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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 3 dicembre 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 3 dicembre 2014.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Baretta, Bellanova, Mariastella Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonavitacola, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Capezzone, Carbone, Casero, Castiglione, Catania, Cecconi, Centemero, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Colonnese, Costa, D'Uva, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fava, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Galati, Garavini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Mannino, Martelli, Mattiello, Merlo, Meta, Orlando, Palma, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Quartapelle Procopio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scopelliti, Scotto, Sereni, Sisto, Spadoni, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Tidei, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vignaroli, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti, Zaratti, Zolezzi.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Baretta, Bellanova, Mariastella Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonavitacola, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Capezzone, Carbone, Casero, Castiglione, Catania, Cecconi, Centemero, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Colonnese, Costa, D'Uva, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fava, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Garavini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Mannino, Martelli, Mattiello, Merlo, Meta, Orlando, Palma, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Quartapelle Procopio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scopelliti, Scotto, Sereni, Sisto, Spadoni, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Tidei, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vignaroli, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti, Zaratti, Zolezzi.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 2 dicembre 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   RUSSO: «Modifiche alla legge 7 aprile 2014, n. 56, in materia di elezione del sindaco delle città metropolitane» (2761);
   PARENTELA ed altri: «Modifica all'articolo 4 della legge 3 febbraio 2011, n. 4, in materia di indicazione delle sedi degli stabilimenti di produzione e di confezionamento nelle etichette dei prodotti alimentari» (2762).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

  La proposta di legge ANDREA ROMANO ed altri: «Modifiche agli articoli 172, 180 e 180-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, determinazione di requisiti minimi per le imprese di intermediazione e gestione collettiva dei diritti d'autore, nonché delega al Governo per la revisione della disciplina secondo criteri di parità di condizioni tra i soggetti operanti nel settore» (2011) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Boccadutri.

Ritiro di una sottoscrizione a una proposta di legge.

  Il deputato Boccadutri ha comunicato di ritirare la propria sottoscrizione alla proposta di legge:
   COSTANTINO ed altri: «Modifiche alla legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di determinazione del compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi e di repressione delle violazioni del diritto d'autore a fini di lucro nelle reti di comunicazione elettronica, all'articolo 2948 del codice civile, in materia di prescrizione relativa ai proventi del diritto d'autore, nonché alla legge 9 gennaio 2008, n. 2, in materia di funzioni della Società italiana degli autori ed editori» (2203).

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   XII Commissione (Affari sociali):
  BUSTO: «Norme per la tutela e la promozione dell'ambiente e della salute dei cittadini attraverso una scelta alimentare che riduca il consumo di cibi di origine animale, e altre disposizioni per la promozione e diffusione di servizi di ristorazione a ridotto impatto ambientale ed elevato standard di salute» (2377) Parere delle Commissioni I, II, IV, V, VII, VIII, X, XI, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   Commissioni riunite VI (Finanze) e XI (Lavoro):
  GNECCHI ed altri: «Agevolazione tributaria e contributiva per favorire l'accesso dei giovani calciatori all'attività sportiva professionistica» (2688) Parere delle Commissioni I, V, VII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 2 dicembre 2014, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Onorare gli impegni della politica dell'Unione europea in materia di sicurezza alimentare e nutrizionale: prima relazione biennale (COM(2014) 712 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Relazione annuale 2013 sullo strumento per la stabilità (COM(2014) 717 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce, per il 2015, le possibilità di pesca per alcuni stock e gruppi di stock ittici applicabili nel Mar Nero (COM(2014) 719 final), corredata dal relativo allegato (COM(2014) 719 final - Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla XIII Commissione (Agricoltura).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, con comunicazione in data 2 dicembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

  Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Con le medesime comunicazioni, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento:
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti – Analisi annuale della crescita 2015 (COM(2014) 902 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti – Un piano di investimenti per l'Europa (COM(2014) 903 final);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea e al Comitato economico e sociale europeo – Relazione 2015 sul meccanismo di allerta (preparata conformemente agli articoli 3 e 4 del regolamento (UE) n. 1176/2011 sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici) (COM(2014) 904 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Riesame della governance economica – Relazione sull'applicazione dei regolamenti (UE) nn. 1173/2011, 1174/2011, 1175/2011, 1176/2011, 1177/2011, 472/2013 e 473/2013 (COM(2014) 905 final);
   Progetto di relazione comune sull'occupazione della Commissione e del Consiglio che accompagna la comunicazione della Commissione sull'analisi annuale della crescita 2015 (COM(2014) 906 final), corredata dai relativi allegati (COM(2014) 906 final – Annexes 1 to 3).

Annunzio di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri ha trasmesso, in data 2 ottobre e 3 novembre 2014, le seguenti sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea o del tribunale, relative cause in cui la Repubblica italiana è parte o adottate a seguito di domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un'autorità giurisdizionale italiana, che sono inviate, ai sensi dell'articolo 127-bis del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, nonché alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Cause riunite C-308/13P e 309/13/P: Sentenza della Corte (Settima sezione) del 18 settembre 2014. Società Italiana Calzature Spa contro Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI). Impugnazioni ai sensi dell'articolo 56 dello Statuto della Corte. Impugnazioni – Marchi comunitari – Regolamento (CE) n. 40/94 – Registrazione dei marchi figurativi contenenti gli elementi denominativi «Giuseppe Zanotti Design» e «By Giuseppe Zanotti» – Opposizione del titolare dei marchi denominativo e figurativo, comunitario e nazionale, contenenti l'elemento denominativo «Zanotti» – Rigetto dell'opposizione da parte della commissione di ricorso (Doc. LXXXIX, n. 60) – alla X Commissione (Attività produttive);
   Causa C-19/13: Sentenza della Corte (Quinta sezione) dell'11 settembre 2014. Ministero dell'interno contro Fastweb Spa, nei confronti di Telecom Italia Spa. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), dal Consiglio di Stato. Rinvio pregiudiziale – Appalti pubblici – Direttiva 89/665/CEE – Articolo 2-quinquies, paragrafo 4 – Interpretazione e validità – Procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici – Privazione di effetti del contratto – Esclusione (Doc. LXXXIX, n. 61) – alla VIII Commissione (Ambiente);
   Cause riunite da C-184/13 a 187/13, C194/13, C195/13 e C 208/13: Sentenza della Corte (Quinta sezione) del 4 settembre 2014. API – Anonima petroli italiana Spa contro Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dello sviluppo economico (C-184/13), ANCC-Coop – Associazione nazionale cooperative di consumatori e altri contro Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e altri (C-185/13), Air liquide Italia Spa e altri contro Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dello sviluppo economico (C-186/13), Confetra – Confederazione generale italiana dei trasporti e della logistica e altri contro Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Osservatorio sulle attività di trasporto e Ministero dello sviluppo economico (C-187/13), Esso italiana Srl (C-194/13), Confindustria – Confederazione generale dell'industria italiana e altri (C-195/13) e Autorità garante della concorrenza e del mercato (C-208/13) contro Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dello sviluppo economico. Domande di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 del TFUE, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio. Rinvio pregiudiziale – Trasporto su strada – Importo dei costi minimi d'esercizio determinato da un organismo rappresentativo degli operatori interessati – Associazione d'imprese – Restrizione di concorrenza – Obiettivo d'interesse generale – Sicurezza stradale – Proporzionalità (Doc. LXXXIX, n. 62) – alla IX Commissione (Trasporti);
   Causa C-270/13: Sentenza della Corte (Seconda sezione) del 10 settembre 2014. Iraklis Haralambidis contro Calogero Casilli nei confronti di Autorità portuale di Brindisi, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Puglia, provincia di Brindisi, comune di Brindisi, Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Brindisi. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 del TFUE dal Consiglio di Stato. Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione dei lavoratori – Articolo 45, paragrafi 1 e 4, del TFUE – Nozione di lavoratore – Impieghi nella pubblica amministrazione – Carica di presidente di un'autorità portuale – Partecipazione all'esercizio dei pubblici poteri – Requisito della nazionalità (Doc. LXXXIX, n. 63) – alla IX Commissione (Trasporti);
   Causa C-221/13: Sentenza della Corte (Terza sezione) del 15 ottobre 2014. Teresa Mascellani contro Ministero della giustizia. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 del TFUE, dal tribunale ordinario di Trento. Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 97/81/CE – Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES – Trasformazione di un contratto di lavoro a tempo parziale in uno a tempo pieno senza il consenso del lavoratore (Doc. LXXXIX, n. 64) – alla XI Commissione (Lavoro);
   Causa C-323/13: Sentenza della Corte (Sesta sezione) del 15 ottobre 2014. Commissione europea contro Repubblica italiana. Ricorso per inadempimento, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE. Inadempimento di uno Stato – Ambiente – Direttive 1999/31/CE e 2008/98/CE – Piano di gestione – Rete adeguata e integrata di impianti di smaltimento – Obbligo di istituire un trattamento dei rifiuti che assicuri il miglior risultato per la salute umana e la protezione dell'ambiente (Doc. LXXXIX, n. 65) – alla VIII Commissione (Ambiente);
   Cause riunite C-344/13 e C 367/13: Sentenza della Corte (Terza sezione) del 22 ottobre 2014. Cristiano Blanco (C-344/13) e Pier Paolo Fabretti (C-367/13) contro Agenzia delle entrate – Direzione provinciale I di Roma – Ufficio Controlli. Domande di pronuncia pregiudiziale proposte ai sensi dell'articolo 267 del TFUE dalla Commissione tributaria provinciale di Roma. Rinvio pregiudiziale – Libera prestazione dei servizi – Restrizioni – Normativa tributaria – Redditi costituiti da vincite da giochi d'azzardo – Differenza di imposizione tra le vincite ottenute all'estero e quelle provenienti da case da gioco nazionali (Doc. LXXXIX, n. 66) – alla VI Commissione (Finanze);
   Causa C-428/13: Sentenza della Corte (Quinta sezione) del 9 ottobre 2014. Ministero dell'economia e delle finanze e Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato contro Yesmoke Tobacco Spa. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 del TFUE, dal Consiglio di Stato. Rinvio pregiudiziale – Disposizioni tributarie – Armonizzazione delle legislazioni – Direttive 95/59/CE e 2011/64/UE – Struttura e aliquote dell'accisa applicata al tabacco lavorato – Determinazione di un'accisa – Principio che stabilisce un'aliquota d'accisa per tutte le sigarette – Facoltà degli Stati membri di stabilire un'accisa minima – Sigarette della classe di prezzo meno elevata – Normativa nazionale – Categoria specifica di sigarette – Fissazione dell'accisa nella misura del 115 per cento (Doc. LXXXIX, n. 67) – alla VI Commissione (Finanze);
   Causa T-256/13: Sentenza del tribunale (Nona sezione) del 1o ottobre 2014. Repubblica italiana contro Commissione europea. Domanda intesa ad ottenere, in primo luogo, l'annullamento della lettera della Commissione Ares (2013) 237719, del 22 febbraio 2013, indirizzata all'Agenzia nazionale per i giovani (Italia), che annuncia l'emissione di una nota di addebito per un ammontare complessivo di 1.486.485,90 euro, nella parte in cui tale ammontare comprende 52.036,24 euro per spese sostenute a titolo di attività di formazione concernenti il Servizio volontario europeo e 183.729,72 euro per somme non recuperate dalla suddetta Agenzia presso i beneficiari finali per quanto riguarda il periodo 2000-2004, e, in secondo luogo, l'annullamento della lettera della Commissione Ares (2013) 267064, del 28 febbraio 2013, indirizzata al Dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale (Italia), che comunica le conclusioni in merito alla valutazione finale della dichiarazione di affidabilità e alla relazione annuale della suddetta Agenzia per l'anno 2011. Politica sociale – Programmi di azione comunitaria nel settore della gioventù – Rimborso parziale del finanziamento versato – Non finanziabilità di alcune spese – Superamento del massimale previsto per una categoria di azioni – Attuazione, da parte delle agenzie nazionali, delle procedure di recupero delle somme indebitamente utilizzate nei confronti dei beneficiari finali (Doc. LXXXIX, n. 68) – alla XII Commissione (Affari sociali);
   Causa T-268/13: Sentenza del tribunale (Quarta sezione) del 21 ottobre 2014. Repubblica italiana contro Commissione europea. Domanda di annullamento della decisione C(2013) 1264 final della Commissione, del 7 marzo 2013, che impone alla Repubblica italiana di versare sul conto «Risorse proprie dell'Unione europea» l'importo di 16.533.000 euro a titolo di penalità. Mancata esecuzione di una sentenza della Corte che accerta l'inadempimento di uno Stato – Penalità – Decisione di liquidazione della penalità – Obbligo di recupero – Imprese oggetto di procedure fallimentari – Oggetto delle procedure fallimentari in questione – Necessaria diligenza – Onere della prova (Doc. LXXXIX, n. 69) – alla X Commissione (Attività produttive);
   Causa T-291/11: Sentenza del tribunale (Ottava sezione) del 16 ottobre 2014. Portovesme Srl contro Commissione europea. Domanda di annullamento totale, o parziale «per la parte ritenuta di ragione», della decisione 2011/746/UE della Commissione, del 23 febbraio 2011, relativa agli aiuti di Stato C 38/B/04 (ex NN 58/04) e C 13/06 (ex N 587/05) cui l'Italia ha dato esecuzione a favore di Portovesme Srl, ILA Spa, Eurallumina Spa e Syndial Spa, e, in via subordinata, domanda di annullamento di detta decisione nella parte in cui essa dispone la restituzione degli aiuti in questione. Aiuti di Stato – Elettricità – Tariffa agevolata – Decisione che dichiara l'aiuto incompatibile con il mercato interno – Nozione di aiuto di Stato – Aiuto nuovo – Parità di trattamento – Durata ragionevole (Doc. LXXXIX, n. 70) – alla X Commissione (Attività produttive);
   Causa T-177/10: Sentenza del tribunale (Ottava sezione) del 16 ottobre 2014. Alcoa Trasformazioni Srl sostenuta da Repubblica italiana contro Commissione europea. Domanda di annullamento della decisione 2010/460/CE della Commissione, del 19 novembre 2009, relativa agli aiuti di Stato C 38/A/04 (ex NN 58/04) e C 36/B/06 (ex NN 38/06), cui l'Italia ha dato esecuzione a favore di Alcoa Trasformazioni. Aiuti di Stato - Elettricità – Tariffa agevolata – Decisione che dichiara l'aiuto incompatibile con il mercato comune e ne ordina il recupero – Vantaggio – Obbligo di motivazione – Importo dell'aiuto – Aiuto nuovo (Doc. LXXXIX, n. 71) – alla X Commissione (Attività produttive).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI PAOLO NICOLÒ ROMANO ED ALTRI N. 1-00515, DORINA BIANCHI ED ALTRI N. 1-00657, CAPARINI ED ALTRI N. 1-00658, BERGAMINI E PALESE N. 1-00663, QUARANTA ED ALTRI N. 1-00664, BRUNO BOSSIO ED ALTRI N. 1-00678, GALGANO ED ALTRI N. 1-00681 E RAMPELLI E TOTARO N. 1-00682 CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE ALLA SEPARAZIONE SOCIETARIA DELLA INFRASTRUTTURA DELLA RETE DI TELECOMUNICAZIONE E ALLA DEFINIZIONE DEL RELATIVO MODELLO DI GOVERNANCE

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    nell'ultimo decennio l'uso di Internet ha raggiunto dimensioni tali che la disponibilità di connessioni veloci e superveloci per un Paese è ormai una precondizione essenziale per la sua crescita economica e sociale. Numerosi sono gli studi di autorevoli istituzioni internazionali (Ocse, Broadband and the Economy – Banca mondiale, Economic impact of Broadband – Unesco, The State of Broadband 2012) che evidenziano come gli investimenti in banda larga abbiano effetti diretti e indiretti sulla crescita complessiva dei sistemi sociali, sull'efficienza delle imprese, sull'aumento della produttività, dell'innovazione tecnologica e dell'occupazione. La Banca mondiale quantifica che una variazione di 10 punti percentuali della penetrazione della banda larga possa generare una crescita del prodotto interno lordo dei Paesi sviluppati dell'1,2 per cento. In virtù di queste considerazioni, la Commissione europea, nell'ambito dell'Agenda digitale, ha fissato una serie di target per stimolare i Paesi membri alla realizzazione di nuove infrastrutture di telecomunicazione, ponendo l'obiettivo di conseguire entro il 2020 una copertura totale della connessione a 30 megabit al secondo e di 100 megabit al secondo per almeno il 50 per cento della popolazione;
    anche in Italia numerosi sono gli studi volti a misurare l'impatto economico degli investimenti nella banda larga e ultra larga. Una ricerca dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), l'Authority preposta ad assicurare la corretta competizione degli operatori nel mercato delle telecomunicazioni e a tutelare il pluralismo informativo e le libertà fondamentali dei cittadini nell'accesso alla conoscenza e alla comunicazione, evidenzia chiaramente che, se la banda larga arrivasse al 60 per cento delle famiglie e al 90 per cento delle imprese, il potenziale per l'economia italiana sarebbe di un aumento del prodotto interno lordo dell'1,2 per cento, nella peggiore delle ipotesi, e del 12,2 per cento nella migliore;
    a fronte di tali importanti dati, che avrebbero di molto migliorato le capacità di risposta del nostro Paese alla crisi economica, la realizzazione di reti di accesso a Internet ad alta velocità risulta allo stato attuale insoddisfacente. Come dimostra lo scoreboard sui progressi dell'Agenda digitale europea dedicato all'Italia, il nostro Paese vede una copertura della rete Next generation access network (Ngan), con velocità di connessione di almeno 30 megabit al secondo, pari al 14 per cento delle abitazioni contro una media europea del 53,8 per cento, mentre la penetrazione della fibra ultraveloce (ad almeno 100 megabit al secondo) appare del tutto marginale. Secondo dati dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la penetrazione della banda larga in Italia, a fine 2013, constava di meno di 14 milioni di collegamenti su rete fissa e di 38 milioni di cellulari con accesso ad Internet. Dati questi che, pur indicando una crescita, rispetto all'ultimo anno, sono comunque tali da non modificare significativamente il ritardo digitale del nostro Paese, il cui dato più emblematico è quel 45 per cento di popolazione che ancora non usa Internet, anche perché milioni di unità abitative e produttive sono ancora senza nessuna copertura. La situazione, inoltre, si presenta critica anche laddove le unità abitative e produttive sono raggiunte da connessione in quanto la sua qualità è la peggiore in Europa. Secondo il rapporto Akamai sullo stato di Internet 2013, infatti l'Italia compare al 48o posto al mondo per velocità della connessione, ultima nella graduatoria europea poiché anche Cipro e Grecia la superano;
    il ritardo della copertura della rete infrastrutturale di telecomunicazioni nazionale, rispetto agli altri partner europei, è stata fotografata anche nel recente rapporto Caio, il team di esperti istituito dal precedente Governo Letta per fare luce sullo stato degli investimenti nella rete nazionale. Dal rapporto «Raggiungere gli obiettivi Europei 2020 della banda larga in Italia: prospettive e sfide», presentato il 30 gennaio 2014, si sostiene esplicitamente che l'obiettivo della totale copertura della rete con velocità a 30 megabit al secondo entro il 2020 è di impossibile realizzazione per una parte rilevante del Paese e, pertanto, si auspica nelle conclusioni un ruolo attivo, vigile e continuo del Governo e quindi dello Stato al fine del conseguimento degli obiettivi Digital Agenda Europe 2020 che altrimenti, date le condizioni date, rimarrebbero a rischio;
    da questi dati si evince chiaramente come la causa principale della difficoltà del nostro Paese ad uscire dalla crisi economica è imputabile prioritariamente all'inadeguatezza dell'infrastruttura di rete nazionale e questo è paradossale considerando che l'Italia è stata per anni all'avanguardia nel mondo delle telecomunicazioni. Infatti, Telecom Italia prima della privatizzazione era la più importante società di telecomunicazioni del mondo. Con 120.000 dipendenti solo in Italia, contava 30 partecipate estere, disponeva di un ingente ed innovativo patrimonio tecnologico e di know how tale da essere stata la prima a portare sul mercato le carte prepagate e, se non fosse stata privatizzata, la prima a portare la fibra ottica in 20 milioni di abitazioni (progetto «Socrate»). Il suo debito, 20 per cento del fatturato, era assolutamente trascurabile;
    con la privatizzazione avviata dal 1997 dal Governo Prodi ad oggi, Telecom Italia è stata oggetto secondo i firmatari del presente atto di indirizzo della più colossale truffa finanziaria che sia mai stata realizzata nel nostro Paese. Progressivamente depauperata delle proprie risorse umane, finanziarie e strumentali, per ripianare i cospicui debiti serviti per le sue scalate, il gruppo si è trovato nella totale impossibilità di far fronte agli investimenti necessari a colmare il digital divide del nostro Paese e di ammodernare le reti esistenti. Secondo stime di Asati, l'associazione dei piccoli azionisti di Telecom Italia, la privatizzazione è costata direttamente alla compagnia di bandiera 26 miliardi di euro, 70.000 posti di lavoro e la svendita del suo immenso patrimonio tecnologico ed immobiliare e, indirettamente, all'intero sistema Paese per gli inquantificabili costi economici e sociali per l'inadeguatezza della sua infrastruttura;
    attualmente Telecom Italia, oltre ad avere un indebitamento netto pari a circa 28 miliardi di euro e un lordo di 36 miliardi di euro, opera in un mercato domestico caratterizzato da una congiuntura economica negativa e su una rete obsoleta che necessita di urgenti interventi di ammodernamento;
    Internet è uno strumento indispensabile per la libertà di espressione dei cittadini e per l'accesso alle informazioni, all'istruzione, alla formazione, ai servizi sanitari, al turismo ed alla cultura. Ma è un fattore ancor più importante ai fini dello sviluppo e della crescita economica delle imprese poiché la quasi totalità della nostra economia si fonda sulla presenza in rete;
    gli investimenti finora assicurati da Telecom Italia si sono dimostrati insufficienti per garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti dall'Agenda digitale europea e la situazione di forte indebitamento del gruppo non fa presagire un rapido incremento degli stessi tali da garantire l'accesso alla rete a condizioni almeno pari a quelle assicurate negli altri Paesi comunitari. Non solo, la presenza nel board di Telefonica, la compagnia telefonica iberica diretta concorrente sui mercati internazionali di Telecom Italia, è un ulteriore dimostrazione dell'incapacità dell'attuale assetto societario di garantire non solo politiche industriali efficaci ma anche la stessa sicurezza della rete e delle informazioni che vi transitano. Le strategie commerciali di Telefonica sono antitetiche a quelle di Telecom Italia che detiene un asset fondamentale come Tim Brazil, di cui gli spagnoli vogliono liberarsi così come hanno già fatto con Telecom Argentina;
    per ragioni economiche e di sicurezza nazionale occorre agire immediatamente per un ritorno dell'infrastruttura nazionale di telecomunicazione in mano pubblica, attraverso lo scorporo ovvero la separazione societaria della rete, in modo da garantire l’equivalence of input sulla parità di trattamento di tutti gli operatori del mercato, attualmente di difficile realizzazione come ha attestato la recente sentenza del Tar del Lazio 8 maggio 2014, n. 4801, che ha confermato la condanna di Telecom Italia per abuso di posizione dominante, e gli investimenti necessari a raggiungere gli obiettivi dell'Agenda digitale;
    lo scorporo ovvero la separazione societaria della rete non contrasta con la Costituzione e la normativa nazionale ed europea. Non contrasta in primis con l'articolo 41 della Costituzione che pur stabilendo che «l'iniziativa economica privata è libera» questa non «può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.». Principio di utilità sociale rafforzato dall'articolo 43 della Costituzione che stabilisce che: «ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.». La rete di telecomunicazioni nazionale, che possiede caratteristiche di monopolio naturale, è una risorsa strategica per il nostro Paese, poiché garantisce quei servizi pubblici essenziali e di preminente interesse generale, quali la libertà di comunicazione, l'accesso alla conoscenza, la competitività e la crescita economica delle imprese, che sono costituzionalmente sanciti;
    anche in ambito comunitario non si evincono preclusioni alla separazione e rinazionalizzazione ex lege dell'infrastruttura di rete, in quanto l'articolo 36 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce la tutela e il rispetto dell'accesso ai servizi di interesse economico generale, la cui individuazione rinvia alle legislazioni e prassi nazionali. Inoltre, nell'ambito dei servizi di interesse economico generale, l'articolo 14 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 16 del Trattato che istituisce la Comunità europea) limita la regola della concorrenza preservando aree di intervento in via esclusiva dei poteri pubblici attraverso strumenti normativi anche necessari ed urgenti come i decreti-legge. L'articolo 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 86, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea) invece sancisce che i servizi d'interesse generale sono sottoposti «alle norme di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata» mentre la neutralità rispetto al regime di proprietà, pubblica o privata, delle imprese è sancito dall'articolo 345 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 295 del trattato che istituisce la Comunità europea);
    la normativa nazionale prevede l'adozione da parte dello Stato di poteri speciali (cosiddetti golden power) stabiliti con decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56 del 2012, recante «norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni», esercitabili dal Governo. Con riferimento a tali ultimi settori i poteri speciali esercitabili, emanati recentemente dal Governo con i decreti attuativi pubblicati nella Gazzetta Ufficiale 6 giugno 2014, consistono nella possibilità di far valere il veto dell'Esecutivo alle delibere, agli atti e alle operazioni concernenti asset strategici, qualora essi diano luogo a minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti, ivi compresi le reti e gli impianti necessari ad assicurare l'approvvigionamento minimo e l'operatività dei servizi pubblici essenziali;
    inoltre, esiste anche la possibilità per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di procedere ai sensi dell'articolo 50-bis del codice delle comunicazioni elettroniche, decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, alla separazione funzionale involontaria, imponendo alle imprese verticalmente integrate, nel caso specifico Telecom Italia, la collocazione delle attività relative alla fornitura all'ingrosso di prodotti di accesso in un'entità commerciale operante in modo indipendente, questo se è dimostrata l'incapacità della stessa di garantire un'efficace concorrenza oppure una fornitura all'ingrosso di detti prodotti di accesso;
    la separazione societaria della rete di accesso, oltre che rafforzare l'assetto concorrenziale del mercato a vantaggio dei cittadini, appare una precondizione per consentire l'ingresso di nuovi capitali nella costituenda società in grado di sostenere gli investimenti necessari per l'ammodernamento della rete ed il passaggio alla fibra ottica in linea con gli obiettivi fissati nell'Agenda digitale europea,

impegna il Governo:

   a provvedere, anche ricorrendo ad iniziative normative d'urgenza, al necessario e urgente scorporo, ovvero alla separazione societaria della infrastruttura della rete di telecomunicazione, intendendo con esso il perimetro delle attività e delle risorse relative allo sviluppo e alla gestione della rete di accesso, sia in rame sia in fibra, mediante la costituzione di una società della rete a maggioranza pubblica;
   a consentire nella nuova società l'ingresso anche di privati, in primis gli other licensed operator, favorendo un modello di governance di tipo public company in cui oltre a detenere la maggioranza di capitale pubblico sia garantita un'adeguata rappresentanza nel consiglio di amministrazione di dipendenti e azionisti di minoranza;
   ad assicurare la presentazione di un piano industriale indirizzato ad un più rapido sviluppo delle reti in fibra di nuova generazione, coerentemente con gli obiettivi posti dall'Agenda digitale europea, anche attraverso l'integrazione degli assetti in fibra ottica e rame già di proprietà di enti locali, enti governativi e partecipate e sostenendo la piena tutela e valorizzazione dell'occupazione e del patrimonio di conoscenze e competenze di Telecom Italia;
   a procedere alla riforma dell'istituto dell'offerta pubblica di acquisto, in linea con gli impegni contenuti nella mozione approvata dal Senato della Repubblica il 17 ottobre 2013 e mai attuata, modificando il Testo unico della finanza, in modo da rafforzare i poteri di controllo della Consob nell'accertamento dell'esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, e ad aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, oltre la quale è già prevista per legge l'offerta pubblica di acquisto obbligatoria, una seconda soglia, legata all'accertata situazione di controllo di fatto.
(1-00515) «Paolo Nicolò Romano, Nicola Bianchi, De Lorenzis, Dell'Orco, Cristian Iannuzzi, Liuzzi, Spessotto, Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spadoni, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».


   La Camera,
   premesso che:
    le telecomunicazioni sono un tema di grande attualità e costituiscono un settore strategico per lo sviluppo economico del nostro Paese, provvedendo a dare un contributo sia diretto, (tramite investimenti ed occupazione), che indiretto (promuovendo una società più moderna), stimolando l'innovazione, aumentando la produttività delle imprese e della pubblica amministrazione e contribuendo, altresì, alla sostenibilità ambientale;
    il settore delle telecomunicazioni rappresenta, pertanto, per il nostro Paese, un importante obiettivo di sviluppo che può realizzarsi attraverso il superamento degli ostacoli e dei ritardi strutturali che attualmente caratterizzano la diffusione delle nuove reti di comunicazioni. Queste ultime, infatti, costituiscono un asset strategico per la sicurezza, la crescita e la competitività dell'intero sistema Paese;
    disporre, pertanto, di infrastrutture di telecomunicazione moderne di nuova generazione a banda ultralarga, mobili e fisse, diventa essenziale per l'Italia e merita di essere al centro della politica industriale del Governo;
    gli investimenti in questo settore, infatti, hanno rappresentato negli ultimi venti anni il più importante fattore di crescita, determinando fino allo 0,6 per cento dell'aumento del prodotto interno lordo dei Paesi più avanzati;
    il mercato delle telecomunicazioni è stato caratterizzato da una progressiva apertura alla concorrenza rispetto al quadro normativo di riferimento che è di derivazione comunitaria, da un lato, e discende dall'attività di regolazione dell'Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, dall'altro. Gli assetti del mercato sono mutati profondamente: infatti, all'operatore storico in posizione di monopolio si è affiancata una pluralità di attori operanti soprattutto nell'ambito della telefonia mobile e si è assistito all'affermazione di nuovi servizi a banda larga per la rete fissa e per le reti mobili della nuova generazione, senza che ciò intaccasse la posizione dominante dell’ operatore ex monopolista nel comparto delle comunicazioni fisse;
    nella telefonia mobile, la realizzazione delle infrastrutture di nuova generazione è nella sostanza garantita dalla competizione presente tra i quattro operatori infrastrutturati (Vodafone, Telecom, Wind e 3). Le nuove infrastrutture consentiranno anche al Paese di chiudere il digital divide, portando la banda larga ovunque sul territorio con tecnologia senza fili. Gli investimenti privati possono essere agevolati attraverso interventi di incentivo e di semplificazione amministrativa e normativa;
    nella telefonia fissa, la realizzazione di un'infrastruttura di nuova generazione in fibra, necessaria nelle principali città e nei distretti industriali, rappresenta una sfida più complessa perché la rete di accesso è un monopolio naturale, ancora di più in Italia dove manca anche la competizione dell'infrastruttura via cavo televisivo. All'operatore privato proprietario dell'attuale rete di accesso in rame (Telecom Italia) manca, dunque, lo stimolo competitivo e l'interesse economico a realizzare gli investimenti di modernizzazione della fibra nei tempi e nelle modalità che invece servirebbero al Paese per il suo sviluppo complessivo;
    è evidente il forte squilibrio concorrenziale nel mercato della rete fissa, certificato anche da una recente sanzione comminata dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato all'operatore Telecom Italia, per oltre 103 milioni di euro per comportamenti anticoncorrenziali;
    il mercato della rete fissa in Italia si trova in una situazione anomala, trattandosi sostanzialmente di un monopolio infrastrutturale in cui manca una rete alternativa che ha fortemente limitato lo sviluppo della stessa rete fissa in Italia. Il 99 per cento delle linee di accesso a tale rete è tuttora controllato da Telecom Italia, contro il 77 per cento della media dei Paesi dell'Unione europea. Telecom Italia è monopolista nella generazione di cassa dell'industria della rete fissa (con una quota del 100 per cento) negli ultimi cinque anni ed è l’incumbent con la quota di mercato della rete fissa più alta in Europa;
    alcuni organi di informazione hanno riportato la notizia secondo la quale si potrebbe verificare un'eventuale acquisizione di Metroweb spa da parte di Telecom Italia: questa ipotesi rappresenterebbe una limitazione della concorrenza e un potenziale ostacolo allo sviluppo delle reti di accesso di ultima generazione (Ngan) in Italia, perché si verrebbero a creare un nuovo monopolio infrastrutturale sulla fibra e la possibile preclusione all'accesso Ngan per gli operatori alternativi (olo) con forti impatti sulle dinamiche competitive;
    alcuni degli operatori privati di telecomunicazioni fisse stanno accelerando gli investimenti necessari per la realizzazione di una moderna rete in fibra, ma, come divulgato da un recente studio dell'ex commissario per l'Agenda digitale, tali investimenti non saranno sufficienti per raggiungere gli obiettivi della Digital agenda 2020 ed il Paese si troverebbe presto in una situazione di profondo divario tra uno scarso 50 per cento della popolazione che godrebbe di perfomance di rete in linea con tali obiettivi e la rimanente popolazione;
    la realizzazione di una nuova infrastruttura di rete di accesso in fibra ottica costituirebbe, quindi, direttamente un volano di sviluppo del settore delle telecomunicazioni e del settore delle costruzioni con molte imprese locali che si occuperebbero della realizzazione degli scavi e delle infrastrutture civili, con benefici economici e occupazionali immediati su tutto il territorio;
    lo sviluppo di un progetto di tale portata può avvenire solo con un'iniziativa di cooperazione e coinvestimento finalizzata alla realizzazione e alla gestione della nuova infrastruttura in fibra, poi affittata in modo neutrale agli operatori che realizzeranno i servizi per famiglie e imprese in concorrenza tra loro. In tale società potranno essere coinvolti investitori finanziari specializzati, a partire, ad esempio, dalla Cassa depositi e prestiti, a condizioni di ritorno economico di mercato simili a quelle delle altre grandi infrastrutture. Tale approccio rappresenta il miglior bilanciamento per promuovere, al contempo, investimenti su infrastrutture e sviluppo della concorrenza a beneficio del Paese;
    l'iniziativa potrebbe essere concretamente realizzata partendo da Metroweb SpA che ha il potenziale per diventare la piattaforma dalla quale sviluppare un'infrastruttura in fibra necessaria allo sviluppo del Paese (moderna, aperta alla concorrenza e neutrale rispetto agli operatori di telecomunicazioni), che assicuri la concorrenza e massimizzi l'adozione del servizio, con pari partecipazione degli operatori, al fine di aggregare la domanda di banda ultralarga rendendo l'investimento Ngan sostenibile;
    la creazione di una società della rete e controllo pubblico e governance indipendente costituirebbe la soluzione più efficiente ed efficace dal punto di vista di sistema per lo sviluppo Ngan, anche alla luce degli obiettivi dell'Agenda digitale europea,

impegna il Governo

a sostenere il progetto di costituzione di una nuova infrastruttura in fibra attraverso una società in cui potranno essere coinvolti investitori finanziari specializzati, a partire, ad esempio, dalla Cassa depositi e prestiti.
(1-00657) «Dorina Bianchi, Garofalo, Minardo, Calabrò, Pagano, Piso, Sammarco, Scopelliti».


