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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Venerdì 27 febbraio 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 27 febbraio 2015.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Bellanova, Dorina Bianchi, Stella Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonavitacola, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Capezzone, Casero, Castiglione, Causin, Cicchitto, Cirielli, Cominelli, Costa, D'Alia, D'Ambrosio, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, De Menech, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fava, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Guerra, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Lupo, Madia, Manciulli, Mannino, Merlo, Meta, Molea, Orlando, Pes, Picchi, Pisicchio, Pistelli, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Tidei, Valeria Valente, Vargiu, Velo, Vignali, Vignaroli, Vito, Zanetti, Zolezzi.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Baretta, Bellanova, Dorina Bianchi, Stella Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Capezzone, Casero, Castiglione, Causin, Cicchitto, Cirielli, Cominelli, Costa, D'Alia, D'Ambrosio, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, De Menech, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fava, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Guerra, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Lupo, Madia, Manciulli, Mannino, Merlo, Meta, Molea, Orlando, Pes, Picchi, Pisicchio, Pistelli, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Tidei, Valeria Valente, Vargiu, Velo, Vignali, Vignaroli, Vito, Zanetti, Zolezzi.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 26 febbraio 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   PILI: «Dichiarazione dell'interesse strategico degli stabilimenti per la produzione di alluminio primario di Portovesme e di Fusina, nonché disposizioni per la bonifica e la ripresa produttiva delle aree di Portovesme e del Sulcis Iglesiente» (2916);
   DURANTI: «Modifiche agli articoli 85 e 132 del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, concernenti la rendita erogata ai superstiti in caso di morte dell'assicurato» (2917).

  Saranno stampate e distribuite.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   I Commissione (Affari costituzionali):
  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE COPPOLA ed altri: «Introduzione dell'articolo 34-bis della Costituzione, in materia di riconoscimento del diritto universale di accesso alla rete Internet» (2816) Parere delle Commissioni VII e IX;
  DORINA BIANCHI: «Disciplina dell'attività di rappresentanza di interessi particolari nei processi di decisione pubblica» (2877) Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, V, VII, X, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
   VI Commissione (Finanze):
  MARCON ed altri: «Modifiche all'articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e all'articolo 12 del testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, in materia di aliquote e di determinazione dell'attivo ereditario ai fini dell'imposta sulle successioni e donazioni» (2830) Parere delle Commissioni I, II e V.
   VII Commissione (Cultura):
  ZAMPA ed altri: «Istituzione della Giornata per l'Europa nelle scuole» (2602) Parere delle Commissioni I, V, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Conferma dell'assegnazione di disegno di legge a Commissioni in sede referente.

  La III Commissione (Affari esteri) ha chiesto che il seguente disegno di legge, attualmente assegnato alle Commissioni riunite II (Giustizia) e IV (Difesa), in sede referente, sia trasferito alla competenza primaria delle Commissioni riunite II, III e IV:
   «Conversione in legge del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione» (2893).

  Tenuto conto della materia oggetto del disegno di legge, la Presidenza ha disposto che sia confermata l'assegnazione alle Commissioni riunite II (Giustizia) e IV (Difesa), in sede referente, con i pareri in precedenza previsti.

Trasmissione dal Presidente del Consiglio dei ministri.

  Il Presidente del Consiglio dei ministri, con lettera in data 26 febbraio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 38 della legge 3 agosto 2007, n. 124, la relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza, riferita all'anno 2014 (Doc. XXXIII, n. 2).

  Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).

Trasmissioni dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 24 febbraio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di Italia Lavoro Spa, per l'esercizio 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 235).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 24 febbraio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Fondazione La Triennale di Milano, per l'esercizio 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 236).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

  Il Presidente della Corte dei conti, con lettera in data 25 febbraio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 17, comma 9, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, la relazione, approvata dalle Sezioni riunite in sede di controllo della Corte stessa il 24 febbraio 2015, sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relativamente alle leggi pubblicate nel quadrimestre settembre-dicembre 2014 (Doc. XLVIII, n. 8).

  Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dal Ministro dell'interno.

  Il Ministro dell'interno, con lettera in data 25 febbraio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 113 della legge 1o aprile 1981, n. 121, dell'articolo 109 del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dell'articolo 3, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e dell'articolo 3, comma 3, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, la relazione sull'attività delle Forze di polizia, sullo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata, riferita all'anno 2013 (Doc. XXXVIII, n. 2).

  Questa relazione è stata trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla II Commissione (Giustizia).

Trasmissione dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

  Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con lettera in data 25 febbraio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 18 giugno 1998, n. 194, la relazione concernente l'andamento del processo di liberalizzazione e di privatizzazione del trasporto aereo, riferita al primo semestre del 2014 (Doc. LXXI, n. 4).

  Questa relazione è trasmessa alla IX Commissione (Trasporti).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 26 febbraio 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo – Risposte degli Stati membri alla relazione annuale 2013 della Corte dei conti europea (COM(2015) 89 final), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 26 febbraio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

  Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

COMUNICAZIONI DEL GOVERNO IN MATERIA DI POLITICA ESTERA

Risoluzioni

   La Camera,
   premesso che:
    condivise le comunicazioni rese dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, sulle linee direttrici della politica estera italiana che confermano le scelte politiche fondamentali dell'Italia: l'adesione ai valori delle Nazioni Unite, il processo di integrazione europea e l'appartenenza alla NATO, l'impegno per una politica estera e di difesa unitaria dell'Unione Europea; l'azione politica affinché in ogni parte del mondo, per autonome scelte dei popoli, si affermino la democrazia, le libertà e i diritti individuali e collettivi, in particolare la libertà religiosa e la libertà di espressione e di opinione, la crescita economica, l'eguaglianza dei punti di partenza, un graduale superamento del sottosviluppo e della povertà; l'affermazione della pace e la scelta del dialogo e del diritto per la risoluzione di ogni controversia internazionale; la lotta intransigente contro il terrorismo con la scelta delle forme di contrasto più efficaci, necessarie e opportune; l'impegno a favore dei diritti umani, e contro ogni forma di discriminazione, a partire da quella tra uomini e donne, di persecuzione, di sopraffazione, di violenza e di sfruttamento; la battaglia contro ogni forma esplicita o mascherata di antisemitismo;
    oggi l'Europa, e con essa l'Italia, deve misurarsi innanzitutto con due questioni di grande rilievo: la recessione economica e il terrorismo fondamentalista di matrice islamica. La grave crisi recessiva, con le conseguenze assai negative sulla crescita, sull'occupazione, sulle attività imprenditoriali, sul destino delle giovani generazioni, rende indispensabili: un salto di qualità nell'unità politica dell'Europa; l'adozione di una politica estera e della difesa comuni; una politica economica europea che favorisca la crescita e l'occupazione di fronte al contestuale impegno per le riforme da parte dei singoli Paesi. Il superamento della recessione e il decollo di una politica della crescita sono importanti anche al fine di affrontare sul piano strutturale gli aspetti sociali dell'immigrazione che però deriva largamente da questioni più propriamente politiche; lo sviluppo del ruolo della BCE affinché essa diventi gradualmente per l'euro l'effettiva banca di ultima istanza come avviene per le altre monete che hanno tutte una banca centrale;
    purtroppo il Mediterraneo non è più un mare di pace, ma anzi in seguito alle crisi politiche in atto nel Nordafrica e nel Medio Oriente, esso è segnato da situazioni molto negative, con un'immigrazione di massa incontrollata e disperata e da un terrorismo che nella versione Daesh aspira a diventare esercito e Stato, punta a investire e distruggere Stati come l'Iraq e la Siria e conduce una lotta senza quartiere contro una larga parte del mondo islamico, accanto a questo rimane forte e si estende la minaccia terroristica di matrice qaedista;
    il terrorismo islamico sta anche concentrando i suoi colpi contro la libertà di opinione e di satira e i simboli delle conquiste occidentali di libertà e di tolleranza, come dimostrano gli attentati e gli assassini di Parigi e di Copenaghen, nonché i sempre più frequenti attacchi di natura antisemita ai luoghi di culto ebraici. Contro questo attacco liberticida va data una risposta rigorosa e di principio senza relativismi di sorta. Su questo terreno sono anche di straordinaria importanza le risposte di tipo culturale che all'interno stesso dell'Islam, in primo luogo dall'Egitto, vengono date alle interpretazioni fanatiche e violente della religione coranica. Il terrorismo espresso dal fondamentalismo islamico miete in primo luogo vittime fra i musulmani e colpisce in maniera brutale tutte quelle minoranze religiose che finora hanno costituito per il Medio Oriente un elemento di ricchezza culturale e sociale, come i cristiani e gli yazidi;
    è poi in corso una devastante guerra civile in Siria che è anch'essa uno dei fattori costitutivi del Daesh. In questo quadro il terrorismo dell'Isis sta aprendo un nuovo fronte in Libia approfittando del vuoto politico che si è determinato dopo l'eliminazione di Gheddafi. La Libia oggi è un Paese che non ha una struttura statuale. Da tempo l'Italia ha suonato l'allarme e ha chiesto all'ONU di lavorare per una soluzione politico-diplomatica per una intesa fra le parti finora contrapposte. L'Italia, anche mantenendo il proprio rappresentante diplomatico a Tripoli, ha dato all'ONU il massimo contributo possibile. Dopo l'attacco di Daesh alla città di Sirte, è evidente che per evitare che la Libia diventi un centro attivo del terrorismo e della destabilizzazione dell'area, occorre un salto di qualità nell'azione di contrasto, con il concorso decisivo dell'ONU, con l'apporto dei Paesi arabi interessati quanto noi a che venga rapidamente impedito lo sviluppo di un altro polo di attacco terroristico. Evidentemente, una volta definite e concordate nelle sedi ONU e nel rapporto sia con i Paesi arabi sia con l'Unione europea le caratteristiche di questa azione di contrasto, il Governo farà le sue scelte in un confronto con il Parlamento;
    nel corso di tutti questi anni l'Italia ha svolto un ruolo assai importante nelle missioni internazionali, dai Balcani occidentali, all'Iraq, al Libano, all'Afghanistan, alla lotta contro la pirateria marittima, manifestando una significativa capacità di avere rapporti positivi con le popolazioni interessate e di stabilire relazioni politiche costruttive con tutte le forze in campo. L'Italia ha svolto questo ruolo in tutte le sedi, dalle missioni ONU, alla NATO, alla Unione europea, che a loro volta è auspicabile mostrino attenzione per le varie realtà geopolitiche, compreso il Mediterraneo;
    di conseguenza è evidente che l'Italia è in prima fila nella lotta al terrorismo non solo sul terreno delle dichiarazioni di principio ma su quello delle iniziative politiche concrete. L'Italia ha colto da tempo il salto di qualità costituito da Daesh e per questo da un lato sta definendo una legislazione più incisiva, dall'altro lato è impegnata concretamente nella coalizione internazionale posta in essere per iniziativa USA. L'Italia è impegnata nel sostegno alle forze armate irachene e ai combattenti curdi, che stanno svolgendo un ruolo essenziale e cui va la piena solidarietà. Sempre in questo quadro l'Italia sta svolgendo una vasta azione politica e diplomatica verso i Paesi della regione in modo tale da costruire un fronte vasto e ampio contro il terrorismo;
    l'Italia persegue l'obiettivo di una soluzione definitiva globale e durevole nel processo di pace in Medio Oriente, fondata sull'esistenza di due Stati, quello israeliano e quello palestinese, da promuovere ed accelerare tramite negoziati diretti fra le parti;
    in una situazione così difficile la comunità internazionale deve assicurare ogni sostegno ai Paesi vicini della Siria, in particolare al Libano, alla Giordania e alla Turchia, nei cui confini si sono concentrati milioni di rifugiati e di profughi. Seguendo la stessa logica sia l'Italia, sia l'Europa nel suo complesso devono impegnarsi a fondo perché il problema dell'immigrazione derivante da diversi Paesi del Medio Oriente e dell'Africa sia affrontato da tutta l'Europa e non solo dal nostro Paese;
    l'altro grande punto di crisi è costituito da ciò che sta avvenendo in Ucraina. L'Italia ritiene che la via maestra deve essere quella della mediazione. L'obiettivo deve essere quello di assicurare all'Ucraina la sovranità e l'integrità territoriale con soluzioni che portino la Russia a bloccare tutte quelle azioni aggressive che hanno provocato la decisione delle sanzioni. Ci auguriamo che l'intesa di Minsk sia seria e stabile, che essa rappresenti un punto di partenza per un organico processo di pace e che non si risolva in un transitorio tatticismo ma preluda anche ad un processo di riforma costituzionale. Quello che è accaduto dopo la firma dell'accordo porta ad esercitare il massimo di attenzione, di vigilanza, anche di pressione sulle parti per evitare che ancora una volta la tregua dichiarata sia soppiantata da una ripresa sostanziale delle ostilità. L'Italia esprime la sua solidarietà all'Ucraina e nel contempo auspica che con la Russia si trovi il terreno di una mediazione reale, pur nella preoccupazione dei disegni geopolitici assai ambiziosi che albergano nel gruppo dirigente russo;
    è massimo l'impegno per assicurare una soluzione alla vicenda dei fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, in cui sono in gioco le questioni umane e personali dei due militari e la tutela di irrinunciabili principi di sovranità nazionale e di diritto internazionale. Occorre continuare ad affrontare questa drammatica vicenda nel quadro dei profondi legami di amicizia con l'India, nel rispetto degli ordinamenti giuridici dei due Stati, in coerenza con le radicate tradizioni di democrazia e perseguendo la rapida soluzione del caso con la tutela di quei principi che sono irrinunciabili;
    confermata la validità della partecipazione italiana alle missioni di pace negli scenari di crisi che richiedono una piena assunzione di responsabilità da parte della comunità internazionale,

impegna il Governo

a seguire le linee di fondo della politica estera dell'Italia delineate in premessa mettendo altresì il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale nelle condizioni di poter svolgere tutti i compiti che gli sono stati affidati e in particolare un ruolo «di sistema» in tale direzione, anche con riferimento agli interventi di cooperazione internazionale, nonché a favore dell'azione delle nostre imprese e comunità grandi e piccole nel mondo, sempre più indispensabile alla luce del confronto attuale con le altre nazioni sul terreno della globalizzazione e della concorrenza internazionale.
(6-00111) «Cicchitto, Amendola, Mazziotti Di Celso, Marazziti, Locatelli».


   La Camera,
   esprimendo preoccupazione per il continuo deteriorarsi della situazione internazionale, caratterizzato dal moltiplicarsi e dall'aggravarsi dei fattori di rischio e delle minacce gravanti sul nostro Paese e l'Europa più in generale;
   sottolineando in particolare, la portata della sfida portata dall'affermarsi del cosiddetto Stato Islamico, ormai fonte d'ispirazione per una pluralità di soggetti e gruppi dediti alla pratica dell'eversione e dell'intimidazione su scala internazionale, non ultimo tramite il ricorso a forme efferate di terrorismo, dirette contro chiunque non aderisca ad una interpretazione radicale del pensiero islamico, a partire dalle minoranze cristiane residenti nei Paesi maggioritariamente abitati da musulmani, soggette ormai ad un vero e proprio martirio, come sottolinea ormai sempre più spesso anche Papa Francesco;
   manifestando sconcerto per l'atteggiamento ondivago assunto nell'ultima settimana dal Governo, di cui sono state parte essenziale bellicose dichiarazioni d'intenti che hanno attirato sul nostro Paese le pericolose attenzioni dei media controllati dal cosiddetto Califfato, senza che peraltro alle predette bellicose dichiarazioni d'intenti seguissero comportamenti conseguenti, circostanza che ha evidenziato una debolezza e delle vulnerabilità che non era certamente il caso di esporre;
   nutrendo dubbi sull'opportunità di scegliere come partner privilegiato di un eventuale intervento multinazionale in Libia l'Egitto del generale al-Sisi, i cui bombardamenti sono visti dal legittimo Governo libico come un'inaccettabile aggressione alla quale è forse meglio non associarsi;
    osservando con preoccupazione l'accelerazione impressa agli eventi, da un lato, dalla decapitazione dei 21 ostaggi copti catturati dai miliziani del sedicente Stato Islamico apparsi anche in Libia e, dall'altro, dalla rappresaglia aerea egiziana e dalla concomitante richiesta di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, sollecitata tanto dall'Egitto quanto dalla Francia;
   prendendo atto del fatto che allo stato non è immaginabile alcun intervento di peacekeeping in Libia, non esistendo in quel Paese un accordo tra due o più parti da garantire con truppe internazionali, ma piuttosto una situazione di pericolosa anarchia, contrassegnata dalla presenza di due Governi, due Parlamenti ed oltre 1.500 gruppi armati, tra i quali sta facendo proseliti lo Stato Islamico;
    è invece prospettabile un pesante intervento di peace enforcing, cui dovrebbe seguire una complessa, lunga e costosa missione di State building;
   ritenendo altresì che proprio in ragione della gravità della sfida, risulterebbe opportuno coinvolgere in un eventuale intervento pure la Federazione Russa, anche come modo di avviarne la reintegrazione nella comunità internazionale e comunque di dimostrare l'esistenza di possibilità di cooperazione con la Russia al di là di quanto sta accadendo in Ucraina;
    nella lotta allo Stato islamico ormai apparso anche in Libia sia di particolare importanza ottenere una maggiore collaborazione da parte della Turchia, che ha invece tenuto finora un atteggiamento quanto meno ambiguo nei confronti del Califfato,

impegna il Governo:

   a rappresentare la gravità assunta dalla crisi libica in tutte le competenti istanze internazionali, con l'obiettivo di aggregare il più vasto concorso di forze all'effettuazione di un eventuale intervento militare multinazionale, incluse quelle eventualmente messe a disposizione dalla Federazione Russa, con l'obiettivo di sradicare le milizie fondamentaliste dalla Libia e ricostruire la convivenza civile in quel Paese, anche con l'apporto delle maggiori tribù locali;
   a promuovere quanto prima la sottoposizione a blocco navale delle coste libiche, in quanto ormai sorgente potenziale di pericolose infiltrazioni terroristiche in Europa, anche nella forma di agitatori capaci di aggregare consensi in favore dello Stato Islamico;
   a chiedere nell'ambito del Consiglio dell'Atlantico del Nord l'applicazione immediata in favore del nostro Paese dell'articolo 5 del Trattato di Washington qualora la Repubblica venga colpita da attacchi emanazione dello Stato Islamico in qualunque modo, momento o luogo realizzati a danno di interessi o cittadini italiani;
   ad escludere da qualsiasi coalizione militare intervenga in Libia le forze armate egiziane, in quanto percepite come nemiche e quindi rifiutate dalla popolazione e dalle autorità libiche;
   in luogo di sostenerne incondizionatamente l'accessione all'Unione europea, ad esigere dalla Turchia un atteggiamento di intransigente intolleranza e censura nei confronti di quanto il sedicente Stato islamico sorto a cavallo tra Siria ed Iraq fa ed afferma di voler fare.
(6-00112) «Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il panorama del mondo che circonda l'Italia è uno dei più gravi dalla fine della seconda guerra mondiale;
    due scenari di crisi incombono sul mondo occidentale e sul nostro Paese. Il primo è a pochi minuti di volo dai nostri confini meridionali. Il jihadismo in fase di attacco globale è una realtà di orrore e morte per i popoli del Medio Oriente, dell'Africa e della stessa Europa;
    lo stato di cose attuale, specie in Libia e in Siria, è l'esito di errori di valutazione da parte delle cancellerie occidentali a proposito delle cosiddette «primavere arabe», ben presto egemonizzate da formazioni jihadiste;
    questo ha portato ad appoggiare sciaguratamente forze che si sono rivelate permeabili ad Al Qaeda e alle varie denominazioni della sua galassia fino a favorire l'avvento di una entità che si pretende Stato (Is o Daesh);
    l'aggressività espansionistica dell'Is-Daesh, rappresenta una grave minaccia per la stabilità dell'intero assetto geopolitico mondiale, andando ad innestarsi su equilibri storicamente fragili tra gruppi etnici, religiosi e tribali;
    la povertà, la devastazione, i crimini efferati che vengono commessi in questi Paesi spingono masse di disperati alla fuga per mare, diventando ostaggi della strategia di Is-Daesh e di altri soggetti della medesima matrice islamica fondamentalista per destabilizzare socialmente l'Italia e ricavare ingenti risorse, oltre che per infiltrare terroristi in Europa;
    il secondo scenario di crisi si trova ad Est. L'Ucraina rappresenta la frontiera della volontà politica e della capacità economica dell'Unione europea di adempiere alla sua vocazione di unificazione continentale. La definizione di «rivoluzione democratica», usata dall'Europa, contrasta con quella russa di «colpo di stato anticostituzionale». Per Mosca, che rivendica il proprio diritto a difendere le popolazioni di etnia russa, si è trattato di un «movimento di autodeterminazione che ha portato alla riunificazione di una entità separata dalla Storia». Per gli Stati Uniti e l'Europa, invece, Mosca ha superato un punto di non ritorno, con l'uso illegittimo della forza per ridisegnare i confini dell'Europa post-sovietica e per destabilizzare il Paese vicino. La responsabilità di questa tragedia è materia complessa che non si presta a una separazione tra buoni e cattivi;
    di certo le sanzioni economiche contro la Federazione Russa sono state precipitose e, oltre a determinare gravi danni alla nostra economia, hanno aperto una pericolosa fase di guerra fredda dagli esiti imprevedibili;
    un passo positivo è stato l'accordo stipulato a Minsk, ma il raggiungimento della pace e la stabilizzazione democratica dell'area sono ancora obiettivi distanti e irrealizzati;
    in questo quadro drammatico, si constata l'impotenza dell'Europa, che non ha una politica estera unitaria e chiara, e l'incapacità del Governo del nostro Paese di incidere con efficacia;
    lontano è il ruolo di protagonisti che portò il nostro Paese a essere artefice e ospite a Pratica di Mare (maggio 2002) del momento più alto e collaborativo tra i Paesi della Nato e la Federazione Russa;
    sul piano economico, la politica seguita nell'Eurozona e più in generale nell'Unione europea, all'insegna della pura austerità, non solo non ha prodotto i risultati sperati, visto l'aggravarsi di tutti i problemi finanziari, dal deficit di bilancio al debito pubblico, ma ha alimentato una spirale deflazionistica che rende estremamente preoccupanti le prospettive future;
    a contrastare questa deriva e rimasta solo la politica monetaria della Bce, che rappresenta tuttavia una condizione necessaria ma non sufficiente per una ripartenza del ciclo economico;
    la progressiva svalutazione dell'euro nei confronti delle altre monete, che poteva rappresentare una possibile chance, è continuamente frenata dalla forte crescita dell'avanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti europea, a sua volta riflesso della limitatezza del mercato interno e del prevalere delle pulsioni deflazionistiche;
    si ritiene, infine, inaccettabile e del tutto contrario alle norme del diritto internazionale e del rispetto dei diritti della persona umana la vicenda che ha coinvolto Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ormai più di tre anni fa, scaturita da un incidente accaduto in acque internazionali, mentre erano nell'espletamento di funzioni ad essi attribuite e normativamente disciplinate, anche sul piano del diritto internazionale;
    la partecipazione italiana alle missioni internazionali antipirateria deve essere valutata anche in relazione al concreto sostegno all'Italia ed al contributo fattivo per la positiva risoluzione del caso che daranno le Nazioni Unite, la Nato, l'Unione europea, oltre che in relazione all'evolvere stesso della vicenda giudiziaria indiana,

impegna il Governo:

   a riprendere quel dialogo positivo tra l'Alleanza Atlantica e la Federazione Russa, che ebbe il suo culmine a Pratica di Mare nel 2002, ponendo nuovamente l'Italia in un ruolo di protagonista, al fine di trovare una soluzione diplomatica per garantire pace, sicurezza e stabilità alla frontiera est dell'Unione europea;
   a promuovere meccanismi di informazione e consultazione permanente con gli organi parlamentari che coinvolgano le forze politiche di maggioranza e di opposizione, per trattare nel merito situazioni di crisi gravi ogni volta che queste si presentano e che favoriscano, senza sostituirsi alle competenze dell'Assemblea plenaria, il confronto e la discussione delle iniziative del Governo e delle proposte delle opposizioni;
   sul tema dell'immigrazione, a trovare la strada giuridicamente e politicamente congrua per intervenire in un ruolo di leadership sulla costa libica, laddove ce ne fosse bisogno, nell'ambito di una forza multilaterale sotto l'egida delle organizzazioni internazionali;
   a promuovere immediate iniziative dell'Unione europea, ponendo all'ordine del giorno il tema dell'accoglienza e dell'identificazione dei migranti e dei profughi, nonché la promozione di una politica di accoglienza europea, attuando il principio di ripartizione degli oneri (burden sharing) introdotto dal Trattato di Lisbona, modificando, a tal fine, il regolamento cosiddetto Dublino III, superando l'attuale principio del «paese di primo arrivo», anche al fine di garantire il diritto fondamentale dei richiedenti asilo di presentare domanda di protezione alle autorità del loro Paese di elezione;
   a promuovere il potenziamento, in accordo con l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, la rete dei campi di accoglienza esistenti nei Paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo, rafforzando in particolare le procedure interne delle operazioni di sicurezza e controllo;
   a promuovere nell'Unione europea politiche di crescita e a fare in modo che gli effetti della politica monetaria espansiva della Bce siano accompagnati da politiche economiche adeguate di crescita e sviluppo, a partire dalla riduzione della spesa pubblica e del carico fiscale;
   a definire come una priorità della propria politica estera e delle sue relazioni internazionali la rapida soluzione della vicenda dei nostri due fucilieri di Marina e, quindi, ad assumere, sia a livello internazionale sia presso le autorità indiane, tutte le iniziative politiche, diplomatiche e giudiziarie che si rendano necessarie per una soluzione rispettosa del diritto internazionale e dei diritti dei due Marò e del nostro Paese, con il convinto coinvolgimento dell'Onu, della Nato e dell'Unione europea, in coerenza con la competenza internazionale sulla vicenda.
(6-00113) «Brunetta, Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    sentite le comunicazioni del Ministro degli esteri e della cooperazione internazionale sulla politica estera del Paese;
    tali comunicazioni rappresentano un atto di estrema rilevanza ai fini della definizione degli interventi di politica estera e delle proposte da portare nei consessi internazionali cui il nostro Paese prende parte;
    il conflitto ucraino è senza dubbio la più pericolosa crisi vissuta dall'Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale;
    in particolare, è pericolosa non tanto sul terreno della recrudescenza del conflitto, quanto sul suo potenziale rischio di minare la pace nel vecchio continente, finanche a provocare uno scontro globale;
    l'atteggiamento europeo di puntare sul «muro contro muro» con Mosca è apparso totalmente sbagliato e noncurante degli storici errori commessi dall'Unione a partire dagli anni ’90 che hanno portato in sequenza a conflitti, aperture diplomatiche, minacce reciproche e logoramento delle relazioni;
    la partita geopolitica è stata giocata principalmente sul terreno della «sicurezza» e la mossa principale dell'allargamento ad Est della Nato e le trattative per l'ingresso dell'Ucraina nell'Unione europea, riassumibili nella scarsa attenzione alle dinamiche interne al Paese e alla condizione dei suoi cittadini, in favore di un interesse pressoché esclusivo verso la centralità economica dell'Ucraina ed il suo ruolo strategico, a causa dei gasdotti che passano per il suo territorio sono state una scelta strategica sbagliata così come la gestione della crisi e le conseguenti sanzioni, di cui l'Europa e i suoi Stati membri pagano un prezzo elevato;
    l'Unione europea è stata in questi mesi incomprensibilmente troppo subordinata alle scelte dell'Alleanza Nord Atlantica e degli Stati Uniti d'America e l'espressione della sua politica estera, la PESC - politica europea e di sicurezza comune è stata totalmente assente e incapace di determinare alcun passo significativo nella direzione di un accordo tra le parti, nonostante la guerra fosse ai suoi confini;
    prova della pericolosità del conflitto ucraino ed al contempo della colpevole inefficacia della PESC è il frettoloso impegno di Paesi europei come la Germania e la Francia, i quali sono scesi in campo con le proprie forze diplomatiche per scongiurare che l'Ucraina collassi e provochi una imprevedibile guerra tra Nato e Russia;
    occorre che l'azione di Germania e Francia per l'immediato cessate il fuoco, sia realmente supportato da una forte azione di tutta l'Unione europea e quindi anche attraverso una voce unica e quindi un forte e rinnovato impegno dell'Alto Rappresentante per la politica europea e di sicurezza comune;
    ciò è necessario poiché in caso di fallimento del cessate il fuoco, ci sarebbe un’escalation militare, con gli Stati Uniti pronti ad armare lo Stato di Kiev e la Russia legittimamente autorizzata a interpretare questa mossa come una indiretta dichiarazione di guerra;
    le responsabilità dell'Unione europea appaiono aggravate dall'azione della Nato negli ultimi venti anni nei confronti dell'Ucraina e della politica di progressiva espansione ad Est che ha portato all'adesione di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia (1999), Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia (2004), Albania e Croazia (2009);
    la politica dell'allargamento della Nato, mentre da un lato ha portato molti vantaggi ai membri dell'Alleanza, indubbiamente dall'altro lato ha contribuito notevolmente ad alimentare la tensione internazionale, a peggiorare le condizioni della pace, le relazioni internazionali con la Russia e ad acuire la lotta geopolitica aggravando le tensioni tra la Russia e l'Occidente;
    lotta geopolitica che ha prodotto anche tensioni e minacce di intervento militare in risposta allo scudo missilistico della Nato, portando all'installazione di numerosi missili Iskander M russi lungo il confine con la Polonia e i Paesi baltici Estonia, Lettonia e Lituania;
    una possibile via d'uscita alla crisi ucraina con una forte azione di politica estera dell'Unione europea può essere rappresentata dal «modello finlandese» di integrazione europea che rappresenta un possibile modello virtuoso di indipendenza per un Paese, come la Finlandia, a cavallo tra Europa ed area ex sovietica, caratterizzato dalla neutralità dello Stato, garantita dalla non adesione della Finlandia alla NATO e da un'adesione all'Unione europea avviata e raggiunta mantenendo ottimi rapporti di amicizia con la Russia;
    oltre ad una azione immediata nella crisi ucraina, è necessaria altresì una politica estera efficace ed effettiva dell'Unione europea, improntata sul rafforzamento della capacita degli strumenti di prevenzione diplomatica, mediazione e gestione non violenta dei conflitti, sulla scorta di quanto previsto dalla European Security Strategy (la cosiddetta dottrina Solana) a maggior ragione a fronte delle nuove modalità di conflitti, da quelli asimmetrici a quelli che rievocano scenari da guerra fredda, e che richiedono l'adozione di una dottrina di «neutralità attiva» e di rafforzamento delle capacità di intervento civile, politico e di mediazione e dissuasione «politica», anche considerato il numero dei conflitti che vanno espandendosi sempre di più ai confini del continente;
    da decenni ormai il Medio Oriente è sconvolto da guerre e conflitti, in un contesto che a partire dall'intervento internazionale contro l'Afghanistan e l'Iraq, è ora caratterizzato da uno scontro regionale per l'egemonia, sia dal punto di vista politico che non, un conflitto anche interno al mondo sciita e sunnita e tra sciiti e sunniti;
    la guerra civile in Siria, con il suo tragico carico di vittime civili, l'espansione di ISIS in quel Paese ed in Iraq, il rischio di un «debordamento» in Libano, hanno contribuito al rafforzamento delle capacità militari di chi vorrebbe costruire un Califfato, in arabo il Daesh, un progetto che a macchia d'olio si espande per emulazione o per sostegno diretto, in altre aree, quali la Nigeria, il Mali, la Libia;
    proprio in Libia si stanno evidenziando – a seguito dell'allarme causato dalla presenza e dall'espansione di ISIS nel Paese – le gravi incongruenze e contraddizioni che accompagnarono l'operazione Odyssey Down che nel 2011 portò alla destituzione di Muhammar Gheddafi, ed alla disarticolazione del sistema politico ed amministrativo del Paese, che da allora vive una situazione di caos più totale; un caos che ha generato due parlamenti e due Governi: da una parte il Governo «islamico» della Tripolitania, guidato da Omar al Hassi, che controlla la maggior parte del territorio ad ovest del Paese; dall'altra il Governo «laico», guidato da Abdullah al Thani, riconosciuto dalla comunità internazionale ed espressione della Camera dei rappresentanti eletta il 25 giugno 2014, insediatosi nella Cirenaica nelle città di Tobruk e Baida, senza tuttavia riuscire mai a estendere il suo controllo sulla parte orientale del Paese;
    alla luce di quanto sopra enunciato e delle conseguenze registrate l'intervento militare internazionale del 2011 è stato un grave errore che ha aperto un «vaso di pandora» di instabilità conflitti senza fine;
    la Libia è politicamente spaccata in due e il suo territorio è attraversato da centinaia di milizie di ogni estrazione, islamiche, jihadiste e laiche, riconducibili a 5 gruppi principali: «Fajr Libia», «Ansar al Sharia», «Consiglio Militare dei Rivoluzionari di Zintan», «Esercito Nazionale libico» ed «ISIS»;
    il Governo islamico di Al Hassi, appoggiato da Qatar e Turchia, è controllato dalle milizie di Fajr Libia, un'alleanza guidata dalle milizie di Misurata della quale fanno parte anche i Fratelli Musulmani, di cui Al Hassi ne è un esponente;
    il Governo di Al Thani, appoggiato da Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, è controllato dalle milizie dell'Esercito nazionale libico, guidato dall'ex generale in pensione dell'esercito di Gheddafi, Khaifah Haftar, che da mesi guida l'operazione militare «Dignità» attorno alla quale si riuniscono le milizie anti-islamiste e quel che era rimasto del vecchio esercito regolare e dal Consiglio militare dei rivoluzionari di Zintan, che riunisce milizie attive fra la città di Zintan e le montagne Nafusa;
    nella Cirenaica, a pochi chilometri di distanza da Tobruk, c’è la città di Derna che è stata proclamata Califfato dell'ISIS e a cui si sono aggiunte recentemente le milizie di Ansar al Sharia, gruppo salafita fondato nell'aprile del 2012, il cui nome significa «Partigiani della legge islamica» che avevano fondato il secondo Califfato nella città di Bengasi ma che sono state contrastate dalle milizie di Haftar, le quali sono riuscite a riprendere il controllo della città;
    l'enclave del Califfato in terra libica è stata realizzata dai militanti del Majis shura Shabab al-Islam, ossia il Consiglio della Shura per i Giovani dell'Islam guidato da Aby Nabil al Anbari, i quali sono riusciti a conquistare parte della città di Tripoli, la città di Sabrata e quindi il porto di Harat az Zawiyah. Nei dintorni della città di Derna, vi sarebbero, sin dalle prime fasi dei crollo dell'autorità centrale libica campi di addestramento per guerriglieri impiegati nei conflitti in Siria e Iraq provenienti principalmente dai Nord Africa e in particolare dalla regione dello Sahel;
    la regione del Sahel è particolarmente strategica. Attraverso il Sahel, passano infatti, 20 mila armi da fuoco provenienti dalla Libia, e secondo recenti dati, passano per la regione la maggior parte delle 18 tonnellate di cocaina che giungono in Africa Occidentale;
    l'area è inoltre minacciata dalle violenze del gruppo terroristico Boko Haram nel nord della Nigeria, a cui sono esposti anche Niger e Ciad, e dalle crisi in Mali e nella Repubblica Centroafricana, nonché dalle minacce interne, con un numero di bambini denutriti che ha superato i 6 milioni, mentre gli sfollati sono raddoppiati nel corso dell'ultimo anno e sono attualmente 3,3 milioni;
    particolarmente drammatica è la situazione in Eritrea, dove la popolazione è costretta a subire le angherie del regime di Isaias Afewerki. L'Eritrea è oggi uno degli Stati da dove partono il maggior numero di profughi che raggiungono le nostre coste. Stando ai dati diffusi lo scorso novembre dall'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), sono stati circa 37.000 gli eritrei che nei primi 10 mesi del 2014 hanno cercato rifugio in Europa, rispetto ai 13.000 giunti nello stesso periodo lo scorso anno;
    in Libia transitano i profughi provenienti dal Corno d'Africa, dall'Africa sub sahariana, dalla Siria e dall'Iraq. Stime dei servizi segreti italiani, parlano di 600 mila stranieri presenti in Libia, mentre sarebbero 200 mila i profughi sistemati nei campi di raccolta e potenzialmente pronti a imbarcarsi sui barconi in direzione delle coste italiane;
    occorre, quindi, agire nei confronti della crisi libica e della minaccia dell'ISIS con decisione ma anche con prudenza, avendo contezza degli obiettivi politici e strategici da raggiungere, scongiurando in tutti i modi possibili errori come quelli commessi durante la missione ONU del 1993 in Somalia;
    la minaccia dell'ISIS appare reale e concreta, tuttavia in questo momento non controlla tutta la Libia e non ha intenzione di conquistare il Paese, mentre appaiono concreti i rischi che un improvvido e avventato intervento militare potrebbe creare, ossia coalizzare le milizie che sono attive nel Paese contro «l'invasore» straniero;
    bisogna essere consapevoli che l'ISIS è una organizzazione irachena, sorta dai resti di alcune unità di élite delle forze militari di Saddam Hussein. Sono il prodotto della scarsa lungimiranza dell'attuale maggioranza politica sciita e della scellerata politica occidentale che in quel Paese, dopo la caduta di Saddam Hussein, ha sistematicamente vessato ed escluso dal sistema politico, vendicandosi dopo oltre quarant'anni di oppressione sunnita;
    appaiono per questa ragione sbagliate e non condivisibili anche le dichiarazioni di autorevoli esponenti del Governo italiano che rischiano di alimentare tensioni nell'area, così come appare azzardata, in questo momento, una «coalizione antiterrorismo» guidata dall'ambiguo ex generale di Gheddafi, Khaifah Haftar e appoggiata da Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi e altri petromonarchi del Golfo e sostenuta dai Paesi occidentali, sbagliata anche se fosse sostenuta dalle Nazioni Unite, poiché rischierebbe di spianare definitivamente la strada alle componenti più radicali della galassia salafita continuando a dar fuoco alle polveri che stanno incendiando tutto il Medio Oriente;
    quello che occorre fare in Libia è innanzitutto non accendere nuovi focolai di guerra, consapevoli che occorre un approccio macroregionale per arrivare ad un negoziato che coinvolga tutti i Paesi coinvolti, a partire da Qatar, Arabia Saudita, Egitto ed altri «giocatori» che agiscono nell'area per interposta persona;
    occorre poi lavorare per ricostruire un assetto «statuale» in Libia, sostenendo, in primis, l'iniziativa dell'inviato dell'ONU, Bernardino Leon (e lavorare perché sia affiancato in questo ruolo da Romano Prodi) affinché si arrivi ad un primo accordo tra le due principali parti in conflitto: il Governo di Al Thani e il Governo di Al Hassi;
    una volta mossi questi passi e solo dopo un consolidato processo di pacificazione, grazie ad un accordo tra le parti, e solo su richiesta di queste si può ipotizzare un'iniziativa di «peacekeeping», il quale ha senso se c’è un accordo di «peace» da mantenere e su cui vigilare;
    le responsabilità del nostro Paese sono evidenti nella crisi libica, a partire dalla scelta di partecipare alla coalizione Odyssey Dawn, aggravate dalla circostanza che l'Italia avrebbe dovuto avere una funzione di mediazione tra le parti in conflitto, anche alla luce della storica relazione e alla attuale presenza nel Paese libico. Per cui andrebbe evitata in ogni caso la presenza di truppe italiane anche in caso di operazioni di peacekeeping, accettate da tutte le parti, puntando sugli strumenti della mediazione diplomatica e civile; Tra l'altro, va tenuto presente che per consuetudine le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite tendono ad escludere la presenza di truppe di Paesi che siano state potenze coloniali nei paesi oggetto delle operazioni o abbiano combattuto in passato guerre di occupazione nelle stesse aree di intervento;
    come sostenuto da Romano Prodi in una intervista di questi giorni, «Dopo Gheddafi bisognava mettere tutti attorno a un tavolo, invece ognuno ha pensato di poter giocare il proprio ruolo. C'erano interessi economici. Ora occorre far sì che tutti gli interlocutori si confrontino e impegnare in un lavoro comune Egitto e Algeria. Non c’è altra via che non produca una situazione ancora più catastrofica di quella attuale»;
    nell'immediato occorre che il Governo italiano rinunci a sbagliati e controproducenti propositi di interventi militari, che contravvengono all'articolo 11 della Costituzione, e rafforzi le misure di protezione a partire da un nuovo dispiegamento navale che abbia l'obiettivo di proteggere e soccorrere la vita dei profughi che scappano dai conflitti;
    lo stesso modello che si esplicava sopra per la Libia, dovrebbe essere anche applicato alla Siria e all'Iraq, dove l'ISIS è ben più forte e in tante zone si combatte per «procura» con tantissimi «sponsor» e dove le già troppe armi a disposizione, spingono ad escludere ulteriori ipotesi di escalation militari;
    secondo la relazione sulle esportazioni di sistemi militari, trasmessa dal Governo alla Camera dei deputati, soltanto nel 2013 l'Italia ha venduto in Medio Oriente 888 milioni di euro di armamenti. Una cifra record che ha contribuito ad infiammare la regione e a condurla nel caos, consegnando inevitabilmente una infinità di armi di ogni tipo nelle mani di milizie locali e tribali, non in ultimo a disposizione del sedicente Califfato;
    è necessario che si rafforzino, con tutti gli strumenti diplomatici e della cooperazione le esperienze virtuose che hanno permesso in Siria di sconfiggere le milizie dell'ISIS nella regione del Kurdistan occidentale;
    la liberazione della città di Kobane dalle truppe del Califfato non è soltanto una vittoria militare e non rappresenta soltanto un simbolo, ma ha alle spalle un modello di democrazia che deve essere supportato con ogni mezzo disponibile dalle democrazie occidentali e non;
    nel novembre 2013, durante la guerra civile siriana, le enclavi curde di Kobane, Afrin e Cizre hanno costituito la regione autonoma di Rojava nel Kurdistan siriano e si sono date una costituzione ed un'organizzazione con delle istituzioni riconosciute dalla popolazione;
    Kobane è il primo posto dove è partita la «rivoluzione del Rojava». Nel cantone vivono etnie diverse, non solo curdi, ma anche arabi, turcomanni, assiri, armeni e cristiani, yazidi, musulmani e la loro convivenza pacifica è il futuro dell'umanità. Kobane è una città simbolo, un modello per il futuro della Siria e per tutta l'area;
    dei 525 mila civili residenti nel cantone di Kobane, solo 25 mila risiedono attualmente all'interno di Kobane. Dei rimanenti civili, 200 mila sono al momento intrappolati in Turchia e il resto è sparso in vari Paesi. Occorre l'apertura di un corridoio umanitario tra la Turchia e il Rojava per permettere il ritorno dei profughi, la fornitura di materiale medico e altri aiuti così come materiali per la ricostruzione. Allo stesso tempo occorre un impegno internazionale forte per togliere l'embargo tuttora applicato dalla Turchia e dalla regione del Kurdistan iracheno nei confronti dei cantoni democratici di Kobane, Afrin e Cizre;
    il preambolo della Carta del Contratto Sociale del Rojava-Siria recita così: «Noi popoli che viviamo nelle Regioni Autonome Democratiche di Afrin, Cizre e Kobane, una confederazione di curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni, liberamente e solennemente proclamiamo e adottiamo questa Carta;
   Con l'intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, riaffermando il principio di autodeterminazione dei popoli;
   Noi, popoli delle regioni autonome, ci uniamo attraverso la Carta in uno spirito di riconciliazione, pluralismo e partecipazione democratica, per garantire a tutti di esercitare la propria libertà di espressione. Costruendo una società libera dall'autoritarismo, dal militarismo, dal centralismo e dall'intervento delle autorità religiose nella vita pubblica, la Carta riconosce l'integrità territoriale della Siria con l'auspicio di mantenere la pace al suo interno e a livello internazionale;

