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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Venerdì 21 novembre 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 21 novembre 2014.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Baretta, Bellanova, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carbone, Casero, Castiglione, Cecconi, Antimo Cesaro, Cicchitto, Colonnese, Cominelli, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Antonio Martino, Merlo, Meta, Morassut, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Piras, Pisicchio, Pistelli, Portas, Quartapelle Procopio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Valeria Valente, Valentini, Vargiu, Velo, Vignali, Vignaroli, Vito, Zanetti, Zaratti, Zolezzi.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Baretta, Bellanova, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Cecconi, Antimo Cesaro, Cicchitto, Colonnese, Cominelli, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Ferranti, Fico, Fioroni, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Martella, Antonio Martino, Merlo, Meta, Morassut, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Piras, Pisicchio, Pistelli, Portas, Quartapelle Procopio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Valeria Valente, Valentini, Vargiu, Velo, Vignali, Vignaroli, Vito, Zanetti, Zaratti, Zolezzi.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 20 novembre 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   TENTORI: «Modifica all'articolo 185 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, concernente l'esclusione degli scarti vegetali dall'ambito di applicazione delle norme in materia di gestione dei rifiuti» (2734);
   FABBRI: «Disposizioni per il controllo sulla tutela dell'ambiente, della salute e della sicurezza pubblica nei poligoni di tiro a segno ad uso pubblico e privato» (2735);
   MUCCI e LIUZZI: «Modifiche all'articolo 78 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, in materia di modifica delle caratteristiche costruttive, di omologazione e di accertamento dei requisiti di idoneità alla circolazione dei veicoli a motore» (2736);
   BINDI ed altri: «Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e all'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12. Delega al Governo in materia di misure per il sostegno in favore delle imprese sequestrate e confiscate sottoposte ad amministrazione giudiziaria e dei lavoratori da esse dipendenti, nonché di organizzazione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata» (2737).

  Saranno stampate e distribuite.

Trasmissione dal Senato.

  In data 20 novembre 2014 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza la seguente proposta di legge:
   S. 1070. – Senatori BUEMI ed altri: «Disciplina della responsabilità civile dei magistrati» (approvata dal Senato) (2738).

  Sarà stampata e distribuita.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   III Commissione (Affari esteri):

  «Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2006» (2674) Parere delle Commissioni I, II, IV, V e XII.
   X Commissione (Attività produttive):

  BARGERO ed altri: «Disposizioni per la promozione dell'imprenditoria giovanile e della ricerca universitaria attraverso lo sviluppo di società per l'utilizzazione industriale dei risultati di essa (spin-off universitari)» (2677) Parere delle Commissioni I, II, III, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, IX, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
   XI Commissione (Lavoro):

  RIZZETTO ed altri: «Abrogazione della legge 11 giugno 1974, n. 252, recante regolarizzazione della posizione assicurativa dei dipendenti dei partiti politici, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di tutela e rappresentanza della cooperazione» (2685) Parere delle Commissioni I e V.

Trasmissione dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.

  La Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, con lettera in data 20 novembre 2014, ha inviato – ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera o) della legge 19 luglio 2013, n. 87, – la relazione sulle disposizioni per una revisione organica del codice antimafia di cui al decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 159.
  Il predetto documento sarà stampato e distribuito (Doc. XXIII, n. 5).

Trasmissioni dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 18 novembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Autorità portuale di La Spezia, per l'esercizio 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 196).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 18 novembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Autorità portuale di Gioia Tauro, per l'esercizio 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 197).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 18 novembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente nazionale di previdenza per gli addetti e per gli impiegati in agricoltura (ENPAIA), per gli esercizi 2012 e 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 198).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 1428 – DELEGHE AL GOVERNO IN MATERIA DI RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI, DEI SERVIZI PER IL LAVORO E DELLE POLITICHE ATTIVE, NONCHÉ IN MATERIA DI RIORDINO DELLA DISCIPLINA DEI RAPPORTI DI LAVORO E DELL'ATTIVITÀ ISPETTIVA E DI TUTELA E CONCILIAZIONE DELLE ESIGENZE DI CURA, DI VITA E DI LAVORO (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 2660-A)

