemente sembrava voler bloccare l'attività di estrazione delle trivelle per ripristinare il limite delle dodici miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere e impedire la costruzione di impianti di estrazione petrolifera entro quel tratto di mare, in realtà ottiene duplice risultato di bloccare il referendum e trasferire tutti i poteri al Consiglio dei Ministri;
    la modifica apportata al provvedimento in realtà ha l'effetto di salvare almeno una concessione rilasciata dopo l'approvazione dello Sblocca Italia (una delle leggi che sarebbe dovuta essere sottoposta a referendum), la Argo 2, posseduta da ENI ed Edison, che si trova entro le 12 miglia della costa siciliana, davanti a Gela, che non sarà revocata perché sono fatti salvi «i titoli abilitativi già rilasciati»;
    il nuovo testo del provvedimento potrebbe inoltre salvare anche il progetto Ombrina Mare 2, situato entro le 12 miglia dalla costa, poiché si salvano le concessioni rilasciate prima della dell'entrata in vigore del provvedimento all'esame di quest'Aula (gennaio 2016); tale progetto infatti ha completato l’iter autorizzatorio ed è in attesa di rilascio della concessione che potrebbe arrivare entro la fine dell'anno in corso;
    l'effetto è dunque quello di sabotare i referendum indetti da dieci Regioni e si corre il rischio di approvare un testo che inoltre rischia di dar il via libera alle suddette concessioni;
    si viene a creare un vero e proprio caos normativo che permetterebbe a qualsiasi giudice chiamato ad applicare le nuove norme, di decidere senza problemi sia a favore che contro qualsiasi nuova infrastruttura energetica si voglia costruire, rimanendo sempre nel pieno rispetto della legge;
    siamo di fronte ad un meccanismo incostituzionale che disattende, con norme ordinarie oltretutto, l'articolo 3 della Costituzione che prevede il divieto di approvazione di norme discriminatorie;
    con le modifiche apportate dal Governo al provvedimento in esame il Governo ottiene di avocare alla propria competenza tutti i poteri nel caso in cui nella Conferenza dei servizi emergano dissensi tra le parti chiamate ad esprimersi sulle trivellazioni e le attività di ricerca, cioè qualora i procedimenti autorizzatori si dovessero bloccare;
    la nostra componente ha presentato un emendamento allo scopo di far sì che i procedimenti di concessione in corso entro le 12 miglia dalla costa, non ancora rilasciati, decadano e che, oltre a far salva la previsione del Piano Nazionale delle Aree per l'uso delle risorse energetiche, ne conferisce la predisposizione alla Conferenza Stato Regioni,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di predisporre, anche con successivi interventi normativi, che sia fatto salvo il Piano Nazionale delle Aree per l'uso delle risorse energetiche;
   a prevedere che il suddetto Piano sia predisposto dalla Conferenza Stato Regioni;
   a prevedere l'eliminazione dei siti di estrazione entro le 12 miglia dalla costa.
9/3444-A/131Civati, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che:
    con l'emendamento del Governo sono stati inseriti nel provvedimento all'esame di quest'Aula alcuni commi aggiuntivi mediante i quali, in merito al rilascio delle autorizzazioni relative alle infrastrutture energetiche strategiche, date dal Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con le regioni interessate, qualora non si riuscisse ad addivenire a tale intese, non si provvede con la procedura prevista dall'articolo 1 comma 8-bis della legge n. 239 del 2004 (il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri), ma con la procedura prevista dall'articolo 14-quater, comma 3 della legge 7 agosto n. 241 del 1990 che dispone che, «ove venga espresso motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell'articolo 120 della Costituzione, è rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Se l'intesa non è raggiunta entro trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei ministri può essere comunque adottata»;
    il Governo, nel suddetto emendamento, che apparentemente sembrava voler bloccare l'attività di estrazione delle trivelle per ripristinare il limite delle dodici miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere e impedire la costruzione di impianti di estrazione petrolifera entro quel tratto di mare, in realtà ottiene duplice risultato di bloccare il referendum e trasferire tutti i poteri al Consiglio dei Ministri;
    la modifica apportata al provvedimento in realtà ha l'effetto di salvare almeno una concessione rilasciata dopo l'approvazione dello Sblocca Italia (una delle leggi che sarebbe dovuta essere sottoposta a referendum), la Argo 2, posseduta da ENI ed Edison, che si trova entro le 12 miglia della costa siciliana, davanti a Gela, che non sarà revocata perché sono fatti salvi «i titoli abilitativi già rilasciati»;
    il nuovo testo del provvedimento potrebbe inoltre salvare anche il progetto Ombrina Mare 2, situato entro le 12 miglia dalla costa, poiché si salvano le concessioni rilasciate prima della dell'entrata in vigore del provvedimento all'esame di quest'Aula (gennaio 2016); tale progetto infatti ha completato l’iter autorizzatorio ed è in attesa di rilascio della concessione che potrebbe arrivare entro la fine dell'anno in corso;
    l'effetto è dunque quello di sabotare i referendum indetti da dieci Regioni e si corre il rischio di approvare un testo che inoltre rischia di dar il via libera alle suddette concessioni;
    si viene a creare un vero e proprio caos normativo che permetterebbe a qualsiasi giudice chiamato ad applicare le nuove norme, di decidere senza problemi sia a favore che contro qualsiasi nuova infrastruttura energetica si voglia costruire, rimanendo sempre nel pieno rispetto della legge;
    siamo di fronte ad un meccanismo incostituzionale che disattende, con norme ordinarie oltretutto, l'articolo 3 della Costituzione che prevede il divieto di approvazione di norme discriminatorie;
    con le modifiche apportate dal Governo al provvedimento in esame il Governo ottiene di avocare alla propria competenza tutti i poteri nel caso in cui nella Conferenza dei servizi emergano dissensi tra le parti chiamate ad esprimersi sulle trivellazioni e le attività di ricerca, cioè qualora i procedimenti autorizzatori si dovessero bloccare;
    la nostra componente ha presentato un emendamento allo scopo di far sì che i procedimenti di concessione in corso entro le 12 miglia dalla costa, non ancora rilasciati, decadano e che, oltre a far salva la previsione del Piano Nazionale delle Aree per l'uso delle risorse energetiche, ne conferisce la predisposizione alla Conferenza Stato Regioni,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di predisporre, anche con successivi interventi normativi, che sia fatto salvo il Piano Nazionale delle Aree per l'uso delle risorse energetiche;
   a valutare l'opportunità di prevedere che il suddetto Piano sia predisposto dalla Conferenza Stato Regioni;
   a valutare l'opportunità di prevedere l'eliminazione dei siti di estrazione entro le 12 miglia dalla costa.
9/3444-A/131. (Testo modificato nel corso della seduta)  Civati, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che:
    il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, istituito dall'articolo 1 della legge 28 agosto 1997, n. 285 e, così come specificato dal comma 2 dell'articolo 11, della legge 5 agosto 1978, n. 468, ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e una quota pari al 30 per cento delle risorse del Fondo è riservata al finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari;
    la ripartizione del Fondo e della quota riservata avviene, per il 50 per cento, sulla base dell'ultima rilevazione della popolazione minorile effettuata dall'istituto nazionale di statistica (ISTAT) e per il 50 per cento secondo i seguenti criteri:
     a) carenza di strutture per la prima infanzia secondo le indicazioni del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia della Presidenza del Consiglio dei ministri;
     b) numero di minori presenti in presidi residenziali socio-assistenziali in base all'ultima rilevazione dell'ISTAT;
     c) percentuale di dispersione scolastica nella scuola dell'obbligo come accertata dal Ministero della pubblica istruzione;
     d) percentuale di famiglie con figli minori che vivono al di sotto della soglia di povertà così come stimata dall'ISTAT;
     e) incidenza percentuale del coinvolgimento di minori inattività criminose come accertata dalla Direzione generale dei servizi civili del Ministero dell'interno, nonché dall'Ufficio centrale per la giustizia minorile del Ministero di grazia e giustizia,

impegna il Governo:

a presentare una relazione comparata che attesti i risultati del fondo previsto dalla legge 285/1997 e sugli eventuali miglioramenti conseguiti dal fondo successivamente previsto dalla legge 328 del 2000 e, in assenza di migliorie apprezzabili, a prevedere per il Fondo di cui in premessa, il rifinanziamento anche della quota da ripartire tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano oltre alla quota già rifinanziata e riservata al finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari.
9/3444-A/132Bechis, Artini, Baldassarre, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che:
    il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, istituito dall'articolo 1 della legge 28 agosto 1997, n. 285 e, così come specificato dal comma 2 dell'articolo 11, della legge 5 agosto 1978, n. 468, ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e una quota pari al 30 per cento delle risorse del Fondo è riservata al finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari;
    la ripartizione del Fondo e della quota riservata avviene, per il 50 per cento, sulla base dell'ultima rilevazione della popolazione minorile effettuata dall'istituto nazionale di statistica (ISTAT) e per il 50 per cento secondo i seguenti criteri:
     a) carenza di strutture per la prima infanzia secondo le indicazioni del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia della Presidenza del Consiglio dei ministri;
     b) numero di minori presenti in presidi residenziali socio-assistenziali in base all'ultima rilevazione dell'ISTAT;
     c) percentuale di dispersione scolastica nella scuola dell'obbligo come accertata dal Ministero della pubblica istruzione;
     d) percentuale di famiglie con figli minori che vivono al di sotto della soglia di povertà così come stimata dall'ISTAT;
     e) incidenza percentuale del coinvolgimento di minori inattività criminose come accertata dalla Direzione generale dei servizi civili del Ministero dell'interno, nonché dall'Ufficio centrale per la giustizia minorile del Ministero di grazia e giustizia,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di presentare una relazione comparata che attesti i risultati del fondo previsto dalla legge 285/1997 e sugli eventuali miglioramenti conseguiti dal fondo successivamente previsto dalla legge 328 del 2000 e, in assenza di migliorie apprezzabili, a valutare l'opportunità di prevedere per il Fondo di cui in premessa, il rifinanziamento anche della quota da ripartire tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano oltre alla quota già rifinanziata e riservata al finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari.
9/3444-A/132. (Testo modificato nel corso della seduta)  Bechis, Artini, Baldassarre, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame non prevede la riduzione delle annualità, così come regolamentato dalla legge 80/14 e dalla legge di Stabilità del 2015, per il recupero di circa 16.000 alloggi pubblici;
    è infatti previsto che i 467,9 milioni, a cui se ne aggiungerebbero altri 25 secondo il decreto-legge 185 del 2015 approvato recentemente dal Governo, sono da suddividersi nell'arco di dieci anni e, se da un lato l'incremento di 25 milioni rappresenta una misura importante perché aumenta l'offerta di alloggi a canone sociale ed interviene sul patrimonio già costruito, non si può dire altrettanto della durata dell'intervento;
    per far sì che il provvedimento in esame abbia un impatto minimamente significativo e si possano recuperare 16.000 alloggi, è necessario distribuire le risorse non in 10 anni ma in 2 o 3 annualità, non dimenticando che il numero degli alloggi da recuperare è minimo rispetto alle 600.000 domande di casa popolare che giacciono senza risposta presso i Comuni;
    la programmazione comunitaria 2014-2020 ha previsto per l'Italia quattro tipologie di Fondi strutturali e d'investimento europei (Fondi SIE) gestiti a livello regionale o nazionale attraverso programmi operativi (PO). I Fondi strutturali e d'investimento europei (Fondi SIE) costituiscono lo strumento finanziario utilizzato dall'Unione Europea (UE) nel perseguimento della politica di coesione, al fine di riequilibrare i divari esistenti, a livello di sviluppo economico e di tenore di vita, tra le diverse regioni o categorie sociali degli Stati Membri,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità che parte dei Fondi SIE sia destinata ad incrementare i fondi destinati all'offerta di alloggi a canone sociale riducendo i tempi previsti per il loro recupero.
9/3444-A/133Matarrelli, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 2016 non prevede il rifinanziamento del Fondo di sostegno all'affitto, misura assolutamente fondamentale per attenuare il disagio abitativo;
    mantenere una linea regolare nel tempo per il finanziamento al Fondo di sostegno all'affitto è essenziale per contribuire a contrastare il fenomeno dilagante degli sfratti per morosità, per i quali non è sufficiente il fondo istituito dalla legge n. 80 del 2014 rimasto largamente inutilizzato per la rigidità dei criteri, i tempi di erogazione e, appunto, soprattutto per la mancata continuità nel tempo del sostegno alle famiglie deboli;
    recentemente l'Istat ha ricordato che, per le famiglie a basso reddito, l'incidenza delle spese per l'affitto sul loro reddito supera il 45 per cento. Se a questo dato si aggiunge il crescente numero di domande presentate negli anni per usufruire del contributo ancora inevase, che all'inizio del 2015 si attestavano a circa 330.000, risulta assolutamente incomprensibile e imparziale la scelta di azzerare il Fondo;
    contrastare il disagio e l'emergenza solo attraverso l'incentivo ai contratti concordati, appare una misura da sola insufficiente a ridurre la forbice tra redditi delle famiglie più deboli ed affitti;

la certezza e la continuità delle risorse disponibili per il sostegno al reddito, insieme ad un quadro di certezze per le agevolazioni fiscali ai contratti concordati, sono elementi indispensabili per contribuire a creare un mercato delle locazioni regolato, in grado di contenere il livello degli affitti per una parte importante della domanda, senza dimenticare però che senza una ripresa degli investimenti per l'offerta di alloggi a canone sociale non si risponderà comunque alla parte più debole della domanda;
    risulta inefficace e poco incisivo, adottare provvedimenti di emergenza una tantum senza un impegno costante per una politica abitativa di medio-lungo periodo in grado di far uscire il Paese progressivamente dall'emergenza abitativa;
    è impensabile, da parte dei Comuni, programmare interventi adeguati senza avere certezze sul flusso di risorse;
    il contrasto all'evasione fiscale attraverso la compartecipazione dei Comuni, potrebbe portare risorse importanti per istituire dei «Fondi Comunali per l'emergenza abitativa»,

impegna il Governo

ad adottare iniziative, anche normative, finalizzate a reperire le risorse necessarie per rinnovare il Fondo di sostegno all'affitto per l'anno 2016 e per gli anni successivi, necessario a superare la situazione di cronicità dell'emergenza abitativa in Italia.
9/3444-A/134Andrea Maestri, Brignone, Civati, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 2016 non prevede il rifinanziamento del Fondo di sostegno all'affitto, misura assolutamente fondamentale per attenuare il disagio abitativo;
    mantenere una linea regolare nel tempo per il finanziamento al Fondo di sostegno all'affitto è essenziale per contribuire a contrastare il fenomeno dilagante degli sfratti per morosità, per i quali non è sufficiente il fondo istituito dalla legge n. 80 del 2014 rimasto largamente inutilizzato per la rigidità dei criteri, i tempi di erogazione e, appunto, soprattutto per la mancata continuità nel tempo del sostegno alle famiglie deboli;
    recentemente l'Istat ha ricordato che, per le famiglie a basso reddito, l'incidenza delle spese per l'affitto sul loro reddito supera il 45 per cento. Se a questo dato si aggiunge il crescente numero di domande presentate negli anni per usufruire del contributo ancora inevase, che all'inizio del 2015 si attestavano a circa 330.000, risulta assolutamente incomprensibile e imparziale la scelta di azzerare il Fondo;
    contrastare il disagio e l'emergenza solo attraverso l'incentivo ai contratti concordati, appare una misura da sola insufficiente a ridurre la forbice tra redditi delle famiglie più deboli ed affitti;
    la certezza e la continuità delle risorse disponibili per il sostegno al reddito, insieme ad un quadro di certezze per le agevolazioni fiscali ai contratti concordati, sono elementi indispensabili per contribuire a creare un mercato delle locazioni regolato, in grado di contenere il livello degli affitti per una parte importante della domanda, senza dimenticare però che senza una ripresa degli investimenti per l'offerta di alloggi a canone sociale non si risponderà comunque alla parte più debole della domanda;
    risulta inefficace e poco incisivo, adottare provvedimenti di emergenza una tantum senza un impegno costante per una politica abitativa di medio-lungo periodo in grado di far uscire il Paese progressivamente dall'emergenza abitativa;
    è impensabile, da parte dei Comuni, programmare interventi adeguati senza avere certezze sul flusso di risorse;
    il contrasto all'evasione fiscale attraverso la compartecipazione dei Comuni, potrebbe portare risorse importanti per istituire dei «Fondi Comunali per l'emergenza abitativa»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative, anche normative, finalizzate a reperire le risorse necessarie per rinnovare il Fondo di sostegno all'affitto per l'anno 2016 e per gli anni successivi, necessario a superare la situazione di cronicità dell'emergenza abitativa in Italia.
9/3444-A/134. (Testo modificato nel corso della seduta) Andrea Maestri, Brignone, Civati, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco.


   La Camera,
   premesso che:
    con l'articolo 11 della legge n. 431 del 1998 è stato istituito il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso delle abitazioni in locazione (Fondo di sostegno agli affitti);
    il Fondo ha subito un azzeramento nel 2013, è stato disposto uno stanziamento di 200 milioni per il 2014 ed il 2015, per poi ritornare ad essere azzerato per il 2016 con la nuova legge di Stabilità attualmente in discussione alla Camera;
    a Gennaio 2015, il numero delle domande inevase per usufruire del Fondo di sostegno agli affitti si attestavano a 330.000 alle quali vanno aggiunte le domande presentate nel corso del 2015, che riguardano famiglie con gravi disagi economici che, pur avendo presentato la domanda nei tempi e avendone il diritto in base al loro reddito, rimarrebbero escluse dalle agevolazioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative, anche normative, affinché le domande già presentate dalle famiglie al Fondo di sostegno agli affitti e rimaste inevase possano usufruire delle agevolazioni previste di diritto, in virtù di parità di trattamento e di equità sociale.
9/3444-A/135Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco.


   La Camera,
   premesso che:
    l'emendamento del Governo, che ha inserito all'interno della legge di stabilità il cosiddetto decreto salva banche, ha fatto nascere il problema degli investitori nelle banche soggette alla procedura di risoluzione;
    è nata l'esigenza del concedere ristoro ai portatori di obbligazioni subordinate, facendo valere la responsabilità della Banca d'Italia visto che è lei che avrebbe dovuto vigilare sulla stabilità delle banche sottoposte a procedura di risoluzione;
    la Banca d'Italia ha la possibilità di aiutare i titolari di obbligazioni subordinate, dal momento che ogni anno distribuisce ai suoi azionisti centinaia di milioni di euro sotto forma di dividendi, considerando che solamente tra il 2013 e il 2014 ha distribuito dividendi per 720 milioni, senza contare che nel periodo compreso tra il 2004 e il 2014 la Banca d'Italia ha conseguito un utile netto complessivo pari a 12,66 miliardi;
    la legge di stabilità 2016 non prevede una norma che impedisca agli amministratori che hanno portato al dissesto le banche sottoposte a procedura di risoluzione di continuare a svolgere le loro funzioni di amministrazione, direzione o controllo in altri istituti di credito o in enti pubblici;
    non è concepibile che i suddetti amministratori conservino i requisiti di professionalità e di onorabilità stabiliti con regolamento del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica contenuto nel decreto ministeriale 18 marzo 1988 n. 161, né che continuino a rivestire funzioni in alcun ente;
    i suddetti amministratori possono sottrarsi alle azioni di responsabilità, visto che tra le pieghe delle leggi approvate recentemente sembra che si celi una forma di limitazione indiretta all'esercizio delle azioni di responsabilità. La normativa generale sui fallimenti delle società prevede che il curatore che, ai sensi dell'articolo 146 comma 2 l. fall., fa valere la responsabilità verso la società ex articolo 2393 c.c., ha l'onere di dimostrare: l'inadempimento da parte dell'amministratore ai doveri derivanti dalla legge o dall'atto costitutivo, che la società abbia subito un danno e che tale pregiudizio sia la conseguenza diretta ed immediata dell'inadempimento, spettando, invece, all'amministratore la prova che quest'ultimo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile o comunque l'assenza di colpa ex articolo 1218 c.c;
    l'articolo 35 del decreto legislativo n. 180 del 2015 (Effetti della risoluzione) stabilisce, con l'insediamento dei commissari speciali, non soltanto la sospensione dei diritti di voto di coloro che detengono le azioni, ma anche che «L'esercizio dell'azione sociale di responsabilità e di quella dei creditori sociali contro i membri degli organi amministrativi e di controllo e il direttore generale, dell'azione contro il soggetto incaricato della revisione legale dei conti, nonché dell'azione del creditore sociale contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, spetta ai commissari speciali sentito il comitato di sorveglianza, previa autorizzazione della Banca d'Italia. In mancanza di loro nomina, l'esercizio dell'azione spetta al soggetto a tal fine disegnato dalla Banca d'Italia»,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi per trovare ogni possibile soluzione e adottare iniziative, anche normative, che dispongano la perdita dei requisiti di professionalità e di onorabilità dei soggetti che hanno svolto funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso banche soggette alla procedura di risoluzione nei cinque anni precedenti al provvedimento di avvio della stessa, per i dieci anni successivi alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento di avvio della risoluzione, impedendo agli stessi di esercitare le loro funzioni anche in istituti diversi da quelli creditizi;
   a prevedere la cancellazione di qualsiasi forma di limitazione alle azioni di responsabilità da parte dei creditori e dei soci nei confronti degli organi di amministrazione e controllo della banche sottoposte a procedura di risoluzione.
9/3444-A/136Baldassarre, Artini, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che:
    l'emendamento del Governo, che ha inserito all'interno della legge di stabilità il cosiddetto decreto salva banche, ha fatto nascere il problema degli investitori nelle banche soggette alla procedura di risoluzione;
    è nata l'esigenza del concedere ristoro ai portatori di obbligazioni subordinate, facendo valere la responsabilità della Banca d'Italia visto che è lei che avrebbe dovuto vigilare sulla stabilità delle banche sottoposte a procedura di risoluzione;
    la Banca d'Italia ha la possibilità di aiutare i titolari di obbligazioni subordinate, dal momento che ogni anno distribuisce ai suoi azionisti centinaia di milioni di euro sotto forma di dividendi, considerando che solamente tra il 2013 e il 2014 ha distribuito dividendi per 720 milioni, senza contare che nel periodo compreso tra il 2004 e il 2014 la Banca d'Italia ha conseguito un utile netto complessivo pari a 12,66 miliardi;
    la legge di stabilità 2016 non prevede una norma che impedisca agli amministratori che hanno portato al dissesto le banche sottoposte a procedura di risoluzione di continuare a svolgere le loro funzioni di amministrazione, direzione o controllo in altri istituti di credito o in enti pubblici;
    non è concepibile che i suddetti amministratori conservino i requisiti di professionalità e di onorabilità stabiliti con regolamento del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica contenuto nel decreto ministeriale 18 marzo 1988 n. 161, né che continuino a rivestire funzioni in alcun ente;
    i suddetti amministratori possono sottrarsi alle azioni di responsabilità, visto che tra le pieghe delle leggi approvate recentemente sembra che si celi una forma di limitazione indiretta all'esercizio delle azioni di responsabilità. La normativa generale sui fallimenti delle società prevede che il curatore che, ai sensi dell'articolo 146 comma 2 l. fall., fa valere la responsabilità verso la società ex articolo 2393 c.c., ha l'onere di dimostrare: l'inadempimento da parte dell'amministratore ai doveri derivanti dalla legge o dall'atto costitutivo, che la società abbia subito un danno e che tale pregiudizio sia la conseguenza diretta ed immediata dell'inadempimento, spettando, invece, all'amministratore la prova che quest'ultimo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile o comunque l'assenza di colpa ex articolo 1218 c.c;
    l'articolo 35 del decreto legislativo n. 180 del 2015 (Effetti della risoluzione) stabilisce, con l'insediamento dei commissari speciali, non soltanto la sospensione dei diritti di voto di coloro che detengono le azioni, ma anche che «L'esercizio dell'azione sociale di responsabilità e di quella dei creditori sociali contro i membri degli organi amministrativi e di controllo e il direttore generale, dell'azione contro il soggetto incaricato della revisione legale dei conti, nonché dell'azione del creditore sociale contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, spetta ai commissari speciali sentito il comitato di sorveglianza, previa autorizzazione della Banca d'Italia. In mancanza di loro nomina, l'esercizio dell'azione spetta al soggetto a tal fine disegnato dalla Banca d'Italia»,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adoperarsi per trovare ogni possibile soluzione e adottare iniziative, anche normative, che dispongano la perdita dei requisiti di professionalità e di onorabilità dei soggetti che hanno svolto funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso banche soggette alla procedura di risoluzione nei cinque anni precedenti al provvedimento di avvio della stessa, per i dieci anni successivi alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento di avvio della risoluzione, impedendo agli stessi di esercitare le loro funzioni anche in istituti diversi da quelli creditizi;
    a valutare l'opportunità di prevedere la cancellazione di qualsiasi forma di limitazione alle azioni di responsabilità da parte dei creditori e dei soci nei confronti degli organi di amministrazione e controllo della banche sottoposte a procedura di risoluzione.
9/3444-A/136. (Testo modificato nel corso della seduta)  Baldassarre, Artini, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che:
    è stata appena approvata una normativa che prevede un sistema di monitoraggio delle attività assistenziali e del livello della loro qualità al fine di verificare casi di disavanzo economico o un mancato rispetto dei parametri stabiliti sui volumi, qualità ed esiti delle cure fornite;
    se una o entrambe le condizioni non sono rispettate è previsto l'obbligo di adozione e di attuazione di un piano di rientro per le aziende sanitarie locali e dei relativi presìdi ospedalieri, nonché degli altri enti pubblici del SSN, individuati da leggi regionali, che eroghino prestazioni di ricovero e cura,

impegna il Governo:

   a consentire, laddove vi sia un difficile accesso alle infrastrutture sanitarie, soprattutto in particolari zone del paese, una specifica garanzia per l'erogazione di cure, concreta attuazione del diritto costituzionale alla salute. Tale diritto è stato fortemente eroso a causa di riduzioni di budget del sistema sanitario. Esso è connotato anche da profonde diseguaglianze regionali e da una accessibilità sempre più ridotta. In considerazione di ciò si chiede la dispensa dell'applicazione della normativa riportata in premessa per la salvaguardia dei soli presìdi sanitari localizzati in zone disagiate o montane e a condizione che non abbiamo altri presìdi ospedalieri in un raggio di 45 minuti raggiungibili solamente tramite mezzi di superficie. Devono inoltre garantire il primo soccorso entro un'ora, dalla località più lontana nel territorio di riferimento, rispetto al presidio ospedaliero stesso;
   l'esclusione dell'applicazione della normativa è richiesta quindi per i soli presidi situati in:
    1) Comuni di aree montane, rurali o insulari;
    2) Comuni di aree con marcata arretratezza economica e con basso livello di benessere;
    3) Comuni caratterizzati da lontananza da grandi centri urbani, con problemi viari e difficoltà di comunicazione;
    4) Comuni che presentino squilibri nella struttura demografica dovuti alla particolare incidenza di popolazione anziana e/o non autosufficiente.
9/3444-A/137Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che:
    è stata appena approvata una normativa che prevede un sistema di monitoraggio delle attività assistenziali e del livello della loro qualità al fine di verificare casi di disavanzo economico o un mancato rispetto dei parametri stabiliti sui volumi, qualità ed esiti delle cure fornite;
    se una o entrambe le condizioni non sono rispettate è previsto l'obbligo di adozione e di attuazione di un piano di rientro per le aziende sanitarie locali e dei relativi presìdi ospedalieri, nonché degli altri enti pubblici del SSN, individuati da leggi regionali, che eroghino prestazioni di ricovero e cura,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di consentire, laddove vi sia un difficile accesso alle infrastrutture sanitarie, soprattutto in particolari zone del paese, una specifica garanzia per l'erogazione di cure, concreta attuazione del diritto costituzionale alla salute. Tale diritto è stato fortemente eroso a causa di riduzioni di budget del sistema sanitario. Esso è connotato anche da profonde diseguaglianze regionali e da una accessibilità sempre più ridotta. In considerazione di ciò si chiede la dispensa dell'applicazione della normativa riportata in premessa per la salvaguardia dei soli presìdi sanitari localizzati in zone disagiate o montane e a condizione che non abbiamo altri presìdi ospedalieri in un raggio di 45 minuti raggiungibili solamente tramite mezzi di superficie. Devono inoltre garantire il primo soccorso entro un'ora, dalla località più lontana nel territorio di riferimento, rispetto al presidio ospedaliero stesso;
   l'esclusione dell'applicazione della normativa è richiesta quindi per i soli presidi situati in:
    1) Comuni di aree montane, rurali o insulari;
    2) Comuni di aree con marcata arretratezza economica e con basso livello di benessere;
    3) Comuni caratterizzati da lontananza da grandi centri urbani, con problemi viari e difficoltà di comunicazione;
    4) Comuni che presentino squilibri nella struttura demografica dovuti alla particolare incidenza di popolazione anziana e/o non autosufficiente.
9/3444-A/137. (Testo modificato nel corso della seduta)  Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento approvato ha previsto un innalzamento della gettito erariale derivante dalle slot machine e dalle videolottery ed una riduzione delle pubblicità su mezzo televisivo e radiofonico, ma senza introdurre un divieto assoluto;
    al fine di rafforzare le misure in grado di ridurre le ludopatie, per aiutare chi ne soffre, poiché la dipendenza dal gioco è una vera e propria malattia che può compromette lo stato di salute fisica e psichica del giocatore, il quale non riesce a uscirne da solo sino a divenire, nei casi più gravi, progressivamente incapace di resistere all'impulso di giocare, a chiedere prestiti a usurai o a fonti illegali, a perdere il lavoro per assenteismo, producendo sofferenza e difficoltà di relazione anche all'interno della famiglia;
    per contrastare il fenomeno del riciclaggio di denaro legato all'uso di apparecchi elettronici che erogano vincite in denaro e alle videolotterie,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di introdurre un'ulteriore normativa per adottare:
    1. appositi sistemi di filtro, richiedenti l'uso di tessera elettronica, tessera sanitaria o qualunque altro sistema fisico di riconoscimento che consenta di tracciare ed individuare il flusso giocatore- giocata-vincita;
    2. l'obbligatorietà di fornire, all'atto di registrazione ai siti di gioco on line le generalità e una scansione di un documento di identità o qualunque altro sistema virtuale di riconoscimento che consenta allo Stato di tracciare ed individuare il flusso giocatore-giocata-vincita;
    3. un sistema di segnalazione volto alla tutela della salute dai danni derivanti dalle ludopatie e di contrasto al riciclaggio di denaro di provenienza illecita;
    4. a prevedere per chi produce, importa, distribuisce o installa in qualunque luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero in circoli e in associazioni di qualunque specie, dalle slot machine e dalle videolottery non rispondenti alle caratteristiche e alle prescrizioni indicate nella legge o comunque modificati in modo da alterarne il funzionamento previsto ovvero sprovvisti dei titoli autorizzatori previsti dalle disposizioni vigenti, è punito con la reclusione e una multa.
9/3444-A/138Pastorino, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco.


   La Camera,
   premesso che:
    l'aumento dell'IVA sul pellet, entrato in vigore il primo gennaio a discapito di ben 2 milioni di famiglie italiane, è stato uno errore del Governo che ha aumentato l'imposta dall'attuale 10 per cento al 22 per cento per questa tipologia di riscaldamento;
    l'errore è stato ammesso dallo stesso Presidente del Consiglio Renzi durante una riunione del Gruppo PD, dichiarazione rivelata dall'AIEL (Associazione Italiana Energie Agroforestali) in una nota stampa, da Enrico Borghi, Presidente dell'Intergruppo Parlamentare per lo Sviluppo della Montagna che sul sito dell'Ucem riporta quanto dichiarato dal premier;
    Domenico Brugnoni, Presidente dell'AIEL, e Marino Berton, direttore generale di AIEL, dichiarano: «Continueremo a batterci affinché l'aumento dell'IVA sul pellet venga cancellato e questa assurda vicenda che penalizza 2 milioni di famiglie italiane sia rapidamente rivista. Chiediamo al Presidente del Consiglio Matteo Renzi di impegnarsi a modificare questo provvedimento coerentemente alle sue ammissioni di errore: «Esprimiamo soddisfazione per questa volontà di correggere il tiro – ha detto Borghi – e chiediamo che la modifica trovi spazio in un provvedimento specifico da adottare con urgenza»;
    la misura contenuta nel provvedimento presentata durante l'esame del Senato, ha inferto un colpo di scure non da poco per quel 21,4 per cento della popolazione italiana che fa uso di legna a fini energetici e che comporta un pagamento di 33-40 euro in più a tonnellata, per un aumento di quasi 60 euro all'anno;
    il pellet è un combustibile prodotto con i residui della lavorazione del legno il cui mercato, ancora di nicchia, è però in forte crescita nel nostro Paese: attualmente sono quasi 2 milioni le stufe a pellet e circa 60mila le caldaie ad uso domestico;
    dato il costo contenuto del prodotto una famiglia grazie all'utilizzo del pellet può arrivare a tagliare in modo significativo le spese di riscaldamento. Proprio per questo motivo l'innalzamento dell'IVA al 22 per cento era stato fortemente criticato. Da qui la scelta di riportarlo alla stesso livello della legna da ardere;
    al Senato era stato già fatto un tentativo per ridurre l'IVA sui pellet, ma l'emendamento che, intervenendo sul Testo Unico in materia di imposta sul valore aggiunto, sopprimeva le parole «esclusi i pellet» dall'elenco dei beni per i quali l'IVA è fissata al 10 per cento, è stato stralciato,

impegna il Governo

a prevedere, anche in provvedimenti normativi, a riportare nuovamente l'IVA sui pellet al 10 per cento o, in alternativa, a valutare l'opportunità di introdurre delle detrazioni fiscali per chi ne documenta l'acquisto finalizzato al riscaldamento di abitazioni ubicate in aree disagiate.
9/3444-A/139Segoni, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che:
    l'aumento dell'IVA sul pellet, entrato in vigore il primo gennaio a discapito di ben 2 milioni di famiglie italiane, è stato uno errore del Governo che ha aumentato l'imposta dall'attuale 10 per cento al 22 per cento per questa tipologia di riscaldamento;
    l'errore è stato ammesso dallo stesso Presidente del Consiglio Renzi durante una riunione del Gruppo PD, dichiarazione rivelata dall'AIEL (Associazione Italiana Energie Agroforestali) in una nota stampa, da Enrico Borghi, Presidente dell'Intergruppo Parlamentare per lo Sviluppo della Montagna che sul sito dell'Ucem riporta quanto dichiarato dal premier;
    Domenico Brugnoni, Presidente dell'AIEL, e Marino Berton, direttore generale di AIEL, dichiarano: «Continueremo a batterci affinché l'aumento dell'IVA sul pellet venga cancellato e questa assurda vicenda che penalizza 2 milioni di famiglie italiane sia rapidamente rivista. Chiediamo al Presidente del Consiglio Matteo Renzi di impegnarsi a modificare questo provvedimento coerentemente alle sue ammissioni di errore: «Esprimiamo soddisfazione per questa volontà di correggere il tiro – ha detto Borghi – e chiediamo che la modifica trovi spazio in un provvedimento specifico da adottare con urgenza»;
    la misura contenuta nel provvedimento presentata durante l'esame del Senato, ha inferto un colpo di scure non da poco per quel 21,4 per cento della popolazione italiana che fa uso di legna a fini energetici e che comporta un pagamento di 33-40 euro in più a tonnellata, per un aumento di quasi 60 euro all'anno;
    il pellet è un combustibile prodotto con i residui della lavorazione del legno il cui mercato, ancora di nicchia, è però in forte crescita nel nostro Paese: attualmente sono quasi 2 milioni le stufe a pellet e circa 60mila le caldaie ad uso domestico;
    dato il costo contenuto del prodotto una famiglia grazie all'utilizzo del pellet può arrivare a tagliare in modo significativo le spese di riscaldamento. Proprio per questo motivo l'innalzamento dell'IVA al 22 per cento era stato fortemente criticato. Da qui la scelta di riportarlo alla stesso livello della legna da ardere;
    al Senato era stato già fatto un tentativo per ridurre l'IVA sui pellet, ma l'emendamento che, intervenendo sul Testo Unico in materia di imposta sul valore aggiunto, sopprimeva le parole «esclusi i pellet» dall'elenco dei beni per i quali l'IVA è fissata al 10 per cento, è stato stralciato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, anche in provvedimenti normativi, a riportare nuovamente l'IVA sui pellet al 10 per cento o, in alternativa, a valutare l'opportunità di introdurre delle detrazioni fiscali per chi ne documenta l'acquisto finalizzato al riscaldamento di abitazioni ubicate in aree disagiate.
9/3444-A/139. (Testo modificato nel corso della seduta)  Segoni, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino.


   La Camera,
   considerato che:
    il provvedimento in esame contiene misure in materia di prospezione e coltivazione di idrocarburi in mare, disponendo il divieto al di sotto delle 12 miglia dalla linea di costa; dispone inoltre il necessario concerto con le regioni per l'approvazione di progetti della stessa natura;
    la misura dà in qualche modo corso alla richiesta di 10 regioni, Basilicata compresa, espressa sotto forma di 6 richieste referendarie il cui iter ha superato il 28 novembre 2015 il vaglio della Corte di Cassazione, di limitare la ricerca petrolifera in mare e di limitare l'accentramento dei poteri decisionali in materia di energia nelle mani Governo;
    l'area jonica con il golfo di Taranto è stata riconosciuta dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale come area prioritaria di conservazione di alto mare e delle acque profonde da candidare come riserva e area protetta ASPIM (area specialmente protetta di interesse mediterraneo, area di protezione e tutela dei cetacei;
    l'intero mar Jonio e il golfo di Taranto custodiscono enormi patrimoni archeologici della Magna Grecia, ancora da riportare alla luce per mancanza di fondi, come documentato nello studio scientifico «Archeomar» del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e le popolazioni che vivono di turismo e di pesca oltre che di agricoltura biologica, lungo le coste ioniche non vogliono che sia messo in pericolo il proprio mare e, al riguardo è in atto una grande mobilitazione di persone e di coscienze;
    il provvedimento in esame contiene altresì misure in favore di Matera designata capitale europea della cultura 2019, evento che rappresenta una occasione imperdibile per la valorizzazione dell'economia dell'intera regione, in particolare per settore del turismo e della pesca che non possono corre il rischio vedere vanificati gli investimenti pubblici e privati, proprio adesso che l'intera filiera inizia a registrare i primi segnali positivi rispetto alla drammatica crisi che si è verificata negli ultimi anni,

impegna il Governo

a valutare, in concorso con le regioni rivierasche, la possibilità di adottare un provvedimento teso a limitare ulteriormente attività di ricerca di idrocarburi nel mar Jonio, mediante la convocazione di un apposito Tavolo di confronto, al fine di ridurre ogni possibile rischio, derivante da queste attività, per l'ambiente marino e per la vocazione economica, agricola e turistica dei territori rivieraschi.
9/3444-A/140Latronico.


   La Camera,
   considerato che:
    nel corso del dibattito in commissione Bilancio, con emendamento del Governo, è stato modificato il comma 24 del provvedimento in esame, sopprimendo «sanatoria», inizialmente contenuta nel ddl stabilità 2016, destinata a rendere valide le delibere Imu e Tasi adottate in ritardo dagli enti locali; la norma prevedeva le delibere adottate in ritardo si dovessero considerare valide a condizione che fossero siano state pubblicate sul sito delle Finanze entro il 28 ottobre 2015;
    la regola di riferimento, recata nell'articolo 1, comma 169 della legge 296/2006, è quella secondo cui le delibere in materia di aliquote e tariffe adottate entro il termine di legge previsto per l'approvazione dei bilanci di previsione si applicano dal 1o gennaio dell'anno di riferimento. Per l'anno 2015, la scadenza di legge era il 30 luglio 2015;
    tuttavia ben 844 comuni hanno deliberato fuori tempo massimo rispetto alle scadenze imposte dalla legge; nella nutrita schiera di enti che non hanno rispetto le scadenze ci sono tra l'altro 10 città capoluogo di provincia (Napoli, Avellino, Frosinone, Mantova, Matera, Rieti, Terni, Trieste, Verbania), anche se in taluni casi vengono riconfermate le aliquote dell'anno precedente; questi comuni hanno peraltro rispettato la scadenza relativa alla pubblicazione del sito del Ministero delle finanze;
    la soppressione sopra citata sta ingenerando difficoltà nella predisposizione dei bilancio degli enti locali, che confidavano nel disposto del testo originariamente presentato,

impegna il Governo

a ripristinare la previsione contenuta nel secondo periodo del comma 24 del comma 1 del provvedimento in esame, utilizzando a tal fine il decreto-legge di fine anno contenete le proroghe di legge per l'anno 2016.
9/3444-A/141Fucci.


   La Camera,
   considerato che:
    nel corso del dibattito in commissione Bilancio, con emendamento del Governo, è stato modificato il comma 24 del provvedimento in esame, sopprimendo «sanatoria», inizialmente contenuta nel ddl stabilità 2016, destinata a rendere valide le delibere Imu e Tasi adottate in ritardo dagli enti locali; la norma prevedeva le delibere adottate in ritardo si dovessero considerare valide a condizione che fossero siano state pubblicate sul sito delle Finanze entro il 28 ottobre 2015;
    la regola di riferimento, recata nell'articolo 1, comma 169 della legge 296/2006, è quella secondo cui le delibere in materia di aliquote e tariffe adottate entro il termine di legge previsto per l'approvazione dei bilanci di previsione si applicano dal 1o gennaio dell'anno di riferimento. Per l'anno 2015, la scadenza di legge era il 30 luglio 2015;
    tuttavia ben 844 comuni hanno deliberato fuori tempo massimo rispetto alle scadenze imposte dalla legge; nella nutrita schiera di enti che non hanno rispetto le scadenze ci sono tra l'altro 10 città capoluogo di provincia (Napoli, Avellino, Frosinone, Mantova, Matera, Rieti, Terni, Trieste, Verbania), anche se in taluni casi vengono riconfermate le aliquote dell'anno precedente; questi comuni hanno peraltro rispettato la scadenza relativa alla pubblicazione del sito del Ministero delle finanze;
    la soppressione sopra citata sta ingenerando difficoltà nella predisposizione dei bilancio degli enti locali, che confidavano nel disposto del testo originariamente presentato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di ripristinare la previsione contenuta nel secondo periodo del comma 24 del comma 1 del provvedimento in esame, utilizzando a tal fine il decreto-legge di fine anno contenete le proroghe di legge per l'anno 2016.
9/3444-A/141. (Testo modificato nel corso della seduta)  Fucci.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 13 del decreto-legge n. 201/2011 nel definire come abitazione principale «l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», ovvero, richiedendo il rispetto di entrambe i requisiti – dimora abituale e residenza – affinché un immobile venga riconosciuto quale abitazioni principali non soggetta ad IMU, penalizza fortemente i cittadini italiani residenti all'estero. Tali soggetti, infatti, vivendo stabilmente in un altro Paese, difficilmente potrebbero verificare sia il requisito della dimora abituale, sia quello della residenza anagrafica (in ragione dell'iscrizione all'AIRE),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, compatibilmente con le disponibilità finanziarie e nel rispetto dei vincoli di bilancio, di ripristinare la facoltà per i comuni di considerare direttamente adibita ad abitazione principale l'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) – anche non pensionati –.
9/3444-A/142Giorgio Piccolo, Famiglietti, Cuomo, Battaglia.


   La Camera,
   premesso che:
    i Patti territoriali ed i Contratti d'area sono strumenti di programmazione negoziata introdotti dalla legge n. 662/1996 e oggetto di numerosi interventi da parte del CIPE e del Legislatore; più volte si è intervenuto anche sul termine fissato per l'ultimazione dei programmi agevolati e sull'individuazione dei soggetti responsabili, contribuendo, così, a determinare una notevole dilazione temporale dei procedimenti amministrativi;
    nonostante i citati interventi, permane un'intensa attività di gestione con riferimento ad entrambi gli strumenti – ad oggi risultano non ancora definiti circa 2000 interventi –, resa particolarmente complessa e onerosa dalla presenza nel sistema di attuazione di numerosi soggetti (oltre al Ministero dello sviluppo economico, i soggetti responsabili per i patti territoriali e i responsabili unici per i contratti d'area, nonché gli istituti convenzionati), con responsabilità e compiti che, peraltro, talora si sovrappongono, talora determinano ritardi considerevoli nella chiusura degli interventi agevolati, con conseguente allungamento dei tempi nell'erogazione stessa dei contributi alle imprese beneficiarie,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere ogni iniziativa di competenza volta a:
    promuovere l'adozione di modalità procedurali semplificate, entro un termine di decadenza dal contributo, per la rendicontazione di spesa finale delle imprese agevolate attraverso gli strumenti dei Patti Territoriali ed i Contratti d'Area;
    prevedere la facoltà per il Ministero dello sviluppo economico di avvalersi, ai fini dei controlli sull'attuazione degli interventi agevolati, del Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie della Guardia di finanza;
    consentire la finalizzazione delle risorse finanziarie che si renderanno disponibili a seguito di rinunce, revoche e rideterminazioni dei contributi, sulla base di apposite convenzioni con le Regioni interessate, al finanziamento di progetti pilota di cooperazione interregionale anche volti a promuovere ambienti per la sperimentazione di tecnologie per servizi innovativi.
9/3444-A/143Famiglietti, Giorgio Piccolo, Cuomo.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 339 del presente disegno di legge prevede a titolo di ristoro per le maggiori spese sostenute dagli enti locali della regione Siciliana in relazione all'accoglienza di profughi e rifugiati extracomunitari uno stanziamento di 3 milioni di euro;
    nel corso dell'ultimo anno sono aumentati in maniera esponenziale gli sbarchi di profughi e rifugiati presso il porto di Reggio Calabria così come di Crotone e Corigliano;
    migliaia di persone sono state accolte in queste realtà;
    la Prefettura di Reggio Calabria con il contributo del comune ha predisposto un patto con le associazioni di volontariato per affrontare le operazioni di sbarco;
    è però del tutto evidente che fino ad oggi Reggio Calabria e le altre realtà calabresi interessate da tali fenomeni non sono state adeguatamente riconosciute per gli sforzi sostenuti a partire dall'assenza di misure di ristoro,

impegna il Governo

a prevedere anche per Reggio Calabria e le altre città calabresi interessate la possibilità con apposito provvedimento ministeriale di accedere ai fondi di ristoro per le maggiori spese sostenute per l'accoglienza di profughi e rifugiati extracomunitari.
9/3444-A/144Battaglia.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 339 del presente disegno di legge prevede a titolo di ristoro per le maggiori spese sostenute dagli enti locali della regione Siciliana in relazione all'accoglienza di profughi e rifugiati extracomunitari uno stanziamento di 3 milioni di euro;
    nel corso dell'ultimo anno sono aumentati in maniera esponenziale gli sbarchi di profughi e rifugiati presso il porto di Reggio Calabria così come di Crotone e Corigliano;
    migliaia di persone sono state accolte in queste realtà;
    la Prefettura di Reggio Calabria con il contributo del comune ha predisposto un patto con le associazioni di volontariato per affrontare le operazioni di sbarco;
    è però del tutto evidente che fino ad oggi Reggio Calabria e le altre realtà calabresi interessate da tali fenomeni non sono state adeguatamente riconosciute per gli sforzi sostenuti a partire dall'assenza di misure di ristoro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere anche per Reggio Calabria e le altre città calabresi interessate la possibilità con apposito provvedimento ministeriale di accedere ai fondi di ristoro per le maggiori spese sostenute per l'accoglienza di profughi e rifugiati extracomunitari.
9/3444-A/144. (Testo modificato nel corso della seduta)  Battaglia.


   La Camera,
   premesso che:
    ben 21 Paesi dei 28 membri dell'Unione Europea prevedono nella propria legislazione il congedo di paternità obbligatorio;
    di essi solo 6, oltre all'Italia, prevedono una durata del congedo pari o inferiore alla settimana, vale a dire 7 giorni consecutivi o 5 giorni lavorativi: Belgio, Croazia, Grecia, Lussemburgo, Olanda, Ungheria;
    in oltre la metà dei rimanenti Paesi membri della Unione i congedi di paternità si estendono da 10 giorni, come in Lettonia, fino a 90 giorni in Slovenia;
    il nostro è il solo Paese con un congedo di paternità della durata di un solo giorno, con eventuale aggiunta di altri due se la madre ne consente il trasferimento dal proprio, prevedendo il godimento in modo alternativo;
    l'Italia ha un tasso di occupazione femminile che non raggiunge il 50 per cento, collocandosi stabilmente tra gli ultimi Paesi nella graduatoria dell'Unione;
    l'aumento del tasso di occupazione femminile va incentivato attraverso misure e politiche pro-attive, tra queste il congedo obbligatorio di paternità;
    c’è una stretta relazione positiva tra l'occupazione delle madri e il congedo dei padri: più le madri lavorano più i padri collaborano al lavoro di cura e viceversa, da qui la necessità di incoraggiare una maggiore partecipazione degli uomini alle responsabilità genitoriali, che di riflesso consentirebbe alle donne una maggiore partecipazione al mercato del lavoro e promuoverebbe la genitorialità come scelta condivisa,

impegna il Governo

considerare, tra le misure per favorire l'occupazione femminile, l'introduzione di un congedo di paternità obbligatorio e retribuito di almeno due settimane per incentivare la cura paterna, sostenere materialmente la condivisione della cura fra i genitori, promuovere una maggiore occupazione femminile, allineando il nostro Paese alle legislazioni vigenti nella maggioranza dei Paesi dell'Unione e insieme rispondendo positivamente alle richiesta della stessa Unione in tema di tassi di occupazione femminile e complessiva.
9/3444-A/145Marzano, Locatelli, Paola Boldrini, Mazzoli, Mattiello, Marchetti, Rubinato, Di Salvo, Iacono, Carloni, Rostellato, Cenni, Malisani, Murer, Vezzali, Fabbri, Manzi.


   La Camera,
   premesso che:
    ben 21 Paesi dei 28 membri dell'Unione Europea prevedono nella propria legislazione il congedo di paternità obbligatorio;
    di essi solo 6, oltre all'Italia, prevedono una durata del congedo pari o inferiore alla settimana, vale a dire 7 giorni consecutivi o 5 giorni lavorativi: Belgio, Croazia, Grecia, Lussemburgo, Olanda, Ungheria;
    in oltre la metà dei rimanenti Paesi membri della Unione i congedi di paternità si estendono da 10 giorni, come in Lettonia, fino a 90 giorni in Slovenia;
    il nostro è il solo Paese con un congedo di paternità della durata di un solo giorno, con eventuale aggiunta di altri due se la madre ne consente il trasferimento dal proprio, prevedendo il godimento in modo alternativo;
    l'Italia ha un tasso di occupazione femminile che non raggiunge il 50 per cento, collocandosi stabilmente tra gli ultimi Paesi nella graduatoria dell'Unione;
    l'aumento del tasso di occupazione femminile va incentivato attraverso misure e politiche pro-attive, tra queste il congedo obbligatorio di paternità;
    c’è una stretta relazione positiva tra l'occupazione delle madri e il congedo dei padri: più le madri lavorano più i padri collaborano al lavoro di cura e viceversa, da qui la necessità di incoraggiare una maggiore partecipazione degli uomini alle responsabilità genitoriali, che di riflesso consentirebbe alle donne una maggiore partecipazione al mercato del lavoro e promuoverebbe la genitorialità come scelta condivisa,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di considerare, tra le misure per favorire l'occupazione femminile, l'introduzione di un congedo di paternità obbligatorio e retribuito di almeno due settimane per incentivare la cura paterna, sostenere materialmente la condivisione della cura fra i genitori, promuovere una maggiore occupazione femminile, allineando il nostro Paese alle legislazioni vigenti nella maggioranza dei Paesi dell'Unione e insieme rispondendo positivamente alle richiesta della stessa Unione in tema di tassi di occupazione femminile e complessiva.
9/3444-A/145. (Testo modificato nel corso della seduta)  Marzano, Locatelli, Paola Boldrini, Mazzoli, Mattiello, Marchetti, Rubinato, Di Salvo, Iacono, Carloni, Rostellato, Cenni, Malisani, Murer, Vezzali, Fabbri, Manzi.


   La Camera,
   premesso che:
    partire dal 2009, l'Italia ha drasticamente ridotto il proprio Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) compresi gli aiuti in campo sanitario e più specificamente nel campo della salute materna e infantile, della salute sessuale e riproduttiva e del rafforzamento dei sistemi sanitari;
    fra gli impegni internazionali nel settore della salute materna ed infantile, di fondamentale importanza è la Muskoka Initiative on Maternal, Newborn and Child Health (2010-2015), a cui anche il nostro Paese ha aderito;
    l'iniziativa di Muskoka ha inteso rappresentare il contributo dei Paesi G8 alla Global Strategy for Women's and Children's Health, lanciata a settembre 2010 dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e che oltre 90 Paesi vi hanno aderito;
    l'Italia ha assunto l'impegno di contribuirvi con 75 milioni di dollari per il periodo 2011-2015, da considerare in aggiunta ai già previsti finanziamenti in tema di salute materna ed infantile, partendo dalla base line del 2008;
    nel documento del Ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale (MAECI), dal titolo «G7 - Salute materna e infantile, Muskoka Initiative», si evidenziava «la difficoltà del nostro Paese a rispettare l'impegno assunto, a causa delle più limitate disponibilità di bilancio della Cooperazione allo sviluppo»;
    lo stesso documento indicava che «per l'anno 2014 si prevede comunque una ripresa, dovuta al nuovo contributo italiano al Fondo Globale per la lotta ad AIDS, malaria e tubercolosi» ed infatti a maggio 2014, l'Italia ha erogato 30 milioni di euro (circa 40 milioni di dollari), la prima tranche dei 100 milioni di euro previsti per il triennio 2014-2016 (30 milioni di euro nel 2015 e 40 milioni di euro nel 2016);
    la cooperazione sanitaria, e la cooperazione italiana in generale, dopo un periodo di tagli, sta lentamente riprendendo una dimensione internazionale che è consona al ruolo che il nostro Paese ha sempre svolto in tema di cooperazione internazionale,

impegna il Governo

nel quadro degli adempimenti connessi alla Presidenza italiana del Vertice G7, per il triennio 2016-2018, ad autorizzare lo stanziamento di 15 milioni di euro aggiuntivi a decorrere dall'anno 2016, finalizzato al finanziamento della partecipazione italiana alla Global Strategy for Women's and Children's Health.
9/3444-A/146Locatelli, Zampa, Quartapelle Procopio, Garavini, Picchi, Alli, Rabino, Fitzgerald Nissoli, Cirielli, Manzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il presente disegno di legge prevede la predisposizione di un programma di intervento straordinario per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia;
    si tratta di un importante misura finalizzata al recupero di importanti aree spesso con una rilevante densità demografica e molto problematiche dal punto di vista sociale;
    suddetta misura assume ancora maggiore rilevanza nell'ambito delle politiche di rilancio del Mezzogiorno e dei programmi finanziati mediante risorse comunitarie,

impegna il Governo

a promuovere di concerto con le Università del Mezzogiorno un concorso di idee da effettuarsi nei termini previsti dalle disposizioni attuative per sperimentare forme innovative di recupero urbano e sociale nelle città capoluogo del Mezzogiorno, con il coinvolgimento di enti locali e mondo dell'associazionismo.
9/3444-A/147Covello.


   La Camera,
   premesso che:
    il presente disegno di legge prevede la predisposizione di un programma di intervento straordinario per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia;
    si tratta di un importante misura finalizzata al recupero di importanti aree spesso con una rilevante densità demografica e molto problematiche dal punto di vista sociale;
    suddetta misura assume ancora maggiore rilevanza nell'ambito delle politiche di rilancio del Mezzogiorno e dei programmi finanziati mediante risorse comunitarie,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di promuovere di concerto con le Università del Mezzogiorno un concorso di idee da effettuarsi nei termini previsti dalle disposizioni attuative per sperimentare forme innovative di recupero urbano e sociale nelle città capoluogo del Mezzogiorno, con il coinvolgimento di enti locali e mondo dell'associazionismo.
9/3444-A/147. (Testo modificato nel corso della seduta)  Covello.


   La Camera,
   premesso che:
    la tratta ferroviaria Montello-Ponte San Pietro in provincia di Bergamo costituisce una tratta intermedia della linea Brescia-Lecco via Bergamo;
    tramite raddoppio in sede della tratta Montello-Ponte si può realizzare un servizio metropolitano di superficie in area a forte domanda di trasporto, con interscambi nella stazione di Bergamo. Il suddetto raddoppio può costituire un importante servizio per l'intera comunità bergamasca;
    da tempo sono in corso incontri tecnici con RFI che ha riconosciuto la validità dell'intera operazione e soprattutto la sua fattibilità tecnica relativamente al sedime necessario per lo stesso raddoppio;
    realizzato il raddoppio in questione, la società Trenord garantirà con impegno, già nella fase progettuale dell'opera, un servizio metropolitano con frequenza a cadenza compresa tra i 15 e 30 minuti;
    questo intervento è quanto più necessario constatata l'attuale inadeguatezza dei collegamenti ferroviari Brescia-Bergamo e soprattutto la mancanza di efficaci interscambi da e per Milano;
    l'opera nel suo complesso sarà fondamentale per:
     1. alleggerire dal traffico automobilistico il nodo di Bergamo;
     2. migliorare l'interscambio ferroviario tra flussi di viaggiatori tra la zona est e ovest della provincia;
     3. ottimizzare finalmente il collegamento tra il bacino est della Provincia con Milano centrale e da qui come hub con la linea Alta Velocità;
    la Regione Lombardia, la Provincia e il Comune di Bergamo nonché i Comuni bergamaschi interessati hanno già evidenziato al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e all'amministratore delegato di RFI, in più occasioni e con idonea documentazione, la necessità di procedere alla realizzazione di questa infrastruttura,

impegna il Governo

ad adottare tutte le iniziative di competenza, anche sotto il profilo degli impegni di natura finanziaria, al fine di garantire la realizzazione del raddoppio della tratta ferroviaria Montello-Ponte San Pietro.
9/3444-A/148Sanga, Carnevali, Giuseppe Guerini, Misiani.


   La Camera,
   premesso che:
    la tratta ferroviaria Montello-Ponte San Pietro in provincia di Bergamo costituisce una tratta intermedia della linea Brescia-Lecco via Bergamo;
    tramite raddoppio in sede della tratta Montello-Ponte si può realizzare un servizio metropolitano di superficie in area a forte domanda di trasporto, con interscambi nella stazione di Bergamo. Il suddetto raddoppio può costituire un importante servizio per l'intera comunità bergamasca;
    da tempo sono in corso incontri tecnici con RFI che ha riconosciuto la validità dell'intera operazione e soprattutto la sua fattibilità tecnica relativamente al sedime necessario per lo stesso raddoppio;
    realizzato il raddoppio in questione, la società Trenord garantirà con impegno, già nella fase progettuale dell'opera, un servizio metropolitano con frequenza a cadenza compresa tra i 15 e 30 minuti;
    questo intervento è quanto più necessario constatata l'attuale inadeguatezza dei collegamenti ferroviari Brescia-Bergamo e soprattutto la mancanza di efficaci interscambi da e per Milano;
    l'opera nel suo complesso sarà fondamentale per:
     1. alleggerire dal traffico automobilistico il nodo di Bergamo;
     2. migliorare l'interscambio ferroviario tra flussi di viaggiatori tra la zona est e ovest della provincia;
     3. ottimizzare finalmente il collegamento tra il bacino est della Provincia con Milano centrale e da qui come hub con la linea Alta Velocità;
    la Regione Lombardia, la Provincia e il Comune di Bergamo nonché i Comuni bergamaschi interessati hanno già evidenziato al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e all'amministratore delegato di RFI, in più occasioni e con idonea documentazione, la necessità di procedere alla realizzazione di questa infrastruttura,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare tutte le iniziative di competenza, anche sotto il profilo degli impegni di natura finanziaria, al fine di garantire la realizzazione del raddoppio della tratta ferroviaria Montello-Ponte San Pietro.
9/3444-A/148. (Testo modificato nel corso della seduta)  Sanga, Carnevali, Giuseppe Guerini, Misiani.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, ai commi da 515 fino a 523-bis, prevede modifiche alla disciplina fiscale applicabile al settore agricolo;
    l'articolo 9, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, prevedeva che nei territori montani, come definiti al comma 1 del medesimo articolo, i trasferimenti di proprietà a qualsiasi titolo di fondi rustici, fatti a scopo di arrotondamento o di accorpamento di proprietà diretto-coltivatrici, singole o associate, fossero soggetti alle imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa e esenti dalle imposte catastali. Le stesse agevolazioni sono previste anche a favore delle cooperative agricole che conducono direttamente i terreni;
    l'articolo 10 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, ha soppresso, a partire dal 1o gennaio 2014, tutte le esenzioni e agevolazioni tributarie relative agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, anche se previste da leggi speciali;
    tra le agevolazioni soppresse rientra quindi anche quella di cui l'articolo 9, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, con la conseguenza che ai trasferimenti dei terreni agricoli effettuati da agricoltori o imprenditori agricoli non iscritti nella previdenza agricola e situati nei territori montani, si applica la stessa tassazione unica dei trasferimenti immobiliari, ovvero l'imposta di registro al 12 per cento del valore del bene;
    il comma 515 del provvedimento al nostro esame, ha ulteriormente innalzato dal 12 al 15 per cento l'aliquota relativa ai trasferimenti aventi ad oggetto i terreni agricoli e relative pertinenze di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, rendendo ancora più pesante l'onere del trasferimento;
    con vari provvedimenti legislativi è stata esclusa la soppressione di alcune agevolazioni fiscali previste, tra le quali figura anche quella relativa alla piccola proprietà contadina, di cui all'articolo 2, comma 4-bis, del decreto-legge n. 194 del 2009;
    il ripristino di quest'ultima agevolazione, per quanto sia stato un segnale positivo, non è risultato sufficiente perché limita la possibilità di accedere ai benefici a coloro che sono iscritti nella gestione previdenziale e assistenziale agricola, escludendo una parte significativa degli agricoltori, in particolare nelle zone montane;
    nei territori montani le imprese agricole sono quasi tutte imprese di piccole o piccolissime dimensioni. I contadini per poter sopravvivere e garantire il mantenimento e gli investimenti necessari alla prosecuzione delle attività agricole sono costretti a svolgere un'altra attività in settori diversi dall'agricoltura, come ad esempio quello turistico o quello dell'industria e artigianato. Questo comporta l'impossibilità di usufruire delle agevolazioni previste dalla piccola proprietà contadina rendendo quindi insostenibile l'onere economico dell'acquisizione dei terreni agricoli;
    per non danneggiare ulteriormente l'agricoltura nelle zone montane e, in particolare l'occupazione giovanile in tale settore, risulta pertanto fondamentale il ripristino anche dell'agevolazione di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601,

impegna il Governo

a ripristinare le agevolazioni fiscali di cui l'articolo 9, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601.
9/3444-A/149Schullian, Gebhard, Alfreider, Plangger, Ottobre, Marguerettaz.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, ai commi da 515 fino a 523-bis, prevede modifiche alla disciplina fiscale applicabile al settore agricolo;
    l'articolo 9, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, prevedeva che nei territori montani, come definiti al comma 1 del medesimo articolo, i trasferimenti di proprietà a qualsiasi titolo di fondi rustici, fatti a scopo di arrotondamento o di accorpamento di proprietà diretto-coltivatrici, singole o associate, fossero soggetti alle imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa e esenti dalle imposte catastali. Le stesse agevolazioni sono previste anche a favore delle cooperative agricole che conducono direttamente i terreni;
    l'articolo 10 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, ha soppresso, a partire dal 1o gennaio 2014, tutte le esenzioni e agevolazioni tributarie relative agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, anche se previste da leggi speciali;
    tra le agevolazioni soppresse rientra quindi anche quella di cui l'articolo 9, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, con la conseguenza che ai trasferimenti dei terreni agricoli effettuati da agricoltori o imprenditori agricoli non iscritti nella previdenza agricola e situati nei territori montani, si applica la stessa tassazione unica dei trasferimenti immobiliari, ovvero l'imposta di registro al 12 per cento del valore del bene;
    il comma 515 del provvedimento al nostro esame, ha ulteriormente innalzato dal 12 al 15 per cento l'aliquota relativa ai trasferimenti aventi ad oggetto i terreni agricoli e relative pertinenze di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, rendendo ancora più pesante l'onere del trasferimento;
    con vari provvedimenti legislativi è stata esclusa la soppressione di alcune agevolazioni fiscali previste, tra le quali figura anche quella relativa alla piccola proprietà contadina, di cui all'articolo 2, comma 4-bis, del decreto-legge n. 194 del 2009;
    il ripristino di quest'ultima agevolazione, per quanto sia stato un segnale positivo, non è risultato sufficiente perché limita la possibilità di accedere ai benefici a coloro che sono iscritti nella gestione previdenziale e assistenziale agricola, escludendo una parte significativa degli agricoltori, in particolare nelle zone montane;
    nei territori montani le imprese agricole sono quasi tutte imprese di piccole o piccolissime dimensioni. I contadini per poter sopravvivere e garantire il mantenimento e gli investimenti necessari alla prosecuzione delle attività agricole sono costretti a svolgere un'altra attività in settori diversi dall'agricoltura, come ad esempio quello turistico o quello dell'industria e artigianato. Questo comporta l'impossibilità di usufruire delle agevolazioni previste dalla piccola proprietà contadina rendendo quindi insostenibile l'onere economico dell'acquisizione dei terreni agricoli;
    per non danneggiare ulteriormente l'agricoltura nelle zone montane e, in particolare l'occupazione giovanile in tale settore, risulta pertanto fondamentale il ripristino anche dell'agevolazione di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di ripristinare le agevolazioni fiscali di cui l'articolo 9, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601.
9/3444-A/149. (Testo modificato nel corso della seduta)  Schullian, Gebhard, Alfreider, Plangger, Ottobre, Marguerettaz.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di Stabilità 2016 prevede, per tutti gli acquisti di beni produttivi nuovi dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, una deduzione extracontabile del 40 per cento da aggiungere alle quote ordinarie di ammortamento ripartita in modo lineare sulla vita utile del bene. La deduzione extra corrisponderà al 40 per cento del costo sostenuto per investimenti in beni ammortizzabili, con un ampio spettro che va dai robot per l'automazione ai pc sostanzialmente escludendo solo gli immobili (fabbricati e capannoni). Il beneficio si applica tanto alle imprese, quanto ai professionisti. Tali soggetti, quindi, potranno maggiorare le ordinarie quote di ammortamento di un importo pari al 40 per cento, arrivando così a dedurre, al termine del periodo, il 140 per cento del prezzo di acquisto;
    considerato che la sopravvivenza delle imprese italiane, soprattutto quelle di dimensioni più piccole che rappresentano oltre il 93 per cento del tessuto produttivo, dipende molto dalla capacità di automatizzare e digitalizzare i processi di produzione e che le imprese dovranno quindi implementare non solo nella produzione ma anche nella gestione organizzativa, strumenti tra loro integrati e interconnessi attraverso la rete;
    rilevato che si pone una questione di accesso alle tecnologie, ma anche di implementazione e gestione di esse: solo le grandi imprese italiane e poche Pmi hanno saputo cogliere la sfida della così detta Industria 4.0, automatizzando i propri processi produttivi e gestionali, ottenendo risultati positivi in termini di produttività, di occupazione e di contributo fiscale, oltre che di innovazione,

impegna il Governo

a intervenire al più presto per incentivare maggiormente gli investimenti in beni materiali strumentali nuovi, integrati e interconnessi, prevedendo nei prossimi provvedimenti misure che aumentino il valore dell'ammortamento nel caso in cui i beni acquistati siano interconnessi tra di loro attraverso una rete e in grado di generare uno scambio di dati e prevedendo un'estensione dello sconto agli oneri pluriennali da sostenere purché in grado di aumentare il livello di efficienza o di flessibilità aziendale in termini di automazione, miglioramento competitivo, miglioramento delle condizioni di sicurezza e tutela ambientale.
9/3444-A/150Basso, Bruno Bossio, Bargero, Giorgis, Quintarelli, Lodolini, Coppola, Turco, Benamati.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di Stabilità 2016 prevede, per tutti gli acquisti di beni produttivi nuovi dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, una deduzione extracontabile del 40 per cento da aggiungere alle quote ordinarie di ammortamento ripartita in modo lineare sulla vita utile del bene. La deduzione extra corrisponderà al 40 per cento del costo sostenuto per investimenti in beni ammortizzabili, con un ampio spettro che va dai robot per l'automazione ai pc sostanzialmente escludendo solo gli immobili (fabbricati e capannoni). Il beneficio si applica tanto alle imprese, quanto ai professionisti. Tali soggetti, quindi, potranno maggiorare le ordinarie quote di ammortamento di un importo pari al 40 per cento, arrivando così a dedurre, al termine del periodo, il 140 per cento del prezzo di acquisto;
    considerato che la sopravvivenza delle imprese italiane, soprattutto quelle di dimensioni più piccole che rappresentano oltre il 93 per cento del tessuto produttivo, dipende molto dalla capacità di automatizzare e digitalizzare i processi di produzione e che le imprese dovranno quindi implementare non solo nella produzione ma anche nella gestione organizzativa, strumenti tra loro integrati e interconnessi attraverso la rete;
    rilevato che si pone una questione di accesso alle tecnologie, ma anche di implementazione e gestione di esse: solo le grandi imprese italiane e poche Pmi hanno saputo cogliere la sfida della così detta Industria 4.0, automatizzando i propri processi produttivi e gestionali, ottenendo risultati positivi in termini di produttività, di occupazione e di contributo fiscale, oltre che di innovazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire al più presto per incentivare maggiormente gli investimenti in beni materiali strumentali nuovi, integrati e interconnessi, prevedendo nei prossimi provvedimenti misure che aumentino il valore dell'ammortamento nel caso in cui i beni acquistati siano interconnessi tra di loro attraverso una rete e in grado di generare uno scambio di dati e prevedendo un'estensione dello sconto agli oneri pluriennali da sostenere purché in grado di aumentare il livello di efficienza o di flessibilità aziendale in termini di automazione, miglioramento competitivo, miglioramento delle condizioni di sicurezza e tutela ambientale.
9/3444-A/150. (Testo modificato nel corso della seduta) Basso, Bruno Bossio, Bargero, Giorgis, Quintarelli, Lodolini, Coppola, Turco, Benamati.


   La Camera,
   premesso che:
    le zone della fascia confinaria della regione Friuli Venezia Giulia subiscono un grave danno socio economico dall'attuazione di più efficaci politiche di semplificazione amministrativa, burocratica e fiscale da parte dei Paesi confinanti;
    i benefici riconosciuti oltreconfine, in riferimento alle imposte sulle accise, al costo del lavoro, ai differenziali più favorevoli del costo della vita e dei servizi e, più in generale, all'adozione di politiche che stimolano la nascita di nuove figure imprenditoriali e l'inserimento nel mondo del lavoro dei giovani, rappresentano dei fattori concorrenziali ai quali le aziende regionali non hanno alcuna possibilità di far fronte, oltre a costituire delle vere e proprie opportunità di sviluppo per le aziende italiane che volessero intraprendere una progressiva delocalizzazione produttiva oltre confine;
    gli effetti sul territorio di queste evidenti disparità sono devastanti, generando nel medio e lungo periodo un depauperamento di risorse economiche ed occupazionali, con evidenti ricadute negative sull'economia territoriale del Friuli Venezia Giulia e, più in generale, dell'intero Paese;
    risulta necessario interrompere il fenomeno legato alla costante delocalizzazione e permettere alla aziende regionali di potersi confrontare ad armi pari con i concorrenti sloveni e austriaci,

impegna il Governo

a promuovere e sostenere lo sviluppo dell'economia e dell'occupazione locale attraverso un'organica azione di difesa e di sostegno del tessuto produttivo che interessa le fasce di confine della regione Friuli Venezia Giulia.
9/3444-A/151Prodani, Rizzetto.


   La Camera,
   premesso che:
    le zone della fascia confinaria della regione Friuli Venezia Giulia subiscono un grave danno socio economico dall'attuazione di più efficaci politiche di semplificazione amministrativa, burocratica e fiscale da parte dei Paesi confinanti;
    i benefici riconosciuti oltreconfine, in riferimento alle imposte sulle accise, al costo del lavoro, ai differenziali più favorevoli del costo della vita e dei servizi e, più in generale, all'adozione di politiche che stimolano la nascita di nuove figure imprenditoriali e l'inserimento nel mondo del lavoro dei giovani, rappresentano dei fattori concorrenziali ai quali le aziende regionali non hanno alcuna possibilità di far fronte, oltre a costituire delle vere e proprie opportunità di sviluppo per le aziende italiane che volessero intraprendere una progressiva delocalizzazione produttiva oltre confine;
    gli effetti sul territorio di queste evidenti disparità sono devastanti, generando nel medio e lungo periodo un depauperamento di risorse economiche ed occupazionali, con evidenti ricadute negative sull'economia territoriale del Friuli Venezia Giulia e, più in generale, dell'intero Paese;
    risulta necessario interrompere il fenomeno legato alla costante delocalizzazione e permettere alla aziende regionali di potersi confrontare ad armi pari con i concorrenti sloveni e austriaci,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di promuovere e sostenere lo sviluppo dell'economia e dell'occupazione locale attraverso un'organica azione di difesa e di sostegno del tessuto produttivo che interessa le fasce di confine della regione Friuli Venezia Giulia.
9/3444-A/151. (Testo modificato nel corso della seduta)  Prodani, Rizzetto.


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese, i permessi e le autorizzazioni per la ricerca e la coltivazione di idrocarburi, sia sulla terraferma che in mare, sono in sensibile costante aumento;
    alcune delle norme del provvedimento riguardanti la ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi – c.d. attività upstream –, compreso lo stoccaggio del gas, non convincono affatto. Per esempio l'abrogazione del Piano delle aree in cui sono consentite le c.d. attività upstream, che era previsto dal decreto Sblocca Italia, recepisce di fatto quanto chiedono da tempo, per esempio, le compagnie minerarie circa la «semplificazione» degli iter burocratici di autorizzazione presso i ministeri, scongiurando che le autorizzazioni possano essere «riviste» alla luce del Piano delle Aree o limitare attività petrolifere future in Italia;
    il Governo comunque, con l'approvazione delle suddette norme, ha voluto in buona parte «neutralizzare» l'abrogazione in toto dell'articolo 38, chiesta dai referendum delle regioni, sui quali la Corte Costituzionale si pronuncerà nei prossimi mesi;
    mentre è certamente l'Adriatico l'area di mare maggiormente interessata da coltivazioni petrolifere e richieste di nuovi permessi e concessioni, per quanto riguarda la ricerca e l'estrazione in terraferma, la regione Basilicata è tra quella che paga il prezzo più alto in termini di impatto ambientale e di salvaguardia dei propri territori;
    da circa 20 anni la Basilicata offre un apporto significativo all'Italia, contribuendo per circa il 7 per cento del fabbisogno energetico nazionale subendo inevitabilmente tutti i «disagi» connessi alle estrazioni petrolifere;
    in questo ambito, è indispensabile che Stato e regioni si facciano garanti di un approvvigionamento energetico compatibile con l'ambiente e di un adeguato equilibrio territoriale e nei limiti consentiti dalle caratteristiche fisiche e geografiche di ciascuna regione;
    sotto questo aspetto vale rammentare che l'articolo 6, comma 2, della direttiva 94/22/CE in materia di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, prevede che «gli Stati membri, se così giustificato da motivi di (...) pubblica sanità, sicurezza dei trasporti, protezione dell'ambiente, tutela di risorse biologiche e del patrimonio nazionale avente valore artistico, storico o archeologico, sicurezza degli impianti e degli addetti, gestione pianificata di risorse di idrocarburi (ad esempio, tasso di sfruttamento degli idrocarburi o ottimizzazione del loro recupero) o dalla necessità di garantire un gettito fiscale, possono stabilire condizioni e requisiti per l'esercizio delle attività»,

impegna il Governo:

   a individuare, d'intesa con le regioni, condizioni e limiti per l'esercizio delle attività di stoccaggio, prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in mare e sulla terraferma, prevedendo per quest'ultimo caso, l'individuazione e la delimitazione delle aree nelle quali svolgere tali attività per ciascuna regione;
   a ricercare, riguardo alla disciplina delle attività suddette, nel rispetto del principio di leale collaborazione, il conseguimento delle «intese forti» tra Stato e regioni, come statuito e ritenuto necessario dalla stessa Corte Costituzionale;
   a implementare, di concerto con le regioni interessate dalle medesime attività, e con il contributo delle Agenzie regionali per l'ambiente, delle università e degli enti di ricerca presenti sul territorio regionale, la riorganizzazione dei sistemi di controllo e monitoraggio ambientale e della sicurezza.
9/3444-A/152Folino, Placido, Melilla, Zaratti, Pellegrino, Ricciatti, Ferrara, Duranti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124 ha disposto il passaggio allo Stato del personale dipendente dagli Enti locali, che – all'atto dell'entrata in vigore della legge – svolgeva attività di carattere amministrativo, tecnico od ausiliario nelle scuole, oltre a detto personale sono transitati al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca anche i contratti intercorrenti tra tali Enti ed i lavoratori da essi utilizzati come LSU nelle scuole in compiti di carattere amministrativo e tecnico con contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
    il personale interessato, pari attualmente a circa 928 unità, si trova col medesimo trattamento economico iniziale, ancora in posizione di Co.co.co, in regime di proroga e con un servizio ininterrotto prestato nella scuola da oltre 14 anni risalendo i rispettivi contratti quanto meno all'entrata in vigore della suindicata legge 124/1999;
    che il costo complessivo della stabilizzazione full time al lordo dipendente, per singolo esercizio finanziario, è pari a 928 * 19.945,36 euro (retribuzione annuale, calcolata su tredici mensilità, di un assistente amministrativo con anzianità da 9 a 14 anni) + 928 * 774 euro (importo del compenso accessorio individuale calcolato su 12 mensilità) = 18.509.294,08 + 718.272 euro = 19.227.566,08 euro. Il costo complessivo al lordo Stato è quindi pari a 19.227.566,08 euro 1,3838 = 26.607.105,94 euro;
    considerato che la stabilizzazione è da prevedere part time al 50 per cento dell'orario di lavoro, a fronte dell'attuale rapporto di 2 lavoratori socialmente utili per ogni posto in organico accantonato dalla singola istituzione scolastica il costo complessivo della stabilizzazione, in base alla norma in questione, è pari a 26.607.105,94 euro: 2 e, cioè, a 13.303.552,97 euro;
    che agli oneri derivanti dalla presente norma si farà fronte mediante una corrispondente e stabile riduzione degli stanziamenti iscritti sui fondi denominati «Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche» di cui all'articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e, pertanto, senza nuovi oneri a carico dell'erario;
    che la quota complessivamente disponibile rimodulata per il Fondo delle istituzioni scolastiche pari a euro 507.478.266,00 è assegnata alle istituzioni scolastiche ed educative statali sulla base di diversi parametri;
    la Corte di giustizia europea invocando l'abuso di precariato adottato da troppi anni in Italia nei confronti di chi ha svolto più di 36 mesi di servizio in violazione della normativa europea in materia;
    considerato che la stessa pubblica amministrazione (Enti locali, Stato, Regione, etc.) ancora oggi mantiene tale tipologia contrattuale per circa cinquemila unità, pur lavorando alle dipendenze della stessa pubblica amministrazione la cui natura e modalità di esecuzione dell'attività lavorativa, per la gran parte di questi contratti, non lascia dubbi che si tratti di lavoro dipendente subordinato;
    che l'articolo 1, comma 7, lettere a) e b), del Jobs Act prevede: entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, il superamento delle forme contrattuali di precariato in essere (Co.co.co. e Co.co.pro.), attraverso decreti legislativi, nel rispetto dei principi e criteri direttivi che tengano altresì conto degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell'Unione europea in materia di occupazione;
    che il decreto legislativo ha previsto la trasformazione di dette tipologie contrattuali entro il 2016;
    considerato che a detta trasformazione/stabilizzazione non conseguirà alcun incremento d'organico, atteso che la stessa sarà effettuata solo sui posti già accantonati per tali finalità al 31.12.2015 n. posti 522;
    che è fine prioritario quello di assicurare la prosecuzione della puntuale offerta del servizio scolastico nelle scuole coinvolte, con la stabile e definitiva regolamentazione della posizione giuridica del personale in esse operante - ponendosi come consolidamento di situazioni in atto su posto part time, atteso che l'attuale congelamento del 50 per cento del corrispondente organico in presenza di lavoratori Co.co.co già comporta che ciascuno di essi pesi sulla metà di un posto;
    la nuova riforma della scuola che vuole valorizzare e realizzare il principio di autonomia degli istituti non può prescindere da una efficiente struttura tecnico amministrativa a supporto di un nuovo modello di gestione capace di affrontare la sfida del rinnovamento;
    accertato che la mancata stabilizzazione del suddetto personale ha generato un contenzioso legale nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con udienze già fissate a partire dal prossimo 12 gennaio 2016;
    che detto contenzioso in linea con la giurisprudenza europea verosimilmente vedrà condannare il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a riconoscere la natura giuridica del rapporto del rapporto di lavoro nonché l'obbligo all'immissione in ruolo nei posti vacanti all'uopo accantonati con conseguente aggravio di spese a danno dell'erario;
    al fine anticipare l'esito del contenzioso evitando di soccombere al giudicato che comporterebbe ingenti costi per la pubblica amministrazione,

impegna il Governo

in attuazione dell'articolo 1, comma 7, lettere a) e b), del Jobs Act a procedere alla trasformazione dei contratti (Co.co.co., Co.co.pro) del personale ATA amministrativo, instaurati alla data di entrata in vigore della presente legge con il Ministero Pubblica Istruzione, in rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato con la conseguente stabilizzazione nei ruoli, nei limiti dei posti all'uopo accantonati ai sensi del DM 66/2001.
9/3444-A/153Ribaudo, Culotta, Ventricelli, Moscatt, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124 ha disposto il passaggio allo Stato del personale dipendente dagli Enti locali, che – all'atto dell'entrata in vigore della legge – svolgeva attività di carattere amministrativo, tecnico od ausiliario nelle scuole, oltre a detto personale sono transitati al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca anche i contratti intercorrenti tra tali Enti ed i lavoratori da essi utilizzati come LSU nelle scuole in compiti di carattere amministrativo e tecnico con contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
    il personale interessato, pari attualmente a circa 928 unità, si trova col medesimo trattamento economico iniziale, ancora in posizione di Co.co.co, in regime di proroga e con un servizio ininterrotto prestato nella scuola da oltre 14 anni risalendo i rispettivi contratti quanto meno all'entrata in vigore della suindicata legge 124/1999;
    che il costo complessivo della stabilizzazione full time al lordo dipendente, per singolo esercizio finanziario, è pari a 928 * 19.945,36 euro (retribuzione annuale, calcolata su tredici mensilità, di un assistente amministrativo con anzianità da 9 a 14 anni) + 928 * 774 euro (importo del compenso accessorio individuale calcolato su 12 mensilità) = 18.509.294,08 + 718.272 euro = 19.227.566,08 euro. Il costo complessivo al lordo Stato è quindi pari a 19.227.566,08 euro 1,3838 = 26.607.105,94 euro;
    considerato che la stabilizzazione è da prevedere part time al 50 per cento dell'orario di lavoro, a fronte dell'attuale rapporto di 2 lavoratori socialmente utili per ogni posto in organico accantonato dalla singola istituzione scolastica il costo complessivo della stabilizzazione, in base alla norma in questione, è pari a 26.607.105,94 euro: 2 e, cioè, a 13.303.552,97 euro;
    che agli oneri derivanti dalla presente norma si farà fronte mediante una corrispondente e stabile riduzione degli stanziamenti iscritti sui fondi denominati «Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche» di cui all'articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e, pertanto, senza nuovi oneri a carico dell'erario;
    che la quota complessivamente disponibile rimodulata per il Fondo delle istituzioni scolastiche pari a euro 507.478.266,00 è assegnata alle istituzioni scolastiche ed educative statali sulla base di diversi parametri;
    la Corte di giustizia europea invocando l'abuso di precariato adottato da troppi anni in Italia nei confronti di chi ha svolto più di 36 mesi di servizio in violazione della normativa europea in materia;
    considerato che la stessa pubblica amministrazione (Enti locali, Stato, Regione, etc.) ancora oggi mantiene tale tipologia contrattuale per circa cinquemila unità, pur lavorando alle dipendenze della stessa pubblica amministrazione la cui natura e modalità di esecuzione dell'attività lavorativa, per la gran parte di questi contratti, non lascia dubbi che si tratti di lavoro dipendente subordinato;
    che l'articolo 1, comma 7, lettere a) e b), del Jobs Act prevede: entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, il superamento delle forme contrattuali di precariato in essere (Co.co.co. e Co.co.pro.), attraverso decreti legislativi, nel rispetto dei principi e criteri direttivi che tengano altresì conto degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell'Unione europea in materia di occupazione;
    che il decreto legislativo ha previsto la trasformazione di dette tipologie contrattuali entro il 2016;
    considerato che a detta trasformazione/stabilizzazione non conseguirà alcun incremento d'organico, atteso che la stessa sarà effettuata solo sui posti già accantonati per tali finalità al 31.12.2015 n. posti 522;
    che è fine prioritario quello di assicurare la prosecuzione della puntuale offerta del servizio scolastico nelle scuole coinvolte, con la stabile e definitiva regolamentazione della posizione giuridica del personale in esse operante - ponendosi come consolidamento di situazioni in atto su posto part time, atteso che l'attuale congelamento del 50 per cento del corrispondente organico in presenza di lavoratori Co.co.co già comporta che ciascuno di essi pesi sulla metà di un posto;
    la nuova riforma della scuola che vuole valorizzare e realizzare il principio di autonomia degli istituti non può prescindere da una efficiente struttura tecnico amministrativa a supporto di un nuovo modello di gestione capace di affrontare la sfida del rinnovamento;
    accertato che la mancata stabilizzazione del suddetto personale ha generato un contenzioso legale nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con udienze già fissate a partire dal prossimo 12 gennaio 2016;
    che detto contenzioso in linea con la giurisprudenza europea verosimilmente vedrà condannare il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a riconoscere la natura giuridica del rapporto del rapporto di lavoro nonché l'obbligo all'immissione in ruolo nei posti vacanti all'uopo accantonati con conseguente aggravio di spese a danno dell'erario;
    al fine anticipare l'esito del contenzioso evitando di soccombere al giudicato che comporterebbe ingenti costi per la pubblica amministrazione,

impegna il Governo

in attuazione dell'articolo 1, comma 7, lettere a) e b), del Jobs Act a valutare l'opportunità di procedere alla trasformazione dei contratti (Co.co.co., Co.co.pro) del personale ATA amministrativo, instaurati alla data di entrata in vigore della presente legge con il Ministero Pubblica Istruzione, in rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato con la conseguente stabilizzazione nei ruoli, nei limiti dei posti all'uopo accantonati ai sensi del DM 66/2001.
9/3444-A/153. (Testo modificato nel corso della seduta)  Ribaudo, Culotta, Ventricelli, Moscatt, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    sabato 12 dicembre si è conclusa a Parigi la XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) con la firma di uno storico accordo globale sul clima, giuridicamente vincolante, che impegna 195 paesi a contenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2oC rispetto ai livelli precedenti la rivoluzione industriale e, ancora più importante, a proseguire gli sforzi per limitare l'aumento della temperatura a 1,5 gradi;
    per raggiungere questo obiettivo necessario e ambizioso, è indispensabile rafforzare nel tempo l'impegno che i singoli stati hanno dato con i propri contributi nazionali (Incics – Intended nationally determined contributions) per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra all'interno di un sistema di revisione e di monitoraggio dei risultati ottenuti definito nell'accordo di Parigi;
    ogni paese deve fare la sua parte, paesi sviluppati, grandi emettitori e paesi in via di sviluppo; per questi ultimi il raggiungimento degli obiettivi è collegato alla disponibilità di sostegno in termini finanziari ma anche di trasferimento di tecnologia e di rafforzamento della capacità da parte dei paesi sviluppati;
    l'accordo di Parigi e in particolare l'articolo 9 impegna i paesi sviluppati a fornire maggiori risorse finanziarie per assistere i paesi in via di sviluppo nell'attuazione dei loro piani di mitigazione e adattamento in continuità agli impegni assunti nell'ambito della Convenzione per il clima;
    il nostro paese ha preso l'impegno di rafforzare il proprio impegno nella cooperazione allo sviluppo con particolare attenzione agli interventi legati alle politiche per il clima e lo sviluppo sostenibile come declinato anche negli Obiettivi di sviluppo sostenibile adottati dall'Assemblea generale delle Nazioni unite lo scorso 27 settembre,

impegna il Governo

a destinare una quota dei fondi alla cooperazione allo sviluppo di cui all'articolo 1, comma 197 adeguata agli impegni assunti in attuazione dell'accordo di Parigi in materia di contrasto ai cambiamenti climatici.
9/3444-A/154Stella Bianchi, Realacci, Bratti, Borghi, Braga, Amendola, Quartapelle Procopio, Mariani.


   La Camera,
   premesso che:
    sabato 12 dicembre si è conclusa a Parigi la XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) con la firma di uno storico accordo globale sul clima, giuridicamente vincolante, che impegna 195 paesi a contenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2oC rispetto ai livelli precedenti la rivoluzione industriale e, ancora più importante, a proseguire gli sforzi per limitare l'aumento della temperatura a 1,5 gradi;
    per raggiungere questo obiettivo necessario e ambizioso, è indispensabile rafforzare nel tempo l'impegno che i singoli stati hanno dato con i propri contributi nazionali (Incics – Intended nationally determined contributions) per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra all'interno di un sistema di revisione e di monitoraggio dei risultati ottenuti definito nell'accordo di Parigi;
    ogni paese deve fare la sua parte, paesi sviluppati, grandi emettitori e paesi in via di sviluppo; per questi ultimi il raggiungimento degli obiettivi è collegato alla disponibilità di sostegno in termini finanziari ma anche di trasferimento di tecnologia e di rafforzamento della capacità da parte dei paesi sviluppati;
    l'accordo di Parigi e in particolare l'articolo 9 impegna i paesi sviluppati a fornire maggiori risorse finanziarie per assistere i paesi in via di sviluppo nell'attuazione dei loro piani di mitigazione e adattamento in continuità agli impegni assunti nell'ambito della Convenzione per il clima;
    il nostro paese ha preso l'impegno di rafforzare il proprio impegno nella cooperazione allo sviluppo con particolare attenzione agli interventi legati alle politiche per il clima e lo sviluppo sostenibile come declinato anche negli Obiettivi di sviluppo sostenibile adottati dall'Assemblea generale delle Nazioni unite lo scorso 27 settembre,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di destinare una quota dei fondi alla cooperazione allo sviluppo di cui all'articolo 1, comma 197 adeguata agli impegni assunti in attuazione dell'accordo di Parigi in materia di contrasto ai cambiamenti climatici.
9/3444-A/154. (Testo modificato nel corso della seduta)  Stella Bianchi, Realacci, Bratti, Borghi, Braga, Amendola, Quartapelle Procopio, Mariani.


   La Camera,
   premesso che:
    Il comma 548-quindecies istituisce per l'anno 2016 un credito d'imposta a favore delle persone fisiche che, al di fuori della loro attività di lavoro autonomo, installano sistemi di videosorveglianza digitale «o allarme» ovvero stipulano contratti con istituti di vigilanza per la prevenzione di attività criminali;
    Il nuovo comma 372-bis prevede, a decorrere dal 1o gennaio 2016, un credito di imposta relativo alle accise per il gasolio per autotrazione, per i veicoli di categoria superiore ad euro 2, demandando a un decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze le modalità per il monitoraggio dei relativi risparmi;
    negli ultimi anni il sempre maggiore ricorso alla sicurezza privata da parte dello Stato, in un'ottica sussidiaria, ha reso le aziende del settore fondamentali per la salvaguardia della pubblica sicurezza;
   considerato che:
    il trasporto valori si configura quale attività di autotrasporto di denaro e assimilati, effettuato con scorta armata, la cui rilevanza per il sistema bancario e commerciale, nonché le implicazioni per i cittadini, ne qualificano la natura di servizio pubblico;
    nello specifico l'attività di trasporto valori è il servizio di trasporto e contestuale tutela di denaro o altri beni e titoli di valore, effettuato con l'utilizzo di veicoli di Istituiti di vigilanza;
    le crescenti esigenze di sicurezza, unitamente alle onerose prescrizioni tecniche che disciplinano l'equipaggiamento dei furgoni blindati, e ai sempre maggiori costi del carburante per autotrazione, rendono quanto mai urgente un intervento volto a alleggerire gli oneri connessi ai consumi di gasolio per autotrazione anche al fine di garantire gli standard operativi e i livelli di efficienza connessi alla salvaguardia della pubblica sicurezza;
    l'articolo 7 della Direttiva Comunitaria 2003/96 che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità prevede che gli Stati membri possano applicare un'aliquota ridotta sul gasolio utilizzato dagli autoveicoli adibiti al trasporto merci su strada introducendo un limite al peso a pieno carico massimo ammissibile pari o superiore a 7,5;
    l'articolo 19 della stessa Direttiva prevede una disciplina derogatoria alle indicazioni contenute nell'atto normativo «in base a considerazioni politiche specifiche» individuate dagli Stati membri, dando comunicazione alla Commissione Europea dei provvedimenti adottati, fornendo tutte le informazioni pertinenti e necessarie;
    al fine di salvaguardare un comparto di rilevanza strategica per il regolare espletamento delle attività connesse al funzionamento economico della società, anche in considerazione del ruolo che tale comparto assumerà a seguito delle recenti politiche in materia di circolazione del contante,

impegna il Governo

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a:
    destinare i risparmi generati dall'applicazione delle disposizioni di cui al comma 372-bis al fine di estendere il beneficio previsto dal suddetto comma anche alle aziende che svolgono attività professionale di trasporto di valori e assimilati, regolarmente iscritte all'Albo dell'autotrasporto;
    attivare le procedure di cui all'articolo 19 della Direttiva Comunitaria 2003/96;
    a rappresentare in sede comunitaria, nell'ambito del percorso di adozione della proposta di revisione della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici, l'opportunità di inserire il comparto del trasporto valori tra i settori ai quali è consentito applicare particolari misure di fiscalità di vantaggio.
9/3444-A/155Francesco Sanna.


   La Camera,
   premesso che:
    Il provvedimento in esame, all'articolo 1, comma 548-terdecies, reca l'introduzione della «card cultura giovani», strumento volto alla promozione e allo sviluppo della cultura e della conoscenza del patrimonio culturale;
    la «card cultura giovani» consiste in una Carta elettronica, dell'importo nominale massimo di euro 500 per l'anno 2016, assegnata a tutti i cittadini italiani ed europei residenti sul territorio nazionale i quali compiono i diciotto anni nell'anno 2016, da utilizzare per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo,

impegna il Governo

a reinvestire eventuali risparmi all'interno del sistema, prevedendone la destinazione al «Fondo per il contrasto della povertà educativa» di cui all'articolo 1, comma 213 del provvedimento in esame.
9/3444-A/156Amoddio, Marzano, Cani, Scuvera.


   La Camera,
   premesso che:
    Il provvedimento in esame, all'articolo 1, comma 548-terdecies, reca l'introduzione della «card cultura giovani», strumento volto alla promozione e allo sviluppo della cultura e della conoscenza del patrimonio culturale;
    la «card cultura giovani» consiste in una Carta elettronica, dell'importo nominale massimo di euro 500 per l'anno 2016, assegnata a tutti i cittadini italiani ed europei residenti sul territorio nazionale i quali compiono i diciotto anni nell'anno 2016, da utilizzare per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di reinvestire eventuali risparmi all'interno del sistema, prevedendone la destinazione al «Fondo per il contrasto della povertà educativa» di cui all'articolo 1, comma 213 del provvedimento in esame.
9/3444-A/156. (Testo modificato nel corso della seduta)  Amoddio, Marzano, Cani, Scuvera.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame contiene varie disposizioni relative alla gestione dei trasporti di cose o persone;
    sono in costante aumento le pratiche di radiazione dei veicoli per esportazione, che hanno superato la cifra complessiva di oltre 2,5 milioni negli ultimi quattro anni (secondo dati ACI);
    questa pratica, se da un lato può celare comportamenti illegali – non sempre il veicolo radiato per esportazione viene reimmatricolato all'estero, in certi casi nemmeno esportato, andando ad eludere la normativa fiscale, di responsabilità civile ed ambientale – dall'altro sottrae grandi quantità di materiale destinato ai centri di demolizione che re-immettono nel mercato ricambi usati e centinaia di migliaia di tonnellate di rottami di ferro che necessitano all'industria siderurgica nazionale e che la stessa è poi obbligata ad importare da altri Stati;
    è necessario chiarire che la radiazione per esportazione deve avere come unica finalità la reimmatricolazione del veicolo all'estero per la effettiva circolazione dello stesso sul territorio straniero, evitando quindi che la norma agevoli «scappatoie» per l'esportazione di veicoli all'estero da destinare alla demolizione; in tal caso si tratterebbe infatti di esportazione di rifiuti e non di esportazione di beni;
    dal momento in cui avviene il perfezionamento della pratica di radiazione per esportazione non sussiste più l'obbligo del pagamento della tassa automobilistica; inoltre, formalizzando la radiazione per esportazione al PRA, viene meno la proprietà del bene e con essa la relativa responsabilità. Ciò evidentemente ostacola anche la notifica di eventuali sanzioni. A ciò si aggiunga anche il minor gettito per il mancato versamento degli oneri dovuti per la trascrizione del trasferimento di proprietà e che, invece, sono notevolmente inferiori nel caso della radiazione per esportazione,

impegna il Governo:

   a prevedere che costituisca titolo per richiedere al P.R.A. la radiazione di veicoli a motore per definitiva esportazione per reimmatricolazione, l'avvenuta sottoposizione a visita e prova, con esito positivo, con le modalità previste dall'articolo 80 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, eseguita trascorsi non oltre sei mesi precedenti alla predetta richiesta, facendo salvi i casi in cui i veicoli destinati all'esportazione siano già stati sottoposti a revisione nel suddetto periodo ai sensi dell'articolo 80, commi 3, 4, 5 o 7 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285;
   a prevedere un'apposita procedura per il perfezionamento della pratica di radiazione del veicolo da parte del Pubblico Registro Automobilistico ai finì di esportazione all'estero per reimmatricolazione;
   ad introdurre un principio di reciprocità con gli altri Paesi che preveda la definitiva esportazione per reimmatricolazione del veicolo esclusivamente nei Paesi dove lo stesso può essere reimmatricolato.
9/3444-A/157Braga, Crivellari, Pagani, Bratti.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame contiene varie disposizioni relative alla gestione dei trasporti di cose o persone;
    sono in costante aumento le pratiche di radiazione dei veicoli per esportazione, che hanno superato la cifra complessiva di oltre 2,5 milioni negli ultimi quattro anni (secondo dati ACI);
    questa pratica, se da un lato può celare comportamenti illegali – non sempre il veicolo radiato per esportazione viene reimmatricolato all'estero, in certi casi nemmeno esportato, andando ad eludere la normativa fiscale, di responsabilità civile ed ambientale – dall'altro sottrae grandi quantità di materiale destinato ai centri di demolizione che re-immettono nel mercato ricambi usati e centinaia di migliaia di tonnellate di rottami di ferro che necessitano all'industria siderurgica nazionale e che la stessa è poi obbligata ad importare da altri Stati;
    è necessario chiarire che la radiazione per esportazione deve avere come unica finalità la reimmatricolazione del veicolo all'estero per la effettiva circolazione dello stesso sul territorio straniero, evitando quindi che la norma agevoli «scappatoie» per l'esportazione di veicoli all'estero da destinare alla demolizione; in tal caso si tratterebbe infatti di esportazione di rifiuti e non di esportazione di beni;
    dal momento in cui avviene il perfezionamento della pratica di radiazione per esportazione non sussiste più l'obbligo del pagamento della tassa automobilistica; inoltre, formalizzando la radiazione per esportazione al PRA, viene meno la proprietà del bene e con essa la relativa responsabilità. Ciò evidentemente ostacola anche la notifica di eventuali sanzioni. A ciò si aggiunga anche il minor gettito per il mancato versamento degli oneri dovuti per la trascrizione del trasferimento di proprietà e che, invece, sono notevolmente inferiori nel caso della radiazione per esportazione,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    prevedere che costituisca titolo per richiedere al P.R.A. la radiazione di veicoli a motore per definitiva esportazione per reimmatricolazione, l'avvenuta sottoposizione a visita e prova, con esito positivo, con le modalità previste dall'articolo 80 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, eseguita trascorsi non oltre sei mesi precedenti alla predetta richiesta, facendo salvi i casi in cui i veicoli destinati all'esportazione siano già stati sottoposti a revisione nel suddetto periodo ai sensi dell'articolo 80, commi 3, 4, 5 o 7 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285;
    prevedere un'apposita procedura per il perfezionamento della pratica di radiazione del veicolo da parte del Pubblico Registro Automobilistico ai finì di esportazione all'estero per reimmatricolazione;
    introdurre un principio di reciprocità con gli altri Paesi che preveda la definitiva esportazione per reimmatricolazione del veicolo esclusivamente nei Paesi dove lo stesso può essere reimmatricolato.
9/3444-A/157. (Testo modificato nel corso della seduta)  Braga, Crivellari, Pagani, Bratti.


   La Camera,
   premesso che:
    la discarica rappresenta il sistema di smaltimento dei rifiuti più economico nel breve periodo ma largamente più inquinante sia per l'atmosfera, a causa dell'emissione di gas, sia per il terreno, in quanto determina una rilevante produzione di percolato, sia per le generazioni future, in quanto le discariche necessitano di una gestione e una manutenzione ben oltre la fine della loro vita utile;
    quando la discarica non viene più utilizzata per lo smaltimento di rifiuti, comincia la gestione post-operativa (detta anche gestione post-mortem). In questa fase il gestore della discarica svolge le attività necessarie per mantenere i requisiti di sicurezza ambientale così come richiesto dalla normativa vigente (decreto legislativo 36/2003): mantenimento in efficienza delle reti, delle apparecchiature, degli impianti e dei presidi, controlli per garantire la sicurezza dell'impianto nel suo complesso, monitoraggio e sorveglianza degli aspetti ambientali correlati all'impianto;
    i fondi post-mortem sono, quindi, dei fondi costituiti per oneri futuri di ripristino che comprendono anche i costi della gestione post-operativa fino alla completa riconversione a verde delle aree interessate. Al fine dell'integrale costituzione economico-finanziaria del fondo per il ripristino ambientale e per la gestione trentennale post-esercizio (cosiddetto «fondo post-mortem»), fondo che il decreto legislativo 36/2003 impone obbligatoriamente di accantonare durante il periodo di gestione operativa, attraverso i ricavi della gestione (smaltimento rifiuti);
    l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 36 del 13 gennaio 2003, di attuazione della direttiva 99/31/CE, e del decreto ministeriale del 13 marzo 2003 ha introdotto importanti modifiche nella gestione delle discariche. Con le nuove disposizioni le discariche sono classificabili in tre categorie: per rifiuti inerti, per rifiuti non pericolosi, per rifiuti pericolosi;
    uno degli aspetti innovativi del decreto è l'obbligo, per il richiedente l'autorizzazione, di presentare cinque piani gestionali. Tra questi è compreso il Piano Finanziario, il quale prevede che tutti i costi derivanti dalla realizzazione dell'impianto e dall'esercizio della discarica, i costi sostenuti per la prestazione della garanzia finanziaria, i costi stimati di chiusura e di gestione post-operativa per un periodo di almeno trent'anni, siano coperti dal prezzo applicato dal gestore per lo smaltimento;
    le garanzie finanziarie di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 36 del 2003 devono essere prestate in uno dei seguenti modi previsti dall'articolo 1 della legge 10 giugno 1982, n. 348: reale e valida cauzione; fideiussione bancaria rilasciata da aziende di credito; polizza fidejussoria rilasciata da imprese di assicurazione autorizzate all'esercizio del ramo cauzioni. Tra le tre forme di garanzia si dà maggiore preferenza al rilascio della polizza fidejussoria, che evita gli immobilizzi finanziari propri dei depositi cauzionali;
    la garanzia relativa alla fase postgestionale di durata trentennale è tuttavia caratterizzata da un elevato livello di rischio perché relativa ad una fase in cui la discarica non riceve rifiuti e non realizza ricavi. Essendo questa fase caratterizzata da soli costi è abbastanza probabile che il gestore sia tentato dal tenere un comportamento di «moral hazard» (comportamento sleale), abbandonando il sito senza rimborsare le somme anticipate dal fideiussore e scaricando i costi della bonifica sui conti degli enti locali e territoriali;
    si rende pertanto necessaria una procedura di maggior tutela delle tipologie e degli ammontari delle garanzie finanziarie, prevedendo un controllo periodico della solidità patrimoniale dell'azienda al fine di poter rinnovare le polizze,

impegna il Governo

a prevedere una procedura di verifica periodica della solidità patrimoniale delle aziende che gestiscono discariche mettendo in atto tutte le azioni necessarie per evitare che nella fase di gestione post-operativa della discarica in caso di fallimento dell'impresa i costi delle bonifiche siano a carico degli enti locali e territoriali.
9/3444-A/158Bratti.


   La Camera,
   premesso che:
    la discarica rappresenta il sistema di smaltimento dei rifiuti più economico nel breve periodo ma largamente più inquinante sia per l'atmosfera, a causa dell'emissione di gas, sia per il terreno, in quanto determina una rilevante produzione di percolato, sia per le generazioni future, in quanto le discariche necessitano di una gestione e una manutenzione ben oltre la fine della loro vita utile;
    quando la discarica non viene più utilizzata per lo smaltimento di rifiuti, comincia la gestione post-operativa (detta anche gestione post-mortem). In questa fase il gestore della discarica svolge le attività necessarie per mantenere i requisiti di sicurezza ambientale così come richiesto dalla normativa vigente (decreto legislativo 36/2003): mantenimento in efficienza delle reti, delle apparecchiature, degli impianti e dei presidi, controlli per garantire la sicurezza dell'impianto nel suo complesso, monitoraggio e sorveglianza degli aspetti ambientali correlati all'impianto;
    i fondi post-mortem sono, quindi, dei fondi costituiti per oneri futuri di ripristino che comprendono anche i costi della gestione post-operativa fino alla completa riconversione a verde delle aree interessate. Al fine dell'integrale costituzione economico-finanziaria del fondo per il ripristino ambientale e per la gestione trentennale post-esercizio (cosiddetto «fondo post-mortem»), fondo che il decreto legislativo 36/2003 impone obbligatoriamente di accantonare durante il periodo di gestione operativa, attraverso i ricavi della gestione (smaltimento rifiuti);
    l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 36 del 13 gennaio 2003, di attuazione della direttiva 99/31/CE, e del decreto ministeriale del 13 marzo 2003 ha introdotto importanti modifiche nella gestione delle discariche. Con le nuove disposizioni le discariche sono classificabili in tre categorie: per rifiuti inerti, per rifiuti non pericolosi, per rifiuti pericolosi;
    uno degli aspetti innovativi del decreto è l'obbligo, per il richiedente l'autorizzazione, di presentare cinque piani gestionali. Tra questi è compreso il Piano Finanziario, il quale prevede che tutti i costi derivanti dalla realizzazione dell'impianto e dall'esercizio della discarica, i costi sostenuti per la prestazione della garanzia finanziaria, i costi stimati di chiusura e di gestione post-operativa per un periodo di almeno trent'anni, siano coperti dal prezzo applicato dal gestore per lo smaltimento;
    le garanzie finanziarie di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 36 del 2003 devono essere prestate in uno dei seguenti modi previsti dall'articolo 1 della legge 10 giugno 1982, n. 348: reale e valida cauzione; fideiussione bancaria rilasciata da aziende di credito; polizza fidejussoria rilasciata da imprese di assicurazione autorizzate all'esercizio del ramo cauzioni. Tra le tre forme di garanzia si dà maggiore preferenza al rilascio della polizza fidejussoria, che evita gli immobilizzi finanziari propri dei depositi cauzionali;
    la garanzia relativa alla fase postgestionale di durata trentennale è tuttavia caratterizzata da un elevato livello di rischio perché relativa ad una fase in cui la discarica non riceve rifiuti e non realizza ricavi. Essendo questa fase caratterizzata da soli costi è abbastanza probabile che il gestore sia tentato dal tenere un comportamento di «moral hazard» (comportamento sleale), abbandonando il sito senza rimborsare le somme anticipate dal fideiussore e scaricando i costi della bonifica sui conti degli enti locali e territoriali;
   si rende pertanto necessaria una procedura di maggior tutela delle tipologie e degli ammontari delle garanzie finanziarie, prevedendo un controllo periodico della solidità patrimoniale dell'azienda al fine di poter rinnovare le polizze,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere una procedura di verifica periodica della solidità patrimoniale delle aziende che gestiscono discariche mettendo in atto tutte le azioni necessarie per evitare che nella fase di gestione post-operativa della discarica in caso di fallimento dell'impresa i costi delle bonifiche siano a carico degli enti locali e territoriali.
9/3444-A/158. (Testo modificato nel corso della seduta)  Bratti.


   La Camera,
   premesso che:
    il nostro sistema di protezione civile risulta essere essenziale per una adeguata conoscenza della vulnerabilità e dell'esposizione al rischio del nostro territorio nazionale;
    la protezione civile è poi elemento essenziale per la comunicazione scientifica e istituzionale delle misure di prevenzione e di gestione dell'emergenza, nonché la responsabilizzazione individuale e collettiva nella protezione del territorio, inteso come supporto fisico delle attività umane, un bene comune da salvaguardare preservando dai rischi naturali vite umane, attività economiche e, non ultimo, il nostro patrimonio artistico-culturale;
    componente essenziale di tale sistema è il volontariato di protezione civile, nato sotto la spinta delle grandi emergenze che hanno colpito l'Italia negli ultimi 50 anni: l'alluvione di Firenze del 1966 e i terremoti del Friuli e dell'Irpinia, sopra tutti. Il volontariato di protezione civile unisce, da allora, spinte di natura religiosa e laica e garantisce il diritto a essere soccorso con professionalità;
    con la legge n. 225 del 24 febbraio 1992, istitutiva del Servizio Nazionale della Protezione Civile, le organizzazioni di volontariato hanno assunto il ruolo di «struttura operativa nazionale» e sono diventate parte integrante del sistema pubblico;
    il Dipartimento della Protezione Civile – a seguito del decentramento amministrativo – stimola, anche nelle autonomie locali, una forte identità nazionale del volontariato di protezione civile per favorire una pronta risposta su tutto il territorio. Il volontariato si integra inoltre con gli altri livelli territoriali di intervento previsti nell'organizzazione del sistema nazionale della protezione civile, in base al principio della sussidiarietà verticale. È inoltre attore del sistema e del proprio territorio: protegge la comunità in collaborazione con le istituzioni, in base al principio della sussidiarietà orizzontale;
    le organizzazioni che intendono partecipare alle attività di previsione, prevenzione e intervento in vista o in caso di eventi calamitosi e svolgere attività formative e addestrative nello stesso ambito devono essere iscritte nell'elenco nazionale delle organizzazioni di volontariato di protezione civile. Secondo quanto stabilito dalla Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 novembre 2012, l'elenco nazionale è oggi costituito da:
     l'elenco centrale che accoglie le organizzazioni che per caratteristiche operative e diffusione, assumono particolare rilevanza in diretto raccordo con il Dipartimento della Protezione Civile in caso di eventi di rilievo nazionale. Possono richiedere l'iscrizione nell'elenco centrale:
     le strutture nazionali di coordinamento di organizzazioni costituite ai sensi della legge n. 266/1991 diffuse in più Regioni;
     le strutture nazionali di coordinamento delle organizzazioni di altra natura a componente prevalentemente volontaria;
     organizzazioni prive di articolazione regionale, ma in grado di svolgere funzioni specifiche ritenute dal Dipartimento della Protezione Civile di particolare rilevanza ed interesse a livello nazionale;
     le strutture nazionali di coordinamento dei gruppi comunali e intercomunali;
     le domande di iscrizione all'Elenco centrale pervenute sono numerose e, secondo quanto stabilito dalla Direttiva, richiedono un'approfondita verifica. Per questo a decorrere dal 1o agosto entra in vigore una prima edizione dell'Elenco, che sarà integrata man mano che sarà completato l'esame delle ulteriori domande. Per le organizzazioni richiedenti che sono già iscritte nei rispettivi Elenchi territoriali, resta valida, con continuità, tale iscrizione;
    gli elenchi territoriali in cui per intervenire e operare in caso di attività ed eventi di rilievo regionale/locale le organizzazioni devono essere iscritte. L'elenco territoriale è istituito separatamente dal registro previsto dalla legge n. 266/1991 (legge-quadro sul volontariato) e le organizzazioni che ne hanno i requisiti possono iscriversi ad entrambi. Negli elenchi territoriali possono iscriversi:
     organizzazioni di volontariato costituite ai sensi della legge 266/1991 con carattere locale;
     organizzazioni di altra natura, ma con carattere prevalentemente volontario;
     articolazioni locali delle Organizzazioni richiamate nei punti precedenti, con diffusione nazionale;
     gruppi comunali e intercomunali;
     coordinamenti territoriali che raccolgono più gruppi od organizzazioni delle tipologie precedentemente indicate;
    i Gruppi Comunali iscritti all'elenco nazionale delle organizzazioni di volontariato di protezione civile svolgono un ruolo chiave soprattutto in quei territori in cui l'azione della protezione civile risulta essere più impegnativa ed intensa;
    ad oggi sono esentate dal pagamento IVA per l'acquisto di beni strumentali, attrezzature, mezzi ecc. di protezione civile solamente le Associazioni di Protezione Civile, mentre non lo sono i Gruppi Comunali comunque iscritti all'elenco nazionale delle organizzazioni di volontariato di protezione civile,

impegna il Governo

ad estendere l'esenzione del pagamento IVA anche ai Gruppi Comunali che sono iscritti nell'Elenco Nazionale delle organizzazioni di volontariato di protezione civile applicando l'esenzione di cui all'articolo 8, comma 2, della legge 11 agosto 1991, n. 266 anche ai gruppi comunali iscritti negli elenchi territoriali nelle Regioni e Province autonome come definiti dalla Direttiva del presidente del Consiglio dei Ministri del 9 novembre 2012.
9/3444-A/159Cominelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il nostro sistema di protezione civile risulta essere essenziale per una adeguata conoscenza della vulnerabilità e dell'esposizione al rischio del nostro territorio nazionale;
    la protezione civile è poi elemento essenziale per la comunicazione scientifica e istituzionale delle misure di prevenzione e di gestione dell'emergenza, nonché la responsabilizzazione individuale e collettiva nella protezione del territorio, inteso come supporto fisico delle attività umane, un bene comune da salvaguardare preservando dai rischi naturali vite umane, attività economiche e, non ultimo, il nostro patrimonio artistico-culturale;
    componente essenziale di tale sistema è il volontariato di protezione civile, nato sotto la spinta delle grandi emergenze che hanno colpito l'Italia negli ultimi 50 anni: l'alluvione di Firenze del 1966 e i terremoti del Friuli e dell'Irpinia, sopra tutti. Il volontariato di protezione civile unisce, da allora, spinte di natura religiosa e laica e garantisce il diritto a essere soccorso con professionalità;
    con la legge n. 225 del 24 febbraio 1992, istitutiva del Servizio Nazionale della Protezione Civile, le organizzazioni di volontariato hanno assunto il ruolo di «struttura operativa nazionale» e sono diventate parte integrante del sistema pubblico;
    il Dipartimento della Protezione Civile – a seguito del decentramento amministrativo – stimola, anche nelle autonomie locali, una forte identità nazionale del volontariato di protezione civile per favorire una pronta risposta su tutto il territorio. Il volontariato si integra inoltre con gli altri livelli territoriali di intervento previsti nell'organizzazione del sistema nazionale della protezione civile, in base al principio della sussidiarietà verticale. È inoltre attore del sistema e del proprio territorio: protegge la comunità in collaborazione con le istituzioni, in base al principio della sussidiarietà orizzontale;
    le organizzazioni che intendono partecipare alle attività di previsione, prevenzione e intervento in vista o in caso di eventi calamitosi e svolgere attività formative e addestrative nello stesso ambito devono essere iscritte nell'elenco nazionale delle organizzazioni di volontariato di protezione civile. Secondo quanto stabilito dalla Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 novembre 2012, l'elenco nazionale è oggi costituito da:
     l'elenco centrale che accoglie le organizzazioni che per caratteristiche operative e diffusione, assumono particolare rilevanza in diretto raccordo con il Dipartimento della Protezione Civile in caso di eventi di rilievo nazionale. Possono richiedere l'iscrizione nell'elenco centrale:
     le strutture nazionali di coordinamento di organizzazioni costituite ai sensi della legge n. 266/1991 diffuse in più Regioni;
     le strutture nazionali di coordinamento delle organizzazioni di altra natura a componente prevalentemente volontaria;
     organizzazioni prive di articolazione regionale, ma in grado di svolgere funzioni specifiche ritenute dal Dipartimento della Protezione Civile di particolare rilevanza ed interesse a livello nazionale;
     le strutture nazionali di coordinamento dei gruppi comunali e intercomunali;
     le domande di iscrizione all'Elenco centrale pervenute sono numerose e, secondo quanto stabilito dalla Direttiva, richiedono un'approfondita verifica. Per questo a decorrere dal 1o agosto entra in vigore una prima edizione dell'Elenco, che sarà integrata man mano che sarà completato l'esame delle ulteriori domande. Per le organizzazioni richiedenti che sono già iscritte nei rispettivi Elenchi territoriali, resta valida, con continuità, tale iscrizione;
    gli elenchi territoriali in cui per intervenire e operare in caso di attività ed eventi di rilievo regionale/locale le organizzazioni devono essere iscritte. L'elenco territoriale è istituito separatamente dal registro previsto dalla legge n. 266/1991 (legge-quadro sul volontariato) e le organizzazioni che ne hanno i requisiti possono iscriversi ad entrambi. Negli elenchi territoriali possono iscriversi:
     organizzazioni di volontariato costituite ai sensi della legge 266/1991 con carattere locale;
     organizzazioni di altra natura, ma con carattere prevalentemente volontario;
     articolazioni locali delle Organizzazioni richiamate nei punti precedenti, con diffusione nazionale;
     gruppi comunali e intercomunali;
     coordinamenti territoriali che raccolgono più gruppi od organizzazioni delle tipologie precedentemente indicate;
    i Gruppi Comunali iscritti all'elenco nazionale delle organizzazioni di volontariato di protezione civile svolgono un ruolo chiave soprattutto in quei territori in cui l'azione della protezione civile risulta essere più impegnativa ed intensa;
    ad oggi sono esentate dal pagamento IVA per l'acquisto di beni strumentali, attrezzature, mezzi ecc. di protezione civile solamente le Associazioni di Protezione Civile, mentre non lo sono i Gruppi Comunali comunque iscritti all'elenco nazionale delle organizzazioni di volontariato di protezione civile,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere l'esenzione del pagamento IVA anche ai Gruppi Comunali che sono iscritti nell'Elenco Nazionale delle organizzazioni di volontariato di protezione civile applicando l'esenzione di cui all'articolo 8, comma 2, della legge 11 agosto 1991, n. 266 anche ai gruppi comunali iscritti negli elenchi territoriali nelle Regioni e Province autonome come definiti dalla Direttiva del presidente del Consiglio dei Ministri del 9 novembre 2012.
9/3444-A/159. (Testo modificato nel corso della seduta)  Cominelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 41, lettera c), estende a tutto il 2016 le detrazioni fiscali per la sostituzione delle coperture di amianto negli edifici, previste dall'articolo 15, comma 1-bis, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2013, n. 90;
    è riconosciuto, conseguentemente, un credito d'imposta del 50 per cento alle imprese che effettuano interventi di rimozione dell'amianto;
    tale detrazione non ha tuttavia sortito i risultati attesi, nonostante eternit e amianto siano universalmente riconosciuti come materiali che possono provocare l'asbestosi, il mesotelioma – un gravissimo tumore che colpisce la pleura, il peritoneo e il pericardio – oltre ad aumentare di 5 volte il rischio di carcinoma polmonare nei fumatori;
    nel nostro Paese dal 1992 (legge 257/1992) è proibita l'estrazione, l'importazione e la lavorazione dell'amianto ma, nonostante siano trascorsi più di vent'anni dalla messa al bando dell'amianto, il pericolo non è affatto superato e, soprattutto nel Nord-Italia sia i materiali per edilizia sia altri manufatti contenenti amianto, come ad esempio le coperture degli edifici, sono ancora molto diffusi;
    al fine di pervenire alla completa rimozione dell'eternit o dell'amianto dagli edifici pubblici e privati è necessario pianificare lo smaltimento di tali materiali, prevedendo anche un incremento significativo della detrazione a favore dei privati che effettuano tali interventi,

impegna il Governo

a definire nel più breve tempo possibile, un programma di interventi finalizzato alla rimozione e allo smaltimento dell'amianto presente negli edifici pubblici e privati, anche attraverso la sostituzione delle coperture contenenti amianto o eternit con l'installazione di moduli fotovoltaici e prevedendo, a tal fine, un incremento significativo del credito d'imposta attualmente applicato agli interventi di cui in premessa.
9/3444-A/160Mariani, Borghi, Bratti, Bergonzi, Stella Bianchi, Braga, Carrescia, Cominelli, Covello, De Menech, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Marroni, Massa, Mazzoli, Morassut, Realacci, Giovanna Sanna, Valiante, Zardini, Malisani, Amoddio, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 41, lettera c), estende a tutto il 2016 le detrazioni fiscali per la sostituzione delle coperture di amianto negli edifici, previste dall'articolo 15, comma 1-bis, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2013, n. 90;
    è riconosciuto, conseguentemente, un credito d'imposta del 50 per cento alle imprese che effettuano interventi di rimozione dell'amianto;
    tale detrazione non ha tuttavia sortito i risultati attesi, nonostante eternit e amianto siano universalmente riconosciuti come materiali che possono provocare l'asbestosi, il mesotelioma – un gravissimo tumore che colpisce la pleura, il peritoneo e il pericardio – oltre ad aumentare di 5 volte il rischio di carcinoma polmonare nei fumatori;
    nel nostro Paese dal 1992 (legge 257/1992) è proibita l'estrazione, l'importazione e la lavorazione dell'amianto ma, nonostante siano trascorsi più di vent'anni dalla messa al bando dell'amianto, il pericolo non è affatto superato e, soprattutto nel Nord-Italia sia i materiali per edilizia sia altri manufatti contenenti amianto, come ad esempio le coperture degli edifici, sono ancora molto diffusi;
    al fine di pervenire alla completa rimozione dell'eternit o dell'amianto dagli edifici pubblici e privati è necessario pianificare lo smaltimento di tali materiali, prevedendo anche un incremento significativo della detrazione a favore dei privati che effettuano tali interventi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di definire nel più breve tempo possibile, un programma di interventi finalizzato alla rimozione e allo smaltimento dell'amianto presente negli edifici pubblici e privati, anche attraverso la sostituzione delle coperture contenenti amianto o eternit con l'installazione di moduli fotovoltaici e prevedendo, a tal fine, un incremento significativo del credito d'imposta attualmente applicato agli interventi di cui in premessa.
9/3444-A/160. (Testo modificato nel corso della seduta)  Mariani, Borghi, Bratti, Bergonzi, Stella Bianchi, Braga, Carrescia, Cominelli, Covello, De Menech, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Marroni, Massa, Mazzoli, Morassut, Realacci, Giovanna Sanna, Valiante, Zardini, Malisani, Amoddio, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 12 maggio 2014, n. 74, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 2014, n. 93 reca «Misure urgenti in favore delle popolazioni dell'Emilia-Romagna colpite dal terremoto del 20 e del 29 maggio 2012 e da successivi eventi alluvionali ed eccezionali avversità atmosferiche, nonché per assicurare l'operatività del Fondo per le emergenze nazionali»;
    l'articolo 7-bis della suddetta legge sancisce che i soggetti che abbiano residenza o sede legale o operativa in uno dei comuni delle province di Bologna e di Modena colpiti dagli eccezionali eventi atmosferici e dalla tromba d'aria del 30 aprile 2014 nei comuni di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessate dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012, ovvero nei comuni colpiti dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo il 20 e il 29 maggio, che siano titolari di mutui ipotecari o chirografari relativi a edifici distrutti, inagibili o inabitabili, anche parzialmente, ovvero relativi alla gestione di attività di natura commerciale ed economica svolte nei medesimi edifici, previa presentazione di autocertificazione del danno subito, ottengono, a domanda, fino alla ricostruzione, all'agibilità o all'abitabilità del predetto immobile e comunque non oltre il 31 dicembre 2015, una sospensione delle rate dei medesimi mutui in essere con banche o intermediari finanziari, optando tra la sospensione dell'intera rata e quella della sola quota capitale, senza oneri aggiuntivi per il mutuatario»;
   l'articolo 3-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, prevede un credito di imposta e finanziamenti bancari agevolati per la ricostruzione di immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo, nei limiti stabiliti dai Presidenti delle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto alternativamente concessi, su apposita domanda del soggetto interessato, con le modalità del finanziamento agevolato;
   l'articolo 3 del comma 1, lettera a), del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 2012, n. 122, prevede che per soddisfare le esigenze delle popolazioni colpite dal sisma del 20 e del 29 maggio 2012 nei territori di cui all'articolo 1, i Presidenti delle Regioni di cui al comma 2 del medesimo articolo, d'intesa fra loro, stabiliscono, con propri provvedimenti sulla base dei danni effettivamente verificatisi, priorità, modalità e percentuali entro le quali possono essere concessi contributi, anche in modo tale da coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili, nel limite delle risorse allo scopo finalizzate a valere sulle disponibilità delle contabilità speciali di cui all'articolo 2, fatte salve le peculiarità regionali;
   in particolare, può essere disposta la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa, ad uso produttivo e per servizi pubblici e privati e delle infrastrutture, dotazioni territoriali e attrezzature pubbliche, distrutti o danneggiati, in relazione al danno effettivamente subito;

impegna il Governo

ad inserire nel primo provvedimento utile, la proroga della sospensione del pagamento dei mutui sulle case inagibili in conseguenza del terremoto del 2012 fino al 31 dicembre 2016 o fino al ripristino della relativa agibilità delle stesse.
9/3444-A/161Ferraresi, Dell'Orco.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, recepisce la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014 relativa al quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento;
    in particolar modo il Capo II del Titolo IV disciplina la riduzione o conversione in azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale, mentre la Sezione III del Capo IV del medesimo Titolo disciplina il Bail-in;
    la crisi di Cassa di risparmio di Ferrara Spa, di Banca delle Marche Spa, di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti Spa ha avuto come tragico la perdita di 431 milioni di euro di investimenti da parte di circa 12.500 risparmiatori nonché la riduzione del valore delle azioni per circa 1 miliardi di euro. La Banca d'Italia e il Governo hanno assunto atti ed iniziative sulla base delle disposizioni di cui al citato Capo II del Titolo IV del decreto legislativo n. 180 del 2015. Le disposizioni contenute nel medesimo Capo II rinviano alle disposizioni di cui alla Sezione III del Capo IV del Titolo IV dello stesso decreto legislativo, le quali, ai sensi dell'articolo 106 entreranno in vigore solo a partire dal 1o gennaio 2016. Sulla base di quanto asserito si dubita della legittimità costituzionale e della validità degli atti assunti dalla Banca d'Italia e dal Ministero dell'economia e delle finanze;
    la procedura di risoluzione della crisi delle Banche è stata predisposta mediante la costituzione di quattro nuovi istituti di credito, di una bad bank e l'avvio della liquidazione coatta amministrativa delle banche in risoluzione. In particolar modo ai nuovi istituti di credito sono stati trasferiti i diritti, le partecipazioni le attività e le passività delle Banche in risoluzione mentre la bad bank si occuperà della gestione delle sofferenze cedute delle Banche in risoluzione;
    per le banche è stato previsto che la trasformazione in credito d'imposta delle attività per imposte anticipate relative ai componenti negativi di cui al comma 55 dell'articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, iscritte nella situazione contabile di riferimento dell'ente sottoposta a risoluzione decorre dalla data di avvio della risoluzione e non dalla data di approvazione del bilancio così come previsto dal comma 56 dell'articolo 2 del suddetto decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225. Tale previsione rappresenta indubbiamente una violazione del principio di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione e del principio di capacità contributiva di cui all'articolo 53 della Costituzione. La suddetta deroga ai principi contabili decorre retroattivamente ed a far data dall'entrata in vigore del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. Tale previsione rappresenta un'ulteriore violazione dei richiamati principi costituzionali di ragionevolezza ed uguaglianza e di capacità contributiva. Altresì sono stati anticipati gli effetti delle disposizioni introdotte dall'articolo 16 del decreto-legge 27/06/2015, n. 83 convertito con modificazioni dalla legge di conversione 6 agosto 2015, n. 132, che contrariamente a quanto previsto per le imprese ordinarie consente agli enti creditizi e finanziari ed alle imprese di assicurazione di dedurre integralmente la svalutazione e le perdite su crediti nell'anno in cui si sono verificate. In particolar modo, con la disposizione in esame si anticipa l'applicazione della svalutazione e delle perdite su crediti al periodo d'imposta successivo al 2014 per i soggetti con periodo d'imposta non corrispondente all'anno solare. Nel complesso si può ritenere che le previsioni normative citate rappresentino un'ulteriore violazione dei principi di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione e di capacità contributiva di cui all'articolo 53 della Costituzione;
    il Governo ha predisposto una maggiorazione dell'IRES pari al 3,5 per cento per le banche e gli enti finanziari. In tal modo, esclude per tali soggetti la riduzione dell'IRES originariamente prevista dalla legge di stabilità a decorrere dal 2016. Con la riduzione dell'IRES le banche avrebbero perso una parte dei crediti d'imposta maturati negli anni precedenti e calcolati con l'aliquota al 27,5 per cento . Alle banche conviene più utilizzare il credito d'imposta pari a 5 miliardi di euro che ricevere la riduzione dell'IRES pari «solo» a un miliardo di euro. Infine è stata disposta la deducibilità integrale degli interessi passivi per le banche e gli enti finanziari lasciando inalterato il limite del 96 per cento per le sole imprese assicurative. Disposizioni analoghe sono state previste anche per l'IRAP;
    le suddette deroghe ai principi costituzionali hanno di fatto creato delle agevolazioni alle banche in risoluzione ed al sistema bancario e finanziario nel suo complesso. Tra gli interventi posti in essere dalla Banca d'Italia e dal Governo non si riscontrano però atti preposti alla tutela dei risparmiatori. Si precisa che l'articolo 47 della Costituzione prevede che: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito». Al contrario di quanto previsto in Costituzione 12.500 clienti retail hanno perso 431 milioni di euro di risparmio investito. Il pregiudizio subito deriva dalla sottoscrizione di strumenti finanziari rischiosi non adeguati a famiglie, pensionati e piccoli risparmiatori, infatti, il Direttore generale della Banca d'Italia ha dichiarato la necessità di un intervento normativo al fine di evitare la sottoscrizione di strumenti finanziari rischiosi – obbligazioni subordinate – presso gli sportelli bancari. Tale dichiarazione lascia intendere che le obbligazioni subordinate sottoscritte dai risparmiatori non sono coerenti con il profilo di rischio degli stessi e per tal motivo sarebbe opportuno riservarne la sottoscrizione agli investitori istituzionali ovvero ai professionisti del settore;
    il Movimento 5 Stelle ha proposto con diversi emendamenti delle soluzioni alternative per tutelare i risparmiatori delle suddette banche, che prevedevano come copertura una riduzione delle agevolazioni di cui godono gli istituti bancari ovvero una riduzione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi per banche e assicurazioni,

impegna il Governo

assumere ogni iniziativa, anche finanziaria, preposta a salvare i risparmi in particolar modo degli ignari clienti retail delle banche in risoluzioni.
9/3444-A/162Villarosa.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, recepisce la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014 relativa al quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento;
    in particolar modo il Capo II del Titolo IV disciplina la riduzione o conversione in azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale, mentre la Sezione III del Capo IV del medesimo Titolo disciplina il Bail-in;
    la crisi di Cassa di risparmio di Ferrara Spa, di Banca delle Marche Spa, di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti Spa ha avuto come tragico la perdita di 431 milioni di euro di investimenti da parte di circa 12.500 risparmiatori nonché la riduzione del valore delle azioni per circa 1 miliardi di euro. La Banca d'Italia e il Governo hanno assunto atti ed iniziative sulla base delle disposizioni di cui al citato Capo II del Titolo IV del decreto legislativo n. 180 del 2015. Le disposizioni contenute nel medesimo Capo II rinviano alle disposizioni di cui alla Sezione III del Capo IV del Titolo IV dello stesso decreto legislativo, le quali, ai sensi dell'articolo 106 entreranno in vigore solo a partire dal 1o gennaio 2016. Sulla base di quanto asserito si dubita della legittimità costituzionale e della validità degli atti assunti dalla Banca d'Italia e dal Ministero dell'economia e delle finanze;
    la procedura di risoluzione della crisi delle Banche è stata predisposta mediante la costituzione di quattro nuovi istituti di credito, di una bad bank e l'avvio della liquidazione coatta amministrativa delle banche in risoluzione. In particolar modo ai nuovi istituti di credito sono stati trasferiti i diritti, le partecipazioni le attività e le passività delle Banche in risoluzione mentre la bad bank si occuperà della gestione delle sofferenze cedute delle Banche in risoluzione;
    per le banche è stato previsto che la trasformazione in credito d'imposta delle attività per imposte anticipate relative ai componenti negativi di cui al comma 55 dell'articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, iscritte nella situazione contabile di riferimento dell'ente sottoposta a risoluzione decorre dalla data di avvio della risoluzione e non dalla data di approvazione del bilancio così come previsto dal comma 56 dell'articolo 2 del suddetto decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225. Tale previsione rappresenta indubbiamente una violazione del principio di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione e del principio di capacità contributiva di cui all'articolo 53 della Costituzione. La suddetta deroga ai principi contabili decorre retroattivamente ed a far data dall'entrata in vigore del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. Tale previsione rappresenta un'ulteriore violazione dei richiamati principi costituzionali di ragionevolezza ed uguaglianza e di capacità contributiva. Altresì sono stati anticipati gli effetti delle disposizioni introdotte dall'articolo 16 del decreto-legge 27/06/2015, n. 83 convertito con modificazioni dalla legge di conversione 6 agosto 2015, n. 132, che contrariamente a quanto previsto per le imprese ordinarie consente agli enti creditizi e finanziari ed alle imprese di assicurazione di dedurre integralmente la svalutazione e le perdite su crediti nell'anno in cui si sono verificate. In particolar modo, con la disposizione in esame si anticipa l'applicazione della svalutazione e delle perdite su crediti al periodo d'imposta successivo al 2014 per i soggetti con periodo d'imposta non corrispondente all'anno solare. Nel complesso si può ritenere che le previsioni normative citate rappresentino un'ulteriore violazione dei principi di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione e di capacità contributiva di cui all'articolo 53 della Costituzione;
    il Governo ha predisposto una maggiorazione dell'IRES pari al 3,5 per cento per le banche e gli enti finanziari. In tal modo, esclude per tali soggetti la riduzione dell'IRES originariamente prevista dalla legge di stabilità a decorrere dal 2016. Con la riduzione dell'IRES le banche avrebbero perso una parte dei crediti d'imposta maturati negli anni precedenti e calcolati con l'aliquota al 27,5 per cento. Alle banche conviene più utilizzare il credito d'imposta pari a 5 miliardi di euro che ricevere la riduzione dell'IRES pari «solo» a un miliardo di euro. Infine è stata disposta la deducibilità integrale degli interessi passivi per le banche e gli enti finanziari lasciando inalterato il limite del 96 per cento per le sole imprese assicurative. Disposizioni analoghe sono state previste anche per l'IRAP;
    le suddette deroghe ai principi costituzionali hanno di fatto creato delle agevolazioni alle banche in risoluzione ed al sistema bancario e finanziario nel suo complesso. Tra gli interventi posti in essere dalla Banca d'Italia e dal Governo non si riscontrano però atti preposti alla tutela dei risparmiatori. Si precisa che l'articolo 47 della Costituzione prevede che: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito». Al contrario di quanto previsto in Costituzione 12.500 clienti retail hanno perso 431 milioni di euro di risparmio investito. Il pregiudizio subito deriva dalla sottoscrizione di strumenti finanziari rischiosi non adeguati a famiglie, pensionati e piccoli risparmiatori, infatti, il Direttore generale della Banca d'Italia ha dichiarato la necessità di un intervento normativo al fine di evitare la sottoscrizione di strumenti finanziari rischiosi - obbligazioni subordinate - presso gli sportelli bancari. Tale dichiarazione lascia intendere che le obbligazioni subordinate sottoscritte dai risparmiatori non sono coerenti con il profilo di rischio degli stessi e per tal motivo sarebbe opportuno riservarne la sottoscrizione agli investitori istituzionali ovvero ai professionisti del settore;
    il Movimento 5 Stelle ha proposto con diversi emendamenti delle soluzioni alternative per tutelare i risparmiatori delle suddette banche, che prevedevano come copertura una riduzione delle agevolazioni di cui godono gli istituti bancari ovvero una riduzione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi per banche e assicurazioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere ogni iniziativa, anche finanziaria, preposta a salvare i risparmi in particolar modo degli ignari clienti retail delle banche in risoluzioni.
9/3444-A/162. (Testo modificato nel corso della seduta)  Villarosa.


