Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 17 giugno 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 17 giugno 2014.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Baldelli, Balduzzi, Baretta, Bellanova, Berlinghieri, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Brescia, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Causin, Censore, Centemero, Chaouki, Cicchitto, Cirielli, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Ferranti, Ferrara, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gasbarra, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Mogherini, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Portas, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Rigoni, Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Schullian, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Tancredi, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Baldelli, Balduzzi, Baretta, Bellanova, Berlinghieri, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Brescia, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Causin, Censore, Centemero, Chaouki, Cicchitto, Cirielli, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Ferranti, Ferrara, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gasbarra, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Mogherini, Orlando, Pannarale, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Portas, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Rigoni, Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Schullian, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Tancredi, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 16 giugno 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   COCCIA: «Disposizioni concernenti l'introduzione di controlli ematici obbligatori a tutela della salute di coloro che praticano attività sportive» (2455);
   VARGIU ed altri: «Disposizioni per l'assistenza delle persone affette da grave disabilità, prive del sostegno familiare» (2456).
  Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di una proposta di inchiesta parlamentare.

  In data 16 giugno 2014 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di inchiesta parlamentare d'iniziativa dei deputati:
   CIPRINI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'attività svolta dalle associazioni denominate Bilderberg, Commissione Trilateral e Gruppo dei trenta in relazione alle scelte economiche e istituzionali dell'Italia e dell'Unione europea nel biennio 2010-2011» (Doc. XXII, n. 29).
  Sarà stampata e distribuita.

Modifica del titolo di una proposta di legge.

  La proposta di legge n. 2284, d'iniziativa dei deputati TERZONI ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Disposizioni e delega al Governo per il sostegno della ripresa demografica ed economica dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti siti in territori montani, in aree interne e marginali del territorio nazionale e nelle isole minori, nonché per il recupero urbanistico e sociale delle aree storiche comprese nei medesimi comuni».

Assegnazione di un progetto di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, il seguente progetto di legge è assegnato, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

  Commissioni riunite V (Bilancio) e VIII (Ambiente):
   TERZONI ed altri: «Disposizioni e delega al Governo per il sostegno della ripresa demografica ed economica dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti siti in territori montani, in aree interne e marginali del territorio nazionale e nelle isole minori, nonché per il recupero urbanistico e sociale delle aree storiche comprese nei medesimi comuni» (2284) Parere delle Commissioni I, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dal Presidente del Senato.

  Il Presidente del Senato, con lettera in data 12 giugno 2014, ha comunicato che la 11a Commissione (Lavoro) del Senato ha approvato, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento del Senato, una risoluzione sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'istituzione di una piattaforma europea per il rafforzamento della cooperazione volta a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso (COM(2014) 221 final) (atto Senato Doc. XVIII, n. 67), che è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissioni dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 9 giugno 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8-ter del Regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui è autorizzato, in relazione a interventi da realizzare tramite contributi assegnati in sede di ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale per l'anno 2007, l'utilizzo delle economie di spesa realizzate dal comune di Cortona per ulteriori lavori di consolidamento e restauro della chiesa di San Francesco in Cortona (Arezzo).
  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 9 giugno 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8-ter del Regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui è autorizzato, in relazione a interventi da realizzare tramite contributi assegnati in sede di ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale per l'anno 2009, l'utilizzo delle economie di spesa realizzate dal comune di Bagnoregio (Viterbo) per ulteriori opere di consolidamento del versante settentrionale di Civita di Bagnoregio.
  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).

Trasmissione dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 11 giugno 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e dell'articolo 13, comma 6, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 novembre 2010, il conto finanziario della Presidenza del Consiglio dei ministri per l'anno 2013, approvato in data 10 giugno 2014.
  Questa documento è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dalla Corte dei conti.

Il presidente della Corte dei conti, con lettera in data 16 giugno 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 17, comma 9, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, la relazione, approvata dalle sezioni riunite in sede di controllo della Corte stessa il 30 maggio 2014, sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relativamente alle leggi pubblicate nel quadrimestre gennaio-aprile 2014 (Doc. XLVIII, n. 6).
  Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dal Ministero dell'interno.

  Il Ministero dell'interno, con lettera in data 9 giugno 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 maggio 1997, n. 135, le relazioni, presentate dal comune e dalla provincia di Napoli e dal comune di Palermo, sui programmi di lavoro e sulle opere pubbliche intrapresi nell'anno 2013 e finanziati con i contributi erariali di cui al medesimo articolo 3, comma 1, relativi a lavori socialmente utili nelle aree napoletane e palermitana.
  Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali), alla V Commissione (Bilancio), alla VII Commissione (Cultura), alla VIII Commissione (Ambiente) e alla XI Commissione (Lavoro).

Trasmissione dal Ministro
della salute.

  Il Ministro della salute, con lettera in data 16 giugno 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8 della legge 14 dicembre 2000, n. 376, la relazione allo stato di attuazione della medesima legge n. 376 del 2000, recante disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping e sull'attività svolta dalla Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, riferita all'anno 2013 (Doc. CXXXV, n. 2).
  Questa relazione è trasmessa alla XII Commissione (Affari sociali).

Trasmissione di delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, in data 17 giugno 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le seguenti delibere CIPE, che sono trasmesse alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura):
   n. 5/2014 del 14 febbraio 2014, concernente «Contratto di filiera tra il Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali e “ASSOAVI”»;
   n. 6/2014 del 14 febbraio 2014, concernente «Contratto di filiera tra il Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali e “ATI filiera gorgonzola DOP”»;
   n. 7/2014 del 14 febbraio 2014, concernente «Contratto di filiera tra il Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali e “Cereali nazionali di qualità”»;
   n. 11/2014 del 14 febbraio 2014, concernente «Contratto di filiera tra il Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali e “Rancho granmanze”».

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 16 giugno 2014, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   documento di lavoro della Commissione sul calcolo, finanziamento, versamento e iscrizione in bilancio della correzione degli squilibri di bilancio a favore del Regno Unito («correzione britannica») in conformità degli articoli 4 e 5 della decisione 2014/xxx/UE, Euratom del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie dell'Unione europea (COM(2014) 271 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
   comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Corte dei conti – Sintesi delle realizzazioni della Commissione in materia di gestione per il 2013 (COM(2014) 342 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
   proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla mobilitazione del Fondo di solidarietà dell'Unione europea (COM(2014) 348 final), che è assegnata in sede primaria alla VIII Commissione (Ambiente);
   proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla mobilitazione dello strumento di flessibilità (COM(2014) 349 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
   relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Evoluzione della situazione del mercato lattiero caseario e funzionamento delle disposizioni del «pacchetto latte» (COM(2014) 354 final), corredata dal relativo allegato (COM(2014) 354 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla XIII Commissione (Agricoltura);
   relazione della Commissione – Relazione di sintesi sulla qualità dell'acqua potabile nell'Unione europea basata sull'esame delle relazioni degli Stati membri per il periodo 2008-2010 a norma della direttiva 98/83/CE (COM(2014) 363 final), che è assegnata in sede primaria alla XII Commissione (Affari sociali).

Richieste di parere parlamentare su proposte di nomina.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 16 giugno 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina del professor Giorgio Alleva a presidente dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) (32).
  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali).

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 16 giugno 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, le richieste di parere parlamentare sulle proposte di nomina del consiglier Michele Corradino (33), del professor Francesco Merloni (34), della professoressa Ida Angela Nicotra (35) e della professoressa Nicoletta Parisi (36) a componenti dell'Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche.
  Queste richieste sono assegnate, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali).

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 16 giugno 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, terzo comma, del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216 e dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina della professoressa Anna Genovese a componente della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) (37).
  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla VI Commissione (Finanze).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 1465 – CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 24 APRILE 2014, N. 66, RECANTE MISURE URGENTI PER LA COMPETITIVITÀ E LA GIUSTIZIA SOCIALE. DELEGHE AL GOVERNO PER IL COMPLETAMENTO DELLA REVISIONE DELLA STRUTTURA DEL BILANCIO DELLO STATO, PER IL RIORDINO DELLA DISCIPLINA PER LA GESTIONE DEL BILANCIO E IL POTENZIAMENTO DELLA FUNZIONE DEL BILANCIO DI CASSA, NONCHÉ PER L'ADOZIONE DI UN TESTO UNICO IN MATERIA DI CONTABILITÀ DI STATO E DI TESORERIA (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 2433)

A.C. 2433 – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    in primo luogo, l'articolo 8 del provvedimento, recante norme in tema di trasparenza e razionalizzazione della spesa pubblica per beni e servizi, al comma 4, quantifica in 700 milioni di euro per il 2014 e in un pari importo in ragione d'anno a decorrere dal 2015 la riduzione strutturale della spesa per acquisto di beni e servizi da parte delle Pubbliche Amministrazioni, cui il Dicastero della difesa concorre, ai sensi del successivo comma 11, per un importo pari a 400 milioni nel 2014, da recuperarsi con la rideterminazione dei programmi di spesa relativi agli investimenti pluriennali per la difesa nazionale;
    quest'ultima disposizione rinvia ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge ad oggi non ancora non emanato, su proposta del Ministero della difesa, previa verifica del Ministero dell'economia e delle finanze e sentito il Ministero dello sviluppo economico, per la rideterminazione delle autorizzazioni di spesa iscritte sullo stato di previsione in modo da assicurare una riduzione in termini di indebitamento netto, e che, nelle more dell'adozione di tale provvedimento, tali risorse, iscritte nello stato di previsione del Ministero della difesa e relative ai programmi di cui all'articolo 536 del Codice dell'ordinamento militare, sono accantonate e rese indisponibili;
    si sottolinea, quindi, l'urgenza che il Governo, nell'obiettivo di garantire piena trasparenza e certezza alle norme contenute nel provvedimento, e anche al fine di attenuare l'impatto degli accantonamenti disposti per l'anno in corso, provveda senza ulteriore ritardo all'adozione dei provvedimenti previsti dal decreto, con particolare riguardo a quelli di cui all'articolo 8, comma 11, avendo previamente acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti;
    con l'entrata in vigore dell'articolo 4 della legge 244 del 31 dicembre del 2012 le variazioni di spesa sui programmi di ammodernamento e riconversione dei sistemi d'arma sono vincolate all'espressione di un parere parlamentare da parte delle commissioni competenti,

impegna il Governo

a sottoporre lo schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri indicato in premessa al parere delle competenti commissioni prima che venga emanato.
9/2433/1Zanin, Carlo Galli, Cova, Giuditta Pini, Bolognesi, Fossati.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 20, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 prevede, in capo alle «società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato», l'obbligo di realizzare «nel biennio 2014-2015, una riduzione dei costi operativi, esclusi gli ammortamenti e le svalutazioni delle immobilizzazioni nonché gli accantonamenti per rischi, nella misura non inferiore al 2,5 per cento nel 2014 ed al 4 per cento nel 2015»;
    il comma 7-bis del suddetto articolo stabilisce che le «società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato», possono realizzare gli obiettivi fissati dall'articolo 20 comma 1, con «modalità alternative», in tutto o in parte, alla riduzione dei costi operativi;
    la Ragioneria Generale dello Stato nell'ambito dell'esame al Senato del provvedimento ha posto come condizione vincolante per l'applicazione del comma 7-bis, un incremento almeno pari al 10 per cento rispetto al 2013 del valore della produzione ed un miglioramento del risultato operativo;
   considerato che:
    per le «società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato» che svolgono la loro attività essenzialmente nei confronti della Pubblica Amministrazione, un aumento del 10 per cento del valore della produzione rispetto al 2013 è obiettivo impossibile da raggiungete nei sei mesi rimanenti alla fine dell'esercizio, tanto più che si tratta di società che vedono tendenzialmente diminuire il loro volume d'affari di pari passo con le politiche di contenimento della spesa pubblica a livello sia centrale che periferico;
    la norma si presenta inattuabile ove, nel corso degli ultimi anni, le società di cui sopra abbiano già realizzato, in linea con gli indirizzi di spending review dei precedenti governi, azioni di efficientamento e contenimento dei costi, mantenendo, nel contempo, risultati economici positivi per l'azionista pubblico;
    la previsione normativa inoltre, può comportare, per le aziende manifatturiere controllate dallo Stato, la contrazione o sospensione delle forniture in questione rispetto alle richieste di volta in volta formulate;
    la fattispecie normativa in questione, infine, rischia di non consentire una regolare pianificazione delle attività e la definizione di corrette azioni gestionali, comportando costi minori dividendi che potrebbero essere distribuiti all'Azionista,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di assumere le opportune iniziative anche di carattere legislativo volte a prevedere misure alternative a quelle del comma 7-bis, – ivi inclusa la distribuzione di riserve – che possano ugualmente assicurare la copertura delle somme previste dal provvedimento.
9/2433/2Di Gioia, Di Lello, Fassina.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 20, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 prevede, in capo alle «società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato», l'obbligo di realizzare «nel biennio 2014-2015, una riduzione dei costi operativi, esclusi gli ammortamenti e le svalutazioni delle immobilizzazioni nonché gli accantonamenti per rischi, nella misura non inferiore al 2,5 per cento nel 2014 ed al 4 per cento nel 2015»;
    il comma 7-bis del suddetto articolo stabilisce che le «società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato», possono realizzare gli obiettivi fissati dall'articolo 20 comma 1, con «modalità alternative», in tutto o in parte, alla riduzione dei costi operativi;
    la Ragioneria Generale dello Stato nell'ambito dell'esame al Senato del provvedimento ha posto come condizione vincolante per l'applicazione del comma 7-bis, un incremento almeno pari al 10 per cento rispetto al 2013 del valore della produzione ed un miglioramento del risultato operativo;
   considerato che:
    per le «società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato» che svolgono la loro attività essenzialmente nei confronti della Pubblica Amministrazione, un aumento del 10 per cento del valore della produzione rispetto al 2013 è obiettivo impossibile da raggiungete nei sei mesi rimanenti alla fine dell'esercizio, tanto più che si tratta di società che vedono tendenzialmente diminuire il loro volume d'affari di pari passo con le politiche di contenimento della spesa pubblica a livello sia centrale che periferico;
    la norma si presenta inattuabile ove, nel corso degli ultimi anni, le società di cui sopra abbiano già realizzato, in linea con gli indirizzi di spending review dei precedenti governi, azioni di efficientamento e contenimento dei costi, mantenendo, nel contempo, risultati economici positivi per l'azionista pubblico;
    la previsione normativa inoltre, può comportare, per le aziende manifatturiere controllate dallo Stato, la contrazione o sospensione delle forniture in questione rispetto alle richieste di volta in volta formulate;
    la fattispecie normativa in questione, infine, rischia di non consentire una regolare pianificazione delle attività e la definizione di corrette azioni gestionali, comportando costi minori dividendi che potrebbero essere distribuiti all'Azionista,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di assumere le opportune iniziative anche di carattere legislativo volte a rendere più flessibile l'applicazione del comma 7-bis, – anche attraverso la distribuzione di riserve –, assicurando ugualmente la copertura delle somme previste dal provvedimento.
9/2433/2. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Gioia, Di Lello, Fassina.