A.C. 2660-A – Questioni pregiudiziali

QUESTIONI PREGIUDIZIALI DI COSTITUZIONALITÀ

  La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 76 della Costituzione recita che «L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti»;
    il predetto articolo costituzionale, quindi, richiede che la delega della funzione legislativa avvenga per oggetti bene specificati e con criteri circoscritti e determinati, cui il Governo deve attenersi rigorosamente nell'emanazione dei decreti delegati;
    di contro, il disegno di legge delega in oggetto reca un'opulenza di deleghe a carattere generico e prive del requisito di definitezza dell'oggetto, con l'elencazione di principi e criteri talmente generici ed imprecisati da prefigurare una sorta di delega in bianco, in palese violazione con il predetto articolo 76 della Costituzione;
    oltre che un'incostituzionalità del disegno di legge sotto il profilo generale, si profila, con riguardo al contenuto, una violazione costituzionale dell'articolo 3, primo comma, in termini di pari dignità sociale ed uguaglianza dinanzi alla legge e secondo comma, nel «compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, (...), impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» nell'articolo 1, comma 2, del provvedimento all'esame, ipotizzando una estensione del campo di applicazione dell'ASpI ai soli lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, tralasciando le altre figure di lavoratori atipici ossia precari ovvero parasubordinati;
    parimenti, si ravvisa una violazione sempre del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione alla lettera c) del comma 7 dell'articolo 1, laddove si prevede per le nuove assunzioni l'applicazione del cosiddetto «contratto a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio», che di fatto può realizzare una forte discriminazione tra lavoratori, nonché alla successiva lettera f) del medesimo comma 7, che limita l'applicabilità dell'eventuale compenso orario minimo ai soli rapporti di lavoro avente ad oggetto una prestazione di carattere subordinato ovvero di collaborazione coordinata e continuativa, escludendo – ancora una volta – le altre tipologie contrattuali vigenti;
    si ritiene, altresì, in contrasto con la potestà legislativa spettante alle Regioni ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, la revisione dei servizi per l'impiego di cui al comma 3 dell'articolo 1 del provvedimento in esame; inoltre la lettera c) del comma 4 prevede l'istituzione di un'Agenzia nazionale per il lavoro partecipata da Stato, regioni e province autonome, ove far confluire personale o uffici – anche territoriali – soppressi o riorganizzati, il tutto senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con ciò vincolando indirettamente le risorse finanziarie degli enti territoriali, in violazione dell'autonomia finanziaria loro riconosciuta dall'articolo 119 della Costituzione;
    tutto ciò premesso, restando forti le riserve di carattere incostituzionale del disegno di legge n. 2660,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 2660-A.
N. 1. Prataviera, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti.