   La Camera,
   premesso che:
    l'AC 3444, disegno di legge Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) prevede un aumento di 150 milioni arrivando solo a confermare le risorse delle legge di stabilità precedente e relative al 2015 considerate già allora insufficienti.
  Tali risorse sono attribuite alle Regioni in funzione della popolazione anziana non autosufficiente e d'indicatori socio-economici (come da tabella 1 parte integrante del decreto) e una quota pari al 5 per cento del totale è attribuita al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai fini della promozione di interventi innovativi in favore delle persone non autosufficienti.
  Sono due milioni e mezzo gli anziani non autosufficienti, i quali, per un qualche tipo di limitazione funzionale, gravano sulle famiglie.
  A fronte dei bassi livelli di copertura dell'assistenza continuativa formale, come l'assistenza domiciliare integrata, i servizi di assistenza domiciliare e i presidi residenziali, lo Stato si trincera dietro la concessione dell'indennità di accompagnamento, che rimane lo strumento prevalente di copertura per gli anziani non autosufficienti, soprattutto al Centro-Sud, aumentata solo, però, per effetto degli adeguamenti inflazionari con esiti, quindi, deludenti: il numero dei beneficiari è in contrazione.
  Un familiare o un badante forniscono, facendo ricorso a tutti gli strumenti loro disponibili, il principale supporto: domestico, di accompagnamento, di aiuto nelle pratiche burocratiche e sociali. La condizione di non autosufficienza degli anziani in carico alle famiglie rappresenta un fattore in grado di aumentare il rischio di povertà delle nuove generazioni;
    nel 2006 fu assegnata la somma di 100 milioni di euro per l'anno 2007 e di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009.
  La legge n. 191 del 23 dicembre 2009 (legge finanziaria 2010) ha disposto l'incremento del Fondo per le non autosufficienze di euro 400 milioni per l'anno 2010. Conseguentemente, con Decreto Interministeriale del 4 ottobre 2010, registrato presso la Corte dei Conti il 2 novembre 2010, sono stati assegnati i 400 milioni di euro per l'anno 2010 al Fondo per le non autosufficienze;
    in data 2 novembre 2010 è stato pubblicato l'avviso pubblico contenente le linee guida per la presentazione da parte delle Regioni e delle province autonome di progetti sperimentali ai sensi dell'articolo 3, comma 1 del citato decreto interministeriale 4 ottobre 2010. L'avviso è stato successivamente integrato dal Decreto Direttoriale Integrativo 30 Novembre 2010, che ha prorogato la scadenza di presentazione dei progetti sperimentali al 6 dicembre 2010;

impegna il Governo

a incrementare le risorse destinate per il fondo per le non autosufficienze istituito presso il Ministero della salute anche a sostegno delle persone affette da Sla.
9/3444-A/163Simone Valente, Colonnese, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    l'AC 3444, disegno di legge Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) prevede un aumento di 150 milioni arrivando solo a confermare le risorse delle legge di stabilità precedente e relative al 2015 considerate già allora insufficienti.
  Tali risorse sono attribuite alle Regioni in funzione della popolazione anziana non autosufficiente e d'indicatori socio-economici (come da tabella 1 parte integrante del decreto) e una quota pari al 5 per cento del totale è attribuita al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai fini della promozione di interventi innovativi in favore delle persone non autosufficienti.
  Sono due milioni e mezzo gli anziani non autosufficienti, i quali, per un qualche tipo di limitazione funzionale, gravano sulle famiglie.
  A fronte dei bassi livelli di copertura dell'assistenza continuativa formale, come l'assistenza domiciliare integrata, i servizi di assistenza domiciliare e i presidi residenziali, lo Stato si trincera dietro la concessione dell'indennità di accompagnamento, che rimane lo strumento prevalente di copertura per gli anziani non autosufficienti, soprattutto al Centro-Sud, aumentata solo, però, per effetto degli adeguamenti inflazionari con esiti, quindi, deludenti: il numero dei beneficiari è in contrazione.
  Un familiare o un badante forniscono, facendo ricorso a tutti gli strumenti loro disponibili, il principale supporto: domestico, di accompagnamento, di aiuto nelle pratiche burocratiche e sociali. La condizione di non autosufficienza degli anziani in carico alle famiglie rappresenta un fattore in grado di aumentare il rischio di povertà delle nuove generazioni;
    nel 2006 fu assegnata la somma di 100 milioni di euro per l'anno 2007 e di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009.
  La legge n. 191 del 23 dicembre 2009 (legge finanziaria 2010) ha disposto l'incremento del Fondo per le non autosufficienze di euro 400 milioni per l'anno 2010. Conseguentemente, con Decreto Interministeriale del 4 ottobre 2010, registrato presso la Corte dei Conti il 2 novembre 2010, sono stati assegnati i 400 milioni di euro per l'anno 2010 al Fondo per le non autosufficienze;
    in data 2 novembre 2010 è stato pubblicato l'avviso pubblico contenente le linee guida per la presentazione da parte delle Regioni e delle province autonome di progetti sperimentali ai sensi dell'articolo 3, comma 1 del citato decreto interministeriale 4 ottobre 2010. L'avviso è stato successivamente integrato dal Decreto Direttoriale Integrativo 30 Novembre 2010, che ha prorogato la scadenza di presentazione dei progetti sperimentali al 6 dicembre 2010;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di incrementare le risorse destinate per il fondo per le non autosufficienze istituito presso il Ministero della salute anche a sostegno delle persone affette da Sla.
9/3444-A/163. (Testo modificato nel corso della seduta)  Simone Valente, Colonnese, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 22, comma 1, lettera c), del testo unico sulle imposte prevede che dall'imposta lorda si scomputano «le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate, anteriormente alla presentazione della dichiarazione dei redditi, sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo e su quelli tassati separatamente. Le ritenute operate dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi si scomputano dall'imposta relativa al periodo d'imposta in cui sono operate», l'articolo 79 del testo unico sulle imposte rubricato «scomputo delle ritenute», rinvia al citato articolo 22 quanto alla disciplina dello scomputo delle ritenute a titolo d'acconto ai fini IRES;
    secondo il chiaro dettato normativo, può verificarsi che la ritenuta venga operata nell'anno successivo a quello di competenza del ricavo o compenso sul quale è operata ma prima del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi: in questo caso, la legge prevede che la ritenuta vada scomputata nella dichiarazione dei redditi dell'anno di competenza del ricavo o compenso;
    tale disposizione è stata introdotta con il fine di consentire al contribuente di detrarre la ritenuta nella stessa dichiarazione di competenza del ricavo anche se subita nel periodo d'imposta successivo. Si tratta dunque di una misura di favore che consente di non posticipare lo scomputo della ritenuta;
    tuttavia tale disposizione presenta profili di criticità che vanno evidenziati. Innanzitutto va rilevato che lo scomputo della detrazione operato l'anno successivo a quello di competenza nella dichiarazione relativa al periodo precedente, comporta notevoli complicazioni di carattere contabile e dichiarativo in conseguenza dello sfasamento temporale delle annotazioni. Inoltre, va rilevato che il carattere precettivo della disposizione, che impone al contribuente di riportare la detrazione nella prima dichiarazione utile, comporta la perdita del diritto alla detrazione in caso di omessa indicazione, salva la possibilità di effettuare una dichiarazione correttiva con conseguente aggravio di oneri;
    la soluzione auspicabile sarebbe quella di rendere facoltativa la scelta del contribuente di riportare le dette ritenute nella prima dichiarazione utile o al più tardi nella dichiarazione dell'anno in cui le ritenute sono state operate. Peraltro, tale misura non arrecherebbe alcun onere per le casse dello Stato in quanto si traduce in una mera posticipazione del termine di fruizione della ritenuta,

impegna il Governo

nell'ottica di semplificazione fiscale, ad introdurre misure normative volte a prevedere che le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate nell'anno successivo a quello di competenza, e prima della dichiarazione dei redditi, possano essere scomputate o nella stessa dichiarazione dei redditi di competenza dei ricavi o compensi sui quali sono operate o, in alternativa, nella dichiarazione dei redditi relativa all'anno in cui sono state effettivamente operare.
9/3444-A/164Pisano, Pesco, Villarosa.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 22, comma 1, lettera c), del testo unico sulle imposte prevede che dall'imposta lorda si scomputano «le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate, anteriormente alla presentazione della dichiarazione dei redditi, sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo e su quelli tassati separatamente. Le ritenute operate dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi si scomputano dall'imposta relativa al periodo d'imposta in cui sono operate», l'articolo 79 del testo unico sulle imposte rubricato «scomputo delle ritenute», rinvia al citato articolo 22 quanto alla disciplina dello scomputo delle ritenute a titolo d'acconto ai fini IRES;
    secondo il chiaro dettato normativo, può verificarsi che la ritenuta venga operata nell'anno successivo a quello di competenza del ricavo o compenso sul quale è operata ma prima del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi: in questo caso, la legge prevede che la ritenuta vada scomputata nella dichiarazione dei redditi dell'anno di competenza del ricavo o compenso;
    tale disposizione è stata introdotta con il fine di consentire al contribuente di detrarre la ritenuta nella stessa dichiarazione di competenza del ricavo anche se subita nel periodo d'imposta successivo. Si tratta dunque di una misura di favore che consente di non posticipare lo scomputo della ritenuta;
    tuttavia tale disposizione presenta profili di criticità che vanno evidenziati. Innanzitutto va rilevato che lo scomputo della detrazione operato l'anno successivo a quello di competenza nella dichiarazione relativa al periodo precedente, comporta notevoli complicazioni di carattere contabile e dichiarativo in conseguenza dello sfasamento temporale delle annotazioni. Inoltre, va rilevato che il carattere precettivo della disposizione, che impone al contribuente di riportare la detrazione nella prima dichiarazione utile, comporta la perdita del diritto alla detrazione in caso di omessa indicazione, salva la possibilità di effettuare una dichiarazione correttiva con conseguente aggravio di oneri;
    la soluzione auspicabile sarebbe quella di rendere facoltativa la scelta del contribuente di riportare le dette ritenute nella prima dichiarazione utile o al più tardi nella dichiarazione dell'anno in cui le ritenute sono state operate. Peraltro, tale misura non arrecherebbe alcun onere per le casse dello Stato in quanto si traduce in una mera posticipazione del termine di fruizione della ritenuta,

impegna il Governo

nell'ottica di semplificazione fiscale, a valutare l'opportunità di introdurre misure normative volte a prevedere che le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate nell'anno successivo a quello di competenza, e prima della dichiarazione dei redditi, possano essere scomputate o nella stessa dichiarazione dei redditi di competenza dei ricavi o compensi sui quali sono operate o, in alternativa, nella dichiarazione dei redditi relativa all'anno in cui sono state effettivamente operare.
9/3444-A/164. (Testo modificato nel corso della seduta)  Pisano, Pesco, Villarosa.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, recepisce la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014 relativa al quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento;
    in particolar modo il Capo II del Titolo IV disciplina la riduzione o conversione in azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale, mentre la Sezione III del Capo IV del medesimo Titolo disciplina il Bail-in;
    la crisi di Cassa di risparmio di Ferrara Spa, di Banca delle Marche Spa, di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti Spa ha avuto come tragico la perdita di 431 milioni di euro di investimenti da parte di circa 12.500 risparmiatori nonché la riduzione del valore delle azioni per circa 1 miliardi di euro. La Banca d'Italia e il Governo hanno assunto atti ed iniziative sulla base delle disposizioni di cui al citato Capo II del Titolo IV del decreto legislativo n. 180 del 2015. Le disposizioni contenute nel medesimo Capo II rinviano alle disposizioni di cui alla Sezione III del Capo IV del Titolo IV dello stesso decreto legislativo, le quali, ai sensi dell'articolo 106 entreranno in vigore solo a partire dal 1o gennaio 2016. Sulla base di quanto asserito si dubita della legittimità costituzionale e della validità degli atti assunti dalla Banca d'Italia e dal Ministero dell'economia e delle finanze;
    la procedura di risoluzione della crisi delle Banche è stata predisposta mediante la costituzione di quattro nuovi istituti di credito, di una bad bank e l'avvio della liquidazione coatta amministrativa delle banche in risoluzione. In particolar modo ai nuovi istituti di credito sono stati trasferiti i diritti, le partecipazioni le attività e le passività delle Banche in risoluzione mentre la bad bank si occuperà della gestione delle sofferenze cedute delle Banche in risoluzione;
    per le banche è stato previsto che la trasformazione in credito d'imposta delle attività per imposte anticipate relative ai componenti negativi di cui al comma 55 dell'articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, iscritte nella situazione contabile di riferimento dell'ente sottoposta a risoluzione decorre dalla data di avvio della risoluzione e non dalla data di approvazione del bilancio così come previsto dal comma 56 dell'articolo 2 del suddetto decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225. Tale previsione rappresenta indubbiamente una violazione del principio di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione e del principio di capacità contributiva di cui all'articolo 53 della Costituzione. La suddetta deroga ai principi contabili decorre retroattivamente ed a far data dall'entrata in vigore del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. Tale previsione rappresenta un'ulteriore violazione dei richiamati principi costituzionali di ragionevolezza ed uguaglianza e di capacità contributiva. Altresì sono stati anticipati gli effetti delle disposizioni introdotte dall'articolo 16 del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 convertito con modificazioni dalla legge di conversione 6 agosto 2015, n. 132, che contrariamente a quanto previsto per le imprese ordinarie consente agli enti creditizi e finanziari ed alle imprese di assicurazione di dedurre integralmente la svalutazione e le perdite su crediti nell'anno in cui si sono verificate. In particolar modo, con la disposizione in esame si anticipa l'applicazione della svalutazione e delle perdite su crediti al periodo d'imposta successivo al 2014 per i soggetti con periodo d'imposta non corrispondente all'anno solare. Nel complesso si può ritenere che le previsioni normative citate rappresentino un'ulteriore violazione dei principi di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione e di capacità contributiva di cui all'articolo 53 della Costituzione;
    il Governo ha predisposto una maggiorazione dell'IRES pari al 3,5 per cento per le banche e gli enti finanziari. In tal modo, esclude per tali soggetti la riduzione dell'IRES originariamente prevista dalla legge di stabilità a decorrere dal 2016. Con la riduzione dell'IRES le banche avrebbero perso una parte dei crediti d'imposta maturati negli anni precedenti e calcolati con l'aliquota al 27,5 per cento. Alle banche conviene più utilizzare il credito d'imposta pari a 5 miliardi di euro che ricevere la riduzione dell'IRES pari «solo» a 1 miliardo di euro. Infine è stata disposta la deducibilità integrale degli interessi passivi per le banche e gli enti finanziari lasciando inalterato il limite del 96 per cento per le sole imprese assicurative. Disposizioni analoghe sono state previste anche per l'IRAP;
    le suddette deroghe ai principi costituzionali hanno di fatto creato delle agevolazioni alle banche in risoluzione ed al sistema bancario e finanziario nel suo complesso. Tra gli interventi posti in essere dalla Banca d'Italia e dal Governo non si riscontrano però atti preposti alla tutela dei risparmiatori. Si precisa che l'articolo 47 della Costituzione prevede che: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito». Al contrario di quanto previsto in Costituzione 12.500 clienti retail hanno perso 431 milioni di euro di risparmio investito. Il pregiudizio subito deriva dalla sottoscrizione di strumenti finanziari rischiosi non adeguati a famiglie, pensionati e piccoli risparmiatori, infatti, il Direttore generale della Banca d'Italia ha dichiarato la necessità di un intervento normativo al fine di evitare la sottoscrizione di strumenti finanziari rischiosi obbligazioni subordinate – presso gli sportelli bancari. Tale dichiarazione lascia intendere che le obbligazioni subordinate sottoscritte dai risparmiatori non sono coerenti con il profilo di rischio degli stessi e per tal motivo sarebbe opportuno riservarne la sottoscrizione agli investitori istituzionali ovvero ai professionisti del settore;
    per le suddette ragioni sarebbe stato opportuno un intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e assumere ogni iniziativa preposta a salvare i risparmi in particolar modo degli ignari clienti retail delle banche in risoluzione. La Germania fino al 2013 ha predisposto 250 miliardi di euro di finanziamenti al settore bancario mentre in Italia i finanziamenti al settore bancario sono stati pari a circa 4 miliardi di euro e, sulla base di tale valutazione, le obiezioni sollevate in sede europea circa la qualificazione come aiuto di stato di un possibile intervento del suddetto Fondo è eccessiva e non coerente con le agevolazioni usufruite dalle banche tedesche e dei principali Stati Membri,

impegna il Governo:

   ad adottare tutte le iniziative di competenza al fine di predisporre un intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi al fine di indennizzare i titolari delle obbligazioni subordinate e delle azioni il cui valore sia stato ridotto in relazione alla procedura di risoluzione della Cassa di risparmio di Ferrara Spa, di Banca delle Marche Spa, di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti Spa;
   a valutare gli effetti applicativi delle norme richiamate al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a sopprimere la disciplina di cui al decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, ed avviare una procedura di risoluzione delle crisi bancarie e finanziarie gestita dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi.
9/3444-A/165Pesco.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità che il Parlamento si appresta a licenziare prevede uno stanziamento di 150 milioni di euro per la cyber security, finalizzato al potenziamento degli interventi e delle dotazioni strumentali in materia di protezione cibernetica e di sicurezza informatica nazionali;
    del tutto contraddittoria rispetto alla dichiarata volontà di rafforzare la sicurezza informatica appare la proposta di questo Governo, riportata dagli organi di stampa in questi giorni, di chiudere tutte le sezioni provinciali della Polizia delle comunicazioni, ad eccezione di quelle presenti nelle sedi di Corte di appello, al fine di una asserita razionalizzazione delle risorse umane e logistiche;
    la Polizia Postale e delle Comunicazioni assolve alla funzione di vigilare sull'osservanza delle leggi e dei regolamenti in materia di telecomunicazioni e sull'uso distorto delle tecnologie, nonché di impedire che esse divengano veicolo di illegalità; essa contrasta infatti tutti i reati che avvengono per mezzo della rete informatica e telefonica (es: stalking, molestie, cyber bullismo, clonazioni);
    grazie alla sua presenza capillare sul territorio, essa contrasta fenomeni come la pedofilia on-line, gli attacchi a sistemi informatici, le truffe perpetrate grazie all'utilizzo fraudolento di codici di carte di credito o di debito, sono alcuni esempi delle attività delittuose che vengono contrastate dal personale della specialità;
    i Compartimenti e le Sezioni sono ospitati da Poste Italiane, che finanziano anche apparecchiature e software, pertanto non gravano sul bilancio dello Stato, ma costituiscono un servizio a costo zero;
    dunque dai tagli annunciati non deriverebbe un effettivo risparmio economico, dato che ad oggi le spese sono a carico di Poste italiane, ma – al contrario – si disperderebbero competenze e specializzazioni;
    i cittadini italiani hanno diritto ad usufruire di un livello di sicurezza uniforme, senza discriminazioni di territorio, che svantaggerebbero quelle province che non siano anche sede di Corte di appello; è infatti facile immaginare che tutte le province colpite dalla scure governativa, saranno più appetibili e vulnerabili agli attacchi criminali;
    i pochi uffici rimanenti, che già oggi hanno difficoltà a fronteggiare il crescente numero di reati informatici commessi, collasseranno operativamente, vedendosi affluire tutto il carico di lavoro delle sezioni soppresse, a discapito della sicurezza dei cittadini;
    l'attività di prevenzione e repressione dei reati deve avvenire direttamente sul territorio presidiato per essere davvero tempestiva ed efficace;
    il rischio che si corre è quello di estromettere dalla specialità della Polizia delle comunicazioni centinaia di operatori preparati e professionalizzati per indirizzarli in altri uffici per i quali non hanno la stessa competenza ed efficacia operativa;
    nel nostro Paese i reati aumentano e la tensione sociale sale alle stelle; i recenti tragici avvenimenti di Parigi dimostrano che è necessario investire sulla prevenzione e sulla repressione dei reati, specie di quelli telematici,

impegna il Governo

ad adottare ogni provvedimento utile e necessario al fine di stanziare una parte del fondo destinato dal Governo alla cyber security in favore della Polizia postale e delle comunicazioni.
9/3444-A/166Lombardi.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità che il Parlamento si appresta a licenziare prevede uno stanziamento di 150 milioni di euro per la cyber security, finalizzato al potenziamento degli interventi e delle dotazioni strumentali in materia di protezione cibernetica e di sicurezza informatica nazionali;
    del tutto contraddittoria rispetto alla dichiarata volontà di rafforzare la sicurezza informatica appare la proposta di questo Governo, riportata dagli organi di stampa in questi giorni, di chiudere tutte le sezioni provinciali della Polizia delle comunicazioni, ad eccezione di quelle presenti nelle sedi di Corte di appello, al fine di una asserita razionalizzazione delle risorse umane e logistiche;
    la Polizia Postale e delle Comunicazioni assolve alla funzione di vigilare sull'osservanza delle leggi e dei regolamenti in materia di telecomunicazioni e sull'uso distorto delle tecnologie, nonché di impedire che esse divengano veicolo di illegalità; essa contrasta infatti tutti i reati che avvengono per mezzo della rete informatica e telefonica (es: stalking, molestie, cyber bullismo, clonazioni);
    grazie alla sua presenza capillare sul territorio, essa contrasta fenomeni come la pedofilia on-line, gli attacchi a sistemi informatici, le truffe perpetrate grazie all'utilizzo fraudolento di codici di carte di credito o di debito, sono alcuni esempi delle attività delittuose che vengono contrastate dal personale della specialità;
    i Compartimenti e le Sezioni sono ospitati da Poste Italiane, che finanziano anche apparecchiature e software, pertanto non gravano sul bilancio dello Stato, ma costituiscono un servizio a costo zero;
    dunque dai tagli annunciati non deriverebbe un effettivo risparmio economico, dato che ad oggi le spese sono a carico di Poste italiane, ma – al contrario – si disperderebbero competenze e specializzazioni;
    i cittadini italiani hanno diritto ad usufruire di un livello di sicurezza uniforme, senza discriminazioni di territorio, che svantaggerebbero quelle province che non siano anche sede di Corte di appello; è infatti facile immaginare che tutte le province colpite dalla scure governativa, saranno più appetibili e vulnerabili agli attacchi criminali;
    i pochi uffici rimanenti, che già oggi hanno difficoltà a fronteggiare il crescente numero di reati informatici commessi, collasseranno operativamente, vedendosi affluire tutto il carico di lavoro delle sezioni soppresse, a discapito della sicurezza dei cittadini;
    l'attività di prevenzione e repressione dei reati deve avvenire direttamente sul territorio presidiato per essere davvero tempestiva ed efficace;
    il rischio che si corre è quello di estromettere dalla specialità della Polizia delle comunicazioni centinaia di operatori preparati e professionalizzati per indirizzarli in altri uffici per i quali non hanno la stessa competenza ed efficacia operativa;
    nel nostro Paese i reati aumentano e la tensione sociale sale alle stelle; i recenti tragici avvenimenti di Parigi dimostrano che è necessario investire sulla prevenzione e sulla repressione dei reati, specie di quelli telematici,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni provvedimento utile e necessario al fine di stanziare una parte del fondo destinato dal Governo alla cyber security in favore della Polizia postale e delle comunicazioni.
9/3444-A/166. (Testo modificato nel corso della seduta)  Lombardi.


   La Camera,
   premesso che:
    al fine di tutelare i lavoratori impiegati in attività particolarmente faticose e pesanti il decreto legislativo n. 67 del 2011 ha introdotto, dal 1o gennaio 2008, una disciplina che consente di anticipare l'età pensionabile, riconfermata, seppur con alcune modifiche, dalla cosiddetta legge Fornero del 2011;
    il suddetto beneficio si applica ai soli lavoratori dipendenti (sia del settore privato che del pubblico impiego) che abbiano svolto nell'arco della propria vita lavorativa talune attività individuate nel citato articolo 1 del decreto legislativo n. 67 del 2011;
    il comma 159, lettera b), prevede una drastica riduzione del fondo destinato al finanziamento del pensionamento anticipato dei lavoratori addetti alle mansioni particolarmente faticose e pesanti (i cosiddetti lavori usuranti);
    la dotazione per i lavoratori in parola, prevista dalla legge 247 del 2007 (articolo 1, comma 3, lettera f)) viene ridotta di 140 milioni di euro per il 2017; 110 milioni di euro per il 2018; 76 milioni per il 2019 e di altri 30 milioni per il 2020. Il Fondo, com’è noto, era stato già ridotto per l'anno 2016 con la precedente legge di stabilità n. 190/2014 a 233 milioni di euro a fronte dei 383 milioni di euro stanziati tra il 2013 e 2014;
    ulteriori riduzioni, di cui alla legge 247 del 2007 (articolo 1, comma 3, lettera f)) sono effettuate nella misura di 15,1 milioni di euro per l'anno 2016, 15,4 milioni di euro per l'anno 2017, 15,8 milioni di euro per l'anno 2018, 16,2 milioni di euro per l'anno 2019, 16,5 milioni di euro per l'anno 2020, 16,9 milioni di euro per l'anno 2021, 17,2 milioni di euro per l'anno 2022, 17,7 milioni di euro per l'anno 2023, 18 milioni di euro per l'anno 2024 e 18,4 milioni di euro a decorrere dall'anno 2025, con conseguente corrispondente riduzione degli importi destinati all'accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, da utilizzare sia per il cumulo dei riscatto degli anni di laurea con il riscatto del periodo di maternità facoltativa fuori dal rapporto di lavoro, sia per consentire a coloro che sono andati in pensione di anzianità con meno di 62 anni nel triennio 2012-2014, la cancellazione delle penalizzazioni, per i soli ratei corrisposti dal 1 gennaio 2016;
    si tratta di fondi che continuano ad essere sotto-utilizzati a causa dei tanti ostacoli per il riconoscimento del beneficio ai diretti interessati che tuttavia avrebbero potuto essere destinati a finanziare ulteriori interventi in materia di lavori usuranti, estendendo la platea degli interessati, ad es. gli edili;
    alla suddetta misura si aggiunge anche una riduzione di 160 milioni di euro del Fondo dedicato ai lavoratori esodati, di cui all'articolo 1, comma 235 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, a favore della sperimentazione di Opzione donna, di cui al comma 155;
    relativamente al sopra citato comma 155 del provvedimento in titolo, si prevede il monitoraggio delle risorse stanziate, per verificare l'eventualità di oneri previdenziali superiori alle previsioni di spesa, da impiegare in futuro, non solo per sia per la prosecuzione della sperimentazione Opzione donna, ma anche per interventi con finalità analoghe;
    l'articolo 1, comma 235, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 e l'articolo 1, comma 193, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nel definire le risorse finanziarie necessarie a garantire copertura alle operazioni di salvaguardia hanno anche stabilito le modalità con cui tali risorse e le correlate consistenze potessero essere trasferite tra le categorie di soggetti tutelati;
    in particolare la certificazione dell'esistenza e dell'ammontare dei risparmi utilizzabili, ovvero dei residui passivi iscritti nello stato di previsione del ministero competente, a copertura di un nuovo provvedimento di salvaguardia può essere effettuato esclusivamente dalla Conferenza dei servizi,

impegna il Governo:

   ad attuare il monitoraggio di cui al comma 155, ai sensi dell'articolo 1, comma 193, della legge n. 147 del 2013, che ha previsto che l'utilizzo di residui passivi e il relativo trasferimento di risorse debba avvenire esclusivamente, previo procedimento di cui all'articolo 14 della legge 7 agosto 1990 n. 241, e successive modificazioni, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
   qualora dovessero risultare risorse eccedenti, ai sensi del sopra citato articolo 155, prevedere l'utilizzo di dette risorse per ricompensare la dotazione del Fondo per i lavori usuranti di cui all'articolo 1, comma 3, lettera f) della legge 247 del 2007, fortemente depauperato, al fine di ampliare la platea dei beneficiari.
9/3444-A/167Tripiedi, Cominardi, Alberti.


   La Camera,
   premesso che:
    al fine di tutelare i lavoratori impiegati in attività particolarmente faticose e pesanti il decreto legislativo n. 67 del 2011 ha introdotto, dal 1o gennaio 2008, una disciplina che consente di anticipare l'età pensionabile, riconfermata, seppur con alcune modifiche, dalla cosiddetta legge Fornero del 2011;
    il suddetto beneficio si applica ai soli lavoratori dipendenti (sia del settore privato che del pubblico impiego) che abbiano svolto nell'arco della propria vita lavorativa talune attività individuate nel citato articolo 1 del decreto legislativo n. 67 del 2011;
    il comma 159, lettera b), prevede una drastica riduzione del fondo destinato al finanziamento del pensionamento anticipato dei lavoratori addetti alle mansioni particolarmente faticose e pesanti (i cosiddetti lavori usuranti);
    la dotazione per i lavoratori in parola, prevista dalla legge 247 del 2007 (articolo 1, comma 3, lettera f)) viene ridotta di 140 milioni di euro per il 2017; 110 milioni di euro per il 2018; 76 milioni per il 2019 e di altri 30 milioni per il 2020. Il Fondo, com’è noto, era stato già ridotto per l'anno 2016 con la precedente legge di stabilità n. 190/2014 a 233 milioni di euro a fronte dei 383 milioni di euro stanziati tra il 2013 e 2014;
    ulteriori riduzioni, di cui alla legge 247 del 2007 (articolo 1, comma 3, lettera f)) sono effettuate nella misura di 15,1 milioni di euro per l'anno 2016, 15,4 milioni di euro per l'anno 2017, 15,8 milioni di euro per l'anno 2018, 16,2 milioni di euro per l'anno 2019, 16,5 milioni di euro per l'anno 2020, 16,9 milioni di euro per l'anno 2021, 17,2 milioni di euro per l'anno 2022, 17,7 milioni di euro per l'anno 2023, 18 milioni di euro per l'anno 2024 e 18,4 milioni di euro a decorrere dall'anno 2025, con conseguente corrispondente riduzione degli importi destinati all'accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, da utilizzare sia per il cumulo dei riscatto degli anni di laurea con il riscatto del periodo di maternità facoltativa fuori dal rapporto di lavoro, sia per consentire a coloro che sono andati in pensione di anzianità con meno di 62 anni nel triennio 2012-2014, la cancellazione delle penalizzazioni, per i soli ratei corrisposti dal 1 gennaio 2016;
    si tratta di fondi che continuano ad essere sotto-utilizzati a causa dei tanti ostacoli per il riconoscimento del beneficio ai diretti interessati che tuttavia avrebbero potuto essere destinati a finanziare ulteriori interventi in materia di lavori usuranti, estendendo la platea degli interessati, ad es. gli edili;
    alla suddetta misura si aggiunge anche una riduzione di 160 milioni di euro del Fondo dedicato ai lavoratori esodati, di cui all'articolo 1, comma 235 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, a favore della sperimentazione di Opzione donna, di cui al comma 155;
    relativamente al sopra citato comma 155 del provvedimento in titolo, si prevede il monitoraggio delle risorse stanziate, per verificare l'eventualità di oneri previdenziali superiori alle previsioni di spesa, da impiegare in futuro, non solo per sia per la prosecuzione della sperimentazione Opzione donna, ma anche per interventi con finalità analoghe;
    l'articolo 1, comma 235, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 e l'articolo 1, comma 193, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nel definire le risorse finanziarie necessarie a garantire copertura alle operazioni di salvaguardia hanno anche stabilito le modalità con cui tali risorse e le correlate consistenze potessero essere trasferite tra le categorie di soggetti tutelati;
    in particolare la certificazione dell'esistenza e dell'ammontare dei risparmi utilizzabili, ovvero dei residui passivi iscritti nello stato di previsione del ministero competente, a copertura di un nuovo provvedimento di salvaguardia può essere effettuato esclusivamente dalla Conferenza dei servizi,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di attuare il monitoraggio di cui al comma 155, ai sensi dell'articolo 1, comma 193, della legge n. 147 del 2013, che ha previsto che l'utilizzo di residui passivi e il relativo trasferimento di risorse debba avvenire esclusivamente, previo procedimento di cui all'articolo 14 della legge 7 agosto 1990 n. 241, e successive modificazioni, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
   qualora dovessero risultare risorse eccedenti, ai sensi del sopra citato articolo 155, a valutare l'opportunità di prevedere l'utilizzo di dette risorse per ricompensare la dotazione del Fondo per i lavori usuranti di cui all'articolo 1, comma 3, lettera f) della legge 247 del 2007, fortemente depauperato, al fine di ampliare la platea dei beneficiari.
9/3444-A/167. (Testo modificato nel corso della seduta)  Tripiedi, Cominardi, Alberti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'atto Camera 3444-A reca la legge di stabilità per il 2016 e reca norme in materia di giochi con vincite in denaro;
    in particolare in materia di giochi con vincite in denaro si prevede che entro il 30 aprile 2016 in sede di Conferenza Unificata, Stato, regioni e enti locali, siano definite le caratteristiche dei punti vendita dove si raccoglie gioco pubblico e i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale;
    ad oggi il Testo Unico delle leggi di Pubblica sicurezza (TULPS) recita all'articolo 86: «Non possono esercitarsi, senza licenza del Questore, alberghi, compresi quelli diurni, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè o altri esercizi in cui si vendono al minuto o si consumano vino, birra, liquori od altre bevande anche non alcooliche, né sale pubbliche per bigliardi o per altri giochi leciti o stabilimenti di bagni, esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture, ovvero locali di stallaggio e simili. – omissis – Relativamente agli apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici di cui all'articolo 110, commi 6 e 7, la licenza è altresì necessaria: a) per l'attività di produzione o di importazione; b) per l'attività di distribuzione e di gestione, anche indiretta; c) per l'installazione in esercizi commerciali o pubblici diversi da quelli già in possesso di altre licenze di cui al primo o secondo comma o di cui all'articolo 88 ovvero per l'installazione in altre aree aperte al pubblico od in circoli privati. La licenza per l'esercizio di sale pubbliche da gioco in cui sono installati apparecchi o congegni automatici, semiautomatici ed elettronici da gioco di cui al presente comma e la licenza per lo svolgimento delle attività di distribuzione o di gestione, anche indiretta, di tali apparecchi, sono rilasciate previo nulla osta dell'Amministrazione finanziaria, necessario comunque anche per l'installazione degli stessi nei circoli privati»;
   L'articolo 88 del TULPS recita altresì, «La licenza per l'esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione»;
    prevedere che in sede di Conferenza Unificata siano definite le caratteristiche dei punti vendita dove si raccoglie il gioco pubblico e i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale senza che si preveda un ruolo dei comuni anche nell'ambito del rilascio delle licenze appare una evidente contraddizione sulla quale è necessario intervenire,

impegna il Governo

a valutare e prevedere anche con successivo atto normativo che ai comuni sia data la facoltà di rilascio della licenza di cui agli articoli 86 e 88 del Testo Unico leggi Pubblica Sicurezza relativamente alle sale per giochi leciti con vincite in denaro e per l'attività di distribuzione di apparecchi automatici e semiautomatici ed elettronici di cui al quinto comma dell'articolo 110 del TULPS. L'amministrazione comunale valuta la possibilità del rilascio delle licenze di cui al presente comma tenuto conto del numero di sale giochi con vincite in denaro già insistenti sul territorio e della distanza con i luoghi sensibili in particolare luoghi di culto, di aggregazione giovanile, strutture sanitarie, scuole di ogni ordine e grado.
9/3444-A/168Mantero, Baroni, Di Vita, Colonnese, Grillo, Silvia Giordano, Lorefice.


   La Camera,
   premesso che:
    l'atto Camera 3444-A reca la legge di stabilità per il 2016 e reca norme in materia di giochi con vincite in denaro;
    in particolare in materia di giochi con vincite in denaro si prevede che entro il 30 aprile 2016 in sede di Conferenza Unificata, Stato, regioni e enti locali, siano definite le caratteristiche dei punti vendita dove si raccoglie gioco pubblico e i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale;
    ad oggi il Testo Unico delle leggi di Pubblica sicurezza (TULPS) recita all'articolo 86: «Non possono esercitarsi, senza licenza del Questore, alberghi, compresi quelli diurni, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè o altri esercizi in cui si vendono al minuto o si consumano vino, birra, liquori od altre bevande anche non alcooliche, né sale pubbliche per bigliardi o per altri giochi leciti o stabilimenti di bagni, esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture, ovvero locali di stallaggio e simili. – omissis – Relativamente agli apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici di cui all'articolo 110, commi 6 e 7, la licenza è altresì necessaria: a) per l'attività di produzione o di importazione; b) per l'attività di distribuzione e di gestione, anche indiretta; c) per l'installazione in esercizi commerciali o pubblici diversi da quelli già in possesso di altre licenze di cui al primo o secondo comma o di cui all'articolo 88 ovvero per l'installazione in altre aree aperte al pubblico od in circoli privati. La licenza per l'esercizio di sale pubbliche da gioco in cui sono installati apparecchi o congegni automatici, semiautomatici ed elettronici da gioco di cui al presente comma e la licenza per lo svolgimento delle attività di distribuzione o di gestione, anche indiretta, di tali apparecchi, sono rilasciate previo nulla osta dell'Amministrazione finanziaria, necessario comunque anche per l'installazione degli stessi nei circoli privati»;
   L'articolo 88 del TULPS recita altresì, «La licenza per l'esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione»;
    prevedere che in sede di Conferenza Unificata siano definite le caratteristiche dei punti vendita dove si raccoglie il gioco pubblico e i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale senza che si preveda un ruolo dei comuni anche nell'ambito del rilascio delle licenze appare una evidente contraddizione sulla quale è necessario intervenire,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valutare e prevedere anche con successivo atto normativo che ai comuni sia data la facoltà di rilascio della licenza di cui agli articoli 86 e 88 del Testo Unico leggi Pubblica Sicurezza relativamente alle sale per giochi leciti con vincite in denaro e per l'attività di distribuzione di apparecchi automatici e semiautomatici ed elettronici di cui al quinto comma dell'articolo 110 del TULPS. L'amministrazione comunale valuta la possibilità del rilascio delle licenze di cui al presente comma tenuto conto del numero di sale giochi con vincite in denaro già insistenti sul territorio e della distanza con i luoghi sensibili in particolare luoghi di culto, di aggregazione giovanile, strutture sanitarie, scuole di ogni ordine e grado.
9/3444-A/168. (Testo modificato nel corso della seduta)  Mantero, Baroni, Di Vita, Colonnese, Grillo, Silvia Giordano, Lorefice.


   La Camera,
   premesso che:
    l'AC 3444, disegno di legge di stabilità 2016 contiene la previsione di uno stanziamento di 200 milioni di euro per l'inserimento nel Piano Vaccinale 2016-2018 di nuovi vaccini. Il costo complessivo dei vaccini inseriti nel calendario vaccinale, secondo il prezzo corrente, a regime e con il raggiungimento dei tassi di copertura viene stimato intorno a 620 milioni di euro, quasi raddoppiando il suo budget attuale;
    se la disponibilità di nuovi vaccini da un lato rappresenta un'ulteriore opportunità di protezione individuale, dall'altra comporta, soprattutto nella fase iniziale di avvio del programma di immunizzazione, nuove problematiche, in particolare derivanti dal maggior impegno finanziario da sostenere per spese aggiuntive per l'acquisto di vaccini e la formazione del personale;
    l'impressione è quella che sia stata presa la lista di tutti i vaccini disponibili in commercio e la si sia riversata nel nuovo piano vaccinale, adottando tutti quelli esistenti sul mercato contribuendo ad allarmare e confondere le famiglie;
    tra i medici e gli esperti di Sanità pubblica, si teme un'ulteriore riduzione di bambini immunizzati per le malattie più gravi, con un effetto boomerang per le possibili ripercussioni sull'accettazione da parte delle famiglie: le quattro somministrazioni previste dal calendario vaccinale nel primo anno di vita, infatti, non sono sovrapponibili con altre vaccinazioni e praticamente raddoppiano gli appuntamenti dei neonati con la somministrazione, rischiando di avere un trend negativo dal punto di vista costi/benefici,

impegna il Governo:

   ad avviare tutte le iniziative di competenza necessarie a determinare una prassi uniforme su tutto il territorio nazionale sulle vaccinazioni che fornisca una dettagliata informazione ai cittadini per una scelta consapevole e condivisa e, in tale ambito, oltre a segnalare benefici dei vaccini, promuovendo in tale ambito anche:
    a) la facoltà di scegliere fra due diverse prassi distinte dalla volontà o meno di vaccinarsi o vaccinare i propri figli, affisse e ben visibili all'interno dei centri vaccinali, garantendo la piena applicazione dell'articolo 32 della Costituzione italiana;
    b) di prevedere che ogni trattamento vaccinale abbia sempre la sua personalizzazione, perché deve essere adattato alle caratteristiche personali, nutrizionali, familiari, ambientali e sociali di ogni singola persona, considerato che la ricerca medica punta sulla personalizzazione della terapia. Pertanto sarebbe necessario l'inserimento di esami pre-vaccinali, per esempio esami ematochimici, nei soggetti a rischio e in particolare nei bambini piccoli che dovrebbero ricevere i vaccini pediatrici, accertandosi che lo stress immunitario delle vaccinazioni non comporti gravi rischi per la salute;
    c) garantire la possibilità della somministrazione dei quattro vaccini obbligatori in età pediatrica in formato singolo o di vaccino tetravalente.
9/3444-A/169Colonnese, Silvia Giordano, Baroni, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero.


   La Camera,
   premesso che:
    l'AC 3444, disegno di legge di stabilità 2016 contiene la previsione di uno stanziamento di 200 milioni di euro per l'inserimento nel Piano Vaccinale 2016-2018 di nuovi vaccini. Il costo complessivo dei vaccini inseriti nel calendario vaccinale, secondo il prezzo corrente, a regime e con il raggiungimento dei tassi di copertura viene stimato intorno a 620 milioni di euro, quasi raddoppiando il suo budget attuale;
    se la disponibilità di nuovi vaccini da un lato rappresenta un'ulteriore opportunità di protezione individuale, dall'altra comporta, soprattutto nella fase iniziale di avvio del programma di immunizzazione, nuove problematiche, in particolare derivanti dal maggior impegno finanziario da sostenere per spese aggiuntive per l'acquisto di vaccini e la formazione del personale;
    l'impressione è quella che sia stata presa la lista di tutti i vaccini disponibili in commercio e la si sia riversata nel nuovo piano vaccinale, adottando tutti quelli esistenti sul mercato contribuendo ad allarmare e confondere le famiglie;
    tra i medici e gli esperti di Sanità pubblica, si teme un'ulteriore riduzione di bambini immunizzati per le malattie più gravi, con un effetto boomerang per le possibili ripercussioni sull'accettazione da parte delle famiglie: le quattro somministrazioni previste dal calendario vaccinale nel primo anno di vita, infatti, non sono sovrapponibili con altre vaccinazioni e praticamente raddoppiano gli appuntamenti dei neonati con la somministrazione, rischiando di avere un trend negativo dal punto di vista costi/benefici,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di avviare tutte le iniziative di competenza necessarie a determinare una prassi uniforme su tutto il territorio nazionale sulle vaccinazioni che fornisca una dettagliata informazione ai cittadini per una scelta consapevole e condivisa e, in tale ambito, oltre a segnalare benefici dei vaccini, promuovendo in tale ambito anche:
    a) la facoltà di scegliere fra due diverse prassi distinte dalla volontà o meno di vaccinarsi o vaccinare i propri figli, affisse e ben visibili all'interno dei centri vaccinali, garantendo la piena applicazione dell'articolo 32 della Costituzione italiana;
    b) di prevedere che ogni trattamento vaccinale abbia sempre la sua personalizzazione, perché deve essere adattato alle caratteristiche personali, nutrizionali, familiari, ambientali e sociali di ogni singola persona, considerato che la ricerca medica punta sulla personalizzazione della terapia. Pertanto sarebbe necessario l'inserimento di esami pre-vaccinali, per esempio esami ematochimici, nei soggetti a rischio e in particolare nei bambini piccoli che dovrebbero ricevere i vaccini pediatrici, accertandosi che lo stress immunitario delle vaccinazioni non comporti gravi rischi per la salute;
    c) garantire la possibilità della somministrazione dei quattro vaccini obbligatori in età pediatrica in formato singolo o di vaccino tetravalente.
9/3444-A/169. (Testo modificato nel corso della seduta)  Colonnese, Silvia Giordano, Baroni, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di discussione in Commissione bilancio del disegno di legge recante disposizioni per la formazione dei bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), lo scrivente ha presentato un emendamento che dispone di non applicare l'IRAP ai professionisti e commercianti senza autonoma organizzazione (attività in forma individuale);
    tale disposizione era stata introdotta nel 2012 ma eliminata dalla legge di Stabilità 2014, che ha soppresso il Fondo che finanziava la misura fiscale;
    la questione dell'Irap dei professionisti è ormai da anni, che si sta trascinando, l'Irap si applica a coloro che hanno un'organizzazione d'impresa, quindi il professionista di regola non la deve pagare (Cassazione sentenze dalla n. 3672 alla n.3682, depositate tutte il 16 febbraio 2007);
    con riferimento all'elemento organizzativo anche la stessa Corte Costituzionale, con una sentenza che ha fatto scuola (n. 156 del 26 maggio 2001), ha inteso chiarire che mentre lo stesso è connaturato alla nozione d'impresa, altrettanto non può dirsi per l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, poiché essa può svolgersi anche in assenza di organizzazione di capitale o lavoro altrui. E pertanto evidente, secondo la suprema Corte, che un'attività professionale svolta in assenza di elementi di organizzazione risulterà mancante del presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, rappresentato dall'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata;
    alla luce del suddetto pronunciamento l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, in assenza del requisito dell'autonoma organizzazione non risulta quindi assoggettabile ad IRAP per mancanza dei presupposti applicativi del tributo;
    la stessa delega fiscale n. 23 del 2014 (Delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita) all'articolo 11 doveva affrontare e risolvere la questione suddetta ma ad oggi non risulta nessun provvedimento in merito,

impegna il Governo

ad adottare urgentemente ogni iniziativa utile anche normativa al fine di stabilire con precisione l'esclusione dall'IRAP alle persone fisiche esercenti attività commerciali, arti in ossequio alla giurisprudenza che già si è espressa in merito.
9/3444-A/170Fantinati.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di discussione in Commissione bilancio del disegno di legge recante disposizioni per la formazione dei bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), lo scrivente ha presentato un emendamento che dispone di non applicare l'IRAP ai professionisti e commercianti senza autonoma organizzazione (attività in forma individuale);
    tale disposizione era stata introdotta nel 2012 ma eliminata dalla legge di Stabilità 2014, che ha soppresso il Fondo che finanziava la misura fiscale;
    la questione dell'Irap dei professionisti è ormai da anni, che si sta trascinando, l'Irap si applica a coloro che hanno un'organizzazione d'impresa, quindi il professionista di regola non la deve pagare (Cassazione sentenze dalla n. 3672 alla n.3682, depositate tutte il 16 febbraio 2007);
    con riferimento all'elemento organizzativo anche la stessa Corte Costituzionale, con una sentenza che ha fatto scuola (n. 156 del 26 maggio 2001), ha inteso chiarire che mentre lo stesso è connaturato alla nozione d'impresa, altrettanto non può dirsi per l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, poiché essa può svolgersi anche in assenza di organizzazione di capitale o lavoro altrui. E pertanto evidente, secondo la suprema Corte, che un'attività professionale svolta in assenza di elementi di organizzazione risulterà mancante del presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, rappresentato dall'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata;
    alla luce del suddetto pronunciamento l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, in assenza del requisito dell'autonoma organizzazione non risulta quindi assoggettabile ad IRAP per mancanza dei presupposti applicativi del tributo;
    la stessa delega fiscale n. 23 del 2014 (Delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita) all'articolo 11 doveva affrontare e risolvere la questione suddetta ma ad oggi non risulta nessun provvedimento in merito,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare urgentemente ogni iniziativa utile anche normativa al fine di stabilire con precisione l'esclusione dall'IRAP alle persone fisiche esercenti attività commerciali, arti in ossequio alla giurisprudenza che già si è espressa in merito.
9/3444-A/170. (Testo modificato nel corso della seduta)  Fantinati.


   La Camera,
   premesso che:
    con l'approvazione della legge n. 132 del 2015, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 192 del 20 agosto 2015, si è intervenuti sulla ricomposizione in terza area dei profili professionali di cancelliere e ufficiale giudiziario, attualmente di fatto ripartiti tra la seconda e terza area (ex B3 e-exC1) in violazione dell'articolo 10, comma 4 e 6 del ccnl 2006/2009 comparto ministeri e per cui si era aperto un contenzioso contro il Ministero della giustizia, risultato diverse volte soccombente;
    al fine di sanare i suddetti contenziosi il Ministero della giustizia è stato autorizzato, nei limiti delle posizioni disponibili in dotazione organica, a indire le procedure di contrattazione collettiva ai fini della definizione di procedure interne, riservate ai dipendenti in possesso dei requisiti di legge già in servizio alla data del 14 novembre 20089, per il passaggio del personale inquadrato nel profilo professionale di funzionario giudiziario e di funzionario dell'ufficio notificazioni e protesti (UNEP) dell'are terza, con attribuzione della prima fascia economica di inquadramento, in conformità ai citati articoli 14 e 15 del CCNL comparto Ministeri 1998/2001;
    la succitata disposizione consentirà il passaggio dalla II alla III area dei soli cancellieri e ufficiali giudiziari, restando esclusi altri profili professionali;
    in particolare l'articolo 21-quater della legge n. 132 del 2015, relativo alla riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, prevede disposizioni insufficienti, nell'immediato ed in prospettiva futura, a soddisfare il fabbisogno della pianta organica del personale giudiziario;
    appare opportuno ed improcrastinabile realizzare l'immediata attuazione di quanto previsto dall'articolo 21-quater della legge n. 132 del 2015, estendendo la previsione anche alle altre figure dell'area seconda già collocate su due aree e presenti in tutti i dipartimenti, anche al fine di garantire una maggiore efficienza del pianeta giustizia;

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    prevedere, al fine di assicurare l'immediata funzionalità degli Uffici Giudiziari e UNEP, nonché di dare piena attuazione all'istituendo ufficio del processo, al processo civile telematico e alla piena informatizzazione dell'amministrazione, in deroga ad ogni norma limitativa in materia di assunzioni e di progressione professionale, l'inquadramento del personale del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell'Organizzazione Giudiziaria ed UNEP, nella posizione giuridica ed economica immediatamente superiore, a far data dal 1o gennaio 2016, eventualmente anche mediante procedure concorsuali previste dal protocollo d'intesa siglato il 9 novembre 2006 tra l'amministrazione giudiziaria e le organizzazioni sindacali e, in particolare, corrispondendo al personale inquadrato nella posizione economica ex C3, figura professionale di direttore di cancelleria, il trattamento economico goduto dal personale del ruolo esaurimento della ex qualifica funzionale;
    predisporre un piano per la riorganizzazione del personale del Dipartimento dell'Organizzazione Giudiziaria ed UNEP volto ad effettuare la rideterminazione delle dotazioni organiche, al fine di inquadrare il personale tutto dentro e tra le aree da exa1 e exa1s in ex B1, da exb1 in ex02, da exb2 a exb3, da exb3 e b3s in exc1, da exc1 e exc1s in exc2, da exc2 in exc3 e exc3 in ex ruolo ad esaurimento da riclassificare in sede di contrattazione nazionale;
    di prevedere, infine, in via transitoria, che le progressioni professionali nelle posizioni economiche all'interno delle aree secondo l'ordinamento previgente siano consentite ai dipendenti di ruolo, inquadrati nella posizione economica immediatamente inferiore, ricorrendo eventualmente anche a procedure concorsuali basate su obiettivi già definiti tra amministrazione e organizzazioni sindacali o da rideterminarsi in sede di contrattazione collettiva integrativa.
9/3444-A/171Businarolo.


   La Camera,
   premesso che:
    il pieno funzionamento delle delicate, complesse e molteplici funzioni giurisdizionali e di controllo attribuite dall'ordinamento alla Corte dei conti, notevolmente ampliate, da diverse disposizioni legislative è posto in crisi dall'enorme scopertura del proprio organico per più del 30 per cento (su una dotazione di 611 magistrati sono attualmente in servizio circa 427 unità);
    suddetta carenza di organico è destinata ad accentuarsi gravemente per effetto dell'esodo di ulteriori 58 magistrati, previsto fra la fine del 2015 ed il 2016 (n. 49 di cui 28 presidenti di sezione e 21 consiglieri) ed il 2017 (n. 9 di cui 6 presidenti e 3 consiglieri) visto che la legge n. 90 del 2014 ha modificato il regime del trattenimento in servizio oltre il limite di età dei magistrati (ulteriormente modificato dall'articolo 18 decreto-legge n. 83 del 2015, convertito nella legge n. 132 del 2015), disponendo, alla data del 30 giugno 2016, il pensionamento di tutti quei magistrati che a tale data hanno compiuto i 70 anni, scopertura che, a giugno 2016 raggiungerà circa il 36 per cento restando in servizio appena 387 magistrati su un organico di diritto di 611;
    un simile scompenso in termini di organico non ha riscontro in nessun'altra magistratura, visto che sia la magistratura amministrativa che quella ordinaria, alle unità assunte in applicazione della disciplina del turn over aggiungono quelle acquisite attraverso il canale delle risorse alimentate dal contributo unificato, con conseguente raggiungimento di percentuali di copertura dei relativi organici di elevata entità;
    considerato inoltre che la giurisdizione di responsabilità in ambito contabile, risulta molto simile a quella di natura penale, pur non potendo attingere dal fondo giustizia per le periodiche assunzioni;
    ritenuto improcrastinabile un intervento a regime che nell'arco di un triennio, seppure non soddisfi tutte le scoperture oggi esistenti, attenui il divario che esiste fra organico di diritto e copertura dello stesso;
    ricordato che lo stesso organico di diritto è fermo all'inizio degli anni 2000 quando ancora non si erano compiute le riforme connesse con le modifiche del Titolo Vo della Costituzione e la Corte con le proprie Sezioni regionali non si occupava in modo così capillare degli equilibri di bilanci degli enti territoriali;
    l'allarmante situazione rappresentata determinerà nell'immediato problematiche difficilmente fronteggiabili, tenuto altresì conto che la vigente disciplina del turn over consente una limitata sostituzione del personale cessato per effetto del descritto massiccio esodo;
    considerato che l'atto in titolo, dispone, al comma 132 dell'articolo unico, l'assunzione di magistrati ordinari, vincitori di concorso, per migliorare l'efficienza del sistema giudiziario, prevenendo l'aggravarsi dell'attuale carenza di organico per tale magistratura,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere l'inserimento nel primo provvedimento utile, l'indizione di concorsi annuali, per il triennio 2016/2018, volti a occupare i posti attualmente vacanti della magistratura contabile, al fine di rafforzare le molteplici articolazioni che registrano le maggiori carenze, nonché di evitare che gli ulteriori imminenti deficit di organico possano condurre al blocco o al cattivo funzionamento dell'esercizio delle funzioni.
9/3444-A/172Bonafede.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi dal 449 al 451, che compongono l'originale articolo 39 recante «disposizioni in tema di ragionevole durata dei processi», dispongono un'incisiva riforma della legge 24 marzo 2001, n. 89, cosiddetta «legge Pinto», mediante modifiche che, da un lato, irrigidiscono la procedura per accedere ad un'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo e, dall'altro lato, riducono sensibilmente il vigente «quantum» risarcitorio;
    considerato che, in particolare, al comma 449, vengono introdotti cosiddetti «rimedi preventivi», che obbligano l'interessato a presentare un'istanza di accelerazione del processo almeno sei mesi prima dello scadere del termine oltre il quale la durata dello stesso diventi irragionevole, pena l'inammissibilità della successiva richiesta per l'accesso ai già esigui benefici previsti dalla «legge Pinto»;
    atteso che ai citati rimedi preventivi, il comma 449 associa nuovi e più stringenti criteri di inammissibilità della domanda per l'istanza di l'accesso all'equa riparazione di cui all'articolo 2, comma 2-quinquies della legge 24 marzo 2001, n. 89, nonché una riduzione dell'importo della somma in denaro da riconoscere per ciascun anno che eccede il termine ragionevole durata, rideterminandola, nel suo minimo e massimo, dai vigenti 500-1.500 euro, a 400-800 euro;
    ritenuto infine che i risparmi attesi da parte del Governo in termini di minor esborso per gli indennizzi per processi di durata eccessiva, dovrebbero essere conseguiti attraverso misure – anche di tipo assunzionale – per favorire una più celere celebrazione degli stessi e non certo precludendo al cittadino la possibilità di accedere a tali indennizzi, con il prevedibile rischio di ulteriori censure da parte della Corte di Strasburgo per la violazione dell'articolo 6, comma 3 della CEDU;
    ricordato che, quanto premesso fa seguito ad un risalente intervento di novellazione della procedura di proposizione della domanda di equa riparazione di cui al decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. Novella che rese il procedimento inidoneo ad una piena tutela dei diritti del ricorrente, ma che, nel combinato disposto di quanto recato al comma 449 dei provvedimento in esame, riduce sensibilmente le possibilità dello stesso ricorrente di riuscire a proporre e a far valere la propria istanza di indennizzo,

impegna il Governo

nell'ambito di una complessiva revisione della legge 24 marzo 2001, n. 89 rispondente al dettato ed alla giurisprudenza della CEDU, valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a ripristinare le modalità di proposizione della domanda per l'equa riparazione per irragionevole durata del processo previgente alla novella di cui al decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 eliminando altresì la disposizione con cui si obbliga il ricorrente a depositare copie conformi degli atti e verbali di causa.
9/3444-A/173Colletti.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame del provvedimento in titolo, volto a determinare gli obiettivi di finanza pubblica adottando le misure conseguenti, in particolare in ordine alla scelta dei risparmi e dei tagli e dell'allocazione delle risorse, preme al firmatario del presente atto ricordare il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213;
    esso prevede l'esclusione dell'erogazione dei vitalizi da parte delle regioni verso gli eletti che sono stati condannati in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione con interdizione dai pubblici uffici, a pena della decurtazione dell'80 per cento dei trasferimenti erariali dallo Stato, diversi da quelli destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, delle politiche sociali e per le non autosufficienze e del trasporto pubblico locale;
    si trattava di un primo timido passo, a fronte di un lungo cammino che ancora deve essere intrapreso: non vengono infatti inseriti soggetti che si sono macchiati di reati ben più gravi, come ad esempio i reati di mafia, né tantomeno sono inclusi altri organi della Repubblica, oltre alle regioni;
    nel maggio di quest'anno la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, con separati atti, hanno proceduto alla soppressione dei vitalizi nel caso di condanne, giungendo ad un compromesso al ribasso;
    a nostro avviso è irragionevole corrispondere un vitalizio, pagato con risorse pubbliche, a coloro che con le loro condotte illecite hanno contribuito ad arrecare un danno allo Stato stesso, tanto da essere interdetti dai pubblici uffici: la mafia ha costituito per troppi decenni e costituisce tutt'oggi un potere in diretta contrapposizione con lo Stato, tanto da cercare di, e talvolta riuscire a, sostituirsi ad esso in alcune zone del Paese, e per questo appare inevitabile estendere la disciplina della soppressione del vitalizio anche nei confronti di coloro per i quali sono stati accertati delitti di mafia o altri delitti gravi;
    inoltre, appare del tutto irragionevole ed anacronistico, soprattutto visti i gravi patimenti economici che una fascia sempre più consistente della popolazione subisce, perseverare nell'erogazione di assegni vitalizi spropositati – iniqui rispetto all'entità della contribuzione e al periodo di maturazione – verso chi ha ricoperto cariche elettive pubbliche;
    in questo modo si otterrebbero ingenti risparmi per le finanze pubbliche e, al medesimo tempo, si eliminerebbe un odioso privilegio per pochi, a fronte dei ridotti assegni pensionistici che buona parte della popolazione riceve,

impegna il Governo:

   ferme restando le prerogative parlamentari, ad adottare tempestivamente le iniziative, anche legislative, volte:
    a prevedere la decadenza dai vitalizi derivanti da cariche elettive, erogati da qualsiasi organo della Repubblica, nei confronti dei soggetti condannati in via definitiva per condotte dolose o gravemente colpose, altresì prevedendo la sospensione dell'erogazione a fini precauzionali nel caso di condanne in primo grado;
    a prevedere la riduzione dell'entità degli assegni vitalizi in corso di erogazione, adeguandone l'importo ai principi e alle norme che reggono e reggevano pro tempore i trattamenti pensionistici dei dipendenti pubblici.
9/3444-A/174Cecconi, Nuti.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame del provvedimento in titolo, volto a determinare gli obiettivi di finanza pubblica adottando le misure conseguenti, in particolare in ordine alla scelta dei risparmi e dei tagli e dell'allocazione delle risorse, preme al firmatario del presente atto ricordare il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213;
    esso prevede l'esclusione dell'erogazione dei vitalizi da parte delle regioni verso gli eletti che sono stati condannati in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione con interdizione dai pubblici uffici, a pena della decurtazione dell'80 per cento dei trasferimenti erariali dallo Stato, diversi da quelli destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, delle politiche sociali e per le non autosufficienze e del trasporto pubblico locale;
    si trattava di un primo timido passo, a fronte di un lungo cammino che ancora deve essere intrapreso: non vengono infatti inseriti soggetti che si sono macchiati di reati ben più gravi, come ad esempio i reati di mafia, né tantomeno sono inclusi altri organi della Repubblica, oltre alle regioni;
    nel maggio di quest'anno la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, con separati atti, hanno proceduto alla soppressione dei vitalizi nel caso di condanne, giungendo ad un compromesso al ribasso;
    a nostro avviso è irragionevole corrispondere un vitalizio, pagato con risorse pubbliche, a coloro che con le loro condotte illecite hanno contribuito ad arrecare un danno allo Stato stesso, tanto da essere interdetti dai pubblici uffici: la mafia ha costituito per troppi decenni e costituisce tutt'oggi un potere in diretta contrapposizione con lo Stato, tanto da cercare di, e talvolta riuscire a, sostituirsi ad esso in alcune zone del Paese, e per questo appare inevitabile estendere la disciplina della soppressione del vitalizio anche nei confronti di coloro per i quali sono stati accertati delitti di mafia o altri delitti gravi;
    inoltre, appare del tutto irragionevole ed anacronistico, soprattutto visti i gravi patimenti economici che una fascia sempre più consistente della popolazione subisce, perseverare nell'erogazione di assegni vitalizi spropositati – iniqui rispetto all'entità della contribuzione e al periodo di maturazione – verso chi ha ricoperto cariche elettive pubbliche;
    in questo modo si otterrebbero ingenti risparmi per le finanze pubbliche e, al medesimo tempo, si eliminerebbe un odioso privilegio per pochi, a fronte dei ridotti assegni pensionistici che buona parte della popolazione riceve,

impegna il Governo:

   ferme restando le prerogative parlamentari, a valutare l'opportunità di adottare tempestivamente le iniziative, anche legislative, volte:
    a prevedere la decadenza dai vitalizi derivanti da cariche elettive, erogati da qualsiasi organo della Repubblica, nei confronti dei soggetti condannati in via definitiva per condotte dolose o gravemente colpose, altresì prevedendo la sospensione dell'erogazione a fini precauzionali nel caso di condanne in primo grado;
    a prevedere la riduzione dell'entità degli assegni vitalizi in corso di erogazione, adeguandone l'importo ai principi e alle norme che reggono e reggevano pro tempore i trattamenti pensionistici dei dipendenti pubblici.
9/3444-A/174. (Testo modificato nel corso della seduta) Cecconi, Nuti.


   La Camera,
   premesso che:
    ai commi 96 e seguenti del provvedimento in titolo sono contenute norme relative a specifiche iniziative in favore delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata. In particolare, il comma 99 istituisce presso il Ministero dello sviluppo economico il Fondo per il credito alle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata, con l'obiettivo di garantire;
    a tal scopo vengono destinati 10 milioni di euro per il triennio 2016-2018, di cui 3 milioni in un'apposita sezione del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese e i restanti 7 un'apposita sezione del Fondo per la crescita sostenibile;
    tali disposizioni ricalcano quanto inserito all'interno di un progetto di legge, l'Atto Camera 1138 e abbinate, recante, tra l'altro, modifiche al codice delle leggi antimafia, al codice penale e alle norme di attuazione del codice di procedura penale e una delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate, approvato l'11 novembre scorso da questa Assemblea, e successivamente trasmesso al Senato per la seconda lettura, Atto Senato 2134;
    anche se abbiamo duramente criticato le modalità, descritte nel citato progetto di legge, con le quali verranno gestiti queste risorse, l'evidenza empirica ha dimostrato ampiamente la necessità di interventi strutturali nel sistema di gestione delle aziende sequestrate e confiscati, come ad esempio la vendita anticipata delle stesse imprese, al fine di evitare i fallimenti a catena di queste imprese che avvengono oggigiorno;
    altrettanto fondamentale, a nostro avviso, risulta essere la necessità di prevedere interventi riguardanti gli immobili sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata: infatti, come riportano statistiche e numerosi articoli di giornali, nel corso degli anni sono stati sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata immobili per un valore di svariate decine di miliardi di euro. Tuttavia, una parte di questi edifici, già al momento del sequestro, risulta essere inagibile, mentre un'altra parte, anche a causa della lunghezza dei procedimenti giudiziari, viene abbandonata a sé stessa per anni senza ricevere alcuna adeguata manutenzione finendo anch'essa in pessime condizioni;
    la soluzione, a nostro avviso, sarebbe la creazione di un apposito Fondo, dotato di adeguate risorse, che abbia come fine la messa in sicurezza e l'adeguamento alle norme urbanistiche e sulla sicurezza degli impianti, l'estinzione di diritti reali gravanti e la ristrutturazione, rendendo questi edifici agibili ed effettivamente usufruibili;
    inoltre, a nostro avviso sarebbe opportuno prevedere che le risorse erogate di questo Fondo possano non essere restituite nel caso di edifici destinati allo Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile o ai comuni per fronteggiare l'emergenza abitativa;
    il riutilizzo di questi immobili, dopo i necessari interventi, potrebbero, ad esempio, essere un'efficace strumento per combattere, se non addirittura sconfiggere, l'emergenza abitativa che da sempre costituisce un grave problema sociale nel nostro Paese, oppure garantire ingenti risparmi alle finanze pubbliche, tramite il trasferimento di uffici pubblici in immobili sequestrati o confiscati, evitando il pagamento di onerosi affitti;
    inoltre, si eviterebbe lo spreco di numerosi edifici per un valore di svariati miliardi di euro, proiettando all'esterno l'immagine di uno Stato che riesce fino in fondo a combattere la Mafia e, soprattutto, riesce nell'intento di restituire concretamente alla comunità quanto viene sottratto alla criminalità organizzata,

impegna il Governo

ad adottare le iniziative, anche legislative, volte all'istituzione e all'adeguata dotazione finanziaria di un Fondo per la messa in sicurezza, l'estinzione di diritti reali e la ristrutturazione degli immobili sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, prevedendo inoltre la possibilità che le risorse erogate possano non essere restituite nel caso di immobili mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile o trasferiti al patrimonio degli enti territoriali e da questi amministrati direttamente, al fine di fronteggiare l'emergenza abitativa, ai sensi della normativa vigente di cui alle lettere b) e c), del comma 3 dell'articolo 48 del decreto legislativo n. 159 del 6 settembre 2011.
9/3444-A/175Nuti.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 119 e 125-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, prevedono obblighi di comunicazione per gli istituti e intermediari bancari in merito allo svolgimento del rapporto con il cliente;
    come previsto dal testo unico bancario, le dette disposizioni si applicano a tutte le operazioni e ai servizi di natura bancaria e finanziaria, incluso il credito ai consumatori e i servizi Bancoposta, offerti dalle banche (italiane e comunitarie) e dagli intermediari finanziari, anche al di fuori degli sportelli («fuori sede») o mediante «tecniche di comunicazione a distanza» (ad esempio internet); tra gli obblighi di comunicazione rientrano non solo tutte le comunicazioni aventi ad oggetto variazioni in itinere delle condizioni contrattuali; ma anche tutte quelle strettamente attinenti allo svolgimento del rapporto tra cui rientrano senz'altro le eventuali inadempienze contrattuali da parte del cliente (come i ritardi nei pagamenti);
    al riguardo, il «Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti», approvato dall'Autorità garante della privacy e sottoscritto il 12 novembre 2004 da tutte le associazioni rappresentative del settore bancario, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 300, del 23 dicembre 2004, prevede all'articolo 4, comma 7, che al verificarsi di ritardi nei pagamenti, l'istituto bancario o intermediario finanziario deve provvedere all'invio all’«interessato» di solleciti o altre comunicazioni, avvertendolo dell'imminente registrazione dei dati in uno o più sistemi di informazioni creditizie (cosiddetta segnalazione alla «Centrale dei Rischi»). In assenza di tale preavviso, dunque, l'iscrizione alla centrale rischi è illegittima e deve essere cancellata (ARBITRO BANCARIO FINANZIARIO, collegio di Milano, decisione n. 2083/2013); l'ampia formulazione della disposizione, che si riferisce al soggetto «interessato», dovrebbe consentire l'estensione del prescritto obbligo di comunicazione a tutti i soggetti potenzialmente interessati al rapporto contrattuale. Dunque, non solo al debitore principale moroso nel pagamento (cliente) ma anche a coloro che sono obbligati, a diverso titolo, all'adempimento della medesima obbligazione di pagamento assunta dal primo (si pensi ai garanti dell'obbligazione principale e a coloro che hanno prestato garanzia fedeiussoria). Sennonché, la prassi interpretativa e applicativa della detta disposizione evidenzia come gli istituti e intermediari bancari si limitano ad inoltrare il preavviso di segnalazione esclusivamente al debitore principale. In pratica, le banche e gli intermediari procedono alla segnalazione alla «Centrale dei Rischi» anche dei soggetti terzi, garanti o fideiussori, che di fatto potrebbero essere completamente ignari dello stato di insolvenza del debitore principale;
    sulla questione non v’è un orientamento interpretativo univoco da parte dei collegi arbitrali né della giurisprudenza (sul diritto del fideiussore a ottenere una comunicazione periodica sull'esposizione debitoria si è espresso l'ABF, collegio di Milano, nn. 575/2013, 3014/2012 e collegio di Napoli, n. 4344/2013; in senso non conforme – riprendendo il pronunciamento della corte di legittimità del 9 novembre 2007, n. 23391 – si è espresso l'ABF, Collegio di Napoli, n. 2517/2012);
    il preavviso di segnalazione è espressione del «principio di correttezza e lealtà» (Garante della Privacy, delibera del 31 luglio 2012) nel trattamento dei dati personali e risponde all'esigenza di offrire al debitore e ai terzi interessati la possibilità di poter intervenire prima della segnalazione della morosità alla centrale rischi privata;
    la compiuta attuazione di tali princìpi non può non estendersi indistintamente a tutti i soggetti interessati, a diverso titolo, al rapporto contrattuale, soprattutto se si tratta di soggetti obbligati a rispondere dell'obbligazione di pagamento; le disposizioni vigenti pongono concreti problemi interpretativi che di fatto limitano la tutela nei confronti dei soggetti interessati al rapporto contrattuale, diversi dal debitore principale;
    i contrasti applicativi contenuti nelle decisioni dell'ABF, non supportate da un orientamento uniforme in seno alla giurisprudenza di merito e di legittimità, confermano i dubbi interpretativi sulle disposizioni in esame e necessitano di un chiaro intervento normativo,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa, anche a carattere normativo, al fine di estendere gli obblighi di comunicazione in merito allo svolgimento del rapporto contrattuale previsti dal testo unico bancario (articoli 119 e 125-bis), ed in particolare le informazioni sull'andamento dell'esposizione debitoria del cliente, anche ai soggetti terzi interessati al rapporto contrattuale ed obbligati in qualità di garanti o fideiussori;
   ad assumere iniziative per prevedere, come conseguenza dell'inosservanza dei detti obblighi di comunicazione da parte degli istituti bancari e intermediari finanziari, l'estinzione di diritto del negozio di garanzia; ad assumere ogni iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di prevedere l'illegittimità della registrazione dei dati in uno o più sistemi di informazioni creditizie (cosiddetta segnalazione alla «Centrale dei Rischi») nell'ipotesi di mancata comunicazione delle informazioni previste dal testo unico bancario ai soggetti terzi interessati al rapporto contrattuale ed obbligati in qualità di garanti o fideiussori.
9/3444-A/176Petraroli.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 119 e 125-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, prevedono obblighi di comunicazione per gli istituti e intermediari bancari in merito allo svolgimento del rapporto con il cliente;
    come previsto dal testo unico bancario, le dette disposizioni si applicano a tutte le operazioni e ai servizi di natura bancaria e finanziaria, incluso il credito ai consumatori e i servizi Bancoposta, offerti dalle banche (italiane e comunitarie) e dagli intermediari finanziari, anche al di fuori degli sportelli («fuori sede») o mediante «tecniche di comunicazione a distanza» (ad esempio internet); tra gli obblighi di comunicazione rientrano non solo tutte le comunicazioni aventi ad oggetto variazioni in itinere delle condizioni contrattuali; ma anche tutte quelle strettamente attinenti allo svolgimento del rapporto tra cui rientrano senz'altro le eventuali inadempienze contrattuali da parte del cliente (come i ritardi nei pagamenti);
    al riguardo, il «Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti», approvato dall'Autorità garante della privacy e sottoscritto il 12 novembre 2004 da tutte le associazioni rappresentative del settore bancario, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 300, del 23 dicembre 2004, prevede all'articolo 4, comma 7, che al verificarsi di ritardi nei pagamenti, l'istituto bancario o intermediario finanziario deve provvedere all'invio all’«interessato» di solleciti o altre comunicazioni, avvertendolo dell'imminente registrazione dei dati in uno o più sistemi di informazioni creditizie (cosiddetta segnalazione alla «Centrale dei Rischi»). In assenza di tale preavviso, dunque, l'iscrizione alla centrale rischi è illegittima e deve essere cancellata (ARBITRO BANCARIO FINANZIARIO, collegio di Milano, decisione n. 2083/2013); l'ampia formulazione della disposizione, che si riferisce al soggetto «interessato», dovrebbe consentire l'estensione del prescritto obbligo di comunicazione a tutti i soggetti potenzialmente interessati al rapporto contrattuale. Dunque, non solo al debitore principale moroso nel pagamento (cliente) ma anche a coloro che sono obbligati, a diverso titolo, all'adempimento della medesima obbligazione di pagamento assunta dal primo (si pensi ai garanti dell'obbligazione principale e a coloro che hanno prestato garanzia fedeiussoria). Sennonché, la prassi interpretativa e applicativa della detta disposizione evidenzia come gli istituti e intermediari bancari si limitano ad inoltrare il preavviso di segnalazione esclusivamente al debitore principale. In pratica, le banche e gli intermediari procedono alla segnalazione alla «Centrale dei Rischi» anche dei soggetti terzi, garanti o fideiussori, che di fatto potrebbero essere completamente ignari dello stato di insolvenza del debitore principale;
    sulla questione non v’è un orientamento interpretativo univoco da parte dei collegi arbitrali né della giurisprudenza (sul diritto del fideiussore a ottenere una comunicazione periodica sull'esposizione debitoria si è espresso l'ABF, collegio di Milano, nn. 575/2013, 3014/2012 e collegio di Napoli, n. 4344/2013; in senso non conforme – riprendendo il pronunciamento della corte di legittimità del 9 novembre 2007, n. 23391 – si è espresso l'ABF, Collegio di Napoli, n. 2517/2012);
    il preavviso di segnalazione è espressione del «principio di correttezza e lealtà» (Garante della Privacy, delibera del 31 luglio 2012) nel trattamento dei dati personali e risponde all'esigenza di offrire al debitore e ai terzi interessati la possibilità di poter intervenire prima della segnalazione della morosità alla centrale rischi privata;
    la compiuta attuazione di tali princìpi non può non estendersi indistintamente a tutti i soggetti interessati, a diverso titolo, al rapporto contrattuale, soprattutto se si tratta di soggetti obbligati a rispondere dell'obbligazione di pagamento; le disposizioni vigenti pongono concreti problemi interpretativi che di fatto limitano la tutela nei confronti dei soggetti interessati al rapporto contrattuale, diversi dal debitore principale;
    i contrasti applicativi contenuti nelle decisioni dell'ABF, non supportate da un orientamento uniforme in seno alla giurisprudenza di merito e di legittimità, confermano i dubbi interpretativi sulle disposizioni in esame e necessitano di un chiaro intervento normativo,

impegna il Governo:

  a valutare l'opportunità di:
   assumere ogni iniziativa, anche a carattere normativo, al fine di estendere gli obblighi di comunicazione in merito allo svolgimento del rapporto contrattuale previsti dal testo unico bancario (articoli 119 e 125-bis), ed in particolare le informazioni sull'andamento dell'esposizione debitoria del cliente, anche ai soggetti terzi interessati al rapporto contrattuale ed obbligati in qualità di garanti o fideiussori;
   assumere iniziative per prevedere, come conseguenza dell'inosservanza dei detti obblighi di comunicazione da parte degli istituti bancari e intermediari finanziari, l'estinzione di diritto del negozio di garanzia; ad assumere ogni iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di prevedere l'illegittimità della registrazione dei dati in uno o più sistemi di informazioni creditizie (cosiddetta segnalazione alla «Centrale dei Rischi») nell'ipotesi di mancata comunicazione delle informazioni previste dal testo unico bancario ai soggetti terzi interessati al rapporto contrattuale ed obbligati in qualità di garanti o fideiussori.
9/3444-A/176. (Testo modificato nel corso della seduta) Petraroli.


   La Camera,
   premesso che:
    il pacchetto di misure sulle pensioni, varato con la legge 122 del 2010, ha impresso una svolta significativa al nostro sistema previdenziale;
    l'obiettivo principale quello di prolungare la permanenza al lavoro degli italiani nati dal 1952 in poi che, stando alle statistiche, avranno una vita più lunga e quindi la possibilità di godere del meritato riposo per lo stesso periodo delle generazioni precedenti;
    dal 2015 il pensionamento per vecchiaia e anzianità sarà costantemente adeguato ogni tre anni alla speranza di vita della popolazione con più di sessantacinque anni registrata dall'Istat;
    si tratta di una misura che prevede l'aggiornamento periodico dei requisiti di età per la pensione di vecchiaia e delle quote per quella di anzianità in base all'andamento della vita media registrato dall'Istat;
    dal 2013 l'Istat valuta se, nel triennio precedente, la speranza di vita per le persone con almeno sessantacinque anni di età aumentata e di quanto;
    gli aggiornamenti successivi alla speranza di vita avvengono – come sopra evidenziato – ogni tre anni, con un'eccezione che riguarda il secondo scatto che fissato per il 2019, anziché per il 2018; lo slittamento di un anno dovuto alla necessità di far coincidere l'adeguamento dei requisiti per il pensionamento alla speranza di vita, con la revisione dei coefficienti per il calcolo delle pensioni contributive, alle quali sono interessati coloro che al 31 dicembre 1995, avevano meno di diciotto anni di contributi;
    all'adeguamento periodico dei requisiti alla speranza di vita sono soggetti i lavoratori di tutte le categorie. La manovra prevede due sole eccezioni che riguardano, rispettivamente, chi matura il diritto alla pensione di anzianità con almeno quaranta anni di contributi e alcune categorie particolari come i piloti, i marittimi e gli addetti alla guida di mezzi pubblici di trasporto, il cui titolo abilitante (brevetto, patente e altro) per lo svolgimento della mansione scade inderogabilmente al compimento di una determinata età;
    bisogna inoltre considerare che, all'incremento di età dovuto alla speranza di vita, si deve sommare l'aumento dei tempi di attesa, dato dalla finestra mobile, in vigore dal 1o gennaio 2011;
    per i lavoratori invalidi per qualsiasi causa, cui sia stata riconosciuta un'invalidità superiore al 74 per cento si applica invece quanto previsto dall'articolo 80, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 ed essi possono richiedere, per ogni anno di lavoro effettivamente svolto, il beneficio di due mesi di contribuzione figurativa. Il beneficio spetta fino al limite massimo di cinque anni di contribuzione figurativa utile ai fini del diritto alla pensione e dell'anzianità contributiva;
    nulla previsto, invece, per quei lavoratori cui è riconosciuta un'invalidità superiore al 74 per cento e che hanno, rispetto ai lavoratori senza invalidità, un'aspettativa di vita ridotta,

impegna il Governo

alla luce dei fatti esposti in premessa, di adoperarsi per assumere iniziative normative volte ad escludere i lavoratori invalidi con una percentuale superiore al 74 per cento dagli effetti prodotti dalla legge 122 del 2010, che prevede l'aggiornamento periodico dei requisiti di età per la pensione di vecchiaia e delle quote per quella di anzianità in base all'andamento della vita media.
9/3444-A/177Dall'Osso, Petraroli.


   La Camera,
   premesso che:
    il pacchetto di misure sulle pensioni, varato con la legge 122 del 2010, ha impresso una svolta significativa al nostro sistema previdenziale;
    l'obiettivo principale quello di prolungare la permanenza al lavoro degli italiani nati dal 1952 in poi che, stando alle statistiche, avranno una vita più lunga e quindi la possibilità di godere del meritato riposo per lo stesso periodo delle generazioni precedenti;
    dal 2015 il pensionamento per vecchiaia e anzianità sarà costantemente adeguato ogni tre anni alla speranza di vita della popolazione con più di sessantacinque anni registrata dall'Istat;
    si tratta di una misura che prevede l'aggiornamento periodico dei requisiti di età per la pensione di vecchiaia e delle quote per quella di anzianità in base all'andamento della vita media registrato dall'Istat;
    dal 2013 l'Istat valuta se, nel triennio precedente, la speranza di vita per le persone con almeno sessantacinque anni di età aumentata e di quanto;
    gli aggiornamenti successivi alla speranza di vita avvengono – come sopra evidenziato – ogni tre anni, con un'eccezione che riguarda il secondo scatto che fissato per il 2019, anziché per il 2018; lo slittamento di un anno dovuto alla necessità di far coincidere l'adeguamento dei requisiti per il pensionamento alla speranza di vita, con la revisione dei coefficienti per il calcolo delle pensioni contributive, alle quali sono interessati coloro che al 31 dicembre 1995, avevano meno di diciotto anni di contributi;
    all'adeguamento periodico dei requisiti alla speranza di vita sono soggetti i lavoratori di tutte le categorie. La manovra prevede due sole eccezioni che riguardano, rispettivamente, chi matura il diritto alla pensione di anzianità con almeno quaranta anni di contributi e alcune categorie particolari come i piloti, i marittimi e gli addetti alla guida di mezzi pubblici di trasporto, il cui titolo abilitante (brevetto, patente e altro) per lo svolgimento della mansione scade inderogabilmente al compimento di una determinata età;
    bisogna inoltre considerare che, all'incremento di età dovuto alla speranza di vita, si deve sommare l'aumento dei tempi di attesa, dato dalla finestra mobile, in vigore dal 1o gennaio 2011;
    per i lavoratori invalidi per qualsiasi causa, cui sia stata riconosciuta un'invalidità superiore al 74 per cento si applica invece quanto previsto dall'articolo 80, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 ed essi possono richiedere, per ogni anno di lavoro effettivamente svolto, il beneficio di due mesi di contribuzione figurativa. Il beneficio spetta fino al limite massimo di cinque anni di contribuzione figurativa utile ai fini del diritto alla pensione e dell'anzianità contributiva;
    nulla previsto, invece, per quei lavoratori cui è riconosciuta un'invalidità superiore al 74 per cento e che hanno, rispetto ai lavoratori senza invalidità, un'aspettativa di vita ridotta,

impegna il Governo

alla luce dei fatti esposti in premessa, a valutare l'opportunità di adoperarsi per assumere iniziative normative volte ad escludere i lavoratori invalidi con una percentuale superiore al 74 per cento dagli effetti prodotti dalla legge 122 del 2010, che prevede l'aggiornamento periodico dei requisiti di età per la pensione di vecchiaia e delle quote per quella di anzianità in base all'andamento della vita media.
9/3444-A/177. (Testo modificato nel corso della seduta) Dall'Osso, Petraroli.


   La Camera,
   premesso che:
    da anni è acceso il dibattito sugli indicatori di benessere di una collettività, che ha rilevato l'insufficienza di adottare a tale scopo solo la crescita della ricchezza di una nazione (PIL), in quanto, il totale della produzione di ricchezza di un Paese non dà alcuna informazione sulla qualità della vita di tutti componenti della società, nonché non valuta la diversa distribuzione della ricchezza interna;
    nonostante la crescita dell'economia avvenuta dopo la seconda guerra mondiale, che ha aumentato e migliorato le condizioni di vita in tutti i Paesi a capitalismo avanzato, tale condizione non assicura uno stato di benessere diffuso e accettabile a livello di collettività;
    anzi, soprattutto nel nostro Paese sono evidenti diseguaglianze fra le classi sociali e un grave fenomeno di diffusione dello stato di povertà e indigenza, nonché la presenza di una spaccatura del Paese, caratterizzato da aree in cui l'economia è in ripresa ed aree territoriali che sono in stato di regressione economica, con poche speranze di risollevarsi nel medio periodo; Ci sono importanti studi sulla necessità di adottare indicatori idonei a valutare lo stato di sviluppo di una società, quali, per citarne i più rilevanti, le analisi dell'economista Kuznets, gli studi dell'OCSE, volti al superamento del PIL come unico indicatore di valutazione del benessere, e che hanno introdotto il « Better Life Index» e le analisi effettuate nel nostro Paese dall'ISTAT, in collaborazione con il CNEL ed altri organi pubblici, che hanno portato all'adozione del BES (Benessere Equo e Sostenibile), una serie di indicatori composti da dodici dimensioni;
    l'indicatore PIL deve assolutamente essere affiancato e integrato con altri parametri, che possano misurare il benessere della popolazione evidenziando, ad esempio, la sostenibilità ambientale, la qualità dei servizi offerti ai cittadini, l'accesso ai servizi, la parità fra i sessi, il grado di istruzione e la possibilità di accesso all'istruzione;
    i suddetti indicatori devono dare le giuste ed oggettive informazioni ai Governi, affinché la politica economica possa essere indirizzata al raggiungimento di un più equo e distribuito benessere fra i cittadini, affinché si possa iniziare un percorso di ammodernamento e rafforzamento della crescita del Paese, finalizzata a produrre benefici per la collettività tutta;
    i gravi stati di disagio di fasce di popolazione, aggravatisi per il perdurare della crisi economica dal 2008 al 2014, richiedono che nella programmazione economica e finanziaria del Governo ci si avvalga dei suddetti indicatori, per indirizzare la politica economica al miglioramento della qualità di vita, soprattutto ora che il nostro Paese deve affrontare le necessarie riforme per modernizzarsi e per adeguare il nostro sistema produttivo ai mutati contesti economici internazionali; Si ritiene che il Governo, in sede di programmazione economica e finanziaria, nella redazione del DEF, previsto nella legge 196 del 2009, debba avvalersi dei suddetti nuovi indicatori, al fine di addivenire ad una più approfondita analisi e valutazione della sostenibilità della nostra economia e lo stato di benessere della collettività,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di modificare lo strumento del DEF, previsto all'articolo 10 della legge 196 del 2009, prevedendo che, in sede di programmazione economica e finanziaria, siano utilizzati ulteriori indicatori, oltre il PIL, che rappresentino la condizione del Paese in modo puntuale e dettagliato nei vari settori economici ed istituzionali, al fine di indirizzare la politica economica e le misure correlate al miglioramento del benessere collettivo equo e sostenibile.
9/3444-A/178Cariello.


   La Camera,
   considerato che:
    è necessario razionalizzare la spesa pubblica per poter continuare a garantire ai cittadini italiani l'accesso ad un elevato standard di welfare state e in questa ottica la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche può rappresentare una importante fonte di risparmio;
    il superamento del servizio militare di leva ha fatto venire meno tutta una serie di illeciti tipici del rapporto fra autorità dello Stato e cittadino chiamato alle armi e diminuito drasticamente il numero di militari sottoposti ai Tribunali militari;
    numerose sentenze della Corte costituzionale hanno negli anni determinato la progressiva «erosione» della giurisdizione militare in favore di quella ordinaria;
    si è assistito negli ultimi anni ad una caduta verticale del lavoro delle procure militari e dei relativi tribunali e l'emergere di una sottoutilizzazione degli apparati della giurisdizione speciale che ha posto seriamente in dubbio l'opportunità e/o l'utilità di una struttura, che è divenuta per di più chiaramente antieconomica;
    la legge 24 dicembre 2007 n. 244, articolo 2, commi da 603 a 611, ha modificato la «geografia» dei Tribunali Militari, riducendoli, e limitando il numero dei componenti del Consiglio della Magistratura Militare;
    nonostante la soppressione di alcuni tribunali militari con la riforma del 2007, la permanenza delle tre sedi di tribunale a Verona, Roma e Napoli risulta comunque sproporzionata ed antieconomica rispetto ai limitati carichi di lavoro che caratterizzano oggi la giustizia militare;
    ritenuto che la stessa esistenza dei Tribunali Militari debba ritenersi, istituzionalmente storicamente e socialmente superata;
    in attesa di una riforma costituzionale dell'articolo 103, terzo comma, che preveda il definitivo superamento dei tribunali militari con l'istituzione presso ogni organo giudiziario ordinario di una sezione specializzata per i reati militari, vi è la pressante necessità, anche in considerazione della grave crisi economica che sta vivendo il nostro Paese e tenuto conto di quanto testé motivato, di razionalizzare le risorse destinate all'amministrazione della giustizia militare,

impegna il Governo

a avviare una riduzione, ai fini del contenimento della spesa e della razionalizzazione dell'ordinamento giudiziario militare, della consistenza degli organici della magistratura militare e del relativo personale, per calibrarli sulle effettive esigenze di servizio, e di conseguenza a considerare la soppressione dei tribunali militari e delle procure militari della Repubblica di Verona e di Napoli, nonché del tribunale e dell'ufficio militare di sorveglianza di Roma.
9/3444-A/179Basilio, Corda.


   La Camera,
   considerato che:
    è necessario razionalizzare la spesa pubblica per poter continuare a garantire ai cittadini italiani l'accesso ad un elevato standard di welfare state e in questa ottica la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche può rappresentare una importante fonte di risparmio;
    il superamento del servizio militare di leva ha fatto venire meno tutta una serie di illeciti tipici del rapporto fra autorità dello Stato e cittadino chiamato alle armi e diminuito drasticamente il numero di militari sottoposti ai Tribunali militari;
    numerose sentenze della Corte costituzionale hanno negli anni determinato la progressiva «erosione» della giurisdizione militare in favore di quella ordinaria;
    si è assistito negli ultimi anni ad una caduta verticale del lavoro delle procure militari e dei relativi tribunali e l'emergere di una sottoutilizzazione degli apparati della giurisdizione speciale che ha posto seriamente in dubbio l'opportunità e/o l'utilità di una struttura, che è divenuta per di più chiaramente antieconomica;
    la legge 24 dicembre 2007 n. 244, articolo 2, commi da 603 a 611, ha modificato la «geografia» dei Tribunali Militari, riducendoli, e limitando il numero dei componenti del Consiglio della Magistratura Militare;
    nonostante la soppressione di alcuni tribunali militari con la riforma del 2007, la permanenza delle tre sedi di tribunale a Verona, Roma e Napoli risulta comunque sproporzionata ed antieconomica rispetto ai limitati carichi di lavoro che caratterizzano oggi la giustizia militare;
    ritenuto che la stessa esistenza dei Tribunali Militari debba ritenersi, istituzionalmente storicamente e socialmente superata;
    in attesa di una riforma costituzionale dell'articolo 103, terzo comma, che preveda il definitivo superamento dei tribunali militari con l'istituzione presso ogni organo giudiziario ordinario di una sezione specializzata per i reati militari, vi è la pressante necessità, anche in considerazione della grave crisi economica che sta vivendo il nostro Paese e tenuto conto di quanto testé motivato, di razionalizzare le risorse destinate all'amministrazione della giustizia militare,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di avviare una riduzione, ai fini del contenimento della spesa e della razionalizzazione dell'ordinamento giudiziario militare, della consistenza degli organici della magistratura militare e del relativo personale, per calibrarli sulle effettive esigenze di servizio, e di conseguenza a valutare l'opportunità di considerare la soppressione dei tribunali militari e delle procure militari della Repubblica di Verona e di Napoli, nonché del tribunale e dell'ufficio militare di sorveglianza di Roma.
9/3444-A/179. (Testo modificato nel corso della seduta) Basilio, Corda.


   La Camera,
   premesso che:
    in diverse zone del Paese, soprattutto nel periodo che va dai primi anni del XX secolo al 1966, sono stati costruiti edifici ad uso abitativo in zone demaniali o del demanio marittimo, in alcuni casi successivamente trasferite al demanio dello Stato;
    una grandissima parte di tali fabbricati risulta costruita prima dell'entrata in vigore della c.d. «legge urbanistica», ovvero la legge n. 1150 del 17/8/1942; una parte significativa ancorché minoritaria di essi, risulta costruita dopo tale data ma antecedentemente all'entrata in vigore della c.d. «legge urbanistica ponte», ossia la legge n. 765 del 6/8/1967; in entrambi i casi si tratta, perciò, di fabbricati costruiti durante il periodo in cui non vigeva l'obbligo di licenza edilizia; taluni hanno inoltre subito ampliamenti e sopraelevazioni, valendosi sovente di licenze edilizie e nulla-osta delle rispettive Capitanerie di porto;
    i fabbricati così edificati hanno poi nel tempo formato oggetto di compravendita o successione con regolari atti redatti da notai e registrati nelle apposite Conservatorie e presso i relativi comuni; nella maggior parte degli atti si distingueva tra il fabbricato compravenduto, di proprietà privata, e l'area, di proprietà del Demanio;
    tale prassi di compravendita si è sviluppata sino ai primi anni ’70, fintanto che in alcune zone le Direzioni Generali del Demanio non hanno contestato ai privati la proprietà dei fabbricati stessi; da quel momento in poi, laddove il Demanio prese questa posizione, fu vietata anche la compravendita dei fabbricati eretti su area demaniale; in tal modo, i titolari dei fabbricati, che avevano continuato nel frattempo a versare le imposte e le tasse per essi dovute, si sono trovati in una situazione di grave incertezza;
    in seguito alle disposizioni di cui all'articolo 40 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, i fabbricati costruiti prima del 1942 non necessitavano di autorizzazioni, e quindi gli eventuali abusi non abbisognavano di un condono, mentre i fabbricati eretti prima del 1967 potevano formare oggetto di compravendita;
    con l'entrata in vigore della legge n. 212 del 1o agosto 2003, che all'articolo 5-bis consentiva l'acquisto delle aree demaniali occupate per sconfinamento, purché non appartenessero al demanio marittimo e non fossero sottoposte a vincolo di tutela ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, in alcune zone interessate dalle situazioni sopra descritte ebbe inizio una serie di vendite per sconfinamento, che si protrassero a ritmo piuttosto spedito fino all'anno 2007; in taluni casi, l'Agenzia del Demanio si accorse solo tardivamente che le domande erano state proposte anche per fabbricati costruiti completamente su territorio demaniale, il che avrebbe impedito di usufruire della legge n. 212/2003;
    nel 2007, a seguito di una richiesta dell'Agenzia del Demanio ai comuni interessati, per ottenere il rinnovo dei rispettivi certificati di destinazione urbanistica (CDU) scaduti, alcuni comuni dichiararono, con interpretazione controversa, le aree demaniali in oggetto e i fabbricati su esse eretti, beni culturali e quindi vincolati ai sensi dell'articolo 136 del decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, con ciò escludendole dalle facoltà di acquisto previste dalla menzionata legge n. 212 del 1o agosto 2003, anche nei casi in cui richiedenti avevano provveduto a frazionare l'area, accatastare i fabbricati e versare l'indennità di occupazione e il prezzo di acquisto;
    dall'anno 2014, in particolare, si è verificata una vera e propria pioggia di comunicazioni, da parte delle Direzioni dell'Agenzia del Demanio, con le quali, rivendicando la proprietà delle unità immobiliari del genere e nelle condizioni di cui alle precedenti premesse, e additando come sine titulo le occupazioni dei relativi fabbricati, si richiedevano agli «occupanti» indennizzi pregressi (di norma per un decennio) di entità assai consistente (in media superiori ai 60.000 euro), specificando tra l'altro che «la presentazione di eventuali istanze di revisione di quanto sopra esposto non sospenderà l'esecuzione del procedimento di riscossione»;
    in molti casi la gestione di queste piccole unità, sprovviste ormai di alcun interesse di pubblica utilità, risulterebbe per l'Agenzia del Demanio onerosa e ciò ne suggerirebbe pertanto la dismissione;
    se già sul piano strettamente formale è, per quanto detto sopra, discutibile che la situazione degli occupanti degli immobili in oggetto possa ritenersi ascrivibile al fenomeno dell'abusivismo, verso cui lo scrivente conferma la generale necessità di affermare le ragioni della legalità, l'affidamento in essi suscitato dall'aver acquisito le proprietà di cui trattasi con procedure e titoli all'epoca universalmente ritenuti legittimi e attraverso l'opera e l'approvazione dei pubblici ufficiali del notariato, e dall'aver pagato regolarmente tutte le imposte e le tasse connesse alla proprietà degli immobili in questione (che sono oggi accusati di utilizzare sine titulo), pone tali cittadini in una condizione di fede di cui lo Stato non può non riconoscere il rilevante e peculiare carattere, investendo per di più, in gran parte dei casi, il primario diritto all'abitazione;

impegna il Governo

a coordinarsi con ogni livello amministrativo competente per avviare a soluzione l'annoso problema descritto in premessa, contemperando le esigenze dello Stato e la necessità di escludere da qualsiasi sanatoria speculazioni ed abusi di periodo più recente, con la legittima aspettativa che i cittadini nelle situazioni rappresentate in premessa rivendicano nei confronti degli edifici stessi, in particolare in virtù di un titolo successorio o di compravendita, affinché sia indicato un percorso per addivenire al pieno riconoscimento della validità dei loro diritti di proprietà sugli immobili in oggetto.
9/3444-A/180Da Villa.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 184-bis del decreto legislativi n. 152 del 2006 disciplina i casi in cui un materiale sia da classificare come sottoprodotto permettendo di intercettare la materia organica derivante dalle utenze domestiche e non domestiche prima che essa si trasformi in rifiuto;
    l'articolo 182-ter comma 2 del medesimo Decreto stabilisce che le regioni e le province autonome, i comuni e gli ATO, ciascuno per le proprie competenze e nell'ambito delle risorse disponibili allo scopo a legislazione vigente, adottano entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto misure volte a incoraggiare:
     a) la raccolta separata dei rifiuti organici;
     b) il trattamento dei rifiuti organici in modo da realizzare un livello elevato di protezione ambientale;
     c) l'utilizzo di materiali sicuri per l'ambiente ottenuti dai rifiuti organici, ciò al fine di proteggere la salute umana e l'ambiente;
   paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo e forestale naturale non pericoloso utilizzato in agricoltura o selvicoltura mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana, non ricadono nell'ambito di applicazione della parte IV del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 relativa ai rifiuti;
   gli scarti alimentari, gli sfalci e le potature e gli altri residui organici provenienti dalle normali attività familiari, dalle aziende artigianali del settore ricettivo, agricolo e alimentare e della piccola e media distribuzione o commercio al dettaglio possono, se correttamente gestiti, rientrare nell'ambito di applicazione del citato articolo 184-bis e quindi venire esclusi dalla filiera dei rifiuti fino al momento in cui, a valle delle forme di gestione oggetto della presente legge, vi sia un residuo che necessariamente debba venire conferito al gestore dei rifiuti, ma è evidente che tale residuo sarà di gran lunga minoritario rispetto alla quantità di materiale organico originaria ed è altrettanto evidente il beneficio portato dalla separazione radicale della gestione della materia organica dalla filiera dei rifiuti «tradizionale», in quanto oltre ai vantaggi già enunciati si otterranno, ad esempio, plastiche più pulite, carta più pulita, vetro più pulito e di conseguenza una migliore resa economica sul mercato dei materiali riciclati ed una migliore resa industriale sul piano delle prestazioni fisiche e della lavorabilità.
  In particolare il funzionamento di un impianto di compostaggio industriale o elettromeccanico prevede il mescolamento di materiale verde (organico domestico o erbe sfalciate per esempio) e materiale strutturante, come le potature o il fogliame, materiali entrambi necessari (in numerosi studi in eguale quantità) per garantire la formazione di un compost di buona qualità, dato che spesso non viene comunicato agli utenti che vogliano approcciarsi al compostaggio domestico nei siti internet relativi all'igiene urbana comunale per cui si determina spesso l'impossibilità alla formazione di compost di qualità adeguata (dati ISPRA 2015) sia a livello domestico che industriale, sprecando materiale organico che potrebbe oltretutto limitare l'utilizzo di fertilizzazione chimica e incrementando i costi di smaltimento di entrambe le componenti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di un intervento normativo al fine di regolamentare il flusso di materia organica prima che questa assuma la qualifica di rifiuto in modo da favorire il compostaggio domestico prevedendo anche interventi comunicativi sui mass media ed educazionali scolastici su questo tema.
9/3444-A/181Busto.


   La Camera,
   premesso che:
    all'interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-05774 del scorso giugno ai presentatori è stato risposto dal Ministero dell'ambiente che: «Relativamente all'articolo 7, comma 6, del decreto-legge n. 133 dell'11 settembre 2014 (Sblocca Italia), che prevede la costituzione di un fondo, presso il Ministero dell'ambiente, da alimentare mediante la revoca delle risorse stanziate dal CIPE con la delibera 30 aprile 2012, n. 60 del 2012 destinate a 183 interventi nel settore della depurazione, per i quali ricorrano alcuni presupposti di impossibilità tecnica, progettuale, urbanistica, o di inerzia e alla data del 30 settembre 2014, non fossero stati assunti atti giuridicamente vincolanti.
  Sul punto si rappresenta che, sebbene la disposizione rimandi all'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la fissazione di criteri, modalità ed entità delle risorse da destinare al finanziamento degli interventi sempre in materia di adeguamento dei sistemi depurativi, la stessa norma non ha previsto l'assegnazione delle risorse revocate, in «entrata di bilancio dello Stato». Il Ministero dell'ambiente da mesi avrebbe predisposto un emendamento per colmare il vuoto normativo, ma tale modifica ad oggi non ha trovato alcuna collocazione nei provvedimenti legislativi approvati. In ogni caso il testo si trova attualmente all'esame dei competenti uffici della presidenza del Consiglio dei ministri.»,
    che lo scorso Martedì 4 agosto 2015, nella seduta n. 475, la Camera, ha approvato l'ordine del giorno Daga n. 9/3262/40, che impegna il Governo ad intervenire quanto prima in relazione al Fondo per le risorse idriche di cui in premessa inserendo in uno dei prossimi provvedimenti all'esame di quest'Aula la disposizione che prevede l'assegnazione delle risorse revocate «in entrata di bilancio dello Stato». A tale ’ordine del giorno che noi sappiamo il Governo non ha ancora dato attuazione;
    sul quotidiano «La Stampa» del 17 ottobre 2015, solo per citarne uno, si legge che: In Italia ci sono 3,5 miliardi stanziati negli ultimi quindici anni e mai spesi. E l'Authority calcola che solo il 55 per cento delle opere necessarie e pianificate è stato realizzato. Cause: ricorsi giudiziari, errori progettuali, conflitti politici, inedia burocratica, incapacità, ruberie. Conseguenze: un terzo dell'Italia vive con un sistema idrico fuorilegge. Depuratori inesistenti, inadeguati, insufficienti. Liquami in mare, nelle falde acquifere che ci dissetano, nella terra che ci nutre. L'Unione europea si è stufata di concederci proroghe e all'inizio del 2016 scatteranno le sanzioni fino a 500 milioni l'anno. Ed è del 2000 la direttiva che impone di raggiungere un buono stato delle acque entro il 2015, Quindici anni non ci sono bastati. L'Italia ha subito la prima condanna nel 2012 e la seconda nel 2014. La terza e più pesante arriverà prossimamente. Siamo già in mora, è questione di mesi. Bisognerà pagare subito 200 milioni, ma il conto può sfiorare i 500 milioni l'anno. La cosa che fa più rabbia è che nell'ultimo decennio politici, amministrazioni pubbliche e burocrazie assortite non sono riuscite a spendere pacchi di miliardi per evitare quelle sanzioni,

impegna il Governo

ad adottare gli adeguati strumenti normativi per operare una ricognizione dei fondi citati in premessa e non utilizzati, al fine di renderli immediatamente disponibili predisponendo anche un piano nazionale che contenga i progetti validi immediatamente cantierabili, anche al fine di evitare la terza condanna europea. Tali strumenti normativi dovranno inoltre prevedere anche sanzioni rilevanti nei confronti di quei gestori del servizio idrico integrato che non hanno provveduto a realizzare le infrastrutture necessarie per cui i fondi erano già disponibili.
9/3444-A/182Daga.


   La Camera,
   premesso che:
    all'interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-05774 del scorso giugno ai presentatori è stato risposto dal Ministero dell'ambiente che: «Relativamente all'articolo 7, comma 6, del decreto-legge n. 133 dell'11 settembre 2014 (Sblocca Italia), che prevede la costituzione di un fondo, presso il Ministero dell'ambiente, da alimentare mediante la revoca delle risorse stanziate dal CIPE con la delibera 30 aprile 2012, n. 60 del 2012 destinate a 183 interventi nel settore della depurazione, per i quali ricorrano alcuni presupposti di impossibilità tecnica, progettuale, urbanistica, o di inerzia e alla data del 30 settembre 2014, non fossero stati assunti atti giuridicamente vincolanti.
  Sul punto si rappresenta che, sebbene la disposizione rimandi all'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la fissazione di criteri, modalità ed entità delle risorse da destinare al finanziamento degli interventi sempre in materia di adeguamento dei sistemi depurativi, la stessa norma non ha previsto l'assegnazione delle risorse revocate, in «entrata di bilancio dello Stato». Il Ministero dell'ambiente da mesi avrebbe predisposto un emendamento per colmare il vuoto normativo, ma tale modifica ad oggi non ha trovato alcuna collocazione nei provvedimenti legislativi approvati. In ogni caso il testo si trova attualmente all'esame dei competenti uffici della presidenza del Consiglio dei ministri.»,
    che lo scorso Martedì 4 agosto 2015, nella seduta n. 475, la Camera, ha approvato l'ordine del giorno Daga n. 9/3262/40, che impegna il Governo ad intervenire quanto prima in relazione al Fondo per le risorse idriche di cui in premessa inserendo in uno dei prossimi provvedimenti all'esame di quest'Aula la disposizione che prevede l'assegnazione delle risorse revocate «in entrata di bilancio dello Stato». A tale ’ordine del giorno che noi sappiamo il Governo non ha ancora dato attuazione;
    sul quotidiano «La Stampa» del 17 ottobre 2015, solo per citarne uno, si legge che: In Italia ci sono 3,5 miliardi stanziati negli ultimi quindici anni e mai spesi. E l'Authority calcola che solo il 55 per cento delle opere necessarie e pianificate è stato realizzato. Cause: ricorsi giudiziari, errori progettuali, conflitti politici, inedia burocratica, incapacità, ruberie. Conseguenze: un terzo dell'Italia vive con un sistema idrico fuorilegge. Depuratori inesistenti, inadeguati, insufficienti. Liquami in mare, nelle falde acquifere che ci dissetano, nella terra che ci nutre. L'Unione europea si è stufata di concederci proroghe e all'inizio del 2016 scatteranno le sanzioni fino a 500 milioni l'anno. Ed è del 2000 la direttiva che impone di raggiungere un buono stato delle acque entro il 2015, Quindici anni non ci sono bastati. L'Italia ha subito la prima condanna nel 2012 e la seconda nel 2014. La terza e più pesante arriverà prossimamente. Siamo già in mora, è questione di mesi. Bisognerà pagare subito 200 milioni, ma il conto può sfiorare i 500 milioni l'anno. La cosa che fa più rabbia è che nell'ultimo decennio politici, amministrazioni pubbliche e burocrazie assortite non sono riuscite a spendere pacchi di miliardi per evitare quelle sanzioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare gli adeguati strumenti normativi per operare una ricognizione dei fondi citati in premessa e non utilizzati, al fine di renderli immediatamente disponibili predisponendo anche un piano nazionale che contenga i progetti validi immediatamente cantierabili, anche al fine di evitare la terza condanna europea. Tali strumenti normativi dovranno inoltre prevedere anche sanzioni rilevanti nei confronti di quei gestori del servizio idrico integrato che non hanno provveduto a realizzare le infrastrutture necessarie per cui i fondi erano già disponibili.
9/3444-A/182. (Testo modificato nel corso della seduta) Daga.


   La Camera,
   premesso che:
    ai sensi dell'articolo 38, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n.163/2006, sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti;
    le amministrazioni aggiudicatrici, ai sensi di quanto disposto dal comma 6 dell'articolo 90 del decreto legislativo n. 163 del 2006, possono affidare la redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, nonché lo svolgimento di attività tecnico-amministrative connesse alla progettazione, ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f), f-bis), g) e h) del medesimo articolo, in caso di carenza in organico di personale tecnico, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre progetti integrali, così come definiti dal regolamento, che richiedono l'apporto di una pluralità di competenze, casi che devono essere accertati e certificati dal responsabile del procedimento;
    il comma 7 dell'articolo 90 del decreto legislativo n. 163 del 2006 stabilisce che indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto affidatario dell'incarico di cui al comma 6, lo stesso deve essere espletato da professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, personalmente responsabili e nominativamente indicati già in sede di presentazione dell'offerta, con la specificazione delle rispettive qualificazioni professionali;
    la presente norma precisa, inoltre, che debba essere indicata, sempre nell'offerta, la persona fisica incaricata dell'integrazione tra le varie prestazioni specialistiche. II regolamento definisce le modalità per promuovere la presenza anche di giovani professionisti nei gruppi concorrenti ai bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di progettazione, concorsi di idee. All'atto dell'affidamento dell'incarico deve essere dimostrata la regolarità contributiva del soggetto affidatario;
    l'affidamento degli incarichi di progettazione disciplinati dall'ad. 90 del decreto legislativo n.163/2006 è, pertanto, subordinato alla regolarità contributiva dei professionisti nei confronti delle Casse di previdenza ed assistenza; i professionisti, dunque, debbono essere in regola con gli adempimenti dichiarativi e contributivi nei confronti del proprio ente previdenziale e le Stazioni Appaltanti, per contro, sono tenute ad accertare la sussistenza di tale regolarità per procedere agli affidamenti,

impegna il Governo

   ad adottare gli adeguati strumenti normativi – nel rispetto dei principi di cui agli articoli 1, 4 e 35 della Costituzione – al fine di evitare che la mancanza di regolarità contributiva dei lavoratori autonomi, sia iscritti alla gestione separata INPS che alle Casse di previdenza ed assistenza, sia assunta come motivo ostativo alla costituzione di rapporti di lavoro con la Pubblica Amministrazione, alla partecipazione ai bandi pubblici di cui alle disposizioni del decreto legislativo n. 163 del 2006 ed alla possibilità di incasso per i professionisti di crediti già maturati nei confronti della Pubblica Amministrazione stessa, fermo restando per i professionisti medesimi l'obbligo di regolarizzare con le relative Casse di previdenza la propria posizione;
   di prevedere per le Casse di previdenza ed assistenza l'obbligo di favorire, anche attraverso il meccanismo della compensazione, piani di rientro flessibili e personalizzati con i propri iscritti ed, altresì, un consistente abbattimento sanzionatorio.
9/3444-A/183Mannino.


   La Camera,
   premesso che:
    ai sensi dell'articolo 38, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n.163/2006, sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti;
    le amministrazioni aggiudicatrici, ai sensi di quanto disposto dal comma 6 dell'articolo 90 del decreto legislativo n. 163 del 2006, possono affidare la redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, nonché lo svolgimento di attività tecnico-amministrative connesse alla progettazione, ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f), f-bis), g) e h) del medesimo articolo, in caso di carenza in organico di personale tecnico, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre progetti integrali, così come definiti dal regolamento, che richiedono l'apporto di una pluralità di competenze, casi che devono essere accertati e certificati dal responsabile del procedimento;
    il comma 7 dell'articolo 90 del decreto legislativo n. 163 del 2006 stabilisce che indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto affidatario dell'incarico di cui al comma 6, lo stesso deve essere espletato da professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, personalmente responsabili e nominativamente indicati già in sede di presentazione dell'offerta, con la specificazione delle rispettive qualificazioni professionali;
    la presente norma precisa, inoltre, che debba essere indicata, sempre nell'offerta, la persona fisica incaricata dell'integrazione tra le varie prestazioni specialistiche. II regolamento definisce le modalità per promuovere la presenza anche di giovani professionisti nei gruppi concorrenti ai bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di progettazione, concorsi di idee. All'atto dell'affidamento dell'incarico deve essere dimostrata la regolarità contributiva del soggetto affidatario;
    l'affidamento degli incarichi di progettazione disciplinati dall'ad. 90 del decreto legislativo n.163/2006 è, pertanto, subordinato alla regolarità contributiva dei professionisti nei confronti delle Casse di previdenza ed assistenza; i professionisti, dunque, debbono essere in regola con gli adempimenti dichiarativi e contributivi nei confronti del proprio ente previdenziale e le Stazioni Appaltanti, per contro, sono tenute ad accertare la sussistenza di tale regolarità per procedere agli affidamenti,

impegna il Governo

  a valutare l'opportunità di:
   adottare gli adeguati strumenti normativi – nel rispetto dei principi di cui agli articoli 1, 4 e 35 della Costituzione – al fine di evitare che la mancanza di regolarità contributiva dei lavoratori autonomi, sia iscritti alla gestione separata INPS che alle Casse di previdenza ed assistenza, sia assunta come motivo ostativo alla costituzione di rapporti di lavoro con la Pubblica Amministrazione, alla partecipazione ai bandi pubblici di cui alle disposizioni del decreto legislativo n. 163 del 2006 ed alla possibilità di incasso per i professionisti di crediti già maturati nei confronti della Pubblica Amministrazione stessa, fermo restando per i professionisti medesimi l'obbligo di regolarizzare con le relative Casse di previdenza la propria posizione;
   prevedere per le Casse di previdenza ed assistenza l'obbligo di favorire, anche attraverso il meccanismo della compensazione, piani di rientro flessibili e personalizzati con i propri iscritti ed, altresì, un consistente abbattimento sanzionatorio.
9/3444-A/183. (Testo modificato nel corso della seduta) Mannino.


   La Camera,
   premesso che:
    l'iscrizione anagrafica e il diritto di residenza sono riconosciuti dall'ordinamento come diritti soggettivi. La relativa disciplina è contenuta in primo luogo nella Costituzione che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo (articolo 2) tra i quali quelli previsti dagli articoli 13 e ss, richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, nonché il rispetto del principio di uguaglianza formale e sostanziale (articolo 3). In particolare, in riferimento alle libertà fondamentali della persona, l'articolo 14 Cost. dispone che «il domicilio è inviolabile» e ne disciplina la tutela prevedendo che le specifiche limitazioni possano essere disposte solo ex lege. La collocazione di tale diritto subito dopo l'articolo 13, che disciplina la libertà personale, induce a ritenere che la nozione di domicilio prevista dalla costituzione sia molto ampia e debba intendersi come il luogo fisico in cui l'individuo intenda esercitare la sua libertà personale e come tale è inviolabile.
  L'articolo 42 della Costituzione nei comma 2 e 3 afferma che La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
  La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.
  L'articolo 43 c.c a propria volta dispone che «Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale».
  I diritti soggettivi in questione sono infine disciplinati dalla normativa speciale, di cui alla legge 24 dicembre 1954, n. 1228 sull'ordinamento delle anagrafi della popolazione residente e dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223.
  Il diritto alla residenza anagrafica, previsto anche all'articolo 43 C.C., è elemento essenziale per godere di diritti costituzionalmente garantiti quali il diritto alla salute ed il diritto all'istruzione ed è diritto fondamentale della persona, L'articolo 5 presenta quindi rilevanti criticità sostanziali, con particolare riferimento alla tutela costituzionale di cui agli articoli 2, 3 e 14;
    il diritto alla abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, in forza dell'interpretazione desumibile da diverse pronunce dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Cedu) e nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, che delineano i rapporti tra ordinamento interno e diritto sovranazionale. In forza di tale interpretazione il diritto all'abitazione rientra a pieno titolo tra i diritti fondamentali, dovendosi ricomprendere tra quelli individuabili ex articolo 2 della Costituzione, la cui tutela «non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'articolo 2 Cost., ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana ...» «Il diritto all'abitazione è, quindi, protetto dalla Costituzione entro l'alveo dei diritti inviolabili di cui all'articolo 2 Cost.» (Così recitano le sentenze della Corte costituzionale del 28 luglio 1983, n. 252; del 25 febbraio 1988, n. 217; del 7 aprile 1988, n. 404; del 14 dicembre 2001, n. 410; del 21 novembre 2000, n. 520; del 25 luglio 1996, n. 309 solo per citarne alcune;
    il Governo lo scorso 11 settembre 2015, rispondendo in Aula a una interpellanza attraverso Il Sottosegretario De Caro ha tra l'altro affermato che «In merito al Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni, dai dati acquisiti alla data del 30 aprile 2015, sulla disponibilità complessiva per il biennio 2014-2015 pari ad oltre 324 milioni di euro (di cui 200 milioni statali) le risorse assegnate dalle regioni ai comuni ammontano a 93,7 milioni di euro e quelle effettivamente trasferite a meno di 75 milioni. Mentre, sull'utilizzo della riserva del 25 per cento, sul riparto 2015 di 100 milioni, il monitoraggio restituisce un dato di pressoché inutilizzo: 1,4 milioni su 25.
  Anche alla data del 30 giugno 2015 si evidenzia un utilizzo che, seppure incrementato rispetto al precedente valore riscontrato, risulta comunque ridotto: euro 3.540.854,23.» Ed ha aggiunto per quanto concerne, poi, il Fondo inquilini morosi incolpevoli, il monitoraggio restituisce un quadro procedurale regionale molto articolato. Su un totale di 83,39 milioni di euro disponibili (di cui 68,46 statali) le risorse assegnate dalle regioni si attestano a 23,49 milioni mentre quelle effettivamente trasferite sono pari a poco più di 12 milioni.
  I contratti rinnovati ammontano a 204; i nuovi contratti sottoscritti a canone concordato sono 78; quelli rinegoziati con un canone inferiore risultano 38; i differimenti di esecuzione dei provvedimenti di rilascio sono 501; le assegnazioni di alloggi ERP 31;

impegna il Governo:

   ad adottare gli adeguati strumenti normativi per rivedere diverse norme relative al tema dell'accesso all'abitazione approvate negli ultimi anni e che non stanno avendo i risultati attesi.
  In particolare a rivedere l'articolo 5 dal decreto 28 marzo 2014, n. 47 convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 2014, n. 80 prevedendo che vi sia una eccezione all'applicazione per i soggetti che abbiano un reddito I.S.E. non superiore ad euro 35.000,00 o un reddito I.S.E.E. non superiore ad euro 26.000,00.
  A rivedere la dotazione del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, istituito dall'articolo 6, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, incrementandola di 10 milioni di euro per l'anno 2016 e di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018 e prevedendo misure attuative che ne facilitino l'erogazione.
  A rivedere il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, istituito dalla legge 9 dicembre 1998, n. 431, assegnandogli una dotazione di 20 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2016-2018 e prevedendo misure attuative che ne facilitino l'erogazione.
9/3444-A/184Terzoni, Daga.


