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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Venerdì 4 dicembre 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 4 dicembre 2015.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Beni, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cimbro, Colonnese, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Antonio Martino, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sorial, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 3 dicembre 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   FITZGERALD NISSOLI e DELLAI: «Modifica all'articolo 17 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di riacquisto della cittadinanza da parte dei soggetti nati in Italia, che l'hanno perduta a seguito di espatrio» (3471);
   MARCO DI MAIO: «Disposizioni per garantire l'assistenza medico-psicologica agli operatori delle professioni di aiuto» (3472);
   CHIARELLI ed altri: «Modifiche agli articoli 274 e 275 del codice di procedura penale, in materia di requisiti per l'applicazione e di criteri di scelta delle misure cautelari» (3473);
   CIRIELLI ed altri: «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di sicurezza pubblica e di tutela delle vittime di reati» (3474);
   DE MARIA: «Istituzione dell'Autorità garante della persona disabile» (3475);
   MINARDO: «Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dell'obesità infantile» (3476);
   ROMANINI: «Disposizioni per l'istituzione dei “borghi del pane” per la tutela e la valorizzazione del pane e dei prodotti da forno tradizionali» (3477).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge FOSSATI ed altri: «Modifica all'articolo 27 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di diritto alla pratica di attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita da parte dei rifugiati o dei richiedenti asilo» (3325) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Albanella, Amoddio, Paola Bragantini, Carra, Fragomeli, Incerti, Iori, Laforgia, Manfredi, Miotto, Romanini, Sbrollini e Scuvera.

Annunzio di archiviazioni di atti relativi a reati previsti dall'articolo 96 della Costituzione.

  Con lettera pervenuta il 3 dicembre 2015, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ha comunicato che il collegio per i procedimenti relativi ai reati previsti dall'articolo 96 della Costituzione, costituito presso il suddetto tribunale, ha disposto, con decreto del 24 novembre 2015, l'archiviazione di atti relativi ad un procedimento per ipotesi di responsabilità nei confronti del deputato Maurizio Lupi, nella sua qualità di Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 3 dicembre 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ad alcuni aspetti di diritto societario (Codificazione) (COM(2015) 616 final), corredata dai relativi allegati (COM(2015) 616 final – Annexes 1 to 4), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite II (Giustizia) e VI (Finanze);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio riguardante i grassi trans negli alimenti e nella dieta generale della popolazione dell'Unione (COM(2015) 619 final), che è assegnata in sede primaria alla XII Commissione (Affari sociali).

  La Commissione europea, in data 3 dicembre 2015, ha trasmesso un nuovo testo della proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce, per il 2016, le possibilità di pesca per alcuni stock ittici o gruppi di stock ittici, applicabili nelle acque dell'Unione e, per le navi dell'Unione, in determinate acque non dell'Unione (COM(2015) 559 final/2), che sostituisce il documento COM(2015) 559 final, già assegnato, in data 11 novembre 2015, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla XIII Commissione (Agricoltura), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 3 dicembre 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

  Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Con la predetta comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Programma di sostegno alle riforme strutturali per il periodo 2017-2020 e modifica i regolamenti (UE) n. 1303/2013 e (UE) n. 1305/2013 (COM(2015) 701 final), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

INTERPELLANZE URGENTI

Chiarimenti ed iniziative di competenza in merito alla vicenda che ha portato alla reiterazione del commissariamento della Banca Popolare di Spoleto, in particolare in rapporto ad una recente sentenza del Consiglio di Stato – 2-01187

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nel 2010 la Banca Popolare di Spoleto figurava come istituto di credito di piccole dimensioni ma decisamente in salute: capitale di 2,5 miliardi di euro, sofferenze più che contenute (152 milioni), capacità di reddito al 10,6 per cento. Dati assolutamente positivi, emergenti da un rapporto di Banca d'Italia effettuato fra giugno e dicembre dello stesso anno. Come si può intuire, si trattava della tipica banca territoriale: per il 51 per cento era controllata da circa 21 mila soci della cooperativa Spoleto Credito e Servizi, e un altro 26 per cento era nelle mani del Monte dei Paschi di Siena;
   ad inizio 2011, poi, arriva un curioso monito da parte proprio da parte di Banca d'Italia: il presidente di Bps, Antonio Giovannini, doveva essere rimosso al più presto, poiché ritenuto eccessivamente accentratore. Bps si attiene alle indicazioni, non fosse che i 21 mila soci di cui detto decidono di rieleggere lo stesso Giovannini al ruolo di numero uno dell'istituto. L'ingerenza di x Banca d'Italia viene, dunque, vanificata dalla volontà degli azionisti;
   nel 2012 si riapre il fronte: Bankitalia decide di effettuare una nuova ispezione di Bps e di congelare un aumento di capitale di 30 milioni di euro in quel momento necessario per risanare un piccolo passivo di bilancio della banca umbra. Mps decide allora di uscire dal gruppo, abbandonando le proprie azioni per un corrispettivo di 73 milioni di euro. Al termine dell'ispezione, Bankitalia decide di commissariare sia Bps che Spoleto Credito e Servizi, la cooperativa a cui facevano capo i 21 mila soci;
   con decreti del Ministro interpellato n. 16 e n. 17 dell'8 febbraio 2013 veniva infatti disposta, previo scioglimento degli organi amministrativi e di controllo, la sottoposizione alla procedura di amministrazione straordinaria, rispettivamente della Banca Popolare di Spoleto spa e della Spoleto Credito e Servizi società cooperativa, sua controllante;
   i predetti decreti venivano adottati, ai sensi dell'articolo 70 del Testo unico bancario, in seguito all'invio delle risultanze istruttorie effettuate dalla Banca d'Italia al Ministro interpellato; l'articolo 70 citato dispone, infatti, che «Il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche»; di conseguenza, la facoltà di scelta in capo al Ministro interpellato, implica una valutazione discrezionale e di opportunità che il Ministro stesso è obbligato ad effettuare a seguito delle risultanze dell'autorità di vigilanza;
   nel 2014 Bankitalia decide di vendere la commissariata Bps al Banco di Desio con modalità ad avviso degli interpellanti sorprendenti, ovvero rifiutando offerte molto più vantaggiose da parte di altri candidati acquirenti e portando la quota dei 21 mila soci di Scs dal 51 per cento al 10 per cento, senza alcun tipo di controvalore per le azioni da questi possedute. Il Consiglio di Stato, avvocato dagli azionisti originari di Bps, annulla sia il commissariamento che la vendita al Banco di Desio;
   il 10 febbraio 2015 il Consiglio di Stato dunque, accogliendo a due anni di distanza un nuovo ricorso presentato dall'allora consiglio d'amministrazione della Banca Popolare di Spoleto, ha stabilito l'illegittimità dello scioglimento del consiglio di amministrazione e la conseguente sottoposizione ed amministrazione straordinaria dell'istituto;
   la sentenza del Consiglio di Stato, in particolare, ha contestato al Ministero dell'economia e delle finanze di non aver svolto in maniera approfondita e autonoma l'attività di verifica e controllo rispetto alla decisione di disporre l'amministrazione straordinaria della Banca Popolare di Spoleto;
   in termini più espliciti la sentenza rileva che la Banca d'Italia avrebbe formulato una proposta accettata in maniera acritica dal Ministro interpellato, la quale invece avrebbe dovuto avviare un'istruttoria autonoma o quantomeno promuovere una valutazione critica, sulla proposta di commissariamento avanzata dalla stessa Banca d'Italia, che in qualità di autorità di vigilanza, è l'unica istituzione a poter dare impulso al procedimento;
   nonostante l'annullamento da parte del Consiglio di Stato, il commissariamento della Banca Popolare di Spoleto e della controllante Spoleto Crediti e Servizi è stato però confermato dal Ministero dell'economia e delle finanze. La Banca d'Italia ha infatti reiterato «ora per allora» le proposte di amministrazione straordinaria al Ministero dell'economia e delle finanze; con i provvedimenti 149 e 150 del 20 aprile 2015, adottati su proposta dell'Istituto centrale, il Ministero dell'economia e delle finanze ha quindi reiterato i decreti ministeriali di amministrazione straordinaria, con effetto a partire dall'8 febbraio 2013, quando era cominciato il commissariamento;
   nel frattempo nel mese di ottobre 2015 si è appresa la notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati presso la procura di Spoleto di Ignazio Visco, Presidente della Banca d'Italia. Dalle notizie emerge che Visco sarebbe indagato dal 28 gennaio 2015 per reati quali concorso in corruzione, abuso d'ufficio e truffa, e «infedeltà a seguito dazione o promessa di utilità», insieme a sette amministratori e vigilanti della Banca Popolare di Spoleto: il contesto è proprio l'inchiesta sul passaggio della Banca Popolare di Spoleto (Bps) al Banco di Desio e della Brianza, a seguito del commissariamento della stessa Bps voluto da Banca d'Italia, poi giudicato «illegittimo» dal Consiglio di Stato, e successivamente riproposto dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   a breve il Consiglio di Stato si troverà nuovamente a decidere in merito alla reiterazione del commissariamento: più che altro, la giustizia amministrativa dovrà dire una parola di approvazione o di condanna sul modo con cui, «in accoppiata» non prevista da nessuna legge, il Ministero dell'economia e delle finanze e la Banca d'Italia gestiscono il sistema bancario;
   la suesposta vicenda, a giudizio degli interpellanti, evidenzia infatti una serie di rilevanti criticità nell'ambito delle decisioni adottate dal Ministro interpellato, in considerazione del fatto che il dispositivo della sentenza emanata dal Consiglio di Stato suppone un comportamento superficiale dello stesso Ministro, che rinvia semplicemente agli atti ispettivi della Banca d'Italia, senza aver preliminarmente esaminato in modo analitico il contenuto delle ipotetiche irregolarità svolte dalla Banca popolare di Spoleto;
   alla luce delle vicende riportate, sussiste l'esigenza di chiarimenti in merito alla posizione del Governo che, a giudizio degli interpellanti, in maniera alquanto anomala, ha disposto provvedimenti contrari rispetto alle decisioni assunte dal giudice amministrativo –:
   quali siano state le iniziative adottate dal Ministro interpellato volte ad assicurare la massima trasparenza nelle decisioni relative al caso esposto in premessa;
   quali siano state le ragioni per le quali, secondo quanto emerge dalla sentenza del Consiglio di Stato del febbraio 2015, nel disporre il decreto ministeriale di commissariamento della Banca popolare di Spoleto, non abbia avviato un'istruttoria autonoma, o quantomeno un'attività di verifica e controllo, rispetto alla proposta della Banca d'Italia;
   se non ritenga che la reiterazione di un identico decreto, d'accordo con la Banca d'Italia, non si ponga in contrasto con i principi di separazione dei poteri e di indipendenza della magistratura.
(2-01187) «Brunetta, Occhiuto, Alberto Giorgetti».