  La Camera,
   premesso che:
    il Jobs Act nella sua costruzione e nei suoi contenuti non tiene conto dei principi e delle norme della Costituzione. È un testo squilibrato e incostituzionale perché contiene una disciplina inutilmente dettagliata di argomenti minori, come permessi parentali e funzionamento dei Centri per l'impiego, ma lascia totale mano libera all'esecutivo sui temi essenziali del precariato, delle garanzie nel rapporto di lavoro e degli ammortizzatori sociali. La sua ipocrisia profonda è quella di mettere l'uno vicino all'altro criteri direttivi per gli argomenti di minore importanza e invece dei meri titoli per quelli davvero decisivi onde consentire poi al Governo di legiferare a suo avviso. Questo modo di procedere è stato già stigmatizzato dalla Corte costituzionale e porta a prevedere un'impugnazione sistematica dei decreti emanati non già sulla base di criteri direttivi, ma con riferimenti a un semplice «titolo»;
    l'articolo 76 della Costituzione prevede che il Parlamento possa delegare il Governo ad emanare atti aventi forza di legge ordinaria esclusivamente sulla base e con l'osservanza puntuale di «principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti». La delega deve contenere quindi criteri molto stringenti e dettagliati, definiti e approvati dal Parlamento, cui il Governo deve attenersi rigorosamente;
    in una legge-delega, la mancanza di principi e criteri direttivi comporta che il libero apprezzamento del Governo diventi la voluntas legis che determina il contenuto dei decreti delegati, ma anche le scelte politiche di fondo e l'individuazione degli obiettivi. Tale possibilità è stata giudicata incostituzionale dalla Sentenza della Corte Costituzionale 8 ottobre 2007, n. 340, secondo cui «il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio o criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega»;
    la proposta di legge in oggetto, ridenominata Jobs Act, disattende completamente il terzo comma dell'articolo 81 della Costituzione, che recita «ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte». Contrariamente alle astratte affermazioni contenute al comma 12 («dall'attuazione delle deleghe recate dalla presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica») la proposta di legge recherà oneri di particolare rilievo, considerando gli ambiti che intende riformare, in particolare gli ammortizzatori sociali, le politiche attive del lavoro e la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro. Il Governo è consapevole dell'onerosità del provvedimento, infatti, nei commi 11 e 12 stabilisce che gli schemi dei decreti legislativi siano corredati di relazione tecnica che dia conto dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura; al contempo prevede qualora uno o più decreti attuativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente o contestualmente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi, ivi compresa la legge di stabilità, che stanzino le occorrenti risorse finanziarie, in conformità a quanto previsto dall'articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Tale ultima disposizione legislativa ha previsto che un decreto legislativo non venga adottato fino a quando un atto avente forza di legge non disponga la copertura degli oneri da esso derivanti. Tuttavia tale norma non è stata introdotta al fine di trasferire dal Legislatore all'esecutivo la potestà di stabilire le spese dello Stato, cosa che accadrebbe se in maniera sistematica e totale, come avviene nel Jobs Act, la scelta sugli oneri di un provvedimento fosse trasferita ex ante al legislatore delegato e richiedesse solo ex post un intervento di ratifica del legislatore. Il provvedimento in esame altera le competenze attribuite dalla Costituzione all'esecutivo e sottrae centralità democratica e decisionale al Parlamento. Con linguaggio approssimativo si può affermare che non prevedere oneri nella legge delega o rimettere la loro determinazione in capo all'esecutivo in un secondo momento, costituisce una sorta di delega in bianco che non è possibile nel nostro ordinamento costituzionale;
    gli aspetti precedentemente analizzati sono aggravati nella loro incostituzionalità dal meccanismo di esame degli schemi di decreto legislativo: questi sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi siano espressi, entro trenta giorni dalla data di trasmissione, i pareri delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari. Decorso tale termine, i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Nel caso di espressione di parere, invece, questo non è vincolante per il Governo;
    se si sostenesse che realmente il Jobs Act non comporterà nuovi oneri e spese a carico del bilancio dello Stato o che essi possono considerarsi irrilevanti, si dovrebbe prendere atto della sostanziale impossibilità di realizzare il programma di riforme e interventi fissati, in particolare, nei commi da 1 a 4 e 8 e 9 (ammortizzatori sociali, politiche attive del lavoro e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro). Se così fosse, l'approvazione del Jobs Act risulterebbe certamente inutile, gravemente dannosa e un inutile dispendio di risorse per i costi dell’iter legislativo e per i ritardi che determina rispetto all'approvazione di una riforma seria e efficace che preveda le coperture necessarie;
    l'approvazione del Jobs Act crea duplicazioni legislative e possibili problemi di rapporti tra le fonti, perché al suo interno contiene delle deleghe che dispongono di intervenire in materie in cui la fonte primaria ha già dettato la disciplina. Per fare solo alcuni esempi relativi al comma 6:
     1) la lettera c) stabilisce che siano «unificate le comunicazioni alle pubbliche amministrazioni per i medesimi eventi e l'obbligo delle stesse amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti». Tuttavia il Codice dell'amministrazione digitale (CAD) già prevede l'obbligo per le PA di garantire l'accesso alla consultazione, la circolazione e lo scambio di dati e informazioni, nonché l'interoperabilità dei sistemi e l'integrazione dei processi di servizio fra le diverse amministrazioni nel rispetto delle regole tecniche stabilite con regolamento (articolo 12, comma 5, del decreto legislativo n. 82 del 2005). Il Capo V del CAD disciplina in modo dettagliato le modalità di condivisione e fruibilità dei dati delle P.A. In particolare l'articolo 58 (come recentemente modificato dall'articolo 24-quinquies, comma 1, del decreto-legge n. 90 del 2014) specifica che le pubbliche amministrazioni sono tenute a mettere a disposizione a titolo gratuito gli accessi alle proprie basi di dati alle altre amministrazioni mediante la cooperazione. Gli standard di comunicazione e le regole tecniche a cui le pubbliche amministrazioni devono conformarsi dovranno essere definite dall'Agenzia per l'Italia digitale, sentiti il Garante per la protezione dei dati personali e le amministrazioni interessate alla comunicazione telematica. È stato così superato il precedente sistema di scambio dei dati fondato su apposite convenzioni predisposte sulla base delle linee guida redatte dall'Agenzia per l'Italia Digitale, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. Dette linee guida sono state adottate dall'Agenzia per l'Italia Digitale con Determinazione Commissariale n. 126 del 24 luglio 2013;
     2) la lettera d) stabilisce il divieto per le pubbliche amministrazioni di richiedere dati dei quali esse siano in possesso. Anche in questo caso, già dal 1990, secondo quanto stabilito dall'articolo 18 della legge n. 241 del 1990 (legge sull'azione amministrativa), il nostro ordinamento prevede che i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento amministrativo, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente o di altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti. Analogamente sono accertati d'ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare. Il principio dell'acquisizione diretta di documenti da parte delle P.A. è ribadito dal Testo unico in materia di documentazione amministrativa, laddove si prevede che le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell'interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato (articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000);
     3) le lettere e) e h) stabiliscono il «rafforzamento» del sistema di trasmissione delle comunicazioni in via telematica e l'abolizione della tenuta di documenti cartacei, nonché «l'individuazione» di modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere, esclusivamente in via telematica, tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro. Non si comprende cosa voglia dire rafforzamento o individuazione di modalità altre, dal momento che a decorrere dal 1o luglio 2013 è previsto che la «presentazione di istanze, dichiarazioni, dati e lo scambio di informazioni e documenti, anche a fini statistici, tra le imprese e le amministrazioni pubbliche» avvengono esclusivamente in via telematica. Per le comunicazioni obbligatorie relative alla costituzione ed alle variazioni dei rapporti di lavoro, la disciplina vigente prevede che tali comunicazioni siano effettuate, esclusivamente in via telematica, al centro per l'impiego competente per territorio e che l'effettuazione delle stesse sia valida ai fini dell'adempimento dell'obbligo di comunicazione all'INAIL (relativo alla costituzione ed alla cessazione del rapporto di lavoro) e ai fini dell'adempimento degli eventuali obblighi di comunicazione (nei confronti delle direzioni regionali e provinciali del lavoro, dell'INPS o di altre forme previdenziali sostitutive o esclusive, della Prefettura-Ufficio territoriale del Governo e delle province); riguardo agli infortuni sul lavoro (che rientrino nelle fattispecie soggette agli obblighi di denuncia all'INAIL ed all'autorità locale di pubblica sicurezza), la denuncia all'INAIL è effettuata, a decorrere dal 1o luglio 2013, esclusivamente in via telematica, mentre l'obbligo di denuncia all'autorità locale di pubblica sicurezza verrà meno a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di attuazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP);
    l'estensione del campo di applicazione dell'ASPI solo ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, non si è un intervento universalistico, come dichiara la premessa alla delega, poiché esclude tutte le tipologie di lavoro precarie, parasubordinate o falsamente autonome, che non hanno alcuna copertura né sostitutiva né integrativa: la copertura parziale quanto a tipologie di contratti o per altri requisiti è in contrasto con principi costituzionali, in particolare con quanto deriva dal combinato disposto degli artt. 3, 4 e 38 della Costituzione;
    l'esecutivo chiede che gli sia affidato di redigere «un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali semplificate». Non si tratta solo di selezionare i tipi di rapporto di lavoro da mantenere e quelli da eliminare, ma anche di ridisciplinare i rapporti salvaguardati, in pratica riscrivendo il Codice Civile, lo Statuto dei lavoratori e la restante normativa speciale lavoristica. In tal modo, è lasciata al solo Governo la decisione su aspetti dirimenti sul piano politico e sociale, come mantenere o abolire le tutele dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori contro i licenziamenti arbitrari; mantenere, abolire o modificare le norme in tema di mansioni e di controlli a distanza, senza che il Parlamento possa interferire su queste abnormi «deleghe in bianco»: appare così ancora più evidente la violazione dell'articolo 76 della Costituzione circa le caratteristiche della delega, così come anche l'espropriazione del potere legislativo del Parlamento;
    la Costituzione non è uno spettatore neutrale delle dinamiche del mercato, ma il motore che impone di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l'uguaglianza (articolo 3), di promuovere e rendere effettivo il diritto al lavoro (articolo 4), di garantire una giusta retribuzione, sufficiente per un'esistenza libera e dignitosa (articolo 36), di tutelare il lavoro femminile e la maternità (articolo 37), di sostenere le condizioni di vita e assicurare il reddito dei lavoratori in caso di malattia, vecchiaia o disoccupazione (articolo 38), di confrontarsi con rappresentanze sindacali libere basate sulla partecipazione democratica dei lavoratori (articolo 39), di rispettare il diritto di sciopero (articolo 40), di espropriare aziende e darle in autogestione a «comunità di lavoratori», nel caso ciò sia nell'interesse generale (articolo 43),