   La Camera,
   premesso che:
    l'iscrizione anagrafica e il diritto di residenza sono riconosciuti dall'ordinamento come diritti soggettivi. La relativa disciplina è contenuta in primo luogo nella Costituzione che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo (articolo 2) tra i quali quelli previsti dagli articoli 13 e ss, richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, nonché il rispetto del principio di uguaglianza formale e sostanziale (articolo 3). In particolare, in riferimento alle libertà fondamentali della persona, l'articolo 14 Cost. dispone che «il domicilio è inviolabile» e ne disciplina la tutela prevedendo che le specifiche limitazioni possano essere disposte solo ex lege. La collocazione di tale diritto subito dopo l'articolo 13, che disciplina la libertà personale, induce a ritenere che la nozione di domicilio prevista dalla costituzione sia molto ampia e debba intendersi come il luogo fisico in cui l'individuo intenda esercitare la sua libertà personale e come tale è inviolabile.
  L'articolo 42 della Costituzione nei comma 2 e 3 afferma che La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
  La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.
  L'articolo 43 c.c a propria volta dispone che «Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale».
  I diritti soggettivi in questione sono infine disciplinati dalla normativa speciale, di cui alla legge 24 dicembre 1954, n. 1228 sull'ordinamento delle anagrafi della popolazione residente e dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223.
  Il diritto alla residenza anagrafica, previsto anche all'articolo 43 C.C., è elemento essenziale per godere di diritti costituzionalmente garantiti quali il diritto alla salute ed il diritto all'istruzione ed è diritto fondamentale della persona, L'articolo 5 presenta quindi rilevanti criticità sostanziali, con particolare riferimento alla tutela costituzionale di cui agli articoli 2, 3 e 14;
    il diritto alla abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, in forza dell'interpretazione desumibile da diverse pronunce dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Cedu) e nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, che delineano i rapporti tra ordinamento interno e diritto sovranazionale. In forza di tale interpretazione il diritto all'abitazione rientra a pieno titolo tra i diritti fondamentali, dovendosi ricomprendere tra quelli individuabili ex articolo 2 della Costituzione, la cui tutela «non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'articolo 2 Cost., ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana ...» «Il diritto all'abitazione è, quindi, protetto dalla Costituzione entro l'alveo dei diritti inviolabili di cui all'articolo 2 Cost.» (Così recitano le sentenze della Corte costituzionale del 28 luglio 1983, n. 252; del 25 febbraio 1988, n. 217; del 7 aprile 1988, n. 404; del 14 dicembre 2001, n. 410; del 21 novembre 2000, n. 520; del 25 luglio 1996, n. 309 solo per citarne alcune;
    il Governo lo scorso 11 settembre 2015, rispondendo in Aula a una interpellanza attraverso Il Sottosegretario De Caro ha tra l'altro affermato che «In merito al Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni, dai dati acquisiti alla data del 30 aprile 2015, sulla disponibilità complessiva per il biennio 2014-2015 pari ad oltre 324 milioni di euro (di cui 200 milioni statali) le risorse assegnate dalle regioni ai comuni ammontano a 93,7 milioni di euro e quelle effettivamente trasferite a meno di 75 milioni. Mentre, sull'utilizzo della riserva del 25 per cento, sul riparto 2015 di 100 milioni, il monitoraggio restituisce un dato di pressoché inutilizzo: 1,4 milioni su 25.
  Anche alla data del 30 giugno 2015 si evidenzia un utilizzo che, seppure incrementato rispetto al precedente valore riscontrato, risulta comunque ridotto: euro 3.540.854,23.» Ed ha aggiunto per quanto concerne, poi, il Fondo inquilini morosi incolpevoli, il monitoraggio restituisce un quadro procedurale regionale molto articolato. Su un totale di 83,39 milioni di euro disponibili (di cui 68,46 statali) le risorse assegnate dalle regioni si attestano a 23,49 milioni mentre quelle effettivamente trasferite sono pari a poco più di 12 milioni.
  I contratti rinnovati ammontano a 204; i nuovi contratti sottoscritti a canone concordato sono 78; quelli rinegoziati con un canone inferiore risultano 38; i differimenti di esecuzione dei provvedimenti di rilascio sono 501; le assegnazioni di alloggi ERP 31;

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare gli adeguati strumenti normativi per rivedere diverse norme relative al tema dell'accesso all'abitazione approvate negli ultimi anni e che non stanno avendo i risultati attesi.
  In particolare a valutare l'opportunità di rivedere l'articolo 5 dal decreto 28 marzo 2014, n. 47 convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 2014, n. 80 prevedendo che vi sia una eccezione all'applicazione per i soggetti che abbiano un reddito I.S.E. non superiore ad euro 35.000,00 o un reddito I.S.E.E. non superiore ad euro 26.000,00.
  A valutare l'opportunità di rivedere la dotazione del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, istituito dall'articolo 6, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, incrementandola di 10 milioni di euro per l'anno 2016 e di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018 e prevedendo misure attuative che ne facilitino l'erogazione.
  A valutare l'opportunità di rivedere il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, istituito dalla legge 9 dicembre 1998, n. 431, assegnandogli una dotazione di 20 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2016-2018 e prevedendo misure attuative che ne facilitino l'erogazione.
9/3444-A/184. (Testo modificato nel corso della seduta) Terzoni, Daga.


   La Camera,
   premesso che:
    la lotta alle patologie correlate all'esposizione delle fibre di amianto deve proseguire ed è urgente dare delle risposte efficaci a chi le aspetta da anni;
    i dati nazionali legati alla pericolosità dell'amianto, a oltre venti anni dall'entrata in vigore della legge 27 marzo 1992, n. 257, che ha sancito il divieto di estrazione, commercializzazione e produzione di amianto, sono ancora drammatici: l'Ufficio internazionale del lavoro calcola che i casi di morte dovuti all'asbesto, patologia correlata all'esposizione all'amianto, sono circa 120.000 all'anno. A livello nazionale sono stimati dall'Osservatorio nazionale amianto (ONA) in circa 1.500 all'anno i casi di mesotelioma (per i diversi organi colpiti), e in circa 3.000 i casi di neoplasie polmonari asbesto correlate, per un totale di circa 5.000 decessi per patologie asbesto correlate, comprendendo le fibrosi polmonari e le altre patologie asbesto correlate;
    l'ultima «Conferenza governativa sull'amianto e le patologie asbesto correlate (stato dell'arte e prospettive) che si è svolta a Venezia dal 22 al 24 novembre 2012 ha fatto emergere fra l'altro la presenza di oltre 40 mila siti con presenza di amianto in Italia, di cui 400 a rischio molto alto; la ricognizione sullo stato di attuazione della legge 257 ha evidenziato un'omogeneità nazionale di non attuazione: mancano linee guida in molte regioni, la progressione delle bonifiche è di circa 1'1 per cento all'anno dell'amianto presente in Italia nel 1992 (si parla del solo smaltimento legale), e con il ritmo che si è tenuto in questi vent'anni si ritiene che siano necessari ancora almeno 60 anni di lavoro. Dati decisamente approssimativi se si pensa che Sicilia e Calabria non avevano comunicato alcun dato al momento della conferenza di Venezia e che gli utilizzatori indiretti di amianto nelle attività produttive non redigono sistematicamente la relazione annuale. Mancano ancora dati di mappatura dell'amianto nelle scuole per oltre la metà della regioni italiane e ciò non è accettabile se si pensa che le patologie asbesto correlate hanno una latenza prolungata e che potrebbero colpire in particolare le fasce di minore età;
    è da rilevare che oltre 1180 per cento delle circa 440 mila tonnellate di amianto smaltite negli ultimi anni in Italia è stata spedita all'estero, con costi aggiuntivi e incremento dei rischi durante il trasporto. Il costo medio di smaltimento dell'amianto è di 900 euro a tonnellata se esportato (550 per la rimozione, 250 per il conferimento in discarica e 100 euro per il trasporto). L'individuazione di siti regionali compatibili con lo smaltimento che rispondano a criteri di idoneità geologica, paesaggistica e ambientale potrebbe portare a una bonifica a «kilometri zero», che dovrebbe passare naturalmente per il coinvolgimento delle popolazioni interessate anche in merito alla necessità di riduzione del rischio in relazione al progressivo deterioramento dei materiali contenenti amianto presenti in tutto il Paese e garantendo la massima trasparenza dei dati dei controlli dell'inquinamento delle matrici ambientali circostanti gli impianti, coinvolgendo personale di età prossima alla pensione negli impianti stessi per i già citati dati di latenza dello sviluppo di patologie; il piano nazionale amianto del Governo Monti, scaturito anche dalla Conferenza di Venezia, seppur contenga buoni spunti, deve ancora essere approvato dalla Conferenza Stato/regioni ed è bloccato al Ministero dell'economia e delle finanze per la mancanza di coperture; stante l'urgenza che l'attuale Governo attui i provvedimenti necessari a far fronte a questo tema;
    nel corso della recente seconda conferenza internazionale dell'Osservatorio nazionale amianto (ONA onlus) tenutasi nell'aula dei gruppi della Camera il 20 marzo 2014, dove è stata data voce alle Istituzioni, alle associazioni di esposti, ai cittadini e a eminenti scienziati, è emersa oltretutto la necessità di un piano amianto alternativo a quello governativo, che miri in maniera più decisa alla prevenzione primaria, alla ricerca scientifica, alla interdizione dei crimini ambientali lesivi della dignità e dell'incolumità della persona, e che attraverso la valorizzazione delle associazioni e delle autonomie locali possa permettere di affrontare e risolvere questo enorme problema;
    è necessario che, in linea con il piano governativo e i piani delle associazioni di esposti all'amianto, siano stabiliti altresì termini specifici e tassativi per eseguire e per portare a termine la mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, nonché la bonifica, ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 93 del 2001 e del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 101 del 2003, atteso che l'assenza di termine finale rischia di prorogare sine die gli interventi di bonifica e di esporre a rischio cittadini e lavoratori, con maggior rischio di insorgenza di malattie e lesione della pubblica incolumità e con maggiori oneri sociali e sanitari; è urgente stabilire, inoltre, i termini perentori per la decontaminazione dei luoghi di lavoro in ambito civile e militare, e per il divieto di esposizione all'amianto;
    i dati CRESME 2015 mostrano che gli interventi di defiscalizzazione per quanto concerne la riqualificazione energetica degli edifici hanno prodotto un attivo per lo Stato di circa 0,5 miliardi all'anno su base pluriennale, per l'emersione dal «nero» e per lo stimolo a nuovi investimenti; tali dati verosimilmente si potrebbero riscontrare anche nell'ambito della rimozione dall'amianto;

impegna il Governo:

a prevedere una strategia di defiscalizzazione eventualmente utilizzando anche il credito fiscale per gli interventi che riguardino la rimozione e la bonifica dell'amianto nell'intero comparto di edilizia privata, purché le regioni interessate siano dotate di un Piano di Gestione Amianto, comprensivo in particolare di mappatura e di siti di inertizzazione o discarica di capienza adeguata ai quantitativi di amianto stimati sul rispettivo territorio regionale.
9/3444-A/185Zolezzi.


   La Camera,
   premesso che:
    la lotta alle patologie correlate all'esposizione delle fibre di amianto deve proseguire ed è urgente dare delle risposte efficaci a chi le aspetta da anni;
    i dati nazionali legati alla pericolosità dell'amianto, a oltre venti anni dall'entrata in vigore della legge 27 marzo 1992, n. 257, che ha sancito il divieto di estrazione, commercializzazione e produzione di amianto, sono ancora drammatici: l'Ufficio internazionale del lavoro calcola che i casi di morte dovuti all'asbesto, patologia correlata all'esposizione all'amianto, sono circa 120.000 all'anno. A livello nazionale sono stimati dall'Osservatorio nazionale amianto (ONA) in circa 1.500 all'anno i casi di mesotelioma (per i diversi organi colpiti), e in circa 3.000 i casi di neoplasie polmonari asbesto correlate, per un totale di circa 5.000 decessi per patologie asbesto correlate, comprendendo le fibrosi polmonari e le altre patologie asbesto correlate;
    l'ultima «Conferenza governativa sull'amianto e le patologie asbesto correlate (stato dell'arte e prospettive) che si è svolta a Venezia dal 22 al 24 novembre 2012 ha fatto emergere fra l'altro la presenza di oltre 40 mila siti con presenza di amianto in Italia, di cui 400 a rischio molto alto; la ricognizione sullo stato di attuazione della legge 257 ha evidenziato un'omogeneità nazionale di non attuazione: mancano linee guida in molte regioni, la progressione delle bonifiche è di circa 1'1 per cento all'anno dell'amianto presente in Italia nel 1992 (si parla del solo smaltimento legale), e con il ritmo che si è tenuto in questi vent'anni si ritiene che siano necessari ancora almeno 60 anni di lavoro. Dati decisamente approssimativi se si pensa che Sicilia e Calabria non avevano comunicato alcun dato al momento della conferenza di Venezia e che gli utilizzatori indiretti di amianto nelle attività produttive non redigono sistematicamente la relazione annuale. Mancano ancora dati di mappatura dell'amianto nelle scuole per oltre la metà della regioni italiane e ciò non è accettabile se si pensa che le patologie asbesto correlate hanno una latenza prolungata e che potrebbero colpire in particolare le fasce di minore età;
    è da rilevare che oltre 1180 per cento delle circa 440 mila tonnellate di amianto smaltite negli ultimi anni in Italia è stata spedita all'estero, con costi aggiuntivi e incremento dei rischi durante il trasporto. Il costo medio di smaltimento dell'amianto è di 900 euro a tonnellata se esportato (550 per la rimozione, 250 per il conferimento in discarica e 100 euro per il trasporto). L'individuazione di siti regionali compatibili con lo smaltimento che rispondano a criteri di idoneità geologica, paesaggistica e ambientale potrebbe portare a una bonifica a «kilometri zero», che dovrebbe passare naturalmente per il coinvolgimento delle popolazioni interessate anche in merito alla necessità di riduzione del rischio in relazione al progressivo deterioramento dei materiali contenenti amianto presenti in tutto il Paese e garantendo la massima trasparenza dei dati dei controlli dell'inquinamento delle matrici ambientali circostanti gli impianti, coinvolgendo personale di età prossima alla pensione negli impianti stessi per i già citati dati di latenza dello sviluppo di patologie; il piano nazionale amianto del Governo Monti, scaturito anche dalla Conferenza di Venezia, seppur contenga buoni spunti, deve ancora essere approvato dalla Conferenza Stato/regioni ed è bloccato al Ministero dell'economia e delle finanze per la mancanza di coperture; stante l'urgenza che l'attuale Governo attui i provvedimenti necessari a far fronte a questo tema;
    nel corso della recente seconda conferenza internazionale dell'Osservatorio nazionale amianto (ONA onlus) tenutasi nell'aula dei gruppi della Camera il 20 marzo 2014, dove è stata data voce alle Istituzioni, alle associazioni di esposti, ai cittadini e a eminenti scienziati, è emersa oltretutto la necessità di un piano amianto alternativo a quello governativo, che miri in maniera più decisa alla prevenzione primaria, alla ricerca scientifica, alla interdizione dei crimini ambientali lesivi della dignità e dell'incolumità della persona, e che attraverso la valorizzazione delle associazioni e delle autonomie locali possa permettere di affrontare e risolvere questo enorme problema;
    è necessario che, in linea con il piano governativo e i piani delle associazioni di esposti all'amianto, siano stabiliti altresì termini specifici e tassativi per eseguire e per portare a termine la mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, nonché la bonifica, ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 93 del 2001 e del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 101 del 2003, atteso che l'assenza di termine finale rischia di prorogare sine die gli interventi di bonifica e di esporre a rischio cittadini e lavoratori, con maggior rischio di insorgenza di malattie e lesione della pubblica incolumità e con maggiori oneri sociali e sanitari; è urgente stabilire, inoltre, i termini perentori per la decontaminazione dei luoghi di lavoro in ambito civile e militare, e per il divieto di esposizione all'amianto;
    i dati CRESME 2015 mostrano che gli interventi di defiscalizzazione per quanto concerne la riqualificazione energetica degli edifici hanno prodotto un attivo per lo Stato di circa 0,5 miliardi all'anno su base pluriennale, per l'emersione dal «nero» e per lo stimolo a nuovi investimenti; tali dati verosimilmente si potrebbero riscontrare anche nell'ambito della rimozione dall'amianto;

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di prevedere una strategia di defiscalizzazione eventualmente utilizzando anche il credito fiscale per gli interventi che riguardino la rimozione e la bonifica dell'amianto nell'intero comparto di edilizia privata, purché le regioni interessate siano dotate di un Piano di Gestione Amianto, comprensivo in particolare di mappatura e di siti di inertizzazione o discarica di capienza adeguata ai quantitativi di amianto stimati sul rispettivo territorio regionale.
9/3444-A/185. (Testo modificato nel corso della seduta) Zolezzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame modifica l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 rubricato «Anticipazione sperimentale dell'imposta municipale propria»;
    la disposizione individua le categorie e i casi in cui l'imposta municipale propria è dovuta ed identifica altresì le fattispecie che ne siano esenti. Si prevede, pertanto, che l'imposta municipale propria non si applica al possesso dell'abitazione principale e alle pertinenze della stessa;
    la disposizione prevede, con alcune condizioni ivi specificate, che i comuni possano considerare direttamente adibita ad abitazione principale, e pertanto esentare dell'imposta municipale propria, l'unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscano la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente;
    la facoltà, per il comune di concedere l'esenzione nella richiamata fattispecie crea storture e disparità di trattamento per categorie che invece sono senza alcun dubbio bisognose di protezione e salvaguardia generalizzata e diffusa sull'intero territorio nazionale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare tutte le iniziative, anche normative, volte a prevedere l'esenzione dall'imposta municipale propria per le abitazioni di anziani o disabili che si trasferiscano a vivere in casa di cura.
9/3444-A/186Fraccaro.


   La Camera,
   premesso che:
    nel disegno di legge in titolo sono state introdotte dall'emendamento del Governo Tab. E 27 disposizioni volte alla ricostituzione di quattro Fondi multilaterali di sviluppo (Fondo Africano, Associazione internazionale per lo sviluppo, Fondo asiatico e Fondo speciale di sviluppo della Banca dei Caraibi) per gli anni dal 2017 al 2026, fondi che ancora risultano afferenti al ministero dell'economia e delle finanze (programma 3.2 - cap.7175 della Missione «Italia in Europa e nel mondo»);
   in tal senso, giova invece ricordare che la nuova disciplina sulla cooperazione internazionale allo sviluppo (legge 11 agosto 2014, n. 125), definisce con l'articolo 5 che la partecipazione anche finanziaria del nostro Paese al capitale di banche e fondi di sviluppo multilaterali rientra nell'ambito della CPS (cooperazione pubblica allo sviluppo) e che è il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale che ne cura le relazioni e stabilisce l'entità complessiva dei finanziamenti annuali erogati a ciascuno di essi; ciò anche per garantire la necessaria coerenza e unitarietà delle politiche e delle attività di cooperazione al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di competenze e responsabilità;
    peraltro, persistono ancora forti perplessità in ordine al fatto che parte consistente della CPS italiana sia indirizzata a istituzioni bancarie, soprattutto alla luce delle responsabilità del sistema finanziario mondiale in riferimento alla crisi che ha determinato in questi anni, e in ordine a quale sia la composizione dell'azionariato delle citate banche;
    permane, inoltre, la necessità di un rafforzamento della trasparenza circa la destinazione finale e il relativo esito dei fondi per la cooperazione allo sviluppo anche in considerazione del fatto che alcuni Paesi caraibici sono ancora paradisi fiscali e che pertanto aiutarli risulterebbe in contrasto con gli obiettivi ribaditi in tanti provvedimenti di ratifica di Accordi di tale portata già approvati dal Parlamento,

impegna il Governo:

   ad adottare le necessarie disposizioni affinché venga perseguito lo spirito innovativo della nuova disciplina sulla cooperazione allo sviluppo in ordine a quanto evidenziato in premessa, ovvero che sia il ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale a gestire unitariamente i fondi per banche e fondi di sviluppo proprio con lo scopo di garantire la coerenza delle politiche e di tutte le attività di cooperazione;
   ad adottare tutte le necessarie e opportune determinazioni perché venga assicurata la trasparenza nell'erogazione dei fondi, sulla destinazione finale e sul relativo esito.
9/3444-A/187Sibilia.


   La Camera,
   premesso che:
    nel disegno di legge in titolo sono state introdotte dall'emendamento del Governo Tab. E 27 disposizioni volte alla ricostituzione di quattro Fondi multilaterali di sviluppo (Fondo Africano, Associazione internazionale per lo sviluppo, Fondo asiatico e Fondo speciale di sviluppo della Banca dei Caraibi) per gli anni dal 2017 al 2026, fondi che ancora risultano afferenti al ministero dell'economia e delle finanze (programma 3.2 - cap.7175 della Missione «Italia in Europa e nel mondo»);
    in tal senso, giova invece ricordare che la nuova disciplina sulla cooperazione internazionale allo sviluppo (legge 11 agosto 2014, n. 125), definisce con l'articolo 5 che la partecipazione anche finanziaria del nostro Paese al capitale di banche e fondi di sviluppo multilaterali rientra nell'ambito della CPS (cooperazione pubblica allo sviluppo) e che è il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale che ne cura le relazioni e stabilisce l'entità complessiva dei finanziamenti annuali erogati a ciascuno di essi; ciò anche per garantire la necessaria coerenza e unitarietà delle politiche e delle attività di cooperazione al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di competenze e responsabilità;
    peraltro, persistono ancora forti perplessità in ordine al fatto che parte consistente della CPS italiana sia indirizzata a istituzioni bancarie, soprattutto alla luce delle responsabilità del sistema finanziario mondiale in riferimento alla crisi che ha determinato in questi anni, e in ordine a quale sia la composizione dell'azionariato delle citate banche;
    permane, inoltre, la necessità di un rafforzamento della trasparenza circa la destinazione finale e il relativo esito dei fondi per la cooperazione allo sviluppo anche in considerazione del fatto che alcuni Paesi caraibici sono ancora paradisi fiscali e che pertanto aiutarli risulterebbe in contrasto con gli obiettivi ribaditi in tanti provvedimenti di ratifica di Accordi di tale portata già approvati dal Parlamento,

impegna il Governo:

  a valutare l'opportunità di:
   adottare le necessarie disposizioni affinché venga perseguito lo spirito innovativo della nuova disciplina sulla cooperazione allo sviluppo in ordine a quanto evidenziato in premessa, ovvero che sia il ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale a gestire unitariamente i fondi per banche e fondi di sviluppo proprio con lo scopo di garantire la coerenza delle politiche e di tutte le attività di cooperazione;
   adottare tutte le necessarie e opportune determinazioni perché venga assicurata la trasparenza nell'erogazione dei fondi, sulla destinazione finale e sul relativo esito.
9/3444-A/187. (Testo modificato nel corso della seduta) Sibilia.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede con il comma 224 dell'articolo 1, al fine di sostenere le politiche in materia di adozioni internazionali e per assicurare il funzionamento della Cai (Commissione per le adozioni internazionali), lo stanziamento di 15 milioni di euro, attraverso la creazione di un apposito fondo non sufficiente però per esperire anche tutte le relative pratiche, ancorché arretrate;
    infatti, la stessa Commissione sottolinea che sono ancora in corso le attività relative ai rimborsi delle procedure adottive in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del gennaio 2012 relativo alle adozioni concluse nel 2010 e nel 2011, decreto privo, peraltro, della copertura necessaria a coprire tali rimborsi;
    per tali motivi, la Cai è stata costretta a finanziare i rimborsi per le adozioni concluse nel 2011 con le risorse assegnate e destinate al sostegno delle adozioni internazionali nell'anno 2013 (disponibili da marzo 2014) e nell'anno 2014 (da poco rese disponibili). Al momento, quindi, la Commissione sta procedendo ai rimborsi relativi al 2011 secondo l'oggettivo criterio cronologico della presentazione e dell'arrivo delle domande, protocollate presso la Cai. Fino a quando non saranno esauriti i rimborsi per il 2011 non si potrà, quindi, procedere ai rimborsi per gli anni successivi,

impegna il Governo

a sostenere la Commissione per le adozioni internazionali nella sua attività di risoluzione dei rimborsi delle procedure adottive assicurando alla stessa la dotazione finanziaria con necessari e conseguenti provvedimenti.
9/3444-A/188Scagliusi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede con il comma 224 dell'articolo 1, al fine di sostenere le politiche in materia di adozioni internazionali e per assicurare il funzionamento della Cai (Commissione per le adozioni internazionali), lo stanziamento di 15 milioni di euro, attraverso la creazione di un apposito fondo non sufficiente però per esperire anche tutte le relative pratiche, ancorché arretrate;
    infatti, la stessa Commissione sottolinea che sono ancora in corso le attività relative ai rimborsi delle procedure adottive in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del gennaio 2012 relativo alle adozioni concluse nel 2010 e nel 2011, decreto privo, peraltro, della copertura necessaria a coprire tali rimborsi;
    per tali motivi, la Cai è stata costretta a finanziare i rimborsi per le adozioni concluse nel 2011 con le risorse assegnate e destinate al sostegno delle adozioni internazionali nell'anno 2013 (disponibili da marzo 2014) e nell'anno 2014 (da poco rese disponibili). Al momento, quindi, la Commissione sta procedendo ai rimborsi relativi al 2011 secondo l'oggettivo criterio cronologico della presentazione e dell'arrivo delle domande, protocollate presso la Cai. Fino a quando non saranno esauriti i rimborsi per il 2011 non si potrà, quindi, procedere ai rimborsi per gli anni successivi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di sostenere la Commissione per le adozioni internazionali nella sua attività di risoluzione dei rimborsi delle procedure adottive assicurando alla stessa la dotazione finanziaria con necessari e conseguenti provvedimenti.
9/3444-A/188. (Testo modificato nel corso della seduta) Scagliusi.


   La Camera,
   premesso che:
    nel disegno di legge in titolo sono state introdotte disposizioni, previste dall'attuale comma 356 dell'articolo 1 (ex articolo 33, comma 21 del testo originario) relative alle entrate derivanti dalle operazioni di dismissione immobiliare in attuazione dei commi 1311 e 1312 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007 attraverso l'elaborazione di un piano di razionalizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato ubicato all'estero;
    tale piano è stato realizzato mediante ricognizione e stima del patrimonio immobiliare, nonché con l'analisi comparativa di costi e benefici, così da giungere all'individuazione dei beni per i quali proporre la dismissione;
    tuttavia tale disposizione prevede anche la non applicazione del comma 1314 della citata finanziaria 2007, ovvero che una quota pari al 30 per cento degli introiti debba essere finalizzato alla ristrutturazione, restauro e manutenzione straordinaria degli immobili del demanio italiano ubicati all'estero,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata, al fine di adottare iniziative normative volte a rivedere la portata di tale disposizione anche in considerazione della necessità di garantire a quegli immobili, esclusi dal piano di razionalizzazione di cui alla premessa, le necessarie opere di manutenzione ordinaria (rifacimento delle facciate, risistemazione degli impianti, ristrutturazione e ampliamento, eccetera).
9/3444-A/189Grande.


   La Camera,
   premesso che:
    nel disegno di legge in titolo sono state introdotte disposizioni, previste dall'attuale comma 356 dell'articolo 1 (ex articolo 33, comma 21 del testo originario) relative alle entrate derivanti dalle operazioni di dismissione immobiliare in attuazione dei commi 1311 e 1312 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007 attraverso l'elaborazione di un piano di razionalizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato ubicato all'estero;
    tale piano è stato realizzato mediante ricognizione e stima del patrimonio immobiliare, nonché con l'analisi comparativa di costi e benefici, così da giungere all'individuazione dei beni per i quali proporre la dismissione;
    tuttavia tale disposizione prevede anche la non applicazione del comma 1314 della citata finanziaria 2007, ovvero che una quota pari al 30 per cento degli introiti debba essere finalizzato alla ristrutturazione, restauro e manutenzione straordinaria degli immobili del demanio italiano ubicati all'estero,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata, al fine di adottare iniziative normative volte a rivedere la portata di tale disposizione anche in considerazione della necessità di garantire a quegli immobili, esclusi dal piano di razionalizzazione di cui alla premessa, le necessarie opere di manutenzione ordinaria (rifacimento delle facciate, risistemazione degli impianti, ristrutturazione e ampliamento, eccetera).
9/3444-A/189. (Testo modificato nel corso della seduta) Grande.


   La Camera,
   premesso che:
    la mobilità sostenibile rappresenta uno dei punti fondamentali per le linee di sviluppo future a livello europeo e internazionale;
    tra le varie forme di mobilità sostenibile quella ciclistica può offrire senz'altro una valida combinazione di effetti positivi in termini ambientali, di salute e economici così come mostrato dal rapporto «Unlocking new opportunities. Jobs in green and healthy transport», prodotto dall'Organizzazione Mondiale della Salute – Ufficio regionale per l'Europa, in cui si rileva come l'investimento nel trasporto ecosostenibile possa fruttare oltre settantasei mila nuovi posti di lavoro in Europa;
    l'Italia sin dal 1998 con legge n. 366 ha istituito un Fondo ad hoc per gli interventi in favore della mobilità ciclistica le cui risorse sono destinate per svariate finalità come indicato alle lettere del comma 1, articolo 6;
    tra le finalità previste dalla citata legge, vi sono quelle relative la realizzazione di reti e infrastrutture per il trasporto su bici così come dotazioni a garanzia della sicurezza dei ciclisti; nonché interventi finalizzati a realizzare l'intermodalità tra biciclette e mezzi di trasporto pubblico. Elemento, quello dell'intermodalità, che permetterebbe il fondamentale apporto allo sviluppo della mobilità ciclistica quotidiana dentro e fuori dalle aree urbane;
    nel disegno di legge all'esame il Governo ha rivolto l'attenzione al tema della viabilità ciclistica, individuando risorse solo ai fini di progettazione e realizzazione di ciclovie turistiche e ciclostazioni, peraltro utilizzando due termini che non vedono nella normativa vigente un chiaro, condiviso e univoco significato,

impegna il Governo

a trovare le necessarie risorse al fine di rifinanziare adeguatamente il fondo di cui all'articolo 3, legge 19 ottobre 1998, n. 366, al fine di favorire la realizzazione di infrastrutture e reti per il trasporto su bici garantendo in via prioritaria la sicurezza per i ciclisti e la più ampia intermodalità tra bicicletta, treno e mezzi di trasporto pubblico locale; svolgendo una relazione annuale presso le Commissioni parlamentari competenti sugli eventuali risultati prodotti dall'applicazione della norma citata in premessa.
9/3444-A/190De Lorenzis.


   La Camera,
   premesso che:
    con la legge 29 novembre 1984 n. 798, sono stati trasferiti alla Regione del Veneto appositi fondi per interventi di risanamento della Laguna e della Città di Venezia;
    la legislazione speciale per Venezia considera la salvaguardia della città e della sua laguna un problema di preminente interesse nazionale, ponendosi l'obiettivo di garantire la tutela ambientale, paesaggistica, storica, archeologica ed artistica, l'equilibrio idraulico, la difesa dall'inquinamento atmosferico e delle acque e la vitalità socioeconomica, nel quadro dello sviluppo generale e dell'assetto territoriale della Regione;
    al raggiungimento di tali finalità concorrono lo Stato, la Regione e gli Enti Locali e a ciascuna amministrazione sono assegnati compiti diversi: allo Stato le azioni volte alla salvaguardia fisica e ambientale della Laguna, ai Comuni di Venezia, Chioggia e Cavallino Treporti quelle volte alla rivitalizzazione socioeconomica, alla Provincia regolamentazione della pesca e alla Regione i compiti relativi al disinquinamento;

impegna il Governo

introdurre misure volte a consentire agli enti locali assegnatari di contributi pluriennali ai sensi dell'articolo 6 della legge 29 novembre 1984 n. 798 di escludere dal saldo rilevante ai fini del patto di stabilità interno, le entrate e le spese correlate alla detta disposizione normativa, ivi comprese le spese finanziate al Fondo Pluriennale Vincolato e dall'avanzo di amministrazione derivanti da finanziamenti di legge speciale.
9/3444-A/191Della Valle.


   La Camera,
   premesso che:
    con la legge 29 novembre 1984 n. 798, sono stati trasferiti alla Regione del Veneto appositi fondi per interventi di risanamento della Laguna e della Città di Venezia;
    la legislazione speciale per Venezia considera la salvaguardia della città e della sua laguna un problema di preminente interesse nazionale, ponendosi l'obiettivo di garantire la tutela ambientale, paesaggistica, storica, archeologica ed artistica, l'equilibrio idraulico, la difesa dall'inquinamento atmosferico e delle acque e la vitalità socioeconomica, nel quadro dello sviluppo generale e dell'assetto territoriale della Regione;
    al raggiungimento di tali finalità concorrono lo Stato, la Regione e gli Enti Locali e a ciascuna amministrazione sono assegnati compiti diversi: allo Stato le azioni volte alla salvaguardia fisica e ambientale della Laguna, ai Comuni di Venezia, Chioggia e Cavallino Treporti quelle volte alla rivitalizzazione socioeconomica, alla Provincia regolamentazione della pesca e alla Regione i compiti relativi al disinquinamento;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre misure volte a consentire agli enti locali assegnatari di contributi pluriennali ai sensi dell'articolo 6 della legge 29 novembre 1984 n. 798 di escludere dal saldo rilevante ai fini del patto di stabilità interno, le entrate e le spese correlate alla detta disposizione normativa, ivi comprese le spese finanziate al Fondo Pluriennale Vincolato e dall'avanzo di amministrazione derivanti da finanziamenti di legge speciale.
9/3444-A/191. (Testo modificato nel corso della seduta) Della Valle.


   La Camera,
   premesso che:
    i limiti di contenuto della legge di stabilità sono stabiliti in modo puntuale dall'articolo 11 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, che ne valorizza la funzione propria di definizione del quadro di riferimento finanziario per il triennio compreso nel bilancio pluriennale e di regolazione delle grandezze finanziarie previste dalla legislazione vigente;
    la sopracitata legge di contabilità e finanza pubblica, all'articolo 11, comma 3, delimita, in senso assai restrittivo, il contenuto proprio della legge di stabilità sancendo che «essa non può contenere norme di delega o di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio, né interventi di natura localistica o micro settoriale»;
    esaminato il provvedimento in titolo, risulta tuttavia evidente che il contenuto del disegno di legge di stabilità 2016 appare in più parti derogare alla disciplina del contenuto proprio dettata dal citato articolo 11;
    anche quest'anno, infatti, durante la manovra di finanza pubblica, è in corso quello che nel gergo parlamentare e giornalistico, è chiamato «l'assalto alla diligenza», ovvero il tentativo di inserire nel testo norme localistiche o particolaristiche, spesso frutto dell'attività di lobbying o di fenomeni «clientelari»,

impegna il Governo

rispettare, durante le sessioni di bilancio dei prossimi anni, i principi ed i criteri di redazione previsti dalla legge di contabilità e finanza pubblica, n. 196 del 31 dicembre 2009, in particolare evitando l'inserimento di norme localistiche e micro settoriali finalizzate esclusivamente a garantire interessi particolari e favorendo l'accorpamento di queste in interventi di più ampio respiro che abbiano ricadute positive sulla generalità dei cittadini.
9/3444-A/192Del Grosso.


   La Camera,
   premesso che:
    i limiti di contenuto della legge di stabilità sono stabiliti in modo puntuale dall'articolo 11 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, che ne valorizza la funzione propria di definizione del quadro di riferimento finanziario per il triennio compreso nel bilancio pluriennale e di regolazione delle grandezze finanziarie previste dalla legislazione vigente;
    la sopracitata legge di contabilità e finanza pubblica, all'articolo 11, comma 3, delimita, in senso assai restrittivo, il contenuto proprio della legge di stabilità sancendo che «essa non può contenere norme di delega o di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio, né interventi di natura localistica o micro settoriale»;
    esaminato il provvedimento in titolo, risulta tuttavia evidente che il contenuto del disegno di legge di stabilità 2016 appare in più parti derogare alla disciplina del contenuto proprio dettata dal citato articolo 11;
    anche quest'anno, infatti, durante la manovra di finanza pubblica, è in corso quello che nel gergo parlamentare e giornalistico, è chiamato «l'assalto alla diligenza», ovvero il tentativo di inserire nel testo norme localistiche o particolaristiche, spesso frutto dell'attività di lobbying o di fenomeni «clientelari»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rispettare, durante le sessioni di bilancio dei prossimi anni, i principi ed i criteri di redazione previsti dalla legge di contabilità e finanza pubblica, n. 196 del 31 dicembre 2009, in particolare evitando l'inserimento di norme localistiche e micro settoriali finalizzate esclusivamente a garantire interessi particolari e favorendo l'accorpamento di queste in interventi di più ampio respiro che abbiano ricadute positive sulla generalità dei cittadini.
9/3444-A/192. (Testo modificato nel corso della seduta) Del Grosso.


   La Camera,
   considerato che:
    l'articolo 3 della Costituzione italiana sancisce che: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
    nel provvedimento in esame sono state attuate minime misure di contrasto alla povertà tra l'altro non omogenee;
    per attuare un'efficace ed efficiente lotta all'emarginazione sociale è indispensabile semplificare il welfare e renderlo al contempo più certo ed essenziale, più concretamente presente nella vita dei cittadini molti dei quali sono costretti a sopravvivere al problema occupazionale dovendosi al contempo confrontare con un sistema eccessivamente frammentato e non in grado di fornire certezze;
    la decisione del Consiglio e Parlamento europeo 2013/0202 del 17 Giugno 2013 impone all'Italia la riorganizzazione dei servizi per l'impiego nell'interesse pubblico facente capo a ministeri, enti pubblici, o società di diritto pubblico;
    tra le misure da attuare deve ritenersi compreso il cosiddetto Reddito di cittadinanza o il simile istituto del Reddito minimo garantito essendo anch'esso rientrante nel complesso di misure finalizzate al sostegno del reddito di coloro che si trovano involontariamente in una situazione di non occupazione;
    il reddito di cittadinanza è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
    il diritto al reddito di cittadinanza o reddito minimo garantito è un diritto fondamentale europeo, riconosciuto sia dalla Carta di Nizza che dalla Carta sociale europea;
    appare necessario abbandonare al più presto il criterio della legislazione «emergenziale» ed assicurare al lavoratori la certezza dello stato sociale;
    l'Italia e la Grecia sono gli unici paesi in Europa a non aver previsto nel proprio welfare misure stabili a contrasto della povertà e dell'emarginazione sociale,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni attività per l'inserimento del reddito minimo garantito, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, considerando come indicatore il numero di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà, come peraltro già previsto dal Modello sociale europeo e indicato dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010;
   a valutare e comparare le numerose proposte legislative presentate o in via di presentazione, sia di iniziativa parlamentare che di iniziativa popolare, al fine di predisporre una proposta di legge condivisa e adattata al contesto nazionale italiano.
9/3444-A/193Sorial.


   La Camera,
   considerato che:
    l'articolo 3 della Costituzione italiana sancisce che: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
    nel provvedimento in esame sono state attuate minime misure di contrasto alla povertà tra l'altro non omogenee;
    per attuare un'efficace ed efficiente lotta all'emarginazione sociale è indispensabile semplificare il welfare e renderlo al contempo più certo ed essenziale, più concretamente presente nella vita dei cittadini molti dei quali sono costretti a sopravvivere al problema occupazionale dovendosi al contempo confrontare con un sistema eccessivamente frammentato e non in grado di fornire certezze;
    la decisione del Consiglio e Parlamento europeo 2013/0202 del 17 Giugno 2013 impone all'Italia la riorganizzazione dei servizi per l'impiego nell'interesse pubblico facente capo a ministeri, enti pubblici, o società di diritto pubblico;
    tra le misure da attuare deve ritenersi compreso il cosiddetto Reddito di cittadinanza o il simile istituto del Reddito minimo garantito essendo anch'esso rientrante nel complesso di misure finalizzate al sostegno del reddito di coloro che si trovano involontariamente in una situazione di non occupazione;
    il reddito di cittadinanza è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
    il diritto al reddito di cittadinanza o reddito minimo garantito è un diritto fondamentale europeo, riconosciuto sia dalla Carta di Nizza che dalla Carta sociale europea;
    appare necessario abbandonare al più presto il criterio della legislazione «emergenziale» ed assicurare al lavoratori la certezza dello stato sociale;
    l'Italia e la Grecia sono gli unici paesi in Europa a non aver previsto nel proprio welfare misure stabili a contrasto della povertà e dell'emarginazione sociale,

impegna il Governo:

  a valutare l'opportunità di:
   porre in essere ogni attività per l'inserimento del reddito minimo garantito, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, considerando come indicatore il numero di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà, come peraltro già previsto dal Modello sociale europeo e indicato dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010;
   valutare e comparare le numerose proposte legislative presentate o in via di presentazione, sia di iniziativa parlamentare che di iniziativa popolare, al fine di predisporre una proposta di legge condivisa e adattata al contesto nazionale italiano.
9/3444-A/193. (Testo modificato nel corso della seduta) Sorial.


   La Camera,
   premesso che:
    con la legge 29 novembre 1984 n. 798, sono stati trasferiti alla Regione del Veneto appositi fondi per interventi di risanamento della Laguna e della Città di Venezia;
    la legislazione speciale per Venezia considera la salvaguardia della città e della sua laguna un problema di preminente interesse nazionale, ponendosi l'obiettivo di garantire la tutela ambientale, paesaggistica, storica, archeologica ed artistica, l'equilibrio idraulico, la difesa dall'inquinamento atmosferico e delle acque e la vitalità socioeconomica, nel quadro dello sviluppo generale e dell'assetto territoriale della Regione;
    al raggiungimento di tali finalità concorrono lo Stato, la Regione e gli Enti Locali e a ciascuna amministrazione sono assegnati compiti diversi: allo Stato le azioni volte alla salvaguardia fisica e ambientale della Laguna, ai Comuni di Venezia, Chioggia e Cavallino Treporti quelle volte alla rivitalizzazione socioeconomica, alla Provincia regolamentazione della pesca e alla Regione i compiti relativi al disinquinamento,

impegna il Governo

integrare ulteriormente i finanziamenti per gli interventi di cui all'articolo 6 della legge 29 novembre 1984 n. 798 al fine di garantire la continuità dell'azione di salvaguardia della storica città di Venezia, considerato il suo valore culturale e artistico a livello nazionale.
9/3444-A/194D'Incà.


   La Camera,
   premesso che:
    con la legge 29 novembre 1984 n. 798, sono stati trasferiti alla Regione del Veneto appositi fondi per interventi di risanamento della Laguna e della Città di Venezia;
    la legislazione speciale per Venezia considera la salvaguardia della città e della sua laguna un problema di preminente interesse nazionale, ponendosi l'obiettivo di garantire la tutela ambientale, paesaggistica, storica, archeologica ed artistica, l'equilibrio idraulico, la difesa dall'inquinamento atmosferico e delle acque e la vitalità socioeconomica, nel quadro dello sviluppo generale e dell'assetto territoriale della Regione;
    al raggiungimento di tali finalità concorrono lo Stato, la Regione e gli Enti Locali e a ciascuna amministrazione sono assegnati compiti diversi: allo Stato le azioni volte alla salvaguardia fisica e ambientale della Laguna, ai Comuni di Venezia, Chioggia e Cavallino Treporti quelle volte alla rivitalizzazione socioeconomica, alla Provincia regolamentazione della pesca e alla Regione i compiti relativi al disinquinamento,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di integrare ulteriormente i finanziamenti per gli interventi di cui all'articolo 6 della legge 29 novembre 1984 n. 798 al fine di garantire la continuità dell'azione di salvaguardia della storica città di Venezia, considerato il suo valore culturale e artistico a livello nazionale.
9/3444-A/194. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Incà.


   La Camera,
   premesso che:
    a distanza di cinque mesi dal tornado abbattutosi sulla Riviera del Brenta, devastando gravemente i comuni di Dolo, Pianiga e Mira nella provincia di Venezia, nessun risarcimento diretto per la ricostruzione è stato ancora stanziato a favore delle persone e imprese che hanno subito ingenti danni ad abitazioni e attività produttive;
    i danni materiali fatti registrare in tali Comuni ammontano complessivamente a 71 milioni di euro, di cui 44,9 mln a Dolo, 19,2 mln a Pianiga e 6,5 mln a Mira, con relative conseguenze sociali ed economiche molto simili a quelle di un terremoto;
    il disegno di legge di stabilità 2016 all'esame, con riferimento ai tragici eventi che hanno colpito la riviera del Brenta, si limita a prevedere per chi ha subito danni da calamità naturali, solo alcune agevolazioni, sotto forma di garanzie per il ricorso all'accesso al credito alle banche. In sostanza si tratta di prestiti che dovranno essere restituiti dai cittadini;
    fino ad oggi le uniche risorse che sono state stanziate a favore di chi ha perso tutto sono quelle che sono state raccolte dagli enti locali grazie a collette di solidarietà, oltre ai rimborsi delle assicurazioni, per chi aveva stipulato polizze ad hoc, sottoposti peraltro a tassazione;
    le istituzioni locali, ad iniziare dai sindaci dei comuni colpiti dal disastro, hanno chiesto pubblicamente lo stanziamento da parte del Governo di aiuti diretti, al fine di poter avviare quanto prima e con successo i lavori di ricostruzione di tali territori devastati dal tornado,

impegna il Governo

a seguito degli eventi calamitosi che hanno duramente colpito i comuni della Riviera del Brenta, a valutare la possibilità di autorizzare lo stanziamento di fondi pubblici, sotto forma di risarcimenti diretti, anche attraverso il ricorso ad interventi normativi ad hoc, a sostegno delle popolazioni e delle imprese danneggiate.
9/3444-A/195Spessotto.


   La Camera,
   premesso che:
    esaminato il provvedimento in titolo, la «Dichiarazione sulla mobilità ciclistica come modalità di trasporto climate friendly» (Carta di Lussemburgo) indica che la bicicletta deve essere riconosciuta come mezzo di trasporto paritario rispetto alle altre modalità da tutti gli Stati membri;
    l'utilizzo della bicicletta presenta numerosi vantaggi, tra questi sicuramente la riduzione del traffico motorizzato e dell'inquinamento atmosferico e acustico, di conseguenza benefici per l'ambiente ed il clima e per la salute degli utenti,

impegna il Governo

ad adottare, mediante atti di propria competenza, misure per incrementare la dotazione e la densità territoriale delle piste ciclabili a livello nazionale e a realizzare servizi dedicati alle bici e di interscambio con altri mezzi di trasporto.
9/3444-A/196Carinelli.


   La Camera,
   premesso che:
    esaminato il provvedimento in titolo, la «Dichiarazione sulla mobilità ciclistica come modalità di trasporto climate friendly» (Carta di Lussemburgo) indica che la bicicletta deve essere riconosciuta come mezzo di trasporto paritario rispetto alle altre modalità da tutti gli Stati membri;
    l'utilizzo della bicicletta presenta numerosi vantaggi, tra questi sicuramente la riduzione del traffico motorizzato e dell'inquinamento atmosferico e acustico, di conseguenza benefici per l'ambiente ed il clima e per la salute degli utenti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare, mediante atti di propria competenza, misure per incrementare la dotazione e la densità territoriale delle piste ciclabili a livello nazionale e di realizzare servizi dedicati alle bici e di interscambio con altri mezzi di trasporto.
9/3444-A/196. (Testo modificato nel corso della seduta) Carinelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 342 del provvedimento in titolo destina le risorse di cui all'articolo 22-bis del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, al finanziamento delle agevolazioni delle zone franche urbane individuate dalla delibera CIPE n. 14/2009 dell'8 maggio 2009;
    per quanto concerne la regione Sardegna, ai sensi degli articoli 12 e 13-bis del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, le zone franche urbane sono riferite ai comuni del territorio colpito dall'alluvione del 18-19 novembre 2013;
    in data 18 giugno 2014 un violento nubifragio si è abbattuto sul territorio sardo della Romangia dove sono stati registrati gravi danni, in particolare nei comuni di Sorso e di Sennori. Il nubifragio ha causato l'esondazione del rio Predugnanu Provocando l'allagamento della strada provinciale n. 81 e il crollo di un tratto della stessa; l'esondazione del fiume Silis con ingenti danni alle campagne e ai relativi raccolti; e provocato l'allagamento di numerosi seminterrati e cantine di abitazioni private;
    a distanza di oltre un anno dai drammatici eventi che hanno interessato l'area nord occidentale, i comuni colpiti non hanno avuto accesso ad alcuna agevolazione, restando esclusi in tal senso anche dal disegno di legge in esame,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di ricomprendere, mediante atti di propria competenza, anche i territori della Romangia colpiti dal violento nubifragio del 18 giugno 2014 tra quelli beneficiari delle agevolazioni delle zone franche urbane di cui alla normativa citata in premessa.
9/3444-A/197Nicola Bianchi.


   La Camera,
   premesso che:
    la mobilità sostenibile rappresenta uno dei punti fondamentali per le linee di sviluppo future a livello europeo e internazionale;
    secondo i dati dei comuni raccolti in una recente ricerca presentata al Ministero per l'Ambiente in occasione del festival VeloLove, vi sono realtà locali in cui la popolazione che si sposta con biciclette tocca anche il trenta per cento a fronte di altre e ben più numerose realtà nelle quali la mobilità ciclistica stenta a svilupparsi, e persino a nascere. Si tratta in particolar modo di realtà territoriali con svariati elementi orografici quali avvallamenti, colline, creste, altitudini irregolari, che d'altra parte rappresentano un segmento rilevante della caratterizzazione geomorfologica dell'intero Paese;
    l'Italia ha provveduto con legge n. 366 del 1998 a individuare un Fondo per gli interventi a favore della mobilità ciclistica contribuendo in parte alla crescita del trasporto a pedali;
    la disomogeneità nell'implementazione delle risorse a disposizione tra diverse realtà locali dimostra come le caratteristiche del territorio possano influire negativamente sullo sviluppo di una mobilità sostenibile e meno impattante il cui accesso da parte dei cittadini; in particolar modo nel caso di quella ciclistica, potrebbe essere facilitato attraverso l'impiego di biciclette elettrice a pedalata assistita,

impegna il Governo

a prevedere forme di incentivazione, anche a valere sul Fondo di cui alla legge 19 ottobre 1998, n. 366, per l'impiego di biciclette elettriche a pedalata assistita finalizzate ad accrescere la mobilità sostenibile, in particolar modo quella ciclistica, anche laddove sussistano particolari condizioni geomorfologiche.
9/3444-A/198Liuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    la mobilità sostenibile rappresenta uno dei punti fondamentali per le linee di sviluppo future a livello europeo e internazionale;
    secondo i dati dei comuni raccolti in una recente ricerca presentata al Ministero per l'Ambiente in occasione del festival VeloLove, vi sono realtà locali in cui la popolazione che si sposta con biciclette tocca anche il trenta per cento a fronte di altre e ben più numerose realtà nelle quali la mobilità ciclistica stenta a svilupparsi, e persino a nascere. Si tratta in particolar modo di realtà territoriali con svariati elementi orografici quali avvallamenti, colline, creste, altitudini irregolari, che d'altra parte rappresentano un segmento rilevante della caratterizzazione geomorfologica dell'intero Paese;
    l'Italia ha provveduto con legge n. 366 del 1998 a individuare un Fondo per gli interventi a favore della mobilità ciclistica contribuendo in parte alla crescita del trasporto a pedali;
    la disomogeneità nell'implementazione delle risorse a disposizione tra diverse realtà locali dimostra come le caratteristiche del territorio possano influire negativamente sullo sviluppo di una mobilità sostenibile e meno impattante il cui accesso da parte dei cittadini; in particolar modo nel caso di quella ciclistica, potrebbe essere facilitato attraverso l'impiego di biciclette elettrice a pedalata assistita,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere forme di incentivazione, anche a valere sul Fondo di cui alla legge 19 ottobre 1998, n. 366, per l'impiego di biciclette elettriche a pedalata assistita finalizzate ad accrescere la mobilità sostenibile, in particolar modo quella ciclistica, anche laddove sussistano particolari condizioni geomorfologiche.
9/3444-A/198. (Testo modificato nel corso della seduta) Liuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    secondo gli ultimi dati a disposizione elaborati e pubblicati da Istat, al giugno 2015, la mobilità urbana per mezzo del trasporto pubblico locale nell'intero Paese ha subito una drastica riduzione tra il 2011 e il 2013;
    in particolare, nel periodo di riferimento, nei capoluoghi di provincia, l'offerta Tpl è passata dai 4.742 posti-km per abitante a poco meno di 4.500, con importanti disomogeneità tra le macro aree regionali, nord, centro e sud. Ciò nonostante, nel corso del decennio 2003-2013 risulta che le preferenze dei cittadini nei confronti dell'impiego del mezzo pubblico, in via alternativa o complementare all'impiego del mezzo privato sia circa triplicata;
    a fronte di queste esigenze di mobilità urbana non propriamente soddisfatte, sussistono diversi casi di grandi opere sul territorio nazionale fortemente criticate e osteggiate da parte delle comunità locali, nonché da ampi segmenti sociali, economici e istituzionali. Opere per le quali il Governo stanzia ingenti somme di denaro pubblico e che, in non pochi casi sono state interessate da scandali che hanno investito l'ambito politico, quello amministrativo e quello istituzionale ad esse connessi; il disegno di legge all'esame non prevede alcun intervento per migliorare l'offerta del trasporto pubblico locale, ad esclusione del finanziamento per il Fondo finalizzato all'acquisto e al noleggio dei mezzi Tpl,

impegna il Governo

ad incrementare adeguatamente, mediante atti di propria competenza, il Fondo Nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale anche ferroviario di cui al comma 1 dell'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 a partire dall'anno 2016, al fine di garantire ai cittadini un'offerta idonea in termini quantitativi e qualitativi, riconoscendo a questo obiettivo priorità rispetto alla realizzazione delle opere in premessa.
9/3444-A/199Dell'Orco.


   La Camera,
   premesso che:
    secondo gli ultimi dati a disposizione elaborati e pubblicati da Istat, al giugno 2015, la mobilità urbana per mezzo del trasporto pubblico locale nell'intero Paese ha subito una drastica riduzione tra il 2011 e il 2013;
    in particolare, nel periodo di riferimento, nei capoluoghi di provincia, l'offerta Tpl è passata dai 4.742 posti-km per abitante a poco meno di 4.500, con importanti disomogeneità tra le macro aree regionali, nord, centro e sud. Ciò nonostante, nel corso del decennio 2003-2013 risulta che le preferenze dei cittadini nei confronti dell'impiego del mezzo pubblico, in via alternativa o complementare all'impiego del mezzo privato sia circa triplicata;
    a fronte di queste esigenze di mobilità urbana non propriamente soddisfatte, sussistono diversi casi di grandi opere sul territorio nazionale fortemente criticate e osteggiate da parte delle comunità locali, nonché da ampi segmenti sociali, economici e istituzionali. Opere per le quali il Governo stanzia ingenti somme di denaro pubblico e che, in non pochi casi sono state interessate da scandali che hanno investito l'ambito politico, quello amministrativo e quello istituzionale ad esse connessi; il disegno di legge all'esame non prevede alcun intervento per migliorare l'offerta del trasporto pubblico locale, ad esclusione del finanziamento per il Fondo finalizzato all'acquisto e al noleggio dei mezzi Tpl,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di incrementare adeguatamente, mediante atti di propria competenza, il Fondo Nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale anche ferroviario di cui al comma 1 dell'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 a partire dall'anno 2016, al fine di garantire ai cittadini un'offerta idonea in termini quantitativi e qualitativi, riconoscendo a questo obiettivo priorità rispetto alla realizzazione delle opere in premessa.
9/3444-A/199. (Testo modificato nel corso della seduta) Dell'Orco.


   La Camera,
   premesso che:
    esaminato il provvedimento in titolo non si ravvedono interventi finalizzati a conseguire entro il 2020 gli obiettivi dell'Agenda digitale europea, contribuendo in tal modo a colmare il ritardo infrastrutturale del Paese investendo maggiormente nelle cosiddette aree grigie e bianche, così come indicato nella Comunicazione della Commissione Europea (2013C-25/01) «Orientamenti comunitari relativi all'applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga»;
    ai fini di un reale rafforzamento dell'accesso alle informazioni, del completamento del processo di dematerializzazione nonché della adeguata condivisione documentale tra cittadini e Pubblica Amministrazione, appare ormai improcrastinabile la concreta e tempestiva realizzazione del Piano per la diffusione della Banda Ultralarga;
    lo strumento che appare più idoneo e adeguatamente sottoponibile al controllo parlamentare e quindi alla necessaria trasparenza in favore dei cittadini al fine di realizzare il citato Piano sarebbe rappresentato da una entità autonoma di natura pubblica e sotto controllo pubblico, che si raffronti periodicamente con il Governo, gli enti locali, le regioni, nonché gli operatori privati delle telecomunicazione al fine di garantire la più ampia copertura del territorio nazionale;
    obiettivo principale della suddetta entità sarebbe quello di realizzare, gestire e mantenere, secondo un principio di neutralità tecnologica, le infrastrutture passive della rete di accesso di ultima generazione da concedere a titolo oneroso a tutti gli operatori pubblico-privati che si occupano di offrire servizi di connettività agli utenti,

impegna il Governo

a valutare l'istituzione, presso il Ministero dello Sviluppo Economico, entro l'anno 2016, di una Società unica della rete pubblica per la realizzazione del Piano pubblico per la diffusione della Banda Ultralarga, con gli obiettivi citati in premessa, le cui risorse finanziarie derivino dalle procedure per il rilascio dei diritti d'uso delle frequenze in 700 Mhz, ai sensi della Strategia per il mercato unico digitale, secondo modalità indicate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, e attraverso l'assegnazione delle frequenze da parte dello stesso Ministero dello sviluppo economico.
9/3444-A/200Paolo Nicolò Romano.


   La Camera,
   premesso che:
    esaminato il provvedimento in titolo non si ravvedono interventi finalizzati a conseguire entro il 2020 gli obiettivi dell'Agenda digitale europea, contribuendo in tal modo a colmare il ritardo infrastrutturale del Paese investendo maggiormente nelle cosiddette aree grigie e bianche, così come indicato nella Comunicazione della Commissione Europea (2013C-25/01) «Orientamenti comunitari relativi all'applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga»;
    ai fini di un reale rafforzamento dell'accesso alle informazioni, del completamento del processo di dematerializzazione nonché della adeguata condivisione documentale tra cittadini e Pubblica Amministrazione, appare ormai improcrastinabile la concreta e tempestiva realizzazione del Piano per la diffusione della Banda Ultralarga;
    lo strumento che appare più idoneo e adeguatamente sottoponibile al controllo parlamentare e quindi alla necessaria trasparenza in favore dei cittadini al fine di realizzare il citato Piano sarebbe rappresentato da una entità autonoma di natura pubblica e sotto controllo pubblico, che si raffronti periodicamente con il Governo, gli enti locali, le regioni, nonché gli operatori privati delle telecomunicazione al fine di garantire la più ampia copertura del territorio nazionale;
    obiettivo principale della suddetta entità sarebbe quello di realizzare, gestire e mantenere, secondo un principio di neutralità tecnologica, le infrastrutture passive della rete di accesso di ultima generazione da concedere a titolo oneroso a tutti gli operatori pubblico-privati che si occupano di offrire servizi di connettività agli utenti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valutare l'istituzione, presso il Ministero dello Sviluppo Economico, entro l'anno 2016, di una Società unica della rete pubblica per la realizzazione del Piano pubblico per la diffusione della Banda Ultralarga, con gli obiettivi citati in premessa, le cui risorse finanziarie derivino dalle procedure per il rilascio dei diritti d'uso delle frequenze in 700 Mhz, ai sensi della Strategia per il mercato unico digitale, secondo modalità indicate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, e attraverso l'assegnazione delle frequenze da parte dello stesso Ministero dello sviluppo economico.
9/3444-A/200. (Testo modificato nel corso della seduta) Paolo Nicolò Romano.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto ministeriale del 22 maggio 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 143/2012, ha disciplinato le modalità di certificazione del credito in forma cartacea e telematica di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti da parte delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, in attuazione dell'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 185/2008;
    all'articolo 1, comma 2, del detto decreto ministeriale (invariato a seguito delle modifiche da ultimo introdotte con il decreto ministeriale 24 settembre 2014), si chiarisce che la certificazione non pregiudica il diritto del creditore agli interessi relativi ai crediti certificati, «in qualunque modo definiti, come regolati dalla normativa vigente o, ove possibile e indicato, dalle pattuizioni contrattuali tra le parti»;
    da segnalazioni pervenute agli interroganti, sembrerebbe che l'iter amministrativo predisposto on line per il rilascio della certificazione del credito non consenta al creditore di calcolare la misura del credito per interessi già maturati alla data dell'istanza di certificazione; la certificazione, dunque, riguarderebbe la sola sorta capitale del credito ed ometterebbe altresì di esplicitare che sul credito certificato matureranno comunque interessi di mora;
    tale circostanza pare venga confermata dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze: nel «Vademecum – breve guida alla certificazione dei crediti» del 24 luglio 2014, pubblicato sul sito istituzionale del Ministero dell'economia e delle finanze, si precisa infatti che «non sono certificabili eventuali interessi moratori», in contrasto con quanto previsto dal decreto ministeriale;
    nel rispondere all'interrogazione 5-056679, il Ministero interrogato ha precisato che in assenza di specifico riferimento normativo sulla certificazione degli interessi, non è possibile sommare un debito di natura finanziaria al debito principale di natura commerciale,

impegna il Governo

ad introdurre misure normative volta a prevedere che sulle somme dovute per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, la certificazione di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 29 novembre n. 185, convertito, con modificazioni, in legge 28 gennaio 2009, n. 2, sia estesa anche agli interessi moratori maturati sino alla data in cui è emessa la certificazione.
9/3444-A/201Ruocco, Caso, Castelli, Pesco, Alberti, Villarosa, Pisano, Fico.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto ministeriale del 22 maggio 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 143/2012, ha disciplinato le modalità di certificazione del credito in forma cartacea e telematica di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti da parte delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, in attuazione dell'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 185/2008;
    all'articolo 1, comma 2, del detto decreto ministeriale (invariato a seguito delle modifiche da ultimo introdotte con il decreto ministeriale 24 settembre 2014), si chiarisce che la certificazione non pregiudica il diritto del creditore agli interessi relativi ai crediti certificati, «in qualunque modo definiti, come regolati dalla normativa vigente o, ove possibile e indicato, dalle pattuizioni contrattuali tra le parti»;
    da segnalazioni pervenute agli interroganti, sembrerebbe che l'iter amministrativo predisposto on line per il rilascio della certificazione del credito non consenta al creditore di calcolare la misura del credito per interessi già maturati alla data dell'istanza di certificazione; la certificazione, dunque, riguarderebbe la sola sorta capitale del credito ed ometterebbe altresì di esplicitare che sul credito certificato matureranno comunque interessi di mora;
    tale circostanza pare venga confermata dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze: nel «Vademecum – breve guida alla certificazione dei crediti» del 24 luglio 2014, pubblicato sul sito istituzionale del Ministero dell'economia e delle finanze, si precisa infatti che «non sono certificabili eventuali interessi moratori», in contrasto con quanto previsto dal decreto ministeriale;
    nel rispondere all'interrogazione 5-056679, il Ministero interrogato ha precisato che in assenza di specifico riferimento normativo sulla certificazione degli interessi, non è possibile sommare un debito di natura finanziaria al debito principale di natura commerciale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre misure normative volte a prevedere che sulle somme dovute per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, la certificazione di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 29 novembre n. 185, convertito, con modificazioni, in legge 28 gennaio 2009, n. 2, sia estesa anche agli interessi moratori maturati sino alla data in cui è emessa la certificazione.
9/3444-A/201. (Testo modificato nel corso della seduta) Ruocco, Caso, Castelli, Pesco, Alberti, Villarosa, Pisano, Fico.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi 125 e 126 dell'articolo i recano disposizioni in materia di turn over nella pubblica amministrazione;
    il comma 125 incrementa le limitazioni al turn over per determinate amministrazioni le quali nel triennio 2016-2018 potranno procedere ad assunzioni di personale nel limite di una spesa pari al 25 per cento di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente;
    il comma 126 stabilisce per il medesimo triennio e nella medesima percentuale, il limite al turn over per le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno;
considerato che:
    l'articolo 17, comma 1, lettera c) della legge 7 agosto 2015, n. 124 ha previsto che «per le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e aventi graduatorie in vigore alla data di approvazione dello schema di decreto legislativo di cui al presente comma, in attuazione dell'articolo 1, commi 424 e 425, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nel rispetto dei limiti di finanza pubblica, l'introduzione di norme transitorie finalizzate esclusivamente all'assunzione dei vincitori di concorsi pubblici, le cui graduatorie siano state approvate e pubblicate entro la data di entrata in vigore della presente legge»;
    a tutt'oggi, tuttavia, tarda l'emanazione del decreto legislativo attuativo della suddetta disposizione;
    il «Rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pubblica» della Corte dei conti (paragrafo «La faticosa e lenta elaborazione di politiche di personale post crisi») afferma: «Esaurita la fase più severa della crisi economica – al cui superamento hanno in parte contribuito anche le misure di contenimento della spesa per il personale pubblico occorre, ad avviso della Corte, riprendere il percorso di definizione di una ordinaria politica di personale in grado di intervenire sulla debolezze e sulle criticità di sistema, in parte acuite da un approccio fortemente condizionato dalle esigenze di rispettare i vincoli di bilancio»;
    la Corte spiega che: «Il dimensionamento del personale va affrontato, a regime, superando l'approccio in termini di tagli lineari, attraverso una attenta valutazione dell'effettivo fabbisogno di attività amministrativa al centro e soprattutto sul territorio e la conseguente necessità di disporre di professionalità specifiche anche in relazione alla auspicata ripresa di investimenti in nuove tecnologie»;
    inoltre nel citato Rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica la Corte evidenzia, in relazione ai vincoli assunzionali ed al prolungamento dell'età lavorativa, il progressivo invecchiamento dei dipendenti pubblici, che registrano – come sottolineato dalla RGS-IGOP nella nota introduttiva al Conto annuale 2013 – un'età media ormai prossima a 50 anni;
    si rende pertanto necessario, ad avviso del proponente, che si dia luogo ad un ricambio generazionale vero ed effettivo all'interno delle pubbliche amministrazioni tale da «immettere» nelle amministrazioni nuovo personale professionalmente preparato, selezionato e motivato;
    l'assunzione dei «vincitori di concorso» come prevista nella suddetta legge delega produrrebbe, in conformità del principio di economicità ed efficienza della Pubblica amministrazione, un autentico risparmio, derivante da un lato dalla possibilità di assumere immediatamente personale qualificato, preparato e già selezionato, dall'altro lato, evitando di indire nuove e onerose procedure concorsuali,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa, anche di tipo normativo, finalizzata all'utilizzazione delle graduatorie vigenti e all'assunzione dei vincitori di concorsi pubblici, attingendo dalle graduatorie vigenti ed approvate.
9/3444-A/202Ciprini, Rizzetto, Cozzolino, Nesci.


   La Camera,
   premesso che:
    l'innovazione tecnologica consente strumenti digitali che permettono di semplificare il lavoro anche nella possibilità di lavorare «a distanza» con gli stessi risultati e con notevoli benefici e impatti anche sociali;
    sulla base dell'Accordo Interconfederale del 9 giugno 2004 i datori di lavoro possono già oggi ricorrere all'istituto del telelavoro per le più svariate esigenze e ragioni, ivi inclusi, se del caso, motivi legati ad esigenze di cure parentali;
    l'articolo 23 del Decreto Legislativo 80/2015 replica infatti una forma di flessibilità già esistente, anziché cogliere l'opportunità di estendere gli incentivi, concernenti l'esclusione dei telelavoratori dalla base di calcolo dei limiti numerici, a modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa nuove e diverse dal telelavoro, che già trova compiuta regolamentazione nel suddetto Accordo Interconfederale;
    si pensi, ad esempio, a forme flessibili e semplificate di lavoro da remoto, quali il c.d. smart working, o lavoro agile;
    lo smart working si distingue nettamente dal telelavoro, potendo essere intermittente, o saltuario e, dunque, non necessariamente svolto con «regolarità» (come previsto per il telelavoro nelle premesse e all'articolo 1 dell'Accordo Interconfederale), né implica necessariamente l'utilizzo di strumenti informativi e telematici;
    sarebbe quindi opportuno uscire dalla disciplina del telelavoro e aprire la riflessione al tema dello smart-working, poiché l'incentivazione di forme flessibili di lavoro è positiva, in quanto un'organizzazione del lavoro rigida penalizza le donne, o chi nella famiglia ha bisogno di flessibilità per lavori di cura, permettendo una migliore work-life balance, ma è altrettanto importante per le imprese, che adattano la produzione a nuove tecnologie e possono beneficiare della ritenzione dei talenti e della maggiore produttività dei lavoratori;
    in Italia le opportunità di lavoro flessibile sono ancora limitate (infatti è 24 esima tra i paesi EU-27) e coinvolgono solo 2,3 per cento dei lavoratori se si considerano i lavoratori che lavorano a domicilio almeno il 25 per cento del tempo, e ancora meno se si considera chi lavora «prevalentemente» a casa;
    le imprese sarebbero favorevoli all'implementazione dello smart working; permangono tuttavia alcune barriere in ragione dell'assenza di una chiara distinzione tra telelavoro e tali altre forme di flessibilità lavorativa, che il legislatore sta cercando di regolamentare, attraverso l'esame di proposte di legge in itinere presso la Commissione Lavoro di questo ramo del Parlamento, allo scopo di delinearne i tratti, e chiarire se e in che misura debbano trovare applicazione a tali forme di lavoro flessibile le norme applicabili al telelavoro domiciliare, con particolare riferimento alle norme in materia di sicurezza sul lavoro;
   considerato che:
    gli incentivi sono attualmente previsti esclusivamente a favore dei datori di lavoro che ricorrono allo strumento normativo del telelavoro,

impegna il Governo

a istituire un fondo per favorire l'introduzione dello strumento normativo dello smart working, nel quale far confluire, previo accordo con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, eventuali risorse proprie delle regioni, da utilizzare per spese destinate ad agevolare l'attuazione dei progetti di smart working.
9/3444-A/203Cominardi, Ciprini, Lombardi, Dall'Osso, Chimienti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'innovazione tecnologica consente strumenti digitali che permettono di semplificare il lavoro anche nella possibilità di lavorare «a distanza» con gli stessi risultati e con notevoli benefici e impatti anche sociali;
    sulla base dell'Accordo Interconfederale del 9 giugno 2004 i datori di lavoro possono già oggi ricorrere all'istituto del telelavoro per le più svariate esigenze e ragioni, ivi inclusi, se del caso, motivi legati ad esigenze di cure parentali;
    l'articolo 23 del Decreto Legislativo 80/2015 replica infatti una forma di flessibilità già esistente, anziché cogliere l'opportunità di estendere gli incentivi, concernenti l'esclusione dei telelavoratori dalla base di calcolo dei limiti numerici, a modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa nuove e diverse dal telelavoro, che già trova compiuta regolamentazione nel suddetto Accordo Interconfederale;
    si pensi, ad esempio, a forme flessibili e semplificate di lavoro da remoto, quali il c.d. smart working, o lavoro agile;
    lo smart working si distingue nettamente dal telelavoro, potendo essere intermittente, o saltuario e, dunque, non necessariamente svolto con «regolarità» (come previsto per il telelavoro nelle premesse e all'articolo 1 dell'Accordo Interconfederale), né implica necessariamente l'utilizzo di strumenti informativi e telematici;
    sarebbe quindi opportuno uscire dalla disciplina del telelavoro e aprire la riflessione al tema dello smart-working, poiché l'incentivazione di forme flessibili di lavoro è positiva, in quanto un'organizzazione del lavoro rigida penalizza le donne, o chi nella famiglia ha bisogno di flessibilità per lavori di cura, permettendo una migliore work-life balance, ma è altrettanto importante per le imprese, che adattano la produzione a nuove tecnologie e possono beneficiare della ritenzione dei talenti e della maggiore produttività dei lavoratori;
    in Italia le opportunità di lavoro flessibile sono ancora limitate (infatti è 24 esima tra i paesi EU-27) e coinvolgono solo 2,3 per cento dei lavoratori se si considerano i lavoratori che lavorano a domicilio almeno il 25 per cento del tempo, e ancora meno se si considera chi lavora «prevalentemente» a casa;
    le imprese sarebbero favorevoli all'implementazione dello smart working; permangono tuttavia alcune barriere in ragione dell'assenza di una chiara distinzione tra telelavoro e tali altre forme di flessibilità lavorativa, che il legislatore sta cercando di regolamentare, attraverso l'esame di proposte di legge in itinere presso la Commissione Lavoro di questo ramo del Parlamento, allo scopo di delinearne i tratti, e chiarire se e in che misura debbano trovare applicazione a tali forme di lavoro flessibile le norme applicabili al telelavoro domiciliare, con particolare riferimento alle norme in materia di sicurezza sul lavoro;
   considerato che:
    gli incentivi sono attualmente previsti esclusivamente a favore dei datori di lavoro che ricorrono allo strumento normativo del telelavoro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di istituire un fondo per favorire l'introduzione dello strumento normativo dello smart working, nel quale far confluire, previo accordo con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, eventuali risorse proprie delle regioni, da utilizzare per spese destinate ad agevolare l'attuazione dei progetti di smart working.
9/3444-A/203. (Testo modificato nel corso della seduta) Cominardi, Ciprini, Lombardi, Dall'Osso, Chimienti.


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso dell'iter in commissione bilancio è stato approvato un emendamento riformulato che aggiunge i commi 218-bis 218-ter, con i quali, al fine dell'attuazione della legge n.134/2015, viene istituito presso il Ministero della salute il «Fondo per la cura dei soggetti con disturbo dello spettro autistico»;
    il citato Fondo viene dotato di 5 milioni di euro annui a decorrere dal 2016, i cui criteri attuativi sono demandati ad un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore delle legge in esame, previa intesa in sede di Conferenza unificata;
    sono 100mila i bambini e gli adolescenti che in Italia sono affetti da autismo. Ne soffre un bambino ogni 100 e i maschi sono i più colpiti: 4 volte più delle femmine, senza differenza tra le varie etnie e condizioni sociali. Aumentare la consapevolezza delle famiglie, dei pediatri e di tutta la società sull'autismo è un tema molto importante, anche perché questo aumento della consapevolezza permette di cogliere precocemente i segnali di un possibile problema e di giungere a una diagnosi già tra il primo e secondo anno di vita dei bambini;
    negli ultimi 10 anni il numero dei pazienti seguiti dai servizi di Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza è quasi raddoppiato (+5 per cento nuove richieste all'anno dal 2004 ad oggi), mentre il numero degli operatori continua a diminuire (-10 per cento solo nell'ultimo anno), Il risultato è che ogni utente riceve percorsi di cura più scarni, che rischiano di essere meno personalizzati;
    le famiglie si trovano a dover ricorrere sempre di più al privato, senza alcuna garanzia della qualità del servizio che ricevono e con costi rilevanti che in tempi di crisi economica sono sempre meno in grado di sostenere;
    in Italia si sconta l'assenza di investimenti strategici nazionali sulla promozione della salute mentale e del benessere psicologico in età evolutiva e su un'adeguata rete di servizi che garantiscano interventi tempestivi e qualificati per i disturbi del neuro sviluppo,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative affinché il «Fondo per la cura dei soggetti con disturbo dello spettro autistico» previsto nella legge di stabilità per il 2016 diventi strutturale e che sia incrementato in maniera congrua al fine della completa ed efficace attuazione delle disposizioni di cui alla legge n. 134 del 2015.
9/3444-A/204Silvia Giordano, Baroni, Colonnese, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero.


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso dell'iter in commissione bilancio è stato approvato un emendamento riformulato che aggiunge i commi 218-bis 218-ter, con i quali, al fine dell'attuazione della legge n.134/2015, viene istituito presso il Ministero della salute il «Fondo per la cura dei soggetti con disturbo dello spettro autistico»;
    il citato Fondo viene dotato di 5 milioni di euro annui a decorrere dal 2016, i cui criteri attuativi sono demandati ad un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore delle legge in esame, previa intesa in sede di Conferenza unificata;
    sono 100mila i bambini e gli adolescenti che in Italia sono affetti da autismo. Ne soffre un bambino ogni 100 e i maschi sono i più colpiti: 4 volte più delle femmine, senza differenza tra le varie etnie e condizioni sociali. Aumentare la consapevolezza delle famiglie, dei pediatri e di tutta la società sull'autismo è un tema molto importante, anche perché questo aumento della consapevolezza permette di cogliere precocemente i segnali di un possibile problema e di giungere a una diagnosi già tra il primo e secondo anno di vita dei bambini;
    negli ultimi 10 anni il numero dei pazienti seguiti dai servizi di Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza è quasi raddoppiato (+5 per cento nuove richieste all'anno dal 2004 ad oggi), mentre il numero degli operatori continua a diminuire (-10 per cento solo nell'ultimo anno), Il risultato è che ogni utente riceve percorsi di cura più scarni, che rischiano di essere meno personalizzati;
    le famiglie si trovano a dover ricorrere sempre di più al privato, senza alcuna garanzia della qualità del servizio che ricevono e con costi rilevanti che in tempi di crisi economica sono sempre meno in grado di sostenere;
    in Italia si sconta l'assenza di investimenti strategici nazionali sulla promozione della salute mentale e del benessere psicologico in età evolutiva e su un'adeguata rete di servizi che garantiscano interventi tempestivi e qualificati per i disturbi del neuro sviluppo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative affinché il «Fondo per la cura dei soggetti con disturbo dello spettro autistico» previsto nella legge di stabilità per il 2016 diventi strutturale e che sia incrementato in maniera congrua al fine della completa ed efficace attuazione delle disposizioni di cui alla legge n. 134 del 2015.
9/3444-A/204. (Testo modificato nel corso della seduta) Silvia Giordano, Baroni, Colonnese, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero.


   La Camera,
   premesso che:
    la lettera g), comma 4, articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 120 dispone che gli enti del Servizio sanitario nazionale attuino un progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, al fine di assicurare che il ricorso a quest'ultima sia conseguenza di libera scelta del cittadino e non di carenza nell'organizzazione dei servizi resi nell'ambito dell'attività istituzionale;
    si rende necessario prevedere al fine dell'attuazione integrale di quanto disposto dalla lettera g), comma 4, articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 120 che si determino soggetti e modalità di misurazione e descrizione delle buone pratiche per singolo professionista o di équipe all'interno delle diverse discipline e la pubblicazione dei risultati su siti istituzionali;
    in particolare sarebbe necessario che l'Agenas provvedesse al confronto e al monitoraggio continuativo tra i tempi di attesa per le attività intramuraria e intramuraria allargata e quelle erogate dagli enti del Servizio Sanitario Nazionale;
    il superamento delle liste di attesa è obiettivo prioritario per giungere alla sospensione dell'attività libero-professionale nell'ambito dell'attività istituzionale,

impegna il Governo:

   a prevedere che al fine dell'attuazione integrale di quanto disposto dalla lettera g), comma 4, articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 120, all'Agenas sia assegnato il compito di misurazione e descrizione delle buone pratiche per singolo professionista o di équipe all'interno delle diverse discipline, prevedendo tra i compiti anche il confronto al monitoraggio continuativo tra i tempi di attesa per le attività intramuraria e intramuraria allargata e quelle erogate dagli enti del Servizio Sanitario Nazionale pubblicando sul sito istituzionale gli esiti e le buone pratiche individuate che dovranno essere implementate da parte degli enti del Servizio Sanitario Nazionale;
   a prevedere la sospensione dell'l’attività libero-professionale al momento del superamento dei tempi delle liste d'attesa delle corrispondenti prestazioni erogate in regime istituzionale.
9/3444-A/205Grillo, Baroni, Colonnese, Di Vita, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero.


   La Camera,
   premesso che:
    la lettera g), comma 4, articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 120 dispone che gli enti del Servizio sanitario nazionale attuino un progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, al fine di assicurare che il ricorso a quest'ultima sia conseguenza di libera scelta del cittadino e non di carenza nell'organizzazione dei servizi resi nell'ambito dell'attività istituzionale;
    si rende necessario prevedere al fine dell'attuazione integrale di quanto disposto dalla lettera g), comma 4, articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 120 che si determino soggetti e modalità di misurazione e descrizione delle buone pratiche per singolo professionista o di équipe all'interno delle diverse discipline e la pubblicazione dei risultati su siti istituzionali;
    in particolare sarebbe necessario che l'Agenas provvedesse al confronto e al monitoraggio continuativo tra i tempi di attesa per le attività intramuraria e intramuraria allargata e quelle erogate dagli enti del Servizio Sanitario Nazionale;
    il superamento delle liste di attesa è obiettivo prioritario per giungere alla sospensione dell'attività libero-professionale nell'ambito dell'attività istituzionale,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di prevedere che al fine dell'attuazione integrale di quanto disposto dalla lettera g), comma 4, articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 120, all'Agenas sia assegnato il compito di misurazione e descrizione delle buone pratiche per singolo professionista o di équipe all'interno delle diverse discipline, prevedendo tra i compiti anche il confronto al monitoraggio continuativo tra i tempi di attesa per le attività intramuraria e intramuraria allargata e quelle erogate dagli enti del Servizio Sanitario Nazionale pubblicando sul sito istituzionale gli esiti e le buone pratiche individuate che dovranno essere implementate da parte degli enti del Servizio Sanitario Nazionale;
   a valutare l'opportunità di prevedere la sospensione dell'l’attività libero-professionale al momento del superamento dei tempi delle liste d'attesa delle corrispondenti prestazioni erogate in regime istituzionale.
9/3444-A/205. (Testo modificato nel corso della seduta) Grillo, Baroni, Colonnese, Di Vita, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 186 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 prevede l'attribuzione alle Regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano di un contributo per il rimborso degli oneri finanziari derivati dalla corresponsione degli indennizzi in favore dei danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, da trasfusioni e somministrazione di emoderivati ex legge 25 febbraio 1992, n.210, e degli oneri derivanti dal pagamento degli arretrati della rivalutazione dell'indennità integrativa speciale di cui al citato indennizzo;
    la somma stanziata di 100 milioni di euro per l'anno 2015, 200 milioni di euro per il 2016, 289 milioni di euro per il 2017 e di 146 milioni di euro per il 2018, da destinare al finanziamento delle somme anticipate dalle Regioni e agli arretrati della rivalutazione, non è sufficiente e necessiterebbe di un incremento;
    per consentire alle Regioni di ottenere il saldo di tutti i finanziamenti già anticipati e l'erogazione ai danneggiati del pagamento degli arretrati della rivalutazione dell'indennità integrativa speciale sarebbe necessario aumentare gli oneri a carico del Ministero dell'economia e delle finanze di 100 milioni relativamente all'anno 2015, 200 milioni al 2016, 111 milioni al 2017 e 154 milioni al 2018,

impegna il Governo

a garantire alle Regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano il saldo di tutti i finanziamenti già anticipati e per il futuro l'invio tempestivo e continuativo delle somme relative agli indennizzi previsti dalla legge 25 febbraio 1992, n.210.
9/3444-A/206Lorefice, Baroni, Colonnese, Di Vita, Grillo, Silvia Giordano, Mantero.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi dal 449 al 451, che compongono l'originale articolo 39 recante «disposizioni in tema di ragionevole durata dei processi», dispongono un'incisiva riforma della legge 24 marzo 2001, n.89, c.d. «legge Pinto», mediante modifiche che, da un lato, irrigidiscono la procedura per accedere ad un'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo e, dall'altro lato, riducono sensibilmente il vigente «quantum» risarcitorio;
    considerato che, in particolare, al comma 449, vengono introdotti cosiddetti «rimedi preventivi», che obbligano l'interessato a presentare un'istanza di accelerazione del processo almeno sei mesi prima dello scadere del termine oltre il quale la durata dello stesso diventi irragionevole, pena l'inammissibilità della successiva richiesta per l'accesso ai già esigui benefici previsti dalla «legge Pinto»;
    atteso che ai citati rimedi preventivi, il comma 449 associa nuovi e più stringenti criteri di inammissibilità della domanda per l'istanza di l'accesso all'equa riparazione di cui all'articolo 2, comma 2-quinquies della legge 24 marzo 2001, n.89, nonché una riduzione dell'importo della somma in denaro da riconoscere per ciascun anno che eccede il termine ragionevole durata, rideterminandola, nel suo minimo e massimo, dai vigenti 500-1.500 euro, a 400-800 euro;
    ritenuto infine che i risparmi attesi da parte del Governo in termini di minor esborso per gli indennizzi per processi di durata eccessiva, dovrebbero essere conseguiti attraverso misure anche di tipo assunzionale - per favorire una più celere celebrazione degli stessi e non certo precludendo al cittadino la possibilità di accedere a tali indennizzi, con il prevedibile rischio di ulteriori censure da parte della Corte di Strasburgo per la violazione dell'articolo 6, comma 3 della CEDU,

impegna il Governo

valutare, nell'ambito di una complessiva revisione della legge 24 marzo 2001, n.89 rispondente al dettato ed alla giurisprudenza della CEDU, gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere che l'esperimento dei rimedi preventivi alla durata irragionevole del processo non sia obbligatorio, bensì facoltativo, nonché il quantum per l'indennizzo da riconoscere per ciascun anno che eccede il termine ragionevole durata del processo permanga sia nell'importo del minimo che del massimo previsto, nei parametri attuali.
9/3444-A/207Agostinelli.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi dal 449 al 451, che compongono l'originale articolo 39 recante «disposizioni in tema di ragionevole durata dei processi», dispongono un'incisiva riforma della legge 24 marzo 2001, n.89, c.d. «legge Pinto», mediante modifiche che, da un lato, irrigidiscono la procedura per accedere ad un'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo e, dall'altro lato, riducono sensibilmente il vigente «quantum» risarcitorio;
    considerato che, in particolare, al comma 449, vengono introdotti cosiddetti «rimedi preventivi», che obbligano l'interessato a presentare un'istanza di accelerazione del processo almeno sei mesi prima dello scadere del termine oltre il quale la durata dello stesso diventi irragionevole, pena l'inammissibilità della successiva richiesta per l'accesso ai già esigui benefici previsti dalla «legge Pinto»;
    atteso che ai citati rimedi preventivi, il comma 449 associa nuovi e più stringenti criteri di inammissibilità della domanda per l'istanza di l'accesso all'equa riparazione di cui all'articolo 2, comma 2-quinquies della legge 24 marzo 2001, n.89, nonché una riduzione dell'importo della somma in denaro da riconoscere per ciascun anno che eccede il termine ragionevole durata, rideterminandola, nel suo minimo e massimo, dai vigenti 500-1.500 euro, a 400-800 euro;
    ritenuto infine che i risparmi attesi da parte del Governo in termini di minor esborso per gli indennizzi per processi di durata eccessiva, dovrebbero essere conseguiti attraverso misure anche di tipo assunzionale - per favorire una più celere celebrazione degli stessi e non certo precludendo al cittadino la possibilità di accedere a tali indennizzi, con il prevedibile rischio di ulteriori censure da parte della Corte di Strasburgo per la violazione dell'articolo 6, comma 3 della CEDU,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valutare, nell'ambito di una complessiva revisione della legge 24 marzo 2001, n.89 rispondente al dettato ed alla giurisprudenza della CEDU, gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere che l'esperimento dei rimedi preventivi alla durata irragionevole del processo non sia obbligatorio, bensì facoltativo, nonché il quantum per l'indennizzo da riconoscere per ciascun anno che eccede il termine ragionevole durata del processo permanga sia nell'importo del minimo che del massimo previsto, nei parametri attuali.
9/3444-A/207. (Testo modificato nel corso della seduta) Agostinelli.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 comma 253 del disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica il 20 novembre 2015 e recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), si prevede che:
    253. Nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, è istituito un fondo con una dotazione di 150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017, finalizzato ad interventi di carattere economico, sociale e ambientale nei territori della terra dei fuochi e, nel limite massimo di 3 milioni di euro per ciascun anno considerato, di bonifica del sito inquinato dell'ex area industriale «Isochimica». Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuati gli interventi e le amministrazioni competenti cui destinare le predette somme. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio;
   considerato che:
    risulta opportuno e necessario fare in modo che la somma stanziata e messo a disposizione per la terra dei fuochi sia vincolata, prioritariamente ad interventi di bonifica e messa in sicurezza dei siti inquinati, in quanto è proprio da queste attività che deve partire un progetto per risolvere i problemi del territorio,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a fare in modo che i fondi stanziati a favore della terra dei fuochi siano prioritariamente finalizzati ad interventi di bonifica e messa in sicurezza dei siti inquinati.
9/3444-A/208Micillo.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 comma 253 del disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica il 20 novembre 2015 e recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), si prevede che:
    253. Nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, è istituito un fondo con una dotazione di 150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017, finalizzato ad interventi di carattere economico, sociale e ambientale nei territori della terra dei fuochi e, nel limite massimo di 3 milioni di euro per ciascun anno considerato, di bonifica del sito inquinato dell'ex area industriale «Isochimica». Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuati gli interventi e le amministrazioni competenti cui destinare le predette somme. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio;
   considerato che:
    risulta opportuno e necessario fare in modo che la somma stanziata e messo a disposizione per la terra dei fuochi sia vincolata, prioritariamente ad interventi di bonifica e messa in sicurezza dei siti inquinati, in quanto è proprio da queste attività che deve partire un progetto per risolvere i problemi del territorio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valutare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a fare in modo che i fondi stanziati a favore della terra dei fuochi siano prioritariamente finalizzati ad interventi di bonifica e messa in sicurezza dei siti inquinati.
9/3444-A/208. (Testo modificato nel corso della seduta) Micillo.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di stabilità contiene misure volte ad incentivare, attraverso agevolazioni fiscali, gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici;
    in particolare, sono state prorogate le detrazioni fiscali, da recuperare nell'arco di dieci anni, per chi ristruttura immobili, acquista mobili e grandi domestici, o migliora l'efficienza energetica degli edifici con le medesime percentuali previste per il 2015 (rispettivamente 50 per cento-50 per cento-65 per cento),

impegna il Governo

al fine di incentivare il recupero edilizio, introdurre un'aliquota agevolata ai fini dell'imposta sul valore aggiunto per gli interventi di ristrutturazione degli edifici che beneficiano delle detrazioni delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizia e di riqualificazione energetica degli edifici di cui all'articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, e di cui all'articolo 16-bis del decreto del Presidente della Repubblica 1986, n. 917.
9/3444-A/209Manlio Di Stefano, Pesco, Villarosa.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di stabilità contiene misure volte ad incentivare, attraverso agevolazioni fiscali, gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici;
    in particolare, sono state prorogate le detrazioni fiscali, da recuperare nell'arco di dieci anni, per chi ristruttura immobili, acquista mobili e grandi domestici, o migliora l'efficienza energetica degli edifici con le medesime percentuali previste per il 2015 (rispettivamente 50 per cento-50 per cento-65 per cento),

impegna il Governo

al fine di incentivare il recupero edilizio, a valutare l'opportunità di introdurre un'aliquota agevolata ai fini dell'imposta sul valore aggiunto per gli interventi di ristrutturazione degli edifici che beneficiano delle detrazioni delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizia e di riqualificazione energetica degli edifici di cui all'articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, e di cui all'articolo 16-bis del decreto del Presidente della Repubblica 1986, n. 917.
9/3444-A/209. (Testo modificato nel corso della seduta) Manlio Di Stefano, Pesco, Villarosa.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame prevede che, al fine di sostenere l'accesso dei giovani alla ricerca, l'autonomia responsabile delle università e la competitività del sistema universitario e della ricerca italiano a livello internazionale, venga disposto un incremento di spesa da destinare al Fondo per il finanziamento ordinario delle università;
    tale finanziamento risulta, in particolare, propedeutico all'assunzione di nuovo personale ricercatore di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ovvero per il conseguente eventuale consolidamento nella posizione di professore di seconda fascia;
    tale previsione di spesa, così come prevista dal comma 133, intende garantire l'assunzione di nuovi giovani ricercatori cosiddetti di «tipo b», una tipologia di personale ricercatore che, qualora venissero rispettati i requisiti di legge e le necessità assunzionali dei vari Atenei, può essere confermato e stabilizzato all'interno delle università italiane;
    tuttavia, il successivo comma 134 dispone che l'assegnazione alle singole università dei fondi di cui al comma 133 sia effettuata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca tenendo conto dei risultati della valutazione della qualità della ricerca (VQR);
    se la ratio della previsione può essere senz'altro condivisa, data la necessità di inserimento di nuove figure stabili all'interno delle strutture di ricerca degli Atenei italiani, certamente non condivisibili risultano le modalità di assegnazione dei fondi a tal fine destinati, dal momento che la situazione attuale delle università italiani imporrebbe una maggior cura nella distribuzione delle risorse disponibili;
    in questi anni, infatti, anche a causa degli attuali sistemi di valutazione della qualità della ricerca, i quali presentano una organizzazione ovvero dei parametri che non riescono a definire con la necessaria oggettività e accuratezza la reale situazione del sistema universitario, nonché delle singole realtà che lo compongono, si è determinato un progressivo scollamento tra gli Atenei italiani, con particolare riferimento alle università del Meridione;
    in considerazione delle attuali condizioni degli atenei del Sud Italia, infatti, le cui progressive riduzioni di spesa hanno determinato un continuo impoverimento, costringendoli, di fatto, ad un maggior utilizzo di personale ricercatore precario, appare auspicabile una ripartizione che, tenendo conto di tali condizioni, possa distribuire tali risorse cercando un riequilibrio del sistema universitario, anche attraverso valutazioni che non si limitino a valutare l'asettica situazione complessiva dell'Ateneo, ma che verifichino, piuttosto, il buon funzionamento delle singole realtà che lo compongono,

impegna il Governo

ad intervenire affinché vengano modificate le modalità di assegnazione alle singole università dei fondi all'assunzione di nuovo personale ricercatore di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, attraverso un sistema di distribuzione dei finanziamenti che corregga la presenza di eventuali distorsioni e sperequazioni determinate dall'attuale sistema di valutazione della qualità della ricerca.
9/3444-A/210D'Uva.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame prevede che, al fine di sostenere l'accesso dei giovani alla ricerca, l'autonomia responsabile delle università e la competitività del sistema universitario e della ricerca italiano a livello internazionale, venga disposto un incremento di spesa da destinare al Fondo per il finanziamento ordinario delle università;
    tale finanziamento risulta, in particolare, propedeutico all'assunzione di nuovo personale ricercatore di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ovvero per il conseguente eventuale consolidamento nella posizione di professore di seconda fascia;
    tale previsione di spesa, così come prevista dal comma 133, intende garantire l'assunzione di nuovi giovani ricercatori cosiddetti di «tipo b», una tipologia di personale ricercatore che, qualora venissero rispettati i requisiti di legge e le necessità assunzionali dei vari Atenei, può essere confermato e stabilizzato all'interno delle università italiane;
    tuttavia, il successivo comma 134 dispone che l'assegnazione alle singole università dei fondi di cui al comma 133 sia effettuata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca tenendo conto dei risultati della valutazione della qualità della ricerca (VQR);
    se la ratio della previsione può essere senz'altro condivisa, data la necessità di inserimento di nuove figure stabili all'interno delle strutture di ricerca degli Atenei italiani, certamente non condivisibili risultano le modalità di assegnazione dei fondi a tal fine destinati, dal momento che la situazione attuale delle università italiani imporrebbe una maggior cura nella distribuzione delle risorse disponibili;
    in questi anni, infatti, anche a causa degli attuali sistemi di valutazione della qualità della ricerca, i quali presentano una organizzazione ovvero dei parametri che non riescono a definire con la necessaria oggettività e accuratezza la reale situazione del sistema universitario, nonché delle singole realtà che lo compongono, si è determinato un progressivo scollamento tra gli Atenei italiani, con particolare riferimento alle università del Meridione;
    in considerazione delle attuali condizioni degli atenei del Sud Italia, infatti, le cui progressive riduzioni di spesa hanno determinato un continuo impoverimento, costringendoli, di fatto, ad un maggior utilizzo di personale ricercatore precario, appare auspicabile una ripartizione che, tenendo conto di tali condizioni, possa distribuire tali risorse cercando un riequilibrio del sistema universitario, anche attraverso valutazioni che non si limitino a valutare l'asettica situazione complessiva dell'Ateneo, ma che verifichino, piuttosto, il buon funzionamento delle singole realtà che lo compongono,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire affinché vengano modificate le modalità di assegnazione alle singole università dei fondi all'assunzione di nuovo personale ricercatore di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, attraverso un sistema di distribuzione dei finanziamenti che corregga la presenza di eventuali distorsioni e sperequazioni determinate dall'attuale sistema di valutazione della qualità della ricerca.
9/3444-A/210. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Uva.


   La Camera,
   premesso che:
    ancora una volta, con un emendamento approvato durante l'esame della legge di stabilità, è stata inserita una norma che consentirà ai comuni, per i prossimi due anni, di utilizzare gli oneri di urbanizzazione – che la legge destina alla realizzazione di opere necessarie al corretto sviluppo urbanistico delle aree di nuova edificazione (strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato) – per altre finalità;
    in sostanza questo allentamento del vincolo di destinazione, unito a qualche sapiente artificio di bilancio, sarà l'ennesimo invito ai sindaci a trasformare i terreni agricoli in un nuovo bancomat per dare un po’ di ossigeno ai loro traballanti bilanci; tutto ciò comporterà due conseguenze devastanti: la prima è che si stimolerà ulteriore, irreversibile, consumo di suolo; la seconda è la realizzazione di nuove periferie prive delle necessarie infrastrutture urbanistiche, visto che si consentirà di stornare le risorse ad esse destinate su altre tipologie di interventi, a discrezione degli amministratori locali, che non sempre brillano per la bontà della pianificazione territoriale;
    da due anni le commissioni ambiente e agricoltura della Camera stanno esaminando le proposte di legge, tra cui il disegno di legge d'iniziativa governativa, finalizzate alla riduzione del consumo di suolo,

impegna il Governo

ad intraprendere una linea coerente sul governo del territorio, finalizzata realmente a salvaguardare il suolo agricolo e ad impedire nuovo consumo di suolo, valutando l'opportunità, attraverso un prossimo provvedimento normativo, di mitigare la portata della norma di cui in premessa, anche attraverso la sua delimitazione al solo esercizio finanziario 2016.
9/3444-A/211De Rosa.


   La Camera,
   premesso che:
    ancora una volta, con un emendamento approvato durante l'esame della legge di stabilità, è stata inserita una norma che consentirà ai comuni, per i prossimi due anni, di utilizzare gli oneri di urbanizzazione – che la legge destina alla realizzazione di opere necessarie al corretto sviluppo urbanistico delle aree di nuova edificazione (strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato) – per altre finalità;
    in sostanza questo allentamento del vincolo di destinazione, unito a qualche sapiente artificio di bilancio, sarà l'ennesimo invito ai sindaci a trasformare i terreni agricoli in un nuovo bancomat per dare un po’ di ossigeno ai loro traballanti bilanci; tutto ciò comporterà due conseguenze devastanti: la prima è che si stimolerà ulteriore, irreversibile, consumo di suolo; la seconda è la realizzazione di nuove periferie prive delle necessarie infrastrutture urbanistiche, visto che si consentirà di stornare le risorse ad esse destinate su altre tipologie di interventi, a discrezione degli amministratori locali, che non sempre brillano per la bontà della pianificazione territoriale;
    da due anni le commissioni ambiente e agricoltura della Camera stanno esaminando le proposte di legge, tra cui il disegno di legge d'iniziativa governativa, finalizzate alla riduzione del consumo di suolo,

impegna il Governo

ad intraprendere una linea coerente sul governo del territorio, finalizzata realmente a salvaguardare il suolo agricolo e ad impedire nuovo consumo di suolo.
9/3444-A/211. (Testo modificato nel corso della seduta) De Rosa.


   La Camera,
   premesso che:
    l'intenso sfruttamento del territorio a causa della costruzione di infrastrutture stradali, di insediamenti urbani e di zone artigianali ed industriali va di pari passo con la sempre crescente impermeabilizzazione del suolo. Questo influenza negativamente il ciclo naturale dell'acqua disturbando l'equilibrio fra precipitazione, evaporazione, alimentazione della falda acquifera e deflusso superficiale;
    sulle superfici impermeabilizzate le precipitazioni defluiscono quasi per intero e si raccolgono nelle canalizzazioni; l'evaporazione e l'alimentazione della falda vengono invece fortemente limitate. Tutto ciò causa eventi di piena più gravosi. I cambiamenti climatici che si stanno palesando andranno con tutta probabilità ad accentuare le conseguenze di piene e siccità;
    la gestione sostenibile delle acque meteoriche comporta quindi evidenti vantaggi: non solo il ciclo naturale dell'acqua può essere mantenuto quasi inalterato oppure essere ristabilito e la qualità di vita nelle zone urbanizzate può essere influenzata positivamente, ma la raccolta e l'utilizzo dell'acqua meteorica consentono un risparmio d'acqua potabile pregiata;
    infatti l'utilizzo di acqua meteorica sostituisce, risparmiandola, l'acqua potabile, soprattutto per innaffiare il verde e per gli sciacquoni dei servizi igienici, inoltre è utilizzabile per la lavatrice, per la pulizia della casa o come acqua di raffreddamento. In questo modo, utilizzando significative quantità di acqua meteorica al posto di altrettanta acqua potabile, il risparmio dell'acqua potabile può raggiungere il 50 per cento;
    i tetti verdi aiutano a mantenere il comfort ambientale favorendo l'isolamento acustico, regolando gli sbalzi termici e l'umidità delle abitazioni, mentre dal punto di vista del risparmio energetico riducono, fra il 20 e il 30 per cento, la quantità di energia necessaria per il riscaldamento invernale e assicurano una temperatura fresca in estate, a questo proposito è dimostrato come i tetti verdi combattano il fenomeno delle isole di calore, le bolle di aria calda che avvolgono gli insediamenti urbani e, stando alle ricerche dell'Environmental protection agency (Epa), innalzano fino a 12 gradi la temperatura dei nuclei urbani rispetto a quelle delle aree rurali,

impegna il Governo

incentivare gli interventi certificati finalizzati al recupero e riutilizzo delle cosiddette acque meteoriche e gli interventi di progettazione, esecuzione e manutenzione di tetti verdi, su tetti di edifici di nuova realizzazione o soggetti ad interventi di riqualificazione energetica, laddove non vietato da normative di decoro urbano e storico.
9/3444-A/212Lupo, Parentela, De Rosa.


   La Camera,
   premesso che:
    l'intenso sfruttamento del territorio a causa della costruzione di infrastrutture stradali, di insediamenti urbani e di zone artigianali ed industriali va di pari passo con la sempre crescente impermeabilizzazione del suolo. Questo influenza negativamente il ciclo naturale dell'acqua disturbando l'equilibrio fra precipitazione, evaporazione, alimentazione della falda acquifera e deflusso superficiale;
    sulle superfici impermeabilizzate le precipitazioni defluiscono quasi per intero e si raccolgono nelle canalizzazioni; l'evaporazione e l'alimentazione della falda vengono invece fortemente limitate. Tutto ciò causa eventi di piena più gravosi. I cambiamenti climatici che si stanno palesando andranno con tutta probabilità ad accentuare le conseguenze di piene e siccità;
    la gestione sostenibile delle acque meteoriche comporta quindi evidenti vantaggi: non solo il ciclo naturale dell'acqua può essere mantenuto quasi inalterato oppure essere ristabilito e la qualità di vita nelle zone urbanizzate può essere influenzata positivamente, ma la raccolta e l'utilizzo dell'acqua meteorica consentono un risparmio d'acqua potabile pregiata;
    infatti l'utilizzo di acqua meteorica sostituisce, risparmiandola, l'acqua potabile, soprattutto per innaffiare il verde e per gli sciacquoni dei servizi igienici, inoltre è utilizzabile per la lavatrice, per la pulizia della casa o come acqua di raffreddamento. In questo modo, utilizzando significative quantità di acqua meteorica al posto di altrettanta acqua potabile, il risparmio dell'acqua potabile può raggiungere il 50 per cento;
    i tetti verdi aiutano a mantenere il comfort ambientale favorendo l'isolamento acustico, regolando gli sbalzi termici e l'umidità delle abitazioni, mentre dal punto di vista del risparmio energetico riducono, fra il 20 e il 30 per cento, la quantità di energia necessaria per il riscaldamento invernale e assicurano una temperatura fresca in estate, a questo proposito è dimostrato come i tetti verdi combattano il fenomeno delle isole di calore, le bolle di aria calda che avvolgono gli insediamenti urbani e, stando alle ricerche dell'Environmental protection agency (Epa), innalzano fino a 12 gradi la temperatura dei nuclei urbani rispetto a quelle delle aree rurali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di incentivare gli interventi certificati finalizzati al recupero e riutilizzo delle cosiddette acque meteoriche e gli interventi di progettazione, esecuzione e manutenzione di tetti verdi, su tetti di edifici di nuova realizzazione o soggetti ad interventi di riqualificazione energetica, laddove non vietato da normative di decoro urbano e storico.
9/3444-A/212. (Testo modificato nel corso della seduta) Lupo, Parentela, De Rosa.


   La Camera,
   premesso che:
    valutate positivamente le misure introdotte a favore del comparto agricolo professionale;
    considerato tuttavia che in materia di fiscalità agricola si rendono necessari ulteriori interventi al fine di semplificare e sburocratizzare il settore;
    posto che la riduzione degli adempimenti burocratici, il cui costo è stimato dai soggetti interessati e dalle organizzazioni di categoria, in migliaia di euro all'anno, è condizione indispensabile per promuovere la produttività e la competitività delle aziende agricole;
    atteso che, ad oggi, i piccoli produttori agricoli di cui all'articolo 34, sesto comma, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 26 ottobre 1972, che ricadono nel regime speciale di esonero dal versamento dell'imposta sul valore aggiunto, in quanto realizzano un volume d'affari non superiore a 7.000 euro, sono però soggetti all'obbligo di comunicazione annuale delle operazioni rilevanti ai fini IVA e, atteso che tale adempimento crea una vera e propria complicazione tecnica nella misura in cui se si è per legge autorizzati a non conservare registri, non si può poi essere obbligati, sempre per legge, a comunicare le operazioni rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale,

impegna il Governo

a valutare la necessità di sopprimere l'obbligo delle comunicazioni rilevanti ai fini IVA, disposto dal comma 8-bis dell'articolo 36 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, per i soggetti che ricadono nel regime speciale di esonero IVA di cui all'articolo 34, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 633/1972.
9/3444-A/213Parentela.


   La Camera,
   premesso che:
    valutate positivamente le misure introdotte a favore del comparto agricolo professionale;
    considerato tuttavia che in materia di fiscalità agricola si rendono necessari ulteriori interventi al fine di semplificare e sburocratizzare il settore;
    posto che la riduzione degli adempimenti burocratici, il cui costo è stimato dai soggetti interessati e dalle organizzazioni di categoria, in migliaia di euro all'anno, è condizione indispensabile per promuovere la produttività e la competitività delle aziende agricole;
    atteso che, ad oggi, i piccoli produttori agricoli di cui all'articolo 34, sesto comma, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 26 ottobre 1972, che ricadono nel regime speciale di esonero dal versamento dell'imposta sul valore aggiunto, in quanto realizzano un volume d'affari non superiore a 7.000 euro, sono però soggetti all'obbligo di comunicazione annuale delle operazioni rilevanti ai fini IVA e, atteso che tale adempimento crea una vera e propria complicazione tecnica nella misura in cui se si è per legge autorizzati a non conservare registri, non si può poi essere obbligati, sempre per legge, a comunicare le operazioni rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valutare la necessità di sopprimere l'obbligo delle comunicazioni rilevanti ai fini IVA, disposto dal comma 8-bis dell'articolo 36 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, per i soggetti che ricadono nel regime speciale di esonero IVA di cui all'articolo 34, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 633/1972.
9/3444-A/213. (Testo modificato nel corso della seduta) Parentela.


   La Camera,
   premesso che:
    preso atto della necessità di rivedere la normativa in materia di birrificazione anche al fine di definire la dicitura «birra artigianale» che ad oggi non trova un chiaro riscontro legislativo;
    considerato che nel nostro Paese ci sono moltissimi piccoli birrifici, ovvero aziende che producono quantitativi di birra inferiori a quelli prodotti da grandi e noti marchi industriali, spesso seguendo procedimenti in cui l'apporto di manodopera e l'utilizzo di materie prime di alta qualità, conferiscono al prodotto finale caratteristiche uniche;
    visto che l'aliquota di accisa sulla birra è fissa e non dipende dal quantitativo prodotto dall'azienda e considerato che la Direttiva n. 92/83/CEE relativa all'armonizzazione delle strutture delle accise sull'alcole e sulle bevande alcoliche, recepita con legge 29 ottobre 1993, n. 427, all'articolo 4 consente agli Stati membri di applicare aliquote ridotte di accisa, le quali possono avere importi diversi secondo la produzione annuale delle birrerie indipendenti, ovvero le birrerie che siano legalmente ed economicamente indipendenti da qualsiasi birreria, che utilizzino impianti fisicamente distinti da qualsiasi altra birreria, che non operino sotto licenza e la cui produzione annuale non superi i 200.000 ettolitri,

impegna il Governo

a predisporre le opportune riduzioni, rispetto all'aliquota ordinaria, dell'aliquota di accisa per la birra prodotta da birrifici che possiedono le caratteristiche di cui all'articolo 4 della Direttiva n. 92/83/CEE.
9/3444-A/214Gagnarli.


   La Camera,
   premesso che:
    preso atto della necessità di rivedere la normativa in materia di birrificazione anche al fine di definire la dicitura «birra artigianale» che ad oggi non trova un chiaro riscontro legislativo;
    considerato che nel nostro Paese ci sono moltissimi piccoli birrifici, ovvero aziende che producono quantitativi di birra inferiori a quelli prodotti da grandi e noti marchi industriali, spesso seguendo procedimenti in cui l'apporto di manodopera e l'utilizzo di materie prime di alta qualità, conferiscono al prodotto finale caratteristiche uniche;
    visto che l'aliquota di accisa sulla birra è fissa e non dipende dal quantitativo prodotto dall'azienda e considerato che la Direttiva n. 92/83/CEE relativa all'armonizzazione delle strutture delle accise sull'alcole e sulle bevande alcoliche, recepita con legge 29 ottobre 1993, n. 427, all'articolo 4 consente agli Stati membri di applicare aliquote ridotte di accisa, le quali possono avere importi diversi secondo la produzione annuale delle birrerie indipendenti, ovvero le birrerie che siano legalmente ed economicamente indipendenti da qualsiasi birreria, che utilizzino impianti fisicamente distinti da qualsiasi altra birreria, che non operino sotto licenza e la cui produzione annuale non superi i 200.000 ettolitri,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre le opportune riduzioni, rispetto all'aliquota ordinaria, dell'aliquota di accisa per la birra prodotta da birrifici che possiedono le caratteristiche di cui all'articolo 4 della Direttiva n. 92/83/CEE.
9/3444-A/214. (Testo modificato nel corso della seduta) Gagnarli.


   La Camera,
   premesso che:
    valutate positivamente le norme introdotte a favore del comparto agricolo professionale;
    ritenute tuttavia insufficienti le misure a sostegno dell'agricoltura biologica non ostante la rilevanza che tale metodo di produzione sta assumendo sia perché offre al consumatore prodotti privi di sostanze chimiche sia perché riduce l'impatto ambientale dell'attività agricola;
    considerato che le aziende biologiche hanno rese molto inferiori rispetto a quelle convenzionali e pertanto registrano una redditività minore;
    preso atto che L'Italia è prima in Europa per il numero di aziende biologiche (48.509) secondo i dati del rapporto «Green economy per uscire dalle due crisi», realizzato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in collaborazione con l'Enea e che nel nostro Paese l'agricoltura biologica occupa più di un milione e 100 mila ettari, ovvero 18,7 per cento della superficie agricola utilizzata;
    valutata la necessità di introdurre misure specifiche a sostegno delle imprese biologiche che fanno uso di prodotti fitosanitari consentiti in agricoltura biologica,

impegna il Governo

ad introdurre urgentemente misure a sostegno delle imprese agricole che fanno uso di prodotti fitosanitari consentiti in agricoltura biologica di cui all'articolo 5 del Regolamento (CE) n. 889/2008, della Commissione recante modalità di applicazione del Regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici, per quanto riguarda la produzione biologica, l'etichettatura ed i controlli, anche attraverso l'istituzione di uno specifico Fondo.
9/3444-A/215Benedetti.


   La Camera,
   premesso che:
    valutate positivamente le norme introdotte a favore del comparto agricolo professionale;
    ritenute tuttavia insufficienti le misure a sostegno dell'agricoltura biologica non ostante la rilevanza che tale metodo di produzione sta assumendo sia perché offre al consumatore prodotti privi di sostanze chimiche sia perché riduce l'impatto ambientale dell'attività agricola;
    considerato che le aziende biologiche hanno rese molto inferiori rispetto a quelle convenzionali e pertanto registrano una redditività minore;
    preso atto che L'Italia è prima in Europa per il numero di aziende biologiche (48.509) secondo i dati del rapporto «Green economy per uscire dalle due crisi», realizzato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in collaborazione con l'Enea e che nel nostro Paese l'agricoltura biologica occupa più di un milione e 100 mila ettari, ovvero 18,7 per cento della superficie agricola utilizzata;
    valutata la necessità di introdurre misure specifiche a sostegno delle imprese biologiche che fanno uso di prodotti fitosanitari consentiti in agricoltura biologica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre urgentemente misure a sostegno delle imprese agricole che fanno uso di prodotti fitosanitari consentiti in agricoltura biologica di cui all'articolo 5 del Regolamento (CE) n. 889/2008, della Commissione recante modalità di applicazione del Regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici, per quanto riguarda la produzione biologica, l'etichettatura ed i controlli, anche attraverso l'istituzione di uno specifico Fondo.
9/3444-A/215. (Testo modificato nel corso della seduta) Benedetti.


   La Camera,
   premesso che:
    valutate positivamente le norme introdotte a favore del comparto agricolo professionale;
    ritenuto tuttavia indispensabile, ai fini di una duratura ripresa del settore, incentivare e favorire l'accesso al credito da parte delle aziende agricole;
    considerato che il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ha istituito un Fondo di credito finalizzato a potenziare l'offerta di credito a vantaggio delle aziende agricole, con particolare attenzione ai giovani, allo scopo di favorirne la crescita e l'ammodernamento. Lo strumento si sostanzia nell'erogazione di finanziamenti agevolati a breve, medio e lungo termine in collaborazione con le banche e le regioni; il finanziamento è costituito da una quota carico del fondo a tasso agevolato e una quota (non inferiore al 50 per cento del totale) a carico della banca a tasso di mercato;
    preso atto che ad oggi sono ancora in via di definizione le modalità operative di attuazione del fondo poiché non è ancora stato emanato il regolamento da parte di ISMEA non ostante sia già stata siglata la convenzione tra l'Istituto e l'ABI,

impegna il Governo

ad intervenire con urgenza al fine di completare le procedure necessarie alla operatività del Fondo di credito di cui in premessa.
9/3444-A/216Gallinella.


   La Camera,
   premesso che:
    valutate positivamente le norme introdotte a favore del comparto agricolo professionale;
    ritenuto tuttavia indispensabile, ai fini di una duratura ripresa del settore, incentivare e favorire l'accesso al credito da parte delle aziende agricole;
    considerato che il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ha istituito un Fondo di credito finalizzato a potenziare l'offerta di credito a vantaggio delle aziende agricole, con particolare attenzione ai giovani, allo scopo di favorirne la crescita e l'ammodernamento. Lo strumento si sostanzia nell'erogazione di finanziamenti agevolati a breve, medio e lungo termine in collaborazione con le banche e le regioni; il finanziamento è costituito da una quota carico del fondo a tasso agevolato e una quota (non inferiore al 50 per cento del totale) a carico della banca a tasso di mercato;
    preso atto che ad oggi sono ancora in via di definizione le modalità operative di attuazione del fondo poiché non è ancora stato emanato il regolamento da parte di ISMEA non ostante sia già stata siglata la convenzione tra l'Istituto e l'ABI,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire con urgenza al fine di completare le procedure necessarie alla operatività del Fondo di credito di cui in premessa.
9/3444-A/216. (Testo modificato nel corso della seduta) Gallinella.


   La Camera,
   premesso che:
    preso atto della riduzione di risorse operata a carico del comparto ippico e della assenza di norme finalizzate al suo rilancio;
    considerato che il settore ippico ha costituito per lungo periodo uno dei comparti dell'eccellenza nazionale, producendo cavalli straordinari e facendo dell'allevamento dei purosangue una vera e propria industria di successo;
    vista la crisi che ormai da anni investe l'ippica italiana che ha provocato, negli ultimi quattro anni, la chiusura di oltre il 30 per cento delle scuderie e la perdita di migliaia di posti di lavoro diretti, oltre a quelli generati dall'indotto;
    premesso che le difficoltà in cui versa l'ippica sono dovute sia alla riduzione dei finanziamenti che alla diminuzione delle scommesse, ridottesi di oltre il 70 per centro negli ultimi cinque anni, e che pertanto un intervento del Governo finalizzato al rilancio del settore e basato su legalità e trasparenza, correttezza, equità nei trattamenti, rispetto delle regole e pari opportunità per tutte le componenti è ormai indispensabile,

impegna il Governo

ad intervenire urgentemente con un piano di risanamento e rilancio del settore ippico anche attraverso l'istituzione, presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, di un organismo finalizzato ad assicurare il coordinamento e la gestione unitaria delle politiche pubbliche per la tutela del cavallo, per l'incremento delle razze equine e la salvaguardia dell'occupazione nel medesimo settore.
9/3444-A/217L'Abbate.


   La Camera,
   premesso che:
    preso atto della riduzione di risorse operata a carico del comparto ippico e della assenza di norme finalizzate al suo rilancio;
    considerato che il settore ippico ha costituito per lungo periodo uno dei comparti dell'eccellenza nazionale, producendo cavalli straordinari e facendo dell'allevamento dei purosangue una vera e propria industria di successo;
    vista la crisi che ormai da anni investe l'ippica italiana che ha provocato, negli ultimi quattro anni, la chiusura di oltre il 30 per cento delle scuderie e la perdita di migliaia di posti di lavoro diretti, oltre a quelli generati dall'indotto;
    premesso che le difficoltà in cui versa l'ippica sono dovute sia alla riduzione dei finanziamenti che alla diminuzione delle scommesse, ridottesi di oltre il 70 per centro negli ultimi cinque anni, e che pertanto un intervento del Governo finalizzato al rilancio del settore e basato su legalità e trasparenza, correttezza, equità nei trattamenti, rispetto delle regole e pari opportunità per tutte le componenti è ormai indispensabile,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire urgentemente con un piano di risanamento e rilancio del settore ippico anche attraverso l'istituzione, presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, di un organismo finalizzato ad assicurare il coordinamento e la gestione unitaria delle politiche pubbliche per la tutela del cavallo, per l'incremento delle razze equine e la salvaguardia dell'occupazione nel medesimo settore.
9/3444-A/217. (Testo modificato nel corso della seduta) L'Abbate.


   La Camera,
   premesso che:
    è incardinato innanzi al Tribunale di Reggio Emilia il processo di ’Ndrangheta con 236 imputati, a 54 dei quali la Dda ha contestato l'associazione a delinquere di stampo mafioso;
    tuttavia, come di recente riportato dalle fonti di stampa, il presidente del tribunale di Reggio Emilia, Francesco Maria Caruso, ha pubblicamente manifestato l'insussistenza di adeguato, strutture che garantiscono l'efficiente e, soprattutto, sicuro svolgimento del processo, avanzando una richiesta di intervento al Ministro della Giustizia per la predisposizione di tutte le misure necessarie ad evitare il trasferimento di sede;
    Caruso ha spiegato di aver individuato una possibile soluzione per fare in modo che il processo si svolga a Reggio Emilia, ovvero l'allestimento di una tensostruttura nel cortile del locale tribunale. «Ma sono necessari circa 100mila euro e nessuno si è detto disponibile a impiegare nemmeno un euro. Non c’è un euro per l'operazione Aemilia», ha continuato Caruso, sostenendo che sull'antimafia e sullo svolgimento del processo Aemilia a Reggio Emilia «in teoria siamo tutti d'accordo, ma al momento di passare al fatto concreto bisogna olio ognuno si assuma le proprie responsabilità»;
    il rischio infatti è quello di un possibile trasferimento del processo in altra sede;
    intanto, per consentire lo svolgimento dell'udienza preliminare, con la legge regionale 21 ottobre 2015 n. 18 è stato disposto un contributo straordinario di 748.000 milioni di euro alla società Bologna Fiera spa, per la realizzazione delle necessarie opere di allestimento dell'aula speciale, presso il padiglione n. 19 nell'ambito del quartiere fieristico bolognese,

impegna il Governo

introdurre misure, anche di carattere finanziario, al fine di garantire che i processi penali si svolgano presso le sedi di naturale competenza territoriale, scongiurando il rischio di trasferimenti di sede per una mera carenza di risorse e di strutture adeguate.
9/3444-A/218Spadoni, Sarti.