Iniziative urgenti volte a contrastare la vendita delle armi e i finanziamenti a Daesh e ad organizzazioni terroristiche che operano in ambito internazionale – 2-01188

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   in data 1o dicembre 2015 Il Sole 24 Ore ha pubblicato un'inchiesta a firma Claudio Gatti sul traffico d'armi internazionale e in particolare sulla fornitura di armi a formazioni estremiste legate al terrorismo e i ruoli di Turchia, Qatar e Stati uniti d'America;
   da quanto emerge nell'inchiesta, risulta evidente che non solo Turchia e Qatar hanno interessi in contrasto con la mission della coalizione internazionale, ossia sconfiggere il terrorismo, ma hanno in questi anni armato le formazioni estremistiche legate al terrorismo;
   dall'inchiesta, supportata da altre investigazioni attivate in ambito ONU, da precedenti articoli del New York Times e da altre fonti attendibili emerge che addirittura gli Stati uniti abbiano agevolato le forniture di armi a dette formazioni terroristiche;
   l'inchiesta è incentrata su un episodio che ha visto protagonisti a vario titolo Turchia, Qatar e Stati Uniti, su una serie di voli C-17, aerei da trasporto militare del Qatar;
   secondo quanto accertato dall'inchiesta dell'ONU, tra il 1o gennaio e il 30 aprile 2013, l'Aeronautica militare del Qatar ha operato 28 voli tra Doha e Ankara e uno tra Doha e Gaziantep. Tutti i voli in realtà partivano da Tripoli o Bengasi e a Doha e ripartivano per la Turchia dopo aver fatto una tappa intermedia alla base di Al Udeid, ovvero il cosiddetto «quartier generale avanzato» del comando mediorientale delle Forze armate americane, il Central Command, che oltre a ospitare il 379o stormo dell'Usaf è sede anche dell'83o stormo della Raf, l'Aeronautica militare britannica;
   per il gruppo d'inchiesta ONU ai voli da Tripoli e Bengasi a Doha era stato concesso uno speciale nullaosta diplomatico-militare, solitamente utilizzato per il trasporto di armi o equipaggiamento bellico;
   poiché, come si legge nel rapporto, «per ottenere il numero di nullaosta diplomatico-militare il richiedente deve generalmente fornire dettagli precisi sulla natura dei voli e sul carico trasportato», gli esperti ONU hanno chiesto chiarimenti e dettagli alle autorità di tre Paesi i cui spazi aerei erano lungo la rotta percorsa – Grecia, Egitto e Arabia Saudita – e alla società responsabile dei piani di volo, ottenendo scarsi risultati;
   «la Grecia ha risposto di non aver traccia di alcuna richiesta o concessione, di nullaosta diplomatico-militare per quei voli, comunicando però che il 14 e 15 gennaio un aereo della Aeronautica militare qatariana è volato ai margini dello spazio aereo greco», si legge nel rapporto. «L'Egitto ha risposto che il Qatar ha richiesto un numero di nullaosta diplomatico-militare al fine di procedere alla rotazione del personale di guardia dell'ambasciata qatariana a Tripoli. L'Arabia Saudita non ha risposto»;
   più reticente di tutti è risultata la società responsabile dei piani di volo. Gli esperti hanno chiesto i dettagli sui nullaosta diplomatici per i voli in questione, i manifesti di carico e l'elenco di tutti i voli operati dall'Aeronautica militare del Qatar da e verso la Libia a partire dal luglio 2012. Ma non hanno ricevuto risposta su nulla. «La società ha detto di non aver partecipato alle procedure per l'ottenimento dei nullaosta e di non conoscere il carico di quei voli. Né ha fornito l'elenco dei voli richiesti dal Gruppo», hanno scritto gli esperti;
   secondo l'inchiesta de Il Sole 24 Ore: «A far pensare che Washington non solo sapesse di quei voli e del loro carico ma li avesse assistiti, è un dettaglio notato da Il Sole 24 Ore: la società responsabile della pianificazione dei voli di quei C-17 era la Jeppesen. Non è una società qualsiasi, bensì la controllata di Boeing, un colosso industriale che deve il 30 per cento del suo fatturato al Pentagono, scelta dalla Cia per una delle delicate operazioni degli ultimi 15 anni: la campagna di extraordinary rendition, cioè la cattura extragiudiziaria di soggetti che dopo la strage dell'11 settembre erano sospettati di rapporti con al Qaeda»;
   contattata da Il Sole 24 Ore, la sussidiaria della Boeing non ha voluto né smentire né confermare di aver dato supporto logistico a quei voli, mentre la Cia ha riferito alla testata di «non poter fare commenti»;
   il sospetto che quegli aerei trasportassero armi non è finora stato suffragato da prove concrete, ma alcuni dati sono stati accertati. Si sa per esempio che i C-17 utilizzati per la spedizione erano qatariani, che i destinatari dei carichi trasportati erano turchi e che a fornire pianificazione e logistica per quei voli sono stati degli americani. Ma per l'appunto non americani qualsiasi, bensì funzionari di una società che tempo fa è stata chiamata dai media statunitensi «l'agente di viaggio della Cia», ovvero la Jeppesen. Tutto ciò fa dedurre che il carico di quegli aerei non consistesse in beni umanitari, ma in armi e munizioni;
   questa lettura sarebbe supportata dalle evidenze riportate in questi ultimi anni sul comportamento di Turchia e Qatar che evidentemente hanno interessi opposti a quelli del mondo occidentale nel contrastare il terrorismo;
   nel 2009, in un messaggio classificato «segreto» ma reso pubblico da Wikileaks, il dipartimento di Stato definiva il grado di collaborazione del Qatar nell'antiterrorismo «il più basso della regione». Nell'ottobre dell'anno scorso, l'allora sottosegretario al Tesoro Usa David Cohen ha chiamato il Qatar «permissivo» in materia di finanziamento al terrorismo;
   nel rapporto consegnato nel marzo del 2013 al Consiglio di sicurezza dell'Onu dal cosiddetto «gruppo di esperti» sulla Libia, si legge che il Qatar ha giocato «un ruolo fondamentale» nelle forniture di materiale bellico – armi e munizioni – alle forze ribelli libiche. E che nonostante le smentite delle autorità qatariane, «il Qatar ha violato l'embargo sui materiali militari»;
   la Turchia non sembra essere stata da meno nella partita, e secondo diverse fonti ha continuato ad armare le forze islamiste di Tripoli fino all'inizio di quest'anno. Abdullah al-Thinni, primo ministro del Governo di Tobruck, nel febbraio scorso dichiarava che «La Turchia sta continuando a esportare armi in Libia», ribadendo quanto era stato detto qualche tempo prima dal presidente del Parlamento di Tobruck, ossia che «la Turchia ancora supporta le milizie terroristiche in Libia»;
   ci sono evidenze che la Turchia abbia spedito armi tra il 2013 e la fine del 2014 in Libia, in aperta violazione dell'embargo previsto dalla risoluzione 1970, approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza dell'Onu il 26 febbraio 2011;
   in un rapporto recente il gruppo di esperti dell'Onu ha confermato che il 20 febbraio 2013 armi e munizioni sono state trovate dalla polizia doganale greca a bordo di una nave proveniente dalla Turchia, diretta in Libia e appartenente a un armatore siriano condannato per traffico d'armi;
   così come ha confermato che a bordo del mercantile Nour M, diretto a Tripoli e perquisito dai doganieri greci nel novembre del 2013, sono stati trovati 55 container con 1.103 tonnellate di munizioni dirette a Tripoli. Dalla documentazione sequestrata in quell'occasione è emerso che il cargo proveniva dalla Ukrinmash, società di armamenti ucraina e che a fare da broker era stata la Tss Silah, una società turca che in una nota interna resa pubblica da Wikileaks il Dipartimento di Stato definisce «broker di armi turco»;