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 2660-A.
N. 2. Scotto, Airaudo, Placido, Fratoianni, Sannicandro, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Quaranta, Ricciatti, Zaccagnini, Zaratti.

  La Camera,
   premesso che:
    sotto il profilo generale si rileva una sostanziale indeterminatezza dei principi e dei criteri direttivi di delega legislativa recati dal provvedimento in esame, oltreché una notevole vaghezza degli ambiti oggettivi della delega medesima, determinando – nei fatti – una violazione dell'articolo 76 della Costituzione. Parimenti lesa, sotto il profilo generale, appare la ripartizione di competenze legislative tra lo Stato e le Regioni. Tali problematiche di ordine generale sono particolarmente gravi con riferimento a specifici articoli del disegno di legge approvato dalla Commissione referente;
    in base all'articolo 76 della Costituzione «l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti». Si tratta di vincoli che intendono porre limiti elastici, ma sostanziali ed imprescindibili all'esercizio della funzione legislativa da parte del Governo, tanto più laddove sia il Governo stesso ad auto-attribuirsi le deleghe mediante la presentazione di disegni di legge di iniziativa governativa;
    l'assai consistente – sotto il profilo qualitativo e quantitativo – trasferimento del potere legislativo dal Parlamento al Governo, già da troppo tempo aggravato dalla proliferazione del ricorso alla decretazione d'urgenza, si sostanzia nel conferimento di deleghe generiche che non rispettano i criteri puntuali di cui all'articolo 76 della Costituzione. Esso finisce col determinare uno svuotamento del potere normativo spettante al Parlamento, sebbene formalmente sia il Parlamento stesso a trasferirne la potestà. Il fenomeno si verifica anche, come nel caso di specie, mediante la presentazione di significativi emendamenti di iniziativa governativa attraverso i quali l'Esecutivo si conferisce, con formulazioni estremamente stringate – e quindi suscettibili di interpretazioni del tutto discrezionali estensive – ampie deleghe in ambiti assai delicati, sui quali spesso il Parlamento già lavora da tempo. Un caso analogo e preoccupante, in quanto riguarda la materia della corruzione, è rinvenibile nel disegno di legge delega – anch'esso di iniziativa legislativa – riguardante la riorganizzazione della pubblica amministrazione, attualmente in discussione in Senato;
    nell'Atto Camera in esame, il conferimento delle deleghe viene accompagnato dalla «minaccia» mediatica, neppur troppo larvata, di ricorrere allo strumento della decretazione d'urgenza se il testo voluto dal Governo non fosse sollecitamente approvato dalle Camere entro termini temporali rigidi e prefissati dal Governo stesso. In tal modo l'erosione della funzione legislativa parlamentare si realizza nel Parlamento mediante la determinazione generica di principi e criteri direttivi e l'indicazione vaga dell'oggetto delle deleghe, rimettendo così al Governo stesso, che dovrebbe essere fedele esecutore della legge approvata dalle Camere, il compito essenziale di dare contenuto e limiti alla delega legislativa nei tempi e nei modi che riterrà di adottare. Ciò in quanto il mero potere consultivo delle Camere sui decreti legislativi delegati non ha modo di esplicarsi adeguatamente in presenza di deleghe ampie e generiche. Solo a distanza di anni, a danno legislativo compiuto, potrebbe la Corte Costituzionale rilevare l'eccesso di delega, come nel caso della recente sentenza sulla normativa sanzionatoria in materia di stupefacenti. Appare pertanto irrinunciabile, anche cogliendo l'occasione dell'esame di questioni pregiudiziali, un attento esame delle disposizioni che ci si accinge ad adottare, tanto più in presenza di materie delicate che riguardano la vita di milioni di persone, garantendo l'efficacia e la correttezza qualitativa e procedurale delle disposizioni legislative. Solo il puntuale rispetto del modello costituzionale può evitare i rischi insiti nei tanti punti critici nell'evoluzione del sistema delle fonti, in direzione di uno sbilanciamento dei poteri verso il Governo;
    con il disegno di legge in esame il Governo chiede al Parlamento di conferirgli la funzione legislativa in un numero rilevante di ambiti, tutti di portata e rilevanza estreme;
    i commi 1 e 2 dell'articolo 1, infatti, recano una delega al Governo in materia di ammortizzatori sociali, i commi 3 e 4 una delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e politiche attive con ben 23 specificazioni riferite all'ambito in cui esercitare tale funzione delegata – con evidente confusione tra principi e criteri direttivi, i commi 5 e 6 una delega al Governo in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti, il comma 7 una delega al Governo in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro, delle forme contrattuali e dell'attività ispettiva, i commi 8 e 9 una delega al Governo per la tutela e la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro. Tutte queste deleghe dovrebbero essere esercitate dal Governo entro sei mesi dall'approvazione della legge in esame; a tale ampio margine temporale si aggiungerebbero i dodici mesi che il Governo stesso si riserva per l'approvazione di disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse;
    le scadenze temporali in questione – in sostanza almeno un anno e mezzo dalla legge delega – sarebbero di per sé tali da inficiare la pretesa del Governo di intervenire subito con decreto-legge ove le Camere non si affrettassero a conferire rapidamente all'Esecutivo la funzione legislativa su un tale ampio ventaglio di questioni, sostanzialmente privandosi per tutto il periodo predetto della possibilità di intervenire efficacemente su tempi rimessi all'azione del Governo;
    ciò tuttavia non impedisce al Governo medesimo di intervenire parallelamente, mediante altro decreto-legge, recentemente convertito in legge (n. 132 del 2014), sull'applicabilità dell'istituto della negoziazione assistita in materia di lavoro al fine di degiurisdizionalizzare anche tali vertenze;