   La Camera,
   premesso che:
    è incardinato innanzi al Tribunale di Reggio Emilia il processo di ’Ndrangheta con 236 imputati, a 54 dei quali la Dda ha contestato l'associazione a delinquere di stampo mafioso;
    tuttavia, come di recente riportato dalle fonti di stampa, il presidente del tribunale di Reggio Emilia, Francesco Maria Caruso, ha pubblicamente manifestato l'insussistenza di adeguato, strutture che garantiscono l'efficiente e, soprattutto, sicuro svolgimento del processo, avanzando una richiesta di intervento al Ministro della Giustizia per la predisposizione di tutte le misure necessarie ad evitare il trasferimento di sede;
    Caruso ha spiegato di aver individuato una possibile soluzione per fare in modo che il processo si svolga a Reggio Emilia, ovvero l'allestimento di una tensostruttura nel cortile del locale tribunale. «Ma sono necessari circa 100mila euro e nessuno si è detto disponibile a impiegare nemmeno un euro. Non c’è un euro per l'operazione Aemilia», ha continuato Caruso, sostenendo che sull'antimafia e sullo svolgimento del processo Aemilia a Reggio Emilia «in teoria siamo tutti d'accordo, ma al momento di passare al fatto concreto bisogna olio ognuno si assuma le proprie responsabilità»;
    il rischio infatti è quello di un possibile trasferimento del processo in altra sede;
    intanto, per consentire lo svolgimento dell'udienza preliminare, con la legge regionale 21 ottobre 2015 n. 18 è stato disposto un contributo straordinario di 748.000 milioni di euro alla società Bologna Fiera spa, per la realizzazione delle necessarie opere di allestimento dell'aula speciale, presso il padiglione n. 19 nell'ambito del quartiere fieristico bolognese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre misure, anche di carattere finanziario, al fine di garantire che i processi penali si svolgano presso le sedi di naturale competenza territoriale, scongiurando il rischio di trasferimenti di sede per una mera carenza di risorse e di strutture adeguate.
9/3444-A/218. (Testo modificato nel corso della seduta) Spadoni, Sarti.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame contiene disposizioni finalizzate a riallocare risorse non utilizzate dalle scuole già previste per indicate finalità;
    è altresì prevedibile che anche dalla parziale attuazione del piano assunzionale di cui al comma 201 dell'articolo 1 della legge 13 luglio 2015 n. 107, deriveranno risparmi di spesa, in quanto non tutti i posti previsti sono stati assegnati nelle tre fasi del piano assunzionale;
    l'organico per i posti di sostegno rimane determinato ai sensi dell'articolo 15 del decreto-legge 12 settembre 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128;
    ogni anno, con la ripresa delle attività scolastiche si manifesta il problema della mancata assegnazione degli insegnanti di sostegno agli alunni e agli studenti disabili dal primo giorno di scuola, con pesanti ricadute sui bambini e sui ragazzi più deboli e sulle famiglie e molti studenti disabili saranno costretti a cambiare il proprio insegnante di sostegno a discapito della continuità didattica;
    l'alternarsi nell'assegnazione delle cattedre annuali, che dipendono da un sistema di punteggi nelle graduatorie e di posti disponibili al momento delle nomine, non solo impedisce la possibilità di maturare competenze legate di bisogni dei contesti delle classi ma, soprattutto, quella di garantire continuità didattica agli alunni;
    il piano di assunzione, previsto dalla legge n. 107 del 13 luglio 2015, relativamente ai posti stanziati per il sostegno; risulta estremamente insufficiente: in quanto mancano almeno 28 mila cattedre sul sostegno che sarebbero fondamentali per garantire il rapporto uno a due tra docenti e alunni disabili stabilito dalla legge;
    al fine di garantire la continuità didattica dell'insegnante per le attività di sostegno è più che mai necessario considerare un incremento degli organici degli insegnanti abilitati ed iscritti nella seconda fascia delle graduatorie di circolo e d'istituto,

impegna il Governo

a considerare l'immissione in ruolo degli insegnanti di sostegno abilitati ed iscritti nella seconda fascia delle graduatorie di circolo e d'istituto, anche utilizzando eventuali risparmi di spesa derivanti dalla parziale attuazione del piano assunzionale di cui al comma 201 dell'articolo 1 della legge 13 luglio 2015 n. 107.
9/3444-A/219Marzana.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame contiene disposizioni finalizzate a riallocare risorse non utilizzate dalle scuole già previste per indicate finalità;
    è altresì prevedibile che anche dalla parziale attuazione del piano assunzionale di cui al comma 201 dell'articolo 1 della legge 13 luglio 2015 n. 107, deriveranno risparmi di spesa, in quanto non tutti i posti previsti sono stati assegnati nelle tre fasi del piano assunzionale;
    l'organico per i posti di sostegno rimane determinato ai sensi dell'articolo 15 del decreto-legge 12 settembre 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128;
    ogni anno, con la ripresa delle attività scolastiche si manifesta il problema della mancata assegnazione degli insegnanti di sostegno agli alunni e agli studenti disabili dal primo giorno di scuola, con pesanti ricadute sui bambini e sui ragazzi più deboli e sulle famiglie e molti studenti disabili saranno costretti a cambiare il proprio insegnante di sostegno a discapito della continuità didattica;
    l'alternarsi nell'assegnazione delle cattedre annuali, che dipendono da un sistema di punteggi nelle graduatorie e di posti disponibili al momento delle nomine, non solo impedisce la possibilità di maturare competenze legate di bisogni dei contesti delle classi ma, soprattutto, quella di garantire continuità didattica agli alunni;
    il piano di assunzione, previsto dalla legge n. 107 del 13 luglio 2015, relativamente ai posti stanziati per il sostegno; risulta estremamente insufficiente: in quanto mancano almeno 28 mila cattedre sul sostegno che sarebbero fondamentali per garantire il rapporto uno a due tra docenti e alunni disabili stabilito dalla legge;
    al fine di garantire la continuità didattica dell'insegnante per le attività di sostegno è più che mai necessario considerare un incremento degli organici degli insegnanti abilitati ed iscritti nella seconda fascia delle graduatorie di circolo e d'istituto,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di considerare l'immissione in ruolo degli insegnanti di sostegno abilitati ed iscritti nella seconda fascia delle graduatorie di circolo e d'istituto, anche utilizzando eventuali risparmi di spesa derivanti dalla parziale attuazione del piano assunzionale di cui al comma 201 dell'articolo 1 della legge 13 luglio 2015 n. 107.
9/3444-A/219. (Testo modificato nel corso della seduta) Marzana.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame contiene disposizioni finalizzate a riallocare risorse non utilizzate dalle scuole già previste per indicate finalità;
    è altresì prevedibile che anche dalla parziale attuazione del piano assunzionale di cui al comma 201 dell'articolo 1 della legge 13 luglio 2015 n. 107, deriveranno risparmi di spesa, in quanto non tutti i posti previsti sono stati assegnati nelle tre fasi del piano assunzionale;
    i docenti della seconda fascia delle graduatorie di circolo e d'istituto sono rimasti esclusi dal piano assunzionale succitato;
    per far fronte alle richieste delle scuole relative ai posti per il potenziamento dell'offerta formativa di cui all'articolo 1, comma 14, della legge 13 luglio 2015, n. 107, per una piena valorizzazione delle competenze del personale docente e ai fini del potenziamento della qualità didattica tali docenti rappresentano senz'altro una risorsa importante;
    si renderebbe possibile coprire tutti i posti vacanti e disponibili servendosi solo di docenti espressamente formati per le materie di cui risulti necessario l'insegnamento in base al reale fabbisogno delle scuole;
    i docenti di seconda fascia sono in possesso di specifica abilitazione, e hanno già superato molteplici prove selettive o maturato una cospicua anzianità di servizio,

impegna il Governo

a predisporre una fase transitoria nel periodo intercorrente tra il concorso 2016 e l'entrata in vigore del nuovo sistema di formazione e reclutamento dei docenti, al fine di tutelare i docenti in possesso di abilitazione garantendo loro nuove procedure concorsuali riservate o nuove modalità di immissione in ruolo al fine di valorizzare il loro titolo abilitante.
9/3444-A/220Chimienti.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame contiene disposizioni finalizzate a riallocare risorse non utilizzate dalle scuole già previste per indicate finalità;
    è altresì prevedibile che anche dalla parziale attuazione del piano assunzionale di cui al comma 201 dell'articolo 1 della legge 13 luglio 2015 n. 107, deriveranno risparmi di spesa, in quanto non tutti i posti previsti sono stati assegnati nelle tre fasi del piano assunzionale;
    i docenti della seconda fascia delle graduatorie di circolo e d'istituto sono rimasti esclusi dal piano assunzionale succitato;
    per far fronte alle richieste delle scuole relative ai posti per il potenziamento dell'offerta formativa di cui all'articolo 1, comma 14, della legge 13 luglio 2015, n. 107, per una piena valorizzazione delle competenze del personale docente e ai fini del potenziamento della qualità didattica tali docenti rappresentano senz'altro una risorsa importante;
    si renderebbe possibile coprire tutti i posti vacanti e disponibili servendosi solo di docenti espressamente formati per le materie di cui risulti necessario l'insegnamento in base al reale fabbisogno delle scuole;
    i docenti di seconda fascia sono in possesso di specifica abilitazione, e hanno già superato molteplici prove selettive o maturato una cospicua anzianità di servizio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre una fase transitoria nel periodo intercorrente tra il concorso 2016 e l'entrata in vigore del nuovo sistema di formazione e reclutamento dei docenti, al fine di tutelare i docenti in possesso di abilitazione garantendo loro nuove procedure concorsuali riservate o nuove modalità di immissione in ruolo al fine di valorizzare il loro titolo abilitante.
9/3444-A/220. (Testo modificato nel corso della seduta) Chimienti.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame prevede la costituzione di un fondo destinato al reclutamento per «chiamata diretta» per elevato merito scientifico di professori universitari di prima e di seconda fascia;
    in deroga alle norme sul reclutamento dei professori universitari previste dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240, il fondo di cui al comma 110 è destinato al reclutamento straordinario per chiamata diretta di professori universitari di prima e di seconda fascia selezionati secondo procedure nazionali;
    la disciplina applicativa è demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sulla base di criteri volti a valorizzare l'eccellenza e la qualificazione scientifica dei candidati, ivi inclusi professori universitari già in servizio presso atenei italiani;
    tra i criteri a cui si deve ispirare il succitato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non appare il possesso dell'abilitazione scientifica nazionale, che attualmente rappresenta requisito necessario per consentire la partecipazione alle procedure di chiamata indette dalle singole università;
    in tal modo, si paventa il rischio che la chiamata diretta diventi uno strumento per determinare una gestione clientelare delle assunzioni, ovviando, per i professori universitari già in servizio presso atenei italiani, al possesso dell'abilitazione scientifica nazionale,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative al fine di evitare che la «chiamata diretta» in tal modo diventi un canale privilegiato per quanti non riescono ad ottenere l'abilitazione, di inserire tra i criteri attuativi del al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri succitato il requisito del possesso dell'abilitazione scientifica nazionale per i professori già appartenenti alle università italiane.
9/3444-A/221Vacca.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame prevede la costituzione di un fondo destinato al reclutamento per «chiamata diretta» per elevato merito scientifico di professori universitari di prima e di seconda fascia;
    in deroga alle norme sul reclutamento dei professori universitari previste dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240, il fondo di cui al comma 110 è destinato al reclutamento straordinario per chiamata diretta di professori universitari di prima e di seconda fascia selezionati secondo procedure nazionali;
    la disciplina applicativa è demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sulla base di criteri volti a valorizzare l'eccellenza e la qualificazione scientifica dei candidati, ivi inclusi professori universitari già in servizio presso atenei italiani;
    tra i criteri a cui si deve ispirare il succitato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non appare il possesso dell'abilitazione scientifica nazionale, che attualmente rappresenta requisito necessario per consentire la partecipazione alle procedure di chiamata indette dalle singole università;
    in tal modo, si paventa il rischio che la chiamata diretta diventi uno strumento per determinare una gestione clientelare delle assunzioni, ovviando, per i professori universitari già in servizio presso atenei italiani, al possesso dell'abilitazione scientifica nazionale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative al fine di evitare che la «chiamata diretta» in tal modo diventi un canale privilegiato per quanti non riescono ad ottenere l'abilitazione, di inserire tra i criteri attuativi del al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri succitato il requisito del possesso dell'abilitazione scientifica nazionale per i professori già appartenenti alle università italiane.
9/3444-A/221. (Testo modificato nel corso della seduta) Vacca.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame introduce una nuova presunzione di detenzione dell'apparecchio televisivo ai fini dell'accertamento di situazioni di evasione del pagamento del canone: la presenza di un contratto di fornitura dell'energia elettrica, nella cui fattura sarà addebitato il canone stesso;
    il comma 72, lettera c) prevede che il pagamento del canone avviene in dieci rate mensili, addebitate sulle fatture emesse dall'impresa elettrica aventi scadenza del pagamento successiva alla scadenza delle rate; le rate, ai fini dell'inserimento in fattura, s'intendono scadute il primo giorno di ciascuno dei mesi da gennaio ad ottobre;
    la medesima disposizione specifica che l'importo delle rate del canone sarà oggetto di distinta indicazione nel contesto della fattura emessa dall'impresa elettrica;
    appare subito evidente che il principale limite è rappresentato dalle inevitabili difficoltà tecniche con cui sarà attuata l'introduzione del canone in bolletta;
    prevedere poi che nel contesto della stessa fattura sia indicato l'importo delle rate del canone potrebbe aumentare la confusione che le fatture già di per sé ingenerano,

impegna il Governo

ad intervenire affinché, soprattutto in fase di prima applicazione di questo nuovo sistema di pagamento del canone e al fine di evitare confusione, sia prevista una distinta fattura della rata del canone rispetto a quella dell'energia elettrica.
9/3444-A/222Luigi Gallo.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame introduce una nuova presunzione di detenzione dell'apparecchio televisivo ai fini dell'accertamento di situazioni di evasione del pagamento del canone: la presenza di un contratto di fornitura dell'energia elettrica, nella cui fattura sarà addebitato il canone stesso;
    il comma 72, lettera c) prevede che il pagamento del canone avviene in dieci rate mensili, addebitate sulle fatture emesse dall'impresa elettrica aventi scadenza del pagamento successiva alla scadenza delle rate; le rate, ai fini dell'inserimento in fattura, s'intendono scadute il primo giorno di ciascuno dei mesi da gennaio ad ottobre;
    la medesima disposizione specifica che l'importo delle rate del canone sarà oggetto di distinta indicazione nel contesto della fattura emessa dall'impresa elettrica;
    appare subito evidente che il principale limite è rappresentato dalle inevitabili difficoltà tecniche con cui sarà attuata l'introduzione del canone in bolletta;
    prevedere poi che nel contesto della stessa fattura sia indicato l'importo delle rate del canone potrebbe aumentare la confusione che le fatture già di per sé ingenerano,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire affinché, soprattutto in fase di prima applicazione di questo nuovo sistema di pagamento del canone e al fine di evitare confusione, sia prevista una distinta fattura della rata del canone rispetto a quella dell'energia elettrica.
9/3444-A/222. (Testo modificato nel corso della seduta) Luigi Gallo.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame ha disposto una serie di misure inerenti all'istruzione e alle istituzioni scolastiche in generale;
    l'istruzione è la basilare esperienza per l'evoluzione e l'elevazione degli individui; il percorso scolastico e la sua didattica costituiscono un volàno per le scelte successive, connesse al mondo del lavoro;
    è indubbio che, ed è così da molto tempo, la conoscenza di almeno una lingua straniera è requisito fondamentale per costruire relazioni nel sistema sociale globalizzato e facilita l'accesso al mondo del lavoro;
    la Commissione delle Comunità europee, nell'ambito del piano d'azione 2004-2005 «Promuovere l'apprendimento delle lingue e la diversità linguistica» ha osservato che «Assicurare l'efficacia dell'apprendimento linguistico fin dalla scuola materna e primaria è una priorità per gli Stati membri, in quanto è a questo stadio della vita che una persona sviluppa il proprio modo di concepire le altre lingue e le altre culture e che si gettano le basi per il successivo apprendimento delle lingue.»;
    pertanto, l'apprendimento di una seconda lingua sin dalla scuola dell'infanzia non può che favorire il percorso di sensibilizzazione verso un codice linguistico ulteriore rispetto a quello della lingua madre;
    considerato che l'inglese è la lingua di comunicazione internazionale più diffusa, in attuazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, segnatamente il comma 1, dell'articolo 1,

impegna il Governo

a favorire l'apprendimento e la dimestichezza della lingua inglese introducendone l'acquisizione nei programmi fin dalla scuola dell'infanzia.
9/3444-A/223Toninelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame ha disposto una serie di misure inerenti all'istruzione e alle istituzioni scolastiche in generale;
    l'istruzione è la basilare esperienza per l'evoluzione e l'elevazione degli individui; il percorso scolastico e la sua didattica costituiscono un volàno per le scelte successive, connesse al mondo del lavoro;
    è indubbio che, ed è così da molto tempo, la conoscenza di almeno una lingua straniera è requisito fondamentale per costruire relazioni nel sistema sociale globalizzato e facilita l'accesso al mondo del lavoro;
    la Commissione delle Comunità europee, nell'ambito del piano d'azione 2004-2005 «Promuovere l'apprendimento delle lingue e la diversità linguistica» ha osservato che «Assicurare l'efficacia dell'apprendimento linguistico fin dalla scuola materna e primaria è una priorità per gli Stati membri, in quanto è a questo stadio della vita che una persona sviluppa il proprio modo di concepire le altre lingue e le altre culture e che si gettano le basi per il successivo apprendimento delle lingue.»;
    pertanto, l'apprendimento di una seconda lingua sin dalla scuola dell'infanzia non può che favorire il percorso di sensibilizzazione verso un codice linguistico ulteriore rispetto a quello della lingua madre;
    considerato che l'inglese è la lingua di comunicazione internazionale più diffusa, in attuazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, segnatamente il comma 1, dell'articolo 1,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di favorire l'apprendimento e la dimestichezza della lingua inglese introducendone l'acquisizione nei programmi fin dalla scuola dell'infanzia.
9/3444-A/223. (Testo modificato nel corso della seduta) Toninelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in titolo non interviene efficacemente in ordine alle emergenze ambientali e alle calamità naturali, in particolare con riferimento agli stati di emergenza dichiarati nell'anno in corso; le misure disposte non appaiono concrete né in grado di garantire un effettivo sostegno alla ricostruzione e alla ripresa del ciclo economico;
    le disposizioni di cui ai commi da 230 a 236, che in sostanza prevedono la possibilità di accedere a prestiti agevolati da parte di chi ha subito dei danni economici a seguito di calamità naturali sollevano tutta una serie di perplessità che riguardano in primo luogo la loro concreta applicazione, ed in secondo l'eccessivo spettro di emergenze che potranno accedere teoricamente alla possibilità di richiedere prestiti agevolati;
    tra i tanti stati di emergenza aperti, vi è ad oggi quello che riguarda i comuni della riviera del Brenta colpiti e devastati da una tromba d'aria verificatasi in data 8 luglio 2015;
    i danni provocati da questa calamità naturale sono stati ingenti, stimati in circa 100 milioni di euro. Gli aiuti da parte dello stato sono stati invece estremamente esigui, sostanziandosi di fatto esclusivamente in due milioni di euro destinati dal fondo emergenze nazionali con delibera del consiglio dei ministri del 17 luglio 2015, ed in un successivo minimo allentamento del patto di stabilità per i comuni interessati;
    il 5 agosto u.s. la Camera dei deputati ha approvato la mozione n. 1-00962, che impegnava il Governo a varare una serie di misure di vantaggio a favore dei territori devastati dalla tromba d'aria, impegni ad oggi non attuati;
    a causa dei mancati aiuti molte imprese e famiglie residenti nei territori dei comuni colpiti della riviera del Brenta si trovano in stato di forte disagio che si ripercuote inevitabilmente sul ciclo economico del territorio,

impegna il Governo:

   all'adozione tempestiva di ulteriori iniziative, anche legislative, volte a:
    costituire un fondo da destinarsi alla ricostruzione dei territori della riviera del Brenta colpiti dalla tromba d'aria dell'8 luglio 2015;
    prevedere misure di defiscalizzazione integrale delle spese connesse alla ricostruzione sostenute dalle imprese ivi residenti;
    a dare attuazione agli impegni contenuti nelle mozioni parlamentari approvate dalla Camera dei deputati nel corso della seduta del 5 agosto 2015.
9/3444-A/224Cozzolino.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 194-bis del provvedimento in esame prevede la possibilità, nei porti sede di autorità portuale con volume di traffico transhipment superiore all'80 per cento del proprio traffico globale, di riduzione o esenzione dalla tassa di ancoraggio in via sperimentale per gli anni dal 2016 al 2018, per le navi porta container in servizio regolare di linea internazionale;
    è rimesso alle autorità portuali di deliberare annualmente l'applicazione ed il limite della misura ed è ad esse riconosciuto un contributo nel limite della metà dell'onere residuale a loro carico;
    la quota alle Autorità a carico dello Stato per la copertura, verrà assegnata tramite decreto ministeriale nel limite di 3 milioni annui;
    negli stessi porti si prevede inoltre la riduzione delle accise sui prodotti energetici per le navi che fanno esclusivamente movimentazione all'interno del porto, nel limite di spesa di 1,8 milioni di euro annui;
    la misura è rivolta anzitutto a tutelare le dinamiche occupazionali di grandi porti come quello di Gioia Tauro e di Cagliari che, a seguito della riduzione del traffico dovuta ad una perdita di competitività dovuta ad una pluralità di fattori, tra cui l'insufficienza di collegamenti infrastrutturali, stanno risentendo di ricadute che si ripercuotono sulle dinamiche occupazionali;
    purtuttavia, data la natura non necessariamente consequenziale del legame tra l'erogazione di tale stanziamento e l'incremento del traffico transhipment, da una parte, e dello stesso incremento con le dinamiche occupazionali, dall'altra, appare opportuno un attento monitoraggio del fenomeno, anche vista la natura «sperimentale» della riduzione della tassazione,

impegna il Governo

ad effettuare una relazione annuale alle Camere sugli effetti dell'utilizzo dello stanziamento previsto dal comma 194-bis dell'articolo 1 dell'AC 3444-A da parte delle Autorità portuali interessate, con specifico riferimento alle dinamiche occupazionali e agli effetti sul traffico.
9/3444-A/225Dieni.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 194-bis del provvedimento in esame prevede la possibilità, nei porti sede di autorità portuale con volume di traffico transhipment superiore all'80 per cento del proprio traffico globale, di riduzione o esenzione dalla tassa di ancoraggio in via sperimentale per gli anni dal 2016 al 2018, per le navi porta container in servizio regolare di linea internazionale;
    è rimesso alle autorità portuali di deliberare annualmente l'applicazione ed il limite della misura ed è ad esse riconosciuto un contributo nel limite della metà dell'onere residuale a loro carico;
    la quota alle Autorità a carico dello Stato per la copertura, verrà assegnata tramite decreto ministeriale nel limite di 3 milioni annui;
    negli stessi porti si prevede inoltre la riduzione delle accise sui prodotti energetici per le navi che fanno esclusivamente movimentazione all'interno del porto, nel limite di spesa di 1,8 milioni di euro annui;
    la misura è rivolta anzitutto a tutelare le dinamiche occupazionali di grandi porti come quello di Gioia Tauro e di Cagliari che, a seguito della riduzione del traffico dovuta ad una perdita di competitività dovuta ad una pluralità di fattori, tra cui l'insufficienza di collegamenti infrastrutturali, stanno risentendo di ricadute che si ripercuotono sulle dinamiche occupazionali;
    purtuttavia, data la natura non necessariamente consequenziale del legame tra l'erogazione di tale stanziamento e l'incremento del traffico transhipment, da una parte, e dello stesso incremento con le dinamiche occupazionali, dall'altra, appare opportuno un attento monitoraggio del fenomeno, anche vista la natura «sperimentale» della riduzione della tassazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di effettuare una relazione annuale alle Camere sugli effetti dell'utilizzo dello stanziamento previsto dal comma 194-bis dell'articolo 1 dell'AC 3444-A da parte delle Autorità portuali interessate, con specifico riferimento alle dinamiche occupazionali e agli effetti sul traffico.
9/3444-A/225. (Testo modificato nel corso della seduta) Dieni.


   La Camera,
   considerato che:
    il servizio dell'assistenza spirituale alle Forze armate dello Stato, istituito per integrare la formazione spirituale delle Forze armate stesse è assicurato e disciplinato da norme basate, per ciò che attiene la religione cattolica sulle intese tra la Repubblica italiana e la Santa sede secondo i principi stabiliti dal Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, e successive modificazioni, e per ciò che attiene le altre confessioni religiose sulle intese stipulate in attuazione dell'articolo 8 della Costituzione;
    la grave crisi economica e la necessità di ridurre il debito contratto dal nostro Paese impone di ottimizzare i risparmi tra le Forze Armate;
    nell'attuale crisi, pur nel rispetto degli accordi citati in premessa, appare necessario ridurre l'impatto economico dei Cappellani militari sul bilancio dello Stato,

impegna il Governo

a riorganizzare il servizio di assistenza spirituale alle Forze Armate dello Stato in modo tale da minimizzare e razionalizzare l'impatto economico dello stesso anche attraverso il blocco delle assunzioni – a decorrere dal 1o gennaio 2016 – di nuovi cappellani militari nelle file delle nostre Forze Armate.
9/3444-A/226Tofalo, Corda, Paolo Bernini.


   La Camera,
   premesso che:
    al comma n.251 dell'articolo 1. Della legge di stabilità 2016 si legge: «Al fine di assicurare, anche in relazione alle straordinarie esigenze di prevenzione e contrasto alla criminalità ed al terrorismo, la prosecuzione degli interventi di cui all'articolo 24, commi 74 e 75, del decreto-legge lo luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, nonché di quelli previsti dall'articolo 3, comma 2, del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, è prorogato, limitatamente ai servizi di vigilanza a siti ed obiettivi sensibili, fino al 31 dicembre 2016, l'impiego di un contingente pari a 4.800 unità di personale delle Forze armate. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 7-bis, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125»;
    in particolare per le esigenze straordinarie di prevenzione del terrorismo in merito alla celebrazione nella città di Roma del Giubileo, si rende necessario razionalizzare la presenza dei militari della «Operazione strade sicure» concentrando gli sforzi nella Capitale,

impegna il Governo

a trasferire nella Capitale l'attuale contingente militare impegnato nel pattugliamento dei cantieri del TAV in Val di Susa e del sotto attraversamento di Firenze per meglio fronteggiare i pericoli del terrorismo durante le celebrazioni del Giubileo
9/3444-A/227Frusone.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Atto Camera n. 3444-A, relativo alla legge di Stabilità per il 2016, prevede diverse misure per adeguare i capitoli di bilancio alle esigenze di spesa;
    il nostro Paese risulta fortemente in ritardo nell'attuazione di misure efficaci di efficientamento e risparmio energetico, con particolare riguardo alle azioni di riqualificazione del patrimonio immobiliare;
    la peculiarità di questo settore, anche per effetto del sistema degli incentivi, è rappresentata dalla frammentarietà degli interventi, spesso circoscritti a singole unità immobiliari e alla sostituzione di specifici elementi costruttivi;
    queste modalità di intervento, rispetto alla riqualificazione dell'intero corpo dell'edificio, risultano meno efficaci sotto il profilo delle performance di risparmio energetico;
    in considerazione anche delle caratteristiche del patrimonio immobiliare italiano, rappresentato da una molteplicità di edifici di vecchia concezione, è sentita la necessità di introdurre delle misure volte a favorire la riqualificazione complessiva degli edifici;
    una di queste potrebbe essere rappresentata dall'introduzione di alcuni sistemi che facilitino le diagnosi energetiche su interi edifici residenziali, secondo i criteri minimi individuati nell'allegato 2 al decreto legislativo n. 102 del 4 luglio 2014,

impegna il Governo

ad individuare le risorse necessarie per l'introduzione di detrazioni dall'imposta lorda, del 65 per cento e fino a un valore della detrazione non superiore a 12.000 euro, per le diagnosi energetiche effettuate sull'intero corpo degli edifici che abbiano un numero di unità immobiliari non inferiore a 4, comprendendo nella diagnosi anche le parti comuni.
9/3444-A/228Vallascas.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Atto Camera n. 3444-A, relativo alla legge di Stabilità per il 2016, prevede diverse misure per adeguare i capitoli di bilancio alle esigenze di spesa;
    il nostro Paese risulta fortemente in ritardo nell'attuazione di misure efficaci di efficientamento e risparmio energetico, con particolare riguardo alle azioni di riqualificazione del patrimonio immobiliare;
    la peculiarità di questo settore, anche per effetto del sistema degli incentivi, è rappresentata dalla frammentarietà degli interventi, spesso circoscritti a singole unità immobiliari e alla sostituzione di specifici elementi costruttivi;
    queste modalità di intervento, rispetto alla riqualificazione dell'intero corpo dell'edificio, risultano meno efficaci sotto il profilo delle performance di risparmio energetico;
    in considerazione anche delle caratteristiche del patrimonio immobiliare italiano, rappresentato da una molteplicità di edifici di vecchia concezione, è sentita la necessità di introdurre delle misure volte a favorire la riqualificazione complessiva degli edifici;
    una di queste potrebbe essere rappresentata dall'introduzione di alcuni sistemi che facilitino le diagnosi energetiche su interi edifici residenziali, secondo i criteri minimi individuati nell'allegato 2 al decreto legislativo n. 102 del 4 luglio 2014,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare le risorse necessarie per l'introduzione di detrazioni dall'imposta lorda, del 65 per cento e fino a un valore della detrazione non superiore a 12.000 euro, per le diagnosi energetiche effettuate sull'intero corpo degli edifici che abbiano un numero di unità immobiliari non inferiore a 4, comprendendo nella diagnosi anche le parti comuni.
9/3444-A/228. (Testo modificato nel corso della seduta) Vallascas.


   La Camera,
   premesso che:
    contiene disposizioni volte alla valorizzazione e alla promozione degli spettacoli dal vivo;
    la promozione degli spettacoli dal vivo, così come il loro finanziamento deve avvenire nel rispetto delle norme e delle diverse sensibilità in un contesto in cui si ritiene ormai superato lo sfruttamento degli animali per finalità pubbliche;
    nei circhi italiani ci sono attualmente circa duemila animali: la maggior parte di loro, come tigri e leoni, nati in cattività;
    numerosi Circhi, nonostante le sentenze definitive per il reato di maltrattamento animali, hanno ricevuto finanziamenti dal Fondo Unico per lo Spettacolo previsto dal Ministero dei Beni Culturali;
    tra i casi più noti si ricordano: il circo di Rolando Folloni che nonostante la sentenza definitiva per il reato di maltrattamento di animali commesso nel 2003, negli anni 2008 e 2009 ha ricevuto contributi del FUS per 15.000 euro; il circo Città di Roma, condannato per la detenzione di elefanti e tigri in condizioni non conformi alla normativa vigente, ha ricevuto nel 2008, 99.500 euro, e nel 2009, 35.000 euro; il circo Lidia Togni, condannato dal Tribunale di Palermo, nella persona della Sig.ra Lidia Togni, la quale con due diverse società ha ricevuto dal 2008 ad oggi ben 817.633 euro di contributi pubblici,

impegna il Governo

a porre in essere tutte le iniziative necessarie al fine di escludere dall'accesso ai contributi previsti dal Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, le attività circensi e di spettacolo viaggiante classificate dall'articolo 4 della legge 18 marzo 1968, n. 337, che detengono o utilizzano o impiegano animali selvatici o riprodotti in cattività, sia autoctoni che alloctoni, nonché specie protette dalla normativa Cites.
9/3444-A/229Paolo Bernini.


   La Camera,
   premesso che:
    contiene disposizioni volte alla valorizzazione e alla promozione degli spettacoli dal vivo;
    la promozione degli spettacoli dal vivo, così come il loro finanziamento deve avvenire nel rispetto delle norme e delle diverse sensibilità in un contesto in cui si ritiene ormai superato lo sfruttamento degli animali per finalità pubbliche;
    nei circhi italiani ci sono attualmente circa duemila animali: la maggior parte di loro, come tigri e leoni, nati in cattività;
    numerosi Circhi, nonostante le sentenze definitive per il reato di maltrattamento animali, hanno ricevuto finanziamenti dal Fondo Unico per lo Spettacolo previsto dal Ministero dei Beni Culturali;
    tra i casi più noti si ricordano: il circo di Rolando Folloni che nonostante la sentenza definitiva per il reato di maltrattamento di animali commesso nel 2003, negli anni 2008 e 2009 ha ricevuto contributi del FUS per 15.000 euro; il circo Città di Roma, condannato per la detenzione di elefanti e tigri in condizioni non conformi alla normativa vigente, ha ricevuto nel 2008, 99.500 euro, e nel 2009, 35.000 euro; il circo Lidia Togni, condannato dal Tribunale di Palermo, nella persona della Sig.ra Lidia Togni, la quale con due diverse società ha ricevuto dal 2008 ad oggi ben 817.633 euro di contributi pubblici,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di porre in essere tutte le iniziative necessarie al fine di escludere dall'accesso ai contributi previsti dal Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, le attività circensi e di spettacolo viaggiante classificate dall'articolo 4 della legge 18 marzo 1968, n. 337, che detengono o utilizzano o impiegano animali selvatici o riprodotti in cattività, sia autoctoni che alloctoni, nonché specie protette dalla normativa Cites.
9/3444-A/229. (Testo modificato nel corso della seduta) Paolo Bernini.


   La Camera,
   premesso che:
    contiene disposizioni, ai commi 145 e seguenti, relative all'accesso al trattamento pensionistico;
    il comma 1 dell'articolo 485 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 stabilisce che il servizio prestato presso le scuole statali e pareggiate, comprese quelle all'estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo;
    il Ministero dell'istruzione dell'università e della Ricerca è risultato più volte soccombente in sede giurisdizionale avendo i giudici ritenuto che la richiamata normativa sia lesiva delle norme comunitarie sulla parità di trattamento del personale, a partire dalla direttiva 1999/70/CE,

impegna il Governo

a porre in essere tutte le iniziative, anche di carattere normativo, volte a garantire il diritto alla ricostruzione di carriera per intero dei docenti immessi in ruolo.
9/3444-A/230Brugnerotto.


   La Camera,
   premesso che:
    contiene disposizioni, ai commi 145 e seguenti, relative all'accesso al trattamento pensionistico;
    il comma 1 dell'articolo 485 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 stabilisce che il servizio prestato presso le scuole statali e pareggiate, comprese quelle all'estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo;
    il Ministero dell'istruzione dell'università e della Ricerca è risultato più volte soccombente in sede giurisdizionale avendo i giudici ritenuto che la richiamata normativa sia lesiva delle norme comunitarie sulla parità di trattamento del personale, a partire dalla direttiva 1999/70/CE,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di porre in essere tutte le iniziative, anche di carattere normativo, volte a garantire il diritto alla ricostruzione di carriera per intero dei docenti immessi in ruolo.
9/3444-A/230. (Testo modificato nel corso della seduta) Brugnerotto.


   La Camera,
   premesso che:
    l'indennità di posizione e l'indennità perequativa sono provvidenze previste dagli articoli 1819 e 1820 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, a favore degli ufficiali delle Forze armate che sono state oggetto del cosiddetto «blocco stipendiale» voluto dal Governo Monti e come previsto dai commi 1 e 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122;
    il 5 marzo 2015 la direzione generale per il personale militare (PERSOMIL) diretta dal generale Gerometta ha emanato una nota con la quale invita a «procedere al conferimento delle provvidenze in questione» a decorrere dal lo gennaio 2011, a seguito di una interpretazione estensiva della sentenza della Corte Costituzionale n. 304 del 2013 che aveva escluso dal blocco delle retribuzioni il personale delle carriere diplomatiche e i magistrati,

impegna il Governo

ad escludere il personale che ha già beneficiato dello sblocco delle indennità previste dagli articoli 1819 e 1820 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 dagli sblocchi stipendiali e dal bonus di 80 euro previsti dalla legge di stabilità 2016.
9/3444-A/231Nesci, Rizzo.


   La Camera,
   premesso che:
    le risorse individuate per il comparto sicurezza, giunte in extremis in corso d'esame, nonostante la loro perdurante e conclamata penuria e la rinnovata minaccia terroristica, appaiono scarse e non sufficientemente efficaci,

impegna il Governo

anche ai fini del recupero nonché dell'ottimizzazione delle risorse utili alla funzionalità del ministero dell'Interno, a svolgere e illustrare tempestivamente alle Camere la ricognizione dei contratti di locazione inerenti agli immobili in uso alle forze del comparto di pubblica sicurezza stipulati con soggetti privati.
9/3444-A/232D'Ambrosio.


   La Camera,
   premesso che:
    le risorse individuate per il comparto sicurezza, giunte in extremis in corso d'esame, nonostante la loro perdurante e conclamata penuria e la rinnovata minaccia terroristica, appaiono scarse e non sufficientemente efficaci,

impegna il Governo

anche ai fini del recupero nonché dell'ottimizzazione delle risorse utili alla funzionalità del ministero dell'Interno, a valutare l'opportunità di svolgere e illustrare tempestivamente alle Camere la ricognizione dei contratti di locazione inerenti agli immobili in uso alle forze del comparto di pubblica sicurezza stipulati con soggetti privati.
9/3444-A/232. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Ambrosio.


   La Camera,
   premesso che:
    che sono in fase di rinnovo e di rinegoziazione, attraverso la pubblicazione, dei bandi per le concessioni di gioco d'azzardo;
    studi attendibili dichiarano che i circa 17 milioni di giocatori d'azzardo che giocano almeno una volta in un anno sono persone con una forte propensione alla spesa e ai consumi;
    il mancato gettito iva dovuto alla promozione del gioco d'azzardo in Italia sia un vero e proprio danno erariale nascosto tenuto conto dell'aumento della raccolta di gioco registratosi questo anno nel settore del gioco d'azzardo in Italia;
    recenti sentenze di giustizia europea hanno stabilito che il principio di tutela della salute e di tutela dell'ordine pubblico siano preminenti rispetto ai principi di stabilità e libertà di impresa e di libera circolazione delle merci e dei servizi;
    la promozione di qualsiasi tipo del gioco d'azzardo sia in netto contrasto con la tutela della salute e in netto contrasto con l'articolo 32 della Costituzione che sancisce la tutela della salute da parte dei decisori politici,

impegna il Governo

ad escludere in fase di pubblicazione, contrattazione e stesura dei nuovi contratti di concessione di giochi d'azzardo, a qualsiasi livello, la possibilità di imporre da parte dello Stato il reinvestimento obbligatorio in pubblicità, sia di tipo diretto che di tipo indiretto, di attività di promozione e comunicazione del settore del gioco d'azzardo e dei marchi.
9/3444-A/233Baroni, Colonnese, Di Vita, Grillo, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero.


   La Camera,
   premesso che:
    che sono in fase di rinnovo e di rinegoziazione, attraverso la pubblicazione, dei bandi per le concessioni di gioco d'azzardo;
    studi attendibili dichiarano che i circa 17 milioni di giocatori d'azzardo che giocano almeno una volta in un anno sono persone con una forte propensione alla spesa e ai consumi;
    il mancato gettito iva dovuto alla promozione del gioco d'azzardo in Italia sia un vero e proprio danno erariale nascosto tenuto conto dell'aumento della raccolta di gioco registratosi questo anno nel settore del gioco d'azzardo in Italia;
    recenti sentenze di giustizia europea hanno stabilito che il principio di tutela della salute e di tutela dell'ordine pubblico siano preminenti rispetto ai principi di stabilità e libertà di impresa e di libera circolazione delle merci e dei servizi;
    la promozione di qualsiasi tipo del gioco d'azzardo sia in netto contrasto con la tutela della salute e in netto contrasto con l'articolo 32 della Costituzione che sancisce la tutela della salute da parte dei decisori politici,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di escludere in fase di pubblicazione, contrattazione e stesura dei nuovi contratti di concessione di giochi d'azzardo, a qualsiasi livello, la possibilità di imporre da parte dello Stato il reinvestimento obbligatorio in pubblicità, sia di tipo diretto che di tipo indiretto, di attività di promozione e comunicazione del settore del gioco d'azzardo e dei marchi.
9/3444-A/233. (Testo modificato nel corso della seduta) Baroni, Colonnese, Di Vita, Grillo, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 119 terzo comma della Costituzione, costituzionalizza il fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante, il quale opera senza vincoli di destinazione (terzo comma). Attraverso le predette risorse (unitamente entrate proprie, compartecipazione al gettito dei tributi erariali), gli enti territoriali devono provvedere al finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite;
    inoltre, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali nonché per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, l'articolo 119, comma 5, della Costituzione prevede la destinazione di risorse aggiuntive da parte dello Stato nonché l'esecuzione di interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni;
    tale disposizione disciplina la c.d. finanza straordinaria la quale, cioè, può intervenire a favore di determinate Regioni (ovvero città o altri enti locali) che versino in situazioni precise, definite oggi secondo gli standard individuati dalla Comunità Europea nel destinare fondi strutturali;
    l'articolo 120 della Costituzione, regola invece il potere sostitutivo dello Stato nei confronti di organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali,

impegna il Governo

a prevedere interventi finanziari speciali, in attuazione degli articoli 119, terzo e quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, al fine di rimuovere gli squilibri economici e sociali nonché prevedere misure di intervento sussidiarie da parte dello Stato, anche per le regioni a statuto speciale e le province autonome, qualora ciò si renda necessario per la tutela dei livelli minimi di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
9/3444-A/234Castelli, D'Incà.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 119 terzo comma della Costituzione, costituzionalizza il fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante, il quale opera senza vincoli di destinazione (terzo comma). Attraverso le predette risorse (unitamente entrate proprie, compartecipazione al gettito dei tributi erariali), gli enti territoriali devono provvedere al finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite;
    inoltre, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali nonché per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, l'articolo 119, comma 5, della Costituzione prevede la destinazione di risorse aggiuntive da parte dello Stato nonché l'esecuzione di interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni;
    tale disposizione disciplina la c.d. finanza straordinaria la quale, cioè, può intervenire a favore di determinate Regioni (ovvero città o altri enti locali) che versino in situazioni precise, definite oggi secondo gli standard individuati dalla Comunità Europea nel destinare fondi strutturali;
    l'articolo 120 della Costituzione, regola invece il potere sostitutivo dello Stato nei confronti di organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere interventi finanziari speciali, in attuazione degli articoli 119, terzo e quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, al fine di rimuovere gli squilibri economici e sociali nonché prevedere misure di intervento sussidiarie da parte dello Stato, anche per le regioni a statuto speciale e le province autonome, qualora ciò si renda necessario per la tutela dei livelli minimi di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
9/3444-A/234. (Testo modificato nel corso della seduta) Castelli, D'Incà.


   La Camera,
   premesso che:
    nel 2013 – secondo il rapporto «Noi Italia» dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) pubblicato nel 2015 – le famiglie in condizione di povertà relativa erano il 12,6 per cento, poco più di 10 milioni di individui, mentre la povertà assoluta coinvolgeva il 7,9 per cento delle famiglie per un totale di circa 6 milioni di individui;
    il Mezzogiorno presentava una situazione di particolare svantaggio, con una media di oltre un quarto di famiglie povere, mentre per il centro e per il nord l'incidenza era più contenuta (rispettivamente 7,5 e 6 per cento);
    l'ISTAT osserva, inoltre, che la crisi ha causato la crescita del dato della disoccupazione di lunga durata, ossia superiore a 12 mesi, che si è attestata al 52,5 per cento nel 2012 e al 56,4 per cento l'anno successivo, il livello più alto degli ultimi dieci anni;
    disoccupazione e povertà, inoltre, aumentano la disuguaglianza e rendono la società meno coesa e più frammentata ed è difficile pensare che puntare solo agli investimenti necessari per crescere in innovazione e infrastrutture servirebbe a sanare questo grave problema sociale;
    oggi l'Italia, insieme alla Grecia, è il Paese europeo che non ha ancora una misura nazionale a sostegno di tutte le famiglie in povertà assoluta. Esistono invece numerose ma frammentate misure di integrazione al reddito che hanno una scarsa efficacia redistributiva e, quindi, una limitata capacità di ridurre la povertà assoluta;
    occorre anche rilevare come sia necessario uscire da una visione ripartivo-assistenziale e assumere il lavoro come motore di sviluppo per uscire dalla povertà e dalla disoccupazione, collegando il contrasto della povertà alle politiche per l'inclusione attiva e operando per prevenirla;
    da questi dati appare evidente la necessità di combattere risolutamente il fenomeno della povertà, collegando le politiche di sostegno al reddito a quelle per l'inclusione attiva delle persone nel mondo del lavoro, vista anche la scelta che il Consiglio europeo ha effettuato con la Strategia Europa 2020 che afferma una visione sociale del modello europeo, includendovi, quindi, anche la lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Tale obiettivo ha assunto rilevanza concreta nel regolamento del Fondo sociale europeo con la decisione di destinare obbligatoriamente il 20 per cento dell'ammontare delle risorse alle politiche di inclusione sociale e, in particolare dalle persone a rischio di povertà relativa, in condizioni di grave deprivazione materiale nonché alle famiglie con bassa intensità di lavoro;
    va ricordato che l'Unione europea ha attivato al riguardo anche due iniziative faro di impegno comune di tutte le istituzioni europee e dei principali soggetti interessati volte a combattere la povertà e l'esclusione sociale. Si tratta, in particolare, di «Un'agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro» e della «Piattaforma europea contro la povertà e l'esclusione sociale», entrambe volte a contribuire all'eliminazione della povertà, in particolare di quella infantile, e a promuovere l'inclusione attiva nella società e nel mercato del lavoro dei gruppi più vulnerabili e altro;
    l'Italia nei propri piani nazionali di riforma si è posta l'impegno di concorrere all'obiettivo europeo di contrasto alla povertà, riducendo entro il 2020 di 2,2 milioni le persone che vivono in condizioni di povertà o di esclusione sociale. La scelta compiuta è stata quella di concentrarsi prioritariamente sulla riduzione della povertà assoluta, che trova riscontro negli alti tassi di deprivazione materiale;
    le nuove povertà presentano un carattere marcatamente multidimensionale e necessitano quindi di interventi coordinati tra i vari livelli di governo in una logica di sistema e di valorizzazione del no profit;
    in particolare, risultano prive di sostegno le persone senza fissa dimora (homeless) che presentano disagio abitativo e dinamiche di povertà collegate;
    si calcola che siano almeno 50 mila le persone senza fissa dimora che vivono in povertà estrema e che hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o di prima accoglienza;
    la legge di stabilità per il 2016, pur avendo approntato misure di contrasto alla povertà non ha predisposto in modo specifico misure contro l'emarginazione di questi cittadini,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre in via sperimentale misure a favore dei comuni per il sostegno di persone con fragilità sociale prive di ogni altra misura previdenziale che siano inserite in programmi di aiuto dei servizi socio-sanitari pubblici, vincolando tali risorse e misure di sostegno a percorsi terapeutici o programmi speciali di contrasto della marginalità, anche presso organizzazioni no profit.
9/3444-A/235Santerini, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 77 del 2006, che ha ratificato la convenzione UNESCO, attribuisce valore simbolico ai siti italiani UNESCO ed impone la priorità di intervento per i progetti di tutela e restauro dei beni culturali, paesaggistici e naturali inclusi nel loro perimetro;
    i comuni, in qualità di referenti per i siti UNESCO, sono tenuti a mettere in campo tutte le misure necessarie per l'attuazione di tale Convenzione ai fini della conservazione e valorizzazione del proprio patrimonio di beni culturali/archeologici ed ambientali;
    le linee guida 2005 dell'UNESCO obbligano gli Stati Membri a dotarsi di un Piano di Gestione con il compito di «assicurare la conservazione dei siti italiani UNESCO e di creare le condizioni per la loro valorizzazione», definendo «le priorità di intervento e le relative modalità attuative nonché le azioni esperibili per reperire le risorse pubbliche e private necessarie», in aggiunta alle scarse misure di sostegno della stessa legge n. 77 del 2006, oltre che «le opportune forme di collegamento con programmi o strumenti normativi che perseguano finalità complementari», nonché di perseguire i necessari accordi interistituzionali tra soggetti competenti;
    l'UNESCO, con il Memorandum di Vienna 2005, ha stilato le Linee Guida per la gestione delle città e dei centri storici inseriti nella WHL che raccomanda particolare attenzione al «paesaggio storico urbano» quale categoria volta ad affiancare la conservazione della forma fisica dei centri storici (forma urbis) con la salvaguardia dei valori sociali e culturali radicati nel vivere urbano e con la qualità della percezione visiva;
    la mancata messa in opera degli interventi di restauro e manutenzione del patrimonio previsti nei Piani di gestione può determinare la messa in mora delle amministrazioni referenti per i siti UNESCO nonché sanzioni che possono arrivare al punto dell'espulsione dei siti dall'elenco della World Heritage List;
    i Comuni hanno competenze fondamentali nell'ambito della erogazione dei servizi essenziali ai cittadini, del welfare urbano, dei servizi ambientali per l'igiene urbana e la salute dei residenti;
    le condizioni della crisi economica rendono stringenti i temi della povertà ed al contempo riducono le risorse disponibili per gli enti locali;
    la conservazione dei beni culturali ed il welfare costituiscono entrambi diritti garantiti dalla costituzione che non possono e non devono confliggere nell'azione pubblica;
    l'importante compito affidato agli Enti locali sui siti UNESCO comprende la custodia di un patrimonio culturale identitario da conservare per le generazioni future ed al contempo una risorsa strategica per lo sviluppo economico e civile del Paese;
    il Governo, approvando il decreto-legge 146/2015 su proposta del Ministro Franceschini, ha avuto la sensibilità di includere la fruibilità dei beni culturali e monumentali tra i servizi pubblici essenziali da garantire a cittadini e turisti;
    gli enti locali vanno supportati in queste funzioni fondamentali con specifica norma,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di prevedere, con apposito provvedimento, che gli investimenti degli Enti Locali per la tutela e la valorizzazione dei Siti UNESCO non siano computati nel patto di stabilità delle amministrazioni locali così da liberare ulteriori risorse da destinare ad interventi per i cittadini e per la normale attività destinata alle opere pubbliche.
9/3444-A/236Bossa, Narduolo, Coscia, Rampi, Manzi, Ascani, Bonaccorsi, Sgambato, Pes, Ghizzoni, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi 548-terdecies e 548-quaterdecies del provvedimento in esame introducono la «card cultura giovani», una carta elettronica per chi compie 18 anni, con un importo massimo di 500 euro, da spendere per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'acquisto di libri nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo con il fine deciso di contrastare con la «Cultura» il dilagante terrorismo islamista, soprattutto dopo i drammatici avvenimenti del novembre scorso a Parigi;
    il comma 179 aumenta, inoltre, di 25 milioni di euro i fondi per il tax credit cinematografico e audiovisivo, riconoscendo il formidabile ruolo dell'industria cinematografica e audiovisiva come veicolo di promozione dell'immagine dell'Italia nel mondo; allo stesso tempo sono stati migliorati i regimi procedurali di funzionamento dell'incentivo;
    permangono tuttavia notevoli disallineamenti in materia fiscale riferita al comparto culturale: IVA diversa tra segmenti culturali, crediti di imposta non armonizzati tra i vari settori, fiscalità locale eccessiva sui luoghi di cultura, differenziazione tra segmenti affini;
    non è solo il pubblico che va sostenuto, ma anche gli stessi artisti e la produzione di nuovi talenti e in questo senso sarebbe quanto mai opportuno prorogare l'incentivo introdotto dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, e sfruttare al massimo il credito d'imposta anche alle opere terze per artisti emergenti; così come la musica popolare contemporanea debba avere pari dignità rispetto alle altre forme artistiche, inserendola tra le attività concertistiche di cui al legge 14 agosto 1967, n. 800;
    l'alto tasso di innovazione tecnologica e creativa del settore dei prodotti videoludici merita un ripensamento delle politiche in materia allo scopo di incentivare lo sviluppo dell'industria di riferimento che posiziona l'Italia tra i Paesi più innovativi in piena sinergia con i vari comparti culturali;
    i percorsi di promozione della lettura vanno stimolati e organizzati in maniera più organica ed efficiente, posto il grande peso che rivestono per l'educazione dei giovani;
    le imprese dell'esercizio cinematografico e teatrale sono, insieme alla scuola, uno dei primi driver dell'alfabetizzazione culturale delle giovani generazioni e rivestono un compito di protagoniste nelle politiche di promozione della cultura, del cinema e dell'arte nel suo complesso; queste imprese hanno subito un incremento dei tributi locali (IMU/TASI/TARI) pari al 300 per cento che è chiaramente insostenibile per il settore, il cui tessuto imprenditoriale è gravemente compromesso;
    investire in Cultura vuol dire favorire la crescita economica, infatti secondo i dati elaborati da Symbola e Unioncamere 1 euro investito in cultura ne produce 1,67,

impegna il Governo:

   a proseguire lo sviluppo di politiche tese a sostenere l'industria culturale italiana, avviando un percorso di armonizzazione fiscale con l'obiettivo di promuovere e stimolare l'intera filiera culturale e creativa;
   a valutare l'opportunità di una rimodulazione al ribasso delle attuali imposte dall'imposta municipale unica (IMU), anche ai fabbricati utilizzati come sala cinematografica o teatrale;
   a prorogare il tax credit musicale nel prossimo triennio, estendendolo alle opere terze e allo stesso tempo riconoscendo il giusto ruolo alla musica popolare contemporanea;
   a promuovere politiche di incentivazione dell'industria videoludica italiana, quale polo di innovazione tecnologica e creativa.
9/3444-A/237Rampi, Bonaccorsi, Manzi, Narduolo.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi 548-terdecies e 548-quaterdecies del provvedimento in esame introducono la «card cultura giovani», una carta elettronica per chi compie 18 anni, con un importo massimo di 500 euro, da spendere per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'acquisto di libri nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo con il fine deciso di contrastare con la «Cultura» il dilagante terrorismo islamista, soprattutto dopo i drammatici avvenimenti del novembre scorso a Parigi;
    il comma 179 aumenta, inoltre, di 25 milioni di euro i fondi per il tax credit cinematografico e audiovisivo, riconoscendo il formidabile ruolo dell'industria cinematografica e audiovisiva come veicolo di promozione dell'immagine dell'Italia nel mondo; allo stesso tempo sono stati migliorati i regimi procedurali di funzionamento dell'incentivo;
    permangono tuttavia notevoli disallineamenti in materia fiscale riferita al comparto culturale: IVA diversa tra segmenti culturali, crediti di imposta non armonizzati tra i vari settori, fiscalità locale eccessiva sui luoghi di cultura, differenziazione tra segmenti affini;
    non è solo il pubblico che va sostenuto, ma anche gli stessi artisti e la produzione di nuovi talenti e in questo senso sarebbe quanto mai opportuno prorogare l'incentivo introdotto dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, e sfruttare al massimo il credito d'imposta anche alle opere terze per artisti emergenti; così come la musica popolare contemporanea debba avere pari dignità rispetto alle altre forme artistiche, inserendola tra le attività concertistiche di cui al legge 14 agosto 1967, n. 800;
    l'alto tasso di innovazione tecnologica e creativa del settore dei prodotti videoludici merita un ripensamento delle politiche in materia allo scopo di incentivare lo sviluppo dell'industria di riferimento che posiziona l'Italia tra i Paesi più innovativi in piena sinergia con i vari comparti culturali;
    i percorsi di promozione della lettura vanno stimolati e organizzati in maniera più organica ed efficiente, posto il grande peso che rivestono per l'educazione dei giovani;
    le imprese dell'esercizio cinematografico e teatrale sono, insieme alla scuola, uno dei primi driver dell'alfabetizzazione culturale delle giovani generazioni e rivestono un compito di protagoniste nelle politiche di promozione della cultura, del cinema e dell'arte nel suo complesso; queste imprese hanno subito un incremento dei tributi locali (IMU/TASI/TARI) pari al 300 per cento che è chiaramente insostenibile per il settore, il cui tessuto imprenditoriale è gravemente compromesso;
    investire in Cultura vuol dire favorire la crescita economica, infatti secondo i dati elaborati da Symbola e Unioncamere 1 euro investito in cultura ne produce 1,67,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di proseguire lo sviluppo di politiche tese a sostenere l'industria culturale italiana, avviando un percorso di armonizzazione fiscale con l'obiettivo di promuovere e stimolare l'intera filiera culturale e creativa;
   a valutare l'opportunità di una rimodulazione al ribasso delle attuali imposte dall'imposta municipale unica (IMU), anche ai fabbricati utilizzati come sala cinematografica o teatrale;
   a valutare l'opportunità di prorogare il tax credit musicale nel prossimo triennio, estendendolo alle opere terze e allo stesso tempo riconoscendo il giusto ruolo alla musica popolare contemporanea;
   a valutare l'opportunità di promuovere politiche di incentivazione dell'industria videoludica italiana, quale polo di innovazione tecnologica e creativa.
9/3444-A/237. (Testo modificato nel corso della seduta) Rampi, Bonaccorsi, Manzi, Narduolo.


   La Camera,
   premesso che:
    il museo Omero, sorto nel 1993 come innovativa struttura comunale per ciechi e ipovedenti, è stato successivamente trasformato, con la legge n. 452 del 25 novembre 1999, in museo tattile statale senza barriere, in quanto, attraverso la valorizzazione della tattilità e di nuovi indirizzi multisensoriali, offre i suoi servizi ad un pubblico sempre più articolato, costituito non solo da minorati della vista, ma anche da portatori di altre disabilità e da persone così dette normodotate, costituendo in tal modo una splendida possibilità d'integrazione nel segno della cultura;
    grazie all'impegno profuso nella ricerca metodologica in campo didattico, scientifico e tecnico delle tematiche relative all'estetica della tattilità ed alla accessibilità ai beni culturali, a favore di categorie di pubblico rimaste finora escluse, il museo Omero svolge una preziosa attività formativa che si esplica tra l'altro mediante laboratori destinati alle scuole e l'organizzazione di corsi di formazione rivolti ad operatori museali ed a educatori;
    la specificità e l'eccellenza dei servizi offerti hanno consentito al museo Omero di svolgere attività di consulenza nei confronti di numerose istituzioni italiane sui temi dell'accessibilità e di sviluppare una vivace collaborazione con importanti istituzioni straniere in campo scientifico e museale, culminata, tra l'altro, nell'organizzazione di diverse mostre tattili all'estero;
    negli anni, sin dalla sua legge istitutiva, il museo si è visto riconoscere risorse statali specifiche per il suo funzionamento;
    da ultimo, l'articolo 5-ter della legge 7 ottobre 2013, n. 112, introdotto in sede di conversione al decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91 (decreto «valore cultura»), ha previsto una spesa di euro 500.000,00 annui, per il triennio 2013-2015, a favore del predetto museo al fine di garantirne il funzionamento;
    attualmente la mancata previsione di nuove risorse economiche, a decorrere dal prossimo anno, rischia di compromettere il funzionamento dell'unica struttura museale statale italiana, pensata per i ciechi e gli ipovedenti, al fine di garantire la crescita e l'integrazione culturale dei minorati della vista,

impegna il Governo

ad individuare risorse certe ed adeguate al ruolo che il Museo Tattile Omero riveste nel panorama nazionale ed internazionale, anche mediante una proroga degli stanziamenti previsti dal sopracitato decreto valore cultura, al fine di sostenerne l'attività svolta ed i servizi offerti, garantendo allo stesso tempo ai disabili visivi, l'esercizio del diritto universale alla fruizione dei beni culturali.
9/3444-A/238Manzi, Coscia, Lodolini, Carrescia, Ascani, Blazina, Bonaccorsi, Bossa, Carocci, Coccia, Crimì, Dallai, Malisani, Malpezzi, Narduolo, Ghizzoni, Orfini, Pes, Piccoli Nardelli, Rampi, Rocchi, Sgambato, Ventricelli, D'Ottavio, Carnevali, Lenzi, Marchetti, Patrizia Maestri.


   La Camera,
   premesso che:
    la Sardegna, regione insulare e ultraperiferica, paga duramente la mancata attuazione di tutti i principi costituzionali in relazione alla coesione e riequilibrio;
    l'articolo 22 (Perequazione infrastrutturale) della legge n. 42 del 2009 dispone quanto segue: «In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi: (...) g) specificità’ insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione»;
    l'articolo 3 della Costituzione italiana dispone: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
    la questione insulare è quella più rilevante della nuova autonomia sarda;
    l'ordinamento costituzionale italiano non ha, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, in alcun modo recepito l'evoluzione ordinamentale dell'Unione europea relativamente alla questione insulare;
    lo statuto autonomo della Sardegna, legge di rango costituzionale, risulta anch'esso privo di un seppur minimo richiamo alla condizione insulare e all'ordinamento comunitario in materia;
    l'articolo 174 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che costituisce la base giuridica per la politica di coesione sociale ed economica dell'Unione europea, fa specifica menzione all'obiettivo di ridurre il ritardo delle regioni insulari. L'articolo 174 recita: «Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. Tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna»;
    al Trattato di Amsterdam è seguita la contestuale dichiarazione n. 30 sulle regioni insulari che definisce gli obblighi dell'Unione nei confronti delle regioni insulari. La dichiarazione n. 30 prevede: «La Conferenza riconosce che le regioni insulari soffrono, a motivo della loro insularità, di svantaggi strutturali il cui perdurare ostacola il loro sviluppo economico e sociale. La Conferenza riconosce pertanto che la legislazione comunitaria deve tener conto di tali svantaggi e che possono essere adottate misure specifiche, se giustificate, a favore di queste regioni per integrarle maggiormente nel mercato interno a condizioni eque»;
    analogo richiamo è contenuto all'articolo 349 del trattato sul funzionamento dell'unione europea, dove si prescrive di adottare misure specifiche per tali regioni tenendo conto delle caratteristiche e dei vincoli», compresa la loro «insularità»;
    l'articolo 170 del medesimo trattato si occupa della questione insulare relativamente alle reti trans-europee. Esso prevede che nello sviluppo di reti trans-europee l'Unione «tiene conto in particolare della necessità di collegare alle regioni centrali dell'Unione le regioni insulari, prive di sbocchi al mare e periferiche»; al fine di dare attuazione alle disposizioni contenute nei Trattati europei la Commissione europea ha fatto predisporre, dal Consorzio Planistat Europe & Bradley Dunbar, un rapporto finale riguardante l'analisi delle regioni insulari dell'Unione europea, dal quale emergono informazioni importanti circa l'esigenza di dotarsi di alcune precondizioni di base per aiutare le regioni insulari ed uscire dal loro isolamento;
    l'Eurostat ha classificato 286 territori insulari popolati da circa 10 milioni di abitanti, con una superficie di 100 mila chilometri quadrati (3 per cento della popolazione dell'Unione e 3,2 per cento della superficie totale);
    l'86 per cento di questa popolazione insulare europea risiede nel Mediterraneo (53 per cento in Sicilia, la stessa che in Danimarca e Finlandia), 17 per cento in Sardegna, 8 per cento nelle Baleari, 5 per cento a Creta e 3 per cento in Corsica);
    la sola Italia conta il 78 per cento della popolazione totale con 31 isole (praticamente le più’ grandi) su 286, che aumenta al 95 per cento (con 123 isole) se si considera l'intero Mediterraneo;
    le analisi sulle strutture economiche delle regioni insulari fanno rilevare che le stesse sono basate su un unico o su un numero esiguo di settori di attività. I problemi principali collegati con l'insularità riguardano indicativamente: a) il costo elevato dei trasporti e delle comunicazioni, nonché la forte dipendenza da infrastrutture e sistemi di prestazione di servizi spesso insufficienti; b) il costo elevato per le imprese obbligate a immagazzinare le materie prime e altre merci in quantità maggiori (in media 2-3 mesi) per difendersi dai rischi di trasporto del clima e altro, che rende i loro fattori di produzione più cari del 20 per cento in media in rapporto alla concorrenza del centro; c) lo scarso approvvigionamento e il costo elevato delle risorse idriche ed energetiche; d) la difficoltà di accesso a servizi, come ad esempio l'istruzione, la sanità, l'aggiornamento, la comunicazione, l'informazione, le attività ricreative, l'amministrazione; e) l'emergere di problemi ambientali come l'inquinamento marino e costiero, l'inquinamento dovuto allo smaltimento di rifiuti solidi e liquidi, l'erosione e la desertificazione delle coste e del territorio in generale, l'esaurimento, la salinizzazione o l'inquinamento delle falde acquifere; f) la carenza di superfici utilizzabili e lo sfruttamento eccessivo o insufficiente delle località turistiche; g) la carenza di personale specializzato; h) la difficoltà di trattenere la popolazione, che impone di affrontare i problemi di diversificazione dell'economia locale, del carattere stagionale delle attività, della promozione di nuove attività produttive; tali problemi, dovuti alle piccole dimensioni delle isole, al loro isolamento naturale e alla lontananza rispetto ai centri europei e nazionali, determinano una ridotta competitività nelle imprese insulari e, in generale, una scarsa capacità di attrazione per l'insediamento permanente di individui, imprese e capitali; i limiti, secondo il rapporto finale sui territori insulari, sono sintetizzabili in cinque grandi questioni: perifericità, trasporti, e accesso ai mercati; struttura economica; popolazione attiva e evoluzioni demografiche; accesso ai servizi pubblici, quali le tecnologie dell'informazione e comunicazione, la salute e l'educazione; problemi ambientali e limitazione delle risorse naturali;
    in questo quadro d'insieme emerge in tutta la sua stringente attualità la discriminazione che subisce la Sardegna sia sul piano legislativo, costituzionale, statuale, economico e sociale, infrastrutturale e culturale;
    risulta totalmente violato il «principio-diritto» al riequilibrio e alla compensazione di tali divari;
    era indispensabile non ridurre la questione insulare ad un generico, quanto inappropriato, richiamo a principi di solidarietà, che appartengono ad una sfera non misurabile e non oggettiva della compensazione, ma ricondurla a parametri certi e misurabili funzionali ad un reale diritto al riequilibrio;
    è fin troppo evidente che gli effetti legati alla condizione insulare hanno una ricaduta su gran parte degli indicatori economici e sociali e che quindi gli stessi devono essere individuati e con puntualità analizzati;
    la mancata attuazione dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale presuppone una grave e sostanziale violazione costituzionale;
    una violazione costituzionale che si evidenzia nell'atlante infrastrutturale (CNEL e Istituto Tagliacarte), dal quale emergono dati di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale;
    per quanto riguarda le reti energetiche, l'indice è di 100 per l'Italia; di 64,54 per il Mezzogiorno; di 35,22 per la Sardegna;
    per quanto riguarda le reti stradali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,10 per il Mezzogiorno; di 45,59 per la Sardegna;
    per quanto riguarda le reti ferroviarie, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,81 per il Mezzogiorno; di 15,06 per la Sardegna;
    la rappresentazione economica del divario nella pianificazione infrastrutturale del Paese rende, ad avviso degli interroganti, il dato macroscopico tale da evidenziare una vera e propria emergenza nazionale sul piano della coesione economica ed infrastrutturale, minando i presupposti fondamentali della stessa Carta costituzionale in termini di coesione nazionale, uguaglianza tra cittadini e libertà;
    tale analisi assume una valenza ancor più’ significativa nel dato relativo al valore pro capite dell'investimento infrastrutturale nel nostro Paese;
    con riferimento allo stanziamento pro capite – dall'esame dello studio richiamato – il valore pro capite del costo dell'intero programma infrastrutturale ad oggi stimato è pari ad una media di circa 6.000 euro ad abitante se si considera l'intero costo, quindi compresa la quota non ripartibile a livello regionale (14.143 milioni/euro);
    il dato pro capite fa registrare la Calabria con circa 23.000 euro, il Molise con oltre 18.000 euro ad abitante, la Basilicata con 14.000 euro, la Liguria con 13.000 euro, il Friuli e l'Umbria con oltre 8.000 euro. Tra le regioni più’ grandi, al di sopra della media regionale si collocano; la Sicilia con oltre 7.000 euro; il Piemonte, con un importo leggermente inferiore (6.978 euro); il Veneto (oltre 6.000 euro). L'Emilia Romagna supera i 5.000 euro, la Lombardia registra un valore intorno ai 4.000 euro, come la Toscana, mentre Lazio e Campania si attestano sui 3.000 euro. La Sardegna si attesta sui 3.423 euro pro capite; il divario pro capite tra regioni è rappresentato dai seguenti dati (euro/persona): Calabria 23.085; Molise 18.018; Basilicata 14.165; Liguria 13.037; Friuli Venezia Giulia 8.231; Umbria 8.212; Valle d'Aosta 7.449; Sicilia 7.187; Piemonte 6.978; Veneto 6.119; Abruzzo 6.206; Trentino Alto Adige 5.965; Emilia Romagna 5.456; Lombardia 4.032; Toscana 4.025; Lazio 3.441; Sardegna 3.423; Campania 3.225; Puglia 2.127; Marche 1.393;
    i dati emersi configurano un gravissimo divario di trattamento tra regioni che, anche escludendo opere interregionali o di interesse nazionale, costituisce un vero e proprio ulteriore limite alla coesione nazionale;
    il mancato perseguimento di un riequilibrio infrastrutturale nella pianificazione strategica si aggiunge ad un divario strutturale che diventa ancor più rilevante per regioni come la Sardegna che, oltre ad avere stanziamenti decisamente inferiori a quanto gli spetterebbe in base ai dati medi nazionali per quanto riguarda la proiezione sia sulla superficie territoriale che su quella pro capite, deve scontare un divario permanente legato alla condizione insulare, la Sardegna nelle aree più tutelate sul piano ambientale e comprese in siti di importanza comunitaria viene letteralmente bombardata e distrutta a colpi di missili e bombe;
    oltre 36.000 ettari di terra sarda vengono occupate da basi e poligoni militari manifestandosi come una vera e propria occupazione militare della Sardegna;
    oltre 450.000 ettari di terra sarda sono devastati da attività inquinanti che ne fanno l'isola più inquinata dell'Italia;
    il Governo continua a negare l'attuazione della zona franca integrale, anche in chiave di riequilibrio insulare;
    il Governo continua a tergiversare senza alcun tipo di concreto e serio risultato sulle vertenze Alcoa, Ottana e Porto Torres;

impegna il Governo:

   a predisporre appositi provvedimenti economici d'urgenza tesi a misurare e compensare il divario insulare;
   a prevedere nell'ambito di questi provvedimenti economici misure finanziarie, economiche e normative adeguate per il riequilibrio al fine di colmare i seguenti divari:
    a) divario in materia di trasporti, aerei e marittimi, passeggeri e merci, nei collegamenti da e per la Sardegna;
    b) il divario infrastrutturale da colmare attraverso la realizzazione della Piastra Logistica EuroMediterranea della Sardegna con la connessione viaria e ferroviaria tra i porti e gli aeroporti dell'isola;
    c) il divario economico per le attività produttive legato al costo energetico e ai principali fattori della produzione endogena legati al divario insulare;
   a riconoscere, attraverso un proprio atto, d'intesa con la regione Sardegna, un decreto attuativo di una Zona franca di riequilibrio insulare alla Produzione esteso a tutta la regione in attuazione delle disposizioni vigenti a partire dal decreto legislativo n.75 del 10 marzo 1998 e seguenti;
   a prevedere nell'ambito del riequilibrio economico insulare atti d'indirizzo all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico tesi al riconoscimento di un costo energetico per le industrie energivore pari al minimo costo europeo dell'energia elettrica per tale tipologia di impianti e riconosce in virtù dell'insularità alle centrali elettriche della Sardina il regime di essenzialità insulare.
9/3444-A/239Pili.


   La Camera,
   premesso che:
    la Sardegna, regione insulare e ultraperiferica, paga duramente la mancata attuazione di tutti i principi costituzionali in relazione alla coesione e riequilibrio;
    l'articolo 22 (Perequazione infrastrutturale) della legge n. 42 del 2009 dispone quanto segue: «In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi: (...) g) specificità’ insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione»;
    l'articolo 3 della Costituzione italiana dispone: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
    la questione insulare è quella più rilevante della nuova autonomia sarda;
    l'ordinamento costituzionale italiano non ha, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, in alcun modo recepito l'evoluzione ordinamentale dell'Unione europea relativamente alla questione insulare;
    lo statuto autonomo della Sardegna, legge di rango costituzionale, risulta anch'esso privo di un seppur minimo richiamo alla condizione insulare e all'ordinamento comunitario in materia;
    l'articolo 174 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che costituisce la base giuridica per la politica di coesione sociale ed economica dell'Unione europea, fa specifica menzione all'obiettivo di ridurre il ritardo delle regioni insulari. L'articolo 174 recita: «Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. Tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna»;
    al Trattato di Amsterdam è seguita la contestuale dichiarazione n. 30 sulle regioni insulari che definisce gli obblighi dell'Unione nei confronti delle regioni insulari. La dichiarazione n. 30 prevede: «La Conferenza riconosce che le regioni insulari soffrono, a motivo della loro insularità, di svantaggi strutturali il cui perdurare ostacola il loro sviluppo economico e sociale. La Conferenza riconosce pertanto che la legislazione comunitaria deve tener conto di tali svantaggi e che possono essere adottate misure specifiche, se giustificate, a favore di queste regioni per integrarle maggiormente nel mercato interno a condizioni eque»;
    analogo richiamo è contenuto all'articolo 349 del trattato sul funzionamento dell'unione europea, dove si prescrive di adottare misure specifiche per tali regioni tenendo conto delle caratteristiche e dei vincoli», compresa la loro «insularità»;
    l'articolo 170 del medesimo trattato si occupa della questione insulare relativamente alle reti trans-europee. Esso prevede che nello sviluppo di reti trans-europee l'Unione «tiene conto in particolare della necessità di collegare alle regioni centrali dell'Unione le regioni insulari, prive di sbocchi al mare e periferiche»; al fine di dare attuazione alle disposizioni contenute nei Trattati europei la Commissione europea ha fatto predisporre, dal Consorzio Planistat Europe & Bradley Dunbar, un rapporto finale riguardante l'analisi delle regioni insulari dell'Unione europea, dal quale emergono informazioni importanti circa l'esigenza di dotarsi di alcune precondizioni di base per aiutare le regioni insulari ed uscire dal loro isolamento;
    l'Eurostat ha classificato 286 territori insulari popolati da circa 10 milioni di abitanti, con una superficie di 100 mila chilometri quadrati (3 per cento della popolazione dell'Unione e 3,2 per cento della superficie totale);
    l'86 per cento di questa popolazione insulare europea risiede nel Mediterraneo (53 per cento in Sicilia, la stessa che in Danimarca e Finlandia), 17 per cento in Sardegna, 8 per cento nelle Baleari, 5 per cento a Creta e 3 per cento in Corsica);
    la sola Italia conta il 78 per cento della popolazione totale con 31 isole (praticamente le più’ grandi) su 286, che aumenta al 95 per cento (con 123 isole) se si considera l'intero Mediterraneo;
    le analisi sulle strutture economiche delle regioni insulari fanno rilevare che le stesse sono basate su un unico o su un numero esiguo di settori di attività. I problemi principali collegati con l'insularità riguardano indicativamente: a) il costo elevato dei trasporti e delle comunicazioni, nonché la forte dipendenza da infrastrutture e sistemi di prestazione di servizi spesso insufficienti; b) il costo elevato per le imprese obbligate a immagazzinare le materie prime e altre merci in quantità maggiori (in media 2-3 mesi) per difendersi dai rischi di trasporto del clima e altro, che rende i loro fattori di produzione più cari del 20 per cento in media in rapporto alla concorrenza del centro; c) lo scarso approvvigionamento e il costo elevato delle risorse idriche ed energetiche; d) la difficoltà di accesso a servizi, come ad esempio l'istruzione, la sanità, l'aggiornamento, la comunicazione, l'informazione, le attività ricreative, l'amministrazione; e) l'emergere di problemi ambientali come l'inquinamento marino e costiero, l'inquinamento dovuto allo smaltimento di rifiuti solidi e liquidi, l'erosione e la desertificazione delle coste e del territorio in generale, l'esaurimento, la salinizzazione o l'inquinamento delle falde acquifere; f) la carenza di superfici utilizzabili e lo sfruttamento eccessivo o insufficiente delle località turistiche; g) la carenza di personale specializzato; h) la difficoltà di trattenere la popolazione, che impone di affrontare i problemi di diversificazione dell'economia locale, del carattere stagionale delle attività, della promozione di nuove attività produttive; tali problemi, dovuti alle piccole dimensioni delle isole, al loro isolamento naturale e alla lontananza rispetto ai centri europei e nazionali, determinano una ridotta competitività nelle imprese insulari e, in generale, una scarsa capacità di attrazione per l'insediamento permanente di individui, imprese e capitali; i limiti, secondo il rapporto finale sui territori insulari, sono sintetizzabili in cinque grandi questioni: perifericità, trasporti, e accesso ai mercati; struttura economica; popolazione attiva e evoluzioni demografiche; accesso ai servizi pubblici, quali le tecnologie dell'informazione e comunicazione, la salute e l'educazione; problemi ambientali e limitazione delle risorse naturali;
    in questo quadro d'insieme emerge in tutta la sua stringente attualità la discriminazione che subisce la Sardegna sia sul piano legislativo, costituzionale, statuale, economico e sociale, infrastrutturale e culturale;
    risulta totalmente violato il «principio-diritto» al riequilibrio e alla compensazione di tali divari;
    era indispensabile non ridurre la questione insulare ad un generico, quanto inappropriato, richiamo a principi di solidarietà, che appartengono ad una sfera non misurabile e non oggettiva della compensazione, ma ricondurla a parametri certi e misurabili funzionali ad un reale diritto al riequilibrio;
    è fin troppo evidente che gli effetti legati alla condizione insulare hanno una ricaduta su gran parte degli indicatori economici e sociali e che quindi gli stessi devono essere individuati e con puntualità analizzati;
    la mancata attuazione dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale presuppone una grave e sostanziale violazione costituzionale;
    una violazione costituzionale che si evidenzia nell'atlante infrastrutturale (CNEL e Istituto Tagliacarte), dal quale emergono dati di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale;
    per quanto riguarda le reti energetiche, l'indice è di 100 per l'Italia; di 64,54 per il Mezzogiorno; di 35,22 per la Sardegna;
    per quanto riguarda le reti stradali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,10 per il Mezzogiorno; di 45,59 per la Sardegna;
    per quanto riguarda le reti ferroviarie, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,81 per il Mezzogiorno; di 15,06 per la Sardegna;
    la rappresentazione economica del divario nella pianificazione infrastrutturale del Paese rende, ad avviso degli interroganti, il dato macroscopico tale da evidenziare una vera e propria emergenza nazionale sul piano della coesione economica ed infrastrutturale, minando i presupposti fondamentali della stessa Carta costituzionale in termini di coesione nazionale, uguaglianza tra cittadini e libertà;
    tale analisi assume una valenza ancor più’ significativa nel dato relativo al valore pro capite dell'investimento infrastrutturale nel nostro Paese;
    con riferimento allo stanziamento pro capite – dall'esame dello studio richiamato – il valore pro capite del costo dell'intero programma infrastrutturale ad oggi stimato è pari ad una media di circa 6.000 euro ad abitante se si considera l'intero costo, quindi compresa la quota non ripartibile a livello regionale (14.143 milioni/euro);
    il dato pro capite fa registrare la Calabria con circa 23.000 euro, il Molise con oltre 18.000 euro ad abitante, la Basilicata con 14.000 euro, la Liguria con 13.000 euro, il Friuli e l'Umbria con oltre 8.000 euro. Tra le regioni più’ grandi, al di sopra della media regionale si collocano; la Sicilia con oltre 7.000 euro; il Piemonte, con un importo leggermente inferiore (6.978 euro); il Veneto (oltre 6.000 euro). L'Emilia Romagna supera i 5.000 euro, la Lombardia registra un valore intorno ai 4.000 euro, come la Toscana, mentre Lazio e Campania si attestano sui 3.000 euro. La Sardegna si attesta sui 3.423 euro pro capite; il divario pro capite tra regioni è rappresentato dai seguenti dati (euro/persona): Calabria 23.085; Molise 18.018; Basilicata 14.165; Liguria 13.037; Friuli Venezia Giulia 8.231; Umbria 8.212; Valle d'Aosta 7.449; Sicilia 7.187; Piemonte 6.978; Veneto 6.119; Abruzzo 6.206; Trentino Alto Adige 5.965; Emilia Romagna 5.456; Lombardia 4.032; Toscana 4.025; Lazio 3.441; Sardegna 3.423; Campania 3.225; Puglia 2.127; Marche 1.393;
    i dati emersi configurano un gravissimo divario di trattamento tra regioni che, anche escludendo opere interregionali o di interesse nazionale, costituisce un vero e proprio ulteriore limite alla coesione nazionale;
    il mancato perseguimento di un riequilibrio infrastrutturale nella pianificazione strategica si aggiunge ad un divario strutturale che diventa ancor più rilevante per regioni come la Sardegna che, oltre ad avere stanziamenti decisamente inferiori a quanto gli spetterebbe in base ai dati medi nazionali per quanto riguarda la proiezione sia sulla superficie territoriale che su quella pro capite, deve scontare un divario permanente legato alla condizione insulare, la Sardegna nelle aree più tutelate sul piano ambientale e comprese in siti di importanza comunitaria viene letteralmente bombardata e distrutta a colpi di missili e bombe;
    oltre 36.000 ettari di terra sarda vengono occupate da basi e poligoni militari manifestandosi come una vera e propria occupazione militare della Sardegna;
    oltre 450.000 ettari di terra sarda sono devastati da attività inquinanti che ne fanno l'isola più inquinata dell'Italia;
    il Governo continua a negare l'attuazione della zona franca integrale, anche in chiave di riequilibrio insulare;
    il Governo continua a tergiversare senza alcun tipo di concreto e serio risultato sulle vertenze Alcoa, Ottana e Porto Torres;

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    predisporre appositi provvedimenti economici d'urgenza tesi a misurare e compensare il divario insulare;
    a prevedere nell'ambito di questi provvedimenti economici misure finanziarie, economiche e normative adeguate per il riequilibrio al fine di colmare i seguenti divari:
     a) divario in materia di trasporti, aerei e marittimi, passeggeri e merci, nei collegamenti da e per la Sardegna;
     b) il divario infrastrutturale da colmare attraverso la realizzazione della Piastra Logistica EuroMediterranea della Sardegna con la connessione viaria e ferroviaria tra i porti e gli aeroporti dell'isola;
     c) il divario economico per le attività produttive legato al costo energetico e ai principali fattori della produzione endogena legati al divario insulare;
    riconoscere, attraverso un proprio atto, d'intesa con la regione Sardegna, un decreto attuativo di una Zona franca di riequilibrio insulare alla Produzione esteso a tutta la regione in attuazione delle disposizioni vigenti a partire dal decreto legislativo n.75 del 10 marzo 1998 e seguenti;
    prevedere nell'ambito del riequilibrio economico insulare atti d'indirizzo all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico tesi al riconoscimento di un costo energetico per le industrie energivore pari al minimo costo europeo dell'energia elettrica per tale tipologia di impianti e riconosce in virtù dell'insularità alle centrali elettriche della Sardina il regime di essenzialità insulare.
9/3444-A/239. (Testo modificato nel corso della seduta) Pili.


   La Camera,
   premesso che:
    è all'esame della Camera il disegno di legge C. 3444, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», già approvato in prima lettura dal Senato della Repubblica e modificato in questo ramo del Parlamento;
    durante l'esame alla Camera dei deputati e stato approvato un emendamento che prevede l'introduzione, nelle aziende sanitarie ed ospedaliere, di un percorso di protezione denominato «Percorso tutela vittime di violenza»;
    tale emendamento ha altresì stabilito che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge saranno definite le linee guida a livello nazionale per l'attuazione di questo percorso;
    il Parlamento ha approvato la legge di ratifica della Convenzione di Istanbul, per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica;
    a seguito della ratifica di tale Convenzione, è stata approvata la legge 119 del 2013 con la quale si prevede che le donne che subiscono maltrattamenti abbiano il diritto di disporre di un sistema di supporto coordinato tra diversi attori territoriali come, nel caso dell'Italia, i Centri antiviolenza, i Pronto Soccorso, le forze dell'ordine all'uopo formate, i servizi sociali;
    il Governo, ha recentemente adottato e finanziato, in base a quanto previsto dall'articolo 5 della legge 119 del 2013, un Piano nazionale Anti-violenza, con il quale sono state stanziate risorse e previste politiche volte a rafforzare la rete territoriale, in un'ottica di empowerment femminile,

impegna il Governo:

   ad assicurare la coerenza delle linee guida previste dalla legge di stabilità con la Convenzione di Istanbul ed il coordinamento delle stesse linee guida con il Piano Antiviolenza, anche al fine di ottimizzare gli sforzi e le risorse nel contrastare il fenomeno della violenza sulle donne;
   a prevedere, prima dell'adozione delle linee guida, il coinvolgimento delle commissioni parlamentari competenti;
   a presentare una relazione semestrale al: Parlamento sui risultati Conseguiti nel contrasto alla violenza sulle donne.
9/3444-A/240Roberta Agostini, Murer, Miotto, Fabbri, Patrizia Maestri, Marzano, Malisani, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    l'istituzione delle Città metropolitane costituisce un importante passaggio nel riassetto anche istituzionale dei governi territoriali con significative funzioni attribuite dalla legge agli enti metropolitani e considerando che la crisi finanziaria delle Province rischia di coinvolgere anche l'avvio della nuova istituzione locale,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di istituire direttamente il tributo sull'imbarco e sbarco dei passeggeri nei porti ed aeroporti siti nel territorio delle città metropolitane, laddove non sia stato già istituito, anziché rimandare ad un successivo provvedimento attuativo;
   a valutare la possibilità di modificare l'attuale meccanismo di contribuzione del comparto Province e Città metropolitane alle manovre di finanza pubblica sostituendo il sistema del taglio e del riversamento di quota parte dei tributi provinciali e metropolitani con la cessione integrale di un tributo;
   a valutare la possibilità di fissare al 50 per cento della spesa sostenuta per personale temporaneo nel 2014 il limite per le assunzioni temporanee del 2015 e del 2016 in caso di superamento dei limiti di pagamento delle fatture di cui all'articolo 41, comma 2, del decreto-legge 66 del 2014. Inoltre, stante l'esigenza di consentire la prosecuzione di alcuni servizi essenziali caratterizzati da esigenze di carattere stagionale, eccezionale o sostitutivo, esigenza già valutata e riscontrata dal legislatore nella norma vigente che disciplina il limite finanziario per il ricorso al lavoro flessibile (articolo 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, secondo cui «gli enti locali possono superare il predetto limite per le assunzioni strettamente necessarie a garantire l'esercizio delle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale»), a valutare la possibilità di prevedere l'esclusione della sanzione per violazione dell'indicatore dei tempi di pagamento per le predette assunzioni.
9/3444-A/241Minnucci.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 140 del provvedimento in esame incrementa di 8 milioni di euro annui, a decorrere dal 2016, lo stanziamento previsto per le scuole paritarie e in particolare, dispone che, dal 2016, lo stanziamento previsto dall'articolo 1, comma 169, della legge n. 190 del 2014 e pari a 228 milioni di euro;
    a livello nazionale le scuole paritarie rappresentano il 24 per cento delle scuole italiane ed accolgono il 10 per cento della popolazione scolastica; in particolare le scuole dell'infanzia – che accolgono bambini per i quali non c’è posto nelle strutture statali – ospitano circa il 40 per cento dei bambini (642.040 nell'anno scolastico 2012/2013);
    in alcune regioni, quali la Sicilia, il servizio da esse offerto è determinante per garantire la funzione sociale ed educativa – fondamentale per le famiglie - coprendo parte dell'offerta del servizio;
    nell'esercizio finanziario 2015 della regione Sicilia le scuole paritaria dell'infanzia hanno subito una decurtazione del 90 per cento passando da una dotazione di tre milioni a trecentomila euro;

impegna il Governo

monitorare i criteri per la distribuzione alle regioni delle risorse finanziarie in favore delle scuole paritarie e a verificare le avvenute erogazioni al fine di tutelare e garantire equamente su tutto il territorio nazionale un servizio sociale ed educativo, fondamentale per le famiglie.
9/3444-A/242Piccione.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 140 del provvedimento in esame incrementa di 8 milioni di euro annui, a decorrere dal 2016, lo stanziamento previsto per le scuole paritarie e in particolare, dispone che, dal 2016, lo stanziamento previsto dall'articolo 1, comma 169, della legge n. 190 del 2014 e pari a 228 milioni di euro;
    a livello nazionale le scuole paritarie rappresentano il 24 per cento delle scuole italiane ed accolgono il 10 per cento della popolazione scolastica; in particolare le scuole dell'infanzia – che accolgono bambini per i quali non c’è posto nelle strutture statali – ospitano circa il 40 per cento dei bambini (642.040 nell'anno scolastico 2012/2013);
    in alcune regioni, quali la Sicilia, il servizio da esse offerto è determinante per garantire la funzione sociale ed educativa – fondamentale per le famiglie - coprendo parte dell'offerta del servizio;
    nell'esercizio finanziario 2015 della regione Sicilia le scuole paritaria dell'infanzia hanno subito una decurtazione del 90 per cento passando da una dotazione di tre milioni a trecentomila euro;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di monitorare i criteri per la distribuzione alle regioni delle risorse finanziarie in favore delle scuole paritarie e a verificare le avvenute erogazioni al fine di tutelare e garantire equamente su tutto il territorio nazionale un servizio sociale ed educativo, fondamentale per le famiglie.
9/3444-A/242. (Testo modificato nel corso della seduta) Piccione.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame interviene positivamente in favore del settore culturale;
    l'articolo 10, del disegno di legge 8 agosto 2013, n. 91 recante «Disposizioni urgenti per assicurare la prosecuzione del funzionamento dei teatri e degli enti pubblici e privati operanti nei settori dei beni e delle attività culturali» ha disposto – per gli enti è agli organismi che operano nel settore dei beni e delle attività culturali, la non applicazione delle riduzioni di spesa previste dall'articolo 6, comma 8 e 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, conv. mod. dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e la limitazione dei consumi intermedi prevista dall'articolo 8, comma 3 del decreto-legge n. 95 del 2011, conv. mod. dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 si applica nella misura ridotta dell'8 per cento, anziché del 10 per cento;
    ritenuto che tali misure non siano comunque state sufficienti a scongiurare la fine della produzione culturale, spettacolistica e teatrale di tutti gli enti operanti nei settori dei beni e delle attività culturali nel nostro Paese, e in particolar modo con riferimento a tutti gli enti indicati allo stesso articolo 10, comma 1 primo alinea del d.l. n. 91 del 2013 inclusi nell'elenco ISTAT di cui alla legge di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, in sede di approvazione del primo provvedimento utile, di escludere dall'applicazione delle disposizioni di cui al decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e dalla riduzione dei consumi intermedi di cui all'articolo 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, le istituzioni, gli enti e gli organismi che operano nel settore dei beni e delle attività culturali e a reperire idonee risorse finanziarie finalizzate a scongiurare la fine della produzione culturale, e in particolar modo con riferimento a tutti gli enti indicati dal provvedimento in esame inclusi nell'elenco ISTAT di cui alla legge di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196.
9/3444-A/243Malpezzi, Malisani, Carocci, Manzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame detta una serie di disposizioni a favore dei territori colpiti negli ultimi anni da eventi sismici;
    nel 2016 si terranno le celebrazioni per il quarantennale del terremoto in Friuli Venezia Giulia;
    la legislazione allora emanata e le forme organizzative e operative utilizzate si sono manifestate molto efficaci, tanto da essere considerate come modello nazionale di ricostruzione dei territori colpiti da eventi sismici;
    considerato che tra i Paesi del Mediterraneo il nostro è a maggiore rischio sismico, un percorso di ricerca atto a ricostruire e successivamente ad attualizzare l'iter normativo/burocratico, le azioni e le decisioni intraprese sulla base di quanto avvenuto nel periodo della «ricostruzione» post terremoto del 1976 nella regione Friuli Venezia Giulia, potrebbero creare un modello unico di ricostruzione post-sisma da poter utilizzare per la gestione delle emergenze;
    nella regione Friuli Venezia Giulia è stato avviato dalla Regione un tavolo di lavoro tecnico/istituzionale in collaborazione con l'Università di Udine, i VVFF, l'Associazione Comuni Terremotati e i Sindaci della ricostruzione del Friuli, Comune di Venzone e Protezione civile regionale, al fine di realizzare un campo di addestramento con l'obiettivo formativo in materie connesse alla gestione dell'emergenza sismica anche in un'ottica di miglioramento dell'interoperabilità transfrontaliera tra i soggetti di protezione civile;
    in altre situazioni sono stati intrapresi, sia per gli interventi emergenziali che ricostruttivi, difformi percorsi realizzativi non sempre adeguati,

impegna il Governo

in occasione del quarantennale del terremoto in Friuli Venezia Giulia, a stanziare risorse adeguate finalizzate ad avviare un percorso di ricerca volto a favorire l'analisi comparata della legislazione esistente – sia per gli interventi emergenziali che per la programmazione delle attività post sisma attraverso uno studio delle norme finora emanate per le scelte, le azioni, le decisioni intraprese, al fine di pervenire a un possibile modello legislativo, normativo e operativo di riferimento anche con l'obiettivo di implementare un vero e proprio sistema specialistico specificatamente dedicato al trattamento delle criticità, strutturali in emergenza sismica.
9/3444-A/244Malisani, Coppola, Zanin, Brandolin.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi 133-136 del provvedimento in esame recano un incremento del Fondo per il finanziamento ordinario delle università di 47 milioni di euro per l'anno 2016 e di 50,5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017, finalizzato all'assunzione di ricercatori di cui all'articolo 24, comma 3 lettera b) della legge 240 del 2010;
    il citato articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, stabilisce che i, posti di ricercatore a TD di tipo b) siano riservati a candidati che hanno usufruito di contratti di ricercatore a TD di tipo a), ovvero, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge: 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, ovvero ancora di borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, o di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri;
    in sede parlamentare e negli ambiti universitari è in corso un delicato percorso interpretativo in merito alla possibilità, per gli assegnisti ex articolo 22, legge n. 240 del 2010 che abbiano già svolto un triennio di assegno di ricerca, di partecipare alle selezioni per ricercatori a TD di tipo b) alla pari degli omologhi assegnisti ex articolo 51, legge n. 449 del 1997;

impegna il Governo

per le finalità di cui al comma 133 a valutare l'opportunità di modificare le disposizioni di cui all'articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 al fine di consentire, a quanti abbiano svolto un triennio di assegno di ricerca ex articolo 22 della legge 240 del 2010, la possibilità di partecipare alle procedure per il reclutamento di ricercatori a tempo determinato di cui all'articolo 24 comma 3 lettera b) della citata legge.
9/3444-A/245Ghizzoni, Coscia, Manzi, Rampi, Narduolo, Malisani.


   La Camera,
   premesso che:
    l'AC 3444 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2016) prevede al comma 128 che nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 11 e 12 della legge 7 agosto 2015, n. 124, con riferimento all'omogeneizzazione del trattamento economico fondamentale ed accessorio della dirigenza, a decorrere dal 1o gennaio 2016 l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente a trattamento accessorio del personale non può superare il corrispondente importo per l'anno 2015;
    il comma in questione ha un campo di applicazione non ben definito, in quanto se si prende in considerazione l'articolo 1 comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001 la norma si applica a tutti i dirigenti e dipendenti pubblici «anche di livello dirigenziale» come confermato dal riferimento all'articolo 17 della legge delega 124/15 ma, l'Articolo 11 della legge 7 agosto 2015 n. 12.4 però esclude la dirigenza della scuola e la dirigenza sanitaria del SSN dal ruolo unico della dirigenza pubblica;
    per la dirigenza sanitaria del SSN il salario accessorio, è indispensabile per remunerare le guardie, le reperibilità e gli straordinari, istituti necessari per la sicurezza delle cure e per assicurare la flessibilità nell'erogazione dei servizi;

impegna il Governo

nelle more dell'adozione dei decreti legislativi così come previsto dal comma 128 del presente provvedimento ad escludere dall'applicazione del comma in oggetto la dirigenza medica.
9/3444-A/246Iacono, Miotto.


   La Camera,
   premesso che:
    l'AC 3444 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2016) prevede al comma 128 che nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 11 e 12 della legge 7 agosto 2015, n. 124, con riferimento all'omogeneizzazione del trattamento economico fondamentale ed accessorio della dirigenza, a decorrere dal 1o gennaio 2016 l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente a trattamento accessorio del personale non può superare il corrispondente importo per l'anno 2015;
    il comma in questione ha un campo di applicazione non ben definito, in quanto se si prende in considerazione l'articolo 1 comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001 la norma si applica a tutti i dirigenti e dipendenti pubblici «anche di livello dirigenziale» come confermato dal riferimento all'articolo 17 della legge delega 124/15 ma, l'Articolo 11 della legge 7 agosto 2015 n. 12.4 però esclude la dirigenza della scuola e la dirigenza sanitaria del SSN dal ruolo unico della dirigenza pubblica;
    per la dirigenza sanitaria del SSN il salario accessorio, è indispensabile per remunerare le guardie, le reperibilità e gli straordinari, istituti necessari per la sicurezza delle cure e per assicurare la flessibilità nell'erogazione dei servizi;

impegna il Governo

nelle more dell'adozione dei decreti legislativi così come previsto dal comma 128 del presente provvedimento a valutare l'opportunità di escludere dall'applicazione del comma in oggetto la dirigenza medica.
9/3444-A/246. (Testo modificato nel corso della seduta) Iacono, Miotto.


   La Camera,
   premesso che:
    l'AC 3444 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2016) prevede al comma 208 per l'attuazione di un Piano di lotta alla povertà e all'esclusione sociale l'istituzione di un Fondo al quale sono assegnate risorse pari a 600 milioni di euro per l'anno 2016 e di 1.000 milioni di euro a decorrere dal 2017;
    al comma 210 si prevede che «le risorse stanziate per l'attuazione di un Piano nazionale per la lotta alla povertà per gli anni successivi al 2016, siano destinate al finanziamento di uno o più provvedimenti legislativi di riordino della normativa in materia di trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni di natura assistenziale» ... «finalizzati all'introduzione di, un'unica misura nazionale di contrasto alla povertà, correlata alla differenza tra il reddito familiare del beneficiario e la soglia di povertà assoluta e alla razionalizzazione degli strumenti e dei trattamenti esistenti»;
    la disposizione di cui al comma 210 è stata intesa con preoccupazione dalle rappresentanza sociali in quanto si teme un trasferimento di risorse tra settori che invece vanno tenuti distinti in quanto rispondono ad esigenze profondamente diverse,

impegna il Governo

a far sì che nei futuri provvedimenti di riordino della spesa sociale così come previsto dal comma 208 si tenga conto delle diverse esigenze sociali a cui si vuole dare adeguata risposta tenendo distinte quelle che sono le misure economiche sociali volte a contrastare la povertà sia essa relativa od assoluta da quelle che le persone disabili percepiscono proprio in funzione della loro disabilità indipendentemente dal reddito personale o familiare che percepiscono.
9/3444-A/247Lenzi, Carnevali, D'Incecco, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    l'AC 3444 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2016) prevede al comma 208 per l'attuazione di un Piano di lotta alla povertà e all'esclusione sociale l'istituzione di un Fondo al quale sono assegnate risorse pari a 600 milioni di euro per l'anno 2016 e di 1.000 milioni di euro a decorrere dal 2017;
    al comma 210 si prevede che «le risorse stanziate per l'attuazione di un Piano nazionale per la lotta alla povertà per gli anni successivi al 2016, siano destinate al finanziamento di uno o più provvedimenti legislativi di riordino della normativa in materia di trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni di natura assistenziale» ... «finalizzati all'introduzione di, un'unica misura nazionale di contrasto alla povertà, correlata alla differenza tra il reddito familiare del beneficiario e la soglia di povertà assoluta e alla razionalizzazione degli strumenti e dei trattamenti esistenti»;
    la disposizione di cui al comma 210 è stata intesa con preoccupazione dalle rappresentanza sociali in quanto si teme un trasferimento di risorse tra settori che invece vanno tenuti distinti in quanto rispondono ad esigenze profondamente diverse,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di far sì che nei futuri provvedimenti di riordino della spesa sociale così come previsto dal comma 208 si tenga conto delle diverse esigenze sociali a cui si vuole dare adeguata risposta tenendo distinte quelle che sono le misure economiche sociali volte a contrastare la povertà sia essa relativa od assoluta da quelle che le persone disabili percepiscono proprio in funzione della loro disabilità indipendentemente dal reddito personale o familiare che percepiscono.
9/3444-A/247. (Testo modificato nel corso della seduta) Lenzi, Carnevali, D'Incecco, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati pubblicati sul sito web del Ministero dell'interno nel 2013 sono sbarcati sulle coste italiane 62692 immigrati nel 2011; 13267 nel 2012; 42925 nel 2013 e 170100 nel 2014;
    nel 2015 sono già stati salvati nel mar Mediterraneo 132 mila rifugiati e migranti che sono poi sbarcati in Italia, mentre 3 mila persone hanno perso la vita in mare nel tentativo di trovare sicurezza nell'Unione Europea;
    cifre record che fanno del Mediterraneo non un'eccezione, ma la cartina di tornasole della straordinaria portata dei flussi migratori che si registra a livello mondiale;
    nonostante l'Europa abbia riconosciuto all'Italia il suo impegno nell'affrontare l'eccezionale ondata immigratoria che ormai da qualche anno coinvolge le nostre coste, l'arrivo costante di un numero così alto di immigrati sul nostro territorio comporta necessariamente un intervento sanitario sempre più articolato specialmente per ciò che riguarda l'emergenza, l'assistenza al parto, la pediatria;
    questo comporta per le regioni un aumento dei costi per altro tra di loro diversamente distribuito,

impegna il Governo:

   a considerare, ai fini del riparto della quota vincolata del Fondo Sanitario Nazionale l'accoglienza dei migranti richiedenti protezione internazionale, ospitati nelle strutture previste dal Piano Nazionale quale obiettivo del Piano stesso;
   a tener conto, in sede di trattativa con l'Europa, anche dei maggior costi sostenuti sia dallo Stato che dalle regioni in materia di assistenza sanitaria per l'accoglienza degli immigrati.
9/3444-A/248D'Incecco.


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati pubblicati sul sito web del Ministero dell'interno nel 2013 sono sbarcati sulle coste italiane 62692 immigrati nel 2011; 13267 nel 2012; 42925 nel 2013 e 170100 nel 2014;
    nel 2015 sono già stati salvati nel mar Mediterraneo 132 mila rifugiati e migranti che sono poi sbarcati in Italia, mentre 3 mila persone hanno perso la vita in mare nel tentativo di trovare sicurezza nell'Unione Europea;
    cifre record che fanno del Mediterraneo non un'eccezione, ma la cartina di tornasole della straordinaria portata dei flussi migratori che si registra a livello mondiale;
    nonostante l'Europa abbia riconosciuto all'Italia il suo impegno nell'affrontare l'eccezionale ondata immigratoria che ormai da qualche anno coinvolge le nostre coste, l'arrivo costante di un numero così alto di immigrati sul nostro territorio comporta necessariamente un intervento sanitario sempre più articolato specialmente per ciò che riguarda l'emergenza, l'assistenza al parto, la pediatria;
    questo comporta per le regioni un aumento dei costi per altro tra di loro diversamente distribuito,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    considerare, ai fini del riparto della quota vincolata del Fondo Sanitario Nazionale l'accoglienza dei migranti richiedenti protezione internazionale, ospitati nelle strutture previste dal Piano Nazionale quale obiettivo del Piano stesso;
    tener conto, in sede di trattativa con l'Europa, anche dei maggior costi sostenuti sia dallo Stato che dalle regioni in materia di assistenza sanitaria per l'accoglienza degli immigrati.
9/3444-A/248. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Incecco.


   La Camera,
   premesso che:
    la normativa italiana prevede una serie di disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, pubblici e privati aperti al pubblico;
    in particolare la definizione di barriera architettonica e contenuta nell'articolo 1, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996 che definisce le «barriere architettoniche» come:
    a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;
    b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature o componenti;
    c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi;
   la legge 9 gennaio 1989, n. 13, ha introdotto per i portatori di menomazioni o limitazioni funzionali permanenti la possibilità di richiedere un contributo per le spese sostenute per opere volte all'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici;
   l'articolo 10 della suddetta legge, ha istituito presso il Ministero dei lavori pubblici (ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) un Fondo per l'eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati. Le risorse di detto fondo, sono annualmente ripartite tra le regioni richiedenti in proporzione del fabbisogno indicato dalle regioni medesime, e da queste ripartite tra i comuni richiedenti;
   l'integrazione delle persone con disabilità nella vita quotidiana rientra nel più ampio principio di uguaglianza garantito dall'articolo 3 della Costituzione, e che sancisce tra l'altro l'obbligo di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana,

impegna il Governo

ad assumere iniziative urgenti volti a reperire le risorse necessarie al rifinanziamento del fondo previsto dalla legge n. 13 del 1989, per il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche.
9/3444-A/249Argentin, Carnevali, D'Incecco, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    la normativa italiana prevede una serie di disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, pubblici e privati aperti al pubblico;
    in particolare la definizione di barriera architettonica e contenuta nell'articolo 1, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996 che definisce le «barriere architettoniche» come:
    a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;
    b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature o componenti;
    c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi;
   la legge 9 gennaio 1989, n. 13, ha introdotto per i portatori di menomazioni o limitazioni funzionali permanenti la possibilità di richiedere un contributo per le spese sostenute per opere volte all'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici;
   l'articolo 10 della suddetta legge, ha istituito presso il Ministero dei lavori pubblici (ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) un Fondo per l'eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati. Le risorse di detto fondo, sono annualmente ripartite tra le regioni richiedenti in proporzione del fabbisogno indicato dalle regioni medesime, e da queste ripartite tra i comuni richiedenti;
   l'integrazione delle persone con disabilità nella vita quotidiana rientra nel più ampio principio di uguaglianza garantito dall'articolo 3 della Costituzione, e che sancisce tra l'altro l'obbligo di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere iniziative urgenti volti a reperire le risorse necessarie al rifinanziamento del fondo previsto dalla legge n. 13 del 1989, per il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche.
9/3444-A/249. (Testo modificato nel corso della seduta) Argentin, Carnevali, D'Incecco, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    in occasione dell'approvazione della legge 18 agosto 2000, n. 236, recante «Disposizioni varie in materia di pensioni di guerra», il Governo accolse un ordine del giorno a firma del senatore Vegas, votato all'unanimità, con il quale si impegnava il Governo stesso a reperire in sede di legge finanziaria per il 2001 le risorse necessarie per «elevare in maniera significativa l'assegno supplementare previsto per le vedove dei grandi invalidi di guerra»;
    nonostante successivamente l'approvazione della legge n. 234 del 2003 «Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici di guerra» non si dava seguito al citato ordine del giorno a danno così delle vedove dei grandi invalidi di guerra, il cui assegno supplementare non trovava nel testo di legge alcuna considerazione,

impegna il Governo

ad individuare nel prossimo provvedimento utile risorse economiche e finanziarie adeguate atte ad elevare in maniera significativa l'assegno supplementare delle vedove dei grandi invalidi di guerra, previsto dal quarto comma dell'articolo 38 del Testo Unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, come modificato dal comma 1 dell'articolo 4 della legge 6 ottobre 1986, n. 656 tenendo conto della misura dell'assegno di superinvalidità, contemplato dalla Tabella «E» o riferito alla Tabella «E» di cui in vita ha usufruito il grande invalido.
9/3444-A/250Fossati, Miotto, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    in occasione dell'approvazione della legge 18 agosto 2000, n. 236, recante «Disposizioni varie in materia di pensioni di guerra», il Governo accolse un ordine del giorno a firma del senatore Vegas, votato all'unanimità, con il quale si impegnava il Governo stesso a reperire in sede di legge finanziaria per il 2001 le risorse necessarie per «elevare in maniera significativa l'assegno supplementare previsto per le vedove dei grandi invalidi di guerra»;
    nonostante successivamente l'approvazione della legge n. 234 del 2003 «Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici di guerra» non si dava seguito al citato ordine del giorno a danno così delle vedove dei grandi invalidi di guerra, il cui assegno supplementare non trovava nel testo di legge alcuna considerazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare nel prossimo provvedimento utile risorse economiche e finanziarie adeguate atte ad elevare in maniera significativa l'assegno supplementare delle vedove dei grandi invalidi di guerra, previsto dal quarto comma dell'articolo 38 del Testo Unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, come modificato dal comma 1 dell'articolo 4 della legge 6 ottobre 1986, n. 656 tenendo conto della misura dell'assegno di superinvalidità, contemplato dalla Tabella «E» o riferito alla Tabella «E» di cui in vita ha usufruito il grande invalido.
9/3444-A/250. (Testo modificato nel corso della seduta) Fossati, Miotto, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, all'articolo 1 comma 304-septies recita «in deroga a quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 marzo 2015, di attuazione all'articolo 4, comma 10, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, gli enti del Servizio sanitario nazionale possono indire, entro il 31 dicembre 2016 e concludere entro il 31 dicembre 2017 procedure concorsuali straordinarie per l'assunzione di personale medico ed infermieristico, necessario a far fronte alle eventuali esigenze assunzionali emerse in relazione alle valutazioni operate sul piano di fabbisogno del personale secondo quanto previsto dal comma 304-quinquies;
   altre professioni sanitarie risentono di un carico orario anomalo e confliggente con le indicazioni della normativa europea, in particolare i tecnici di patologia clinica e dei centri trasfusionali e i tecnici sanitari di radiologia medica, che nei presidi sede DEA di I livello o di Pronto Soccorso garantiscono le prestazioni in emergenza – urgenza ancorché in pronta disponibilità,

impegna il Governo

ad individuare modalità per l'estensione della deroga alle restanti tipologie di esercenti le professioni sanitarie.
9/3444-A/251Amato, Carnevali, D'Incecco.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, all'articolo 1 comma 304-septies recita «in deroga a quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 marzo 2015, di attuazione all'articolo 4, comma 10, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, gli enti del Servizio sanitario nazionale possono indire, entro il 31 dicembre 2016 e concludere entro il 31 dicembre 2017 procedure concorsuali straordinarie per l'assunzione di personale medico ed infermieristico, necessario a far fronte alle eventuali esigenze assunzionali emerse in relazione alle valutazioni operate sul piano di fabbisogno del personale secondo quanto previsto dal comma 304-quinquies;
   altre professioni sanitarie risentono di un carico orario anomalo e confliggente con le indicazioni della normativa europea, in particolare i tecnici di patologia clinica e dei centri trasfusionali e i tecnici sanitari di radiologia medica, che nei presidi sede DEA di I livello o di Pronto Soccorso garantiscono le prestazioni in emergenza – urgenza ancorché in pronta disponibilità,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare modalità per l'estensione della deroga alle restanti tipologie di esercenti le professioni sanitarie.
9/3444-A/251. (Testo modificato nel corso della seduta) Amato, Carnevali, D'Incecco.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, all'articolo 1, commi 312 e segg. prevede la revisione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria prevedendo un incremento di spesa non superiore a 800 milioni di euro annui per la prima revisione;
    con le medesime norme sono definiti tempi e procedure per l'aggiornamento dei LEA, nonché l'istituzione di una Commissione nazionale per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e la promozione dell'appropriatezza nel Servizio sanitario nazionale;
    con il comma 321, viene prevista la possibilità che il Ministero della Salute, per attività di supporto alla predetta Commissione, si possa avvalere, tramite specifiche convenzioni, della collaborazione con istituti di ricerca, società scientifiche e strutture pubbliche e private, anche non nazionali,

impegna il Governo

a ricorrere alla collaborazione con istituti di ricerca, società scientifiche non nazionali solo dopo aver verificato che non ci siano analoghe esperienze in Italia, e orientando la scelta su soggetti che abbiano maturato esperienza in sistemi sanitari pubblici universali.
9/3444-A/252Miotto, Marazziti, Carnevali, D'Incecco.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, all'articolo 1, commi 312 e segg. prevede la revisione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria prevedendo un incremento di spesa non superiore a 800 milioni di euro annui per la prima revisione;
    con le medesime norme sono definiti tempi e procedure per l'aggiornamento dei LEA, nonché l'istituzione di una Commissione nazionale per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e la promozione dell'appropriatezza nel Servizio sanitario nazionale;
    con il comma 321, viene prevista la possibilità che il Ministero della Salute, per attività di supporto alla predetta Commissione, si possa avvalere, tramite specifiche convenzioni, della collaborazione con istituti di ricerca, società scientifiche e strutture pubbliche e private, anche non nazionali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di ricorrere alla collaborazione con istituti di ricerca, società scientifiche non nazionali solo dopo aver verificato che non ci siano analoghe esperienze in Italia, e orientando la scelta su soggetti che abbiano maturato esperienza in sistemi sanitari pubblici universali.
9/3444-A/252. (Testo modificato nel corso della seduta) Miotto, Marazziti, Carnevali, D'Incecco.


   La Camera,
   premesso che:
    gli alimenti a fini, medici speciali (cosiddetti AFMS), contemplati dalla direttiva 2009/39/CE, sono prodotti la cui composizione ed elaborazione sono studiate per rispondere alle esigenze nutrizionali particolari dette persone alle quali vengono essenzialmente destinati per ragioni mediche e si distinguono perciò nettamente dagli alimenti di consumo corrente e dagli integratori alimentari;
    gli alimenti a fini medici speciali sono prodotti dietetici, specialmente processati o formulati che richiedono di essere utilizzati «sotto controllo medico» destinati all'alimentazione completa o parziale di pazienti con una limitata, diminuita o disturbata capacità di assunzione, digestione, assorbimento, metabolizzazione o escrezione degli alimenti di uso corrente o di alcuni nutrienti o metaboliti in essi contenuti; sono destinati all'alimentazione completa o parziale di pazienti il cui trattamento dietetico, inteso come dietary management, non può essere realizzato né con una modifica della normale dieta, né impiegando altri prodotti dietetici, né combinando alimenti di uso corrente con altri prodotti dietetici, rivestendo in casi specifici i ruoli) di veri e propri «salvavita»;
    il regime di detraibilità delle spese mediche, stabilito dal Testo Unico delle imposte sui redditi, stabilisce che il 19 per cento delle spese sostenute per cure mediche e per l'assistenza sanitaria possa essere detratto ai fini dell'Irpef. In particolare, in base al comma 1 lettera c) dell'articolo 15 sono detraibili i farmaci e i dispositivi medici, mentre non sono detraibili in alcun modo le spese per parafarmaci integratori alimentari prodotti fitoterapici cosmetici pomate, colliri, a meno, che (come ha affermato l'Agenzia dell'Entrate) non si tratti di medicinali approvati dall'Aifa e certificati come tali;
    gli Alimenti a Fini Medici Speciali non rientrano al momento nella categoria dei prodotti detraibili, nonostante debbano essere notificati al Ministero della Salute e vengano somministrati su raccomandazione e sotto supervisione medica,

impegna il Governo

a modificare l'articolo 15 del TUIR, al fine di rendere detraibili le spese sostenute per l'acquisto di alimenti a fini medici speciali, così da garantire in breve tempo lo stesso vantaggio fiscale per numerosi pazienti affetti da problemi di salute, spesso cronici, che si trovano quindi a dover sostenere spese, economiche rilevanti.
9/3444-A/253D'Incecco.


   La Camera,
   premesso che:
    gli alimenti a fini, medici speciali (cosiddetti AFMS), contemplati dalla direttiva 2009/39/CE, sono prodotti la cui composizione ed elaborazione sono studiate per rispondere alle esigenze nutrizionali particolari dette persone alle quali vengono essenzialmente destinati per ragioni mediche e si distinguono perciò nettamente dagli alimenti di consumo corrente e dagli integratori alimentari;
    gli alimenti a fini medici speciali sono prodotti dietetici, specialmente processati o formulati che richiedono di essere utilizzati «sotto controllo medico» destinati all'alimentazione completa o parziale di pazienti con una limitata, diminuita o disturbata capacità di assunzione, digestione, assorbimento, metabolizzazione o escrezione degli alimenti di uso corrente o di alcuni nutrienti o metaboliti in essi contenuti; sono destinati all'alimentazione completa o parziale di pazienti il cui trattamento dietetico, inteso come dietary management, non può essere realizzato né con una modifica della normale dieta, né impiegando altri prodotti dietetici, né combinando alimenti di uso corrente con altri prodotti dietetici, rivestendo in casi specifici i ruoli) di veri e propri «salvavita»;
    il regime di detraibilità delle spese mediche, stabilito dal Testo Unico delle imposte sui redditi, stabilisce che il 19 per cento delle spese sostenute per cure mediche e per l'assistenza sanitaria possa essere detratto ai fini dell'Irpef. In particolare, in base al comma 1 lettera c) dell'articolo 15 sono detraibili i farmaci e i dispositivi medici, mentre non sono detraibili in alcun modo le spese per parafarmaci integratori alimentari prodotti fitoterapici cosmetici pomate, colliri, a meno, che (come ha affermato l'Agenzia dell'Entrate) non si tratti di medicinali approvati dall'Aifa e certificati come tali;
    gli Alimenti a Fini Medici Speciali non rientrano al momento nella categoria dei prodotti detraibili, nonostante debbano essere notificati al Ministero della Salute e vengano somministrati su raccomandazione e sotto supervisione medica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di modificare l'articolo 15 del TUIR, al fine di rendere detraibili le spese sostenute per l'acquisto di alimenti a fini medici speciali, così da garantire in breve tempo lo stesso vantaggio fiscale per numerosi pazienti affetti da problemi di salute, spesso cronici, che si trovano quindi a dover sostenere spese, economiche rilevanti.
9/3444-A/253. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Incecco.


   La Camera,
   premesso che:
    nella legge di Stabilità 2016 il Governo ha voluto sostenere in modo considerevole la mobilità lenta e la valorizzazione di percorsi ciclabili e ciclovie prevedendo complessivamente per i prossimi tre anni 91 milioni di euro (17 milioni per il 2016, 37 milioni per i successivi 2017 e 2018) volti alla progettazione e realizzazione di un sistema nazionale di ciclovie turistiche nonché alla progettazione e realizzazione di ciclostazioni e di interventi concernenti la sicurezza della ciclabilità cittadina e indicando quali interventi prioritari la ciclovia del Sole Verona-Firenze, la ciclovia VenTo Venezia Torino, Grab Roma. Un intervento rilevante a sostegno di una forma di mobilità sostenibile e compatibile come il cicloturismo che peraltro, proprio grazie all'emendamento del Governo, nel passaggio dalla Camera al Senato registra un notevole incremento di risorse dedicate ma che, tuttavia, lascia sguarnite le Regioni del Mezzogiorno, dando la priorità a interventi tutti localizzati nelle regioni centro settentrionali;
    in questi anni in Puglia è nato e si è consolidato il Coordinamento dal Basso per la ciclovia dell'Acquedotto pugliese, che persegue l'obiettivo di realizzare la più grande infrastruttura cicloturistica italiana lungo il percorso dell'Acquedotto pugliese e le tre regioni (Puglia, Basilicata, Campania) che attraversa;
    la Ciclovia dell'Acquedotto Pugliese è un percorso cicloturistico ed insieme escursionistico di 500 chilometri che si snoda lungo il tracciato di due condotte storiche dell'acquedotto: il Canale Principale, da Caposele (AV) a Villa Castelli (BR), costruito a partire dal 1906, ed il Grande Sifone Leccese che dal punto terminale del primo giunge fino a Santa Maria di Leuca (LE), dove l'infrastruttura è celebrata con una cascata monumentale realizzata negli anni ’30 dall'architetto Cesare Brunetti;
    quello della Ciclovia dell'Aqp è un «itinerario narrativo» unico nel suo genere che attraversa tre regioni del Sud (Campania, Basilicata e Puglia), mettendo in collegamento alcuni dei luoghi più affascinanti e ancora poco valorizzati della penisola: Alta Irpina, Vulture Melfese, Alta Murgia, Valle d'Itria, Arneo ed entroterra del Salento. Un tracciato che può contare già contare su circa 230 chilometri di strade (piste) di servizio esistenti e quasi interamente percorribili. Una ciclovia che per metà del suo percorso diventa via verde, preclusa al traffico motorizzato, comprendente un tratto al confine tra Campania e Basilicata ed un lunghissimo tratto, interrotto solo per pochi chilometri, da Venosa (PZ) a Sedi (LE). In Salento e in Irpinia possono essere utilizzate molte strade rurali mentre sono del tutto assenti tratti da percorrere su pericolose strade provinciali;
    la Ciclovia e Cammino dell'Acquedotto Pugliese necessita di un progetto intelligente di restauro e fruizione più che di trasformazione/riconversione, preservando il più possibile autenticità e naturalità dell'infrastruttura storica. Gli interventi minimi e prioritari che potrebbero renderla in tempi brevi una delle vie verdi del turismo sostenibile più importanti d'Europa sono essenzialmente: l'adeguamento dei cancelli già presenti a tutela di buona parte delle strade di servizio per consentire il transito di bici e pedoni; la messa in sicurezza di attraversamenti e barriere laterali e l'apposizione di segnaletica lungo il tracciato. Le tracce da seguire sono gli impianti di captazione presso le sorgenti (includendo anche quella, bellissima, di Cassano Irpino), i tantissimi ponti canale, opere che oltre alle tante gallerie servirono a superare tratti vallivi e corsi d'acqua per far viaggiare la condotta «a pelo libero», ossia in leggera pendenza costante per sfruttare la gravità e, già allora, consumare meno energia possibile. Le tracce da seguire sono anche gli impianti di sollevamento, gli edifici storici di acquedotto, gli impianti di potabilizzazione, i serbatoi pensili, le case cantoniere e le centrali idroelettriche (tra cui la centrale Battaglia che sfrutta l'ultimo salto dell'acqua a Villa Castelli);
    la Regione Puglia, attraverso Acquedotto Pugliese SpA, azienda di cui detiene la totalità delle azioni, ha finanziato e realizzato un primo tratto di 10 chilometri della ciclovia in Valle d'Itria, tra Figazzano (località tra i Comuni di Locorotondo e Cisternino) e Ceglie Messapica (BR), con ulteriori 10 chilometri in corso di ultimazione fino a Villa Castelli e Grottaglie. Tale realizzazione nasce da uno studio di fattibilità e da un protocollo d'intesa tra la Regione e la sua azienda idrica del 2008 circa la percorribilità ciclistica e ciclopedonale delle vie di servizio dell'Acquedotto (Progetto CYRONMED, Delibera G.R. n. 963 del 9 giugno 2009);
    nel Piano Attuativo del Piano Regionale dei Trasporti 2015-2019 della Regione Puglia si prevede il completamento del tratto a nord fino a Gioia del Colle (BA) e, verso sud, il raccordo con la viabilità, di servizio del Consorzio di Bonifica dell'Arneo (circa 50 chilometri di strada asfaltata già, esistente) e con la pista ciclabile in corso, di realizzazione tra Nardò e Seclì (opera di compensazione richiesta e ottenuta dai Comuni attraversati dai lavori di potenziamento della grande adduzione - III Lotto Acquedotto del Sinni);
    nel Marzo 2015 si è costituito formalmente il «Coordinamento dal. Basso per la Ciclovia dell'Acquedotto Pugliese», comitato che conta ormai oltre 70 tra associazioni e imprese delle tre regioni che, per la prima volta, ha chiesto la realizzazione di un progetto unitario di Ciclovia lungo tutto, il suo itinerario narrativo, da Caposele a Leuca. Tra i membri del comitato anche il portale Bikeitalia.it, che ha lanciato una petizione offline per chiedere il completamento dell'opera raccogliendo oltre 25.000 firme. Nell'estate appena trascorsa è stata compiuta la prima «Cicloesplorazione dell'Acquedotto Pugliese», un viaggio in bicicletta di 5 giorni che ha verificato la fattibilità e le potenzialità del percorso cicloturistico, raccontato sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno e su Bikeitalia.it ottenendo grande visibilità anche su altri media (servizi su TG Norba e articolo nella sezione Viaggi di Repubblica.it). Il 14 dicembre u.s. a Martina Franca (TA) il Coordinamento ha organizzato un convegno e laboratorio dal titolo «Lungo la Ciclovia dell'Acquedotto Pugliese: storia, patrimonio industriale e valorizzazione condivisa». Organizzato in collaborazione con CNR-IBAM e AIPAI, l'evento ha testimoniato la rilevanza del percorso sia sotto il profilo paesaggistico e ambientale che culturale, sottolineando la presenza di un ricchissimo patrimonio di archeologia industriale,

impegna il Governo

a fare suo il progetto Ciclovia dell'Acquedotto pugliese e ad intraprendere nelle fasi successive all'approvazione della Stabilità una azione a sostegno della sua realizzazione, sostenendone la progettazione esecutiva in modo tale da mettere a sistema i segmenti già parzialmente realizzati, anche attraverso una intesa con le tre Regioni coinvolte dal tracciato della Ciclovia e nell'ambito dei Patti individuati dal Masterplan per il Mezzogiorno come uno degli strumenti più efficaci per l'individuazione di progetti strategici da sostenere e realizzare attraverso l'utilizzo di risorse nazionali e comunitarie.
9/3444-A/254Capone, Mariano, Ginefra, Vico, Mongiello, Michele Bordo, Cassano, Massa, Grassi, Ventricelli, Losacco, Pelillo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'AC 3444 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2016) si propone, all'articolo 1, comma 198, di promuovere la costituzione e di favorire la diffusione delle così denominate «società benefit»;
    nella medesima legge, all'articolo 1 comma 198 si definiscono «società benefit» le imprese economiche che, oltre allo scopo di conseguire utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portori di interesse;
    al comma 199 dell'articolo 1 della medesima legge si, afferma che tali finalità vengono perseguite mediante una gestione volta al bilanciamento con l'interesse dei soci e di coloro sui quali l'attività sociale possa avere un impatto, e che possono essere perseguite da ciascuna delle società di cui al Libro V, Titolo V e VI del Codice Civile;
    il comma 201 dell'articolo 1 della medesima legge prescrive che le società benefit indichino, nell'ambito del proprio oggetto sociale, le finalità specifiche di beneficio comune che intendono perseguire;
    comma 204 dell'articolo 1 della medesima legge prescrive che le società benefit redigano annualmente una relazione concernente il perseguimento del beneficio comune da allegare al bilancio societario, e che tale documento includa la descrizione degli obbiettivi perseguiti e delle azioni attuate, la valutazione dell'impatto generato e la descrizione dei nuovi obiettivi per l'anno successivo;
    il comma 206 dell'articolo 1 della medesima legge prevede che la società benefit che non persegua finalità di beneficio comune sia soggetta alle disposizioni di cui al decreto legislativo 2 agosto 2007 n.145 in materia di pubblicità ingannevole e alle disposizioni del Codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005 n.206;
    il decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155 «Disciplina dell'impresa sociale», definisce quali siano gli enti, ivi compresi quelli di cui al Libro V del Codice Civile, che possono acquisire la qualifica di impresa sociale ai sensi della legge 13 giugno 2005, n. 118 recante delega al Governo concernente la disciplina dell'impresa sociale;
    il medesimo decreto legislativo 155 del 24 marzo 2006 definisce all'articolo 2 i campi di attività nell'ambito dei quali le imprese sociali producono e scambiano beni e servizi di utilità sociale, e all'articolo 3 definisce il carattere non lucrativo di queste imprese stabilendo il divieto di distribuire, anche in forma indiretta, utili o avanzi di gestione;
    il disegno di legge «Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale», già approvato dalla Camera in data 9 aprile 2015 e attualmente all'esame del Senato con il n. 1870, prevede fra le altre cose, all'articolo 1 comma 2 lettera c), la revisione della disciplina in materia di impresa sociale;
    il medesimo disegno di legge «Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale» annovera l'impresa sociale fra gli enti del terzo settore e la definisce quale impresa privata con finalità d'interesse generale, avente come proprio obiettivo primario la realizzazione di impatti sociali positivi conseguiti mediante la produzione o lo scambio di beni o servizi di utilità sociale, che destina i propri utili prevalentemente al raggiungimento di obiettivi sociali e che adotta modalità di gestione responsabili, trasparenti e che favoriscono il più ampio coinvolgimento dei dipendenti, degli utenti e di tutti i soggetti interessati alle sue attività;
    il medesimo disegno di legge «Delega al Governo per la riforma del Terzo settore; dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale» delimita i campi di attività in cui possono operare le imprese sociali, definisce i limiti entro i quali possano remunerare il capitale sociale o distribuire utili, prescrive per tali, imprese particolari obblighi di trasparenza e le sottopone a specifiche forme di vigilanza e controllo, oltre a prevedere per le imprese sociali agevolazioni fiscali e misure di sostegno economico;
    le società benefit di cui al disegno di legge 3444 (legge di Stabilità 2016) e le imprese sociali istituite dalla legge 13 giugno 2005, n. 118 e richiamate dal disegno di legge delega per la riforma del terzo settore, pur essendo imprese economiche entrambe caratterizzate dal perseguimento di finalità di interesse generale e dall'impegno ad operare in modo responsabile trasparente e sostenibile, presentano identità e caratteri peculiari sostanzialmente diversi, in particolare per quanto concerne il fine di lucro delle prime e il carattere non profit delle seconde, con i conseguenti vincoli statutari e amministrativi;
    fra le tipologie di impresa citate in premessa solo le imprese sociali di cui alla legge 13 giugno 2005, n. 118 e al disegno di legge delega per la riforma del terzo settore attualmente in discussione, corrispondono alla nozione di impresa sociale adottata dalla Unione Europea con parere del Comitato Economico e sociale europeo del 26 ottobre 2011,

impegna il Governo:

   a tenere nel debito conto l'esigenza di evitare ogni impropria sovrapposizione fra la qualifica «società benefit» e quella di «impresa sociale», che finirebbe per generare, confusione negli interlocutori di queste imprese, clienti, fornitori, pubblica amministrazione, cittadini;
   a valutare l'opportunità di ogni disposizione utile a mantenere, nell'operatività di tali imprese economiche, la necessaria distinzione fra società benefit ed imprese sociali sul piano dei vincoli e delle capacità operative;
   a valorizzare l'identità peculiare delle imprese sociali di terzo settore come declinazione nella disciplina italiana della definizione europea di impresa sociale, preservando il loro carattere non lucrativo, i vincoli di trasparenza e democrazia interna, nonché le agevolazioni e gli eventuali regimi fiscali di vantaggio previsti dalla legislazione specifica di riferimento.
9/3444-A/255Beni, Capone, Lenzi, Miotto, Fossati, Patriarca, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    l'AC 3444 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2016) si propone, all'articolo 1, comma 198, di promuovere la costituzione e di favorire la diffusione delle così denominate «società benefit»;
    nella medesima legge, all'articolo 1 comma 198 si definiscono «società benefit» le imprese economiche che, oltre allo scopo di conseguire utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portori di interesse;
    al comma 199 dell'articolo 1 della medesima legge si, afferma che tali finalità vengono perseguite mediante una gestione volta al bilanciamento con l'interesse dei soci e di coloro sui quali l'attività sociale possa avere un impatto, e che possono essere perseguite da ciascuna delle società di cui al Libro V, Titolo V e VI del Codice Civile;
    il comma 201 dell'articolo 1 della medesima legge prescrive che le società benefit indichino, nell'ambito del proprio oggetto sociale, le finalità specifiche di beneficio comune che intendono perseguire;
    comma 204 dell'articolo 1 della medesima legge prescrive che le società benefit redigano annualmente una relazione concernente il perseguimento del beneficio comune da allegare al bilancio societario, e che tale documento includa la descrizione degli obbiettivi perseguiti e delle azioni attuate, la valutazione dell'impatto generato e la descrizione dei nuovi obiettivi per l'anno successivo;
    il comma 206 dell'articolo 1 della medesima legge prevede che la società benefit che non persegua finalità di beneficio comune sia soggetta alle disposizioni di cui al decreto legislativo 2 agosto 2007 n.145 in materia di pubblicità ingannevole e alle disposizioni del Codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005 n.206;
    il decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155 «Disciplina dell'impresa sociale», definisce quali siano gli enti, ivi compresi quelli di cui al Libro V del Codice Civile, che possono acquisire la qualifica di impresa sociale ai sensi della legge 13 giugno 2005, n. 118 recante delega al Governo concernente la disciplina dell'impresa sociale;
    il medesimo decreto legislativo 155 del 24 marzo 2006 definisce all'articolo 2 i campi di attività nell'ambito dei quali le imprese sociali producono e scambiano beni e servizi di utilità sociale, e all'articolo 3 definisce il carattere non lucrativo di queste imprese stabilendo il divieto di distribuire, anche in forma indiretta, utili o avanzi di gestione;
    il disegno di legge «Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale», già approvato dalla Camera in data 9 aprile 2015 e attualmente all'esame del Senato con il n. 1870, prevede fra le altre cose, all'articolo 1 comma 2 lettera c), la revisione della disciplina in materia di impresa sociale;
    il medesimo disegno di legge «Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale» annovera l'impresa sociale fra gli enti del terzo settore e la definisce quale impresa privata con finalità d'interesse generale, avente come proprio obiettivo primario la realizzazione di impatti sociali positivi conseguiti mediante la produzione o lo scambio di beni o servizi di utilità sociale, che destina i propri utili prevalentemente al raggiungimento di obiettivi sociali e che adotta modalità di gestione responsabili, trasparenti e che favoriscono il più ampio coinvolgimento dei dipendenti, degli utenti e di tutti i soggetti interessati alle sue attività;
    il medesimo disegno di legge «Delega al Governo per la riforma del Terzo settore; dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale» delimita i campi di attività in cui possono operare le imprese sociali, definisce i limiti entro i quali possano remunerare il capitale sociale o distribuire utili, prescrive per tali, imprese particolari obblighi di trasparenza e le sottopone a specifiche forme di vigilanza e controllo, oltre a prevedere per le imprese sociali agevolazioni fiscali e misure di sostegno economico;
    le società benefit di cui al disegno di legge 3444 (legge di Stabilità 2016) e le imprese sociali istituite dalla legge 13 giugno 2005, n. 118 e richiamate dal disegno di legge delega per la riforma del terzo settore, pur essendo imprese economiche entrambe caratterizzate dal perseguimento di finalità di interesse generale e dall'impegno ad operare in modo responsabile trasparente e sostenibile, presentano identità e caratteri peculiari sostanzialmente diversi, in particolare per quanto concerne il fine di lucro delle prime e il carattere non profit delle seconde, con i conseguenti vincoli statutari e amministrativi;
    fra le tipologie di impresa citate in premessa solo le imprese sociali di cui alla legge 13 giugno 2005, n. 118 e al disegno di legge delega per la riforma del terzo settore attualmente in discussione, corrispondono alla nozione di impresa sociale adottata dalla Unione Europea con parere del Comitato Economico e sociale europeo del 26 ottobre 2011,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    tenere nel debito conto l'esigenza di evitare ogni impropria sovrapposizione fra la qualifica «società benefit» e quella di «impresa sociale», che finirebbe per generare, confusione negli interlocutori di queste imprese, clienti, fornitori, pubblica amministrazione, cittadini;
    valutare l'opportunità di ogni disposizione utile a mantenere, nell'operatività di tali imprese economiche, la necessaria distinzione fra società benefit ed imprese sociali sul piano dei vincoli e delle capacità operative;
    valorizzare l'identità peculiare delle imprese sociali di terzo settore come declinazione nella disciplina italiana della definizione europea di impresa sociale, preservando il loro carattere non lucrativo, i vincoli di trasparenza e democrazia interna, nonché le agevolazioni e gli eventuali regimi fiscali di vantaggio previsti dalla legislazione specifica di riferimento.
9/3444-A/255. (Testo modificato nel corso della seduta) Beni, Capone, Lenzi, Miotto, Fossati, Patriarca, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo del 4 marzo 2015, n. 22 concernente «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183» ha cambiato il regime degli ammortizzatori sociali nel nostro Paese;
    l'articolo 5, del decreto legislativo 4 marzo 2015, Naspi n. 22 stabilisce che la Naspi e corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni e che ai fini del calcolo della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione;
    tra le tantissime novità positive introdotte, con le quali finalmente vengono ad estendersi misure di tutela nei confronti di soggetti e categorie finora escluse, va evidenziato, tuttavia, la questione concernente il sussidio di disoccupazione per i lavoratori stagionali;
    con l'introduzione del nuovo regime, poiché la Naspi avrà una durata inferiore al precedente sistema di ammortizzatori sociali, i lavoratori stagionali non potranno più coprire il proprio reddito per tutto l'anno, percependo un'indennità pari alla metà dei mesi lavorati;
    il turismo e il termalismo sono tra i settori trainanti della nostra economia;
    l'obiettivo del Job act di rafforzare e estendere qualità e quantità dell'occupazione in quei settori si misura con la strutturalista del carattere stagionale del occupazione che va perseguito mobilitando risorse, saperi e sinergie tra imprese enti bilaterali istituzioni;
    sarebbe auspicabile una contrattazione di settore che dia luogo a contratti di lavoro caratterizzati dalla destagionalizzazione delle attività in oggetto o quantomeno all'allungamento dei rapporti di lavoro, anche alla luce della disposizione che riduce l'imposizione fiscale per i datori di lavoro che assumono lavoratori stagionali;
    successivamente, attraverso l'introduzione dell'articolo 43, comma 4 del decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, ha salvaguardato il trattamento di integrazione salariale per l'anno 2015, prevedendo che il calcolo della durata della Naspi, qualora risulti inferiore a sei mesi, per cui per gli stagionali del settore turismo e degli stabilimenti termali, limitatamente agli eventi di disoccupazione;
    verificatesi tra 1o maggio 2015 e il 31 dicembre 205, la possibilità di calcolare in deroga alla norma;
    stabilita dall'articolo 5, comma 1 del decreto-legge n. 22 del 2015, anche i contributi figurativi che hanno dato già luogo a prestazioni di disoccupazione ordinaria con requisiti ridotti e mini aspi fruite negli ultimi 4 anni;
    dal 2016 l'applicazione della normativa sulla Naspi porterà a un dimezzamento della durata e del valore del sussidio,

impegna il Governo

a considerare, per l'anno 2016, la possibilità di facilitare la transizione verso la nuova disciplina, prevedendo in via straordinaria misure integrative della durata della prestazione di disoccupazione per i lavoratori del settore.
9/3444-A/256Di Salvo, Andrea Maestri, Venittelli, Arlotti, Albanella, Baruffi, Gribaudo, Damiano, Gnecchi, Giorgio Piccolo, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Giacobbe, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Paris, Rostellato, Rotta, Simoni, Zappulla, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo del 4 marzo 2015, n. 22 concernente «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183» ha cambiato il regime degli ammortizzatori sociali nel nostro Paese;
    l'articolo 5, del decreto legislativo 4 marzo 2015, Naspi n. 22 stabilisce che la Naspi e corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni e che ai fini del calcolo della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione;
    tra le tantissime novità positive introdotte, con le quali finalmente vengono ad estendersi misure di tutela nei confronti di soggetti e categorie finora escluse, va evidenziato, tuttavia, la questione concernente il sussidio di disoccupazione per i lavoratori stagionali;
    con l'introduzione del nuovo regime, poiché la Naspi avrà una durata inferiore al precedente sistema di ammortizzatori sociali, i lavoratori stagionali non potranno più coprire il proprio reddito per tutto l'anno, percependo un'indennità pari alla metà dei mesi lavorati;
    il turismo e il termalismo sono tra i settori trainanti della nostra economia;
    l'obiettivo del Job act di rafforzare e estendere qualità e quantità dell'occupazione in quei settori si misura con la strutturalista del carattere stagionale del occupazione che va perseguito mobilitando risorse, saperi e sinergie tra imprese enti bilaterali istituzioni;
    sarebbe auspicabile una contrattazione di settore che dia luogo a contratti di lavoro caratterizzati dalla destagionalizzazione delle attività in oggetto o quantomeno all'allungamento dei rapporti di lavoro, anche alla luce della disposizione che riduce l'imposizione fiscale per i datori di lavoro che assumono lavoratori stagionali;
    successivamente, attraverso l'introduzione dell'articolo 43, comma 4 del decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, ha salvaguardato il trattamento di integrazione salariale per l'anno 2015, prevedendo che il calcolo della durata della Naspi, qualora risulti inferiore a sei mesi, per cui per gli stagionali del settore turismo e degli stabilimenti termali, limitatamente agli eventi di disoccupazione;
    verificatesi tra 1o maggio 2015 e il 31 dicembre 205, la possibilità di calcolare in deroga alla norma;
    stabilita dall'articolo 5, comma 1 del decreto-legge n. 22 del 2015, anche i contributi figurativi che hanno dato già luogo a prestazioni di disoccupazione ordinaria con requisiti ridotti e mini aspi fruite negli ultimi 4 anni;
    dal 2016 l'applicazione della normativa sulla Naspi porterà a un dimezzamento della durata e del valore del sussidio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di considerare, per l'anno 2016, la possibilità di facilitare la transizione verso la nuova disciplina, prevedendo in via straordinaria misure integrative della durata della prestazione di disoccupazione per i lavoratori del settore.
9/3444-A/256. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Salvo, Patrizia Maestri, Venittelli, Arlotti, Albanella, Baruffi, Gribaudo, Damiano, Gnecchi, Giorgio Piccolo, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Giacobbe, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Paris, Rostellato, Rotta, Simoni, Zappulla, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il consolidamento e l'affermazione della cultura di parità, delle pari opportunità e dei diritti delle donne sono entrati, negli ultimi anni, di diritto tra le priorità e tra gli obiettivi strategici per l'azione del Governo italiano e delle istituzioni internazionali ed europee, affermandosi come importante principio trasversale delle politiche pubbliche;
    le consigliere di parità svolgono funzioni di promozione e controllo dell'attuazione dei principi di uguaglianza, opportunità e non discriminazione tra donne e uomini nel lavoro. Si tratta di una competenza esclusiva per l'affermazione e tutela dei principi di parità e pari opportunità nonché del principio di non discriminazione in tutti i settori lavorativi, sia pubblico che privato;
    con il decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, «Codice delle pari opportunità tra uomo e donna», sono state istituite le consigliere di parità, con qualificazione di pubblici ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni e con il ruolo esclusivo di contrasto e rimozione delle discriminazioni di genere nell'ambito lavorativo, attraverso la ricerca di una conciliazione tra le parti in via stragiudiziale o anche attraverso l'azione in giudizio, ai sensi degli articoli 36 e 37 del medesimo codice;
    nel corso degli ultimi anni si è registrata una forte riduzione degli stanziamenti per il fondo nazionale destinato all'attività delle consigliere di parità;
    la dotazione del Fondo per le, attività finalizzate a ridefinire e potenziare le funzioni, il regime giuridico e le dotazioni strumentali dei consiglieri di parità ha subito una progressiva riduzione dello stanziamento di bilancio;
    la legge di bilancio per il triennio 2014-2016, in attuazione dell'articolo 1, comma 218, della legge n. 147 del 2013 ha previsto per il predetto Fondo uno stanziamento di importo pari a 500 mila euro, per il solo anno 2014, mentre la legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) non ha previsto alcun stanziamento per l'anno in corso;
    soltanto con il decreto legislativo n. 151 del 14 settembre 2015 recante «disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità» il fondo è stato finanziato di soli 140.000 euro per il solo anno 2015;
    nonostante l'attuale attenzione, anche istituzionale, le discriminazioni di genere sul luogo di lavoro, ambito d'intervento delle consigliere di parità, costituiscono un comparto cui vengono destinate risorse non adeguate ad assicurare le condizioni materiali e finanziarie per consentire il regolare svolgimento delle funzioni,

impegna il Governo

a prevedere maggiori risorse da destinare al fondo per le consigliere ed i consiglieri di parità al fine di, scongiurare il rischio che si determini l'interruzione di un importante servizio pubblico svolto a favore delle donne.
9/3444-A/257Incerti, Giacobbe, Patrizia Maestri, Giovanna Sanna, Casellato, Boccuzzi, Fabbri, Roberta Agostini, Gnecchi, Paris, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il consolidamento e l'affermazione della cultura di parità, delle pari opportunità e dei diritti delle donne sono entrati, negli ultimi anni, di diritto tra le priorità e tra gli obiettivi strategici per l'azione del Governo italiano e delle istituzioni internazionali ed europee, affermandosi come importante principio trasversale delle politiche pubbliche;
    le consigliere di parità svolgono funzioni di promozione e controllo dell'attuazione dei principi di uguaglianza, opportunità e non discriminazione tra donne e uomini nel lavoro. Si tratta di una competenza esclusiva per l'affermazione e tutela dei principi di parità e pari opportunità nonché del principio di non discriminazione in tutti i settori lavorativi, sia pubblico che privato;
    con il decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, «Codice delle pari opportunità tra uomo e donna», sono state istituite le consigliere di parità, con qualificazione di pubblici ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni e con il ruolo esclusivo di contrasto e rimozione delle discriminazioni di genere nell'ambito lavorativo, attraverso la ricerca di una conciliazione tra le parti in via stragiudiziale o anche attraverso l'azione in giudizio, ai sensi degli articoli 36 e 37 del medesimo codice;
    nel corso degli ultimi anni si è registrata una forte riduzione degli stanziamenti per il fondo nazionale destinato all'attività delle consigliere di parità;
    la dotazione del Fondo per le, attività finalizzate a ridefinire e potenziare le funzioni, il regime giuridico e le dotazioni strumentali dei consiglieri di parità ha subito una progressiva riduzione dello stanziamento di bilancio;
    la legge di bilancio per il triennio 2014-2016, in attuazione dell'articolo 1, comma 218, della legge n. 147 del 2013 ha previsto per il predetto Fondo uno stanziamento di importo pari a 500 mila euro, per il solo anno 2014, mentre la legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) non ha previsto alcun stanziamento per l'anno in corso;
    soltanto con il decreto legislativo n. 151 del 14 settembre 2015 recante «disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità» il fondo è stato finanziato di soli 140.000 euro per il solo anno 2015;
    nonostante l'attuale attenzione, anche istituzionale, le discriminazioni di genere sul luogo di lavoro, ambito d'intervento delle consigliere di parità, costituiscono un comparto cui vengono destinate risorse non adeguate ad assicurare le condizioni materiali e finanziarie per consentire il regolare svolgimento delle funzioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere maggiori risorse da destinare al fondo per le consigliere ed i consiglieri di parità al fine di, scongiurare il rischio che si determini l'interruzione di un importante servizio pubblico svolto a favore delle donne.
9/3444-A/257. (Testo modificato nel corso della seduta) Incerti, Giacobbe, Patrizia Maestri, Giovanna Sanna, Casellato, Boccuzzi, Fabbri, Roberta Agostini, Gnecchi, Paris, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    i materiali lapidei (marmo, granito, travertino e roccia) sono ormai da tempo diffusamente utilizzati in edilizia pubblica e privata per murature, rivestimenti e pavimentazioni interne ed esterne;
    la legge Tupini che indica i materiali lapidei tra quelli di lusso risale al 1949 e da allora non è intervenuta nessuna nuova classificazione;
    l'utilizzo di detti materiali si è dal 1949 ad oggi ampiamente diffuso in edilizia, ma negli ultimi anni ha vissuto una crisi condivisa con il settore edilizio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di inserire i materiali lapidei tra i materiali deducibili ai fini della detrazioni fiscale.
9/3444-A/258Nardi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 15 del decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015, nel disciplinare la nuova indennità di disoccupazione per i titolari di contratto di collaborazione coordinata e continuativa, prevedeva, in via sperimentale per il 2015 e in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione involontaria verificatisi nel, corso del 2015, il riconoscimento di una nuova indennità di disoccupazione mensile, denominata DIS-COLL, ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, con esclusione degli amministratori e dei sindaci, iscritti in via esclusiva alla gestione separata dell'Inps, che non siano pensionati o titolari di partita IVA;
    il comma 165-quater, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, riconosce l'indennità di disoccupazione per i lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (DIS-COLL) anche in relazione agli eventi di disoccupazione che si verifichino dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2016, nel limite di 54 milioni di euro per il 2016 e 24 milioni di euro per il 2017;
    si rende necessario prevedere un allargamento delle tutele per la disoccupazione involontaria anche ai titolari di assegno di ricerca di cui all'articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e all'articolo 51 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che versano in una condizione di precarietà analoga a quella dei lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, tenuto altresì conto che anche per i titolari di un assegno di ricerca si configura l'assenza di vincolo di subordinazione, la prestazione è resa ad un solo committente, il rapporto può definirsi unitario e continuativo e la retribuzione è periodica e prestabilita, in coincidenza con quanto accade per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
    è opportuno effettuare una verifica in ordine all'applicazione delle disposizioni in materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa – DIS-COLL, anche al fine di valutare l'individuazione a regime di tutele dei titolari di contratti di collaborazione in caso di disoccupazione involontaria, anche alla luce della revisione della disciplina dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa,

impegna il Governo

a monitorare l'applicazione delle disposizioni in materia di riconoscimento dell'indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, al fine di valutare un'estensione della platea dei beneficiari dell'indennità e di prevedere, in particolare, che eventuali somme non utilizzate nell'anno 2016 siano destinate all'estensione dell'indennità ai titolari di assegni, di ricerca, nonché di verificare l'opportunità di introdurre stabilmente forme di tutela dei collaboratori in caso di disoccupazione involontaria.
9/3444-A/259Gribaudo, Ghizzoni, Ascani, Mariano, Damiano, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Di Salvo, Giacobbe, Gnecchi, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla.