   La Camera,
   premesso che:
    il SIOPE (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici), come evidente all'indirizzo web della Ragioneria Generale dello Stato, «è un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le amministrazioni pubbliche», nato in collaborazione con la Banca d'Italia e l'ISTAT, come previsto dall'articolo 28 della legge n. 289/2002, disciplinato dall'articolo 14, commi dal 6 all'11, della legge n. 196 del 2009;
    il Sistema Informativo ha l'obiettivo di rendere accessibile e trasparente la rilevazione dell'andamento dei conti pubblici, migliorandone la conoscenza da un punto di vista quantitativo e qualitativo, nonché apportando miglioramenti nell'ottica della «tempestività»;
    obiettivo del Sistema è stato in passato, e lo è tuttora, quello di uniformare le differenze tra i sistemi contabili adottati dai vari comparti delle pubbliche amministrazioni, senza che ciò incida sul bilancio degli enti;
    la vasta disponibilità di informazioni raccolte dal Sistema Informativo risulta essere a vantaggio degli stessi enti coinvolti nel monitoraggio, ed anche, e soprattutto, a vantaggio dei cittadini «che, attraverso la banca dati SIOPE, possono conoscere l'importo e la natura economica degli incassi e dei pagamenti di tutte le amministrazioni pubbliche»;
    il compito di gestire il Sistema Informativo è stato affidato, con convenzione sottoscritta il 1o marzo 2003, alla Banca d'Italia, considerando il ruolo svolto dalla stessa nel gestire i servizi di tesoreria o di cassa degli enti pubblici;
    nonostante l'importanza e la struttura del servizio, come sopra descritto, il sito web del sistema SIOPE è disponibile, ad oggi, al pubblico nei giorni feriali dal lunedì al venerdì dalle 8:00 alle 18:00, come un tradizionale ufficio, previa registrazione;
    l'articolo 8, comma 3, del decreto-legge in esame, come modificato dal Senato prevede che i dati SIOPE delle amministrazioni pubbliche gestiti dalla Banca d'Italia siano liberamente accessibili e in formato aperto, nel rispetto del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
    a partire dal 16 giugno 2014 la banca dati del Sistema Informativo è liberamente accessibile all'indirizzo www.siope.it, in attuazione di quanto stabilito dall'articolo 8, comma 3, del decreto-legge in esame, come disposto dall'articolo 2, comma 1, del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 47989 del 30 maggio 2014;
    sulla base della legislazione attuale, la consultazione e l'utilizzo dei dati è consentita liberamente a cittadini e amministrazioni, senza limitazione alcuna;
    all'interno del portale vengono rilasciati, attualmente, sotto forma di dati aperti della Ragioneria generale dello Stato dati di SIOPE in forma solamente aggregata, relativi al totale degli incassi e i pagamenti annui di raggruppamenti omogenei di enti pubblici;
    l'articolo 3 del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 30 maggio 2014 prevede la fruizione dei dati SIOPE da parte delle amministrazioni pubbliche per finalità istituzionali anche in formati diversi rispetto a quanto stabilito dall'articolo 2 del medesimo decreto, secondo le modalità previste dall'articolo 50, commi 2 e 3, del decreto legislativo 7 marzo 2006, n. 82, e che questi dati sono resi disponibili secondo «apposite convenzioni» (articolo 3, comma 2, decreto del Ministero, 30 maggio 2014);
    l'apertura dei dati, come previsto dal decreto-legge in esame, e dal decreto attuativo del Ministero dell'economia e delle finanze n. 47989, è un importante passo in avanti da parte del Governo e dell'amministrazione centrale dello Stato e rappresenta un'opportunità che in nessun modo va sprecata a causa di una cattiva gestione dovuta ad una limitata comprensione della potenzialità e delle caratteristiche dei dati in formato aperto,

impegna il Governo:

   ad aprire i dati SIOPE ed in possesso del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato con il massimo dettaglio possibile, non limitandosi ad una loro forma aggregata e non affidando ad apposite «convenzioni» la definizione delle modalità di accesso ai dati da parte delle amministrazioni pubbliche;
   ad assegnare all'Agenzia per l'Italia Digitale il compito di definire, sentito il dipartimento della ragioneria dello Stato, lo schema di dati e metadati da pubblicare all'interno del sito del Sistema Informativo, in modo da permettere una loro pubblicazione in formato «linked» (lod) tali da permettere elaborazioni e interrogazioni anche da parte di altri sistemi software.
9/2433/3Coppola, Quintarelli, Catalano, D'Alia, Gadda, Basso, Galgano, Dallai, Malpezzi.


   La Camera,
   premesso che:
    prima delle modifiche apportate dalla legge 6 agosto 2013, n. 97, il decreto-legge n. 167 del 1990, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 4 agosto 1990, n. 227, prevedeva la possibilità di evitare la compilazione del quadro RW della dichiarazione Mod. UNICO, per gli investimenti ed attività estere inferiori a 10.000 euro;
    questa era una semplificazione importante per gli investimenti con valori poco significativi, che evitava oneri burocratici eccessivi. Purtroppo questa esenzione è stata cancellata;
    con il comma 4-bis dell'articolo 2, del decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, nel testo integrato dalla legge di conversione 28 marzo 2014, n. 50, il comma 3 è stato nuovamente modificato, prevedendo una possibilità, utile in molti casi, in base alla quale gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi non sussistono per i depositi e conti correnti bancari costituiti all'estero, il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d'imposta, non sia superiore a 10.000 euro;
    avere un conto corrente all'estero, con movimenti contenuti, riguarda molti soggetti che possono intraprendere ad esempio attività di studio. Il caso più frequente sicuramente riguarda gli studenti che frequentano all'estero università, master, o corsi di aggiornamento. Per loro la necessità di un conto corrente bancario è reale, con movimenti di cifre assolutamente modiche che possono al massimo toccare i 20.000 euro annui,

impegna il Governo

a prevedere, in uno dei prossimi provvedimenti che verranno presentati all'esame delle Camere, l'innalzamento a 20.000 euro degli importi dei conti correnti bancari esteri che sono esclusi dall'indicazione nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.
9/2433/4Schullian, Gebhard, Alfreider, Plangger, Ottobre.


   La Camera,
   premesso che:
    prima delle modifiche apportate dalla legge 6 agosto 2013, n. 97, il decreto-legge n. 167 del 1990, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 4 agosto 1990, n. 227, prevedeva la possibilità di evitare la compilazione del quadro RW della dichiarazione Mod. UNICO, per gli investimenti ed attività estere inferiori a 10.000 euro;
    questa era una semplificazione importante per gli investimenti con valori poco significativi, che evitava oneri burocratici eccessivi. Purtroppo questa esenzione è stata cancellata;
    con il comma 4-bis dell'articolo 2, del decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, nel testo integrato dalla legge di conversione 28 marzo 2014, n. 50, il comma 3 è stato nuovamente modificato, prevedendo una possibilità, utile in molti casi, in base alla quale gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi non sussistono per i depositi e conti correnti bancari costituiti all'estero, il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d'imposta, non sia superiore a 10.000 euro;
    avere un conto corrente all'estero, con movimenti contenuti, riguarda molti soggetti che possono intraprendere ad esempio attività di studio. Il caso più frequente sicuramente riguarda gli studenti che frequentano all'estero università, master, o corsi di aggiornamento. Per loro la necessità di un conto corrente bancario è reale, con movimenti di cifre assolutamente modiche che possono al massimo toccare i 20.000 euro annui,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, in uno dei prossimi provvedimenti che verranno presentati all'esame delle Camere, l'innalzamento a 20.000 euro degli importi dei conti correnti bancari esteri che sono esclusi dall'indicazione nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.
9/2433/4. (Testo modificato nel corso della seduta) Schullian, Gebhard, Alfreider, Plangger, Ottobre.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 3 del provvedimento in esame aumenta la tassazione sulle rendite finanziarie dal 20 al 26 per cento;
    la norma interviene dopo appena due anni dalla revisione del sistema impositivo dei redditi di natura finanziaria che aveva disposto l'unificazione delle due precedenti aliquote del 12,5 per cento e del 27 per cento, previste sui redditi di capitale e sui redditi diversi, ad un livello intermedio fissato al 20 per cento;
    di conseguenza, nell'arco di appena diciotto mesi parte dei redditi di natura finanziaria si trova ad essere sottoposta ad una tassazione più che raddoppiata;
    la norma in esame va a colpire il risparmio, oltretutto tassando ancora una volta somme che, per la maggior parte, provengono da redditi di lavoro già tassati;
    secondo i dati a disposizione, dal 2008 ad oggi, il reddito disponibile degli italiani è diminuito del dieci per cento, anche a causa di una pressione fiscale che nel 2013 ha raggiunto il 43,8 per cento del PIL;
    l'aumento della pressione fiscale a qualsiasi livello, compreso i risparmi, ha effetti depressivi sull'economia;
    inoltre, i proventi attesi da tale misura appaiono difficilmente realizzabili, posto che nei mercati finanziari si realizzerà un effetto di sostituzione,

impegna il Governo:

   ad adottare i provvedimenti opportuni a realizzare una diminuzione della pressione fiscale, anche sui risparmi;
   a valutare l'istituzione di un Fondo Sovrano cui attribuire la gestione economica dei beni culturali e dei siti archeologici nazionali, una quota del quale potrà essere collocata su un mercato finanziario regolamentato, utilizzando i proventi dello stesso Fondo per la riduzione delle imposte sui risparmi fino a 2 miliardi di euro e oltre tale soglia per ridurre l'imposta sul reddito delle attività produttive prevista nel decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446;
   a disporre un'indagine conoscitiva in merito ai risparmi che possono essere ottenuti attraverso una riconversione, anche parziale, del debito bancario in finanziario, ovvero negli strumenti di cui alla legge di cui alla legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Boc, Bor, Bop) e al loro collocamento sui mercati finanziari regolamentati.
9/2433/5Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro, Carnevali.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del provvedimento in esame introduce il cd. bonus 80 euro in favore dei percettori di redditi di lavoro dipendente e di alcuni redditi assimilati;
    l'applicazione del bonus avverrà, in prima istanza, con riferimento al periodo d'imposta 2014, e, successivamente, attraverso una norma da inserire nella prossima legge di stabilità, assumerà carattere strutturale a valere su un Fondo già nominativamente istituito dal presente provvedimento;
    il bonus sarà corrisposto attraverso il riconoscimento di un credito fiscale pari ad un importo di 640 euro per i redditi fine a 24.000 euro e poi in misura decrescente, fino ad azzerarsi in concorrenza del limite di reddito di 26.000 euro;
    dalla corresponsione del bonus sono ingiustamente esclusi i percettori di redditi da pensione, pur ugualmente sottoposti alla tassazione sui redditi delle persone fisiche;
    inoltre, risultano esclusi dalla corresponsione di qualunque tipo di beneficio economico i soggetti incapienti,

impegna il Governo

ad ampliare la platea dei percettori del bonus di cui in premessa ai pensionati, e ad elaborare modalità atte a garantire un beneficio economico anche in favore dei soggetti incapienti, finanziando tali misure attraverso una revisione dei trattamenti pensionistici attualmente in essere e corrisposti in base al metodo retributivo eccedenti una determinata soglia finalizzata al taglio delle cosiddette pensioni d'oro.
9/2433/6Giorgia Meloni, Corsaro, Maietta, Rampelli, Totaro, Cirielli, La Russa, Nastri, Taglialatela.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 5-bis del provvedimento al nostro esame apporta alcune modifiche al regime delle entrate riscosse dal Ministero degli affari esteri quale corrispettivo del riconoscimento della cittadinanza italiana a persona maggiorenne, introducendo nella tariffa consolare la fattispecie dei diritti da riscuotere per il trattamento della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana, fissando l'importo nella misura di 300 euro;
    vista anche la crescita esponenziale che questi atti ha avuto negli ultimi anni il Governo ha ritenuto fosse giunto il momento di eliminare tale gratuità anche perché alcuni atti consolari richiedono adempimenti gravosi per gli uffici consolari all'estero, in particolare per l'impiego di risorse umane e strumentali. Proprio gli atti di riconoscimento della cittadinanza italiana, estendendosi senza limiti di generazioni, comportano lunghe e faticose ricostruzioni di più generazioni;
    da tempo si sente l'esigenza, manifestata da più parti, di modificare i criteri di gestione finanziaria degli uffici italiani all'estero, prevedendo la possibilità che la riscossione dei diritti consolari possa confluire direttamente in fondi di gestione presso le singole sedi diplomatico-consolari in modo che possano essere reinvestite negli stessi;
    a tal fine era stato predisposto un emendamento, presentato in Commissione e in Aula, che purtroppo i tempi accelerati imposti dalla scadenza imminente del decreto-legge n. 66 hanno impedito di esaminare e che prevedeva esattamente la creazione di un Fondo speciale presso le rappresentanze diplomatiche e consolari al quale destinare le risorse derivanti dai diritti consolari riscossi ai sensi dell'articolo 5-bis inserito in sede di conversione dal Senato della Repubblica;
    tali fondi potrebbero finanziare direttamente molte delle attività degli istituti diplomatico-consolari, dal personale, gravato dalla mole di lavoro arretrato, agli immobili che necessitano di manutenzione, alle attività di assistenza alle comunità di italiani ivi residenti,

impegna il Governo

a predisporre, in uno dei prossimi provvedimenti all'esame del Parlamento, un Fondo speciale dove far confluire le nuove risorse provenienti dalla trattazione degli atti di riconoscimento della cittadinanza in maniera che possano affluire direttamente presso le singole sedi diplomatico-consolari.
9/2433/7Bueno.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 5-bis del provvedimento al nostro esame apporta alcune modifiche al regime delle entrate riscosse dal Ministero degli affari esteri quale corrispettivo del riconoscimento della cittadinanza italiana a persona maggiorenne, introducendo nella tariffa consolare la fattispecie dei diritti da riscuotere per il trattamento della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana, fissando l'importo nella misura di 300 euro;
    vista anche la crescita esponenziale che questi atti ha avuto negli ultimi anni il Governo ha ritenuto fosse giunto il momento di eliminare tale gratuità anche perché alcuni atti consolari richiedono adempimenti gravosi per gli uffici consolari all'estero, in particolare per l'impiego di risorse umane e strumentali. Proprio gli atti di riconoscimento della cittadinanza italiana, estendendosi senza limiti di generazioni, comportano lunghe e faticose ricostruzioni di più generazioni;
    da tempo si sente l'esigenza, manifestata da più parti, di modificare i criteri di gestione finanziaria degli uffici italiani all'estero, prevedendo la possibilità che la riscossione dei diritti consolari possa confluire direttamente in fondi di gestione presso le singole sedi diplomatico-consolari in modo che possano essere reinvestite negli stessi;
    a tal fine era stato predisposto un emendamento, presentato in Commissione e in Aula, che purtroppo i tempi accelerati imposti dalla scadenza imminente del decreto-legge n. 66 hanno impedito di esaminare e che prevedeva esattamente la creazione di un Fondo speciale presso le rappresentanze diplomatiche e consolari al quale destinare le risorse derivanti dai diritti consolari riscossi ai sensi dell'articolo 5-bis inserito in sede di conversione dal Senato della Repubblica;
    tali fondi potrebbero finanziare direttamente molte delle attività degli istituti diplomatico-consolari, dal personale, gravato dalla mole di lavoro arretrato, agli immobili che necessitano di manutenzione, alle attività di assistenza alle comunità di italiani ivi residenti,