    alla luce di quanto esposto, assai rilevanti si configurano le criticità di ordine costituzionale recate soprattutto dal comma 7, sia con riferimento all'indeterminatezza della delega conferita al Governo, che all'effetto lesivo che essa, se interpretata – rectius esercitata – estensivamente, potrebbe arrecare a numerosi diritti oggetto di tutela costituzionale;
    va preliminarmente rilevato, infatti, che la Carta costituzionale – laddove parla, significativamente nell'ambito dei «principi supremi», di una Repubblica «fondata sul lavoro» – va ben oltre un mero assunto simbolico nel porre, concretamente, il lavoro quale fondamento della dignità e della libertà della persona. Da tale base derivano tutti gli altri articoli che direttamente o indirettamente riguardano la tutela del lavoro e del lavoratore;
    le modifiche apportate al comma 7, lettera c) – in particolare laddove si fa riferimento alla previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio – ben possono configurare, alla luce dei rilievi già ampiamente esposti in sede consultiva – una lesione dell'articolo 3, comma secondo, della Costituzione, in base al quale la Repubblica deve rimuovere «gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Si configura altresì una lesione dell'articolo 4, in base al quale «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto», nonché dell'articolo 35, ai sensi del quale «La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni»;
    in virtù dell'ampiezza dell'oggetto, della genericità dei principi e dei criteri direttivi della lettera c) del comma 7 dell'articolo 1 – che ammette la possibilità di un livello minore di tutela per i neo assunti – unitamente alla «flessibilizzazione» del termine di esercizio derivante dalla ulteriore delega correttiva recata dai commi 10 e 11 – ne può derivare una violazione, per i soggetti interessati dal progetto di modifica delle tutele, degli articoli 36 e 37 (in materia retributiva), 38 (tutela previdenziale e sicurezza sociale), 39 e 40 (contratto collettivo e diritti sindacali). Pertanto la disposizione in oggetto è suscettibile, sia nella discrezionalità della delega conferita, che nella sua applicazione concreta una volta eventualmente approvata, di porsi in contrasto con il principio di ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione) e con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (articolo 24 della Costituzione), rischiando di privare taluni lavoratori di strumenti di tutela attualmente riconosciuti;
    il comma 7, lettera d), nell'ambito della disciplina delle mansioni ed in assenza, nei criteri di delega, di garanzie di invarianza retributiva, rischia di affievolire, notevolmente, le disposizioni di cui all'articolo 36, primo comma, della Costituzione, secondo cui «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa»;
    in relazione, inoltre, al comma 7, lettera e), riferito alla disciplina dei controlli a distanza, pare assai preoccupante una sua «revisione», preso atto che le norme contenute nello Statuto dei lavoratori già perseguono l'obiettivo di tutelare la libertà e la dignità del lavoratore e, a tal fine, introducono una serie di limiti all'esercizio del potere direttivo, del potere disciplinare e, dunque, anche del potere di controllo del datore di lavoro, senza mutare la struttura formale di tali poteri e con essa il relativo assetto normativo, così come delineato dal codice civile (articoli 2086-2106). La disposizione va letta in relazione alla successiva lettera i) laddove si parla di una «razionalizzazione e semplificazione dell'attività ispettiva»;
    già in sede consultiva al Senato erano stati sollevati rilievi in ordine ad altre disposizioni recate dal disegno di legge. In particolare, ai commi 3 e 4, si rileva che la materia «servizi e politiche attive per il lavoro» è riconducibile alla competenza legislativa generale delle Regioni, ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, della Costituzione. La legge statale può considerarsi legittima in quanto la disciplina possa essere riconducibile alla materia «tutela del lavoro», attribuita, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, alla legislazione concorrente e si limiti, pertanto, alla previsione di norme generali e di principio;
    in riferimento al medesimo comma 4, si segnala che alla lettera a) non appaiono chiari i contenuti del criterio direttivo ivi previsto, soprattutto in riferimento all'espressione «caratteristiche osservabili». Alla lettera c) del medesimo comma la norma di delega, nell'istituire l'Agenzia nazionale per l'occupazione, con la partecipazione di Stato, Regioni e Province autonome, ne prevede il funzionamento mediante una clausola di invarianza di spesa, in tal modo indirettamente vincolando le risorse proprie delle Regioni, in violazione dell'autonomia finanziaria e organizzativa ad esse riconosciuta, ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione. Alla lettera e) risulta evidente una mancanza di coordinamento tra il criterio direttivo ivi previsto e quello di cui alla lettera u), sempre con riferimento alle competenze in materia di politiche attive del lavoro. Peraltro il criterio di razionalizzazione di enti e uffici, volto ad assicurare l'invarianza di spesa, agisce in modo diretto sull'organizzazione amministrativa delle Regioni, così incidendo sull'autonomia ad esse riconosciuta in materia. Il generico sistema di razionalizzazione degli uffici, così come definito dalle norme di delega, può altresì determinare soppressioni e riorganizzazioni di amministrazioni o uffici regionali, con l'effetto di incidere direttamente sulle posizioni lavorative del personale degli uffici medesimi;
    ai commi 8 e 9, la formulazione del principio in esame non indica con chiarezza le ulteriori categorie di donne lavoratrici a cui si fa riferimento. Con riferimento alla lettera b) del comma 9, in violazione del principio di uguaglianza, il principio di automaticità ivi previsto, in relazione al diritto alla prestazione assistenziale, non prevede un'estensione anche ai casi in cui spetti l'indennità di paternità al lavoratore parasubordinato;
    constatata, dunque, la violazione degli articoli 1, 24, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 76, 117 e 119 della Costituzione repubblicana,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 2660-A.
N. 3. Tripiedi, Cominardi, Ciprini, Chimienti, Baldassarre, Rizzetto, Rostellato, Bechis.