   La Camera,
   premesso che:
    come più volte segnalato con atti di sindacato ispettivo e di indirizzo, nel quadro delle procedure di mobilità intercompartimentale, previste nell'intesa tra il Governo e le organizzazioni sindacali sottoscritta il 10 dicembre 1997, allo scopo di valorizzare la funzione dei docenti e del loro ruolo nella società, nonché in relazione alle linee di indirizzo delle disposizioni di cui al decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 35, tendenti a ridurre le situazioni di esubero del personale della scuola, si è provveduto, con ordinanza ministeriale 6 maggio 1998, n. 217, a disciplinare le modalità di trasferimento del personale scolastico, in possesso di specifici requisiti, alle dipendenze dell'INPS, in funzione delle vacanze di posti disponibili, segnalate dall'Ente stesso;
    in merito al trattamento economico del Personale in questione, l'articolo 6, della citata ordinanza ministeriale disponeva che il docente collocato nei ruoli dell'INPS, alla VII qualifica funzionale, aveva diritto a conservare «l'anzianità maturata e il trattamento economico in godimento, all'atto del trasferimento, se più favorevole oltre ai trattamenti accessori previsti per il personale dello stesso INPS»;
    al momento del transito all'Inps, ai docenti che avevano usufruito delle procedure di mobilità intercompartimentale fu attribuito un assegno ad personam, che garantiva loro il trattamento economico fondamentale fruito presso il comparto scuola, comprendente anche il valore economico dell'anzianità. In tale voce era affluita la differenza stipendiale tra lo stipendio tabellare del singolo docente (calcolato in base all'anzianità di servizio maturata nella scuola) e lo stipendio tabellare Inps di un neo-assunto in vigore al 1o settembre 1998;
    successivamente però l'Inps ha provveduto al riassorbimento di tale assegno, attraverso l'applicazione di considerevoli trattenute sugli, stipendi del suddetto personale, in ragione di una supposta illegittimità della differenziazione di trattamento economico di cui esso avrebbe goduto. Tale riassorbimento ha, di conseguenza, interessato anche la quota parte imputabile alla retribuzione individuabile di anzianità (RIA);
    per giustificare il riassorbimento dell'assegno ad personam, l'Inps ha sostenuto che l'istituto della RIA è effettivamente «previsto dalla contrattazione del comparto scuola, ma di fatto non è mai stato evidenziato come importo distinto dallo stipendio tabellare; per tale motivo, all'atto dei passaggio, non è stato indicato all'Inps, dai relativi Provveditorati agli studi, l'importo del RIA del personale interessato;
    in seguito a diversi giudizi di merito è stato riconosciuto ai docenti il diritto a mantenere presso l'Inps l'anzianità di servizio già maturata presso il Ministero della pubblica istruzione all'atto del trasferimento in mobilità intercompartimentale e pertanto l'esclusione: «dal cosiddetto riassorbimento» della quota di retribuzione corrispondente all'anzianità maturata presso il precedente Ministero: L'Inps è stato perciò condannato al ricalcolo dell'assegno riassorbibile con obbligo di restituire le somme confluite nel riassorbimento stesso;
    la Corte di cassazione, in seguito all'impugnazione da parte dell'Inps delle suddette sentenze, ha accolto le tesi dell'Inps stabilendo il riassorbimento del differenziale economico e, di conseguenza, l'insorgere a carico degli ex docenti dell'obbligo di restituire quanto percepito dall'Inps in ottemperanza alle sentenze di primo grado. Le somme riassorbite sono confluite in un Fondo appositamente costituito presso l'Inps; in questi 14 anni si sono succeduti numerosi ricorsi in via giudiziaria, con sentenze opposte dei giudici di merito, in quanto alcuni hanno riconosciuto il trattamento economico secondo l'anzianità maturata, con l'esclusione del riassorbimento dovuto ai rinnovi contrattuali ed ai passaggi di livello, mentre altri hanno emanato sentenze «contro» il personale docente trasferito all'Inps dando luogo, nello stesso ente, alle situazioni economiche più disparate;
    le disparità di trattamento retributivo non sono dunque ancora superate e gli interessati subiscono i danni dell'inevitabile protrarsi delle vicende giudiziarie;
    ad oggi, il contenzioso che si è sviluppato non ha ancora risolto quello che la Corte di giustizia dell'Unione europea, con sentenza del 6 settembre 2011, n. 108/10 ha considerato un inammissibile «peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell'anzianità da loro maturata presso il cedente»;
    di fatto, l'anzianità economica maturata, dagli ex docenti è stata azzerata, in quanto coloro che provenivano dalla scuola con anzianità più elevata hanno visto regredire lo stipendio agli importi percepiti nel 1998;
    ove si consideri che in altre procedure di mobilità intercompartimentale (si vedano i casi dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) e dell'Istituto postelegrafonici (IPOST) il riassorbimento dell'assegno ad personam non ha interessato la RIA, e evidente che si è profilata una disparità di trattamento economico tra lavoratori sia all'interno, dell'Inps sia in ambito interaziendale che non può trovare giustificazione e che richiede al Legislatore una parola certa, onde evitare l'impegno oneroso di una soluzione legale; per porre fine a questa interminabile vicenda, e necessario rendere esplicito, una volta per tutte, ciò che avrebbe già dovuto essere chiaro sulla base di quanto disposto dal comma 2 dell'articolo 6 della citata ordinanza ministeriale n. 217, del 1998;
    in una nota del 24 febbraio 2012 indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, l'Inps stesso definisce la situazione venutasi a creare «un'ingiusta discriminazione tra il personale “ex docente” ed il restante personale ugualmente transitato in Inps da altri, compatti, la cui dinamica contrattuale ha reso evidente, quale RIA non riassorbibile, il valore per classi, e scatti, scorporandolo dallo stipendio tabellare,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per, porre rimedio a una situazione ingiusta creatasi nei confronti degli ex insegnanti; a procedere, al fine di risolvere l'annoso problema, a un'interpretazione autentica della disciplina inerente, al trasferimento del personale docente dal Ministero della pubblica istruzione ai ruoli dell'Inps di cui alla citata ordinanza ministeriale n. 217 del 1998.
9/3444-A/260Giacobbe, Incerti, Mariani.


   La Camera,
   premesso che:
    come più volte segnalato con atti di sindacato ispettivo e di indirizzo, nel quadro delle procedure di mobilità intercompartimentale, previste nell'intesa tra il Governo e le organizzazioni sindacali sottoscritta il 10 dicembre 1997, allo scopo di valorizzare la funzione dei docenti e del loro ruolo nella società, nonché in relazione alle linee di indirizzo delle disposizioni di cui al decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 35, tendenti a ridurre le situazioni di esubero del personale della scuola, si è provveduto, con ordinanza ministeriale 6 maggio 1998, n. 217, a disciplinare le modalità di trasferimento del personale scolastico, in possesso di specifici requisiti, alle dipendenze dell'INPS, in funzione delle vacanze di posti disponibili, segnalate dall'Ente stesso;
    in merito al trattamento economico del Personale in questione, l'articolo 6, della citata ordinanza ministeriale disponeva che il docente collocato nei ruoli dell'INPS, alla VII qualifica funzionale, aveva diritto a conservare «l'anzianità maturata e il trattamento economico in godimento, all'atto del trasferimento, se più favorevole oltre ai trattamenti accessori previsti per il personale dello stesso INPS»;
    al momento del transito all'Inps, ai docenti che avevano usufruito delle procedure di mobilità intercompartimentale fu attribuito un assegno ad personam, che garantiva loro il trattamento economico fondamentale fruito presso il comparto scuola, comprendente anche il valore economico dell'anzianità. In tale voce era affluita la differenza stipendiale tra lo stipendio tabellare del singolo docente (calcolato in base all'anzianità di servizio maturata nella scuola) e lo stipendio tabellare Inps di un neo-assunto in vigore al 1o settembre 1998;
    successivamente però l'Inps ha provveduto al riassorbimento di tale assegno, attraverso l'applicazione di considerevoli trattenute sugli, stipendi del suddetto personale, in ragione di una supposta illegittimità della differenziazione di trattamento economico di cui esso avrebbe goduto. Tale riassorbimento ha, di conseguenza, interessato anche la quota parte imputabile alla retribuzione individuabile di anzianità (RIA);
    per giustificare il riassorbimento dell'assegno ad personam, l'Inps ha sostenuto che l'istituto della RIA è effettivamente «previsto dalla contrattazione del comparto scuola, ma di fatto non è mai stato evidenziato come importo distinto dallo stipendio tabellare; per tale motivo, all'atto dei passaggio, non è stato indicato all'Inps, dai relativi Provveditorati agli studi, l'importo del RIA del personale interessato;
    in seguito a diversi giudizi di merito è stato riconosciuto ai docenti il diritto a mantenere presso l'Inps l'anzianità di servizio già maturata presso il Ministero della pubblica istruzione all'atto del trasferimento in mobilità intercompartimentale e pertanto l'esclusione: «dal cosiddetto riassorbimento» della quota di retribuzione corrispondente all'anzianità maturata presso il precedente Ministero: L'Inps è stato perciò condannato al ricalcolo dell'assegno riassorbibile con obbligo di restituire le somme confluite nel riassorbimento stesso;
    la Corte di cassazione, in seguito all'impugnazione da parte dell'Inps delle suddette sentenze, ha accolto le tesi dell'Inps stabilendo il riassorbimento del differenziale economico e, di conseguenza, l'insorgere a carico degli ex docenti dell'obbligo di restituire quanto percepito dall'Inps in ottemperanza alle sentenze di primo grado. Le somme riassorbite sono confluite in un Fondo appositamente costituito presso l'Inps; in questi 14 anni si sono succeduti numerosi ricorsi in via giudiziaria, con sentenze opposte dei giudici di merito, in quanto alcuni hanno riconosciuto il trattamento economico secondo l'anzianità maturata, con l'esclusione del riassorbimento dovuto ai rinnovi contrattuali ed ai passaggi di livello, mentre altri hanno emanato sentenze «contro» il personale docente trasferito all'Inps dando luogo, nello stesso ente, alle situazioni economiche più disparate;
    le disparità di trattamento retributivo non sono dunque ancora superate e gli interessati subiscono i danni dell'inevitabile protrarsi delle vicende giudiziarie;
    ad oggi, il contenzioso che si è sviluppato non ha ancora risolto quello che la Corte di giustizia dell'Unione europea, con sentenza del 6 settembre 2011, n. 108/10 ha considerato un inammissibile «peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell'anzianità da loro maturata presso il cedente»;
    di fatto, l'anzianità economica maturata, dagli ex docenti è stata azzerata, in quanto coloro che provenivano dalla scuola con anzianità più elevata hanno visto regredire lo stipendio agli importi percepiti nel 1998;
    ove si consideri che in altre procedure di mobilità intercompartimentale (si vedano i casi dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) e dell'Istituto postelegrafonici (IPOST) il riassorbimento dell'assegno ad personam non ha interessato la RIA, e evidente che si è profilata una disparità di trattamento economico tra lavoratori sia all'interno, dell'Inps sia in ambito interaziendale che non può trovare giustificazione e che richiede al Legislatore una parola certa, onde evitare l'impegno oneroso di una soluzione legale; per porre fine a questa interminabile vicenda, e necessario rendere esplicito, una volta per tutte, ciò che avrebbe già dovuto essere chiaro sulla base di quanto disposto dal comma 2 dell'articolo 6 della citata ordinanza ministeriale n. 217, del 1998;
    in una nota del 24 febbraio 2012 indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, l'Inps stesso definisce la situazione venutasi a creare «un'ingiusta discriminazione tra il personale “ex docente” ed il restante personale ugualmente transitato in Inps da altri, compatti, la cui dinamica contrattuale ha reso evidente, quale RIA non riassorbibile, il valore per classi, e scatti, scorporandolo dallo stipendio tabellare,

impegna il Governo

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per, porre rimedio a una situazione ingiusta creatasi nei confronti degli ex insegnanti;
   a valutare l'opportunità di procedere, al fine di risolvere l'annoso problema, a un'interpretazione autentica della disciplina inerente, al trasferimento del personale docente dal Ministero della pubblica istruzione ai ruoli dell'Inps di cui alla citata ordinanza ministeriale n. 217 del 1998.
9/3444-A/260. (Testo modificato nel corso della seduta) Giacobbe, Incerti, Mariani.


   La Camera,
   premesso che:
    il buono pasto è un titolo di pagamento dal valore predeterminato (stabilito dal datore di lavoro) che l'azienda consegna ai propri dipendenti e conferisce loro il diritto ad un servizio sostitutivo della mensa. Può essere utilizzato sia contestualmente alla fruizione del pasto durante la pausa, sia in un momento differito poiché conferisce un titolo valido per l'acquisto di prodotti alimentari presso tutti gli esercizi convenzionati per tale servizio con dalle società che li emettono;
    i buoni pasto possono essere indifferentemente emessi sia in forma cartacea (il cosiddetto carnet), che in modalità elettronica, tramite tessere elettroniche dotate di microchip o tecnologie equivalenti, e vengono accettati da ristoranti, pizzerie, trattorie, bar, take away, fast food, gastronomie, supermercati e ipermercati convenzionata;
    con la legge di stabilità 2015 è stato modificato il Testo unico delle imposte sui redditi aumentando, a partire dal 1o luglio 2015, gli sgravi fiscali esclusivamente per l'emissione dei buoni pasto elettronici, innalzando il valore defiscalizzato da 5,29 a 7 euro;
    buoni pasto sono un importante valore aggiunto per i lavoratori dipendenti, a patto che ognuno sia libero di utilizzarli, nel rispetto delle regole, di utilizzo e della destinazione d'uso, nella maniera più ampia ed efficiente possibile. Ciò è ancor più evidente se si considerano l'evoluzione e la flessibilità dei contesti lavorativi, la variabilità degli stili di vita e delle abitudini di consumo e, infine, la circostanza per cui assai spesso il costo del pranzo supera il valore facciale del buono;
    i vincoli sull'utilizzo dei singoli buoni pasto previsto nell'articolo 285 del regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici) risultano pertanto obsoleto e potenzialmente limitativo sia del diritto dei dipendenti che della diffusione di tale strumento;
    le notizie diffuse di recente, per una restrittiva interpretazione della normativa, hanno ingiustificatamente scoraggiato la diffusione del buono pasto in forma elettronica, mentre una maggiore diffusione del buono pasto elettronico può avere effetti positivi per i consumi, anche in termini di gettito fiscale e di maggiore trasparenza,

impegna il Governo

ad adottare tutti i provvedimenti di propria competenza per rendere utilizzabili cumulativamente i buoni pasto.
9/3444-A/261Boccadutri, Causi, Pelillo, Carbone.


   La Camera,
   premesso che:
    è all'esame della Camera il disegno di legge C. 3444, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», già approvato in prima lettura dal Senato della Repubblica e modificato in questo ramo del Parlamento;
    tra le varie disposizioni approvate durante l'esame in Commissione Bilancio, e stato previsto che le Province e le città metropolitane potranno rinegoziare i mutui per il prossimo anno;
    per i cosiddetti enti in pre-dissesto, ossia quegli enti che nel corso del 2013 o 2014 hanno presentato, o per i quali è stato approvato il piano di riequilibrio pluriennale, è stato previsto che essi ferma restando la durata massima del piano di riequilibrio pluriennale, potranno provvedere a rimodulare o riformulare il precedente piano in coerenza con l'arco temporale di trenta anni. Per il periodo della durata del piano inoltre potranno utilizzare le risorse derivanti da operazioni di rinegoziazione di mutui nonché dal riacquisto dei titoli obbligazionari emessi senza vincoli di destinazione;
    tali disposizioni tuttavia non saranno applicabili alle Province in dissesto, come quelle di Biella e Vibo Valentia, che vedranno così pesantemente aggravarsi il proprio dissesto finanziario,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare con urgenza disposizioni volte ad alleggerire la grave situazione debitoria anche per quelle province che si trovano in una situazione di dissesto finanziario, come nel caso delle province di Biella e Vibo Valentia, trovando una soluzione condivisa che permetta a tali enti di superare questo difficile momento, senza aggravare ulteriormente le difficoltà finanziarie in cui versano.
9/3444-A/262Oliverio.


   La Camera,
   premesso che:
    la presente legge introduce, in via permanente, una disciplina tributaria specifica per gli emolumenti retributivi dei lavoratori dipendenti privati di ammontare variabile e la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione;
    tali emolumenti retributivi debbono essere corrisposti in esecuzione di contratti aziendali o territoriali di cui all'articolo 51 del decreto legislativo n. 81/2015;
    contestualmente, con il comma 94, la presente legge modifica le nozioni di alcuni valori, somme e servizi percepiti o goduti dal dipendente ed esclusi dall'imposizione Irpef, con particolare riguardo alle opere e ai servizi – erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti – per la fruizione, da parte dei familiari, di alcuni servizi di welfare;
    a differenza di quanto previsto per gli emolumenti retributivi di cui sopra, per quanto riguarda invece questi ultimi servizi si stabilisce che, oltre a poter essere riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente, possano discendere da disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, senza citare esplicitamente gli accordi territoriali;
    questa asimmetria appare ingiustificata essendo obiettivo esplicito e qualificante della presente legge estendere e rafforzare, anche attraverso la contrattazione di secondo livello – e quindi sia quella aziendale sia quella territoriale – tanto la produttività delle aziende quanto lo sviluppo di servizi di welfare aziendale;
    limitando alla contrattazione aziendale i benefici fiscali correlati ai servizi di welfare aziendale si produrrebbe una oggettiva discriminazione per una gran parte delle aziende e dei lavoratori;
    la norma finisce per trascurare quanto la contrattazione territoriale ha realizzato e può ulteriormente sviluppare, anche attraverso consolidati strumenti bilaterali, sul fronte dei servizi di welfare;
    trattandosi probabilmente di un refuso testuale, ed essendo invece quella sopra richiamata la reale volontà del Governo e del Parlamento,

impegna il Governo

nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica e nei limiti di spesa previsti, a risolvere tale problema sia attraverso eventuali provvedimenti regolamentari che potranno discendere dalle presenti disposizioni, sia nelle indicazioni che dovranno essere fornite alle competenti agenzie.
9/3444-A/263Baruffi, Albanella, Bargero, Basso, Benamati, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Damiano, Dell'Aringa, Di Salvo, Fabbri, Giacobbe, Gnecchi, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Montroni, Pagani, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Simoni, Tinagli, Zappulla.


   La Camera,
   premesso che:
    la presente legge introduce, in via permanente, una disciplina tributaria specifica per gli emolumenti retributivi dei lavoratori dipendenti privati di ammontare variabile e la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione;
    tali emolumenti retributivi debbono essere corrisposti in esecuzione di contratti aziendali o territoriali di cui all'articolo 51 del decreto legislativo n. 81/2015;
    contestualmente, con il comma 94, la presente legge modifica le nozioni di alcuni valori, somme e servizi percepiti o goduti dal dipendente ed esclusi dall'imposizione Irpef, con particolare riguardo alle opere e ai servizi – erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti – per la fruizione, da parte dei familiari, di alcuni servizi di welfare;
    a differenza di quanto previsto per gli emolumenti retributivi di cui sopra, per quanto riguarda invece questi ultimi servizi si stabilisce che, oltre a poter essere riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente, possano discendere da disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, senza citare esplicitamente gli accordi territoriali;
    questa asimmetria appare ingiustificata essendo obiettivo esplicito e qualificante della presente legge estendere e rafforzare, anche attraverso la contrattazione di secondo livello – e quindi sia quella aziendale sia quella territoriale – tanto la produttività delle aziende quanto lo sviluppo di servizi di welfare aziendale;
    limitando alla contrattazione aziendale i benefici fiscali correlati ai servizi di welfare aziendale si produrrebbe una oggettiva discriminazione per una gran parte delle aziende e dei lavoratori;
    la norma finisce per trascurare quanto la contrattazione territoriale ha realizzato e può ulteriormente sviluppare, anche attraverso consolidati strumenti bilaterali, sul fronte dei servizi di welfare;
    trattandosi probabilmente di un refuso testuale, ed essendo invece quella sopra richiamata la reale volontà del Governo e del Parlamento,

impegna il Governo

nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica e nei limiti di spesa previsti, a valutare l'opportunità di risolvere tale problema sia attraverso eventuali provvedimenti regolamentari che potranno discendere dalle presenti disposizioni, sia nelle indicazioni che dovranno essere fornite alle competenti agenzie.
9/3444-A/263. (Testo modificato nel corso della seduta) Baruffi, Albanella, Bargero, Basso, Benamati, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Damiano, Dell'Aringa, Di Salvo, Fabbri, Giacobbe, Gnecchi, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Montroni, Pagani, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Simoni, Tinagli, Zappulla.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante la disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, all'articolo 6, comma 3, definisce l'indicatore per spese di indebitamento degli stessi, calcolato rapportando l'onere complessivo di ammortamento annuo, al netto dei relativi contributi statali per investimento ed edilizia, alla somma algebrica dei contributi statali per il funzionamento e delle tasse, soprattasse e contributi universitari nell'anno di riferimento, al netto delle spese complessive di personale e delle spese per fitti passivi;
    ai fini del calcolo del predetto indicatore di indebitamento, per onere complessivo di ammortamento annuo si intende l'onere annuo per capitale e interessi dei mutui e di altre forme di indebitamento a carico del bilancio d'ateneo; i contributi statali per investimento ed edilizia corrispondono al valore delle assegnazioni dello Stato per l'edilizia universitaria e per l'investimento nell'anno di riferimento; le per spese per fitti passivi si riferiscono all'onere annuo per contratti passivi per locazione di immobili;
    gli atenei con un valore dell'indicatore per spese di indebitamento pari o superiore al 15 per cento, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera d) del citato decreto, non possono contrarre nuovi mutui e altre forme di indebitamento con oneri a carico del proprio bilancio;
    a seguito di eventi sismici o calamità naturali che danneggiano le strutture dell'ateneo, si rende però necessario accrescere il valore dell'indebitamento a fronte dell'accensione di mutui per la ristrutturazione degli edifici lesionati; aumenta inoltre l'ammontare delle spese per affitti passivi di immobili, sostenute al fine di garantire la prosecuzione delle attività didattiche e amministrative;
    i vincoli di indebitamento imposti dal decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, non ammettono deroghe in caso di eventi che abbiano portato alla dichiarazione dello stato di emergenza, situazioni in cui una maggiore flessibilità di bilancio sarebbe in grado di minimizzare il tempo necessario al ripristino degli edifici lesionati, garantendo contestualmente il buon funzionamento dell'attività dell'ateneo, anche se in strutture provvisorie,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di escludere dal calcolo dell'indicatore per spese di indebitamento degli atenei di cui all'articolo 6 del decreto, comma 3, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, gli oneri di ammortamento del debito relativi a mutui attivati per le opere di ripristino degli immobili dichiarati parzialmente o totalmente inagibili a causa di eventi sismici o calamità naturali che abbiano portato a dichiarazione di stato di emergenza, nonché gli affitti passivi contratti per far fronte alle esigenze di reperimento di edifici in sostituzione di quelli lesionati, dagli atenei che dimostrino la capacità prospettica di garantire la sostenibilità e l'equilibrio della gestione economico-finanziaria e patrimoniale.
9/3444-A/264Paola Boldrini, Bratti, Guerra, Patriarca, Paola Bragantini, Ghizzoni, Rubinato, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    le misure approvate vanno valutate nel loro complesso favorevolmente, nell'ottica di un sempre più fattivo incremento dell'efficienza del «settore giustizia»;
    tra le altre vanno citate quelle che prevedono lo stanziamento di risorse per assicurare il riallineamento dei ruoli direttivi della polizia Penitenziaria, per la semplificazione delle procedure di riqualificazione, la proroga dei giudici di pace, i crediti per l'IVA per gli avvocati;
    relativamente al personale del Ministero della giustizia si è intervenuti sull'articolo 21-quater del decreto-legge n. 83 del 2015 in materia di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, al fine di modificare la procedura per definire alcuni contenziosi giudiziari in corso, prevedendo una o più procedure interne per il passaggio di ruolo di tale personale, nel rispetto del contratto collettivo nazionale del comparto Ministeri;
    nell'ambito della riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, e questo è stato a lungo oggetto di contenzioso, contenzioso tuttora in atto, non sono però, ancora ricompresi, i profili professionali di contabile, assistente informatico e assistente linguistico,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative, ad attivarsi affinché le misure per la riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, di cui all'articolo 21-quater, comma 1, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, come modificato, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, vengano estese anche i profili professionali di contabile, di assistente informatico e di assistente linguistico, mai coinvolti in procedure di riqualificazione e oggetto di contenzioso in atto.
9/3444-A/265Ferranti, Berretta, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    le misure approvate vanno valutate nel loro complesso favorevolmente, nell'ottica di un sempre più fattivo incremento dell'efficienza del «settore giustizia»;
    tra le altre vanno citate quelle che prevedono lo stanziamento di risorse per assicurare il riallineamento dei ruoli direttivi della polizia Penitenziaria, per la semplificazione delle procedure di riqualificazione, la proroga dei giudici di pace, i crediti per l'IVA per gli avvocati;
    relativamente al personale del Ministero della giustizia si è intervenuti sull'articolo 21-quater del decreto-legge n. 83 del 2015 in materia di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, al fine di modificare la procedura per definire alcuni contenziosi giudiziari in corso, prevedendo una o più procedure interne per il passaggio di ruolo di tale personale, nel rispetto del contratto collettivo nazionale del comparto Ministeri;
    nell'ambito della riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, e questo è stato a lungo oggetto di contenzioso, contenzioso tuttora in atto, non sono però, ancora ricompresi, i profili professionali di contabile, assistente informatico e assistente linguistico,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative, a valutare l'opportunità di attivarsi affinché le misure per la riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, di cui all'articolo 21-quater, comma 1, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, come modificato, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, vengano estese anche i profili professionali di contabile, di assistente informatico e di assistente linguistico, mai coinvolti in procedure di riqualificazione e oggetto di contenzioso in atto.
9/3444-A/265. (Testo modificato nel corso della seduta) Ferranti, Berretta, Amoddio.


   La Camera,
   premesso che:
    la continua ascesa dei canoni commerciali di locazione rappresenta ormai da tempo uno dei fattori più allarmanti per gli esercizi commerciali e per i laboratori artigiani;
    da una ultima rilevazione di Confesercenti, in Italia ci sono ormai oltre 627 mila locali commerciali sfitti per mancanza di un'impresa che vi operi all'interno, quasi il 25 per cento del totale disponibile, con valori percentuali che in alcune periferie sfiorano il 40 per cento;
    nei primi 8 mesi del 2015 sono sparite, tra negozi e pubblici esercizi, circa 30 imprese al giorno. E dal 2012 a oggi sono state oltre 300 mila quelle che hanno cessato l'attività: un enorme numero di unità immobiliari che si sono liberate sul mercato in un periodo di tempo ridotto, cui vanno sommati i locali lasciati vuoti dalle imprese plurinegozio che, con il perdurare della crisi, hanno ridotto il numero di punti vendita;
    il più alto numero di negozi sfitti si trova nelle regioni a maggiore densità di locali a uso commerciale: Lombardia (oltre 82 mila), Campania (quasi 70 mila) e Lazio (circa 62 mila);
    se si considerano le aree urbane più importanti del territorio nazionale, città quali Milano, Torino, Roma, Napoli e Palermo, gli esercizi commerciali che hanno cessato la propria attività sono quasi diecimila generando, in alcuni casi, ciò che si potrebbe definire «deserto urbano», fenomeno che non colpisce soltanto le realtà commerciali e artigiane situate nei centri storici delle più grandi città ma anche quelle che operano in periferia;
    da dati resi disponibili da associazioni di commercio si vede che i costi medi di affitto in zone centrali di Roma e Milano oscillano in un intervallo fra gli 80 e i 100 euro circa al metro quadro/mese;
    le realtà commerciali si trovano, da tempo, a dover fronteggiare questa e altri tipi di problematiche che minacciano la loro sopravvivenza. A partire dalla crisi economica che ha eroso notevolmente i consumi delle famiglie, passando per la presenza sempre crescente dei centri commerciali fino all'abusivismo commerciale e alla contraffazione, il rischio di chiusura di realtà operanti settore del commercio è molto concreto e rappresenterebbe un grave danno per l'economia locale e per tutte quelle famiglie che operano, pur tra numerose difficoltà, nel commercio e nell'artigianato;
    le problematiche esposte in premessa, sono state affrontate nella risoluzione n. 7/00819 approvata lo scorso 3 novembre dalla X Commissione, che prevede l'attivazione di un tavolo di consultazione con il Ministero dello sviluppo economico, gli Enti locali e le Associazioni di categoria del commercio, dei proprietari e dei gestori di immobili che favorisca il confronto sulla situazione ed elabori proposte,

impegna il Governo

a valutare possibili iniziative legislative o di altra natura ed avviare nel contempo in maniera celere i lavori del tavolo di consultazione al fine di giungere all'attivazione di misure efficaci per alleviare le problematiche espresse in premessa e lenire la piaga della chiusura di esercizi commerciali e laboratori artigianali.
9/3444-A/266Camani, Benamati, Arlotti, Taranto, Vico, Senaldi, Scuvera, Cani, Bargero, Impegno, D'Arienzo, Minnucci, Rossomando, Portas, Culotta, Peluffo, Moretto, Bini, Tidei, Becattini, Montroni, Donati.


   La Camera,
   premesso che:
    la continua ascesa dei canoni commerciali di locazione rappresenta ormai da tempo uno dei fattori più allarmanti per gli esercizi commerciali e per i laboratori artigiani;
    da una ultima rilevazione di Confesercenti, in Italia ci sono ormai oltre 627 mila locali commerciali sfitti per mancanza di un'impresa che vi operi all'interno, quasi il 25 per cento del totale disponibile, con valori percentuali che in alcune periferie sfiorano il 40 per cento;
    nei primi 8 mesi del 2015 sono sparite, tra negozi e pubblici esercizi, circa 30 imprese al giorno. E dal 2012 a oggi sono state oltre 300 mila quelle che hanno cessato l'attività: un enorme numero di unità immobiliari che si sono liberate sul mercato in un periodo di tempo ridotto, cui vanno sommati i locali lasciati vuoti dalle imprese plurinegozio che, con il perdurare della crisi, hanno ridotto il numero di punti vendita;
    il più alto numero di negozi sfitti si trova nelle regioni a maggiore densità di locali a uso commerciale: Lombardia (oltre 82 mila), Campania (quasi 70 mila) e Lazio (circa 62 mila);
    se si considerano le aree urbane più importanti del territorio nazionale, città quali Milano, Torino, Roma, Napoli e Palermo, gli esercizi commerciali che hanno cessato la propria attività sono quasi diecimila generando, in alcuni casi, ciò che si potrebbe definire «deserto urbano», fenomeno che non colpisce soltanto le realtà commerciali e artigiane situate nei centri storici delle più grandi città ma anche quelle che operano in periferia;
    da dati resi disponibili da associazioni di commercio si vede che i costi medi di affitto in zone centrali di Roma e Milano oscillano in un intervallo fra gli 80 e i 100 euro circa al metro quadro/mese;
    le realtà commerciali si trovano, da tempo, a dover fronteggiare questa e altri tipi di problematiche che minacciano la loro sopravvivenza. A partire dalla crisi economica che ha eroso notevolmente i consumi delle famiglie, passando per la presenza sempre crescente dei centri commerciali fino all'abusivismo commerciale e alla contraffazione, il rischio di chiusura di realtà operanti settore del commercio è molto concreto e rappresenterebbe un grave danno per l'economia locale e per tutte quelle famiglie che operano, pur tra numerose difficoltà, nel commercio e nell'artigianato;
    le problematiche esposte in premessa, sono state affrontate nella risoluzione n. 7/00819 approvata lo scorso 3 novembre dalla X Commissione, che prevede l'attivazione di un tavolo di consultazione con il Ministero dello sviluppo economico, gli Enti locali e le Associazioni di categoria del commercio, dei proprietari e dei gestori di immobili che favorisca il confronto sulla situazione ed elabori proposte,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di valutare possibili iniziative legislative o di altra natura ed avviare nel contempo in maniera celere i lavori del tavolo di consultazione al fine di giungere all'attivazione di misure efficaci per alleviare le problematiche espresse in premessa e lenire la piaga della chiusura di esercizi commerciali e laboratori artigianali.
9/3444-A/266. (Testo modificato nel corso della seduta) Camani, Benamati, Arlotti, Taranto, Vico, Senaldi, Scuvera, Cani, Bargero, Impegno, D'Arienzo, Minnucci, Rossomando, Portas, Culotta, Peluffo, Moretto, Bini, Tidei, Becattini, Montroni, Donati.


   La Camera,
   premesso che:
    la Fondazione Biblioteca Europea di Informazione e Cultura persegue finalità di istruzione ed educazione e, attraverso la realizzazione e la gestione della Biblioteca Europea d'Informazione e Cultura (BEIC), una nuova grande struttura multimediale, promuove relazioni con istituzioni nazionali e internazionali per lo sviluppo sistemico della cultura in tutte le sue manifestazioni;
    il progetto BEIC, costituito anche attraverso una politica di accordi e scambi con le principali strutture bibliotecarie internazionali, mira a dotare Milano di una struttura all'avanguardia, pensata come sistema di accesso universale all'informazione e alla conoscenza realizzato attraverso la messa in rete delle risorse bibliografiche e il ricorso estensivo alle tecnologie digitali più avanzate;
    il Sistema BEIC Digitale prevede la realizzazione di un'estesa piattaforma multimediale di raccolta, catalogazione, organizzazione, consultazione e diffusione di prodotti e contenuti culturali in grado di offrire, nel rispetto della proprietà intellettuale, l'accesso a un vasto patrimonio di documenti librari e di altra natura (musicali, pittorici, fotografici), tutti in forma digitale; il progetto, il cui nodo principale sarà rappresentato dalla nuova biblioteca centrale di Milano, integrata e connessa con le 24 biblioteche rionali, prevede la contestuale riqualificazione edilizia e funzionale delle biblioteche comunali esistenti;
    al fine di sostenere gli interventi relativi alla BEIC, la legge 29 dicembre del 2000, n. 400, all'articolo 3, comma 4, ha stanziato risorse pubbliche per ciascuno degli anni dal 2000 al 2002; da ultima, la legge 27 dicembre 2002, n. 289, all'articolo 80, comma 47, ha autorizzato la spesa di 5 milioni per il 2004 e di 15 milioni per il 2005; tali stanziamenti erano stati erogati al duplice fine di elaborare i progetti preliminare, definitivo ed esecutivo della futura BEIC e di provvedere all'acquisizione di un primo nucleo importante di documenti librari e digitali;
    le risorse necessarie per la prosecuzione dell'attività della BEIC Digital Library sono attualmente stimate in circa un milione di euro annui; il costo medio annuo a regime si avvia, con il passare del tempo, a diminuire, quando la maggior parte dei documenti sarà stato convertito in forma digitale,

impegna il Governo

a promuovere la realizzazione e la gestione dei progetti relativi alla Biblioteca Europea d'Informazione e Cultura di Milano, a tal fine reperendo risorse da destinare al completamento e alla prosecuzione dell'attività della biblioteca digitale.
9/3444-A/267Gitti.


   La Camera,
   premesso che:
    la Fondazione Biblioteca Europea di Informazione e Cultura persegue finalità di istruzione ed educazione e, attraverso la realizzazione e la gestione della Biblioteca Europea d'Informazione e Cultura (BEIC), una nuova grande struttura multimediale, promuove relazioni con istituzioni nazionali e internazionali per lo sviluppo sistemico della cultura in tutte le sue manifestazioni;
    il progetto BEIC, costituito anche attraverso una politica di accordi e scambi con le principali strutture bibliotecarie internazionali, mira a dotare Milano di una struttura all'avanguardia, pensata come sistema di accesso universale all'informazione e alla conoscenza realizzato attraverso la messa in rete delle risorse bibliografiche e il ricorso estensivo alle tecnologie digitali più avanzate;
    il Sistema BEIC Digitale prevede la realizzazione di un'estesa piattaforma multimediale di raccolta, catalogazione, organizzazione, consultazione e diffusione di prodotti e contenuti culturali in grado di offrire, nel rispetto della proprietà intellettuale, l'accesso a un vasto patrimonio di documenti librari e di altra natura (musicali, pittorici, fotografici), tutti in forma digitale; il progetto, il cui nodo principale sarà rappresentato dalla nuova biblioteca centrale di Milano, integrata e connessa con le 24 biblioteche rionali, prevede la contestuale riqualificazione edilizia e funzionale delle biblioteche comunali esistenti;
    al fine di sostenere gli interventi relativi alla BEIC, la legge 29 dicembre del 2000, n. 400, all'articolo 3, comma 4, ha stanziato risorse pubbliche per ciascuno degli anni dal 2000 al 2002; da ultima, la legge 27 dicembre 2002, n. 289, all'articolo 80, comma 47, ha autorizzato la spesa di 5 milioni per il 2004 e di 15 milioni per il 2005; tali stanziamenti erano stati erogati al duplice fine di elaborare i progetti preliminare, definitivo ed esecutivo della futura BEIC e di provvedere all'acquisizione di un primo nucleo importante di documenti librari e digitali;
    le risorse necessarie per la prosecuzione dell'attività della BEIC Digital Library sono attualmente stimate in circa un milione di euro annui; il costo medio annuo a regime si avvia, con il passare del tempo, a diminuire, quando la maggior parte dei documenti sarà stato convertito in forma digitale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di promuovere la realizzazione e la gestione dei progetti relativi alla Biblioteca Europea d'Informazione e Cultura di Milano, a tal fine reperendo risorse da destinare al completamento e alla prosecuzione dell'attività della biblioteca digitale.
9/3444-A/267. (Testo modificato nel corso della seduta) Gitti.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge Fornero (legge 28 giugno 2012, n. 92, recante «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita»), ha introdotto, a carico del datore di lavoro, il versamento un contributo per il finanziamento dell'ASpI (oggi NASpI), da versarsi in caso di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
    in tal modo si individua, come presupposto del versamento del contributo ASpI cui sono tenuti i datori di lavoro, il teorico diritto all'ASpI da parte del lavoratore il cui rapporto di lavoro è stato interrotto;
    tale circostanza sembrerebbe evincersi dalla stessa legge n. 92 del 2012, all'articolo 2, comma 31, laddove si dispone che il contributo è dovuto: «Nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto all'AspI [...]»;
    la legge n. 92 del 1992 specifica – all'articolo 2, comma 34 – anche che «Per il periodo 2013-2015, il contributo di cui al comma 31 non è dovuto nei seguenti casi: a) licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;[...]»;
    il principio di cui sopra, individuato dalla legge n. 92 del 2012, è stato recentemente ribadito ed ampliato dal Ministero del lavoro con l'interpello n. 12 del 2015, laddove si afferma che: «La disposizione citata vale, dunque, ad esonerare i datori di lavoro dal pagamento del contributo addizionale ASpI per l'estinzione dei rapporti di lavoro cui non consegue uno stato di disoccupazione in ragione della contestuale riassunzione del personale da parte dell'impresa subentrante»;
    nei casi di licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, pertanto, la ratio della norma si ravvisa nel fatto che i lavoratori che cessano il rapporto di lavoro e contestualmente sono riassunti per effetto del cambio appalto, anche in attuazione di clausole sociali, non sono percettori di indennità di disoccupazione poiché immediatamente rioccupati;
    risulta evidente, quindi, l'assenza del presupposto per il pagamento del contributo ASpI, in quanto di fatto non sussiste per i lavoratori in questione alcuno stato di disoccupazione;
    la legge n. 92 del 2012 coglie l'eccezionalità del licenziamento in caso di cambio appalto ed esonera le imprese che applicano il contratto Multiservizi dal versamento del contributo ma con un limite cronologico ben preciso, ovvero solo per il periodo 2013-2015;
    in assenza di una modifica legislativa, a partire dal 1o gennaio 2016 il contributo ASpI diventerà, pertanto, un obbligo anche in caso di cambio appalto;
   considerato che:
    per quanto riguarda i casi di interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere, il finanziamento dell'indennità di Naspi avviene già ampiamente attraverso altre aliquote ordinarie e addizionali a carico delle imprese edili;
    tale contributo rischia di aggravare ulteriormente la situazione economica delle imprese di costruzioni che, oltre ad essere profondamente segnate dalla crisi, scontano anche un carico contributivo notevolmente superiore rispetto a quello degli altri comparti produttivi,

impegna il Governo

intervenire rapidamente, attraverso gli strumenti legislativi che si riterranno più opportuni, per rendere l'esonero del contributo di cui all'articolo 2, comma 34, della legge n. 92 del 2012, permanente e strutturale, eliminando tale onere che grava sul settore terziario ed edile del nostro Paese.
9/3444-A/268Ginefra, Abrignani, Pagano, Patrizia Maestri, Minnucci, Gnecchi, Arlotti, Incerti, Senaldi, Montroni, Palladino, Carrescia, Fabbri, Simoni, Simone Valente, Giacobbe, Carra, Tidei, Taricco, Dell'Aringa, Mognato, Tullo, Lodolini, Crivellari, Rampi, De Mita, Gribaudo, Salvatore Piccolo, Carloni, Amato, Patriarca, Giorgis, Cinzia Maria Fontana, Miotto, Fitzgerald Nissoli, Carrozza, Beni, Capone, Mongiello, Mariano, Ventricelli, Vico, Grassi, Capelli, Dallai, Cenni, Manfredi, Camani, Michele Bordo, Romanini, Lattuca, Basso, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge Fornero (legge 28 giugno 2012, n. 92, recante «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita»), ha introdotto, a carico del datore di lavoro, il versamento un contributo per il finanziamento dell'ASpI (oggi NASpI), da versarsi in caso di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
    in tal modo si individua, come presupposto del versamento del contributo ASpI cui sono tenuti i datori di lavoro, il teorico diritto all'ASpI da parte del lavoratore il cui rapporto di lavoro è stato interrotto;
    tale circostanza sembrerebbe evincersi dalla stessa legge n. 92 del 2012, all'articolo 2, comma 31, laddove si dispone che il contributo è dovuto: «Nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto all'AspI [...]»;
    la legge n. 92 del 1992 specifica – all'articolo 2, comma 34 – anche che «Per il periodo 2013-2015, il contributo di cui al comma 31 non è dovuto nei seguenti casi: a) licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;[...]»;
    il principio di cui sopra, individuato dalla legge n. 92 del 2012, è stato recentemente ribadito ed ampliato dal Ministero del lavoro con l'interpello n. 12 del 2015, laddove si afferma che: «La disposizione citata vale, dunque, ad esonerare i datori di lavoro dal pagamento del contributo addizionale ASpI per l'estinzione dei rapporti di lavoro cui non consegue uno stato di disoccupazione in ragione della contestuale riassunzione del personale da parte dell'impresa subentrante»;
    nei casi di licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, pertanto, la ratio della norma si ravvisa nel fatto che i lavoratori che cessano il rapporto di lavoro e contestualmente sono riassunti per effetto del cambio appalto, anche in attuazione di clausole sociali, non sono percettori di indennità di disoccupazione poiché immediatamente rioccupati;
    risulta evidente, quindi, l'assenza del presupposto per il pagamento del contributo ASpI, in quanto di fatto non sussiste per i lavoratori in questione alcuno stato di disoccupazione;
    la legge n. 92 del 2012 coglie l'eccezionalità del licenziamento in caso di cambio appalto ed esonera le imprese che applicano il contratto Multiservizi dal versamento del contributo ma con un limite cronologico ben preciso, ovvero solo per il periodo 2013-2015;
    in assenza di una modifica legislativa, a partire dal 1o gennaio 2016 il contributo ASpI diventerà, pertanto, un obbligo anche in caso di cambio appalto;
   considerato che:
    per quanto riguarda i casi di interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere, il finanziamento dell'indennità di Naspi avviene già ampiamente attraverso altre aliquote ordinarie e addizionali a carico delle imprese edili;
    tale contributo rischia di aggravare ulteriormente la situazione economica delle imprese di costruzioni che, oltre ad essere profondamente segnate dalla crisi, scontano anche un carico contributivo notevolmente superiore rispetto a quello degli altri comparti produttivi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire rapidamente, attraverso gli strumenti legislativi che si riterranno più opportuni, per rendere l'esonero del contributo di cui all'articolo 2, comma 34, della legge n. 92 del 2012, permanente e strutturale, eliminando tale onere che grava sul settore terziario ed edile del nostro Paese.
9/3444-A/268. (Testo modificato nel corso della seduta) Ginefra, Abrignani, Pagano, Patrizia Maestri, Minnucci, Gnecchi, Arlotti, Incerti, Senaldi, Montroni, Palladino, Carrescia, Fabbri, Simoni, Simone Valente, Giacobbe, Carra, Tidei, Taricco, Dell'Aringa, Mognato, Tullo, Lodolini, Crivellari, Rampi, De Mita, Gribaudo, Salvatore Piccolo, Carloni, Amato, Patriarca, Giorgis, Cinzia Maria Fontana, Miotto, Fitzgerald Nissoli, Carrozza, Beni, Capone, Mongiello, Mariano, Ventricelli, Vico, Grassi, Capelli, Dallai, Cenni, Manfredi, Camani, Michele Bordo, Romanini, Lattuca, Basso, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    la previsione di cui all'articolo 1 comma 373, inserita in un complesso e frammentato quadro normativo, disciplina la riorganizzazione della Scuola Nazionale dell'Amministrazione; in questo contesto si prevede la riduzione dei servizi strumentali, del numero complessivo dei docenti, un risparmio di spesa di almeno il 10 per cento dei trasferimenti dal bilancio dello Stato e, in tale contesto, a decorrere dal 1o gennaio 2016, la applicazione di un nuovo regime retributivo per i docenti già in servizio, il cui contenuto concreto però potrà emergere solo in seguito al completamento dei tanti e articolati passaggi procedurali ed atti normativi ed amministrativi nei quali è segmentata la operazione di riordino suddetta;
    rilevato che, infatti, per effetto delle disposizioni del disegno di legge di Stabilità per il 2016 sopra menzionate si pone mano ad un ulteriore intervento di riordino della Scuola Nazionale dell'Amministrazione, ripetutamente interessata negli ultimi mesi da misure di riorganizzazione, revisione della struttura, ridefinizione della missione istituzionale, a volte anche sovrapposte e comunque ancora in itinere, nel senso che, ferma l'attribuzione al Governo di una potestà di riordino regolamentare conferita ai sensi dell'articolo 21 del decreto-legge n. 90 del 2014 per taluni aspetti organizzativi per i quali non è stato ancora adottato il provvedimento previsto, è altresì tuttora pendente il termine per l'adozione di un decreto legislativo in materia previsto dalla legge di riforma della P.A. (articolo 11, lettera d)) legge 7 agosto 2015, n. 214.) in grado di abbracciare anche tali aspetti;
    considerato che pur in questo quadro ricco di opzioni di intervento consentite al Governo per la migliore disciplina della materia, con le disposizioni menzionate del presente ddl Stabilità 2016 si detta una ulteriore disposizione di legge sullo stesso oggetto che però, proprio per l'intreccio normativo determinatosi, rende più confuso ed incerto il quadro complessivo di riferimento, piuttosto che semplificare;
    ritenuto che, infatti, la disposizione sopra ricordata, così come formulata, pare dare adito a diverse perplessità principalmente in quanto si interviene su pretesi effetti derivanti da un futuro ed ipotetico decreto legislativo (in quanto non ancora adottato); ma in questo modo si interviene in relazione ad una normativa non ancora prodotta, per pretese esigenze di rimodulazione di effetti non prodottisi, e pertanto che, non solo non si sono manifestati né possono comunque apprezzarsi, ma che si devono qualificare quanto meno eventuali in quanto allo stato la delega non è stata esercitata e nulla esclude che possa non essere esercitata, o non per tutti i criteri di delega conferiti, né tanto meno può ipotizzarsi ora con quali contenuti specifici;
    rilevato altresì che la disposizione medesima incide su di una disposizione riferita ad una legge di delega prima che sia scaduto il termine per il relativo esercizio, ma non per modificare qualcuno dei criteri di delega previsti (esito comunque non consentito in legge di stabilità, ove, come nel caso di specie, si miri esclusivamente ad una ridefinizione meramente ordinamentale del quadro di riferimento), bensì per anticiparne in qualche modo gli effetti che sono ricondotti pur sempre all'esercizio di quella delega legislativa che resta nella disponibilità dell'Esecutivo. Infatti, sarebbe fin troppo facile notare, che lo stesso intervento di cui alla legge di Stabilità sopra menzionato ben potrebbe essere frustrato o ulteriormente modificato o persino posto nel nulla proprio in sede di esercizio di quella delega legislativa il cui termine è ancora pendente, con quali conseguenze in termini di chiarezza del quadro normativo di riferimento è fin troppo agevole cogliere;
    considerato che la disposizione, così come formulata, risponde all'unica finalità di prevedere una applicazione retroattiva di previsioni oggetto di quell'intervento di attuazione della delega legislativa di cui si è detto (che, come precisato, allo stato non sono stati adottati, né è detto che lo siano fino alla scadenza del termine di legge, né tanto meno può prevedersi ora con quali contenuti, tanto da consentire al legislatore della legge di stabilità di rimodularne gli effetti): intervenendo in maniera retroattiva su diritti soggettivi perfetti, la disposizione apre il campo ad un contenzioso non difficile da prevedere, tenuto conto della costante giurisprudenza costituzionale in materia, con conseguenze onerose per l'erario (non stimate né tanto meno provviste di adeguata copertura finanziaria nel provvedimento);
    considerato che la coniugazione delle diverse esigenze in campo (prima di tutto contenimento della spesa pubblica e salvaguardia di principi di valenza costituzionale in tema di diritti soggetti perfetti) può essere garantita attraverso la previsione di un generale criterio informatore per la rimodulazione dei trattamenti retributivi in discorso, e cioè che qualora il trattamento economico in godimento sia superiore al trattamento economico rideterminato ai sensi delle diverse disposizioni in materia, per i dipendenti interessati sia prevista la conservazione, anche ai fini contributivi e previdenziali, del solo trattamento economico fondamentale, con il riassorbimento della eventuale differenza a valere sugli eventuali futuri miglioramenti retributivi,

impegna il Governo

ad adottare ogni intervento interpretativo ed attuativo idoneo ad assicurare la corrispondenza tra le misure di prossima adozione ai sensi della legge di Stabilità sopra menzionate in tema di riordino della Scuola Nazionale dell'Amministrazione e quanto precisato in premessa, anche al fine di evitare gli oneri per le amministrazioni pubbliche connessi con gli esiti di un contenzioso diffuso in materia ove si intervenisse in senso difforme da quanto più volte chiarito dalla Corte Costituzionale in materia.
9/3444-A/269Minardo, Pagano, Sammarco.


   La Camera,
   premesso che:
    la previsione di cui all'articolo 1 comma 373, inserita in un complesso e frammentato quadro normativo, disciplina la riorganizzazione della Scuola Nazionale dell'Amministrazione; in questo contesto si prevede la riduzione dei servizi strumentali, del numero complessivo dei docenti, un risparmio di spesa di almeno il 10 per cento dei trasferimenti dal bilancio dello Stato e, in tale contesto, a decorrere dal 1o gennaio 2016, la applicazione di un nuovo regime retributivo per i docenti già in servizio, il cui contenuto concreto però potrà emergere solo in seguito al completamento dei tanti e articolati passaggi procedurali ed atti normativi ed amministrativi nei quali è segmentata la operazione di riordino suddetta;
    rilevato che, infatti, per effetto delle disposizioni del disegno di legge di Stabilità per il 2016 sopra menzionate si pone mano ad un ulteriore intervento di riordino della Scuola Nazionale dell'Amministrazione, ripetutamente interessata negli ultimi mesi da misure di riorganizzazione, revisione della struttura, ridefinizione della missione istituzionale, a volte anche sovrapposte e comunque ancora in itinere, nel senso che, ferma l'attribuzione al Governo di una potestà di riordino regolamentare conferita ai sensi dell'articolo 21 del decreto-legge n. 90 del 2014 per taluni aspetti organizzativi per i quali non è stato ancora adottato il provvedimento previsto, è altresì tuttora pendente il termine per l'adozione di un decreto legislativo in materia previsto dalla legge di riforma della P.A. (articolo 11, lettera d)) legge 7 agosto 2015, n. 214.) in grado di abbracciare anche tali aspetti;
    considerato che pur in questo quadro ricco di opzioni di intervento consentite al Governo per la migliore disciplina della materia, con le disposizioni menzionate del presente ddl Stabilità 2016 si detta una ulteriore disposizione di legge sullo stesso oggetto che però, proprio per l'intreccio normativo determinatosi, rende più confuso ed incerto il quadro complessivo di riferimento, piuttosto che semplificare;
    ritenuto che, infatti, la disposizione sopra ricordata, così come formulata, pare dare adito a diverse perplessità principalmente in quanto si interviene su pretesi effetti derivanti da un futuro ed ipotetico decreto legislativo (in quanto non ancora adottato); ma in questo modo si interviene in relazione ad una normativa non ancora prodotta, per pretese esigenze di rimodulazione di effetti non prodottisi, e pertanto che, non solo non si sono manifestati né possono comunque apprezzarsi, ma che si devono qualificare quanto meno eventuali in quanto allo stato la delega non è stata esercitata e nulla esclude che possa non essere esercitata, o non per tutti i criteri di delega conferiti, né tanto meno può ipotizzarsi ora con quali contenuti specifici;
    rilevato altresì che la disposizione medesima incide su di una disposizione riferita ad una legge di delega prima che sia scaduto il termine per il relativo esercizio, ma non per modificare qualcuno dei criteri di delega previsti (esito comunque non consentito in legge di stabilità, ove, come nel caso di specie, si miri esclusivamente ad una ridefinizione meramente ordinamentale del quadro di riferimento), bensì per anticiparne in qualche modo gli effetti che sono ricondotti pur sempre all'esercizio di quella delega legislativa che resta nella disponibilità dell'Esecutivo. Infatti, sarebbe fin troppo facile notare, che lo stesso intervento di cui alla legge si Stabilità sopra menzionato ben potrebbe essere frustrato o ulteriormente modificato o persino posto nel nulla proprio in sede di esercizio di quella delega legislativa il cui termine è ancora pendente, con quali conseguenze in termini di chiarezza del quadro normativo di riferimento è fin troppo agevole cogliere;
    considerato che la disposizione, così come formulata, risponde all'unica finalità di prevedere una applicazione retroattiva di previsioni oggetto di quell'intervento di attuazione della delega legislativa di cui si è detto (che, come precisato, allo stato non sono stati adottati, né è detto che lo siano fino alla scadenza del termine di legge, né tanto meno può prevedersi ora con quali contenuti, tanto da consentire al legislatore della legge di stabilità di rimodularne gli effetti): intervenendo in maniera retroattiva su diritti soggettivi perfetti, la disposizione apre il campo ad un contenzioso non difficile da prevedere, tenuto conto della costante giurisprudenza costituzionale in materia, con conseguenze onerose per l'erario (non stimate né tanto meno provviste di adeguata copertura finanziaria nel provvedimento);
    considerato che la coniugazione delle diverse esigenze in campo (prima di tutto contenimento della spesa pubblica e salvaguardia di principi di valenza costituzionale in tema di diritti soggetti perfetti) può essere garantita attraverso la previsione di un generale criterio informatore per la rimodulazione dei trattamenti retributivi in discorso, e cioè che qualora il trattamento economico in godimento sia superiore al trattamento economico rideterminato ai sensi delle diverse disposizioni in materia, per i dipendenti interessati sia prevista la conservazione, anche ai fini contributivi e previdenziali, del solo trattamento economico fondamentale, con il riassorbimento della eventuale differenza a valere sugli eventuali futuri miglioramenti retributivi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni intervento interpretativo ed attuativo idoneo ad assicurare la corrispondenza tra le misure di prossima adozione ai sensi della legge di Stabilità sopra menzionate in tema di riordino della Scuola Nazionale dell'Amministrazione e quanto precisato in premessa, anche al fine di evitare gli oneri per le amministrazioni pubbliche connessi con gli esiti di un contenzioso diffuso in materia ove si intervenisse in senso difforme da quanto più volte chiarito dalla Corte Costituzionale in materia.
9/3444-A/269. (Testo modificato nel corso della seduta) Minardo, Pagano, Sammarco.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 499-novies introduce una quota riservata alle imprese del SUD delle risorse per la promozione industriale, iscritte in più leggi tra le quali il Fondo di garanzia delle Pmi; Il Fondo è articolato in varie sezioni destinate ad ambiti di intervento specifici, da ultimo il decreto ministeriale 18 marzo 2015 ha definito la quota delle risorse del Fondo da destinare al microcredito;
    il decreto legislativo n. 141 del 2010 ha previsto anche per l'articolo 111 del testo unico delle leggi bancarie una vigilanza della Banca d'Italia per i soggetti operanti nel microcredito;
    in un momento storico e socio-economico in cui il paese tenta di uscire dalla crisi attraverso strumenti come il microcredito, che appare volano di sviluppo per artigiani imprese e famiglie;
    risulta pertanto di ostacolo a tale logica di sviluppo sia la limitazione del microcredito ad un massimo di 25.000 euro, sia i vincoli di forma giuridica degli organismi che operano in tale ambito, anche in considerazione del fatto che le banche stanno riducendo i finanziamenti al comparto ormai da anni;
    la scelta del Governo di respingere tali considerazioni nonostante l'intervento della VI Commissione Finanze nella qualità del relatore onorevole Tancredi appare, non solo discriminante ma con seri profili di incostituzionalità, per violazione del principio di uguaglianza in quanto le norme comunitarie favoriscono le forme ed i limiti del microcredito, (vedi norma comunitaria 2008/48 C.E.),

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di introdurre talune modifiche al testo unico delle leggi bancarie, prevedendo:
    l'innalzamento della soglia di 25.000 euro prevista dall'articolo 111;
    l'estensione dei soggetti finanziabili, con la sola esclusione delle società per azioni e dei titolari di partita I.V.A..
9/3444-A/270Pagano, Sammarco.


   La Camera,
   considerato che:
    i commi 245 e successivi dettano disposizioni in materia di interventi in favore delle popolazioni e dei territori colpiti dai terremoti dal 2009 in poi;
    il decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14 ha disposto l'accorpamento entro il 2018 dei tribunali di Avezzano e Sulmona, nella sede giudiziaria dell'Aquila;
    in considerazione del ritardo nella realizzazione della struttura giudiziaria a seguito del sisma del 6 aprile 2009, in quanto ancora incompleta di una importante ala che dovrebbe ospitare i nuovi uffici giudiziari, oltre alla realizzazione di nuovi parcheggi ed i persistenti problemi infrastrutturali,

impegna il Governo

a rivedere le materie dell'accorpamento dei tribunali con particolare riferimento alla questione dell'accorpamento dei tribunali di Avezzano e Sulmona, nella sede giudiziaria dell'Aquila, da posporre ad una data successiva a quella proposta.
9/3444-A/271(Nuova formulazione) Piccone.


   La Camera,
   premesso che:
    gli enti locali della regione Siciliana da oltre venticinque anni fronteggiano l'annosa questione di oltre 18000 lavoratori dipendenti a tempo determinato che non hanno mai ottenuto alcuna forma di stabilizzazione presso gli enti nei quali prestavano servizio;
   considerato che:
    questi lavoratori hanno tutti vinto, senza distinzione alcuna, procedure selettive ad evidenza pubblica o previste da specifiche norme di legge, per operare nelle categorie e profili professionali messi a bando;
    la continuità dei rapporti di lavoro prorogati nel tempo hanno consentito agli enti di appartenenza l'acquisizione di professionalità e competenze che oggi risultano fondamentali per la sopravvivenza e la funzionalità degli enti stessi;
    la disponibilità di figure professionali con contratti di lavoro flessibili hanno consentito negli anni agli enti locali quel ricambio generazionale che ha consentito di sopperire alle cessazioni di personale, avvenute costantemente negli anni, a partire dal 1989, nella vigenza del blocco del turnover;
    inoltre, la proroga continua dei loro contratti ha consentito economie di spesa per le pubbliche amministrazioni che, al contrario, sarebbero state costrette ad esternalizzare alcune competenze con aggravi ulteriori per i bilanci già ridotti degli stessi;
    il comma 6-bis dell'articolo 6 del decreto-legge n. 192 del 2014 (Milleproroghe) aveva disposto la proroga secca di tutti i contratti sopra illustrati fino al 31 dicembre 2015; il comma 6-ter peraltro prevedeva l'attivazione di un tavolo di confronto tra le amministrazioni interessate, gli enti locali e le organizzazioni dei lavoratori per individuare soluzioni normative o amministrative ai problemi occupazionali connessi ai rapporti convenzionali;
    nel rispetto dei vincoli del Patto di stabilità interno per gli enti locali, sarebbe auspicabile una progressiva ma costante stabilizzazione di questi precari storici che ormai costituiscono risorse essenziali per lo svolgimento delle funzioni degli enti territoriali;
    la modifica al comma 116 introdotta in sede di esame presso la commissione bilancio al dispone la proroga fino al 31 dicembre 2016 (in luogo del 31 dicembre 2015) dei contratti a tempo determinato degli enti territoriali delle regioni a statuto speciale, nei limiti già previsti dal comma 9-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 101 del 2013, che prevede, ai fini della programmazione triennale del fabbisogno di personale riferita al quadriennio 2013-2016, l'obbligo, per le regioni a statuto speciale e per altri specifici enti territoriali, di calcolare il complesso delle spese per il personale al netto dell'eventuale contributo erogato dalle regioni;
    così come concepita la norma esclude la proroga dei rapporti di lavoro nei comuni in stato di dissesto o predissesto; di fatto circa 7.000 lavoratori sono esclusi dalla proroga del beneficio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare, in sede di redazione del decreto-legge contenente le proroghe dei termini previsti d disposizioni legislative, di estendere la proroga alla prosecuzione dei rapporti di lavoro descritti in premessa a tutti gli enti locali della regione Siciliana.
9/3444-A/272Bosco, Garofalo, Minardo, Misuraca, Pagano.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame presenta misure per far fronte alle esigenze della ricostruzione connesse agli stati di dissesto idrogeologico;
    considerato che il corso d'acqua «Torrente Budello», che interessa una importante porzione del comune di Gioia Tauro (RC), è causa di periodiche inondazioni che colpiscono numerosi edifici ed importanti arterie stradali;
    vista la necessità di intervento per la garanzia della pubblica incolumità e preso atto che il recente intervento di arginamento delle acque non ha avuto esito risolutivo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di mettere in atto tutte le azioni necessarie al fine di garantire la messa in sicurezza dell'abitato, delle infrastrutture e degli abitanti di Gioia Tauro, a partire dai progetti già elaborati dagli esperti del comune a partire dall'anno 2006, che meglio conoscono – in quanto ideati in loco – gli specifici problemi dell'area.
9/3444-A/273Scopelliti.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 178 del provvedimento in esame estende il credito d'imposta per gli investitori esterni (cosiddetti tax credit esterno) al settore cinematografico e audiovisivo (finora previsto per gli apporti in denaro per la produzione di opere nazionali) anche agli apporti per la distribuzione delle stesse in Italia e all'estero. Al contempo, si dispone che la percentuale del 40 per cento ivi indicata è la misura massima del credito d'imposta e che con il decreto ministeriale attuativo è possibile differenziare le aliquote di agevolazione;
    nel 2013 l'apporto del credito d'imposta cinematografico (tax credit) ha superato il contributo diretto alla produzione cinematografica, 95 milioni di euro il primo, 91 milioni il secondo. Un risultato importante, dietro a cui si cela però un utilizzo che appare disinvolto e che nulla sembra avere a che fare con l'investimento imprenditoriale nel settore;
    il fenomeno sembra si basi su una «falla» della legge che assegna il tax credit esterno sulla base di una dichiarazione, ma poi non verifica se le somme indicate siano state integralmente utilizzate per la produzione del film; le risorse che si dichiara di avere destinato alla produzione di un film, godono di uno sconto fiscale, ma poi vengono accantonate, non utilizzate e alla fine recuperate,

impegna il Governo

in sede di emanazione del decreto di cui del numero 2) della lettera a) del comma 325 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 2007, come introdotto dal comma 178, del provvedimento in esame, a chiarire che il tax credit esterno deve essere considerato nel piano finanziario del film e che è obbligatoria la partecipazione delle risorse da esso derivanti al rischio d'impresa.
9/3444-A/274Sammarco.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 178 del provvedimento in esame estende il credito d'imposta per gli investitori esterni (cosiddetti tax credit esterno) al settore cinematografico e audiovisivo (finora previsto per gli apporti in denaro per la produzione di opere nazionali) anche agli apporti per la distribuzione delle stesse in Italia e all'estero. Al contempo, si dispone che la percentuale del 40 per cento ivi indicata è la misura massima del credito d'imposta e che con il decreto ministeriale attuativo è possibile differenziare le aliquote di agevolazione;
    nel 2013 l'apporto del credito d'imposta cinematografico (tax credit) ha superato il contributo diretto alla produzione cinematografica, 95 milioni di euro il primo, 91 milioni il secondo. Un risultato importante, dietro a cui si cela però un utilizzo che appare disinvolto e che nulla sembra avere a che fare con l'investimento imprenditoriale nel settore;
    il fenomeno sembra si basi su una «falla» della legge che assegna il tax credit esterno sulla base di una dichiarazione, ma poi non verifica se le somme indicate siano state integralmente utilizzate per la produzione del film; le risorse che si dichiara di avere destinato alla produzione di un film, godono di uno sconto fiscale, ma poi vengono accantonate, non utilizzate e alla fine recuperate,

impegna il Governo

in sede di emanazione del decreto di cui del numero 2) della lettera a) del comma 325 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 2007, come introdotto dal comma 178, del provvedimento in esame, a valutare l'opportunità di chiarire che il tax credit esterno deve essere considerato nel piano finanziario del film e che è obbligatoria la partecipazione delle risorse da esso derivanti al rischio d'impresa.
9/3444-A/274. (Testo modificato nel corso della seduta) Sammarco.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento reca una serie di importanti misure riguardanti il settore dei dispositivi medici, obiettivo di contenimento dei costi;
    il disegno di legge «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali», ora legge n.125 del 6 agosto 2015, ha introdotto il meccanismo del pay-back, ossia la compartecipazione delle imprese fornitrici al ripiano dello sforamento della spesa rispetto al tetto prefissato (fissato al 4 per cento del finanziamento statale del SSN), in misura pari al 40 per cento dello sforamento nel 2015, del 45 per cento nel 2016 e del 50 per cento a partire dal 2017;
    come emerso durante l'esame al Senato il meccanismo del pay-back, pur rispondendo ad una condivisibile finalità di revisione della spesa sanitaria, qualora applicato potrebbe far registrare effettive entrate per le casse regionali verosimilmente non prima di un paio di anni dalla sua introduzione. Immediate, invece, sarebbero le ripercussioni negative per le imprese del settore che dovrebbero accantonare nei propri bilanci appositi fondi per rischi e oneri;
    le piccole e medie imprese del settore, i cui margini economici sono di gran lunga inferiori alle percentuali previste dal pay-back, si troverebbero nell'oggettiva impossibilità di concorrere per la parte loro richiesta, con conseguenze oggettive sia sull'attività di impresa sia sull'intero meccanismo del pay-back. Mentre sul fronte delle imprese multinazionali, largamente presenti in Italia con importanti attività di ricerca e produzione, si assisterebbe ad una lunga sequenza di disinvestimenti e delocalizzazioni con conseguenze importanti sui livelli occupazionali del settore;
    alla meglio, le imprese del settore obbligate a prevedere delle riserve in bilancio, sarebbero impossibilitate ad investire in tecnologie innovative a discapito delle prestazioni sanitarie. La carenza di risorse per gli investimenti e l'obsolescenza delle dotazioni tecnologiche (dispositivi medici e apparecchiature medicali) metterebbero, così, a rischio la qualità dei servizi rappresentando, allo stesso tempo, un aggravio dei costi per il SSN. L'utilizzo di dispositivi innovativi, al contrario, garantirebbe nel medio-lungo termine, la riduzione della spesa sanitaria, assicurando al cittadino diagnosi accurate, prestazioni risolutive e di elevato standard;
    nel settore dell'assistenza farmaceutica territoriale le aziende sono responsabilmente coinvolte nella dinamica della domanda e dell'offerta dei medicinali, in quanto possono controllare, nell'ambito della propria autonomia privata, la distribuzione dei loro prodotti presso le farmacie convenzionate nell'arco di una razionale pianificazione della spesa coincidente perfettamente con i termini di assegnazione del budget annuale; il meccanismo del pay-back previsto nel comparto dei dispositivi medici, non prevede un egual coinvolgimento delle aziende del settore alle quali, per cause peraltro non a loro imputabili, – specie per quanto concerne l'assistenza ospedaliera dove prevalgono condizioni e termini cogenti per lo più di ordine pubblico – viene negato ogni responsabile potere di intervento, ove si consideri che le cessioni dei prodotti avvengono a seguito di regolari gare pubbliche di affidamento delle forniture di dispositivi medici e il fabbisogno di tali prodotti viene stabilito dagli stessi ospedali nei capitolati con un termine garantito di fornitura di circa 3 anni;
    la Commissione Bilancio del Senato ha approvato l'emendamento delle relatrici n. 32.2000 che prevede che nel 2015 e 2016, la spesa per i farmaci innovativi resti a carico del SSN e non concorra al raggiungimento del tetto di spesa per la farmaceutica territoriale, se non per la quota che eccede il fondo ad hoc, previsto dalla manovra dello scorso anno. Le aziende farmaceutiche, fino alla concorrenza di 500 mln di euro per anno, non saranno, quindi, chiamate a sborsare risorse per ripianare eventuali superamenti del tetto di spesa nazionale a titolo di pay-back. Per garantire la sostenibilità finanziaria dei farmaci innovativi l'emendamento approvato prevede anche che il Ministero della salute, sentita l'Aifa e d'intesa con le regioni, predisponga ogni anno un «Programma strategico» per definire le priorità di intervento, le condizioni di accesso ai trattamenti e le previsioni di spesa in materia di farmaci innovativi,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative al fine di evitare che l'applicazione del pay-back, nel settore dei dispositivi medici, produca gli effetti distorsivi suindicati, introducendo previsioni normative capaci di incentivare «l'innovazione» e la «ricerca» nel settore.
9/3444-A/275Garofalo.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento reca una serie di importanti misure riguardanti il settore dei dispositivi medici, obiettivo di contenimento dei costi;
    il disegno di legge «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali», ora legge n.125 del 6 agosto 2015, ha introdotto il meccanismo del pay-back, ossia la compartecipazione delle imprese fornitrici al ripiano dello sforamento della spesa rispetto al tetto prefissato (fissato al 4 per cento del finanziamento statale del SSN), in misura pari al 40 per cento dello sforamento nel 2015, del 45 per cento nel 2016 e del 50 per cento a partire dal 2017;
    come emerso durante l'esame al Senato il meccanismo del pay-back, pur rispondendo ad una condivisibile finalità di revisione della spesa sanitaria, qualora applicato potrebbe far registrare effettive entrate per le casse regionali verosimilmente non prima di un paio di anni dalla sua introduzione. Immediate, invece, sarebbero le ripercussioni negative per le imprese del settore che dovrebbero accantonare nei propri bilanci appositi fondi per rischi e oneri;
    le piccole e medie imprese del settore, i cui margini economici sono di gran lunga inferiori alle percentuali previste dal pay-back, si troverebbero nell'oggettiva impossibilità di concorrere per la parte loro richiesta, con conseguenze oggettive sia sull'attività di impresa sia sull'intero meccanismo del pay-back. Mentre sul fronte delle imprese multinazionali, largamente presenti in Italia con importanti attività di ricerca e produzione, si assisterebbe ad una lunga sequenza di disinvestimenti e delocalizzazioni con conseguenze importanti sui livelli occupazionali del settore;
    alla meglio, le imprese del settore obbligate a prevedere delle riserve in bilancio, sarebbero impossibilitate ad investire in tecnologie innovative a discapito delle prestazioni sanitarie. La carenza di risorse per gli investimenti e l'obsolescenza delle dotazioni tecnologiche (dispositivi medici e apparecchiature medicali) metterebbero, così, a rischio la qualità dei servizi rappresentando, allo stesso tempo, un aggravio dei costi per il SSN. L'utilizzo di dispositivi innovativi, al contrario, garantirebbe nel medio-lungo termine, la riduzione della spesa sanitaria, assicurando al cittadino diagnosi accurate, prestazioni risolutive e di elevato standard;
    nel settore dell'assistenza farmaceutica territoriale le aziende sono responsabilmente coinvolte nella dinamica della domanda e dell'offerta dei medicinali, in quanto possono controllare, nell'ambito della propria autonomia privata, la distribuzione dei loro prodotti presso le farmacie convenzionate nell'arco di una razionale pianificazione della spesa coincidente perfettamente con i termini di assegnazione del budget annuale; il meccanismo del pay-back previsto nel comparto dei dispositivi medici, non prevede un egual coinvolgimento delle aziende del settore alle quali, per cause peraltro non a loro imputabili, – specie per quanto concerne l'assistenza ospedaliera dove prevalgono condizioni e termini cogenti per lo più di ordine pubblico – viene negato ogni responsabile potere di intervento, ove si consideri che le cessioni dei prodotti avvengono a seguito di regolari gare pubbliche di affidamento delle forniture di dispositivi medici e il fabbisogno di tali prodotti viene stabilito dagli stessi ospedali nei capitolati con un termine garantito di fornitura di circa 3 anni;
    la Commissione Bilancio del Senato ha approvato l'emendamento delle relatrici n. 32.2000 che prevede che nel 2015 e 2016, la spesa per i farmaci innovativi resti a carico del SSN e non concorra al raggiungimento del tetto di spesa per la farmaceutica territoriale, se non per la quota che eccede il fondo ad hoc, previsto dalla manovra dello scorso anno. Le aziende farmaceutiche, fino alla concorrenza di 500 mln di euro per anno, non saranno, quindi, chiamate a sborsare risorse per ripianare eventuali superamenti del tetto di spesa nazionale a titolo di pay-back. Per garantire la sostenibilità finanziaria dei farmaci innovativi l'emendamento approvato prevede anche che il Ministero della salute, sentita l'Aifa e d'intesa con le regioni, predisponga ogni anno un «Programma strategico» per definire le priorità di intervento, le condizioni di accesso ai trattamenti e le previsioni di spesa in materia di farmaci innovativi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative normative al fine di evitare che l'applicazione del pay-back, nel settore dei dispositivi medici, produca gli effetti distorsivi suindicati, introducendo previsioni normative capaci di incentivare «l'innovazione» e la «ricerca» nel settore.
9/3444-A/275. (Testo modificato nel corso della seduta) Garofalo.


   La Camera,
   premesso che:
    per far fronte ad eventuali esigenze assunzionali, rese ancor più necessarie dopo l'entrata in vigore delle disposizioni dell'Unione Europea in materia di articolazione dell'orario di lavoro, la legge di Stabilità 2016 prevede che gli Enti del Servizio Sanitario nazionale, pur nel rispetto del contenimento dei costi della spesa del personale sanitario e in materia di Piani di rientro, possono nel biennio 2016-2017 indire procedure concorsuali straordinarie per l'assunzione di personale medico ed infermieristico al fine di garantire la continuità assistenziale;
    per evitare criticità nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, la medesima legge autorizza le regioni a ricorrere a forme di lavoro flessibile nel periodo che va dal 1o gennaio 2016-31 luglio 2016, prevedendo la possibilità che i suddetti contratti siano prorogati fino al termine massimo del 31 ottobre 2016;
    l'indizione di procedure concorsuali straordinarie e la proroga dei contratti flessibili riguarda soltanto il personale medico ed infermieristico, escludendo il personale professionale e tecnico-amministrativo dell'area sanitaria, rappresentato da figure necessarie ad assicurare l'attività assistenziale nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza,

impegna il Governo

a prevedere che il Ministero della salute in sede di Conferenza Unificata tra Governo, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, definisca strumenti e criteri che consentano l'estensione delle predette misure anche al personale professionale e tecnico-amministrativo.
9/3444-A/276Calabrò.


   La Camera,
   premesso che:
    per far fronte ad eventuali esigenze assunzionali, rese ancor più necessarie dopo l'entrata in vigore delle disposizioni dell'Unione Europea in materia di articolazione dell'orario di lavoro, la legge di Stabilità 2016 prevede che gli Enti del Servizio Sanitario nazionale, pur nel rispetto del contenimento dei costi della spesa del personale sanitario e in materia di Piani di rientro, possono nel biennio 2016-2017 indire procedure concorsuali straordinarie per l'assunzione di personale medico ed infermieristico al fine di garantire la continuità assistenziale;
    per evitare criticità nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, la medesima legge autorizza le regioni a ricorrere a forme di lavoro flessibile nel periodo che va dal 1o gennaio 2016-31 luglio 2016, prevedendo la possibilità che i suddetti contratti siano prorogati fino al termine massimo del 31 ottobre 2016;
    l'indizione di procedure concorsuali straordinarie e la proroga dei contratti flessibili riguarda soltanto il personale medico ed infermieristico, escludendo il personale professionale e tecnico-amministrativo dell'area sanitaria, rappresentato da figure necessarie ad assicurare l'attività assistenziale nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere che il Ministero della salute in sede di Conferenza Unificata tra Governo, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, definisca strumenti e criteri che consentano l'estensione delle predette misure anche al personale professionale e tecnico-amministrativo.
9/3444-A/276. (Testo modificato nel corso della seduta) Calabrò.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in discussione si propone di favorire una maggiore diffusione dei pagamenti mediante carte di debito e di credito, promuovendone l'utilizzo anche per pagamenti di importo contenuto;
    in tale ottica, si demanda ad un decreto attuativo del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentita la Banca d'Italia, da emanarsi entro il febbraio 2016, la «corretta e integrale applicazione del Regolamento UE n. 751/2015, esercitando in particolare le opzioni di cui all'articolo 3 del regolamento»;
    il suddetto regolamento prevede, all'articolo 3, paragrafo 1, il principio – già in vigore nel nostro ordinamento – secondo il quale «i prestatori di servizi di pagamento non offrono né chiedono per qualsiasi operazione tramite carta di debito una commissione interbancaria per ogni operazione superiore allo 0,2 per cento del valore dell'operazione»,
    il medesimo regolamento, all'articolo 3, paragrafo 2, stabilisce che gli Stati membri, per le operazioni nazionali tramite carta di debito, possono:
     «1) definire un massimale per operazione sulle commissioni interbancarie a percentuale inferiore a quello di cui al paragrafo 1 ossia inferiore a 0,2 per cento] e possono imporre un importo massimo fisso di commissione quale limite all'importo della commissione risultante dalla percentuale applicabile;
     2) consentire ai prestatori di servizi di pagamento di applicare una commissione interbancaria per operazione non superiore a 0,05 euro (...) Tale commissione interbancaria per operazione può anche essere combinata con una percentuale massima non superiore allo 0,2 per cento, a condizione che la somma delle commissioni interbancarie dello schema di carte di pagamento non superi mai lo 0,2 del valore totale annuo delle operazioni nazionali tramite carta di debito all'interno di ciascuno schema di carte di pagamento»;
    l'introduzione di un importo massimo fisso di commissione interbancaria per operazione è oggettivamente penalizzante per i pagamenti di importo contenuto rispetto ai quali è invece coerente la sola fissazione di una commissione interbancaria a percentuale;
    inoltre, nel settore della vendita diretta a domicilio, regolato dalla legge 17 agosto 2005, n. 173, l'applicazione dell'obbligo di accettare anche pagamenti effettuati con carta di debito e di credito, dettato dalla legge n. 212 del 2012 (articolo 15, commi 4 e 5) così come emendata dal ddl stabilità in corso di approvazione, risulterebbe assai critico:
     si evidenzia come il soggetto che effettua l'attività di vendita e il beneficiario del pagamento sia l'azienda e non l'incaricato alla vendita, soggetto che si limita a promuovere (e non a effettuare) la vendita, tanto che la «proposta di acquisto» o l'eventuale successivo «contratto di vendita» è tra l'azienda e il consumatore, mentre l'incaricato è l'intermediario dell'operazione di vendita;
     pertanto il soggetto che dovrebbe dotarsi di terminale POS per l'accettazione del pagamento tramite carta di debito o di credito (così come previsto dalla legge di stabilità 2016) sia l'azienda e non i singoli incaricati;
     rilevando che la platea degli incaricati alla vendita diretta a domicilio ammonta, allo stato attuale, a oltre 500.000 unità, appare evidente l'oggettiva impossibilità tecnica di dotare ogni singolo incaricato di un terminale POS;
    tale dotazione oltre che tecnicamente impossibile appare insostenibile per il settore a causa di una serie di fattori ad esso intrinseci, quali:
     a) l'elevato turnover degli incaricati, che si attesta intorno al 70 per cento annuo;
     b) il guadagno medio degli incaricati: oltre il 60 per cento guadagna meno di 600 euro l'anno;
     c) gli elevati costi economici, burocratici, organizzativi e logistici legati all'esigenza di garantire una gestione adeguata, sicura e capillare della consegna e del ritiro dei terminali di pagamento;
     d) la peculiare caratteristica degli incaricati alla vendita, che operano per oltre il 60 per cento in regime di part-time per avere un reddito integrativo al bilancio familiare;
    tutti questi elementi mal si conciliano con la complessità e la delicatezza della gestione di uno strumento di pagamento elettronico; tutto ciò finirebbe di fatto per essere un deterrente ad intraprendere l'attività di Incaricato alla vendita,

impegna il Governo:

   ad intervenire affinché il decreto in premessa, nell'esercizio delle opzioni di cui all'articolo 3 del regolamento UE n. 751/2015:
    a) salvaguardi che il massimale per operazione sulle commissioni interbancarie non sia superiore allo 0,2 del valore dell'operazione;
    b) escluda, in ogni caso, per i pagamenti di importo contenuto l'applicazione di commissioni interbancarie in misura fissa;
    c) ad intervenire nei provvedimenti attuativi del di 18 ottobre 2015, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, includendo tra le esclusioni dall'obbligo del POS anche le seguenti categorie:
    d) gli operatori economici che si ritrovino in condizioni di impossibilità di connessione dati;
    e) coloro che, senza vincolo di subordinazione, promuovono, direttamente o indirettamente, la raccolta di ordinativi di acquisto presso privati consumatori per conto di imprese esercenti la vendita diretta a domicilio, di cui all'articolo 1, lettera b), legge 17 agosto 2005, n. 173, al fine di evitare possibili rischi di truffa.
9/3444-A/277Vignali.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in discussione si propone di favorire una maggiore diffusione dei pagamenti mediante carte di debito e di credito, promuovendone l'utilizzo anche per pagamenti di importo contenuto;
    in tale ottica, si demanda ad un decreto attuativo del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentita la Banca d'Italia, da emanarsi entro il febbraio 2016, la «corretta e integrale applicazione del Regolamento UE n. 751/2015, esercitando in particolare le opzioni di cui all'articolo 3 del regolamento»;
    il suddetto regolamento prevede, all'articolo 3, paragrafo 1, il principio – già in vigore nel nostro ordinamento – secondo il quale «i prestatori di servizi di pagamento non offrono né chiedono per qualsiasi operazione tramite carta di debito una commissione interbancaria per ogni operazione superiore allo 0,2 per cento del valore dell'operazione»,
    il medesimo regolamento, all'articolo 3, paragrafo 2, stabilisce che gli Stati membri, per le operazioni nazionali tramite carta di debito, possono:
     «1) definire un massimale per operazione sulle commissioni interbancarie a percentuale inferiore a quello di cui al paragrafo 1 ossia inferiore a 0,2 per cento] e possono imporre un importo massimo fisso di commissione quale limite all'importo della commissione risultante dalla percentuale applicabile;
     2) consentire ai prestatori di servizi di pagamento di applicare una commissione interbancaria per operazione non superiore a 0,05 euro (...) Tale commissione interbancaria per operazione può anche essere combinata con una percentuale massima non superiore allo 0,2 per cento, a condizione che la somma delle commissioni interbancarie dello schema di carte di pagamento non superi mai lo 0,2 del valore totale annuo delle operazioni nazionali tramite carta di debito all'interno di ciascuno schema di carte di pagamento»;
    l'introduzione di un importo massimo fisso di commissione interbancaria per operazione è oggettivamente penalizzante per i pagamenti di importo contenuto rispetto ai quali è invece coerente la sola fissazione di una commissione interbancaria a percentuale;
    inoltre, nel settore della vendita diretta a domicilio, regolato dalla legge 17 agosto 2005, n. 173, l'applicazione dell'obbligo di accettare anche pagamenti effettuati con carta di debito e di credito, dettato dalla legge n. 212 del 2012 (articolo 15, commi 4 e 5) così come emendata dal ddl stabilità in corso di approvazione, risulterebbe assai critico:
     si evidenzia come il soggetto che effettua l'attività di vendita e il beneficiario del pagamento sia l'azienda e non l'incaricato alla vendita, soggetto che si limita a promuovere (e non a effettuare) la vendita, tanto che la «proposta di acquisto» o l'eventuale successivo «contratto di vendita» è tra l'azienda e il consumatore, mentre l'incaricato è l'intermediario dell'operazione di vendita;
     pertanto il soggetto che dovrebbe dotarsi di terminale POS per l'accettazione del pagamento tramite carta di debito o di credito (così come previsto dalla legge di stabilità 2016) sia l'azienda e non i singoli incaricati;
     rilevando che la platea degli incaricati alla vendita diretta a domicilio ammonta, allo stato attuale, a oltre 500.000 unità, appare evidente l'oggettiva impossibilità tecnica di dotare ogni singolo incaricato di un terminale POS;
    tale dotazione oltre che tecnicamente impossibile appare insostenibile per il settore a causa di una serie di fattori ad esso intrinseci, quali:
     a) l'elevato turnover degli incaricati, che si attesta intorno al 70 per cento annuo;
     b) il guadagno medio degli incaricati: oltre il 60 per cento guadagna meno di 600 euro l'anno;
     c) gli elevati costi economici, burocratici, organizzativi e logistici legati all'esigenza di garantire una gestione adeguata, sicura e capillare della consegna e del ritiro dei terminali di pagamento;
     d) la peculiare caratteristica degli incaricati alla vendita, che operano per oltre il 60 per cento in regime di part-time per avere un reddito integrativo al bilancio familiare;
    tutti questi elementi mal si conciliano con la complessità e la delicatezza della gestione di uno strumento di pagamento elettronico; tutto ciò finirebbe di fatto per essere un deterrente ad intraprendere l'attività di Incaricato alla vendita,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di intervenire affinché il decreto in premessa, nell'esercizio delle opzioni di cui all'articolo 3 del regolamento UE n. 751/2015:
    a) salvaguardi che il massimale per operazione sulle commissioni interbancarie non sia superiore allo 0,2 del valore dell'operazione;
    b) escluda, in ogni caso, per i pagamenti di importo contenuto l'applicazione di commissioni interbancarie in misura fissa;
    c) ad intervenire nei provvedimenti attuativi del di 18 ottobre 2015, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, includendo tra le esclusioni dall'obbligo del POS anche le seguenti categorie:
    d) gli operatori economici che si ritrovino in condizioni di impossibilità di connessione dati;
    e) coloro che, senza vincolo di subordinazione, promuovono, direttamente o indirettamente, la raccolta di ordinativi di acquisto presso privati consumatori per conto di imprese esercenti la vendita diretta a domicilio, di cui all'articolo 1, lettera b), legge 17 agosto 2005, n. 173, al fine di evitare possibili rischi di truffa.
9/3444-A/277. (Testo modificato nel corso della seduta) Vignali.


   La Camera,
   premesso che:
    il presente disegno di legge prevede misure concernenti la promozione del made in Italy finanziando l'associazione delle camere di commercio italiane all'estero;
    tale misura si configura come sostegno per sostenere le piccole e medie imprese sui mercati esteri e per contrastare il fenomeno della contraffazione;
    tale misura ha una particolare rilevanza per il comparto agroalimentare e per le sue eccellenze;
    la Puglia è la seconda regione a livello nazionale come numero di aziende agricole preceduta soltanto dalla Sicilia;
    olivicoltura, viticoltura, cerealicoltura legate anche processi di trasformazione sono settori trainanti della economia regionale e nazionale;
    assistiamo sempre più spesso a fenomeni di contraffazione che mettono a rischio la salute dei cittadini ed anche posti di lavoro;
    la presenza anche della Fiera del levante quale strumento di promozione assume un ruolo strategico per il futuro delle produzioni pugliesi,

impegna il Governo

nell'ambito della decimazione attuativa di tale misura a prevedere uno specifico tavolo di confronto con la regione Puglia, la Fiera del levante e le Camere di commercio per una adeguata promozione delle produzioni pugliesi nell'ambito della tutela del made in Italy.
9/3444-A/278Losacco, Boccadutri.


   La Camera,
   premesso che:
    il presente disegno di legge prevede misure concernenti la promozione del made in Italy finanziando l'associazione delle camere di commercio italiane all'estero;
    tale misura si configura come sostegno per sostenere le piccole e medie imprese sui mercati esteri e per contrastare il fenomeno della contraffazione;
    tale misura ha una particolare rilevanza per il comparto agroalimentare e per le sue eccellenze;
    la Puglia è la seconda regione a livello nazionale come numero di aziende agricole preceduta soltanto dalla Sicilia;
    olivicoltura, viticoltura, cerealicoltura legate anche processi di trasformazione sono settori trainanti della economia regionale e nazionale;
    assistiamo sempre più spesso a fenomeni di contraffazione che mettono a rischio la salute dei cittadini ed anche posti di lavoro;
    la presenza anche della Fiera del levante quale strumento di promozione assume un ruolo strategico per il futuro delle produzioni pugliesi,

impegna il Governo

nell'ambito della decimazione attuativa di tale misura a valutare l'opportunità di prevedere uno specifico tavolo di confronto con la regione Puglia, la Fiera del levante e le Camere di commercio per una adeguata promozione delle produzioni pugliesi nell'ambito della tutela del made in Italy.
9/3444-A/278. (Testo modificato nel corso della seduta)  Losacco, Boccadutri.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 470 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016 dispone norme volte alla tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea e al pagamento degli oneri finanziari ad esse connessi;
    con sentenza del 17 settembre 2015 (Commissione c. Italia, C-367/14), la Corte di giustizia ha condannato l'Italia al pagamento di una penalità semestrale di 12 milioni di euro e ad una somma forfettaria di 30 milioni di euro quale sanzione per non aver adottato le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 6 ottobre 2011 (Commissione c. Italia, C-302/09), concernente il mancato recupero degli aiuti concessi alle imprese nei territori di Venezia e Chioggia recanti sgravi dagli oneri sociali concessi con legge n. 36 del 1996, dichiarati incompatibili con la normativa europea in materia di aiuti di Stato nel 1999, con decisione n. 2000/394/CE;
    sulla questione è intervenuta la legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012) che ha disposto norme in merito all'attività istruttoria – da svolgere a cura dell'INPS – volta ad accertare la presunta l'idoneità dell'agevolazione a falsare o a minacciare la concorrenza e incidere sugli scambi comunitari; in base alla legge di stabilità 2013, l'INPS era tenuto a notificare alle imprese provvedimento motivato contenente avviso di addebito, recante l'intimazione di pagamento delle somme corrispondenti agli importi non versati per effetto del regime agevolativo (oneri sociali) e dei relativi interessi, calcolati sulla base delle disposizioni di cui al Capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione del 21 aprile 2004, maturati dalla data in cui si è fruito dell'agevolazione e sino alla data del recupero effettivo;
   rilevato che:
    gli addebiti per il recupero degli aiuti raggiungono somme elevatissime e coinvolgono oltre 160 imprese: gli interessi – calcolati secondo le disposizioni della citata legge n. 228 del 2012 rappresentano i due terzi del debito complessivo;
    il calcolo degli interessi determinati ai sensi della legge n. 228 del 2012 porta irrimediabilmente alla crisi di molte imprese di tutti i settori – in particolare: turismo, industria, vetro, servizi, pesca – di Venezia e Chioggia comprese anche importanti aziende controllate dal comune di Venezia, con effetti pesanti in termini occupazionali e con ricadute – indirette – sull'Inps stesso che sarebbe chiamato ad intervenire con ammortizzatori sociali;
    le imprese interessate hanno iniziato a versare – nel corso del 2014 – le somme relative al capitale, ma non gli interessi che, si ribadisce, così come richiesti dalla legge n. 228 del 2012 ammontano a due volte tanto il capitale richiesto;

la chiusura della vicenda permetterebbe allo Stato italiano di non incorrere nel pagamento delle penalità semestrali previste dalla sentenza del 17 settembre 2015 (Commissione c. Italia, C-367/14);
    in tema di calcolo degli interessi il Reg. (CE) 21-4-2004 n. 794/2004 della Commissione, che reca norme per il calcolo dei termini in tutti i procedimenti relativi agli aiuti di Stato e del tasso d'interesse per il recupero di aiuti illegittimi, prevede che tali disposizioni si applicano a tutte le decisioni di recupero notificate successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento: quindi si applicano solo alle decisioni di recupero notificate dopo il 20 maggio 2004, data di entrata in vigore del Regolamento;
   considerato che:
    la decisione n. 2000/394/CE della Commissione, del 25 novembre 1999, sugli aiuti concessi sotto forma di sgravio, nel triennio 1995-1997, in favore delle imprese operanti nei territori di Venezia e Chioggia è del 1999, gli interessi sulle somme da recuperare non devono essere calcolati sulla base delle disposizioni di cui al Capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione del 21 aprile 2004 e quindi, in particolare, non devono essere applicati secondo il regime dell'interesse composto;
    la sentenza della Corte di giustizia europea del 3 settembre 2015 in merito ai criteri di determinazione degli interessi relativi al recupero di aiuti incompatibili con il mercato comune, nel caso in cui la decisione di recupero sia stata notificata anteriormente all'entrata in vigore del Regolamento (CE) n. 794/2004 – è il caso di Venezia Chioggia, notificata nel 1999 – ha rinviato al diritto nazionale, che deve determinare quali criteri applicare per il calcolo degli interessi sulle somme da recuperare;
   sottolineato che:
    lo stato membro, destinatario di una decisione che gli impone di recuperare aiuti illegittimi, è tenuto, ai sensi dell'articolo 249 del Trattato, ad adottare ogni misura idonea ad un recupero effettivo ed immediato degli aiuti, dando così tempestiva esecuzione alle sentenze di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile a rendere sostenibile e quindi possibile il recupero degli aiuti concessi a favore delle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia, modificando i criteri di calcolo e di decorrenza degli interessi sulle somme da recuperare e ammettendo la compensazione delle medesime somme con crediti certi, liquidi ed esigibili delle medesime imprese nei confronti dell'Inps.
9/3444-A/279Mognato, Venittelli, Brunetta, Marcon, Pastorelli, Causin, Prataviera, Martella, Crivellari, Murer, Zoggia, Moretto, De Menech, Naccarato, Narduolo, Camani, Rubinato, Rostellato, Casellato, Miotto, Ginato, Zardini, D'Arienzo, Dal Moro, Sbrollini, Rotta, Crimì, Zan.


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso dell'esame al Senato del disegno di legge di Stabilità 2016 è stata introdotta una modifica finalizzata ad equiparare i liberi professionisti esercenti attività economica alle Pmi ai fini dell'accesso ai Fondi strutturali europei (Fondi FSE e FESR) 2014/2020. In particolare si dispone che i Piani operativi POR e PON dei fondi Fondo sociale europeo (FSE) e Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), rientranti nella Programmazione dei fondi strutturali europei 2014/2020, si intendono estesi anche ai liberi professionisti, in quanto equiparati alle Pmi come esercenti attività economica, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, dalla Raccomandazione della Commissione europea 6 maggio 2003/361/CE e dal Regolamento UE n. 1303/2013, ed espressamente individuati, dalle Linee d'azione per le libere professioni, del Piano d'azione imprenditorialità 2020, come destinatari a tutti gli effetti dei fondi europei stanziati fino al 2020, sia diretti che erogati tramite Stati e regioni. Tale modifica normativa, pur motivata dall'esigenza di allargare ai liberi professionisti l'utilizzo e l'accesso a quegli importanti strumenti di sviluppo che sono i piani operativi PON e POR dell'FSE e FESR, rischia tuttavia di escludere i professionisti associativi – che sono una realtà crescente del sistema produttivo italiano al pari dei professionisti ordinistici – dal diritto di accesso ai fondi e limita tale diritto al Por e Pon; secondo la relazione del gruppo di lavoro del citato Piano d'azione imprenditorialità 2020 per «libere professioni si intendono occupazioni che richiedono specifiche formazioni umanistiche o scientifiche, quali notai, ingegneri, architetti, medici e commercialisti». La norma così come approvata – secondo le osservazioni dell'ufficio studi della Camera dei deputati – rischia possibili difficoltà applicative derivanti dall'introduzione, nell'ambito del quadro normativo nazionale, della categoria di «liberi professionisti esercenti attività d'impresa» che meriterebbe invece una più specifica individuazione normativa,

impegna il Governo

in sede di discussione del collegato alla legge di stabilità sul lavoro autonomo a prevedere un generale diritto di accesso ai bandi pubblici (quindi ivi compresi quelli finanziati dai PON e POR) dei lavoratori autonomi e non soltanto dei liberi professionisti e di rimettere la regolazione della suddetta materia entro il quadro più ampio e strutturato definito proprio dal collegato sul lavoro autonomo, affinché si offrano opportunità ampie a tutti i professionisti evitando discriminazioni e distorsioni del mercato.
9/3444-A/280Rotta.


   La Camera,
   premesso che:
    l'identità culturale del nostro Paese è costituita dal suo immenso patrimonio storico e artistico, composto anche da circa 30.000 immobili storici vincolati;
    nella stragrande maggioranza, gli edifici vincolati sono beni di famiglia ereditati, non acquistati e dunque non oggetto di una scelta determinata da una capacità economica del proprietario; tali immobili vincolati sono classificati nelle categorie catastali A/1, A/8, A/9, allo stesso modo di case ed edifici considerati di lusso, tuttavia i proprietari di immobili vincolati non hanno pari opportunità e libertà di utilizzo del bene rispetto ai proprietari di quegli immobili non vincolati appartenenti a qualsiasi categoria catastale;
    i fabbricati storici, infatti, sono sottoposti al vincolo ministeriale per il loro rilevante pregio architettonico, artistico e storico, in base alle vigenti leggi sulla tutela e conservazione dei Beni Culturali, e qualsiasi intervento edilizio effettuato su tali edifici, quindi, soggiace al giudizio e all'approvazione delle competenti Soprintendenze e si tratta generalmente di lavori di conservazione, protezione e restauro piuttosto costosi;
    i proprietari, se non ottemperano all'obbligo della costante e assidua manutenzione e tutela del bene, sono passibili di essere colpiti da imposizione coatta al restauro, dal sequestro dell'immobile stesso e da denuncia penale;
    dagli anni ’50 agli anni ’70 del Novecento i proprietari di immobili vincolati erano totalmente esonerati dal pagamento dell'imposta sui fabbricati. Negli anni ’80 e ’90 le spese relative alla manutenzione e al restauro erano deducibili dal reddito complessivo senza limitazione di importo. Negli anni ’90 e fino al 31 dicembre 2011 la legge stabiliva ai fini ICI che il reddito reale e la rendita catastale degli immobili vincolati fossero determinati con l'applicazione della minore delle tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale era collocato l'immobile (il riferimento era perlopiù la categoria A/5, classe 1); nel formulare questo trattamento di imposizione fiscale particolare per gli immobili storici vincolati, il legislatore aveva voluto riconoscere la valenza culturale collettiva del bene, la cui tutela e conservazione sono in ogni caso interamente a carico dei proprietari; a partire dal 1 gennaio 2012, nonostante il dimezzamento dell'imponibile catastale per gli immobili vincolati, le nuove determinazioni di legge sull'IMU previste dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 hanno aggravato notevolmente il carico fiscale sugli immobili vincolati, con un aumento di imposizione fiscale IMU in media di oltre il 1000;
    il comma 14 dell'articolo 1 del presente provvedimento sostituisce il comma 15-bis dell'articolo 19 del citato decreto-legge 201/2011, esentando dal pagamento dell'IMU tutti i possessori di abitazione principale «ad eccezione delle unità immobiliari che in Italia risultano classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per le quali si applica l'aliquota nella misura ridotta dello 0,4 per cento e la detrazione, fino a concorrenza del suo ammontare, di euro 200 rapportati al periodo dell'anno durante il quale si protrae tale destinazione»;
    l'IMU è una tassa patrimoniale che si basa su un valore nominale presunto catastale. Date le grandi dimensioni degli immobili storici vincolati (fino a 3.000 mq e oltre, con cubature enormi, data l'altezza dei vani) il regime fiscale attualmente in vigore dal 1 gennaio 2012 risulta essere molto gravoso e colpisce in modo indifferente la proprietà immobiliare nel suo valore nominale presunto, indipendentemente e a prescindere dalla capacità reddituale del proprietario;
    se, a causa di questo cospicuo carico fiscale, i proprietari di edifici vincolati non riusciranno ad onorare il regime di vincolo imposto dallo Stato ai Beni Culturali, questi rischierebbero di essere lasciati in stato di abbandono e decadimento, con gravi conseguenze per l'intero patrimonio storico e artistico della nazione;
    immobili ben conservati, infatti, possono attirare un grande interesse culturale e turistico, richiamando per le loro eccellenze artistiche e architettoniche un grande numero di visitatori, ed essere volano di economie locali di indotto nel settore della ristorazione e alberghiero. In tal senso, una politica di regime fiscale speciale nei confronti di tali immobili vincolati risulta oggi fondamentale e imprescindibile per la tutela, la conservazione, lo sviluppo e la valorizzazione di tale immenso patrimonio comune. Tutto ciò, inoltre, favorisce la creazione di nuovi posti di lavoro e di attrazione di investimenti su scala territoriale in tutti i contesti che si pregiano della presenza storica di tali beni monumentali,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di estendere l'esenzione dal pagamento dell'IMU anche agli immobili storici vincolati ricompresi nelle categorie catastali A/1, A/8, A/9, oppure a ripristinare sugli stessi l'agevolazione fiscale già in essere precedentemente all'anno 2012, al fine di consentire ai proprietari di tali beni di investire risorse per interventi di conservazione, protezione e restauro che alimenterebbero prima di tutto le imprese e, secondariamente, il turismo e il settore agro-alimentare;
   nel quadro della riforma del catasto, a valutare la possibilità di istituire una categoria riservata agli immobili vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio;
   a ricercare le risorse necessarie, nel quadro delle compatibilità finanziarie, per erogare in tempi certi e ragionevoli i contributi riconosciuti, ma non ancora erogati, ai privati proprietari di immobili vincolati che hanno effettuato restauri a proprie spese, dopo che, in sede di assestamento 2015, lo stesso Governo ha reperito una prima quota di risorse per avviare la soluzione del problema.
9/3444-A/281Narduolo, Zardini, Crivellari, Malisani, Piccoli Nardelli, Manzi, Rampi, D'Arienzo, Sbrollini, Rotta, Rubinato.


   La Camera,
   premesso che:
    l'identità culturale del nostro Paese è costituita dal suo immenso patrimonio storico e artistico, composto anche da circa 30.000 immobili storici vincolati;
    nella stragrande maggioranza, gli edifici vincolati sono beni di famiglia ereditati, non acquistati e dunque non oggetto di una scelta determinata da una capacità economica del proprietario; tali immobili vincolati sono classificati nelle categorie catastali A/1, A/8, A/9, allo stesso modo di case ed edifici considerati di lusso, tuttavia i proprietari di immobili vincolati non hanno pari opportunità e libertà di utilizzo del bene rispetto ai proprietari di quegli immobili non vincolati appartenenti a qualsiasi categoria catastale;
    i fabbricati storici, infatti, sono sottoposti al vincolo ministeriale per il loro rilevante pregio architettonico, artistico e storico, in base alle vigenti leggi sulla tutela e conservazione dei Beni Culturali, e qualsiasi intervento edilizio effettuato su tali edifici, quindi, soggiace al giudizio e all'approvazione delle competenti Soprintendenze e si tratta generalmente di lavori di conservazione, protezione e restauro piuttosto costosi;
    i proprietari, se non ottemperano all'obbligo della costante e assidua manutenzione e tutela del bene, sono passibili di essere colpiti da imposizione coatta al restauro, dal sequestro dell'immobile stesso e da denuncia penale;
    dagli anni ’50 agli anni ’70 del Novecento i proprietari di immobili vincolati erano totalmente esonerati dal pagamento dell'imposta sui fabbricati. Negli anni ’80 e ’90 le spese relative alla manutenzione e al restauro erano deducibili dal reddito complessivo senza limitazione di importo. Negli anni ’90 e fino al 31 dicembre 2011 la legge stabiliva ai fini ICI che il reddito reale e la rendita catastale degli immobili vincolati fossero determinati con l'applicazione della minore delle tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale era collocato l'immobile (il riferimento era perlopiù la categoria A/5, classe 1); nel formulare questo trattamento di imposizione fiscale particolare per gli immobili storici vincolati, il legislatore aveva voluto riconoscere la valenza culturale collettiva del bene, la cui tutela e conservazione sono in ogni caso interamente a carico dei proprietari; a partire dal 1 gennaio 2012, nonostante il dimezzamento dell'imponibile catastale per gli immobili vincolati, le nuove determinazioni di legge sull'IMU previste dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 hanno aggravato notevolmente il carico fiscale sugli immobili vincolati, con un aumento di imposizione fiscale IMU in media di oltre il 1000;
    il comma 14 dell'articolo 1 del presente provvedimento sostituisce il comma 15-bis dell'articolo 19 del citato decreto-legge 201/2011, esentando dal pagamento dell'IMU tutti i possessori di abitazione principale «ad eccezione delle unità immobiliari che in Italia risultano classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per le quali si applica l'aliquota nella misura ridotta dello 0,4 per cento e la detrazione, fino a concorrenza del suo ammontare, di euro 200 rapportati al periodo dell'anno durante il quale si protrae tale destinazione»;
    l'IMU è una tassa patrimoniale che si basa su un valore nominale presunto catastale. Date le grandi dimensioni degli immobili storici vincolati (fino a 3.000 mq e oltre, con cubature enormi, data l'altezza dei vani) il regime fiscale attualmente in vigore dal 1 gennaio 2012 risulta essere molto gravoso e colpisce in modo indifferente la proprietà immobiliare nel suo valore nominale presunto, indipendentemente e a prescindere dalla capacità reddituale del proprietario;
    se, a causa di questo cospicuo carico fiscale, i proprietari di edifici vincolati non riusciranno ad onorare il regime di vincolo imposto dallo Stato ai Beni Culturali, questi rischierebbero di essere lasciati in stato di abbandono e decadimento, con gravi conseguenze per l'intero patrimonio storico e artistico della nazione;
    immobili ben conservati, infatti, possono attirare un grande interesse culturale e turistico, richiamando per le loro eccellenze artistiche e architettoniche un grande numero di visitatori, ed essere volano di economie locali di indotto nel settore della ristorazione e alberghiero. In tal senso, una politica di regime fiscale speciale nei confronti di tali immobili vincolati risulta oggi fondamentale e imprescindibile per la tutela, la conservazione, lo sviluppo e la valorizzazione di tale immenso patrimonio comune. Tutto ciò, inoltre, favorisce la creazione di nuovi posti di lavoro e di attrazione di investimenti su scala territoriale in tutti i contesti che si pregiano della presenza storica di tali beni monumentali,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di estendere l'esenzione dal pagamento dell'IMU anche agli immobili storici vincolati ricompresi nelle categorie catastali A/1, A/8, A/9, oppure a ripristinare sugli stessi l'agevolazione fiscale già in essere precedentemente all'anno 2012, al fine di consentire ai proprietari di tali beni di investire risorse per interventi di conservazione, protezione e restauro che alimenterebbero prima di tutto le imprese e, secondariamente, il turismo e il settore agro-alimentare;
   nel quadro della riforma del catasto, a valutare la possibilità di istituire una categoria riservata agli immobili vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio;
   a valutare l'opportunità di ricercare le risorse necessarie, nel quadro delle compatibilità finanziarie, per erogare in tempi certi e ragionevoli i contributi riconosciuti, ma non ancora erogati, ai privati proprietari di immobili vincolati che hanno effettuato restauri a proprie spese, dopo che, in sede di assestamento 2015, lo stesso Governo ha reperito una prima quota di risorse per avviare la soluzione del problema.
9/3444-A/281. (Testo modificato nel corso della seduta)  Narduolo, Zardini, Crivellari, Malisani, Piccoli Nardelli, Manzi, Rampi, D'Arienzo, Sbrollini, Rotta, Rubinato.


   La Camera,
   premesso che:
    nella legge di stabilità in corso di approvazione si è provveduto a incrementare consistentemente, di oltre 120 milioni, il volume delle risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo, proprio alla vigilia dell'abrogazione della vecchia normativa e del passaggio alla nuova, tra l'altro con l'avvio dell'Agenzia italiana per la cooperazione, in essa prevista;
    i maggiori stanziamenti interrompono un lungo periodo di declino del nostro impegno internazionale e avviano un percorso di riallineamento agli standard e agli impegni assunti dal nostro Paese, in prospettiva di migliorare significativamente la nostra posizione di donatore entro il 2017, anno della Presidenza italiana del G7;
    la nuova legge italiana sulla cooperazione internazionale, la numero 125 dell'11 agosto 2014, permette di costruire nuove articolazioni e sinergie tra gli attori della cooperazione territoriale, il Ministero degli affari esteri e la nascente Agenzia Nazionale di Cooperazione Internazionale, e sottolinea l'importanza della Cooperazione territoriale, quale strumento innovativo per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile;
    i nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2015/2030 (SDG's) promuovono esplicitamente la dimensione locale dello sviluppo, le partnership territoriale e il ruolo delle amministrazioni locali quale strumento prioritario per il raggiungimento dell'Agenda post 2015;
    l'orientamento della Commissione Europea spinge verso una Multi-Level Governance territoriale (MLG) e chiede un maggiore coinvolgimento e protagonismo delle Reti Territoriali nella Cooperazione Internazionale e nell'Educazione allo sviluppo per i cittadini europei;
    gli Enti Locali italiani a seguito della crisi economica e della riduzione delle proprie risorse per il sostegno alla legge di Stabilità, hanno evidenti difficoltà nel reperimento delle risorse necessarie a implementare iniziative di cooperazione allo sviluppo e a cofinanziare i progetti di cooperazione internazionale ed educazione allo sviluppo finanziati dalla Commissione Europea,

impegna il Governo:

   attraverso il Ministero degli affari esteri e l'Agenzia italiana per la cooperazione, a garantire, nell'ambito delle priorità della Cooperazione Italiana e dei Paesi partner e con l'utilizzo dei fondi stanziati con il provvedimento in esame, Programmi Quadro di cooperazione territoriale sul tema dello sviluppo locale, concertati con gli Enti Locali e le Reti Territoriali della cooperazione decentrata italiana, attraverso un'adeguata dotazione economica, già a partire dal 2016;
   a prevedere, già nel 2016 che una parte dei fondi stanziati con questo provvedimento sia riservata a bandi per finanziare progetti di cooperazione internazionale, di educazione allo sviluppo e sensibilizzazione aperti alla partecipazione degli Enti Locali, delle Associazioni di Enti Locali e delle Reti Territoriali, e che, per i soggetti sopracitati, siano previsti anche bandi specifici con obiettivi legati al rafforzamento della democrazia, del decentramento, azioni di capacity building, sviluppo economico locale e di trasmissione del know how territoriale italiano;
    a prevedere, sempre per quota parte delle risorse della cooperazione, forme di sostegno della partecipazione delle Reti Territoriali e degli Enti Locali ai bandi europei di cooperazione internazionale allo sviluppo, di educazione e sensibilizzazione, in particolare attraverso la costituzione presso l'Agenzia di un Fondo dedicato e specializzato per il cofinanziamento, su base triennale, con una dotazione indicativamente di 2.000.000,000 di euro.
9/3444-A/282Sereni, Beni, Baradello, Ferrari, Scuvera, Cenni.


   La Camera,
   premesso che:
    nella legge di stabilità in corso di approvazione si è provveduto a incrementare consistentemente, di oltre 120 milioni, il volume delle risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo, proprio alla vigilia dell'abrogazione della vecchia normativa e del passaggio alla nuova, tra l'altro con l'avvio dell'Agenzia italiana per la cooperazione, in essa prevista;
    i maggiori stanziamenti interrompono un lungo periodo di declino del nostro impegno internazionale e avviano un percorso di riallineamento agli standard e agli impegni assunti dal nostro Paese, in prospettiva di migliorare significativamente la nostra posizione di donatore entro il 2017, anno della Presidenza italiana del G7;
    la nuova legge italiana sulla cooperazione internazionale, la numero 125 dell'11 agosto 2014, permette di costruire nuove articolazioni e sinergie tra gli attori della cooperazione territoriale, il Ministero degli affari esteri e la nascente Agenzia Nazionale di Cooperazione Internazionale, e sottolinea l'importanza della Cooperazione territoriale, quale strumento innovativo per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile;
    i nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2015/2030 (SDG's) promuovono esplicitamente la dimensione locale dello sviluppo, le partnership territoriale e il ruolo delle amministrazioni locali quale strumento prioritario per il raggiungimento dell'Agenda post 2015;
    l'orientamento della Commissione Europea spinge verso una Multi-Level Governance territoriale (MLG) e chiede un maggiore coinvolgimento e protagonismo delle Reti Territoriali nella Cooperazione Internazionale e nell'Educazione allo sviluppo per i cittadini europei;
    gli Enti Locali italiani a seguito della crisi economica e della riduzione delle proprie risorse per il sostegno alla legge di Stabilità, hanno evidenti difficoltà nel reperimento delle risorse necessarie a implementare iniziative di cooperazione allo sviluppo e a cofinanziare i progetti di cooperazione internazionale ed educazione allo sviluppo finanziati dalla Commissione Europea,

impegna il Governo:

   attraverso il Ministero degli affari esteri e l'Agenzia italiana per la cooperazione, a valutare l'opportunità di garantire, nell'ambito delle priorità della Cooperazione Italiana e dei Paesi partner e con l'utilizzo dei fondi stanziati con il provvedimento in esame, Programmi Quadro di cooperazione territoriale sul tema dello sviluppo locale, concertati con gli Enti Locali e le Reti Territoriali della cooperazione decentrata italiana, attraverso un'adeguata dotazione economica, già a partire dal 2016;
   a valutare l'opportunità di prevedere, già nel 2016 che una parte dei fondi stanziati con questo provvedimento sia riservata a bandi per finanziare progetti di cooperazione internazionale, di educazione allo sviluppo e sensibilizzazione aperti alla partecipazione degli Enti Locali, delle Associazioni di Enti Locali e delle Reti Territoriali, e che, per i soggetti sopracitati, siano previsti anche bandi specifici con obiettivi legati al rafforzamento della democrazia, del decentramento, azioni di capacity building, sviluppo economico locale e di trasmissione del know how territoriale italiano;
    a valutare l'opportunità di prevedere, sempre per quota parte delle risorse della cooperazione, forme di sostegno della partecipazione delle Reti Territoriali e degli Enti Locali ai bandi europei di cooperazione internazionale allo sviluppo, di educazione e sensibilizzazione, in particolare attraverso la costituzione presso l'Agenzia di un Fondo dedicato e specializzato per il cofinanziamento, su base triennale, con una dotazione indicativamente di 2.000.000,000 di euro.
9/3444-A/282. (Testo modificato nel corso della seduta)  Sereni, Beni, Baradello, Ferrari, Scuvera, Cenni.