   La Camera,
   premesso che:
    le telecomunicazioni sono un tema di grande attualità e costituiscono un settore strategico per lo sviluppo economico del nostro Paese, provvedendo a dare un contributo sia diretto, (tramite investimenti ed occupazione), che indiretto (promuovendo una società più moderna), stimolando l'innovazione, aumentando la produttività delle imprese e della pubblica amministrazione e contribuendo, altresì, alla sostenibilità ambientale;
    il settore delle telecomunicazioni rappresenta, pertanto, per il nostro Paese, un importante obiettivo di sviluppo che può realizzarsi attraverso il superamento degli ostacoli e dei ritardi strutturali che attualmente caratterizzano la diffusione delle nuove reti di comunicazioni. Queste ultime, infatti, costituiscono un asset strategico per la sicurezza, la crescita e la competitività dell'intero sistema Paese;
    disporre, pertanto, di infrastrutture di telecomunicazione moderne di nuova generazione a banda ultralarga, mobili e fisse, diventa essenziale per l'Italia e merita di essere al centro della politica industriale del Governo;
    gli investimenti in questo settore, infatti, hanno rappresentato negli ultimi venti anni il più importante fattore di crescita, determinando fino allo 0,6 per cento dell'aumento del prodotto interno lordo dei Paesi più avanzati;
    il mercato delle telecomunicazioni è stato caratterizzato da una progressiva apertura alla concorrenza rispetto al quadro normativo di riferimento che è di derivazione comunitaria, da un lato, e discende dall'attività di regolazione dell'Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, dall'altro. Gli assetti del mercato sono mutati profondamente: infatti, all'operatore storico in posizione di monopolio si è affiancata una pluralità di attori operanti soprattutto nell'ambito della telefonia mobile e si è assistito all'affermazione di nuovi servizi a banda larga per la rete fissa e per le reti mobili della nuova generazione, senza che ciò intaccasse la posizione dominante dell’ operatore ex monopolista nel comparto delle comunicazioni fisse;
    nella telefonia mobile, la realizzazione delle infrastrutture di nuova generazione è nella sostanza garantita dalla competizione presente tra i quattro operatori infrastrutturati (Vodafone, Telecom, Wind e 3). Le nuove infrastrutture consentiranno anche al Paese di chiudere il digital divide, portando la banda larga ovunque sul territorio con tecnologia senza fili. Gli investimenti privati possono essere agevolati attraverso interventi di incentivo e di semplificazione amministrativa e normativa;
    nella telefonia fissa, la realizzazione di un'infrastruttura di nuova generazione in fibra, necessaria nelle principali città e nei distretti industriali, rappresenta una sfida più complessa perché la rete di accesso è un monopolio naturale, ancora di più in Italia dove manca anche la competizione dell'infrastruttura via cavo televisivo. All'operatore privato proprietario dell'attuale rete di accesso in rame (Telecom Italia) manca, dunque, lo stimolo competitivo e l'interesse economico a realizzare gli investimenti di modernizzazione della fibra nei tempi e nelle modalità che invece servirebbero al Paese per il suo sviluppo complessivo;
    è evidente il forte squilibrio concorrenziale nel mercato della rete fissa, certificato anche da una recente sanzione comminata dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato all'operatore Telecom Italia, per oltre 103 milioni di euro per comportamenti anticoncorrenziali;
    il mercato della rete fissa in Italia si trova in una situazione anomala, trattandosi sostanzialmente di un monopolio infrastrutturale in cui manca una rete alternativa che ha fortemente limitato lo sviluppo della stessa rete fissa in Italia. Il 99 per cento delle linee di accesso a tale rete è tuttora controllato da Telecom Italia, contro il 77 per cento della media dei Paesi dell'Unione europea. Telecom Italia è monopolista nella generazione di cassa dell'industria della rete fissa (con una quota del 100 per cento) negli ultimi cinque anni ed è l’incumbent con la quota di mercato della rete fissa più alta in Europa;
    alcuni organi di informazione hanno riportato la notizia secondo la quale si potrebbe verificare un'eventuale acquisizione di Metroweb spa da parte di Telecom Italia: questa ipotesi rappresenterebbe una limitazione della concorrenza e un potenziale ostacolo allo sviluppo delle reti di accesso di ultima generazione (Ngan) in Italia, perché si verrebbero a creare un nuovo monopolio infrastrutturale sulla fibra e la possibile preclusione all'accesso Ngan per gli operatori alternativi (olo) con forti impatti sulle dinamiche competitive;
    alcuni degli operatori privati di telecomunicazioni fisse stanno accelerando gli investimenti necessari per la realizzazione di una moderna rete in fibra, ma, come divulgato da un recente studio dell'ex commissario per l'Agenda digitale, tali investimenti non saranno sufficienti per raggiungere gli obiettivi della Digital agenda 2020 ed il Paese si troverebbe presto in una situazione di profondo divario tra uno scarso 50 per cento della popolazione che godrebbe di perfomance di rete in linea con tali obiettivi e la rimanente popolazione;
    la realizzazione di una nuova infrastruttura di rete di accesso in fibra ottica costituirebbe, quindi, direttamente un volano di sviluppo del settore delle telecomunicazioni e del settore delle costruzioni con molte imprese locali che si occuperebbero della realizzazione degli scavi e delle infrastrutture civili, con benefici economici e occupazionali immediati su tutto il territorio;
    lo sviluppo di un progetto di tale portata può avvenire solo con un'iniziativa di cooperazione e coinvestimento finalizzata alla realizzazione e alla gestione della nuova infrastruttura in fibra, poi affittata in modo neutrale agli operatori che realizzeranno i servizi per famiglie e imprese in concorrenza tra loro. In tale società potranno essere coinvolti investitori finanziari specializzati, a partire, ad esempio, dalla Cassa depositi e prestiti, a condizioni di ritorno economico di mercato simili a quelle delle altre grandi infrastrutture. Tale approccio rappresenta il miglior bilanciamento per promuovere, al contempo, investimenti su infrastrutture e sviluppo della concorrenza a beneficio del Paese;
    l'iniziativa potrebbe essere concretamente realizzata partendo da Metroweb SpA che ha il potenziale per diventare la piattaforma dalla quale sviluppare un'infrastruttura in fibra necessaria allo sviluppo del Paese (moderna, aperta alla concorrenza e neutrale rispetto agli operatori di telecomunicazioni), che assicuri la concorrenza e massimizzi l'adozione del servizio, con pari partecipazione degli operatori, al fine di aggregare la domanda di banda ultralarga rendendo l'investimento Ngan sostenibile;
    la creazione di una società della rete e controllo pubblico e governance indipendente costituirebbe la soluzione più efficiente ed efficace dal punto di vista di sistema per lo sviluppo Ngan, anche alla luce degli obiettivi dell'Agenda digitale europea,

impegna il Governo

a sostenere gli investimenti sulle infrastrutture di banda larga e ultralarga, anche valutando l'opportunità di favorire un maggiore impegno di Cassa depositi e prestiti.
(1-00657)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Dorina Bianchi, Garofalo, Minardo, Calabrò, Pagano, Piso, Sammarco, Scopelliti».


   La Camera,
   premesso che:
    in questi anni, uno dei settori che ha generato più valore nelle economie avanzate è l'economia di Internet. Per la prima volta nella storia economica mondiale la prima azienda per capitalizzazione è un'azienda che ha come principale fattore di produzione la conoscenza. I campi d'azione sono molteplici: dai sistemi di pagamento ai servizi postali, dall'educazione ai lavori pubblici, dalla sanità al fisco;
    sviluppare appieno le potenzialità di Internet e delle nuove tecnologie vuol dire creare centinaia di migliaia di posti di lavoro ad alto valore aggiunto e, al contempo, consentire allo straordinario patrimonio rappresentato dalle piccole e medie imprese italiane di essere più competitive e generare nuova ricchezza;
    l'obiettivo non può essere solo quello basilare di garantire a tutti i cittadini l'accesso alla rete, ma anche e soprattutto di porre «realmente» gli individui nelle condizioni di sfruttare appieno il potenziale espressivo, formativo, creativo e lavorativo fornito dalle nuove tecnologie. Solo così il nostro Paese può recuperare il ruolo storico come esempio di imprenditorialità e leadership nella produzione di ricerca, sapere e innovazione e solo così è pensabile generare un tessuto economico e sociale capace di valorizzare il talento, il merito e la competenza con maggiore equità nelle opportunità e nei diritti;
    l'affermarsi della digital and network economic rende improcrastinabili le trasformazioni radicali dei modelli di sviluppo dove cultura, conoscenza e spirito innovativo sono i volani che proiettano nel futuro: a livello globale la «internet economy» supera i 10.000 miliardi di dollari (presentazione National strategy for trusted identities in cyberspace – Nstic);
    in Italia, le conseguenze di un mancato serio intervento in questo settore si riflettono, sia per i cittadini che per le aziende, sugli indici di digitalizzazione che si attestano su posizioni di retrovia: i dati di alfabetizzazione informatica, di copertura di rete fissa e di sviluppo dei servizi on-line, sia sotto il profilo di utilizzo da parte dei consumatori che delle imprese, sono nettamente al di sotto della media europea. Non a caso il peso di Internet nel prodotto interno lordo italiano è ancora al 2,5 per cento contro, ad esempio, il 7 per cento dell'economia inglese. Questo dato da solo spiega forse meglio di tutti il differenziale di crescita fra l'economia italiana e le economie occidentali che mantengono una prospettiva di sviluppo;
    i principali Paesi europei si sono da tempo dotati di piani strategici di sviluppo delle reti di accesso di nuova generazione (Ngan) in linea con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea che anche la Commissione europea considera elemento base della sostenibilità socioeconomica. Tali piani mirano a creare condizioni favorevoli allo sviluppo degli investimenti privati, favorendo la collaborazione tra i vari operatori e tra questi e le amministrazioni pubbliche;
    il Governo britannico ha sviluppato il «Digital Britain» per un settore che già oggi vale il 7,2 per cento del prodotto interno lordo, più della quota riservata alla spesa sanitaria;
    il Governo tedesco ha un redatto il progetto «Digital Deutschland 2015», nel quale, tra le altre cose, si stima che la banda ultra larga genererà 1 milione di nuovi posti di lavoro in Europa;
    il Governo francese ha assegnato allo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ict) 4,5 miliardi di euro, 500 milioni di euro in più di quanto raccomandato dal rapporto strategico «Investir pour l'avenir»;
    il Governo spagnolo si è dato come obiettivo di investire in innovazione il 4 per cento del prodotto interno lordo entro il 2015 ed arrivare a 150 brevetti annui per milione di abitanti;
    nel nostro Paese l'attuale penetrazione della banda larga si attesta al 17 per cento contro il 23 per cento della media europea e l'assenza di un obbligo di fornitura del servizio universale da parte delle compagnie di telecomunicazione ha creato un ulteriore discrimine tra i cittadini e le imprese che hanno accesso alla banda larga di prima generazione e coloro che ne sono esclusi;
    i finanziamenti pubblici devono essere destinati, nell'ambito delle aree sottoutilizzate, ai bacini territoriali caratterizzati da importanti insediamenti demografici ed industriali, come le aree nelle quali si collocano i distretti industriali, in quanto maggiormente sollecitati nell'agone competitivo globale. In tali aree, l'assenza di un'adeguata capacità di banda costituisce un grave svantaggio competitivo che potrebbe essere colmato sviluppando una domanda di servizi innovativi che poggiano le basi sulle reti di nuova generazione a banda «ultra larga», anche per contrastare l'erosione della propria competitività attraverso innovazioni di processo;
    su un universo di circa un milione di piccole e medie imprese, circa 300 mila sono dislocate in aree che necessitano di banda ultra larga e di queste 100 mila si trovano in aree con la più elevata priorità, in quanto corrispondenti a zone ad alta densità di aziende. Sviluppare moderne infrastrutture di nuova generazione, con un'alta capacità di trasmissione nelle sopradette aree, consentirebbe l'interconnessione di tutte le 100 mila aziende in aree con una maggiore priorità mediante un'infrastruttura di rete di nuova generazione a banda ultra larga;
    i distretti sono dislocati su tutto il territorio nazionale e concentrati principalmente nei centri e nelle province di media e piccola dimensione e nelle aree poste in prossimità dei grandi centri urbani. In particolare, le aree sono Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Marche, Campania, Puglia e Sicilia;
    l'attuale situazione del mercato italiano vede la presenza di Telecom Italia come operatore incumbent, dominante in tutti i segmenti della catena del valore, proprietario dell'unica infrastruttura di accesso in rame necessaria a tutti gli operatori alternativi per offrire i propri servizi. In Italia, a differenza di altri Paesi europei, non esistono infrastrutture alternative, come, ad esempio, gli operatori televisivi via cavo, che potrebbero consentire uno stimolo agli investimenti;
    Telecom ha gestito per quasi un secolo la rete di telecomunicazioni nel nostro Paese e tuttora controlla e gestisce questo asset strategico e una delle principali infrastrutture del Paese e, quindi, anche tutti i dati dei cittadini, ma anche quelli delle imprese e delle pubbliche amministrazioni;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha recentemente sanzionato Telecom per comportamenti anti concorrenziali nel mercato della rete fissa, comminandogli una sanzione di oltre 103 milioni di euro, confermata dal Tar Lazio;
    il 2 ottobre 2013 è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 129, correttivo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 novembre 2012, n. 253, che prevede l'inclusione nelle attività di rilevanza strategica per la sicurezza e la difesa nazionale anche delle reti e degli impianti utilizzati per la fornitura dell'accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale e dei servizi a banda larga e ultralarga;
    recentemente è stato adottato un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che definisce fra gli asset strategici anche gli impianti per i servizi a banda larga ed ultralarga e le reti in rame o fibra;
    nell'ambito delle telecomunicazioni, la rete rappresenta un patrimonio importante per i cittadini ed è necessario che si intervenga per preservarla, garantendo, al contempo, un'accelerazione dello scorporo della governance della rete da quella dei servizi al fine di garantire lo sviluppo della rete in fibra quale piattaforma fondamentale per le reti di nuova generazione;
    secondo alcune indiscrezioni giornalistiche, Telecom Italia starebbe per acquisire Metroweb spa, unico operatore infrastrutturato alternativo che possiede e gestisce una capillare rete in fibra ottica, principalmente a Milano. Questa concentrazione rappresenterebbe un forte rischio di limitazione della concorrenza ed un ulteriore ostacolo alla sviluppo delle reti di accesso di nuova generazione, perché si creerebbe un nuovo monopolio infrastrutturale sulla fibra e la possibile preclusione dell'accesso alle reti di accesso di nuova generazione per gli operatori alternativi (olo) con forti impatti sulla competizione e sulla concorrenza;
    la delibera n. 731/09/CONS, in cui l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni aveva formulato alcune previsioni rivolte alle reti di nuova generazione ed alle infrastrutture atte ad ospitarle, riprende quanto previsto dagli impegni di Telecom Italia quali l'obbligo di fornire accesso alle infrastrutture civili ed alla fibra spenta (delibera n. 718/08/CONS) che sono stati a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo ampiamente disattesi;
    la possibilità per le televisioni locali di operare anche come aziende di telecomunicazione, oltre che editoriali, ha portato alla migliore ottimizzazione possibile nell'utilizzazione dello spettro radioelettrico dedicato alle trasmissioni televisive, consentendo lo sviluppo di una rete di aziende produttrici di apparati di trasmissione che, pur partendo da approcci spesso artigianali, costituiscono ancora oggi un comparto fra i primi cinque al mondo;
    gli operatori di rete in ambito locale, partendo dalla migliore utilizzazione delle frequenze televisive a loro assegnate, potrebbero costituire un'importante risorsa per le centinaia di migliaia di piccole e medie imprese che, per la loro competitività, sono bisognose di accesso alla banda larga;
    data l'imprescindibile necessità di broadband, il wireless broadband costituisce un'opportunità irrinunciabile per il Paese che, se negli anni Novanta poteva vantare una penetrazione dei servizi mobili di seconda generazione assai maggiore rispetto agli Stati Uniti, con l'avvento dei servizi mobili di terza generazione è stata ampiamente superata sia come penetrazione del servizio che come tasso di crescita. Il wireless broadband è, inoltre, di fondamentale importanza in quanto consente di fornire l'accesso ai servizi broadband, sia alle aziende che agli utenti consumer, in tempi molto più brevi rispetto alle rete fissa;
    vista l'impossibilità del mercato italiano di remunerare gli investimenti necessari per la realizzazione di più reti a banda ultra larga, la via sostenibile per la realizzazione di una rete a banda larga ultra veloce, dunque, è l'identificazione di una Netco, come indicato nel memorandum of understanding firmato dagli operatori con il Ministero dello sviluppo economico nel novembre 2010, per la realizzazione di un'infrastruttura passiva, neutrale, aperta ed economica, che porti la rete in fibra al 50 per cento della popolazione italiana;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche tenendo conto delle raccomandazioni europee, ha chiesto misure di semplificazione degli adempimenti burocratici e amministrativi nonché iniziative diverse dagli investimenti pubblici per facilitare la creazione di un ecosistema digitale e fluidificare il percorso di aziende e cittadini nella produzione e fruizione dei contenuti digitali. Interventi che dovrebbero essere completati dall'adozione di una politica dello spettro radio coerente con i principi comunitari in cui siano valorizzate le risorse frequenziali, liberando più risorse per la larga banda;
    è urgente e necessario prevedere un piano di migrazione completa dall'attuale rete in rame al fine di garantire una sostenibilità del progetto ed evitare l'aumento dei prezzi ai clienti finali;
    le regole sui servizi di accesso delle reti di nuova generazione, che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni doveva definire, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo sono state un'occasione persa per creare le condizioni di sviluppo del mercato italiano della fibra ottica;
    è necessario realizzare una rete aperta, senza sovrapposizioni, che preveda una suddivisione dei costi tra gli operatori. La presenza di un altro operatore in alcune aree porterebbe ad uno sviluppo a diverse velocità della rete di nuova generazione nelle diverse aree del Paese;
    la rete è un patrimonio che va mantenuto ed implementato e l'organizzazione dei lavori non può prescindere dal coinvolgimento sistematico e strutturato degli stakeholder per garantire l'apporto delle intelligenze operative multidisciplinari necessarie e garantire il volume degli investimenti necessari a migliorare il servizio e la qualità dei contenuti;
    le tecnologie digitali non sono solo un importante mezzo di comunicazione interpersonale sul quale focalizzarsi per evidenziare gli usi distorti che ne possono conseguire, ma sono anche una grande occasione, estesa ad ogni settore dell'economia e della società, per favorire profonde trasformazioni mediante la digitalizzazione,

impegna il Governo:

   ad adottare con urgenza le iniziative necessarie per accelerare lo scorporo della rete fissa telefonica dai servizi, fondamentale per garantire la libera concorrenza del mercato e la tutela dei consumatori con migliori prezzi e servizi, allo scopo esercitando anche i poteri attribuitigli dalla legge in materia di assetti societari per le attività di rilevanza strategica;
   ad attuare un piano di infrastrutturazione tecnologica in fibra ottica per massimizzare la penetrazione dei servizi broadband per restare allineati alle principali economie, assicurando la competitività delle aziende, la continuità operativa dei servizi essenziali e l'offerta di servizi sempre più evoluti;
   a perseguire l'obiettivo della creazione di un'infrastruttura di telecomunicazione capace di fronteggiare le sfide dell'innovazione idonea a permettere sempre più elevate prestazioni, vale a dire far fronte alle crescenti esigenze di nuovi e più evoluti servizi nel settore dell'informatica e delle telecomunicazioni;
   a promuovere una strategia che si dimostri adeguata a permettere ai cittadini ed alle imprese di sviluppare rapidamente una domanda di accesso a servizi innovativi, per contrastare l'erosione della propria competitività attraverso innovazioni di processo;
   a prevedere interventi per opere di modernizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione strategiche per la crescita economica, civile e culturale con la realizzazione di una rete in fibra ottica che possa essere efficacemente strutturata negli anni, in funzione anche di significativi cambiamenti della pianificazione, delle esigenze e dell'effettiva disponibilità delle risorse;
   ad adottare iniziative per riservare un adeguato ruolo agli operatori di rete in ambito locale valorizzando la cospicua esperienza acquisita quali aziende radio-televisive e consentendo di estendere la loro capacità di impresa sul territorio, a beneficio di centinaia di migliaia di piccole e medie imprese, alla fornitura – in neutralità tecnologica – dei nuovi servizi in banda larga nell'ambito delle frequenze a loro assegnate;
   ad incentivare la ricerca e le applicazioni alternative come, ad esempio, la power line communication (plc) per le aree rurali o le nuove tecnologie fotoniche studiate, tra gli altri, dal Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa per quanto riguarda le reti di trasmissione dati ultra veloci via cavo e via etere;
   a ritenere prioritaria, in relazione al complesso di interventi volti a sostenere il rilancio dell'economia del Paese, la finalità di assicurare, attraverso il piano di sviluppo delle nuove reti, un'alta capacità di trasmissione alle principali città ed ai distretti industriali che ancora scontano un forte divario di connettività;
   a promuovere la realizzazione di one network, un'unica infrastruttura di rete a banda larga, aperta, efficiente, neutrale, economica e già pronta per evoluzioni future, garantendo il rispetto delle regole di libero mercato e concorrenza nella fornitura di accesso e servizi agli utenti finali privati ed imprese con un'unica rete all'ingrosso e concorrenza al dettaglio;
   a promuovere ed incentivare una tempestiva migrazione dalla rete in rame a quella in fibra ottica alla cui realizzazione dovranno partecipare e contribuire tutti gli operatori;
   a dotare con urgenza l'Italia di un'organica agenda digitale che preveda interventi nell'ambito delle infrastrutture tecnologiche, dei servizi finali e infrastrutturali, includendo i necessari standard per l’e-business e per i beni digitali (o «neobeni puri», secondo la definizione del Cnel) e una più organica regolamentazione;
   a promuovere ogni iniziativa volta alla massima diffusione dell'utilizzo delle tecnologie digitali e alla sperimentazione dei relativi vantaggi, anche con riferimento alla disciplina dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini;
   a prevedere la neutralità tecnologica per l'utilizzo dello spettro al fine di ottimizzare l'utilizzo medesimo oltre che renderlo remunerativo per lo Stato.
(1-00658) «Caparini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    in questi anni, uno dei settori che ha generato più valore nelle economie avanzate è l'economia di Internet. Per la prima volta nella storia economica mondiale la prima azienda per capitalizzazione è un'azienda che ha come principale fattore di produzione la conoscenza. I campi d'azione sono molteplici: dai sistemi di pagamento ai servizi postali, dall'educazione ai lavori pubblici, dalla sanità al fisco;
    sviluppare appieno le potenzialità di Internet e delle nuove tecnologie vuol dire creare centinaia di migliaia di posti di lavoro ad alto valore aggiunto e, al contempo, consentire allo straordinario patrimonio rappresentato dalle piccole e medie imprese italiane di essere più competitive e generare nuova ricchezza;
    l'obiettivo non può essere solo quello basilare di garantire a tutti i cittadini l'accesso alla rete, ma anche e soprattutto di porre «realmente» gli individui nelle condizioni di sfruttare appieno il potenziale espressivo, formativo, creativo e lavorativo fornito dalle nuove tecnologie. Solo così il nostro Paese può recuperare il ruolo storico come esempio di imprenditorialità e leadership nella produzione di ricerca, sapere e innovazione e solo così è pensabile generare un tessuto economico e sociale capace di valorizzare il talento, il merito e la competenza con maggiore equità nelle opportunità e nei diritti;
    l'affermarsi della digital and network economic rende improcrastinabili le trasformazioni radicali dei modelli di sviluppo dove cultura, conoscenza e spirito innovativo sono i volani che proiettano nel futuro: a livello globale la «internet economy» supera i 10.000 miliardi di dollari (presentazione National strategy for trusted identities in cyberspace – Nstic);
    in Italia, le conseguenze di un mancato serio intervento in questo settore si riflettono, sia per i cittadini che per le aziende, sugli indici di digitalizzazione che si attestano su posizioni di retrovia: i dati di alfabetizzazione informatica, di copertura di rete fissa e di sviluppo dei servizi on-line, sia sotto il profilo di utilizzo da parte dei consumatori che delle imprese, sono nettamente al di sotto della media europea. Non a caso il peso di Internet nel prodotto interno lordo italiano è ancora al 2,5 per cento contro, ad esempio, il 7 per cento dell'economia inglese. Questo dato da solo spiega forse meglio di tutti il differenziale di crescita fra l'economia italiana e le economie occidentali che mantengono una prospettiva di sviluppo;
    i principali Paesi europei si sono da tempo dotati di piani strategici di sviluppo delle reti di accesso di nuova generazione (Ngan) in linea con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea che anche la Commissione europea considera elemento base della sostenibilità socioeconomica. Tali piani mirano a creare condizioni favorevoli allo sviluppo degli investimenti privati, favorendo la collaborazione tra i vari operatori e tra questi e le amministrazioni pubbliche;
    il Governo britannico ha sviluppato il «Digital Britain» per un settore che già oggi vale il 7,2 per cento del prodotto interno lordo, più della quota riservata alla spesa sanitaria;
    il Governo tedesco ha un redatto il progetto «Digital Deutschland 2015», nel quale, tra le altre cose, si stima che la banda ultra larga genererà 1 milione di nuovi posti di lavoro in Europa;
    il Governo francese ha assegnato allo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ict) 4,5 miliardi di euro, 500 milioni di euro in più di quanto raccomandato dal rapporto strategico «Investir pour l'avenir»;
    il Governo spagnolo si è dato come obiettivo di investire in innovazione il 4 per cento del prodotto interno lordo entro il 2015 ed arrivare a 150 brevetti annui per milione di abitanti;
    nel nostro Paese l'attuale penetrazione della banda larga si attesta al 17 per cento contro il 23 per cento della media europea e l'assenza di un obbligo di fornitura del servizio universale da parte delle compagnie di telecomunicazione ha creato un ulteriore discrimine tra i cittadini e le imprese che hanno accesso alla banda larga di prima generazione e coloro che ne sono esclusi;
    i finanziamenti pubblici devono essere destinati, nell'ambito delle aree sottoutilizzate, ai bacini territoriali caratterizzati da importanti insediamenti demografici ed industriali, come le aree nelle quali si collocano i distretti industriali, in quanto maggiormente sollecitati nell'agone competitivo globale. In tali aree, l'assenza di un'adeguata capacità di banda costituisce un grave svantaggio competitivo che potrebbe essere colmato sviluppando una domanda di servizi innovativi che poggiano le basi sulle reti di nuova generazione a banda «ultra larga», anche per contrastare l'erosione della propria competitività attraverso innovazioni di processo;
    su un universo di circa un milione di piccole e medie imprese, circa 300 mila sono dislocate in aree che necessitano di banda ultra larga e di queste 100 mila si trovano in aree con la più elevata priorità, in quanto corrispondenti a zone ad alta densità di aziende. Sviluppare moderne infrastrutture di nuova generazione, con un'alta capacità di trasmissione nelle sopradette aree, consentirebbe l'interconnessione di tutte le 100 mila aziende in aree con una maggiore priorità mediante un'infrastruttura di rete di nuova generazione a banda ultra larga;
    i distretti sono dislocati su tutto il territorio nazionale e concentrati principalmente nei centri e nelle province di media e piccola dimensione e nelle aree poste in prossimità dei grandi centri urbani. In particolare, le aree sono Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Marche, Campania, Puglia e Sicilia;
    l'attuale situazione del mercato italiano vede la presenza di Telecom Italia come operatore incumbent, dominante in tutti i segmenti della catena del valore, proprietario dell'unica infrastruttura di accesso in rame necessaria a tutti gli operatori alternativi per offrire i propri servizi. In Italia, a differenza di altri Paesi europei, non esistono infrastrutture alternative, come, ad esempio, gli operatori televisivi via cavo, che potrebbero consentire uno stimolo agli investimenti;
    Telecom ha gestito per quasi un secolo la rete di telecomunicazioni nel nostro Paese e tuttora controlla e gestisce questo asset strategico e una delle principali infrastrutture del Paese e, quindi, anche tutti i dati dei cittadini, ma anche quelli delle imprese e delle pubbliche amministrazioni;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha recentemente sanzionato Telecom per comportamenti anti concorrenziali nel mercato della rete fissa, comminandogli una sanzione di oltre 103 milioni di euro, confermata dal Tar Lazio;
    il 2 ottobre 2013 è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 129, correttivo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 novembre 2012, n. 253, che prevede l'inclusione nelle attività di rilevanza strategica per la sicurezza e la difesa nazionale anche delle reti e degli impianti utilizzati per la fornitura dell'accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale e dei servizi a banda larga e ultralarga;
    recentemente è stato adottato un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che definisce fra gli asset strategici anche gli impianti per i servizi a banda larga ed ultralarga e le reti in rame o fibra;
    nell'ambito delle telecomunicazioni, la rete rappresenta un patrimonio importante per i cittadini ed è necessario che si intervenga per preservarla, garantendo, al contempo, un'accelerazione dello scorporo della governance della rete da quella dei servizi al fine di garantire lo sviluppo della rete in fibra quale piattaforma fondamentale per le reti di nuova generazione;
    secondo alcune indiscrezioni giornalistiche, Telecom Italia starebbe per acquisire Metroweb spa, unico operatore infrastrutturato alternativo che possiede e gestisce una capillare rete in fibra ottica, principalmente a Milano. Questa concentrazione rappresenterebbe un forte rischio di limitazione della concorrenza ed un ulteriore ostacolo alla sviluppo delle reti di accesso di nuova generazione, perché si creerebbe un nuovo monopolio infrastrutturale sulla fibra e la possibile preclusione dell'accesso alle reti di accesso di nuova generazione per gli operatori alternativi (olo) con forti impatti sulla competizione e sulla concorrenza;
    la delibera n. 731/09/CONS, in cui l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni aveva formulato alcune previsioni rivolte alle reti di nuova generazione ed alle infrastrutture atte ad ospitarle, riprende quanto previsto dagli impegni di Telecom Italia quali l'obbligo di fornire accesso alle infrastrutture civili ed alla fibra spenta (delibera n. 718/08/CONS) che sono stati a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo ampiamente disattesi;
    la possibilità per le televisioni locali di operare anche come aziende di telecomunicazione, oltre che editoriali, ha portato alla migliore ottimizzazione possibile nell'utilizzazione dello spettro radioelettrico dedicato alle trasmissioni televisive, consentendo lo sviluppo di una rete di aziende produttrici di apparati di trasmissione che, pur partendo da approcci spesso artigianali, costituiscono ancora oggi un comparto fra i primi cinque al mondo;
    gli operatori di rete in ambito locale, partendo dalla migliore utilizzazione delle frequenze televisive a loro assegnate, potrebbero costituire un'importante risorsa per le centinaia di migliaia di piccole e medie imprese che, per la loro competitività, sono bisognose di accesso alla banda larga;
    data l'imprescindibile necessità di broadband, il wireless broadband costituisce un'opportunità irrinunciabile per il Paese che, se negli anni Novanta poteva vantare una penetrazione dei servizi mobili di seconda generazione assai maggiore rispetto agli Stati Uniti, con l'avvento dei servizi mobili di terza generazione è stata ampiamente superata sia come penetrazione del servizio che come tasso di crescita. Il wireless broadband è, inoltre, di fondamentale importanza in quanto consente di fornire l'accesso ai servizi broadband, sia alle aziende che agli utenti consumer, in tempi molto più brevi rispetto alle rete fissa;
    vista l'impossibilità del mercato italiano di remunerare gli investimenti necessari per la realizzazione di più reti a banda ultra larga, la via sostenibile per la realizzazione di una rete a banda larga ultra veloce, dunque, è l'identificazione di una Netco, come indicato nel memorandum of understanding firmato dagli operatori con il Ministero dello sviluppo economico nel novembre 2010, per la realizzazione di un'infrastruttura passiva, neutrale, aperta ed economica, che porti la rete in fibra al 50 per cento della popolazione italiana;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche tenendo conto delle raccomandazioni europee, ha chiesto misure di semplificazione degli adempimenti burocratici e amministrativi nonché iniziative diverse dagli investimenti pubblici per facilitare la creazione di un ecosistema digitale e fluidificare il percorso di aziende e cittadini nella produzione e fruizione dei contenuti digitali. Interventi che dovrebbero essere completati dall'adozione di una politica dello spettro radio coerente con i principi comunitari in cui siano valorizzate le risorse frequenziali, liberando più risorse per la larga banda;
    è urgente e necessario prevedere un piano di migrazione completa dall'attuale rete in rame al fine di garantire una sostenibilità del progetto ed evitare l'aumento dei prezzi ai clienti finali;
    le regole sui servizi di accesso delle reti di nuova generazione, che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni doveva definire, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo sono state un'occasione persa per creare le condizioni di sviluppo del mercato italiano della fibra ottica;
    è necessario realizzare una rete aperta, senza sovrapposizioni, che preveda una suddivisione dei costi tra gli operatori. La presenza di un altro operatore in alcune aree porterebbe ad uno sviluppo a diverse velocità della rete di nuova generazione nelle diverse aree del Paese;
    la rete è un patrimonio che va mantenuto ed implementato e l'organizzazione dei lavori non può prescindere dal coinvolgimento sistematico e strutturato degli stakeholder per garantire l'apporto delle intelligenze operative multidisciplinari necessarie e garantire il volume degli investimenti necessari a migliorare il servizio e la qualità dei contenuti;
    le tecnologie digitali non sono solo un importante mezzo di comunicazione interpersonale sul quale focalizzarsi per evidenziare gli usi distorti che ne possono conseguire, ma sono anche una grande occasione, estesa ad ogni settore dell'economia e della società, per favorire profonde trasformazioni mediante la digitalizzazione,

impegna il Governo:

   ad attuare un piano di infrastrutturazione tecnologica in fibra ottica per massimizzare la penetrazione dei servizi broadband per restare allineati alle principali economie, assicurando la competitività delle aziende, la continuità operativa dei servizi essenziali e l'offerta di servizi sempre più evoluti;
   a perseguire l'obiettivo di favorire la creazione di infrastrutture capaci di fronteggiare le sfide dell'innovazione idonee a permettere sempre più elevate prestazioni;
   a promuovere una strategia che si dimostri adeguata a permettere ai cittadini ed alle imprese di sviluppare rapidamente una domanda di accesso a servizi innovativi, per contrastare l'erosione della propria competitività attraverso innovazioni di processo;
   a prevedere interventi per opere di modernizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione strategiche per la crescita economica, civile e culturale con la realizzazione di una rete in fibra ottica che possa essere efficacemente strutturata negli anni, in funzione anche di significativi cambiamenti della pianificazione, delle esigenze e dell'effettiva disponibilità delle risorse;
   ad incentivare la ricerca e ogni applicazione alternativa per la piena realizzazione del Piano nazionale banda ultralarga;
   a ritenere prioritaria, in relazione al complesso di interventi volti a sostenere il rilancio dell'economia del Paese, la finalità di assicurare, attraverso il piano nazionale banda ultralarga un'alta capacità di trasmissione non solo nelle principali città e nei distretti industriali, ma anche nell'intero Paese;
   a promuovere il progressivo avvento delle più efficaci e innovative tecnologie;
   a dare immediata e piena attuazione al Piano nazionale per l'Agenda digitale;
   a promuovere ogni iniziativa volta alla massima diffusione dell'utilizzo delle tecnologie digitali e alla sperimentazione dei relativi vantaggi, anche con riferimento alla disciplina dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini;
   a prevedere la neutralità tecnologica per l'utilizzo dello spettro al fine di ottimizzare l'utilizzo medesimo oltre che renderlo remunerativo per lo Stato.
(1-00658)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Caparini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    le telecomunicazioni rappresentano un motore fondamentale di sviluppo poiché aumentano la produttività delle imprese e della pubblica amministrazione. Gli investimenti in banda ultra larga sono dunque strategici per il sistema Paese;
    lo sviluppo delle reti fisse a banda larga e ultra larga costituisce un passaggio cruciale per dotare il Paese di quelle infrastrutture che rappresentano la base per dare un forte impulso al processo di digitalizzazione, nonché un fattore determinante di rilancio dell'economia, della competitività e della crescita;
    il settore delle telecomunicazioni in Italia è stato pienamente liberalizzato sin dal 1998 e risulta oggi caratterizzato da un elevato livello di concorrenzialità ed è regolamentato a livello sia europeo sia nazionale;
    a livello nazionale le società proprietarie di reti, a vario titolo, si stanno fortemente impegnando nello sviluppo delle infrastrutture di rete, come confermato dall'importante piano di investimenti di Telecom per il triennio 2014-2016, che vale complessivamente 9 miliardi di euro, di cui 3,4 miliardi di euro dedicati allo sviluppo di reti e servizi innovativi sia per quanto riguarda la fibra che il 4G;
    a novembre 2013 Vodafone ha annunciato il programma «Spring» che prevede investimenti per 3,6 miliardi di euro in due anni al fine di raddoppiare le risorse per lo sviluppo dei collegamenti a banda ultra larga, mobile e fissa. Più nello specifico Vodafone intende sviluppare infrastrutture e piattaforme evolute e accelerare gli investimenti, oltre che sulle reti mobili 3G e 4G, anche nella rete fissa in fibra ottica, arrivando a coprire le 150 principali città con la rete Fttc (Fibre to the cabinet), con l'obiettivo di raggiungere entro il 2016 almeno 6 milioni e mezzo di famiglie, pari a un quarto della popolazione italiana;
    allo stesso modo Fastweb spa, società a socio unico soggetta all'attività di direzione e coordinamento di Swisscom AG, ha sviluppato una rete nazionale in fibra ottica che si estende per 35.000 chilometri e raggiunge circa il 50 per cento della popolazione italiana, di cui il 10 per cento direttamente in tecnologia fiber to the cabinet, il collegamento in fibra ottica fino a casa del cliente, offrendo servizi a banda ultra larga fino a 100 megabit al secondo;
    dal 1995 opera in Italia anche Albacom spa, nata come progetto delle società British Telecom (BT) e Banca nazionale del lavoro (Bnl), il cui capitale sociale è stato interamente acquisito alla fine del 2004 da British Telecom e il 4 febbraio 2005 la compagnia ha modificato la denominazione sociale in BT Albacom spa;
    nel 2006 in BT Albacom confluiscono le attività di Atlanet spa, acquisita da British Telecom nel mese di marzo, e la società ha assunto la sua attuale ragione sociale, BT Italia spa;
    BT Italia è il principale fornitore in Italia di servizi e soluzioni integrate di comunicazione e IT interamente dedicato alle imprese, dalle multinazionali alle piccole e medie imprese e professionisti, e alla pubblica amministrazione, gestendo una base clienti di circa 150.000 aziende e una rete in fibra ottica di oltre 14.000 chilometri;
    opera in Italia, e in particolare in Lombardia e Liguria, anche Metroweb, che nell'area metropolitana di Milano gestisce una rete in fibra ottica di 7.254 chilometri di cavi, pari a 324.000 chilometri di fibre ottiche, coprendo un'area di oltre 2,7 milioni di abitanti;
    una visione liberale dell'economia promuove la piena trasparenza, competitività e libera concorrenza nel mercato tutelando al contempo l'impresa privata;
    è necessaria un'azione di regia da parte del Governo affinché, grazie ad una cooperazione tra settore pubblico e privato, l'Italia colmi il digital divide che la separa dagli altri Paesi ad economia avanzata. Per cercare di risolvere il problema del digital divide sono fondamentali gli investimenti sia sulla rete mobile che sulla rete fissa;
    il digital divide va considerato come esistente non solo sui megabit necessari alla connessione base, ma anche all'accesso veloce a Internet;
    è dunque necessaria un'efficace azione di Governo volta, da un lato, a creare le condizioni per favorire gli investimenti e, dall'altro, ad attuare iniziative di stimolo ed impulso che favoriscano la domanda di servizi digitali anche a fronte del fatto che il livello di alfabetizzazione digitale del Paese risulta basso, come scarso risulta ancora il numero degli utilizzatori di Internet ed il tasso di diffusione dei pc nelle famiglie;
    il ritardo accumulato dal Paese deriva anche da una governance sull'Agenda digitale estremamente farraginosa, poco trasparente, con evidenti sovrapposizioni di ruoli e carenza nell'individuazione degli obiettivi e delle azioni necessarie al loro raggiungimento;
    come riportato anche dalla recente ricerca dell'Osservatorio agenda digitale della School of management del Politecnico di Milano, infatti, ad oggi sono stati adottati solo 18 dei 53 provvedimenti attuativi, tra regolamenti e regole tecniche, previsti per il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale, e su alcuni di questi sono stati accumulati oltre 600 giorni di ritardo,

impegna il Governo:

   ad elaborare una visione strategica nazionale per il settore delle telecomunicazioni tale da soddisfare la funzione di interesse generale dell'infrastruttura di telecomunicazioni e fornire il quadro di riferimento per gli operatori, con la possibilità di prevedere forme di societarizzazione interna ovvero aperta a tutti gli operatori per la gestione della rete di accesso, ove la sola concorrenza non sia in grado di perseguire l'interesse generale;
   ad attivarsi con e nelle istituzioni dell'Unione europea affinché sia possibile escludere gli investimenti pubblici, diretti a colmare il digital divide, dal patto di stabilità;
   ad attivarsi affinché i fondi strutturali europei siano impiegati a sostegno degli interventi necessari a sviluppare la banda ultra larga su rete fissa e in fibra, wi-fi e mobile, anche nelle aree a fallimento di mercato;
   a valutare le strategie più efficaci e praticabili atte a consentire lo sviluppo dell'infrastruttura di rete e della relativa governance in modo da assicurare la piena concorrenza tra operatori;
   a promuovere ogni iniziativa volta alla massima diffusione dell'utilizzo delle tecnologie digitali e alla sperimentazione dei relativi vantaggi, attuando politiche volte a diffondere l'uso di Internet tra i cittadini, anche attraverso la sensibilizzazione delle fasce della popolazione che attualmente non fanno uso di servizi on-line;
   a rivedere la governance dell'Agenda digitale, in modo da chiarire univocamente obiettivi, ruoli ed azioni, nonché a provvedere alla celere adozione dei decreti attuativi necessari all'implementazione della stessa.
(1-00663) «Bergamini, Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    le telecomunicazioni rappresentano un motore fondamentale di sviluppo poiché aumentano la produttività delle imprese e della pubblica amministrazione. Gli investimenti in banda ultra larga sono dunque strategici per il sistema Paese;
    lo sviluppo delle reti fisse a banda larga e ultra larga costituisce un passaggio cruciale per dotare il Paese di quelle infrastrutture che rappresentano la base per dare un forte impulso al processo di digitalizzazione, nonché un fattore determinante di rilancio dell'economia, della competitività e della crescita;
    il settore delle telecomunicazioni in Italia è stato pienamente liberalizzato sin dal 1998 e risulta oggi caratterizzato da un elevato livello di concorrenzialità ed è regolamentato a livello sia europeo sia nazionale;
    a livello nazionale le società proprietarie di reti, a vario titolo, si stanno fortemente impegnando nello sviluppo delle infrastrutture di rete, come confermato dall'importante piano di investimenti di Telecom per il triennio 2014-2016, che vale complessivamente 9 miliardi di euro, di cui 3,4 miliardi di euro dedicati allo sviluppo di reti e servizi innovativi sia per quanto riguarda la fibra che il 4G;
    a novembre 2013 Vodafone ha annunciato il programma «Spring» che prevede investimenti per 3,6 miliardi di euro in due anni al fine di raddoppiare le risorse per lo sviluppo dei collegamenti a banda ultra larga, mobile e fissa. Più nello specifico Vodafone intende sviluppare infrastrutture e piattaforme evolute e accelerare gli investimenti, oltre che sulle reti mobili 3G e 4G, anche nella rete fissa in fibra ottica, arrivando a coprire le 150 principali città con la rete Fttc (Fibre to the cabinet), con l'obiettivo di raggiungere entro il 2016 almeno 6 milioni e mezzo di famiglie, pari a un quarto della popolazione italiana;
    allo stesso modo Fastweb spa, società a socio unico soggetta all'attività di direzione e coordinamento di Swisscom AG, ha sviluppato una rete nazionale in fibra ottica che si estende per 35.000 chilometri e raggiunge circa il 50 per cento della popolazione italiana, di cui il 10 per cento direttamente in tecnologia fiber to the cabinet, il collegamento in fibra ottica fino a casa del cliente, offrendo servizi a banda ultra larga fino a 100 megabit al secondo;
    dal 1995 opera in Italia anche Albacom spa, nata come progetto delle società British Telecom (BT) e Banca nazionale del lavoro (Bnl), il cui capitale sociale è stato interamente acquisito alla fine del 2004 da British Telecom e il 4 febbraio 2005 la compagnia ha modificato la denominazione sociale in BT Albacom spa;
    nel 2006 in BT Albacom confluiscono le attività di Atlanet spa, acquisita da British Telecom nel mese di marzo, e la società ha assunto la sua attuale ragione sociale, BT Italia spa;
    BT Italia è il principale fornitore in Italia di servizi e soluzioni integrate di comunicazione e IT interamente dedicato alle imprese, dalle multinazionali alle piccole e medie imprese e professionisti, e alla pubblica amministrazione, gestendo una base clienti di circa 150.000 aziende e una rete in fibra ottica di oltre 14.000 chilometri;
    opera in Italia, e in particolare in Lombardia e Liguria, anche Metroweb, che nell'area metropolitana di Milano gestisce una rete in fibra ottica di 7.254 chilometri di cavi, pari a 324.000 chilometri di fibre ottiche, coprendo un'area di oltre 2,7 milioni di abitanti;
    una visione liberale dell'economia promuove la piena trasparenza, competitività e libera concorrenza nel mercato tutelando al contempo l'impresa privata;
    è necessaria un'azione di regia da parte del Governo affinché, grazie ad una cooperazione tra settore pubblico e privato, l'Italia colmi il digital divide che la separa dagli altri Paesi ad economia avanzata. Per cercare di risolvere il problema del digital divide sono fondamentali gli investimenti sia sulla rete mobile che sulla rete fissa;
    il digital divide va considerato come esistente non solo sui megabit necessari alla connessione base, ma anche all'accesso veloce a Internet;
    è dunque necessaria un'efficace azione di Governo volta, da un lato, a creare le condizioni per favorire gli investimenti e, dall'altro, ad attuare iniziative di stimolo ed impulso che favoriscano la domanda di servizi digitali anche a fronte del fatto che il livello di alfabetizzazione digitale del Paese risulta basso, come scarso risulta ancora il numero degli utilizzatori di Internet ed il tasso di diffusione dei pc nelle famiglie;
    il ritardo accumulato dal Paese deriva anche da una governance sull'Agenda digitale estremamente farraginosa, poco trasparente, con evidenti sovrapposizioni di ruoli e carenza nell'individuazione degli obiettivi e delle azioni necessarie al loro raggiungimento;
    come riportato anche dalla recente ricerca dell'Osservatorio agenda digitale della School of management del Politecnico di Milano, infatti, ad oggi sono stati adottati solo 18 dei 53 provvedimenti attuativi, tra regolamenti e regole tecniche, previsti per il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale, e su alcuni di questi sono stati accumulati oltre 600 giorni di ritardo,

impegna il Governo:

   ad elaborare una visione strategica nazionale per il settore delle telecomunicazioni che promuova piena trasparenza, competitività, libera concorrenza, in un'ottica di gestione liberale dell'economia, cioè tutelando l'impresa privata, ma al contempo l'interesse dei cittadini ad essere raggiunti dal servizio anche nelle aree a fallimento di mercato;
   ad attivarsi con e nelle istituzioni dell'Unione europea affinché sia possibile escludere gli investimenti pubblici, diretti a colmare il digital divide, dal patto di stabilità;
   ad attivarsi affinché i fondi strutturali europei siano impiegati a sostegno degli interventi necessari a sviluppare la banda ultra larga su rete fissa e in fibra, wi-fi e mobile, anche nelle aree a fallimento di mercato;
   a valutare le strategie più efficaci e praticabili atte a consentire lo sviluppo delle infrastrutture di rete in modo da assicurare la piena concorrenza tra operatori;
   a promuovere ogni iniziativa volta alla massima diffusione dell'utilizzo delle tecnologie digitali e alla sperimentazione dei relativi vantaggi, attuando politiche volte a diffondere l'uso di Internet tra i cittadini, anche attraverso la sensibilizzazione delle fasce della popolazione che attualmente non fanno uso di servizi on-line;
   a valutare l'opportunità di rivedere la governance dell'Agenda digitale, in modo da chiarire obiettivi, ruoli ed azioni, nonché a provvedere alla celere adozione dei decreti attuativi.
(1-00663) (Testo modificato nel corso della seduta) «Bergamini, Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    sia le istituzioni sovranazionali che i Governi nazionali riconoscono all'evoluzione delle infrastrutture di nuova generazione e al conseguente sviluppo dei servizi in rete un ruolo fondamentale per garantire una crescita inclusiva, sostenibile e duratura dei singoli Paesi e, sotto tale profilo, l'anno 2011 ha rappresentato uno snodo importante caratterizzato dalla definizione degli ambiziosi obiettivi comunitari dell'agenda digitale europea (COM(2010)245) per il prossimo decennio, ma anche dagli indirizzi regolamentari per la realizzazione delle reti di accesso di nuova generazione e dal lancio delle prime offerte a 100 megabit al secondo anche in Italia;
    le reti di accesso di nuova generazione sono reti di accesso cablate costituite, in tutto o in parte, da elementi ottici e in grado di fornire servizi d'accesso a banda larga con caratteristiche più avanzate (quale una maggiore capacità di trasmissione) rispetto a quelli forniti tramite le reti in rame esistenti;
    dette reti, definite anche come delle vere e proprie «autostrade informatiche» per veicolare il traffico dati a grande velocità, in sicurezza e senza strozzature, secondo quanto emerge dal secondo rapporto dell'Osservatorio I-Com sulle reti di nuova generazione, rappresentano non solo uno strumento di sviluppo e crescita dell'economia, ma anche e soprattutto una modalità di investimento per evitare il cosiddetto «sotto-sviluppo» dei Paesi;
    non a caso, proprio sulle reti di nuova generazione, si sono indirizzati importanti investimenti sia di carattere pubblico che privato nei principali Paesi del mondo e, in particolare, negli Stati Uniti, in Cina, in Corea, in India e in Australia;
    anche i Paesi europei a più elevato tasso di digitalizzazione quali il Regno Unito, l'Olanda e le economie scandinave hanno investito sulle reti di accesso di nuova generazione, anche se in modo più limitato di altre realtà internazionali;
    ciononostante, numerosi studi di caratura nazionale e internazionale dimostrano come le reti di nuova generazione (fisse e mobili) possono promuovere la crescita almeno di un 1 punto di prodotto interno lordo ogni 10 per cento aggiuntivo di diffusione della banda larga e, al contempo, generare importanti risparmi che, a regime, per l'Italia corrisponderebbero a quasi 40 miliardi di euro all'anno. Sul punto, si segnala come la Banca Mondiale stimi, infatti, in 1,21 per cento l'impatto per i Paesi ad alto reddito di prodotto interno lordo aggiuntivo per ogni 10 per cento di diffusione della banda larga (Qiang e Rosotto, «Economic impacts of broadband», in Information and Communication for Development 2009: Extending Reach and Increasing Impact, Word Bank). Con riferimento specifico all'Italia, inoltre, il Progetto Italia digitale 2010 di Confindustria quantifica i risparmi grazie al: telelavoro (in 2 miliardi di euro); e-learning (in 1,4 miliardi di euro); e-government e impresa digitale (in 16 miliardi di euro); e-health (in 8,6 miliardi di euro); giustizia e sicurezza digitale (in 0,5 miliardi di euro); gestione energetica intelligente (in 9,5 miliardi di euro). Analoghe considerazioni sono contenute nel rapporto Oecd (2009) Network developments in support of innovation and user needsDirectorate for science, technology and industry;
    come si evince della lettura del secondo rapporto dell'Osservatorio I-Com sulle reti di nuova generazione, molti Governi hanno implementato strategie volte alla diminuzione degli ingenti costi di costruzione delle infrastrutture e a fornire, conseguentemente, incentivi sufficienti ad attrarre l'investimento privato in zone di mercato altrimenti escluse. Solitamente tali interventi sono successivi a un preliminare processo di stima della domanda potenziale e possono avere scala nazionale o, più frequentemente, essere associati a politiche regionali settoriali, indirizzate a specifiche aree geografiche, in cui il costo di fornitura privata del servizio richiesto è troppo elevato per il livello di domanda identificata;
    tra i meccanismi di investimento implementati a livello europeo e internazionale, uno dei metodi per canalizzare l'intervento pubblico in modo efficiente consiste:
     a) nel progettare forme di partenariato, dal momento che esse permettono di controllare più facilmente i flussi di investimento pubblico e, al contempo, di valersi dell'esperienza e della professionalità del settore privato. Un famoso modello di partenariato pubblico-privato è quello adottato per il progetto Amsterdam Citynet, anche se il modello si è evoluto discostandosi dall'assetto iniziale, con la drastica riduzione della componente pubblica, in seguito al trasferimento di parte della proprietà alle società private KPN e Reggefiber;
     b) nell'avviare prestiti di lungo periodo per gli operatori e programmi nazionali di finanziamento. I programmi di finanziamento vengono adottati per sostenere gli investimenti degli operatori e per agevolare la diffusione della banda larga attraverso incentivi all'entrata sul mercato. Nella maggior parte dei casi, i finanziamenti sono diretti a sovvenzionare soggetti privati, come nel caso dei programmi di finanziamento statunitensi «Rural Broadband Access Loan» e «Guarantees Program», nei quali il Governo si impegnava a concedere garanzie e prestiti agli operatori a tassi agevolati;
     c) nel riconoscimento di incentivi fiscali. Tale tipologia di intervento serve a promuovere gli investimenti in ricerca e sviluppo, in modo tale che gli operatori che investono sia in nuove reti che, in alcuni casi, in nuovi contenuti abbiano incentivi sufficienti a creare ulteriore innovazione. In tale tipologia di intervento rientrano diverse agevolazioni fiscali, che variano a seconda della legislazione del Paese prescelto, e che comprendono il credito di imposta (Usa) e i sussidi elargiti agli operatori di business (Canada). Gli incentivi fiscali sono particolarmente diffusi in Danimarca e negli Stati Uniti, dove sono stati introdotti per agevolare gli investimenti dei nuovi operatori (Usa) e per sussidiare indirettamente i dipendenti di quelle imprese che adottano sistemi di gestione dei dati supportati dalle reti di prossima generazione (Danimarca);
     d) nell'adottare strategie di abbattimento dei costi amministrativi legati ai processi di creazione dell'infrastruttura e nell'agevolare gli investimenti in nuovi rami di business;
     e) nell'adottare politiche di condivisione delle infrastrutture. La ratio di tali politiche è legata al fatto che i costi delle opere civili costituiscono di gran lunga la componente dominante dei costi di realizzazione delle reti di prossima generazione in fibra ottica. In particolare, il Giappone ha utilizzato le reti elettriche esistenti per lo sviluppo della fibra ottica, arrivando a risparmiare il 23 per cento dei costi di implementazione. La Francia, invece, ha deciso di condividere la fibra nelle aree urbane, a Parigi in particolare, aprendo il suo sistema di fognatura ai concorrenti, evitando in tal modo gran parte dei costi di ingegneria civile. Nel mese di agosto del 2008, il legislatore francese ha poi approvato una legge che impone ai costruttori dei nuovi edifici di distribuire la fibra di tutto l'edificio e di renderla disponibile a tutti gli operatori concorrenti su base non discriminatoria;
     f) nell'adottare iniziative per assicurare un utilizzo efficiente dello spettro radio. Lo sviluppo del mercato della banda larga dipenderà in misura consistente dallo sviluppo di reti di tipo wireless, come ha ribadito la Commissione europea nella comunicazione sul futuro della banda larga in Europa del 20 settembre 2010;
     g) nell'implementare il cosiddetto mapping territoriale. Un altro tipo di intervento che, ad oggi, è relativamente poco diffuso è la mappatura delle zone scoperte, ossia quel procedimento di identificazione delle aree territoriali effettivamente escluse dall'accesso a servizi a banda larga mediante un catasto delle infrastrutture;
    al riguardo, le analisi condotte dall'Osservatorio I-Com sulle reti di nuova generazione hanno evidenziato come non tutte le tipologie di politiche pubbliche a sostegno della diffusione della banda larga e delle reti di nuova generazione sembrano esercitare un effetto positivo sulla diffusione delle linee a banda larga;
    infatti, mentre l'implementazione di forme di partenariato pubblico-privato (sia con proprietà pubblica che privata della rete) risulta avere un effetto positivo e statisticamente significativo sul grado di penetrazione della banda larga sul territorio nazionale, così come la realizzazione di programmi di finanziamento e prestiti di lungo periodo per gli operatori, altre politiche quali la mappatura del territorio o il riconoscimento di incentivi fiscali sembrano esercitare un effetto debole e statisticamente non significativo;
    in ogni caso, si ritiene che la questione del finanziamento e degli investimenti in banda larga e reti di nuova generazione appaia troppo importante dal punto di vista economico e sociale per essere lasciata solo nelle mani degli investitori privati, la cui disponibilità all'investimento in tempi rapidi potrebbe essere limitata dagli elevati costi di realizzazione delle nuove reti e, soprattutto, dall'incertezza circa la capacità di ottenere adeguati ritorni dall'investimento;
    l'Italia, peraltro, presenta un numero di «analfabeti digitali» (definito come numero di cittadini che non hanno mai utilizzato Internet) fra i più alti d'Europa e questo fenomeno – che frena la crescita economica e la diffusione della cultura delle informazioni, pregiudicando in modo irreversibile il futuro delle prossime generazioni – nel breve e nel medio periodo, di fatto, potrà essere efficacemente contrastato solo attraverso una forte politica di investimenti pubblici da parte dello Stato;
    con il termine Agenda digitale si intendono un insieme di specifiche politiche pubbliche volte al potenziamento delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione;
    l'Agenda digitale europea è stata presentata dalla Commissione europea nel maggio 2010 – comunicazione «Un'agenda digitale europea» (COM(2010)245) – con lo scopo di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per favorire l'innovazione, la crescita economica e la competitività;
    non a caso l'Agenda digitale europea rappresenta una delle sette «iniziative faro» della Strategia per la crescita «Europa 2020», proponendo di realizzare un mercato unico digitale, di garantire un internet «veloce» e «superveloce» accessibile a tutti e a prezzi competitivi, attraverso reti di nuova generazione, di favorire gli investimenti privati e raddoppiare le spese pubbliche nelle sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione;
    il 20 settembre 2010, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure di attuazione dell'Agenda digitale, tra le quali la comunicazione (COM(2010)472) che indica l'obiettivo di assicurare entro il 2020 l'accesso ad Internet a tutti i cittadini con una velocità di connessione superiore a 30 megabit al secondo (banda ultra larga) e per almeno il 50 per cento delle famiglie con velocità superiore a 100 megabit al secondo;
    la promozione di reti di banda larga è, infatti, ritenuta di importanza centrale al fine del superamento del cosiddetto digital divide e con il termine «banda larga», nella teoria dei segnali, vengono indicati i metodi che consentono a due o più segnali di condividere la stessa linea di trasmissione. Esso è però divenuto con il tempo sinonimo di «alta velocità» di connessione alla rete Internet e di trasmissione ed è, pertanto, un concetto relativo e in evoluzione con l'avanzamento tecnologico. L'attuale sviluppo tecnologico indica generalmente come «banda larga» le connessioni in Europa superiori a 2 megabit al secondo;
    il Piano nazionale per la banda larga, coordinato dal Ministero dello sviluppo economico, mira all'eliminazione del digital divide in tutto il Paese, in particolare tramite l'eliminazione del deficit infrastrutturale presente in oltre 6 mila località del Paese ed i cui costi di sviluppo non possono essere sostenuti dal mercato;
    l'Agenda digitale europea fa riferimento anche alla banda «ultra larga», termine con il quale sono generalmente indicate velocità di connessione superiori a 30 megabit al secondo e che possono raggiungere anche i 100 megabit al secondo;
    sullo stato di diffusione della banda larga in Italia fornisce informazioni utili il rapporto «Raggiungere gli obiettivi Europei 2020 della banda larga in Italia: prospettive e sfide» presentato il 30 gennaio 2014 da Francesco Caio, nella sua qualità di commissario per l'attuazione dell'Agenda digitale, ai sensi del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013;
    il rapporto contiene un'analisi dei piani di investimento dei gestori italiani di telecomunicazioni. Nel rapporto si evidenzia un moderato ottimismo, purché gli operatori continuino ad investire, l'evoluzione tecnologica sia conforme alle attese e vi sia un coordinamento per l'attuazione tra operatori, regolatore e comuni. Per quanto riguarda l'obiettivo della copertura a 30 megabit al secondo per il 100 per cento della popolazione, le prime stime indicano una copertura raggiungibile al 2020 del 70 per cento con piani di dettaglio che arrivano al più fino al 2016-2017 con coperture al 50 per cento. Si ritiene che il raggiungimento completo degli obiettivi dell'Unione europea richieda ulteriori azioni complesse di tipo finanziario e di coordinamento tra i soggetti in campo, con un forte impegno e monitoraggio della Presidenza del Consiglio dei ministri;
    inoltre, la Commissione europea ha autorizzato con decisione COM(2012)9833 del 18 dicembre 2012 il progetto nazionale italiano per la banda ultra larga, che sarà gestito nell'ambito di appositi accordi con le regioni. In questo quadro, sono stati emessi a febbraio 2013 i bandi nazionali per 900 milioni di euro per l'azzeramento del digital divide nonché per accelerare lo sviluppo della banda ultra larga;
    con il Documento di economia e finanza 2014-2016 l'attuale Governo si è impegnato al raggiungimento degli obiettivi europei al 2020 di garantire al 100 per cento dei cittadini servizi di connettività ad almeno 30 megabit al secondo e incentivando, al contempo, la sottoscrizione di servizi oltre i 100 megabit al secondo per la metà della popolazione;
    la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, il 16 aprile 2014, ha espresso parere favorevole al Documento di economia e finanza 2014-2016 evidenziando, tra le altre cose, la priorità di sostenere adeguatamente la piena attuazione dei piani nazionali della banda larga e della banda ultra larga ed operare per il conseguimento degli obiettivi previsti dall'Agenda digitale europea;
    purtuttavia, si deve evidenziare che con riferimento allo stato di attuazione dell'Agenda digitale italiana di cui ai decreti-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012 e n. 69 del 2013, per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo è stato rilevato che dei 55 adempimenti considerati dalla normativa vigente ne sono stati adottati solo 17 (per gli adempimenti non ancora adottati in 21 casi risulta già scaduto il termine per provvedere; rispetto alla ricognizione precedente sono state prese in considerazione le misure dell'articolo 13 del decreto-legge n. 69 del 2013, nonché ulteriori disposizioni del decreto-legge n. 179 del 2012 in precedenza non considerate ma comunque collegate all'attuazione dell'Agenda digitale);
    si segnala altresì che non risulta mai utilizzata la procedura prevista dall'articolo 13, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge n. 69 del 2013, in base alla quale, per accelerare l'adozione dei provvedimenti attuativi previsti da quattordici specifiche disposizioni del decreto-legge n. 179 del 2012 si consente, per i regolamenti governativi, la loro adozione su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e non dei ministri proponenti previsti (comma 2-bis) e per i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e per i decreti ministeriali la loro adozione su proposta del Presidente del Consiglio anche in assenza del concerto dei Ministri previsti (comma 2-ter e 2-quater); infatti, tutti i provvedimenti attuativi in questione risultano ancora da adottare, fatta eccezione per due casi, nei quali si è però utilizzata la procedura ordinaria (si tratta nello specifico del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 agosto 2013, n. 109, attuativo dell'articolo 2, comma 1, e del decreto ministeriale 9 agosto 2013, n. 165, attuativo dell'articolo 14, comma 2-bis);
    eppure la rilevanza strategica dell'Agenda digitale, in un momento cruciale per il nostro Paese, imporrebbe la priorità di intervenire con urgenza sull'Agenda digitale. Una compiuta dematerializzazione consentirebbe, infatti, di ottenere risparmi pari a 43 miliardi di euro l'anno, di cui 4 miliardi di euro l'anno di soli risparmi per gli approvvigionamenti, 15 miliardi di euro l'anno di risparmi legati all'aumento di produttività del personale, 24 miliardi di euro l'anno di risparmi sui «costi di relazione» tra pubblica amministrazione e imprese, grazie a uno snellimento della burocrazia, come dimostrano i dati dell'Osservatorio fatturazione elettronica e dematerializzazione del Politecnico di Milano;
    recentemente, è stata, altresì, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 9 settembre 2014, n. 209, la delibera del comitato interministeriale per la programmazione economica relativa all'approvazione della proposta di accordo di partenariato nell'ambito della programmazione dei fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020;
    è stata approvata con delibera del 18 aprile 2014 del Comitato interministeriale per la programmazione economica, la proposta di accordo di partenariato che stabilisce la strategia di impiego di fondi strutturali e di investimento europei per il periodo 2014-2020. Undici gli obiettivi tematici (OT) previsti dal regolamento (UE) n. 1303/2013: OT1: rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione; OT2: migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonché l'impiego e la qualità delle medesime; OT3: promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, il settore agricolo e il settore della pesca e dell'acquacoltura; OT4: sostenere la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori; OT5: promuovere l'adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi; OT6: tutelare l'ambiente e promuovere l'uso efficiente delle risorse; OT7: promuovere sistemi di trasporto sostenibili ed eliminare le strozzature nelle principali infrastrutture di rete; OT8: promuovere l'occupazione sostenibile e di qualità e sostenere la mobilità dei lavoratori; OT9: promuovere l'inclusione sociale, combattere la povertà e ogni forma di discriminazione; OT10: investire nell'istruzione, formazione e formazione professionale, per le competenze e l'apprendimento permanente; OT11: rafforzare la capacità delle amministrazioni pubbliche e degli stakeholder e promuovere un'amministrazione pubblica efficiente;
    l'importo complessivo da ripartire tra gli obiettivi tematici è di 41.548,4 milioni di euro per il periodo di programmazione 2014-2020. Nella delibera sono allegate alcune tavole con cui viene dettagliata la ripartizione già disponibile del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo, pari a complessivi 31.118,7 milioni di euro, articolata per obiettivo tematico rispettivamente a favore delle regioni più sviluppate, delle regioni in transizione e delle regioni meno sviluppate. Nelle successive fasi di negoziazione formale con la Commissione europea e di attuazione dell'accordo di partenariato ci si impegna a tener conto delle esigenze che già sono sorte in fase istruttoria al fine di ottimizzare e garantire l'efficace realizzazione dei programmi, nel rispetto del principio della proficua gestione delle risorse;
    come, tuttavia, emerge da una recente inchiesta condotta dal Corriere delle Comunicazioni, tutte le regioni del nostro Paese hanno deliberato in tema di digitalizzazione e sono molte quelle che si sono dotate di agende digitali, reti di nuova generazione, cloud e razionalizzazione dell'esistente: i pilastri, in buona sostanza, sui cui poggia buona parte dei piani;
    lo scenario che ne emerge è sorprendente: le regioni sono molto più avanti di quanto si creda in materia di digitalizzazione e non mancano i progetti (di cui moltissimi già portati a termine) votati a rafforzare l'erogazione di servizi innovativi a cittadini e imprese che fanno leva su tecnologie di ultima generazione; il cloud, considerato dai più uno strumento per razionalizzare l’hardware; aumentare la capacità di storage e abbattere i costi in nome dell'efficienza e della spending review;
    fra le priorità anche la dematerializzazione e anche in questo caso a guidare i progetti c’è il duplice obiettivo di efficientare la macchina pubblica ottenendo un sensibile risparmio sulle spese vive, che non guasta in tempi di crisi;
    da evidenziare il rafforzamento degli investimenti in connettività e in particolare in banda larga per consentire l'erogazione di servizi evoluti e spingere l'attuazione di progetti digitali legati in particolare a sanità e scuola, ma anche a sostenere i distretti produttivi e a favorirne crescita e sviluppo in chiave di globalizzazione;
    da Nord a Sud, le agende regionali si somigliano molto; le differenze si misurano per lo più in termini di risorse disponibili e, quindi, di capacità attuativa delle iniziative sulla carta. Il patto di stabilità, da un lato, e l'incapacità di sfruttare appieno i fondi europei, dall'altro, rappresentano i grandi ostacoli sul cammino;
    le agende digitali regionali ci sono, dunque, ma ancora non si comprende come potranno integrarsi nel grande progetto nazionale. Attuare un'agenda digitale nazionale, quando ci sono già 21 agende locali, potrebbe determinare il rischio di una frammentazione che può inficiare l'attuazione stessa dei progetti a causa di annose questioni quali la mancanza di standard e di interoperabilità e la duplicazione delle iniziative, per non parlare del pericolo di ritrovarsi un'Italia digitale eternamente a macchia di leopardo;
    strettamente legata alla capacità del nostro Paese di centrare pienamente gli obiettivi dell'Agenda digitale europea è senza alcun dubbio l'annosa questione relativa alla necessità di garantire il controllo nazionale dell'infrastruttura di rete;
    come noto e costantemente rilevato da precedenti atti di indirizzo e di sindacato ispettivo presentati dal gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà, nel 2013, il nostro Paese ha dovuto assistere inerme alla dolorosa cessione, di fatto, ad investitori stranieri di una delle società che per anni ha rappresentato l'eccellenza nel mondo delle telecomunicazioni, ovverosia Telecom;
    con riferimento a Telecom spa, in data 4 dicembre 2013, la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati ha approvato la risoluzione n. 8-00029 concernente la situazione della società, nell'ambito della quale ha impegnato il Governo «ad adottare le iniziative consentite affinché siano garantiti i principi di equità e non discriminazione nell'accesso alla rete di telecomunicazioni da parte degli operatori, e, nel caso in cui si proceda alla costituzione di una società della rete, affinché la governance e gli assetti siano tali da assicurare che la gestione di una risorsa strategica per il Paese sia effettuata in modo rispondente a finalità di interesse generale»;
    purtuttavia, durante le audizioni svolte presso la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, il sindacato Slc-Cgl aveva ribadito che senza uno strumento che potesse rimettere in discussione gli accordi che facevano diventare Telefonica controllore di fatto di Telecom Italia dal 1o gennaio 2014, ogni discussione sugli investimenti in infrastrutture necessari a rimuovere il gap tecnologico del nostro Paese sarebbe avvenuto fuori tempo massimo e che sarebbe stato necessario promuovere il decreto sull'offerta pubblica d'acquisto, avviando successivamente con Telefonica un negoziato che, partendo da un aumento di capitale a cui far partecipare investitori come Cassa depositi e prestiti, fondi pensione, assicurazioni vita, fosse in grado di produrre uno sforzo significativo per la costruzione della rete di nuova generazione;
    detto sindacato ha, inoltre, chiesto ai membri della IX Commissione di farsi promotori di una mozione con cui impegnare il Governo, tra le altre cose, a modificare la legge sull'offerta pubblica d'acquisto sulla scorta di quanto realizzato già dal Senato della Repubblica con la mozione n. 1-00160 approvata dall'Assemblea del Senato della Repubblica, a prima firma del presidente Mucchetti e coofirmata dai senatori del gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà, ove si chiedeva al Governo di attivarsi al fine di introdurre, con la massima urgenza, anche attraverso l'adozione di un apposito decreto-legge, le necessarie modifiche al Testo unico della finanza, in modo da: a) rafforzare i poteri di controllo della Consob nell'accertamento dell'esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, in linea con le decisioni già assunte dalla Consob stessa in casi analoghi; b) aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, già prevista per l'offerta pubblica d'acquisto obbligatoria, una seconda soglia legata all'accertata situazione di controllo di fatto;
    a questo impegno, purtroppo, non si è dato mai seguito, nonostante fosse stato assunto analogamente anche alla Camera dei deputati in occasione della presentazione successiva di mozioni orientate in tal senso da parte di diversi gruppi parlamentari,