impegna il Governo

ad utilizzare parte delle nuove risorse provenienti dalla trattazione degli atti di riconoscimento della cittadinanza in maniera che possano affluire più direttamente al finanziamento delle singole sedi diplomatico-consolari.
9/2433/7. (Testo modificato nel corso della seduta) Bueno.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 12-bis del provvedimento in esame prevede che i canoni delle concessioni demaniali marittime dovuti a partire dall'anno 2014 siano versati entro la data del 15 settembre di ciascun anno. Contestualmente si prevede anche che gli enti gestori intensifichino i controlli sull'adempimento del pagamento. Infine, attraverso una modifica del comma 732 dell'articolo unico della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013), il termine temporale previsto per il riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali marittime è prorogato dal 15 maggio 2014 al 15 ottobre 2014;
    la disposizione, riferendosi ai canoni «dovuti a partire dall'anno 2014», potrebbe anche produrre l'effetto di prorogare al 15 settembre 2014 il termine per il versamento previsto dalla procedura di pagamento agevolato dei canoni introdotta dai commi 732 e 733 dell'articolo unico della legge di stabilità 2014 (il termine per il pagamento previsto da tale procedura è scaduto, sia per il versamento in unica rata, sia per il versamento della prima rata, il 27 aprile 2014);
    i citati commi 732 e 733 dell'articolo unico della legge di stabilità 2014 consentono, infatti, la definizione dei procedimenti giudiziari pendenti, alla data del 30 settembre 2013, in materia di pagamento dei canoni demaniali marittimi attraverso: a) il versamento in un'unica soluzione di un importo pari al 30 per cento delle somme dovute o, in alternativa: b) il versamento fino a un massimo di nove rate annuali di un importo pari al 60 per cento, oltre agli interessi legali. La domanda di definizione doveva essere presentata all'Ente gestore e all'Agenzia del demanio entro il 28 febbraio 2014 e perfezionata entro i sessanta giorni successivi (e cioè entro il 27 aprile 2014) con il versamento dell'intero importo ovvero della prima rata. Tale disposizione faceva seguito alla sospensione del pagamento dei canoni demaniali marittimi disposta fino al 15 settembre 2013 dal comma 5-bis dell'articolo 19 del decreto-legge n. 69 del 2013;
    con quest'ultima disposizione si fa riferimento ai canoni demaniali di cui all'articolo 03, comma 1, lettera b) del decreto-legge n. 400 del 1993 che, come sostituita dal comma 251 dell'articolo unico della legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006), ha ridefinito le modalità di determinazione dei canoni demaniali marittimi. In particolare si prevede una classificazione delle aree sottoposte, in base agli articoli 36 e 37 del codice della navigazione, al pagamento dei canoni di concessione (aree, manufatti, pertinenze e specchi acquei) in due aree: A (aree, manufatti, pertinenze e specchi acquei, o parti di essi, concessi per utilizzazioni ad uso pubblico ad alta valenza turistica) e B (aree, manufatti, pertinenze e specchi acquei, o parti di essi, concessi per utilizzazione ad uso pubblico a normale valenza turistica). Il comma 252 dell'articolo unico della legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006) ha invece previsto che le misure dei canoni demaniali marittimi, come ridefinite dal comma 251, si applichino anche, a decorrere dal 1o gennaio 2007, alle concessioni dei beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale aventi ad oggetto la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto;
    per quanto concerne più in generale la materia dei canoni demaniali marittimi, si ricorda che da ultimo l'articolo 34-duodecies del decreto-legge n. 179 del 2012 ha disposto la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015;
    la normativa sui canoni demaniali, come noto, ha subito nel corso degli anni numerose e sostanziali modifiche;
    oltre a quanto già evidenziato in premessa, dal 2007 ad oggi, sono state altresì introdotte ulteriori disposizioni normative tese ad adeguare i canoni demaniali prevedendone l'aumento per tentare di avvicinarli al presumibile valore di mercato;
    pur tuttavia si è dovuta, purtroppo, registrare, proprio nel corso di questi anni, una generale confusione circa i canoni demaniali da applicare da parte degli enti locali, nonostante fosse stato varato, nel frattempo, il decreto legislativo sul federalismo demaniale n. 85 del 2010 che si pone, come obiettivo prioritario, proprio la valorizzazione dei beni utilizzati a beneficio delle collettività locali;
    il federalismo demaniale, infatti, era nato per poter dare una grande opportunità alle realtà locali nella gestione e amministrazione delle competenze demaniali, ma i comuni delegati alla gestione delle attività amministrative hanno avuto non poche difficoltà nel determinare le modalità applicative delle disposizioni normative relative ai canoni di concessione;
    a ciò si aggiunge che, come ben noto, i canoni attualmente previsti per le concessioni demaniali marittime risultano pressoché irrisori rispetto ai redditi derivanti in molte parti del Paese dalla gestione degli stabilimenti balneari;
    tale questione potrebbe essere affrontata adeguatamente attribuendo ai Comuni il potere di definire e riscuotere una quota di canone distinta e aggiuntiva rispetto a quella che attualmente spetta allo Stato. Ciò permetterebbe, infatti, di valutare a livello locale, prendendo in considerazione le specificità di ciascun territorio, come possa essere fissato l'importo più appropriato per i canoni in questione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di emanare nel prossimo provvedimento utile una norma che possa affrontare e risolvere in via definitiva le questioni sollevate dal presente atto di indirizzo, con particolare riferimento alla possibilità di riconoscere ai comuni, alla luce dei principi sanciti dal decreto legislativo sul federalismo demaniale n. 85 del 2010 che si pone, come obiettivo prioritario, proprio la valorizzazione dei beni utilizzati a beneficio delle collettività locali, il potere di definire e riscuotere una quota di canone distinta e aggiuntiva rispetto a quella che attualmente spetta allo Stato, avendo riguardo alle singole specificità di ciascun territorio considerato nell'ambito del nostro Paese.
9/2433/8Nardi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 21 del provvedimento in esame, nella sua versione originaria e prime delle modifiche intervenute a seguito dell'esame da parte del Senato della Repubblica, sopprimeva l'articolazione regionale della Rai-Radiotelevisione italiana Spa, disciplinando, inoltre, la dismissione di società da essa partecipate e disponendo, infine, una riduzione di 150 milioni di euro, per il 2014, delle somme, rivenienti dal canone di abbonamento, dovute dallo Stato alla RAI;
    durante l'esame in sede referente presso il Senato sono stati approvati una serie di emendamenti che hanno eliminato la soppressione dell'articolazione regionale della Rai-Radiotelevisione italiana Spa prevedendo che la Rai S.p.A. assicuri l'informazione pubblica a livello nazionale e quella regionale attraverso la presenza in ciascuna regione e provincia autonoma, di proprie redazioni e strutture adeguate alle specifiche produzioni, nel rispetto di quanto previsto circa la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la provincia autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la provincia autonoma di Trento, in lingua francese per la regione autonoma Valle d'Aosta e in lingua slovena per la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
    sono stati poi aggiunti, inoltre, due nuovi commi (3-bis e 3-ter) all'articolo 17 della legge n. 112 del 2004. Il comma 3-bis è relativo alle sedi, prima menzionate, che garantiscono le trasmissioni per le minoranze linguistiche, prevedendo che esse mantengono l'autonomia finanziaria e contabile e fungono da centro di produzione. 11 comma 3-ter è, invece, relativo alla convenzione stipulata tra la Rai e la provincia autonoma di Bolzano che individua i diritti e gli obblighi relativi, in particolare, ai tempi ed agli orari delle trasmissioni radiofoniche e televisive; inoltre, per garantire la trasparenza e la responsabilità nell'utilizzo del finanziamento pubblico provinciale, i costi di esercizio per il servizio in lingua tedesca e ladina è rappresentato in apposito centro di costo del bilancio della Rai; le spese per la sede di Bolzano sono assunte dalla Provincia autonoma di Bolzano, tenendo conto dei proventi del canone di abbonamento alla Rai; l'assunzione degli oneri per l'esercizio delle funzioni relative alla sede di Bolzano avviene mediante le risorse individuate dall'articolo 79, comma 1, lettera c) del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972) che disciplina il concorso finanziario della Regione autonoma Trentino-Alto Adige e della due province autonome di Trento e di Bolzano al riequilibrio della finanza pubblica;
    inoltre, è stata modificata anche la norma relativa alla cessione di società partecipate dalla Rai con esplicito riferimento alla cessione della società Rai Way. Al riguardo è stato, infatti, previsto che ai fini dell'efficientamento, della razionalizzazione e del riassetto industriale nell'ambito delle partecipazioni detenute dalla RAI S.p.A, la Società può procedere alla cessione sul mercato, secondo modalità trasparenti e non discriminatorie, di quote di Rai Way, garantendo la continuità del servizio erogato. Si dispone, infine, che, comunque, anche in caso di cessione che non determini la perdita di controllo, le modalità di alienazione siano individuate con decreto del Presidente del consiglio dei ministri adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico;
    da ultimo, è stato aggiunto un nuovo comma 4-bis che novella l'articolo 45, comma 2, lettera e), del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (decreto legislativo n. 177 del 2005); la citata norma è contenuta nel Titolo Vili del testo unico (Servizio pubblico generale radiotelevisivo e disciplina della concessionaria) e definisce i compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo; il comma 2 individua i compiti comunque garantiti dalla Rai e la lettera e) prevede la costituzione di una società per la produzione, la distribuzione e la trasmissione di programmi radiotelevisivi all'estero, finalizzati alla conoscenza e alla valorizzazione della lingua, della cultura e dell'impresa italiane attraverso l'utilizzazione dei programmi e la diffusione delle più significative produzioni del panorama audiovisivo nazionale; la novella consiste, in particolare, nella soppressione della previsione della costituzione di una società per l'assolvimento di tale compito;
    in base al combinato disposto degli emendamenti approvati al Senato con riferimento all'articolo 21 del provvedimento in esame, ma anche all'articolo 20 del provvedimento stesso, la Rai viene esclusa dai tagli previsti a carico delle società partecipate dallo Stato; viene confermato il taglio di 150 milioni di euro previsto dall'articolo 21 su cui sono stati avanzati dubbi sulla illegittimità costituzionale citati da un ricorso aziendale che sarà esaminato dal Presidente della RAI solo dopo aver ricevuto il parere pro veritate richiesto dalla dirigenza RAI al Professor Enzo Cheli; è stato dato, di fatto, il via libera alla cessione di Raiway, ma è stato, in sostanza, soppresso l'obbligo per la RAI di mantenere Rai Way. Per quanto riguarda Rai Way, infatti, come si è detto, si prevede che «ai fini dell'efficientamento, della razionalizzazione e del riassetto industriale nell'ambito delle partecipazioni detenute dalla Rai Spa, la società può procedere alla cessione sul mercato, secondo modalità trasparenti e non discriminatorie, di quote di Rai Way, garantendo la continuità del servizio erogato». Per Rai World invece si cancella l'obbligo per l'azienda di avere una società per la produzione, la distribuzione e la trasmissione di programmi radiotelevisivi all'estero. Infine, se sembrano essere salvate, di fatto, le sedi regionali, perché rimangono le sedi giornalistiche e le strutture produttive in ogni regione;
    si evidenzia, inoltre, che con riferimento alle problematiche relative ai tagli previsti dal provvedimento in esame nei confronti della Rai, il Gruppo SEL della Camera aveva presentato l'interrogazione a risposta scritta n. 4-04890;
    negli stessi giorni in cui sono stati ipotizzati tagli agli asset strategici in nome del risparmio, per quanto risulta al firmatario del presente atto di indirizzo, sembrerebbero stati firmati contratti a conduttori esterni invece che rivolgersi a giornalisti già stipendiati dall'azienda;
    a Roma la Rai Spa paga ingentissimi affitti per il mantenimento delle redazioni dei programmi (quali Porta a Porta, Ballarò, Virus, la Vita in diretta ecc.) che non sono collocati a Saxa Rubra. Anche nelle regioni alcuni immobili costruiti quando le sedi erano centri di produzione con programmi, sceneggiati radiofonici ed altro ora sembrano essere sovradimensionati. In conclusione o si torna a potenziare le sedi regionali o si scelgono immobili più ridotti,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di informare quanto prima il Parlamento sulle ricadute economiche che potrebbero prodursi nei confronti di Rai spa in forza dei tagli derivanti dall'attuazione dell'articolo 21 del provvedimento in esame, sia sotto il profilo occupazionale sia sotto il profilo squisitamente industriale legato alle procedure attinenti alla possibile cessione di Rai way e al ridimensionamento del budget aziendale, nonché infine alla possibile riduzione dell'offerta editoriale;
   a valutare l'opportunità di adottare quanto prima ulteriori e opportune iniziative di competenza tese ad attuare una seria lotta contro gli sprechi e la ben nota lottizzazione politica di Rai Spa, evitando un elevato numero di produzioni esterne affidate a società o giornalisti non appartenenti a Rai Spa, nonché infine attraverso una oculata riorganizzazione dell'utilizzo delle sedi che attualmente compongono il patrimonio immobiliare di Rai S.p.A.;
   ad intraprendere ogni iniziativa di competenza per contrastare l'evasione fiscale legata al pagamento del canone RAI.
9/2433/9Quaranta.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 48 del provvedimento in esame reca disposizioni in materia di edilizia scolastica. In particolare, si dispone, per gli anni 2014 e 2015, l'esclusione dal patto di stabilità interno delle spese sostenute dai comuni per gli interventi di edilizia scolastica, nel limite massimo di 122 milioni di euro per ciascun anno. Un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro il 15 giugno 2014, individuerà i comuni beneficiari e l'importo dell'esclusione;
    inoltre, si prevede l'assegnazione da parte del CIPE di un importo massimo di 300 milioni di euro, a valere sulla programmazione nazionale 2014-2020 del Fondo per lo sviluppo e la coesione, per gli interventi di edilizia scolastica di cui all'articolo 18, comma 8-ter, del decreto-legge n. 69 del 2013. Si tratta di interventi finalizzati all'attuazione di misure urgenti per la riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche, con particolare riferimento a quelle in cui è stata censita la presenza di amianto, nonché per garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico;
    durante il corso dell'esame del provvedimento presso le Commissioni Riunite 5a e 6a del Senato della Repubblica è stata introdotta una modifica che si limita prevedere – nell'ambito degli interventi previsti ai fini dell'esclusione del patto di stabilità interno – il coinvolgimento della Conferenza Stato-Città, che viene in particolare «sentita», ai fini dell'individuazione dei comuni beneficiari dell'esclusione, senza null'altro aggiungere in termini di stanziamenti e risorse in favore dell'edilizia scolastica;
    con riferimento alla certezza e, quindi, alla quantità delle risorse da destinare all'edilizia scolastica il Gruppo SEL della Camera dei deputati è intervenuto con l'interrogazione a risposta immediata in Assemblea 3-00792 in data 30 aprile 2014, successivamente richiamata da un articolo apparso sulla testata de Il Manifesto dal titolo «Un “rammendo” già pieno di buchi. Edilizia scolastica. I 3,7 miliardi promessi dal premier si sono ridotti a soli 244 milioni divisi tra il 2014 e il 2015»;
    inoltre, i dati diffusi dal CENSIS in data 31 maggio 2014 sullo stato dell'edilizia scolastica italiana, rivelano che degli oltre 41.000 edifici scolastici statali si stima che in 24.000 gli impianti (elettrici, idraulici, termici) non funzionino, siano insufficienti o non siano a norma. Risulterebbero ben 9.000 le strutture con gli intonaci a pezzi. In 7.200 edifici occorrerebbe rifare tetti e coperture. Sarebbero poi 3.600 le sedi che necessitano di interventi sulle strutture portanti e 2.000 sarebbero le scuole che espongono i loro 342.000 alunni e studenti al rischio amianto. Più del 15 per cento degli edifici scolastici è stato costruito prima del 1945, altrettanti datano tra il ’45 e il ’60, il 44 per cento risale all'epoca 1961-1980. In conclusione, solo un quarto degli stabili è stato costruito dopo il 1980;
    i dati in questione rappresentano i risultati del 5o numero del «Diario della transizione» del Censis, che ha l'obiettivo di cogliere e descrivere i principali temi in agenda in un difficile anno di passaggio attraverso una serie di note di approfondimento diffuse nella primavera-estate del 2014;
    in particolare, nell'ambito di tale documento, si parla della priorità della manutenzione ordinaria, si espone un giudizio negativo sugli interventi realizzati, ma soprattutto si additano le spese insufficienti e tempi biblici per ottenere i finanziamenti necessari. Si legge, infatti, che la recente assegnazione del 95,7 per cento dei 150 milioni di euro stanziati con il cosiddetto «Decreto del Fare» per l'avvio immediato di 603 progetti di edilizia scolastica rappresenta sicuramente un cambio di passo rispetto alle lunghe e farraginose procedure degli anni passati, ma sulla base delle risorse stanziate e dei ritardi di spesa accumulati, alla fine del 2013 il Ministero delle infrastrutture stimava in 110 anni il tempo necessario per mettere in sicurezza tutti gli edifici scolastici italiani. Gli interventi straordinari che via via sono stati programmati dopo il tragico crollo della scuola di San Giuliano hanno mobilitato poco meno di 2 miliardi di euro rispetto a un fabbisogno stimato di 13 miliardi;
    infine, per garantire la tempestività della manutenzione ordinaria e accelerare la realizzazione dei piccoli interventi necessari è stata prospettata recentemente la possibilità di dotare le scuole di un budget specifico,

impegna il Governo:

   ad informare quanto prima il Parlamento circa le coperture che saranno utilizzate per mantenere la promessa fatta dal Governo, ed in particolare, dal Presidente del Consiglio dei ministri, di assicurare 3,7 miliardi di euro per finanziare gli interventi in materia di edilizia scolastica;
   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a contribuire urgentemente in modo organico e strutturale all'indispensabile e non più prorogabile processo di rinnovamento dell'edilizia scolastica, anche alla luce dei recenti rilievi formulati da CENSIS nell'ambito del citato 5o numero del «Diario della transizione»;
   a porre in essere ogni iniziativa per evitare ulteriori proroghe e, in particolare, a mettere in atto tutte le misure necessarie per rendere quanto più agevole la procedura di assegnazione degli appalti per i lavori di messa a norma e in sicurezza degli edifici scolastici.
9/2433/10Zaratti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 48 del provvedimento in esame reca disposizioni in materia di edilizia scolastica. In particolare, si dispone, per gli anni 2014 e 2015, l'esclusione dal patto di stabilità interno delle spese sostenute dai comuni per gli interventi di edilizia scolastica, nel limite massimo di 122 milioni di euro per ciascun anno. Un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro il 15 giugno 2014, individuerà i comuni beneficiari e l'importo dell'esclusione;
    inoltre, si prevede l'assegnazione da parte del CIPE di un importo massimo di 300 milioni di euro, a valere sulla programmazione nazionale 2014-2020 del Fondo per lo sviluppo e la coesione, per gli interventi di edilizia scolastica di cui all'articolo 18, comma 8-ter, del decreto-legge n. 69 del 2013. Si tratta di interventi finalizzati all'attuazione di misure urgenti per la riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche, con particolare riferimento a quelle in cui è stata censita la presenza di amianto, nonché per garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico;
    durante il corso dell'esame del provvedimento presso le Commissioni Riunite 5a e 6a del Senato della Repubblica è stata introdotta una modifica che si limita prevedere – nell'ambito degli interventi previsti ai fini dell'esclusione del patto di stabilità interno – il coinvolgimento della Conferenza Stato-Città, che viene in particolare «sentita», ai fini dell'individuazione dei comuni beneficiari dell'esclusione, senza null'altro aggiungere in termini di stanziamenti e risorse in favore dell'edilizia scolastica;
    con riferimento alla certezza e, quindi, alla quantità delle risorse da destinare all'edilizia scolastica il Gruppo SEL della Camera dei deputati è intervenuto con l'interrogazione a risposta immediata in Assemblea 3-00792 in data 30 aprile 2014, successivamente richiamata da un articolo apparso sulla testata de Il Manifesto dal titolo «Un “rammendo” già pieno di buchi. Edilizia scolastica. I 3,7 miliardi promessi dal premier si sono ridotti a soli 244 milioni divisi tra il 2014 e il 2015»;
    inoltre, i dati diffusi dal CENSIS in data 31 maggio 2014 sullo stato dell'edilizia scolastica italiana, rivelano che degli oltre 41.000 edifici scolastici statali si stima che in 24.000 gli impianti (elettrici, idraulici, termici) non funzionino, siano insufficienti o non siano a norma. Risulterebbero ben 9.000 le strutture con gli intonaci a pezzi. In 7.200 edifici occorrerebbe rifare tetti e coperture. Sarebbero poi 3.600 le sedi che necessitano di interventi sulle strutture portanti e 2.000 sarebbero le scuole che espongono i loro 342.000 alunni e studenti al rischio amianto. Più del 15 per cento degli edifici scolastici è stato costruito prima del 1945, altrettanti datano tra il ’45 e il ’60, il 44 per cento risale all'epoca 1961-1980. In conclusione, solo un quarto degli stabili è stato costruito dopo il 1980;
    i dati in questione rappresentano i risultati del 5o numero del «Diario della transizione» del Censis, che ha l'obiettivo di cogliere e descrivere i principali temi in agenda in un difficile anno di passaggio attraverso una serie di note di approfondimento diffuse nella primavera-estate del 2014;
    in particolare, nell'ambito di tale documento, si parla della priorità della manutenzione ordinaria, si espone un giudizio negativo sugli interventi realizzati, ma soprattutto si additano le spese insufficienti e tempi biblici per ottenere i finanziamenti necessari. Si legge, infatti, che la recente assegnazione del 95,7 per cento dei 150 milioni di euro stanziati con il cosiddetto «Decreto del Fare» per l'avvio immediato di 603 progetti di edilizia scolastica rappresenta sicuramente un cambio di passo rispetto alle lunghe e farraginose procedure degli anni passati, ma sulla base delle risorse stanziate e dei ritardi di spesa accumulati, alla fine del 2013 il Ministero delle infrastrutture stimava in 110 anni il tempo necessario per mettere in sicurezza tutti gli edifici scolastici italiani. Gli interventi straordinari che via via sono stati programmati dopo il tragico crollo della scuola di San Giuliano hanno mobilitato poco meno di 2 miliardi di euro rispetto a un fabbisogno stimato di 13 miliardi;
    infine, per garantire la tempestività della manutenzione ordinaria e accelerare la realizzazione dei piccoli interventi necessari è stata prospettata recentemente la possibilità di dotare le scuole di un budget specifico,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a contribuire urgentemente in modo organico e strutturale all'indispensabile e non più prorogabile processo di rinnovamento dell'edilizia scolastica, anche alla luce dei recenti rilievi formulati da CENSIS nell'ambito del citato 5o numero del «Diario della transizione»;
   a porre in essere ogni iniziativa per evitare ulteriori proroghe e, in particolare, a mettere in atto tutte le misure necessarie per rendere quanto più agevole la procedura di assegnazione degli appalti per i lavori di messa a norma e in sicurezza degli edifici scolastici.
9/2433/10. (Testo modificato nel corso della seduta) Zaratti.


   La Camera,
   premesso che:
    la revisione del regime fiscale di favore di cui hanno goduto fino ad oggi le rendite finanziarie, che ha fortemente contribuito ad accentuare la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, sembra finalmente essere entrata nell'agenda delle priorità politiche e programmatiche del Paese, tant’è che l'articolo 3 del provvedimento dispone l'aumento generalizzato dell'aliquota sulle rendite finanziarie, stabilendola al 26 per cento per tutti i tipi di reddito, ad esclusione di quelli derivanti dai titoli di Stato, (consolidando così «la posizione di vantaggio» di questi ultimi rispetto ad altri tipi di investimenti);
    oltre al dilagante fenomeno dell'evasione fiscale, la forte disparità di trattamento esistente ancora oggi tra i redditi da lavoro ed i redditi da capitale rappresenta la principale fonte di ingiustizia fiscale, tanto meno tollerabile in una situazione di crisi sociale diffusa come l'attuale. Una riforma della tassazione della rendita finanziaria assumerebbe, pertanto, soprattutto in chiave redistributiva come fonte di nuove entrate fiscali e come di riqualificazione dell'apparato produttivo del Paese, un ruolo sempre più determinante;
    a partire dal 1998, nell'ambito di una riforma fiscale finalizzata alla riduzione della pressione fiscale sull'impresa, è stata data soluzione al problema dell'estensione dell'imposta personale sui redditi, sottraendo definitivamente dalla sua base imponibile larghissima parte delle rendite finanziarie per poi assoggettarle ad un organico sistema di regimi sostitutivi;
    in sede di suddetta riforma, lo strumento generale adottato, sia per i proventi finanziari delle imprese che per quelli delle famiglie, è stato quello dell'imposizione sostitutiva. Le rendite finanziarie, così, non rientrano nella base imponibile ordinaria dei redditi, ma vengono, in genere, tassate sulla base di regimi speciali;
    una prima ed immediata conseguenza del suddetto regime è che le stesse rendite si sottraggono al principio costituzionale della progressività tributaria, poiché tutti i soggetti pagano la stessa aliquota, indipendentemente dal patrimonio complessivo posseduto e dal flusso di risorse generato;
    oggi l'IRPEF, nata nelle intenzioni del legislatore come imposta sul reddito complessivo di un determinato soggetto, risulta essere nella pratica un tributo che colpisce i soli redditi da pensione e da lavoro dipendente proprio a causa dell'intervenuto fenomeno di erosione della sua base imponibile che ha portato, a seguito di graduali riforme, determinate categorie reddituali ad essere sottoposte a regimi sostitutivi particolarmente favorevoli (redditi da capitale), o a stimare determinati redditi tramite metodi forfetari (redditi fondiari);
    secondo la logica della comprehensive income tax, che dovrebbe governare tutti i regimi di imposizione diretta, un'imposta progressiva sul reddito per essere equa deve essere commisurata al reddito netto complessivo del soggetto, da qualunque fonte esso provenga, così come i singoli elementi che lo compongono devono essere determinati in modo omogeneo per tutte le categorie di reddito;
    una tassazione proporzionale dei redditi da capitale, che li assoggetta tutti alla stessa (seppur aumentata) aliquota, accresce la disuguaglianza rispetto ad una tassazione attuata con un'aliquota marginale sui redditi da capitale, come quella attuabile ricomprendendo tutti gli stessi redditi nella base imponibile ai fini del calcolo dell'IRPEF;
    l'articolo 53 della Costituzione afferma i principi della «capacita contributiva» e della «progressività» ai quali è uniformato il nostro sistema tributario, i quali si fondano sul presupposto che all'aumentare del reddito il contribuente può privarsi con ugual sacrificio di una quota proporzionale più elevata del reddito stesso;
    nell'esercizio della delega fiscale di cui alla recente legge n. 23 dell'11 marzo 2014, il Governo deve attenersi, tra l'altro, al rispetto dei princìpi costituzionali, in particolare di quelli di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione, ed anche se quest'ultimo precetto non è riferibile ad una singola imposta, come l'Irpef, è evidente che essa contribuisce più di tutte le altre a garantire la progressività dell'intero sistema;
    secondo il presidente emerito della Corte costituzionale, prof. Franco Gallo, ascoltato dalla commissione Finanze della Camera nell'ambito di una serie di audizioni sul sistema fiscale e i rapporti tra Fisco e contribuenti, il sistema tributario italiano non sarebbe più in grado di svolgere la funzione equitativa necessaria per contrastare le disuguaglianze ed andrebbe ripensato insieme al ruolo di uno Stato impositore che punti a una maggiore giustizia distributiva e, quindi, ad un più equo riparto della ricchezza, nel solco dei principi fissati dagli articoli 3 e 53 della Costituzione. Le nuove forme di imposizione dovrebbero consentire al sistema di recuperare gradualmente quel carattere di progressività del sistema che la globalizzazione ha concorso a mettere in crisi,

impegna il Governo

nell'ambito di una riforma del sistema tributario, a mantenere l'Irpef quale principale e privilegiato strumento di redistribuzione del reddito, facendo ricomprendere nella sua base imponibile, ai fini della determinazione della stessa, i redditi da capitale e da rendite finanziarie già assoggettate a regime sostitutivo ai sensi dell'articolo 44 del testo unico delle imposte sui redditi.
9/2433/11Melilla, Paglia, Lavagno.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame prevede interventi finalizzati, nelle intenzioni del Governo, all'efficienza, razionalizzazione, equità e al rilancio dell'economia del Paese;
    delle misure contenute una parte è una tantum mentre altre hanno valenza strutturale;
    una parte del provvedimento viene finanziato con la spending review operata a carico degli enti locali già abbondantemente colpiti da un patto di stabilità interno che impedisce loro di finanziare le misure di welfare locale e municipale necessarie quanto mai in questa fase di profonda crisi sociale; per province e città metropolitane è prevista, infatti, una riduzione della spesa pubblica per l'acquisto di beni e servizi pari a 340 milioni di euro nel 2014 e 510 milioni per ciascun anno dal 2015 al 2017. I comuni, invece, contribuiranno per 375,6 milioni di euro nel 2014 e per 542,4 milioni di euro per ciascun anno dal 2015 al 2017, con conseguente riduzione del fondo solidarietà comunale pari al medesimo importo;
    le regioni contribuiranno alla riduzione della spesa pubblica per 700 milioni di euro per il 2014 e in 1.050 milioni per gli anni dal 2015 al 2017;
    i tagli e le riduzioni di spesa a enti locali, regioni e ministeri rischiano quindi di tradursi in tagli alle prestazioni e ai servizi dei cittadini;
    per la stessa stabilizzazione, ed estensione, del «bonus 80 euro», a decorrere dal 2015 – se non si procederà ad un effettiva redistribuzione del carico fiscale ed ad un efficace lotta all'evasione – i risparmi necessari che deriveranno dalla spending review andranno inevitabilmente ad incidere negativamente sui livelli e la qualità dei servizi e sul welfare;
    il provvedimento prevede peraltro misure volte al riordino e alla riduzione della spesa di aziende, istituzioni e società controllate dalle amministrazioni locali,

impegna il Governo:

   a prevedere, in raccordo con le regioni, interventi legislativi volti a escludere dai previsti e futuri tagli e riduzioni di spesa quelli inerenti ad ambiti incomprimibili quali i servizi socio-assistenziali, sanitari e scolastici;
   a escludere attraverso ulteriori iniziative normative dalle previste disposizioni volte al riordino e alla riduzione della spesa di aziende e società controllate dalle amministrazioni locali, gli enti locali, le aziende speciali e le istituzioni che gestiscono direttamente servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l'infanzia, culturali e alla persona (ex Ipab).
9/2433/12Paglia, Nicchi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 22, comma 1, recante interventi di riduzione delle agevolazioni agricole, è intervenuto sulla fiscalità delle agroenergie, con l'obiettivo di modificare a partire dal periodo di imposta 2014, la determinazione del reddito imponibile derivante dalla produzione e cessione di energia elettrica a calore da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche, nonché di carburanti di prodotti da coltivazioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo effettuata dagli imprenditori agricoli;
    prima dell'introduzione dell'articolo 22, comma 1, tali attività di produzione e cessione di energia elettrica venivano considerate «connesse» alla produzione di reddito agrario, se questo risultava prevalente, venendo quindi ricomprese nel reddito forfettario e semplificato in base alle tariffe d'estimo catastali e non sottoposte a regime di tassazione analitico (costi e ricavi d'esercizio);
    il decreto-legge, abolendo tali agevolazioni, fa sì che – come specificato nella relazione tecnica di accompagnamento al decreto – il reddito sarà determinato apportando ai corrispettivi delle operazioni (cessioni), effettuate ai fini IVA, il coefficiente di redditività del 25 per cento, laddove a legislazione vigente tali operazioni (produzione e cessione) si considerano attività connesse e produttive di reddito agrario;
    la norma in esame novella l'articolo 1, comma 423, della legge del 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), concernente la forfettizzazione del reddito derivante dalla produzione di energia elettrica da biocombustibili agroforestali effettuate da aziende agricole;
    il comma 423 nel testo prevalente stabilisce che la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche, nonché di carburanti di prodotti da coltivazioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo effettuata dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell'articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considerano produttive di reddito agrario, fatta salva l'opzione per la determinazione del reddito nei modi ordinari;
    il Senato della Repubblica ha introdotto il comma 1-bis, che prevede che limitatamente all'anno 2014, la produzione e la cessione elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali, sino a 2.400.000 Kwh anno, e fotovoltaiche sino a 260.000 Kwh anno, nonché di carburanti ottenuti da produzioni vegetali provenienti dal fondo e dei prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse e si considerano produttive di reddito agrario. Per la produzione di energia oltre i limiti suddetti, il reddito ai fini IRPEF ed IRES è determinato applicando all'ammontare dei corrispettivi delle operazioni effettuate ai fini IVA, relativamente alla componente riconducibile alla valorizzazione dell'energia ceduta, con esclusione della quota incentivo, il coefficiente di redditività del 25 per cento;
    se la nuova impostazione, verrà stabilizzata nella conversione in legge, cambierà completamente il quadro fiscale e, quindi, la redditività di tutti gli impianti che sono stati finora considerati integrativi dell'attività agricola e agevolati di conseguenza;
    quanto previsto dall'articolo 22, comma 1, ha scatenato, giustamente, una dura reazione da parte del mondo dell'agricoltura, che teme pesanti contraccolpi sui piani d'investimento e sulle fonti di finanziamento bancario. I business plan sono stati redatti dalle aziende agricole sulla base della normativa vigente e sulle tariffe incentivanti previste dal conto energia: elementi questi fondamentali per la determinazione – temporale e reddituale – del ritorno degli investimenti e dei debiti da onorare con gli istituti bancari o altri Enti finanziatori;
    le aziende agricole hanno costruito e indirizzato i rispettivi investimenti nell'azienda sulla base di «regole del gioco» stabilite in modo certo dalla normativa che si intende modificare, compromettendo, tra l'altro, la graduale ristrutturazione e, conseguente, ammodernamento, del comparto agricolo per ciò che attiene la non produzione di esternalità negative per la società e l'ambiente, divenendo attori sociali, qualitativamente fondamentali, nel ripensamento dell'agricoltura italiana in chiave green (si consideri, a tal proposito, la nuova programmazione della Politica Agricola Comune 2014-2020 che prevede al suo interno la componente obbligatoria del greening) anche a fronte degli impegni europei che l'Italia ha assunto quando ha recepito la Direttiva UE 20-20-20 (Pacchetto clima);
    i capannoni ad uso agricolo costituiscono beni strumentali per lo svolgimento dell'attività medesima, a cui si aggiunge il fatto che spesso sono dotati di impianti fotovoltaici per la produzione di energia ai fini dell'autoconsumo aziendale,