   La Camera,
   premesso che:
    il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, individua all'articolo 156 le classi demografiche e le modalità di calcolo della popolazione residente ai fini dell'applicazione delle disposizioni in materia finanziaria e contabile degli enti locali, in particolare stabilendo, al comma 2, che – se non diversamente disciplinato – la popolazione residente è calcolata «alla fine del penultimo anno precedente per le province ed i comuni secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica»;
    in materia di riduzione delle spese, all'articolo 259, comma 6, il TUEL stabilisce che gli enti locali rideterminano la propria dotazione organica dichiarando eccedente il personale comunque in servizio in sovrannumero rispetto ai rapporti medi dipendenti-popolazione;
    ai sensi dell'articolo 263, comma 2 del medesimo TUEL, per quanto riguarda gli enti in condizione di dissesto, le medie nazionali per classi demografiche della consistenza delle dotazioni organiche, e i rapporti medi dipendenti-popolazione per classe demografica devono essere individuati a cadenza triennale con decreto del Ministro dell'interno,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire, apportando le necessarie modifiche legislative, al fine di consentire che, nel calcolo della popolazione residente per la determinazione della classe demografica dei comuni che hanno deliberato il dissesto finanziario, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 263, comma 2, si tenga conto anche dei dati risultanti dall'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (AIRE) tenuta dal Ministero dell'interno.
9/3444-A/283Albanella.


   La Camera,
   premesso che:
    nel 1957 fu messo in commercio il «Contergam», un farmaco sedativo destinato in particolare alle donne in gravidanza a base del principio attivo della talidomide che, quattro anni dopo, si rivelò responsabile di gravissime malformazioni;
    all'inizio del 1961 furono segnalati casi in cui, dopo una lunga assunzione del farmaco, veniva avvertito un formicolio nervoso alle estremità degli arti;
    solo il 27 maggio 1968, dopo lunghi anni di indagini, ad Aquisgrana iniziò il processo contro la ditta produttrice del farmaco;
    oggi in Italia sono circa 400 le persone che sono nate con le deformazioni causate da quel principio attivo;
    il 15 luglio scorso è stato approvato dalla Camera il disegno di legge recante «Nuove disposizioni in materia di indennizzo a favore delle persone affette da sindrome da talidomide»;
    la proposta di legge prevede che tra gli anni di nascita che danno diritto all'indennizzo siano compresi anche il 1958 e il 1966. Inoltre prevede che, con un meccanismo non automatico, anche chi è nato prima o dopo tali anni abbia la possibilità di rivolgersi alla commissione medica ospedaliera per dimostrare il nesso di causalità senza che la sua domanda sia respinta a priori per una questione puramente anagrafica. Infine prevede che sia adeguato il regolamento di cui al decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali n. 163 del 2009 che detta le regole per la concreta concessione dell'indennizzo;
    il provvedimento è all'esame della Commissione Igiene e Sanità del Senato e considerati i tempi di approvazione vi è il rischio che non venga rispettata la data di entrata in vigore prevista disegno di legge fissata per gennaio 2016;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere che l'indennizzo di cui all'articolo 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, riconosciuto ai soggetti affetti da sindrome da talidomide nelle forme dell'amelia, dell'emimelia, della focomelia, della micromelia nati negli anni dal 1959 al 1965 in base al comma 1-bis dell'articolo 31 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, sia riconosciuto anche ai nati nell'anno 1958 e nell'anno 1966 nel prossimo provvedimento utile e, comunque, nei tempi più rapidi possibili.
9/3444-A/284Castricone, Fanucci.


   La Camera,
   premesso che:
    vari comuni hanno attuato, a decorrere dall'anno 2014, il nuovo sistema contabile stabilito dal decreto legislativo n. 118 del 2011 (ente sperimentatore);
    l'attuale normativa in materia di contenimento della spesa di personale è regolata dall'articolo 1, comma 557 della legge n. 296 del 2006 a seguito dell'entrata in vigore del comma 557-quater, come introdotto dall'articolo 3, comma 5 bis, del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90 convertito dalla legge n. 114 del 2014;
    la deliberazione della Sezioni delle Autonomie della Corte dei Conti, n. 27/SEZAUT/2015/QMIG del 14 settembre 2015, enuncia come principio di diritto volto al contenimento della spesa di personale, quello di seguire le disposizioni contenute nel comma 557 lettera a), della legge n. 296 del 2006, che impone la riduzione della spesa di personale rispetto al complesso delle spese correnti, col parametro fissato dal comma 557-quater, ovvero calcolare il rapporto tra spesa di personale e spesa corrente relativa al triennio 2011-2013, raffrontando tale indice di rapporto con l'anno di riferimento;
   considerato che:
    a seguito dell'applicazione del principio della competenza finanziaria potenziata, l'importo complessivo degli impegni imputati del 2014 è significativamente ridotto e non omogeneo, rispetto al dato degli esercizi precedenti. Calcolando l'indice con un dato di spesa corrente determinata con criteri contabili non omogenei rispetto al triennio precedente si contraddice il principio, affermato dalla stessa Corte dei Conti, del rispetto della comparazione fra dati omogenei ai fini della valutazione del contenimento della spesa pubblica;
    la mancanza di un riscontro positivo potrà determinare il blocco della capacità assunzionale e l'impossibilità di costituire Fondo Risorse decentrate per l'anno 2015 e successivi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere che il metodo di calcolo previsto dal parametro fissato dal comma 557-quater, relativamente al contenimento della spesa di personale per l'anno 2015, possa essere conteggiato «sterilizzando» l'anno 2014 (anno di entrata in vigore del nuovo sistema contabile di cui al decreto legislativo n. 118 del 2011) rapportando la spesa del personale 2014 sulla spesa corrente dell'esercizio 2013. Indice da confrontare con la media spesa di personale su spesa corrente nel del triennio 2011-2013.
9/3444-A/285Ermini, Fanucci.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di Stabilità 2016 ha mostrato una particolare attenzione al comparto della montagna, autorizzando una spesa di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018 per il Fondo nazionale della montagna di cui alla legge n. 97/1994 e incrementando di 10 milioni di euro, per il triennio 2016-2018, le risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie destinate alla «strategia per le Aree interne»;
    la sensibilità al comparto della montagna non ha, però, trovato riscontro verso un settore già duramente provato dalla crisi economica come quello del trasporto a fune;
    alle difficoltà di natura economica, si è aggiunto il problema meteorologico. Un tempo gli inverni erano caratterizzati da abbondanti precipitazioni nevose sin dal novembre inoltrato, mentre dall'ultimo ventennio del secolo scorso stiamo assistendo ad una sensibile diminuzione delle precipitazioni nevose ad inizio stagione, con una traslazione temporale ed un conseguente e progressivo declino dell'attività sciistica;
    da allora le stazioni sciistiche hanno dovuto pensare non solo alla gestione della propria attività, ma anche di installare e gestire impianti d'innevamento programmato;
    i costi di realizzazione delle infrastrutture hanno seguito di pari passo la curva di crescita della tecnologia raggiungendo valori decisamente importanti;
    investimenti che le aziende faticano a sostenere anche alla luce della necessità di mantenere il prezzo giornaliero dello skipass a valori accessibili,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare iniziative utili per sostenere e valorizzare il trasporto a fune e, in quest'ottica, a valutare:
    a) l'opportunità ad assumere le opportune iniziative affinché parte delle risorse stanziate dalla legge di Stabilità 2016 al Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie destinate alla «strategia per le Aree interne» e al Fondo nazionale della montagna di cui alla legge n. 97/1994 vengano destinate, con estremo riguardo per le regioni a statuto ordinario, a questo settore particolarmente in crisi;
    b) il rifinanziamento della legge n. 140 del 1999 a sostegno dell'ammodernamento impiantistico e della legge n. 222 del 1990 con interventi a sostegno del reddito delle stazioni sciistiche;
    c) l'istituzione di un tavolo di concertazione con il sistema bancario al fine di poter ottenere una proroga dei mutui con tasso zero e con durata triennale.
9/3444-A/286Marchi, Fanucci, Bini.


   La Camera,
   premesso che:
    il florovivaismo è un importante comparto dell'agricoltura italiana e comprende il segmento dei fiori e fronde recise, delle piante in vaso da interno ed esterno e di quelle utilizzate per gli spazi a verde;
    l'importanza del settore nel contesto della nostra economia è testimoniato dal fatto che comprende sia a monte sia a valle una serie di attività di tipo agricolo. A monte vi sono i costitutori e i moltiplicatori di materiale di produzione, le industrie che producono i fattori di produzione intermedi (vasi, terricci, fattori chimici e altro), le industrie che producono serre, impiantistica e macchinari di vario genere; a valle i grossisti e altri tipi di intermediari, le industrie che producono materiali per il confezionamento (carta, tessuti, materiali inerti ecc.) e la distribuzione al dettaglio;
    a livello europeo, il clima di austerità derivato dalla minore disponibilità di spesa e dall'incertezza dell'economia nazionale, ha provocato un crollo delle esportazioni di materiale ornamentale impiegato in ambito urbano (come nel caso di Spagna, Grecia e Turchia) e una forte diminuzione delle piante per uso domestico sia da interno che da esterno:
    sul mercato interno, i principali effetti del periodo di crisi si sono tradotti in una forte concorrenza dei prodotti esteri con un calo dei prezzi che ha interessato quasi tutti i prodotti importati, dovuto alla difficoltà dei competitori a mantenere i livelli di esportazione, a fronte di una crescita delle loro produzioni;
    negli ultimi anni il comparto ha risentito in misura evidente della minore disponibilità di spesa delle famiglie italiane, per cui sia i fiori recisi sia le piante, alberi e arbusti già dal 2009 hanno subito una decurtazione delle spesa pro-capite,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di sviluppare un sistema d'incentivi, in termini di agevolazioni fiscali per la creazione e manutenzione ordinaria e straordinaria delle aree a verde pubbliche e private, equiparando tali interventi alle opere e alle ristrutturazioni edili.
9/3444-A/287Fanucci, Bini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede al comma 79-ter che nel «Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione» confluiscano anche le risorse iscritte nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico relative ai contributi per le emittenti radiofoniche e televisive locali;
    inoltre, il comma 79-quater, rinvia ad un regolamento delegificato la definizione dei criteri di riparto e le procedure relative al suddetto Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione;
    la crisi economica sta producendo ripercussioni sulla stabilità di molte emittenti che già hanno avviato forti riduzioni di personale e investimenti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di creare nuovi canali di finanziamento per le emittenti radiotelevisive locali e in fase di approvazione del regolamento di sui al comma 79-quater a modulare i finanziamenti di cui al comma 79-ter su criteri legati ai dati di ascolto, al personale impiegato a tempo indeterminato, agli investimenti annuali in innovazione tecnologica e alle ore dedicate all'informazione locale.
9/3444-A/288Peluffo, Coscia.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 548-terdecies del provvedimento in esame prevede che, a tutti i cittadini italiani o di altri Paesi membri dell'UE che risiedono in Italia, che compiono 18 anni nel 2016, è assegnata una Carta elettronica, dell'importo massimo di 500 euro, che può essere utilizzata per ingressi a teatro, cinema, musei, mostre e (altri) eventi culturali, spettacoli dal vivo, nonché, a seguito del subemendamento 0.1.1.84 NF, per l'acquisto di libri e per l'accesso a monumenti, gallerie e aree archeologiche e parchi naturali,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di estendere la disposizione di cui al comma 548-terdecies anche alle attività sportive.
9/3444-A/289Coccia, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il presente provvedimento reca alcune misure importanti in favore del settore turistico-alberghiero pesantemente colpito dalla crisi economica negli ultimi anni;
    in particolare principalmente si ricorda il comma 40-bis che prevede l'estensione della deducibilità del costo del lavoro dall'imponibile IRAP, nel limite del 70 per cento, per ogni lavoratore stagionale impiegato per almeno 120 giorni nel periodo d'imposta, a decorrere dal secondo contratto stipulato con lo stesso datore di lavoro nell'arco di due anni a partire dalla cessazione del precedente contratto e il comma 173-bis che prevede l'estensione del credito d'imposta per la riqualificazione degli alberghi anche nel caso in cui la ristrutturazione edilizia comporti un aumento della cubatura complessiva, qualora sia effettuata nel rispetto della normativa vigente (c.d. piano casa);
    si ricorda che il citato credito d'imposta è riconosciuto, per il periodo d'imposta in corso al 1o giugno 2014 e per i due successivi, nella misura del trenta per cento delle spese sostenute per interventi di ristrutturazione edilizia ed abbattimento delle barriere architettoniche nelle strutture ricettive;
    è tuttavia necessario integrare le citate disposizioni con interventi specifici per il settore alberghiero prevedendo, nei prossimi provvedimenti utili, ulteriori agevolazioni volte a migliorare la qualità dell'offerta ricettiva ed accrescere la competitività delle destinazioni turistiche;
    in particolare sarebbe opportuno prevedere finanziamenti e contributi a tasso agevolato volti ad incentivare l'acquisto degli immobili utilizzati come strutture turistiche ricettive da parte dei conduttori e destinati alla prosecuzione dell'attività medesima,

impegna il Governo

al fine di rafforzare la solidità dell'industria del turismo in Italia, a istituire presso il Ministero dell'economia e delle finanze, un Fondo per il sostegno dell'industria turistica volto a erogare finanziamenti in conto interessi per incentivare l'acquisto degli immobili utilizzati come strutture turistiche ricettive da parte dei conduttori che li destinino alla prosecuzione dell'attività medesima nonché a prolungare il periodo di applicazione del credito d'imposta per la riqualificazione degli alberghi, strumento di fondamentale importanza per il settore.
9/3444-A/290Arlotti, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il presente provvedimento reca alcune misure importanti in favore del settore turistico-alberghiero pesantemente colpito dalla crisi economica negli ultimi anni;
    in particolare principalmente si ricorda il comma 40-bis che prevede l'estensione della deducibilità del costo del lavoro dall'imponibile IRAP, nel limite del 70 per cento, per ogni lavoratore stagionale impiegato per almeno 120 giorni nel periodo d'imposta, a decorrere dal secondo contratto stipulato con lo stesso datore di lavoro nell'arco di due anni a partire dalla cessazione del precedente contratto e il comma 173-bis che prevede l'estensione del credito d'imposta per la riqualificazione degli alberghi anche nel caso in cui la ristrutturazione edilizia comporti un aumento della cubatura complessiva, qualora sia effettuata nel rispetto della normativa vigente (c.d. piano casa);
    si ricorda che il citato credito d'imposta è riconosciuto, per il periodo d'imposta in corso al 1o giugno 2014 e per i due successivi, nella misura del trenta per cento delle spese sostenute per interventi di ristrutturazione edilizia ed abbattimento delle barriere architettoniche nelle strutture ricettive;
    è tuttavia necessario integrare le citate disposizioni con interventi specifici per il settore alberghiero prevedendo, nei prossimi provvedimenti utili, ulteriori agevolazioni volte a migliorare la qualità dell'offerta ricettiva ed accrescere la competitività delle destinazioni turistiche;
    in particolare sarebbe opportuno prevedere finanziamenti e contributi a tasso agevolato volti ad incentivare l'acquisto degli immobili utilizzati come strutture turistiche ricettive da parte dei conduttori e destinati alla prosecuzione dell'attività medesima,

impegna il Governo

al fine di rafforzare la solidità dell'industria del turismo in Italia, a valutare l'opportunità di istituire presso il Ministero dell'economia e delle finanze, un Fondo per il sostegno dell'industria turistica volto a erogare finanziamenti in conto interessi per incentivare l'acquisto degli immobili utilizzati come strutture turistiche ricettive da parte dei conduttori che li destinino alla prosecuzione dell'attività medesima nonché a prolungare il periodo di applicazione del credito d'imposta per la riqualificazione degli alberghi, strumento di fondamentale importanza per il settore.
9/3444-A/290. (Testo modificato nel corso della seduta)  Arlotti, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 2-ter dell'articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, introdotto dal comma 41, lettera a) del provvedimento in esame prevede la possibilità, per i soggetti lavoratori dipendenti e pensionati che si trovano nella no tax area, di cedere il credito derivante dalle detrazioni del 65 per cento per interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali alle imprese che hanno effettuato gli interventi, con modalità da definire con successivo provvedimento dell'Agenzia delle entrate;
    tale meccanismo assegna al contribuente la facoltà di trasferire il credito che i fornitori potranno recuperare in dieci anni;
    le medesime imprese edili che eseguono i lavori accumulano ulteriori crediti Iva per l'applicazione del regime del «reverse charge», e dello «split payment», di cui rispettivamente all'articolo 17 e 17-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, con rilevanti difficoltà di compensare detti crediti per l'incapienza dei debiti tributari dovuti;
    considerato che l'esperienza di questi anni dimostra che i tempi di recupero della detrazione spesso inibiscono l'utilizzo dell'agevolazione concessa per la riqualificazione energetica e appare quindi opportuno riflettere sulle modalità per rendere tale strumento più flessibile e adeguato alle esigenze delle famiglie attraverso un meccanismo che consenta l'anticipazione del credito di imposta attraverso l'utilizzo degli intermediari finanziari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di consentire la trasformazione della detrazione decennale in credito d'imposta cedibile agli intermediari finanziari.
9/3444-A/291Moretto, Marco Di Maio, Gadda, Donati, Vazio, Fanucci, Fregolent, Dallai, Piccoli Nardelli, Morani, Coppola, Petrini, Zoggia, Fragomeli, Lodolini, Capozzolo, Sanga, Ginato, Ribaudo.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 245-bis del provvedimento in esame prevede disposizioni in materia di pagamento delle rate dei mutui concessi dalla Cassa depositi e prestiti, agli enti locali interessati dagli eventi sismici del maggio 2012;
    l'articolo 7 del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, attribuisce agli enti locali la possibilità di realizzare le operazioni di rinegoziazione di mutui di cui all'articolo 1, commi 430 e 537 della legge n. 190 del 2014, anche nel corso dell'esercizio provvisorio di cui all'articolo 163 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL): tuttavia nulla è previsto in caso di estinzione dei mutui;
    gli enti locali che attivano questa procedura rispetto a mutui assunti presso la Cassa depositi e prestiti devono corrispondere oltre al capitale residuo anche un indennizzo calcolato ai sensi del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 20 giugno 2003;
    l'entità dei suddetti indennizzi supera spesso, per i mutui a tasso fisso, il 20 per cento del capitale da rimborsare, configurandosi come una sorta di «penalità» per gli enti locali;
    il rimborso anticipato del mutuo consente all'ente di ridurre l'indebitamento pubblico e di spendere l'avanzo di amministrazione altrimenti non utilizzabile visti i limiti imposti dal patto di stabilità;
    Cassa depositi e prestiti spa ha sempre sostenuto che l'indennizzo previsto per l'estinzione anticipata dei prestiti ordinari concessi dalla medesima in favore degli enti locali, e regolati a tasso fisso, ha la finalità di recuperare i costi connessi al disallineamento tra i tassi dell'originaria provvista necessaria ai fini della concessione del finanziamento ed i tassi di mercato vigenti al momento del rimborso anticipato;
    pertanto a fronte di una riduzione dell'indennizzo per estinzione anticipata da parte degli enti locali – associata a una elevata richiesta di rimborso di prestiti – potrebbero verificarsi significative conseguenze per la società in termini di redditività ed equilibrio economico-patrimoniale;
    Cassa depositi e prestiti ha inoltre precisato che, per quanto concerne i prestiti che presentano quale modalità di calcolo dell'indennizzo quello previsto dal decreto Ministero dell'economia e finanze 20 giugno 2003, una eventuale revisione dello stesso – che comporti la corresponsione di indennizzi inferiori a quelli attualmente previsti – determinerebbe la necessità di reintegrare la società per i minori introiti che si verrebbero a creare in conseguenza della revisione stessa;
    in un contesto di grande criticità della finanza locale, sarebbe importante consentire agli enti territoriali di estinguere i mutui e destinare maggiori risorse agli investimenti e alla crescita,

impegna il Governo

ad intervenire, nel prossimo provvedimento utile, in materia di estinzione anticipata dei mutui al fine di contenere l'entità dell'indennizzo nella misura massima del dodici per cento del capitale residuo alla data dell'estinzione nonché a prevedere ai fini del rimborso e del pagamento degli indennizzi che gli enti locali possano utilizzare tutte le risorse proprie, ivi comprese quelle di parte capitale.
9/3444-A/292Fragomeli, Misiani.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 245-bis del provvedimento in esame prevede disposizioni in materia di pagamento delle rate dei mutui concessi dalla Cassa depositi e prestiti, agli enti locali interessati dagli eventi sismici del maggio 2012;
    l'articolo 7 del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, attribuisce agli enti locali la possibilità di realizzare le operazioni di rinegoziazione di mutui di cui all'articolo 1, commi 430 e 537 della legge n. 190 del 2014, anche nel corso dell'esercizio provvisorio di cui all'articolo 163 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL): tuttavia nulla è previsto in caso di estinzione dei mutui;
    gli enti locali che attivano questa procedura rispetto a mutui assunti presso la Cassa depositi e prestiti devono corrispondere oltre al capitale residuo anche un indennizzo calcolato ai sensi del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 20 giugno 2003;
    l'entità dei suddetti indennizzi supera spesso, per i mutui a tasso fisso, il 20 per cento del capitale da rimborsare, configurandosi come una sorta di «penalità» per gli enti locali;
    il rimborso anticipato del mutuo consente all'ente di ridurre l'indebitamento pubblico e di spendere l'avanzo di amministrazione altrimenti non utilizzabile visti i limiti imposti dal patto di stabilità;
    Cassa depositi e prestiti spa ha sempre sostenuto che l'indennizzo previsto per l'estinzione anticipata dei prestiti ordinari concessi dalla medesima in favore degli enti locali, e regolati a tasso fisso, ha la finalità di recuperare i costi connessi al disallineamento tra i tassi dell'originaria provvista necessaria ai fini della concessione del finanziamento ed i tassi di mercato vigenti al momento del rimborso anticipato;
    pertanto a fronte di una riduzione dell'indennizzo per estinzione anticipata da parte degli enti locali – associata a una elevata richiesta di rimborso di prestiti – potrebbero verificarsi significative conseguenze per la società in termini di redditività ed equilibrio economico-patrimoniale;
    Cassa depositi e prestiti ha inoltre precisato che, per quanto concerne i prestiti che presentano quale modalità di calcolo dell'indennizzo quello previsto dal decreto Ministero dell'economia e finanze 20 giugno 2003, una eventuale revisione dello stesso – che comporti la corresponsione di indennizzi inferiori a quelli attualmente previsti – determinerebbe la necessità di reintegrare la società per i minori introiti che si verrebbero a creare in conseguenza della revisione stessa;
    in un contesto di grande criticità della finanza locale, sarebbe importante consentire agli enti territoriali di estinguere i mutui e destinare maggiori risorse agli investimenti e alla crescita,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire, nel prossimo provvedimento utile, in materia di estinzione anticipata dei mutui al fine di contenere l'entità dell'indennizzo nella misura massima del dodici per cento del capitale residuo alla data dell'estinzione nonché a prevedere ai fini del rimborso e del pagamento degli indennizzi che gli enti locali possano utilizzare tutte le risorse proprie, ivi comprese quelle di parte capitale.
9/3444-A/292. (Testo modificato nel corso della seduta)  Fragomeli, Misiani.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi da 491-bis a 491-quaterdecies, del provvedimento in esame riproducono il contenuto del decreto-legge 22 novembre 2015 n. 183, attualmente all'esame parlamentare, il quale, nel quadro delle procedure di risoluzione delle crisi bancarie, ha inteso agevolare l'attuazione dei programmi di risoluzione della Cassa di risparmio di Ferrara Spa, della Banca delle Marche Spa, della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio - Società cooperativa e della Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa;
    le drammatiche vicende connesse all'avvio delle procedure di risoluzione in seguito alla crisi delle sopra indicate banche territoriali stanno minando il clima di fiducia dei risparmiatori che lentamente negli ultimi mesi stava mostrando segni di ripresa;
    secondo statistiche nazionali e internazionali la ricchezza netta le famiglie italiane è fra le più elevate al mondo, pari a 8.728 miliardi di euro, di cui il 40 per cento impiegati in attività finanziarie;
    l'Italia è anche uno dei paesi dove risulta più ampia la forbice tra ricchezza privata (più di Usa e Germania) e la cultura degli investimenti; un rapporto Ocse ha evidenziato come l'Italia sia l'unico paese in Europa privo di una strategia nazionale di educazione finanziaria;
    questa situazione si determina anche in ragione dell'assenza di politiche serie, capillari e permanenti di alfabetizzazione finanziaria;
    molte istituzioni hanno assunto iniziative in materia, fra queste la Banca d'Italia, la Consob, l'Abi, e tuttavia in assenza di una coordinata strategia la cui regia non può che essere del Governo, ciascuna singola iniziativa rischia di non raggiungere la sufficiente massa critica, e quindi una soddisfacente efficacia;
    un'azione governativa potrebbe mettere in campo, accanto al coordinamento dei diversi soggetti già attivi in materia, un intervento continuo nel tempo, garantito in termini di terzietà, capace soprattutto di intrecciare educazione finanziaria e attività svolte dal sistema nazionale dell'istruzione;
    il servizio di educazione finanziaria presente nel Regno Unito potrebbe essere una buona pratica da implementare anche in Italia; in particolare nel Regno Unito, l'alfabetizzazione finanziaria è affidata ad un soggetto esterno di nomina governativa, sottoposto al costante monitoraggio di risultato da parte del Governo; Money Advice Service (MAS), impiegando 130 persone a tempo pieno, provvede a pubblicare ori line costantemente notizie e materiale educativo;
    gli strumenti di una strategia nazionale di educazione finanziaria da parte del Governo dovrebbero essere basati su uno specifico investimento di carattere organizzativo all'interno del Ministero dell'economia e delle finanze, ad esempio attraverso la creazione di un'apposita unità organizzativa; sulla redazione di apposite linee guida; sulla costruzione di un apposito sito web con una sezione di chat in tempo reale con esperti dedicata; sulla predisposizione di materiali e format di carattere educativo e divulgativo utilizzabili in contesti diversificati ed eterogenei (scuole, università, reti radiofoniche e televisive, eccetera);
    gli obiettivi di una strategia nazionale di educazione finanziaria da parte del Governo dovrebbero promuovere la comprensione da parte dei cittadini dei meccanismi di indebitamento e di investimento, la consapevolezza dei benefici della pianificazione finanziaria e la capacità di misurazione dei profili di rischio e di rendimento associati con le diverse tipologie di prodotti finanziari,

impegna il Governo

a varare entro sei mesi una strategia nazionale per l'educazione finanziaria, con la redazione di apposite linee guida e l'attuazione delle necessarie misure organizzative da parte del Ministero dell'economia e delle finanze.
9/3444-A/293Causi.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi da 491-bis a 491-quaterdecies, del provvedimento in esame riproducono il contenuto del decreto-legge 22 novembre 2015 n. 183, attualmente all'esame parlamentare, il quale, nel quadro delle procedure di risoluzione delle crisi bancarie, ha inteso agevolare l'attuazione dei programmi di risoluzione della Cassa di risparmio di Ferrara Spa, della Banca delle Marche Spa, della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio - Società cooperativa e della Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa;
    le drammatiche vicende connesse all'avvio delle procedure di risoluzione in seguito alla crisi delle sopra indicate banche territoriali stanno minando il clima di fiducia dei risparmiatori che lentamente negli ultimi mesi stava mostrando segni di ripresa;
    secondo statistiche nazionali e internazionali la ricchezza netta le famiglie italiane è fra le più elevate al mondo, pari a 8.728 miliardi di euro, di cui il 40 per cento impiegati in attività finanziarie;
    l'Italia è anche uno dei paesi dove risulta più ampia la forbice tra ricchezza privata (più di Usa e Germania) e la cultura degli investimenti; un rapporto Ocse ha evidenziato come l'Italia sia l'unico paese in Europa privo di una strategia nazionale di educazione finanziaria;
    questa situazione si determina anche in ragione dell'assenza di politiche serie, capillari e permanenti di alfabetizzazione finanziaria;
    molte istituzioni hanno assunto iniziative in materia, fra queste la Banca d'Italia, la Consob, l'Abi, e tuttavia in assenza di una coordinata strategia la cui regia non può che essere del Governo, ciascuna singola iniziativa rischia di non raggiungere la sufficiente massa critica, e quindi una soddisfacente efficacia;
    un'azione governativa potrebbe mettere in campo, accanto al coordinamento dei diversi soggetti già attivi in materia, un intervento continuo nel tempo, garantito in termini di terzietà, capace soprattutto di intrecciare educazione finanziaria e attività svolte dal sistema nazionale dell'istruzione;
    il servizio di educazione finanziaria presente nel Regno Unito potrebbe essere una buona pratica da implementare anche in Italia; in particolare nel Regno Unito, l'alfabetizzazione finanziaria è affidata ad un soggetto esterno di nomina governativa, sottoposto al costante monitoraggio di risultato da parte del Governo; Money Advice Service (MAS), impiegando 130 persone a tempo pieno, provvede a pubblicare ori line costantemente notizie e materiale educativo;
    gli strumenti di una strategia nazionale di educazione finanziaria da parte del Governo dovrebbero essere basati su uno specifico investimento di carattere organizzativo all'interno del Ministero dell'economia e delle finanze, ad esempio attraverso la creazione di un'apposita unità organizzativa; sulla redazione di apposite linee guida; sulla costruzione di un apposito sito web con una sezione di chat in tempo reale con esperti dedicata; sulla predisposizione di materiali e format di carattere educativo e divulgativo utilizzabili in contesti diversificati ed eterogenei (scuole, università, reti radiofoniche e televisive, eccetera);
    gli obiettivi di una strategia nazionale di educazione finanziaria da parte del Governo dovrebbero promuovere la comprensione da parte dei cittadini dei meccanismi di indebitamento e di investimento, la consapevolezza dei benefici della pianificazione finanziaria e la capacità di misurazione dei profili di rischio e di rendimento associati con le diverse tipologie di prodotti finanziari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di varare entro sei mesi una strategia nazionale per l'educazione finanziaria, con la redazione di apposite linee guida e l'attuazione delle necessarie misure organizzative da parte del Ministero dell'economia e delle finanze.
9/3444-A/293. (Testo modificato nel corso della seduta)  Causi.


   La Camera,
   premesso che:
    la città di Matera è stata proclamata Capitale Europea della Cultura per l'anno 2019 a seguito di una selezione da parte di una giuria internazionale;
    Matera e la Basilicata rappresenteranno il Paese in Europa e agli occhi del Mondo nel campo strategico della Cultura, inteso come campo poliedrico delle espressioni artistiche e come modello di sviluppo sostenibile di un contesto urbano e del suo territorio;
    il dossier di candidatura grazie al quale la città di Matera si è aggiudicato il titolo di Capitale Europea della Cultura è articolato in due sezioni: la prima dedicata al programma culturale che si realizzerà in particolare nel 2019 e la seconda che si incentra sul programma di investimenti per le infrastrutture culturali, la rigenerazione urbana e l'accessibilità, strettamente complementare e funzionale agli interventi culturali;
    il programma culturale viene finanziato attraverso un accordo di programma quadro tra regione Basilicata e comune di Matera a cui si aggiunge l'intervento del MIBACT;
    al comma 187 del provvedimento in esame sono stanziati 28 milioni di euro sul programma cultura per il quadriennio 2016-2019;
    il programma di investimenti infrastrutturali culturali e per la rigenerazione urbana necessita di appositi finanziamenti da parte dello Stato in considerazione della grande importanza che l'evento rivestirà nel 2019 per la città di Matera e per l'Italia;
    durante l'esame in commissione Bilancio è stato approvato un emendamento relativo al rifinanziamento della legge 771/86 per recupero dei rioni Sassi e del prospiciente altopiano Murgico con una dotazione finanziaria di 20 milioni di euro nel quadriennio 2016-2019;
    inoltre è stato approvato anche l'emendamento che prevede la deroga per il Comune di Matera al contenimento delle spese per l'acquisto di beni e servizi e per l'assunzione di personale fino al 31 dicembre 2019 per 2 milioni di euro nel quadriennio 2016-2019;
    ai fini dell'attuazione complessiva del Programma «Matera capitale europea della cultura 2019», la legge di Stabilità rappresenta uno dei veicoli, altri impegni dovranno essere assunti anche attraverso il programma di rigenerazione urbana delle periferie urbane su cui il Governo ha preso in Commissione un preciso impegno e nell'ambito del Patto per il Sud - Regione Basilicata,

impegna il Governo

a destinare per il Programma Matera Capitale della Cultura 2019 un adeguato stanziamento con risorse a valere sul Fondo per l'attuazione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie e con risorse aggiuntive sul Patto per il Sud-Regione Basilicata.
9/3444-A/294Antezza, Covello, Vico, Speranza, Latronico, Folino, Placido.


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sono più di 12 mila gli alunni con disabilità che frequentano le scuole paritarie. In termini relativi, gli studenti disabili rappresentano 11,2 per cento della popolazione delle scuole paritarie, contro il 2,7 per cento o registrato in quelle statali;
    la maggior incidenza si registra, nelle statali come nelle paritarie, nelle secondarie di 1o grado, dove gli alunni disabili sono 78.374 (3 per cento della popolazione complessiva) nelle statali e 2.244 (1,7 per cento) nelle paritarie;
    si tratta di una presenza importante, quella degli studenti disabili all'interno delle scuole paritarie, al cui interno, peraltro, l'incremento osservato negli ultimi anni sarebbe stato più consistente ancora che nelle statali; infatti, tra il 2004 e il 2009 il numero di alunni disabili nelle paritarie è aumentato del 7 per cento l'anno, contro il 4,5 per cento o delle statali;
    l'accoglienza e la gestione della disabilità all'interno di queste scuole sta però diventando un problema serio, perché, a differenza delle statali, le scuole paritarie del servizio integrato dell'istruzione pubblica non ricevono alcun sostegno scolastico sotto forma di finanziamento da parte del ministero;
    di conseguenza, tutto l'onere per l'inserimento e l'accompagnamento dello studente disabile all'interno delle scuole paritarie rimane a carico della scuola e, a cascata, delle famiglie, soprattutto nelle secondarie di primo e secondo grado;
    le scuole paritarie, in base alla legge 62/2000, sono a tutti gli effetti pubbliche. Sono pertanto assurdi e discriminativi trattamenti diversi dei soggetti disabili dello stesso sistema integrato dell'istruzione pubblica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare forme di finanziamento alle famiglie dei soggetti disabili che frequentano le scuole paritarie, sotto forma di voucher, di rimborsi o di altri strumenti di sostegno finanziario, affinché gli studenti disabili ricevano un servizio di accompagnamento pari a quello che otterrebbero in scuola statale, senza che per fruirne si, determinino oneri aggiuntivi per le famiglie o per le scuole stesse.
9/3444-A/295Gigli, Rubinato.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca disposizioni finalizzate, nel rispetto degli obiettivi di bilancio stabiliti nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2015, al sostegno della crescita, operando sia sul versante del contenimento del carico fiscale, sia su misure volte all'aumento della domanda aggregata ed al miglioramento della competitività del sistema produttivo;
    in questo quadro macroeconomico, è previsto l'incremento dell'1 per cento in termini reali rispetto al 2015 delle risorse stanziate dallo Stato per le infrastrutture, a cui si aggiungono circa 3,5 miliardi che si renderanno disponibili grazie all'utilizzo della clausola europea per gli investimenti. Questo il quadro delle risorse per le opere pubbliche che emerge dal ddl di Stabilità 2016, che prevede, altresì, il sostanziale superamento per gli enti territoriali del Patto di stabilità interno e il passaggio al cosiddetto «pareggio di bilancio»;
    lo sviluppo delle infrastrutture – con particolare riguardo alla realizzazione di opere di immediata utilità pubblica ed aventi un valore strategico, in coerenza con le priorità definite dalla Commissione europea sia per il PON 2014-2020 sia per la più generale strategia di costruzione dello «spazio unico europeo dei trasporti» (Reti TenT) – è fra le priorità politiche individuate nell'atto di indirizzo emanato il 7 agosto 2015 dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti;
    con la pubblicazione il 3 agosto 2014 in Gazzetta Ufficiale della delibera Cipe n. 51/2013 del 2 agosto 2013, è stato approvato il progetto definitivo del Corridoio tirrenico meridionale, grande infrastruttura che prevede tre assi viari a pedaggio: la Roma-Latina da 53 chilometri che ricalcherà parte dell'attuale strada regionale n. 148 Pontina; la bretella A12-Tor De Cenci lunga 16 km che collegherà la Roma-Civitavecchia con la suddetta Roma-Latina e la Cisterna-Valmontone, autostrada da 31 km, la quale unirà la futura Roma-Latina con la A1 Autostrada del Sole;
    in questo contesto deve essere considerata anche la realizzazione dell'adeguamento della strada statale n. 156 dei Monti Lepini, un'infrastruttura molto importante per il Corridoio plurimodale tirrenico-nord Europa, in quanto assicura il collegamento dell'asse pontino in prosecuzione verso sud della direttrice Civitavecchia-Roma-Napoli-Salerno-Reggio Calabria;
    la citata delibera Cipe n. 51/2013 ha disposto altresì uno stanziamento iniziale di un contributo pubblico di 468 milioni di euro, per la realizzazione del Corridoio tirrenico meridionale, il cui costo complessivo è di 2,7 miliardi;
    i collegamenti stradali citati, la cui realizzazione ridisegnerà il territorio dell'agro pontino e quello a sud di Roma, hanno una indubbia rilevanza strategica per il rilancio e lo sviluppo della provincia di Latina e dell'intera regione Lazio;
    in particolare, la realizzazione della citata autostrada Roma-Latina, opera di fondamentale importanza all'interno del progetto più ampio del Corridoio tirrenico meridionale, permetterà di fluidificare il traffico sia in entrata che in uscita da Roma, contribuendo altresì in modo decisivo all'innalzamento del livello di sicurezza dell'attuale tracciato della strada regionale n. 148 «Pontina», considerata fra le strade con il tasso d'incidenti mortali più alto d'Europa e sempre per tale motivo ai vertici delle classifiche nazionali;
    sulla strategicità e sull'importanza dell'autostrada Roma-Latina, ai fini della realizzazione del Corridoio tirrenico meridionale, si è espresso in senso favorevole il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio, ribadendo quanto già affermato dal suo predecessore Lupi;
    l'opera, il cui costo è di 160 milioni, sconta un grave ritardo per quanto riguarda l'apertura dei primi cantieri - prevista per gli inizi del 2016, così come dichiarato dal Ministro pro tempore Lupi e poi confermato dal Ministro delle infrastrutture e trasporti Delrio, dovuto non solo a difficoltà di carattere procedurale bensì anche di ordine economico e finanziario,

impegna il Governo

a predisporre tempestive ed idonee iniziative finalizzate ad accelerare l'avvio dei cantieri dell'autostrada Roma - Latina almeno entro il 2016 valutando, altresì, l'opportunità di prevedere nell'ambito della ripartizione dei prossimi fondi Cipe un ulteriore stanziamento per la realizzazione della citata opera.
9/3444-A/296Fauttilli.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca disposizioni finalizzate, nel rispetto degli obiettivi di bilancio stabiliti nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2015, al sostegno della crescita, operando sia sul versante del contenimento del carico fiscale, sia su misure volte all'aumento della domanda aggregata ed al miglioramento della competitività del sistema produttivo;
    in questo quadro macroeconomico, è previsto l'incremento dell'1 per cento in termini reali rispetto al 2015 delle risorse stanziate dallo Stato per le infrastrutture, a cui si aggiungono circa 3,5 miliardi che si renderanno disponibili grazie all'utilizzo della clausola europea per gli investimenti. Questo il quadro delle risorse per le opere pubbliche che emerge dal ddl di Stabilità 2016, che prevede, altresì, il sostanziale superamento per gli enti territoriali del Patto di stabilità interno e il passaggio al cosiddetto «pareggio di bilancio»;
    lo sviluppo delle infrastrutture – con particolare riguardo alla realizzazione di opere di immediata utilità pubblica ed aventi un valore strategico, in coerenza con le priorità definite dalla Commissione europea sia per il PON 2014-2020 sia per la più generale strategia di costruzione dello «spazio unico europeo dei trasporti» (Reti TenT) – è fra le priorità politiche individuate nell'atto di indirizzo emanato il 7 agosto 2015 dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti;
    con la pubblicazione il 3 agosto 2014 in Gazzetta Ufficiale della delibera Cipe n. 51/2013 del 2 agosto 2013,è stato approvato il progetto definitivo del Corridoio tirrenico meridionale, grande infrastruttura che prevede tre assi viari a pedaggio: la Roma-Latina da 53 chilometri che ricalcherà parte dell'attuale strada regionale n. 148 Pontina; la bretella A12-Tor De Cenci lunga 16 km che collegherà la Roma-Civitavecchia con la suddetta Roma-Latina e la Cisterna-Valmontone, autostrada da 31 km, la quale unirà la futura Roma-Latina con la A1 Autostrada del Sole;
    in questo contesto deve essere considerata anche la realizzazione dell'adeguamento della strada statale n. 156 dei Monti Lepini, un'infrastruttura molto importante per il Corridoio plurimodale tirrenico-nord Europa, in quanto assicura il collegamento dell'asse pontino in prosecuzione verso sud della direttrice Civitavecchia-Roma-Napoli-Salerno-Reggio Calabria;
    la citata delibera Cipe n. 51/2013 ha disposto altresì uno stanziamento iniziale di un contributo pubblico di 468 milioni di euro, per la realizzazione del Corridoio tirrenico meridionale, il cui costo complessivo è di 2,7 miliardi;
    i collegamenti stradali citati, la cui realizzazione ridisegnerà il territorio dell'agro pontino e quello a sud di Roma, hanno una indubbia rilevanza strategica per il rilancio e lo sviluppo della provincia di Latina e dell'intera regione Lazio;
    in particolare, la realizzazione della citata autostrada Roma-Latina, opera di fondamentale importanza all'interno del progetto più ampio del Corridoio tirrenico meridionale, permetterà di fluidificare il traffico sia in entrata che in uscita da Roma, contribuendo altresì in modo decisivo all'innalzamento del livello di sicurezza dell'attuale tracciato della strada regionale n. 148 «Pontina», considerata fra le strade con il tasso d'incidenti mortali più alto d'Europa e sempre per tale motivo ai vertici delle classifiche nazionali;
    sulla strategicità e sull'importanza dell'autostrada Roma-Latina, ai fini della realizzazione del Corridoio tirrenico meridionale, si è espresso in senso favorevole il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio, ribadendo quanto già affermato dal suo predecessore Lupi;
    l'opera, il cui costo è di 160 milioni, sconta un grave ritardo per quanto riguarda l'apertura dei primi cantieri – prevista per gli inizi del 2016, così come dichiarato dal Ministro pro tempore Lupi e poi confermato dal Ministro delle infrastrutture e trasporti Delrio, dovuto non solo a difficoltà di carattere procedurale bensì anche di ordine economico e finanziario,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre tempestive ed idonee iniziative finalizzate ad accelerare l'avvio dei cantieri dell'autostrada Roma - Latina almeno entro il 2016 valutando, altresì, l'opportunità di prevedere nell'ambito della ripartizione dei prossimi fondi Cipe un ulteriore stanziamento per la realizzazione della citata opera.
9/3444-A/296. (Testo modificato nel corso della seduta)  Fauttilli.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 2016 attualmente in discussione in Parlamento si occupa tra l'altro di affrontare le difficoltà che stanno attraversando i soggetti che detengono in regime di impresa fabbricati e altri beni sui quali l'andamento del mercato degli ultimi anni abbia inciso in modo rilevante, riducendone sensibilmente il valore;
    in particolare, l'articolo 1 comma 62, non modificato dalla Camera rispetto a quanto previsto dal testo approvato dal - Senato in prima lettura, stabilisce che: «L'imprenditore individuale che alla data del 31 ottobre 2015 possiede beni immobili strumentali di cui all'articolo 43, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, può, entro il 31 maggio 2016, optare per l'esclusione dei beni stessi dal patrimonio dell'impresa, con effetto dal periodo di imposta in corso alla data del 1o gennaio 2016, mediante il pagamento di una imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e dell'imposta regionale sulle attività produttive nella misura dell'8 per cento della differenza tra il valore normale di tali beni ed il relativo valore fiscalmente riconosciuto. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei commi da 56 a 61»;
    sono, quindi, ammessi ai benefici solo le società commerciali, sia persone sia di capitali, e gli imprenditori individuali;
    poco comprensibile appare, però, l'esclusione degli enti non commerciali esercenti attività di impresa, che sono soggetti ad un trattamento fiscale del tutto analogo a quello degli imprenditori individuali, e che riscontrano le stesse difficoltà e problematiche incontrate dai soggetti ricordati più sopra;
    si ricorda, inoltre, che negli ultimi anni si sono succeduti diversi provvedimenti agevolativi di estromissione o scioglimento agevolato a favore di società e imprenditori individuali;
    in particolare, si può citare l'articolo 1 comma 37 della legge 244/2007 (legge finanziaria 2008), ripreso in larga parte dall'articolo 1 comma 62 della legge di Stabilità 2016 in via di approvazione;
    per quel che riguarda gli enti non commerciali, invece, l'ultima disposizione di tale natura risale alla ormai datata legge n. 413/1991;
    si rileva, inoltre, che l'inclusione dei soggetti ricordati in precedenza ed oggi esclusi dai benefici di legge, consentirebbe di fare affluire nelle casse dello Stato per l'anno 2016, attraverso l'imposta sostitutiva prevista dall'articolo 1 comma 62 della legge in via di approvazione, una somma certamente significativa ed immediatamente disponibile;
    al contrario, la mancata estensione ai soggetti oggi esclusi dai benefici previsti, il corrispondente gettito per le casse dello Stato in via ordinaria si verificherebbe solo negli anni futuri ed in via del tutto eventuale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire, anche con iniziative di carattere normativo, per estendere quanto prima i benefici previsti dal citato articolo 1 comma 62 della legge di Stabilità 2016 anche ai soggetti oggi esclusi e sopra ricordati.
9/3444-A/297Baradello.


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso degli ultimi trent'anni il sistema pensionistico italiano è stato interessato da riforme strutturali finalizzate sostanzialmente a garantire la sostenibilità del sistema stesso;
    il controllo della spesa nazionale per le pensioni è stato realizzato in via prioritaria attraverso la flessibilità nell'accesso ai trattamenti pensionistici anche con incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa e l'introduzione del sistema di calcolo contributivo;
    l'incentivazione alla permanenza in servizio è stata ovviamente accompagnata da una decisa disincentivazione all'uscita anticipata dal lavoro;
    la penalizzazione derivante da questa situazione e stata sicuramente più pesante per le lavoratrici, nei confronti delle quali rimane la possibilità di accedere in anticipo al trattamento pensionistico di anzianità però con una decurtazione dell'assegno derivante anche dall'applicazione del sistema di calcolo contributivo;
    tra queste, non viene operata nessuna distinzione tra chi ha generato e allevato figli e chi non lo ha fatto, stabilendo pertanto una grave discriminazione. Più in particolare, le donne-lavoratrici con 4 o più figli – per dedicarsi alla cura della famiglia – devono forzatamente rinunciare alla carriera, rimanendo quindi ai livelli più bassi di retribuzione; spesso sono obbligate a ricorrere al part-time, con la conseguente decurtazione di stipendio, ma conseguentemente anche dei contributi previdenziali. Nel caso di 4 o più figli, la donna spesso deve addirittura abbandonare suo malgrado il lavoro perché oggettivamente inconciliabile con l'attività lavorativa. Senza parlare dell'oggettivo stress psico-fisico indotto dal doppio lavoro di lavoratrice e di madre;
    oggi nel nostro sistema previdenziale non esiste più nessun provvedimento che riconosca l'altissimo valore sociale della maternità. Anzi, la «Riforma Fornero» ha eliminato l'astensione facoltativa presa dalle lavoratrici madri dal computo dei contributi ai fini pensionistici, misura particolarmente odiosa anche perché agisce in maniera retroattiva, configurandosi quindi come illegittima. Rimane pertanto solo il riconoscimento dei 5 mesi di «maternità obbligatoria»;
    per superare questa situazione lo strumento migliore sarà l'attribuzione di contributi figurativi da inserire nella prossima riforma strutturale, ormai inderogabile, per ogni figlio generato o adottato, in linea con quanto già accade in altri i Paesi europei;
    il riconoscimento di contributi figurativi per la cura dei figli è, infatti, presente in diversi ordinamenti europei. Alcuni esempi non esaustivi: in Austria, è previsto un periodo massimo di 4 anni di contributi figurativi per ciascun figlio; in Germania, la contribuzione figurativa viene riconosciuta a chi si prende cura di due o più figli di età inferiore ai 10 anni e non ha un lavoro retribuito; nel Regno Unito è prevista, la riduzione di un anno del periodo minimo necessario di versamenti contributivi (per l'ottenimento della pensione) per ciascun anno speso nella cura di un figlio minore di 16 anni. Si tratta di contributi da mettere a carico della fiscalità generale;
    è inutile sottolineare che, oltre ai dovuti benefici per la lavoratrice madre, tale misura libera posti di lavoro per i giovani e costituisce uno stimolo alla generazione di figli, contrastando in tal modo il declino demografico;
    in più occasioni il Governo ha dichiarato di voler intervenire in modo organico sulla flessibilità in uscita dal lavoro, con un provvedimento ragionato che non ripeta gli errori del passato e che non riproduca le inaccettabili iniquità sopra esposte,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere tempestive iniziative, anche nell'ambito dell'annunciata revisione della normativa sulla flessibilità in uscita, volte a superare la situazione discriminatoria sopra esposta, alla luce dell'azzeramento del tasso di natalità nel nostro Paese, anche attraverso l'attribuzione di contributi figurativi per ogni figlio generato o adottato, in linea con quanto disposto a riguardo in diversi ordinamenti europei.
9/3444-A/298Sberna.


   La Camera,
   premesso che:
    le famiglie con tre o più figli, come dimostrano puntualmente ogni anno i dati forniti dall'Istat, sono quelle che più di tutte risentono della crisi e che più facilmente sono sottoposte al rischio di povertà relativa, e sono poco più di 1 milione, pari a circa il 4 per cento del totale di tutte le famiglie italiane, ma contribuiscono con circa il 20 per cento al totale dei figli minori;
    il potere di acquisto di queste famiglie si riduce ogni anno in modo costante, mentre i benefici economici riconosciuti sarebbero in grado di generare una ricaduta diretta positiva sul Pil del nostro Paese;
    i figli sono il futuro della nostra società, soprattutto ora che l'Italia è entrata nel cosiddetto «inverno demografico»;
    la famiglia, in particolare quella numerosa è esplicitamente tutelata dall'articolo 31 della Costituzione, nel quale si legge che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose»;
    il Consiglio dei Ministri n. 76 del 16 novembre 2007 aveva deliberato la presentazione di un disegno di legge collegato alla manovra finanziaria, nel quale veniva istituita la «carta della famiglia» per nuclei familiari con almeno tre figli minori;
    la succitata carta avrebbe, consentito alle famiglie aventi diritto di beneficiare di sconti sull'acquisto di beni e servizi, ovvero a riduzione su tariffe, concordate con soggetti pubblici e privati che avessero aderito all'iniziativa;
    il provvedimento non ha mai avuto esecuzione per la caduta del Governo Prodi;
    si deve ricordare che in Europa esistono già analoghe carte, come testimonia in particolare l'esempio della Francia, laddove il sistema è ben implementato;
    inoltre, è allo studio da parte dell'Elfac (European Large Families Confederations), l'introduzione di una «Large family card» con interessanti opportunità anche per il settore turistico italiano,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere in futuro iniziative, anche di carattere normativo, volte all'istituzione di una «Carta famiglia» per le famiglie con almeno tre figli a carico.
9/3444-A/299Dellai, Sberna, Gigli.


   La Camera,
   premesso che:
    la cooperazione internazionale allo sviluppo rappresenta un comparto strategico e parte integrante della politica estera italiana e rappresenta un importante elemento di supporto ad azioni ed interventi diretti allo sviluppo economico, sociale e culturale di territori in ritardo di sviluppo o economicamente svantaggiati;
    la gestione di progetti di cooperazione internazionale può essere riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri alle organizzazioni o associazioni locali, nazionali o internazionali di cittadini non create dal Governo, qualificate come «ONG», organizzazioni non governative, le quali dopo un'istruttoria molto selettiva, ottengono dal Ministero degli Esteri un riconoscimento di idoneità;
    la recente riforma del Terzo settore ha esteso la platea di soggetti ed enti associativi a finalità sociale, che possono supportare la neo-costituita Agenzia per la cooperazione allo sviluppo nelle attività e programmi di intervento a supporto di territori economicamente svantaggiati;
    il Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, con proprio decreto del 22 luglio 2013, n. 113, ha regolamentato lo «Statuto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo»;
    l'articolo 17 dello Statuto identifica i criteri di iscrizione delle organizzazione della società civile ed altri soggetti senza finalità di lucro, agli elenchi dei soggetti autorizzati a partecipare ai programmi di cooperazione internazionale allo sviluppo;
    la cooperazione interistituzionale tra istituzioni dello Stato ed enti non governativi e non lucrativi a finalità sociale consente di allargare le opportunità della cooperazione internazionale, tenendo conto anche di quelle realtà, che già operano, come da finalità statutariamente definite, nell'ambito dell'attenuazione di forme di emarginazione sociale e delle disparità economiche;
    un approccio pragmatico e per obiettivi, rispetto alla programmazione ed implementazione degli interventi consentirebbe allo Stato, attraverso la cooperazione con le predette ONLUS, di conseguire risparmi di spesa usufruendo di strutture, competenze professionali e know-how delle risorse umane che già operano nel terzo settore, in un processo integrato di collaborazione,

impegna il Governo

a rafforzare la cooperazione interistituzionale tra Stato e Terzo settore ed assicurare pari opportunità di partecipazione ai processi e programmi di cooperazione tra gli enti associativi, le cui finalità statutarie sono orientate all'attenuazione di forme di emarginazione sociale e delle disparità economiche, consentendo agli stessi enti di concorrere all'implementazione dei programmi di sviluppo economico nelle aree economicamente svantaggiate.
9/3444-A/300Francesco Saverio Romano.


   La Camera,
   premesso che:
    la cooperazione internazionale allo sviluppo rappresenta un comparto strategico e parte integrante della politica estera italiana e rappresenta un importante elemento di supporto ad azioni ed interventi diretti allo sviluppo economico, sociale e culturale di territori in ritardo di sviluppo o economicamente svantaggiati;
    la gestione di progetti di cooperazione internazionale può essere riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri alle organizzazioni o associazioni locali, nazionali o internazionali di cittadini non create dal Governo, qualificate come «ONG», organizzazioni non governative, le quali dopo un'istruttoria molto selettiva, ottengono dal Ministero degli Esteri un riconoscimento di idoneità;
    la recente riforma del Terzo settore ha esteso la platea di soggetti ed enti associativi a finalità sociale, che possono supportare la neo-costituita Agenzia per la cooperazione allo sviluppo nelle attività e programmi di intervento a supporto di territori economicamente svantaggiati;
    il Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, con proprio decreto del 22 luglio 2013, n. 113, ha regolamentato lo «Statuto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo»;
    l'articolo 17 dello Statuto identifica i criteri di iscrizione delle organizzazione della società civile ed altri soggetti senza finalità di lucro, agli elenchi dei soggetti autorizzati a partecipare ai programmi di cooperazione internazionale allo sviluppo;
    la cooperazione interistituzionale tra istituzioni dello Stato ed enti non governativi e non lucrativi a finalità sociale consente di allargare le opportunità della cooperazione internazionale, tenendo conto anche di quelle realtà, che già operano, come da finalità statutariamente definite, nell'ambito dell'attenuazione di forme di emarginazione sociale e delle disparità economiche;
    un approccio pragmatico e per obiettivi, rispetto alla programmazione ed implementazione degli interventi consentirebbe allo Stato, attraverso la cooperazione con le predette ONLUS, di conseguire risparmi di spesa usufruendo di strutture, competenze professionali e know-how delle risorse umane che già operano nel terzo settore, in un processo integrato di collaborazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rafforzare la cooperazione interistituzionale tra Stato e Terzo settore ed assicurare pari opportunità di partecipazione ai processi e programmi di cooperazione tra gli enti associativi, le cui finalità statutarie sono orientate all'attenuazione di forme di emarginazione sociale e delle disparità economiche, consentendo agli stessi enti di concorrere all'implementazione dei programmi di sviluppo economico nelle aree economicamente svantaggiate.
9/3444-A/300. (Testo modificato nel corso della seduta)  Francesco Saverio Romano.


   La Camera,
   premesso che:
    finalmente il tema del «made in Italy» ha diritto di cittadinanza in un provvedimento governativo. Se ne sentiva da tempo l'esigenza. Essa è stata soddisfatta sia in questa «legge di stabilità» che dedica all'argomento diversi commi, sia nel decreto-legge 185, in discussione al Senato e che presto giungerà alla Camera. Un buon inizio;
    non altrettanto positivo, purtroppo, è il giudizio di merito sulle norme in questione. Il Governo si è limitato a proporre stanziamenti limitati per un'attività, più che di sviluppo, di semplice propaganda a favore dei prodotti e del brand italiano. Operazione positiva, ma del tutto insufficiente di fronte alla drammaticità dei problemi da affrontare;
    le norme citate si risolvono in una difesa semplicemente «passiva» della produzione italiana. Alimentano addirittura il rischio di sollecitare ulteriormente l'attività di contraffazione, utilizzando i soldi dei contribuenti. È infatti evidente che la conquista di nuove posizioni di mercato, se non accompagnata da misure interdittive nei confronti della falsificazione del prodotto, rischia solo di alimentare quell'ampia zona grigia che danneggia la produzione italiana e si risolve in una beffa per lo stesso consumatore. Quest'ultimo è convinto di acquistare un prodotto di qualità, ad un prezzo leggermente inferiore. Ma si trova nelle mani qualcosa che poco o nulla a che vedere con il suo obiettivo originario;
    dal momento che la sofisticazione riguarda anche i prodotti alimentari o gli stessi farmaci il pericolo diventa ancora maggiore. Si rischia, infatti, di compromettere, spesso in modo irreversibile, la stessa salute del cittadino, ignaro di fronte a tecniche di sofisticazione che spesso è impossibile individuare, se non a posteriore. Quando il danno si è ormai materializzato;
    è proprio di questi giorni, ad esempio, la notizia che la Guardia di finanza, tra il mese di giugno e di ottobre, ha sequestrato ben 3.234.947 prodotti contraffatti. Dato, indubbiamente, impressionante che non rende, tuttavia, l'ampiezza vera del fenomeno. Si calcola, infatti, che la contraffazione sottrae annualmente al sistema economico nazionale circa 18 miliardi di euro di produzione. Che corrispondono a 6 miliardi di valore aggiunto e ad un'evasione erariale di circa 5 miliardi. Se si considera l'italian sounding – vale a dire quell'insieme di prodotti la cui etichetta evoca la produzione italiana – ad esempio il formaggio parmesan – le cifre assumono un valore da capogiro. Si parla, infatti, di oltre 100 miliardi di fatturato;
    al diffondersi di questo malcostume non contribuiscono solo le aziende della falsificazione – spesso controllate dalla malavita organizzata – ma la stessa catena logistica che, in modo collusivo, contribuisce allo smercio di quei prodotti distribuendoli ai grandi centri di vendita: super ed iper mercati, catene commerciali e via dicendo;
    la dimensione del fenomeno dovrebbe far riflettere. In Italia stiamo combattendo per avere uno 0,1 per cento di Pil in più, ma poi perdiamo per strada gran parte della produzione a causa di una concorrenza sleale che penalizza le aziende sane a favore di coloro che contraffanno il marchio o il brand originale;
    per risolvere il problema alla radice, in passato, si è tentato di coinvolgere la Commissione e il Parlamento europeo, nella speranza di giungere ad una direttiva condivisa nell'interesse dei consumatori e della trasparenza del mercato. L'obiettivo non è stato conseguito a causa delle resistenze di molti partner la cui produzione non risponde alle caratteristiche di qualità di quella italiana;
    si è eccepito, in modo strumentale, che la difesa del marchio, mediante la sua semplice tipizzazione, potesse rappresentare un ostacolo alla libera circolazione delle merci. Tesi senza fondamento alcuno. La linfa vera della competizione non può essere «l'imbroglio» ai danni del consumatore. La concorrenza di prezzo ha senso solo, se lo stesso prezzo incorpora la diversa qualità del prodotto. Nonostante queste evidenti considerazioni, gli interessi immediati hanno prevalso ed è stato impossibile raggiungere l'intesa che portasse ad una coerente regolamentazione;
    se la strada di una «tutela obbligatoria» del marchio risulta, almeno al momento, difficile da perseguire; nulla vieta che le singole aziende possano adottare «volontariamente» misure in grado di garantire la qualità della propria produzione. Essenziale, in questo caso, è che la relativa certificazione, a sua volta, non possa essere falsificata. Ma per ottenere questo risultato esistono già tecnologie informatiche in grado di garantirne l'assoluta affidabilità. Tecnologie che hanno già ottenuto il brevetto europeo per sistemi di identificazione e informazione alla clientela assolutamente incorruttibili;
    la relativa diffusione, sempre su base volontaria, può essere favorita dall'individuazione di un logo unico da parte governativa, onde evitare che ciascuna azienda possa ricorrere al «fai da te» inondando il mercato di una segnaletica differenziata che non potrebbe far altro che accrescere la confusione esistente,

impegna il Governo

ad individuare un «logo» comune per quelle aziende che volontariamente intendono certificare presso i propri clienti la qualità della propria produzione, fornendo tutti i dettagli che riterranno utili al fine dell'esatta individuazione del prodotto eventualmente stabilendo tutte le procedure, che si renderanno necessarie, per garantire il massimo della trasparenza e dell'affidabilità.
9/3444-A/301Galati.


   La Camera,
   premesso che:
    finalmente il tema del «made in Italy» ha diritto di cittadinanza in un provvedimento governativo. Se ne sentiva da tempo l'esigenza. Essa è stata soddisfatta sia in questa «legge di stabilità» che dedica all'argomento diversi commi, sia nel decreto-legge 185, in discussione al Senato e che presto giungerà alla Camera. Un buon inizio;
    non altrettanto positivo, purtroppo, è il giudizio di merito sulle norme in questione. Il Governo si è limitato a proporre stanziamenti limitati per un'attività, più che di sviluppo, di semplice propaganda a favore dei prodotti e del brand italiano. Operazione positiva, ma del tutto insufficiente di fronte alla drammaticità dei problemi da affrontare;
    le norme citate si risolvono in una difesa semplicemente «passiva» della produzione italiana. Alimentano addirittura il rischio di sollecitare ulteriormente l'attività di contraffazione, utilizzando i soldi dei contribuenti. È infatti evidente che la conquista di nuove posizioni di mercato, se non accompagnata da misure interdittive nei confronti della falsificazione del prodotto, rischia solo di alimentare quell'ampia zona grigia che danneggia la produzione italiana e si risolve in una beffa per lo stesso consumatore. Quest'ultimo è convinto di acquistare un prodotto di qualità, ad un prezzo leggermente inferiore. Ma si trova nelle mani qualcosa che poco o nulla a che vedere con il suo obiettivo originario;
    dal momento che la sofisticazione riguarda anche i prodotti alimentari o gli stessi farmaci il pericolo diventa ancora maggiore. Si rischia, infatti, di compromettere, spesso in modo irreversibile, la stessa salute del cittadino, ignaro di fronte a tecniche di sofisticazione che spesso è impossibile individuare, se non a posteriore. Quando il danno si è ormai materializzato;
    è proprio di questi giorni, ad esempio, la notizia che la Guardia di finanza, tra il mese di giugno e di ottobre, ha sequestrato ben 3.234.947 prodotti contraffatti. Dato, indubbiamente, impressionante che non rende, tuttavia, l'ampiezza vera del fenomeno. Si calcola, infatti, che la contraffazione sottrae annualmente al sistema economico nazionale circa 18 miliardi di euro di produzione. Che corrispondono a 6 miliardi di valore aggiunto e ad un'evasione erariale di circa 5 miliardi. Se si considera l'italian sounding – vale a dire quell'insieme di prodotti la cui etichetta evoca la produzione italiana – ad esempio il formaggio parmesan – le cifre assumono un valore da capogiro. Si parla, infatti, di oltre 100 miliardi di fatturato;
    al diffondersi di questo malcostume non contribuiscono solo le aziende della falsificazione – spesso controllate dalla malavita organizzata – ma la stessa catena logistica che, in modo collusivo, contribuisce allo smercio di quei prodotti distribuendoli ai grandi centri di vendita: super ed iper mercati, catene commerciali e via dicendo;
    la dimensione del fenomeno dovrebbe far riflettere. In Italia stiamo combattendo per avere uno 0,1 per cento di Pil in più, ma poi perdiamo per strada gran parte della produzione a causa di una concorrenza sleale che penalizza le aziende sane a favore di coloro che contraffanno il marchio o il brand originale;
    per risolvere il problema alla radice, in passato, si è tentato di coinvolgere la Commissione e il Parlamento europeo, nella speranza di giungere ad una direttiva condivisa nell'interesse dei consumatori e della trasparenza del mercato. L'obiettivo non è stato conseguito a causa delle resistenze di molti partner la cui produzione non risponde alle caratteristiche di qualità di quella italiana;
    si è eccepito, in modo strumentale, che la difesa del marchio, mediante la sua semplice tipizzazione, potesse rappresentare un ostacolo alla libera circolazione delle merci. Tesi senza fondamento alcuno. La linfa vera della competizione non può essere «l'imbroglio» ai danni del consumatore. La concorrenza di prezzo ha senso solo, se lo stesso prezzo incorpora la diversa qualità del prodotto. Nonostante queste evidenti considerazioni, gli interessi immediati hanno prevalso ed è stato impossibile raggiungere l'intesa che portasse ad una coerente regolamentazione;
    se la strada di una «tutela obbligatoria» del marchio risulta, almeno al momento, difficile da perseguire; nulla vieta che le singole aziende possano adottare «volontariamente» misure in grado di garantire la qualità della propria produzione. Essenziale, in questo caso, è che la relativa certificazione, a sua volta, non possa essere falsificata. Ma per ottenere questo risultato esistono già tecnologie informatiche in grado di garantirne l'assoluta affidabilità. Tecnologie che hanno già ottenuto il brevetto europeo per sistemi di identificazione e informazione alla clientela assolutamente incorruttibili;
    la relativa diffusione, sempre su base volontaria, può essere favorita dall'individuazione di un logo unico da parte governativa, onde evitare che ciascuna azienda possa ricorrere al «fai da te» inondando il mercato di una segnaletica differenziata che non potrebbe far altro che accrescere la confusione esistente,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare un «logo» comune per quelle aziende che volontariamente intendono certificare presso i propri clienti la qualità della propria produzione, fornendo tutti i dettagli che riterranno utili al fine dell'esatta individuazione del prodotto eventualmente stabilendo tutte le procedure, che si renderanno necessarie, per garantire il massimo della trasparenza e dell'affidabilità.
9/3444-A/301. (Testo modificato nel corso della seduta).  Galati.


   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 è stato introdotto il pagamento del 5 per cento degli oneri di sistema sull'autoconsumo di energia elettrica anche per i sistemi che producono energia elettrica ad alto rendimento, oltre alla possibilità di aumentare questa percentuale nel corso degli anni;
    tale disposizione, che introduce una forte penalizzazione per i sistemi di cogenerazione ad alto rendimento in cui varie imprese industriali hanno deciso di investire, rappresenta un unicum nel panorama europeo;
    in Germania, dove pure è in corso un dibattito sugli oneri di sistema da applicare all'autoconsumo, non è stato introdotto alcun pagamento sui sistemi esistenti – come invece è avvenuto in Italia – ed inoltre, per i settori energivori, quale quello cartario, sono vigenti norme perfettamente compatibili con le linee guida sugli aiuti di stato, che prevedono forti sgravi dal pagamento degli oneri di sistema per questi settori;
    quand'anche si dovesse arrivare ad applicare gli oneri di sistema al 100% sull'autoconsumo, le imprese energivore tedesche ne sarebbero in ogni caso sollevate per effetto di una corretta applicazione delle linee guida europee sugli aiuti di stato in materia di energia;
    in Italia invece la norma che riduce gli oneri per le imprese energivore non è in grado di produrre gli stessi benefici per le imprese, benefici cui invece possono accedere le imprese tedesche;
    mentre in Germania sono previsti sgravi per le imprese energivore, in Italia è stato invece introdotto un pesante fardello per le imprese energivore, un fardello non sostenibile;
    ancora una volta l'Italia si troverebbe ad attuare in maniera controproducente la regolazione europea senza sfruttare i vantaggi che questa offre;
    il costo della bolletta energetica per il settore cartario è di oltre 1,1 miliardi di euro l'anno e gli oneri di sistema nel loro complesso valgono circa 160 milioni di euro l'anno. Il pagamento del 5 per cento degli oneri di sistema sull'autoconsumo ha colpito pesantemente e principalmente il settore cartario,

impegna il Governo

ad agire rapidamente e, nell'ambito del processo di revisione delle norme nazionali sugli energivori, prevedere l'introduzione di un tetto massimo all'importo pagabile da parte delle imprese particolarmente energivore, nel rispetto delle vigenti norme sugli aiuti di Stato, ed in particolare secondo quanto previsto al punto 189 della «Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020» (2014/C 200/01).
9/3444-A/302Parisi.


   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 è stato introdotto il pagamento del 5 per cento degli oneri di sistema sull'autoconsumo di energia elettrica anche per i sistemi che producono energia elettrica ad alto rendimento, oltre alla possibilità di aumentare questa percentuale nel corso degli anni;
    tale disposizione, che introduce una forte penalizzazione per i sistemi di cogenerazione ad alto rendimento in cui varie imprese industriali hanno deciso di investire, rappresenta un unicum nel panorama europeo;
    in Germania, dove pure è in corso un dibattito sugli oneri di sistema da applicare all'autoconsumo, non è stato introdotto alcun pagamento sui sistemi esistenti – come invece è avvenuto in Italia – ed inoltre, per i settori energivori, quale quello cartario, sono vigenti norme perfettamente compatibili con le linee guida sugli aiuti di stato, che prevedono forti sgravi dal pagamento degli oneri di sistema per questi settori;
    quand'anche si dovesse arrivare ad applicare gli oneri di sistema al 100% sull'autoconsumo, le imprese energivore tedesche ne sarebbero in ogni caso sollevate per effetto di una corretta applicazione delle linee guida europee sugli aiuti di stato in materia di energia;
    in Italia invece la norma che riduce gli oneri per le imprese energivore non è in grado di produrre gli stessi benefici per le imprese, benefici cui invece possono accedere le imprese tedesche;
    mentre in Germania sono previsti sgravi per le imprese energivore, in Italia è stato invece introdotto un pesante fardello per le imprese energivore, un fardello non sostenibile;
    ancora una volta l'Italia si troverebbe ad attuare in maniera controproducente la regolazione europea senza sfruttare i vantaggi che questa offre;
    il costo della bolletta energetica per il settore cartario è di oltre 1,1 miliardi di euro l'anno e gli oneri di sistema nel loro complesso valgono circa 160 milioni di euro l'anno. Il pagamento del 5 per cento degli oneri di sistema sull'autoconsumo ha colpito pesantemente e principalmente il settore cartario,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di agire rapidamente e, nell'ambito del processo di revisione delle norme nazionali sugli energivori, prevedere l'introduzione di un tetto massimo all'importo pagabile da parte delle imprese particolarmente energivore, nel rispetto delle vigenti norme sugli aiuti di Stato, ed in particolare secondo quanto previsto al punto 189 della «Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020» (2014/C 200/01).
9/3444-A/302. (Testo modificato nel corso della seduta)  Parisi.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 27 maggio 1977, n. 284 detta norme sull'adeguamento e riordinamento di indennità alle forze di polizia ed al personale civile degli istituti penitenziari;
    il comma 5 dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1977, n. 284, prevede che «ai fini della liquidazione e riliquidazione delle pensioni, il servizio comunque prestato con percezione dell'indennità per servizio di istituto o di quelle indennità da essa assorbite per effetto della legge 22 dicembre 1969, n. 967, è computato con l'aumento di un quinto»;
    alcune interpretazioni della norma sopracitata escludono dal beneficio di cui al comma 5 dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1977, n. 284 i soggetti che hanno costituito posizioni previdenziali a seguito di instaurazione di rapporto di lavoro dipendente regolato dal diritto privato;
    che tali interpretazioni ledono i diritti pensionistici acquisiti dal personale delle forze di polizia e del personale civile degli istituti penitenziari,

impegna il Governo

ad intervenire con gli strumenti a sua disposizione affinché le norme di cui al comma 5 dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1977, n. 184 si interpretino nel senso che tali disposizioni si applicano anche nel caso in cui venga costituita posizione assicurativa previdenziale a seguito di instaurazione di rapporto di lavoro dipendente regolato dal diritto privato.
9/3444-A/303Merlo.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 27 maggio 1977, n. 284 detta norme sull'adeguamento e riordinamento di indennità alle forze di polizia ed al personale civile degli istituti penitenziari;
    il comma 5 dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1977, n. 284, prevede che «ai fini della liquidazione e riliquidazione delle pensioni, il servizio comunque prestato con percezione dell'indennità per servizio di istituto o di quelle indennità da essa assorbite per effetto della legge 22 dicembre 1969, n. 967, è computato con l'aumento di un quinto»;
    alcune interpretazioni della norma sopracitata escludono dal beneficio di cui al comma 5 dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1977, n. 284 i soggetti che hanno costituito posizioni previdenziali a seguito di instaurazione di rapporto di lavoro dipendente regolato dal diritto privato;
    che tali interpretazioni ledono i diritti pensionistici acquisiti dal personale delle forze di polizia e del personale civile degli istituti penitenziari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire con gli strumenti a sua disposizione affinché le norme di cui al comma 5 dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1977, n. 184 si interpretino nel senso che tali disposizioni si applicano anche nel caso in cui venga costituita posizione assicurativa previdenziale a seguito di instaurazione di rapporto di lavoro dipendente regolato dal diritto privato.
9/3444-A/303. (Testo modificato nel corso della seduta)  Merlo.


   La Camera,
   premesso che:
    quella «geotermica» è una forma di energia naturale che trova origine dal calore della terra e, tra le energie rinnovabili, ha un valore aggiunto che condivide soltanto con l'idroelettrico: la continuità della produzione;
    i progetti più interessanti affiancano oggi la geotermia alle altri fonti rinnovabili, per le quali verrebbe a costituire un importante sostegno nei momenti di scarsa produzione;
    la geotermia, quindi, può essere intesa come un elemento importante per la « green economy» e un sostegno significativo per sviluppare politiche « low carbon»;
    lo sviluppo corretto della geotermia porta con sé inoltre non solo benefici ambientali, contribuendo in maniera importante alla lotta contro i cambiamenti climatici, ma offre anche importanti occasioni per la creazione di nuovi posti di lavoro;
    l'Italia, per le sue caratteristiche morfologiche, ha risorse geotermiche importanti e poco sfruttate;
    secondo i dati forniti dall'unione geotermica italiana, le risorse geotermiche del territorio italiano potenzialmente estraibili da profondità fino a 5 km sono dell'ordine di 21 exajoule (21x1018 joule, corrispondenti a circa 500 mtep, ovvero 500 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio);
    i campi geotermici ad alta entalpia, per il cui sfruttamento disponiamo di una tecnologia matura, e il cui utilizzo per la produzione di energia geotermoelettrica è oggi possibile a costi competitivi con le altre fonti energetiche, si trovano nella fascia preappenninica – tra Toscana, Lazio e Campania –, in Sicilia e Sardegna così come nelle isole vulcaniche del Tirreno;
    considerata quindi l'importanza e la rilevanza strategica della geotermia,

impegna il Governo

ad intervenire con gli strumenti a sua disposizione per sostenere la diffusione della geotermia ed in particolare a farsi promotore dell'istituzione di uno specifico fondo, sull'esempio di quello di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a) della legge 23 dicembre 1996, n. 662 destinato alle piccole e medie imprese, destinato alle imprese del settore geotermoelettrico nel rispetto delle normative europee in merito alla disciplina degli aiuti di Stato.
9/3444-A/304Abrignani.


   La Camera,
   premesso che:
    quella «geotermica» è una forma di energia naturale che trova origine dal calore della terra e, tra le energie rinnovabili, ha un valore aggiunto che condivide soltanto con l'idroelettrico: la continuità della produzione;
    i progetti più interessanti affiancano oggi la geotermia alle altri fonti rinnovabili, per le quali verrebbe a costituire un importante sostegno nei momenti di scarsa produzione;
    la geotermia, quindi, può essere intesa come un elemento importante per la « green economy» e un sostegno significativo per sviluppare politiche « low carbon»;
    lo sviluppo corretto della geotermia porta con sé inoltre non solo benefici ambientali, contribuendo in maniera importante alla lotta contro i cambiamenti climatici, ma offre anche importanti occasioni per la creazione di nuovi posti di lavoro;
    l'Italia, per le sue caratteristiche morfologiche, ha risorse geotermiche importanti e poco sfruttate;
    secondo i dati forniti dall'unione geotermica italiana, le risorse geotermiche del territorio italiano potenzialmente estraibili da profondità fino a 5 km sono dell'ordine di 21 exajoule (21x1018 joule, corrispondenti a circa 500 mtep, ovvero 500 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio);
    i campi geotermici ad alta entalpia, per il cui sfruttamento disponiamo di una tecnologia matura, e il cui utilizzo per la produzione di energia geotermoelettrica è oggi possibile a costi competitivi con le altre fonti energetiche, si trovano nella fascia preappenninica – tra Toscana, Lazio e Campania –, in Sicilia e Sardegna così come nelle isole vulcaniche del Tirreno;
    considerata quindi l'importanza e la rilevanza strategica della geotermia,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire con gli strumenti a sua disposizione per sostenere la diffusione della geotermia ed in particolare a farsi promotore dell'istituzione di uno specifico fondo, sull'esempio di quello di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a) della legge 23 dicembre 1996, n. 662 destinato alle piccole e medie imprese, destinato alle imprese del settore geotermoelettrico nel rispetto delle normative europee in merito alla disciplina degli aiuti di Stato.
9/3444-A/304. (Testo modificato nel corso della seduta)  Abrignani.


   La Camera,
   premesso che:
    la salvaguardia del territorio è fondamentale e imprescindibile, sia per il corretto ed equilibrato sviluppo ambientale del Paese, che per le conseguenze non trascurabili dovute ad eventi ambientali calamitosi;
    i recenti tragici eventi verificatisi in diverse parti d'Italia hanno messo in luce, ancora di più rispetto al passato, le gravissime carenze strutturali presenti nel nostro Paese rispetto al tema del dissesto idrogeologico del territorio;
    sono sempre più manifesti, infatti, i danni provocati da frane, inondazioni, alluvioni, eventi sismici che feriscono, una larghissima parte del territorio nazionale, non capace di sopportare eventi di tale portata, in quanto impoverito, danneggiato ed improvvidamente usato dall'uomo e più gravemente minacciato dall'intensificarsi, in frequenza ed intensità, di eventi meteorologici estremi;
    sono più di 29.000 i chilometri quadrati di territorio nazionale che presentano elevati aspetti di criticità sotto il profilo idrogeologico e più del 40 per cento dei comuni presenta superfici ad elevato rischio sismico, evidenziando la drammatica emergenza in atto sulla quasi totalità del territorio nazionale;
    in particolare il mezzogiorno ma non solo, ha subito gravi danni in termini di perdite di vite umane e ricadute economiche;
    le recenti alluvioni hanno evidenziato come esistano strettoie procedurali e giuridiche che impediscono di intervenire, nonostante vi siano adeguati stanziamenti, anche laddove è conclamato il rischio del ripetersi di gravi eventi alluvionali;
    spesso i contenziosi connessi a sentenze esecutive relative a calamità naturali o cedimenti strutturali in seno ai comuni rischiano di non garantire la sostenibilità economico finanziaria degli stessi;
    in molte occasioni è stato appurato come il pagamento di queste somme dovute a seguito di contenziosi hanno superato, soprattutto nei piccoli comuni, una quota molto spesso eccedente la spesa corrente che tali enti affrontano per la gestione ordinaria delle proprie attività amministrative,

impegna il Governo

ad emanare un provvedimento che preveda al più presto la creazione di un fondo per i contenziosi connessi a sentenze esecutive relative a calamità naturali al fine di consentire ai comuni di non vedersi compromessa la propria sostenibilità economico-finanziaria e contestualmente a stabilire i criteri attraverso i quali i comuni potranno accedervi.
9/3444-A/305D'Alessandro.


   La Camera,
   premesso che:
    la salvaguardia del territorio è fondamentale e imprescindibile, sia per il corretto ed equilibrato sviluppo ambientale del Paese, che per le conseguenze non trascurabili dovute ad eventi ambientali calamitosi;
    i recenti tragici eventi verificatisi in diverse parti d'Italia hanno messo in luce, ancora di più rispetto al passato, le gravissime carenze strutturali presenti nel nostro Paese rispetto al tema del dissesto idrogeologico del territorio;
    sono sempre più manifesti, infatti, i danni provocati da frane, inondazioni, alluvioni, eventi sismici che feriscono, una larghissima parte del territorio nazionale, non capace di sopportare eventi di tale portata, in quanto impoverito, danneggiato ed improvvidamente usato dall'uomo e più gravemente minacciato dall'intensificarsi, in frequenza ed intensità, di eventi meteorologici estremi;
    sono più di 29.000 i chilometri quadrati di territorio nazionale che presentano elevati aspetti di criticità sotto il profilo idrogeologico e più del 40 per cento dei comuni presenta superfici ad elevato rischio sismico, evidenziando la drammatica emergenza in atto sulla quasi totalità del territorio nazionale;
    in particolare il mezzogiorno ma non solo, ha subito gravi danni in termini di perdite di vite umane e ricadute economiche;
    le recenti alluvioni hanno evidenziato come esistano strettoie procedurali e giuridiche che impediscono di intervenire, nonostante vi siano adeguati stanziamenti, anche laddove è conclamato il rischio del ripetersi di gravi eventi alluvionali;
    spesso i contenziosi connessi a sentenze esecutive relative a calamità naturali o cedimenti strutturali in seno ai comuni rischiano di non garantire la sostenibilità economico finanziaria degli stessi;
    in molte occasioni è stato appurato come il pagamento di queste somme dovute a seguito di contenziosi hanno superato, soprattutto nei piccoli comuni, una quota molto spesso eccedente la spesa corrente che tali enti affrontano per la gestione ordinaria delle proprie attività amministrative,

impegna il Governo

ad emanare un provvedimento che preveda al più presto la creazione di un fondo per i contenziosi connessi a sentenze esecutive relative a calamità naturali al fine di consentire ai comuni di non vedersi compromessa la propria sostenibilità economico-finanziaria.
9/3444-A/305. (Testo modificato nel corso della seduta)  D'Alessandro.


   La Camera,
   premesso che:
    l'istituto «G. Paisiello» di Taranto, in qualità di Istituto Superiore di Studi Musicali, ai sensi della legge n. 508/1999, rientra nel sistema nazionale dell'Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM), comparto del Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR);
    da circa 70 anni la Provincia di Taranto sostiene economicamente, in via esclusiva, il predetto Istituto, il cui personale è inserito nella pianta organica dell'Ente Provincia, ma inquadrato secondo il CCNL del comparto MIUR-AFAM;
    con la legge 7 aprile 2014 n. 56 «Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni» (cosiddetta legge «Del Rio»), in attesa della riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, si è provveduto a riordinare le funzioni delle Province, escludendo di fatto l'istituto «G. Paisiello» dalle competenze della Provincia di Taranto;
    la legge 23 dicembre 2014 n. 190 (legge di Stabilità 2015) ha disposto che le Province a statuto ordinario devono ridurre il proprio personale del 50 per cento (comma 421), tenuto conto del riordino delle funzioni;
    la Presidenza del Consiglio dei Ministri-DFP, rilevato il personale in esubero per effetto di tale processo, è chiamata ad avviare presso le Amministrazioni dello Stato una ricognizione dei posti da destinare alla ricollocazione di tale personale, con esclusione del personale non amministrativo dei comparti Sicurezza, Difesa, Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché del comparto Scuola, AFAM ed enti di Ricerca (comma 425);
    il Presidente della Provincia di Taranto, con Decreto n. 66 del 23 luglio 2015, ha dichiarato in esubero l'intero personale in servizio dell'istituto «G. Paisiello» che, non potendo essere ricollocato, sarà conseguentemente messo in mobilità,

impegna il Governo

ad assicurare, nelle more della procedura di cui all'articolo 2 comma 8, lettera e) della legge 21 dicembre 1999 n. 508, un intervento legislativo urgente affinché sia riportato nell'alveo naturale del comparto AFAM il personale in premessa; anche al fine di garantire la continuità funzionale dell'istituto, consentendogli di concorrere a pieno titolo e pari condizioni al complessivo riordino dell'intero sistema dell'Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM).
9/3444-A/306Mottola.


   La Camera,
   premesso che:
    l'istituto «G. Paisiello» di Taranto, in qualità di Istituto Superiore di Studi Musicali, ai sensi della legge n. 508/1999, rientra nel sistema nazionale dell'Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM), comparto del Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR);
    da circa 70 anni la Provincia di Taranto sostiene economicamente, in via esclusiva, il predetto Istituto, il cui personale è inserito nella pianta organica dell'Ente Provincia, ma inquadrato secondo il CCNL del comparto MIUR-AFAM;
    con la legge 7 aprile 2014 n. 56 «Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni» (cosiddetta legge «Del Rio»), in attesa della riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, si è provveduto a riordinare le funzioni delle Province, escludendo di fatto l'istituto «G. Paisiello» dalle competenze della Provincia di Taranto;
    la legge 23 dicembre 2014 n. 190 (legge di Stabilità 2015) ha disposto che le Province a statuto ordinario devono ridurre il proprio personale del 50 per cento (comma 421), tenuto conto del riordino delle funzioni;
    la Presidenza del Consiglio dei Ministri-DFP, rilevato il personale in esubero per effetto di tale processo, è chiamata ad avviare presso le Amministrazioni dello Stato una ricognizione dei posti da destinare alla ricollocazione di tale personale, con esclusione del personale non amministrativo dei comparti Sicurezza, Difesa, Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché del comparto Scuola, AFAM ed enti di Ricerca (comma 425);
    il Presidente della Provincia di Taranto, con Decreto n. 66 del 23 luglio 2015, ha dichiarato in esubero l'intero personale in servizio dell'istituto «G. Paisiello» che, non potendo essere ricollocato, sarà conseguentemente messo in mobilità,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assicurare, nelle more della procedura di cui all'articolo 2 comma 8, lettera e) della legge 21 dicembre 1999 n. 508, un intervento legislativo urgente affinché sia riportato nell'alveo naturale del comparto AFAM il personale in premessa; anche al fine di garantire la continuità funzionale dell'istituto, consentendogli di concorrere a pieno titolo e pari condizioni al complessivo riordino dell'intero sistema dell'Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM).
9/3444-A/306. (Testo modificato nel corso della seduta)  Mottola.


   La Camera,
   premesso che:
    i debiti commerciali delle pubbliche amministrazione sono costantemente aumentati negli ultimi quattro anni come evidenziato dalla Banca d'Italia nel rapporto n. 295 dell'ottobre 2015;
    con decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 il Governo Letta ha sbloccato il pagamento circa 40 miliardi di euro per gli anni 2013 e 2014 per assolvere a tutti i debiti che le pubbliche amministrazioni avevano contratto con le imprese; con successivi interventi normativi sono stati sbloccati altri pagamenti;
    che la stessa Banca d'Italia nel suo rapporto, pur riconoscendo alcuni progressi, afferma che il fenomeno dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni non è ancora stato ricondotto entro limiti fisiologici, valutando al contempo in circa 50 miliardi lo stock di debiti da annullare affinché il nostro Paese si adegui alla normativa europea e risolva strutturalmente una situazione che continua a rimanere emergenziale;
    il problema dell'accumularsi del debito commerciale rimasto insoluto ben oltre la scadenza è diretta conseguenza di cronici ritardi nei tempi di pagamento ordinari con cui le pubbliche amministrazioni liquidano le fatture dovute;
    anche in questo settore, il nostro Paese registra limitatissimi progressi, rimanendo il peggiore pagatore all'interno dell'Unione europea, con tempi medi di saldo delle fatture pari a 144 giorni contro i 38 giorni della media europea, e ben al di sopra del termine di 30 giorni imposto dalla direttiva europea 2011/7/UE;
    le imprese, che cercano il rilancio dopo anni di difficoltà, hanno sofferto una cronica mancanza di credito e liquidità negli anni della crisi accentuata anche da tali crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche e non incassati nei tempi congrui e ordinari,

impegna il Governo

ad accelerare il pagamento delle fatture in via ordinaria per adeguarsi ai tempi medi di saldo previsti dalla normativa europea, a tal fine monitorando e valutando il funzionamento degli strumenti finora attuati, prevedendo interventi correttivi ed eventualmente adottando ulteriori e nuove misure.
9/3444-A/307Borghese.


   La Camera,
   premesso che:
    i debiti commerciali delle pubbliche amministrazione sono costantemente aumentati negli ultimi quattro anni come evidenziato dalla Banca d'Italia nel rapporto n. 295 dell'ottobre 2015;
    con decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 il Governo Letta ha sbloccato il pagamento circa 40 miliardi di euro per gli anni 2013 e 2014 per assolvere a tutti i debiti che le pubbliche amministrazioni avevano contratto con le imprese; con successivi interventi normativi sono stati sbloccati altri pagamenti;
    che la stessa Banca d'Italia nel suo rapporto, pur riconoscendo alcuni progressi, afferma che il fenomeno dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni non è ancora stato ricondotto entro limiti fisiologici, valutando al contempo in circa 50 miliardi lo stock di debiti da annullare affinché il nostro Paese si adegui alla normativa europea e risolva strutturalmente una situazione che continua a rimanere emergenziale;
    il problema dell'accumularsi del debito commerciale rimasto insoluto ben oltre la scadenza è diretta conseguenza di cronici ritardi nei tempi di pagamento ordinari con cui le pubbliche amministrazioni liquidano le fatture dovute;
    anche in questo settore, il nostro Paese registra limitatissimi progressi, rimanendo il peggiore pagatore all'interno dell'Unione europea, con tempi medi di saldo delle fatture pari a 144 giorni contro i 38 giorni della media europea, e ben al di sopra del termine di 30 giorni imposto dalla direttiva europea 2011/7/UE;
    le imprese, che cercano il rilancio dopo anni di difficoltà, hanno sofferto una cronica mancanza di credito e liquidità negli anni della crisi accentuata anche da tali crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche e non incassati nei tempi congrui e ordinari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di accelerare il pagamento delle fatture in via ordinaria per adeguarsi ai tempi medi di saldo previsti dalla normativa europea, a tal fine monitorando e valutando il funzionamento degli strumenti finora attuati, prevedendo interventi correttivi ed eventualmente adottando ulteriori e nuove misure.
9/3444-A/307. (Testo modificato nel corso della seduta)  Borghese.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame in numerosi commi reca disposizioni in materia di ammortizzatori sociali;
    il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 5, attuativo del cosiddetto jobs act, all'articolo 5 prevede che l'indennità di disoccupazione sia «corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni»;
    tale norma penalizza in modo particolare i lavoratori stagionali i quali avranno meno di tre mesi di copertura con l'indennità di disoccupazione;
    con la vecchia indennità ASPI i lavoratori stagionali che avevano lavorato per un semestre avevano diritto a percepire l'indennità di disoccupazione per la parte rimanente dell'anno;
    la peculiarità del lavoro stagionale, che non riguarda solo il settore turistico e le attività ad esse connesse ma anche molti altri settori, devono essere riconosciute e i suoi addetti tutelati,

impegna il Governo

ad assumere le opportune iniziative normative volte a tutelare i lavoratori di cui in premessa, prevedendo meccanismi che possano estendere il periodo di corresponsione dell'indennità di disoccupazione in loro favore.
9/3444-A/308Totaro, Rampelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame in numerosi commi reca disposizioni in materia di ammortizzatori sociali;
    il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 5, attuativo del cosiddetto jobs act, all'articolo 5 prevede che l'indennità di disoccupazione sia «corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni»;
    tale norma penalizza in modo particolare i lavoratori stagionali i quali avranno meno di tre mesi di copertura con l'indennità di disoccupazione;
    con la vecchia indennità ASPI i lavoratori stagionali che avevano lavorato per un semestre avevano diritto a percepire l'indennità di disoccupazione per la parte rimanente dell'anno;
    la peculiarità del lavoro stagionale, che non riguarda solo il settore turistico e le attività ad esse connesse ma anche molti altri settori, devono essere riconosciute e i suoi addetti tutelati,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere le opportune iniziative normative volte a tutelare i lavoratori di cui in premessa, prevedendo meccanismi che possano estendere il periodo di corresponsione dell'indennità di disoccupazione in loro favore.
9/3444-A/308. (Testo modificato nel corso della seduta)  Totaro, Rampelli.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi 117-bis e 117-ter del provvedimento in esame intervengono in materia di reclutamento del personale delle scuole;
    la legge 13 luglio 2015, n. 107, di riforma del sistema di istruzione, ha previsto un piano straordinario di assunzioni da graduatorie a esaurimento e a partire dal prossimo anno scolastico, per la copertura dei restanti posti vacanti e disponibili, le immissioni in ruolo esclusivamente attraverso concorsi per titoli ed esami;
    in ossequio alla citata normativa il bando per le assunzioni sarebbe dovuto essere emanato entro lo scorso 1o dicembre ma ancora non è stato pubblicato;
    nonostante il citato piano straordinario di assunzioni, le scuole stanno nuovamente e in modo massiccio ricorrendo alle supplenze sistematiche, attingendo dalla II e III fascia delle graduatorie d'istituto, di docenti abilitati e non abilitati, a suo tempo esclusi dal Governo dalle graduatorie ad esaurimento e quindi dal suddetto piano straordinario;
    ciononostante le scuole attingono dalle graduatorie d'istituto poiché il loro fabbisogno reale (materie richieste quali matematica, italiano, materie tecniche, linguistiche...) non trova corrispondenza nelle graduatorie ad esaurimento e ciò avviene da molti anni;
    quanto sta avvenendo dimostra l'urgente necessità di intervenire a tutela della qualità dell'insegnamento non penalizzando la didattica e il diritto allo studio e di provvedere a un rapido e a costo zero concorso per soli titoli;
    il concorso che avrebbe dovuto essere bandito entro il 1o dicembre, a norma di legge avrebbe dovuto assicurare la copertura, nei limiti delle risorse finanziarie, di tutti i posti vacanti e disponibili nell'organico dell'autonomia, nonché dei posti che si rendano tali nel triennio;
    i tempi per l'indizione del concorso per titoli ed esami, proprio perché prevedono ulteriori esami a carico di docenti già abilitati attraverso severe prove superate sotto il controllo dello stato e con anni di servizio, sembrano essere ancora lunghi;
    il Governo sta indicendo un concorso per il quale il fabbisogno non potrà che essere definito solo dopo l'approvazione dei Piani Triennali dell'Offerta Formativa, in scadenza al 15 gennaio 2016;
    considerato che, altresì, non è neanche chiaro di quanti e quali docenti la scuola abbia bisogno, e il previsto numero di sessantamila assunzioni nel triennio non coprirebbe neanche metà dei pensionamenti che scatteranno con la messa a regime della riforma Fornero;
    la consistenza delle graduatorie d'istituto non è mai stata resa nota da questo Governo, ma se lo fosse emergerebbe chiaramente che nel periodo transitorio fino all'attuazione della delega sul reclutamento, prevista dalla legge 107/2015, si potrebbe realizzare l'assorbimento dei precari rimasti fuori dalle graduatorie a esaurimento, attualmente iscritti nella II fascia delle graduatorie d'istituto, aventi pari di titoli e merito;
    l'organizzazione di un concorso, in ogni caso, comporterebbe un costo notevole per il bilancio dello Stato, stimato in almeno cinque milioni di euro, e che tali fondi potrebbero essere più utilmente destinati a progetti per il diritto allo studio dei meno abbienti o per l'edilizia scolastica,

impegna il Governo

a disporre l'inserimento degli abilitati di seconda fascia delle graduatorie d'istituto nelle graduatorie ad esaurimento al fine della loro tempestiva immissione in ruolo, con ciò anche alleggerendo gli oneri finanziari che deriverebbero dallo svolgimento di un nuovo concorso e al fine di fornire immediatamente alle scuole il personale docente di cui hanno realmente bisogno rivolgendosi a quegli insegnanti precari che già servono la scuola pubblica, senza però un contratto stabile, in modo da eliminare davvero il patologico e continuato ricorso ai supplenti.
9/3444-A/309Rampelli.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi 117-bis e 117-ter del provvedimento in esame intervengono in materia di reclutamento del personale delle scuole;
    la legge 13 luglio 2015, n. 107, di riforma del sistema di istruzione, ha previsto un piano straordinario di assunzioni da graduatorie a esaurimento e a partire dal prossimo anno scolastico, per la copertura dei restanti posti vacanti e disponibili, le immissioni in ruolo esclusivamente attraverso concorsi per titoli ed esami;
    in ossequio alla citata normativa il bando per le assunzioni sarebbe dovuto essere emanato entro lo scorso 1o dicembre ma ancora non è stato pubblicato;
    nonostante il citato piano straordinario di assunzioni, le scuole stanno nuovamente e in modo massiccio ricorrendo alle supplenze sistematiche, attingendo dalla II e III fascia delle graduatorie d'istituto, di docenti abilitati e non abilitati, a suo tempo esclusi dal Governo dalle graduatorie ad esaurimento e quindi dal suddetto piano straordinario;
    ciononostante le scuole attingono dalle graduatorie d'istituto poiché il loro fabbisogno reale (materie richieste quali matematica, italiano, materie tecniche, linguistiche...) non trova corrispondenza nelle graduatorie ad esaurimento e ciò avviene da molti anni;
    quanto sta avvenendo dimostra l'urgente necessità di intervenire a tutela della qualità dell'insegnamento non penalizzando la didattica e il diritto allo studio e di provvedere a un rapido e a costo zero concorso per soli titoli;
    il concorso che avrebbe dovuto essere bandito entro il 1o dicembre, a norma di legge avrebbe dovuto assicurare la copertura, nei limiti delle risorse finanziarie, di tutti i posti vacanti e disponibili nell'organico dell'autonomia, nonché dei posti che si rendano tali nel triennio;
    i tempi per l'indizione del concorso per titoli ed esami, proprio perché prevedono ulteriori esami a carico di docenti già abilitati attraverso severe prove superate sotto il controllo dello stato e con anni di servizio, sembrano essere ancora lunghi;
    il Governo sta indicendo un concorso per il quale il fabbisogno non potrà che essere definito solo dopo l'approvazione dei Piani Triennali dell'Offerta Formativa, in scadenza al 15 gennaio 2016;
    considerato che, altresì, non è neanche chiaro di quanti e quali docenti la scuola abbia bisogno, e il previsto numero di sessantamila assunzioni nel triennio non coprirebbe neanche metà dei pensionamenti che scatteranno con la messa a regime della riforma Fornero;
    la consistenza delle graduatorie d'istituto non è mai stata resa nota da questo Governo, ma se lo fosse emergerebbe chiaramente che nel periodo transitorio fino all'attuazione della delega sul reclutamento, prevista dalla legge 107/2015, si potrebbe realizzare l'assorbimento dei precari rimasti fuori dalle graduatorie a esaurimento, attualmente iscritti nella II fascia delle graduatorie d'istituto, aventi pari di titoli e merito;
    l'organizzazione di un concorso, in ogni caso, comporterebbe un costo notevole per il bilancio dello Stato, stimato in almeno cinque milioni di euro, e che tali fondi potrebbero essere più utilmente destinati a progetti per il diritto allo studio dei meno abbienti o per l'edilizia scolastica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di disporre l'inserimento degli abilitati di seconda fascia delle graduatorie d'istituto nelle graduatorie ad esaurimento al fine della loro tempestiva immissione in ruolo, con ciò anche alleggerendo gli oneri finanziari che deriverebbero dallo svolgimento di un nuovo concorso e al fine di fornire immediatamente alle scuole il personale docente di cui hanno realmente bisogno rivolgendosi a quegli insegnanti precari che già servono la scuola pubblica, senza però un contratto stabile, in modo da eliminare davvero il patologico e continuato ricorso ai supplenti.
9/3444-A/309. (Testo modificato nel corso della seduta)  Rampelli.


   La Camera,
   premesso che:
    nel provvedimento in esame è stato trasfuso il contenuto del decreto-legge 183/2015, recante disposizioni in merito alle procedure di risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara Spa, Banca delle Marche Spa, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa;
    la crisi dei suddetti istituti bancari è dipesa da gravi inadempienze della Banca d'Italia nei compiti di vigilanza ad essa istituzionalmente assegnati, nonché dalle irregolarità compiute dagli stessi istituti nella vendita delle obbligazioni, subordinate ai risparmiatori, senza che ad essi fossero esaustivamente spiegati i rischi connessi a tali operazioni;
    il disegno di legge in esame prevede l'istituzione di un fondo con una dotazione pari a cento milioni di euro per il ristoro dei risparmiatori travolti dalla crisi dei suddetti istituti;
    tale somma è largamente insufficiente a garantire la restituzione ai risparmiatori delle somme che avevano investito,

impegna il Governo

ad adottare con urgenza ogni provvedimento opportuno al fine di giungere alla restituzione integrale ai risparmiatori coinvolti delle somme perdute a causa del dissesto dei suddetti istituti bancari, attingendo al fondo interbancario.
9/3444-A/310. (Nuova formulazione) Giorgia Meloni, Rampelli.


   La Camera,
   premesso che:
    dal 1o gennaio di quest'anno è in vigore il nuovo modello ISEE – Indicatore della Situazione Economica Equivalente – rivisto in base alle indicazioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159;
    i nuovi criteri introdotti per determinare il reddito delle famiglie, e quindi il diritto ad accedere alle prestazioni sociali agevolate, si stanno sostanziando in gravi penalizzazioni per moltissimi soggetti;
    tra le categorie maggiormente in difficoltà in base all'applicazione dei nuovi parametri spiccano le persone affette da disabilità per i quali l'applicazione dei nuovi parametri per il calcolo dell'ISEE sta mettendo a rischio l'accesso ai presidi sanitari e a numerose prestazioni assistenziali;
    in base ai nuovi parametri, infatti, si considera che concorrano alla formazione del reddito anche somme già corrisposte a titolo assistenziale quali le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento;
    in Italia gli indici relativi alla povertà denunciano una situazione critica e il numero delle famiglie che vive in condizioni di difficoltà economica è in costante aumento, e ora molte di queste persone si trovano anche escluse dall'accesso alle agevolazioni per i servizi sociali,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative, anche normative, al fine di rivedere i parametri per il calcolo dell'ISEE escludendo dallo stesso le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento.
9/3444-A/311Maietta, Rampelli.


   La Camera,
   premesso che:
    dal 1o gennaio di quest'anno è in vigore il nuovo modello ISEE – Indicatore della Situazione Economica Equivalente – rivisto in base alle indicazioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159;
    i nuovi criteri introdotti per determinare il reddito delle famiglie, e quindi il diritto ad accedere alle prestazioni sociali agevolate, si stanno sostanziando in gravi penalizzazioni per moltissimi soggetti;
    tra le categorie maggiormente in difficoltà in base all'applicazione dei nuovi parametri spiccano le persone affette da disabilità per i quali l'applicazione dei nuovi parametri per il calcolo dell'ISEE sta mettendo a rischio l'accesso ai presidi sanitari e a numerose prestazioni assistenziali;
    in base ai nuovi parametri, infatti, si considera che concorrano alla formazione del reddito anche somme già corrisposte a titolo assistenziale quali le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento;
    in Italia gli indici relativi alla povertà denunciano una situazione critica e il numero delle famiglie che vive in condizioni di difficoltà economica è in costante aumento, e ora molte di queste persone si trovano anche escluse dall'accesso alle agevolazioni per i servizi sociali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative, anche normative, al fine di rivedere i parametri per il calcolo dell'ISEE escludendo dallo stesso le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento.
9/3444-A/311. (Testo modificato nel corso della seduta)  Maietta, Rampelli.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 887 del 1984 (legge finanziaria per l'anno 1985), all'articolo 11, ha previsto lo stanziamento di risorse e istituito apposita gestione commissariale per consentire l'adeguamento del sistema di trasporto intermodale nelle zone interessate dal fenomeno bradisismico;
    in base all'articolo 11 della richiamata legge n. 887, il commissario straordinario del Governo è il presidente della regione Campania, che opera sulla base di un programma approvato dal consiglio regionale;
    la realizzazione degli interventi previsti dalla richiamata normativa, tuttavia, è ostacolata dal fatto che a valere sulle disponibilità esistenti nella contabilità speciale del Commissario, vengono sistematicamente effettuate assegnazioni di somme in favore di terzi in conseguenza di pignoramenti eseguiti nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, a fronte della necessità di erogare i risarcimenti di cui alla legge n. 89 del 2001;
    l'impignorabilità delle somme in questione dovrebbe già desumersi dal tenore letterale del vigente articolo 1 del decreto-legge 25 maggio 1994, n. 313, che, al comma 1, stabilisce che «I fondi di contabilità speciale (...) comunque destinati a servizi e finalità di protezione civile, (...) non sono soggetti ad esecuzione forzata, salvo che per i casi previsti dal capo V del titolo VI del libro I del codice civile, nonché dal testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180»,

impegna il Governo

ad adottare i provvedimenti necessari affinché le risorse finanziarie assegnate al commissario straordinario ex lege 887/1984 siano vincolate alla la prosecuzione degli interventi e all'attuazione del programma di adeguamento di cui alla medesima legge.
9/3444-A/312Taglialatela.


   La Camera,
   premesso che:
    per il settore degli impianti a fune adibiti a servizi di pubblico trasporto la determinazione della vita tecnica degli stessi operata dal decreto ministeriale 2 gennaio 1985 prevede scadenze temporali che variano a seconda della tipologia di impianto;
    al termine di tali scadenze, gli impianti in oggetto devono essere integralmente sostituiti o sottoposti a revisioni, con un notevole dispendio di risorse economiche per le società che ne hanno la gestione, aggravando la già delicata fase che il settore funiviario sta attraversando in ragione della congiuntura economica negativa e della carenza dei finanziamenti pubblici specifici da destinarvi, oltre che avere impatti negativi sull'ambiente, legati allo smaltimento degli impianti in argomento;
    la vigente normativa su tali impianti già prevede costose revisioni, che interessano sia l'intero corpo dell'impianto che singole componenti dell'impianto stesso;
    l'articolo 8 della legge 11 maggio 1999, n. 140, ha previsto l'istituzione del «Fondo per l'innovazione tecnologica, l'ammodernamento e il miglioramento dei livelli di sicurezza degli impianti a fune situati nelle regioni a statuto ordinario, a cui possono accedere i soggetti pubblici e privati, proprietari o gestori dei medesimi»;
    la dotazione di tale fondo ha subito negli ultimi anni considerevoli tagli, tali da rendere impossibile la realizzazione delle finalità per le quali era stato istituito,

impegna il Governo

a disporre il rifinanziamento del predetto Fondo.
9/3444-A/313La Russa.


   La Camera,
   premesso che:
    per il settore degli impianti a fune adibiti a servizi di pubblico trasporto la determinazione della vita tecnica degli stessi operata dal decreto ministeriale 2 gennaio 1985 prevede scadenze temporali che variano a seconda della tipologia di impianto;
    al termine di tali scadenze, gli impianti in oggetto devono essere integralmente sostituiti o sottoposti a revisioni, con un notevole dispendio di risorse economiche per le società che ne hanno la gestione, aggravando la già delicata fase che il settore funiviario sta attraversando in ragione della congiuntura economica negativa e della carenza dei finanziamenti pubblici specifici da destinarvi, oltre che avere impatti negativi sull'ambiente, legati allo smaltimento degli impianti in argomento;
    la vigente normativa su tali impianti già prevede costose revisioni, che interessano sia l'intero corpo dell'impianto che singole componenti dell'impianto stesso;
    l'articolo 8 della legge 11 maggio 1999, n. 140, ha previsto l'istituzione del «Fondo per l'innovazione tecnologica, l'ammodernamento e il miglioramento dei livelli di sicurezza degli impianti a fune situati nelle regioni a statuto ordinario, a cui possono accedere i soggetti pubblici e privati, proprietari o gestori dei medesimi»;
    la dotazione di tale fondo ha subito negli ultimi anni considerevoli tagli, tali da rendere impossibile la realizzazione delle finalità per le quali era stato istituito,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di disporre il rifinanziamento del predetto Fondo.
9/3444-A/313. (Testo modificato nel corso della seduta)  La Russa.


   La Camera,
   premesso che:
    nel provvedimento in esame sono diverse le norme a sostegno della settore culturale, il 2 per mille destinato alle associazioni culturali, il taxcredit per il cinema, lo stanziamento in favore dei festival, cori e bande;
    alcune manifestazioni nel territorio nazionale negli anni rappresentano un appuntamento culturale di rilevanza anche internazionale;
    da circa trent'anni la città di Roma ospita un'importante manifestazione il RomaEuropa Festival che offre una rilevante partecipazione artistica e molti progetti culturali innovativi anche di livello internazionale;
    l'ultima edizione appena conclusa ha registrato più di 42 mila presenza e oltre 100.000 mila visitatori del sito della manifestazione;
    le disposizioni finanziarie assegnate ai fini della legge 20 dicembre 2012, n. 238, disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei festival musicali ed operistici italiani di assoluto prestigio oggi risultano insufficienti a sostenere l'ingresso di nuovi festival,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di reperire risorse aggiuntive finalizzate ad inserire tra le fondazioni beneficiarie di cui alla legge 20 dicembre 2012, n. 238, il RomaEuropa Arte e Cultura al fine di sostenere e valorizzare la presenza di un festival internazionale di grande valore innovativo quale il festival RomaEuropa.
9/3444-A/314Bonaccorsi, Piccoli Nardelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento prevede che, a tutti i cittadini italiani o di altri Paesi membri dell'Unione europea che risiedono in Italia, che compiono 18 anni nel 2016, sia assegnata una Carta elettronica, dell'importo massimo di 500 euro, che può essere utilizzata per ingressi a teatro, cinema, musei, mostre e (altri) eventi culturali, spettacoli dal vivo, nonché, a seguito del subemendamento 0.1.1.84 NF, per l'acquisto di libri e per l'accesso a monumenti, gallerie e aree archeologiche e parchi naturali, e che le somme assegnate non costituiscono reddito imponibile e non rilevano ai fini del computo dell'ISEE;
    tra i beneficiari di questo provvedimento non figurano gli studenti stranieri non appartenenti a Paesi dell'Unione europea, legalmente residenti in Italia, neanche quelli extracomunitari titolari di un permesso Ue per lungosoggiornanti, la cosiddetta carta di soggiorno;
    l'integrazione degli immigrati e dei loro figli occupa un posto di rilievo nell'agenda, sia economia, sia sociale, del nostro Paese e dell'intera Unione europea: una partecipazione attiva degli immigrati e dei loro figli al mercato del lavoro e, più in generale, alla vita sociale è una condizione imprescindibile per garantire la coesione sociale del paese di accoglienza e per renderli cittadini autonomi e capaci di intraprendere un reale percorso di integrazione, e tale partecipazione passa, come canale privilegiato, per i minori e per i giovani che rappresentano il futuro in termini di convivenza e anche di crescita per nostro paese e per l'Europa;
    questo principio ha trovato piena affermazione con l'approvazione alla Camera della proposta di legge sulla cittadinanza ai minori stranieri, attualmente all'esame del Senato, che introduce il cosiddetto ius soli temperato, e lo ius culturae, due istituti innovativi e distinti che agevolano l'acquisto della cittadinanza per i minori stranieri basandosi non tanto e non solo sul luogo di nascita in se, ma sul luogo di radicamento e di formazione culturale,

impegna il Governo

a valutare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, la possibilità di individuare misure analoghe volte ad incentivare la fruizione culturale e artistica del nostro inestimabile patrimonio nazionale, da estendere anche agili studenti stranieri extracomunitari legalmente residenti nel nostro paese.
9/3444-A/315Zampa, Iori, Fabbri, Chaouki, Gadda, Giuseppe Guerini, Coscia, Marazziti, Cenni, Laforgia, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    come noto, il blocco della contrattazione nel pubblico impiego, per la parte economica, è operante fin dal 2010;
    anche a seguito della sentenza n. 178/2015 della Corte Costituzionale, con i commi 246-249 del provvedimento in oggetto si approntano 300 milioni di euro annui, per il triennio 2016-2018, per i rinnovi della contrattazione collettiva nazionale e integrativa contrattuali del personale delle pubbliche amministrazioni, rappresentando una prima base per il parziale recupero del potere d'acquisto delle retribuzioni dei dipendenti pubblici;
    in particolare, il comma 248 dispone che «Per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall'amministrazione statale, gli oneri per i rinnovi contrattuali per il triennio 2016-2018, nonché quelli derivanti dalla corresponsione dei miglioramenti economici al personale di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono posti a carico dei rispettivi bilanci ai sensi dell'articolo 48, comma 2, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono fissati i criteri di determinazione dei predetti oneri in coerenza con quanto previsto dal comma 246»;
    in tale previsione normativa non è prevista alcuna forma di coinvolgimento o consultazione delle organizzazioni sindacali dei rispettivi comparti,

impegna il Governo

a prevedere, nell'adozione del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, l'opportuno coinvolgimento delle rispettive organizzazioni sindacali dei rispettivi comparti.
9/3444-A/316Miccoli.


   La Camera,
   premesso che:
    come noto, il blocco della contrattazione nel pubblico impiego, per la parte economica, è operante fin dal 2010;
    anche a seguito della sentenza n. 178/2015 della Corte Costituzionale, con i commi 246-249 del provvedimento in oggetto si approntano 300 milioni di euro annui, per il triennio 2016-2018, per i rinnovi della contrattazione collettiva nazionale e integrativa contrattuali del personale delle pubbliche amministrazioni, rappresentando una prima base per il parziale recupero del potere d'acquisto delle retribuzioni dei dipendenti pubblici;
    in particolare, il comma 248 dispone che «Per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall'amministrazione statale, gli oneri per i rinnovi contrattuali per il triennio 2016-2018, nonché quelli derivanti dalla corresponsione dei miglioramenti economici al personale di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono posti a carico dei rispettivi bilanci ai sensi dell'articolo 48, comma 2, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono fissati i criteri di determinazione dei predetti oneri in coerenza con quanto previsto dal comma 246»;
    in tale previsione normativa non è prevista alcuna forma di coinvolgimento o consultazione delle organizzazioni sindacali dei rispettivi comparti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, nell'adozione del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, l'opportuno coinvolgimento delle rispettive organizzazioni sindacali dei rispettivi comparti.
9/3444-A/316. (Testo modificato nel corso della seduta)  Miccoli.


   La Camera,
   premesso che:
    nella legge di stabilità 2016 (A.C. 3444) è dedicata particolare attenzione alla riorganizzazione e razionalizzazione del sistema sanitario nazionale, con gli obiettivi di costruire le condizioni affinché su tutto il territorio nazionale, siano garantiti i medesimi livelli di assistenza, all'interno di un contesto che tenda all'equilibrio economico-finanziario;
    il sistema sanitario regionale sardo è finanziato a totale carico del bilancio della regione;
    la Sardegna è particolarmente colpita dalla sclerosi multipla, con un tasso d'incidenza di gran lunga superiore alla media nazionale. Nel panorama europeo l'Italia si colloca in una posizione intermedia con 113 casi ogni 100 mila abitanti. I malati di SM, nel nostro paese, sono circa 68 mila, per un totale di circa 1.800 nuovi casi ogni anno;
    l'Organizzazione mondiale della sanità ha definito la sclerosi multipla una delle malattie socialmente più costose: in Italia il costo sociale annuo è di oltre 1 miliardo e 600 mila euro all'anno. Una grande fetta di quel costo ricade sulla Sardegna;
    si tratta di una patologia che ha costi sociali ed economici rilevanti per il sistema sanitario sardo. Per la cura si spendono dai 22 mila ai 650 mila euro per ogni caso;
    recentemente sulla rivista scientifica Multiple Sclerosis Journal, cofinanziato da AISM e la sua fondazione, è stato pubblicato il più ampio studio di genetica della sclerosi multipla finora condotto sulla popolazione italiana;
    ha coinvolto oltre 30 centri e analizzato il profilo genetico di circa 9.500 persone (4.500 con sclerosi multipla e 5.000 nei gruppi di controllo, non affetti da questa e altre patologie autoimmuni), appartenenti alla popolazione dell'Italia continentale e Sarda e ha analizzato l'impatto cumulativo dei geni di suscettibilità in Italia, con un confronto tra le due popolazioni italiane;
    lo studio ha valutato l'impatto cumulativo dei geni di suscettibilità, finora identificati dai grandi studi internazionali su popolazioni prevalentemente di origine nord europea, nella popolazione italiana, con un confronto tra la popolazione continentale e quella sarda;
    i ricercatori hanno analizzato il ruolo di 102 geni non HLA e 5 alleli HLA attraverso la costruzione di uno score di rischio genetico;
    i risultati hanno mostrato che l'effetto cumulativo o «carico genetico» di questi geni, identificati in popolazioni prevalentemente di origine nord europea, hanno un ruolo importante anche nelle due popolazioni italiane esaminate. In particolare le persone che presentavano il numero più elevato di varianti di rischio rispetto alle persone con minor numero presentano un rischio di sviluppare la SM almeno 12 volte superiore;
    inoltre, la popolazione sarda ha presentato un carico genetico superiore a quello della popolazione italiana, e in particolare la popolazione di controllo sarda presenta uno score di rischio genetico significativamente più elevato rispetto alla popolazione di controllo dell'Italia continentale;
    questa osservazione è in accordo con la più elevata prevalenza della malattia nella popolazione sarda. Estendendo questa osservazione anche ad altre popolazioni di origine europea, si è osservato come ci sia una correlazione tra prevalenza di malattia ed il carico genetico;
    la sclerosi multipla colpisce più le donne che gli uomini con un rapporto di 3 a 1;
    quando la sclerosi multipla entra nella vita di una donna, investe la sfera personale, quella della vita di coppia, interferisce con il suo essere madre, con la gestione della famiglia e in tutte le dimensioni della vita sociale e lavorativa;
    la Sardegna ha anche il primato mondiale della più alta incidenza della sclerosi multipla (SM) in età pediatrica, di due-tre volte superiore, con 2,85 nuovi casi l'anno fra i sardi under 18, cui si aggiunge uno 0,68 per le diagnosi di Cis (Clinically isolated syndrome), considerata l'esordio della sclerosi multipla;
    il dato è contenuto nell'articolo «Epidemiologia della sclerosi multipla nella popolazione pediatrica del Nord Sardegna», pubblicato sulla rivista scientifica European Journal of Pediatrics;
    un gruppo di ricerca dell'università di Sassari, guidato da Stefano Sotgiu, ha dimostrato, per la prima volta, che nell'isola il primato per questa malattia, cronica infiammatoria autoimmune del sistema nervoso centrale, non è limitato solo alla popolazione adulta;
    l’équipe della clinica di Neuropsichiatria infantile dell'Azienda ospedaliero-universitaria di Sassari, guidata da Sotgiu ha esaminato cartelle cliniche, ambulatoriali e risonanze magnetiche di tutti i centri neuropsichiatrici, neurologici, riabilitativi territoriali e ospedalieri delle province di Sassari e Olbia-Tempio;
    nel complesso, fra SM e Cis, risultano ogni anno 3,5 nuovi casi ogni 100 mila ragazzi nel nord Sardegna. La prevalenza totale calcolata dallo studio è pari a 33,3 casi di sclerosi multipla definita o iniziale ogni 100 mila under 18;
    questi numeri allarmanti superano di 2, e in alcuni casi anche di 3 volte, i dati riscontrati in altri Paesi nei quali la medesima analisi è stata effettuata: Olanda, Germania, Usa e Canada;
    dopo i traumatismi della strada, la sclerosi multipla è la più importante causa di disabilità nei giovani;
    la Sardegna è l'isola delle autoimmunità: oltre alla SM, diabete di tipo 1, tiroiditi e celiachia sono le patologie che colpiscono la popolazione sarda molto più che la gran parte del resto del mondo;
    la causa principale, secondo gli studiosi, è dovuta alla secolare lotta genetica dei sardi contro la malaria. Tale processo ha portato, fra l'altro, alla selezione di globuli rossi lievemente modificati, utili per neutralizzare il plasmodio della malaria, ma collegato in seguito a patologie caratteristiche della popolazione sarda come le talassemie e il favismo,

impegna il Governo

   a valutare l'opportunità di:
    adottare misure, in particolare di natura finanziaria, che possano garantire al sistema sanitario sardo (a totale carico del bilancio regionale) di fronteggiare gli elevati costi della cura di questa patologia, che colpisce in particolare le donne e i più giovani, costi che si aggiungono a quelli per la cura di diabete di tipo 1, tiroiditi e celiachia, altre gravi patologie che colpiscono la popolazione sarda molto più che la gran parte del resto dei mondo;
    adottare provvedimenti e programmi specifici, tra gli altri, volti ad assicurare una buona qualità di vita alle donne affette da sclerosi multipla, visti i rilevanti effetti fisici, psicologici, sociali ed economici che caratterizzano l'esistenza.
9/3444-A/317Mura, Cani.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 548-septies dell'articolo 1 del disegno di legge di stabilità, introdotto mediante l'approvazione dell'emendamento governativo in materia di sicurezza, attribuisce per l'anno 2016 un contributo straordinario pari a 960 euro su base annua, da corrispondere in quote di pari importo a partire dalla prima retribuzione utile e in relazione al periodo di servizio prestato nel corso del predetto anno, in favore del personale appartenente ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e alle forze armate, non destinatario di un trattamento retributivo dirigenziale;
    l'emolumento è corrisposto nelle more dell'attuazione della delega sulla revisione dei ruoli delle forze di polizia, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e delle forze armate, e nella prospettiva dello stabile riconoscimento dell'impegno profuso ai fini di fronteggiare le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale;
    l'attuale formulazione potrebbe ingenerare dubbi interpretativi sugli effettivi destinatari dell'intervento, nella considerazione che il personale delle forze armate e forze di polizia appartenente ai ruoli direttivi percepisce, in ragione di determinate anzianità di servizio, un trattamento economico superiore, consistente nella parziale attribuzione di alcune voci stipendiali del trattamento dirigenziale, attesa la diversa natura delle funzioni espletate;
    il personale direttivo svolge funzioni strettamente e immediatamente connesse con la sicurezza nazionale nell'ambito articolazioni delle Istituzioni di appartenenza, analoghe a quelle del personale dei ruoli non direttivi e non dirigenti;
    lo stesso personale, al pari di quello contrattualizzato, è stato destinatario del blocco delle progressioni stipendiali ai sensi del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, prorogato dal decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, senza poter avere la restituzione dei compensi arretrati che invece hanno avuto i dirigenti in attuazione di sentenze della Corte Costituzionale,

impegna il Governo

a dare correttamente attuazione all'espressione «personale non destinatario di un trattamento retributivo dirigenziale» come «personale dirigente», nel senso che essa è riferita al personale dirigente (dirigenti generali, dirigenti superiori e primi dirigenti) e non anche al personale, civile e militare, del comparto, di qualifica o grado inferiore.
9/3444-A/318Lacquaniti.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 548-septies dell'articolo 1 del disegno di legge di stabilità, introdotto mediante l'approvazione dell'emendamento governativo in materia di sicurezza, attribuisce per l'anno 2016 un contributo straordinario pari a 960 euro su base annua, da corrispondere in quote di pari importo a partire dalla prima retribuzione utile e in relazione al periodo di servizio prestato nel corso del predetto anno, in favore del personale appartenente ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e alle forze armate, non destinatario di un trattamento retributivo dirigenziale;
    l'emolumento è corrisposto nelle more dell'attuazione della delega sulla revisione dei ruoli delle forze di polizia, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e delle forze armate, e nella prospettiva dello stabile riconoscimento dell'impegno profuso ai fini di fronteggiare le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale;
    l'attuale formulazione potrebbe ingenerare dubbi interpretativi sugli effettivi destinatari dell'intervento, nella considerazione che il personale delle forze armate e forze di polizia appartenente ai ruoli direttivi percepisce, in ragione di determinate anzianità di servizio, un trattamento economico superiore, consistente nella parziale attribuzione di alcune voci stipendiali del trattamento dirigenziale, attesa la diversa natura delle funzioni espletate;
    il personale direttivo svolge funzioni strettamente e immediatamente connesse con la sicurezza nazionale nell'ambito articolazioni delle Istituzioni di appartenenza, analoghe a quelle del personale dei ruoli non direttivi e non dirigenti;
    lo stesso personale, al pari di quello contrattualizzato, è stato destinatario del blocco delle progressioni stipendiali ai sensi del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, prorogato dal decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, senza poter avere la restituzione dei compensi arretrati che invece hanno avuto i dirigenti in attuazione di sentenze della Corte Costituzionale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di dare correttamente attuazione all'espressione «personale non destinatario di un trattamento retributivo dirigenziale» come «personale dirigente», nel senso che essa è riferita al personale dirigente (dirigenti generali, dirigenti superiori e primi dirigenti) e non anche al personale, civile e militare, del comparto, di qualifica o grado inferiore.
9/3444-A/318. (Testo modificato nel corso della seduta)  Lacquaniti.