impegna il Governo:

   a valutare con particolare attenzione, alla luce di quanto previsto dalla normativa nazionale ed europea, l'opportunità di accelerare le procedure di scorporo, ovvero di separazione societaria della infrastruttura della rete di telecomunicazione al fine di rimuovere il gap tecnologico del nostro Paese, mediante la costituzione di una società della rete a maggioranza pubblica che possa prevedere soprattutto il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti;
   a valutare l'opportunità di adottare le più opportune iniziative, avendo riguardo ai risultati delle esperienze maturate nel contesto europeo e internazionale richiamate in premessa, tese a favorire gli investimenti pubblici e privati nelle reti di nuova generazione;
   a valutare l'opportunità di dare seguito agli impegni richiamati dalla citata mozione n. 1-00160 approvata al Senato della Repubblica in materia di modifiche alla legislazione sull'offerta pubblica di acquisto, a prima firma del presidente Mucchetti e coofirmata dai senatori del gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà, per le ragioni espresse in premessa, ove si impegnava, tra l'altro, il Governo pro tempore ad attivarsi al fine di introdurre, con la massima urgenza, anche attraverso l'adozione di un apposito decreto-legge, le necessarie modifiche al testo unico della finanza, in modo da: rafforzare i poteri di controllo della Consob nell'accertamento dell'esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, in linea con le decisioni già assunte dalla Consob stessa in casi analoghi; aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, già prevista per l'offerta pubblica d'acquisto obbligatoria, una seconda soglia legata all'accertata situazione di controllo di fatto;
   a valutare l'opportunità di affrontare in modo deciso l'intera materia relativa all'attuazione dell'Agenda digitale, eventualmente intervenendo con un'iniziativa normativa ad hoc, così da dare finalmente esecuzione ad una serie di procedure di rilevanza essenziale per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese;
   a valutare l'opportunità di informare quanto prima il Parlamento circa l'ammontare preciso e complessivo delle risorse che saranno destinate alla banda larga e ultra-larga, nonché al piano nazionale per l'attuazione dell'Agenda digitale italiana, chiarendo la strategia complessiva da adottare al fine, da un lato, di non sottovalutare il ruolo che le regioni possono avere in termini di competenze e di conoscenza delle specifiche realtà territoriali ma anche, dall'altro, di evitare inutili «doppioni» e ridondanze che rischierebbero di rallentare i progetti e di non assicurare un efficace impiego delle risorse disponibili.
(1-00664) «Quaranta, Scotto, Franco Bordo, Ricciatti, Ferrara, Airaudo, Placido, Paglia, Melilla, Marcon, Duranti, Piras, Fratoianni, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Matarrelli, Nicchi, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    sia le istituzioni sovranazionali che i Governi nazionali riconoscono all'evoluzione delle infrastrutture di nuova generazione e al conseguente sviluppo dei servizi in rete un ruolo fondamentale per garantire una crescita inclusiva, sostenibile e duratura dei singoli Paesi e, sotto tale profilo, l'anno 2011 ha rappresentato uno snodo importante caratterizzato dalla definizione degli ambiziosi obiettivi comunitari dell'agenda digitale europea (COM(2010)245) per il prossimo decennio, ma anche dagli indirizzi regolamentari per la realizzazione delle reti di accesso di nuova generazione e dal lancio delle prime offerte a 100 megabit al secondo anche in Italia;
    le reti di accesso di nuova generazione sono reti di accesso cablate costituite, in tutto o in parte, da elementi ottici e in grado di fornire servizi d'accesso a banda larga con caratteristiche più avanzate (quale una maggiore capacità di trasmissione) rispetto a quelli forniti tramite le reti in rame esistenti;
    dette reti, definite anche come delle vere e proprie «autostrade informatiche» per veicolare il traffico dati a grande velocità, in sicurezza e senza strozzature, secondo quanto emerge dal secondo rapporto dell'Osservatorio I-Com sulle reti di nuova generazione, rappresentano non solo uno strumento di sviluppo e crescita dell'economia, ma anche e soprattutto una modalità di investimento per evitare il cosiddetto «sotto-sviluppo» dei Paesi;
    non a caso, proprio sulle reti di nuova generazione, si sono indirizzati importanti investimenti sia di carattere pubblico che privato nei principali Paesi del mondo e, in particolare, negli Stati Uniti, in Cina, in Corea, in India e in Australia;
    anche i Paesi europei a più elevato tasso di digitalizzazione quali il Regno Unito, l'Olanda e le economie scandinave hanno investito sulle reti di accesso di nuova generazione, anche se in modo più limitato di altre realtà internazionali;
    ciononostante, numerosi studi di caratura nazionale e internazionale dimostrano come le reti di nuova generazione (fisse e mobili) possono promuovere la crescita almeno di un 1 punto di prodotto interno lordo ogni 10 per cento aggiuntivo di diffusione della banda larga e, al contempo, generare importanti risparmi che, a regime, per l'Italia corrisponderebbero a quasi 40 miliardi di euro all'anno. Sul punto, si segnala come la Banca Mondiale stimi, infatti, in 1,21 per cento l'impatto per i Paesi ad alto reddito di prodotto interno lordo aggiuntivo per ogni 10 per cento di diffusione della banda larga (Qiang e Rosotto, «Economic impacts of broadband», in Information and Communication for Development 2009: Extending Reach and Increasing Impact, Word Bank). Con riferimento specifico all'Italia, inoltre, il Progetto Italia digitale 2010 di Confindustria quantifica i risparmi grazie al: telelavoro (in 2 miliardi di euro); e-learning (in 1,4 miliardi di euro); e-government e impresa digitale (in 16 miliardi di euro); e-health (in 8,6 miliardi di euro); giustizia e sicurezza digitale (in 0,5 miliardi di euro); gestione energetica intelligente (in 9,5 miliardi di euro). Analoghe considerazioni sono contenute nel rapporto Oecd (2009) Network developments in support of innovation and user needsDirectorate for science, technology and industry;
    come si evince della lettura del secondo rapporto dell'Osservatorio I-Com sulle reti di nuova generazione, molti Governi hanno implementato strategie volte alla diminuzione degli ingenti costi di costruzione delle infrastrutture e a fornire, conseguentemente, incentivi sufficienti ad attrarre l'investimento privato in zone di mercato altrimenti escluse. Solitamente tali interventi sono successivi a un preliminare processo di stima della domanda potenziale e possono avere scala nazionale o, più frequentemente, essere associati a politiche regionali settoriali, indirizzate a specifiche aree geografiche, in cui il costo di fornitura privata del servizio richiesto è troppo elevato per il livello di domanda identificata;
    tra i meccanismi di investimento implementati a livello europeo e internazionale, uno dei metodi per canalizzare l'intervento pubblico in modo efficiente consiste:
     a) nel progettare forme di partenariato, dal momento che esse permettono di controllare più facilmente i flussi di investimento pubblico e, al contempo, di valersi dell'esperienza e della professionalità del settore privato. Un famoso modello di partenariato pubblico-privato è quello adottato per il progetto Amsterdam Citynet, anche se il modello si è evoluto discostandosi dall'assetto iniziale, con la drastica riduzione della componente pubblica, in seguito al trasferimento di parte della proprietà alle società private KPN e Reggefiber;
     b) nell'avviare prestiti di lungo periodo per gli operatori e programmi nazionali di finanziamento. I programmi di finanziamento vengono adottati per sostenere gli investimenti degli operatori e per agevolare la diffusione della banda larga attraverso incentivi all'entrata sul mercato. Nella maggior parte dei casi, i finanziamenti sono diretti a sovvenzionare soggetti privati, come nel caso dei programmi di finanziamento statunitensi «Rural Broadband Access Loan» e «Guarantees Program», nei quali il Governo si impegnava a concedere garanzie e prestiti agli operatori a tassi agevolati;
     c) nel riconoscimento di incentivi fiscali. Tale tipologia di intervento serve a promuovere gli investimenti in ricerca e sviluppo, in modo tale che gli operatori che investono sia in nuove reti che, in alcuni casi, in nuovi contenuti abbiano incentivi sufficienti a creare ulteriore innovazione. In tale tipologia di intervento rientrano diverse agevolazioni fiscali, che variano a seconda della legislazione del Paese prescelto, e che comprendono il credito di imposta (Usa) e i sussidi elargiti agli operatori di business (Canada). Gli incentivi fiscali sono particolarmente diffusi in Danimarca e negli Stati Uniti, dove sono stati introdotti per agevolare gli investimenti dei nuovi operatori (Usa) e per sussidiare indirettamente i dipendenti di quelle imprese che adottano sistemi di gestione dei dati supportati dalle reti di prossima generazione (Danimarca);
     d) nell'adottare strategie di abbattimento dei costi amministrativi legati ai processi di creazione dell'infrastruttura e nell'agevolare gli investimenti in nuovi rami di business;
     e) nell'adottare politiche di condivisione delle infrastrutture. La ratio di tali politiche è legata al fatto che i costi delle opere civili costituiscono di gran lunga la componente dominante dei costi di realizzazione delle reti di prossima generazione in fibra ottica. In particolare, il Giappone ha utilizzato le reti elettriche esistenti per lo sviluppo della fibra ottica, arrivando a risparmiare il 23 per cento dei costi di implementazione. La Francia, invece, ha deciso di condividere la fibra nelle aree urbane, a Parigi in particolare, aprendo il suo sistema di fognatura ai concorrenti, evitando in tal modo gran parte dei costi di ingegneria civile. Nel mese di agosto del 2008, il legislatore francese ha poi approvato una legge che impone ai costruttori dei nuovi edifici di distribuire la fibra di tutto l'edificio e di renderla disponibile a tutti gli operatori concorrenti su base non discriminatoria;
     f) nell'adottare iniziative per assicurare un utilizzo efficiente dello spettro radio. Lo sviluppo del mercato della banda larga dipenderà in misura consistente dallo sviluppo di reti di tipo wireless, come ha ribadito la Commissione europea nella comunicazione sul futuro della banda larga in Europa del 20 settembre 2010;
     g) nell'implementare il cosiddetto mapping territoriale. Un altro tipo di intervento che, ad oggi, è relativamente poco diffuso è la mappatura delle zone scoperte, ossia quel procedimento di identificazione delle aree territoriali effettivamente escluse dall'accesso a servizi a banda larga mediante un catasto delle infrastrutture;
    al riguardo, le analisi condotte dall'Osservatorio I-Com sulle reti di nuova generazione hanno evidenziato come non tutte le tipologie di politiche pubbliche a sostegno della diffusione della banda larga e delle reti di nuova generazione sembrano esercitare un effetto positivo sulla diffusione delle linee a banda larga;
    infatti, mentre l'implementazione di forme di partenariato pubblico-privato (sia con proprietà pubblica che privata della rete) risulta avere un effetto positivo e statisticamente significativo sul grado di penetrazione della banda larga sul territorio nazionale, così come la realizzazione di programmi di finanziamento e prestiti di lungo periodo per gli operatori, altre politiche quali la mappatura del territorio o il riconoscimento di incentivi fiscali sembrano esercitare un effetto debole e statisticamente non significativo;
    in ogni caso, si ritiene che la questione del finanziamento e degli investimenti in banda larga e reti di nuova generazione appaia troppo importante dal punto di vista economico e sociale per essere lasciata solo nelle mani degli investitori privati, la cui disponibilità all'investimento in tempi rapidi potrebbe essere limitata dagli elevati costi di realizzazione delle nuove reti e, soprattutto, dall'incertezza circa la capacità di ottenere adeguati ritorni dall'investimento;
    l'Italia, peraltro, presenta un numero di «analfabeti digitali» (definito come numero di cittadini che non hanno mai utilizzato Internet) fra i più alti d'Europa e questo fenomeno – che frena la crescita economica e la diffusione della cultura delle informazioni, pregiudicando in modo irreversibile il futuro delle prossime generazioni – nel breve e nel medio periodo, di fatto, potrà essere efficacemente contrastato solo attraverso una forte politica di investimenti pubblici da parte dello Stato;
    con il termine Agenda digitale si intendono un insieme di specifiche politiche pubbliche volte al potenziamento delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione;
    l'Agenda digitale europea è stata presentata dalla Commissione europea nel maggio 2010 – comunicazione «Un'agenda digitale europea» (COM(2010)245) – con lo scopo di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per favorire l'innovazione, la crescita economica e la competitività;
    non a caso l'Agenda digitale europea rappresenta una delle sette «iniziative faro» della Strategia per la crescita «Europa 2020», proponendo di realizzare un mercato unico digitale, di garantire un internet «veloce» e «superveloce» accessibile a tutti e a prezzi competitivi, attraverso reti di nuova generazione, di favorire gli investimenti privati e raddoppiare le spese pubbliche nelle sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione;
    il 20 settembre 2010, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure di attuazione dell'Agenda digitale, tra le quali la comunicazione (COM(2010)472) che indica l'obiettivo di assicurare entro il 2020 l'accesso ad Internet a tutti i cittadini con una velocità di connessione superiore a 30 megabit al secondo (banda ultra larga) e per almeno il 50 per cento delle famiglie con velocità superiore a 100 megabit al secondo;
    la promozione di reti di banda larga è, infatti, ritenuta di importanza centrale al fine del superamento del cosiddetto digital divide e con il termine «banda larga», nella teoria dei segnali, vengono indicati i metodi che consentono a due o più segnali di condividere la stessa linea di trasmissione. Esso è però divenuto con il tempo sinonimo di «alta velocità» di connessione alla rete Internet e di trasmissione ed è, pertanto, un concetto relativo e in evoluzione con l'avanzamento tecnologico. L'attuale sviluppo tecnologico indica generalmente come «banda larga» le connessioni in Europa superiori a 2 megabit al secondo;
    il Piano nazionale per la banda larga, coordinato dal Ministero dello sviluppo economico, mira all'eliminazione del digital divide in tutto il Paese, in particolare tramite l'eliminazione del deficit infrastrutturale presente in oltre 6 mila località del Paese ed i cui costi di sviluppo non possono essere sostenuti dal mercato;
    l'Agenda digitale europea fa riferimento anche alla banda «ultra larga», termine con il quale sono generalmente indicate velocità di connessione superiori a 30 megabit al secondo e che possono raggiungere anche i 100 megabit al secondo;
    sullo stato di diffusione della banda larga in Italia fornisce informazioni utili il rapporto «Raggiungere gli obiettivi Europei 2020 della banda larga in Italia: prospettive e sfide» presentato il 30 gennaio 2014 da Francesco Caio, nella sua qualità di commissario per l'attuazione dell'Agenda digitale, ai sensi del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013;
    il rapporto contiene un'analisi dei piani di investimento dei gestori italiani di telecomunicazioni. Nel rapporto si evidenzia un moderato ottimismo, purché gli operatori continuino ad investire, l'evoluzione tecnologica sia conforme alle attese e vi sia un coordinamento per l'attuazione tra operatori, regolatore e comuni. Per quanto riguarda l'obiettivo della copertura a 30 megabit al secondo per il 100 per cento della popolazione, le prime stime indicano una copertura raggiungibile al 2020 del 70 per cento con piani di dettaglio che arrivano al più fino al 2016-2017 con coperture al 50 per cento. Si ritiene che il raggiungimento completo degli obiettivi dell'Unione europea richieda ulteriori azioni complesse di tipo finanziario e di coordinamento tra i soggetti in campo, con un forte impegno e monitoraggio della Presidenza del Consiglio dei ministri;
    inoltre, la Commissione europea ha autorizzato con decisione COM(2012)9833 del 18 dicembre 2012 il progetto nazionale italiano per la banda ultra larga, che sarà gestito nell'ambito di appositi accordi con le regioni. In questo quadro, sono stati emessi a febbraio 2013 i bandi nazionali per 900 milioni di euro per l'azzeramento del digital divide nonché per accelerare lo sviluppo della banda ultra larga;
    con il Documento di economia e finanza 2014-2016 l'attuale Governo si è impegnato al raggiungimento degli obiettivi europei al 2020 di garantire al 100 per cento dei cittadini servizi di connettività ad almeno 30 megabit al secondo e incentivando, al contempo, la sottoscrizione di servizi oltre i 100 megabit al secondo per la metà della popolazione;
    la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, il 16 aprile 2014, ha espresso parere favorevole al Documento di economia e finanza 2014-2016 evidenziando, tra le altre cose, la priorità di sostenere adeguatamente la piena attuazione dei piani nazionali della banda larga e della banda ultra larga ed operare per il conseguimento degli obiettivi previsti dall'Agenda digitale europea;
    purtuttavia, si deve evidenziare che con riferimento allo stato di attuazione dell'Agenda digitale italiana di cui ai decreti-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012 e n. 69 del 2013, per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo è stato rilevato che dei 55 adempimenti considerati dalla normativa vigente ne sono stati adottati solo 17 (per gli adempimenti non ancora adottati in 21 casi risulta già scaduto il termine per provvedere; rispetto alla ricognizione precedente sono state prese in considerazione le misure dell'articolo 13 del decreto-legge n. 69 del 2013, nonché ulteriori disposizioni del decreto-legge n. 179 del 2012 in precedenza non considerate ma comunque collegate all'attuazione dell'Agenda digitale);
    si segnala altresì che non risulta mai utilizzata la procedura prevista dall'articolo 13, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge n. 69 del 2013, in base alla quale, per accelerare l'adozione dei provvedimenti attuativi previsti da quattordici specifiche disposizioni del decreto-legge n. 179 del 2012 si consente, per i regolamenti governativi, la loro adozione su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e non dei ministri proponenti previsti (comma 2-bis) e per i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e per i decreti ministeriali la loro adozione su proposta del Presidente del Consiglio anche in assenza del concerto dei Ministri previsti (comma 2-ter e 2-quater); infatti, tutti i provvedimenti attuativi in questione risultano ancora da adottare, fatta eccezione per due casi, nei quali si è però utilizzata la procedura ordinaria (si tratta nello specifico del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 agosto 2013, n. 109, attuativo dell'articolo 2, comma 1, e del decreto ministeriale 9 agosto 2013, n. 165, attuativo dell'articolo 14, comma 2-bis);
    eppure la rilevanza strategica dell'Agenda digitale, in un momento cruciale per il nostro Paese, imporrebbe la priorità di intervenire con urgenza sull'Agenda digitale. Una compiuta dematerializzazione consentirebbe, infatti, di ottenere risparmi pari a 43 miliardi di euro l'anno, di cui 4 miliardi di euro l'anno di soli risparmi per gli approvvigionamenti, 15 miliardi di euro l'anno di risparmi legati all'aumento di produttività del personale, 24 miliardi di euro l'anno di risparmi sui «costi di relazione» tra pubblica amministrazione e imprese, grazie a uno snellimento della burocrazia, come dimostrano i dati dell'Osservatorio fatturazione elettronica e dematerializzazione del Politecnico di Milano;
    recentemente, è stata, altresì, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 9 settembre 2014, n. 209, la delibera del comitato interministeriale per la programmazione economica relativa all'approvazione della proposta di accordo di partenariato nell'ambito della programmazione dei fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020;
    è stata approvata con delibera del 18 aprile 2014 del Comitato interministeriale per la programmazione economica, la proposta di accordo di partenariato che stabilisce la strategia di impiego di fondi strutturali e di investimento europei per il periodo 2014-2020. Undici gli obiettivi tematici (OT) previsti dal regolamento (UE) n. 1303/2013: OT1: rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione; OT2: migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonché l'impiego e la qualità delle medesime; OT3: promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, il settore agricolo e il settore della pesca e dell'acquacoltura; OT4: sostenere la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori; OT5: promuovere l'adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi; OT6: tutelare l'ambiente e promuovere l'uso efficiente delle risorse; OT7: promuovere sistemi di trasporto sostenibili ed eliminare le strozzature nelle principali infrastrutture di rete; OT8: promuovere l'occupazione sostenibile e di qualità e sostenere la mobilità dei lavoratori; OT9: promuovere l'inclusione sociale, combattere la povertà e ogni forma di discriminazione; OT10: investire nell'istruzione, formazione e formazione professionale, per le competenze e l'apprendimento permanente; OT11: rafforzare la capacità delle amministrazioni pubbliche e degli stakeholder e promuovere un'amministrazione pubblica efficiente;
    l'importo complessivo da ripartire tra gli obiettivi tematici è di 41.548,4 milioni di euro per il periodo di programmazione 2014-2020. Nella delibera sono allegate alcune tavole con cui viene dettagliata la ripartizione già disponibile del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo, pari a complessivi 31.118,7 milioni di euro, articolata per obiettivo tematico rispettivamente a favore delle regioni più sviluppate, delle regioni in transizione e delle regioni meno sviluppate. Nelle successive fasi di negoziazione formale con la Commissione europea e di attuazione dell'accordo di partenariato ci si impegna a tener conto delle esigenze che già sono sorte in fase istruttoria al fine di ottimizzare e garantire l'efficace realizzazione dei programmi, nel rispetto del principio della proficua gestione delle risorse;
    come, tuttavia, emerge da una recente inchiesta condotta dal Corriere delle Comunicazioni, tutte le regioni del nostro Paese hanno deliberato in tema di digitalizzazione e sono molte quelle che si sono dotate di agende digitali, reti di nuova generazione, cloud e razionalizzazione dell'esistente: i pilastri, in buona sostanza, sui cui poggia buona parte dei piani;
    lo scenario che ne emerge è sorprendente: le regioni sono molto più avanti di quanto si creda in materia di digitalizzazione e non mancano i progetti (di cui moltissimi già portati a termine) votati a rafforzare l'erogazione di servizi innovativi a cittadini e imprese che fanno leva su tecnologie di ultima generazione; il cloud, considerato dai più uno strumento per razionalizzare l’hardware; aumentare la capacità di storage e abbattere i costi in nome dell'efficienza e della spending review;
    fra le priorità anche la dematerializzazione e anche in questo caso a guidare i progetti c’è il duplice obiettivo di efficientare la macchina pubblica ottenendo un sensibile risparmio sulle spese vive, che non guasta in tempi di crisi;
    da evidenziare il rafforzamento degli investimenti in connettività e in particolare in banda larga per consentire l'erogazione di servizi evoluti e spingere l'attuazione di progetti digitali legati in particolare a sanità e scuola, ma anche a sostenere i distretti produttivi e a favorirne crescita e sviluppo in chiave di globalizzazione;
    da Nord a Sud, le agende regionali si somigliano molto; le differenze si misurano per lo più in termini di risorse disponibili e, quindi, di capacità attuativa delle iniziative sulla carta. Il patto di stabilità, da un lato, e l'incapacità di sfruttare appieno i fondi europei, dall'altro, rappresentano i grandi ostacoli sul cammino;
    le agende digitali regionali ci sono, dunque, ma ancora non si comprende come potranno integrarsi nel grande progetto nazionale. Attuare un'agenda digitale nazionale, quando ci sono già 21 agende locali, potrebbe determinare il rischio di una frammentazione che può inficiare l'attuazione stessa dei progetti a causa di annose questioni quali la mancanza di standard e di interoperabilità e la duplicazione delle iniziative, per non parlare del pericolo di ritrovarsi un'Italia digitale eternamente a macchia di leopardo;
    strettamente legata alla capacità del nostro Paese di centrare pienamente gli obiettivi dell'Agenda digitale europea è senza alcun dubbio l'annosa questione relativa alla necessità di garantire il controllo nazionale dell'infrastruttura di rete;
    come noto e costantemente rilevato da precedenti atti di indirizzo e di sindacato ispettivo presentati dal gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà, nel 2013, il nostro Paese ha dovuto assistere inerme alla dolorosa cessione, di fatto, ad investitori stranieri di una delle società che per anni ha rappresentato l'eccellenza nel mondo delle telecomunicazioni, ovverosia Telecom;
    con riferimento a Telecom spa, in data 4 dicembre 2013, la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati ha approvato la risoluzione n. 8-00029 concernente la situazione della società, nell'ambito della quale ha impegnato il Governo «ad adottare le iniziative consentite affinché siano garantiti i principi di equità e non discriminazione nell'accesso alla rete di telecomunicazioni da parte degli operatori, e, nel caso in cui si proceda alla costituzione di una società della rete, affinché la governance e gli assetti siano tali da assicurare che la gestione di una risorsa strategica per il Paese sia effettuata in modo rispondente a finalità di interesse generale»;
    purtuttavia, durante le audizioni svolte presso la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, il sindacato Slc-Cgl aveva ribadito che senza uno strumento che potesse rimettere in discussione gli accordi che facevano diventare Telefonica controllore di fatto di Telecom Italia dal 1o gennaio 2014, ogni discussione sugli investimenti in infrastrutture necessari a rimuovere il gap tecnologico del nostro Paese sarebbe avvenuto fuori tempo massimo e che sarebbe stato necessario promuovere il decreto sull'offerta pubblica d'acquisto, avviando successivamente con Telefonica un negoziato che, partendo da un aumento di capitale a cui far partecipare investitori come Cassa depositi e prestiti, fondi pensione, assicurazioni vita, fosse in grado di produrre uno sforzo significativo per la costruzione della rete di nuova generazione;
    detto sindacato ha, inoltre, chiesto ai membri della IX Commissione di farsi promotori di una mozione con cui impegnare il Governo, tra le altre cose, a modificare la legge sull'offerta pubblica d'acquisto sulla scorta di quanto realizzato già dal Senato della Repubblica con la mozione n. 1-00160 approvata dall'Assemblea del Senato della Repubblica, a prima firma del presidente Mucchetti e coofirmata dai senatori del gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà, ove si chiedeva al Governo di attivarsi al fine di introdurre, con la massima urgenza, anche attraverso l'adozione di un apposito decreto-legge, le necessarie modifiche al Testo unico della finanza, in modo da: a) rafforzare i poteri di controllo della Consob nell'accertamento dell'esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, in linea con le decisioni già assunte dalla Consob stessa in casi analoghi; b) aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, già prevista per l'offerta pubblica d'acquisto obbligatoria, una seconda soglia legata all'accertata situazione di controllo di fatto;
    a questo impegno, purtroppo, non si è dato mai seguito, nonostante fosse stato assunto analogamente anche alla Camera dei deputati in occasione della presentazione successiva di mozioni orientate in tal senso da parte di diversi gruppi parlamentari,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare le più opportune iniziative, tese a favorire investimenti pubblici e privati nelle reti di nuova generazione;
   a valutare l'opportunità di dare seguito agli impegni richiamati dalla citata mozione n. 1-00160 approvata al Senato della Repubblica in materia di modifiche alla legislazione sull'offerta pubblica di acquisto, a prima firma del presidente Mucchetti e coofirmata dai senatori del gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà, per le ragioni espresse in premessa, ove si impegnava, tra l'altro, il Governo pro tempore ad attivarsi al fine di introdurre, con la massima urgenza, anche attraverso l'adozione di un apposito decreto-legge, le necessarie modifiche al testo unico della finanza, in modo da: rafforzare i poteri di controllo della Consob nell'accertamento dell'esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, in linea con le decisioni già assunte dalla Consob stessa in casi analoghi; aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, già prevista per l'offerta pubblica d'acquisto obbligatoria, una seconda soglia legata all'accertata situazione di controllo di fatto;
   a valutare l'opportunità di affrontare in modo deciso l'intera materia relativa all'attuazione dell'Agenda digitale, eventualmente intervenendo con tutti gli strumenti necessari, così da dare finalmente sostegno ad una serie di procedure di rilevanza essenziale per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese;
   a valutare l'opportunità di informare quanto prima il Parlamento circa l'ammontare preciso e complessivo delle risorse che saranno destinate alla banda larga e ultra-larga, nonché al piano nazionale per l'attuazione dell'Agenda digitale italiana, chiarendo la strategia complessiva da adottare al fine, da un lato, di non sottovalutare il ruolo che le regioni possono avere in termini di competenze e di conoscenza delle specifiche realtà territoriali ma anche, dall'altro, di evitare inutili «doppioni» e ridondanze che rischierebbero di rallentare i progetti e di non assicurare un efficace impiego delle risorse disponibili.
(1-00664)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Quaranta, Scotto, Franco Bordo, Ricciatti, Ferrara, Airaudo, Placido, Paglia, Melilla, Marcon, Duranti, Piras, Fratoianni, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Matarrelli, Nicchi, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    le reti di accesso di nuova generazione cablate, costituite in tutto o in parte in fibra ottica, sono in grado di fornire servizi d'accesso a banda larga e ultra larga molto più avanzati – grazie ad una maggiore capacità di trasmissione – rispetto alle reti in rame esistenti;
    le tecnologie dell'informazione e della comunicazione sono il settore che più di ogni altro dà impulso e sostiene la crescita e lo sviluppo di un Paese: come è noto, le reti di nuova generazione – fisse e mobili – contribuiscono fattivamente alla crescita economica: secondo la Banca mondiale nella misura dell'1,3 per cento di prodotto interno lordo per ciascuna quota aggiuntiva del 10 per cento nella diffusione della banda larga;
    l'infrastruttura di nuova generazione rappresenta, pertanto, una priorità di investimento perché contribuisce a sviluppare quell’«ecosistema digitale» necessario per recuperare produttività, attrarre investimenti, rivitalizzare la competitività internazionale e creare nuova occupazione qualificata;
    la percentuale di investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione sul prodotto interno lordo in Europa è, in media, pari a circa il 6 per cento, mentre in Italia non supera il 4,5 per cento. È ampiamente dimostrato che i Paesi che hanno un rapporto investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione/prodotto interno lordo più elevato hanno più alti livelli di produttività; metà della crescita della produttività degli ultimi anni negli Stati Uniti è delegata al contributo degli investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione; in Europa gli investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione contribuiscono alla crescita della produttività per il 40 per cento, mentre in Italia per non più del 23 per cento;
    la capacità di crescita delle aziende è sempre più inserita e condizionata dal contesto del sistema Paese: le possibilità di sviluppo delle aziende passano sia dalla capacità di individuare nuovi paradigmi e/o modelli di business, ai quali contribuisce l'investimento in tecnologie dell'informazione e della comunicazione, sia dal contesto in cui operano in termini di servizi tecnologici fruibili nel proprio territorio;
    l'Agenda digitale non deve puntare a smaterializzare la carta, ma a far materializzare nuovi processi organizzativi e finanziari più coerenti con l'attuale contesto economico. La scelta dello switch-off (ovvero il passaggio totale dall'analogico al digitale) rappresenta l'unico modo per arrivare finalmente alla totale digitalizzazione delle comunicazioni interne alla pubblica amministrazione e tra questa e i cittadini e le imprese, inoltre è la chiave per spingere anche il nostro Paese a sviluppi rapidi sul digitale, agevolando al contempo l'alfabetizzazione digitale;
    l'Agenda digitale europea ha fissato ambiziosi obiettivi in termini di reti e di servizi da conseguire entro il 2020: a) il 100 per cento di copertura con un collegamento a velocità superiore a 30 megabit al secondo e almeno il 50 per cento di popolazione connessa a 100 megabit al secondo; b) il 50 per cento della popolazione europea dovrà comunicare ed interagire con la pubblica amministrazione con modalità di rete; c) il 50 per cento dei cittadini dovrà abitualmente utilizzare l’e-commerce e il 75 per cento dovrà regolarmente ricorrere a internet; d) almeno il 33 per cento delle piccole e medie imprese dovrà vendere i propri prodotti o servizi mediante internet;
    l'Italia ha, da un lato, un'insufficiente dotazione di questa fondamentale infrastruttura per cui occorre attivare tutte le iniziative necessarie per accelerarne lo sviluppo, e, dall'altro, una sovrabbondanza di infrastrutture di rete realizzate nel corso degli anni da enti locali, aree metropolitane e società miste, fuori dal controllo degli operatori di telecomunicazioni che duplicano infrastrutture esistenti spesso rimaste del tutto inattive;
    l'Italia sconta un grave ritardo nella realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale europea, anche a seguito di uno sterile confronto tra disponibilità prioritaria dell'infrastruttura o quella dei nuovi servizi digitali, che non ha contribuito né a sviluppare nuovi servizi (sganciandoli definitivamente dalle precedenti modalità fisiche o analogiche) né ad ottimizzare le pur considerevoli dotazioni dell'attuale infrastruttura di rete intesa complessivamente, pubblica e privata;
    l'Italia sconta una grave arretratezza su cultura e competenze digitali; dalla capacità d'uso, la cosiddetta «cittadinanza digitale», alle competenze digitali per il lavoro (tutti i lavori), la cosiddetta e-leadership, per finire, non ultimo, alle competenze specialistiche necessarie allo sviluppo di sistemi e servizi, sviluppo che consentirebbe al Paese di spostarsi da mero mercato consumer a Paese produttore di tecnologie;
    la recente indagine conoscitiva sulla concorrenza statica e dinamica nel mercato dei servizi di accesso e sulle prospettive di investimento nelle reti di telecomunicazioni a banda larga e ultra-larga condotta congiuntamente dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha suggerito quattro ipotetiche forme di intervento pubblico per lo sviluppo delle reti di comunicazioni a banda ultra larga, distinte in funzione del grado di indirizzo esercitato dalla politica pubblica sul processo di sviluppo delle infrastrutture e del livello di investimento pubblico per la realizzazione delle reti, ovvero: a) le politiche di sostegno indiretto degli investimenti sia dal lato dell'offerta che della domanda; b) l'attività di coordinamento, controllo e monitoraggio dei processi di sviluppo delle reti («oversight»); c) l'investimento pubblico nella realizzazione delle reti nelle aree a «fallimento di mercato»; d) l’«accelerazione» del processo di sviluppo tecnologico;
    la medesima indagine conoscitiva ha sottolineato che nel caso di costituzione di una rete nga (next generation access) di tipo Fttc, Fiber to the cabinet, sarebbe riutilizzabile solo il 36 per cento delle infrastrutture civili esistenti nella sezione primaria della rete di accesso in rame;
    il Governo, in attuazione dei piani previsti nell'accordo di partenariato 2014-2020, ha recentemente presentato il piano «Crescita Digitale» e il «Piano nazionale Banda Ultra Larga», i cui obiettivi strategici sono strettamente collegati. Piani che saranno sottoposti a una consultazione con gli stakeholder del settore;
    il Piano strategico banda ultra larga (Bul) prevede, entro il 2020, la copertura per l'85 per cento della popolazione con connettività di almeno 100 megabit al secondo e per il restante 15 per cento almeno 30 megabit al secondo attraverso investimenti per 6 miliardi di euro pubblici e 2 miliardi di euro privati;
    in particolare, il Piano strategico banda ultra larga prevede che – oltre i 2 miliardi di euro di investimenti privati – le fonti di finanziamento saranno pubbliche e per lo più in programmi europei. In particolare, 419 milioni di euro dal Piano strategico banda ultra larga; 2,4 miliardi di euro da programmi operativi regionali a valere sul Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e sul Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale (Feasr); 230 milioni di euro da programmi operativi nazionali Fesr, fino a 5 miliardi di euro dal Fondo sviluppo e coesione (2014-2020),

impegna il Governo:

   a promuovere la realizzazione di reti di accesso di nuova generazione aperte, efficienti, neutrali, economiche e pronte per evoluzioni future, garantendo il rispetto delle regole di libero mercato e concorrenza, anche attraverso azioni di coordinamento e di governance;
   a favorire e sostenere gli investimenti delle imprese di telecomunicazioni, degli investitori istituzionali, delle utility in un'infrastruttura di accesso di nuova generazione aperta, efficiente e pro competitiva, anche favorendo amministrativamente la posa di reti di comunicazione, assumendo iniziative per ridurre i tempi per il rilascio dei relativi permessi ed escludendo il pagamento di oneri o indennizzi, fermo restando il solo obbligo di ripristino dello stato dei luoghi;
   a incrementare, in un'ottica di efficienza della governance, il catasto di ogni infrastruttura, del sotto e sopra suolo, funzionale alla realizzazione di reti di banda ultra larga, siano esse in titolarità di operatori di comunicazione elettronica o di organismi pubblici e di concessionari pubblici;
   a prevedere nelle cosiddette «zone a fallimento di mercato» e nelle quali non saranno previsti investimenti con fondi pubblici la possibilità di incentivare l'utilizzo di tecnologie alternative ai fini di ridurre il digital divide;
   a realizzare concretamente tutti gli interventi necessari all'Agenda digitale nazionale, che consentano il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale europea, mediante tutti gli strumenti di guida, che assolvano funzione di trasparenza delle procedure e di controllo dell'efficacia delle azioni dell'intera catena decisionale e realizzativa dei soggetti cointeressati (Governo, regioni, enti locali e autorità regolatorie);
   a favorire lo sviluppo degli obiettivi del Piano strategico di crescita digitale, anche attraverso apposita iniziativa normativa che attui gli obiettivi del Piano, in particolare quelli relativi al programma «Italia login», e riduca le barriere d'ingresso ai servizi digitali anche attraverso un'azione di accompagnamento volta a ridurre il cosiddetto analfabetismo digitale;
   a favorire la diffusione dell'utilizzo della rete e l'alfabetizzazione digitale anche attraverso una pianificazione dello switch-off dei servizi analogici della pubblica amministrazione verso servizi esclusivamente digitali, accompagnando cittadini e imprese nel processo di transizione con interventi coordinati di sviluppo delle competenze digitali in grado di stimolare anche la domanda di servizi e la capacità di integrarli nel cambiamento del Paese ed infine di realizzarli.
(1-00678) «Bruno Bossio, Carbone, Boccadutri, Tullo, Martella, Coppola, Bonaccorsi, Bargero, Lodolini, Mauri, Aiello, Losacco».