   con questa Carta, si proclama un sistema politico e un'amministrazione civile fondata su un contratto sociale che possa riconciliare il ricco mosaico di popoli della Siria attraverso una fase di transizione che consenta di uscire da dittatura, guerra civile e distruzione, verso una nuova società democratica in cui siano protette la convivenza e la giustizia sociale»;
   il modello organizzativo e democratico del Rojava è un punto di partenza, per ridare speranza alle popolazioni martoriate dalla guerra e superare la logica dell'odio tribale, integralista e religioso che sta velocemente contagiando tutta la regione mediorientale;
   in generale si rileva l'insufficienza della reazione della comunità internazionale di fronte al terrorismo internazionale negli ultimi 15 anni: la soluzione militare attraverso interventi, occupazioni del territorio, guerre non ha debellato il terrorismo, ma anzi ne ha moltiplicato i focolai, accentuato l'aggressività allargandone la sfera d'azione,

impegna il Governo

   ad adoperarsi per evitare ogni altra precipitazione bellica della crisi ucraina, promuovendo in sede di Unione europea una soluzione diplomatica che coinvolga tutte le parti in conflitto e contribuisca a consolidate l'accordo di Minsk dello scorso 12 febbraio;
   a promuovere una iniziativa in sede europea affinché si alleggeriscano le sanzioni dell'Unione europea alla Federazione russa;
   ad assumere iniziative per garantire che non vi sia alcuna sovrapposizione, ruolo e partecipazione della NATO alla crisi ucraina, impedendo qualsiasi ipotesi di riarmo occidentale dell'Ucraina;
   a farsi carico di un lavoro di mediazione diplomatica che faciliti la ricerca di una soluzione pacifica della crisi ucraina, sia direttamente, sia attraverso le sue rappresentanze nelle istituzioni dell'Unione europea, sia impegnandosi per un ruolo maggiore dell'Alto Rappresentante della politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea affinché si garantisca l'integrità territoriale dello Stato ucraino ed il rispetto della sua sovranità in quanto principio internazionale inviolabile, nel rispetto della sicurezza della popolazione civile, ma che promuova la neutralità dell'Ucraina sul «modello finlandese»;
   a non prevedere o paventare alcun tipo di intervento militare in Libia;
   a privilegiare in ogni caso le iniziative e le soluzioni di carattere politico, diplomatico e negoziale;
   a consultare preventivamente il Parlamento – anche attraverso un voto su una risoluzione di indirizzo delle iniziative italiane – sulle iniziative del Governo alla luce della circostanza che rischiano di alimentare tensioni nell'area e inutili rischi di sicurezza per il nostro Paese che così rischia di esporsi ancor di più al terrorismo jihadista molto di più di quanto non lo sia;
   a lavorare per ricostruire un assetto «statuale» in Libia, sostenendo, in primis, l'iniziativa dell'inviato dell'ONU, Bernardino Leon, affinché si arrivi ad un primo accordo tra le due principali parti in conflitto: il Governo di Al Thani e il Governo di Al Hassi;
   a promuovere in sede di Nazioni Unite i negoziati per un accordo tra le parti, per la costruzione di un processo di pacificazione che, solo su richiesta delle parti in conflitto e in accordo tra di esse, possa prevedere iniziative di «peacekeeping» che contribuisca alla ricostruzione di una cornice di «governo» del Paese, tramite un processo di consultazione largo, aperto, e politiche di equa redistribuzione delle royalties petrolifere;
   a impegnarsi per promuovere, insieme agli altri partner internazionali e alle Nazioni Unite una conferenza macroregionale per arrivare ad un negoziato che coinvolga tutti i Paesi coinvolti, a partire da Qatar, Arabia Saudita, Egitto ed altri «giocatori» che agiscono nell'area mediorientale anche per interposta persona;
   ad applicare e a promuovere in ogni sede internazionale il blocco dei flussi finanziari e delle forniture di armamenti che sostengono ISIS e le milizie delle varie fazioni negli scontri;
   a chiedere ai Ministri degli affari esteri dei Paesi europei di presentare richiesta presso la Corte penale internazionale dell'Aia di avviare un processo nei confronti di Abu Backr Al-Baghdadi affinché sia chiamato a giudizio come responsabile del sedicente «Stato Islamico» insieme agli esecutori e finanziatori dei crimini di genocidio, contro l'umanità e di guerra, così come previsto nello Statuto della stessa Corte;
   a riattivare in tempi rapidi l'operazione «Mare Nostrum» che abbia il duplice obiettivo di soccorrere i profughi che scappano dai conflitti in Siria, Afghanistan, Iraq, Eritrea attraverso la Libia e di sorvegliare le coste dalle minacce del terrorismo jihadista e allo stesso tempo aprire, ricorrendo all'Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR), canali umanitari dai Paesi confinanti la Libia;
   a promuovere una iniziativa, anche nelle sedi internazionali, per l'apertura di un corridoio umanitario tra la Turchia e il Rojava per permettere il ritorno dei profughi, la fornitura di materiale medico e altri aiuti così come materiali per la ricostruzione e a chiedere, insieme alla comunità internazionale, alla Turchia e alla regione del Kurdistan iracheno di togliere l'embargo nei confronti dei cantoni democratici di Kobane, Afrin e Cizre.
(6-00114) «Scotto, Fratoianni, Palazzotto, Duranti, Piras, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Quaranta, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Pellegrino, Paglia, Pannarale, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».


   La Camera,
   considerato che:
    dalla fine della Guerra Fredda l'Italia ha visto crescere notevolmente il proprio protagonismo nello scenario internazionale, soprattutto per quanto riguarda le missioni militari: Afghanistan, Bosnia, Centrafrica, Iraq, Libano, Libia, Somalia, Kosovo sono solo alcuni dei Paesi dove a tutt'oggi sono impegnati i militari italiani. Negli ultimi decenni l'Italia ha pagato un contributo di sangue elevatissimo partecipando a missioni internazionali di ogni genere, da quelle di peacekeeping che, come in Libano, hanno dato un concreto contributo alla stabilità internazionale, alle scellerate azioni di guerra che, come in Libia nel 2011, hanno finito per provocare solo ulteriori conflitti;
    purtroppo, il bilancio complessivo di queste missioni, pur condotte con professionalità dai militari italiani, è da considerarsi fortemente negativo, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza internazionale, che oggi risulta fortemente compromessa;
    per di più l'Italia, nel tentativo di ottenere un maggior rilievo sulla scena internazionale, ha scelto di partecipare anche a missioni che andavano evidentemente contro gli interessi nazionali, come nel già citato caso della vicina Libia, e ha accettato di proseguire la partecipazione a missioni che hanno comportato elevatissimi costi economici e, soprattutto, ingenti perdite di vite umane, anche quando era ormai evidente l'inevitabile fallimento della missione stessa, come nel caso dell'Afghanistan, dove i nostri soldati sono presenti ormai da ben 14 anni;
    questo protagonismo dell'Italia, che a tratti è apparso scadere nel servilismo nei confronti di alcuni alleati, Stati Uniti in primis, non si è evidentemente tradotto in un maggiore spessore dell'Italia sullo scenario internazionale;
    il nostro Paese, infatti, è sempre in prima linea quando si tratta di inviare soldati, aerei e navi in teatri anche molto lontani, per supportare sforzi bellici che rispondono agli interessi di Paesi alleati, ma non riesce a farsi ascoltare quando si tratta di ottenere dagli stessi alleati qualche nave in più per salvare le migliaia di migranti che arrivano sulle coste italiane, oppure per tutelare i diritti dei nostri fucilieri di marina trattenuti in India ormai da tre anni;
    l'Italia è sempre pronta quando si tratta di cercare visibilità e credibilità con le missioni all'estero, ma quando finalmente le viene assegnato un ruolo di guida in un contesto internazionale, non riesce a sfruttare l'occasione: basti pensare al recente semestre di presidenza italiana della Unione europea, trascorso senza far registrare nessun apprezzabile risultato, mentre invece era un'opportunità importante per tentare di riorientare verso sud l'attenzione dei partner europei e affrontare con decisione temi quali l'emergenza immigrazione e la sicurezza dell'area mediterranea;
    appare, dunque, ormai evidente che tentare di accrescere il peso dell'Italia nel consesso internazionale attraverso la presunta «scorciatoia» dell'adesione a missioni militari volute e guidate da altri Paesi, in base ai loro interessi e alle loro agende di politica estera non fa altro che relegare il nostro Paese sempre di più nel ruolo di mero esecutore di scelte altrui; continuare a scegliere o, peggio a non scegliere, di volta in volta, solo in base alle convenienze politiche del Governo in quel momento in carica, senza mai mettere in discussione ruoli e consuetudini nel rapporto con gli alleati non può portare da nessuna parte;
    occorre quindi elaborare una volta per tutte una politica estera ben definita e di ampio respiro, basata su una attenta valutazione degli interessi nazionali a lungo termine e orientata verso una chiara visione di quello che si vuole sia il ruolo dell'Italia nel mondo;
    a questo proposito, non vi è dubbio che l'affermazione dell'Italia passa anche attraverso l'affermazione dell'Europa quale attore unitario, capace di porsi come un pilastro di un sistema internazionale che si sta via via sempre più configurando come multipolare;
    l'Europa nel suo complesso ha gli strumenti culturali, politici ed economici per assumere un ruolo stabilizzante nello scenario internazionale, ma affinché ciò possa accadere è necessario che l'ambizioso progetto che ha dato vita all'Unione europea vada ben oltre la moneta unica e ritorni a essere guidato dall'idea originale, cioè di creare un'Europa dei popoli, non delle banche, un'Europa della solidarietà, del progresso sociale, dello sviluppo sostenibile, dell'accoglienza, capace di promuovere e mantenere la pace e la sicurezza e di rappresentare un faro di democrazia;
    solo mettendo in campo una grande sinergia ed elaborando politiche comuni i Paesi dell'Unione europea potranno affrontare le grandi sfide economiche, energetiche, sociali, ambientali e di sicurezza, ed è in quest'ottica che l'Italia deve guardare al proprio ruolo internazionale, cioè come promotore del rilancio del progetto europeo e come attore fondamentale dell'elaborazione e della implementazione della politica estera e di sicurezza comune;
    a questo proposito l'Italia dovrebbe, ad esempio, promuovere convintamente la realizzazione di un efficiente strumento militare comune gestito dall'Unione europea nell'ambito della politica estera e di sicurezza europea e contestualmente favorire un progressivo ritorno della NATO al proprio ruolo originale, cioè limitato alla difesa collettiva dell'Europa e degli Stati Uniti;
    appare infatti evidente che il ruolo di «gendarme del mondo» che la NATO si è auto-assegnata all'indomani dello scioglimento del Patto di Varsavia, e i conseguenti numerosi interventi militari che ha condotto nell'ultimo ventennio non hanno certo portato a una maggiore stabilità dello scenario internazionale; inoltre, la progressiva espansione a Est, che ha portato l'Alleanza Atlantica ai confini della Russia è evidentemente una delle cause della grave crisi attualmente in atto in Ucraina;
    risulta quindi auspicabile un maggiore coinvolgimento dell'Unione europea nell'affrontare le attuali crisi che riguardano l'aerea euro-mediterranea; riguardo alla crisi Ucraina, ad esempio, sarebbe stato necessario un maggiore supporto da parte del Governo italiano al ruolo svolto dall'Alto Rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, Federica Mogherini, che ha purtroppo finito per essere relegata ai margini del dialogo diplomatico, tanto da rimanere esclusa dal recente vertice di Minsk, scavalcata dall'iniziativa franco-tedesca;
    un errore simile dovrà essere evitato riguardo alla crisi in Libia e alla diffusione del fenomeno ISIS, temi che l'Italia dovrebbe impegnarsi a fare emergere come priorità nell'agenda dell'Unione europea, evitando di cadere nella tentazione di favorire direttamente o indirettamente soluzioni all'apparenza più rapide, ma dall'esito del tutto incerto, come in un eventuale intervento militare egiziano in Libia;
    proprio i rapporti con i Paesi arabi dovranno essere gestiti con particolare attenzione, utilizzando gli strumenti della collaborazione e della «soft power» per contribuire a un'evoluzione positiva del difficile quadro politico che riguarda i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente;
    a questo proposito appare importante non indugiare ulteriormente riguardo al riconoscimento dello Stato palestinese, decisione già adottata dal Governo della Svezia e approvata dai Parlamenti di Francia, Spagna e Regno Unito, seppure non ancora adottata dai rispettivi Governi;
    una simile decisione da parte italiana, oltre a contribuire a promuovere la «soluzione dei due Stati» per la composizione della crisi israelo-palestinese, contribuirebbe anche a neutralizzare il tentativo di tacciare l'Italia come uno Stato «crociato» portato avanti dalla purtroppo efficace propaganda dell'ISIS, e potrebbe garantire al nostro Paese maggiori simpatie nel mondo arabo e islamico, a tutto vantaggio dell'efficacia delle iniziative diplomatiche che l'Italia dovrà necessariamente mettere in campo per risolvere conflitti complessi come quello libico,