   il gruppo di esperti ha inoltre riportato al Consiglio di sicurezza di aver ricevuto informazioni riguardanti il trasporto di materiale militare su un Airbus A320 della linea aerea libica Afriqiyah che il 17 settembre 2014 è volato da Istanbul a Tripoli: «Il Gruppo ha intervistato un passeggero di quel volo che ha confermato di aver visto casse di materiale militare scaricate dall'aereo. Un tipico Airbus A320 può accomodare 150 passeggeri ma il testimone ha spiegato che solo 15 bagagli sono stati scaricati e quando i passeggeri si sono lamentati perché i loro bagagli erano stati lasciati a Istanbul, i miliziani hanno ordinato loro di lasciare l'aeroporto»;
   ancora più recente la segnalazione riguardante un volo operato da un'altra linea aerea libica che il 13 novembre 2014 da Istanbul è arrivato a Misurata e che gli esperti sospettano abbia trasportato materiale militare;
   il gruppo di esperti dell'Onu ritiene che la Turchia ha doppiamente violato la risoluzione 1970 del Consiglio di sicurezza, la quale vieta sia l'importazione di armi in Libia sia l'esportazione dalla Libia. Si legge nel rapporto: «A detta di fonti attendibili, dalla Libia sono state trasportate armi in Siria con voli decollati dall'aeroporto Mitiga di Tripoli o da quello di Benina a Bengasi e atterrati ad Ankara o Antakya e con navi approdate a Mersin e Iskenderun. Da lì il materiale sarebbe stato trasferito su camion che avrebbero attraversato la frontiera con la Siria a Reyhanli e Kilis. Membri dell'opposizione siriana e combattenti libici reduci della Siria ascoltati dal Gruppo hanno detto che a supervisionare il trasferimento e la consegna delle armi a elementi dell'opposizione siriana sono stati funzionari turchi»;
   interpellato dagli esperti dell'Onu il Governo di Ankara ha negato «di essere a conoscenza di trasferimenti di armi dalla Libia alla Turchia». Ma la vicenda del peschereccio libico al-Entisar pone pesanti interrogativi sull'operato del Governo di Ankara;
   infatti nel settembre del 2012 il New York Times aveva riportato che quel peschereccio era salpato da Bengasi e aveva trasportato un carico di armi a Iskenderun, sulla costa meridionale turca, poco a nord del confine con la Siria. Il gruppo ha chiesto dettagli alle autorità turche e si è sentito rispondere che «trattandosi di beni umanitari, non è stata condotta alcuna ispezione del carico». Ma pochi mesi dopo, il 21 aprile 2013, lo stesso peschereccio è arrivato nel porto di Istanbul con un carico diretto in Libia che di umanitario non aveva proprio nulla. Come si legge nel rapporto degli esperti Onu, il cosiddetto «manifesto di carico» includeva infatti «due maschere antigas, 199 pistole da 7,65 millimetri, 214 pistole da 9 millimetri, 1.000 fucili a pompa, 5.000 munizioni da 7,65 mm e 251 mila cartucce per fucili»;
   chi abbia realmente orchestrato quella spedizione non è stato mai stabilito ma il forte sospetto è che sia stato il Mit, ovvero il servizio di intelligence di Ankara;
   secondo il quotidiano di opposizione Cumhuriyet, il Mit, sarebbe responsabile di un convoglio di camion casualmente intercettato dalla polizia al confine con la Siria nel gennaio del 2014 con un carico di casse piene di armi e munizioni. Per quelle rivelazioni, il 26 novembre 2015 il direttore di Cumhuriyet Can Dundar e il capo della redazione di Ankara Erdem Gul sono stati arrestati su richiesta del tribunale di Istanbul. A innescare la reazione giudiziaria era stato lo stesso presidente Erdogan, il quale ha prima promesso che i due avrebbero «pagato un duro prezzo» e poi ha presentato di persona una denuncia per tradimento e divulgazione di segreti di Stato ai due giornalisti;
   ad opinione degli interpellanti, se in quelle casse ci fossero stati beni umanitari, come Ankara ha sempre sostenuto, quelle accuse non si spiegherebbero. Invece oggi i due giornalisti rischiano l'ergastolo;
   oltre le specifiche vicende del convoglio intercettato al confine, turco-siriano, è certamente impensabile che quella che è stata ribattezzata come la cosiddetta «autostrada della Jihad», ossia la rotta che il Califfato ha per anni usato per portare foreign fighters e rifornimenti dalla Turchia in Siria, non fosse monitorata dalle forze di sicurezza del Governo di Ankara. Ci sono molte testimonianze che provano la collaborazione del Mit e dell'esercito turco con le formazioni jihadiste, anche in funzione, anti-curda, così come numerose sono quelle che provano la partecipazione della Turchia nel contrabbando di petrolio dalla Siria e Iraq od opera di Daesh;
   in aggiunta, è difficile credere che tutte queste iniziative turco-qatariane sia in Libia che in Siria siano passate inosservate agli Stati Uniti d'America. Al contrario, e come dimostrato dalla vicenda dei C-17 qatariani, ci sono molti elementi che portano a sospettare che il Governo di Washington le, abbia assecondate;
   infatti, dopo aver saputo di una direttiva presidenziale segreta di Barack Obama che agli inizi del 2011 autorizzava la Cia ad armare i ribelli anti-Gheddafi, il New York Times ha rivelato che, «poche settimane dopo aver patrocinato l'invio di armi dal Qatar in Libia nella primavera del 2011, la Casa Bianca ha cominciato a ricevere informazioni che quelle armi stavano andando a militanti islamisti». Nello stesso articolo si diceva che in Siria le cose erano o meno andate nello stesso modo: «Quando il Qatar ha cominciato a inviare aiuti militari a gruppi dell'opposizione siriana, l'amministrazione Obama non ha fatto obiezioni. Ma adesso ci sono crescenti preoccupazioni che, come in Libia, i qatariani stiano equipaggiando i combattenti «sbagliati»;
   agli interpellanti non può che venire in mente l'inquietante parallelo con quanto avvenuto con Al Qaeda che il Governo degli Stati Uniti aveva aiutato nel combattere l'invasore sovietico in Afghanistan negli anni ’80 e che poi è diventata la principale minaccia degli Stati Uniti stessi –:
   quale sia la posizione del Governo rispetto ai fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intenda assumere nei confronti di Qatar e Turchia alla luce di quanto esposto in premessa e del loro ruolo nell'ascesa e crescita di Daesh e delle altre formazioni jihadiste;
   se non intenda intraprendere urgenti iniziative per impedire la vendita di armi ai Paesi responsabili di aver supportato direttamente o indirettamente Daesh e se non intenda proporre in sede europea e nei consessi internazionali una moratoria sulla vendita di armi e un embargo ai Paesi coinvolti direttamente o indirettamente nei conflitti o che sono sospettati di aver armato o finanziato gruppi terroristici;
   se non intenda assumere iniziative, anche in collaborazione con gli altri partner internazionali per interrompere i flussi di finanziamento a Daesh, prevedendo rigide sanzioni per gli Stati che finanziano direttamente o indirettamente il terrorismo o che facilitano, con legislazioni «opache», la raccolta di donazioni «private» destinate alle organizzazioni terroristiche;
   quali iniziative intenda adottare per arginare il flusso dei foreign fighter e soprattutto se non intenda assumere iniziative politico-diplomatiche nei confronti della Turchia e se non ritenga opportuno chiedere che al confine tra Turchia e Siria venga dislocato un controllo internazionale della frontiera sotto mandato dell'ONU;
   se il Governo non intenda chiedere chiarimenti agli Stati Uniti e agli altri Governi circa il comportamento dei servizi di intelligence.
(2-01188) «Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».