   La Camera,
   premesso che:
    le reti di accesso di nuova generazione cablate, costituite in tutto o in parte in fibra ottica, sono in grado di fornire servizi d'accesso a banda larga e ultra larga molto più avanzati – grazie ad una maggiore capacità di trasmissione – rispetto alle reti in rame esistenti;
    le tecnologie dell'informazione e della comunicazione sono il settore che più di ogni altro dà impulso e sostiene la crescita e lo sviluppo di un Paese: come è noto, le reti di nuova generazione – fisse e mobili – contribuiscono fattivamente alla crescita economica: secondo la Banca mondiale nella misura dell'1,3 per cento di prodotto interno lordo per ciascuna quota aggiuntiva del 10 per cento nella diffusione della banda larga;
    l'infrastruttura di nuova generazione rappresenta, pertanto, una priorità di investimento perché contribuisce a sviluppare quell’«ecosistema digitale» necessario per recuperare produttività, attrarre investimenti, rivitalizzare la competitività internazionale e creare nuova occupazione qualificata;
    la percentuale di investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione sul prodotto interno lordo in Europa è, in media, pari a circa il 6 per cento, mentre in Italia non supera il 4,5 per cento. È ampiamente dimostrato che i Paesi che hanno un rapporto investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione/prodotto interno lordo più elevato hanno più alti livelli di produttività; metà della crescita della produttività degli ultimi anni negli Stati Uniti è delegata al contributo degli investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione; in Europa gli investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione contribuiscono alla crescita della produttività per il 40 per cento, mentre in Italia per non più del 23 per cento;
    la capacità di crescita delle aziende è sempre più inserita e condizionata dal contesto del sistema Paese: le possibilità di sviluppo delle aziende passano sia dalla capacità di individuare nuovi paradigmi e/o modelli di business, ai quali contribuisce l'investimento in tecnologie dell'informazione e della comunicazione, sia dal contesto in cui operano in termini di servizi tecnologici fruibili nel proprio territorio;
    l'Agenda digitale non deve puntare a smaterializzare la carta, ma a far materializzare nuovi processi organizzativi e finanziari più coerenti con l'attuale contesto economico. La scelta dello switch-off (ovvero il passaggio totale dall'analogico al digitale) rappresenta l'unico modo per arrivare finalmente alla totale digitalizzazione delle comunicazioni interne alla pubblica amministrazione e tra questa e i cittadini e le imprese, inoltre è la chiave per spingere anche il nostro Paese a sviluppi rapidi sul digitale, agevolando al contempo l'alfabetizzazione digitale;
    l'Agenda digitale europea ha fissato ambiziosi obiettivi in termini di reti e di servizi da conseguire entro il 2020: a) il 100 per cento di copertura con un collegamento a velocità superiore a 30 megabit al secondo e almeno il 50 per cento di popolazione connessa a 100 megabit al secondo; b) il 50 per cento della popolazione europea dovrà comunicare ed interagire con la pubblica amministrazione con modalità di rete; c) il 50 per cento dei cittadini dovrà abitualmente utilizzare l’e-commerce e il 75 per cento dovrà regolarmente ricorrere a internet; d) almeno il 33 per cento delle piccole e medie imprese dovrà vendere i propri prodotti o servizi mediante internet;
    l'Italia ha, da un lato, un'insufficiente dotazione di questa fondamentale infrastruttura per cui occorre attivare tutte le iniziative necessarie per accelerarne lo sviluppo, e, dall'altro, una sovrabbondanza di infrastrutture di rete realizzate nel corso degli anni da enti locali, aree metropolitane e società miste, fuori dal controllo degli operatori di telecomunicazioni che duplicano infrastrutture esistenti spesso rimaste del tutto inattive;
    l'Italia sconta un grave ritardo nella realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale europea, anche a seguito di uno sterile confronto tra disponibilità prioritaria dell'infrastruttura o quella dei nuovi servizi digitali, che non ha contribuito né a sviluppare nuovi servizi (sganciandoli definitivamente dalle precedenti modalità fisiche o analogiche) né ad ottimizzare le pur considerevoli dotazioni dell'attuale infrastruttura di rete intesa complessivamente, pubblica e privata;
    l'Italia sconta una grave arretratezza su cultura e competenze digitali; dalla capacità d'uso, la cosiddetta «cittadinanza digitale», alle competenze digitali per il lavoro (tutti i lavori), la cosiddetta e-leadership, per finire, non ultimo, alle competenze specialistiche necessarie allo sviluppo di sistemi e servizi, sviluppo che consentirebbe al Paese di spostarsi da mero mercato consumer a Paese produttore di tecnologie;
    la recente indagine conoscitiva sulla concorrenza statica e dinamica nel mercato dei servizi di accesso e sulle prospettive di investimento nelle reti di telecomunicazioni a banda larga e ultra-larga condotta congiuntamente dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha suggerito quattro ipotetiche forme di intervento pubblico per lo sviluppo delle reti di comunicazioni a banda ultra larga, distinte in funzione del grado di indirizzo esercitato dalla politica pubblica sul processo di sviluppo delle infrastrutture e del livello di investimento pubblico per la realizzazione delle reti, ovvero: a) le politiche di sostegno indiretto degli investimenti sia dal lato dell'offerta che della domanda; b) l'attività di coordinamento, controllo e monitoraggio dei processi di sviluppo delle reti («oversight»); c) l'investimento pubblico nella realizzazione delle reti nelle aree a «fallimento di mercato»; d) l’«accelerazione» del processo di sviluppo tecnologico;
    la medesima indagine conoscitiva ha sottolineato che nel caso di costituzione di una rete nga (next generation access) di tipo Fttc, Fiber to the cabinet, sarebbe riutilizzabile solo il 36 per cento delle infrastrutture civili esistenti nella sezione primaria della rete di accesso in rame;
    il Governo, in attuazione dei piani previsti nell'accordo di partenariato 2014-2020, ha recentemente presentato il piano «Crescita Digitale» e il «Piano nazionale Banda Ultra Larga», i cui obiettivi strategici sono strettamente collegati. Piani che saranno sottoposti a una consultazione con gli stakeholder del settore;
    il Piano strategico banda ultra larga (Bul) prevede, entro il 2020, la copertura per l'85 per cento della popolazione con connettività di almeno 100 megabit al secondo e per il restante 15 per cento almeno 30 megabit al secondo attraverso investimenti per 6 miliardi di euro pubblici e 2 miliardi di euro privati;
    in particolare, il Piano strategico banda ultra larga prevede che – oltre i 2 miliardi di euro di investimenti privati – le fonti di finanziamento saranno pubbliche e per lo più in programmi europei. In particolare, 419 milioni di euro dal Piano strategico banda ultra larga; 2,4 miliardi di euro da programmi operativi regionali a valere sul Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e sul Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale (Feasr); 230 milioni di euro da programmi operativi nazionali Fesr, fino a 5 miliardi di euro dal Fondo sviluppo e coesione (2014-2020),

impegna il Governo:

   a promuovere la realizzazione di reti di accesso di nuova generazione aperte, efficienti, neutrali, economiche e pronte per evoluzioni future, garantendo il rispetto delle regole di libero mercato e concorrenza, anche attraverso azioni di coordinamento e di governance;
   a favorire e sostenere gli investimenti delle imprese di telecomunicazioni, degli investitori istituzionali, delle utility in infrastrutture di accesso di nuova generazione aperte, efficienti e pro competitive, anche favorendo amministrativamente la posa di reti di comunicazione, assumendo iniziative per ridurre i tempi per il rilascio dei relativi permessi ed escludendo il pagamento di oneri o indennizzi, fermo restando il solo obbligo di ripristino dello stato dei luoghi;
   a incrementare, in un'ottica di efficienza della governance, il catasto di ogni infrastruttura, del sotto e sopra suolo, funzionale alla realizzazione di reti di banda ultra larga, siano esse in titolarità di operatori di comunicazione elettronica o di organismi pubblici e di concessionari pubblici;
   a prevedere nelle cosiddette «zone a fallimento di mercato» e nelle quali non saranno previsti investimenti con fondi pubblici la possibilità di incentivare l'utilizzo di tecnologie alternative ai fini di ridurre il digital divide;
   a realizzare concretamente tutti gli interventi necessari all'Agenda digitale nazionale, che consentano il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale europea, mediante tutti gli strumenti di guida, che assolvano funzione di trasparenza delle procedure e di controllo dell'efficacia delle azioni dell'intera catena decisionale e realizzativa dei soggetti cointeressati (Governo, regioni, enti locali e autorità regolatorie);
   a favorire lo sviluppo degli obiettivi del Piano strategico di crescita digitale, anche attraverso apposita iniziativa normativa che attui gli obiettivi del Piano, in particolare quelli relativi al programma «Italia login», e riduca le barriere d'ingresso ai servizi digitali anche attraverso un'azione di accompagnamento volta a ridurre il cosiddetto analfabetismo digitale;
   a favorire la diffusione dell'utilizzo della rete e l'alfabetizzazione digitale anche attraverso una pianificazione dello switch-off dei servizi analogici della pubblica amministrazione verso servizi esclusivamente digitali, accompagnando cittadini e imprese nel processo di transizione con interventi coordinati di sviluppo delle competenze digitali in grado di stimolare anche la domanda di servizi e la capacità di integrarli nel cambiamento del Paese ed infine di realizzarli.
(1-00678)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Bruno Bossio, Carbone, Boccadutri, Tullo, Martella, Coppola, Bonaccorsi, Bargero, Lodolini, Mauri, Aiello, Losacco».


   La Camera,
   premesso che:
    le telecomunicazioni costituiscono un settore strategico per lo sviluppo economico dell'Italia, stimolando l'occupazione, aumentando la produttività delle imprese e della pubblica amministrazione e contribuendo, inoltre, alla sostenibilità ambientale;
    occorre superare gli ostacoli e i ritardi strutturali che attualmente caratterizzano la diffusione delle nuove reti di comunicazioni: gli investimenti in questo campo, infatti, hanno rappresentato negli ultimi venti anni il più importante fattore di crescita, determinando fino allo 0,6 per cento dell'aumento del prodotto interno lordo dei Paesi più avanzati;
    come rilevato da uno studio recente dell'ex commissario per l'Agenda digitale, gli investimenti necessari per la realizzazione di una moderna rete in fibra non risultano sufficienti per raggiungere gli obiettivi della digital agenda 2020;
    su un universo di circa un milione di piccole e medie imprese, circa 300 mila sono dislocate in aree che necessitano di banda ultra larga: sviluppare moderne infrastrutture di nuova generazione consentirebbe l'interconnessione di tutte le 100 mila aziende con una maggiore priorità;
    è necessaria una forte azione governativa, affinché, grazie ad una cooperazione tra settore pubblico e privato, l'Italia colmi il digital divide che la separa dagli altri Paesi ad economia avanzata (che da tempo si sono dotati di piani strategici di sviluppo delle reti di accesso di nuova generazione, in linea con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea che anche la Commissione europea considera elemento base della sostenibilità socioeconomica), attraverso investimenti sia sulla rete mobile che su quella fissa;
    bisogna attuare iniziative di stimolo e di impulso che favoriscano la domanda di servizi digitali, anche tenuto conto che il nostro livello di alfabetizzazione digitale risulta notevolmente basso, come scarso risulta ancora il numero di utilizzatori di Internet, unitamente al tasso di diffusione dei pc nelle famiglie: solo così l'Italia può recuperare il ruolo storico di esempio di imprenditorialità e leadership nella produzione di ricerca, sapere e innovazione, oltre che generare un tessuto economico e sociale capace di valorizzare il talento, il merito e la competenza;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche tenendo conto delle raccomandazioni europee, ha chiesto misure di semplificazione degli adempimenti burocratici e amministrativi, nonché iniziative per facilitare la creazione di un ecosistema digitale: interventi che dovrebbero essere completati dall'adozione di politiche di valorizzazione delle risorse frequenziali, liberando più risorse per la banda larga;
    come riportato dalla recente ricerca dell'Osservatorio agenda digitale della School of management del Politecnico di Milano, ad oggi sono stati adottati solo 18 dei 53 provvedimenti attuativi, tra regolamenti e regole tecniche, previsti per il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale,

impegna il Governo

   ad elaborare una visione strategica nazionale per il settore delle telecomunicazioni, tale da soddisfare la funzione di interesse generale dell'infrastruttura di telecomunicazioni e fornire il quadro di riferimento per gli operatori, con la possibilità di prevedere forme di socializzazione interna ovvero aperta a tutti gli operatori per la gestione della rete di accesso, ove la sola concorrenza non sia in grado di perseguire l'interesse generale;
   a sostenere il progetto di costituzione di una one network in fibra ottica nelle zone a fallimento di mercato, ovvero in quelle aree ove non sia possibile la creazione di una rete fissa alternativa, attraverso una società in cui potranno essere coinvolti investitori finanziari specializzati, a partire, ad esempio, dalla Cassa depositi e prestiti;
   ad incentivare la realizzazione di un'unica infrastruttura di rete fissa a banda ultralarga, aperta, efficiente, neutrale, economica e già pronta per evoluzioni future, garantendo il rispetto delle regole di libero mercato e concorrenza nella fornitura di accesso e servizi agli utenti finali privati ed imprese, con un'unica rete all'ingrosso e concorrenza al dettaglio;
   a promuovere una tempestiva migrazione dalla rete in rame a quella in fibra ottica alla cui realizzazione dovranno partecipare e contribuire tutti gli operatori;
   a valutare le strategie più efficaci e praticabili atte a consentire lo sviluppo dell'infrastruttura di rete e della relativa governance, in modo da assicurare la piena concorrenza tra operatori nei confronti dei clienti finali;
   a favorire ogni iniziativa volta alla massima diffusione dell'utilizzo delle tecnologie digitali e alla sperimentazione dei relativi vantaggi, attuando politiche volte a diffondere l'uso di Internet tra i cittadini, anche mediante apposite previsioni nel contratto di servizio RAI;
   a provvedere alla celere revisione dei decreti attuativi necessari all'implementazione dell'Agenda digitale, al fine di valutarne l'attualità e rimuovere adempimenti burocratici e previsioni non più attuali;
(1-00681) «Galgano, Matarrese, Molea, Sottanelli, Vargiu, Vezzali, Vitelli, Monchiero, Rabino, Falcone, Oliaro».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    le telecomunicazioni costituiscono un settore strategico per lo sviluppo economico dell'Italia, stimolando l'occupazione, aumentando la produttività delle imprese e della pubblica amministrazione e contribuendo, inoltre, alla sostenibilità ambientale;
    occorre superare gli ostacoli e i ritardi strutturali che attualmente caratterizzano la diffusione delle nuove reti di comunicazioni: gli investimenti in questo campo, infatti, hanno rappresentato negli ultimi venti anni il più importante fattore di crescita, determinando fino allo 0,6 per cento dell'aumento del prodotto interno lordo dei Paesi più avanzati;
    come rilevato da uno studio recente dell'ex commissario per l'Agenda digitale, gli investimenti necessari per la realizzazione di una moderna rete in fibra non risultano sufficienti per raggiungere gli obiettivi della digital agenda 2020;
    su un universo di circa un milione di piccole e medie imprese, circa 300 mila sono dislocate in aree che necessitano di banda ultra larga: sviluppare moderne infrastrutture di nuova generazione consentirebbe l'interconnessione di tutte le 100 mila aziende con una maggiore priorità;
    è necessaria una forte azione governativa, affinché, grazie ad una cooperazione tra settore pubblico e privato, l'Italia colmi il digital divide che la separa dagli altri Paesi ad economia avanzata (che da tempo si sono dotati di piani strategici di sviluppo delle reti di accesso di nuova generazione, in linea con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea che anche la Commissione europea considera elemento base della sostenibilità socioeconomica), attraverso investimenti sia sulla rete mobile che su quella fissa;
    bisogna attuare iniziative di stimolo e di impulso che favoriscano la domanda di servizi digitali, anche tenuto conto che il nostro livello di alfabetizzazione digitale risulta notevolmente basso, come scarso risulta ancora il numero di utilizzatori di Internet, unitamente al tasso di diffusione dei pc nelle famiglie: solo così l'Italia può recuperare il ruolo storico di esempio di imprenditorialità e leadership nella produzione di ricerca, sapere e innovazione, oltre che generare un tessuto economico e sociale capace di valorizzare il talento, il merito e la competenza;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche tenendo conto delle raccomandazioni europee, ha chiesto misure di semplificazione degli adempimenti burocratici e amministrativi, nonché iniziative per facilitare la creazione di un ecosistema digitale: interventi che dovrebbero essere completati dall'adozione di politiche di valorizzazione delle risorse frequenziali, liberando più risorse per la banda larga;
    come riportato dalla recente ricerca dell'Osservatorio agenda digitale della School of management del Politecnico di Milano, ad oggi sono stati adottati solo 18 dei 53 provvedimenti attuativi, tra regolamenti e regole tecniche, previsti per il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale,

impegna il Governo

   ad elaborare una visione strategica nazionale per il settore delle telecomunicazioni, tale da soddisfare la funzione di interesse generale delle infrastrutture di telecomunicazioni e fornire il quadro di riferimento per gli operatori;
   ad incentivare la realizzazione di infrastrutture di rete fissa a banda ultralarga, aperte, efficienti, neutrali, economiche e già pronte per evoluzioni future, garantendo il rispetto delle regole di libero mercato e concorrenza nella fornitura di accesso e servizi agli utenti finali privati ed imprese;
   a promuovere il progressivo avvento delle più innovative tecnologie;
   a valutare le strategie più efficaci e praticabili atte a consentire lo sviluppo delle infrastrutture di rete in modo da assicurare la piena concorrenza tra operatori nei confronti dei clienti finali;
   a favorire ogni iniziativa volta alla massima diffusione dell'utilizzo delle tecnologie digitali e alla sperimentazione dei relativi vantaggi, attuando politiche volte a diffondere l'uso di Internet tra i cittadini, anche mediante apposite previsioni nel contratto di servizio RAI;
   a provvedere alla celere revisione dei decreti attuativi necessari all'implementazione dell'Agenda digitale, al fine di valutarne l'attualità e rimuovere adempimenti burocratici e previsioni non più attuali.
(1-00681)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Galgano, Matarrese, Molea, Sottanelli, Vargiu, Vezzali, Vitelli, Monchiero, Rabino, Falcone, Oliaro».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    la tecnologia e le telecomunicazioni sono parte integrante della vita quotidiana di milioni di cittadini, e in questo scenario la banda ultralarga sarà l'infrastruttura portante dell'intero sistema economico e sociale, su cui sviluppare la futura competitività del Paese;
    dai dati pubblicati nel mese di maggio 2014 dalla Commissione europea con riferimento alla penetrazione della banda larga in Italia, emerge che solo il 2 per cento delle abitazioni è raggiunto da una rete di accesso veloce ad internet (almeno a 30 megabit per secondo), con una marcata differenza tra le regioni settentrionali e meridionali, a fronte di una media europea del 62 per cento e a dati di alcuni Paesi europei, quali Regno Unito o Spagna, che si attestano sopra la media, rispettivamente all'82 e al 65 per cento di penetrazione e che, nei prossimi anni, prevedono di raggiungere il 100 per cento di copertura;
    l'Italia risulta all'ultimo posto in Europa per velocità media delle connessioni ad internet, con appena 4,4 megabit al secondo, contro i 5,2 di Francia e Spagna, i 6,9 della Germania, i 7,9 del Regno Unito, fino ai 10,1 della Svizzera;
    i ritardi dell'Italia nella velocità di connessione ad internet possono essere in larga parte attribuiti al divario digitale interno, il cosiddetto digital divide, ovvero alla differenza esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione (in particolare personal computer e internet) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale;
    nel maggio 2010 la Commissione europea ha presentato l'Agenda digitale europea, con lo scopo di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per favorire l'innovazione, la crescita economica e la competitività e nel mese di settembre dello stesso anno la Commissione ha presentato un pacchetto di misure di attuazione dell'Agenda, tra le quali la comunicazione che indica l'obiettivo di assicurare entro il 2020 l'accesso ad internet a tutti i cittadini con una velocità di connessione superiore a 30 Mbitps (banda ultralarga) e per almeno il 50 per cento delle famiglie con velocità superiore a 100 Mbitps;
    in attuazione dell'Agenda digitale europea, in ambito nazionale il 1o marzo 2012 è stata istituita l'Agenda digitale italiana (ADI), contestualmente ad un'apposita cabina di regia con il compito di accelerare il percorso di attuazione dell'Agenda digitale italiana e di definirne le strategie;
    inoltre, con il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, è stata istituita anche l'Agenzia per l'Italia Digitale, preposta alla realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana, in coerenza con gli indirizzi elaborati dalla cabina di regia, con particolare riferimento allo sviluppo delle reti di nuova generazione e dell'interoperabilità tra i sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni e tra questi e quelli dell'Unione europea;
    allo stato, l'Agenzia risulta in grande difficoltà a causa di irregolarità nella gestione, sia per quanto attiene al personale, sia per quanto riguarda il profilo finanziario, che ha determinato la nomina di un apposito commissario per l'attuazione dell'agenda digitale;
    ai fini del superamento del digital divide sono considerati essenziali lo sviluppo ed il potenziamento della banda ultralarga, e agli stessi fini è stato adottato il piano nazionale banda larga, coordinato dal Ministero dello sviluppo economico, che mira all'eliminazione del deficit infrastrutturale presente in oltre seimila località del Paese ed i cui costi di sviluppo non possono essere sostenuti dal mercato;
    il rapporto «Raggiungere gli obiettivi Europei 2020 della banda larga in Italia: prospettive e sfide» presentato il 30 gennaio 2014 da Francesco Caio nella sua qualità di commissario per l'attuazione dell'agenda digitale, rispetto all'obiettivo della copertura a 30Mbps per il 100 per cento della popolazione entro il 2020, si rileva che le prime stime indicano una copertura raggiungibile in tale data del 70 per cento con piani di dettaglio che arrivano al più fino al 2016-2017 con coperture al 50 per cento;
    lo stesso rapporto, inoltre, prevede che il raggiungimento completo degli obiettivi fissati dall'Unione europea richieda ulteriori azioni complesse di tipo finanziario e di coordinamento tra i soggetti in campo;
    i provvedimenti legislativi introdotti nell'ambito del potenziamento delle fibre ottiche e dell'agenda digitale si sono rivelati nel complesso insufficienti ai fini del potenziamento effettivo dei servizi di connessione ad internet ed in particolare nella velocità di collegamento;
    è opportuno rilevare, infatti, che oltre alla mancanza di un'adeguata dotazione finanziaria, tali provvedimenti risentono della bassissima percentuale di decreti attuativi emanati;
    dal monitoraggio dell'attuazione dell'Agenda digitale italiana del 5 marzo si evince che all'aggiornamento della ricognizione ora effettuato risulta che dei 55 adempimenti considerati ne sono stati adottati 17 e che per gli adempimenti non ancora adottati in 21 casi risulta già scaduto il termine per provvedere;
    l'infrastruttura della rete di telecomunicazione è un fattore di competitività del Paese che alimenta l'innovazione, e la rete italiana è un monopolio naturale che con lo sviluppo delle nuove reti ultra-broadband rischia di acquisire importanza ancora maggiore;
    la separazione funzionale della rete di accesso, oltre che rafforzare l'assetto concorrenziale del mercato a vantaggio dei cittadini, appare una precondizione per consentire l'ingresso di nuovi capitali che siano in grado di sostenere gli investimenti necessari per l'ammodernamento della rete ed il passaggio alla fibra ottica in linea con gli obiettivi fissati nell'Agenda digitale europea;
    dopo un primo progetto di societarizzazione della rete di accesso, nella seduta del 7 novembre 2013, in relazione al progetto di scorporo della rete, il consiglio di amministrazione di Telecom Italia ha deciso di dare priorità alla realizzazione del modello di parità di trattamento, denominato a livello europeo di Equivalence of Input (Eoi), attraverso la separazione funzionale e non societari;
    nel frattempo il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85, emanato in attuazione delle nuove norme relative all'esercizio da parte dello Stato dei cosiddetti «poteri speciali», attinenti alla governance di società operanti in settori considerati strategici, di cui al decreto-legge 21 del 2012 all'articolo 3, recante l'individuazione degli attivi di rilevanza strategica nel settore comunicazioni, ha stabilito che tra essi rientrino anche gli «impianti utilizzati per la fornitura dell'accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale e dei servizi a banda larga e ultralarga, e nei relativi rapporti convenzionali»,

impegna il Governo

   nell'ipotesi di societarizzazione della infrastruttura della rete di telecomunicazione, a garantire che la gestione della stessa sia rispondente a finalità di interesse generale e di tutela degli operatori e consumatori, se del caso esercitando i poteri speciali a garanzia degli interessi strategici previsti dalla vigente normativa;
   ad intraprendere le iniziative necessarie al fine di potenziare l'intero sistema di connessione ad internet e della banda larga a livello nazionale, le cui insufficienze e i cui ritardi determinano inevitabili conseguenze anche sul livello di competitività del sistema-Paese;
   in tale ambito a procedere alla tempestiva attuazione di tutte le norme già vigenti in materia di Agenda digitale italiana;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a garantire l'accesso alla rete di telecomunicazioni da parte degli operatori secondo principi di equità e non discriminazione.
(1-00682) «Rampelli, Totaro».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    la tecnologia e le telecomunicazioni sono parte integrante della vita quotidiana di milioni di cittadini, e in questo scenario la banda ultralarga sarà l'infrastruttura portante dell'intero sistema economico e sociale, su cui sviluppare la futura competitività del Paese;
    dai dati pubblicati nel mese di maggio 2014 dalla Commissione europea con riferimento alla penetrazione della banda larga in Italia, emerge che solo il 2 per cento delle abitazioni è raggiunto da una rete di accesso veloce ad internet (almeno a 30 megabit per secondo), con una marcata differenza tra le regioni settentrionali e meridionali, a fronte di una media europea del 62 per cento e a dati di alcuni Paesi europei, quali Regno Unito o Spagna, che si attestano sopra la media, rispettivamente all'82 e al 65 per cento di penetrazione e che, nei prossimi anni, prevedono di raggiungere il 100 per cento di copertura;
    l'Italia risulta all'ultimo posto in Europa per velocità media delle connessioni ad internet, con appena 4,4 megabit al secondo, contro i 5,2 di Francia e Spagna, i 6,9 della Germania, i 7,9 del Regno Unito, fino ai 10,1 della Svizzera;
    i ritardi dell'Italia nella velocità di connessione ad internet possono essere in larga parte attribuiti al divario digitale interno, il cosiddetto digital divide, ovvero alla differenza esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione (in particolare personal computer e internet) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale;
    nel maggio 2010 la Commissione europea ha presentato l'Agenda digitale europea, con lo scopo di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per favorire l'innovazione, la crescita economica e la competitività e nel mese di settembre dello stesso anno la Commissione ha presentato un pacchetto di misure di attuazione dell'Agenda, tra le quali la comunicazione che indica l'obiettivo di assicurare entro il 2020 l'accesso ad internet a tutti i cittadini con una velocità di connessione superiore a 30 Mbitps (banda ultralarga) e per almeno il 50 per cento delle famiglie con velocità superiore a 100 Mbitps;
    in attuazione dell'Agenda digitale europea, in ambito nazionale il 1o marzo 2012 è stata istituita l'Agenda digitale italiana (ADI), contestualmente ad un'apposita cabina di regia con il compito di accelerare il percorso di attuazione dell'Agenda digitale italiana e di definirne le strategie;
    inoltre, con il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, è stata istituita anche l'Agenzia per l'Italia Digitale, preposta alla realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana, in coerenza con gli indirizzi elaborati dalla cabina di regia, con particolare riferimento allo sviluppo delle reti di nuova generazione e dell'interoperabilità tra i sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni e tra questi e quelli dell'Unione europea;
    allo stato, l'Agenzia risulta in grande difficoltà a causa di irregolarità nella gestione, sia per quanto attiene al personale, sia per quanto riguarda il profilo finanziario, che ha determinato la nomina di un apposito commissario per l'attuazione dell'agenda digitale;
    ai fini del superamento del digital divide sono considerati essenziali lo sviluppo ed il potenziamento della banda ultralarga, e agli stessi fini è stato adottato il piano nazionale banda larga, coordinato dal Ministero dello sviluppo economico, che mira all'eliminazione del deficit infrastrutturale presente in oltre seimila località del Paese ed i cui costi di sviluppo non possono essere sostenuti dal mercato;
    il rapporto «Raggiungere gli obiettivi Europei 2020 della banda larga in Italia: prospettive e sfide» presentato il 30 gennaio 2014 da Francesco Caio nella sua qualità di commissario per l'attuazione dell'agenda digitale, rispetto all'obiettivo della copertura a 30Mbps per il 100 per cento della popolazione entro il 2020, si rileva che le prime stime indicano una copertura raggiungibile in tale data del 70 per cento con piani di dettaglio che arrivano al più fino al 2016-2017 con coperture al 50 per cento;
    lo stesso rapporto, inoltre, prevede che il raggiungimento completo degli obiettivi fissati dall'Unione europea richieda ulteriori azioni complesse di tipo finanziario e di coordinamento tra i soggetti in campo;
    i provvedimenti legislativi introdotti nell'ambito del potenziamento delle fibre ottiche e dell'agenda digitale si sono rivelati nel complesso insufficienti ai fini del potenziamento effettivo dei servizi di connessione ad internet ed in particolare nella velocità di collegamento;
    è opportuno rilevare, infatti, che oltre alla mancanza di un'adeguata dotazione finanziaria, tali provvedimenti risentono della bassissima percentuale di decreti attuativi emanati;
    dal monitoraggio dell'attuazione dell'Agenda digitale italiana del 5 marzo si evince che all'aggiornamento della ricognizione ora effettuato risulta che dei 55 adempimenti considerati ne sono stati adottati 17 e che per gli adempimenti non ancora adottati in 21 casi risulta già scaduto il termine per provvedere;
    l'infrastruttura della rete di telecomunicazione è un fattore di competitività del Paese che alimenta l'innovazione, e la rete italiana è un monopolio naturale che con lo sviluppo delle nuove reti ultra-broadband rischia di acquisire importanza ancora maggiore;
    la separazione funzionale della rete di accesso, oltre che rafforzare l'assetto concorrenziale del mercato a vantaggio dei cittadini, appare una precondizione per consentire l'ingresso di nuovi capitali che siano in grado di sostenere gli investimenti necessari per l'ammodernamento della rete ed il passaggio alla fibra ottica in linea con gli obiettivi fissati nell'Agenda digitale europea;
    dopo un primo progetto di societarizzazione della rete di accesso, nella seduta del 7 novembre 2013, in relazione al progetto di scorporo della rete, il consiglio di amministrazione di Telecom Italia ha deciso di dare priorità alla realizzazione del modello di parità di trattamento, denominato a livello europeo di Equivalence of Input (Eoi), attraverso la separazione funzionale e non societari;
    nel frattempo il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85, emanato in attuazione delle nuove norme relative all'esercizio da parte dello Stato dei cosiddetti «poteri speciali», attinenti alla governance di società operanti in settori considerati strategici, di cui al decreto-legge 21 del 2012 all'articolo 3, recante l'individuazione degli attivi di rilevanza strategica nel settore comunicazioni, ha stabilito che tra essi rientrino anche gli «impianti utilizzati per la fornitura dell'accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale e dei servizi a banda larga e ultralarga, e nei relativi rapporti convenzionali»,

impegna il Governo

   a tutelare una gestione delle infrastrutture di rete rispondente a finalità di interesse generale e di tutela degli operatori e consumatori, se del caso esercitando i poteri speciali a garanzia degli interessi strategici previsti dalla vigente normativa;
   ad intraprendere le iniziative necessarie al fine di potenziare l'intero sistema di connessione ad internet e della banda larga a livello nazionale, le cui insufficienze e i cui ritardi determinano inevitabili conseguenze anche sul livello di competitività del sistema-Paese;
   in tale ambito a procedere alla tempestiva attuazione di tutte le norme già vigenti in materia di Agenda digitale italiana;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a garantire l'accesso alla rete di telecomunicazioni da parte degli operatori secondo principi di equità e non discriminazione.
(1-00682) (Testo modificato nel corso della seduta) «Rampelli, Totaro».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Iniziative volte a instaurare un confronto tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e le agenzie di stampa in materia di fornitura di servizi giornalistici alle pubbliche amministrazioni a garanzia del pluralismo dell'informazione – 3-01192

   PIZZOLANTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento per l'informazione e l'editoria, nell'ambito dei propri compiti istituzionali, stipula contratti con le agenzie di stampa, per l'acquisto di servizi giornalistici ed informativi, come previsto dalla legge 15 maggio 1954, n. 237, secondo l'interpretazione autentica recata dall'articolo 55, comma 24, della legge 27 dicembre 1997, n. 449;
   l'acquisto di tali servizi avviene tramite procedura negoziata ai sensi dell'articolo 57, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici);
   per l'individuazione dei contraenti abilitati a fornire i servizi di agenzia alle pubbliche amministrazioni statali, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha selezionato le sole agenzie a diffusione nazionale sulla base dei parametri indicati dall'articolo 2, comma 122, della legge 24 novembre 2006, n. 286 (che ha sostituito l'articolo 27, comma 2, della legge 5 agosto 1981, n. 416);
   in tale ambito normativo, anche per l'anno 2014 sono state stipulate convenzioni con 11 agenzie di stampa per la fornitura, alle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, di 6.333 postazioni per l'accesso ai servizi giornalistici, oltre a 112 postazioni «full» che consentono agli utenti di fruire di collegamenti per un numero illimitato di postazioni;
   si apprende che il dipartimento per l'informazione e l'editoria presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, in totale controtendenza con i proclami a favore del sostegno della libera informazione e dei lavoratori del settore, ha intenzione di modificare radicalmente i criteri in base ai quali sono stipulati i rapporti di convenzione tra le agenzie di stampa e la Presidenza del Consiglio dei ministri, senza procedere ad alcun tipo di confronto –:
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri ritenga utile instaurare il confronto con le parti sociali al fine di giungere ad una soluzione condivisa e di stabilire nuovi criteri per la stipula delle convenzioni con l'obiettivo di razionalizzare ed ottimizzare le spese, garantire la pluralità dell'informazione primaria e la sua specializzazione, evitare di favorire il costituirsi di posizioni dominanti in un mercato di fondamentale valore per il pluralismo dell'informazione e, infine, permettere a centinaia di professionisti di conservare il posto di lavoro. (3-01192)


Iniziative di carattere strutturale per il superamento di tutte le forme di povertà e di esclusione sociale – 3-01193

   PANNARALE, NICCHI, MATARRELLI, ZARATTI, SCOTTO, AIRAUDO, DURANTI, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, PAGLIA, PALAZZOTTO, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZACCAGNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   tutti gli indicatori economico-sociali evidenziano che il nostro Paese è ancora lontano dall'aver imboccato la strada giusta per contribuire a raggiungere, nell'ambito della strategia «Europa 2020», l'obiettivo europeo della riduzione entro quell'anno di almeno 20 milioni del numero di persone a rischio di povertà e di esclusione sociale. In Italia infatti, secondo gli ultimi dati Istat, ammontano a circa 10 milioni i poveri relativi e tra questi circa 6 milioni sono quelli assoluti, coloro, cioè, che non hanno i mezzi finanziari per condurre una vita dignitosa o per accedere a beni e servizi di base; anche il ceto medio e quei gruppi sociali tradizionalmente estranei al disagio sociale sono sempre più coinvolti dalla vulnerabilità economica e stanno gradualmente scivolando verso forme d'indigenza. Sempre l'Istat, ma a mezzo del suo presidente, dottor Giorgio Alleva, ha affermato che il cosiddetto bonus irpef da 80 euro «porterebbe a una lieve riduzione della diseguaglianza economica e del numero di poveri» e che la relativa spesa relativa, circa 10 miliardi di euro l'anno, «andrebbe a beneficiare individui per circa due terzi in famiglie con redditi medio-alti e avrebbe un'incidenza di beneficiari maggiore tra le coppie con figli»;
   anche il nuovo rapporto Caritas 2014 (novembre) su povertà ed esclusione sociale in Italia, dal titolo «False partenze», viene in soccorso a questa visione, aprendo, dal suo punto di osservazione e di ascolto, una finestra sul fenomeno della povertà in Italia confermando i suddetti dati. Nel corso del 2013, il problema bisogno più frequente degli utenti dei 220 centri di ascolto delle Caritas diocesiane è stato quello della povertà economica (59,2 per cento del totale degli utenti), seguito dai problemi di lavoro (47,3 per cento) e dai problemi abitativi (16,2 per cento). Tra gli italiani l'incidenza della povertà economica è molto più pronunciata rispetto a quanto accade tra gli stranieri (65,4 per cento contro il 55,3 per cento). Più elevata la presenza di problemi occupazionali tra gli immigrati rispetto agli italiani (49,5 per cento contro il 43,8 per cento). Interessante notare come i problemi familiari siano più diffusi tra gli italiani (13,1 per cento rispetto al 5,7 per cento degli stranieri), mentre la situazione appare rovesciata per quanto riguarda i problemi abitativi, più diffusi nella componente straniera dell'utenza (17,2 per cento contro il 14,6 per cento). Una fetta cospicua di utenti richiede beni e servizi materiali (34 per cento);
   stesso scenario, ma da un'altra prospettiva, è quello delineato dal recente dossier della Coldiretti sulle «Nuove povertà del Belpaese. Gli italiani che aiutano», ove si legge che per effetto della crisi economica si registra un aumento esponenziale degli italiani senza risorse sufficienti neanche per sfamarsi, che in Italia nel 2013 4.068.250 poveri sono stati costretti a chiedere aiuto per ottenere cibo con un aumento del 10 per cento rispetto al 2012 e del 47 per cento rispetto al 2010, ovvero ben 1.304.871 persone in più negli ultimi tre anni, e che ci sono 428.587 bambini con meno di cinque anni che nel 2013 hanno necessitato di aiuto per poter consumare latte e cibo. Sempre dal medesimo dossier emerge che ben 578.583 anziani over 65 sono dovuti ricorrere ad aiuti alimentari, con un aumento del 14 per cento rispetto al 2012;
   secondo la relazione sul «Piano di distribuzione degli alimenti agli indigenti 2013» realizzata dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, Agea, gli italiani indigenti che hanno ricevuto pacchi alimentari o pasti gratuiti attraverso i canali no profit che distribuiscono le eccedenze alimentari hanno raggiunto il numero di 4,1 milioni di persone. Le risorse ad oggi assegnate dal Governo per dette finalità si confermano ad avviso degli interroganti del tutto inadeguate;
   resta immutato il problema di fondo rispetto al modo in cui nel nostro Paese si contrasta, poco o per niente, la povertà. Le stesse politiche sociali, infatti, sono spesso pensate in modo da non raggiungere gli strati più poveri della popolazione. Il bonus 80 euro rappresenta uno dei paradossi più recenti, essendo questa misura solo l'ultima applicazione recente di un diffuso modo di operare che tende a concentrare su interventi di natura fiscale il peso delle politiche sociali, con il risultato però di escludere, nonostante i roboanti proclami del Presidente del Consiglio dei ministri di allargarne la platea dei beneficiari, da detto beneficio proprio gli incapienti, non raggiunti né dal bonus, né da eventuali altri sgravi o agevolazioni fiscali;
   per la povertà estrema rimangono gli stanziamenti, insufficienti (40 euro mensili) e stigmatizzati, della «social card» o «carta acquisti», che peraltro raggiungono una platea ridotta di beneficiari, nonché l'assegno sociale, destinato agli anziani ultrasessantacinquenni in condizioni economiche disagiate, e le pensioni di inabilità. Per il resto, e cioè per la gran parte dei poveri in età da lavoro, non rimane che rivolgersi ai servizi sociali dei comuni, che hanno però, a loro volta, i bilanci impoveriti dai tagli e dalle regole della stabilità finanziaria, oppure, più frequentemente, rivolgersi ai gruppi caritativi, «laici» o religiosamente ispirati;
   quella fin qui rappresentata è una realtà drammatica che il Governo dovrebbe affrontare, ribaltando la sua agenda politica, con misure coraggiose alle quali accompagnare una riflessione di fondo sulla natura stessa dell'economia italiana. L'espansione della povertà, che nell'ultimo biennio ha assunto livelli preoccupanti, mina, infatti, la stessa ripresa economica del Paese –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative urgenti e di carattere strutturale al fine di superare tutte le forme di povertà e sostenere chi è in difficoltà, anche adottando, come hanno già fatto quasi tutti gli altri Paesi europei, un piano nazionale di lotta contro la povertà.
(3-01193)


Orientamenti in merito al piano di investimenti proposto dalla Commissione europea e alle iniziative per superare la crisi, con particolare riferimento alle politiche economiche adottate dal Governo tedesco – 3-01194

   BRUNETTA e PALESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la proposta del piano di investimenti da 315 miliardi di euro del Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, si è rivelato secondo gli interroganti un vero e proprio «imbroglio», finalizzato a coprire, come un'inutile mascheratura, l'egoismo egemonico tedesco e i tragici errori di politica economica nella gestione della crisi della Commissione europea dal 2008 a oggi;
   come dice con grande onestà intellettuale anche l'ex Ministro Pd Vincenzo Visco: «Sarebbe necessario che qualcuno si alzasse a dire esplicitamente che la linea di politica economica seguita in Europa negli ultimi anni è sbagliata e autolesionistica e che bisogna effettivamente cambiare verso. (...) Il semestre italiano è stato un'occasione perduta»;
   insomma, per coprire la non reflazione tedesca (più domanda, più investimenti, meno surplus), Juncker lancia il suo piano di investimenti ad avviso degli interroganti ridicolo. E il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, e il Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, presidenti di turno dell'Unione europea, a dirsi sostanzialmente soddisfatti;
   purtroppo, non c’è nulla di cui essere soddisfatti: i 315 miliardi di euro di cui si parla sono costituiti solo da 21 miliardi «veri», a carico degli Stati, versati in un fondo apposito che dovrebbe a sua volta emettere obbligazioni per ottenere dal mercato le risorse mancanti, con una leva finanziaria di 1 a 15 assolutamente poco credibile;
   si ipotizza che gli investimenti da finanziare, essenzialmente infrastrutture, siano in grado di produrre un reddito sufficiente a remunerare gli investitori privati, anch'essi coinvolti nel meccanismo della leva finanziaria. Questo significa che i privati, per realizzare redditi dall'operazione, selezioneranno con grande cura i progetti da finanziare, riducendone drasticamente il numero possibile. Resteranno, pertanto, escluse tutte le opere pubbliche non suscettibili di produrre un reddito direttamente quantificabile, per esempio quelle relative al recupero del territorio, mentre i progetti che verranno sostenuti dai privati, in quanto remunerativi, sarebbero comunque stati finanziati dal mercato, anche senza l'intervento del fondo della Commissione europea, che si rivela, pertanto, del tutto inutile;
   la vera risposta per superare la crisi nell'eurozona è una e una sola: la reflazione in Germania. Vale a dire rilancio della domanda interna; stimolo a consumi e investimenti; aumento dei salari; aumento dell'inflazione fino al suo livello fisiologico (2 per cento), con conseguente aumento dei rendimenti dei titoli del debito pubblico tedesco; relativa svalutazione dell'euro, troppo forte nei confronti delle altre monete –:
   quali iniziative in sede europea il Governo intenda adottare, al fine di sollecitare la Germania a ridurre i suoi squilibri macroeconomici, in particolare il surplus della bilancia dei pagamenti, e reflazionare, cosa che l'Italia in Europa finora, nonostante il semestre di presidenza dell'Unione europea, non ha fatto, tutta preoccupata di farsi perdonare la sua politica economica secondo gli interroganti fallimentare. (3-01194)


Iniziative volte a promuovere la concorrenza, con particolare riferimento ai contenuti e ai tempi di presentazione del relativo disegno di legge annuale – 3-01195

   MAZZIOTTI DI CELSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99, prevede che entro sessanta giorni dalla data di trasmissione al Governo della relazione annuale dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, il Governo, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, deve presentare alle Camere il disegno di legge annuale per la concorrenza;
   il disegno di legge sulla concorrenza deve contenere disposizioni di immediata applicazione finalizzate a rimuovere gli ostacoli all'apertura dei mercati, promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche con riferimento alle funzioni pubbliche e ai costi regolatori condizionanti l'esercizio delle attività economiche private, nonché a garantire la tutela dei consumatori, anche in relazione ai pareri e alle segnalazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonché alle indicazioni contenute nelle relazioni annuali dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e delle altre autorità amministrative indipendenti;
   nel 2013 il disegno di legge annuale per la concorrenza non è stato presentato dal Governo Letta;
   in data 4 luglio 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha trasmesso al Governo le proprie proposte di riforma concorrenziale, ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza; il termine previsto dalla legge è, quindi, scaduto da circa 90 giorni;
   nelle sue proposte, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato richiede interventi in una serie di settori strategici e di particolare rilevanza per il sistema economico e per i consumatori: tra questi, distributori di carburanti, banche, comunicazioni, mercato dei farmaci, infrastrutture e servizi portuali e aeroportuali, assicurazioni, energia, servizi sanitari, servizio postale, rifiuti, ordini professionali, servizi pubblici locali, società pubbliche;
   nello specifico, appaiono di particolare rilevanza gli interventi raccomandati in materia di assicurazioni, distributori di carburante (visto l'anomalo andamento del prezzo della benzina, pur in presenza del calo del prezzo del petrolio), maggiore liberalizzazione del settore farmaceutico e degli ordini professionali, riforma dei servizi pubblici locali e delle società pubbliche, che sono oggi numerosissime, costosissime e spesso dannosamente in concorrenza con gli imprenditori privati;
   secondo il rapporto annuale dell'Istituto Bruno Leoni sull'indice delle liberalizzazioni, l'Italia è all'ultimo posto in Europa quanto a liberalizzazione dei mercati: una situazione che, secondo studi di Banca d'Italia, costa al nostro Paese l'8 per cento del prodotto interno lordo;
   la raccomandazione del Consiglio europeo del 2 giugno 2014 sul programma nazionale di riforma 2014 dell'Italia, al punto 7, invita espressamente il nostro Paese a «promuovere l'apertura del mercato e rimuovere gli ostacoli rimanenti e le restrizioni alla concorrenza nei settori dei servizi professionali e dei servizi pubblici locali, delle assicurazioni, della distribuzione dei carburanti, del commercio al dettaglio e dei servizi postali; potenziare l'efficienza degli appalti pubblici, specialmente tramite la semplificazione delle procedure attraverso l'uso degli appalti elettronici, la razionalizzazione delle centrali d'acquisto e la garanzia della corretta applicazione delle regole relative alle fasi precedenti e successive all'aggiudicazione; in materia di servizi pubblici locali, applicare con rigore la normativa che impone di rettificare entro il 31 dicembre 2014 i contratti che non ottemperano alle disposizioni sugli affidamenti in house»;
   fino ad oggi, l'azione del Governo non ha incluso alcun intervento diretto di liberalizzazione, o comunque finalizzato allo sviluppo di una maggiore concorrenza nel mercato italiano –:
   se il Governo, considerando prioritaria la liberalizzazione dei mercati, intenda presentare rapidamente il disegno di legge annuale per la concorrenza, recependo, in particolare, gli interventi proposti dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato nei settori assicurativo, degli ordini professionali, dei distributori di carburante, dei farmaci, dei servizi pubblici locali e delle società pubbliche. (3-01195)


Iniziative, anche in sede europea, per il sostegno dell'industria siderurgica e dell'occupazione nelle aree del Mezzogiorno – 3-01196

   PISICCHIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia, come il Presidente del Consiglio dei ministri ha affermato intervenendo al Senato della Repubblica alla 52esima riunione del Cosac, spende tra i dieci e gli undici miliardi di euro di fondi europei a fronte di un contributo annuo doppio, di venti miliardi;
   questa circostanza pone, dunque, il nostro Paese nella condizione paradossale di importante «finanziatore» dell'Unione europea ma di minore percettore di risorse, recuperate per dimensione, pari a quasi alla metà di ciò che viene erogato;
   d'altro canto il rischio di deflazione nell'area euro, come dichiarato dal Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, resta molto elevato e creerebbe un ulteriore ostacolo alla crescita dell'economia ed alla creazione di nuovi posti di lavoro, nonostante l'avvio del cosiddetto piano Junker, che comunque rappresenta un primo importante segnale nella direzione di una visione «sociale» e non solo finanziaria dell'Europa;
   in una recente intervista ad un importante quotidiano il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato che sarebbe favorevole ad un intervento diretto dello Stato per risolvere la drammatica questione dell'Ilva;
   la dichiarazione d'intenti sull'Ilva è, dunque, indicativa di una volontà di intervento nelle aree meridionali e nelle strutture industriali di base, ma in qualche modo rivendicherebbe un'autonomia di azione del Governo italiano, che fa leva anche sull'importante ruolo che il nostro Paese svolge in Europa;
   tuttavia, la dichiarazione sull'Ilva sembrerebbe, però, non compatibile con la riduzione del cofinanziamento per i fondi di sviluppo europei nelle regioni del Sud;
   in particolare, sembrerebbe che tre miliardi e mezzo di cofinanziamento sarebbero dirottati dalle regioni del Sud per finanziare le assunzioni a tempo indeterminato, rappresentando, così, un unico «calderone» nazionale –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere, anche nelle competenti sedi europee, per dare effetto all'intento manifestato dal Presidente del Consiglio dei ministri di realizzare interventi statali sul piano dell'industria siderurgica e se, per quel che concerne l'occupazione giovanile nel Mezzogiorno, non ritenga di promuovere iniziative vincolando le risorse rivenienti dal budget del cofinanziamento alla creazione di posti di lavoro nelle aree meridionali, al fine di sostenerne la crescita. (3-01196)


Iniziative per l'abrogazione delle norme in materia pensionistica contenute nell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 – 3-01197

   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24 del decreto-legge n. 201/2011, cosiddetto «salva Italia», di riforma delle regole di accesso al pensionamento, ha disposto, in sintesi, l'abolizione delle pensioni di anzianità, l'innalzamento repentino dei requisiti anagrafici per accedere alla pensione di vecchiaia, le penalizzazioni per le pensioni anticipate (età inferiore a 62 anni a prescindere dall'anzianità contributiva) ed il calcolo col sistema contributivo di tutte le pensioni a decorrere dal 1o gennaio 2012;
   trattasi della tristemente nota «riforma Fornero», che ha creato non poche piaghe sociali; basti pensare agli esodati, intendendo con tale terminologia anche tutti quei lavoratori sottoposti ad ammortizzatori sociali o addirittura licenziati e che erano prossimi alla pensione secondo le regole previgenti o al personale della scuola cosiddetto «quota ’96», vale a dire gli oltre tremila docenti in procinto di maturare, appunto, la quota 96 quale somma di età anagrafica e contributiva, ma che si son visti sfumare il diritto a pensione per un errore tecnico dell'allora Governo Monti di prendere in considerazione l'anno solare invece che quello scolastico;
   proprio riguardo agli esodati, l'ultimo report diffuso dall'Inps il 27 ottobre 2014, relativo alle procedure di monitoraggio dei lavoratori beneficiari di salvaguardia, denuncia che la questione è tutt'altro che chiusa, sia per il numero degli aventi diritto certificati dall'istituto rispetto ai posti disponibili e sia per l'esclusione, in tutte e sei le salvaguardie, di talune categorie di lavoratori;
   in occasione dell'esame parlamentare del provvedimento relativo alla sesta salvaguardia, il sottosegretario Bobba, nella seduta della Commissione lavoro della Camera dei deputati il 24 giugno 2014, aveva preannunciato soluzioni strutturali;
   parimenti, anche con il personale della scuola «quota ’96» il Governo si è impegnato ripetutamente nelle aule parlamentari ad addivenire ad una soluzione, rinviandone ogni volta l'intervento normativo al provvedimento successivo a quello in discussione;
   la «riforma Fornero» ha colpito duramente anche i lavoratori addetti a mansioni usuranti, stravolgendo i requisiti per la pensione anticipata con un sistema di quote meno favorevole, trasformando quello che per loro era un diritto in un miraggio;
   l'ultima problematica, in ordine di notizia a mezzo stampa, causata dalla «riforma Fornero» è il rischio per l'Inps di un buco di 2 milioni di euro nel 2014 e di quasi 500 milioni di euro fra dieci anni, derivante dalla previsione di legge di calcolare tutte le pensioni col sistema contributivo, senza porre un tetto a quelle più alte; caso quest'ultimo sottovalutato dal Governo in carica e dai suoi predecessori nonostante i ripetuti solleciti della Lega Nord con proposte di legge e mozioni, salvo correre ai ripari con interventi last minute, salvaguardando comunque i trattamenti dei pensionati d'oro dell'ultimo triennio;
   è indubbio, peraltro, che la crescita esponenziale del tasso di disoccupazione – pari al 13,2 per cento fra i più altri dell'eurozona ed il più alto in assoluto degli ultimi 37 anni – sia dovuta non soltanto alla fase recessiva che il nostro Paese sta vivendo, bensì anche e soprattutto alla «riforma Fornero» che, prolungando la permanenza al lavoro con l'innalzamento dell'età pensionabile, ha di fatto bloccato il ricambio generazionale, portando la disoccupazione giovanile al 43,3 per cento –:
   se, considerato quanto esposto in premessa con riguardo alle innumerevoli «falle» contenute nella riforma previdenziale «targata Fornero» ed ai disastrosi risultati prodotti, il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per pervenire nel più breve tempo possibile all'abrogazione dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 ed al ripristino della normativa pensionistica previgente.
(3-01197)


Chiarimenti in merito alle scelte del Governo correlate ai cosiddetti accordi di garanzia bilaterale relativi a operazioni in strumenti derivati – 3-01198

   CECCONI, PESCO, CASTELLI, DADONE, RUOCCO, SORIAL, CANCELLERI, CASO, BARBANTI, BRUGNEROTTO, ALBERTI, CARIELLO, PISANO, COLONNESE, VILLAROSA, CURRÒ e D'INCÀ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in alcuni Stati, come gli Stati Uniti d'America, il Governo si astiene dallo stipulare contratti relativi a «derivati», soprattutto in seguito all'aver accertato i gravissimi rischi nei quali è possibile incorrere. L'Italia al contrario – come si apprende da fonti stampa – sembrerebbe essere il maggior utilizzatore di strumenti derivati;
   gli strumenti derivati sono contratti o titoli il cui prezzo dipende da un altro strumento finanziario, definito «sottostante», il cui valore è relazionato ad una vera e propria «scommessa». L'incertezza della scommessa determina la rischiosità degli strumenti derivati. Come attività sottostanti si riscontrano diverse tipologie di parametri, ad esempio azioni, obbligazioni, indici finanziari, commodity come il petrolio o anche di un altro derivato, ma esistono derivati basati sulle più diverse variabili, perfino sulla quantità di neve caduta in una determinata zona o sulle precipitazioni in genere. Il derivato si sostanzia, in determinati casi, anche in una vera e propria scommessa, rischiosa e speculativa, basata su un evento incerto futuro;
   nella seduta della Camera dei deputati n. 605 del 15 marzo 2012, il Sottosegretario Marco Rossi Doria, in risposta a interrogazione parlamentare, ha dichiarato che, alla data suddetta, il nozionale complessivo di strumenti derivati a copertura di debito emessi dalla Repubblica italiana ammontava a circa 160 miliardi di euro, a fronte di titoli in circolazione, al 31 gennaio 2012, per 1.624 miliardi di euro. All'epoca, quindi, il nozionale ammontava a circa il 10 per cento dei titoli in circolazione; «degli strumenti derivati in essere», affermava il Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, «circa 100 miliardi erano interest rate swap, 36 miliardi cross currency swap, 20 swaption e 3,5 miliardi degli swap ex Ispa»;
   secondo fonti giornalistiche, nei primi otto anni di utilizzo degli strumenti derivati le finanze pubbliche hanno beneficiato di quasi 8 miliardi di euro di guadagni, mentre a partire dal 2006 la tendenza si è invertita e le perdite sono state sempre più consistenti. Da elaborazioni di la Repubblica e Financial Times (svolte sulla base di una relazione del Ministero dell'economia e delle finanze sul debito pubblico, inviata alla Corte dei conti a inizio 2013) emerge che un rilevante numero di derivati (del valore di 31 miliardi di euro), ristrutturati nel 2012, ha generato circa 8 miliardi di euro di minusvalenze di mercato. Le perdite si sono concretizzate nell'ipotesi di scadenze o risoluzione anticipata;
   l'intenzione del Governo sembra essere quella di permettere che, in futuro, vengano predisposte delle garanzie su «conti ad hoc», immunizzando dal rischio le banche. Infatti, nel caso in cui l'Italia andasse in default, le banche riceverebbero automaticamente le liquidità poste a garanzia, di fatto qualificandosi come creditori privilegiati rispetto ai detentori di titoli pubblici (btp), che ormai in gran parte sono in possesso di investitori italiani;
   è doveroso precisare che nell’«eurozona» solo Portogallo ed Irlanda hanno posto in essere accordi di garanzia bilaterale sul «debito» e l'Italia potrebbe essere la terza in ordine cronologico di adesione al sistema prescritto;
   dopo la rivalutazione delle quote azionarie di Banca d'Italia, che di fatto ha generato circa 7 miliardi di euro di plusvalenze per pochi istituti bancari, bilanciate solo da un miliardo di maggiori entrate fiscali, e dopo la deducibilità ai fini irap delle «perdite» sui crediti in 5 anni (rispetto ai 18 originari) che ha consentito alle sei principali banche di ricevere ulteriori sgravi per 514 milioni di euro, sembra eccessivo concedere alle banche un ulteriore privilegio, visto che, contemporaneamente, agli italiani – in piena crisi economica – è stato chiesto l'ennesimo sacrificio pur consci che il livello di tassazione effettiva sfiora ormai il 55 per cento del prodotto interno lordo;
   non si dispone di dati ufficiali dai quali sia possibile evincere il valore nozionale degli strumenti derivati sottoscritti fino ad oggi dallo Stato italiano, l'ammontare dei flussi di cassa in entrata e uscita, con quali banche siano stati sottoscritti e quale sia il capitale di riferimento, quale sia la tipologia tecnica e quale sia il valore complessivo delle garanzie che verranno eventualmente stipulate relativamente ad operazioni in strumenti derivati;
   recenti iniziative del Governo sembrerebbero riferirsi a possibili garanzie su strumenti derivati già stipulati; non si comprendono le ragioni di una modifica di un contratto già stipulato e conseguentemente le ragioni di una modifica contrattuale a favore delle banche con le quali sono stati stipulati i medesimi strumenti derivati –:
   quale sia il valore complessivo degli accordi di garanzia bilaterale in relazione alle operazioni in strumenti derivati e quale siano le ragioni che hanno portato a preferire la scelta di destinare tali risorse come garanzia sulle operazioni in strumenti derivati a discapito dell'opportunità di destinare le medesime risorse al finanziamento delle politiche sociali, che risultano particolarmente necessarie nell'attuale contesto economico e sociale.
(3-01198)


Elementi e iniziative in ordine alla politica industriale del Governo – 3-01199

   SPERANZA, MARTELLA, ROSATO, FREGOLENT, GRASSI, MORANI, TARANTO, EPIFANI, BENAMATI, BINI, CINZIA MARIA FONTANA e BASSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   dall'inizio della «grande crisi», se il settore manifatturiero ha registrato, a livello europeo, la perdita di quasi quattro milioni di posti di lavoro e una caduta degli investimenti di circa 350 miliardi di euro, l’export industriale europeo si conferma positivo con un surplus, nel 2013, di circa 365 miliardi di euro e circa l'80 per cento dell'innovazione nel settore privato risulta comunque generato dal comparto industriale;
   per quel che riguarda l'Italia, fatto 100 l'indice della produzione industriale del gennaio 2008, esso risultava pari a 76 già a dicembre del 2012 e l'occupazione nel settore registrava, a giugno del 2013, una diminuzione di oltre 500 mila unità. Nonostante ciò, a settembre 2014 si è registrato un surplus manifatturiero, sul versante dell’export, che ha toccato la quota record di 100 miliardi di euro e, secondo recenti analisi, circa il 27 per cento dell'occupazione e circa il 40 per cento del prodotto interno lordo (percentuali superiori alla media dell'Unione europea) trarrebbero origine, nel nostro Paese, da imprese altamente innovative;
   nel complesso scenario della globalizzazione, si sono registrati – tanto a livello europeo, quanto a livello nazionale – forti processi di polarizzazione che, per l'Italia, evidenziano come fattori particolarmente critici: i rischi di desertificazione industriale della macro-area territoriale del Mezzogiorno; il posizionamento di molte imprese, rispetto alle grandi catene globali del valore, in un ruolo di subfornitura, seppure caratterizzata da elevati livelli di qualità e di complessità tecnologica; il basso grado di partecipazione del tessuto diffuso delle piccole e medie imprese ai processi di internazionalizzazione ed innovazione;
   al quadro del sistema industriale fin qui delineato, il Governo ha anzitutto risposto con una strategia – bene espressa, tra l'altro, dal disegno di legge di stabilità per il 2015 – ispirata al perseguimento di una più efficace interazione tra riforme strutturali e politica di bilancio, tra misure volte al rafforzamento del potenziale dell'economia e misure dedicate al sostegno della domanda aggregata, nonché agendo per l'avanzamento di una simile impostazione complessiva anche a livello europeo;
   quanto al più specifico terreno delle politiche industriali, l'operato del Governo mostra di essersi sviluppato in coerenza con la strategia europea per il perseguimento dell'obiettivo 2020 di innalzamento della quota del prodotto interno lordo generata dall'industria dall'attuale 15 per cento al 20 per cento, strategia che si basa su quattro fondamentali assi operativi:
    a) più mercato interno ed internazionale;
    b) un più agevole accesso ai mezzi di produzione (energia, materie prime, capitali);
    c) più intelligenza e più sostenibilità attraverso più innovazione;
    d) una regolamentazione più «amichevole»;
   alle difficoltà del sistema industriale italiano si è cercato di dare risposta anche attraverso la task-force istituita presso il Ministero dello sviluppo economico, incaricata della gestione delle vertenze più complesse e rilevanti, con appositi tavoli di confronto;
   in questi mesi, anche attraverso la suddetta task-force, diverse vertenze, alcune delle quali particolarmente critiche, hanno trovato uno sbocco positivo come nei casi del tavolo Electrolux e del tavolo Eni, che ha registrato, nel corso del mese di novembre 2014, la firma dei protocolli d'intesa per la riconversione della raffineria di Gela e per il rilancio della chimica e della raffinazione di Porto Marghera; proseguono i lavori del tavolo concernente il futuro del sito ex Fiat di Termini Imerese ai fini dell'avvio della produzione di auto ibride ed elettriche;
   sono, altresì, in corso trattative circa le vertenze del settore dell'acciaio, a partire dalla vicenda Ast-ThyssenKrupp di Terni, così come, contestualmente, si registra, da parte dell'algerina Cevital, l'aggiudicazione del bando per la vendita degli asset della Lucchini di Piombino;
   la collaborazione tra pubblico e privato emerge, quindi, come profilo distintivo di una politica industriale adeguata alle sfide in campo, portando, come annunciato dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, a valutare, nel caso dell'Ilva, anche la possibilità di un transitorio intervento pubblico e, ancora ad esempio della capacità di fare sistema, provando a rilanciare il tema dell'investimento sul trasporto pubblico locale anche in relazione alle prospettive dell'ex Irisbus –:
   quali iniziative il Governo intenda promuovere in materia di politiche industriali per la definizione di possibili soluzioni di alcune importanti vertenze, nonché per l'elaborazione di un industrial-compact italiano, anche sulla scorta di quanto emerso nell'ambito delle riunioni del «Consiglio competitività», svoltesi durante la presidenza del semestre dell'Unione europea, contribuendo così al rafforzamento della competitività del nostro Paese e dell'attrattività del suo settore industriale, anche in termini di investimenti esteri. (3-01199)


Orientamenti del Governo in merito all'espansione dell'Isis in territorio libico – 3-01200

   MARAZZITI, BUTTIGLIONE, GIGLI, BINETTI, SANTERINI e SBERNA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   dal mese di ottobre 2014 la bandiera nera dello Stato islamico sventola nella città di Derna in Libia, che ha ripreso l'antico nome di Barqa ed è oggi il primo califfato che l'Isis è riuscita a proclamare nel Mediterraneo;
   è stato lo sceicco yemenita Mohammed Abdullah (nome di battaglia Abu al Baraa al Azdi) a proclamare la «provincia della Cirenaica», in arabo Wilayat Barka, con l'aiuto di 800 miliziani. Oltre al Consiglio della Shura, altre brigate partecipano al controllo della nuova provincia affiliata al califfo, tra le quali «Lo scudo libico», Rafallah al Sahati, i «Martiri della brigata del 17 febbraio» e Jaish al Mujahideen;
   secondo Human rights watch, gli 80.000 abitanti di Derna sono tenuti in pugno dai miliziani dell'Isis con i medesimi sistemi usati in Iraq e Siria: impiccagioni, decapitazioni, flagellazioni in pubblico, distruzione di moschee e tombe, assassinii;
   un regno del terrore a circa 430 miglia nautiche dall'Italia, poco meno di 800 chilometri, meno della distanza esistente tra Torino e Napoli o da Milano a Bari;
   il Consiglio della Shura ha annunciato di avere cellule diffuse in svariate città della Libia, tra cui la capitale Tripoli, ma, al momento, Derna si afferma come il punto principale anche per il reclutamento di jihadisti provenienti dal Maghreb e, in particolare, dalla Tunisia, Paese che conta già 3.000 cittadini arruolati nello Stato islamico –:
   se il Governo stia monitorando la situazione e quali iniziative, anche in ambito europeo, intenda adottare tenuto conto che il califfato di Barqa rappresenta uno dei punti cruciali per l'espansione dello Stato islamico in Nord Africa.
(3-01200)


Iniziative per la promozione di una missione internazionale europea volta a prevenire i fenomeni di immigrazione clandestina – 3-01201