impegna il Governo:

   in ordine alla crisi in Libia:
    a promuovere una forte iniziativa dell'Unione europea, anche a guida italiana, che affianchi gli sforzi condotti dall'inviato delle Nazioni Unite, Bernardino Leon, allo scopo di esplorare ogni possibile soluzione politico-diplomatica, che porti a una composizione pacifica della crisi, ascoltando anche le richieste delle tribù locali e dei gruppi politici minori libici;
    a non partecipare a nessuna missione militare se non preventivamente autorizzata dalle Nazioni Unite e solo nel caso che risulti con ogni evidenza l'impossibilità di addivenire a una soluzione negoziale concordata tra le parti;
    a dare la disponibilità alla partecipazione a una missione di peacekeeping, anche a comando italiano, previa richiesta ufficiale da parte delle autorità libiche, solo in seguito a un accordo di riconciliazione tra le parti;
    a vincolare qualsiasi eventuale impegno militare alla preventiva elaborazione di un dettagliato piano di ricostruzione e supporto alle istituzioni libiche volto a sostenere la rinascita della Libia come una vera democrazia basata su libere elezioni e regole condivise dal popolo libico;
    a impegnarsi nel rafforzare le attività di contrasto dei traffici di idrocarburi, armi, droga, armi ed esseri umani che costituiscono fonti di ricchezza per ISIS, Jabat Al Nusra, Boko Haram, Ansar Al-Sharia e altri gruppi terroristici islamisti;
    a esercitare pressione nei confronti di Qatar, Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Turchia affinché attuino efficaci politiche di contrasto alle organizzazioni civili e religiose, di qualsiasi genere, che raccolgono fondi a favore di gruppi terroristici o predicano l'odio interreligioso, interetnico o interculturale;
   in ordine al fenomeno delle migrazioni di massa:
    a chiedere un rafforzamento del dispositivo della missione Triton dell'Unione europea allo scopo di potenziare la capacità di salvataggio in mare dei migranti e di assicurare alla giustizia gli scafisti;
    a proporre alle Nazioni Unite e all'Unione europea l'istituzione di corridoi umanitari per i migranti provenienti dal Corno d'Africa e dall'Africa sub-sahariana organizzando campi di accoglienza e smistamento in Paesi di transito della fascia del Sahel, quali Sudan, Ciad, Niger e Mali, dove potranno essere assegnati passaporti umanitari temporanei che consentano ai migranti di impiegare mezzi di trasporto legali, sottraendo così una preziosa fonte di reddito ai trafficanti di esseri umani, e dove potranno essere valutati i singoli casi per assegnare permessi di soggiorno suddividendo in modo solidale tra i Paesi ad economia avanzata il carico umano ed economico di questa emergenza;
   in ordine alla crisi in atto in Ucraina:
    a promuovere il ruolo dell'Unione europea come attore unitario, sostenendo le iniziative diplomatiche dell'Alto Rappresentante e scoraggiando iniziative autonome dei singoli Stati dell'Unione;
    a non partecipare a esercitazioni della NATO eventualmente condotte in territorio ucraino;
   in ordine alla situazione in Afghanistan:
    ad accelerare il ritiro di tutte le truppe italiane dall'Afghanistan e a comunicare agli altri partner della NATO l'indisponibilità italiana a partecipare a un eventuale prolungamento della missione Resolute Support, nonché a prendere parte a qualsiasi altra eventuale missione internazionale in Afghanistan;
   in ordine al caso dei fucilieri di Marina detenuti in India:
    a sospendere la partecipazione italiana alla missione anti-pirateria Atlanta dell'Unione europea fintanto che non sarà risolto positivamente il contenzioso con l'India e a impiegare i fondi originariamente dedicati alla missione Atlanta per il rafforzamento del dispositivo navale italiano impegnato nelle attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.
(6-00115) «Artini, Rizzetto, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rostellato, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    la politica estera italiana ha cercato sostanzialmente di mantenere per lo più alcuni punti fermi adottati negli ultimi decenni: il contributo al processo di integrazione europea, la partecipazione all'Alleanza Atlantica, il ruolo nelle Nazioni Unite, la presenza nel «gruppo di testa» delle maggiori potenze industrializzate, ancorché in qualità di media potenza; questo scenario è da qualche tempo in pieno mutamento e motivo costante di riflessione globale sulla tenuta nel tempo di questi capisaldi ma anche sulla loro stessa natura; siamo in presenza, infatti, di una mutevolezza degli equilibri verso una direzione sempre più multipolare, dimensione nella quale il nostro Paese fatica a definire una coerente strategia di politica estera. Volerci ostinare a mantenere gli equilibri attuali è lesivo. Questo tipo di politica è chiaramente fallimentare;
    stanno venendo drammaticamente al pettine le scelte politiche sbagliate che hanno guidato l'Italia e l'Europa da dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia ad oggi. Invece di costruire un continente libero da patti militari, denuclearizzato e inclusivo si è portato avanti il piano di rilancio della Nato da un lato e dall'altro, un'architettura economica dell'Unione Europea basata sulla centralità esclusiva del mercato e della moneta unica;
    l'attuale strategia deriva dalla inspiegabile volontà a perseguire un mito. Il mito che sostiene che il mercato unico sta creando un «villaggio globale» di pace e di intenti comuni. Pertanto va esportato e sostenuto. Questo mito è da sfatare. L'attuale modello sta in realtà sottolineando la competizione per i lavori scarsi e un ristretto numero di commodities globali, aumentando il conflitto e minando l'identità culturale ed individuale in tutto il mondo;
    la deregolamentazione del mercato e della finanza internazionale ha permesso a un piccolo gruppo di corporazioni, banche e speculatori finanziari globali di divenire più potenti dei Governi sovrani;
    essi usano la loro influenza per ottenere agevolazioni fiscali e sussidi, per indirizzare a loro favore i regolamenti e le regole di mercato, per imporre il debito, manipolare il valore delle monete e – quando le cose vanno male – per estorcere immensi salvataggi ai contribuenti;
    per la grande maggioranza delle persone, la devozione al mercato «unico e libero» ha significato maggiore competizione per lavori scarsi e una caduta dei salari e dei benefici e ha rimpiazzato le responsabilità della cittadinanza con un obbligo al consumo; ha significato un mondo omogeneizzato in cui la diversità culturale viene erosa per valere dell'efficienza globale del mondo degli affari; ha letteralmente portato alla bancarotta gli Stati nazionali; ha significato la morte dei sistemi di conoscenza locale simboleggiati da millenni di adattamento a luoghi particolari. Essa ha, infine, minacciato le fondamenta stessa della democrazia;
    il mercato «unico e libero» che guida la strategia di politica estera è una catastrofe. In tutto il mondo aree selvagge e fragili ecosistemi vengono sacrificati sull'altare della crescita globale. Un numero sempre maggiore di specie viene guidata verso l'estinzione, e i cambiamenti climatici si stanno intensificando. Dagli atomi al Dna degli organismi viventi essa è stata modificata;
    nell'idea di economia della crescita, ogni cosa è in vendita, nulla sembra sacro. Nonostante la retorica dell'inevitabilità che la supporta, questa teoria sta alla base di un processo politico di cambiamento pianificato. Guidato dalle politiche dei Governi che supportano l'agenda dei profitti delle grandi aziende e delle grandi banche. Queste politiche includono la deregolamentazione del commercio internazionale e delle finanze attraverso gli accordi di «libero mercato» e comportano che la costruzione della rete di trasporti, di comunicazione e delle infrastrutture, dell'educazione, siano legati ai bisogni delle grandi corporazioni, favorendo contemporaneamente il sovraregolamento delle imprese locali e l'uso di riferimenti ingannevoli come il Pil;
    il trattato di «libero scambio» TTIP (acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership) è un esempio di come la regolamentazione internazionale venga pensata per favorire le multinazionali e banche a scapito delle piccole e medie imprese operando su scala globale. Le politiche sovrane spesso non sono sufficienti a contrastare questi progetti portati avanti da soggetti che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono «mostri antidemocratici» come la Commissione europea in istituzionale complicità con le lobby dell'industria atlantica;
    banche e multinazionali ecco i fattori che guidano la politica estera degli Stati, complici giustificati della nascita di nuovi e continui fenomeni terroristici globali;
    la cosiddetta lista Falciani ha rivelato migliaia di nomi provenienti da tutto il mondo che tenevano ben protetti i propri capitali nelle banche private, in particolare la banca HSBC. Il quotidiano Le Monde ha rivelato infatti la presenza, nella lista, di esponenti della Golden chain, il gruppo di finanziatori di al-Qaeda scoperto nel 2002 dopo un blitz in una fondazione di copertura a Sarajevo. Nell'organizzazione, secondo le indiscrezioni di Le Monde, ci sarebbero un principe saudita, noto per aver fornito protezione a Osama Bin Laden, ed un altro esponente della famiglia reale la cui moglie avrebbe fornito denaro a uno degli attentatori dell'11 settembre. Sempre della stessa fondazione, secondo gli investigatori, farebbero parte anche l’ex tesoriere di un'organizzazione accusata di riciclaggio di denaro per al-Qaeda e il proprietario di una fabbrica bombardata dagli USA perché sospettata di produrre armi chimiche per il mercato nero del terrorismo internazionale;
    questi sono i fatti inoppugnabili oramai noti alle cronache. Narcotrafficanti e terroristi protetti dalle banche d'affari mondiali per continuare i loro traffici all'infinito. Per cosa? Per il mercato ”unico e libero” naturalmente;
    ecco cosa determina poi la nascita di oltre 36 gruppi terroristici dal 2001 ad oggi. Ecco dove vanno a finire gli oltre 4.400 miliardi di dollari che sono stati spesi globalmente dal 2001 ad oggi per la lotta al terrorismo, finanziamenti a pioggia che non riducono il problema anzi lo acuiscono perché direttamente o indirettamente lo finanziano; questo è il sistema che ricopre il ruolo tra i più alti della piramide. Tutto il resto diventano conseguenze;
    banche, criminali e politici agiscono impunemente. Alimentano un circolo produttivo fatto di grandi centri multinazionali di sfruttamento delle risorse del sistema che, con i grossi introiti determinati da leggi che favoriscono questo genere di produzioni, reinvestono i propri introiti per mantenere lo status-quo di evidente vantaggio. Pertanto perpetrano e alimentano il sistema, un sistema decisamente asimmetrico che ricorda tutt'ora il sistema coloniale fatto di oppressi e oppressori;
    questo sistema crea destabilizzazioni a suo piacimento, a suo uso e consumo. Basti pensare alla situazione in Siria oggi, alla situazione in Iraq, alla situazione in Ucraina e alla situazione in Libia;
    tutte guerre e destabilizzazioni create ai fini di creare un nuovo equilibrio energetico mondiale. A favore di qualcuno (multinazionali e intermediari) e a scapito di qualcun altro (popolazioni che vedono sfruttare le proprie risorse);
    l'effetto delle guerre e delle destabilizzazioni comporta diaspora dei popoli e pressione migratoria. Milioni di persone sono costrette a trovare territori in pace e scappare da quelli belligeranti. Per cui l'Unione europea non ha alternativa che quella di dover far fronte alla gestione del flusso migratorio. Come possiamo ben notare, gli attuali Paesi in conflitto nei dintorni dell'Unione europea, sono tutti grandi fornitori di energia degli stessi paesi della Unione europea; dunque, ennesima conseguenza o parte del circolo vizioso: redistribuzione dell'energia;
    l'Italia fa saldamente parte dell'Europa, ma la recente iniziativa tedesco-francese, come è più corretto definirla, di tentare di riprendere il dialogo diplomatico con la Russia per bloccare l’escalation militare nell'Ucraina dell'est è stato solo l'ultimo degli episodi che ha evidenziato la mancanza di una rilevanza internazionale della nostra diplomazia, ancorché di una unitaria politica estera europea;
    l'assenza al menzionato vertice sulla crisi in Ucraina, tenuto nella capitale bielorussa Minsk, dell'Alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini, rimasta ai margini dell'iniziativa tedesco-francese, è stato per molti il segnale dell'ennesima occasione mancata per l'Europa, incapace di parlare con una sola voce attraverso la figura creata appositamente per questo ma che nei fatti rimane ancora solo un incarico di prestigio, certamente, ma di scarsa incidenza visto che le cancellerie che contano in Europa – Parigi, Londra, Berlino – non hanno alcuna intenzione di cedere un minimo di sovranità nazionale per ciò che concerne la politica estera;
    tra l'altro, il recente semestre di presidenza italiana dell'Unione, e più in generale la sua azione negli scacchieri internazionali più caldi, è apparso lontano dalla sufficienza mentre, invece, anche alla luce dei drammatici avvenimenti che stanno sconvolgendo il Mediterraneo e il Vicino Oriente, avrebbe potuto determinare uno spostamento a Sud delle politiche europee vista anche l'emergenza immigrazione; d'altra parte, ciò avrebbe consentito di rimarcare quella «vocazione mediterranea» che ha rappresentato, in passato, il meglio della nostra politica estera;
    l'Europa (e soprattutto i Paesi euromediterranei) non può assistere da spettatrice a quanto di drammatico sta accadendo a pochi chilometri dalle nostre coste e dai nostri confini in quanto avrà immediate conseguenze sulle future decisioni che presto questi Governi saranno chiamati a prendere, in termini di sicurezza e non solo; infatti, l'ascesa dello Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi e del suo esercito di tagliagole ne è una drammatica riprova;
    con riferimento, in particolare, agli interessi legati alla sicurezza e agli obbiettivi strategici del nostro Paese è inevitabile dunque partire dall'analisi dei fenomeni che stanno attraversando in questo periodo il bacino del Mediterraneo. Lo sguardo va rivolto soprattutto alla Libia. Sì, perché se le parole hanno un peso specifico, l'Italia, già con il precedente Governo, si era assunta l'impegno di essere il Paese europeo che avrebbe garantito la stabilizzazione della Libia post-Gheddafi, ovvero contribuire a dar vita, ex novo, a istituzioni democratiche, addestrare un esercito e, soprattutto, disarmare le oltre 250 milizie che oggi dettano legge in quel Paese, alcune delle quali sono oggetto di infiltrazioni di uomini che stanno utilizzando il «marchio califfale» dell'Isis per il reclutamento. Tuttavia è un compito che il nostro Paese non ha portato a termine e questo, per una nazione che vuole contare di più nel mondo, certamente ha pesato in termini di credibilità;
    in questo contesto non sono apparse molto adeguate le recenti dichiarazioni degli attuali titolari dei dicasteri degli affari esteri e della difesa, i quali hanno rispettivamente annunciato che «L'Italia è pronta a combattere, naturalmente nel quadro della legalità internazionale» e «L'Italia potrebbe inviare anche truppe di terra ... dipenderà dallo scenario... è pronta a guidare in Libia una coalizione di Paesi dell'area, europei e dell'Africa del Nord»;
    dovremmo riesumare la defunta Unione per il Mediterraneo, naturale conseguenza del cosiddetto Processo di Barcellona del 1995, che è stato un organismo internazionale i cui scopi istitutivi riguardavano la risoluzione delle problematiche relative all'immigrazione dai Paesi meridionali verso quelli settentrionali, la lotta al terrorismo, il conflitto israelo-palestinese, la tutela del patrimonio ecologico mediterraneo e far avvicinare l'Unione europea alle nazioni mediorientali e africane che si affacciano sul mar Mediterraneo. Fu presentato, su iniziativa dell'allora presidente di turno francese, a Parigi il 13 luglio 2008; il processo si è poi arenato, anche a seguito delle complicazioni sopravvenute per il riacuirsi della questione israelo-palestinese e delle rivolte meglio conosciute, come primavere arabe, mentre, per contro, per una buona riuscita del progetto euromediterraneo (magari rilanciandolo come Alleanza Euromediterranea) è determinante garantire una presenza forte dell'Unione europea attraverso una politica estera coerente e la volontà di impiegare tutte le risorse necessarie a realizzarla;
    l'Italia più di altri contribuisce ad alcune attività Onu, incluse le cosiddette missioni di pace, ma importanti impegni globali, come gli aiuti allo sviluppo o il contrasto ai cambiamenti climatici, non ci vedono certo all'avanguardia;
    è tempo dunque di tornare a ridiscutere seriamente del ruolo internazionale dell'Italia, il che significa esaminare con più attenzione i nostri interessi nazionali ma anche decidere in quale ottica farlo. Un peso non da poco, poi, riveste negativamente il fatto che il bilancio del Ministero degli Affari esteri (da qualche mese rinominato con l'aggiunta «e della cooperazione internazionale»), pari a 1,68 miliardi di euro, è ritornato a livelli assoluti inferiori a quelli del 2001, al di sotto dello 0.2 per cento del bilancio statale, mentre i nostri partners internazionali destinano alla politica estera stanziamenti ben superiori: la percentuale di bilancio, compresa la cooperazione allo sviluppo, della Francia è dello 0,42 per cento; quella inglese è dell'1,27 per cento; la Germania dedica alla politica estera l'1,1 per cento del bilancio statale; la Spagna lo 0,45 per cento e l'Olanda addirittura il 2,5 per cento; e non ha certo aiutato il cosiddetto «valzer della Farnesina» dove in un anno e mezzo si sono succeduti ben cinque responsabili della politica estera;
    l'Italia sembra invece rassegnata a un pragmatismo di basso profilo, senza la forza per rimettere in discussione le alleanze e le partnership esistenti, cercando piuttosto di difendere questo o quel suo interesse particolare, ma evitando conflitti dirompenti (vedi la vicenda legata ai Marò), continuando a contribuire a varie iniziative internazionali ma restando ai margini dei processi decisionali che contano;
    a proposito di decisioni che tardano ad arrivare, è il riconoscimento dello Stato palestinese la nota più dolente. I Parlamenti di Gran Bretagna, Spagna e Francia, oltre che il governo della Svezia, si sono espressi favorevolmente in tal senso. Il voto dei Parlamenti di Spagna e Francia, come quello britannico, non vincola i rispettivi governi, è vero, ma certo riveste una forte valenza politica e dà conto di un protagonismo che incide sulle dinamiche mediorientali. Il nostro Paese, invece, come ha rimarcato il nuovo titolare della Farnesina, ha deciso di attendere, non perché in disaccordo, in linea di principio, ma perché non si ritiene sia il momento opportuno;
   considerato inoltre che:
    segnatamente, le strategie delineate dal Nuovo Modello di Difesa e del Nuovo Concetto strategico della Nato nei primi anni ’90, l'espansione della Nato a Est, l'adesione e la partecipazione dell'Italia, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo in contrasto con l'articolo 11 della Costituzione, a un'infinità di guerre fuori area (Somalia, Kossovo, Iraq, Libia, Afghanistan, eccetera) hanno reso ancora più insicuro il nostro continente (si pensi alla guerra in Ucraina) e destabilizzato intere aree del pianeta (il Medio Oriente, area mediterranea compresa);
    le guerre «costituenti» di un presunto nuovo ordine mondiale, mostrano oggi tutto il loro fallimento, avendo alimentato i pozzi d'odio, procurato migrazioni bibliche, distrutto città e convivenze, rafforzato il fondamentalismo e il terrorismo religioso, sfregiato agli occhi dei popoli il prestigio e il ruolo d'istituzioni internazionali come l'Onu;
    proseguire sulla strada delle guerre e dell'interventismo militare per tutelare gli interessi occidentali significa perseverare nell'errore e nel rinunciare definitivamente al ruolo storico che la collocazione geografica dell'Italia ci assegna. Si pone il problema di una alleanza dei popoli e delle Nazioni del Mediterraneo – la terza economia mondiale – sul modello dell'Alba latinoamericana che dia nuova prospettiva alle attuali politiche dominanti,