  La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge delega, approvato in prima lettura dal Senato, si compone di un unico articolo e contiene cinque deleghe al Governo per intervenire su varie materie nel settore del diritto al lavoro;
    il disegno di legge delega in oggetto appare lacunoso ed incerto, disomogeneo e approssimativo, una sorta di «delega in bianco» in stridente contrasto con le norme costituzionali che richiedono di legiferare mediante delega avente criteri certi e ragguagliati, nella cornice definita dal Parlamento, a cui il Governo non può che attenersi in maniera dettagliata;
    nel testo, come sarà meglio precisato più avanti, continua a non esservi traccia né dei principi, né dei criteri direttivi, né della definizione dell'oggetto come disposto dall'articolo 76 della Costituzione in materia di funzione legislativa delegata. Resta aperta, pertanto, non solo a sanzione di incostituzionalità ma anche ad ogni possibile soluzione al momento della decretazione attuativa;
    del resto lo stesso Servizio Studi della Camera nelle schede di lettura dell'AC 2660 ha voluto far notare, con riferimento al comma 7, quante segue: «Si fa preliminarmente presente che i principi e criteri direttivi di cui alle lettere a) e c) non paiono definiti in termini puntuali, lasciando ampia discrezionalità al Governo ai fini della loro traduzione normativa nei decreti delegati. Per quanto concerne la lettera a) i principi e criteri della delega non forniscono espresse indicazioni, né in ordine alle forme contrattuali sulle quali intervenire, né in relazione agli interventi di riordino da operare su ciascuna di esse; sulla base di una interpretazione sistematica, l'unico limite sembrerebbe derivare dal richiamo, all'interno del disegno di legge, ad interventi di regolamentazione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa e del lavoro accessorio, ciò da cui può desumersi la volontà del legislatore di non addivenire, comunque, ad un integrale “superamento” di tali forme contrattuali. Per quanto concerne la lettera c), non appare chiaro se la norma prefiguri l'introduzione di una nuova tipologia contrattuale (o, invece, la modifica delle tutele previste dalla normativa vigente per l'attuale contratto a tempo indeterminato, sebbene in relazione alle sole nuove assunzioni); né è precisato in modo espresso il contenuto delle “tutele crescenti”, anche con riferimento alla loro natura obbligatoria o reale»;
    il provvedimento appare lacunoso e incerto fin dall'individuazione della portata della delega nelle sue titolazioni, non essendo chiaro e specificato se oggetto della delega sia un riordino della normativa vigente o una sua riforma. Solo a titolo esemplificativo, per le deleghe riguardanti gli ammortizzatori sociali e i servizi per il lavoro il titolo dell'atto parla di riforma, invece il corpo del testo parla di riordino (comma 1 e comma 3); per la delega riguardante i rapporti di lavoro e l'igiene e sicurezza sul lavoro e per la delega riguardante il testo unico delle forme contrattuali e dei rapporti di lavoro, il titolo dell'atto parla di riordino «della disciplina dei rapporti di lavoro» mentre i princìpi e criteri direttivi enumerati, rispettivamente, al comma 6 e al comma 7 appaiono, in generale, finalizzati ad autorizzare il Governo a innovare il diritto vigente; ed ancora: per la delega riguardante la maternità e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, il titolo dell'atto parla di riordino, mentre il testo parla di «revisione ed aggiornamento delle misure» (comma 8). A tal fine, si ricorda che nella giurisprudenza costituzionale concernente i decreti legislativi la nozione di riordino, cui si accompagnano spesso, a ulteriore chiarimento, i concetti di armonizzazione o coordinamento e, in casi particolari, di ricognizione o riesame, è generalmente distinta da quella di innovazione;
    oltre alla lacunosità e all'incertezza del testo delle deleghe fin dalla loro titolazione, è lampante quanto i principi e di criteri direttivi siano formulati con espressioni che fanno riferimento a mere eventualità o a opzioni alternative selezionabili dal Governo delegato, in palese contrasto con quanto prevede l'articolo 76 della Costituzione, nella parte in cui recita che «l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti»;
    al riguardo, in un obiter dictum la Corte costituzionale ha rilevato che: «il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio od a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega» (sentenze n. 68 del 1991 e n. 340 del 2007). Ciò invece risulta di tutta evidenza al comma 2, lettera b), numero 5), ove si utilizza la locuzione «eventuale introduzione, dopo la fruizione dell'ASpI, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa». In sostanza, si direbbe che il legislatore neghi a se stesso la possibilità di dare attuazione a quelle norme per le quali chiede al Parlamento di riconoscergli il potere di legislazione delegata. E tale violazione costituzionale si ravvisa anche, segnatamente: al comma 4, lettera h) ove genericamente si afferma la «possibilità di far confluire, in via prioritaria, nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell'Agenzia il personale ...»); ancora, al comma 7, lettera a), il quale prevede che il Governo analizzi le varie forme contrattuali «in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali», lettera f) «introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo...» e lettera i) «razionalizzazione e semplificazione dell'attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l'istituzione [...] di una Agenzia unica ...»; al già citato comma 9, lettera a) «nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione» e lettera e) «eventuale riconoscimento ... della possibilità di cessione ... di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi...»;