   GIORGIA MELONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   dai dati del Ministero dell'interno emerge l'eccezionalità del 2014 per quanto riguarda gli sbarchi sulle coste italiane, che dall'inizio dell'anno ha portato a quota 130 mila il numero dei migranti giunti in Italia, oltre il triplo del 2013 e il doppio rispetto al 2011, anno dell'emergenza Nord Africa;
   a fronte di questi dati non va dimenticato che i centri di accoglienza in Italia possono accogliere attualmente appena cinquantamila persone e quindi, di fatto, alcune regioni si trovano a dover gestire un numero di migranti nettamente superiore rispetto a quello previsto;
   l'eccezionale afflusso di immigrati trae origine dalle difficili e pericolose condizioni di vita che esistono nei Paesi dai quali queste persone si trovano costrette a fuggire;
   il criterio del Paese di primo approdo stabilito dal «regolamento di Dublino» per la presentazione delle domande di asilo ha causato in Italia un incremento del 144 per cento dei richiedenti;
   solo nell'ultimo anno il numero accertato delle persone morte in mare cercando di raggiungere l'Italia è triplicato;
   l'unico modo per evitare altre tragedie in mare è un'attività di prevenzione che possa scongiurare non solo le partenze dalle coste libiche, ma anche i viaggi che queste persone sono costrette ad effettuare per giungere nei «porti di partenza» in mano ad organizzazioni criminali e in condizioni disumane;
   non è noto per quali motivi all'atto della riforma del «regolamento di Dublino» non si sia intervenuti al fine di modificare il criterio del Paese di primo approdo per la presentazione delle domande di asilo –:
   se non ritenga di attivarsi affinché sia promossa una missione internazionale europea che permetta di prevenire le tragedie legate all'immigrazione clandestina attraverso l'istituzione di appositi presidi nei Paesi dai quali partono i maggiori flussi migratori che siano in grado di effettuare una valutazione preventiva delle possibilità dei soggetti migranti di ottenere le previste forme di protezione internazionale nei Paesi dell'Unione europea, anche al fine di garantire un'adeguata distribuzione tra i Paesi stessi dei migranti e dei costi relativi alla gestione della loro accoglienza.
(3-01201)


MOZIONI DI GIOIA, MORASSUT, DI SALVO ED ALTRI N. 1-00602, PRATAVIERA ED ALTRI N. 1-00639 E CIPRINI ED ALTRI N. 1-00650 CONCERNENTI INIZIATIVE PER L'IMPIEGO DI PARTE DEL RISPARMIO PREVIDENZIALE PER INTERVENTI A SOSTEGNO DELL'ECONOMIA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale ha approvato il 9 luglio 2014 una relazione intitolata «Iniziative per l'utilizzo del risparmio previdenziale complementare a sostegno dello sviluppo dell'economia reale del Paese»;
    la relazione è stata trasmessa alle Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in data 10 luglio 2014;
    la Commissione ha svolto un approfondito lavoro, nell'ambito dell'ampliamento delle competenze che il legislatore ha previsto, con l'ultima modifica approvata con la legge di stabilità per il 2014, affidando ad essa non solo le tradizionali funzioni di controllo sugli istituti di previdenza, ma un quadro esteso di funzioni di vigilanza: sull'efficienza del servizio in relazione alle esigenze degli utenti, sull'equilibrio delle gestioni e sull'utilizzo dei fondi disponibili, anche con finalità di finanziamento e sostegno del settore pubblico e con riferimento all'intero settore previdenziale ed assistenziale; sulla programmazione dell'attività degli enti e sui risultati di gestione in relazione alle esigenze dell'utenza; sull'operatività delle leggi in materia previdenziale e sulla coerenza del sistema previdenziale allargato con le linee di sviluppo dell'economia nazionale;
    in tale quadro la Commissione sta svolgendo un'approfondita indagine conoscitiva su «Funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato, alla luce della recente evoluzione normativa ed organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare», che sinora ha contato 37 audizioni a partire dal gennaio 2014, con la partecipazione di tutte le istituzioni rappresentative ed istituzionali interessate al settore previdenziale (Corte dei conti, Banca d'Italia, Consob, Covip, Mefop, Inps, Inail, casse private e privatizzate, fondi pensioni dei settori della previdenza complementare, organizzazioni sindacali e datoriali), nonché esperti del settore, consulenti della Commissione;
    la Commissione europea si è fatta promotrice di una modifica della direttiva 2003/41/CE Iorp (Institutions for occupational retirement provision) – proposta COM(2014) 167 final 2014/0091 (COD) del 27 marzo 2014 (c.d. Iorp 2) di revisione della cosiddetta direttiva Iorp, relativa alle attività e alla vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali – approvata il 27 marzo 2014, varando un pacchetto complessivo che prevede un piano della Commissione europea per soddisfare le esigenze di finanziamento a lungo termine dell'economia europea del 27 marzo 2014 e una comunicazione in tema di crowdfunding (finanziamento collettivo) per offrire possibilità di finanziamento alternative per le piccole e medie impresse (MEMO/14/240); il pacchetto si basa sulle risposte ricevute nel corso dell'esame del libro verde del 2013 e sulle discussioni avvenute in vari consessi internazionali, come il G20 e l'Ocse ed identifica una serie di misure specifiche che l'Unione europea deve adottare per promuovere il finanziamento a lungo termine dell'economia europea;
    il tema centrale proposto dalla Commissione europea è quello di favorire l'istituzione di fondi comuni europei specializzati nell'investimento di lungo termine in determinate attività produttive in tutto il territorio dell'Unione europea, in quanto «l'Europa ha notevoli esigenze di finanziamento a lungo termine per favorire la crescita sostenibile, il tipo di crescita che aumenta la competitività e crea occupazione in modo intelligente, sostenibile e inclusivo»; «occorre diversificare le fonti di finanziamento in Europa e migliorare l'accesso ai finanziamenti per le piccole e medie imprese, che rappresentano la spina dorsale dell'economia europea»; con riferimento specifico alle norme sulle pensioni aziendali o professionali, si rileva che: «Tutte le società europee devono affrontare una duplice sfida: si tratta di approntare un quadro pensionistico che tenga conto dell'invecchiamento della popolazione e, nel contempo, di realizzare investimenti a lungo termine che favoriscano la crescita. I fondi pensionistici aziendali o professionali sono doppiamente coinvolti nella questione: dispongono di oltre 2.500 miliardi di euro di attivi da gestire con prospettive a lungo termine, mentre 75 milioni di europei dipendono in gran parte da loro per la propria pensione. La proposta legislativa di oggi permetterà di migliorare la governance e la trasparenza di tali fondi in Europa, migliorando, quindi, la stabilità finanziaria e promuovendo le attività transfrontaliere, per sviluppare ulteriormente i fondi pensionistici aziendali e professionali come imprescindibili investitori a lungo termine»;
    tra le azioni previste nella Iorp 2 vi sono la finalizzazione dei dettagli del quadro prudenziale per banche e imprese di assicurazione che sostengono i finanziamenti a lungo termine all'economia reale, una maggiore mobilitazione di risparmi pensionistici personali e la valutazione delle modalità per incoraggiare maggiori flussi transfrontalieri di risparmio; la proposta di direttiva Iorp 2 si propone complessivamente di tutelare gli aderenti alle forme di previdenza complementare adeguatamente dai rischi di gestione, di incentivare i benefici derivanti da un mercato unico delle pensioni aziendali o professionali, rafforzando la capacità dei fondi pensionistici aziendali o professionali di investire in attività finanziarie con un profilo economico a lungo termine e sostenendo, quindi, il finanziamento della crescita nell'economia reale; si tratta in sostanza di favorire l'uso dei finanziamenti privati, aggiuntivi rispetto a quelli pubblici, per investimenti in infrastrutture e migliorare il quadro complessivo del finanziamento sostenibile a lungo termine;
    tali prospettive sono state oggetto di un importante confronto tra il Vicepresidente della Commissione europea e Commissario per il mercato interno e i servizi Michel Barnier e i componenti della Commissione bicamerale nel corso dell'audizione svoltasi alla Camera dei deputati il 3 luglio 2014; Barnier ha illustrato i contenuti del pacchetto di misure riguardanti l'incentivazione dell'uso del risparmio previdenziale per il finanziamento a medio e lungo termine dell'economia reale in Europa, nel quadro del complesso delle iniziative assunte dalla competente direzione generale per lo sviluppo dell'economia e la liberalizzazione delle attività economiche;
    sulla necessità di utilizzare il risparmio previdenziale per operazioni di finanziamento dell'economia reale si ricordano anche gli orientamenti emersi nel corso delle audizioni svolte: la Corte dei conti, nel corso dell'audizione del 27 febbraio 2014, ha rilevato che «un significativo contributo al finanziamento delle imprese può essere assolto dalle casse privatizzate e dalla previdenza complementare, nella peculiare funzione di intermediazione del risparmio previdenziale di lungo periodo»; la Consob, in audizione presso la VI Commissione finanze della Camera dei deputati, ha sottolineato come il mondo della previdenza complementare-domestico mostri una ridotta propensione all'investimento in titoli di capitale, ivi compresi quelli italiani; la Banca d'Italia, nell'audizione dell'11 giugno 2014, ha evidenziato che le attività dei fondi pensioni in Italia rappresentano il 5,6 per cento del prodotto interno lordo, a fronte di percentuali pari al 96 per cento nel Regno Unito, al 75 per cento in USA e alla media dei Paesi europei pari al 21 per cento, e che il criterio che deve orientare gli organi di governo dei fondi pensione è quello dell'ottimizzazione delle scelte di investimento e che «a condizione che i fondi si dotino di competenze e assetti organizzativi adeguati, potrebbero esistere margini per una composizione dei portafogli meno tradizionale»;
    nella relazione approvata la Commissione bicamerale, allineandosi alle proposte formulate dalla Commissione europea, tenendo conto anche degli orientamenti nell'ambito di un tavolo tecnico di confronto al quale hanno partecipato rappresentanti del Governo e dei dicasteri interessati (Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dello sviluppo economico), nonché molti delle istituzioni audite in Commissione, ha valutato la percorribilità di iniziative istituzionali volte a far sì che l'impiego di parte dei patrimoni gestiti dai fondi pensione e dalle casse professionali possa concorrere a destinare rilevanti risorse finanziarie a sostegno di programmi strategici per lo sviluppo del sistema Paese, quali l'innovazione tecnologica, le fonti di energia sostenibili, la ricerca, il rilancio di aree industriali in crisi, il salvataggio e la ristrutturazione di piccole e medie imprese in difficoltà, i programmi di edilizia abitativa e scolastica e altro;
    occorre sottolineare che sia per la previdenza complementare che per le forme di previdenza obbligatoria degli iscritti negli ordini professionali, in assenza di una forte iniziativa politica, decine e decine di miliardi del risparmio previdenziale, per un totale di quasi 200 miliardi di euro complessivi, continueranno ad essere investiti in strumenti finanziari, per lo più all'estero, in una misura che oggi è pari a circa il 70 per cento del totale degli impieghi; il restante 30 per cento degli impieghi è sostanzialmente investito in titoli di Stato;
    tale andamento determina oggi, di fatto, l'impossibilità di finanziare le imprese italiane e le iniziative di sviluppo infrastrutturale del nostro Paese, in un momento in cui il tema delle risorse finanziarie da recuperare per lo sviluppo dell'economia reale dell'Italia è assolutamente rilevante;
    nella relazione approvata dalla Commissione, che qui si intende integralmente richiamata, sono ipotizzate una serie di misure volte a conseguire tale obiettivo, secondo tre principali linee di intervento:
     a) interventi fiscali per stimolare gli investimenti della previdenza complementare in iniziative di sviluppo del Paese, con misure di equiparazione del regime di tassazione ovvero di agevolazione fiscale in rapporto alla partecipazione ad investimenti in iniziative a sostegno dell'economia reale del Paese; l'idea di fondo è che lo strumento fiscale non deve rispondere solo all'esigenza contingente di ripristinare o mantenere la tenuta dei conti pubblici, ma anche costituire una leva di politica economica a disposizione del Governo e del Parlamento per una politica di sviluppo, così come avviene in altri Paesi europei che utilizzano le agevolazioni fiscali per incentivare l'economia e per operare in senso competitivo con gli altri Stati, dal momento che gli strumenti di politica monetaria sono ormai devoluti alla Banca centrale europea;
    nella relazione si analizzano le normative estere esistenti in materia di tassazione dei fondi pensione e delle Casse previdenziali degli ordini professionali;
    il sistema prevalente in Europa, ad esempio nel Regno Unito, è il cosiddetto sistema «eet» (esente, esente, tassato), con riferimento, rispettivamente alla fase dell'accumulazione, alla tassazione dei rendimenti maturati in ciascun anno da parte dei soggetti gestori del risparmio previdenziale e della tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita;
    in Italia la fase di accumulazione è sostanzialmente esente, in quanto l'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 252 del 2005 prevede che i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, alle forme di previdenza complementare sono deducibili dal reddito complessivo per un importo non superiore ad euro 5.164,57;
    i contributi versati dal datore di lavoro usufruiscono, altresì, delle medesime agevolazioni contributive;
    ai fini del computo del predetto limite si tiene conto anche delle quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi di previdenza di cui all'articolo 105, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi;
    la tassazione dei rendimenti maturati in ciascun anno è stata elevata per il 2014 all'11,5 per cento (prima del decreto-legge n. 66 del 2014, che ha ulteriormente incrementato la pressione fiscale in materia, era, infatti, dell'11 per cento);
    la tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita, infine, ai sensi dell'articolo 11, comma 6, del citato decreto legislativo n. 252 del 2005, sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e a quelli di cui alla lettera g-quinquies del comma 1 dell'articolo 44 del testo unico delle imposte sui redditi: sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche erogate è, pertanto, operata una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali (sino al 9 per cento, quindi, nell'ipotesi di un'anzianità contributiva di 35 anni); le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta; per le casse private rispetto alle tre fasi della tassazione (accantonamento dei contributi, accumulo dei rendimenti, percezione della rendita), si ha una situazione del tipo «eet», ma più gravosa rispetto a quello previsto per i fondi pensione, in quanto se i contributi versati dagli iscritti sono esenti da tassazione fiscale (articolo 38, comma 11, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che ha esteso anche all'esercizio di attività previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria la disciplina dell'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per gli enti pubblici), il trattamento fiscale dei rendimenti mobiliari è tassato al 20 per cento (articolo 2, comma 6, del decreto-legge n. 138 del 2011, a partire dal 2012), mentre le prestazioni sono assoggettate alle aliquote irpef: la relativa base imponibile è data dal valore della prestazione pensionistica al lordo dei rendimenti conseguiti dall'ente previdenziale, con una sorta di doppia tassazione quindi;
     b) interventi ordinamentali concernenti la normativa della previdenza complementare, sia per i fondi pensione che per le casse previdenziali, per stimolare il settore e favorire l'impiego, in condizioni di sicurezza del risparmio, di parte delle risorse ottenute per la promozione di interventi a sostegno dell'economia del Paese; in particolare, nella relazione si ipotizzano: revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare; forme di compensazione o garanzia pubblica per le imprese derivante dall'eventuale incremento dell'impiego del trattamento di fine rapporto in forme di previdenza complementare, in rapporto alla mancata disponibilità dello stesso come forma di autofinanziamento delle imprese; revisione dei limiti quantitativi e tipologici agli impieghi oggetto di definizione per i fondi pensione con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 703 del 1996 e successiva revisione; definizione dello status giuridico delle casse professionali, che la legge ha previsto come private ma che sia in sede amministrativa – per esempio: dell'inclusione nell'elenco consolidato delle pubbliche amministrazione gestito dall'Istat; dei controlli; della sottoposizione al regime della spending review; dei regimi autorizzatori per gli impieghi del patrimonio; delle modalità di redazione dei bilanci, anche in sede giurisdizionale, sono state, di fatto, ricondotte ad un ambito pubblicistico; altre misure possono riguardare lo sblocco di parte delle risorse degli enti previdenziali pubblici, segnatamente l'Inail, attualmente immobilizzati nel conto di tesoreria unica;
     c) definizione delle modalità per la destinazione del risparmio previdenziale a sostegno di investimenti nell'economia reale, attraverso investimenti diretti a sostegno delle imprese, ovvero ampliando il ruolo di raccolta del risparmio della Cassa depositi e prestiti, estendendolo anche al risparmio previdenziale, al fine di favorire l'impiego di interventi strutturali a sostegno dell'economia, in connessione con lo sviluppo dell'impiego di risorse a sostegno del Paese derivanti dalla previdenza complementare;
    altro tema importante è quello dello sviluppo delle campagne informative per la sensibilizzazione dei lavoratori, specie i giovani, sulla rilevanza della previdenza complementare per un positivo futuro pensionistico;
    per la realizzazione di tale iniziativa dovranno essere assicurate importanti condizioni tecniche, quali acquisire il consenso degli enti interessati, prevedere forme di garanzia dello Stato atte ad assicurare la certezza degli investimenti e la loro adeguata remuneratività, in modo comunque da garantire l'equilibrio della gestione finanziaria degli enti interessati e il rispetto delle normative comunitarie in tema di aiuti di Stato,

impegna il Governo:

   ad attuare le linee direttive contenute nella relazione della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale per l'Assemblea, doc. XVI-bis n. 1 del 9 luglio 2014 e trasmesse alle Presidenze delle Camere in data 12 luglio 2014, al fine di favorire l'impiego di parte del risparmio previdenziale, su base consensuale e garantendo la tutela del risparmio previdenziale, risorse ottenute per la promozione di interventi a sostegno dell'economia del Paese, intervenendo per introdurre misure:
    a) per armonizzare il trattamento fiscale delle forme di previdenza complementare e della previdenza riguardante gli ordini professionali, definendo una tassazione a livello inferiore rispetto a quella attualmente prevista per i fondi pensione e valutando, altresì, l'introduzione di un sistema «eet» anche nel nostro Paese;
    b) per definire lo status giuridico delle casse degli ordini professionali o enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994 e del decreto legislativo n. 103 del 1996, anche alla luce delle recenti e ripetute decisioni in sede di giustizia amministrativa che hanno richiamato il carattere pubblicistico di tali enti;
    c) per valutare forme eventuali di accorpamento delle casse degli ordini professionali al fine di realizzare economie di gestione e modalità di impiego delle risorse più efficienti, fatta salva la separazione delle gestioni relative agli specifici ordini professionali;
    d) per prevedere modifiche alla disciplina ordinamentale dei fondi pensione volti a stimolare l'accesso alla previdenza complementare; in particolare nella relazione si ipotizzano: revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare; forme di compensazione o garanzia pubblica per le imprese derivante dall'eventuale incremento dell'impiego del trattamento di fine rapporto in forme di previdenza complementare, in rapporto alla mancata disponibilità dello stesso come forma di autofinanziamento delle imprese; la revisione dei limiti quantitativi e tipologici agli impieghi oggetto di definizione per i fondi pensione con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 703 del 1996, e successiva revisione;
    e) per avviare campagne di informazione per tutti i lavoratori, anche per i dipendenti pubblici, sulle opportunità offerte dalla previdenza complementare, atteso che la piena entrata a regime del sistema contributivo per la previdenza pubblica determinerà la necessità di pensioni complementari anche nel settore pubblico;
    f) per valutare l'adozione di altre misure finalizzate a aumentare le risorse finanziarie a disposizione di investimenti di rilevanza pubblica, quali lo sblocco di parte delle risorse degli enti previdenziali pubblici, segnatamente l'Inail, attualmente immobilizzati nel conto di tesoreria unica;
    g) per promuovere, d'intesa con i fondi pensione e le casse professionali, un patto per l'Italia per prevedere che, a fronte di interventi di agevolazioni, anche fiscali, e di miglioramento del quadro normativo complessivo del settore, sia verificata la disponibilità di effettuare investimenti di parte dei patrimoni gestiti a favore di iniziative per lo sviluppo infrastrutturale dell'Italia, garantendo la remuneratività degli investimenti, nel quadro della salvaguardia dell'equilibrio finanziario degli enti del secondo e del terzo pilastro e del diritto dei lavoratori a percepire le prestazioni previdenziali.
(1-00602)
(Nuova formulazione) «Di Gioia, Morassut, Di Salvo, Di Lello, Dorina Bianchi, Piazzoni, Palese, Distaso, Aiello, Galati, Fucci, Caruso, Lacquaniti, Capelli, Fava, Adornato, D'Alia, Formisano, Gebhard, Lauricella, Ginoble, Melilla, Piepoli, Zoggia, Ginefra, Pastorelli, Meta, Marzano, Carella, Rostan, Scanu, Pilozzi, Rubinato, Pelillo, Sannicandro, Migliore, Carbone, Francesco Sanna, Grassi, Fioroni, Catania, Bosco, Gigli, Bernardo».


   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale ha approvato il 9 luglio 2014 una relazione intitolata «Iniziative per l'utilizzo del risparmio previdenziale complementare a sostegno dello sviluppo dell'economia reale del Paese»;
    la relazione è stata trasmessa alle Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in data 10 luglio 2014;
    la Commissione ha svolto un approfondito lavoro, nell'ambito dell'ampliamento delle competenze che il legislatore ha previsto, con l'ultima modifica approvata con la legge di stabilità per il 2014, affidando ad essa non solo le tradizionali funzioni di controllo sugli istituti di previdenza, ma un quadro esteso di funzioni di vigilanza: sull'efficienza del servizio in relazione alle esigenze degli utenti, sull'equilibrio delle gestioni e sull'utilizzo dei fondi disponibili, anche con finalità di finanziamento e sostegno del settore pubblico e con riferimento all'intero settore previdenziale ed assistenziale; sulla programmazione dell'attività degli enti e sui risultati di gestione in relazione alle esigenze dell'utenza; sull'operatività delle leggi in materia previdenziale e sulla coerenza del sistema previdenziale allargato con le linee di sviluppo dell'economia nazionale;
    in tale quadro la Commissione sta svolgendo un'approfondita indagine conoscitiva su «Funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato, alla luce della recente evoluzione normativa ed organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare», che sinora ha contato 37 audizioni a partire dal gennaio 2014, con la partecipazione di tutte le istituzioni rappresentative ed istituzionali interessate al settore previdenziale (Corte dei conti, Banca d'Italia, Consob, Covip, Mefop, Inps, Inail, casse private e privatizzate, fondi pensioni dei settori della previdenza complementare, organizzazioni sindacali e datoriali), nonché esperti del settore, consulenti della Commissione;
    la Commissione europea si è fatta promotrice di una modifica della direttiva 2003/41/CE Iorp (Institutions for occupational retirement provision) – proposta COM(2014) 167 final 2014/0091 (COD) del 27 marzo 2014 (c.d. Iorp 2) di revisione della cosiddetta direttiva Iorp, relativa alle attività e alla vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali – approvata il 27 marzo 2014, varando un pacchetto complessivo che prevede un piano della Commissione europea per soddisfare le esigenze di finanziamento a lungo termine dell'economia europea del 27 marzo 2014 e una comunicazione in tema di crowdfunding (finanziamento collettivo) per offrire possibilità di finanziamento alternative per le piccole e medie impresse (MEMO/14/240); il pacchetto si basa sulle risposte ricevute nel corso dell'esame del libro verde del 2013 e sulle discussioni avvenute in vari consessi internazionali, come il G20 e l'Ocse ed identifica una serie di misure specifiche che l'Unione europea deve adottare per promuovere il finanziamento a lungo termine dell'economia europea;
    il tema centrale proposto dalla Commissione europea è quello di favorire l'istituzione di fondi comuni europei specializzati nell'investimento di lungo termine in determinate attività produttive in tutto il territorio dell'Unione europea, in quanto «l'Europa ha notevoli esigenze di finanziamento a lungo termine per favorire la crescita sostenibile, il tipo di crescita che aumenta la competitività e crea occupazione in modo intelligente, sostenibile e inclusivo»; «occorre diversificare le fonti di finanziamento in Europa e migliorare l'accesso ai finanziamenti per le piccole e medie imprese, che rappresentano la spina dorsale dell'economia europea»; con riferimento specifico alle norme sulle pensioni aziendali o professionali, si rileva che: «Tutte le società europee devono affrontare una duplice sfida: si tratta di approntare un quadro pensionistico che tenga conto dell'invecchiamento della popolazione e, nel contempo, di realizzare investimenti a lungo termine che favoriscano la crescita. I fondi pensionistici aziendali o professionali sono doppiamente coinvolti nella questione: dispongono di oltre 2.500 miliardi di euro di attivi da gestire con prospettive a lungo termine, mentre 75 milioni di europei dipendono in gran parte da loro per la propria pensione. La proposta legislativa di oggi permetterà di migliorare la governance e la trasparenza di tali fondi in Europa, migliorando, quindi, la stabilità finanziaria e promuovendo le attività transfrontaliere, per sviluppare ulteriormente i fondi pensionistici aziendali e professionali come imprescindibili investitori a lungo termine»;
    tra le azioni previste nella Iorp 2 vi sono la finalizzazione dei dettagli del quadro prudenziale per banche e imprese di assicurazione che sostengono i finanziamenti a lungo termine all'economia reale, una maggiore mobilitazione di risparmi pensionistici personali e la valutazione delle modalità per incoraggiare maggiori flussi transfrontalieri di risparmio; la proposta di direttiva Iorp 2 si propone complessivamente di tutelare gli aderenti alle forme di previdenza complementare adeguatamente dai rischi di gestione, di incentivare i benefici derivanti da un mercato unico delle pensioni aziendali o professionali, rafforzando la capacità dei fondi pensionistici aziendali o professionali di investire in attività finanziarie con un profilo economico a lungo termine e sostenendo, quindi, il finanziamento della crescita nell'economia reale; si tratta in sostanza di favorire l'uso dei finanziamenti privati, aggiuntivi rispetto a quelli pubblici, per investimenti in infrastrutture e migliorare il quadro complessivo del finanziamento sostenibile a lungo termine;
    tali prospettive sono state oggetto di un importante confronto tra il Vicepresidente della Commissione europea e Commissario per il mercato interno e i servizi Michel Barnier e i componenti della Commissione bicamerale nel corso dell'audizione svoltasi alla Camera dei deputati il 3 luglio 2014; Barnier ha illustrato i contenuti del pacchetto di misure riguardanti l'incentivazione dell'uso del risparmio previdenziale per il finanziamento a medio e lungo termine dell'economia reale in Europa, nel quadro del complesso delle iniziative assunte dalla competente direzione generale per lo sviluppo dell'economia e la liberalizzazione delle attività economiche;
    sulla necessità di utilizzare il risparmio previdenziale per operazioni di finanziamento dell'economia reale si ricordano anche gli orientamenti emersi nel corso delle audizioni svolte: la Corte dei conti, nel corso dell'audizione del 27 febbraio 2014, ha rilevato che «un significativo contributo al finanziamento delle imprese può essere assolto dalle casse privatizzate e dalla previdenza complementare, nella peculiare funzione di intermediazione del risparmio previdenziale di lungo periodo»; la Consob, in audizione presso la VI Commissione finanze della Camera dei deputati, ha sottolineato come il mondo della previdenza complementare-domestico mostri una ridotta propensione all'investimento in titoli di capitale, ivi compresi quelli italiani; la Banca d'Italia, nell'audizione dell'11 giugno 2014, ha evidenziato che le attività dei fondi pensioni in Italia rappresentano il 5,6 per cento del prodotto interno lordo, a fronte di percentuali pari al 96 per cento nel Regno Unito, al 75 per cento in USA e alla media dei Paesi europei pari al 21 per cento, e che il criterio che deve orientare gli organi di governo dei fondi pensione è quello dell'ottimizzazione delle scelte di investimento e che «a condizione che i fondi si dotino di competenze e assetti organizzativi adeguati, potrebbero esistere margini per una composizione dei portafogli meno tradizionale»;
    nella relazione approvata la Commissione bicamerale, allineandosi alle proposte formulate dalla Commissione europea, tenendo conto anche degli orientamenti nell'ambito di un tavolo tecnico di confronto al quale hanno partecipato rappresentanti del Governo e dei dicasteri interessati (Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dello sviluppo economico), nonché molti delle istituzioni audite in Commissione, ha valutato la percorribilità di iniziative istituzionali volte a far sì che l'impiego di parte dei patrimoni gestiti dai fondi pensione e dalle casse professionali possa concorrere a destinare rilevanti risorse finanziarie a sostegno di programmi strategici per lo sviluppo del sistema Paese, quali l'innovazione tecnologica, le fonti di energia sostenibili, la ricerca, il rilancio di aree industriali in crisi, il salvataggio e la ristrutturazione di piccole e medie imprese in difficoltà, i programmi di edilizia abitativa e scolastica e altro;
    occorre sottolineare che sia per la previdenza complementare che per le forme di previdenza obbligatoria degli iscritti negli ordini professionali, in assenza di una forte iniziativa politica, decine e decine di miliardi del risparmio previdenziale, per un totale di quasi 200 miliardi di euro complessivi, continueranno ad essere investiti in strumenti finanziari, per lo più all'estero, in una misura che oggi è pari a circa il 70 per cento del totale degli impieghi; il restante 30 per cento degli impieghi è sostanzialmente investito in titoli di Stato;
    tale andamento determina oggi, di fatto, l'impossibilità di finanziare le imprese italiane e le iniziative di sviluppo infrastrutturale del nostro Paese, in un momento in cui il tema delle risorse finanziarie da recuperare per lo sviluppo dell'economia reale dell'Italia è assolutamente rilevante;
    nella relazione approvata dalla Commissione, che qui si intende integralmente richiamata, sono ipotizzate una serie di misure volte a conseguire tale obiettivo, secondo tre principali linee di intervento:
     a) interventi fiscali per stimolare gli investimenti della previdenza complementare in iniziative di sviluppo del Paese, con misure di equiparazione del regime di tassazione ovvero di agevolazione fiscale in rapporto alla partecipazione ad investimenti in iniziative a sostegno dell'economia reale del Paese; l'idea di fondo è che lo strumento fiscale non deve rispondere solo all'esigenza contingente di ripristinare o mantenere la tenuta dei conti pubblici, ma anche costituire una leva di politica economica a disposizione del Governo e del Parlamento per una politica di sviluppo, così come avviene in altri Paesi europei che utilizzano le agevolazioni fiscali per incentivare l'economia e per operare in senso competitivo con gli altri Stati, dal momento che gli strumenti di politica monetaria sono ormai devoluti alla Banca centrale europea;
    nella relazione si analizzano le normative estere esistenti in materia di tassazione dei fondi pensione e delle Casse previdenziali degli ordini professionali;
    il sistema prevalente in Europa, ad esempio nel Regno Unito, è il cosiddetto sistema «eet» (esente, esente, tassato), con riferimento, rispettivamente alla fase dell'accumulazione, alla tassazione dei rendimenti maturati in ciascun anno da parte dei soggetti gestori del risparmio previdenziale e della tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita;
    in Italia la fase di accumulazione è sostanzialmente esente, in quanto l'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 252 del 2005 prevede che i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, alle forme di previdenza complementare sono deducibili dal reddito complessivo per un importo non superiore ad euro 5.164,57;
    i contributi versati dal datore di lavoro usufruiscono, altresì, delle medesime agevolazioni contributive;
    ai fini del computo del predetto limite si tiene conto anche delle quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi di previdenza di cui all'articolo 105, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi;
    la tassazione dei rendimenti maturati in ciascun anno è stata elevata per il 2014 all'11,5 per cento (prima del decreto-legge n. 66 del 2014, che ha ulteriormente incrementato la pressione fiscale in materia, era, infatti, dell'11 per cento);
    la tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita, infine, ai sensi dell'articolo 11, comma 6, del citato decreto legislativo n. 252 del 2005, sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e a quelli di cui alla lettera g-quinquies del comma 1 dell'articolo 44 del testo unico delle imposte sui redditi: sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche erogate è, pertanto, operata una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali (sino al 9 per cento, quindi, nell'ipotesi di un'anzianità contributiva di 35 anni); le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta; per le casse private rispetto alle tre fasi della tassazione (accantonamento dei contributi, accumulo dei rendimenti, percezione della rendita), si ha una situazione del tipo «eet», ma più gravosa rispetto a quello previsto per i fondi pensione, in quanto se i contributi versati dagli iscritti sono esenti da tassazione fiscale (articolo 38, comma 11, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che ha esteso anche all'esercizio di attività previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria la disciplina dell'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per gli enti pubblici), il trattamento fiscale dei rendimenti mobiliari è tassato al 20 per cento (articolo 2, comma 6, del decreto-legge n. 138 del 2011, a partire dal 2012), mentre le prestazioni sono assoggettate alle aliquote irpef: la relativa base imponibile è data dal valore della prestazione pensionistica al lordo dei rendimenti conseguiti dall'ente previdenziale, con una sorta di doppia tassazione quindi;
     b) interventi ordinamentali concernenti la normativa della previdenza complementare, sia per i fondi pensione che per le casse previdenziali, per stimolare il settore e favorire l'impiego, in condizioni di sicurezza del risparmio, di parte delle risorse ottenute per la promozione di interventi a sostegno dell'economia del Paese; in particolare, nella relazione si ipotizzano: revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare; forme di compensazione o garanzia pubblica per le imprese derivante dall'eventuale incremento dell'impiego del trattamento di fine rapporto in forme di previdenza complementare, in rapporto alla mancata disponibilità dello stesso come forma di autofinanziamento delle imprese; revisione dei limiti quantitativi e tipologici agli impieghi oggetto di definizione per i fondi pensione con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 703 del 1996 e successiva revisione; definizione dello status giuridico delle casse professionali, che la legge ha previsto come private ma che sia in sede amministrativa – per esempio: dell'inclusione nell'elenco consolidato delle pubbliche amministrazione gestito dall'Istat; dei controlli; della sottoposizione al regime della spending review; dei regimi autorizzatori per gli impieghi del patrimonio; delle modalità di redazione dei bilanci, anche in sede giurisdizionale, sono state, di fatto, ricondotte ad un ambito pubblicistico; altre misure possono riguardare lo sblocco di parte delle risorse degli enti previdenziali pubblici, segnatamente l'Inail, attualmente immobilizzati nel conto di tesoreria unica;
     c) definizione delle modalità per la destinazione del risparmio previdenziale a sostegno di investimenti nell'economia reale, attraverso investimenti diretti a sostegno delle imprese, ovvero ampliando il ruolo di raccolta del risparmio della Cassa depositi e prestiti, estendendolo anche al risparmio previdenziale, al fine di favorire l'impiego di interventi strutturali a sostegno dell'economia, in connessione con lo sviluppo dell'impiego di risorse a sostegno del Paese derivanti dalla previdenza complementare;
    altro tema importante è quello dello sviluppo delle campagne informative per la sensibilizzazione dei lavoratori, specie i giovani, sulla rilevanza della previdenza complementare per un positivo futuro pensionistico;
    per la realizzazione di tale iniziativa dovranno essere assicurate importanti condizioni tecniche, quali acquisire il consenso degli enti interessati, prevedere forme di garanzia dello Stato atte ad assicurare la certezza degli investimenti e la loro adeguata remuneratività, in modo comunque da garantire l'equilibrio della gestione finanziaria degli enti interessati e il rispetto delle normative comunitarie in tema di aiuti di Stato,

impegna il Governo:

   ad attuare le linee direttive contenute nella relazione della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale per l'Assemblea, doc. XVI-bis n. 1 del 9 luglio 2014 e trasmesse alle Presidenze delle Camere in data 12 luglio 2014, al fine di favorire l'impiego di parte del risparmio previdenziale, su base consensuale e garantendo la tutela del risparmio previdenziale, risorse ottenute per la promozione di interventi a sostegno dell'economia del Paese, intervenendo per introdurre misure:
    a) per valutare la possibilità di introdurre misure volte ad armonizzare il trattamento fiscale delle forme di previdenza complementare e della previdenza riguardante gli ordini professionali, definendo una tassazione a livello inferiore rispetto a quella attualmente prevista per i fondi pensione e valutando, altresì, l'introduzione di un sistema «eet» anche nel nostro Paese;
    b) per verificare la possibilità di definire – attraverso un intervento normativo – lo status giuridico delle casse degli ordini professionali o enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994 e del decreto legislativo n. 103 del 1996, anche alla luce delle recenti e ripetute decisioni in sede di giustizia amministrativa che hanno richiamato il carattere pubblicistico di tali enti;
    c) per valutare forme eventuali di accorpamento delle casse degli ordini professionali al fine di realizzare economie di gestione e modalità di impiego delle risorse più efficienti, fatta salva la separazione delle gestioni relative agli specifici ordini professionali;
    d) per valutare la possibilità di una revisione degli attuali meccanismi di adesione alla previdenza complementare attraverso l'introduzione di modalità che – salvaguardando nel miglior modo possibile la consapevolezza dell'adesione al Fondo da parte del lavoratore – consentano di avvicinare a tale forme di previdenza il maggior numero di lavoratori;
    e) per promuovere, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, campagne di informazione per tutti i lavoratori, anche per quelli pubblici, sulle opportunità offerte dalla previdenza complementare, atteso che la piena entrata a regime del sistema contributivo per la previdenza pubblica determinerà la necessità di pensioni complementari anche nel settore pubblico;
    f) per valutare la possibilità di adottare, attraverso specifici interventi normativi e nel rispetto dei saldi complessivi di finanza pubblica, ulteriori misure finalizzate a aumentare le risorse finanziarie a disposizione di investimenti di rilevanza pubblica, quali lo sblocco di parte delle risorse degli enti previdenziali pubblici, segnatamente l'Inail, attualmente immobilizzati nel conto di tesoreria unica;
    g) per promuovere, d'intesa con i fondi pensione e le casse professionali, iniziative per favorire l'utilizzo del risparmio previdenziale a sostegno dello sviluppo dell'economia reale del Paese, garantendo la remuneratività degli investimenti, nel quadro della salvaguardia dell'equilibrio finanziario degli enti del secondo e del terzo pilastro e del diritto dei lavoratori a percepire le prestazioni previdenziali.
(1-00602)
(Nuova formulazione) (Testo modificato nel corso della seduta) «Di Gioia, Morassut, Di Salvo, Di Lello, Dorina Bianchi, Piazzoni, Palese, Distaso, Aiello, Galati, Fucci, Caruso, Lacquaniti, Capelli, Fava, Adornato, D'Alia, Formisano, Gebhard, Lauricella, Ginoble, Melilla, Piepoli, Zoggia, Ginefra, Pastorelli, Meta, Marzano, Carella, Rostan, Scanu, Pilozzi, Rubinato, Pelillo, Sannicandro, Migliore, Carbone, Francesco Sanna, Grassi, Fioroni, Catania, Bosco, Gigli, Bernardo».