impegna il Governo:

   in ordine alla drammatica situazione internazionale in atto:
    ad operare un'importante stretta fiscale sul tracciamento dei grandi capitali in quelle banche d'affari che garantiscono criminali, narcotrafficanti e terroristi;
    a promuovere la medesima attività a livello globale allo scopo di «togliere l'aria» alla prima fonte dalla quale si abbevera il terrorismo: il denaro;
    a non prevedere alcuna partecipazione dell'Italia a eventuali missioni, ancorché deliberate in sede Onu, che impegnino all'uso di uomini e mezzi militari sul territorio libico;
    a farsi promotore di una forte iniziativa – anche a guida italiana – di concerto con i partner internazionali e con il coinvolgimento degli attori arabi regionali e dell'Unione africana, tesa a preparare le condizioni di una riconciliazione nazionale della Libia, consentendo la ricostruzione del tessuto istituzionale e la stabilizzazione interna, la smilitarizzazione delle milizie irregolari e favorendo la formazione di un'autorità statuale;
    a promuovere strategie di «localizzazione» o riacquisizione di sovranità da parte di tutti i Paesi che ne hanno ceduta in condizioni impari rispetto ad altri (in rispetto dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica italiana);
    a rivedere le politiche monetarie opprimenti che hanno distrutto la domanda interna italiana;
    ad aumentare la tassazione per le multinazionali e applicando una legislazione tesa a riequilibrare il potere di questi sproporzionati e insostenibili centri produttivi in favore dei piccoli e medi produttori molto più legati all'economia locale e a diretto contatto con il benessere delle persone;
   in ordine alla politica di contrasto all'ISIS e al terrorismo di matrice islamica:
    chiedere al Qatar, Turchia e Arabia Saudita di recidere i legami economici, diplomatici e politici con le organizzazioni salafite che predicano lo scontro di civiltà, l'odio verso altre religioni ed etnie e praticano sequestri ed esecuzioni di civili e militari;
    a proporre in sede Onu una indagine per la ricerca e la tracciabilità di tutte le fonti economiche che finanziano forze armate irregolari e/o non riconosciute ufficialmente;
    a riconoscere lo Stato di Palestina così da iniziare una nuova stagione di dialogo nell'area medio-orientale;
   in ordine al rilancio delle politiche nell'area Euromediterranea:
    ad adottare le necessarie e opportune iniziative in sede europea per il rilancio del Processo di Barcellona facendosene promotore e attore principale e a perseguire e sostenere una politica estera forte verso la regione euromediterranea;
    a elaborare una nuova e più forte strategia di rilancio della propria azione esterna attraverso il recupero della «vocazione mediterranea», favorendo la tutela dei diritti umani e il riequilibrio tra Nord e Sud del mondo, l'impegno sul disarmo e la non proliferazione, l'impegno per l'attuazione per l'Agenda Globale post-2015;
   in ordine alla guerra civile in corso in Ucraina:
    a far assumere un ruolo più attivo e collegiale da parte dell'Unione Europea nella crisi, anche tramite l'Alto Rappresentante che non può continuare ad avere solo un ruolo di spettatore, ancorché di prestigio;
    a proporre la revoca delle sanzioni economiche della Ue alla Russia in quanto inefficaci e controproducenti;
    a congelare in questa fase ogni ulteriore adesione alla Nato di Paesi dell'ex Unione Sovietica, sostituendo l'attuale politica di espansione a est con politiche di buon vicinato che abbassino la tensione e avviino un percorso di disarmo convenzionale e nucleare in tutto il continente europeo;
    a porre termine alla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali in Afghanistan e in Iraq riconvertendo quelle risorse finanziarie nonché uomini e mezzi, in un piano straordinario per la sicurezza delle nostre città e nell'opera di contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata favorendo il prosperare dell'economia interna finanziando il cardine principale ovvero le piccole e medie imprese;
   in ordine ad un mutamento favorevole per l'Italia della politica estera del futuro:
    a rinegoziare i trattati commerciali per regolare le banche e le corporazioni globali. I cosiddetti trattati di «libero commercio» hanno dato alle TNC la capacità di spingere le nazioni una contro l'altra, sventrando leggi e regolamenti che proteggono il lavoro, le risorse e l'ambiente;
    a spostare le tasse e i sussidi che attualmente favoriscono ciò che è grande e globale. Piuttosto che tassare pesantemente il lavoro mentre si sussidiano l'uso di energia e tecnologia, le politiche devono promuovere la creazione del lavoro e i mezzi di sostentamento, minimizzare lo spreco di energia e altre risorse;
    a spostare gli investimenti pubblici in infrastrutture che attualmente favoriscono il grande e il globale. Miliardi di dollari vengono ancora investiti nel creare e migliorare infrastrutture basate sul mercato – grandi autostrade, terminal per navi e aeroporti – mentre i bisogni delle economie locali vengono negati;
    a controllare e regolare la creazione di saldi e debito. Lasciare questi elementi chiave delle economie moderne nelle mani di banche e istituzioni finanziarie che non hanno alcun controllo giuridico ha condotto alla speculazione avventata e al collasso economico, oltre che ad un abisso crescente tra ricchi e poveri.
(6-00116) «Sibilia, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Del Grosso, Grande, Scagliusi, Paolo Bernini, Tofalo».


MOZIONI PALAZZOTTO ED ALTRI N. 1-00675, RIZZO ED ALTRI N. 1-00625, GIANLUCA PINI ED ALTRI N. 1-00699, BRUNETTA E CAPEZZONE N. 1-00738, SPERANZA, LOCATELLI E MARAZZITI N. 1-00745, ALLI, RABINO ED ALTRI N. 1-00746 E RAMPELLI ED ALTRI N. 1-00747 CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL RICONOSCIMENTO DELLO STATO DI PALESTINA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    i popoli israeliano e palestinese hanno diritto alla pace e alla sicurezza e ciò può essere garantito solo attraverso una forte azione da parte della comunità internazionale che porti ad una pace giusta e duratura basata sul rispetto del diritto internazionale e la piena applicazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;
    il 29 novembre del 2012, con la risoluzione n. 67/19, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con una larghissima maggioranza, ha concesso lo status di osservatore permanente allo Stato di Palestina;
    attualmente sono 135 i Paesi che hanno deciso di riconoscere unilateralmente lo Stato di Palestina, tra questi diversi membri dell'Unione europea: Svezia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Cipro, Slovacchia, Ungheria, Malta, Polonia e Romania;
    in particolare, il giorno 30 ottobre 2014, Margot Wallström, Ministro degli esteri, ha annunciato che la Svezia ha riconosciuto lo Stato di Palestina attraverso il seguente annuncio: «Il Governo svedese considera che i criteri del diritto internazionale per un riconoscimento dello Stato di Palestina sono rispettati: un territorio, «sebbene senza frontiere fisse» una popolazione e un Governo (...) Il riconoscimento è un contributo ad un futuro migliore per una regione che per troppo a lungo è stata caratterizzata da negoziati congelati, distruzione e frustrazione»;
    il 3 ottobre 2014 il primo Ministro svedese Stefan Löfven, durante il suo discorso di insediamento in Parlamento, aveva detto che: «Il conflitto tra Israele e Palestina può essere risolto solo con la soluzione a due Stati, negoziata secondo i dettami del diritto internazionale. Una soluzione a due Stati richiede il riconoscimento reciproco e la volontà di una convivenza pacifica. Per questo la Svezia riconosce lo Stato di Palestina»;
    il giorno 13 ottobre 2014 la Camera dei comuni inglese ha approvato a larghissima maggioranza la seguente mozione per riconoscere lo Stato di Palestina: «Questa Camera crede che il Governo dovrebbe riconoscere lo Stato di Palestina oltre allo Stato di Israele, come contributo ad assicurare una soluzione negoziata dei due Stati»;
    analoghe iniziative a quelle della Camera dei comuni britannica sono state prese dai Parlamenti di Irlanda, Spagna e Belgio, mentre il Parlamento francese ha votato il 28 novembre 2014 una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina;
    l'Italia ha votato a favore della risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che riconosce la Palestina come Stato osservatore delle Nazioni Unite e si è espressa da sempre sulla posizione «due Popoli due Stati», così come fa l'Unione europea fin dal 1980,

impegna il Governo

a riconoscere lo Stato di Palestina nei confini del 1967 con Gerusalemme est capitale secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite, così come è stato riconosciuto lo Stato di Israele, quale azione di politica estera che imprima una svolta positiva al necessario negoziato tra le parti per giungere alla soluzione «due Popoli due Stati» e a garantire la coesistenza nella libertà, nella pace e nella democrazia dei due popoli.
(1-00675)
(Nuova formulazione) «Palazzotto, Airaudo, Bruno Bossio, Franco Bordo, Capodicasa, Cenni, Cimbro, Cominelli, Costantino, D'Ottavio, Duranti, Ferrara, Fratoianni, Gandolfi, Giancarlo Giordano, Iori, La Marca, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Mattiello, Melilla, Migliore, Misiani, Mognato, Nicchi, Daniele Farina, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Prina, Quaranta, Ricciatti, Romanini, Paolo Rossi, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zanin, Zaratti, Bossa».


   La Camera,
   premesso che:
    dal 1948 il popolo palestinese attende che sia riconosciuto dalla comunità internazionale lo Stato di Palestina;
    il 29 novembre 2012 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato a larga maggioranza la risoluzione n. 67/19 per la concessione dello status di osservatore permanente, come Stato non membro, allo Stato di Palestina. Tale risoluzione ha conferito allo Stato palestinese uno status equivalente, in seno all'Onu, a quello dello Stato della Città del Vaticano;
    la risoluzione n. 67/19 ha sicuramente rappresentato un importante passo verso il riconoscimento dei diritti fondamentali del popolo palestinese, ma l'attuale status non chiarisce, ad esempio, se la Palestina può o meno ricorrere alla Corte penale internazionale;
    il processo di pace sorto dagli accordi di Oslo del 20 agosto 1993 si è, di fatto, arrestato con l'uccisione di uno dei firmatari dell'accordo stesso, il Primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, assassinato da estremisti sionisti contrari allo smantellamento delle colonie e alla costituzione dello Stato di Palestina. Da quel momento in poi il Governo d'Israele ha portato avanti una politica sempre più ostaggio degli estremisti delle colonie e gli insediamenti sui già scarsi territori palestinesi si sono moltiplicati a dispetto degli impegni sottoscritti e del diritto internazionale;
    l'espandersi continuo degli insediamenti illegali nei territori occupati di Cisgiordania e Gerusalemme est, la costruzione del muro di separazione, la distruzione di case e l'espulsione di palestinesi, la sottrazione di fondamentali risorse idriche ai palestinesi (l'acqua è sottoposta alla legge militare), nonché il protrarsi dell'embargo sulla striscia di Gaza, che ha preceduto e seguito gli attacchi militari con migliaia di vittime (si vedano le operazioni «Piombo fuso» e «Margine sicuro») compromettono qualsiasi sforzo per il processo di pace;
    sono continue le violazioni da parte del Governo israeliano della convenzione di Ginevra, a cui si aggiungono la detenzione arbitraria di migliaia di palestinesi (tra i quali Marwan Barghouti, il «Mandela palestinese», uno degli estensori degli accordi di Oslo), l'umiliazione a cui sono costretti i palestinesi nei continui checkpoint dei militari israeliani, il proseguimento di esecuzioni extragiudiziali e delle punizioni collettive (distruzione di case per rappresaglia);
    questa politica israeliana ha rafforzato e non indebolito le posizioni fondamentaliste religiose – un tempo marginali – tra i palestinesi, finendo per favorire l'ascesa di Hamas a discapito delle altre formazioni laiche;
    è urgente che la comunità internazionale adotti nuove iniziative per contribuire al rispetto del diritto internazionale e delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite;
    tutti i popoli del Medio Oriente hanno diritto alla pace e alla sicurezza e ciò può essere garantito a lungo termine solo attraverso una pace giusta e duratura basata sul rispetto del diritto internazionale e la piena e completa applicazione delle risoluzioni n. 242 del 1967 e n. 338 del 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sul ritiro delle forze di occupazione e lo smantellamento degli insediamenti, sul riconoscimento del diritto al rientro dei rifugiati in applicazione della risoluzione n. 194 del 1948 delle Nazioni Unite e sulla liberazione dei prigionieri politici palestinesi;
    sono 121 i Paesi in tutto il mondo che hanno già riconosciuto lo Stato di Palestina nei confini del 1967, secondo quanto previsto dalle citate risoluzioni delle Nazioni Unite, con Gerusalemme est quale sua capitale;
    in particolare, di grande significato è il recente riconoscimento dello Stato di Palestina che porta a 8 i Paesi membri dell'Unione europea che hanno reputato necessario questo riconoscimento, anche come pressione nei confronti del Governo d'Israele per farlo recedere dalla politica delle colonie e per riprendere il percorso di pace;
    il Parlamento britannico, la più antica democrazia liberale del mondo, con 274 voti favorevoli e 12 contrari, ha recentemente approvato una mozione che chiede al Governo di Londra di «riconoscere lo Stato palestinese al fianco dello Stato di Israele» come «contributo per assicurare la soluzione negoziata dei due Stati» nella regione,

impegna il Governo:

   a riconoscere pienamente e formalmente lo Stato di Palestina nei confini del 1967 secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite;
   a proporre, nelle sedi internazionali, un atto analogo da parte di tutti i Paesi membri dell'Unione europea e della Nato, da intendersi anche come un contributo importante nella lotta al terrorismo del fondamentalismo religioso;
   a predisporre in tempi rapidi una visita del Presidente del Consiglio dei ministri in Israele e in Palestina per illustrare ai Governi di questi due Paesi il senso del riconoscimento dello Stato di Palestina e per contribuire al riavvio del processo e del negoziato di pace.
(1-00625) «Rizzo, Sibilia, Artini, Manlio Di Stefano, Basilio, Grande, Frusone, Di Battista, Corda, Spadoni, Tofalo, Del Grosso, Paolo Bernini, Scagliusi».