Iniziative volte alla revisione della normativa in materia di sicurezza degli edifici scolastici, con particolare riferimento alle responsabilità dei dirigenti scolastici – 2-01171

C)

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   in Italia si è assistito nel corso dei decenni ad una cospicua produzione normativa e non in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro dovuta, in particolare, sia alla necessità di adeguare, attraverso provvedimenti organici e non legati ad eventi emergenziali, l'ordinamento interno alle sollecitazioni legislative provenienti dall'Unione europea, sia alla molteplicità degli aspetti interessati e alla specificità delle attività oggetto di applicazione degli atti prodotti;
   in quest'ottica, con il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, recante attuazione delle direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, si inizia ad affermare un nuovo quadro di riferimento sociale e civile, si comincia a parlare di salute e sicurezza intesi come benessere e non semplicemente come danno fisico, si delinea uno scenario normativo basato sulla negoziazione, sulla contestualizzazione e sulle responsabilità di ogni singolo ambiente di lavoro, superando anche l'abitudine a legiferare solo per adeguamenti tecnici e a seguito di fatti di cronaca;
   con riferimento ai singoli settori di attività, sono stati numerosi i provvedimenti emanati in attuazione del citato decreto legislativo n. 626 del 1994, i quali hanno dato luogo ad una sovrapposizione e ad una stratificazione della normativa;
   tutto questo si è verificato anche in relazione all'attuazione della normativa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro con riferimento alle istituzioni scolastiche ed educative, in considerazione delle particolari esigenze connesse al servizio dalle stesse espletato: tali disposizioni sono molteplici e spaziano dall'organizzazione dell'organigramma alle misure tecniche costruttive, dalla gestione delle emergenze alle condizioni di sicurezza antincendio, dalle norme di primo soccorso alla formazione del personale;
   maggiore organicità alla materia è stata data con l'emanazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81, il quale ha proceduto al riassetto e alla riforma della normativa vigente in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro attraverso il riordino e il coordinamento della medesima in un unico testo normativo;
   con particolare riguardo al settore scolastico, già il citato decreto legislativo n. 626 del 1994, evidenziava, all'articolo 14, comma 2, però l'anomalia degli edifici utilizzati dalla pubblica amministrazione in cui il datore di lavoro non coincide con il proprietario dei locali (tipico delle scuole);
   nel caso dell'amministrazione scolastica, infatti, il datore di lavoro è individuato, ai sensi del decreto del Ministro della pubblica istruzione 29 settembre 1998, n. 382, nella persona del dirigente scolastico;
   tale anomalia è stata confermata anche dal citato decreto legislativo n. 81 del 2008, il quale nell'enunciare, ai sensi dell'articolo 18, gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente, specifica al comma 3 dello stesso articolo che: «gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare (...) la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico.»;
   diretta conseguenza della vigente normativa e dell'anomalia sopra descritta è, secondo la dottrina prevalente, il configurarsi in capo al dirigente scolastico della commissione di illecito penale;
   è il caso di quanto avvenuto al dottor Livio Bearzi, il quale, sta scontando i quattro anni di reclusione che gli sono stati confermati recentemente dalla Corte di Cassazione per la morte di tre studenti durante il terremoto del 2006 a L'Aquila, nel crollo della Casa dello studente da lui all'epoca gestita;
   la vicenda drammatica e paradossale del dottor Bearzi impone una seria riflessione sulla necessità di distinguere in materia di sicurezza degli edifici scolastici le responsabilità della proprietà dell'immobile da quelle di chi lo gestisce, delineando con maggior precisione e buon senso gli obblighi in capo ai soggetti coinvolti;
   non può ritenersi accettabile una normativa che riversa sulla figura dei dirigenti scolastici la responsabilità per la sicurezza degli edifici adibiti a scuole che si trovano spesso in pessime condizioni di manutenzione, stante l'impossibilità per i dirigenti stessi di provvedere direttamente a eventuali opere di mantenimento e di messa in sicurezza non potendo disporre delle risorse adeguate –:
   quali tempestive iniziative intendano intraprendere, al fine di procedere ad una revisione della vigente normativa in materia di sicurezza degli edifici scolastici, con particolare riferimento alle responsabilità dei dirigenti scolastici.
(2-01171) «Gigli».