   La Camera,
   premesso che:
    l'indirizzo politico adottato dal Governo e dalla maggioranza parlamentare che lo sostiene è quello di utilizzare il risparmio previdenziale per operazioni di finanziamento dell'economia reale;
    tale orientamento trova conferma nel disegno di legge di stabilità per il 2015 e nella relazione intitolata «Iniziative per l'utilizzo del risparmio previdenziale complementare a sostegno dello sviluppo dell'economia reale del Paese», approvata dalla Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale il 9 luglio 2014 e trasmessa alle Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in data 10 luglio 2014;
    in particolare, per quanto riguarda la legge di stabilità per il 2015, secondo le indiscrezioni di stampa, il documento prevede la possibilità per il lavoratore – anche se ha già scelto di trasferire il trattamento di fine rapporto verso i fondi pensione – di richiedere l'anticipo del trattamento di fine rapporto tramite liquidazione diretta mensile della quota maturanda in busta paga, fino al 100 per cento della somma maturata nel corso dell'anno;
    per quanto concerne le modalità operative dell'erogazione del trattamento di fine rapporto, a fronte della richiesta del dipendente, per evitare problemi di liquidità alle piccole e medie imprese, l'idea allo studio sembrerebbe quella che l'azienda si faccia rilasciare dall'Inps una certificazione al diritto alla prestazione, che sarà trasmessa alle banche per ottenere l'erogazione di un finanziamento destinato all'anticipo del trattamento di fine rapporto; allo scadere del finanziamento, in caso di mancata restituzione delle somme da parte dell'azienda, la banca si rivolgerà all'Inps per recuperare il credito vantato verso l'azienda;
    sempre il documento della legge di stabilità per il 2015 prevederebbe poi, per recuperare risorse, un aumento della pressione fiscale sulla previdenza integrativa e complementare, con l'elevazione dell'aliquota oggi all'11,5 per cento tra il 20 ed il 26 per cento;
    pur comprendendo lo sforzo compiuto dal Governo per reperire le risorse necessarie a far ripartire l'economia italiana, tali decisioni sembrano essere caratterizzate da una logica emergenziale priva di una visione lungimirante; esse, infatti, non sembrano considerare i rischi a cui si espone nel medio-lungo periodo il sistema pensionistico italiano, né tantomeno sembrano tener conto del progressivo invecchiamento della popolazione e, quindi, della necessità di garantire pensioni sicure ed adeguate;
    non è, peraltro, la prima volta che un Governo di centrosinistra utilizza soldi dei lavoratori per «fare cassa»; si ricorda a tal proposito la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, commi 755 e seguenti, della legge n. 296 del 2007), con cui il Governo Prodi ha operato un vero e proprio «scippo» del trattamento di fine rapporto nell'intento di recuperare risorse per circa 5 miliardi di euro o il decreto-legge cosiddetto «salva-Italia» (articolo 24 del decreto-legge n. 201/2011), con il quale il Governo Monti e la Ministra Fornero hanno tentato di risanare i conti pubblici elevando d'emblée i requisiti pensionistici;
    dalla costituzione del fondo presso l'Inps del trattamento di fine rapporto inoptato, con l'entrata in vigore appunto della legge finanziaria per il 2007, si sta utilizzando in maniera secondo i firmatari del presente atto di indirizzo illegittima quella che costituisce una retribuzione indiretta dei lavoratori per spese correnti, come addirittura il finanziamento di lavori socialmente utili o di comuni e province in dissesto finanziario;
    la stessa Corte dei conti ha rilevato che «a partire dal 2010, sulla base della legislazione sopravveniente (...) sembra cessare l'impiego ad investimenti delle somme prelevate (...) a seguito di tale fenomeno può concludersi che il prelievo stesso diviene un'entrata indifferenziata dello Stato, senza alcun vincolo di destinazione e senza l'istituzione di correlate poste passive, destinate alla reintegrazione del fondo», sottolineando il rischio di equità intergenerazionale nonché di pareggio di bilancio derivante dall'utilizzo degli accantonamenti di trattamento di fine rapporto presso il fondo per mere spese correnti,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo, per il superamento delle previsioni normative di cui ai commi 755 e seguenti dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006, affinché il trattamento di fine rapporto inoptato rimanga in azienda e possa così rappresentare per le imprese stesse, come in passato, una forma di autofinanziamento per ristrutturarsi, investire e ritornare competitive, salvaguardando ed incrementando l'occupazione;
   a favorire, in termini fiscali, lo sviluppo della previdenza complementare al fine di garantire al lavoratore la possibilità di costituirsi una previdenza integrativa che compensi la riduzione delle prestazioni del sistema previdenziale pubblico;
   ad attuare tutte le opportune iniziative per garantire alle future generazioni pensioni certe e dignitose, considerato che la media dei trattamenti pensionistici italiani è tra le più basse d'Europa.
(1-00639) «Prataviera, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».


   La Camera

impegna il Governo:

   a favorire, in termini fiscali, lo sviluppo della previdenza complementare al fine di garantire al lavoratore la possibilità di costituirsi una previdenza integrativa che compensi la riduzione delle prestazioni del sistema previdenziale pubblico;
   ad attuare tutte le opportune iniziative per garantire alle future generazioni pensioni certe e dignitose, considerato che la media dei trattamenti pensionistici italiani è tra le più basse d'Europa.
(1-00639) (Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Prataviera, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la previdenza complementare nasce come sistema regolamentare autonomo e strutturato all'inizio degli anni Novanta (articolo 2, comma 1, lettera v), della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 e decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124), in corrispondenza di una revisione complessiva dell'ordinamento pensionistico obbligatorio culminata nella legge n. 335 del 1995. L'obiettivo è quello di introdurre un secondo livello di tutela previdenziale che funga da strumento di compensazione per le riduzioni dei trattamenti pensionistici obbligatori e che concorra a soddisfare gli obiettivi di adeguatezza pensionistica (articolo 38 della Costituzione), ovvero a garantire ai lavoratori più elevati livelli di copertura;
    la normativa sui fondi pensione poi è stata riformata dalla legge delega 23 agosto 2004, n. 243, (articolo 1, commi 1, lettera c) e 2, lettera e) e seguenti) e dal decreto legislativo di attuazione 5 dicembre 2005, n. 252, (entrato in vigore il 1o gennaio 2007), con l'intento di aumentare il tasso di adesione dei lavoratori alle forme complementari e i flussi di finanziamento dei fondi pensione. La previdenza di secondo livello interessa tutte le forme di lavoro, autonomo, subordinato, professionale, ma è stata progressivamente estesa anche a soggetti che si trovano al di fuori del perimetro costituito dalle varie tipologie di lavoro;
    i fondi pensione vanno oggi considerati anche alla luce delle altre forme di previdenza contrattuale, introdotte nell'ordinamento dalla legislazione più recente, quale ad esempio la legge n. 92 del 2012, che all'articolo 3 disciplina nuovi sistemi di ammortizzazione sociale di fonte contrattuale collettiva;
    a livello di normativa europea due sono i principali interventi regolatori in materia e cioè la direttiva n. 49 del 1998 e la direttiva n. 41 del 2003 (cosiddetta direttiva sugli Epap – Enti pensionistici aziendali o professionali), quest'ultima recepita con l'introduzione di apposite disposizioni all'interno del decreto legislativo n. 252 del 2005;
    la prima regolamentazione organica della previdenza complementare è stata realizzata con la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, (articolo 2, comma 1, lettera v) e il decreto legislativo attuativo 21 aprile 1993, n. 124;
    tale regolamentazione, come detto, è stata sottoposta a revisione nel 2004-2005 con la legge delega 23 agosto 2004, n. 243, (articolo 1, commi 1, lettera c) e 2, lettera e) e seguenti) alla quale si è dato attuazione con il decreto legislativo 5 dicembre 2005 n. 252 (entrato in vigore il 1o gennaio 2007) sul presupposto di una più efficace messa a punto della strumentazione necessaria, anche a livello di flussi di finanziamento, per assicurare l'effettività della diffusione del secondo pilastro previdenziale;
    secondo la relazione annuale della Covip del 2013 (dati 2012), tale obiettivo è ancora lontano: alla fine del 2012 le forme pensionistiche complementari contavano su 5,8 milioni di iscritti con un tasso di adesioni, rispetto al totale dei lavoratori occupati (pubblici, privati e autonomi), pari a 25,5 per cento. È solo leggermente più alto il tasso di adesione per il lavoro dipendente privato: supera il 30 per cento se si tiene conto dei soli dipendenti occupati, mentre si riscende sotto tale soglia (circa 27 per cento) se si tiene anche conto dei dipendenti disoccupati (pari all'incirca a 3 milioni);
    sul fronte dell'impianto normativo si ritiene poi che talune scelte «tecniche» aumentino le remore dei lavoratori a dare la propria adesione ai fondi pensione. In tal senso, si è posto l'interrogativo se l'attuale situazione di irreversibilità del conferimento del trattamento di fine rapporto – forse discordante con le premesse di un sistema fondato sulla libertà di adesione – non abbia finito per fungere da deterrente per le conseguenze drastiche e definitive che determina;
    infatti, subito dopo la riforma del 2005 e alla luce dei dati deludenti sulla conseguente destinazione esplicita o tacita del trattamento di fine rapporto alla previdenza complementare, si è quindi ragionato in ordine all'opportunità di prevedere, a certe condizioni, il «diritto di ripensamento» del lavoratore (senza arrivare ad alcun «approdo» normativo);
    va comunque sempre tenuto in considerazione come la previdenza complementare trovi il suo fondamento nell'articolo 38, comma 2, della Costituzione: ciò significa che essa condivide l'obiettivo di garantire l'adeguatezza delle prestazioni pensionistiche;
    la previdenza complementare, dunque, per espressa indicazione normativa (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 252 del 2005) deve concorrere a assicurare ai lavoratori «più elevati livelli di copertura previdenziale», anche in funzione della corrispondente contrazione dei livelli di copertura della previdenza pubblica, in una prospettiva costituzionale di adeguatezza del reddito pensionistico;
    occorre certamente una revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare. In merito, risulta necessario tenere in considerazione la limitata entità dell'attuale tasso di adesione, a fronte dell'ampia platea di potenziali contribuenti. Ciò è indice della scarsa propensione del lavoratore medio alla ricerca di forme di risparmio in funzione della garanzia di adeguati trattamenti di quiescenza, nonostante gli effetti prodotti dalle recenti riforme previdenziali;
    l'adozione di soluzioni complementari ed integrative della previdenza obbligatoria è attenuata dalla sussistenza di una forte diffidenza nel contribuente medio derivante anche dalla presupposta ed avvertita scarsa tutela, dalla necessaria ed insoddisfatta esigenza di garantire la sorte contributiva e una sufficiente remunerazione del risparmio, oltre che dall'inadeguata convenienza fiscale;
    in tale situazione il ventilato ricorso ad un sistema di adesione obbligatoria cagionerebbe un'ulteriore e fisiologica forma di chiusura, acuendo nel contempo la resistenza dei potenziali contribuenti e il contrasto sociale. Una soluzione praticabile è riconducibile alla commistione tra il mantenimento del sistema dell'adesione volontaria, la predisposizione di adeguate agevolazioni fiscali con la previsione di ampi margini di deducibilità e la realizzazione di un solido sistema di garanzie;
    in tale ottica – ed in considerazione della perseguita finalità di rendere conveniente per i contribuenti l'adesione ai fondi – appare sì praticabile l'attuazione dell'armonizzazione del trattamento fiscale ma non certamente alcuna soluzione riferibile a forme di adesione obbligatoria che risulterebbe invece del tutto improduttiva;
    certamente fruttuoso sarebbe invece provvedere, tra le altre cose, alla realizzazione di un accorpamento delle casse previdenziali;
    risulta, infatti, improcrastinabile un intervento di riorganizzazione del sistema delle casse – non circoscritto alla sola forma dell'accorpamento – con la necessaria esigenza di mantenere distinte le evidenze contabili riferibili alle singole casse private o privatizzate;
    tale intervento, oltre a consentire l'eliminazione o riduzione delle diseconomie esistenti, renderebbe più agevole l'attuazione dei prescritti controlli di gestione e contabili;
    la stessa predisposizione e ridefinizione del sistema di governance – oltre a realizzare evidenti ed immediati risparmi – attuerebbe una lineare e meno variegata azione amministrativa e gestionale, con conseguenti e auspicabili benefici sulla valorizzazione del patrimonio e sulla deflazione del contenzioso;
    nel caso di fondi pensione negoziali, la gestione dei singoli fondi è demandata a un consiglio di amministrazione paritetico al 50 per cento designato dagli imprenditori e al 50 per cento dai lavoratori. La percentuale designata dai lavoratori viene nella maggioranza dei casi eletta con liste prestabilite dalle organizzazioni cosiddette «associate» – di fatto Cgil-Cisl-Uil di categoria – e quindi nel consiglio di amministrazione entrano quasi esclusivamente i rappresentanti dei tre sindacati sopra citati;
    quello che si vuole sottolineare è che dette organizzazioni sindacali stipulanti gli accordi istitutivi di ciascun fondo poggiano la loro rappresentanza su quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare un'iniqua posizione di rendita e di vantaggio, non suffragata da alcuna raccolta di firme con cui si devono invece misurare altre organizzazioni sindacali o associazioni di lavoratori;
    tale discriminazione, oltre alle difficoltà tecniche richieste alle liste che si vogliono presentare ex novo o che vogliono rinnovare la loro presenza ma non facenti parti dell'accordo costitutivo del fondo, fa sì che nei fatti siano ben pochi i delegati eletti fuori dell'ambito Cgil, Cisl E Uil, fuori della già citata «corsia privilegiata»;
    a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo questo alimenta un senso di sfiducia del lavoratore (contribuente del fondo) ed elettore verso un'istituzione che presenta delle asimmetrie così forti nella propria rappresentanza e potenziali opacità nella gestione del fondo stesso, a causa del fatto che i propri rappresentanti non sono direttamente responsabili di fronte ai lavoratori ma sono «mediati» da un'organizzazione che decide i nominativi nelle liste;
    una maggiore iniezione di democrazia partecipata, con posizione paritetica di tutte le liste e con formazione di liste provenienti dal basso ed autonomamente formate, contribuirebbe non poco ad aumentare la platea dei lavoratori aderenti;
    l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 252 del 2005 disciplina le forme di previdenza per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio, ivi compresi quelli gestiti dagli enti di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509, e 10 febbraio 1996, n. 104, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale;
    l'azione del Governo ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non può che essere improntata al perseguimento della tutela degli interessi degli iscritti alle forme di previdenza che deve risultare primario,

impegna il Governo:

   a garantire la massima trasparenza della gestione dei risparmi dei lavoratori, ponendo in essere ogni iniziativa utile a garantire, con ampia certezza, il rendimento e la sicurezza del diritto alla pensione da parte del fondo pensione;
   a valutare l'adeguatezza dei fondi pensione e la loro aderenza alle previsioni di cui all'articolo 38 della Costituzione, posto che la previdenza complementare, dunque, per espressa indicazione normativa (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 252 del 2005) deve concorrere ad assicurare ai lavoratori «più elevati livelli di copertura previdenziale», anche in funzione della corrispondente contrazione dei livelli di copertura della previdenza pubblica;
   ad assumere iniziative per rivedere l'attuale sistema del silenzio assenso nel conferimento del trattamento di fine rapporto ai fondi pensione;
   a promuovere iniziative normative volte ad avviare serie campagne di informazione sui diritti dei lavoratori e sui modi di impiego del proprio trattamento di fine rapporto;
   a promuovere l'accorpamento delle casse degli ordini professionali al fine di realizzare economie di gestione e modalità di impiego delle risorse più efficienti, fatta salva la separazione delle gestioni relative agli specifici ordini professionali;
   ad assumere iniziative per superare l'attuale sistema di elezione dei rappresentanti dei lavoratori in seno al fondo negoziale (assemblea dei delegati e/o consiglio d'amministrazione) al fine di eliminare meccanismi elettivi che possano penalizzare l'eterogeneità delle rappresentanze;
   a prevedere un metodo elettivo dei rappresentanti dei lavoratori unico ed omogeneo a livello nazionale, valido per ogni fondo ed in ogni azienda;
   ad assumere iniziative per definire lo status giuridico delle casse degli ordini professionali o enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994 e del decreto legislativo n. 104 del 1996, richiamando il carattere pubblicistico di tali enti già previsto nell'articolo 2 di quest'ultimo decreto;
   ad assumere iniziative per prevedere audit annuali sui bilanci di tutti i fondi pensione e gli enti previdenziali pubblici e privatizzati, eseguiti da un collegio valutatore indipendente internazionale, al fine di stabilire in quale misura i criteri di investimento prefissati siano stati soddisfatti o meno in relazione alla preservazione del patrimonio, al «rendimento target» e alla sostenibilità dell'erogazione pensionistica.
(1-00650) «Ciprini, Baldassarre, Lombardi, Tripiedi, Rizzetto, Chimienti, Bechis, Rostellato, Cominardi, Currò».


   La Camera,
   premesso che:
    la previdenza complementare nasce come sistema regolamentare autonomo e strutturato all'inizio degli anni Novanta (articolo 2, comma 1, lettera v), della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 e decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124), in corrispondenza di una revisione complessiva dell'ordinamento pensionistico obbligatorio culminata nella legge n. 335 del 1995. L'obiettivo è quello di introdurre un secondo livello di tutela previdenziale che funga da strumento di compensazione per le riduzioni dei trattamenti pensionistici obbligatori e che concorra a soddisfare gli obiettivi di adeguatezza pensionistica (articolo 38 della Costituzione), ovvero a garantire ai lavoratori più elevati livelli di copertura;
    la normativa sui fondi pensione poi è stata riformata dalla legge delega 23 agosto 2004, n. 243, (articolo 1, commi 1, lettera c) e 2, lettera e) e seguenti) e dal decreto legislativo di attuazione 5 dicembre 2005, n. 252, (entrato in vigore il 1o gennaio 2007), con l'intento di aumentare il tasso di adesione dei lavoratori alle forme complementari e i flussi di finanziamento dei fondi pensione. La previdenza di secondo livello interessa tutte le forme di lavoro, autonomo, subordinato, professionale, ma è stata progressivamente estesa anche a soggetti che si trovano al di fuori del perimetro costituito dalle varie tipologie di lavoro;
    i fondi pensione vanno oggi considerati anche alla luce delle altre forme di previdenza contrattuale, introdotte nell'ordinamento dalla legislazione più recente, quale ad esempio la legge n. 92 del 2012, che all'articolo 3 disciplina nuovi sistemi di ammortizzazione sociale di fonte contrattuale collettiva;
    a livello di normativa europea due sono i principali interventi regolatori in materia e cioè la direttiva n. 49 del 1998 e la direttiva n. 41 del 2003 (cosiddetta direttiva sugli Epap – Enti pensionistici aziendali o professionali), quest'ultima recepita con l'introduzione di apposite disposizioni all'interno del decreto legislativo n. 252 del 2005;
    la prima regolamentazione organica della previdenza complementare è stata realizzata con la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, (articolo 2, comma 1, lettera v) e il decreto legislativo attuativo 21 aprile 1993, n. 124;
    tale regolamentazione, come detto, è stata sottoposta a revisione nel 2004-2005 con la legge delega 23 agosto 2004, n. 243, (articolo 1, commi 1, lettera c) e 2, lettera e) e seguenti) alla quale si è dato attuazione con il decreto legislativo 5 dicembre 2005 n. 252 (entrato in vigore il 1o gennaio 2007) sul presupposto di una più efficace messa a punto della strumentazione necessaria, anche a livello di flussi di finanziamento, per assicurare l'effettività della diffusione del secondo pilastro previdenziale;
    secondo la relazione annuale della Covip del 2013 (dati 2012), tale obiettivo è ancora lontano: alla fine del 2012 le forme pensionistiche complementari contavano su 5,8 milioni di iscritti con un tasso di adesioni, rispetto al totale dei lavoratori occupati (pubblici, privati e autonomi), pari a 25,5 per cento. È solo leggermente più alto il tasso di adesione per il lavoro dipendente privato: supera il 30 per cento se si tiene conto dei soli dipendenti occupati, mentre si riscende sotto tale soglia (circa 27 per cento) se si tiene anche conto dei dipendenti disoccupati (pari all'incirca a 3 milioni);
    sul fronte dell'impianto normativo si ritiene poi che talune scelte «tecniche» aumentino le remore dei lavoratori a dare la propria adesione ai fondi pensione. In tal senso, si è posto l'interrogativo se l'attuale situazione di irreversibilità del conferimento del trattamento di fine rapporto – forse discordante con le premesse di un sistema fondato sulla libertà di adesione – non abbia finito per fungere da deterrente per le conseguenze drastiche e definitive che determina;
    infatti, subito dopo la riforma del 2005 e alla luce dei dati deludenti sulla conseguente destinazione esplicita o tacita del trattamento di fine rapporto alla previdenza complementare, si è quindi ragionato in ordine all'opportunità di prevedere, a certe condizioni, il «diritto di ripensamento» del lavoratore (senza arrivare ad alcun «approdo» normativo);
    va comunque sempre tenuto in considerazione come la previdenza complementare trovi il suo fondamento nell'articolo 38, comma 2, della Costituzione: ciò significa che essa condivide l'obiettivo di garantire l'adeguatezza delle prestazioni pensionistiche;
    la previdenza complementare, dunque, per espressa indicazione normativa (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 252 del 2005) deve concorrere a assicurare ai lavoratori «più elevati livelli di copertura previdenziale», anche in funzione della corrispondente contrazione dei livelli di copertura della previdenza pubblica, in una prospettiva costituzionale di adeguatezza del reddito pensionistico;
    occorre certamente una revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare. In merito, risulta necessario tenere in considerazione la limitata entità dell'attuale tasso di adesione, a fronte dell'ampia platea di potenziali contribuenti. Ciò è indice della scarsa propensione del lavoratore medio alla ricerca di forme di risparmio in funzione della garanzia di adeguati trattamenti di quiescenza, nonostante gli effetti prodotti dalle recenti riforme previdenziali;
    l'adozione di soluzioni complementari ed integrative della previdenza obbligatoria è attenuata dalla sussistenza di una forte diffidenza nel contribuente medio derivante anche dalla presupposta ed avvertita scarsa tutela, dalla necessaria ed insoddisfatta esigenza di garantire la sorte contributiva e una sufficiente remunerazione del risparmio, oltre che dall'inadeguata convenienza fiscale;
    in tale situazione il ventilato ricorso ad un sistema di adesione obbligatoria cagionerebbe un'ulteriore e fisiologica forma di chiusura, acuendo nel contempo la resistenza dei potenziali contribuenti e il contrasto sociale. Una soluzione praticabile è riconducibile alla commistione tra il mantenimento del sistema dell'adesione volontaria, la predisposizione di adeguate agevolazioni fiscali con la previsione di ampi margini di deducibilità e la realizzazione di un solido sistema di garanzie;
    in tale ottica – ed in considerazione della perseguita finalità di rendere conveniente per i contribuenti l'adesione ai fondi – appare sì praticabile l'attuazione dell'armonizzazione del trattamento fiscale ma non certamente alcuna soluzione riferibile a forme di adesione obbligatoria che risulterebbe invece del tutto improduttiva;
    certamente fruttuoso sarebbe invece provvedere, tra le altre cose, alla realizzazione di un accorpamento delle casse previdenziali;
    risulta, infatti, improcrastinabile un intervento di riorganizzazione del sistema delle casse – non circoscritto alla sola forma dell'accorpamento – con la necessaria esigenza di mantenere distinte le evidenze contabili riferibili alle singole casse private o privatizzate;
    tale intervento, oltre a consentire l'eliminazione o riduzione delle diseconomie esistenti, renderebbe più agevole l'attuazione dei prescritti controlli di gestione e contabili;
    la stessa predisposizione e ridefinizione del sistema di governance – oltre a realizzare evidenti ed immediati risparmi – attuerebbe una lineare e meno variegata azione amministrativa e gestionale, con conseguenti e auspicabili benefici sulla valorizzazione del patrimonio e sulla deflazione del contenzioso;
    nel caso di fondi pensione negoziali, la gestione dei singoli fondi è demandata a un consiglio di amministrazione paritetico al 50 per cento designato dagli imprenditori e al 50 per cento dai lavoratori. La percentuale designata dai lavoratori viene nella maggioranza dei casi eletta con liste prestabilite dalle organizzazioni cosiddette «associate» – di fatto Cgil-Cisl-Uil di categoria – e quindi nel consiglio di amministrazione entrano quasi esclusivamente i rappresentanti dei tre sindacati sopra citati;
    quello che si vuole sottolineare è che dette organizzazioni sindacali stipulanti gli accordi istitutivi di ciascun fondo poggiano la loro rappresentanza su quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare un'iniqua posizione di rendita e di vantaggio, non suffragata da alcuna raccolta di firme con cui si devono invece misurare altre organizzazioni sindacali o associazioni di lavoratori;
    tale discriminazione, oltre alle difficoltà tecniche richieste alle liste che si vogliono presentare ex novo o che vogliono rinnovare la loro presenza ma non facenti parti dell'accordo costitutivo del fondo, fa sì che nei fatti siano ben pochi i delegati eletti fuori dell'ambito Cgil, Cisl E Uil, fuori della già citata «corsia privilegiata»;
    a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo questo alimenta un senso di sfiducia del lavoratore (contribuente del fondo) ed elettore verso un'istituzione che presenta delle asimmetrie così forti nella propria rappresentanza e potenziali opacità nella gestione del fondo stesso, a causa del fatto che i propri rappresentanti non sono direttamente responsabili di fronte ai lavoratori ma sono «mediati» da un'organizzazione che decide i nominativi nelle liste;
    una maggiore iniezione di democrazia partecipata, con posizione paritetica di tutte le liste e con formazione di liste provenienti dal basso ed autonomamente formate, contribuirebbe non poco ad aumentare la platea dei lavoratori aderenti;
    l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 252 del 2005 disciplina le forme di previdenza per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio, ivi compresi quelli gestiti dagli enti di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509, e 10 febbraio 1996, n. 104, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale;
    l'azione del Governo ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non può che essere improntata al perseguimento della tutela degli interessi degli iscritti alle forme di previdenza che deve risultare primario,

impegna il Governo:

   a garantire la massima trasparenza della gestione dei risparmi dei lavoratori, ponendo in essere ogni iniziativa utile a garantire, con ampia certezza, il rendimento e la sicurezza del diritto alla pensione da parte del fondo pensione;
   a valutare l'adeguatezza dei fondi pensione e la loro aderenza alle previsioni di cui all'articolo 38 della Costituzione, posto che la previdenza complementare, dunque, per espressa indicazione normativa (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 252 del 2005) deve concorrere ad assicurare ai lavoratori «più elevati livelli di copertura previdenziale», anche in funzione della corrispondente contrazione dei livelli di copertura della previdenza pubblica;
   a promuovere l'accorpamento delle casse degli ordini professionali al fine di realizzare economie di gestione e modalità di impiego delle risorse più efficienti, fatta salva la separazione delle gestioni relative agli specifici ordini professionali;
   ad assumere iniziative per verificare la possibilità di definire, attraverso l'intervento normativo, lo status giuridico delle casse degli ordini professionali o enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994 e del decreto legislativo n. 103 del 1996, anche alla luce delle recenti e ripetute decisioni in sede di giustizia amministrativa che hanno richiamato il carattere pubblicistico di tali enti.
(1-00650)
(Testo modificato nel corso della seduta, come risultante dalla votazione per parti separate).  «Ciprini, Baldassarre, Lombardi, Tripiedi, Rizzetto, Chimienti, Bechis, Rostellato, Cominardi, Currò».


PROPOSTA DI LEGGE FERRANTI ED ALTRI: MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE IN MATERIA DI MISURE CAUTELARI PERSONALI. MODIFICHE ALLA LEGGE 26 LUGLIO 1975, N. 354, IN MATERIA DI VISITA A PERSONE AFFETTE DA HANDICAP IN SITUAZIONE DI GRAVITÀ (APPROVATA DALLA CAMERA E MODIFICATA DAL SENATO) (A.C. 631-C)

A.C. 631-C – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1.

A.C. 631-C – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO E SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

Sul testo del provvedimento in oggetto:

NULLA OSTA

Sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:

NULLA OSTA

A.C. 631-C – Articolo 1

ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 1.

  1. All'articolo 274, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, dopo la parola: «concreto» sono inserite le seguenti: «e attuale» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «. Le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede».

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI LEGGE

ART. 1.

  Al comma 1, sopprimere le parole: titolo di.

  Conseguentemente, all'articolo 2, comma 1, lettera c), sopprimere le parole: titolo di.
1. 1. Ferraresi, Sarti, Turco, Agostinelli, Bonafede, Colletti, Businarolo.

A.C. 631-C – Articolo 2

ARTICOLO 2 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 2.

  1. All'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) dopo la parola: «concreto» sono inserite le seguenti: «e attuale»;
   b) dopo le parole: «non inferiore nel massimo a cinque anni» sono aggiunte le seguenti: «nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all'articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni»;
   c) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell'imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede».

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 2 DELLA PROPOSTA DI LEGGE

ART. 2.

  Al comma 1, sopprimere la lettera b).

  Conseguentemente, dopo l'articolo 2, aggiungere il seguente:
  Art. 2-bis. All'articolo 7, terzo comma, della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni, le parole: «4 anni» sono sostituite dalle seguenti: «5 anni».
2. 5. Ferraresi, Sarti, Turco, Agostinelli, Bonafede, Colletti, Businarolo.

A.C. 631-C – Articolo 4

ARTICOLO 4 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 4.

  1. Il secondo periodo del comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale è sostituito dai seguenti: «Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 270, 270-bis e 416-bis del codice penale è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Salvo quanto previsto dal secondo periodo del presente comma, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del presente codice nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, 600-quinquies e, quando non ricorrano le circostanze attenuanti contemplate, 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
  2. Il terzo periodo del comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale è soppresso.
  3. Dopo il comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale è inserito il seguente:
  «3-bis. Nel disporre la custodia cautelare in carcere il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all'articolo 275-bis, comma 1».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 4 DELLA PROPOSTA DI LEGGE

ART. 4.

  Al comma 1, premettere il seguente:
  01. All'articolo 275, comma 2-bis, del codice di procedura penale il secondo e il terzo periodo sono soppressi.
4. 101. Ferraresi, Sarti, Agostinelli, Bonafede, Colletti, Businarolo, Turco.

  Al comma 1, sostituire le parole: e 416-bis del codice penale con le seguenti: 416-bis, 416-ter, 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, 600-quinquies, e, quando non ricorrano le circostanze attenuanti contemplate, 609-bis, 609-quater, 609-octies, 624-bis e 628 del codice penale, nonché ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del presente codice.

  Conseguentemente, al medesimo comma, sopprimere le parole da: Salvo quanto previsto fino alla fine del comma.
4. 10. Molteni, Caparini.

  Al comma 1, sostituire le parole: e 416-bis con le seguenti: 416-bis, 416-ter e 600-bis, primo comma,.

  Conseguentemente, al medesimo comma, sopprimere le parole:, 600-bis, primo comma.
4. 16. Molteni, Caparini.

  Al comma 1, sostituire le parole: e 416-bis con le seguenti: 416-bis, 416-ter e 600-ter, escluso il quarto comma,.

  Conseguentemente, al medesimo comma, sopprimere le parole:, 600-ter, escluso il quarto comma.
4. 17. Molteni, Caparini.

  Al comma 1, sostituire le parole: e 416-bis con le seguenti: 416-bis, 416-ter e 600-quinquies.

  Conseguentemente, al medesimo comma, sopprimere la parola:, 600-quinquies.
4. 18. Molteni, Caparini.

  Al comma 1, sostituire le parole: e 416-bis con le seguenti: 416-bis, 416-ter e 609-bis.

  Conseguentemente, al medesimo comma, sopprimere la parola:, 609-bis.
4. 25. Molteni, Caparini.

  Al comma 1, sostituire le parole: e 416-bis con le seguenti: 416-bis, 416-ter e, quando non ricorrano le circostanze attenuanti contemplate, 609-quater.

  Conseguentemente, al medesimo comma, sostituire le parole da: e, quando non ricorrano fino a: 609-octies con le seguenti: e, quando non ricorrano le circostanze attenuanti contemplate, 609-bis e 609-octies.
4. 14.(Versione corretta) Molteni, Caparini.

  Al comma 1, sostituire le parole: e 416-bis con le seguenti: 416-bis, 416-ter e, quando non ricorrono le circostanze attenuanti contemplate, 609-octies.

  Conseguentemente, al medesimo comma, sostituire le parole da: e, quando non ricorrano fino a: 609-octies con le seguenti: e, quando non ricorrano le circostanze attenuanti contemplate, 609-bis e 609-quater.
4. 15.(Versione corretta) Molteni, Caparini.