impegna il Governo:

   in sede di legge di stabilità per l'anno 2015, a rendere strutturale la suddetta misura di cui al citato comma 1-bis dell'articolo 22 del provvedimento, introdotto in sede referente dal Senato;
   ad abrogare, nell'ambito di una revisione dell'imposizione fiscale sugli immobili, l'imposta municipale propria di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sui capannoni ad uso agricolo.
9/2433/13Franco Bordo, Palazzotto.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 22, comma 1, recante interventi di riduzione delle agevolazioni agricole, è intervenuto sulla fiscalità delle agroenergie, con l'obiettivo di modificare a partire dal periodo di imposta 2014, la determinazione del reddito imponibile derivante dalla produzione e cessione di energia elettrica a calore da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche, nonché di carburanti di prodotti da coltivazioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo effettuata dagli imprenditori agricoli;
    prima dell'introduzione dell'articolo 22, comma 1, tali attività di produzione e cessione di energia elettrica venivano considerate «connesse» alla produzione di reddito agrario, se questo risultava prevalente, venendo quindi ricomprese nel reddito forfettario e semplificato in base alle tariffe d'estimo catastali e non sottoposte a regime di tassazione analitico (costi e ricavi d'esercizio);
    il decreto-legge, abolendo tali agevolazioni, fa sì che – come specificato nella relazione tecnica di accompagnamento al decreto – il reddito sarà determinato apportando ai corrispettivi delle operazioni (cessioni), effettuate ai fini IVA, il coefficiente di redditività del 25 per cento, laddove a legislazione vigente tali operazioni (produzione e cessione) si considerano attività connesse e produttive di reddito agrario;
    la norma in esame novella l'articolo 1, comma 423, della legge del 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), concernente la forfettizzazione del reddito derivante dalla produzione di energia elettrica da biocombustibili agroforestali effettuate da aziende agricole;
    il comma 423 nel testo prevalente stabilisce che la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche, nonché di carburanti di prodotti da coltivazioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo effettuata dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell'articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considerano produttive di reddito agrario, fatta salva l'opzione per la determinazione del reddito nei modi ordinari;
    il Senato della Repubblica ha introdotto il comma 1-bis, che prevede che limitatamente all'anno 2014, la produzione e la cessione elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali, sino a 2.400.000 Kwh anno, e fotovoltaiche sino a 260.000 Kwh anno, nonché di carburanti ottenuti da produzioni vegetali provenienti dal fondo e dei prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse e si considerano produttive di reddito agrario. Per la produzione di energia oltre i limiti suddetti, il reddito ai fini IRPEF ed IRES è determinato applicando all'ammontare dei corrispettivi delle operazioni effettuate ai fini IVA, relativamente alla componente riconducibile alla valorizzazione dell'energia ceduta, con esclusione della quota incentivo, il coefficiente di redditività del 25 per cento;
    se la nuova impostazione, verrà stabilizzata nella conversione in legge, cambierà completamente il quadro fiscale e, quindi, la redditività di tutti gli impianti che sono stati finora considerati integrativi dell'attività agricola e agevolati di conseguenza;
    quanto previsto dall'articolo 22, comma 1, ha scatenato, giustamente, una dura reazione da parte del mondo dell'agricoltura, che teme pesanti contraccolpi sui piani d'investimento e sulle fonti di finanziamento bancario. I business plan sono stati redatti dalle aziende agricole sulla base della normativa vigente e sulle tariffe incentivanti previste dal conto energia: elementi questi fondamentali per la determinazione – temporale e reddituale – del ritorno degli investimenti e dei debiti da onorare con gli istituti bancari o altri Enti finanziatori;
    le aziende agricole hanno costruito e indirizzato i rispettivi investimenti nell'azienda sulla base di «regole del gioco» stabilite in modo certo dalla normativa che si intende modificare, compromettendo, tra l'altro, la graduale ristrutturazione e, conseguente, ammodernamento, del comparto agricolo per ciò che attiene la non produzione di esternalità negative per la società e l'ambiente, divenendo attori sociali, qualitativamente fondamentali, nel ripensamento dell'agricoltura italiana in chiave green (si consideri, a tal proposito, la nuova programmazione della Politica Agricola Comune 2014-2020 che prevede al suo interno la componente obbligatoria del greening) anche a fronte degli impegni europei che l'Italia ha assunto quando ha recepito la Direttiva UE 20-20-20 (Pacchetto clima);
    i capannoni ad uso agricolo costituiscono beni strumentali per lo svolgimento dell'attività medesima, a cui si aggiunge il fatto che spesso sono dotati di impianti fotovoltaici per la produzione di energia ai fini dell'autoconsumo aziendale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, in sede di sessione di bilancio 2015-2018, di rendere strutturale la suddetta misura di cui al citato comma 1-bis dell'articolo 22 del provvedimento, introdotto in sede referente dal Senato.
9/2433/13. (Testo modificato nel corso della seduta) Franco Bordo, Palazzotto.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del provvedimento in esame prevede la riduzione una tantum del cuneo fiscale per lavoratori dipendenti e assimilati, mentre dal provvedimento sono esclusi disoccupati, incapienti, pensionati e partite Iva;
    il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato il 16 maggio scorso che: «gli sgravi Irpef per incapienti, partite Iva e pensionati arriveranno nel 2015»;
    gli ultimi rilevamenti dell'Istat ci hanno restituito ancora una volta un'immagine drammatica: sono più di 3 milioni le lavoratrici e i lavoratori precari, la disoccupazione ha superato la soglia inaudita del 13 per cento, con punte che sfiorano il 45 per cento tra le e i più giovani; in breve, la sussistenza stessa di milioni di persone è messa a repentaglio dalla spirale crisi-austerità;
    si deve dunque giungere finalmente anche in Italia alla predisposizione, proprio contro la crisi e anche in chiave anticiclica e antirecessiva, di un meccanismo a garanzia del reddito di tutte le residenti e i residenti. Ci si deve concentrare nell'azione di governo sulle drammatiche condizioni materiali della vita delle persone e sulla necessità e l'urgenza di risposte immediate in questo senso;
    il modello da seguire sono gli schemi di tutela del reddito presenti nella maggior parte dei Paesi europei; esso deve essere rispettoso delle indicazioni in materia del Parlamento europeo, e prevedere un sostegno ai soggetti disoccupati, precariamente occupati o in cerca di prima occupazione pari ad almeno 600 euro mensili, oltre ad integrazioni in beni e servizi a carico delle Regioni;
    si tratterebbe di una misura simile in sostanza a quelle già adottate in Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. Salvo che in Italia e in Grecia infatti, misure di legge contro la povertà sono presenti in tutta Europa. Già nel 1992 il Consiglio europeo aveva invitato gli stati membri ad adeguarsi a chi aveva già introdotto il reddito di base tra le proprie politiche di welfare e la raccomandazione 92/411 di fatto impegnava gli stati ad adottare misure di garanzia di reddito;
    la situazione europea è la seguente:
     in Belgio viene elargito il Minimax, una rendita mensile di 650 euro, rilasciata a titolo individuale, a cui può avere accesso chiunque;
     in Lussemburgo abbiamo il Revenu Minimum Garanti, un reddito individuale che si aggira intorno ai 1.100 euro e che si ottiene fino al raggiungimento di una migliore condizione economica (in altre parole, finché non si trova un impiego stabile);
     in Olanda esiste il Beinstand, rilasciato a titolo individuale, che si accompagna a tutta una serie di sostegni per affitti, trasporti e accesso alla cultura. Esiste inoltre un'altra forma di reddito minimo di 500 euro, il Wik, garantito agli artisti per poter permettere loro di creare in libertà senza troppi oneri economici;
     in Austria c’è il Sozialhilfe (letteralmente «aiuto sociale») affiancato a diverse coperture delle utenze quali elettricità, gas e affitto ed altri aiuti economici per il cibo;
     in Norvegia viene chiamato «reddito di esistenza» (che già nel nome si presenta significativo): si tratta di un versamento mensile di 500 euro, elargito individualmente, che si integra a coperture dell'affitto e dell'elettricità;
     in Germania esiste l'Arbeitslosengeld II, rilasciato a tutti coloro, di età compresa tra i 16 e i 65 anni, che non hanno un lavoro o appartengono a fasce di basso reddito. Si tratta di una rendita mensile di 345 euro, che di per sé non è elevata, ma si integra alle coperture dei costi di affitto e riscaldamento. Questa rendita inoltre è illimitata nel tempo e viene garantita non solo ai cittadini tedeschi, ma anche agli stranieri con regolare permesso di soggiorno;
     in Gran Bretagna, paese precursore per quel che riguarda il sostegno al reddito, sono garantiti diversi interventi che permettono ai meno abbienti di poter avere un tenore di vita discreto. L'Income Based Jobseeker's Allowance è una rendita individuale illimitata nel tempo, che varia dai 300 ai 500 euro, rilasciata sempre a titolo individuale a partire dai 18 anni di età a tutti coloro i cui risparmi non raggiungono i 12.775 euro. Viene inoltre garantita la copertura dell'affitto (Housing benefit) e vengono rilasciati assegni familiari per il mantenimento dei tigli. Sempre per quanto riguarda i figli e la loro educazione c’è l'Education Maintenance Allowance, un sussidio rilasciato direttamente ai ragazzi per coprire le spese dei loro studi. Infine c’è l'Income Support, un sussidio di durata illimitata, garantito a chi ha un lavoro che ammonta a meno di 16 ore settimanali;
     in Francia, il Revenu Minimum d'Insertion o Rtni è stato adottato dal 1988, si ottiene dai 25 anni in su e consiste in un'integrazione al reddito di circa 425 euro se si è single, 638,10 euro se si è in coppia, 765,72 euro se la coppia ha un figlio, 893,34 euro se ne ha due, più 170 euro per ogni altro figlio. Le coppie con almeno un figlio hanno diritto poi alle Allocations Familiales, valide lino al compimento del 21o anno di età del figlio. Per ogni nato, bimbo adottato o in affido c’è la Prestation d'Accueil du Jeune Enfant (Paje), che varia dai 138 ai 211 euro mensili. Sempre per ciò che riguarda i figli, alle famiglie con bimbi o ragazzi in età scolare e che non superano ima determinata fascia di reddito, viene assegnata l'Allocation de Rentrée Scolaire, un sussidio di circa 247 euro destinato all'acquisto del materiale scolastico. Per poter beneficiare dei contributi sugli affitti basta poi dimostrare che l'appartamento in cui si vive sia proporzionato al numero degli abitanti. Si possono inoltre ottenere prestiti sociali per la ristrutturazione della propria abitazione anche se si è affittuari;
    nel nostro Paese si spende solo lo 0,61 per cento del Pil per il contrasto alla disoccupazione, contro una media europea del 2,2 per cento. Allarmante è il tasso di copertura dei giovani disoccupati (sotto i 25 anni di età): 0,65 per cento contro 57 per cento di Gran Bretagna, 53 per cento di Danimarca e 51 per cento del Belgio. Per famiglia e infanzia si spende solo l'1,1 per cento del Pil contro una media del 2,4 per cento in Europa;
    questi dati dimostrano ancora una volta come il nostro Paese non tenga minimamente in conto il futuro, i giovani disoccupati e i ragazzi che affrontano la scuola;
    l'inserimento del reddito di base tra le politiche di welfare è un investimento sul futuro, una garanzia di libertà per i cittadini poiché ha come vantaggio la riduzione del condizionamento nella scelta del lavoro, favorendo così la qualità del lavoro stesso. È d'obbligo sottolineare come questo principio venga applicato con dei paletti: in Europa abbiamo infatti casi di reddito minimo garantito condizionato, ovvero legato a precisi requisiti quali l'obbligo di accettare un'offerta lavorativa adeguata, oppure l'appartenenza ad una particolare fascia di reddito o d'età;
    il Rapporto Istat 2014 del maggio scorso denuncia che l'Italia è tra i Paesi europei con la maggiore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi primari;
    in Italia, tre proposte, in forme diverse, sono state avanzate nel 2013 dal Movimento 5 stelle, dal Partito democratico e da Sinistra ecologia e libertà;
    prima di allora ad affrontare in Parlamento l'adozione di uno strumento simile al reddito minimo garantito era stato, nel 1998, il Governo Prodi, con l'introduzione del Reddito minino d'inserimento, una misura che prevedeva, in alcuni comuni italiani, in via sperimentale, integrazioni economiche e programmi di reinserimento personalizzato. Un progetto terminato nel 2004 e non rinnovato dall'allora Governo di centrodestra. Quello stesso anno nella Finanziaria il governo Berlusconi creò il «Reddito di ultima istanza», che doveva rappresentare una legge «generale di contrasto della povertà». Le misure attuative però rimasero poco chiare e la Corte costituzionale mise fine al progetto, sempre nel 2004, ritenendo illegittime alcune disposizioni presenti nel testo;
    al beneficiario del reddito minimo garantito dovranno essere proposte eventuali offerte di impiego, purché le stesse siano effettivamente compatibili con la carriera lavorativa pregressa del soggetto e con le competenze, formali o informali, in suo possesso;
    si ritiene altresì utile fissare un salario minimo orario e riordinare gli ammortizzatori sociali e la spesa assistenziale in genere, allo scopo di rendere l'insieme del welfare italiano coerente con la nuova misura di garanzia dei minimi vitali;
    da troppo tempo l'Italia aspetta risposte e forme di regolamentazione nuove, adatte a fornire tutela al cittadino nell'epoca della crisi e della tosi detta «produzione flessibile». Da troppo tempo il nostro Paese attende che vengano corrette le drammatiche carenze di un sistema di protezione sociale incapace di offrire tutele adeguate ai soggetti più esposti ai rischi di esclusione sociale, giovani, donne e lavoratrici e lavoratori precari primi fra tutti,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative anche legislative al fine di introdurre nel nostro Paese il reddito minimo garantito secondo le indicazioni contenute in premessa.
9/2433/14Costantino, Di Salvo, Airaudo, Paglia, Lavagno.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 6 del provvedimento al nostro esame dispone, al comma 1, che nelle more dell'attuazione degli obiettivi di stima della spesa e monitoraggio dell'evasione fiscale e della relativa attività di controllo, così come previsti dagli articoli 3 e 9 della legge 11 marzo 2014, n. 23 (recante «Delega del Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita»), il Governo presenti alle Camere – entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del testo in esame – un rapporto sulla realizzazione delle strategie adottate nei confronti dell'evasione fiscale, sui risultati conseguiti nel corso del 2013 specificati per ciascuna Regione e nell'anno in corso, nonché su quelli attesi;
    nel rapporto andrà specificato sia il recupero di gettito derivante da accertamento di evasione sia quello attribuibile alla maggiore propensione all'adempimento da parte dei contribuenti, come effetto delle misure e degli interventi definiti. Ai sensi del comma 2, anche sulla base degli indirizzi forniti dalle Camere, il Governo si impegna alla definizione di un programma con ulteriori misure ed interventi per il rafforzamento dell'azione di prevenzione e di contrasto all'evasione fiscale, allo scopo di conseguire nell'anno 2015 un incremento di almeno 2 miliardi di euro di entrate dalla lotta all'evasione fiscale rispetto a quelle ottenute nell'anno 2013;
    per quanto riguarda l'obiettivo del conseguimento, nell'anno 2015, di un incremento di almeno 2 miliardi di euro di recupero di entrate dalla lotta all'evasione fiscale rispetto a quelle ottenute nell'anno 2013, non è stata fornita alcuna informazione in ordine ad eventuali strumenti o a metodologie che si ipotizza di utilizzare per il raggiungimento dell'obiettivo, in aggiunta a quanto già posto in essere dall'Amministrazione finanziaria o è già possibile attuare sulla base della legislazione vigente, né si prefigurano specifici interventi o azioni nel caso in cui il risultato indicato non fosse raggiunto; pertanto potrebbe non risultare conseguibile il risultato che ci si propone in assenza di strumenti efficaci volti al raggiungimento dell'obiettivo auspicato di rafforzamento dell'azione di contrasto all'evasione fiscale;
    l'evasione ha raggiunto nel nostro Paese livelli ragguardevoli: nella documentazione depositata dal Direttore dell'Agenzia delle entrate il 2 aprile u.s., in occasione di un'audizione presso la Commissione finanze del Senato, il tax-gap, ovvero la misura complessiva del mancato gettito dell'IRPEF derivante da lavoro autonomo, dell'addizionale IRPEF, dell'IRES, dell'IVA e dell'IRAP del settore privato è stimato in 89 miliardi con riferimento all'anno 2011;
    l'evasione fiscale nel suo complesso secondo le stime più recenti (Giovannini – luglio 2011 – «Economia non osservata e flussi finanziari») si colloca attorno ai 150 miliardi di euro;
    l'evasione fiscale rappresenta un fenomeno troppo complesso e profondo per essere debellato unicamente con l'attività di controllo e accertamento, e necessita dunque di una strategia di contrasto più articolata;
    si deve prospettare una via diversa per la riduzione dell'evasione: non solo la repressione ex post, ma anche e soprattutto una attività di prevenzione, agendo prima di tutto sulle regole del gioco attraverso misure di carattere legislativo, procedurale e organizzativo in grado di interferire in modo mirato con i meccanismi stessi dell'evasione, che per questo devono essere accuratamente individuati e analizzati;
    è stata la strategia seguita durante i Governi di centro-sinistra nei periodi 1996-2000 e 2006-2008, con risultati molto rilevanti che in parte permangono ancora oggi. Tuttavia, è stata abbandonata e contraddetta dai Governi successivi, compresi quelli di Mario Monti ed Enrico Letta;
    introducendo modifiche legislative mirate e utilizzando strumenti tecnologici che la rendono più difficile da attuare e più facile da individuare, è possibile ridurre drasticamente l'evasione fiscale, senza che questo comporti nessun aggravio, neanche amministrativo, per chi già paga regolarmente le tasse, rendendo così disponibili risorse per una contestuale ed egualmente rilevante riduzione delle imposte ed in particolare dell'Irpef;
    l'evasione dell'Iva è alla base della successiva evasione delle imposte dirette e dell'Irap, sicché una maggiore riduzione del fenomeno comporta in teoria un recupero di gettito molto più elevato. Ad esempio, le misure di contrasto individuate da un recente studio del NENS sono numerose. Tra queste, l'uso del meccanismo del reverse charge (autofatturazione) in alcuni settori, strumento tra l'altro in grado di eliminare il ricorso a fatture false (vedi Mose); l'applicazione dell'aliquota ordinaria per gli scambi intermedi; l'adozione del metodo di calcolo base per base, anziché imposta da imposta per le cessioni al consumo finale del commercio, l'adozione generalizzata della fatturazione telematica; l'introduzione degli scontrini telematici e di una speciale carta telematica per i pagamenti per i quali viene rilasciata la ricevuta fiscale anziché lo scontrino; l'accredito diretto nel bilancio dello Stato dell'Iva dovuta dalla PA;
    fonti ufficiali (Consip) quantificano in 136 miliardi di euro, nel 2011, la spesa per acquisti di beni e servizi della pubblica amministrazione. Si tratta della terza voce di spesa, dopo le pensioni e gli stipendi dei dipendenti pubblici. Gli acquisti della PA sono assoggettati all'IVA rappresentano una spesa non recuperabile, dato che la PA non applica l'imposta ai servizi che eroga a pagamento (ticket sanitari, rette scolastiche, e così via);
    in teoria, la spesa IVA dello Stato dovrebbe essere controbilanciata da un'entrata di pari ammontare. Una partita di giro, insomma, l'IVA pagata da un ministero dovrebbe pareggiare l'entrata IVA degli uffici fiscali e tale uguaglianza tra entrate e uscite dovrebbe valere anche per l'intera PA;
    in realtà, gli incassi sono minori degli esborsi in quanto una parte dell'IVA versata non viene recuperata, per almeno due ragioni. La prima: i fornitori possono trovarsi in situazioni di insolvenza e, addirittura, fallire, rendendo arduo il recupero dell'eventuale credito Iva da parte dell'Agenzia delle Entrate. La seconda ragione attiene all'evasione fiscale, che trova nell'IVA nell'Irpef i pascoli più capienti e più battuti. Anche tra i fornitori della pubblica amministrazione, così come tra subappaltatori delle opere commissionate e pagate dalla PA, si annidano certamente fenomeni di evasione IVA;
    si tratta di modificare l'attuale meccanismo di versamento dell'IVA attribuendolo all'acquirente pubblico. Invece che liquidare l'imposta sul valore aggiunto al fornitore assieme al valore della fornitura, un ente pubblico dovrebbe versare direttamente l'IVA allo Stato, su un apposito capitolo di bilancio. Il fornitore, esentato così da un adempimento fiscale, dovrebbe limitarsi a registrare un credito di pari importo nel suo registro IVA, come se avesse effettivamente versato direttamente quella cifra all'erario;
    il meccanismo sarebbe applicabile a tutti i soggetti della PA: Stato, Regioni, comuni, Inps e così via, e non richiede alcuna autorizzazione comunitaria poiché, pur essendo l'IVA un'imposta assoggettata alla disciplina europea, non verrebbero modificati né il campo di applicazione, né le aliquote, ma soltanto le modalità di (parziale) riscossione e queste rientrano nella potestà nazionale;
    quegli operatori (imprese, professionisti) che operano prevalentemente con la PA potrebbero risultare danneggiati dal nuovo meccanismo di versamento dell'IVA in quanto finirebbero per maturare ingenti crediti nei confronti dello Stato e sperimentare problemi di liquidità. Alla difficoltà si può ovviare agevolmente consentendo a tali operatori di richiedere rimborsi (o effettuare compensazioni) con cadenza infrannuale;
    l'ambito di applicazione del reato di falso in bilancio è stato molto ridotto dal governo Berlusconi nel 2002, mentre rappresenta un immediato contributo alla legalità;
    occorre altresì introdurre nell'ordinamento italiano il reato di autoriciclaggio, cioè quello commesso da chi «lava» denaro che in precedenza egli stesso ha ottenuto illecitamente. Oggi in Italia – nonostante le sollecitazioni arrivate dal Fondo monetario internazionale, dalla Commissione europea e dalla stessa Bankitalia – non è perseguito, perché la reimmissione nell'economia di soldi sporchi viene considerata solo un «effetto collaterale» del reato da cui sono stati ottenuti i proventi illeciti. E il riciclaggio, ai sensi del nostro Codice penale, viene punito solo «fuori dai casi di concorso nel reato» che ne è il presupposto;
    ciò rappresenta un grosso problema non solo per le forze che si occupano di lotta al crimine organizzato – non per niente l'autoriciclaggio è stato invocato dalla commissione di studio presso il ministero della Giustizia presieduta dal pm Francesco Greco – ma anche per chi deve individuare gli evasori: così stando le cose, infatti, non è per esempio punibile l'imprenditore che usi società fittizie («cartiere») per sottrarre denaro all'azienda e al Fisco ed utilizzarlo a fini personali;
    occorre anche unificare e far comunicare le banche dati e portare la soglia di tracciabilità a 500 euro (attualmente il limite all'uso del contante è fissato a 1.000 euro);
    spesso aziende e privati cittadini mettono in essere diverse forme di evasione fiscale per costituire fondi neri di cui utilizzano le disponibilità finanziarie anche per corrompere funzionari pubblici ed esponenti politici. Secondo il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, «la corruzione è la chiave di volta per l'ingresso della criminalità organizzata nell'economia legale». Il magistrato ha citato una stima della Commissione europea secondo cui la corruzione in Italia vale circa 60 miliardi di euro l'anno, cioè metà della cifra stimata complessivamente per la Ue. Ma ha detto ancora il procuratore nazionale: «il 35 per cento dei reati, e in particolare quelli legati alla corruzione, non vengono puniti a causa della prescrizione»,