   La Camera
   premesso che:
    si esprime profonda preoccupazione per il continuo aggravarsi della crisi che avvolge tutta la regione mediorientale e nordafricana, nella quale cresce l'influenza dell'Islam politico radicale e delle sue emanazioni jihadiste, dedite alla lotta armata anche in Europa;
    va evidenziato come tale situazione costituisca un'obiettiva preoccupazione che accomuna l'Europa allo Stato d'Israele, unico presidio democratico nella regione sopramenzionata insieme alla Tunisia;
    si rileva la circostanza che lo Stato d'Israele continua ad esser bersaglio di attacchi terroristici che tendono a negarne il diritto di esistere e a condizionarne il comportamento, provocandone ad arte le reazioni militari, secondo la triste logica del «tanto peggio tanto meglio»;
    va ricordato altresì come i territori appartenenti all'Autorità nazionale palestinese siano soltanto in parte sotto l'effettivo controllo dell'esecutivo basato a Ramallah e presieduto da Abu Mazen, trovandosi la Striscia di Gaza sotto la predominante influenza di Hamas, articolazione locale della Fratellanza Musulmana, e di gruppi collaterali di ispirazione jihadista;
    non si può non sottolineare come proprio Hamas sia stato all'origine, nel corso dell'ultimo decennio, di aspri confronti militari con lo Stato ebraico, cosa che permette di concludere che l'esecutivo presieduto da Abu Mazen non possiede il monopolio della forza armata nei territori amministrati dall'Autorità nazionale palestinese;
    inoltre si osserva come Hamas sia internazionalmente appoggiato dalla Turchia, Paese che ha promosso un tentativo di violare il blocco marittimo imposto nei confronti della Striscia di Gaza con la cosiddetta Freedom Flottilla ed è sospettato di sostenere anche il sedicente Stato Islamico sorto a cavallo tra Siria ed Iraq;
    la situazione geopolitica mediorientale appare estremamente delicata e complessa ed ogni passo unilaterale conseguentemente si ritiene un azzardo inopportuno;
    va apprezzato, comunque, che almeno parte del sistema politico palestinese ha accettato il metodo diplomatico come principale strumento d'iniziativa, archiviando la pratica pluridecennale del terrorismo da parte dell'Olp;
    tuttavia si ritiene che la causa del processo di pace debba avanzare attraverso il dialogo tra le parti coinvolte – Stato d'Israele ed Autorità nazionale palestinese – anche con il sostegno esterno assicurato dagli Stati Uniti, dall'Unione Europea e dalla Russia,

impegna il Governo:

   a non assecondare né agevolare ulteriori tentativi unilaterali dell'Autorità nazionale palestinese tesi ad ottenere il riconoscimento internazionale dello status di Stato sovrano senza che sia intervenuto un accordo bilaterale preventivo con lo Stato d'Israele;
   a sostenere la causa del dialogo diretto tra le parti coinvolte, anche con l'apporto dell'Unione europea, degli Stati Uniti e della Federazione Russa;
   a favorire ogni genere di misura che possa contribuire all'indebolimento di Hamas, in particolare escludendo il movimento islamista dalla gestione degli aiuti alla ricostruzione della Striscia di Gaza.
(1-00699) «Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    è interesse strategico dell'Italia e dell'Unione europea che il conflitto israelo-palestinese sia disinnescato una volta per tutte, come passo fondamentale per la pacificazione e la stabilizzazione dell'intero Medio Oriente e dell'area del Mediterraneo;
    è indispensabile rilanciare il processo di pace tra israeliani e palestinesi tramite la ripresa di negoziati diretti che portino ad un accordo di pace complessivo e duraturo, nel rispetto del diritto internazionale e nella piena applicazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;
    ciò può essere garantito solo da una forte, credibile, imparziale azione da parte della comunità internazionale attraverso mediazioni costruttive nei confronti di entrambe le parti, evitando atti e dichiarazioni che rischiano solo di apparire come prese di posizione ostili e condizioni imposte ad una sola delle parti in causa, cioè a Israele, unico Stato davvero democratico dell'area;
    l'eventuale riconoscimento di uno Stato palestinese al di fuori di un accordo di pace complessivo tra le parti non favorirebbe la ripresa dei negoziati diretti, ma, al contrario, rappresenterebbe un ulteriore ostacolo sulla via della pace, perché avrebbe l'effetto di aumentare il livello di diffidenza tra le parti e, soprattutto, di Israele nei confronti della comunità internazionale, compromettendo e vanificando l'importante ruolo di mediazione imparziale che l'Unione europea e, in particolare, l'Italia stanno da decenni svolgendo e devono continuare a svolgere sia nei confronti degli israeliani che dei palestinesi;
    il 30 dicembre 2014, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha bocciato una risoluzione dei Paesi arabi, promossa dall'Autorità nazionale palestinese, in cui si prevedevano unilateralmente termini e tempi di un accordo di pace, tra cui il riconoscimento della piena sovranità statuale palestinese entro il 2017;
    la legittima aspirazione palestinese di un riconoscimento statuale non può trovare soddisfazione prima che l'altrettanto legittimo diritto degli israeliani alla sicurezza non sia assicurato attraverso l'abbandono da parte palestinese di qualsiasi aspirazione alla distruzione di Israele e di ogni atto d'aggressione ai suoi danni;
    i popoli israeliano e palestinese hanno entrambi diritto a vivere in pace e in sicurezza, ma ciò può essere garantito, oltre che dalla soluzione «due popoli due Stati», solo se anche il futuro Stato palestinese sarà uno Stato democratico, in grado di garantire ai suoi cittadini libertà e diritti umani fondamentali;
    l'eventuale riconoscimento di uno Stato palestinese senza aver prima sciolto in un negoziato diretto i nodi del complessa vicenda, e soprattutto in presenza di un forte conflitto tra Autorità nazionale palestinese e Hamas, quest'ultima un'organizzazione terroristica, per il controllo dei territori palestinesi, costituirebbe una minaccia all'esistenza stessa di Israele, ma anche nei confronti dello stesso popolo palestinese, che è e sarebbe ancor più esposto non solo all'oppressione e alle violenze di Hamas, ma anche alle incresciose conseguenze delle legittime azioni difensive di Israele in risposta agli atti di aggressione lanciati dalla Striscia di Gaza o da altre zone dei territori palestinesi,

impegna il Governo:

   ad evitare di compiere atti e gesti simbolici che possano rappresentare forme di riconoscimento, o portare ad un'accelerazione di qualsiasi processo di riconoscimento, di uno Stato palestinese al di fuori del negoziato diretto e di un accordo di pace complessivo tra le parti;
   a sostenere, in sede sia bilaterale che multilaterale, e di concerto con gli altri Stati membri dell'Unione europea e con gli Stati Uniti d'America, il rilancio del processo di pace tra israeliani e palestinesi attraverso la ripresa del negoziato diretto come via maestra per arrivare alla soluzione «due popoli due Stati» e per l'attuazione degli accordi di Oslo e delle relative risoluzioni delle Nazioni Unite;
   ad evitare di compiere qualsiasi atto e gesto simbolico di legittimazione di organizzazioni terroristiche islamiche, Hamas compresa, e a promuovere nei loro confronti, di concerto con gli altri Stati membri dell'Unione europea e con gli Stati Uniti d'America, un'azione di intransigente contrasto ad ogni livello.
(1-00738) «Brunetta, Capezzone, Palmizio».


   La Camera,
   premesso che:
    il diritto del popolo palestinese ad avere un proprio Stato entro confini riconosciuti ed internazionalmente garantiti, che conviva pacificamente con Stato di Israele, assicurando ad entrambi condizioni di sicurezza e stabilità, è da tempo una consolidata posizione italiana ed europea;
    largamente condivisa, a livello internazionale, è la convinzione che l'effettivo raggiungimento di tale risultato può avvenire soltanto attraverso il negoziato sul mutuo riconoscimento dei confini a partire da quelli del 1967 ed eventuali scambi di territori tra le parti, sulla soluzione dello status di Gerusalemme, nonché sulla questione del diritto del ritorno dei profughi palestinesi;
    largamente condivisa, a livello internazionale, è altresì la convinzione che tale risultato non può essere perseguito tramite il ricorso alla valenza e al terrorismo, richiamando in tal senso l'importanza del rispetto dei tre principi del cosiddetto quartetto (Usa, Russia, Onu e Unione europea), che presuppone, tra l'altro, il diritto dei due popoli a vivere al riparo da ogni violenza e atti di terrorismo;
    preoccupante e da deplorare è lo stallo intervenuto nel processo negoziale che rischia di alimentare violenze e di creare le condizioni per sanguinosi e tragici conflitti;
    come ribadito anche dalla risoluzione del Parlamento europeo – approvata a larghissima maggioranza il 17 dicembre 2014 – occorre evitare tutte le azioni che mettano in dubbio gli impegni assunti a favore di una soluzione negoziata, invitando entrambe le parti ad astenersi da qualsiasi azione suscettibile di compromettere la fattibilità e le prospettive di una soluzione fondata sulla coesistenza dei due Stati, evidenziando, tra l'altro, come l'espansione degli insediamenti sia illegale dal punto di vista anche del diritto internazionale e come sia altresì necessario promuovere il raggiungimento di una intesa tra tutte le forze politiche palestinesi che, attraverso il riconoscimento dello Stato d'Israele e l'abbandono della violenza, determini le condizioni per una convivenza pacifica;
    l'attuale altissima tensione nell'area, con una guerra civile in atto in Siria, la preoccupante fondazione del sedicente Stato islamico in un'area compresa tra Iraq e la stessa Siria, le fasi finali del negoziato sul nucleare con l'Iran reclamano un maggiore investimento politico e diplomatico nella soluzione del conflitto, anche attraverso la massima unità possibile di intenti tra l'Europa e gli Stati Uniti;
    l'Italia come altri Paesi ha già effettuato alcuni passi importanti nel riconoscimento delle prerogative della Palestina, ove si pensi al voto a favore del riconoscimento dello status della Palestina quale «Stato non membro osservatore delle Nazioni Unite», all'attribuzione dello status diplomatico pieno alla rappresentanza palestinese in Italia, al costante sostegno politico alle richieste palestinesi di divenire membri in diverse organizzazioni internazionali;
    l'Italia ha già più volte espresso la propria disponibilità a riconoscere formalmente, al momento opportuno e nelle appropriate condizioni, uno Stato palestinese accanto allo Stato di Israele e in pace con esso;
    rilevante è già e ancor più dovrà esserlo in futuro il ruolo del nostro Paese – anche operando negli ambiti europei ed internazionali – per la cooperazione allo sviluppo e per il sostegno al rafforzamento delle istituzioni palestinesi nonché per rafforzare la cooperazione e la comprensione nel più vasto quadro mediterraneo e mediorientale, la pace, la sicurezza e lo sviluppo umano, sociale ed economico;
    la comunità internazionale deve garantire, in particolare in Europa, il pieno contrasto ad ogni rigurgito di violenza ed intolleranza nei confronti dei cittadini e delle comunità ebraiche che già hanno conosciuto, nel corso della storia, persecuzioni e, nel nostro Continente, un vero e proprio genocidio. I recenti episodi di antisemitismo, razzismo e xenofobia richiedono di riaffermare con forza che l'ebraismo è parte integrante dell'identità europea e che l'Europa è anche la casa degli ebrei,

impegna il Governo:

   a continuare a sostenere in ogni sede l'obiettivo della costituzione di uno Stato palestinese che conviva in pace, sicurezza e prosperità accanto allo Stato di Israele, sulla base del reciproco riconoscimento e con la piena assunzione del reciproco impegno a garantire ai cittadini di vivere in sicurezza al riparo da ogni violenza e da atti di terrorismo;
   a promuovere il riconoscimento della Palestina quale Stato democratico e sovrano entro i confini del 1967 e con Gerusalemme quale capitale condivisa, tenendo pienamente in considerazione le preoccupazioni e gli interessi legittimi dello Stato di Israele;
   a ricercare, a tal fine, un'azione coordinata a livello internazionale, e in particolare in seno all'Unione europea ed alle Nazioni Unite, in vista di una soluzione globale e durevole del processo di pace in Medio Oriente fondata sulla esistenza di due Stati, palestinese ed israeliano;
   ad attivarsi per sostenere e promuovere il rilancio del processo di pace tramite negoziati diretti fra le parti.
(1-00745) «Speranza, Locatelli, Marazziti, Bruno Bossio, Tidei».


   La Camera,
   premesso che:
    è indispensabile una strategia generale che porti a una situazione nuova nel Medio Oriente dove sussistono conflitti in parte autonomi l'uno dall'altro, come quelli esplosi in Iraq e in Siria e determinatisi per la crisi di questi Stati e per la conseguente affermazione dell'Isis; il conflitto libico verificatosi in seguito all'eliminazione di Gheddafi senza che fosse maturato un nuovo equilibrio politico; le complesse problematiche causate dal dramma di un enorme numero di immigrati che opprime Paesi come la Giordania e il Libano; lo scontro israeliano-palestinese;
    in questo quadro il conflitto israeliano-palestinese è attualmente segnato da un armistizio che non elimina il rischio di una ripresa delle ostilità e che comunque non risolve in modo stabile e positivo la vicenda;
    le drammatiche conseguenze di carattere umanitario, politico e sociale del conflitto israeliano-palestinese costituiscono fonte di allarme e di preoccupazione. La necessità di una pacificazione è resa ancora più ineludibile dall'avanzata del fondamentalismo islamico che pratica il terrorismo in forme particolarmente efferate in Siria e in Iraq, che tende ad esportarlo in molti altri Paesi, colpendo contemporaneamente il resto del mondo islamico, gli ebrei, i cristiani, i credenti in altre religioni;
    di fronte allo stallo negoziale è auspicabile che la comunità internazionale dia un proprio contributo come mediazione costruttiva tra le parti e non con decisioni unilaterali che potrebbero determinare esiti controproducenti;
    la formula dei due Stati per due popoli conserva piena validità e si fonda sulla parallela esigenza di assicurare la compiuta realizzazione dello Stato palestinese e la sicurezza di quello israeliano;
    è interesse strategico dell'Italia e dell'Europa contribuire alla pacificazione nel Medio Oriente nell'ottica della stabilizzazione della regione mediterranea e dell'intensificazione della cooperazione con gli Stati rivieraschi;
    lo Stato di Israele, pur fra contraddizioni ed errori, rappresenta nel Medio Oriente un insediamento di reale democrazia, è caratterizzato da un profondo pluralismo delle idee e delle posizioni, svolge un ruolo assai importante nella lotta a ogni forma di terrorismo ed esprime una storia dell'ebraismo che va rispettata e tutelata in contrapposizione a ogni forma di antisemitismo. È necessario che lo Stato d'Israele non proceda negli insediamenti;
    la costituzione dello Stato palestinese è un obiettivo condivisibile anche per dare una soluzione positiva a una lunga storia di battaglie politiche e di sofferenze. Perché esso sia compiutamente conseguito è necessario tuttavia un accordo fra le due parti in campo. Altrettanto necessario per il riconoscimento dello stato palestinese è che si arrivi ad una reale intesa politica tra Al-Fatah e Hamas che implichi il riconoscimento dello stato d'Israele e l'abbandono della violenza come strumento di soluzione del conflitto; riconoscere per essere riconosciuti è un'equazione ineludibile;
    un corretto processo di pace passa attraverso la libera e sincera condivisione delle responsabilità fra le parti, favorita in tutti i modi dall'Unione europea, dagli Usa e dall'Italia;
    in questo drammatico contesto merita di essere valorizzata la sensibilità che stanno dimostrando i Paesi arabi moderati, dall'Egitto alla Tunisia, dalla Giordania, al Marocco, dall'Algeria agli Emirati Arabi Uniti. Essi stanno svolgendo un ruolo essenziale nel contrapporsi alle correnti fondamentaliste e nell'operare in funzione di una pacificazione. È auspicabile che nel futuro lo stesso ruolo sia svolto anche da altri Stati di grande rilievo quali la Turchia e l'Arabia Saudita, e che in Iran prevalgano le tendenze riformiste,

impegna il Governo:

   a sostenere sia in sede bilaterale che multilaterale, di concerto con i partner europei, la tempestiva ripresa del negoziato diretto fra israeliani e palestinesi, come via maestra per la realizzazione degli Accordi di Oslo;
   a promuovere il raggiungimento di un'intesa politica tra Al-Fatah e Hamas che, attraverso il riconoscimento dello Stato d'Israele e l'abbandono della violenza, determini le condizioni per il riconoscimento di uno Stato palestinese;
   a promuovere in seno all'Unione europea un'azione più determinata sulla crisi del Medioriente ripristinando l'inviato speciale per il processo di pace ma soprattutto prospettando a entrambe le parti i vantaggi di un partenariato speciale con la stessa Unione, una volta che fosse concluso il conflitto.
(1-00746) «Alli, Rabino, De Girolamo, Mazziotti Di Celso, Cicchitto, Dorina Bianchi, Pizzolante, Scopelliti, Causin, Sammarco».