   La Camera,
   premesso che:
    gli incentivi per l'Autoimpiego e la Piccola imprenditorialità giovanile, previsti dal Titolo II del decreto legislativo n. 185/2000, in tutti questi anni si sono dimostrati una misura particolarmente positiva ed efficace, avendo favorito la creazione nelle regioni del Mezzogiorno di tante piccole e micro imprese, ad opera di donne e/o giovani disoccupati ovvero alla ricerca di prima occupazione;
    infatti queste imprese hanno retto e superato la sfida del mercato e della competizione, dando vita ad aziende stabili e permanenti, con la conseguente nascita di migliaia di nuovi posti di lavoro e con effetti importanti anche per l'indotto e per giovani professionisti (commercialisti, fiscalisti, consulenti del lavoro) che hanno seguito le procedure per la concessione di tali benefici;
    nel corso dell'esame della legge di stabilità, nella seduta della Commissione bilancio del 10 dicembre 2015, il Viceministro Morando ha dichiarato che «tale misura ha dato comunque risultati positivi”»... «la stessa si possa rinnovare attraverso specifici piani approvati in sede di CIPE»;
    del resto altri rappresentanti del Governo, in più occasione ed in sedi diverse, hanno manifestato il giudizio positivo sulla misura e la necessità di rifinanziarla;
    al suo rifinanziamento già negli anni scorsi si è addivenuti con deliberazione del CIPE con i fondi a disposizione dei Ministeri competenti;
    il blocco e la paralisi, nel corso del 2015, per esaurimento di risorse finanziarie ha creato una situazione di grande difficoltà e disagio, paralizzando incentivi così importanti ed utili,

impegna il Governo

a rifinanziare nel 2016, per le considerazioni sopraindicate, con deliberazione del CIPE, gli incentivi per gli interventi di sostegno all'Autoimpiego ed alla Piccola imprenditorialità giovanile di cui al Titolo II del decreto legislativo 21 aprile 2000 n. 185.
9/3444-A/319Tino Iannuzzi, Tartaglione, Covello, Realacci, Taranto, Fanucci, Sgambato, Famiglietti, Rubinato, Iacono, Magorno, Ribaudo, Greco, Culotta, Moscatt, Capodicasa, Impegno, Cuomo, Valeria Valente, Giorgio Piccolo, Gullo, Capone, Ginefra, Michele Bordo, Ventricelli, Pelillo, Losacco, Cassano, Grassi, Prina, Albanella, Amoddio, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    gli incentivi per l'Autoimpiego e la Piccola imprenditorialità giovanile, previsti dal Titolo II del decreto legislativo n. 185/2000, in tutti questi anni si sono dimostrati una misura particolarmente positiva ed efficace, avendo favorito la creazione nelle regioni del Mezzogiorno di tante piccole e micro imprese, ad opera di donne e/o giovani disoccupati ovvero alla ricerca di prima occupazione;
    infatti queste imprese hanno retto e superato la sfida del mercato e della competizione, dando vita ad aziende stabili e permanenti, con la conseguente nascita di migliaia di nuovi posti di lavoro e con effetti importanti anche per l'indotto e per giovani professionisti (commercialisti, fiscalisti, consulenti del lavoro) che hanno seguito le procedure per la concessione di tali benefici;
    nel corso dell'esame della legge di stabilità, nella seduta della Commissione bilancio del 10 dicembre 2015, il Viceministro Morando ha dichiarato che «tale misura ha dato comunque risultati positivi”»... «la stessa si possa rinnovare attraverso specifici piani approvati in sede di CIPE»;
    del resto altri rappresentanti del Governo, in più occasione ed in sedi diverse, hanno manifestato il giudizio positivo sulla misura e la necessità di rifinanziarla;
    al suo rifinanziamento già negli anni scorsi si è addivenuti con deliberazione del CIPE con i fondi a disposizione dei Ministeri competenti;
    il blocco e la paralisi, nel corso del 2015, per esaurimento di risorse finanziarie ha creato una situazione di grande difficoltà e disagio, paralizzando incentivi così importanti ed utili,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rifinanziare nel 2016, per le considerazioni sopraindicate, con deliberazione del CIPE, gli incentivi per gli interventi di sostegno all'Autoimpiego ed alla Piccola imprenditorialità giovanile di cui al Titolo II del decreto legislativo 21 aprile 2000 n. 185.
9/3444-A/319. (Testo modificato nel corso della seduta)  Tino Iannuzzi, Tartaglione, Covello, Realacci, Taranto, Fanucci, Sgambato, Famiglietti, Rubinato, Iacono, Magorno, Ribaudo, Greco, Culotta, Moscatt, Capodicasa, Impegno, Cuomo, Valeria Valente, Giorgio Piccolo, Gullo, Capone, Ginefra, Michele Bordo, Ventricelli, Pelillo, Losacco, Cassano, Grassi, Prina, Albanella, Amoddio, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    il maggior numero di procedure d'infrazione disposte dalla Commissione europea a carico dell'Italia riguarda questioni ambientali, in particolare gestione di rifiuti;
    la scarsità di risorse a disposizione di regioni ed enti locali non consente agli stessi di procedere ad interventi di rimozione di rifiuti depositati irregolarmente e alla realizzazione della messa in sicurezza permanente o ripristino dello stato dei luoghi, nemmeno quando tali interventi sono resi obbligatori da specifici obblighi di legge o da sentenze passate in giudicato,

impegna il Governo

al fine di prevenire nuove procedure d'infrazione da parte della Commissione europea, a valutare l'opportunità di definire un Piano straordinario di messa in sicurezza permanente e ripristino dello stato dei luoghi nelle aree interessate da depositi di rifiuti realizzate in violazione delle norme europee in materia di gestione delle discariche di rifiuti, non comprese nei siti di interesse nazionale e individuate, con relativa priorità d'intervento, nella pianificazione regionale di settore in materia di gestione dei rifiuti e siti contaminati.
9/3444-A/320Zardini, Narduolo, Braga, Crivellari, Naccarato.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali n. 4337 del 4 marzo 2011 che regolamenta il Sistema di qualità nazionale (SQN) zootecnica, riconosciuto a livello nazionale ai sensi del Regolamento (CE) n. 1974/2006 della Commissione – il quale individua i prodotti agricoli zootecnici destinati all'alimentazione umana con specificità di processo e/o di prodotto, aventi caratteristiche qualitativamente superiori rispetto alle norme di commercializzazione o ai requisiti minimi stabiliti dalla normativa comunitaria e nazionale nel settore zootecnico –, consente al consumatore di distinguere immediatamente le caratteristiche superiori dei prodotti interessati rafforzando, così, l'intera filiera zootecnica nazionale e scongiurarne la chiusura, ma soprattutto è volto a differenziare e valorizzare le nostre produzioni da quelle dei Paesi terzi o comunitari;
    per raggiungere questi obiettivi e poter distinguere, quindi, sui banchi di vendita il prodotto ottenuto secondo le regole del Disciplinare di qualità che accompagna ogni SQN, è necessario attivare campagne di informazione e promozione non solo «private» ma anche promosse direttamente dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
    in molti casi si tratta di filiere deboli e molto frammentate, che nel recente passato hanno attraversato momenti di grave difficoltà – basti pensare alla filiera delle uova da consumo ed agli ingentissimi investimenti sostenuti per l'adeguamento alla cosiddette «gabbie benessere», ed alla grave crisi che ha riguardato il coniglio da carne – e che oggi non riuscirebbero ad investire le somme necessarie senza un adeguato finanziamento pubblico;
    l'esigenza della salvaguardia del patrimonio zootecnico e l'incremento di valore per le produzioni agro-industriali, rappresentano oggi probabilmente la sola via per garantire un futuro al settore primario nazionale e queste aspettative possono trovare risposta solo nei suddetti SQN,

impegna il Governo

nelle more di attuazione del provvedimento in esame, a prevedere ulteriori finanziamenti a sostegno del comparto dedicate, in particolare, alla promozione e valorizzazione dei SQN.
9/3444-A/321Gianluca Pini.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali n. 4337 del 4 marzo 2011 che regolamenta il Sistema di qualità nazionale (SQN) zootecnica, riconosciuto a livello nazionale ai sensi del Regolamento (CE) n. 1974/2006 della Commissione – il quale individua i prodotti agricoli zootecnici destinati all'alimentazione umana con specificità di processo e/o di prodotto, aventi caratteristiche qualitativamente superiori rispetto alle norme di commercializzazione o ai requisiti minimi stabiliti dalla normativa comunitaria e nazionale nel settore zootecnico –, consente al consumatore di distinguere immediatamente le caratteristiche superiori dei prodotti interessati rafforzando, così, l'intera filiera zootecnica nazionale e scongiurarne la chiusura, ma soprattutto è volto a differenziare e valorizzare le nostre produzioni da quelle dei Paesi terzi o comunitari;
    per raggiungere questi obiettivi e poter distinguere, quindi, sui banchi di vendita il prodotto ottenuto secondo le regole del Disciplinare di qualità che accompagna ogni SQN, è necessario attivare campagne di informazione e promozione non solo «private» ma anche promosse direttamente dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
    in molti casi si tratta di filiere deboli e molto frammentate, che nel recente passato hanno attraversato momenti di grave difficoltà – basti pensare alla filiera delle uova da consumo ed agli ingentissimi investimenti sostenuti per l'adeguamento alla cosiddette «gabbie benessere», ed alla grave crisi che ha riguardato il coniglio da carne – e che oggi non riuscirebbero ad investire le somme necessarie senza un adeguato finanziamento pubblico;
    l'esigenza della salvaguardia del patrimonio zootecnico e l'incremento di valore per le produzioni agro-industriali, rappresentano oggi probabilmente la sola via per garantire un futuro al settore primario nazionale e queste aspettative possono trovare risposta solo nei suddetti SQN,

impegna il Governo

nelle more di attuazione del provvedimento in esame, a valutare l'opportunità di prevedere ulteriori finanziamenti a sostegno del comparto dedicate, in particolare, alla promozione e valorizzazione dei SQN.
9/3444-A/321. (Testo modificato nel corso della seduta)  Gianluca Pini.


   La Camera,
   premesso che:
    tenendo conto del quadro dei vincoli istituzionali e macroeconomici di riferimento entro i quali disegno di legge di Stabilità e progetto pluriennale di bilancio hanno preso forma;
    sottolineando la gravità dell'emergenza terroristica in atto, destinata verosimilmente a protrarsi nel tempo, in dipendenza del grande urto che sta svolgendosi nel mondo musulmano e coinvolge pienamente anche le comunità islamiche radicatesi in Europa;
    apprezzando la volontà affiorata da più parti dopo la strage parigina del 13 novembre scorso, da ultimo manifestata anche dal Commissario Ue per gli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, di sottrarre le spese per la sicurezza al rispetto dei vincolo del Patto di stabilità europeo;
    ritenendo che i 74 milioni di euro messi a disposizione dei rinnovi contrattuali per il personale dei comparto difesa e sicurezza ed il bonus da 80 euro mensili riconosciuto in suo favore siano soltanto un primo ed insufficiente passo nella direzione del recupero del potere d'acquisto perso dagli appartenenti alle forze dell'ordine in questi anni;
    sottolineando l'aspettativa, forte nel comparto, di provvedimenti strutturali che valorizzino veramente la specificità del servizio prestato a difesa dei cittadini e dei loro patrimoni,

impegna il Governo

ad individuare al più presto le risorse con le quali confermare il bonus concesso quest'anno al personale del comparto difesa e sicurezza, in modo da renderlo permanente e, qualora le spese in questo settore vengano effettivamente sottratte al rispetto del Patto di stabilità, a porre fondi più consistenti a disposizione dei rinnovi contrattuali degli appartenenti alle forze di polizia ed alle forze armate.
9/3444-A/322Molteni, Guidesi, Simonetti, Saltamartini.


   La Camera,
   premesso che:
    tenendo conto del quadro dei vincoli istituzionali e macroeconomici di riferimento entro i quali disegno di legge di Stabilità e progetto pluriennale di bilancio hanno preso forma;
    sottolineando la gravità dell'emergenza terroristica in atto, destinata verosimilmente a protrarsi nel tempo, in dipendenza del grande urto che sta svolgendosi nel mondo musulmano e coinvolge pienamente anche le comunità islamiche radicatesi in Europa;
    apprezzando la volontà affiorata da più parti dopo la strage parigina del 13 novembre scorso, da ultimo manifestata anche dal Commissario Ue per gli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, di sottrarre le spese per la sicurezza al rispetto dei vincolo del Patto di stabilità europeo;
    ritenendo che i 74 milioni di euro messi a disposizione dei rinnovi contrattuali per il personale dei comparto difesa e sicurezza ed il bonus da 80 euro mensili riconosciuto in suo favore siano soltanto un primo ed insufficiente passo nella direzione del recupero del potere d'acquisto perso dagli appartenenti alle forze dell'ordine in questi anni;
    sottolineando l'aspettativa, forte nel comparto, di provvedimenti strutturali che valorizzino veramente la specificità del servizio prestato a difesa dei cittadini e dei loro patrimoni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare al più presto le risorse con le quali confermare il bonus concesso quest'anno al personale del comparto difesa e sicurezza, in modo da renderlo permanente e, qualora le spese in questo settore vengano effettivamente sottratte al rispetto del Patto di stabilità, a porre fondi più consistenti a disposizione dei rinnovi contrattuali degli appartenenti alle forze di polizia ed alle forze armate.
9/3444-A/322. (Testo modificato nel corso della seduta) Molteni, Guidesi, Simonetti, Saltamartini.


   La Camera,
   premesso che:
    tenendo conto del quadro dei vincoli istituzionali e macroeconomici di riferimento entro i quali disegno di legge di Stabilità e progetto pluriennale di bilancio hanno preso forma;
    considerando il deteriorarsi delle condizioni dell'ordine pubblico in ampie parti del Paese e l'acuirsi della minaccia terroristica che grava sulla Repubblica;
    sottolineando l'importanza di evitare in questa fase l'ulteriore contrazione della rete dei presidi locali delle forze di polizia e l'opportunità di reintegrarla, riaprendo a tempo pieno le stazioni dell'Arma dei carabinieri cui si è rinunciato del tutto o per alcune ore del giorno;
    rilevando che la riapertura delle stazioni dei Carabinieri più o meno recentemente chiuse, o funzionanti solo a tempo parziale, può essere effettuata attingendo anche al grande bacino dei Carabinieri ausiliari cessati senza demerito dal servizio, di cui attualmente l'Arma rifiuta la riammissione, malgrado si tratti di personale addestrato ed esperto;
    evidenziando più in generale, come il mutato quadro geopolitico, contrassegnato da una pronunciata instabilità e dalla ridotta disponibilità degli Stati Uniti a farvi fronte nelle regioni di maggior interesse italiano, ponga acutamente il problema di rinforzare anche lo strumento militare nazionale, ponendolo nelle condizioni di espandere rapidamente i propri organici in caso di emergenza,

impegna il Governo

a reintegrare rapidamente le capacità di presidio territoriale dell'Arma dei Carabinieri, ponendo allo studio gli strumenti anche normativi occorrenti alla rapida riammissione in servizio dei Carabinieri ausiliari cessati senza demerito dal servizio svolto per almeno 4 anni ed altresì considerando l'ipotesi di intervenire sulla normativa della mobilitazione, allo scopo di mettere all'occorrenza a disposizione delle Forze armate un più ampio numero di effettivi nel minor tempo possibile.
9/3444-A/323Attaguile, Molteni, Saltamartini.


   La Camera,
   premesso che:
    tenendo conto del quadro dei vincoli istituzionali e macroeconomici di riferimento entro i quali disegno di legge di Stabilità e progetto pluriennale di bilancio hanno preso forma;
    considerando il deteriorarsi delle condizioni dell'ordine pubblico in ampie parti del Paese e l'acuirsi della minaccia terroristica che grava sulla Repubblica;
    sottolineando l'importanza di evitare in questa fase l'ulteriore contrazione della rete dei presidi locali delle forze di polizia e l'opportunità di reintegrarla, riaprendo a tempo pieno le stazioni dell'Arma dei carabinieri cui si è rinunciato del tutto o per alcune ore del giorno;
    rilevando che la riapertura delle stazioni dei Carabinieri più o meno recentemente chiuse, o funzionanti solo a tempo parziale, può essere effettuata attingendo anche al grande bacino dei Carabinieri ausiliari cessati senza demerito dal servizio, di cui attualmente l'Arma rifiuta la riammissione, malgrado si tratti di personale addestrato ed esperto;
    evidenziando più in generale, come il mutato quadro geopolitico, contrassegnato da una pronunciata instabilità e dalla ridotta disponibilità degli Stati Uniti a farvi fronte nelle regioni di maggior interesse italiano, ponga acutamente il problema di rinforzare anche lo strumento militare nazionale, ponendolo nelle condizioni di espandere rapidamente i propri organici in caso di emergenza,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di reintegrare rapidamente le capacità di presidio territoriale dell'Arma dei Carabinieri, ponendo allo studio gli strumenti anche normativi occorrenti alla rapida riammissione in servizio dei Carabinieri ausiliari cessati senza demerito dal servizio svolto per almeno 4 anni ed altresì considerando l'ipotesi di intervenire sulla normativa della mobilitazione, allo scopo di mettere all'occorrenza a disposizione delle Forze armate un più ampio numero di effettivi nel minor tempo possibile.
9/3444-A/323. (Testo modificato nel corso della seduta) Attaguile, Molteni, Saltamartini.


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati della Carits sono oltre 50.700 le persone senza fissa dimora in Italia, in aumento rispetto a quanto stimato nel 2011. La stima arriva dall'Istat sulla base di coloro che nei mesi di novembre e dicembre 2014, hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna nei 158 comuni italiani in cui è stata condotta l'indagine;
    l'ammontare certificato delle persone in difficoltà corrisponde al 2,43 per mille della popolazione regolarmente iscritta presso i comuni considerati dall'indagine, valore in aumento rispetto a tre anni prima, quando era il 2,31 per mille (47 mila 648 persone). Il collettivo osservato dall'indagine include tuttavia anche individui non iscritti in anagrafe o residenti in comuni diversi da quelli dove si trovano a gravitare. Circa i due terzi delle persone senza dimora (il 68,7 per cento) dichiarano di essere iscritte all'anagrafe di un comune italiano;
    la quota di persone senza dimora che si registra nelle regioni del Nord-ovest (38 per cento) è del tutto simile a quella stimata nel 2011, così come quella del Centro (23,7 per cento) e delle Isole (9,2 per cento); nel Nordest si osserva invece una diminuzione (dal 19,7 per cento al 18 per cento) che si contrappone all'aumento nel Sud (dall'8,7 per cento all'11,1 per cento);
    cresce rispetto al passato la percentuale di chi vive solo (da 72,9 per cento a 76,5 $), a svantaggio di chi vive con un partner o un figlio (dall'8 per cento al 6 per cento); poco più della metà (il 51 per cento) dichiara di non essersi mai sposato;
    anche la durata della condizione di senza dimora, rispetto al 2011 si allunga: diminuiscono, dal 28,5 per cento al 17,4 per cento, quanti sono senza dimora da meno di tre mesi (si dimezzano quanti lo sono da meno di 1 mese), mentre aumentano, le quote di chi lo è da più di due anni (dal 27,4 per cento al 41,1 per cento) e di chi lo è da oltre 4 anni (dal 16 per cento sale al 21,4 per cento);
    i dati del Ministero degli interni ci riportano come la diaria giornaliera concessa agli immigrati è di 2,5 euro. Il costo stimato per straniero che sbarca è di circa 35 euro al giorno. Questi soldi vengono erogati alle cooperative e servono a coprire le spese per il vitto, l'alloggio, la pulizia degli stabili e la manutenzione, cui si deve aggiungere una piccola quota che copre anche i progetti di inserimento lavorativo,

impegna il Governo

a predisporre un piano di interventi straordinario per andare incontro alla povertà, per permettere ai cittadini italiani, che si trovano ad essere senza fissa dimora, di poter accedere a un diritto di assistenza sul modello di quello adottato per l'accoglienza agli immigrati, al fine di rendere più sostenibile la sopravvivenza in un periodo di forte crisi di cui non è immaginabile la fine nel breve periodo.
9/3444-A/324Rondini.


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati della Carits sono oltre 50.700 le persone senza fissa dimora in Italia, in aumento rispetto a quanto stimato nel 2011. La stima arriva dall'Istat sulla base di coloro che nei mesi di novembre e dicembre 2014, hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna nei 158 comuni italiani in cui è stata condotta l'indagine;
    l'ammontare certificato delle persone in difficoltà corrisponde al 2,43 per mille della popolazione regolarmente iscritta presso i comuni considerati dall'indagine, valore in aumento rispetto a tre anni prima, quando era il 2,31 per mille (47 mila 648 persone). Il collettivo osservato dall'indagine include tuttavia anche individui non iscritti in anagrafe o residenti in comuni diversi da quelli dove si trovano a gravitare. Circa i due terzi delle persone senza dimora (il 68,7 per cento) dichiarano di essere iscritte all'anagrafe di un comune italiano;
    la quota di persone senza dimora che si registra nelle regioni del Nord-ovest (38 per cento) è del tutto simile a quella stimata nel 2011, così come quella del Centro (23,7 per cento) e delle Isole (9,2 per cento); nel Nordest si osserva invece una diminuzione (dal 19,7 per cento al 18 per cento) che si contrappone all'aumento nel Sud (dall'8,7 per cento all'11,1 per cento);
    cresce rispetto al passato la percentuale di chi vive solo (da 72,9 per cento a 76,5 $), a svantaggio di chi vive con un partner o un figlio (dall'8 per cento al 6 per cento); poco più della metà (il 51 per cento) dichiara di non essersi mai sposato;
    anche la durata della condizione di senza dimora, rispetto al 2011 si allunga: diminuiscono, dal 28,5 per cento al 17,4 per cento, quanti sono senza dimora da meno di tre mesi (si dimezzano quanti lo sono da meno di 1 mese), mentre aumentano, le quote di chi lo è da più di due anni (dal 27,4 per cento al 41,1 per cento) e di chi lo è da oltre 4 anni (dal 16 per cento sale al 21,4 per cento);
    i dati del Ministero degli interni ci riportano come la diaria giornaliera concessa agli immigrati è di 2,5 euro. Il costo stimato per straniero che sbarca è di circa 35 euro al giorno. Questi soldi vengono erogati alle cooperative e servono a coprire le spese per il vitto, l'alloggio, la pulizia degli stabili e la manutenzione, cui si deve aggiungere una piccola quota che copre anche i progetti di inserimento lavorativo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre un piano di interventi straordinario per andare incontro alla povertà, per permettere ai cittadini italiani, che si trovano ad essere senza fissa dimora, di poter accedere a un diritto di assistenza sul modello di quello adottato per l'accoglienza agli immigrati, al fine di rendere più sostenibile la sopravvivenza in un periodo di forte crisi di cui non è immaginabile la fine nel breve periodo.
9/3444-A/324. (Testo modificato nel corso della seduta) Rondini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede un contributo per le province di circa 250 milioni di euro annui;
    è noto come la legge 7 aprile 2014, n. 56, disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, avrebbe dovuto secondo le intenzioni del Governo razionalizzare la spesa pubblica abbattendo i costi di un ente ritenuto inutile. Una legge priva di una visione strategica e programmatica, incapace di fornire ai cittadini prospettive di medio-lungo periodo fondate sul rilancio del Paese attraverso una politica seria di efficientamento della pubblica amministrazione;
   la Corte dei conti, nel corso dell'audizione svoltasi il 16 gennaio 2014 nella I Commissione affari costituzionali del Senato, ha ricordato che «le province sono il comparto istituzionale che più ha contribuito in questi anni alla riduzione della spesa pubblica, ma ha sottolineato i rischi e i costi di una normativa “provvisoria” sugli enti locali in attesa di una modifica della Costituzione futura ed incerta. La Corte inoltre ha evidenziato che la nascita delle città metropolitane e la normativa sulle Unioni di comuni può portare ad un aumento consistente di centri di spesa in concomitanza con la permanenza in vita delle istituzioni provinciali. Allo stesso tempo, il trasferimento delle funzioni amministrative provinciali ad altri livelli di governo può portare ad un sensibile aumento dei costi con riflessi negativi per la spesa pubblica e per il patto di stabilità»;
    come più volte denunciato la legge Delrio se da un lato ha svuotato di competenze e funzioni le province e le ha rese enti locali di secondo livello, esautorando il popolo dalla responsabilità di decidere con il proprio voto gli amministratori, dall'altro lato non ha raggiunto quegli effetti significativi in ottica di razionalizzazione dei costi operando solo tagli lineari e scaricando i costi su regioni e comuni;
    i tagli di bilancio alle province rendono impossibile sia le attività connesse alle loro funzioni fondamentali (scuole superiori, strade e tutela del territorio) sia le funzioni che erano delle province e che al momento non sono ancora state riassegnate ad altro ente (servizi per l'impiego, assistenza ai disabili sensoriali, caccia e pesca, polizia provinciale e protezione civile),

impegna il Governo

a valutare gli effetti negativi prodotti dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, al fine di rivedere con propria iniziativa legislativa le distorsioni prodotte e di efficientare il ruolo degli enti territoriali di area vasta.
9/3444-A/325Invernizzi, Guidesi, Simonetti.


   La Camera,
   premesso che:
    durante la conversione del decreto-legge competitività del 24 giugno 2014, n. 91, è stato approvato un emendamento che ha eliminato gli incentivi sul carburante che sarebbero equamente spettati al Polesine per la presenza del rigassificatore al largo di Porto Levante (Porto Viro) così come ad altre aree del paese interessate alla produzione di idrocarburi;
    il rigassificatore di Portoviro, con la capacità di fornire circa il 10 per cento del fabbisogno italiano di gas, rappresenta un impianto strategico per il Paese intero, altrimenti dipendente dalle sole forniture algerine e russe, con i rischi connessi e conseguenti all'instabilità politica dei paesi produttori e di quelli attraversati dal gasdotto;
    l'ingiusta, e ingiustificata, discriminazione a danni del Polesine operata dall'emendamento non è mai stata sanata nonostante le reiterate promesse del Governo;
   considerato inoltre che:
    dopo aver preso ufficialmente l'impegno alla Camera di ripristinare la situazione preesistente il 5 agosto 2014 prima del voto finale sul decreto-legge n. 91 del 2014, lo stesso viceministro De Vincenti, durante l'approvazione della legge di stabilità 2015, ha nuovamente ribadito la volontà del Governo di ridurre il prezzo carburante, così come prevedeva la legge 99 dei 2009 prima di essere modificata, nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi o attività di rigassificazione offshore, come nel caso veneto, vista la presenza al largo delle costa di un impianto di stoccaggio e rigassificazione tra i più grandi d'Europa;
    ugualmente, il 6 agosto 2014, in sede di conversione del decreto-legge n. 91 del 2014, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/02568-AR/040, a prima firma Busin, in cui si impegnava ad individuare «in un provvedimento da adottare entro fine anno, un meccanismo agevolativo destinato alle regioni interessate delle attività di rigassificazione, anche attraverso impianti offshore»;
    in seguito, lo stesso Governo ha preso un secondo impegno ufficiale, approvando, durante la conversione del decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto Sblocca Italia, l'ordine del giorno n. 9/02629-AR/037, a prima firma Busin, in cui si impegnava «a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni e a individuare, in un provvedimento da adottare entro fine anno, un meccanismo agevolativo destinato alle regioni interessate dalle attività di rigassificazione, anche attraverso impianti offshore, che sia in coerenza con le linee fondamentali della strategia energetica nazionale»;
    gli incentivi, però, ad oggi, non sono stati ancora ripristinati creando una situazione di netta disparità che vede gli abitanti del Polesine affatto ricompensati del sacrificio ambientale a cui hanno ceduto per il vantaggio dell'intera collettività nazionale e che altre regioni hanno rifiutato in considerazione dell'impatto ambientale che avrebbero avuto impianti analoghi,

impegna il Governo

a dare seguito agli impegni presi formalmente davanti le Camere e a provvedere, al più presto e con gli opportuni provvedimenti, al ripristino degli sconti carburante per gli abitanti interessati nell'area dei rigassificatore al largo di Porto Levante, al fine di ricostituire una situazione di equità e giustizia rispetto alle altre aree del territorio nazionale che godono di questi vantaggi fiscali proprio in ragione della presenza di infrastrutture nocive per la salute dei cittadini, ma considerate strategiche per l'economia e lo sviluppo di tutto il Paese.
9/3444-A/326Busin.


   La Camera,
   premesso che:
    durante la conversione del decreto-legge competitività del 24 giugno 2014, n. 91, è stato approvato un emendamento che ha eliminato gli incentivi sul carburante che sarebbero equamente spettati al Polesine per la presenza del rigassificatore al largo di Porto Levante (Porto Viro) così come ad altre aree del paese interessate alla produzione di idrocarburi;
    il rigassificatore di Portoviro, con la capacità di fornire circa il 10 per cento del fabbisogno italiano di gas, rappresenta un impianto strategico per il Paese intero, altrimenti dipendente dalle sole forniture algerine e russe, con i rischi connessi e conseguenti all'instabilità politica dei paesi produttori e di quelli attraversati dal gasdotto;
    l'ingiusta, e ingiustificata, discriminazione a danni del Polesine operata dall'emendamento non è mai stata sanata nonostante le reiterate promesse del Governo;
   considerato inoltre che:
    dopo aver preso ufficialmente l'impegno alla Camera di ripristinare la situazione preesistente il 5 agosto 2014 prima del voto finale sul decreto-legge n. 91 del 2014, lo stesso viceministro De Vincenti, durante l'approvazione della legge di stabilità 2015, ha nuovamente ribadito la volontà del Governo di ridurre il prezzo carburante, così come prevedeva la legge 99 dei 2009 prima di essere modificata, nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi o attività di rigassificazione offshore, come nel caso veneto, vista la presenza al largo delle costa di un impianto di stoccaggio e rigassificazione tra i più grandi d'Europa;
    ugualmente, il 6 agosto 2014, in sede di conversione del decreto-legge n. 91 del 2014, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/02568-AR/040, a prima firma Busin, in cui si impegnava ad individuare «in un provvedimento da adottare entro fine anno, un meccanismo agevolativo destinato alle regioni interessate delle attività di rigassifìcazione, anche attraverso impianti offshore»;
    in seguito, lo stesso Governo ha preso un secondo impegno ufficiale, approvando, durante la conversione del decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto Sblocca Italia, l'ordine del giorno n. 9/02629-AR/037, a prima firma Busin, in cui si impegnava «a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni e a individuare, in un provvedimento da adottare entro fine anno, un meccanismo agevolativo destinato alle regioni interessate dalle attività di rigassificazione, anche attraverso impianti offshore, che sia in coerenza con le linee fondamentali della strategia energetica nazionale»;
    gli incentivi, però, ad oggi, non sono stati ancora ripristinati creando una situazione di netta disparità che vede gli abitanti del Polesine affatto ricompensati del sacrificio ambientale a cui hanno ceduto per il vantaggio dell'intera collettività nazionale e che altre regioni hanno rifiutato in considerazione dell'impatto ambientale che avrebbero avuto impianti analoghi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di dare seguito agli impegni presi formalmente davanti le Camere e di provvedere, al più presto e con gli opportuni provvedimenti, al ripristino degli sconti carburante per gli abitanti interessati nell'area dei rigassificatore al largo di Porto Levante, al fine di ricostituire una situazione di equità e giustizia rispetto alle altre aree del territorio nazionale che godono di questi vantaggi fiscali proprio in ragione della presenza di infrastrutture nocive per la salute dei cittadini, ma considerate strategiche per l'economia e lo sviluppo di tutto il Paese.
9/3444-A/326. (Testo modificato nel corso della seduta) Busin.


   La Camera,
   premesso che:
    per la prima volta, con il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183 recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, sono state applicate in Italia le nuove regole europee per il salvataggio bancario appena recepite con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 e Banca Etruria è stata divisa in due, separando, nel bilancio, la parte «buona», a cui sono state conferite le attività in bonis, da quella cattiva (compresi tutti gli asset cattivi), ossia le attività in sofferenza, che sono stati accumulati in un'unica bad bank;
    la costituzione delle nuove quattro banche, denominate rispettivamente Nuova Cariferrara, Nuova Banca Etruria, Nuova Banca Marche e Nuova Carichieti, è posto a carico del sistema bancario italiano grazie alla liquidità garantita al Fondo di risoluzione attraverso Intesa-San Paolo, Unicredit e Ubi-Banca, a cui si aggiungono gli altri istituti italiani, chiamati a contribuire con una rata annua di 600 milioni ma l'onere ricade anche sugli azionisti e titolari delle obbligazioni subordinate delle quattro banche. Ciò ha quindi coinvolto oltre 100 mila persone che hanno visto andare in fumo i risparmi di una vita;
    secondo quanto si apprende da fonti accreditate di stampa la Commissione europea si sarebbe opposta a tutte le diverse soluzioni prospettate dal Governo, tra cui anche il ricorso al Fondo interbancario di tutela dei depositi, che avrebbe invece permesso di salvare anche azionisti e obbligazionisti subordinati, perché ricompreso nella categoria degli aiuti di Stato, mentre avrebbe approvato soltanto la versione del piano che prevedeva la procedura di risoluzione con il relativo Fondo e la conversione degli strumenti tossici nella bad-bank;
   considerato inoltre che:
    in sede di esame del disegno di legge di stabilità 2016 il Governo ha poi presentato un emendamento che ha interamente recepito il contenuto del suddetto decreto-legge e successivamente un secondo emendamento che ha istituito un Fondo di solidarietà per il ristoro degli obbligazionisti subordinati in seguito alla importante mobilitazione dei risparmiatori coinvolti nella riduzione e nell'azzeramento delle azioni e delle obbligazioni subordinate;
    in difesa dei risparmiatori si sono schierate le principali associazioni (Federconsumatori e Adusbef) che accusano il Governo di aver messo in campo «un bail-in mascherato per salvare i quattro istituti». Molti affermano, infatti, di non essere stati sufficientemente informati dai loro istituti circa la pericolosità delle azioni e delle obbligazioni che sono stati invitati a sottoscrivere;
    la reazione ai comportamenti speculativi fortemente aleatori e fortemente indirizzati ad attività ad alto rischio sempre più diffusi e, parallelamente, l'accusa di una presunta mancanza di vigilanza da parte della Banca d'Italia, in qualità di organo di vigilanza, hanno fatto emergere la necessità di accertare la verità dei fatti che hanno portato le quattro banche in oggetto a rischio default, anche e soprattutto alla luce dell'ultimo tragico atto del risparmiatore di Civitavecchia che ha deciso di togliersi la vita dopo aver scoperto di aver perso i risparmi di tutta una vita;
    la grande eco che ha caratterizzato questa vicenda, ha spinto la stessa Commissione europea a dichiarare, contrariamente a quanto affermato dal Governo, che «all'Italia sono state prospettate tre possibili strade per salvare le quattro banche in amministrazione controllata: una con fondi privati; una usando il Fondo interbancario di tutela dei depositi; una usando Fondo di risoluzione nazionale. La decisione di scegliere la terza usando il Fondo di risoluzione nazionale è stata presa dalle autorità italiane»;
    contemporaneamente il caso Banca Etruria è aumentato esponenzialmente, mettendo in luce tutte le falle di un sistema che ha letteralmente «truffato» decine di migliaia di risparmiatori. L'istituto è infatti attualmente coinvolto in tre filoni di inchiesta della procura di Arezzo: il primo che ha rilevato l'ostacolo alla vigilanza, che risale al marzo 2014 e trae origine dalla relazione degli ispettori della Banca d'Italia del 2013, e falsa fatturazione, relativamente al 2014; il secondo riguardante un possibile conflitto di interessi che avrebbe portato alcuni amministratori e sindaci ad avere vantaggi per 185 milioni di euro, in riferimento al periodo 2009-2014, accumulando 198 posizioni di fido a loro concessi; l'ultimo, che dovrebbe arrivare in concomitanza con l'esposto degli obbligazionisti difesi dalle associazioni dei consumatori, riguarda l'ipotesi di truffa ai danni della clientela che potrebbe essere stata ingannata proprio da alcuni funzionari di filiale;
    all'inizio della vicenda, Governo e Banca d'Italia avevano dichiarato che: «La soluzione adottata assicura la continuità operativa delle banche e il loro risanamento, nell'interesse dei territori in cui esse sono insediate; tutela i risparmi di famiglie e imprese investiti nella forma di depositi, conti correnti e obbligazioni ordinarie, preserva tutti i rapporti di lavoro in essere; non utilizza denaro pubblico»; ma, dopo tutti questi sviluppi, l'ultima dichiarazione del direttore generale di Bankitalia si è orientata ad una esplicita richiesta di vietare per legge la vendita di bond subordinati allo sportello,

impegna il Governo

a prevedere al più presto, in sede attuativa anche con ulteriori interventi normativi, una nuova disciplina di tutela dei risparmiatori che rafforzi le garanzie e la protezione loro accordata dalla vigente disciplina attraverso l'azione in giudizio per il risarcimento del danno secondo le normali procedure civilistiche anche per i risparmiatori coinvolti nel procedimento di risoluzione delle quattro banche in premessa, l'applicazione a regime del Fondo di solidarietà in surroga a futuri procedimenti di risoluzione previsti dal decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, che potrebbero interessare altri istituti bancari e il divieto della vendita di obbligazioni subordinate, di strumenti finanziari derivati e di qualsiasi altro titolo rischioso agli investitori non istituzionali.
9/3444-A/327Bossi, Guidesi, Simonetti, Giancarlo Giorgetti, Busin.


   La Camera,
   premesso che:
    per la prima volta, con il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183 recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, sono state applicate in Italia le nuove regole europee per il salvataggio bancario appena recepite con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 e Banca Etruria è stata divisa in due, separando, nel bilancio, la parte «buona», a cui sono state conferite le attività in bonis, da quella cattiva (compresi tutti gli asset cattivi), ossia le attività in sofferenza, che sono stati accumulati in un'unica bad bank;
    la costituzione delle nuove quattro banche, denominate rispettivamente Nuova Cariferrara, Nuova Banca Etruria, Nuova Banca Marche e Nuova Carichieti, è posto a carico del sistema bancario italiano grazie alla liquidità garantita al Fondo di risoluzione attraverso Intesa-San Paolo, Unicredit e Ubi-Banca, a cui si aggiungono gli altri istituti italiani, chiamati a contribuire con una rata annua di 600 milioni ma l'onere ricade anche sugli azionisti e titolari delle obbligazioni subordinate delle quattro banche. Ciò ha quindi coinvolto oltre 100 mila persone che hanno visto andare in fumo i risparmi di una vita;
    secondo quanto si apprende da fonti accreditate di stampa la Commissione europea si sarebbe opposta a tutte le diverse soluzioni prospettate dal Governo, tra cui anche il ricorso al Fondo interbancario di tutela dei depositi, che avrebbe invece permesso di salvare anche azionisti e obbligazionisti subordinati, perché ricompreso nella categoria degli aiuti di Stato, mentre avrebbe approvato soltanto la versione del piano che prevedeva la procedura di risoluzione con il relativo Fondo e la conversione degli strumenti tossici nella bad-bank;
   considerato inoltre che:
    in sede di esame del disegno di legge di stabilità 2016 il Governo ha poi presentato un emendamento che ha interamente recepito il contenuto del suddetto decreto-legge e successivamente un secondo emendamento che ha istituito un Fondo di solidarietà per il ristoro degli obbligazionisti subordinati in seguito alla importante mobilitazione dei risparmiatori coinvolti nella riduzione e nell'azzeramento delle azioni e delle obbligazioni subordinate;
    in difesa dei risparmiatori si sono schierate le principali associazioni (Federconsumatori e Adusbef) che accusano il Governo di aver messo in campo «un bail-in mascherato per salvare i quattro istituti». Molti affermano, infatti, di non essere stati sufficientemente informati dai loro istituti circa la pericolosità delle azioni e delle obbligazioni che sono stati invitati a sottoscrivere;
    la reazione ai comportamenti speculativi fortemente aleatori e fortemente indirizzati ad attività ad alto rischio sempre più diffusi e, parallelamente, l'accusa di una presunta mancanza di vigilanza da parte della Banca d'Italia, in qualità di organo di vigilanza, hanno fatto emergere la necessità di accertare la verità dei fatti che hanno portato le quattro banche in oggetto a rischio default, anche e soprattutto alla luce dell'ultimo tragico atto del risparmiatore di Civitavecchia che ha deciso di togliersi la vita dopo aver scoperto di aver perso i risparmi di tutta una vita;
    la grande eco che ha caratterizzato questa vicenda, ha spinto la stessa Commissione europea a dichiarare, contrariamente a quanto affermato dal Governo, che «all'Italia sono state prospettate tre possibili strade per salvare le quattro banche in amministrazione controllata: una con fondi privati; una usando il Fondo interbancario di tutela dei depositi; una usando Fondo di risoluzione nazionale. La decisione di scegliere la terza usando il Fondo di risoluzione nazionale è stata presa dalle autorità italiane»;
    contemporaneamente il caso Banca Etruria è aumentato esponenzialmente, mettendo in luce tutte le falle di un sistema che ha letteralmente «truffato» decine di migliaia di risparmiatori. L'istituto è infatti attualmente coinvolto in tre filoni di inchiesta della procura di Arezzo: il primo che ha rilevato l'ostacolo alla vigilanza, che risale al marzo 2014 e trae origine dalla relazione degli ispettori della Banca d'Italia del 2013, e falsa fatturazione, relativamente al 2014; il secondo riguardante un possibile conflitto di interessi che avrebbe portato alcuni amministratori e sindaci ad avere vantaggi per 185 milioni di euro, in riferimento al periodo 2009-2014, accumulando 198 posizioni di fido a loro concessi; l'ultimo, che dovrebbe arrivare in concomitanza con l'esposto degli obbligazionisti difesi dalle associazioni dei consumatori, riguarda l'ipotesi di truffa ai danni della clientela che potrebbe essere stata ingannata proprio da alcuni funzionari di filiale;
    all'inizio della vicenda, Governo e Banca d'Italia avevano dichiarato che: «La soluzione adottata assicura la continuità operativa delle banche e il loro risanamento, nell'interesse dei territori in cui esse sono insediate; tutela i risparmi di famiglie e imprese investiti nella forma di depositi, conti correnti e obbligazioni ordinarie, preserva tutti i rapporti di lavoro in essere; non utilizza denaro pubblico»; ma, dopo tutti questi sviluppi, l'ultima dichiarazione del direttore generale di Bankitalia si è orientata ad una esplicita richiesta di vietare per legge la vendita di bond subordinati allo sportello,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere al più presto, in sede attuativa anche con ulteriori interventi normativi, una nuova disciplina di tutela dei risparmiatori che rafforzi le garanzie e la protezione loro accordata dalla vigente disciplina attraverso l'azione in giudizio per il risarcimento del danno secondo le normali procedure civilistiche anche per i risparmiatori coinvolti nel procedimento di risoluzione delle quattro banche in premessa, l'applicazione a regime del Fondo di solidarietà in surroga a futuri procedimenti di risoluzione previsti dal decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, che potrebbero interessare altri istituti bancari e il divieto della vendita di obbligazioni subordinate, di strumenti finanziari derivati e di qualsiasi altro titolo rischioso agli investitori non istituzionali.
9/3444-A/327. (Testo modificato nel corso della seduta) Bossi, Guidesi, Simonetti, Giancarlo Giorgetti, Busin.


   La Camera,
   premesso che:
    l'attuale disciplina della deducibilità IMU sugli immobili strumentali dall'IRAP contravviene all'articolo 53 della Costituzione che stabilisce il criterio di progressività dell'imposta del sistema tributario;
    ad oggi, infatti, l'IMU, gravando sugli immobili strumentali all'esercizio dell'attività economica, rappresenta un costo inerente alla realizzazione del reddito d'impresa e di lavoro autonomo di cui, pertanto, deve essere riconosciuta la totale deducibilità;
    la piena deducibilità del tributo comunale determinerebbe, in modo automatico, la riduzione delle suddette imposte erariali e regionali e darebbe piena attuazione al principio della legge delega in materia di federalismo fiscale riguardante lo spostamento della pressione fiscale dal centro alla periferia;
   considerato inoltre che:
    in sede di conversione del decreto-legge n. 54 del maggio 2013, il Governo, nell'ambito della complessiva riforma dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, si è impegnato in merito alla totale deducibilità dell'imposta municipale relativa agli immobili utilizzati per attività produttive, ma il Ministro dell'economia e delle finanze, in sede di risposta al question time del 29 maggio 2014, ha ricordato che, per effetto della legge di Stabilità 2014, l'IMU relativa agli immobili strumentali è deducibile ai soli fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni nella misura del 20 per cento a partire dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2014 e nella misura del 30 per cento relativamente al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013;
    ad oggi, infatti, non è invece ammessa la deducibilità ai fini IRAP, imposta per la quale il Governo è intervenuto con il decreto-legge n. 66/2014, prevedendo una riduzione generalizzata dell'aliquota applicabile ai diversi soggetti passivi del tributo;
    il Ministro ha inoltre sottolineato che la diminuzione degli oneri che gravano sul mondo imprenditoriale può essere perseguita anche attraverso strumenti diversi, tra i quali ha considerato rilevante la disciplina prevista dall'articolo 7 della delega fiscale, che però riguarda la semplificazione nell'ambito di una revisione sistematica dei regimi fiscali volta ad eliminare complessità di adempimenti superflui e costosi per le imprese e non il richiamato principio della progressività dell'imposta contenuto nell'articolo 53 della Costituzione;
    le semplificazioni avranno soltanto in parte quello sperato effetto di ridurre i costi che il mondo produttivo deve sostenere per rispettare complessi obblighi procedurali tributari, perché, per rilanciare l'economia del Paese, è necessario abbassare il livello di pressione fiscale non soltanto sulle famiglie, ma anche sull'attività di impresa che rappresenta una fondamentale componente di crescita,

impegna il Governo

a prevedere nel prossimo provvedimento utile la totale deducibilità del costo dell'imposta municipale unica gravante sugli immobili strumentali dalla base imponibile IRAP.
9/3444-A/328Allasia, Busin, Guidesi, Simonetti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'attuale disciplina della deducibilità IMU sugli immobili strumentali dall'IRAP contravviene all'articolo 53 della Costituzione che stabilisce il criterio di progressività dell'imposta del sistema tributario;
    ad oggi, infatti, l'IMU, gravando sugli immobili strumentali all'esercizio dell'attività economica, rappresenta un costo inerente alla realizzazione del reddito d'impresa e di lavoro autonomo di cui, pertanto, deve essere riconosciuta la totale deducibilità;
    la piena deducibilità del tributo comunale determinerebbe, in modo automatico, la riduzione delle suddette imposte erariali e regionali e darebbe piena attuazione al principio della legge delega in materia di federalismo fiscale riguardante lo spostamento della pressione fiscale dal centro alla periferia;
   considerato inoltre che:
    in sede di conversione del decreto-legge n. 54 del maggio 2013, il Governo, nell'ambito della complessiva riforma dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, si è impegnato in merito alla totale deducibilità dell'imposta municipale relativa agli immobili utilizzati per attività produttive, ma il Ministro dell'economia e delle finanze, in sede di risposta al question time del 29 maggio 2014, ha ricordato che, per effetto della legge di Stabilità 2014, l'IMU relativa agli immobili strumentali è deducibile ai soli fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni nella misura del 20 per cento a partire dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2014 e nella misura del 30 per cento relativamente al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013;
    ad oggi, infatti, non è invece ammessa la deducibilità ai fini IRAP, imposta per la quale il Governo è intervenuto con il decreto-legge n. 66/2014, prevedendo una riduzione generalizzata dell'aliquota applicabile ai diversi soggetti passivi del tributo;
    il Ministro ha inoltre sottolineato che la diminuzione degli oneri che gravano sul mondo imprenditoriale può essere perseguita anche attraverso strumenti diversi, tra i quali ha considerato rilevante la disciplina prevista dall'articolo 7 della delega fiscale, che però riguarda la semplificazione nell'ambito di una revisione sistematica dei regimi fiscali volta ad eliminare complessità di adempimenti superflui e costosi per le imprese e non il richiamato principio della progressività dell'imposta contenuto nell'articolo 53 della Costituzione;
    le semplificazioni avranno soltanto in parte quello sperato effetto di ridurre i costi che il mondo produttivo deve sostenere per rispettare complessi obblighi procedurali tributari, perché, per rilanciare l'economia del Paese, è necessario abbassare il livello di pressione fiscale non soltanto sulle famiglie, ma anche sull'attività di impresa che rappresenta una fondamentale componente di crescita,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere nel prossimo provvedimento utile la totale deducibilità del costo dell'imposta municipale unica gravante sugli immobili strumentali dalla base imponibile IRAP.
9/3444-A/328. (Testo modificato nel corso della seduta) Allasia, Busin, Guidesi, Simonetti.


   La Camera,
   premesso che:
    la nuova disciplina introdotta dalla stabilità consentirà ai comuni di impiegare, nel 2016, le risorse in cassa per investimenti di un valore di circa 1 miliardo e, qualora i comuni avranno in cassa i soldi, di procedere ai pagamenti di investimenti già effettuati, fino ad ora vincolati dal Patto di stabilità;
    al fine di addivenire alla migliore gestione finanziaria possibile, il superamento del patto di stabilità andrebbe accompagnato ad una serie di altri provvedimenti in merito ad una più razionale riduzione e ad un mirato contenimento della spesa pubblica generale, recuperando gli sprechi per indirizzare così le risorse reperite in investimenti utili al bene dell'intera collettività;
    la pubblica amministrazione è il fronte sul quale va combattuta la principale battaglia per l'efficienza e il risparmio: il tasso di spreco medio è nell'ordine del 20-25 per cento, il che significa che, se si adottassero pratiche incisive, si potrebbero risparmiare almeno 100 miliardi l'anno;
    gli sprechi della pubblica amministrazione non possono e non devono essere attribuiti soltanto ed esclusivamente alle situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche nelle situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa. Parliamo, ovviamente di situazioni nelle quali la spesa, sebbene utilizzata dagli attori per finalità pubbliche, non è impiegata nel modo migliore, più produttivo e più efficace, a causa di un approccio non rigoroso, sul piano del metodo, alla progettazione delle politiche e dei servizi pubblici;
   considerato che:
    la riforma del federalismo fiscale segna una svolta senza precedenti nel nostro sistema Stato. Una riforma che contiene un rinnovato corpus volto a definire un sistema di finanza multilivello che declina in modo nuovo ed originale i rapporti tra Stato, autonomie ed Unione europea, al fine di assicurare un coordinamento unitario e coerente non solo della finanza pubblica, ma delle stesse politiche pubbliche che si dipanano oggi tra i diversi livelli di Governo;
   considerato inoltre che:
    per poter tagliare la spesa in maniera selettiva occorre rispettare un principio basilare che è quello dell'individuazione dei fabbisogni standard e dell'applicazione consequenziale dei costi standard;
    i tagli non devono essere previsti sui bilanci consuntivi ma su quelli preventivi, cosa che ad oggi non viene fatta. Il passaggio dalla spesa storica al costo standard orienterà la politica delle amministrazioni verso una nuova logica meritocratica che eviti le note inefficienze del passato;
    è necessario attivare il circuito della responsabilità, favorendo la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità attraverso il pieno compimento del passaggio dalla spesa storica (che finanzia servizi e sprechi) al costo/fabbisogno standard (che finanzia i servizi) al fine di garantire un elevatissimo grado di solidarietà e di gestione responsabile del pubblico denaro,

impegna il Governo

ad attivarsi in tutte le sedi competenti, al fine di prevedere l'applicazione sistemica dell'individuazione dei fabbisogni standard e della relativa applicazione dei costi standard a tutte le pubbliche amministrazioni.
9/3444-A/329Grimoldi, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Molteni, Simonetti.


   La Camera,
   premesso che:
    la nuova disciplina introdotta dalla stabilità consentirà ai comuni di impiegare, nel 2016, le risorse in cassa per investimenti di un valore di circa 1 miliardo e, qualora i comuni avranno in cassa i soldi, di procedere ai pagamenti di investimenti già effettuati, fino ad ora vincolati dal Patto di stabilità;
    al fine di addivenire alla migliore gestione finanziaria possibile, il superamento del patto di stabilità andrebbe accompagnato ad una serie di altri provvedimenti in merito ad una più razionale riduzione e ad un mirato contenimento della spesa pubblica generale, recuperando gli sprechi per indirizzare così le risorse reperite in investimenti utili al bene dell'intera collettività;
    la pubblica amministrazione è il fronte sul quale va combattuta la principale battaglia per l'efficienza e il risparmio: il tasso di spreco medio è nell'ordine del 20-25 per cento, il che significa che, se si adottassero pratiche incisive, si potrebbero risparmiare almeno 100 miliardi l'anno;
    gli sprechi della pubblica amministrazione non possono e non devono essere attribuiti soltanto ed esclusivamente alle situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche nelle situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa. Parliamo, ovviamente di situazioni nelle quali la spesa, sebbene utilizzata dagli attori per finalità pubbliche, non è impiegata nel modo migliore, più produttivo e più efficace, a causa di un approccio non rigoroso, sul piano del metodo, alla progettazione delle politiche e dei servizi pubblici;
   considerato che:
    la riforma del federalismo fiscale segna una svolta senza precedenti nel nostro sistema Stato. Una riforma che contiene un rinnovato corpus volto a definire un sistema di finanza multilivello che declina in modo nuovo ed originale i rapporti tra Stato, autonomie ed Unione europea, al fine di assicurare un coordinamento unitario e coerente non solo della finanza pubblica, ma delle stesse politiche pubbliche che si dipanano oggi tra i diversi livelli di Governo;
   considerato inoltre che:
    per poter tagliare la spesa in maniera selettiva occorre rispettare un principio basilare che è quello dell'individuazione dei fabbisogni standard e dell'applicazione consequenziale dei costi standard;
    i tagli non devono essere previsti sui bilanci consuntivi ma su quelli preventivi, cosa che ad oggi non viene fatta. Il passaggio dalla spesa storica al costo standard orienterà la politica delle amministrazioni verso una nuova logica meritocratica che eviti le note inefficienze del passato;
    è necessario attivare il circuito della responsabilità, favorendo la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità attraverso il pieno compimento del passaggio dalla spesa storica (che finanzia servizi e sprechi) al costo/fabbisogno standard (che finanzia i servizi) al fine di garantire un elevatissimo grado di solidarietà e di gestione responsabile del pubblico denaro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di attivarsi in tutte le sedi competenti, al fine di prevedere l'applicazione sistemica dell'individuazione dei fabbisogni standard e della relativa applicazione dei costi standard a tutte le pubbliche amministrazioni.
9/3444-A/329. (Testo modificato nel corso della seduta) Grimoldi, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Molteni, Simonetti.


   La Camera,
   premesso che:
    con l'articolo 15, commi 4 e 5, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese», convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, si è introdotto l'obbligo del pagamento elettronico per le prestazioni professionali. La disciplina prevede infatti che «a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito». Il decreto ministeriale, così come stabilito del decreto-legge, ha successivamente stabilito a 30 euro, l'importo minimo oltre il quale si rende obbligatorio per gli esercenti accettare il pagamento elettronico da parte del cliente;
    un emendamento approvato dalla V Commissione della Camera in sede di esame di questo disegno di legge ne ha ulteriormente esteso l'applicazione, prevedendo l'obbligo, per i commercianti e i professionisti, di accettare pagamenti elettronici anche per importi inferiori a 30 euro, e stabilendo anche delle sanzioni, a partire dall'aprile del 2016, per coloro che non si adegueranno alla nuova normativa;
    lo stesso emendamento, inoltre, estende, dal 1o luglio 2016, l'obbligo per i commercianti e i professionisti di accettare pagamenti elettronici anche mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, nonostante il rilievo dei tecnici che stimano di difficile comprensione la norma, «considerando che i dispositivi richiamati sono adibiti alla riscossione del corrispettivo per il parcheggio in aree comunali»;
    una simile previsione va soltanto ad aggravare ulteriormente gli esercenti, senza alcun particolare vantaggio per i consumatori, la maggior parte dei quali, secondo ripetute stime, non sente la necessità di dover cambiare le proprie abitudini di pagamento;
    mentre, per i consumatori, normalmente, non sono previste commissioni, non è così per gli esercenti che sono costretti a versare alle banche delle esose commissioni, quasi fosse un'imposta aggiuntiva gravante su questa parte di contribuenti. La percentuale di commissioni da versare agli istituti di credito, calcolata sugli importi incassati mediante carta di credito o di debito, è pari a: in caso di bancomat, dallo 0,5 per cento allo 0,7 per cento e, in caso di carte di credito o prepagate, dall'1 per cento fino al 4 per cento. A questi costi si devono poi sommare la spesa per l'affitto del POS, per un costo totale che raggiunge del 2-3 per cento del fatturato;
    nonostante le proteste dei commercianti e dei professionisti e delle loro rappresentanze (Confesercenti ha infatti subito stimato una spesa aggiuntiva per le Pmi pari a 5 miliardi di euro ogni anno), i Governi che sia sono succeduti dal 2012 ad oggi sono sempre rimasti impassibili di fronte alle difficoltà che questi hanno sollevato nei confronti dei maggiori oneri a cui sono stati sottoposti, continuando a ritenere tali misure come strumenti adeguati per la lotta all'evasione, mentre invece sembra essere più una normativa vantaggiosa per il settore bancario che in questo modo aumenta in modo certo i propri profitti;
   considerato inoltre che:
    quanto premesso, si aggiunge al mare magnum delle altre commissioni pagate dai clienti agli istituti bancari, che, a loro volta, si sommano agli adempimenti e gli oneri a cui questi sono sottoposti anche solo per aprire un conto corrente e ai mille artifizi che le banche riescono a scovare per gravarli di ulteriori spese. Si pensi, ad esempio, alla disciplina degli sconfinamenti, per cui i clienti sono costretti a pagare, oltre il legittimo tasso di interesse, anche una commissione;
    tra tutte, sorgono notevoli perplessità in merito alle commissioni dovute per i servizi in home banking che, a ben vedere, non avrebbero alcuna ragione di esistere: le operazioni, infatti, essendo svolte in proprio dal cliente e attuate in pieno automatismo telematico dovrebbero essere esenti da qualsiasi costo;
    le eventuali spese di gestione dei sito dovrebbero infatti essere assorbite dai considerevoli «balzelli» che un sistema attento ai profitti delle banche ha permesso di imporre, anche preater legem;
    ugualmente, l'attuale Governo, ha perseverato nel sostenere i poteri economici del Paese, anche e soprattutto alla luce dei recenti provvedimenti nel settore creditizio, incurante delle problematiche ricadenti sulle piccole e medie imprese, sui commercianti e i professionisti in generale, anche di fronte alle gravi difficoltà economiche che questi si sono trovati a dover affrontare,

impegna il Governo

a prevedere, nella più volte annunciata riforma del sistema creditizio, una revisione della disciplina in merito alle commissioni bancarie al fine di imporre al sistema creditizio una normativa più equa e garantista nei confronti del cliente assicurando, da un lato, un azzeramento delle commissioni per i pagamenti elettronici e del relativo costo del dispositivo per commercianti e professionisti, e, dall'altro, la previsione del divieto di imporre commissioni per le operazioni svolte in proprio in home banking.
9/3444-A/330Guidesi, Simonetti, Busin.


   La Camera,
   premesso che:
    con l'articolo 15, commi 4 e 5, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese», convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, si è introdotto l'obbligo del pagamento elettronico per le prestazioni professionali. La disciplina prevede infatti che «a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito». Il decreto ministeriale, così come stabilito del decreto-legge, ha successivamente stabilito a 30 euro, l'importo minimo oltre il quale si rende obbligatorio per gli esercenti accettare il pagamento elettronico da parte del cliente;
    un emendamento approvato dalla V Commissione della Camera in sede di esame di questo disegno di legge ne ha ulteriormente esteso l'applicazione, prevedendo l'obbligo, per i commercianti e i professionisti, di accettare pagamenti elettronici anche per importi inferiori a 30 euro, e stabilendo anche delle sanzioni, a partire dall'aprile del 2016, per coloro che non si adegueranno alla nuova normativa;
    lo stesso emendamento, inoltre, estende, dal 1o luglio 2016, l'obbligo per i commercianti e i professionisti di accettare pagamenti elettronici anche mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, nonostante il rilievo dei tecnici che stimano di difficile comprensione la norma, «considerando che i dispositivi richiamati sono adibiti alla riscossione del corrispettivo per il parcheggio in aree comunali»;
    una simile previsione va soltanto ad aggravare ulteriormente gli esercenti, senza alcun particolare vantaggio per i consumatori, la maggior parte dei quali, secondo ripetute stime, non sente la necessità di dover cambiare le proprie abitudini di pagamento;
    mentre, per i consumatori, normalmente, non sono previste commissioni, non è così per gli esercenti che sono costretti a versare alle banche delle esose commissioni, quasi fosse un'imposta aggiuntiva gravante su questa parte di contribuenti. La percentuale di commissioni da versare agli istituti di credito, calcolata sugli importi incassati mediante carta di credito o di debito, è pari a: in caso di bancomat, dallo 0,5 per cento allo 0,7 per cento e, in caso di carte di credito o prepagate, dall'1 per cento fino al 4 per cento. A questi costi si devono poi sommare la spesa per l'affitto del POS, per un costo totale che raggiunge del 2-3 per cento del fatturato;
    nonostante le proteste dei commercianti e dei professionisti e delle loro rappresentanze (Confesercenti ha infatti subito stimato una spesa aggiuntiva per le Pmi pari a 5 miliardi di euro ogni anno), i Governi che sia sono succeduti dal 2012 ad oggi sono sempre rimasti impassibili di fronte alle difficoltà che questi hanno sollevato nei confronti dei maggiori oneri a cui sono stati sottoposti, continuando a ritenere tali misure come strumenti adeguati per la lotta all'evasione, mentre invece sembra essere più una normativa vantaggiosa per il settore bancario che in questo modo aumenta in modo certo i propri profitti;
   considerato inoltre che:
    quanto premesso, si aggiunge al mare magnum delle altre commissioni pagate dai clienti agli istituti bancari, che, a loro volta, si sommano agli adempimenti e gli oneri a cui questi sono sottoposti anche solo per aprire un conto corrente e ai mille artifizi che le banche riescono a scovare per gravarli di ulteriori spese. Si pensi, ad esempio, alla disciplina degli sconfinamenti, per cui i clienti sono costretti a pagare, oltre il legittimo tasso di interesse, anche una commissione;
    tra tutte, sorgono notevoli perplessità in merito alle commissioni dovute per i servizi in home banking che, a ben vedere, non avrebbero alcuna ragione di esistere: le operazioni, infatti, essendo svolte in proprio dal cliente e attuate in pieno automatismo telematico dovrebbero essere esenti da qualsiasi costo;
    le eventuali spese di gestione dei sito dovrebbero infatti essere assorbite dai considerevoli «balzelli» che un sistema attento ai profitti delle banche ha permesso di imporre, anche preater legem;
    ugualmente, l'attuale Governo, ha perseverato nel sostenere i poteri economici del Paese, anche e soprattutto alla luce dei recenti provvedimenti nel settore creditizio, incurante delle problematiche ricadenti sulle piccole e medie imprese, sui commercianti e i professionisti in generale, anche di fronte alle gravi difficoltà economiche che questi si sono trovati a dover affrontare,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, nella più volte annunciata riforma del sistema creditizio, una revisione della disciplina in merito alle commissioni bancarie al fine di imporre al sistema creditizio una normativa più equa e garantista nei confronti del cliente assicurando, da un lato, un azzeramento delle commissioni per i pagamenti elettronici e del relativo costo del dispositivo per commercianti e professionisti, e, dall'altro, la previsione del divieto di imporre commissioni per le operazioni svolte in proprio in home banking.
9/3444-A/330. (Testo modificato nel corso della seduta) Guidesi, Simonetti, Busin.


   La Camera,
   premesso che:
    il nostro è un Paese è un territorio estremamente fragile e in crescente pericolo di dissesto idrogeologico;
    l'abbandono dei terreni montani, il disboscamento, la forte espansione edilizia soprattutto negli anni ’70 e ’80, la costruzione, spesso abusiva, sui versanti a rischio, la mancata pulizia dei corsi d'acqua, la forte antropizzazione e la cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti contribuiscono all'aumento dell'esposizione della popolazione al rischio idrogeologico e ad alluvioni;
    i problemi sono aggravati negli ultimi anni a causa degli eventi meteo climatici anomali che ripetutamente hanno colpito il Paese;
    si tratta di un'emergenza nazionale e che se non si procederà al più presto ad effettuare un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, sarà sempre più difficile ed insostenibile fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle calamità naturali;
    la ripresa economica di cui abbisogna il Paese è continuamente rallentata e minacciata dall'aumento della fragilità del territorio, dal susseguirsi di drammi umani e danni alle cose; ma sono gli stessi finanziamenti per la prevenzione e per la manutenzione del territorio che possono diventare un volano per l'accelerazione della ripresa economica e per lo sviluppo del Paese, creando indotto e occupazione;
    per raggiungere risultati concreti serve la sinergia tra amministrazioni centrali e locali per il finanziamento degli interventi;
    i veri conoscitori dello stato di salute del territorio e delle relative necessità di interventi per la messa in sicurezza e per la prevenzione dei rischi e dei pericoli derivanti dalle calamità naturali sono gli amministratori locali e, pertanto, gli stessi amministratori sono sempre al centro delle attività relative all'individuazione, alla predisposizione ed esecuzione degli interventi e della mitigazione dei rischi;
    negli ultimi anni, le regole stringenti del patto di stabilità e crescita imposte dalla Commissione UE e le conseguenti norme nazionali sul patto di stabilità interno hanno costituito un vincolo insormontabile alla spesa delle amministrazioni locali; anche nei casi di disponibilità di risorse, gli investimenti dei comuni per la prevenzione e la manutenzione del proprio territorio sono stati frenati dal patto di stabilità interno;
    appare necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, non solo verso la semplificazione delle procedure per l'esecuzione degli interventi e l'assegnazione delle risorse ma anche verso l'eliminazione delle disposizioni che, di fatto, rendono impossibile la spesa, come quelle relative all'inclusione degli interventi, indispensabili per la stessa sopravvivenza dei territori e della popolazione, alla contabilizzazione della spesa per il rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita imposti dalla Unione europea;
    la legge di stabilità 2016 modifica la normativa vigente per l'individuazione dei saldi contabilizzati ai fini del rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita;
    inoltre, i finanziamenti previsti nella tabella E della legge di Stabilità 2016 si presentano realmente insufficienti a far fronte alle esigenze del Paese,

impegna il Governo:

   ad assumere le opportune iniziative affinché, le spese sostenute dalle Regioni e dagli enti locali, a valere su risorse proprie o provenienti dallo Stato, per interventi finalizzati alla difesa del suolo e alla messa in sicurezza del territorio contro il dissesto idrogeologico, siano escluse dai saldi contabilizzati ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica;
   ad adottare le opportune iniziative per incrementare le risorse disponibili da parte dello Stato per far fronte alla lotta contro il dissesto idrogeologico.
9/3444-A/331Borghesi, Guidesi, Simonetti, Saltamartini, Giancarlo Giorgetti.


   La Camera,
   premesso che:
    il nostro è un Paese è un territorio estremamente fragile e in crescente pericolo di dissesto idrogeologico;
    l'abbandono dei terreni montani, il disboscamento, la forte espansione edilizia soprattutto negli anni ’70 e ’80, la costruzione, spesso abusiva, sui versanti a rischio, la mancata pulizia dei corsi d'acqua, la forte antropizzazione e la cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti contribuiscono all'aumento dell'esposizione della popolazione al rischio idrogeologico e ad alluvioni;
    i problemi sono aggravati negli ultimi anni a causa degli eventi meteo climatici anomali che ripetutamente hanno colpito il Paese;
    si tratta di un'emergenza nazionale e che se non si procederà al più presto ad effettuare un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, sarà sempre più difficile ed insostenibile fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle calamità naturali;
    la ripresa economica di cui abbisogna il Paese è continuamente rallentata e minacciata dall'aumento della fragilità del territorio, dal susseguirsi di drammi umani e danni alle cose; ma sono gli stessi finanziamenti per la prevenzione e per la manutenzione del territorio che possono diventare un volano per l'accelerazione della ripresa economica e per lo sviluppo del Paese, creando indotto e occupazione;
    per raggiungere risultati concreti serve la sinergia tra amministrazioni centrali e locali per il finanziamento degli interventi;
    i veri conoscitori dello stato di salute del territorio e delle relative necessità di interventi per la messa in sicurezza e per la prevenzione dei rischi e dei pericoli derivanti dalle calamità naturali sono gli amministratori locali e, pertanto, gli stessi amministratori sono sempre al centro delle attività relative all'individuazione, alla predisposizione ed esecuzione degli interventi e della mitigazione dei rischi;
    negli ultimi anni, le regole stringenti del patto di stabilità e crescita imposte dalla Commissione UE e le conseguenti norme nazionali sul patto di stabilità interno hanno costituito un vincolo insormontabile alla spesa delle amministrazioni locali; anche nei casi di disponibilità di risorse, gli investimenti dei comuni per la prevenzione e la manutenzione del proprio territorio sono stati frenati dal patto di stabilità interno;
    appare necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, non solo verso la semplificazione delle procedure per l'esecuzione degli interventi e l'assegnazione delle risorse ma anche verso l'eliminazione delle disposizioni che, di fatto, rendono impossibile la spesa, come quelle relative all'inclusione degli interventi, indispensabili per la stessa sopravvivenza dei territori e della popolazione, alla contabilizzazione della spesa per il rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita imposti dalla Unione europea;
    la legge di stabilità 2016 modifica la normativa vigente per l'individuazione dei saldi contabilizzati ai fini del rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita;
    inoltre, i finanziamenti previsti nella tabella E della legge di Stabilità 2016 si presentano realmente insufficienti a far fronte alle esigenze del Paese,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere le opportune iniziative affinché, le spese sostenute dalle Regioni e dagli enti locali, a valere su risorse proprie o provenienti dallo Stato, per interventi finalizzati alla difesa del suolo e alla messa in sicurezza del territorio contro il dissesto idrogeologico, siano escluse dai saldi contabilizzati ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica;
   a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative per incrementare le risorse disponibili da parte dello Stato per far fronte alla lotta contro il dissesto idrogeologico.
9/3444-A/331. (Testo modificato nel corso della seduta) Borghesi, Guidesi, Simonetti, Saltamartini, Giancarlo Giorgetti.


   La Camera,
   premesso che:
    nei giorni dal 4 al 7 febbraio 2015 eccezionali avversità atmosferiche hanno colpito il territorio dei Comuni di Chioggia (VE) e di Rosolina (RO);
    in particolare, dal 5 febbraio 2015 e nelle due giornate successive, la costiera veneta è stata caratterizzata dallo spirare di un fortissimo vento di bora, specialmente lungo tutto il litorale e nelle zone più esposte della Regione, originando eccezionali mareggiate che hanno intaccato in maniera definitiva la maggior parte degli arenili costieri; la Regione Veneto ha dichiarato lo stato di crisi con decreto n. 20 del 12 febbraio 2015;
    le segnalazioni arrivate dai Comuni di Chioggia e di Rosolina hanno evidenziato una situazione complessa per i rispettivi territori caratterizzata da allagamenti di centri abitati, fortissime mareggiate, che hanno eroso completamente i rispettivi arenili di Sottomarina, Isola Verde e Rosolina, precipitazioni intense ed abbondanti con venti molto forti che hanno interessato allo stesso modo tutti i territori dei Comuni costieri, esondazioni di molti canali in zone rurali e nelle frazioni, creando disagi alla popolazione e alla circolazione stradale ed ingentissimi danni ai settori della pesca (infrastrutture portuali, natanti, allevamenti di acquacoltura), del turismo (stabilimenti balneari, villaggi turistici, residenze), e dell'agricoltura (colture e manufatti agricoli), nonché ad altre infrastrutture pubbliche (fabbricati, spiagge, strade, aree verdi, arredo urbano);
    per almeno tre giorni consecutivi si è resa necessaria l'opera incessante di numerose squadre di Vigili del fuoco e dei gruppi comunali di Protezione Civile con più squadre volontari al fine di coadiuvare i Vigili del fuoco nelle operazioni di rimozione di alberi divelti e nel prosciugamento di abitazioni e attività commerciali e sanitarie;
    successivamente, il 20 agosto 2015 precipitazioni intense e abbondanti hanno colpito ulteriormente il litorale di Chioggia, con venti molto forti che hanno interessato, oltre che i litorali, anche le località di Isola Verde, Lidodoro, Arcobaleno e Cà Lino, dove la caduta di alberi ha provocato anche l'interruzione temporanea della strada statale Romea e della ferrovia per Adria; al centro del lungomare di Sottomarina sono volate via capanne, ombrelloni e lettini. La regione Veneto anche questa volta ha dichiarato lo stato di crisi;
    i cittadini di Chioggia e Sottomarina hanno passato una notte di paura, con le spiagge a tratti letteralmente devastate dal nubifragio con raffiche di vento fino a 50 nodi che si è abbattuto nella notte tra giovedì e venerdì, sulla provincia di Venezia. Sono stati distrutti 100 ettari coltivati a radicchio, pari 20 mila quintali, ossia tutto il prodotto che sarebbe stato commercializzato tra settembre e ottobre. Le perdite rappresentano una tragedia per i produttori,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità, nell'ambito dei programmi di finanziamento per la prevenzione del rischio idrogeologico e compatibilmente con i vincoli di bilancio, di adottare provvedimenti urgenti per le opere di prevenzione dei danni e difesa invernale dei territori costieri, con particolare riferimento alle caratteristiche peculiari degli arenili veneti, e per il sostegno degli stabilimenti balneari ivi esistenti che sono costretti a ripetuti interventi di ripristino e manutenzione delle proprie strutture sottoposte a fenomeni atmosferici calamitosi di particolare intensità;
   a valutare l'opportunità di avviare misure volte all'assegnazione dei risarcimenti alle imprese balneari colpite dalla mareggiata dei giorni dal 4 a 7 febbraio 2015 e successivamente dal nubifragio del 20 agosto 2015 e ad adottare le iniziative di propria competenza per l'assegnazione delle risorse.
9/3444-A/332Fedriga, Guidesi, Busin.


   La Camera,
   premesso che:
    nel testo in esame si introduce una nuova presunzione di possesso dell'apparecchio televisivo attraverso la presenza di un contratto di fornitura dell'energia elettrica, nella cui fattura sarà addebitato il canone;
    le più importanti associazioni dei consumatori hanno definito tale previsione «illegittima, incostituzionale e impugnabile», ritenendo profondamente ingiusto che venga addebitato il canone a chi non ha un apparecchio televisivo e hanno dichiarato di voler ricorrere alla Corte Costituzionale;
    infatti, anche chi non ha una televisione, si vedrà recapitare una bolletta elettrica maggiorata con il canone rai e sarà compito dell'utente presentare all'Agenzia delle entrate un'autocertificazione per essere esonerati dal pagamento per l'anno in corso. L'anno successivo, il consumatore (di servizio pubblico elettrico ma non di quello televisivo), dovrà ripetere la stessa operazione e così ogni anno. E questa stessa annosa pratica dovrà essere ripetuta annualmente anche da coloro che sono attualmente esenti e che hanno già comunicato le proprie motivazioni alla concessionaria televisiva;
    il pagamento del canone di abbonamento, istituito con il regio decreto n. 246 del 1938 quando ancora non esisteva la TV, è dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni televisive, indipendentemente dai programmi ricevuti, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale del 2002 che ha riconosciuto la sua natura sostanziale d'imposta per cui la legittimità dell'imposizione è fondata sul presupposto della capacità contributiva e non sulla possibilità dell'utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo al cui finanziamento il canone è destinato;
    piuttosto che intervenire sulla qualità di ricezione del servizio pubblico televisivo, visto che molte aree del territorio nazionale, in particolare nei comuni di montagna, lamentano numerosi problemi riferiti alla ricezione del segnale Rai, che in molti casi si limita ai tre canali principati, anziché i quindici pubblicizzati, questo provvedimento si limita a mettere in atto azioni volte a riscuotere (dopo che negli ultimi anni sono state destinate già alla Rai ingenti risorse e nella sola legge n. 10 del 2011, circa 60 milioni per migliorare il servizio) senza una corrispondente contropartita;
    la Rai, in qualità di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, così come previsto dall'articolo 45 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, dovrebbe svolgere un servizio pubblico sul territorio italiano, sulla base di un Contratto nazionale stipulato con il Ministero delle Comunicazioni, assicurando a tutti i cittadini la possibilità di usufruire di tale servizio. La discordanza fra quanto espresso nel contratto di servizio e la realtà dei fatti mina la credibilità e la trasparenza del sistema radiotelevisivo pubblico, e ne mette in dubbio l'affidabilità;
    si tratta di una imposta antiquata e iniqua, che non ha alcun motivo di esistere anche in virtù del maggiore pluralismo indotto dall'ingresso sul mercato di nuovi editori e dall'apporto delle nuove tecnologie (DTT, DDT, DVbh, TV satellitare, ADSL, WI-FI, cavo e analogico) e dal fatto che spesso il vero ruolo di servizio pubblico, considerata la copertura capillare su tutto il territorio nazionale, viene svolto dalle TV locali;
    le emittenti locali potrebbero rivestire un ruolo altrettanto determinante per colmare il digital divide anche attraverso il pieno e completo riconoscimento della loro prerogativa a svolgere il ruolo di operatore di rete in tecnica digitale in ambito locale consentendogli di concedere la capacità trasmissiva ai fornitori di servizi di media, ai fornitori di servizi di media audiovisivi lineari, ai fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta, ai fornitori di contenuti audiovisivi e di dati ed ai fornitori di servizi media radiofonici autorizzati in ambito nazionale e locale;
    se le stime del Governo hanno previsto, a fronte della nuova riscossione del canone, maggiori entrate per 500 milioni di euro, sarebbe logico che questo importo fosse utilizzato comunque per garantire la qualità dell'informazione destinando le risorse alle emittenti locali che davvero svolgono un servizio sull'intero territorio nazionale, dopo aver debitamente ampliato la fascia degli utenti esenti per età e per reddito;
    invece, delle maggiori entrate previste, solo il 33 per cento per il 2016, verrà riversato all'Erario e di questo 33, solo un massimo di 50 milioni potrà essere destinato alle emittenti locali. Tradotto in cifre, vuol dire che su 500 milioni di entrate superiori a quelle già iscritte a bilancio, 165 sono riservate a fini di pubblica utilità (esenzioni, Fondo per emittenti locali e Fondo per la riduzione della pressione fiscale) e 335 milioni sono ancora destinati alla Rai che svolge servizio pubblico insufficiente, oltre a tutti quelli già incassati regolarmente col canone,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di destinare per il 2016 tutte le maggiori risorse eventualmente riscosse a titolo di canone di abbonamento per mettere in atto iniziative di servizio pubblico a favore degli utenti, ampliando in primo luogo la platea degli esenti per condizioni di reddito e di età e utilizzando le restanti per contribuire e potenziare l'operato svolto dalle emittenti locali in materia di informazione locale e salvaguardia del pluralismo informativo.
9/3444-A/333Caparini.


   La Camera,
   premesso che:
    esaminato il disegno di legge di stabilità per il 2016 con particolare riguardo agli interventi in materia pensionistica e di salvaguardia dei lavoratori cosiddetti «esodati», ovvero di quei lavoratori già espulsi, a qualunque titolo, dal ciclo produttivo e colpiti dalla repentina elevazione dei requisiti anagrafici introdotta dalla oramai triste riforma Fornero;
    le disposizioni di cui ai commi 145-154 del provvedimento all'esame recano la cosiddetta «VII salvaguardia» solo per una platea di 26.300 soggetti, a fronte dei 49.500 soggetti rimasti esclusi dai precedenti sei provvedimenti di salvaguardia, quantificazione accreditata dallo stesso Ministro del lavoro nell'ottobre 2014, in occasione della risposta ad un atto di sindacato ispettivo (n. 5-03439);
    si ricorda che in occasione anche dell'audizione congiunta delle Commissioni Bilancio e Lavoro di Camera e Senato, con i Ministri del lavoro e dell'economia, tenutasi lo scorso 24 settembre dopo gli allarmi a mezzo stampa che il Governo stesse svuotando il Fondo esodati, quest'ultimo aveva ribadito l'impegno ad intervenire in sede di manovra economica per una soluzione «definitiva» della problematica esodati, utilizzando le risorse risparmiate dalle precedenti salvaguardie, al fine di superare le operazioni di salvaguardia a step;
    la cosiddetta VII salvaguardia contenuta nel provvedimento all'esame, lasciando fuori ancora 23.200 soggetti tra contributori volontari, percettori di indennità di mobilità, lavoratori che assistono familiari disabili gravi – e non solo figli –, personale della scuola, disattende, ancora una volta, le promesse del Governo, con un doppio tradimento, perché lascia per strada ancora una platea di non salvaguardati e perché utilizza le risorse risparmiate dalle precedenti sei salvaguardie anche per altri interventi, come addirittura 523 milioni di euro destinati per il Giubileo,

impegna il Governo

a non disattendere nuovamente gli impegni assunti nei riguardi dei lavoratori cosiddetti esodati, in attesa di una soluzione oramai da quattro anni, e a prevedere negli emanandi provvedimenti i dovuti interventi per la definitiva conclusione della vicenda esodati.
9/3444-A/334Simonetti, Fedriga, Guidesi.


   La Camera,
   premesso che:
    esaminato il disegno di legge di stabilità per il 2016 con particolare riguardo agli interventi in materia pensionistica e di salvaguardia dei lavoratori cosiddetti «esodati», ovvero di quei lavoratori già espulsi, a qualunque titolo, dal ciclo produttivo e colpiti dalla repentina elevazione dei requisiti anagrafici introdotta dalla oramai triste riforma Fornero;
    le disposizioni di cui ai commi 145-154 del provvedimento all'esame recano la cosiddetta «VII salvaguardia» solo per una platea di 26.300 soggetti, a fronte dei 49.500 soggetti rimasti esclusi dai precedenti sei provvedimenti di salvaguardia, quantificazione accreditata dallo stesso Ministro del lavoro nell'ottobre 2014, in occasione della risposta ad un atto di sindacato ispettivo (n. 5-03439);
    si ricorda che in occasione anche dell'audizione congiunta delle Commissioni Bilancio e Lavoro di Camera e Senato, con i Ministri del lavoro e dell'economia, tenutasi lo scorso 24 settembre dopo gli allarmi a mezzo stampa che il Governo stesse svuotando il Fondo esodati, quest'ultimo aveva ribadito l'impegno ad intervenire in sede di manovra economica per una soluzione «definitiva» della problematica esodati, utilizzando le risorse risparmiate dalle precedenti salvaguardie, al fine di superare le operazioni di salvaguardia a step;
    la cosiddetta VII salvaguardia contenuta nel provvedimento all'esame, lasciando fuori ancora 23.200 soggetti tra contributori volontari, percettori di indennità di mobilità, lavoratori che assistono familiari disabili gravi – e non solo figli –, personale della scuola, disattende, ancora una volta, le promesse del Governo, con un doppio tradimento, perché lascia per strada ancora una platea di non salvaguardati e perché utilizza le risorse risparmiate dalle precedenti sei salvaguardie anche per altri interventi, come addirittura 523 milioni di euro destinati per il Giubileo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di non disattendere nuovamente gli impegni assunti nei riguardi dei lavoratori cosiddetti esodati, in attesa di una soluzione oramai da quattro anni, e a valutare l'opportunità di prevedere negli emanandi provvedimenti i dovuti interventi per la definitiva conclusione della vicenda esodati.
9/3444-A/334. (Testo modificato nel corso della seduta) Simonetti, Fedriga, Guidesi.


   La Camera,
   premesso che:
    i volumi di traffico presenti sul territorio di Varese e Como creano congestionamenti e ingorghi che incrementano l'inquinamento atmosferico in un'area già sofferente per i livelli delle polveri sottili registrati dalle centraline ambientali;
    occorre eliminare i pedaggi previsti per le tratte denominate tangenziale di Varese-1o lotto e tangenziale di Como-1o lotto facenti parte del collegamento autostradale Dalmine-Como-Varese-Valico del Gaggiolo, per garantire maggiore fluidità e scorrevolezza al traffico;
    ai fini dell'eliminazione del pedaggiamento in tali tratte è indispensabile un contributo aggiuntivo di almeno 500 milioni in favore della società Autostrada Pedemontana Lombarda Spa e la conseguente revisione, ai fini del riequilibrio, del Piano economico finanziario, che la società Concessioni Autostradali Lombarde Spa (CAL) dovrebbe predisporre e trasmettere al CIPE per l'approvazione,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative ai fini dell'autorizzazione del contributo aggiuntivo di cui in premessa in favore della società Autostrada Pedemontana Lombarda Spa destinato al riequilibrio del piano economico finanziario, che preveda l'eliminazione del pedaggiamento nelle tratte tangenziale di Varese-1o lotto e tangenziale di Como-1o lotto facenti parte del collegamento autostradale Dalmine-Como-Varese-Valico del Gaggiolo.
9/3444-A/335Giancarlo Giorgetti, Bossi, Grimoldi, Molteni, Guidesi.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame della manovra economica per il prossimo triennio, con particolare riguardo agli interventi in materia pensionistica e relativi alla platea dei soggetti salvaguardati dai nuovi requisiti di accesso pensionistico introdotti dalla riforma Fornero con il decreto cosiddetto Salva-Italia (n. 201 del 2011);
    ricordato che, già in sede di conversione del decreto-legge n. 190 del 2014, con un emendamento approvato dalla Commissione Bilancio era stato inserito nel testo del decreto medesimo l'articolo 1-bis, recante la soluzione del personale scolastico esodato cosiddetto «quota 96»;
    rammentato che ancor prima la questione era sempre giunta in Aula in occasione dell'esame della proposta di legge relativa alla VI salvaguardia, divenuta legge n. 147 del 2014;
    evidenziato che in entrambe le occasioni la norma non è andata a buon fine per la contrarietà del Governo, nonostante le sue rassicurazioni di addivenire al più presto ad una soluzione della vicenda;
    rammentato che, nonostante le rassicurazioni dei Ministri Padoan e Poletti, in sede di audizione congiunta delle Commissioni Bilancio e Lavoro di Camera e Senato, che i risparmi derivanti dai sei precedenti provvedimenti di salvaguardia sarebbero stati destinati alla soluzione finale della problematica degli esodati;
    ribadito che la vicenda riguarda il personale scolastico che ha raggiunto i requisiti allora in vigore per il pensionamento entro l'anno scolastico 2011/2012 e divenuto a tutti gli effetti «esodato» con l'entrata in vigore della riforma Fornero, causa l'errore dell'allora Governo di confondere l'anno solare con l'anno scolastico,

impegna il Governo

a portare a conclusione definitivamente, in un prossimo emanando provvedimento di propria competenza, la vicenda del personale scuola che già quattro anni fa aveva maturato i requisiti pensionistici e contributivi richiesti per accedere al pensionamento.
9/3444-A/336Saltamartini, Simonetti, Fedriga, Borghesi.


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso dell'esame del disegno di legge C. 3444, approvato dal Senato, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)» ha aggiunto i commi da 491-bis a 491-quaterdecies, che riproducono il contenuto del decreto-legge n. 183 del 2015;
    detto provvedimento, nel quadro delle procedure di risoluzione delle crisi bancarie, ha inteso agevolare l'attuazione dei programmi di risoluzione della Cassa di risparmio di Ferrara Spa, della Banca delle Marche Spa, della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio-Società cooperativa e della Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa;
    già nel corso dell'esame del disegno di legge C. 3123, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – legge di delegazione europea 2014, con l'approvazione dell'ordine del giorno 9/3123/3 si era ritenuto necessario che i risparmiatori e i depositanti acquisissero la più ampia conoscenza circa lo strumento del bail-in contemplato dalla direttiva 2014/59/UE sul risanamento e la risoluzione del settore creditizio e degli intermediari finanziari, oggetto della delega di cui all'articolo 8 del citato disegno di legge, e circa gli effetti che l'applicazione di tale strumento avrebbero potrebbe avere sui loro depositi bancari e investimenti;
    gli accadimenti di queste ultime settimane rendono ancora più improcrastinabile un'efficace campagna informativa di risparmiatori e i depositanti;
    con la promulgazione del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 è stata data attuazione a quanto contenuto nell'articolo 8 della legge 9 luglio 2015, n. 114 (legge di delegazione europea 2014);
    le disposizioni relative al bail in, contenute nel Titolo IV, Capo IV, Sezione III del citato decreto legislativo si applicano a partire dal 1o gennaio 2016,

impegna il Governo

a dare seguito all'ordine del giorno 9/3123/3 prevedendo, anche in collaborazione con la Banca d'Italia e l'ABI, adeguate e specifiche campagne di informazione finanziaria, da realizzare anche attraverso i mezzi di comunicazione radiotelevisivi, a partire dal servizio pubblico radiotelevisivo, per informare i risparmiatori rispetto alle novità e ai rischi insiti nel nuovo strumento del bail-in, anche al fine di aumentare la consapevolezza circa l'esigenza di diversificare i loro investimenti e depositi finanziari.
9/3444-A/337Capezzone, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso dell'esame del disegno di legge C. 3444, approvato dal Senato, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)» ha aggiunto i commi da 491-bis a 491-quaterdecies, che riproducono il contenuto del decreto-legge n. 183 del 2015;
    detto provvedimento, nel quadro delle procedure di risoluzione delle crisi bancarie, ha inteso agevolare l'attuazione dei programmi di risoluzione della Cassa di risparmio di Ferrara Spa, della Banca delle Marche Spa, della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio-Società cooperativa e della Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa;
    già nel corso dell'esame del disegno di legge C. 3123, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – legge di delegazione europea 2014, con l'approvazione dell'ordine del giorno 9/3123/3 si era ritenuto necessario che i risparmiatori e i depositanti acquisissero la più ampia conoscenza circa lo strumento del bail-in contemplato dalla direttiva 2014/59/UE sul risanamento e la risoluzione del settore creditizio e degli intermediari finanziari, oggetto della delega di cui all'articolo 8 del citato disegno di legge, e circa gli effetti che l'applicazione di tale strumento avrebbero potrebbe avere sui loro depositi bancari e investimenti;
    gli accadimenti di queste ultime settimane rendono ancora più improcrastinabile un'efficace campagna informativa di risparmiatori e i depositanti;
    con la promulgazione del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 è stata data attuazione a quanto contenuto nell'articolo 8 della legge 9 luglio 2015, n. 114 (legge di delegazione europea 2014);
    le disposizioni relative al bail in, contenute nel Titolo IV, Capo IV, Sezione III del citato decreto legislativo si applicano a partire dal 1o gennaio 2016,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di dare seguito all'ordine del giorno 9/3123/3 prevedendo, anche in collaborazione con la Banca d'Italia e l'ABI, adeguate e specifiche campagne di informazione finanziaria, da realizzare anche attraverso i mezzi di comunicazione radiotelevisivi, a partire dal servizio pubblico radiotelevisivo, per informare i risparmiatori rispetto alle novità e ai rischi insiti nel nuovo strumento del bail-in, anche al fine di aumentare la consapevolezza circa l'esigenza di diversificare i loro investimenti e depositi finanziari.
9/3444-A/337. (Testo modificato nel corso della seduta) Capezzone, Palese.


   La Camera,
   premesso che:
    nel provvedimento in esame sono state introdotte alcune disposizioni da valutare positivamente per consentire al compatto dei comuni di far fronte almeno in parte ad una serie di forti criticità derivanti dalla legislazione in materia di enti locali e finanza locale a partire dal 2010;
    anche nel 2016 e nel 2017 gli enti locali potranno utilizzare i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni in materia edilizia per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere pubbliche;
    per sviluppare i processi aggregativi, è stato reso strutturale il contributo alle unioni e fusioni;
    per il 2016 sono stati esclusi 480 milioni di euro dal pareggio di bilancio per interventi di edilizia scolastica e sono stati stanziati 500 milioni di euro per un «Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia»;
    tra le novità più significative vi è, senza dubbio, il superamento delle regole del Patto di Stabilità in favore del pareggio di bilancio;
    a decorrere dal 2016 i comuni concorrono infatti alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica garantendo un nuovo saldo finanziario non negativo di competenza tra entrate finali e spese finali; tale saldo sostituisce di fatto quello precedentemente in vigore nell'ambito delle regole del patto di stabilità interno;
    l'applicazione del nuovo saldo, consente, in linea di principio ed a parità di altre condizioni, di poter spendere l'avanzo di amministrazione, leva fondamentale per il rilancio degli investimenti;
    questa possibilità, però, secondo le norme previste nel provvedimento in esame avviene limitatamente all'ammontare del fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato nel bilancio preventivo;
    il nuovo quadro normativo, seppur positivo in termini di compatto, non risolve pertanto completamente le attese di molti comuni cosiddetti «virtuosi», ovvero di quegli enti locali che, rispettando costantemente negli esercizi finanziari pregressi le regole date dallo Stato, hanno limitato notevolmente negli anni scorsi i propri investimenti e l'assunzione di nuovi mutui al fine di poter rispettare i vincoli di spesa derivanti dal patto di stabilità interno e, soprattutto, allo scopo di mettersi nella condizione di poter pagare puntualmente i propri fornitori; ciò ha inevitabilmente prodotto situazioni finanziarie in forte avanzo di amministrazione, con rilevanti giacenze di cassa. Occorre peraltro sottolineare che tali comuni cosiddetti «virtuosi», lo sono generalmente anche sul versante delle entrate, cioè presentano normalmente un fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE) molto esiguo;
    pertanto, c’è il rischio che nella realtà dei fatti si producano, per effetto delle norme previste ai commi 410 e 411 del presente provvedimento, situazioni opposte rispetto alle finalità enunciate dal Governo, ovvero che comuni che hanno sempre pagato in tempi ragionevoli i fornitori e con grandi avanzi di amministrazione non possano utilizzare questi ultimi perché hanno un FCDE basso e, al contrario, che comuni che hanno un FCDE alto abbiano una grande potenzialità di investimento, ma senza avanzi di amministrazione da utilizzare o, peggio ancora, senza disponibilità di cassa, confermato dal fatto che hanno dovuto essere aiutati dallo Stato per il pagamento dei debiti commerciali pregressi. Ci si riferisce naturalmente in questa sede all'avanzo di amministrazione dell'anno 2015, che, per essere utilizzato quale fonte di finanziamento di investimenti, deve essere «applicato al bilancio di previsione dell'anno 2016, tramite apposita delibera consiliare di variazione di bilancio»;
    in altri termini, c’è il rischio che i comuni meno virtuosi siano i più favoriti dall'applicazione del nuovo saldo, pur se non sono in grado di attivare investimenti, mentre per quelli virtuosi si rischia che permanga in gran parte l'impossibilità di far partire opere pubbliche, pur avendo risorse finanziarie proprie in cassa disponibili;
    d'altra parte i meccanismi di regolazione tra comuni previsti in questi anni per lo scambio di spazi finanziari hanno dimostrato notevoli criticità per quanto riguarda la tempistica e la mancanza di incentivi e sanzioni nei confronti degli enti che si ritrovano volumi di spazi non utilizzabili, considerato che anche per l'anno 2014 sono rimasti inutilizzati spazi finanziari per 1,8 miliardi di euro;
    la situazione sopra indicata contraddistingue in particolare molti Comuni del Veneto, come peraltro evidenziato da una apposita statistica dell'ANCI Veneto effettuata ad agosto 2015, che ha quantificato in 600 milioni di euro gli avanzi effettivi bloccati su un totale indicato a livello nazionale in circa 1,8 miliardi di euro,

impegna il Governo

ad attivare all'inizio del 2016 un tavolo di confronto cui partecipino, oltre a rappresentanti dell'Anci Nazionale, anche rappresentanti delle ANCI regionali maggiormente interessate dalla condizione di rilevanti avanzi effettivi come descritti in premessa, tra cui ANCI Veneto, per la verifica ed il monitoraggio dell'effettivo utilizzo degli avanzi di amministrazione al fine di individuare in corso d'anno le misure più idonee per consentire lo sblocco e l'utilizzo delle risorse finanziarie disponibili presso ciascun ente al fine di sostenere sui territori gli investimenti in opere pubbliche necessarie alle comunità locali, con le conseguenti ricadute positive in termini di occupazione, di Pil e di gettito fiscale.
9/3444-A/338Rubinato, Ginato, Rotta, Dal Moro, Narduolo, Zardini, Naccarato, Mognato, Zoggia, Miotto, Rostellato, Zan, De Menech, Crimì, Sbrollini, Casellato, Murer, Moretto, Crivellari.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, contiene, al capo IX «Misure urgenti in materia di energia» e, in particolare, l'articolo 36 recante «Misure a favore degli interventi di sviluppo delle regioni per la ricerca di idrocarburi», stabilisce, al comma 2, che «con la legge di stabilità per il 2015 e con quelle successive è definito per le Regioni, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica, il limite della esclusione dal patto di stabilità interno delle spese in conto capitale finanziate con le entrate delle aliquote di prodotto di cui all'articolo 20, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625»;
    la legge 23 dicembre 2014, n. 190 – legge di stabilità 2015, all'articolo 1 comma 463, introduce il pareggio di bilancio per le Regioni a statuto ordinario e modifica l'applicazione del patto di stabilità sancendo il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica da parte delle Regioni attraverso il conseguimento dei saldi tra entrate e spese;
    conseguentemente le Regioni, in sostanza, non hanno più un patto di stabilità per tetti di spesa (limite massimo), ma un patto di stabilità per saldi tra entrate finali e spese finali (come i comuni); nella citata legge n. 190 del 2014 all'articolo 1 comma 465 è poi introdotto il menzionato limite di cui al decreto-legge n. 133 del 2014, prevedendosi testualmente: «Per l'anno 2015, per gli equilibri di cui al comma 463 rilevano, nel limite complessivo di 1.720 milioni di euro: 1) ai fini degli equilibri di cassa, gli utilizzi del fondo di cassa al 1o gennaio 2015 tenendo anche conto delle entrate rivenienti dall'applicazione dell'articolo 20, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625»;
    in tale comma, quindi viene inserito un limite quantitativo di utilizzo che riguarda genericamente il fondo di cassa e che fa riferimento soltanto testualmente alle entrate rivenienti da royalties; la Basilicata ha la possibilità di utilizzare, ai fini del saldo tra entrate e uscite, entrate per circa 34 milioni di euro pari al 2 per cento dell'importo di 1.720 milioni di euro sopra citato, non tenendo conto affatto delle entrate da royalties, anche in considerazione del fatto che la Regione Basilicata ha un fondo di cassa e un avanzo di amministrazione, al 31 dicembre 2014, pari a circa 350 milioni di euro, generati in buona parte dalle royalties medesime non utilizzate negli anni precedenti per via delle limitazioni connesse al patto di stabilità;
    nella richiamata legge di stabilità 2015, all'articolo 1 comma 466, sono individuate, per il 2015, altre voci di spesa che non rilevano ai fini del richiamato saldo tra entrate e uscite;
    tra le citate voci di spesa da detrarre sono previste alcune tipologie contenute proprio nel decreto-legge n. 133 del 2014, quali ad esempio i debiti in c/capitale, unitamente ad altre spese (concessioni di crediti, eccetera),

impegna il Governo

al fine di integrare la mancata esclusione di fatto delle entrate da royalties (contenuta solo formalmente nel citato articolo 1 comma 465) e di consentire che in Basilicata tra le spese che non rilevano nei citati saldi, vi siano quelle finanziate con estrazioni di idrocarburi, ad adottare tutte le misure necessarie, ove occorra anche di carattere legislativo (quale l'integrazione attraverso un provvedimento urgente dell'articolo 1 comma 466 della legge 23 dicembre 2014 n. 190), affinché, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, nei saldi di competenza e di cassa degli Enti che beneficiano di entrate rivenienti dall'applicazione dell'articolo 20, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, superiori a 80 milioni, non rilevino le spese di cui all'articolo 36 comma 2 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, entro il limite di euro 100 milioni.
9/3444-A/339Speranza, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame interviene positivamente in favore del settore culturale e dello spettacolo dal vivo tuttavia è necessario porre l'attenzione sulla preoccupante situazione in cui versano, su tutto il territorio nazionale, teatri di prosa e compagnie teatrali di rilevanza, importanti organizzazioni concertistiche la cui scomparsa sarebbe non solo un grave impoverimento culturale ma creerebbe una pesante, ricaduta in termini di perdita di posti di lavoro nel settore dello spettacolo dal vivo e anche una seria incidenza negativa sull'indotto che ruota attorno alle attività di teatro e musica,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di prevedere ulteriori interventi volti a sostenere queste imprese e gli operatori del settore.
9/3444-A/340Carocci, Malisani, Rampi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca diversi interventi in materia fiscale volti a disciplinare la possibilità di utilizzare la compensazione tributaria al fine di incentivare particolari categorie di contribuenti (i commi 449-bis-449-quater dell'articolo 1 concedono agli avvocati che vantano crediti per spese di giustizia nei confronti dello Stato di compensare tali importi con imposte e contributi) e particolari categorie di prodotti (l'articolo 1, comma 516 incrementa le percentuali di compensazione dell'Iva applicabili al commercio di carne);
    in questo contesto sarebbe necessario un intervento volto definire in modo chiaro ed inequivocabile le modalità di compensazione previste dall'articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, al fine di ridurre il crescente contenzioso creatosi negli ultimi anni;
    in particolare risulta necessaria la definizione, nell'ambito del citato articolo 34, dei crediti erariali che possono essere effettivamente utilizzati in compensazione, inserendo in modo specifico anche la voce delle imposte a credito che si differenziano dai crediti d'imposta – dizione che appartiene alle agevolazioni fiscali – e quella dei contributi – dizione che appartiene alla finanza agevolata;
    il citato articolo 34 pone inoltre un limite di compensazione pari a 700 mila euro che risulterebbe necessario al fine di tenere sotto controllo eventuali comportamenti fraudolenti, tuttavia i contribuenti, che ricadono nelle condizioni previste dall'articolo 30, terzo comma del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, sono ben conosciuti dall'Erario e i controlli per prevenire eventuali comportamenti fraudolenti sono facilmente e velocemente attuabili; si consideri che le dichiarazioni dei redditi richiedono la compilazione di un apposito quadro, dunque, i contribuenti che operano in tale regime sono ben conosciuti dall'Amministrazione finanziaria;
    fermo restando il sistema sanzionatorio attuale, per il superamento del limite di cui al citato articolo 34, si rende necessario altresì intervenire al fine di precisare che l'indebito utilizzo del credito non dovrebbe essere eguagliato all'inesistenza del credito e pertanto, sia sotto il profilo tributario che sotto quello penale, sarebbe necessaria una dovuta differenziazione;
    nel caso di utilizzo del credito erariale oltre il limite prefissato di euro 700.000,00 sarebbe opportuno pertanto prevedere l'applicazione dagli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dell'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 in materia Iva;
    l'applicazione di tale dispositivo normativo darebbe la facoltà al contribuente, che conosce la violazione commessa, di aderire alla sanzione ridotta;
    un intervento di modifica dell'istituto della compensazione dei crediti erariali potrebbe portare un aiuto sostanziale a tutti quei contribuenti che oggi operano in settori difficili come l'agricoltura, l'alimentare e l'edilizia,

impegna il Governo

al fine agevolare i contribuenti che oggi operano in settori difficili come l'agricoltura, l'alimentare e l'edilizia, a valutare l'opportunità di intervenire sull'istituto della compensazione dei crediti erariali al fine di definire in modo chiaro quali siano i crediti erariali che possono essere effettivamente utilizzati in compensazione, evitando inoltre l'applicazione del limite pari a 700 mila euro nei confronti dei contribuenti che ricadono nelle condizioni previste dall'articolo 30, terzo comma del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, in quanto soggetti ad un regime speciale di trasparenza delle operazioni, nonché a prevedere una distinzione sotto il profilo sanzionatorio, sia tributario, sia penale, tra, l'indebito utilizzo del credito e l'inesistenza del credito, dando la facoltà al contribuente che conosce la violazione commessa di aderire alla sanzione ridotta.
9/3444-A/341Capozzolo, Fregolent, Lodolini, Zoggia, Marco Meloni, Ginato, Moretto, Fragomeli, Marco Di Maio.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca diversi interventi in materia fiscale volti a disciplinare la possibilità di utilizzare la compensazione tributaria al fine di incentivare particolari categorie di contribuenti (i commi 449-bis-449-quater dell'articolo 1 concedono agli avvocati che vantano crediti per spese di giustizia nei confronti dello Stato di compensare tali importi con imposte e contributi) e particolari categorie di prodotti (l'articolo 1, comma 516 incrementa le percentuali di compensazione dell'Iva applicabili al commercio di carne);
    in questo contesto sarebbe necessario un intervento volto definire in modo chiaro ed inequivocabile le modalità di compensazione previste dall'articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, al fine di ridurre il crescente contenzioso creatosi negli ultimi anni;
    in particolare risulta necessaria la definizione, nell'ambito del citato articolo 34, dei crediti erariali che possono essere effettivamente utilizzati in compensazione, inserendo in modo specifico anche la voce delle imposte a credito che si differenziano dai crediti d'imposta – dizione che appartiene alle agevolazioni fiscali – e quella dei contributi – dizione che appartiene alla finanza agevolata;
    il citato articolo 34 pone inoltre un limite di compensazione pari a 700 mila euro che risulterebbe necessario al fine di tenere sotto controllo eventuali comportamenti fraudolenti, tuttavia i contribuenti, che ricadono nelle condizioni previste dall'articolo 30, terzo comma del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, sono ben conosciuti dall'Erario e i controlli per prevenire eventuali comportamenti fraudolenti sono facilmente e velocemente attuabili; si consideri che le dichiarazioni dei redditi richiedono la compilazione di un apposito quadro, dunque, i contribuenti che operano in tale regime sono ben conosciuti dall'Amministrazione finanziaria;
    fermo restando il sistema sanzionatorio attuale, per il superamento del limite di cui al citato articolo 34, si rende necessario altresì intervenire al fine di precisare che l'indebito utilizzo del credito non dovrebbe essere eguagliato all'inesistenza del credito e pertanto, sia sotto il profilo tributario che sotto quello penale, sarebbe necessaria una dovuta differenziazione;
    nel caso di utilizzo del credito erariale oltre il limite prefissato di euro 700.000,00 sarebbe opportuno pertanto prevedere l'applicazione dagli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dell'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 in materia Iva;
    l'applicazione di tale dispositivo normativo darebbe la facoltà al contribuente, che conosce la violazione commessa, di aderire alla sanzione ridotta;
    un intervento di modifica dell'istituto della compensazione dei crediti erariali potrebbe portare un aiuto sostanziale a tutti quei contribuenti che oggi operano in settori difficili come l'agricoltura, l'alimentare e l'edilizia,

impegna il Governo

al fine agevolare i contribuenti che oggi operano in settori difficili come l'agricoltura, l'alimentare e l'edilizia, a valutare l'opportunità di intervenire sull'istituto della compensazione dei crediti erariali al fine di definire in modo chiaro quali siano i crediti erariali che possono essere effettivamente utilizzati in compensazione, evitando inoltre l'applicazione del limite pari a 700 mila euro nei confronti dei contribuenti che ricadono nelle condizioni previste dall'articolo 30, terzo comma del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, in quanto soggetti ad un regime speciale di trasparenza delle operazioni, nonché a valutare l'opportunità di prevedere una distinzione sotto il profilo sanzionatorio, sia tributario, sia penale, tra, l'indebito utilizzo del credito e l'inesistenza del credito, dando la facoltà al contribuente che conosce la violazione commessa di aderire alla sanzione ridotta.
9/3444-A/341. (Testo modificato nel corso della seduta) Capozzolo, Fregolent, Lodolini, Zoggia, Marco Meloni, Ginato, Moretto, Fragomeli, Marco Di Maio.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 534-duodecies del provvedimento in esame istituisce presso il Ministero della salute il Fondo per il gioco d'azzardo patologico-GAP, al fine di garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione delle persone affette. Il Fondo è ripartito tra le regioni e le province autonome sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro della salute da emanare entro sessanta giorni, sentita la Conferenza Stato regioni e entri locali. Per la dotazione del fondo è autorizzata la spesa di 50 milioni di euro annui a decorrere dal 2016;
    per le medesime finalità sopra citate, l'articolo 1, comma 133, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabilità 2015, destina annualmente, a decorrere dall'anno 2015, nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale una quota pari a 50 milioni di euro per (a cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo, come definite dall'Organizzazione mondiale della sanità;
    al fine di un maggior coordinamento delle risorse e per garantire l'efficienza e la razionalizzazione della spesa, evitando la duplicazione di procedure amministrative, appare opportuno intervenire in sede amministrativa al fine di prevedere che le risorse, pari a 50 milioni di euro annui, destinate alla cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo, nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale previste ai sensi del citato articolo 1, comma 133 della legge di stabilità 2015, confluiscano nel fondo che viene istituito a decorrere dal 2016 presso il Ministero della salute ai sensi del citato articolo 1, comma 534-duodecies, previsto dal presente provvedimento in via di approvazione,

impegna il Governo

al fine di un maggior coordinamento delle risorse e per garantire l'efficienza e la razionalizzazione della spesa, evitando la duplicazione di procedure amministrative, ad incrementare le risorse del Fondo per il gioco d'azzardo patologico-GAP, istituito presso il Ministero della salute ai sensi dell'articolo 1, comma 534-duodecies portando la dotazione attualmente prevista di 50 milioni annui a decorrere dal 2016 a 100 milioni annui, allo scopo utilizzando, con un provvedimento, se possibile in sede amministrativa, le risorse del finanziamento del Servizio sanitario nazionale già destinate alle medesime finalità previste ai sensi dell'articolo 1, comma 133 della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
9/3444-A/342Ginato, Miotto, Basso, Carnevali.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 534-duodecies del provvedimento in esame istituisce presso il Ministero della salute il Fondo per il gioco d'azzardo patologico-GAP, al fine di garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione delle persone affette. Il Fondo è ripartito tra le regioni e le province autonome sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro della salute da emanare entro sessanta giorni, sentita la Conferenza Stato regioni e entri locali. Per la dotazione del fondo è autorizzata la spesa di 50 milioni di euro annui a decorrere dal 2016;
    per le medesime finalità sopra citate, l'articolo 1, comma 133, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabilità 2015, destina annualmente, a decorrere dall'anno 2015, nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale una quota pari a 50 milioni di euro per (a cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo, come definite dall'Organizzazione mondiale della sanità;
    al fine di un maggior coordinamento delle risorse e per garantire l'efficienza e la razionalizzazione della spesa, evitando la duplicazione di procedure amministrative, appare opportuno intervenire in sede amministrativa al fine di prevedere che le risorse, pari a 50 milioni di euro annui, destinate alla cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo, nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale previste ai sensi del citato articolo 1, comma 133 della legge di stabilità 2015, confluiscano nel fondo che viene istituito a decorrere dal 2016 presso il Ministero della salute ai sensi del citato articolo 1, comma 534-duodecies, previsto dal presente provvedimento in via di approvazione,

impegna il Governo

al fine di un maggior coordinamento delle risorse e per garantire l'efficienza e la razionalizzazione della spesa, evitando la duplicazione di procedure amministrative, a valutare l'opportunità di incrementare le risorse del Fondo per il gioco d'azzardo patologico-GAP, istituito presso il Ministero della salute ai sensi dell'articolo 1, comma 534-duodecies portando la dotazione attualmente prevista di 50 milioni annui a decorrere dal 2016 a 100 milioni annui, allo scopo utilizzando, con un provvedimento, se possibile in sede amministrativa, le risorse del finanziamento del Servizio sanitario nazionale già destinate alle medesime finalità previste ai sensi dell'articolo 1, comma 133 della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
9/3444-A/342. (Testo modificato nel corso della seduta) Ginato, Miotto, Basso, Carnevali.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di stabilità contiene le misure già disposte dall'intervento normativo di cui al decreto-legge n. 183 del 2015, ed è strettamente connesso con le procedure di risoluzione avviate dalla Banca d'Italia nei confronti di alcune banche in amministrazione straordinaria (Cassa di risparmio di Ferrara Spa, Banca delle Marche Spa, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio-Società cooperativa, Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa), prevedendo norme per l'attuazione dei programmi di risoluzione;
    l'intervento non contiene norme tese alla piena tutela del personale dipendente degli istituti di credito,

impegna il Governo

ad adottare ogni opportuna iniziativa di competenza affinché gli istituti di credito oggetto dell'intervento riportato in premessa siano vincolati a non procedere a licenziamenti nei trentasei mesi successivi l'avvio delle procedure disposte dalle norme introdotte.
9/3444-A/343Polverini.


   La Camera,
   premesso che:
    con le disposizioni contenute nei commi 279-282 dell'articolo 1 del disegno di legge di Stabilità 2016, come è noto, è stata introdotta una nuova disciplina volta a rafforzare la propensione digitale dell'amministrazione attraverso l'implementazione dei servizi informatici e di connettività, per ciascuna amministrazione o categoria di amministrazioni, nonché volta a garantire l'ottimizzazione e la razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi nel settore informatico; a tal fine l'Agenzia per l'Italia digitale (Agid) dovrà predisporre un Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione (approvato dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro delegato), con l'obiettivo di un risparmio di spesa annuale, da riutilizzare, dalle medesime amministrazioni, prioritariamente per investimenti in materia di innovazione tecnologica;
    rilevato che nell'attuale scenario di rafforzamento di tutte le opzioni volte a rimuovere ostacoli e barriere di ogni tipo, regolatorio, amministrativo, finanziario, per la massima diffusione di ogni forma di strumento o istituto rispondente effettivamente alle caratteristiche alle quali intende mirare il progetto di diffusione delle modalità telematiche per il dialogo tra cittadino e amministrazione, in coerenza con tutte le misure adottate anche nella presente legge di stabilità;
    considerato che, in tale contesto, assume un rilievo decisivo l'armonizzazione della relativa all'attribuzione dell'aggio riconosciuto ai rivenditori autorizzati, relativo alla riscossione dei valori bollati in modalità telematica, a quella dei valori bollati tradizionali, ad oggi integralmente sostituita dalla nuova modalità;
    ritenuto che, pertanto, essendo stata riorientata la riscossione dei valori bollati unicamente nella modalità telematica occorre procedere quanto prima al riordino della disciplina del relativo aggio per i rivenditori, pena l'abbandono da parte di costoro di un servizio che altrimenti, pur a fronte dei muovi costi sostenuti dai tabaccai per effetto del mutamento descritto sistema di vendita dei valori bollati, dovrebbe considerarsi non più remunerato dall'amministrazione che pure ha (in maniera condivisibile) chiaramente optato per la diffusione esclusivamente in modalità telematica di tale attività, per gli evidenti benefici in termini di sicurezza, contrasto alle frodi, economia di produzione e diffusione;
    ritenuto che tali interventi, con il ripristino dell'aggio nelle misure originariamente stabilite, ovvero pari al 5 per cento, richiedono misure correttive di limitato impatto e agevole gestione delle previsioni attualmente contenute nell'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica n. 642 del 1972, che comportano effetti finanziari certamente comparabili con i benefici anche finanziari derivanti dal radicamento della più sicura, economica e celere modalità di riscossione predetta,

impegna il Governo

compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, ad adottare ogni intervento idoneo a procedere nel più breve tempo possibile all'armonizzazione della disciplina in materia di riscossione dei valori bollati in modalità telematica rispetto a quella tradizionale, nei termini precisati in premessa.
9/3444-A/344Giacomoni.


   La Camera,
   premesso che:
    con le disposizioni contenute nei commi 279-282 dell'articolo 1 del disegno di legge di Stabilità 2016, come è noto, è stata introdotta una nuova disciplina volta a rafforzare la propensione digitale dell'amministrazione attraverso l'implementazione dei servizi informatici e di connettività, per ciascuna amministrazione o categoria di amministrazioni, nonché volta a garantire l'ottimizzazione e la razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi nel settore informatico; a tal fine l'Agenzia per l'Italia digitale (Agid) dovrà predisporre un Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione (approvato dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro delegato), con l'obiettivo di un risparmio di spesa annuale, da riutilizzare, dalle medesime amministrazioni, prioritariamente per investimenti in materia di innovazione tecnologica;
    rilevato che nell'attuale scenario di rafforzamento di tutte le opzioni volte a rimuovere ostacoli e barriere di ogni tipo, regolatorio, amministrativo, finanziario, per la massima diffusione di ogni forma di strumento o istituto rispondente effettivamente alle caratteristiche alle quali intende mirare il progetto di diffusione delle modalità telematiche per il dialogo tra cittadino e amministrazione, in coerenza con tutte le misure adottate anche nella presente legge di stabilità;
    considerato che, in tale contesto, assume un rilievo decisivo l'armonizzazione della relativa all'attribuzione dell'aggio riconosciuto ai rivenditori autorizzati, relativo alla riscossione dei valori bollati in modalità telematica, a quella dei valori bollati tradizionali, ad oggi integralmente sostituita dalla nuova modalità;
    ritenuto che, pertanto, essendo stata riorientata la riscossione dei valori bollati unicamente nella modalità telematica occorre procedere quanto prima al riordino della disciplina del relativo aggio per i rivenditori, pena l'abbandono da parte di costoro di un servizio che altrimenti, pur a fronte dei muovi costi sostenuti dai tabaccai per effetto del mutamento descritto sistema di vendita dei valori bollati, dovrebbe considerarsi non più remunerato dall'amministrazione che pure ha (in maniera condivisibile) chiaramente optato per la diffusione esclusivamente in modalità telematica di tale attività, per gli evidenti benefici in termini di sicurezza, contrasto alle frodi, economia di produzione e diffusione;
    ritenuto che tali interventi, con il ripristino dell'aggio nelle misure originariamente stabilite, ovvero pari al 5 per cento, richiedono misure correttive di limitato impatto e agevole gestione delle previsioni attualmente contenute nell'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica n. 642 del 1972, che comportano effetti finanziari certamente comparabili con i benefici anche finanziari derivanti dal radicamento della più sicura, economica e celere modalità di riscossione predetta,

impegna il Governo

compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, a valutare l'opportunità di adottare ogni intervento idoneo a procedere nel più breve tempo possibile all'armonizzazione della disciplina in materia di riscossione dei valori bollati in modalità telematica rispetto a quella tradizionale, nei termini precisati in premessa.
9/3444-A/344. (Testo modificato nel corso della seduta) Giacomoni.


   La Camera,
   premesso che:
    premesso che la previsione di cui all'articolo 1, comma 373, inserita in un complesso e frammentato quadro normativo, disciplina la riorganizzazione della Scuola Nazionale dell'Amministrazione; in questo contesto si prevede la riduzione dei servizi strumentali, del numero complessivo dei docenti, un risparmio di spesa di almeno il 10 per cento dei trasferimenti dal bilancio dello Stato e, in tale contesto, a decorrere dal 1o gennaio 2016, la applicazione di un nuovo regime retributivo per i docenti già in servizio, il cui contenuto concreto però potrà emergere solo in seguito al completamento dei tanti e articolati passaggi procedurali ed atti normativi ed amministrativi nei quali è segmentata la operazione di riordino suddetta;
    rilevato che, infatti, per effetto delle disposizioni del disegno di legge di Stabilità per il 2016 sopra menzionate si pone mano ad un ulteriore intervento di riordino della Scuola Nazionale dell'Amministrazione, ripetutamente interessata negli ultimi mesi da misure di riorganizzazione, revisione della struttura, ridefinizione della missione istituzionale, a volte anche sovrapposte e comunque ancora in itinere, nel senso che, ferma l'attribuzione al Governo di una potestà di riordino regolamentare conferita ai sensi dell'articolo 21 del decreto-legge n. 90/2014 per taluni aspetti organizzativi per i quali non è stato ancora adottato il provvedimento previsto, è altresì tuttora pendente il termine per l'adozione di un decreto legislativo in materia previsto dalla legge di riforma della P.A. (articolo 11, lettera d) legge 7 agosto 2015, n. 214) in grado di abbracciare anche tali aspetti;
    considerato che pur in questo quadro ricco di opzioni di intervento consentite al Governo per la migliore disciplina della materia, con le disposizioni menzionate del presente disegno di legge di Stabilità 2016 si detta una ulteriore disposizione di legge sullo stesso oggetto che però, proprio per l'intreccio normativo determinatosi, rende più confuso ed incerto il quadro complessivo di riferimento, piuttosto che semplificare;
    ritenuto che, infatti, la disposizione sopra ricordata, così come formulata, pare dare adito a diverse perplessità principalmente in quanto si interviene su pretesi effetti derivanti da un futuro ed ipotetico decreto legislativo (in quanto non ancora adottato); ma in questo modo si interviene in relazione ad una normativa non ancora prodotta, per pretese esigenze di rimodulazione di effetti non prodottisi, e pertanto che, non solo non si sono manifestati né possono comunque apprezzarsi, ma che si devono qualificare quanto meno eventuali in quanto allo stato la delega non è stata esercitata e nulla esclude che possa non essere esercitata, o non per tutti i criteri di delega conferiti, né tanto meno può ipotizzarsi ora con quali contenuti specifici;
    rilevato altresì che la disposizione medesima incide su di una disposizione riferita ad una legge di delega prima che sia scaduto il termine per il relativo esercizio, ma non per modificare qualcuno dei criteri di delega previsti (esito comunque non consentito in legge di stabilità, ove, come nel caso di specie, si miri esclusivamente ad una ridefinizione meramente ordinamentale del quadro di riferimento), bensì per anticiparne in qualche modo gli effetti che sono ricondotti pur sempre all'esercizio di quella delega legislativa che resta nella disponibilità dell'Esecutivo. Infatti, sarebbe fin troppo facile notare, che lo stesso intervento di cui alla legge si Stabilità sopra menzionato ben potrebbe essere frustrato o ulteriormente modificato o persino posto nel nulla proprio in sede di esercizio di quella delega legislativa il cui termine è ancora pendente, con quali conseguenze in termini di chiarezza del quadro normativo di riferimento è fin troppo agevole cogliere;
    considerato che la disposizione, così come formulata, risponde all'unica finalità di prevedere una applicazione retroattiva di previsioni oggetto di quell'intervento di attuazione della delega legislativa di cui si è detto (che, come precisato, allo stato non sono stati adottati, né è detto che lo siano fino alla scadenza del termine di legge, né tanto meno può prevedersi ora con quali contenuti, tanto da consentire al legislatore della legge di stabilità di rimodularne gli effetti): intervenendo in maniera retroattiva su diritti soggettivi perfetti, la disposizione apre il campo ad un contenzioso non difficile da prevedere, tenuto conto della costante giurisprudenza costituzionale in materia, con conseguenze onerose per l'erario (non stimate né tanto meno provviste di adeguata copertura finanziaria nel provvedimento);
    considerato che la coniugazione delle diverse esigenze in campo (prima di tutto contenimento della spesa pubblica e salvaguardia di principi di valenza costituzionale in tema di diritti soggetti perfetti) può essere garantita attraverso la previsione di un generale criterio informatore per la rimodulazione dei trattamenti retributivi in discorso, e cioè che qualora il trattamento economico in godimento sia superiore al trattamento economico rideterminato ai sensi delle diverse disposizioni in materia, per i dipendenti interessati sia prevista la conservazione, anche ai fini contributivi e previdenziali, del solo trattamento economico fondamentale, con il riassorbimento della eventuale differenza a valere sugli eventuali futuri miglioramenti retributivi,

impegna il Governo

ad adottare ogni intervento interpretativo ed attuativo idoneo ad assicurare la corrispondenza tra le misure di prossima adozione ai sensi della legge di Stabilità sopra menzionate in tema di riordino della Scuola Nazionale dell'Amministrazione e quanto precisato in premessa, anche al fine di evitare gli oneri per le amministrazioni pubbliche connessi con gli esiti di un contenzioso diffuso in materia ove si intervenisse in senso difforme da quanto più volte chiarito dalla Corte Costituzionale in materia.
9/3444-A/345Polidori.


   La Camera,
   premesso che:
    premesso che la previsione di cui all'articolo 1, comma 373, inserita in un complesso e frammentato quadro normativo, disciplina la riorganizzazione della Scuola Nazionale dell'Amministrazione; in questo contesto si prevede la riduzione dei servizi strumentali, del numero complessivo dei docenti, un risparmio di spesa di almeno il 10 per cento dei trasferimenti dal bilancio dello Stato e, in tale contesto, a decorrere dal 1o gennaio 2016, la applicazione di un nuovo regime retributivo per i docenti già in servizio, il cui contenuto concreto però potrà emergere solo in seguito al completamento dei tanti e articolati passaggi procedurali ed atti normativi ed amministrativi nei quali è segmentata la operazione di riordino suddetta;
    rilevato che, infatti, per effetto delle disposizioni del disegno di legge di Stabilità per il 2016 sopra menzionate si pone mano ad un ulteriore intervento di riordino della Scuola Nazionale dell'Amministrazione, ripetutamente interessata negli ultimi mesi da misure di riorganizzazione, revisione della struttura, ridefinizione della missione istituzionale, a volte anche sovrapposte e comunque ancora in itinere, nel senso che, ferma l'attribuzione al Governo di una potestà di riordino regolamentare conferita ai sensi dell'articolo 21 del decreto-legge n. 90/2014 per taluni aspetti organizzativi per i quali non è stato ancora adottato il provvedimento previsto, è altresì tuttora pendente il termine per l'adozione di un decreto legislativo in materia previsto dalla legge di riforma della P.A. (articolo 11, lettera d) legge 7 agosto 2015, n. 214) in grado di abbracciare anche tali aspetti;
    considerato che pur in questo quadro ricco di opzioni di intervento consentite al Governo per la migliore disciplina della materia, con le disposizioni menzionate del presente disegno di legge di Stabilità 2016 si detta una ulteriore disposizione di legge sullo stesso oggetto che però, proprio per l'intreccio normativo determinatosi, rende più confuso ed incerto il quadro complessivo di riferimento, piuttosto che semplificare;
    ritenuto che, infatti, la disposizione sopra ricordata, così come formulata, pare dare adito a diverse perplessità principalmente in quanto si interviene su pretesi effetti derivanti da un futuro ed ipotetico decreto legislativo (in quanto non ancora adottato); ma in questo modo si interviene in relazione ad una normativa non ancora prodotta, per pretese esigenze di rimodulazione di effetti non prodottisi, e pertanto che, non solo non si sono manifestati né possono comunque apprezzarsi, ma che si devono qualificare quanto meno eventuali in quanto allo stato la delega non è stata esercitata e nulla esclude che possa non essere esercitata, o non per tutti i criteri di delega conferiti, né tanto meno può ipotizzarsi ora con quali contenuti specifici;
    rilevato altresì che la disposizione medesima incide su di una disposizione riferita ad una legge di delega prima che sia scaduto il termine per il relativo esercizio, ma non per modificare qualcuno dei criteri di delega previsti (esito comunque non consentito in legge di stabilità, ove, come nel caso di specie, si miri esclusivamente ad una ridefinizione meramente ordinamentale del quadro di riferimento), bensì per anticiparne in qualche modo gli effetti che sono ricondotti pur sempre all'esercizio di quella delega legislativa che resta nella disponibilità dell'Esecutivo. Infatti, sarebbe fin troppo facile notare, che lo stesso intervento di cui alla legge si Stabilità sopra menzionato ben potrebbe essere frustrato o ulteriormente modificato o persino posto nel nulla proprio in sede di esercizio di quella delega legislativa il cui termine è ancora pendente, con quali conseguenze in termini di chiarezza del quadro normativo di riferimento è fin troppo agevole cogliere;
    considerato che la disposizione, così come formulata, risponde all'unica finalità di prevedere una applicazione retroattiva di previsioni oggetto di quell'intervento di attuazione della delega legislativa di cui si è detto (che, come precisato, allo stato non sono stati adottati, né è detto che lo siano fino alla scadenza del termine di legge, né tanto meno può prevedersi ora con quali contenuti, tanto da consentire al legislatore della legge di stabilità di rimodularne gli effetti): intervenendo in maniera retroattiva su diritti soggettivi perfetti, la disposizione apre il campo ad un contenzioso non difficile da prevedere, tenuto conto della costante giurisprudenza costituzionale in materia, con conseguenze onerose per l'erario (non stimate né tanto meno provviste di adeguata copertura finanziaria nel provvedimento);
    considerato che la coniugazione delle diverse esigenze in campo (prima di tutto contenimento della spesa pubblica e salvaguardia di principi di valenza costituzionale in tema di diritti soggetti perfetti) può essere garantita attraverso la previsione di un generale criterio informatore per la rimodulazione dei trattamenti retributivi in discorso, e cioè che qualora il trattamento economico in godimento sia superiore al trattamento economico rideterminato ai sensi delle diverse disposizioni in materia, per i dipendenti interessati sia prevista la conservazione, anche ai fini contributivi e previdenziali, del solo trattamento economico fondamentale, con il riassorbimento della eventuale differenza a valere sugli eventuali futuri miglioramenti retributivi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni intervento interpretativo ed attuativo idoneo ad assicurare la corrispondenza tra le misure di prossima adozione ai sensi della legge di Stabilità sopra menzionate in tema di riordino della Scuola Nazionale dell'Amministrazione e quanto precisato in premessa, anche al fine di evitare gli oneri per le amministrazioni pubbliche connessi con gli esiti di un contenzioso diffuso in materia ove si intervenisse in senso difforme da quanto più volte chiarito dalla Corte Costituzionale in materia.
9/3444-A/345. (Testo modificato nel corso della seduta) Polidori.