impegna il Governo:

   a prendere le opportune iniziative anche legislative al fine di:
    a) riformare l'IVA secondo i criteri indicati in premessa;
    b) realizzare l'accredito diretto nel bilancio dello Stato dell'IVA dovuta dalla Pa;
    c) reintrodurre i reati di falso in bilancio e di auto riciclaggio;
    d) ridurre la soglia di tracciabilità a 500 euro;
    e) eliminare la prescrizione nel caso dei reati di corruzione.
9/2433/15Marcon, Lavagno, Paglia.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 66 del 2014, ribattezzato anche «decreto bonus», prevede, per l'anno 2014, il riconoscimento di un credito in favore dei percettori di redditi di lavoro dipendente e di taluni redditi assimilati, pari ad un importo fisso di 640 euro, qualora il reddito complessivo non sia superiore a 24.000 euro, e decrescente al superamento del predetto limite, fino ad azzerarsi al raggiungimento di un livello di reddito pari a 26.000 euro;
    il beneficio prodotto dal bonus fiscale è massimo per i redditi tra gli 8 mila ed i 15 mila euro annui, mantenendosi a livelli comunque significativi anche per redditi fino a 24 mila euro;
    riguardo agli anni successivi al 2014, per la costituzione di una parte delle risorse, relative a rendere «permanente» il beneficio in esame, il comma 6 dell'articolo 50 istituisce, un fondo, denominato «Fondo destinato alla concessione di benefici economici a favore dei lavoratori dipendenti»;
    tale provvedimento intenderebbe operare una redistribuzione dei redditi in favore di quelli bassi, al fine di dare un impulso all'economia e ai consumi grazie a un'immediata ed aumentata disponibilità di denaro;
    è stato valutato, da parte di molti analisti, che l'aumento dei consumi interni e il rilancio della domanda sarà ridotto rispetto alle attese, anche perché il decreto-legge esclude dalla platea dei beneficiari del bonus i redditi più bassi, lasciando fuori gli incapienti e i pensionati che, da un lato, rappresentano le fasce sociali più bisognose di un intervento statale a loro sostegno e, dall'altro, hanno una maggiore propensione al consumo;
    si tratta di una platea di 15 milioni di pensionati e 4 milioni di dipendenti incapienti, a cui devono aggiungersi quei lavoratori che ancora risultano «esodati» e circa 3 milioni di disoccupati; per loro il riconoscimento del beneficio è rinviato ad un futuro indeterminato,

impegna il Governo

a includere, attraverso ulteriori iniziative normative, tra i soggetti beneficiari del bonus di cui all'articolo 1 del decreto-legge in esame, fin dal primo provvedimento successivo adottato, i pensionati e i cosiddetti incapienti (soggetti con reddito inferiore a 8.000), soggetti ritenuti da sempre tra i più penalizzati dall'attuale impianto fiscale e a individuare le opportune coperture finanziarie.
9/2433/16Placido, Di Salvo.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 66 del 2014, ribattezzato anche «decreto bonus», prevede, per l'anno 2014, il riconoscimento di un credito in favore dei percettori di redditi di lavoro dipendente e di taluni redditi assimilati, pari ad un importo fisso di 640 euro, qualora il reddito complessivo non sia superiore a 24.000 euro, e decrescente al superamento del predetto limite, fino ad azzerarsi al raggiungimento di un livello di reddito pari a 26.000 euro;
    il beneficio prodotto dal bonus fiscale è massimo per i redditi tra gli 8 mila ed i 15 mila euro annui, mantenendosi a livelli comunque significativi anche per redditi fino a 24 mila euro;
    riguardo agli anni successivi al 2014, per la costituzione di una parte delle risorse, relative a rendere «permanente» il beneficio in esame, il comma 6 dell'articolo 50 istituisce, un fondo, denominato «Fondo destinato alla concessione di benefici economici a favore dei lavoratori dipendenti»;
    tale provvedimento intenderebbe operare una redistribuzione dei redditi in favore di quelli bassi, al fine di dare un impulso all'economia e ai consumi grazie a un'immediata ed aumentata disponibilità di denaro;
    è stato valutato, da parte di molti analisti, che l'aumento dei consumi interni e il rilancio della domanda sarà ridotto rispetto alle attese, anche perché il decreto-legge esclude dalla platea dei beneficiari del bonus i redditi più bassi, lasciando fuori gli incapienti e i pensionati che, da un lato, rappresentano le fasce sociali più bisognose di un intervento statale a loro sostegno e, dall'altro, hanno una maggiore propensione al consumo;
    si tratta di una platea di 15 milioni di pensionati e 4 milioni di dipendenti incapienti, a cui devono aggiungersi quei lavoratori che ancora risultano «esodati» e circa 3 milioni di disoccupati; per loro il riconoscimento del beneficio è rinviato ad un futuro indeterminato,

impegna il Governo

ad assumere iniziative nella prossima sessione di bilancio, per includere tra i soggetti beneficiari del bonus di cui all'articolo 1 del decreto-legge in esame i pensionati e i cosiddetti incapienti (soggetti con reddito inferiore a 8.000), soggetti ritenuti da sempre tra i più penalizzati dall'attuale impianto fiscale e a individuare le opportune coperture finanziarie.
9/2433/16. (Testo modificato nel corso della seduta) Placido, Di Salvo.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame, all'articolo 20, commi 1 e 5, prevede che le società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato e le società direttamente o indirettamente controllate dallo Stato procedano ad una politica di spending review, ed in particolare che: «al fine del perseguimento di una maggiore efficienza e del contenimento della spesa pubblica, le società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato e le società direttamente o indirettamente controllate dallo Stato [...] realizzano, nel biennio 2014-2015, una riduzione dei costi operativi, esclusi gli ammortamenti e le svalutazioni delle immobilizzazioni nonché gli accantonamenti per rischi, nella misura non inferiore al 2,5 per cento nel 2014 ed al 4 per cento nel 2015» e che «per il biennio 2014-2015, i compensi variabili degli amministratori delegati e dei dirigenti per i quali è contrattualmente prevista una componente variabile della retribuzione, sono collegati in misura non inferiore al 30 per cento ad obiettivi riguardanti l'ulteriore riduzione dei costi rispetto agli obiettivi di efficientamento di cui ai precedenti commi»;
    vi è il rischio concreto, ed in alcuni casi sta già accadendo, che in tali società la riduzione dei costi venga effettuata prevalentemente e a partire dalla riduzione del personale, attraverso licenziamenti o il mancato rinnovo dei contratti a termine o attraverso il mancato inserimento effettivo tramite contratto a tempo indeterminato dei contratti di inserimento;
    a proposito di quest'ultima fattispecie (i contratti di inserimento) vi è da sottolineare come spesso in fase di stipula è stato più volte assicurato alle lavoratrici e ai lavoratori da parte dei datori di lavoro, che al termine dello stesso si sarebbe proceduto al loro inserimento effettivo in organico tramite contratto a tempo indeterminato e adesso, proprio a causa delle norme previste nel «decreto Irpef», molte aziende stanno tornando sui propri passi non assumendo più i giovani con i contratti di inserimento in scadenza;
    spesso i dipendenti interessati sono altamente qualificati, con laurea 110 e lode e in possesso di master post-laurea e la loro mancata conferma sarebbe un inutile spreco di risorse e di giovani energie già formate, la cui perdita rappresenterebbe un grosso svantaggio per l'azienda in cui hanno lavorato e per il Paese che continua a perdere e a mortificare le migliori eccellenze;
    senza il supporto di personale altamente qualificato, difficilmente gli obiettivi operativi potranno continuare ad essere raggiunti,

impegna il Governo

affinché, nell'ambito dell'operazione di revisione di spesa di cui all'articolo 20, commi 1 e 5 del provvedimento, gli effetti non ricadano principalmente sulle lavoratrici e sui lavoratori, a procedere prioritariamente all'eliminazione di altri capitoli di spesa come, ad esempio, ove presenti, i milionari contratti di consulenza sottoscritti con i dirigenti in pensione, le opere monumentali auto-celebrative in costruzione ed i premi riconosciuti alla dirigenza per il raggiungimento degli obiettivi operativi.
9/2433/17Palazzotto, Ferrara.