   La Camera,
   premesso che:
    si esprime profonda preoccupazione per il continuo aggravarsi della crisi che avvolge tutta la regione mediorientale e nordafricana, che nell'ultimo anno ha segnato un significativo arretramento delle prospettive di un'intesa capace di mettere fine alle storiche ostilità israelo-palestinesi;
    quello scoppiato a luglio 2014 è solo l'ultimo conflitto in 27 anni tra Israele e Hamas, organizzazione politica e paramilitare palestinese creata nel 1987;
    tale ennesima guerra, nella tradizione di ogni evento bellico, ha finito per rafforzare le ragioni delle parti più estremiste dei due contendenti, allontanando automaticamente la possibilità di una pace duratura, vera premessa per il riconoscimento dello Stato palestinese;
    le elezioni anticipate indette in Israele per il 17 marzo 2015 hanno di fatto nuovamente congelato la prospettiva di nuove iniziative negoziali e determinato ulteriori tensioni;
    la recente decisione svedese di riconoscere uno Stato palestinese e l'adozione nei Parlamenti britannico, irlandese, spagnolo, francese, portoghese ed europeo di mozioni non vincolanti che impegnano in tal senso, rappresentano una novità che ha rilanciato il dibattito parlamentare anche in Italia;
    la situazione geopolitica mediorientale appare estremamente delicata e occorre spazzare il campo da tentativi di strumentalizzazione tesi a far prevalere un obiettivo di parte sul conseguimento della pace e della stabilità nella regione, interesse condiviso dalla maggioranza della comunità internazionale e certamente dall'Europa mediterranea;
    il Governo palestinese in carica, che ha assunto le proprie funzioni il 2 giugno 2014, è il frutto della riconciliazione tra Fatah e Hamas, ma sulla tenuta dell'accordo e sui suoi esiti pesano il conflitto tra Hamas e Israele nella Striscia di Gaza della scorsa estate, conclusosi con la tregua del 26 agosto 2014 e le continue frizioni tra Hamas e Fatah;
    riconoscere unilateralmente uno Stato che si fondi nel Movimento di Resistenza islamica Hamas che, ad oggi, appare nella lista delle organizzazioni terroristiche, significherebbe riconoscere che il Processo di Oslo e il principio del negoziato tra israeliani e palestinesi sulle questioni Gerusalemme, sicurezza, confini e rifugiati – basi per la creazione di un effettivo Stato della Palestina – sono sottratti alla cornice negoziale bilaterale, per divenire oggetto di «pronunciamenti» da parte di attori esterni;
    così come ignorare tali risoluzioni può significare la vanificazione di iniziative politiche utili a indurre le parti a riaprire il negoziato e a rendere concreta la possibilità di riconoscere non solo due popoli, ma anche due Stati nazionali distinti, chiedendo l'immediata sospensione della requisizione di nuove terre e della costruzione di nuovi insediamenti coloniali;
    si ritiene pertanto necessario che la causa del processo di pace avanzi concretamente e non si accontenti di meri proclami attraverso la ripresa urgente del dialogo tra le parti coinvolte, senza il quale è impensabile costruire una struttura statuale anche per la Palestina;
    prima di qualunque obiettivo politico occorre garantire la sicurezza a entrambe le comunità, specialmente alle persone indifese, bambini, donne e anziani su tutti, unitamente al rispetto di una convivenza civile pacifica, di un'integrazione solidale ed economicamente vantaggiosa per i due popoli e il diritto dei cittadini a una stabilità regionale che consenta di programmare il futuro delle nuove generazioni,

impegna il Governo

a sostenere la causa del dialogo diretto tra le parti coinvolte, anche promuovendo un più deciso intervento dell'Onu e dell'Unione europea, per giungere in tempi rapidi all'obiettivo del riconoscimento dello Stato palestinese nella condizione di reciprocità con Israele, quindi in accordo bilaterale, al fine di garantire la concreta realizzazione della pace, della sicurezza, della cooperazione e della prosperità sociale ed economica.
(1-00747) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


INTERPELLANZE URGENTI

Iniziative per la messa in sicurezza del fiume Sele, anche alla luce dell'esondazione verificatasi il 31 gennaio 2015 – 2-00837

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   in data 31 gennaio 2015, a causa del maltempo il fiume Sele ha esondato per l'ennesima volta, allagando la piana del territorio salernitano da cui prende il nome, determinando l'allagamento di centinaia di abitazioni e la conseguente evacuazione degli abitanti, danni ingenti alle infrastrutture, al patrimonio storico-artistico nonché alle attività agricole e zootecniche presenti che prefigurano risarcimenti per un importo pari a svariati milioni di euro;
   l'esondazione rappresenta l'ennesimo disastro annunciato per il quale i costi di risarcimento e per riparare i danni saranno sicuramente maggiori rispetto a quelli che dovevano essere impegnati per le necessarie attività di prevenzione, mitigazione e manutenzione da predisporre con urgenza dopo le esondazioni già avvenute nel 2010 e successivamente nel 2013;
   le cause principali dell'esondazione sono sicuramente da ricercare nella mancata manutenzione dell'alveo del fiume, nella presenza di detriti, tronchi di albero e materiali vari, che impediscono il regolare deflusso delle acque fluviali, nonché nell'innalzamento dell'alveo del fiume che in alcuni punti ha raggiunto il livello degli argini, i quali si presentano privi di manutenzione e con diverse rotture dovute ad eventi franosi e all'insediamento di tane di volpe e di nutria;
   è sempre più urgente intervenire con opere di ripristino dell'officiosità del corso d'acqua principale e di quelli secondari, prendendo atto che a nulla sono serviti gli appelli più volte rivolti alle autorità territoriali competenti affinché si provvedesse, con urgenza, a risolvere gli annosi problemi degli argini e dell'alveo del fiume, non ultima, la missiva indirizzata al prefetto di Salerno e alla protezione civile della provincia di Salerno nell'ottobre 2014;
   a marzo 2014 da notizie di stampa si era appreso dello stanziamento di 1.200.000 euro di fondi, ottenuti per l'alluvione del Sele volti al rafforzamento degli argini del rio Ciorlitto, importante affluente che contribuisce ad alimentare le cause degli eventi alluvionali alla confluenza con il Sele, dell'inizio del piano di monitoraggio e dell’iter amministrativo della gara per l'affidamento dei lavori;
   dal sito istituzionale del Consorzio bonifica Paestum si apprende la pubblicazione di una aggiudicazione definitiva del «Primo stralcio urgente dei lavori per il ripristino arginale del Rio Ciorlitto - Rio La Lama e sistemazione affluente collettore acque Salse per prevenire l'allagamento della frazione Gromola del Comune di Capaccio (SA)», ma non risultano disponibili i documenti originali nonché la data di scadenza;
   nella legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) il Fondo per le emergenze nazionali (cap. 7441), che disponeva di 140 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2015-2017, è stato ulteriormente finanziato con una quota di 60 milioni di euro, rimanendo tali risorse acquisite al bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri nell'anno 2015 –:
   se si ritenga urgente procedere ad acquisire ogni utile informazione per conoscere con certezza lo stato di attuazione del piano di monitoraggio del fiume Sele, al fine di procedere, con la massima urgenza, all'attuazione del progetto relativo agli interventi di asportazione di materiali dall'alveo del fiume e alle attività di manutenzione straordinaria delle sponde ripariali e degli argini;
   se l'amministrazione regionale abbia proceduto alla richiesta del riconoscimento dello stato di emergenza, dato il continuo verificarsi di esondazioni e allagamenti che continuano a creare gravi difficoltà e disagi alle popolazioni e alle attività economiche del territorio del bacino del fiume Sele;
   se si ritenga necessario, affinché si eviti una nuova catastrofe annunciata, procedere a finanziare con le risorse afferenti al Fondo per le emergenze nazionali, fermo restando quanto previsto dalle finalità e dalle norme tecniche dei piani di bacino, le opere di ripristino dell'officiosità del corso d'acqua del fiume Sele e dei suoi affluenti, comprendenti la rimozione di materiali litoidi dagli alvei, ma anche la manutenzione e il consolidamento degli argini, la pulizia e la rinaturalizzazione delle sponde fluviali;
   se si ritenga necessario, al fine di interrompere l'ingiustificata inerzia amministrativa e recuperare le risorse finanziarie non impiegate, provvedere, per il tramite della struttura tecnica di missione costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, al recupero dei fondi non spesi e avviare con urgenza gli interventi necessari nonché quelli previsti dagli strumenti di pianificazione e programmazione vigenti.
(2-00837) «Capozzolo, Tino Iannuzzi, D'Incecco, Borghi, Sgambato, Capone, Ragosta, Valiante, Donati, Morani, Dallai, Benamati, Migliore, Famiglietti, Cardinale, Rostan, Fregolent, Pastorino, Tartaglione, Zardini, Sani, Paris, Impegno, Capodicasa, Braga, Barbanti, Pisano, Carra, Covello, Grassi, Fiorio, Oliverio, Salvatore Piccolo».


Iniziative per un'efficace manutenzione degli alvei fluviali nelle aree a rischio di dissesto idrogeologico – 2-00847

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il rischio idrogeologico è divenuto una perdurante emergenza nazionale, corroborata da dati statistici, analisi scientifiche e dal verificarsi di gravi eventi destinati a ripetersi con allarmante ricorrenza;
   è sufficiente esaminare le aree che circondano gli alvei fluviali per rendersi conto della crescente occupazione delle zone di espansione naturale dei corsi d'acqua con abitazioni, insediamenti industriali, produttivi e commerciali e attività agricole e zootecniche;
   la progressiva urbanizzazione e l'impermeabilizzazione di tutte quelle aree dove un fiume in caso di piena può espandersi liberamente hanno presentato e rappresentano una delle principali cause del dissesto idrogeologico italiano;
   purtroppo, frequentemente gli interventi di difesa idraulica continuano a seguire filosofie tanto vecchie quanto evidentemente inefficaci: in molti casi vengono realizzati argini senza un serio studio sull'impatto che possono portare a valle, vengono cementificati gli alvei e alterate le dinamiche naturali dei fiumi; soprattutto, troppo spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire;
   in Lombardia, nella giornata del 12 novembre 2014, il fiume Seveso è nuovamente esondato creando panico tra gli abitanti delle aree attraversate dal fiume, causando danni a immobili, negozi, uffici, scantinati e trascinando le proprie acque inquinate nelle aree abitate fino ad una stazione ferroviaria; per fronteggiare tale emergenza sono stati programmati degli interventi di sicurezza idraulica che prevedono la realizzazione di grandi opere idrauliche fortemente impattanti sul territorio, quali per esempio le vasche di laminazione presso il comune di Senago o presso il parco nord Milano, anziché interventi contenuti e diffusi per la regimentazione ed il disinquinamento del fiume;
   la vasca di laminazione è un'opera idraulica volta alla realizzazione di un ampio bacino scavato in profondità per permettere il contenimento delle acque che, in caso di piena, il fiume non è in grado di contenere nel suo alveo;
   in Campania, nell'ambito degli interventi del Governo ricompresi, nel grande progetto per il completamento della riqualificazione e recupero del fiume Sarno, è stata prevista la realizzazione di vasche di laminazione, con il rischio che la miscela di acqua, detriti e sostanze inquinanti trascinata fuori dal letto del fiume venga trattenuta nelle vasche di laminazione e lasciata a ristagnare nelle vasche in prossimità di aree coltivate;
   ai considerevoli impatti ambientali di realizzazione dell'opera si sommano le elevate criticità strutturali e di gestione di tali impianti che si traducono in ulteriori esternalità negative di rilevante impatto per l'ambiente e la tutela della biodiversità e della salute dei cittadini: ulteriore consumo di suolo in zone a destinazione agricola, ristagno e accumulazione di inquinanti nella vasche di laminazione, per lo più situate a ridosso di aree coltivate, potenziale alterazione di habitat ed ecosistemi, interferenze con le acque di falda e altro;
   sotto il profilo funzionale si tratta di interventi volti ad arginare situazioni emergenziali di piena che, pur richiedendo consistenti e costosi interventi di manutenzione, sono estranei ad una prospettiva di gestione programmata e monitorata dei fenomeni alluvionali che dovrebbe, invece, essere perseguita attraverso interventi strutturali alternativi più efficaci – che riguardino il sistema fognario, la rete degli impianti di depurazione delle acque, la manutenzione ordinaria e straordinaria del reticolo idrografico esistente, la prevenzione degli scarichi musivi attraverso il capillare esercizio dei poteri di vigilanza e sanzione – tali da consentire un graduale processo di rinaturalizzazione dei torrenti, nel rispetto del principio di invarianza idraulica;
   le vasche di laminazione sono opere consistenti che richiedono elevati costi di realizzazione e di manutenzione, per appalti che diventano facile appannaggio di grandi aziende, spesso in forma di associazioni temporanee di imprese, rischiando di ledere i principi della concorrenza e della correttezza nelle procedure di affidamento dei lavori –:
   se il Governo non ritenga necessario adottare ogni iniziativa utile, anche normativa, affinché nelle aree ad alto rischio di dissesto idrogeologico siano posti in essere piani di manutenzione ordinaria degli alvei fluviali, provvedendo ad una corretta applicazione del principio di invarianza idraulica nel territorio circostante e, qualora si debba optare per la residuale soluzione delle vasche di laminazione, se intenda assumere iniziative per stabilire delle linee guida con le quali, in ogni caso, prevedere:
    a) il divieto di costruzione delle vasche in terreni agricoli, aree protette e aree verdi non impermeabilizzate;
    b) la localizzazione delle opere in via prioritaria su terreni da bonificare o già impermeabilizzati;
    c) che le vasche di laminazione siano realizzate esclusivamente in collegamento con corsi fluviali che rispettano la normativa europea sulla qualità delle acque fluviali;
    d) che, a seguito di contaminazione delle falde acquifere a causa del malfunzionamento delle vasche, i costi di bonifica siano posti a carico delle aziende aggiudicatrici degli appalti;
    e) che siano stipulate dalle aziende polizze fideiussorie, per questi interventi, tali da coprire il possibile rischio ambientale derivante dal malfunzionamento delle opere stesse per almeno 15 anni.
(2-00847) «De Rosa, Micillo, Busto, Daga, Mannino, Terzoni, Zolezzi, Vignaroli, Spessotto, Cozzolino, Toninelli, Dadone, Dieni, D'Ambrosio, Nuti, Ferraresi, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Colletti, Sarti, Simone Valente, Marzana, Brescia, D'Uva, Di Benedetto, Luigi Gallo, Vacca, Paolo Nicolò Romano, Cominardi, Dall'Osso, Rizzo, Tofalo».


Iniziative normative volte a modificare il regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) – 2-00861

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2014, un cartello di organizzazioni composto essenzialmente da genitori di persone con disabilità intellettiva, riunite nell'Utim (Unione per la tutela delle persone con disabilità intellettiva) e nell'associazione «Promozione Sociale», hanno presentato, nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, due ricorsi al Tar del Lazio contro il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, riguardante il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)»;
   l'11 febbraio 2015, la prima sezione del tribunale amministrativo regionale ha accolto, sia pure parzialmente, i sopraddetti ricorsi con le sentenze n. 2454, n. 2458 e n. 2459, che, di fatto, modificano parzialmente l'impianto di calcolo dell'indicatore della situazione reddituale, cioè di una delle due componenti dell'ISEE, previsto dall'articolo 4 del sopraddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   sostanzialmente i dispositivi delle sentenze del Tar, escludono dal computo dell'indicatore della situazione reddituale i «trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche» (articolo 4, comma 2, lettera f), ossia in pratica le pensioni, gli assegni, le indennità per minorazioni civili, gli assegni sociali, le indennità per invalidità sul lavoro, gli assegni di cura e altro;
   non si può che concordare sul principio generale che le provvidenze assistenziali non possono essere considerate alla stregua dei redditi. Fin dall'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di revisione dell'ISEE, presentato per il parere alla Camera dei deputati il 9 luglio 2013, gli interpellanti avevano evidenziato il forte rischio di iniquità e «ingiustizia» contenuto nelle previsioni che considerano, a tutti gli effetti, come reddito ai fini ISEE, provvidenze assistenziali riservate agli invalidi civili, ciechi e sordi, compresa l'indennità di accompagnamento e l'indennità di comunicazione fino ad oggi erogate a prescindere da qualsiasi reddito, nonché indennità percepite a titolo di risarcimento, come nel caso di inabilità per infortunio sul lavoro o per malattia professionale;
   tra le motivazioni addotte dal Tar, si legge tra l'altro: «Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico»;
   inoltre una delle tre sentenze ha anche ritenuto che fosse illegittima la differenza tra le franchigie previste per i maggiorenni con disabilità/non autosufficienti e quelle, più alte, previste per i minori con disabilità/non autosufficienti (articolo 4, lettera d), nn.1, 2 e 3);
   la sentenza n. 2459 del 2015, peraltro, censura la disposizione che prevede che l'opportunità di ricorrere all'ISEE ridotto (personale o proprio e del coniuge) sia riservata ai soli disabili maggiorenni e non invece anche ai minorenni, creando così una disparità di trattamento –:
   se non si intenda provvedere alle opportune modifiche e integrazioni al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, al fine di adeguarlo e renderlo coerente con quanto stabilito dal Tar del Lazio.
(2-00861) «Nicchi, Paglia, Albini, Argentin, Matarrelli, Scotto».


Chiarimenti in ordine alla riduzione dei finanziamenti destinati al Corpo forestale dello Stato – 2-00858

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   il Corpo forestale dello Stato è una delle cinque forze di polizia italiane, ad ordinamento civile e con funzioni di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, dipendente dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali della Repubblica italiana;
   nato nel 1822, è specializzato nella difesa del patrimonio agro-forestale italiano, nella tutela dell'ambiente, del paesaggio e del controllo sulla sicurezza della filiera agroalimentare e concorre all'espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica, nonché al controllo del territorio, con particolare riferimento alle aree rurali e montane;
   il Corpo forestale dello Stato originariamente aveva un ruolo di salvaguardia delle aree boschive, tuttavia ha acquisito, nel corso della sua storia, molteplici funzioni, anche al di fuori di tale ambito, come il contesto di difesa dell'ambiente e del territorio, della salute umana, di tutela degli animali, della flora e del patrimonio paesaggistico, di controllo sulle produzioni agro-alimentari, di conservazione della biodiversità e delle aree protette terrestri e marine;
   tra le competenze del Corpo forestale dello Stato si annoverano anche le operazioni di controllo sul traffico dei rifiuti (repressione dei traffici illeciti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti) e sugli inquinamenti (tutela delle acque dall'inquinamento e del reato di danno ambientale);
   sia nelle regioni a statuto ordinario che in quelle a statuto speciale, il Corpo forestale dello Stato è presente nelle sezioni di polizia giudiziaria presso le procure ed i tribunali nonché, con alcuni nuclei, nell'ambito delle direzione investigativa antimafia;
   il personale del Corpo forestale dello Stato ammonta a circa 8.500 unità ed è dislocato su tutto il territorio nazionale ad eccezione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano, nelle quali operano corpi forestali autonomi e dove sono comunque presenti delle sezioni di polizia giudiziaria presso le procure ed i tribunali;
   da notizie stampa si apprende di una progressiva riduzione dei finanziamenti destinati al Corpo forestale di Stato, tali da metterne in seria discussione l'effettività di personale e l'efficacia operativa;
   eclatante è il mancato rifinanziamento del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, recante disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate, convertito, con modificazioni dalla legge n. 6 del 2014, che prevede tra l'altro il monitoraggio dei terreni agricoli e la loro messa in sicurezza, operando di fatto un taglio di quasi 4 milioni di euro che va ad incidere direttamente sulla salute dei cittadini;
   ai tagli di cui al punto precedente occorre sottrarre ulteriori 5 milioni di euro dai capitoli di bilancio operativi dei «Forestali» operati dall'ultima legge di stabilità (2015);
   in questi anni il Corpo forestale dello Stato ha operato attivamente in diversi scenari sempre mostrandosi all'altezza della situazione e nell'assoluto interesse della sicurezza dei cittadini, come dimostrato dallo sforzo messo in campo nella tristemente nota «Terra dei Fuochi», dove, assieme all'Arpa Campania, il Corpo forestale dello Stato ha avviato un puntuale monitoraggio dei terreni oltre che alla supervisione dei lavori di bonifica;
   la «Terra dei Fuochi» è soltanto la «punta di un iceberg» visto che i fenomeni delle discariche abusive sono presenti purtroppo in tutta Italia e proprio in quest'ambito il Corpo forestale dello Stato ha sviluppato una capacità di indagine altamente professionale e dimostrata nelle azioni investigative di Pitelli (La Spezia), Porto Marghera (Venezia) e del Metaponto;
   la questione dello smaltimento illecito dei rifiuti in Italia coinvolge la malavita organizzata anche di stampo camorristico;
   è opinione degli interpellanti che le risorse non andrebbero tagliate ma almeno mantenute con l'unico obiettivo di rendere più efficiente il sistema di controllo e messa in sicurezza ambientale e forestale –:
   se il Ministro interpellato confermi questo andamento di una progressiva diminuzione dei finanziamenti al Corpo forestale dello Stato e se ciò sia o meno coerente con i principi di tutela e salvaguardia del patrimonio agro-silvo-pastorale italiano, nonché della salute e della sicurezza umana;
   quali iniziative intenda assumere, anche di carattere normativo, per sopperire all'eventuale vacanza dell'apporto investigativo e di controllo operato in questi decenni dal Corpo forestale dello Stato sul territorio nazionale, a seguito di quelli che gli interpellanti giudicano tagli irragionevoli ed indiscriminati.
(2-00858) «Massimiliano Bernini, Luigi Di Maio, Nesci, Ciprini, Gallinella, Frusone, Villarosa, Lombardi, L'Abbate, Gagnarli, Parentela, Benedetti».