   La Camera,
   premesso che:
    le attività di formazione professionale sono fondamentali per accrescere l'occupazione e per lo sviluppo produttivo del paese,

impegna il Governo:

   a disporre che l'articolo 19, comma 2, primo periodo del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione alle attività formative svolte dagli organismi di formazione professionale che percepiscono contributi pubblici, anche erogati ai sensi dell'articolo 12 della legge 7 agosto 1990 n. 241, si interpreti nel senso che l'IVA, assolta sull'acquisto di beni e servizi è detraibile se i beni e servizi acquistati con tali contributi sono utilizzati per l'effettuazione di operazioni imponibili che danno diritto alla detrazione;
    a disporre che resti ferma la detrazione dell'imposta sugli acquisti di beni e servizi assolta anteriormente all'entrata in vigore della legge di stabilità 2016 dagli organismi di formazione professionale per la realizzazione di attività formative a qualifica, ancorché in relazione alle stesse abbiano ricevuto contributi ai sensi dell'articolo 12 della legge 241 del 1990, nel solo caso in cui la citata imposta non sia stata considerata quale costo finanziato dal contributo, nonché a disporre che non si faccia luogo, in ogni caso, al rimborso dell'imposta non detratta;
    a disporre che, in coerenza con quanto previsto dall'articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 ottobre 2008, n. 196, gli enti che, anche ai sensi dell'articolo 12 della legge 7 agosto 1990 n. 241, erogano contributi pubblici in relazione alle attività formative svolte dagli organismi di formazione professionale, tengano conto nella determinazione dei contributi, dell'imposta sul valore aggiunto assolta sugli acquisti di beni e servizi che, ai sensi dello stesso articolo 7 del decreto n. 196 del 2008 si consideri realmente e definitivamente sostenuta dal beneficiario.
9/3444-A/346Sandra Savino.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di stabilità 2016 prevede misure volte all'avvio di procedure concorsuali per l'assunzione di personale a tempo indeterminato presso il Ministero dei beni culturali, ambientali e del turismo;
    il suddetto Ministero ha pubblicato nel corso del 2007, 10 bandi, rivolti alla riqualificazione esclusiva del personale interno, che mettevano a concorso 920 posti totali per differenti profili di funzionario (ex qualifica funzionale C1, oggi III area prima fascia);
    di questi 920 unità di personale previste inizialmente ne sono state assunte 460 come prima istanza;
    l'articolo 24, comma 1, del decreto legislativo n. 150/2009, nell'introdurre nuove regole in materia di progressioni di carriera, ha previsto che, a decorrere dal 1o gennaio 2010, le amministrazioni pubbliche coprono i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici prevedendo una riserva non superiore al 50 percento dei posti messi a concorso a favore del personale interno;
    l'articolo 1, comma 269, della legge 23 dicembre 2014 n. 190 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», ha previsto che: «L'Agenzia delle dogane e dei monopoli, in via straordinaria, per l'anno 2015, ai fini della copertura dei posti vacanti, è autorizzata allo scorrimento delle graduatorie relative alle procedure concorsuali interne già bandite alla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei limiti assunzionali previsti dalla normativa vigente,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere che, nell'ambito del piano di assunzioni presso il Mibact previsto dalla legge di stabilità 2016, una quota percentuale dei posti sia riservato al personale interno di cui alle graduatorie degli idonei dei passaggi d'area.
9/3444-A/347Longo, Petrenga.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 2016, ai commi 192-octies e 192-novies dell'articolo 1, interviene in materia di spese connesse agli interventi di tutela delle minoranze linguistiche storiche;
    la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie indica la protezione delle lingue regionali o minoritarie storiche dell'Europa, alcune delle quali rischiano di scomparire col passare del tempo, come azione volta a contribuire, conservare e sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturali dell'Europa;
    la Repubblica, in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali tutela, promuove e valorizzazione le lingue e le culture presenti sul territorio nazionale, tra cui quella sarda e quelle albanese, grecanica e occitana;
    le prime risultanze di insediamenti umani in Sardegna risalgono al Neolitico e ancora oggi i simboli della civiltà nuragica costituiscono un emblema dell'identità etno-politica-nazionale dei Sardi;
    nelle regioni dell'Italia meridionale, in particolar modo in Calabria, le comunità albanese, grecanica e occitana hanno trovato accoglienza e vivono, perfettamente integrate, mantenendo comunque vivi stili di vita e tradizioni originarie la cui ricchezza è ormai parte integrante delle nostre tradizioni;
    la normativa in materia di tutela dei diritti delle minoranze linguistiche prevedono la sottoscrizione di una convenzione tra il Ministero delle sviluppo economico e la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo affinché nel conseguente contratto di servizio siano assicurate le condizioni per la tutela delle minoranze linguistiche nelle zone di appartenenza;
    nell'ambito su indicato anche le Regioni possono stipulare convenzioni in materia con la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo per trasmissioni giornalistiche o programmi nelle lingue ammesse a tutela, nell'ambito delle programmazioni radiofoniche e televisive regionali della medesima società concessionaria;
    rammentato altresì il legame tra l’«ordinamento della comunicazione» e la tutela della libertà d'informazione e, quindi, il valore costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero sancito dall'articolo 21 della Costituzione (Corte costituzionale, sentenza n. 348 del 1990);
    la Corte costituzionale ha affermato, con sentenza n. 159 del 2009, la tutela delle minoranze linguistiche costituisce principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale (sentenze n. 15 del 1996, n. 261 del 1995 e n. 768 del 1988) che si situa al punto di incontro con altri principi, talora definiti «supremi», che qualificano indefettibilmente e necessariamente l'ordinamento vigente (sentenze n. 62 del 1992, n. 768 del 1988, n. 289 del 1987 e n. 312 del 1983);
    la Corte, inoltre, nel sottolineare che la lingua costituisce un elemento di identità individuale e collettiva di importanza basilare, riconduce la tutela di questo aspetto di specificità delle minoranze nell'alveo dei principi fondamentali della Carta costituzionale, richiamando in particolare, il principio pluralistico, riconosciuto dall'articolo 2 e il principio di eguaglianza riconosciuto dall'articolo 3 che, al primo comma stabilisce la pari dignità sociale e l'eguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini, senza distinzione di lingua e, nel secondo comma, prescrive l'adozione di norme che valgano anche positivamente per rimuovere le situazioni di fatto da cui possano derivare conseguenze discriminatorie (sentenza n. 15 del 1996) (...);
    l'Italia è tra i pochi stati europei occidentali che ancora oggi non ha ratificato la Carta Europea delle Lingue regionali e minoritarie,

impegna il Governo

a promuovere iniziative volte alla concreta attuazione della legislazione vigente in materia di tutela delle minoranze linguistiche, nell'ambito della programmazione e dell'organizzazione della Rai, così come previsto dalla legge n. 482 del 1999, in particolar modo per quel che riguarda la lingua sarda e quelle proprie delle comunità albanesi, grecaniche e occitane in Calabria.
9/3444-A/348Nizzi, Occhiuto.


   La Camera,
   premesso che:
    la tranvia Milano-Limbiate è una linea tranviaria interurbana che collega Milano, a Limbiate su un asse viaria ad intenso flusso;
   considerato che:
    a causa delle carenze infrastrutturali venne previsto l'intervento di riqualificazione della tranvia extraurbana Milano-Limbiate, nella tratta Comasina-deposito Varedo, finanziato con le risorse della legge n. 133 del 2008;
    tali risorse, sono state impegnate dal MIT con decreto n. 4107 del 28 dicembre 2010 a conclusione della procedura di cui al decreto ministeriale n. 99 del 2009;
    il CIPE, con delibera n. 91 del 6 dicembre 2011, esaminate e condivise le valutazioni effettuate dalla competente commissione di alta vigilanza, ha approvato il programma degli interventi ammissibili a finanziamento ai sensi della citata legge n. 133 del 2008 per un contributo di euro 58.934.983,20, pari al 60 per cento del costo dell'opera ammissibile a finanziamento, pari a euro 98.224.972,00;
   visto che:
    in data 20 marzo 2015 il sottosegretario ai trasporti Umberto Del Basso De Caro ha risposto in aula alla Camera all'interpellanza in merito al progetto di riqualificazione funzionale della linea tranviaria Milano-Limbiate, confermando che nella seduta del CIPE dello scorso 20 febbraio, sono stati individuati gli interventi dell'ex provincia di Milano da revocare e che, con quota parte delle risorse liberate, detto Comitato ha assegnato l'importo di 58,9 milioni di euro alla riqualificazione tranvia extraurbana Milano-Limbiate, lotto funzionale, Milano Comasina-deposito Varedo, in quanto intervento prioritario;
   preso atto che:
    tutti gli Enti interessati hanno inviato una nota a firma congiunta al Ministero delle infrastrutture, richiedendo il subentro del Provveditorato alle OO.PP. per la Lombardia e l'Emilia Romagna alla Città Metropolitana, in qualità di soggetto aggiudicatore e beneficiario del cofinanziamento statale;
    con decreto-legge n. 185 del 25 novembre 2015 il Presidente del Consiglio ha revocato e destinato le risorse finalizzate alla realizzazione della riqualificazione tranvia extraurbana Milano-Limbiate, 1o lotto funzionale, anche in attuazione dell'articolo 1, comma 101, della legge 27 dicembre 201, n. 147, alla Società Expo Spa per fare fronte al mancato contributo della Provincia di Milano;
   ritenuto inoltre che:
    lo sviluppo della mobilità sostenibile è uno dei pilastri fondamentali per la riduzione delle emissioni di gas inquinanti nell'atmosfera;
   tenuto conto che:
    la Regione Lombardia, nell'incontro svoltosi in Regione il 25 febbraio 2015, ha condiviso la volontà di procedere nella realizzazione dell'opera e l'Assessore regionale alle Infrastrutture ha confermato la disponibilità finanziaria di 13,6 milioni, volontà per altro ribadita con l'approvazione all'unanimità di tutte le forze politiche della Mozione n. 540 sulla riqualificazione della Tranvia Milano-Limbiate,

impegna il Governo

a prevedere il ripristino del finanziamento, individuandolo in apposito capitolo di spesa, finalizzato alla realizzazione della riqualificazione tranvia extraurbana Milano-Limbiate, 1o lotto funzionale.
9/3444-A/349Centemero.


   La Camera,
   premesso che:
    la tranvia Milano-Limbiate è una linea tranviaria interurbana che collega Milano, a Limbiate su un asse viaria ad intenso flusso;
   considerato che:
    a causa delle carenze infrastrutturali venne previsto l'intervento di riqualificazione della tranvia extraurbana Milano-Limbiate, nella tratta Comasina-deposito Varedo, finanziato con le risorse della legge n. 133 del 2008;
    tali risorse, sono state impegnate dal MIT con decreto n. 4107 del 28 dicembre 2010 a conclusione della procedura di cui al decreto ministeriale n. 99 del 2009;
    il CIPE, con delibera n. 91 del 6 dicembre 2011, esaminate e condivise le valutazioni effettuate dalla competente commissione di alta vigilanza, ha approvato il programma degli interventi ammissibili a finanziamento ai sensi della citata legge n. 133 del 2008 per un contributo di euro 58.934.983,20, pari al 60 per cento del costo dell'opera ammissibile a finanziamento, pari a euro 98.224.972,00;
   visto che:
    in data 20 marzo 2015 il sottosegretario ai trasporti Umberto Del Basso De Caro ha risposto in aula alla Camera all'interpellanza in merito al progetto di riqualificazione funzionale della linea tranviaria Milano-Limbiate, confermando che nella seduta del CIPE dello scorso 20 febbraio, sono stati individuati gli interventi dell'ex provincia di Milano da revocare e che, con quota parte delle risorse liberate, detto Comitato ha assegnato l'importo di 58,9 milioni di euro alla riqualificazione tranvia extraurbana Milano-Limbiate, lotto funzionale, Milano Comasina-deposito Varedo, in quanto intervento prioritario;
   preso atto che:
    tutti gli Enti interessati hanno inviato una nota a firma congiunta al Ministero delle infrastrutture, richiedendo il subentro del Provveditorato alle OO.PP. per la Lombardia e l'Emilia Romagna alla Città Metropolitana, in qualità di soggetto aggiudicatore e beneficiario del cofinanziamento statale;
    con decreto-legge n. 185 del 25 novembre 2015 il Presidente del Consiglio ha revocato e destinato le risorse finalizzate alla realizzazione della riqualificazione tranvia extraurbana Milano-Limbiate, 1o lotto funzionale, anche in attuazione dell'articolo 1, comma 101, della legge 27 dicembre 201, n. 147, alla Società Expo Spa per fare fronte al mancato contributo della Provincia di Milano;
   ritenuto inoltre che:
    lo sviluppo della mobilità sostenibile è uno dei pilastri fondamentali per la riduzione delle emissioni di gas inquinanti nell'atmosfera;
   tenuto conto che:
    la Regione Lombardia, nell'incontro svoltosi in Regione il 25 febbraio 2015, ha condiviso la volontà di procedere nella realizzazione dell'opera e l'Assessore regionale alle Infrastrutture ha confermato la disponibilità finanziaria di 13,6 milioni, volontà per altro ribadita con l'approvazione all'unanimità di tutte le forze politiche della Mozione n. 540 sulla riqualificazione della Tranvia Milano-Limbiate,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere il ripristino del finanziamento, individuandolo in apposito capitolo di spesa, finalizzato alla realizzazione della riqualificazione tranvia extraurbana Milano-Limbiate, 1o lotto funzionale.
9/3444-A/349. (Testo modificato nel corso della seduta) Centemero.


   La Camera,
   premesso che:
    il sistema di istruzione di ogni ordine e grado è stato oggetto di numerosi interventi normativi di contenuto sistemico o anche soltanto settoriale che pongono l'urgenza di un intervento di coordinamento;
    i numerosi interventi legislativi hanno generato migliaia di contenziosi che, nell'ultimo anno, sono cresciuti in maniera esponenziale con un incremento che sfiora il 150 per cento;
    non esiste una banca dati del contenzioso, nonché di forme di monitoraggio dello stesso;
    le conseguenze economiche dei contenziosi derivanti anche dalla farraginosità del complesso normativo e dalle difficoltà di interpretazione da parte degli addetti ai lavori ricadono e incidono sulla finanza statale;
    la legge 13 luglio 2015, n. 107, prevede all'articolo 1 comma, l'adozione di uno o più decreti legislativi al fine di provvedere al riordino, l'adeguamento e la semplificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione e formazione,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di iniziative finalizzate all'attivazione, in via sperimentale, a partire dall'anno accademico successivo a quello di entrata in vigore della presente legge, di corsi di dottorato di ricerca aventi ad oggetto lo studio della natura, delle caratteristiche e delle problematiche connesse alla legislazione scolastica al fine di garantire che l'enorme attività di riscrittura delle norme del sistema di istruzione e formazione sia effettuata con la collaborazione e l'ausilio di un gruppo di giovani giuristi.
9/3444-A/350Giammanco, Centemero.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di stabilità 2016 introduce misure a sostegno delle Università, della formazione e della cultura;
    si pone la necessità di un intervento volto ad armonizzare gli standard del nuovo ordinamento universitario con la legislazione regionale siciliana al fine di favorire l'ampliamento della formazione universitaria nel campo dei servizi sociali e l'assunzione delle scuole di servizio sociale al rango di facoltà universitaria;
    le scuole di servizio sociale in Sicilia sono caratterizzate da forte vocazione professionalizzante per il cui impegno destinano cospicue risorse del proprio bilancio che rende difficile soddisfare i requisiti ministeriali in materia di docenze di ruolo;
    la legge della Regione Sicilia n. 200/1979, che disciplina l'attività delle scuole di servizio sociale che operano nel territorio, all'articolo 4 obbliga le predette scuole a destinare un docente a tempo pieno – tutor di tirocinio – ogni trenta allievi, con responsabilità di guida e di coordinamento della formazione professionale;
    il costo di tre tutor a tempo pieno equivale al costo di un docente di prima fascia, o di più docenti di seconda fascia,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, nei prossimi interventi legislativi, misure ad hoc, finalizzate a sostenere gli oneri per le assunzioni dei tutor di cui in premessa e al computo di questi docenti nel novero dei docenti utili al fine del conseguimento dell'accreditamento universitario, il che consentirebbero alle scuole predette di conseguire lo status di facoltà universitaria, di mantenere o attivare i corsi di laurea triennale e magistrale senza dovere ricorrere alle modalità didattiche in condivisione con altre sedi.
9/3444-A/351Squeri, Centemero.


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica è stata ed è particolarmente pesante nel meridione d'Italia con gravi ricadute in termini di aumento della disoccupazione, specie giovanile, per cui è necessario intervenire con strumenti particolarmente incisivi al fine di favorire una ripresa reale delle attività economiche e quindi la crescita dell'occupazione non assistita,

impegna il Governo

   ad attribuire l'agevolazione del credito d'imposta di cui ai commi da 52-bis a 52-decies per il medesimo periodo ivi previsto, nelle Zone economiche speciali istituite nelle regioni del Mezzogiorno, nella misura massima del 40 per cento per le piccole imprese, del 30 per cento per le medie imprese e del 20 per cento per le grandi imprese ed a istituire a tal fine, a decorrere dal 2016 e per tutta la durata del ciclo di programmazione dei fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020 nelle regioni del Mezzogiorno, Zone Economiche Speciali, la cui efficacia è subordinata all'autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   a far sì che ogni regione del Mezzogiorno individui in corrispondenza dei porti commerciali, o in una zona dove siano presenti siti industriali dismessi e/o aree industriali attrezzate (ASI), una Zona Economica Speciale, in un territorio delimitato avente popolazione compresa tra gli 8 mila e i 35 mila abitanti;
   a disporre che all'interno delle Zone Economiche Speciali, per tutto il periodo, l'imposta sul reddito delle persone fisiche, ivi comprese le addizionali ai fini IRPEF, IRAP e IRES siano ridotte nella misura del 50 per cento.
9/3444-A/352Occhiuto.


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica è stata ed è particolarmente pesante nel meridione d'Italia con gravi ricadute in termini di aumento della disoccupazione, specie giovanile, per cui è necessario intervenire con strumenti particolarmente incisivi al fine di favorire una ripresa reale delle attività economiche e quindi la crescita dell'occupazione non assistita,

impegna il Governo

   a valutare l'opportunità di:
    attribuire l'agevolazione del credito d'imposta di cui ai commi da 52-bis a 52-decies per il medesimo periodo ivi previsto, nelle Zone economiche speciali istituite nelle regioni del Mezzogiorno, nella misura massima del 40 per cento per le piccole imprese, del 30 per cento per le medie imprese e del 20 per cento per le grandi imprese ed a istituire a tal fine, a decorrere dal 2016 e per tutta la durata del ciclo di programmazione dei fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020 nelle regioni del Mezzogiorno, Zone Economiche Speciali, la cui efficacia è subordinata all'autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
    far sì che ogni regione del Mezzogiorno individui in corrispondenza dei porti commerciali, o in una zona dove siano presenti siti industriali dismessi e/o aree industriali attrezzate (ASI), una Zona Economica Speciale, in un territorio delimitato avente popolazione compresa tra gli 8 mila e i 35 mila abitanti;
    disporre che all'interno delle Zone Economiche Speciali, per tutto il periodo, l'imposta sul reddito delle persone fisiche, ivi comprese le addizionali ai fini IRPEF, IRAP e IRES siano ridotte nella misura del 50 per cento.
9/3444-A/352. (Testo modificato nel corso della seduta) Occhiuto.


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione economica del Mezzogiorno resta particolarmente difficile e la crisi economica ha accentuato la già forte divaricazione tra centro nord e sud d'Italia in termini di reddito; la disoccupazione specie giovanile e femminile permane nelle regioni meridionali ed insulari a livelli tali da determinare gravi disagi sociali per cui è necessario ed urgente intervenire con strumenti incisivi ed efficaci per favorire la ripresa produttiva e soprattutto la ripresa dell'occupazione,

impegna il Governo:

   a disporre che, attraverso ulteriori iniziative normative per l'anno 2016, per le assunzioni di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, lo sgravio di cui al comma 83 sia elevato fino a concorrenza dell'esonero completo di contributi e nel limite massimo di 8.060 euro su base annua, per un periodo massimo di 12 mesi;
   a disporre altresì che l'INPS, con propria circolare, da emanarsi entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità 2016, definisca le modalità operative di applicazione della misura di cui al periodo precedente;
   a far sì la predetta agevolazione rispetti i requisiti previsti dal Regolamento (UE) 651/2014 che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune in applicazione dell'articolo 107 del TFUE.
9/3444-A/353Carfagna.


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione economica del Mezzogiorno resta particolarmente difficile e la crisi economica ha accentuato la già forte divaricazione tra centro nord e sud d'Italia in termini di reddito; la disoccupazione specie giovanile e femminile permane nelle regioni meridionali ed insulari a livelli tali da determinare gravi disagi sociali per cui è necessario ed urgente intervenire con strumenti incisivi ed efficaci per favorire la ripresa produttiva e soprattutto la ripresa dell'occupazione,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:

    disporre che, attraverso ulteriori iniziative normative per l'anno 2016, per le assunzioni di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, lo sgravio di cui al comma 83 sia elevato fino a concorrenza dell'esonero completo di contributi e nel limite massimo di 8.060 euro su base annua, per un periodo massimo di 12 mesi;
    disporre altresì che l'INPS, con propria circolare, da emanarsi entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità 2016, definisca le modalità operative di applicazione della misura di cui al periodo precedente;
    far sì la predetta agevolazione rispetti i requisiti previsti dal Regolamento (UE) 651/2014 che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune in applicazione dell'articolo 107 del TFUE.
9/3444-A/353. (Testo modificato nel corso della seduta) Carfagna.


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto fra fisco e contribuenti deve essere basato sul principio di reciproca lealtà per avere effetti positivi e quindi le regole in campo fiscale possono essere cambiate solo con prudenza e ragionevolezza tenendo conto in particolare delle aspettative di chi ha intrapreso una attività contando su precise disposizioni in campo fiscale;
    in particolare i soggetti che nell'anno 2015 hanno intrapreso una attività autonoma usufruendo del regime fiscale cosiddetto dei «minimi» non devono subire interpretazioni sfavorevoli o cambiamenti penalizzanti delle disposizioni vigenti,

impegna il Governo

a confermare l'interpretazione, in vero già evidente giacché trattasi di requisito di ammissibilità e dunque inerente l'inizio di attività, per cui ai contribuenti che abbiano iniziato un'attività nel 2015 non si applichi la previsione della lettera B del comma 53 e che resti, quindi, invariato su tale aspetto il regime fiscale dei «minimi» per l'ulteriore periodo consentito dalla normativa.
9/3444-A/354Laffranco.


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto fra fisco e contribuenti deve essere basato sul principio di reciproca lealtà per avere effetti positivi e quindi le regole in campo fiscale possono essere cambiate solo con prudenza e ragionevolezza tenendo conto in particolare delle aspettative di chi ha intrapreso una attività contando su precise disposizioni in campo fiscale;
    in particolare i soggetti che nell'anno 2015 hanno intrapreso una attività autonoma usufruendo del regime fiscale cosiddetto dei «minimi» non devono subire interpretazioni sfavorevoli o cambiamenti penalizzanti delle disposizioni vigenti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di confermare l'interpretazione, in vero già evidente giacché trattasi di requisito di ammissibilità e dunque inerente l'inizio di attività, per cui ai contribuenti che abbiano iniziato un'attività nel 2015 non si applichi la previsione della lettera B del comma 53 e a valutare l'opportunità di che resti, quindi, invariato su tale aspetto il regime fiscale dei «minimi» per l'ulteriore periodo consentito dalla normativa.
9/3444-A/354. (Testo modificato nel corso della seduta) Laffranco.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 129 del provvedimento all'esame, autorizza la spesa di due milioni di euro annui in favore dei parchi nazionali, senza specificare come dovranno essere divisi fra tutti i parchi nazionali italiani;
    nei Parchi Nazionali calabresi del Pollino, della Sila e dell'Aspromonte sono presenti siti religiosi, Monasteri ed Abbazie, nonché monumenti storici, torri, Castelli, Conventi e beni architettonici che è necessario rendere più accessibili e mettere in luce, nell'ottica della valorizzazione delle aree interne e delle specificità territoriali della Regione Calabria;
    nessun'altra Regione può vantare al proprio interno tre Parchi naturali di rilevanza nazionale che hanno caratteristiche, ricchezze e fisionomie così differenti e variegate e che costituiscono quindi un immenso polo attrattivo, unico in termini paesaggistici, architettonici e turistici,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre iniziative legislative al fine di istituire «Il cammino dei due mari», il percorso che prevede il congiungimento, tramite strada pedonale, dei tre Parchi Nazionali calabresi del Pollino, Sila ed Aspromonte, passando anche dal Parco delle Serre.
9/3444-A/355Santelli, Occhiuto.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 545 dell'articolo 1 del provvedimento all'esame, interviene sulla riduzione dell'IVA sulle prestazioni socio-sanitarie ed educative rese da cooperative sociali e loro consorzi;
    le ONLUS svolgono spesso una importante funzione sociale e tuttavia devono pagare l'IVA ordinaria ogni qual volta svolgano manutenzione sulla strumentazione e sui mezzi destinati allo svolgimento dei loro fini statutari;
    le ONLUS devono avere fra gli obiettivi «l'esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale» e andrebbero quindi equiparate, almeno per quanto riguarda le aliquote IVA da applicare alla manutenzione degli strumenti necessari allo svolgimento della loro attività, alle cooperative sociali e ai loro consorzi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di applicare l'aliquota IVA agevolata del 10 per cento alla manutenzione dei beni strumentali ai servizi svolti dalle Onlus.
9/3444-A/356Bergamini, Alberto Giorgetti.


   La Camera,
   premesso che:
    con le disposizioni in materia di scommesse la legge di stabilità modificherà per alcuni giochi dal 1o gennaio 2016 e dal 1o gennaio 2017 la modalità di imposizione sulle scommesse cosiddette a quota fissa, utilizzando quale base imponibile non più l'ammontare delle somme giocate ma la differenza tra tali somme e le vincite corrisposte ai giocatori;
    la medesima disposizione differenzia, per l'evidente finalità di equa imposizione, le aliquote tra scommesse vendute nei punti vendita ed a distanza, tenendo conto della differente struttura delle rispettive filiere distributive;
    le scommesse a quota fissa hanno ad oggetto le corse di cavalli ed eventi diversi sportivi e non sportivi; le scommesse a quota fissa sulle corse dei cavalli costituiscono l'unico prodotto avente ad oggetto eventi ippici che dimostra crescente interesse nei giocatori e che per la sproporzionata tassazione non viene offerto adeguatamente dai Concessionari di ADM;
    il gettito di tali scommesse a quota fissa sulle corse dei cavalli contribuisce oggi in maniera esigua per la concorrenza del gioco illegale e potrebbe, se tassato in maniera simile alle altre tipologie di scommesse, contribuire per circa due terzi alle risorse destinate al finanziamento dell'allevamento dell'attività sportiva ippica;

impegna il Governo:

   al fine di uniformare il modello di offerta ed impositivo sulla medesima attività economica di raccolta di gioco, si impegna il Governo entro i primi 6 mesi del 2016 per eliminare la discriminazione oggi presente sul mercato dei giochi pubblici che penalizza il settore ippico:
    1) a modificare le modalità di imposizione sulle scommesse a quota fissa sulle corse dei cavalli regolandole in maniera analoga alle scommesse a quota fissa su eventi diversi ed a mantenere, per le scommesse a quota fissa sulle corse dei cavalli, la destinazione di almeno due terzi del relativo gettito al finanziamento dell'allevamento e dell'attività sportiva ippica;
    2) a consentire l'estensione a nuove tipologie di scommessa ippica a quota fissa, tramite l'autorizzazione ai concessionari a proporre un proprio palinsesto di eventi e di tipologie di scommessa, complementare a quello del programma ufficiale delle corse, in coerenza con le disposizioni tecniche già in essere per le scommesse a quota fissa su eventi sportivi e su altri eventi diversi dalle corse dei cavalli.
9/3444-A/357Russo, Oliverio.


   La Camera,
   premesso che:
    a seguito di una segnalazione pervenuta in data 30 settembre 2013 dalla società Aliplast Spa l'Autorità ha avviato il 17 luglio 2014 un'istruttoria ai sensi dell'articolo 14 della legge n. 287 del 1990, volta ad accertare eventuali violazioni dell'articolo 102 TFUE, in relazione ai comportamenti assunti da CONAI, anche nell'interesse di COREPLA, nel mercato dell'organizzazione della gestione dei rifiuti da imballaggi in plastica speciali, ovvero prodotti da utenze non domestiche;
    CONAI è un consorzio obbligatorio per legge, dotato di personalità giuridica, senza fini di lucro, costituito dai produttori e utilizzatori di imballaggi, obbligati a finanziare l'attività di gestione dei rifiuti derivanti dall'utilizzo dei propri imballaggi, ai sensi del principio europeo dell’Extended Producer Responsibility («EPR»);
    CONAI fornisce tale servizio di compliance al suddetto obbligo di legge avvalendosi delle attività svolte da sei consorzi di filiera, ognuno di essi rappresentativo delle imprese che producono imballaggi in acciaio (CNA), in alluminio (CIAL), in carta (COMIECO), in legno (RILEGNO), in vetro (COREVE) e in plastica (COREPLA), anch'essi istituiti con il decreto Ronchi ed ora disciplinati nel TUA;
    CONAI, inoltre, garantisce il raccordo tra l'attività di gestione dei rifiuti da imballaggio svolta da questi ultimi e il servizio pubblico di raccolta differenziata organizzata dai Comuni, per il tramite del cosiddetto accordo ANCI-CONAI;
    Aliplast è una società privata che opera nel settore della raccolta, stoccaggio, recupero e riciclo degli imballaggi in plastica. In quanto produttrice di imballaggi in plastica, ai sensi dell'articolo 221, comma 3, lettera c), TUA, l'impresa ha costituito un cosiddetto «sistema autonomo» di gestione dei propri rifiuti da imballaggi secondari e terziari in polietilene a bassa densità (LDPE), denominato «Sistema P.A.R.I.», che consente alla medesima di tracciarli, raccoglierli e avviarli a riciclo, senza utilizzare le infrastrutture e i servizi messi a disposizione da CONAI e COREPLA (di seguito indicati anche come i «consorzi») e senza versare il contributo ambientale CONAI (di seguito «CAC»);
    l'ipotesi istruttoria posta alla base del procedimento avviato il 17 luglio 2014 è che CONAI abbia posto in essere, anche nell'interesse di COREPLA, un'unica articolata strategia escludente, continuata nel tempo, volta a ostacolare l'ingresso del Sistema P.A.R.I .nel mercato dell'organizzazione dell'avvio a riciclo dei rifiuti da imballaggi in plastica speciali, mediante la frapposizione di ostacoli al suo riconoscimento e alla sua operatività nel mercato;
    tale disegno escludente sembrava potersi riscontrare, in primo luogo, nelle numerose eccezioni in merito alla legittimità del sistema autonomo P.A.R.I., sollevate da CONAI, con il supporto di COREPLA, nell'ambito dei due iter amministrativi aventi ad oggetto il riconoscimento del sistema autonomo. L'ampiezza e la pervasività degli interventi concretamente posti in essere da CONAI nell'ambito di tali procedimenti amministrativi, hanno indotto l'Autorità a ritenere che il Consorzio avesse strumentalizzato la funzione consultiva affidatagli dal legislatore e avesse, invece, agito con il fine di perseguire finalità meramente anticoncorrenziali;
    tale opposizione sistematica e strumentale sarebbe, inoltre, proseguita attraverso il rifiuto da parte di CONAI e di COREPLA di quantificare il contributo dovuto loro da Aliplast per l'attività di gestione degli imballaggi marchiati P.A.R.L. eventualmente confluiti nella raccolta differenziata, come imposto alle parti dall'ONR, e come successivamente ribadito dal Ministero dell'ambiente;
    il rifiuto a contrattare non appariva, dunque, spiegabile se non al fine di ostacolare, ritardare, e probabilmente impedire, il definitivo riconoscimento del sistema autonomo;
    inoltre, CONAI, con il sostegno di COREPLA, sembrerebbe aver posto in essere anche azioni denigratorie a danno del Sistema P.A.R.I., sostanziatesi, innanzitutto, nella pubblicazione, sul sito Internet di CONAI, di un comunicato stampa con il quale si informava il mercato, e dunque, tutti gli utilizzatori del Sistema P.A.R.I., del fatto che quest'ultimo era, ad esito della sentenza del Consiglio di Stato del giugno 2013, «privo di riconoscimento»;
    inoltre, l'Autorità aveva ravvisato la possibilità che anche la richiesta di CONAI ai clienti di Aliplast, utilizzatori del Sistema P.A.R.I., di pagare il CAC non versato dall'impresa tra il luglio 2009 e il giugno 2013, potesse gettare discredito su Aliplast e compromettere le relazioni commerciali con i propri clienti;
    tutto ciò sembrava avere avuto l'effetto di creare uno stato di complessiva incertezza in relazione all'effettiva capacità del Sistema P.A.R.I. di operare come sistema di gestione autonomo, e aver rappresentato per questa via un ulteriore ostacolo all'ingresso del sistema autonomo sul mercato;
    in definitiva, CONAI e COREPLA sembrerebbero aver agito con un intento escludente che, peraltro, potrebbe aver creato, attraverso un effetto di signalling, una barriera all'ingresso per i potenziali altri sistemi autonomi, concorrenti del sistema consortile sul mercato rilevante;
    in sede di avvio del procedimento istruttorio il descritto comportamento di CONAI è stato ritenuto idoneo a pregiudicare il commercio intracomunitario, in quanto si presta a condizionare la possibilità di costituire dei sistemi autonomi anche per i produttori stranieri di imballaggi in plastica interessati ad operare in Italia;
    nell'ambito del procedimento aperto dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Conai e Corepla hanno proposto una serie di impegni, corredati da tre Linee Guida che ne costituiscono parte integrante, riguardanti la gestione dei rifiuti da imballaggi in plastica speciali, con durata sine die e vale a dire: Impegno n. 1 (e relative Linee Guida n. 1), sul ruolo di CONAI nelle procedure amministrative di riconoscimento dei sistemi autonomi per la gestione dei rifiuti di imballaggi in plastica speciali; Impegno n. 2 (e relative Linee Guida n. 2), sulla definizione dei criteri per la determinazione del contributi per i rifiuti di imballaggi in plastica speciali del sistema autonomo conferiti al servizio pubblico; Impegno n. 3, sugli obblighi di trasparenza e pubblicità nei confronti del mercato in relazione ai sistemi autonomi e alle relative procedure di riconoscimento; Impegno n. 4, sull'applicazione dei criteri dell'Impegno n. 2 per la determinazione del contributo dovuto da Aliplast; Impegno n. 5 (e relative Linee Guida n. 3), sull'accordo con Aliplast che definisce in via transattiva le controversie pendenti;
    l'Autorità ha disposto la loro pubblicazione sul sito Internet e sul bollettino dell'Autorità in data 7 aprile 2015, al fine di consentire ai terzi interessati di esprimere le loro osservazioni. Entro il termine fissato per la conclusione del market test sono pervenute osservazioni da parte di quindici soggetti, operatori privati (singole società, associazioni e consorzi) sia enti e amministrazioni pubbliche che sono intervenuti nella procedura di riconoscimento del Sistema P.A.R.I.;
    in risposta all'esito della consultazione pubblica sugli Impegni, CONAI e COREPLA hanno fornito, in data 6 giugno 2015, una versione definitiva degli stessi;
    in tale versione gli Impegni originari nn. 1, 2, 3 e 5 sono stati sottoposti a modifiche accessorie. Inoltre, le Linee Guida n. 1 e n. 2 sono state anch'esse modificate, mentre le Linee Guida n. 3 sono state eliminate;
    la nuova formulazione dell'Impegno n. 1 appare idoneo a porre rimedio alle preoccupazioni concorrenziali sollevate dall'Autorità in sede di avvio, in quanto definisce in modo puntuale la funzione di CONAI nell'ambito delle procedure di riconoscimento dei sistemi autonomi e, in tal modo, risulta idoneo ad impedire che il consorzio utilizzi in maniera strumentale il ruolo consultivo che la legge gli attribuisce;
    gli obblighi assunti da CONAI e COREPLA con la nuova versione dell'impegno n. 2 appaiono risolvere le preoccupazioni evidenziate in sede di avvio del procedimento in quanto garantiscono, a fronte dell'avvenuto riconoscimento di un sistema autonomo, la stipula dei necessari accordi tra quest'ultimo e il sistema consortile, con una tempistica nota e celere e sulla base di condizioni economiche complessivamente ragionevoli;
    nella nuova versione dell'Impegno n. 3, esso risulta in grado di fornire un'ampia e corretta informazione al mercato sui sistemi autonomi riconosciuti e sulle procedure concretamente applicate per l'autorizzazione degli stessi. Inoltre, esso evita che il sistema consortile possa utilizzare le informazioni relative all'andamento delle procedure di riconoscimento dei sistemi autonomi in maniera strumentale e con fini potenzialmente denigratori. Peraltro, tale Impegno potenzia il quadro informativo per la costituzione di sistemi autonomi e tiene nella dovuta considerazione la necessità di tutela di dati commercialmente sensibili. Pertanto, esso è idoneo a rimuovere ulteriori possibili ostacoli all'ingresso sul mercato di potenziali concorrenti di COREPLA;
    la nuova versione dell'Impegno n. 4 non aggiunge niente agli obblighi di legge già esistenti in capo a CONAI;
    tale Impegno consente ad Aliplast, che ad oggi si trova nella fase di negoziazione dell'accordo con CONAI, di beneficiare della procedura di determinazione del Contributo regolata dall'Impegno n. 2, qualora essa determini un esito più vantaggioso per l'impresa rispetto a quello risultante dalla negoziazione. Detta «condizione di maggior favore» appare idonea a rimuovere eventuali discriminazioni a danno di Aliplast e in favore di altri sistemi autonomi che dovessero essere autorizzati in futuro;
    l'Impegno n. 5, nella sua versione definitiva, introduce alcune modifiche alla versione originaria. In particolare, le Linee Guida n. 3 sono state eliminate ed è previsto che nuove linee guida siano redatte da una primaria società di certificazione di qualità individuata mediante una procedura di selezione concordata con Aliplast. Inoltre, i consorzi si impegnano unilateralmente e incondizionatamente a rinunciare all'avvio e/o alla prosecuzione di ogni azione civile per il recupero del credito vantato da CONAI nei confronti di Aliplast in relazione alle somme da quest'ultimo dovuto a titolo di CAC non corrisposto per il periodo 15 luglio 2009-20 giugno 2013, e a rateizzare il debito di Aliplast per il CAC del periodo 21 giugno 2013-4 agosto 2014;
    le preoccupazioni concorrenziali espresse dall'Autorità in sede di avvio del procedimento istruttorio riguardavano l'intervento di CONAI e COREPLA, con fini ostruzionistici, nelle procedure di riconoscimento del Sistema P.A.R.I., il rifiuto a concludere l'accordo per la quantificazione del contributo dovuto da Aliplast a CONAI per l'attività di gestione degli imballaggi marchiati P.A.R.I. eventualmente confluiti nella raccolta differenziata, le minacce di rivalsa sui clienti di Aliplast per il pagamento del CAC pregresso eventualmente dovuto dall'impresa a CONAI e la diffusione da parte di CONAI di informazioni sul Sistema P.A.R.I. con effetti potenzialmente denigratori;
    gli Impegni presentati da CONAI e COREPLA definiscono una cornice di obblighi che, innanzitutto, limitano il ruolo di CONAI nelle procedure di riconoscimento dei sistemi autonomi ad una funzione meramente consultiva che si esplica con modalità e contenuti esclusivamente definiti dal Ministero dell'ambiente;
    in secondo luogo, prevedendo una tempistica certa e condizioni economiche ragionevoli e predeterminate, gli Impegni impediscono che CONAI si sottragga all'obbligo di stipula dei summenzionati accordi, ovvero che la ritardi nel tempo;
    inoltre, essi disciplinano la tipologia di notizie che CONAI e COREPLA possono fornire al mercato sui sistemi autonomi riconosciuti e in via di riconoscimento, garantendone le caratteristiche di oggettività e lo scopo meramente informativo per il mercato. Infine, la rinuncia al credito relativo al CAC pregresso elimina l'incertezza sulla sussistenza di un debito di Aliplast nei confronti di CONAI e, di conseguenza, rimuove anche ogni potenziale effetto di discredito dell'impresa agli occhi dei suoi clienti;
    in conclusione, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha deliberato di: rendere obbligatori per CONAI e COREPLA gli impegni presentati, ai sensi dell'articolo 14-ter, comma 1, della legge n. 287 del 1990, nei termini sopra descritti e allegati al presente provvedimento di cui fanno parte integrante; di chiudere il procedimento senza accertare l'infrazione, ai sensi dell'articolo 14-ter, comma 1, della legge n. 287 del 1990; che i consorzi CONAI e COREPLA presentino all'Autorità, entro 60 giorni dalla notifica del presente provvedimento, e successivamente entro 60 giorni dalla scadenza dell'incarico conferito, in caso di mancato rinnovo, una proposta di nomina del monitoring trustee accompagnata da una relazione che certifica la sua competenza ed esperienza nel settore e illustri la procedura seguita per la sua individuazione; che i consorzi CONAI e COREPLA presentino all'Autorità, entro il 31 dicembre 2015, una relazione illustrativa dell'attuazione degli Impegni con riferimento ai rapporti con la società Aliplast, e delle modifiche apportate, in sede di prima applicazione, ai siti Internet di CONAI e COREPLA come indicate dall'Impegno n. 3; che i consorzi CONAI e COREPLA presentino all'Autorità, entro il 31 dicembre di ciascun anno, una relazione dettagliata sull'attuazione degli impegni assunti, dando conto: 1) delle eventuali istanze di riconoscimento di sistemi autonomi di gestione dei rifiuti da imballaggio in plastica speciali presentate al Ministero e dell'esito delle stesse, 2) delle informazioni elaborate dal monitoring trustee e trasmesse da CONAI al Ministero in seno alle procedure di riconoscimento dei sistemi autonomi, fornendo altresì copia della corrispondenza intercorsa con il Ministero, nonché 3) della tempistica e delle condizioni contrattuali previste negli accordi eventualmente stipulati con i sistemi autonomi, di cui all'Impegno n. 2 e all'Impegno n. 4; 4) delle eventuali ulteriori modifiche ai contenuti dei siti Internet di CONAI e COREPLA come indicate dall'impegno n. 3;
    la decisione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato sulla vicenda Aliplast-Conai, descrive perfettamente le difficoltà che devono superare gli operatori economici privati che vogliono entrare nel settore economico del trattamento completo dei rifiuti speciali, così come previsto nel Testo unico per l'ambiente;
    non è ammissibile che un'Istituzione pubblica, in questo caso il consorzio obbligatorio donai, operi al solo fine di disincentivare e far fallire l'iniziativa privata onesta e legittima,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare un idoneo provvedimento legislativo al fine di regolamentare il settore dei consorzi obbligatori per il trattamento dei rifiuti speciali e consentirne l'ingresso di operatori privati.
9/3444-A/358Catanoso, Lainati.


   La Camera,
   premesso che:
    con le disposizioni contenute nel disegno di legge di Stabilità 2016, come è noto, è stata introdotta una nuova disciplina che elimina l'obbligo di pagamento di imposte locali quali l'IMU e la TASI per le abitazioni principali e sui terreni agricoli;
    preso atto del fatto che, per evitare di tradurre questo opportuno intervento di riduzione della pressione fiscale attuato con legge dello Stato, in uno strumento di impoverimento delle risorse a disposizione dei Comuni per assicurare i servizi ai quali devono attendere per mandato istituzionale, è previsto un articolato meccanismo di ripartizione tra i Comuni di risorse finanziarie messe a disposizione dallo Stato, come previsto espressamente nella nuova disciplina introdotta con la legge di Stabilità per il 2016;
    considerato che, in tale assetto, sembra imprescindibile prevedere che tale procedura non prescinda da una rigorosa e certa determinazione degli importi spettanti a ciascun Comune attraverso la valorizzazione dei dati a disposizione delle articolazioni operative effettivamente preposte all'accertamento e riscossione dei predetti tributi, e anche tenendo conto degli importi eventualmente riscossi in anni successivi ma da imputare correttamente all'anno di riferimento (per esempio in conseguenza degli esiti di riscossione coattiva o di procedure di rateizzazione);
    ritenuto che, pertanto, al fine di garantire l'equa ripartizione delle risorse riconosciute ai sensi del presente disegno di legge tra i comuni interessati, sulla base del gettito effettivo IMU e TASI, relativi alle unità immobiliari sopra menzionate, pare necessario che il versamento degli importi spettanti a ciascun comune sia effettuato sulla base di apposite attestazioni periodiche in grado di assicurare la corrispondenza degli importi relativi all'anno 2015 con quelli dovuti e versati anche negli esercizi finanziari successivi, al fine di consentire ai comuni interessati di ottenere dallo Stato il corrispondente importo, come invece prevede il disegno di legge Stabilità, e allo stesso tempo per consentire alla sede ove si procederà alla ripartizione delle risorse complessive di provvedere con piena cognizione di causa dei dati effettivi, evidentemente in possesso solo delle strutture deputate alla raccolta dei tributi per ciascun comune, rientrando già a pieno titolo tale attività nelle funzioni esercitate, senza la necessità di prevedere alcun compenso aggiuntivo per la medesima attività,

impegna il Governo

ad adottare ogni intervento interpretativo ed attuativo in grado di assicurare che il riparto delle risorse spettanti ai Comuni della legge di Stabilità per il 2016 in conseguenza dell'eliminazione dell'obbligo di pagamento di IMU e TASI per la prima casa di abitazione avvenga nei termini indicati in premessa, comunque senza nuovi o ulteriori oneri a carico dei bilanci pubblici.
9/3444-A/359Alberto Giorgetti.


   La Camera,
   premesso che:
    con le disposizioni contenute nel disegno di legge di Stabilità 2016, come è noto, è stata introdotta una nuova disciplina che elimina l'obbligo di pagamento di imposte locali quali l'IMU e la TASI per le abitazioni principali e sui terreni agricoli;
    preso atto del fatto che, per evitare di tradurre questo opportuno intervento di riduzione della pressione fiscale attuato con legge dello Stato, in uno strumento di impoverimento delle risorse a disposizione dei Comuni per assicurare i servizi ai quali devono attendere per mandato istituzionale, è previsto un articolato meccanismo di ripartizione tra i Comuni di risorse finanziarie messe a disposizione dallo Stato, come previsto espressamente nella nuova disciplina introdotta con la legge di Stabilità per il 2016;
    considerato che, in tale assetto, sembra imprescindibile prevedere che tale procedura non prescinda da una rigorosa e certa determinazione degli importi spettanti a ciascun Comune attraverso la valorizzazione dei dati a disposizione delle articolazioni operative effettivamente preposte all'accertamento e riscossione dei predetti tributi, e anche tenendo conto degli importi eventualmente riscossi in anni successivi ma da imputare correttamente all'anno di riferimento (per esempio in conseguenza degli esiti di riscossione coattiva o di procedure di rateizzazione);
    ritenuto che, pertanto, al fine di garantire l'equa ripartizione delle risorse riconosciute ai sensi del presente disegno di legge tra i comuni interessati, sulla base del gettito effettivo IMU e TASI, relativi alle unità immobiliari sopra menzionate, pare necessario che il versamento degli importi spettanti a ciascun comune sia effettuato sulla base di apposite attestazioni periodiche in grado di assicurare la corrispondenza degli importi relativi all'anno 2015 con quelli dovuti e versati anche negli esercizi finanziari successivi, al fine di consentire ai comuni interessati di ottenere dallo Stato il corrispondente importo, come invece prevede il disegno di legge Stabilità, e allo stesso tempo per consentire alla sede ove si procederà alla ripartizione delle risorse complessive di provvedere con piena cognizione di causa dei dati effettivi, evidentemente in possesso solo delle strutture deputate alla raccolta dei tributi per ciascun comune, rientrando già a pieno titolo tale attività nelle funzioni esercitate, senza la necessità di prevedere alcun compenso aggiuntivo per la medesima attività,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni intervento interpretativo ed attuativo in grado di assicurare che il riparto delle risorse spettanti ai Comuni della legge di Stabilità per il 2016 in conseguenza dell'eliminazione dell'obbligo di pagamento di IMU e TASI per la prima casa di abitazione avvenga nei termini indicati in premessa, comunque senza nuovi o ulteriori oneri a carico dei bilanci pubblici.
9/3444-A/359. (Testo modificato nel corso della seduta) Alberto Giorgetti.


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito delle numerose modifiche intervenute nel corso d'esame del disegno di legge di stabilità per il 2016, che nella sostanza, mutano in maniera rilevante l'impianto della manovra, i commi da 129-bis a 129-quinquies dell'articolo 1, prevedono una serie di modifiche alla normativa vigente in materia di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi (cosiddetta attività upstream);
    le suindicate correzioni in particolare, riguardano il divieto di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in alcune zone di mare ovvero, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere protette e nelle zone di mare poste entro 12 miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette;.
    le conseguenze di tali modifiche, eliminano pertanto le disposizioni attualmente vigenti (contenute nel secondo e nel terzo periodo del comma 17 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il cui testo è stato da ultimo riscritto dall'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012) che consentivano una serie di deroghe a tale divieto al fine di far salvi alcuni procedimenti concessori in corso (nonché quelli conseguenti e connessi anche ai fini di eventuali relative proroghe), confermando solo la parte della disposizione che fa salvi i titoli abilitativi già rilasciati;
    a giudizio del sottoscrittore del presente atto, se da un lato, tali modifiche, evitano il ricorso al referendum invocato da numerose regioni, contrarie alle decisioni stabilite all'interno del decreto-legge n. 133 del 2014 cosiddetto «sblocca Italia», che consente le trivellazioni per la ricerca di idrocarburi in mare entro le 12 miglia dalla costa e sul territorio, eliminando al contempo il potere decisionale alle regioni, dall'altro accrescono i sentimenti di preoccupazione delle imprese impegnate nelle attività di ricerca ed ispettiva per l'estrazione di idrocarburi, in considerazione delle conseguenze derivanti dalle modifiche normative in precedenza richiamate;
    le correzioni legislative intervenute nel corso del provvedimento in oggetto, che seguono una serie d'interventi normativi precedenti di difficile interpretazione, al riguardo, rendono particolarmente complicato proseguire, per importanti imprese del settore come l'Eni, le attività d'investimento e di pianificazione strategica, anche per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi oltre le 12 miglia, in considerazione che un qualunque ricorso al TAR, è in grado di innescare tempi decisionali indefinibili;
    a giudizio del sottoscrittore del presente atto, le ripercussioni in termini economici e le ricadute occupazionali negative derivanti dalle modifiche previste dai commi da 129-bis a 129-quinquies, nei riguardi del comparto, in particolare rivolto alle attività estrattive nel mare adriatico, appaiono gravi e pericolose anche per i riflessi negativi rivolti all'andamento dell'economia nazionale e locale;
    ulteriori profili critici conseguenti alle correzioni apportate, si rinvengono dalle perplessità derivanti dai nuovi divieti di estrazione nelle zone marine poste a 12 miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette; ad esempio ad oltre 11 miglia dalla costa ravennate c’è l'area protetta del Paguro, identificato come sito d'interesse comunitario; la piattaforma attualmente installata potrebbe far scattare un ulteriore divieto per altre 12 miglia;
    risultano necessari ulteriori delucidazioni nei riguardi di due campi estrattivi situati anch'essi nella costa del ravennate, ceduti da tempo dall'Eni ad altra società e situati entro le 12 miglia in un tratto marino tra Ravenna e Rimini; al riguardo, si segnala come, l’iter autorizzativo delle concessioni che è durato anni, risulta essere in dirittura d'arrivo, con il rischio che in caso tale delibera non si compi entro la fine dell'anno, i campi estrattivi non entreranno in attività e gli investimenti effettuati saranno persi;
    le suesposte criticità a giudizio dei sottoscrittore del presente atto, necessitano pertanto rapidi chiarimenti e le istruzioni necessarie, ai fini della predisposizione degli atti legislativi e regolamentari in grado di definire la validità delle delibere concessorie «già rilasciate» al momento dell'entrata in vigore della legge di stabilità per il 2016 a seguito delle correzioni intervenute con le norme in precedenza richiamate dell'articolo 1, commi 129-bis-129-quinquies che modificano la normativa su ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi,

impegna il Governo

a chiarire in sede applicativa la formulazione normativa delle disposizioni in premessa, al fine di comprendere quale sia l'orientamento che salva i titoli abilitativi già rilasciati, entro il 31 dicembre 2015, a seguito delle modifiche intervenute dalla manovra economica in oggetto, che com’è noto entra il vigore il 1o gennaio 2016.
9/3444-A/360Palmizio.


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito delle numerose modifiche intervenute nel corso d'esame del disegno di legge di stabilità per il 2016, che nella sostanza, mutano in maniera rilevante l'impianto della manovra, i commi da 129-bis a 129-quinquies dell'articolo 1, prevedono una serie di modifiche alla normativa vigente in materia di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi (cosiddetta attività upstream);
    le suindicate correzioni in particolare, riguardano il divieto di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in alcune zone di mare ovvero, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere protette e nelle zone di mare poste entro 12 miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette;.
    le conseguenze di tali modifiche, eliminano pertanto le disposizioni attualmente vigenti (contenute nel secondo e nel terzo periodo del comma 17 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il cui testo è stato da ultimo riscritto dall'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012) che consentivano una serie di deroghe a tale divieto al fine di far salvi alcuni procedimenti concessori in corso (nonché quelli conseguenti e connessi anche ai fini di eventuali relative proroghe), confermando solo la parte della disposizione che fa salvi i titoli abilitativi già rilasciati;
    a giudizio del sottoscrittore del presente atto, se da un lato, tali modifiche, evitano il ricorso al referendum invocato da numerose regioni, contrarie alle decisioni stabilite all'interno del decreto-legge n. 133 del 2014 cosiddetto «sblocca Italia», che consente le trivellazioni per la ricerca di idrocarburi in mare entro le 12 miglia dalla costa e sul territorio, eliminando al contempo il potere decisionale alle regioni, dall'altro accrescono i sentimenti di preoccupazione delle imprese impegnate nelle attività di ricerca ed ispettiva per l'estrazione di idrocarburi, in considerazione delle conseguenze derivanti dalle modifiche normative in precedenza richiamate;
    le correzioni legislative intervenute nel corso del provvedimento in oggetto, che seguono una serie d'interventi normativi precedenti di difficile interpretazione, al riguardo, rendono particolarmente complicato proseguire, per importanti imprese del settore come l'Eni, le attività d'investimento e di pianificazione strategica, anche per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi oltre le 12 miglia, in considerazione che un qualunque ricorso al TAR, è in grado di innescare tempi decisionali indefinibili;
    a giudizio del sottoscrittore del presente atto, le ripercussioni in termini economici e le ricadute occupazionali negative derivanti dalle modifiche previste dai commi da 129-bis a 129-quinquies, nei riguardi del comparto, in particolare rivolto alle attività estrattive nel mare adriatico, appaiono gravi e pericolose anche per i riflessi negativi rivolti all'andamento dell'economia nazionale e locale;
    ulteriori profili critici conseguenti alle correzioni apportate, si rinvengono dalle perplessità derivanti dai nuovi divieti di estrazione nelle zone marine poste a 12 miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette; ad esempio ad oltre 11 miglia dalla costa ravennate c’è l'area protetta del Paguro, identificato come sito d'interesse comunitario; la piattaforma attualmente installata potrebbe far scattare un ulteriore divieto per altre 12 miglia;
    risultano necessari ulteriori delucidazioni nei riguardi di due campi estrattivi situati anch'essi nella costa del ravennate, ceduti da tempo dall'Eni ad altra società e situati entro le 12 miglia in un tratto marino tra Ravenna e Rimini; al riguardo, si segnala come, l’iter autorizzativo delle concessioni che è durato anni, risulta essere in dirittura d'arrivo, con il rischio che in caso tale delibera non si compi entro la fine dell'anno, i campi estrattivi non entreranno in attività e gli investimenti effettuati saranno persi;
    le suesposte criticità a giudizio dei sottoscrittore del presente atto, necessitano pertanto rapidi chiarimenti e le istruzioni necessarie, ai fini della predisposizione degli atti legislativi e regolamentari in grado di definire la validità delle delibere concessorie «già rilasciate» al momento dell'entrata in vigore della legge di stabilità per il 2016 a seguito delle correzioni intervenute con le norme in precedenza richiamate dell'articolo 1, commi 129-bis-129-quinquies che modificano la normativa su ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di chiarire in sede applicativa la formulazione normativa delle disposizioni in premessa, al fine di comprendere quale sia l'orientamento che salva i titoli abilitativi già rilasciati, entro il 31 dicembre 2015, a seguito delle modifiche intervenute dalla manovra economica in oggetto, che com’è noto entra il vigore il 1o gennaio 2016.
9/3444-A/360. (Testo modificato nel corso della seduta) Palmizio.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 146 dell'articolo 1 del provvedimento all'esame, reca misure in materia di salvaguardia dei lavoratori dall'incremento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico;
    le disposizioni dell'articolo 9, commi 1 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, prorogate ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, hanno bloccato anche gli effetti sul trattamento economico di quiescenza e sul trattamento di fine servizio spettante al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile, del Corpo della guardia di finanza e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, incluso quello cessato dal servizio a decorrere dal 1o gennaio 2011;
    il blocco stipendiale del 2010 per i dipendenti della Pubblica Amministrazione (P.A.) ha prodotto una sperequazione delle misure per il comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico rispetto alla P.A. nel suo complesso, in ragione del fatto che la struttura del trattamento economico si basa sulla progressione di carriera e sull'anzianità di servizio, quali componenti imprescindibili degli assetti organizzativi riassumibili nel «trinomio» anzianità-grado-retribuzione;
    la penalizzazione è dunque diventata permanente, non limitata alla «finestra temporale» fissata dalla normativa,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di riconoscere, ai dipendenti del comparto sicurezza, contributi figurativi, ai fini previdenziali e assistenziali e del trattamento di fine servizio, relativi agli emolumenti non corrisposti in applicazione delle disposizioni di cui in premessa.
9/3444-A/361Petrenga.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di stabilità per il 2016 reca, analogamente a quelli relativi agli anni precedenti, un intervento normativo di portata ampia e diversificata, volto a dare attuazione al percorso di consolidamento fiscale indicato nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2015;
    al riguardo, l'impianto originario della manovra è stato profondamente modificato in seconda lettura, attraverso l'inserimento di una moltitudine di micro-norme localistiche e settoriali, che se da un lato possono essere condivise se finalizzate ad una prospettiva di crescita territoriale, dall'altro contravvengono palesemente la disciplina in materia di bilancio, che prevede l'esclusione di norme recanti interventi di natura localistica o micro settoriale, che dovranno trovare collocazione in appositi disegni di legge collegati e pertanto al di fuori della legge di stabilità; il provvedimento in particolare, con riguardo alle misure di competenza previste in materia di lavoro e occupazione, prevede fra gli interventi previsti, la proroga dello sgravio contributivo per le nuove assunzioni con contratti di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel 2016, una disciplina tributaria specifica per la promozione del welfare aziendale e l'incentivazione della contrattazione collettiva decentrata, ed il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga;
    nell'ambito degli interventi previsti in favore del Mezzogiorno e più specificatamente nei confronti dell'occupazione, il disegno di legge in oggetto, tuttavia non contempla adeguatamente significative misure di politica attiva del lavoro e di rilancio, volte a contrastare i livelli di disoccupazione crescente nelle aree del meridione, ed in particolare nella regione Sicilia, che, come a più riprese i principali indicatori economici e statistici evidenziano, prosegue un trend di estrema difficoltà e di caduta dal punto di vista produttivo e della creazione di nuovi posti di lavoro;
    la necessità di rapidi interventi, finalizzati ad offrire una definitiva soluzione strutturale a un problema socio-economico, che interessa una vasta platea di soggetti precari dell'isola, impegnati in progetti socialmente utili (all'interno della regione Siciliana), nonché a superare al contempo, le politiche assistenziali che, nel loro complesso, risultano più onerose rispetto ad un eventuale processo di stabilizzazione, appare a giudizio del sottoscrittore del presente atto, urgente ed opportuna, anche in considerazione dei rischi che potrebbero accentuarsi di tensione sociale ed economica dell'isola, in caso di assenza di interventi nei riguardi dei medesimi lavoratori siciliani;
    le modifiche intervenute in sede d'esame del disegno di legge in oggetto, attraverso il comma 116 dell'articolo 1 volte a prorogare ancora una volta, fino al 31 dicembre 2016 i contratti di lavoro a tempo determinato, degli enti territoriali delle regioni a statuto speciale, se da un lato garantiscono la continuità occupazionale, per migliaia di lavoratori socialmente utili delle amministrazioni pubbliche siciliane, dall'altro non rappresentano carattere risolutivo, come evidenziano le numerose iniziative legislative presentate al riguardo, dal sottoscrittore del presente atto nel corso della presente legislatura;
    la necessità di intervenire in tempi rapidi ed urgenti attraverso un'azione legislativa risolutiva in grado di definire in maniera stabile e duratura la situazione contrattuale dei lavoratori socialmente utili della regione Sicilia, appare pertanto indifferibile a giudizio del sottoscrittore del presente atto, essendo peraltro in coerenza con le sentenze della Corte di Giustizia Europea, nonché della normativa comunitaria in materia di divieto di reiterazione dei contratti di lavoro a tempo determinato negli enti locali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione, ed i vincoli di bilancio, un intervento legislativo ad hoc a breve termine, finalizzato a definire in maniera strutturale e duratura la salvaguardia e la tutela occupazionale dei lavoratori siciliani – Lsu impiegati nella pubblica amministrazione della regione Siciliana, al fine di interrompere il declino dei livelli occupazionali nell'isola, che persistono da diversi anni anche a causa dell'effetto dello scoraggiamento in particolare nella fascia giovanile.
9/3444-A/362Riccardo Gallo.


   La Camera,
   premesso che:
    premesso che con le disposizioni contenute nel ddl Stabilità 2016, come è noto, è stata introdotta una nuova disciplina che elimina l'obbligo di pagamento di imposte locali quali l'IMU e la TASI per le abitazioni principali e sui terreni agricoli;
    preso atto del fatto che, per evitare di tradurre questo opportuno intervento di riduzione della pressione fiscale attuato con legge dello Stato, in uno strumento di impoverimento delle risorse a disposizione dei Comuni per assicurare i servizi ai quali devono attendere per mandato istituzionale, è previsto un articolato meccanismo di ripartizione tra i Comuni di risorse finanziarie messe a disposizione dallo Stato, come previsto espressamente nella nuova disciplina introdotta con la legge di Stabilità per il 2016;
    considerato che, in tale assetto, sembra imprescindibile prevedere che tale procedura non prescinda da una rigorosa e certa determinazione degli importi spettanti a ciascun Comune attraverso la valorizzazione dei dati a disposizione delle articolazioni operative effettivamente preposte all'accertamento e riscossione dei predetti tributi, e anche tenendo conto degli importi eventualmente riscossi in anni successivi ma da imputare correttamente all'anno di riferimento (per esempio in conseguenza degli esiti di riscossione coattiva o di procedure di rateizzazione);
    ritenuto che, pertanto, al fine di garantire l'equa ripartizione delle risorse riconosciute ai sensi del presente ddl tra i comuni interessati, sulla base del gettito effettivo IMU e TASI, relativi alle unità immobiliari sopra menzionate, pare necessario che il versamento degli importi spettanti a ciascun comune sia effettuato sulla base di apposite attestazioni periodiche in grado di assicurare la corrispondenza degli importi relativi all'anno 2015 con quelli dovuti e versati anche negli esercizi finanziari successivi, al fine di consentire ai comuni interessati di ottenere dallo Stato il corrispondente importo, come invece prevede il ddl Stabilità, e allo stesso tempo per consentire alla sede ove si procederà alla ripartizione delle risorse complessive di provvedere con piena cognizione di causa dei dati effettivi, evidentemente in possesso solo delle strutture deputate alla raccolta dei tributi per ciascun comune, rientrando già a pieno titolo tale attività nelle funzioni esercitate, senza la necessità di prevedere alcun compenso aggiuntivo per la medesima attività,

impegna il Governo

ad adottare ogni intervento interpretativo ed attuativo in grado di assicurare che il riparto delle risorse spettanti ai Comuni della legge di Stabilità per il 2016 in conseguenza dell'eliminazione dell'obbligo di pagamento di IMU e TASI per la prima casa di abitazione avvenga nei termini indicati in premessa, comunque senza nuovi o ulteriori oneri a carico dei bilanci pubblici.
9/3444-A/363Milanato.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi dal 245-undevicies al 245-vicies sexies dell'articolo 1 del provvedimento all'esame, assegnano al capo del Dipartimento della protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la somma di 7,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017 per speciali elargizioni in favore dei familiari delle vittime dell'alluvione verificatasi il 5 maggio 1998 a Sarno, a totale indennizzo della responsabilità civile a carico dello Stato e del comune di Sarno;
    a metà ottobre 2015 la zona del Sannio, l'intera provincia di Benevento, della Campania, e del sud, sono state colpite da violenti nubifragi che hanno causato vittime, oltre a danni economici gravissimi ad abitazioni e aziende nel Beneventano, con 120 milioni di euro di danni alle sole imprese agricole;
    sono crollati nel sette ponti e la città di Benevento è stata messa in ginocchio da un mare di fango, che ha provocato anche due morti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di destinare la quota di 50 milioni di euro del Fondo emergenze nazionali della Protezione civile, di cui all'articolo 10 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, e successive modificazioni ed integrazioni, ad interventi di protezione civile nei territori dei comuni del Sannio colpiti dall'alluvione dell'ottobre 2015.
9/3444-A/364De Girolamo.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 2016, dopo l'approvazione di uno degli emendamenti presentati, ha previsto uno stanziamento di 5 milioni di euro a favore dei soggetti con diagnosi che rientra nell'ambito dello spettro autistico;
    in questo modo la norma supplisce ad una carenza della stessa legge sull'Autismo: «Norme per la prevenzione, la cura e la riabilitazione dell'autismo e disposizioni per l'assistenza alle famiglie delle persone affette da questa malattia» approvato in via definitiva il 5 agosto 2015 con il nuovo titolo «Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie», per cui non era stato destinato nessun tipo di copertura economica - finanziaria;
    ma 5 milioni, pur essendo un segnale positivo di attenzione nei confronti dei soggetti che rientrano nella diagnosi di spettro autistico, non coprono certamente la pluralità e la complessità dei bisogni delle persone autistiche. La legge in questione, la n. 134/15. riguarda non solo gli aspetti clinici dell'Autismo, dalla diagnosi al trattamento abilitativo-riabilitativo, ma anche l'inserimento prima scolastico e poi lavorativo di queste persone;
    per questo, coerentemente con lo spirito della legge, è necessario individuare progetti pilota in cui sia possibile sperimentare nuove forme di integrazione dei soggetti autistici nel contesto sociale considerato a tutto tondo. Finora la maggioranza dei progetti sull'Autismo si è attestata solo sull'attenzione ai bambini piccoli per accompagnarli durante gli anni della loro vita scolastica. È mancato però un analogo interesse verso il loro inserimento nel mondo professionale e i giovani adulti autistici sono stati finora trascurati;
    in questa fase iniziale di applicazione della legge sull'Autismo è necessario destinare le risorse aggiuntive, che si sono rese disponibili in virtù dell'emendamento approvato, a progetti che privilegino la presa in carico del soggetto autistico lungo tutto l'arco della sua vita. L'inserimento scolastico e l'inserimento professionale rappresentano per le persone dello spettro autistico due frontiere essenziali, due facce di una stessa medaglia, indispensabili, per il riconoscimento della loro dignità e per il contenimento di sintomi che creano un disagio diffuso nella loro famiglia;

impegna il Governo

a destinare le nuove risorse per l'autismo a progetti sperimentali, che consentano di attivare modelli di integrazione caratterizzati dal passaggio da un'ottica prevalentemente sanitaria, ad un'ottica di tipo socio-sanitaria. L'esperienza scolastica e quella professionale dovranno descrivere un iter unitario, in cui il soggetto possa sviluppare le sue competenze nel miglior modo possibile, in funzione della maggiore integrazione sociale possibile.
9/3444-A/365Binetti.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 2016, dopo l'approvazione di uno degli emendamenti presentati, ha previsto uno stanziamento di 5 milioni di euro a favore dei soggetti con diagnosi che rientra nell'ambito dello spettro autistico;
    in questo modo la norma supplisce ad una carenza della stessa legge sull'Autismo: «Norme per la prevenzione, la cura e la riabilitazione dell'autismo e disposizioni per l'assistenza alle famiglie delle persone affette da questa malattia» approvato in via definitiva il 5 agosto 2015 con il nuovo titolo «Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie», per cui non era stato destinato nessun tipo di copertura economica - finanziaria;
    ma 5 milioni, pur essendo un segnale positivo di attenzione nei confronti dei soggetti che rientrano nella diagnosi di spettro autistico, non coprono certamente la pluralità e la complessità dei bisogni delle persone autistiche. La legge in questione, la n. 134/15. riguarda non solo gli aspetti clinici dell'Autismo, dalla diagnosi al trattamento abilitativo-riabilitativo, ma anche l'inserimento prima scolastico e poi lavorativo di queste persone;
    per questo, coerentemente con lo spirito della legge, è necessario individuare progetti pilota in cui sia possibile sperimentare nuove forme di integrazione dei soggetti autistici nel contesto sociale considerato a tutto tondo. Finora la maggioranza dei progetti sull'Autismo si è attestata solo sull'attenzione ai bambini piccoli per accompagnarli durante gli anni della loro vita scolastica. È mancato però un analogo interesse verso il loro inserimento nel mondo professionale e i giovani adulti autistici sono stati finora trascurati;
    in questa fase iniziale di applicazione della legge sull'Autismo è necessario destinare le risorse aggiuntive, che si sono rese disponibili in virtù dell'emendamento approvato, a progetti che privilegino la presa in carico del soggetto autistico lungo tutto l'arco della sua vita. L'inserimento scolastico e l'inserimento professionale rappresentano per le persone dello spettro autistico due frontiere essenziali, due facce di una stessa medaglia, indispensabili, per il riconoscimento della loro dignità e per il contenimento di sintomi che creano un disagio diffuso nella loro famiglia;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di destinare le nuove risorse per l'autismo a progetti sperimentali, che consentano di attivare modelli di integrazione caratterizzati dal passaggio da un'ottica prevalentemente sanitaria, ad un'ottica di tipo socio-sanitaria. L'esperienza scolastica e quella professionale dovranno descrivere un iter unitario, in cui il soggetto possa sviluppare le sue competenze nel miglior modo possibile, in funzione della maggiore integrazione sociale possibile.
9/3444-A/365. (Testo modificato nel corso della seduta) Binetti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2463-bis del codice civile, introdotto dall'articolo 3 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (cosiddetto «Decreto liberalizzazioni»), convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, prevede che le società a responsabilità semplificata sia una forma di s.r.l. la cui costituzione è agevolata dal punto di vista dell'ammontare del capitale sociale necessario, inferiore a 10.000,00 euro, e dei costi da sostenere e può essere costituita con contratto o atto unilaterale da qualsiasi persona fisica a prescindere dall'età anagrafica;
    obiettivo dell'introduzione del nuovo articolo del codice civile sopra ricordato era quello di favorire l'accesso dei giovani all'esercizio dell'attività d'impresa;
    inizialmente la possibilità di accedere alla società a responsabilità limitata semplificata doveva essere riservata soltanto alle persone fisiche di età inferiore ai 35 anni, ed era preclusa, nella fase di costituzione della società, alle persone giuridiche, quali società, associazioni e consorzi;
    il nuovo tipo di società è, inoltre, soggetto ad un regime particolarmente agevolato sia con riferimento all'ammontare dei capitale soci le necessario per la sua costituzione, sia per le formalità di accesso, che saranno meno onerose rispetto ai costi da sostenere per fare ricorso alla «tradizionale» forma della società a responsabilità limitata;
    l'atto costitutivo della società deve essere comunque redatto per atto pubblico in conformità al modello standard tipizzato con apposito decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico;
    si tratta certamente di un aiuto importante per l'apertura di s.r.l. da parte di giovani di età inferiore ai 35 anni che intraprenderanno un'attività d'impresa attraverso la costituzione di una società siffatta;
    ma sono rimaste in carico alla s.r.l. semplificata al momento della sua costituzione spese che certamente non rendono facile per i giovani accedere ai benefici della legge stessa;
    in particolare, sono alquanto onerose le tasse sulla partita Iva, il pagamento dei diritti camerati e il pagamento dei diritti di deposito di bilancio;
    come detto, questi oneri sono particolarmente difficoltosi da affrontare in particolare nella fase di start up della società a responsabilità limitata semplificata, e una loro, temporanea, sospensione sarebbe estremamente utile per favorire l'occupazione giovanile, che tanto soffre (e da tempo) per il peso della crisi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere in futuro iniziative, anche di carattere normativo, che possano consentire la sospensione degli oneri sopra ricordati, per un periodo limitato di tempo – ad esempio tre anni nella fase di start up aziendale – per s.r.l. semplificate previste dal citato articolo 246-bis del codice civile.
9/3444-A/366Capelli, Tabacci, Caruso.


   La Camera,
   premesso che:
    uno degli interventi di più significativo impatto diffuso contenuti nella presente legge di stabilità per il 2016 è rappresentato dal nuovo regime per effetto del quale è stata innovata la disciplina in materia di esazione del canone di abbonamento alla radiotelevisione, il cui importo è stato rimodulato al ribasso, e addebitato sulle fatture per la fornitura di energia elettrica, stabilendosi altresì che lo stesso canone è comunque dovuto una sola volta in relazione agli apparecchi detenuti o utilizzati dallo stesso soggetto dai soggetti appartenenti alla famiglia anagrafica nei luoghi adibiti a propria residenza o dimora;
    preso atto che la normativa attualmente in vigore prevede la soggezione all'obbligo di pagamento del canone di abbonamento di tipo speciale per tutti coloro i quali detengano uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive RAI, in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o, comunque, fuori dell'ambito familiare, o che li impieghino a scopo di lucro diretto o indiretto;
    rilevato che gli assegnatari di una concessione statale per la raccolta del gioco del lotto, per le stesse regole di funzionamento del gioco, come stabilite dall'autorità pubblica, sono tenuti ad utilizzare maxischermi video per consentire di assistere all'esito delle estrazioni in maniera immediata e agevolmente percepibile da parte dalla più ampia parte possibile del pubblico. Tale modalità è funzionale in particolare a talune forme di giochi pubblici abbinati al Lotto, nelle quali le estrazioni dei numeri si susseguono in maniera rapida, e pertanto, richiedono tali modalità di pubblicazione. Anzi, occorre precisare che tali apparati non sono installati autonomamente dai singoli raccoglitori delle giocate, ma sono imposti alla rete di vendita dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, attesa l'elevata frequenza delle estrazioni del gioco «10elotto» che si intervallano ogni 5 minuti ininterrottamente dalle 05:00 alle 24:00;
    considerato che, pertanto, gli apparecchi in esame non vengono utilizzati per altre finalità, né tanto meno per la ricezione di trasmissioni televisive. Piuttosto, va precisato che lo strumento in esame costituisce una periferica connessa direttamente al terminale di gioco, facente parte della dotazione tecnologica affidata ai ricevitori, imposta dall'Amministrazione Finanziaria e finalizzata esclusivamente a garantire all'utenza la migliore fruibilità del gioco;
    tenuto conto che non si tratta neppure di apparecchi che possono dirsi installati a scopo di lucro, in quanto si tratta di semplici schermi di riproduzione dell'esito delle giocate non utilizzati per la diffusione di trasmissioni televisive e facenti parte esclusivamente dell'equipaggiamento tecnico della ricevitoria, imposto dalla concessione statale per le regole del gioco del lotto (che – giova rammentarlo – consente all'erario di conseguire cospicue entrate), tanto che l'eventuale pagamento del canone di abbonamento speciale per questa ipotesi finirebbe per costituire il prezzo di una tassa per un apparato tecnico imposto dalla stessa Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;
    considerato che, in presenza di un intervento volto a escludere il pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo per uso privato, in sostanza si aggraverebbe l'effetto odioso sui soggetti tenuti alla raccolta delle giocate con le modalità indicate, ma allo stesso tempo onerati da una vera e propria tassa occulta particolarmente gravosa, peraltro in contrasto con i precetti normativi già presenti nell'ordinamento giuridico italiano e comunitario (C. Giust. UE sent. 21 ottobre 2015, in esito alla causa C-374/14, New Media Online GmbH-Bundeskommunikationssenat), trattandosi di dispositivi che assolvono funzioni diverse dalla ricezione dei canali audiovisivi, essendo correlati esclusivamente alla raccolta del gioco pubblico con vincite in denaro;
    rilevato che, peraltro, anche a non volere evidenziare tale carattere assorbente, rappresentato dalla radicale diversità rispetto a comuni televisori in quanto non utilizzati per la diffusione di ricezione di canali audiovisivi, gli stessi possono essere ricompresi agevolmente tra gli apparecchi assorbiti dall'unico canone di abbonamento dovuto pur in presenza di una pluralità di apparecchi detenuti o utilizzati dallo stesso soggetto in luoghi adibiti a propria dimora, come può certamente essere intesa la sede in cui si svolge l'attività propria del commerciante o esercente interessato dalla fattispecie in esame (ai sensi del nuovo terzo comma dell'articolo 1 del regio decreto 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 938, n. 880, introdotto ai sensi dell'articolo 1, del presente disegno di legge di stabilità),

impegna il Governo

ad adottare ogni intervento interpretativo ed attuativo idoneo ad assicurare la corrispondenza tra la prassi applicativa e quanto precisato in premessa, al fine di evitare ingiustificati fenomeni di moltiplicazione della tassazione occulta su categorie produttive da sempre più vicine alle esigenze di tutela delle entrate erariali, proprio in quanto ne assicurano quotidianamente l'integrità, in presenza di tutte le condizioni sopra evidenziate di corrispondenza con il quadro normativo e giurisprudenziale consolidatosi, anche al fine di evitare gli oneri per le amministrazioni pubbliche connessi con gli esiti di un contenzioso diffuso in materia.
9/3444-A/367Massa.


   La Camera,
   premesso che:
    uno degli interventi di più significativo impatto diffuso contenuti nella presente legge di stabilità per il 2016 è rappresentato dal nuovo regime per effetto del quale è stata innovata la disciplina in materia di esazione del canone di abbonamento alla radiotelevisione, il cui importo è stato rimodulato al ribasso, e addebitato sulle fatture per la fornitura di energia elettrica, stabilendosi altresì che lo stesso canone è comunque dovuto una sola volta in relazione agli apparecchi detenuti o utilizzati dallo stesso soggetto dai soggetti appartenenti alla famiglia anagrafica nei luoghi adibiti a propria residenza o dimora;
    preso atto che la normativa attualmente in vigore prevede la soggezione all'obbligo di pagamento del canone di abbonamento di tipo speciale per tutti coloro i quali detengano uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive RAI, in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o, comunque, fuori dell'ambito familiare, o che li impieghino a scopo di lucro diretto o indiretto;
    rilevato che gli assegnatari di una concessione statale per la raccolta del gioco del lotto, per le stesse regole di funzionamento del gioco, come stabilite dall'autorità pubblica, sono tenuti ad utilizzare maxischermi video per consentire di assistere all'esito delle estrazioni in maniera immediata e agevolmente percepibile da parte dalla più ampia parte possibile del pubblico. Tale modalità è funzionale in particolare a talune forme di giochi pubblici abbinati al Lotto, nelle quali le estrazioni dei numeri si susseguono in maniera rapida, e pertanto, richiedono tali modalità di pubblicazione. Anzi, occorre precisare che tali apparati non sono installati autonomamente dai singoli raccoglitori delle giocate, ma sono imposti alla rete di vendita dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, attesa l'elevata frequenza delle estrazioni del gioco «10elotto» che si intervallano ogni 5 minuti ininterrottamente dalle 05:00 alle 24:00;
    considerato che, pertanto, gli apparecchi in esame non vengono utilizzati per altre finalità, né tanto meno per la ricezione di trasmissioni televisive. Piuttosto, va precisato che lo strumento in esame costituisce una periferica connessa direttamente al terminale di gioco, facente parte della dotazione tecnologica affidata ai ricevitori, imposta dall'Amministrazione Finanziaria e finalizzata esclusivamente a garantire all'utenza la migliore fruibilità del gioco;
    tenuto conto che non si tratta neppure di apparecchi che possono dirsi installati a scopo di lucro, in quanto si tratta di semplici schermi di riproduzione dell'esito delle giocate non utilizzati per la diffusione di trasmissioni televisive e facenti parte esclusivamente dell'equipaggiamento tecnico della ricevitoria, imposto dalla concessione statale per le regole del gioco del lotto (che – giova rammentarlo – consente all'erario di conseguire cospicue entrate), tanto che l'eventuale pagamento del canone di abbonamento speciale per questa ipotesi finirebbe per costituire il prezzo di una tassa per un apparato tecnico imposto dalla stessa Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;
    considerato che, in presenza di un intervento volto a escludere il pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo per uso privato, in sostanza si aggraverebbe l'effetto odioso sui soggetti tenuti alla raccolta delle giocate con le modalità indicate, ma allo stesso tempo onerati da una vera e propria tassa occulta particolarmente gravosa, peraltro in contrasto con i precetti normativi già presenti nell'ordinamento giuridico italiano e comunitario (C. Giust. UE sent. 21 ottobre 2015, in esito alla causa C-374/14, New Media Online GmbH-Bundeskommunikationssenat), trattandosi di dispositivi che assolvono funzioni diverse dalla ricezione dei canali audiovisivi, essendo correlati esclusivamente alla raccolta del gioco pubblico con vincite in denaro;
    rilevato che, peraltro, anche a non volere evidenziare tale carattere assorbente, rappresentato dalla radicale diversità rispetto a comuni televisori in quanto non utilizzati per la diffusione di ricezione di canali audiovisivi, gli stessi possono essere ricompresi agevolmente tra gli apparecchi assorbiti dall'unico canone di abbonamento dovuto pur in presenza di una pluralità di apparecchi detenuti o utilizzati dallo stesso soggetto in luoghi adibiti a propria dimora, come può certamente essere intesa la sede in cui si svolge l'attività propria del commerciante o esercente interessato dalla fattispecie in esame (ai sensi del nuovo terzo comma dell'articolo 1 del regio decreto 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 938, n. 880, introdotto ai sensi dell'articolo 1, del presente disegno di legge di stabilità),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni intervento interpretativo ed attuativo idoneo ad assicurare la corrispondenza tra la prassi applicativa e quanto precisato in premessa, al fine di evitare ingiustificati fenomeni di moltiplicazione della tassazione occulta su categorie produttive da sempre più vicine alle esigenze di tutela delle entrate erariali, proprio in quanto ne assicurano quotidianamente l'integrità, in presenza di tutte le condizioni sopra evidenziate di corrispondenza con il quadro normativo e giurisprudenziale consolidatosi, anche al fine di evitare gli oneri per le amministrazioni pubbliche connessi con gli esiti di un contenzioso diffuso in materia.
9/3444-A/367. (Testo modificato nel corso della seduta) Massa.


   La Camera,
   premesso che:
    con le disposizioni contenute nei commi 49-bis-491-quaterdecies dell'articolo 1 del disegno di legge di Stabilità 2016, come è noto, è stata introdotta una nuova disciplina che attraverso il superamento della crisi di quattro istituti bancari mira ad introdurre nel nostro ordinamento disposizioni volte a fornire un assetto sistematico per la soluzione di crisi bancarie in grado di compromettere la stabilità del sistema bancario e di quello economico complessivo del Paese;
    preso atto della centralità di tale orientamento rispetto alle aspettative di stabilità economica complessiva e ripresa produttiva ed occupazionale connesse, che possono essere pesantemente compromesse in presenza di un sistema bancario non stabile o non assistito da un quadro regolatorio trasparente e chiaro nella disciplina di ogni momento in cui si articola la relativa attività, prima fra tutte quella consistente nella erogazione del credito che deve evitare ogni forma di discriminazione preservando rigorosamente ogni forma di allocazione attenta al merito di credito, pur contemperando tale esigenza con quella derivante dalla necessità di assicurare al sistema produttivo e delle famiglie l'occorrente alimentazione finanziaria connessa ad un sistema di accesso al credito non strozzato e invece più attento alle esigenze del ceto produttivo;
    rilevato che nell'attuale scenario caratterizzato dalla permanente difficoltà di accesso al credito soprattutto per famiglie, artigiani, imprese di piccole e medie dimensioni pur in presenza di consistenti risorse in termini di liquidità a disposizione del sistema bancario, occorre favorire pertanto tutte le misure in grado di agevolare l'accesso al credito, e che in questo quadro un percorso importante è rappresentato dalla valorizzazione delle opportunità consentite al sistema cooperativo;
    considerato che, in tale contesto, è importante e non più procrastinabile favorire l'accesso al credito per i soggetti soci delle società cooperative, estendendo l'ambito di applicazione dell'articolo 112, comma 7 del TUB;
    ritenuto che le difficoltà di accesso al credito che caratterizzano l'attuale momento storico, momento nel quale proprio il credito dovrebbe essere un elemento di spinta per la ripresa, possono essere superate attraverso la valorizzazione del «sodalizio» cooperativo come ambito nel quale i soci possono sentirsi più sicuri e meno esposti agli sconvolgimenti sociali ed economici in corso, in ragione delle attività mutualistiche promosse dalle cooperative stesse;
    valutato, pertanto, come opportuno favorire misure volte a preservare questo importante ruolo svolto nel mondo della cooperazione, innalzando le soglie dei finanziamenti che le cooperative possono concedere ai propri soci, anche in considerazione del fatto che le misure già introdotte a suo tempo hanno prodotto risultati importanti, che vanno assolutamente incoraggiati e favoriti;
    ritenuto che in questo senso è importante consentire di erogare finanziamenti ai soli soci di cooperative e con una soglia estremamente contenuta, non pregiudicando in alcun modo le tutele riservate al pubblico dei consumatori e previste dalla legislazione bancaria, senza peraltro alcun onere di sorta per i bilanci pubblici,

impegna il Governo

compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, e nel quadro di coerenza con la disciplina UE, ad adottare ogni intervento idoneo a procedere nel più breve tempo possibile all'armonizzazione della disciplina in materia di limiti alla facoltà di concessione di finanziamenti da parte delle cooperative ai propri soci, in maniera da rappresentare un valido ed efficace strumento di rafforzamento delle misure di accesso al credito utilizzabili nell'attuale congiuntura economica.
9/3444-A/368Bruno Bossio, Massa.


   La Camera,
   premesso che:
    con le disposizioni contenute nei commi 49-bis-491-quaterdecies dell'articolo 1 del disegno di legge di Stabilità 2016, come è noto, è stata introdotta una nuova disciplina che attraverso il superamento della crisi di quattro istituti bancari mira ad introdurre nel nostro ordinamento disposizioni volte a fornire un assetto sistematico per la soluzione di crisi bancarie in grado di compromettere la stabilità del sistema bancario e di quello economico complessivo del Paese;
    preso atto della centralità di tale orientamento rispetto alle aspettative di stabilità economica complessiva e ripresa produttiva ed occupazionale connesse, che possono essere pesantemente compromesse in presenza di un sistema bancario non stabile o non assistito da un quadro regolatorio trasparente e chiaro nella disciplina di ogni momento in cui si articola la relativa attività, prima fra tutte quella consistente nella erogazione del credito che deve evitare ogni forma di discriminazione preservando rigorosamente ogni forma di allocazione attenta al merito di credito, pur contemperando tale esigenza con quella derivante dalla necessità di assicurare al sistema produttivo e delle famiglie l'occorrente alimentazione finanziaria connessa ad un sistema di accesso al credito non strozzato e invece più attento alle esigenze del ceto produttivo;
    rilevato che nell'attuale scenario caratterizzato dalla permanente difficoltà di accesso al credito soprattutto per famiglie, artigiani, imprese di piccole e medie dimensioni pur in presenza di consistenti risorse in termini di liquidità a disposizione del sistema bancario, occorre favorire pertanto tutte le misure in grado di agevolare l'accesso al credito, e che in questo quadro un percorso importante è rappresentato dalla valorizzazione delle opportunità consentite al sistema cooperativo;
    considerato che, in tale contesto, è importante e non più procrastinabile favorire l'accesso al credito per i soggetti soci delle società cooperative, estendendo l'ambito di applicazione dell'articolo 112, comma 7 del TUB;
    ritenuto che le difficoltà di accesso al credito che caratterizzano l'attuale momento storico, momento nel quale proprio il credito dovrebbe essere un elemento di spinta per la ripresa, possono essere superate attraverso la valorizzazione del «sodalizio» cooperativo come ambito nel quale i soci possono sentirsi più sicuri e meno esposti agli sconvolgimenti sociali ed economici in corso, in ragione delle attività mutualistiche promosse dalle cooperative stesse;
    valutato, pertanto, come opportuno favorire misure volte a preservare questo importante ruolo svolto nel mondo della cooperazione, innalzando le soglie dei finanziamenti che le cooperative possono concedere ai propri soci, anche in considerazione del fatto che le misure già introdotte a suo tempo hanno prodotto risultati importanti, che vanno assolutamente incoraggiati e favoriti;
    ritenuto che in questo senso è importante consentire di erogare finanziamenti ai soli soci di cooperative e con una soglia estremamente contenuta, non pregiudicando in alcun modo le tutele riservate al pubblico dei consumatori e previste dalla legislazione bancaria, senza peraltro alcun onere di sorta per i bilanci pubblici,

impegna il Governo

compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, e nel quadro di coerenza con la disciplina UE, a valutare l'opportunità di adottare ogni intervento idoneo a procedere nel più breve tempo possibile all'armonizzazione della disciplina in materia di limiti alla facoltà di concessione di finanziamenti da parte delle cooperative ai propri soci, in maniera da rappresentare un valido ed efficace strumento di rafforzamento delle misure di accesso al credito utilizzabili nell'attuale congiuntura economica.
9/3444-A/368. (Testo modificato nel corso della seduta) Bruno Bossio, Massa.


   La Camera,
   premesso che:
    saranno circa 50 le unità navali (escluso il naviglio minore) che saranno dismesse nel prossimo decennio, poiché risultano già oggi non più impiegabili in maniera efficace e sicura, precocemente usurate per via dell'intenso utilizzo nel corso delle operazioni Mare Nostrum e Mare Sicuro e che quindi sarà necessario pertanto avviare velocemente un programma navale idoneo a salvaguardare la capacità dello strumento marittimo, mediante l'acquisizione di nuove e moderne piattaforme performanti, con equipaggiamento contenuto e modulare, con elevata autonomia logistica e rapidità di dislocazione e d'intervento, versatili, flessibili e sostenibili, proiettabili ed interoperabili;
    appare prioritario e altamente strategico stante li mai sopito pericolo per la sicurezza internazionale proseguire nella consolidata politica di finanziamento di programmi ad alta tecnologia per la difesa, con lo scopo di promuovere lo sviluppo e di rafforzare la competitività dei settori industriali tecnologicamente avanzati, funzionali alla sicurezza nazionale;
    risulta improcrastinabile l'esigenza di un programma volto ad assicurare attraverso l'acquisizione e l'entrata in servizio di nuove Unità Navali un progressivo rinnovamento e adeguamento dello strumento aeronavale, congruo in termini qualitativi e quantitativi all'assolvimento delle numerose operazioni della Marina militare in Italia e all'estero;
    con riferimento alla tipologia e al numero di assetti da acquisire, recenti studi delle competenti commissioni parlamentari e degli uffici del Ministero della difesa hanno individuato quale esigenze prioritarie quelle di dotarsi di una unità navale di supporto subacqueo polivalente per il soccorso a sommergibili sinistrati e le attività di sorveglianza e tutela dei fondali marini; 2 sommergibili per la sorveglianza, la raccolta di informazioni in modalità occulta e la difesa dalle minacce subacquee; una unità navale per la raccolta di evidenze informative su tutto lo spettro elettro-magnetico, a supporto delle attività di Intelligence, con particolare riferimento alle telecomunicazioni, i segnali radar, le informazioni provenienti dai campo della radiazione ottica e infrarosso, nonché i dati di natura acustica, per quanto attiene in particolare le piattaforme navali e subacquee di interesse;
    il costo complessivo del programma potrebbe essere gestito sulla Missione 11 (Competitività e sviluppo delle imprese), Programma 5 (Promozione e attuazione di politiche di sviluppo, competitività e innovazione, di responsabilità sociale d'impresa e movimento cooperativo), macro-aggregato-UPB «Investimenti» e Centro di Responsabilità Direzione generale per la politica industriale, la competitività e le piccole e medie imprese con efficaci ricadute sull'indotto del comparto italiano; gli investimenti infatti sono suscettibili di riversarsi a favore della cantieristica navale nazionale e di quello relativo all'Elettronica e alla Information Technology; tali comparti rappresentano un importante volano per il consolidamento della ripresa economica attraverso l'incremento di competitività del tessuto produttivo nazionale In considerazione della ramificata rete di piccole e medie imprese operanti In molteplici aree ad alto valore aggiunto quali: navalmeccanica, elettromeccanica, siderurgia, elettronica, informatica, telematica, robotica e armamenti;
    il programma si pone in perfetta sinergia con la cooperazione internazionale già avviata con la costruzione delle unità subacquee, di medesima tipologia dei quattro sommergibili precedentemente realizzati nel quadro di un accordo bilaterale ad Oggi ancora operante con la Repubblica Federale di Germania ed è suscettibile di catalizzare l'interesse di altri Paesi nell'ambito delle sinergie della politica europea di Sicurezza e Difesa, di cooperazioni internazionali bilaterali, nonché nel contesto dell'organizzazione congiunta per la cooperazione in materia di armamenti (OCCAR),

impegna il Governo

ad assicurare il mantenimento di adeguate capacità a tutela degli interessi marittimi nazionali, ivi inclusi quelli di sicurezza, sviluppo economico, ricerca scientifica e protezione dell'ambiente, attraverso appositi stanziamenti con contributi ventennali, da Iscriversi sullo stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, per la finalizzazione di un programma per la realizzazione di mezzi e Sistemi a connotazione duale, nel quadro di una politica comune europea, consolidando strategicamente l'industria navalmeccanica ad alta tecnologia ed elettronica.
9/3444-A/369Naccarato, D'Arienzo.


   La Camera,
   premesso che:
    saranno circa 50 le unità navali (escluso il naviglio minore) che saranno dismesse nel prossimo decennio, poiché risultano già oggi non più impiegabili in maniera efficace e sicura, precocemente usurate per via dell'intenso utilizzo nel corso delle operazioni Mare Nostrum e Mare Sicuro e che quindi sarà necessario pertanto avviare velocemente un programma navale idoneo a salvaguardare la capacità dello strumento marittimo, mediante l'acquisizione di nuove e moderne piattaforme performanti, con equipaggiamento contenuto e modulare, con elevata autonomia logistica e rapidità di dislocazione e d'intervento, versatili, flessibili e sostenibili, proiettabili ed interoperabili;
    appare prioritario e altamente strategico stante li mai sopito pericolo per la sicurezza internazionale proseguire nella consolidata politica di finanziamento di programmi ad alta tecnologia per la difesa, con lo scopo di promuovere lo sviluppo e di rafforzare la competitività dei settori industriali tecnologicamente avanzati, funzionali alla sicurezza nazionale;
    risulta improcrastinabile l'esigenza di un programma volto ad assicurare attraverso l'acquisizione e l'entrata in servizio di nuove Unità Navali un progressivo rinnovamento e adeguamento dello strumento aeronavale, congruo in termini qualitativi e quantitativi all'assolvimento delle numerose operazioni della Marina militare in Italia e all'estero;
    con riferimento alla tipologia e al numero di assetti da acquisire, recenti studi delle competenti commissioni parlamentari e degli uffici del Ministero della difesa hanno individuato quale esigenze prioritarie quelle di dotarsi di una unità navale di supporto subacqueo polivalente per il soccorso a sommergibili sinistrati e le attività di sorveglianza e tutela dei fondali marini; 2 sommergibili per la sorveglianza, la raccolta di informazioni in modalità occulta e la difesa dalle minacce subacquee; una unità navale per la raccolta di evidenze informative su tutto lo spettro elettro-magnetico, a supporto delle attività di Intelligence, con particolare riferimento alle telecomunicazioni, i segnali radar, le informazioni provenienti dai campo della radiazione ottica e infrarosso, nonché i dati di natura acustica, per quanto attiene in particolare le piattaforme navali e subacquee di interesse;
    il costo complessivo del programma potrebbe essere gestito sulla Missione 11 (Competitività e sviluppo delle imprese), Programma 5 (Promozione e attuazione di politiche di sviluppo, competitività e innovazione, di responsabilità sociale d'impresa e movimento cooperativo), macro-aggregato-UPB «Investimenti» e Centro di Responsabilità Direzione generale per la politica industriale, la competitività e le piccole e medie imprese con efficaci ricadute sull'indotto del comparto italiano; gli investimenti infatti sono suscettibili di riversarsi a favore della cantieristica navale nazionale e di quello relativo all'Elettronica e alla Information Technology; tali comparti rappresentano un importante volano per il consolidamento della ripresa economica attraverso l'incremento di competitività del tessuto produttivo nazionale In considerazione della ramificata rete di piccole e medie imprese operanti In molteplici aree ad alto valore aggiunto quali: navalmeccanica, elettromeccanica, siderurgia, elettronica, informatica, telematica, robotica e armamenti;
    il programma si pone in perfetta sinergia con la cooperazione internazionale già avviata con la costruzione delle unità subacquee, di medesima tipologia dei quattro sommergibili precedentemente realizzati nel quadro di un accordo bilaterale ad Oggi ancora operante con la Repubblica Federale di Germania ed è suscettibile di catalizzare l'interesse di altri Paesi nell'ambito delle sinergie della politica europea di Sicurezza e Difesa, di cooperazioni internazionali bilaterali, nonché nel contesto dell'organizzazione congiunta per la cooperazione in materia di armamenti (OCCAR),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assicurare il mantenimento di adeguate capacità a tutela degli interessi marittimi nazionali, ivi inclusi quelli di sicurezza, sviluppo economico, ricerca scientifica e protezione dell'ambiente, attraverso appositi stanziamenti con contributi ventennali, da Iscriversi sullo stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, per la finalizzazione di un programma per la realizzazione di mezzi e Sistemi a connotazione duale, nel quadro di una politica comune europea, consolidando strategicamente l'industria navalmeccanica ad alta tecnologia ed elettronica.
9/3444-A/369. (Testo modificato nel corso della seduta) Naccarato, D'Arienzo.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 666 dell'articolo 3, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, ha disposto a decorrere dal 1o gennaio 2015, la soppressione del regime di esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per gli autoveicoli e motoveicoli di particolare interesse storico collezionistico che abbiano compiuto il ventesimo anno di età;
    tale soppressione è stata motivata dall'assunto che con l'evoluzione delle tecniche costruttive da parte del mercato automobilistico, un autoveicolo o motoveicolo al compimento dei venti anni non può più essere assimilato ai veicoli di particolare interesse storico solo in ragione della sua vetustà;
    al riguardo l'assunto che con l'evoluzione delle tecniche costruttive un autoveicolo dopo venti anni non possa essere più considerato storico sembra essere anacronistico perché proprio il celere evolversi della tecnologia rende l'autoveicolo storico;
    inoltre allo stato attuale il vigente comma 4 dell'articolo 63 prevede un gettito derivante dalla tassa di circolazione che dovrebbero pagare gli automezzi trentennali qualora vengano messi su strada;
    appare evidente la difficoltà oggettiva di applicare controlli stringenti sul pagamento di questa tassa nel caso di circolazione dei veicoli e ciò rende incerta la quantificazione del gettito;
    sarebbe opportuno pertanto sostituire la citata tassa di circolazione con una più accertabile ed oggettiva tassa di proprietà;
    in considerazione che i possessori di auto ultratrentennali sono quasi tutti collezionisti mentre i possessori di auto ventennali sono in gran parte cittadini che ben conservano l'auto, la usano per muoversi nella città e per motivi economici non la rottamino per acquistarne una nuova;
    inoltre a fronte della tassazione più gravosa introdotta dal 2015 i possessori di auto ventennali potrebbero decidere di rottamare l'auto con un evidente impatto economico anche per I indotto che coinvolge le carrozzerie, le officine e tutte le attività artigianali che si prendono cura della manutenzione di questi beni,

impegna il Governo

ad emettere un provvedimento atto a sostituire l'attuale tassa di circolazione forfettaria annua, difficilmente accertabile, cui sono soggetti attualmente i veicoli e i motoveicoli ultratrentennali, qualora circolanti, con una tassa di proprietà simbolica comprendente anche le autovetture di interesse storico e collezionistico, che abbiano compiuto vent'anni dalla data di costruzione o di prima immatricolazione, attualmente esclusi dalle agevolazioni fiscali a norma del citato articolo 1 comma 666 della legge n. 190 del 2015.
9/3444-A/370Marco Di Stefano.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 666 dell'articolo 3, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, ha disposto a decorrere dal 1o gennaio 2015, la soppressione del regime di esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per gli autoveicoli e motoveicoli di particolare interesse storico collezionistico che abbiano compiuto il ventesimo anno di età;
    tale soppressione è stata motivata dall'assunto che con l'evoluzione delle tecniche costruttive da parte del mercato automobilistico, un autoveicolo o motoveicolo al compimento dei venti anni non può più essere assimilato ai veicoli di particolare interesse storico solo in ragione della sua vetustà;
    al riguardo l'assunto che con l'evoluzione delle tecniche costruttive un autoveicolo dopo venti anni non possa essere più considerato storico sembra essere anacronistico perché proprio il celere evolversi della tecnologia rende l'autoveicolo storico;
    inoltre allo stato attuale il vigente comma 4 dell'articolo 63 prevede un gettito derivante dalla tassa di circolazione che dovrebbero pagare gli automezzi trentennali qualora vengano messi su strada;
    appare evidente la difficoltà oggettiva di applicare controlli stringenti sul pagamento di questa tassa nel caso di circolazione dei veicoli e ciò rende incerta la quantificazione del gettito;
    sarebbe opportuno pertanto sostituire la citata tassa di circolazione con una più accertabile ed oggettiva tassa di proprietà;
    in considerazione che i possessori di auto ultratrentennali sono quasi tutti collezionisti mentre i possessori di auto ventennali sono in gran parte cittadini che ben conservano l'auto, la usano per muoversi nella città e per motivi economici non la rottamino per acquistarne una nuova;
    inoltre a fronte della tassazione più gravosa introdotta dal 2015 i possessori di auto ventennali potrebbero decidere di rottamare l'auto con un evidente impatto economico anche per I indotto che coinvolge le carrozzerie, le officine e tutte le attività artigianali che si prendono cura della manutenzione di questi beni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di emettere un provvedimento atto a sostituire l'attuale tassa di circolazione forfettaria annua, difficilmente accertabile, cui sono soggetti attualmente i veicoli e i motoveicoli ultratrentennali, qualora circolanti, con una tassa di proprietà simbolica comprendente anche le autovetture di interesse storico e collezionistico, che abbiano compiuto vent'anni dalla data di costruzione o di prima immatricolazione, attualmente esclusi dalle agevolazioni fiscali a norma del citato articolo 1 comma 666 della legge n. 190 del 2015.
9/3444-A/370. (Testo modificato nel corso della seduta) Marco Di Stefano.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 46 dell'articolo 1 prevede, ai fini delle imposte sui redditi, la possibilità di iscrivere a bilancio un ammortamento del 140 per cento del costo dei beni materiali nuovi acquistati dai soggetti titolari di reddito di impresa e dagli esercenti arti e professioni dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016;
    il successivo comma 47 dispone la maggiorazione del 40 per cento dei limiti rilevanti per la deduzione delle quote di ammortamento dei mezzi di trasporto a motore che non vengono utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell'attività dell'impresa;
    il comma 49 stabilisce che tali agevolazioni non possono essere utilizzate ai fini degli acconti dovuti per periodi di imposta in corso al 31 dicembre 2015 e al 31 dicembre 2016;
    secondo i dati ISTAT, la produttività, che è un elemento fondamentale per il benessere di un Paese, da vent'anni in Italia è in calo, a differenza degli altri Paesi europei e dell'OCSE;
    dal momento che oggigiorno la produttività è fatta più dall'intelligenza informatica che da beni strumentali, sarebbe pertanto opportuno per le imprese beneficiare di ammortamenti accelerati anche per l'investimento in software,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di estendere entro il 2016 le agevolazioni del superammortamento previsto per i beni materiali nuovi acquistati anche agli investimenti in software per l'incremento della produttività.
9/3444-A/371Quintarelli, Galgano, Librandi, Matarrese, Oliaro, Vargiu, Catania, Rabino, Molea, Sottanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il parco veicolare italiano è caratterizzato da un elevato rapporto nazionale auto/abitante e da un notevole uso del mezzo privato rispetto al trasporto pubblico. Da fonti Istat risulta che in Italia sono presenti 621 autovetture ogni 100 abitanti e rispetto ad altri Paesi simili al nostro per reddito pro capite, come Francia, Spagna e Germania, i tassi di motorizzazione privata risultano molto più alti;
    l'analisi del parco rivela un'anzianità ormai evidente e un invecchiamento che sta procedendo velocemente e che necessità di un serio piano di rinnovo;
    i dati diffusi proprio in questi giorni da Legambiente sulla qualità dell'aria nelle nostre città rivelano un livello di Pm10, polveri sottili, decisamente preoccupante. Milano, Torino, Roma sono città che hanno sforato di molto il livello delle polveri sottili consentito dalla legge;
    la necessità di sostenere il rinnovo del parco veicolare mediante l'acquisto di nuovi veicoli a minimo impatto ambientale, ovvero mediante la riqualificazione di veicoli già circolanti, ivi compresa la riqualificazione elettrica di cui all'articolo 17-terdecies del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, risulta a questo punto quanto mai urgente;
    il citato articolo 17-terdecies prevedeva contributi nei confronti di coloro che acquistavano in Italia, anche in locazione finanziaria, e immatricolavano un veicolo nuovo di fabbrica a basse emissioni complessive e che consegnavano per la rottamazione un veicolo di cui siano stati proprietari o utilizzatori,

impegna il Governo

ad intervenire quanto prima al fine di introdurre, per il prossimo triennio, un sistema di agevolazioni fiscali mirate a rinnovare il parco veicolare tramite l'acquisto di nuovi veicoli a minimo impatto ambientale.
9/3444-A/372Martelli, Pastorelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il parco veicolare italiano è caratterizzato da un elevato rapporto nazionale auto/abitante e da un notevole uso del mezzo privato rispetto al trasporto pubblico. Da fonti Istat risulta che in Italia sono presenti 621 autovetture ogni 100 abitanti e rispetto ad altri Paesi simili al nostro per reddito pro capite, come Francia, Spagna e Germania, i tassi di motorizzazione privata risultano molto più alti;
    l'analisi del parco rivela un'anzianità ormai evidente e un invecchiamento che sta procedendo velocemente e che necessità di un serio piano di rinnovo;
    i dati diffusi proprio in questi giorni da Legambiente sulla qualità dell'aria nelle nostre città rivelano un livello di Pm10, polveri sottili, decisamente preoccupante. Milano, Torino, Roma sono città che hanno sforato di molto il livello delle polveri sottili consentito dalla legge;
    la necessità di sostenere il rinnovo del parco veicolare mediante l'acquisto di nuovi veicoli a minimo impatto ambientale, ovvero mediante la riqualificazione di veicoli già circolanti, ivi compresa la riqualificazione elettrica di cui all'articolo 17-terdecies del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, risulta a questo punto quanto mai urgente;
    il citato articolo 17-terdecies prevedeva contributi nei confronti di coloro che acquistavano in Italia, anche in locazione finanziaria, e immatricolavano un veicolo nuovo di fabbrica a basse emissioni complessive e che consegnavano per la rottamazione un veicolo di cui siano stati proprietari o utilizzatori,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire quanto prima al fine di introdurre, per il prossimo triennio, un sistema di agevolazioni fiscali mirate a rinnovare il parco veicolare tramite l'acquisto di nuovi veicoli a minimo impatto ambientale.
9/3444-A/372. (Testo modificato nel corso della seduta) Martelli, Pastorelli.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di approvazione del disegno di legge: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (Legge di stabilità 2016) si ritiene opportuno richiamare l'attenzione sulle modifiche alle norme relative alla disciplina del patto di stabilità interno degli enti locali nonché quelle relative al conseguimento del pareggio di bilancio da parte delle regioni che, nel testo iniziale, si prevedeva fossero subordinate al riconoscimento in sede europea dei margini di flessibilità correlati all'emergenza immigrazione;
    nulla viene dunque previsto in questo provvedimento per far fronte ad un'emergenza che continua ad attanagliare il nostro Paese e che interessa non solo gli enti locali ma anche e soprattutto l'intero tessuto economico e produttivo della penisola;
    l'immigrazione è un fenomeno enorme e complesso, capace di cambiare il volto di una società infatti, presenta notevoli implicazioni economiche, sociali, culturali e di ordine pubblico;
    il nostro Paese è un esempio dei numerosi problemi che possono derivare da un'immigrazione eccessiva e non regolamentata, e che possono recar danno alla società;  
    siamo stati spettatori, durante il periodo estivo appena passato, delle difficili condizioni di vita e di permanenza in cui si sono trovati residenti ed immigrati trasferiti nelle regioni del nord Italia ed ospitati in strutture recettive;
    ne è derivato un peggioramento delle condizioni di lavoro di diverse imprese che hanno subito pesanti conseguenze economiche a causa della presenza non regolamentata di immigrati nelle vicinanze di siti turistico-balneari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, nell'ambito del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, un'apposita sezione che preveda una serie di sgravi e di incentivi a favore di tutte le attività economiche e commerciali che dimostrino di aver subito danni economici a causa della presenza sul territorio di centri di accoglienza per immigrati.
9/3444-A/373Prataviera, Matteo Bragantini, Caon, Marcolin.


   La Camera,
   premesso che:
    nonostante gli annunci dei mesi scorsi, il disegno di legge di stabilità non prevede alcun progetto di rilancio dell'area del Mezzogiorno del Paese: le misure previste risultano inidonee e carenti soprattutto alla luce dei più recenti dati forniti dalla Svimez, e gli interventi destinati alla ripresa degli investimenti privati nelle regioni meridionali si limitano ad un credito di imposta di 600 milioni di euro, e ad una promessa di misure per la decontribuzione (esonero sempre al 40 per cento dei contributi) sulle assunzioni del 2017;
    nulla è previsto sul tema delle reti infrastrutturali dei trasporti, la cui carenza nel Mezzogiorno riveste, ormai da diverso tempo, caratteri emergenziali e di precarietà, provocando notevoli disagi ai cittadini e all'intera economia del Sud;
    l'area del Mezzogiorno presenta innanzitutto bassissimi livelli di connettività ferroviaria al suo interno, in termini sia di estensione della rete, sia di velocità commerciale. La competitività del trasporto ferroviario delle merci è bassa e necessita di interventi di riequilibrio, mentre sul lato dei servizi di trasporto ferroviari passeggeri sono bassi i livelli di qualità percepita, a causa di scarsa accessibilità e carenza di servizi. Per non parlare dell'assenza di collegamenti ad alta velocità, oggetto di annunci che non hanno ancora avuto seguito;
    la rete stradale si presenta come particolarmente congestionata, anche a causa dei continui lavori mai terminati, e necessita di una riduzione dei flussi; considerando che il trasporto aereo è previsto in crescita esponenziale nei prossimi anni, occorre altresì un efficientamento della capacità aeroportuale di gestione dello spazio aereo;
    tali servizi rivestono un interesse strategico e di cruciale importanza non solo sul piano della garanzia del diritto fondamentale alla mobilità dei cittadini, ma anche per lo sviluppo dell'economia dell'intero paese, nonché per la forte vocazione turistica del Mezzogiorno che, soprattutto nei periodi estivi, riscontra un consistente afflusso di visitatori;
    è assolutamente necessario intervenire per innalzare il livello di competitività del sistema attraverso il potenziamento delle infrastrutture e attrezzature portuali e interportuali, incluso il loro adeguamento ai migliori standard ambientali, energetici e operativi,

impegna il Governo

ad avviare quanto prima un grande piano per lo sviluppo delle reti infrastrutturali del Mezzogiorno, volto ad estendere e potenziare, anche attraverso lo sviluppo della rete ad alta velocità, la rete ferroviaria meridionale, favorire l'intermodalità per le merci, efficientare le infrastrutture portuali e aeroportuali esistenti, potenziare la rete stradale del Mezzogiorno, e, in particolare, ripristinare una situazione di normalità in quelle arterie stradali attualmente interessate da lavori di manutenzione e/o messa in sicurezza, consentendo ad automobilisti e trasportatori di poter circolare regolarmente.
9/3444-A/374Prestigiacomo.


   La Camera,
   premesso che:
    nonostante gli annunci dei mesi scorsi, il disegno di legge di stabilità non prevede alcun progetto di rilancio dell'area del Mezzogiorno del Paese: le misure previste risultano inidonee e carenti soprattutto alla luce dei più recenti dati forniti dalla Svimez, e gli interventi destinati alla ripresa degli investimenti privati nelle regioni meridionali si limitano ad un credito di imposta di 600 milioni di euro, e ad una promessa di misure per la decontribuzione (esonero sempre al 40 per cento dei contributi) sulle assunzioni del 2017;
    nulla è previsto sul tema delle reti infrastrutturali dei trasporti, la cui carenza nel Mezzogiorno riveste, ormai da diverso tempo, caratteri emergenziali e di precarietà, provocando notevoli disagi ai cittadini e all'intera economia del Sud;
    l'area del Mezzogiorno presenta innanzitutto bassissimi livelli di connettività ferroviaria al suo interno, in termini sia di estensione della rete, sia di velocità commerciale. La competitività del trasporto ferroviario delle merci è bassa e necessita di interventi di riequilibrio, mentre sul lato dei servizi di trasporto ferroviari passeggeri sono bassi i livelli di qualità percepita, a causa di scarsa accessibilità e carenza di servizi. Per non parlare dell'assenza di collegamenti ad alta velocità, oggetto di annunci che non hanno ancora avuto seguito;
    la rete stradale si presenta come particolarmente congestionata, anche a causa dei continui lavori mai terminati, e necessita di una riduzione dei flussi; considerando che il trasporto aereo è previsto in crescita esponenziale nei prossimi anni, occorre altresì un efficientamento della capacità aeroportuale di gestione dello spazio aereo;
    tali servizi rivestono un interesse strategico e di cruciale importanza non solo sul piano della garanzia del diritto fondamentale alla mobilità dei cittadini, ma anche per lo sviluppo dell'economia dell'intero paese, nonché per la forte vocazione turistica del Mezzogiorno che, soprattutto nei periodi estivi, riscontra un consistente afflusso di visitatori;
    è assolutamente necessario intervenire per innalzare il livello di competitività del sistema attraverso il potenziamento delle infrastrutture e attrezzature portuali e interportuali, incluso il loro adeguamento ai migliori standard ambientali, energetici e operativi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di avviare quanto prima un grande piano per lo sviluppo delle reti infrastrutturali del Mezzogiorno, volto ad estendere e potenziare, anche attraverso lo sviluppo della rete ad alta velocità, la rete ferroviaria meridionale, favorire l'intermodalità per le merci, efficientare le infrastrutture portuali e aeroportuali esistenti, potenziare la rete stradale del Mezzogiorno, e, in particolare, ripristinare una situazione di normalità in quelle arterie stradali attualmente interessate da lavori di manutenzione e/o messa in sicurezza, consentendo ad automobilisti e trasportatori di poter circolare regolarmente.
9/3444-A/374. (Testo modificato nel corso della seduta) Prestigiacomo.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di conversione del disegno di legge si prevede una modifica al regime forfetario di determinazione del reddito da assoggettare a un'unica imposta sostitutiva con l'aliquota del 15 per cento introdotto dalla legge di stabilità 2015 per gli esercenti attività d'impresa e arti e professioni in forma individuale;
    detto regime agevolato, si definisce «naturale» per chi rientra nelle soglie di ricavi ovvero di compensi a seconda del tipo di attività esercitata;
    la natura del regime implica che una volta superate le soglie indicate dall'allegato 4 della stabilità si entri automaticamente nel regime detto «ordinario»;
    il dubbio che sorge sta nella facoltà di rientrare nel regime cosiddetto forfettario se in esercizi successivi i ricavi si abbassano entro le soglie stabilite dal regime forfettario stesso,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di specificare la facoltà di poter rientrare nel regime forfettario anche qualora il contribuente ne sia uscito, fermo restando il rispetto dei criteri stabiliti dal regime forfettario.
9/3444-A/375Marcolin, Mucci, Barbanti, Prodani, Rizzetto, Gribaudo.


   La Camera,
   premesso che:
    appare improcrastinabile dotare il Ministero della giustizia con particolare riferimento al sistema carcerario di figure idonee a garantire la conoscenza e la gestione di fenomeni attinenti al pericolo del terrorismo internazionale,

impegna il Governo:

   a sostenere interventi educativi nonché programmi di inserimento lavorativo e misure di sostegno all'attività trattamentale e consentire il pieno espletamento delle nuove funzioni e compiti assegnati al Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità in materia di esecuzione penale esterna e di messa alla prova, procedendo all'assunzione, a valere sulle risorse disponibili a legislazione vigente e quindi con copertura delle posizioni vacanti, unità di personale da inquadrare in area III nei profili di funzionario della professionalità giuridico pedagogico, di funzionario della professionalità di servizio sociale nonché di mediatore culturale;
   a garantire il completo sfruttamento delle risorse del Ministero della giustizia destinate alle procedure di mobilità provinciale, sia quelle allocate sul fondo creato ai sensi dell'articolo 1 comma 96 della legge di stabilità 2015 (per 2000 unità), sia quelle previste nel fondo creato con il disegno di legge della stabilità 2016 al comma 446 prevedendo che ove all'esito delle procedure di mobilità permangano risorse, le stesse siano utilizzate sempre per il personale amministrativo, anche ai fini di assicurare le priorità del completamento della digitalizzazione e dell'attuazione del comma 530 della legge di stabilità 2015 (spese di funzionamento uffici giudiziari), ed in specie per l'assunzione di personale, sia per l'amministrazione giudiziari sia, in ulteriore subordine per l'amministrazione minorile, per i particolari profili di educatori e assistenti sociali, al fine di sopportare interventi educativi e programmi di inserimento lavorativo e misure di sostegno all'attività trattamentale.
9/3444-A/376Ventricelli, Culotta, Moscatt, Ribaudo.


   La Camera,
   premesso che:
    appare improcrastinabile dotare il Ministero della giustizia con particolare riferimento al sistema carcerario di figure idonee a garantire la conoscenza e la gestione di fenomeni attinenti al pericolo del terrorismo internazionale,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    sostenere interventi educativi nonché programmi di inserimento lavorativo e misure di sostegno all'attività trattamentale e consentire il pieno espletamento delle nuove funzioni e compiti assegnati al Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità in materia di esecuzione penale esterna e di messa alla prova, procedendo all'assunzione, a valere sulle risorse disponibili a legislazione vigente e quindi con copertura delle posizioni vacanti, unità di personale da inquadrare in area III nei profili di funzionario della professionalità giuridico pedagogico, di funzionario della professionalità di servizio sociale nonché di mediatore culturale;
    garantire il completo sfruttamento delle risorse del Ministero della giustizia destinate alle procedure di mobilità provinciale, sia quelle allocate sul fondo creato ai sensi dell'articolo 1 comma 96 della legge di stabilità 2015 (per 2000 unità), sia quelle previste nel fondo creato con il disegno di legge della stabilità 2016 al comma 446 prevedendo che ove all'esito delle procedure di mobilità permangano risorse, le stesse siano utilizzate sempre per il personale amministrativo, anche ai fini di assicurare le priorità del completamento della digitalizzazione e dell'attuazione del comma 530 della legge di stabilità 2015 (spese di funzionamento uffici giudiziari), ed in specie per l'assunzione di personale, sia per l'amministrazione giudiziari sia, in ulteriore subordine per l'amministrazione minorile, per i particolari profili di educatori e assistenti sociali, al fine di sopportare interventi educativi e programmi di inserimento lavorativo e misure di sostegno all'attività trattamentale.
9/3444-A/376. (Testo modificato nel corso della seduta) Ventricelli, Culotta, Moscatt, Ribaudo.


   La Camera,
   premesso che:
    nella seduta del 1o luglio 2015 il Governo ha accolto l'ordine del giorno a prima firma dell'interrogante n. 9/3134-A/8, come modificato, con il quale si impegnava l'Esecutivo a valutare l'opportunità di promuovere idonee iniziative volte a chiarire il regime di applicazione della tassazione separata nei casi di erogazione di ammortizzatori in deroga valutando la possibilità di applicare una modifica a tale regime;
    il 7 maggio 2015 è stato effettuato l'ultimo riparto da parte dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze concernente le risorse attribuite alle regioni per la chiusura delle spettanze relativamente all'anno 2014 per i percettori degli ammortizzatori in deroga;
    tali risorse sono andate a coprire i periodi spettanti ai lavoratori in cassa integrazione e mobilità in deroga suddivisi ai sensi del decreto ministeriale 83743 del 10 agosto 2014; poiché mediamente si è trattato di 4-5 mensilità arretrate e in alcune regioni anche di periodi più lunghi (7-8 mensilità), di fatto si tratta di risorse importanti per lavoratori e famiglie allo stremo delle loro forze;
    il ritardo registrato non è certamente imputabile ai lavoratori e già nel 2014 per spettanze del 2013 si era verificato un ritardo nei tempi di assegnazione e riparto delle risorse;
    le spettanze erogate dall'Inps sono pertanto di competenza dell'anno precedente e quindi l'istituto in qualità di sostituto d'imposta, nei confronti dei percettori di tali indennità di sostegno al reddito, applica il metodo della tassazione separata;
    è stata quindi applicata l'aliquota del 23 per cento come previsto dal Tuir, ma nel contempo, essendo somme riferite all'anno precedente, non sono state riconosciute le detrazioni d'imposta e ciò ha determinato una evidente iniquità, in quanto fa applicare una imposta alta su queste indennità ricevute in ritardo;
    l'applicazione di questo regime riduce in maniera rilevante la misura del sostegno stanziato tant’è che su quattro mensilità una ritorna allo Stato a causa di questo meccanismo penalizzando ingiustamente i lavoratori;
    tale situazione rischia ora di ripetersi poiché in alcune regioni sono stati chiusi accordi per il pagamento di ulteriori mensilità del 2014;
    alcuni patronati ed organizzazioni sindacali, per questi lavoratori hanno chiesto di inoltrare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, del Tuir, la richiesta di rimborso, ma, ove fosse accettata, questa verrebbe comunque riconosciuta dopo anni e non nella misura integrale di quanto spettante;
    si tratta di una fattispecie che pone un evidente problema di equità anche in considerazione della platea disagiata su cui va ad incidere;
    il Governo ha manifestato la volontà di voler risolvere tale iniquità,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità entro i prossimi due mesi di convocare uno specifico tavolo tecnico presso il Ministero dell'economia e delle finanze alla presenza di Inps e Agenzia delle Entrate per affrontare e risolvere il suddetto problema consentendo ai soggetti interessati, di cui in premessa, il recupero di quanto spettante.
9/3444-A/377Greco, Albanella, Burtone, Amato.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 99 della legge di stabilità in esame prevedeva un finanziamento a regime per il fondo volto ad assicurare la permanente alimentazione delle risorse per assicurare la ristrutturazione aziendale, la tutela dei livelli occupazionali, la promozione di misure di emersione del lavoro irregolare e la tutela della salute della sicurezza del lavoro alle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata;
    con successivo emendamento governativo numero 1.4003 è stato eliminato il finanziamento del suddetto fondo a decorrere dal 2019,

impegna il Governo

a trovare apposite risorse per rendere permanente l'alimentazione delle risorse per assicurare la ristrutturazione aziendale, la tutela dei livelli occupazionali, la promozione di misure di emersione del lavoro irregolare e la tutela della salute della sicurezza del lavoro alle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata.
9/3444-A/378Berretta.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 99 della legge di stabilità in esame prevedeva un finanziamento a regime per il fondo volto ad assicurare la permanente alimentazione delle risorse per assicurare la ristrutturazione aziendale, la tutela dei livelli occupazionali, la promozione di misure di emersione del lavoro irregolare e la tutela della salute della sicurezza del lavoro alle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata;
    con successivo emendamento governativo numero 1.4003 è stato eliminato il finanziamento del suddetto fondo a decorrere dal 2019,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di trovare apposite risorse per rendere permanente l'alimentazione delle risorse per assicurare la ristrutturazione aziendale, la tutela dei livelli occupazionali, la promozione di misure di emersione del lavoro irregolare e la tutela della salute della sicurezza del lavoro alle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata.
9/3444-A/378. (Testo modificato nel corso della seduta) Berretta.


   La Camera,
   premesso che:
    l'applicazione dei nuovi parametri dell'ISEE ha evidenziato forti criticità soprattutto tra le classi meno abbienti e più deboli del Paese;
    in particolare le maggiori difficoltà sono state evidenziate tra le persone affette da disabilità per i quali l'applicazione dei nuovi parametri per il calcolo dell'ISEE sta mettendo a rischio l'accesso a numerose prestazioni assistenziali;
    rientrano, infatti tra gli elementi che concorrono alla formazione del reddito utile ai fini del calcolo ISEE le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento;
    milioni di famiglie sono già costrette a vivere in condizioni economiche difficili a causa degli effetti della crisi economica ed il nuovo computo del reddito, escludendole dall'accesso alle agevolazioni per alcuni servizi sociali, rischia di aggravarne ulteriormente la situazione;
    nel corso del dibattito svoltosi in Aula sulla legge di stabilità il Governo non ha accolto emendamenti che miravano a correggere gli effetti negativi prodotti dal nuovo metodo di calcolo ISEE succitati, adducendo motivazioni relative alla copertura finanziaria di una tale modifica,

impegna il Governo

a prevedere in tempi rapidi l'apertura di uno o più conti correnti presso istituti bancari, gestiti dal Ministero della salute, dedicati alla raccolta dei fondi necessari ad evitare gli effetti negativi per la finanza pubblica conseguenti ad una modifica della norma che ha disciplinato il nuovo calcolo dell'ISEE, adottando tutte le iniziative finalizzate a diffondere con una adeguata campagna pubblicitaria sulle reti nazionali, le modalità per la libera contribuzione da parte di persone fisiche e giuridiche per tale finalità.
9/3444-A/379 Crippa, D'Incà, Cozzolino, Del Grosso, dell'Orco, Brugnerotto, Pesco, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Della Valle, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi, Cristian Iannuzzi.


SECONDA NOTA DI VARIAZIONI AL BILANCIO DI PREVISIONE DELLO STATO PER L'ANNO FINANZIARIO 2016 E BILANCIO PLURIENNALE PER IL TRIENNIO 2016-2018 (A.C. 3445-TER)

A.C. 3445-ter – Nota di variazioni

  La Nota comporta modifiche ai quadri generali riassuntivi per il triennio 2016-2018 in termini di competenza e di cassa; ad alcuni articoli del disegno di legge del bilancio triennale; allo stato di previsione dell'entrata (Tabella n. 1) e a tutti gli stati di previsione della spesa dei Ministeri (Tabelle da 2 a 14).

  Per le suddette modifiche si veda lo stampato A.C. 3445-ter.

DISEGNO DI LEGGE: S. 2112 – BILANCIO DI PREVISIONE DELLO STATO PER L'ANNO FINANZIARIO 2016 E BILANCIO PLURIENNALE PER IL TRIENNIO 2016-2018 (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 3445-A)

A.C. 3445-A – Ordine del giorno

ORDINE DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame congiunto dei disegni di legge – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) (Approvato dal Senato) (C. 3444-A); Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2016 e bilancio pluriennale per il triennio 2016-2018 (Approvato dal Senato) (C. 3445-A); Nota di variazioni al Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2016 e bilancio pluriennale per il triennio 2016-2018 (C. 3445-bis);
   premesso che:
    con decreto del Presidente della Repubblica 21 febbraio 2014 la delega in materia di Servizio Civile Nazionale è stata attribuita al Ministro del lavoro e politiche sociali Giuliano Poletti. Con decreto ministeriale 8 maggio 2014 l'esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo in materia di Politiche giovanili e Servizio Civile Nazionale è stata delegata al Sottosegretario di Stato Luigi Bobba;
    quanto sopra ha determinato l'inclusione del Fondo Nazionale per il Servizio Civile di cui alla legge n. 230 del 1998 nella Missione «Diritti sociali, politiche sociali e famiglia», Programma «Terzo settore (associazionismo, volontariato, Onlus e formazioni sociali e responsabilità sociale delle imprese e delle organizzazioni)» alla voce di bilancio «Ministero dell'economia e delle finanze»;
    tuttavia, in base alla legge n. 64 del 2001 «istituzione del servizio civile nazionale» il Servizio civile risponde ad autonome e plurime finalità ed in particolare è finalizzato a:
     concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari;
     favorire la realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale;
     promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli;
     partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio della Nazione, con particolare riguardo ai settori ambientali, anche sotto l'aspetto dell'agricoltura in zona di montagna, forestale, storico-artistico, culturale e della protezione civile;
     contribuire alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani mediante attività svolte anche in enti ed amministrazioni operanti all'estero;
    le aree di intervento nelle quali è possibile prestare il servizio civile, infatti, sono varie e riconducibili ai settori: assistenza, protezione civile, ambiente, patrimonio artistico e culturale, educazione e promozione culturale, servizio civile all'estero;
    le suddette finalità del Servizio Civile Nazionale richiedono e giustificano che il già citato Fondo Nazionale per il Servizio Civile sia collocato presso un autonomo Programma, così da ottemperare sia al dettato legislativo che alla scelta effettuata tramite delega governativa;
   considerato che:
    all'interno del citato Programma «Terzo settore (associazionismo, volontariato, Onlus e formazioni sociali e responsabilità sociale delle imprese e delle organizzazioni)» è presente soltanto il Fondo nazionale per il Servizio Civile, è sufficiente un cambio di denominazione di tale Programma per far si che questo corrisponda al Fondo ivi contenuto,

impegna il Governo

a valutare, nell'ambito della predisposizione della prossima sessione di bilancio, di sostituire l'attuale denominazione del Programma «Terzo settore (associazionismo, volontariato, Onlus e formazioni sociali e responsabilità sociale delle imprese e delle organizzazioni)», di cui in premessa, con la denominazione «Servizio Civile Nazionale».
9/3445-A/1Bonomo, Patriarca, Beni.