Chiarimenti e iniziative in relazione ad un'operazione volta allo sgombero e al sequestro di uno stabile a Bologna, che ha visto coinvolte famiglie con minori – 2-01143

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 15 ottobre 2015 la questura di Bologna ha dato esecuzione ad un provvedimento di sequestro da parte della procura di uno stabile, sfitto e disabitato, di proprietà dell'Istituto Cavazza, occupato dal mese di febbraio 2015;
   lo sgombero è avvenuto, secondo quanto reso noto dalla stampa, attorno alle 7 di mattina. All'interno dell'edificio c'erano una ventina di occupanti, tra cui cinque minorenni;
   il comune di Bologna, a quanto dichiarato dal sindaco Virginio Merola e dall'assessore al welfare Amelia Fascaroli, non è stato avvisato per tempo così da poter organizzare la necessaria presenza dei servizi sociali –:
   se fosse nota la presenza di famiglie con minori nello stabile sequestrato;
   quali siano i motivi per i quali il questore abbia omesso di avvertire dell'imminente sgombero l'amministrazione comunale, impedendo così che si potesse prevedere in anticipo la presenza dei servizi sociali che non hanno potuto organizzare la loro presenza;
   se non ritenga grave e inammissibile che i minori presenti siano stati sgomberati da agenti in tenuta anti sommossa e non sia stato possibile attivare anticipatamente il pronto servizio sociale (Pris) a tutela dei minori di età così come previsto dalla normativa;
   se non ritenga necessario garantire un coordinamento collaborativo tra le Istituzioni, soprattutto in presenza di questioni così complesse e delicate che coinvolgono minori.
(2-01143) «Zampa, Lenzi, Marchi, Fabbri, Beni, Carlo Galli, Incerti, Patrizia Maestri, Carrozza, Valiante, Arlotti, Amato, Albini, Gnecchi, Culotta, Scuvera, Cimbro, D'Incecco, Marzano, Cassano, Giuditta Pini, Roberta Agostini, Gribaudo, Romanini, Giuliani, Carloni, Gandolfi, Mattiello, Giuseppe Guerini, Tentori, Sbrollini, Piccione, Amendola, Causi, Cenni».


Chiarimenti in merito alle linee di comando secondo le quali hanno operato le autorità preposte con riguardo alla vicenda della signora Shalabayeva – 2-01193

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato ha in molteplici circostanze, anche nelle aule parlamentari, ribadito di essere stato all'oscuro dell'intera vicenda della rendition della signora Shalabayeva e delle sua figlioletta di sei anni, fatto avvenuto alla fine di maggio del 2013;
   circa una settimana fa si è appreso che la procura della Repubblica di Perugia, in relazione alla vicenda Shalabayeva, ha inviato numerosi avvisi di garanzia per sequestro di persona e/o altre ipotesi di reato a dirigenti, funzionari e agenti di polizia nonché al magistrato di pace romano Levore;
   il quotidiano Il Manifesto del 29 novembre 2015 così riporta: «La Procura di Perugia e i Ros, che hanno iscritto nel registro degli indagati sette poliziotti, tre funzionari dell'ambasciata kazaka e la giudice di pace Stefania Levore, hanno accertato che per sette volte, da quando venne «prelevata» con la figlia dalla sua abitazione di Casal Palocco il 29 maggio 2013 a quando, il 31 maggio, venne caricata a forza sull'aereo diretto in Kazakistan, la moglie del dissidente Mukthar Ablyazov chiarì la propria posizione. Illustrò, implorò, parlò delle torture subite dal marito in patria, ripeté che sarebbe stata considerata dal regime del «presidente» (da 25 anni) Nazarbaev un ostaggio, invocò invano il rispetto della legge. La legge in quei tre giorni era però sospesa: almeno su questo c’è certezza. Per ordine di chi, e con quali complicità, invece resta oscuro, e pochi, nel Palazzo, sembrano interessati ad accertarlo (...) Neppure gli agenti in servizio nell'ultima fase del rapimento, con Shalabayeva che già sulla scaletta dell'aereo tentava ancora una volta di difendere il proprio diritto a restare in Italia, credevano che il tutto fosse stato partorito da un gruppetto di poliziotti troppo solerti: “Tutto è già stato deciso ad alto livello”. Senza contare che l'indagine di Perugia ha accertato che aereo e pilota erano stati messi a disposizione, sia pur per via indiretta, dall'Eni. Basta e avanza per essere certi che in quella rendition erano avvero coinvolti interessi di altissimo livello, e che il petrolio kazako la faceva da protagonista. Però per smuovere la polizia trasformando gli agenti in complici attivi di un sequestro di persona a livello internazionale non basta nemmeno l'interessamento dell'Eni. L'ordine deve aver seguito le vie gerarchiche. Deve essere stato dato da qualcuno a cui gli agenti non potevano non obbedire;
   Ruotolo, ne La Stampa del 28 novembre 2015, a proposito del presunto forte intimorimento esercitato sul giudice Levore, scrive «i suoi interlocutori al telefono avrebbero detto «mi avrebbero schiacciato», «ho fatto pippa», «non ho sputtanato nessuno». Frasi che gli inquirenti di Perugia interpretano a conferma della sua consapevolezza che convalidando il trattenimento al Cie, Alma Shalabayeva sarebbe stata rimpatriata con la forza»;
   ad avviso degli interpellanti, in una Repubblica democratica non è ammissibile che un magistrato possa aver taciuto ossequiosa su chi la obbligherebbe a venire meno al giuramento di fedeltà; altresì in una Repubblica democratica non è accettabile anche la sola ombra che il Ministro dell'interno non sia a conoscenza delle azioni poste in essere da dirigenti, funzionari e agenti di polizia e se, effettivamente, tali azioni sono state poste in essere senza informarlo, non può essere accettata l'esistenza di una catena di comando apicale parallela, a quella ufficiale e legale; né è credibile che dirigenti di polizia di esperienza possano aver deciso di nuocere gratuitamente, come mossi da impulsi personali, alla Signora Shalabayeva –:
   se a fronte delle circostanze evidenziate dalla procura della Repubblica di Perugia e riportate diffusamente dagli organi della stampa non intenda chiarire pubblicamente e formalmente quali siano state le linee di comando attraverso le quali sono stati impartiti gli ordini nella vicenda di cui in premessa.
(2-01193) «Manlio Di Stefano, Nuti, Del Grosso, Di Battista, Grande, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Cecconi, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Toninelli, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello».