Iniziative volte a garantire il reclutamento degli idonei del concorso pubblico, per titoli ed esami, per 964 allievi agenti della polizia di Stato – 2-00849

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   nel marzo 2013 è stato indetto il concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 964 allievi agenti della polizia di Stato, riservato ai sensi dell'articolo 2199, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale, i quali, se in servizio, abbiano svolto alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda almeno sei mesi in tale stato o, se collocati in congedo, abbiano concluso tale ferma di un anno. Di questi:
    a) n. 804 candidati saranno nominati allievi agenti della polizia di Stato ed ammessi direttamente alla frequenza del prescritto corso di formazione, fermo restando il completamento della ferma prefissata di un anno;
    b) n. 160 candidati saranno nominati allievi agenti della polizia di Stato ed ammessi alla frequenza del prescritto corso di formazione dopo aver prestato servizio nelle Forze armate in qualità di volontari in ferma prefissata quadriennale (denominati anche, volgarmente, in «seconda aliquota»);
   il 13 dicembre 2013 è stato pubblicato un nuovo elenco, a seguito di rettifica della graduatoria finale e ampliamento, in prima aliquota, di 119 posti, dei candidati risultati idonei alle prove di efficienza fisica ed agli accertamenti dell'idoneità fisica, psichica ed attitudinale, con la relativa posizione in graduatoria ed il voto finale risultante dalla somma dei voti della prova scritta e della valutazione titoli. Prima aliquota: dal n. 1 al n. 923; seconda aliquota: dal n. 924 al n. 1.083. Coloro i quali occupavano le restanti posizioni, ivi compreso l'ultimo candidato giudicato idoneo, ovvero dal n. 1084 al n. 1598, venivano considerati «idonei non vincitori» utili per un eventuale ripianamento posti (in caso di rinunce);
   entro la fine del mese di dicembre 2013 iniziava il 189esimo corso allievi agenti presso le scuole di formazione della polizia di Stato, reclutando i primi 923 idonei vincitori in ordine di graduatoria, della durata di 12 mesi;
   la cosiddetta «seconda aliquota» (160 unità), invece, rimaneva in attesa di reclutamento presso le Forze armate, quindi in attesa di disposizioni da parte del Ministero della difesa;
   contemporaneamente, iniziava il malcontento del contingente degli idonei non vincitori, dal momento che, se da una parte avevano superato tutte le fasi previste dal concorso per risultare nella graduatoria finale, da un'altra, invece, non avevano diritto a indossare la celeberrima divisa blu e amaranto in quanto il numero di vincitori previsto dal bando si limitava fino alla posizione n. 964 (poi successivamente modificata fino alla n. 1083). Iniziava, così, una vera e propria battaglia ai fini dell'assunzione da parte dei non vincitori (672 in totale), sostenuta dagli interpellanti, cominciando, dopo qualche mese, a smuovere anche gli animi in ambito politico, sindacale, nonché mezzi di informazione attraverso giornali, televisione e radio. La proposta prevedeva il reclutamento di n. 672 unità così suddivise:
    a) n. 512 candidati nominati allievi agenti della polizia di Stato ed ammessi direttamente alla frequenza del prescritto corso di formazione, fermo restando il completamento della ferma prefissata di un anno (quindi in ordine di graduatoria, dal n. 924 al n. 1436);
    b) n. 160 candidati nominati allievi agenti della polizia di Stato ed ammessi alla frequenza del prescritto corso di formazione dopo aver prestato servizio nelle Forze armate in qualità di volontari in ferma prefissata quadriennale (denominati anche, volgarmente, in «seconda aliquota», dal n. 1437 al n. 1598 in ordine di graduatoria);
   tutto ciò pur di rispettare quelle che erano le regole del bando di concorso, altrimenti, se fosse stata chiesta l'assunzione direttamente nella polizia di Stato solo e soltanto degli ultimi 512 in ordine di graduatoria, sarebbero stati «saltati» coloro i quali precedevano ed erano vincitori in seconda aliquota (dal n. 924 al n. 1.083). Una disparità che nessuno mai avrebbe accettato;
   si realizzava, quindi, lo scorrimento della graduatoria del concorso in oggetto, quindi il reclutamento di 672 unità, con decorrenza giuridica dal 1o settembre 2014, ferma restando la seconda aliquota. I dettagli sono consultabili al link http://img.poliziadistato.it;
   il 16 settembre 2014 le scuole allievi agenti polizia di Stato di Alessandria e Brescia reclutavano 512 allievi. Il contingente di 160 unità, invece, rimaneva in attesa di disposizioni in quanto, come si evince dal decreto sopracitato, l'elenco dei nominativi veniva trasmesso dal Ministero dell'interno al Ministero della difesa;
   l'attesa infinita dei 160 iniziava proprio quel giorno. Infatti, nonostante siano trascorsi diversi mesi, a tutt'oggi gli interessati attendono una data d'inizio per quanto riguarda il reclutamento in una forza armata –:
   quando avverrà il reclutamento;
   quali siano le misure che il Governo intende adottare affinché non venga pregiudicata l'incolumità psico-fisica dei candidati, durante il periodo quale «VFP4» (volontario in ferma prefissata di 4 anni), al fine di garantire con successo il futuro reclutamento nella polizia di Stato.
(2-00849) «Fedriga, Molteni».


Chiarimenti in relazione alle dichiarazioni del direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata circa l'inadeguatezza della struttura – 2-00860

F)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 13 giugno 2014 il Consiglio dei ministri ha deliberato la nomina, su proposta dei Ministro interpellato, del prefetto Umberto Postiglione a direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc);
   ai sensi dell'articolo 111 del decreto legislativo n. 159 del 2011, comunemente conosciuto come codice antimafia, organi dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata sono il direttore, il consiglio direttivo composto dallo stesso direttore, da un magistrato designato dal Ministro della giustizia, un magistrato designato dal procuratore nazionale antimafia, due qualificati esperti in materia di gestioni aziendali e patrimoniali designati, di concerto, dal Ministro dell'interno e dal Ministro dell'economia e delle finanze, e il collegio dei revisori dei conti;
   a seguito di un atto di sindacato ispettivo rivolto dalla prima firmataria del presente atto per chiedere chiarimenti sulla mancata designazione del consiglio direttivo dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, nel novembre 2014, il rappresentante del Ministero dell'interno rispondeva che per «l'esigenza del rispetto del principio della parità di genere» il Governo non aveva ancora individuato la composizione del consiglio direttivo;
   a distanza di oltre otto mesi dalla nomina del prefetto Postiglione, si rileva che l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, nonostante la nomina dei componenti del consiglio direttivo, avvenuta solo nel mese di gennaio 2015, appare ulteriormente indebolita a seguito della notizia di indagine per mafia che ha interessato uno dei suoi membri conducendolo ad autosospendersi dall'incarico conferitogli appena un mese prima;
   il 18 febbraio 2015, in occasione del seminario «La riforma del codice antimafia: la relazione della Commissione antimafia e i progetti di legge all'esame parlamentare» promosso dalla stessa Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre organizzazioni criminali, anche straniere, è stato denunciato il drastico gap esistente tra il numero di beni confiscati alla criminalità organizzata, che nel 2014 ammonterebbe a 12.994, e il numero di beni effettivamente riutilizzati. Nella medesima occasione il direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata – secondo quanto riportato dal quotidiano Avvenire in data 19 febbraio 2015, a pagina 11 – avrebbe denunciato: «dispongo di una struttura sotto dotata, composta da 80 persone, alcune con le competenze che servono, altre no. Certo, se avessi altre due sedi oltre alla cinque attuali e altri 50 lavoratori competenti, mi sentirei più tranquillo» –:
   se il Governo non ritenga di assumere le dovute iniziative volte a verificare quanto denunciato dal direttore Postiglione in merito all'inadeguatezza e alla non competenza di buona parte della struttura dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, al fine di rendere maggiormente efficace l'attività della stessa Agenzia e soprattutto quella delle forze dell'ordine impegnate nella lotta e nello sradicamento della criminalità organizzata;
   se il Governo condivida quanto dichiarato dal prefetto Postiglione o, contrariamente, se quest'ultimo goda ancora della fiducia da parte del Ministro interpellato e del Governo in merito alla carica di direzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
(2-00860) «Dadone, D'Uva, Nuti, Sarti, Villarosa».


Elementi in ordine al contributo dell'Italia al rafforzamento della Nato Response Force – 2-00846

G)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   durante la riunione dei Ministri della difesa della Nato tenutasi a Bruxelles il 5 febbraio 2015 è stato deciso, nell'ambito della crisi in corso in Ucraina, un forte rafforzamento del dispositivo militare schierato ai confini orientali dell'Alleanza Atlantica;
   tale rafforzamento comprende di portare da 13.000 a ben 30.000 gli effettivi della Nato Response Force (NRF) che sarà guidata a rotazione da Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna, Polonia e Spagna, definite «nazioni framework»;
   i dettagli tecnici per l'ampliamento della Nato Response Force saranno definiti dal Comando Nato di Bruxelles entro il prossimo mese di giugno 2015, mentre la piena operatività della Nato Response Force rafforzata sarà raggiunta dopo il vertice Nato di Varsavia previsto per il giugno 2016;
   tra le misure di rafforzamento della Nato Response Force è stata decisa la creazione di una forza d'intervento rapida capace di essere schierata in sole 48 ore e denominata Very High Readiness Joint Task Force (VJTF);
   la VJTF sarà composta da circa 5.000 militari, incentrata su una brigata composta da 5 battaglioni di manovra e sopportata da forze aeree e navali;
   in caso di crisi maggiori la VJTF potrà essere rafforzata da ulteriori due brigate con capacità di dispiegamento rapido;
   la VJTF sarà una forza multinazionale, ma il suo corpo principale sarà fornito dalla «nazione framework» che in quel momento, in base alla rotazione annuale, avrà il comando della Nato Response Force;
   durante l'anno precedente all'attivazione come VJTF, ciascuna brigata sarà impegnata nella necessaria attività addestrativa e di certificazione, pur rimanendo dispiegabile in caso di necessità; nell'anno successivo alla sua attivazione la brigata resterà in riserva per un eventuale rinforzo della brigata VJTF attiva in quel momento, pur restando impiegabile per altri scopi in caso di necessità;
   la VJTF potrà contare su sei comandi denominati Nato Force Integration Unit (NIUF) che saranno costituiti rispettivamente in Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania e destinati ad «accogliere» la VJTF in caso di attivazione e a gestirne il dispiegamento;
   come spiegato dal Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, i Nato Force Integration Unit «assicureranno che le forze nazionali e NATO, ovunque si trovino, possano agire subito», «essi renderanno ancora più rapidi i dispiegamenti, supporteranno la difesa collettiva e aiuteranno a coordinare l'addestramento e le esercitazioni»;
   i Nato Force Integration Unit saranno costituiti per metà da personale del Paese ospite e per l'altra metà da personale Nato;
   il primo Paese a guidare la VJTF sarà la Spagna nel 2016 e la prima VJTF sarà composta da una brigata spagnola rafforzata da battaglioni di altri Paesi della Nato;
   il comando della prima VJTF sarà assegnato al Nato Rapid Deployable Corps (NRDC) spagnolo di Bétera (Valencia);
   l'Italia assumerà il comando della VJTF nel 2018 e, dunque, dovrebbe impiegare il comando NARDC-IT di Solbiate Olona (Varese) –:
   come si concretizzerà il contributo italiano alla Nato Response Force rinforzata;
   quali componenti delle Forze armate saranno coinvolte nel contributo alla Very High Readiness Joint Task Force (VJTF);
   come sarà finanziato questo nuovo sforzo militare.
(2-00846) «Artini, Pisicchio».


Iniziative volte a garantire un organico idoneo per le scuole superiori di secondo grado della provincia di Bari, anche al fine di assicurare continuità al sostegno degli alunni con disabilità – 2-00828

H)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   al comma 2 dell'articolo 15, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, si pone quale obiettivo quello di assicurare continuità al sostegno degli alunni con disabilità attraverso l'incremento dell'organico di diritto fino alla concorrenza del 90 per cento dell'organico di fatto nel 2014-2015 e del 100 per cento nel 2015-2016, determinato in base ai posti complessivamente attivati nell'anno scolastico 2006-2007 e cioè 90.032 su base nazionale;
   l'organico di fatto attribuito alla provincia di Bari nell'ultimo triennio è stato pari a 2.949, come si evince dalle note dell'ufficio scolastico regionale 11 luglio 2013, n. 4853 e 23 luglio 2014, n. 7899. Tale organico di fatto era costituito da 2387 cattedre in organico di diritto e da 562 cattedre aggiuntive, come risulta dal citato decreto dell'ufficio scolastico regionale della Puglia 23 luglio 2014, n. 7899;
   dei 562 posti aggiuntivi, 542 erano in capo alla scuola secondaria di secondo grado, numero che si ottiene sottraendo dal numero dell'organico di fatto, 983, come da nota 19 luglio 2013 dell'ufficio scolastico provinciale di Bari, il numero delle cattedre in organico di diritto, ovvero 441, come da decreto dell'ufficio scolastico regionale 11 aprile 2014 prot. n. AOODRPU.4089;
   nell'anno scolastico 2013-2014, alla scuola secondaria di secondo grado della provincia di Bari, venivano assegnate 983 cattedre consolidate, di cui 441 di diritto e 542 aggiuntive, mentre agli altri ordini di scuola venivano complessivamente assegnate 1966 cattedre, di cui 1946 in organico di diritto e 20 aggiuntive, con un evidente squilibrio nel riparto nei vari ordini dell'organico di diritto. Di fatto, mentre per la scuola superiore il rapporto, di 441 posti di diritto su 983 posti complessivi dell'organico di fatto, porta al 45 per cento circa di copertura, negli altri ordini si è già raggiunto quasi il 100 per cento, considerando complessivamente il rapporto di 1946 posti di diritto su 1966 di organico di fatto;
   in data 11 aprile 2014 l'ufficio scolastico regionale della Puglia, con proprio decreto n. 4089, ripartiva in questo modo l'incremento dell'organico di diritto attribuito alla provincia di Bari per complessivi 355 posti: 36 alla scuola dell'infanzia, 89 alla primaria, 53 alla secondaria di primo grado ed, infine, 177 alla scuola secondaria di secondo grado, portando i nuovi organici di diritto a 293 cattedre alla scuola dell'infanzia, che con 510 alunni ha un rapporto di un docente per 1,74 alunni (al di sopra della media voluta dalla norma), 1030 cattedre alla primaria per 1785 alunni con un rapporto di un docente per 1,74 alunni, 801 alla secondaria di primo grado per 1404 alunni con un rapporto di un docente per 1,75 alunni, ed infine 618 cattedre alla secondaria superiore per complessivi 1858 alunni con un rapporto di un docente per 3 alunni;
   il provveditore agli studi di Bari con propria nota del 25 luglio 2014, sulla base del citato decreto n. 7899 dell'ufficio scolastico regionale della Puglia, comunicava che le cattedre in organico di fatto delle scuole secondarie superiore non erano più 983, come il precedente anno scolastico, ma 818, tagliando circa 160 cattedre. Una decisione che appare agli interpellanti poco comprensibile se si considera che nella provincia di Bari le iscrizioni degli alunni con disabilità alle scuole secondarie superiori sono aumentate di circa 100 unità, da 1838 (anno scolastico 2013/2014) a 1952 (anno scolastico 2014/2015). Inoltre, il rapporto fra organico di diritto e organico di fatto, pur con la diminuzione di quest'ultimo, non rispetta i parametri imposti dal decreto-legge n. 104 del 2013, visto che si raggiunge la copertura del 75 per cento circa, invece del 90 per cento per l'anno 2014-2015;
   l'ufficio scolastico provinciale di Bari ha convocato il giorno 11, 12 e 15 settembre 2014 i docenti delle aree AD01, AD02, AD03 e AD04 e ha pubblicato in data 10 settembre 2014 le disponibilità delle cattedre per queste aree; da tali disponibilità si evince che le cattedre in prima convocazione risultano essere 223 + 90 spezzoni orari circa, a fronte di numeri ben diversi per l'anno scolastico 2013/2014, ovvero 553 + 81 spezzoni circa in prima convocazione;
   appare chiaro come sarà necessario assegnare ulteriori cattedre per rispettare i rapporti docente/alunni, secondo le normative vigenti, e che queste saranno assegnate con il meccanismo della deroga, creando disagi e ingiustizie, non solo per gli alunni diversamente abili e le loro famiglie, costretti molte volte anche a restare a casa per qualche settimana, ma anche per i docenti precari che dovranno attendere le deroghe per vedere riconosciuto quello che è in realtà un posto consolidato;
   il Tar Puglia, nell'ordinanza n. 42 del 2015, emessa a seguito del ricorso dei docenti, dice con molta chiarezza che «con il contestato modus operandi, l'amministrazione ha in effetti determinato un'artificiosa alterazione dell'ordine di scelta in relazione alle sedi di servizio contemplate negli elenchi di cui si controverte, in palese violazione del criterio meritocratico e con l'effetto aberrante di penalizzare i soggetti collocati in graduatoria in posizione migliore» –:
   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa;
   se non ritenga che si sia verificata una condizione contraria a quanto stabilito dal decreto-legge n. 104 del 2013;
   se non ritenga che questa situazione richieda un intervento immediato per garantire la continuità didattica per gli alunni diversamente abili delle scuole secondarie di secondo grado;
   se non ritenga doveroso intervenire per approfondire e fare luce sulle cause che hanno portato alla riduzione dell'organico di fatto per le scuole superiori di secondo grado della provincia di Bari, a fronte di un aumento della popolazione studentesca.
(2-00828) «Scotto, Fratoianni, Pannarale».