   La Camera,
   premesso che:
    l'imposta regionale sulle attività produttive è da tempo oggetto di un ampio dibattito incentrato su alcune ipotesi di riforma relative alla riduzione o alla abolizione di questo strumento di prelievo, percepito dagli operatori economici come iniquo. L'argomentazione a sostegno di queste tesi si basa sul fatto che una diminuzione del prelievo potrebbe supportare, ovvero stimolare, il sistema produttivo, soprattutto in termini di competitività, trattandosi di un'imposta che colpisce la ricchezza allo stadio della sua produzione ed è commisurata al valore aggiunto generato dall'attività produttiva al netto degli ammortamenti. Inoltre i meccanismi di rideterminazione della base imponibile, nonché la rimodulazione delle aliquote di imposta, potrebbero comportare effetti di redistribuzione del carico fiscale sul sistema produttivo ed influenzare le scelte imprenditoriali;
    l'intervento sul fattore lavoro è l'elemento comune a tutte le proposte di riforma attualmente studiate, e prevedono una deducibilità totale o parziale del costo del lavoro dalla sua base imponibile. Per i sostenitori della prima ipotesi, l'integrale deducibilità del costo del lavoro in generale comporterebbe un vantaggio relativo nell'impiego del fattore lavoro unitamente ad un aumento della competitività delle imprese attraverso la riduzione dei costi di produzione;
    per l'attuale disciplina dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, il costo del lavoro è, salvo eccezioni, una componente indeducibile, e quindi tassata ai fini dell'applicazione dell'imposta;
    la suddetta componente è passata negli ultimi anni attraverso diversi correttivi tesi ad alleggerirne il peso, come, da ultimo, quello previsto dall'articolo 2 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cosiddetto «decreto salva Italia») che prevede l'integrale deducibilità, ai fini IRPEF/IRES, della quota IRAP gravante sul costo del lavoro dipendente e assimilato, che pur avendo assicurato una riduzione di circa 2,2 miliardi di euro, non si è rivelata una scelta risolutiva visto che si stima che la componente Irap sul lavoro si aggiri ancora intorno ai 10 miliardi, con un costo effettivo per le imprese che sfiora i 6-7 miliardi di euro;
    l'aver incluso nella base imponibile dell'imposta (costituita da utili/perdite + costo del lavoro + costo del debito) e quindi molto più ampia dei profitti stessi, il costo del lavoro, non solo ha penalizzato le imprese ad alto livello occupazionale, ma ha generato il paradosso, che, in caso di reddito nullo o negativo, essa è dovuta anche in assenza di capacità contributiva;
    è evidente che ogni intervento finalizzato a ridurre le tre diverse componenti del cuneo sul lavoro avrebbe un impatto macroeconomico importante. Va tuttavia considerato come molte analisi dicano che gli effetti di questi interventi non sono sempre uguali. E che quelli tesi a ridurre Irap e contributi sociali sembrano restituire i risultati migliori sia in termini di crescita del Pil, sia in termini di maggiore occupazione, sia in termini di maggiori consumi;
    invero, come ricorda anche un recente studio realizzato dalla società di analisi economiche «Prometeia», a parità di riduzione del cuneo fiscale, intervenire su una componente piuttosto che su un'altra ha effetti diversi sulla domanda aggregata: più precisamente, una riduzione dell'Irpef, come quella attuata con il riconoscimento del cosiddetto «bonus» non riduce direttamente il costo del lavoro (se non come effetto indotto da un'eventuale e successiva minore spinta salariale) ma va ad aumentare, a parità di costo per il datore di lavoro, la retribuzione netta del lavoratore, con un effetto positivo sul reddito disponibile, invece una riduzione degli oneri sociali sostenuti dall'impresa e dell'Irap, a parità di retribuzione per il lavoratore, si trasferisce direttamente sul costo del lavoro e, nella misura in cui comporta una riduzione dei prezzi, fa aumentare la competitività dei prodotti italiani, sia sui mercati esteri che su quello interno, sostenendo l’export e rendendo più convenienti le produzioni nazionali anche sul mercato domestico;
    nell'ottica di una revisione complessiva degli interventi sul mercato del lavoro, la deducibilità del costo del lavoro dall'Irap sostituirebbe gli incentivi alle assunzioni per tutti i lavoratori,

impegna il Governo

ad incentivare le assunzioni nelle imprese, escludendo, con futuri interventi normativi, dall'ambito di applicazione dell'IRAP il costo del lavoro per quelle imprese che assumono ex novo lavoratori con contratto di lavoro subordinato, a tempo determinato o indeterminato, o che si impegnano a stabilizzare i contratti di lavoro in essere, senza ridurre il numero dei loro occupati, consentendo inoltre alle stesse imprese di portare in deduzione l'intero ammontare del costo del lavoro, destinando a tal fine le risorse attualmente impegnate per finanziare la riduzione standard dell'aliquota.
9/2433/18Ferrara, Paglia, Lavagno.


   La Camera,
   premesso che:
    l'imposta regionale sulle attività produttive è da tempo oggetto di un ampio dibattito incentrato su alcune ipotesi di riforma relative alla riduzione o alla abolizione di questo strumento di prelievo, percepito dagli operatori economici come iniquo. L'argomentazione a sostegno di queste tesi si basa sul fatto che una diminuzione del prelievo potrebbe supportare, ovvero stimolare, il sistema produttivo, soprattutto in termini di competitività, trattandosi di un'imposta che colpisce la ricchezza allo stadio della sua produzione ed è commisurata al valore aggiunto generato dall'attività produttiva al netto degli ammortamenti. Inoltre i meccanismi di rideterminazione della base imponibile, nonché la rimodulazione delle aliquote di imposta, potrebbero comportare effetti di redistribuzione del carico fiscale sul sistema produttivo ed influenzare le scelte imprenditoriali;
    l'intervento sul fattore lavoro è l'elemento comune a tutte le proposte di riforma attualmente studiate, e prevedono una deducibilità totale o parziale del costo del lavoro dalla sua base imponibile. Per i sostenitori della prima ipotesi, l'integrale deducibilità del costo del lavoro in generale comporterebbe un vantaggio relativo nell'impiego del fattore lavoro unitamente ad un aumento della competitività delle imprese attraverso la riduzione dei costi di produzione;
    per l'attuale disciplina dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, il costo del lavoro è, salvo eccezioni, una componente indeducibile, e quindi tassata ai fini dell'applicazione dell'imposta;
    la suddetta componente è passata negli ultimi anni attraverso diversi correttivi tesi ad alleggerirne il peso, come, da ultimo, quello previsto dall'articolo 2 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cosiddetto «decreto salva Italia») che prevede l'integrale deducibilità, ai fini IRPEF/IRES, della quota IRAP gravante sul costo del lavoro dipendente e assimilato, che pur avendo assicurato una riduzione di circa 2,2 miliardi di euro, non si è rivelata una scelta risolutiva visto che si stima che la componente Irap sul lavoro si aggiri ancora intorno ai 10 miliardi, con un costo effettivo per le imprese che sfiora i 6-7 miliardi di euro;
    l'aver incluso nella base imponibile dell'imposta (costituita da utili/perdite + costo del lavoro + costo del debito) e quindi molto più ampia dei profitti stessi, il costo del lavoro, non solo ha penalizzato le imprese ad alto livello occupazionale, ma ha generato il paradosso, che, in caso di reddito nullo o negativo, essa è dovuta anche in assenza di capacità contributiva;
    è evidente che ogni intervento finalizzato a ridurre le tre diverse componenti del cuneo sul lavoro avrebbe un impatto macroeconomico importante. Va tuttavia considerato come molte analisi dicano che gli effetti di questi interventi non sono sempre uguali. E che quelli tesi a ridurre Irap e contributi sociali sembrano restituire i risultati migliori sia in termini di crescita del Pil, sia in termini di maggiore occupazione, sia in termini di maggiori consumi;
    invero, come ricorda anche un recente studio realizzato dalla società di analisi economiche «Prometeia», a parità di riduzione del cuneo fiscale, intervenire su una componente piuttosto che su un'altra ha effetti diversi sulla domanda aggregata: più precisamente, una riduzione dell'Irpef, come quella attuata con il riconoscimento del cosiddetto «bonus» non riduce direttamente il costo del lavoro (se non come effetto indotto da un'eventuale e successiva minore spinta salariale) ma va ad aumentare, a parità di costo per il datore di lavoro, la retribuzione netta del lavoratore, con un effetto positivo sul reddito disponibile, invece una riduzione degli oneri sociali sostenuti dall'impresa e dell'Irap, a parità di retribuzione per il lavoratore, si trasferisce direttamente sul costo del lavoro e, nella misura in cui comporta una riduzione dei prezzi, fa aumentare la competitività dei prodotti italiani, sia sui mercati esteri che su quello interno, sostenendo l’export e rendendo più convenienti le produzioni nazionali anche sul mercato domestico;
    nell'ottica di una revisione complessiva degli interventi sul mercato del lavoro, la deducibilità del costo del lavoro dall'Irap sostituirebbe gli incentivi alle assunzioni per tutti i lavoratori,

impegna il Governo

ad incentivare le assunzioni nelle imprese, anche valutando la possibilità di escludere progressivamente, con futuri interventi normativi, dalla base imponibile dell'IRAP il costo del lavoro per quelle imprese che assumono ex novo lavoratori con contratto di lavoro subordinato, a tempo determinato o indeterminato, o che si impegnano a stabilizzare i contratti di lavoro in essere, senza ridurre il numero dei loro occupati.
9/2433/18. (Testo modificato nel corso della seduta) Ferrara, Paglia, Lavagno.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8, comma 8, lettera a) del provvedimento in esame autorizza le pubbliche amministrazioni a ridurre del 5 per cento i corrispettivi dei contratti di fornitura di beni e di prestazione di servizi in essere o in fase di stipula a seguito di avvenuta aggiudicazione al 24 aprile 2014, indipendentemente dalla tipologia dei fruitori e dalla tipologia dei servizi erogati, realizzando ancora una volta un taglio lineare della spesa pubblica;
    l'applicazione della suddetta norma, nel caso dei servizi rivolti alle persone con disabilità, comporterà la riduzione del numero di prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e sociali per tali persone che, al contrario, devono essere beneficiarie di servizi appartenenti ai livelli essenziali di assistenza, e conseguentemente una riduzione dei livelli occupazionali per fasce di lavoratori non tutelati nel settore da ammortizzatori sociali;
    ciò rappresenta pertanto un grave rischio per la tutela dei diritti fondamentali delle persone con disabilità e dei loro familiari in tutta Italia, ma anche per l'intera tenuta del sistema del welfare, già pesantemente compromessa da ulteriori tagli lineari già precedentemente realizzati,

impegna il Governo

ad escludere, con futuri interventi normativi, dall'ambito applicativo della suddetta norma i servizi rivolti alla tutela dei diritti e della salute delle persone con disabilità.
9/2433/19Lavagno, Nicchi, Paglia.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8, comma 8, lettera a) del provvedimento in esame autorizza le pubbliche amministrazioni a ridurre del 5 per cento i corrispettivi dei contratti di fornitura di beni e di prestazione di servizi in essere o in fase di stipula a seguito di avvenuta aggiudicazione al 24 aprile 2014, indipendentemente dalla tipologia dei fruitori e dalla tipologia dei servizi erogati, realizzando ancora una volta un taglio lineare della spesa pubblica;
    l'applicazione della suddetta norma, nel caso dei servizi rivolti alle persone con disabilità, comporterà la riduzione del numero di prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e sociali per tali persone che, al contrario, devono essere beneficiarie di servizi appartenenti ai livelli essenziali di assistenza, e conseguentemente una riduzione dei livelli occupazionali per fasce di lavoratori non tutelati nel settore da ammortizzatori sociali;
    ciò rappresenta pertanto un grave rischio per la tutela dei diritti fondamentali delle persone con disabilità e dei loro familiari in tutta Italia, ma anche per l'intera tenuta del sistema del welfare, già pesantemente compromessa da ulteriori tagli lineari già precedentemente realizzati,

impegna il Governo

ad applicare la suddetta norma in modo da non incidere negativamente sui servizi rivolti alla tutela dei diritti e della salute delle persone con disabilità.
9/2433/19. (Testo modificato nel corso della seduta) Lavagno, Nicchi, Paglia.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 5-bis si prevede l'introduzione di un diritto di riscossione da parte degli uffici consolari di euro 300 per il trattamento della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana di persona maggiorenne;
    si tratta di un onere non irrilevante soprattutto per nuclei familiari composti da più persone in condizione di avanzare la domanda di riconoscimento della cittadinanza e per le realtà dove i livelli di reddito sono spesso notevolmente più bassi rispetto a quelli europei e i tassi di cambio in genere penalizzanti;
    la motivazione addotta a sostegno dell'emendamento poi integrato nel provvedimento è stata di recuperare risorse aggiuntive da destinare in particolar modo ad un più rapido espletamento, tramite l'assunzione di contrattisti di diritto locale, delle pratiche di cittadinanza giacenti presso molti consolati, in particolare di quelli operanti in quasi tutti i Paesi dell'America latina;
    nel testo del provvedimento non compare alcuna esplicita finalizzazione del contributo richiesto alla risoluzione del problema per la cui risoluzione è stato proposto e giustificato, apparendo dunque, al di là delle stesse intenzioni, come un'ulteriore tassa messa a carico dei cittadini;
    il carico di nuove funzioni attribuite ai consolati, il contenimento della presenza di personale in esso adibito e la riduzione del numero degli stessi consolati, che ha determinato condizioni di appesantimento e congestione del lavoro, rappresentano obiettivi fattori di rallentamento dell'esame delle pratiche presentate e, quindi, di ulteriore accumulo di giacenze;
    è ormai insostenibile la situazione che si è determinata in particolare nei Paesi dell'America Latina, per i quali stime realistiche e probabilmente al ribasso segnalano giacenze superiori alle 400.000 domande, di cui almeno 300.000 nel solo Brasile, con prospettive di attesa superiore a diversi anni;
    l'attivazione di specifiche task force mediante un provvedimento mirato al riassorbimento delle pratiche di cittadinanza ha determinato appena qualche anno fa l'azzeramento delle giacenze in diversi Paesi, escluso il Brasile, e nelle stesse realtà per le ragioni indicate in precedenza gli arretrati stanno di nuovo crescendo in modo preoccupante,

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di adottare un provvedimento nel quale si costituisca, presso le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari, con procedure da concertare tra il Ministero degli esteri e quello dell'economia e delle finanze, un Fondo speciale destinato a finanziare la contrattazione di personale locale con la finalità di smaltire l'arretrato di pratiche di cittadinanza presentate presso gli uffici consolari.
9/2433/20Porta, Gianni Farina, Fedi, Garavini, La Marca.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 5-bis si prevede l'introduzione di un diritto di riscossione da parte degli uffici consolari di euro 300 per il trattamento della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana di persona maggiorenne;
    si tratta di un onere non irrilevante soprattutto per nuclei familiari composti da più persone in condizione di avanzare la domanda di riconoscimento della cittadinanza e per le realtà dove i livelli di reddito sono spesso notevolmente più bassi rispetto a quelli europei e i tassi di cambio in genere penalizzanti;
    la motivazione addotta a sostegno dell'emendamento poi integrato nel provvedimento è stata di recuperare risorse aggiuntive da destinare in particolar modo ad un più rapido espletamento, tramite l'assunzione di contrattisti di diritto locale, delle pratiche di cittadinanza giacenti presso molti consolati, in particolare di quelli operanti in quasi tutti i Paesi dell'America latina;
    nel testo del provvedimento non compare alcuna esplicita finalizzazione del contributo richiesto alla risoluzione del problema per la cui risoluzione è stato proposto e giustificato, apparendo dunque, al di là delle stesse intenzioni, come un'ulteriore tassa messa a carico dei cittadini;
    il carico di nuove funzioni attribuite ai consolati, il contenimento della presenza di personale in esso adibito e la riduzione del numero degli stessi consolati, che ha determinato condizioni di appesantimento e congestione del lavoro, rappresentano obiettivi fattori di rallentamento dell'esame delle pratiche presentate e, quindi, di ulteriore accumulo di giacenze;
    è ormai insostenibile la situazione che si è determinata in particolare nei Paesi dell'America Latina, per i quali stime realistiche e probabilmente al ribasso segnalano giacenze superiori alle 400.000 domande, di cui almeno 300.000 nel solo Brasile, con prospettive di attesa superiore a diversi anni;
    l'attivazione di specifiche task force mediante un provvedimento mirato al riassorbimento delle pratiche di cittadinanza ha determinato appena qualche anno fa l'azzeramento delle giacenze in diversi Paesi, escluso il Brasile, e nelle stesse realtà per le ragioni indicate in precedenza gli arretrati stanno di nuovo crescendo in modo preoccupante,