Iniziative volte a garantire il pieno e corretto funzionamento dell'Unar e del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, con particolare riferimento alla situazione degli organi direttivi – 2-01191

F)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, è un organismo del dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri che vigila, in attuazione della normativa europea, sull'operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni e che contribuisce a rimuovere le discriminazioni svolgendo, più in particolare, la funzione di garantire, in piena autonomia di giudizio e in condizioni di imparzialità, l'effettività del principio di parità di trattamento fra le persone ai sensi dell'articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, di recepimento della direttiva comunitaria n. 2000/43 CE, e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2003;
   l'FSE è uno dei cinque fondi strutturali e di investimento europei (ESIF). Tali fondi rappresentano la principale fonte di investimenti a livello unionale per aiutare gli Stati membri a ripristinare e incrementare la crescita garantendo al contempo uno sviluppo inclusivo per una forte coesione del tessuto sociale, in linea con gli obiettivi di Europa 2020;
   da fonti stampa del 20 novembre 2015 – il riferimento è all'articolo online pubblicato da L'Espresso dal titolo «Pari opportunità, ritardo sulle nomine. E i fondi europei sono bloccati» – gli interpellanti hanno appreso che l'Unar sarebbe privo dell'organo direttivo dal settembre 2015 in conseguenza della polemica innescata dalla parlamentare Giorgia Meloni;
   difatti – come verificabile dalla sezione web trasparenza del Governo – alla scadenza del triennio, il dirigente preposto Marco De Giorgi non è stato confermato nella direzione dell'ufficio. Così da più di due mesi – si legge – la nomina del successore non sarebbe ancora arrivata. La pagina del sito istituzionale dove c'era il curriculum di De Giorgi – prosegue l'articolo – dice solo «in aggiornamento». Da palazzo Chigi farebbero sapere che è stata avviata la procedura di interpello, la call interna destinata ai dirigenti che hanno i titoli. Lo stesso De Giorgi pare abbia presentato la candidatura;
   L'Espresso riferisce altresì dell'ulteriore mancanza di 15 esperti incaricati alla cura di progetti europei e di molte delle attività dell'Unar. La cosa che preoccupa maggiormente è il depotenziamento dell'ufficio poiché l'assenza di quest'ultimi potrebbe compromettere le regolari procedure di finanziamento di circa 50 milioni di euro di fondi comunitari, una porzione dei fondi che l'Europa stanzia per l'Italia attraverso il fondo speciale europeo, fondi – si legge – per cui l'Italia sarebbe in ritardo e a cui quindi, almeno in parte, potrebbe finire col rinunciare, essendo pari a zero la spesa per 2014 e 2015 a valere sul Pon inclusione sociale;
   in merito palazzo Chigi avrebbe fatto sapere che l'incarico dei 15 esperti è già cessato nel giugno 2015;
   il 2015 è il primo anno in cui inspiegabilmente non si fa luogo, nel mese di ottobre, alla consueta settimana contro le discriminazioni nelle scuole così come prevista dal Protocollo con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 30 gennaio 2013;
   nel complesso dei fondi europei per la programmazione del settennato precedente – la cui rendicontazione scade a dicembre – l'Italia ad oggi si starebbe preparando a restituire circa 6 miliardi di euro, rende noto l'approfondimento de L'Espresso;
   come se non bastasse recentemente la deputata Giovanna Martelli si è dimessa dall'incarico di consigliere per le pari opportunità del Governo;
   a rischio, dunque, potrebbe essere non solo il pieno e corretto funzionamento dell'Unar, ma dell'intero dipartimento per le pari opportunità;
   in più occasioni la Commissione del Consiglio d'Europa contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI), in merito alla struttura dell'Unar, ha chiesto al Governo italiano «un ulteriore rafforzamento sia in termini di risorse umane e finanziarie, che da punto di vista giuridico, prevedendone l'ampliamento formale dell'operatività a tutti gli altri ambiti discriminatori e l'innalzamento del livello di autonomia finanziaria ed amministrativa»;
   in merito gli interpellanti reputano necessario che il Governo intervenga urgentemente in merito, in particolare al fine ultimo di conseguire l'allocazione del suddetto finanziamento europeo di 50 milioni di euro – cifra non certo da disperdere – destinato alla realizzazione di progetti che mirerebbero ad esempio all'inclusione sociale, all'occupazione e al contrasto delle discriminazioni delle minoranze, dai rom alle vittime di tratta, dalle discriminazioni per l'orientamento sessuale alle vittime di omotransfobia;
   per quei fondi, rivela tuttavia L'Espresso, mancherebbero ancora la convenzione con cui l'autorità di gestione, il ministero del lavoro e delle politiche sociali, dovrebbe incaricare della corretta spesa il dipartimento delle pari opportunità per il ciclo in corso 2014-2020;
   l'articolo non lesina di denunciare in conclusione anche la vacatio di un nuovo capo dell'intero dipartimento delle pari opportunità di palazzo Chigi. Risulterebbe scaduto, infatti, l’interim assegnato alla direttrice del dipartimento per le politiche della famiglia Ermenegilda Siniscalchi;
   nell'attuale delicato momento storico, in cui la tensione sociale tra etnie e culture diverse, percepite perfino come una minaccia per la sicurezza nazionale, è messa a dura prova soprattutto dopo le stragi terroristiche dei giorni appena trascorsi, è necessario che le diverse confessioni religiose esprimano invece con ancor più voce i valori di pace e di rispetto per la persona che sono propri di ciascuna fede;
   in tale ottica l'Unar si trova oggi più che mai in prima linea nel dover far fronte alla richiesta sociale di favorire l'integrazione razziale attraverso ogni iniziativa, quale ad esempio l'alfabetizzazione religiosa e il dialogo interreligioso e culturale, utile ad evitare una strumentalizzazione della religione e del sentimento religioso degli uomini e delle donne in Italia;
   il Dipartimento per le pari opportunità ha il compito di prendere in carico le situazioni di disagio sociale e di individuare e fornire gli strumenti adatti al superamento degli ostacoli che impediscono il conseguimento di uguaglianza ed equità sociale;
   sovente la prima firmataria del presente atto si è trovata nel corso della legislatura ad affrontare questioni inerenti alle pari opportunità e a presentare numerosi atti parlamentari in merito, a partire da una risoluzione che, anzitutto, si proponeva di impegnare il Governo, già in tempi non sospetti, a proporre la nomina di un nuovo Ministro per le pari opportunità; in particolare la risoluzione in commissione 7-00147 del 29 ottobre 2013, seduta n. 107, depositata in XII Commissione (Affari sociali), impegnava il Governo all'indomani delle dimissioni del Ministro per le pari opportunità Josefa Idem, a individuare un nuovo Ministro al quale assegnare anche la delega alla famiglia, avendo questa materia molte attinenze con le competenze del dipartimento;
   nel luglio 2014 la prima firmataria del presente atto ha inoltre avviato la petizione on-line «Si nomini subito un ministro per le pari opportunità» (sul sito www.change.org), diretta in special modo al premier Matteo Renzi, in cui venivano elencate le principali emergenze inerenti alle pari opportunità segnalate da cittadini, giornalisti, associazioni, politici, che il Governo avrebbe dovuto affrontare al più presto;
   prendendo le mosse da tale petizione la prima firmataria del presente atto ha infine depositato alla Camera dei deputati nell'ottobre 2014 la mozione n. 1-00649;
   purtroppo, dopo oltre un anno, la situazione appare sostanzialmente immutata; le suddette iniziative parlamentari e sollecitazioni sono rimaste inascoltate, non avendo ricevuto alcun riscontro, se non qualche cenno di apprezzamento e condivisione sfociati poi, numerose volte, in un nulla di fatto;
   per le ragioni sopracitate si ritiene opportuno e necessario che il Governo rivolga maggiore attenzione all'intero dipartimento delle pari opportunità - tutt'oggi privo di un Ministro con delega che possa rappresentare un solido punto di riferimento, operativo ed efficace, nel dispiego delle necessarie iniziative sociali che ai temi citati fanno riferimento - cominciando col rimediare all'inaccettabile depotenziamento dell'Unar in cui, per converso, si ritiene occorrerebbe investire maggiori risorse che consentano all'ufficio di non ritrovarsi d'ora in poi in balia di ulteriori adempimenti burocratici insanati, quali quelli sopraenunciati –:
   in relazione alle circostanze esposte in premessa, quali iniziative abbia medio tempore intrapreso, o intenda prontamente intraprendere, per assicurare il pieno funzionamento del dipartimento per le pari opportunità e dell'Unar e garantire inoltre l'allocazione dei suddetti fondi europei;
   considerate le peculiarità dell'attuale contesto storico sia nazionale che internazionale, nonché in ragione delle recenti dimissioni del consigliere per le pari opportunità del Governo, Giovanna Martelli, se il Governo non ritenga doveroso proporre nel più breve tempo possibile la nomina di un Ministro senza portafoglio cui affidare la delega relativa alle politiche delle pari opportunità, individuando così un nuovo membro del Governo, che possa rappresentare un solido punto di riferimento, operativo ed efficace, nel dispiego delle necessarie iniziative sociali che ai temi citati fanno riferimento;
   se possa indicare le ragioni per cui dal 14 settembre 2015 l'Unar sia privo di un direttore nonostante la disponibilità di risorse umane interne;
   per quali motivi non si sia ancora proceduto alla stipula della sopracitata convenzione per l'utilizzo dei fondi europei a valere sul fondo sociale europeo e sul Pon inclusione sociale 2014-2020 lasciando pari a zero la spesa per gli anni 2014-2015, con un evidente spreco di risorse;
   per quali ragioni non si sia proceduto alla sesta settimana di azione contro le discriminazioni nelle scuole prevista nel mese di ottobre dal succitato protocollo;
   quali siano le motivazioni del forte ridimensionamento di personale esperto dell'Unar nei temi di antidiscriminazione e pari opportunità con conseguente riduzione delle attività.
(2-01191) «Di Vita, Colonnese, Grillo, Silvia Giordano, Baroni, Lorefice, Mantero, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, Crippa, Da Villa, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Della Valle, Dell'Orco, Di Benedetto, Luigi Di Maio, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro».