    i principi e criteri direttivi non chiariscono inoltre l'effettiva portata della delega, in contrasto con quanto statuito dalla Costituzione, in quanto fanno riferimento ad attività di tipo ricognitivo-analitico accompagnate da finalità di carattere generico, potenziale o eventuale. Ciò avviene, in particolare, al comma 7, lettera a): «individuare e analizzare tutte le forme contrattuali al fine di poterne valutare la coerenza [...] in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali» e al già citato comma 9, lettera a): «ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell'indennità di maternità, nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici»;
    per consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, una disposizione «che delega il Governo a operare un “riesame” della disciplina, in mancanza di principi e criteri direttivi che giustifichino la riforma, deve essere intesa in un senso minimale, tale da non consentire, di per sé, l'adozione di norme delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente o, se del caso, richieste dal coordinamento con nuove norme apprestate dal legislatore delegato» (sentenza n. 354 del 1998);
    come se non bastasse, alcuni ulteriori principi e criteri direttivi appaiono ripetitivi e talvolta addirittura inutili: sempre a titolo esemplificativo, al comma 6, le lettere c) e d) prevedono per le pubbliche amministrazioni l'obbligo di trasmettere le comunicazioni alle amministrazioni competenti e l'introduzione del divieto di richiedere dati dei quali esse sono in possesso: ciò non è altro che una mera ripetizione di quanto già è vigente nel nostro ordinamento, senza dunque contribuire a fornire indirizzi al Governo nell'attuazione della delega;
    il testo è poi estremamente labile ed in palese contrasto con l'articolo 76 della Costituzione nella parte in cui il dettato costituzionale richiede la certezza, oltre che dei criteri direttivi, anche delle tempistiche attuative le procedure di delega. Scavallando completamente i principi costituzionali che chiedono una individuazione univoca dei termini per l'esercizio della delega principale e di quelle integrative e correttive, si sposa inopinatamente la così detta «tecnica dello scorrimento» ed in una babele di date, il provvedimento riporta le seguenti dicotomie: i commi 1, 3, 5, 7 e 8 prevedono che i decreti legislativi vengano adottati entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge; il comma 13 fissa il termine di dodici mesi per l'adozione di eventuali decreti integrativi e correttivi; il comma 11 dispone l'espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari e che il termine per l'esercizio della delega possa essere prolungato di tre mesi qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari »scada nei trenta giorni che precedono o seguono la scadenza dei termini previsti ai commi 1, 3, 5, 7 e 8 ovvero al comma 13»;
    il testo del disegno di legge è inoltre in contrasto con quanto disposto dall'articolo 117, quarto comma della Costituzione, nella parte in cui si pone in palese contrasto con la potestà legislativa delle Regioni, prevedendo l'istituzione dell'Agenzia Nazionale per il lavoro che coinvolga Stato, regioni ed enti locali, ma senza oneri a carico della finanza pubblica: di fatto dunque costringe gli enti territoriali a vincolare proprie risorse in palese contrasto con l'autonomia finanziaria riconosciuta agli enti territoriali dalla citata norma costituzionale;
    si rileva, infine, che lo stesso comportamento del Governo ha impedito di poter salvare dalla censura costituzionale quelle parti del provvedimento che non avrebbero posto problemi di costituzionalità: l'aver ricorso, in Senato, all'apposizione della questione di fiducia ha infatti palesemente alterato il procedimento legislativo che richiede l'approvazione dei disegni di legge articolo per articolo e con votazione finale (ex articolo 72 della Costituzione) a causa dell'accorpamento in un unico articolo di una materia, quale il diritto del lavoro, che costituisce una delle manifestazioni più significative ed importanti dello Stato democratico e che trova nella Carta costituzionale la sua espressione fondamentale a base dell'ordinamento nazionale (articolo 1 della Costituzione);
   infine, ed incidentalmente ai rilievi di costituzionalità, si ricorda che l'accorpamento delle deleghe in un solo articolo, per effetto delle modificazioni introdotte al Senato, è in contrasto con la circolare a firma congiunta dei Presidenti della Camera e del Senato del 20 aprile 2001, sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, che prevede fra l'altro che «Un articolo non può contenere più di una disposizione di delega» (punto 2, lettera d)),
   tanto ciò premesso,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 2660-A.
N. 4. Brunetta, Calabria, Polverini.