Intendimenti del Governo in merito al riordino del sistema elettorale e della composizione degli organi degli ordini professionali – 2-01189

G)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169, regola il riordino del sistema elettorale e della composizione degli organi degli ordini dei dottori agronomi e dottori forestali, degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, degli assistenti sociali, degli attuari, dei biologi, dei chimici, dei geologi e degli ingegneri;
   all'articolo 2, comma 4, il decreto del Presidente della Repubblica stabilisce che i componenti dei consigli territoriali restino in carica quattro anni a partire dalla data della proclamazione dei risultati e non possono essere eletti per più di due volte consecutive;
   all'articolo 5, comma 1, il decreto del Presidente della Repubblica stabilisce inoltre che il consiglio nazionale degli ordini è costituito da quindici componenti, che restano in carica cinque anni;
   il comma 4-septies dell'articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 convertito dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10 (cosiddetto decreto Milleproroghe del 2010) ha stabilito che l'articolo 2, comma 4, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169, si applicasse ai componenti degli organi in carica alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, con il limite massimo di durata corrispondente a tre mandati consecutivi;
   l'aumento da due a tre mandati del limite di legge, previsto dal «decreto Milleproroghe» del 2010, ha consentito la ricandidatura a componenti degli organi che altrimenti non avrebbero potuto farlo dopo aver raggiunto tale limite;
   il limite dei due mandati, poi ampliato a tre, rappresentava una garanzia di ricambio della governance degli ordini professionali a fronte di un sistema elettorale assolutamente maggioritario;
   gli articoli 3 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005 descrivono infatti una combinazione tra le modalità di espressioni di voto e la traduzione dei voti in seggi che sostanzialmente incoraggia la concentrazione del consenso su candidati coalizzati ad excludendum e incentiva processi di aggregazione dei consenso dall'alto verso il basso, penalizzando la partecipazione democratica alle elezioni e l'autonomia dei consigli territoriali e annullando la presenza di una anche minima minoranza;
   sono in scadenza gli organi di governo degli assistenti sociali, nel 2016 scadranno gli organi di governo di ingegneri, architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori e dei chimici, mentre nel 2017 andrà in scadenza il consiglio nazionale dei biologi;
   risulta sia allo studio del Ministero della giustizia un intervento normativo, rubricato come «Riforma del sistema elettorale Professioni tecniche ed Ordine degli assistenti sociali. Modifica al decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005», recante al suo interno una norma che, emendando il suddetto decreto del Presidente della Repubblica, permetterebbe a chi, «alla data in vigore del decreto», ha assunto uno o più mandati nel consiglio territoriale o nazionale di assumerne un altro;
   il riferimento all'entrata in vigore del decreto rende la norma poco comprensibile. Non si coglie facilmente, infatti, la ratio giuridica di un intervento normativo che avrebbe l'effetto di emendare una disposizione del 2005 permettendo l'assunzione di un nuovo mandato, dal 2005 in poi, a chi alla data del 26 agosto 2005 (data di entrata in vigore del decreto) aveva assunto uno o più mandati;
   con lo stesso intervento normativo allo studio del Ministero, che parrebbe sostanziarsi in un decreto del Presidente della Repubblica verrebbero abbassati i quorum richiesti per la validità dell'elezione dei consigli territoriali e nazionali e si modificherebbero meccanismi e procedure di voto, mantenendo ancora una volta la possibilità di indicare un numero di preferenze (di norma 15 ogni votante) pari a quello dei consiglieri da eleggere e così pervenendo a vere e proprie «liste» di soggetti votati, attribuendo direttamente al consiglio uscente la scelta degli scrutatori e permettendo la sommatoria delle schede che riportano i voti espressi in prima votazione alle schede della seconda convocazione;
   l'abbassamento del quorum, dal 33 al 25 per cento in prima convocazione e dal 20 per cento a qualunque sia il numero dei votanti in seconda votazione, ridurrebbe ancora di più la partecipazione, lasciando il processo elettorale in mano a pochi a tutto detrimento della legittimazione dei candidati eletti e di riflesso della effettiva rappresentatività dell'ordine rappresentato;
   la possibile apertura alla sommatoria delle schede che riportano i voti espressi in prima votazione alle schede della seconda convocazione pone rilevanti questioni relativi alla regolarità delle procedure di voto, esposte a una possibile manipolazione alla luce del dubbio processo di conservazione della scheda;
   il mantenimento della possibilità che ogni elettore indichi un numero di preferenze pari al numero dei consiglieri da eleggere perviene alla definizione di «liste di fatto» le quali, con solo il 50 per cento dei voti, possono facilmente ottenere il 100 per cento dei seggi con la totale eliminazione delle minoranze, una patologia già oggi presente e che, con l'emanando decreto del Presidente della Repubblica, risulterebbe rafforzare ancora di più la concentrazione del consenso in capo a pochi;
   sotto il profilo giuridico-formale andrebbe chiarito il tipo di atto che autorizza la modifica del regolamento;
   risulta agli interpellanti che il Ministero della giustizia abbia trasmesso il testo ad alcuni, ma non a tutti gli ordini oggetto del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169. Vi sarebbe quindi stata una consultazione informale e parziale, non adeguata per un idoneo approfondimento delle conseguenze e delle implicazioni dell'eventuale provvedimento –:
   se le informazioni esposte in premessa rispondano al vero;
   se ritenga di chiarire quale tipo di atto verrà adottato per modificare il decreto del Presidente della Repubblica 169 del 2005 e se tale atto normativo sarà eventualmente autorizzato da un'iniziativa legislativa;
   se non ritenga di chiarire la ratio della norma all'oggetto dello studio del Ministero che, modificando il decreto del Presidente della Repubblica 169 del 2005, permetterebbe a chi, alla data di entrata in vigore del decreto, ha assunto uno o più mandati nel consiglio territoriale o nazionale di assumerne un altro;
   quali siano gli intendimenti generali del Governo nell'adozione di tale provvedimento;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per riformare il sistema elettorale degli ordini in modo da incoraggiare la partecipazione degli iscritti e la legittimazione e la rappresentatività degli eletti, garantire la rappresentanza e la tutela delle minoranze (ad esempio, limitando il numero di preferenze esprimibili per ciascun votante alla metà oppure ai due terzi dei consiglieri da eleggere) e preferire, in caso di parità, il candidato più giovane anziché quello più anziano.
(2-01189) «Mazziotti Di Celso, Monchiero».


Iniziative di competenza, anche di carattere normativo, alla luce dell'articolo 6 della Cedu e della sentenza della Corte di cassazione n. 32619 del 2014, in ordine al giudizio di appello e alla composizione dei relativi collegi giudicanti, con particolare riferimento alla presenza di magistrati che abbiano rivestito incarichi di Governo – 2-01192

H)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   l'articolo 111 della Costituzione, così come modificato con legge costituzionale 23 novembre 1999. n. 2, sancendo i principi del «giusto processo», stabilisce che ogni processo debba svolgersi di fronte ad un giudice indipendente, terzo e imparziale;
   l'articolo 24 della Costituzione, garantendo la possibilità per tutti di agire in giudizio e sancendo quindi l'inviolabilità del diritto di difesa, pone le basi essenziali della tutela giudiziaria e di conseguenza del diritto ad un giudizio imparziale;
   l'articolo 6 della Carta europea dei diritti dell'uomo, sancisce il diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata equamente e da un tribunale terzo e imparziale;
   i requisiti di imparzialità e terzietà del giudice sono definiti in modo pressoché unanime da giurisprudenza e autorevole dottrina come caratteristica di neutralità del giudice, che deve agire libero da ogni tipo di interesse, pregiudizio e preconcetto;
   la Corte di cassazione, con sentenza n. 32619/2014, ha stabilito che il giudice d'appello deve rinnovare l'istruttoria se vuole dare una diversa valutazione della prova testimoniale, sia nel caso egli voglia riformare in peius la sentenza di assoluzione di primo grado, che nel caso in cui vi sia già stata condanna;
   la Corte europea dei diritti dell'uomo, interpretando l'articolo 6 della Carta, con sentenza del 5 luglio 2011 (Dan c. Moldavia), ha sancito l'obbligo del giudice d'appello di riesaminare il testimone, qualora intenda utilizzare in modo difforme dal giudice di primo grado la sua dichiarazione, per «ascoltarlo personalmente e così valutarne l'attendibilità intrinseca»;
   alla luce del differente giudizio della Corte di appello, in contrasto con quanto affermato dalla Corte di cassazione con la citata sentenza n. 326 19/2014, il Ministro della giustizia dovrebbe chiarire come possa essere assicurato il rispetto dei principi affermati dalla Corte di cassazione medesima, e dovrebbe provocare una maggiore e più approfondita riflessione sul tema del ribaltamento delle sentenze ed in particolare sul ribaltamento dell'assoluzione, soprattutto laddove questo venga fatto dipendere da una diversa valutazione dei fatti;
   il 27 ottobre 2014, la terza Corte d'appello di Roma ha condannato a 2 anni e 6 mesi per peculato (dopo che i pubblici ministeri avevano chiesto 2 anni di reclusione) il senatore in carica Augusto Minzolini, parlamentare di Forza Italia, dopo che era stato assolto in primo grado, nel febbraio 2013, il giudice ha fissato anche per lo stesso periodo l'interdizione dai pubblici uffici;
   il 12 novembre 2015, la VI sezione penale della Corte di cassazione ha poi confermato la condanna a due anni e mezzo e l'interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena, come stabilito dalla Corte d'Appello di Roma il 27 ottobre 2014;
   giova, inoltre, evidenziare la grave circostanza che ha visto la presenza, all'interno del collegio giudicante in appello, del magistrato Giannicola Sinisi, ex parlamentare dell'Ulivo, nonché sottosegretario per l'interno durante il primo governo Prodi, e nel primo Governo D'Alema;
   risulta inoltre all'interpellante che, a tre giorni dalla data fissata per l'udienza presso la Corte di cassazione, sia stata modificata la composizione del collegio giudicante, sostituendone il Presidente –:
   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza, anche di tipo normativo, al fine di chiarire e comunque escludere che un esponente politico, seduto in Parlamento dal 1996 al 2008, sottosegretario all'interno durante il primo Governo Prodi e D'Alema, quando a capo del Ministero dell'interno vi erano prima Giorgio Napolitano e poi Rosa Russo Iervolino, possa far parte di un collegio di Corte d'Appello che giudica un esponente politico eletto in un partito avversario. Un collegio che, infliggendo una pena superiore a quella richiesta dal pubblico ministero, nei fatti decreta la decadenza dell'avversario politico imputato dalla carica di parlamentare;
   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza, anche di tipo normativo, al fine di chiarire e comunque escludere che lo stesso collegio di Corte d'appello, composto fra gli altri dal giudice avente le caratteristiche sopra citate, nel giudicare lo stesso imputato, capovolga la sentenza di assoluzione emessa dal giudice di primo grado, emettendo una condanna senza prima procedere alla riapertura dell'istruttoria, riascoltando i testimoni o assumendo nuove prove, come invece previsto dall'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
   se il Ministro della giustizia titolare dell'azione disciplinare, non intenda aprire un procedimento nei confronti di questo magistrato che, ad avviso degli interpellanti, ricorrendone le condizioni, non si è astenuto dal partecipare al collegio di Corte di appello.
(2-01192) «Brunetta, Alberto Giorgetti».