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di adottare un provvedimento per il ricorso, presso le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari, a procedure da concertare tra il Ministero degli esteri e quello dell'economia e delle finanze, volte alla contrattazione con personale locale con la finalità di smaltire l'arretrato di pratiche di cittadinanza presentate presso gli uffici consolari.
9/2433/20. (Testo modificato nel corso della seduta) Porta, Gianni Farina, Fedi, Garavini, La Marca.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 8 dell'articolo 8 del disegno di legge in esame autorizza le Amministrazioni Pubbliche a ridurre gli importi dei contratti in essere aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi nella misura del 5 per cento, per tutta la durata residua dei contratti medesimi, con mera facoltà di rinegoziazione per le parti delle prestazioni contrattuali;
    in data 3 giugno la Camera ha approvato sostanzialmente all'unanimità la mozione unitaria 1-00482 per la lotta allo spreco alimentare, che reca impegni anche in tema di ristorazione collettiva e acquisti alimentari delle pubbliche amministrazioni;
    nel condividere la necessità di risparmio da parte delle Amministrazioni Pubbliche e gli obiettivi in tal senso che il Governo si è posto, ritiene che vi siano alcuni ambiti che dovrebbero essere tutelati dai tagli di spesa, come quello riguardante la nutrizione e la sicurezza alimentare, per i quali dovrebbero viceversa essere incrementate le risorse da investire, in coerenza con gli indirizzi che danno forza all'appuntamento dell'Expo 2015 per cui la nutrizione non può essere solo oggetto di propaganda, ma deve avere un'anima precisa e azioni concrete a suo sostegno, anche a promozione del Made in Italy di qualità;
    la ristorazione collettiva, in tal senso, gioca un ruolo strategico in quanto fornisce quotidianamente oltre 5 milioni di pasti a bambini, degenti, dipendenti pubblici o privati. Tale settore è stato inoltre già penalizzato da due precedenti spending review in ambito sanitario;
    una tale riduzione di spesa andrebbe ad incidere negativamente sul servizio di ristorazione scolastica ed ospedaliera, le quali, secondo quanto stabilito dagli accordi nazionali di attuazione della legge 12 giugno 1990, n. 1, sono da intendersi come un servizio pubblico essenziale; inoltre, tale riduzione non sembra coerente con il percorso di qualità indicato nella mozione sopra citata;
    le disposizioni recate dal citato articolo 8, comma 8, risulterebbero del tutto sfavorevoli per il prestatore dell'opera o del servizio, qualora da parte delle Amministrazioni non vi fosse la volontà di rinegoziare i termini del rapporto stipulato in precedenza all'entrata in vigore della norma e una tale previsione sarebbe altresì suscettibile di innescare numerosi meccanismi di contenzioso con gli affidatari, da cui potrebbero derivare, peraltro, nuovi o maggiori oneri di spesa per le PA, con la neutralizzazione di parte dei risparmi attesi,

impegna il Governo:

   ad adottare adeguati strumenti per tutelare gli investimenti nella nutrizione e nella sicurezza alimentare, tenendo in considerazione l'importanza di questi aspetti soprattutto nei confronti delle nuove generazioni, verso le quali va inviato un preciso e univoco messaggio anche in vista dell'Expo 2015;
   a valutare gli effetti applicativi della norma richiamata in premessa, al fine di individuare urgentemente misure, anche di tipo legislativo, atte a rendere obbligatoria la proposta di rinegoziazione dei contenuti dei contratti da parte delle pubbliche amministrazioni che decidono di effettuare i suddetti tagli del 5 per cento, nei confronti dei fornitori di beni e servizi, ad oggi data come semplice facoltà.
9/2433/21Oliverio, Zanin, Antezza, Venittelli.


   La Camera,
   visti gli articoli 8 e 47 del decreto in esame con i quali si prevede un contributo a favore dell'erario da parte delle Province pari a 444,5 milioni per l'anno 2014 e di 510 milioni per gli anni 2015 e 2016,
   visto l'articolo 243-bis del Testo Unico degli enti locali decreto legislativo n. 267 del 2000 che introduce la procedura di riequilibrio finanziario per gli enti locali in cui sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario;
   considerato che alla data odierna 5 Province hanno deliberato la procedura di riequilibrio e 2 Province hanno già dichiarato il dissesto finanziario;
   considerato che alla data odierna non sono stati ancora erogati i contributi spettanti alle province, per l'anno 2013, a valere sul fondo sperimentale di riequilibrio, e che ciò determina progressiva difficoltà di cassa, con oneri a carico delle finanze pubbliche per le necessarie anticipazioni in tesoreria;
   visto l'articolo 48 del decreto in esame con la quale si prevede la riduzione del patto di stabilità dei comuni per gli anni 2014 e 2015 nella misura di 122 milioni annui per gli interventi di edilizia scolastica;
   considerato che l'articolo 48 sopra richiamato esclude da tale riduzione di obiettivo di patto gli interventi di edilizia scolastica effettuati e sostenuti dalle Province a favore della popolazione del ciclo scolastico secondario superiore pari a 2,5 milioni di studenti,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti delle recenti manovre finanziarie a carico delle province e città metropolitane (solo nel biennio 2012/2014 pari a 2.144,5 milioni di euro) sulla effettiva sostenibilità del mantenimento di un adeguato livello di svolgimento delle funzioni fondamentali così come ridefinite dalla legge 7 aprile 2014 n. 56, con particolare riferimento alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade provinciali, degli edifici scolastici secondari superiori e dei necessari interventi di risanamento da dissesto idrogeologico e inquinamento ambientale;
   ad individuare particolari forme di tutela per le Province in dissesto ovvero in procedura di riequilibrio pluriennale, nella fase di attuazione di quanto previsto dall'articolo 47 del decreto in esame a garantire la salvaguardia della sostenibilità dei piani pluriennali di riequilibrio e dei piani di rientro delle gestioni commissariali per le province in dissesto;
   ad avviare con speditezza il pagamento di quanto dovuto alle province «capienti» delle quote dovute a carico del fondo sperimentale di riequilibrio per gli anni 2013 e 2014;
   ad individuare adeguata copertura finanziaria e legislativa per allentare, al pari dei comuni, anche per le province, i vincoli del patto di stabilità interno a fronte di interventi di edilizia scolastica sugli oltre 5000 edifici scolastici di cui fruiscono 2,5 milioni di studenti del ciclo secondario superiore;
   a valutare con attenzione l'opportunità, in vista della riforma delle province avviata dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, di avviare per gli enti con maggiori difficoltà finanziarie un processo di moratoria triennale per il pagamento della rata dei mutui in essere con la Cassa Depositi e Prestiti, e di aprire comunque una fase di rinegoziazione dei mutui per le province.
9/2433/22Lodolini, Bruno Bossio, Bargero.


   La Camera,
   visti gli articoli 8 e 47 del decreto in esame con i quali si prevede un contributo a favore dell'erario da parte delle Province pari a 444,5 milioni per l'anno 2014 e di 510 milioni per gli anni 2015 e 2016,
   visto l'articolo 243-bis del Testo Unico degli enti locali decreto legislativo n. 267 del 2000 che introduce la procedura di riequilibrio finanziario per gli enti locali in cui sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario;
   considerato che alla data odierna 5 Province hanno deliberato la procedura di riequilibrio e 2 Province hanno già dichiarato il dissesto finanziario;
   considerato che alla data odierna non sono stati ancora erogati i contributi spettanti alle province, per l'anno 2013, a valere sul fondo sperimentale di riequilibrio, e che ciò determina progressiva difficoltà di cassa, con oneri a carico delle finanze pubbliche per le necessarie anticipazioni in tesoreria;
   visto l'articolo 48 del decreto in esame con la quale si prevede la riduzione del patto di stabilità dei comuni per gli anni 2014 e 2015 nella misura di 122 milioni annui per gli interventi di edilizia scolastica;
   considerato che l'articolo 48 sopra richiamato esclude da tale riduzione di obiettivo di patto gli interventi di edilizia scolastica effettuati e sostenuti dalle Province a favore della popolazione del ciclo scolastico secondario superiore pari a 2,5 milioni di studenti,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti delle recenti manovre finanziarie a carico delle province e città metropolitane (solo nel biennio 2012/2014 pari a 2.144,5 milioni di euro) sulla effettiva sostenibilità del mantenimento di un adeguato livello di svolgimento delle funzioni fondamentali così come ridefinite dalla legge 7 aprile 2014 n. 56, con particolare riferimento alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade provinciali, degli edifici scolastici secondari superiori e dei necessari interventi di risanamento da dissesto idrogeologico e inquinamento ambientale;
   ad individuare particolari forme di tutela per le Province in dissesto ovvero in procedura di riequilibrio pluriennale, nella fase di attuazione di quanto previsto dall'articolo 47 del decreto in esame a garantire la salvaguardia della sostenibilità dei piani pluriennali di riequilibrio e dei piani di rientro delle gestioni commissariali per le province in dissesto;
   ad avviare con speditezza il pagamento di quanto dovuto alle province «capienti» delle quote dovute a carico del fondo sperimentale di riequilibrio per gli anni 2013 e 2014;
   ad operare per individuare la copertura finanziaria necessaria per allentare, anche per le province, i vincoli del patto di stabilità interno a fronte di interventi di edilizia scolastica sugli oltre 5000 edifici scolastici di cui fruiscono 2,5 milioni di studenti del ciclo secondario superiore;
   a valutare con attenzione l'opportunità, in vista della riforma delle province avviata dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, di avviare per gli enti con maggiori difficoltà finanziarie un processo di moratoria triennale per il pagamento della rata dei mutui in essere con la Cassa Depositi e Prestiti.
9/2433/22. (Testo modificato nel corso della seduta) Lodolini, Bruno Bossio, Bargero.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 482 del 1999 intitolata «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», individua la lingua sarda, fra le minoranze linguistiche storiche;
    quella sarda è più grande minoranza linguistica italiana, composta da oltre un milione e mezzo di persone, come riconosciuto dalle legge 482 del 1999, adottata in applicazione dell'articolo 6 della Costituzione;
    in virtù di questa specificità, da anni la Regione Autonoma della Sardegna si è dotata di un suo piano della lingua e sostiene la produzione di notiziari radiotelevisivi e programmi in lingua sarda, diffusi anche dal servizio pubblico per effetto di una convenzione stipulata con la Rai Radiotelevisione Italiana. La situazione isolana non solo è assimilabile a quella presente nelle province autonome di Trento e Bolzano e nelle regioni della Valle d'Aosta e del Friuli ma presenta delle sue specificità, essendo in Sardegna presenti delle lingue alloglotte, come il catalano di Alghero, il sassarese, il Gallurese e il tabarchino dell'isola di San Pietro;
    in virtù di questa varietà e ricchezza linguistica e delle leggi già vigenti nell'ordinamento,

impegna il Governo

a estendere alla Sardegna il medesimo trattamento normativo e relativo ai trasferimenti statali previsto per la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la provincia autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la provincia autonoma di Trento, in lingua francese per la regione autonoma Valle d'Aosta e in lingua slovena per la regione autonoma Friuli Venezia Giulia.
9/2433/23Mura.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 482 del 1999 intitolata «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», individua la lingua sarda, fra le minoranze linguistiche storiche;
    quella sarda è più grande minoranza linguistica italiana, composta da oltre un milione e mezzo di persone, come riconosciuto dalle legge 482 del 1999, adottata in applicazione dell'articolo 6 della Costituzione;
    in virtù di questa specificità, da anni la Regione Autonoma della Sardegna si è dotata di un suo piano della lingua e sostiene la produzione di notiziari radiotelevisivi e programmi in lingua sarda, diffusi anche dal servizio pubblico per effetto di una convenzione stipulata con la Rai Radiotelevisione Italiana. La situazione isolana non solo è assimilabile a quella presente nelle province autonome di Trento e Bolzano e nelle regioni della Valle d'Aosta e del Friuli ma presenta delle sue specificità, essendo in Sardegna presenti delle lingue alloglotte, come il catalano di Alghero, il sassarese, il Gallurese e il tabarchino dell'isola di San Pietro;
    in virtù di questa varietà e ricchezza linguistica e delle leggi già vigenti nell'ordinamento,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di estendere alla Sardegna il medesimo trattamento normativo e relativo ai trasferimenti statali previsto per la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la provincia autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la provincia autonoma di Trento, in lingua francese per la regione autonoma Valle d'Aosta e in lingua slovena per la regione autonoma Friuli Venezia Giulia.
9/2433/23. (Testo modificato nel corso della seduta) Mura.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 5-bis, introdotto nel corso dell'esame al Senato, concerne alcune modifiche al regime delle entrate riscosse dal Ministero degli affari esteri quale corrispettivo del riconoscimento della cittadinanza italiana a persona maggiorenne e del rilascio dei passaporti ordinari;
    si introduce, in particolare, nella tariffa consolare la fattispecie dei diritti da riscuotere per il trattamento della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana a persona maggiorenne, fissando l'importo nella misura di 300 euro;
    si prevede, altresì, per il rilascio del passaporto ordinario un contributo amministrativo di 73,50 euro, oltre al costo del libretto;
    secondo quanto riferito dall'ambasciatore Belloni in sede di CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all'Estero) gli ultimi dati relativi agli introiti derivanti dal rilascio di visti consolari, ammonterebbero a 94 milioni di euro ma non si ha traccia di quanto sia rimasto effettivamente nelle casse del Ministero degli affari esteri, per il miglioramento della rete consolare,

impegna il Governo

ad assicurare che gli introiti che deriveranno da questo nuovo tariffario siano destinati al potenziamento dei servizi consolari e strumentali a promuovere l'immagine e la cultura del nostro Paese all'estero e a sostenere le nostre comunità all'estero.
9/2433/24Fitzgerald Nissoli, Caruso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 5-bis, introdotto nel corso dell'esame al Senato, concerne alcune modifiche al regime delle entrate riscosse dal Ministero degli affari esteri quale corrispettivo del riconoscimento della cittadinanza italiana a persona maggiorenne e del rilascio dei passaporti ordinari;
    si introduce, in particolare, nella tariffa consolare la fattispecie dei diritti da riscuotere per il trattamento della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana a persona maggiorenne, fissando l'importo nella misura di 300 euro;
    si prevede, altresì, per il rilascio del passaporto ordinario un contributo amministrativo di 73,50 euro, oltre al costo del libretto;
    secondo quanto riferito dall'ambasciatore Belloni in sede di CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all'Estero) gli ultimi dati relativi agli introiti derivanti dal rilascio di visti consolari, ammonterebbero a 94 milioni di euro ma non si ha traccia di quanto sia rimasto effettivamente nelle casse del Ministero degli affari esteri, per il miglioramento della rete consolare,

impegna il Governo

ad assicurare che una quota degli introiti che deriveranno da questo nuovo tariffario siano destinati al potenziamento dei servizi consolari e strumentali a promuovere l'immagine e la cultura del nostro Paese all'estero e a sostenere le nostre comunità all'estero.
9/2433/24. (Testo modificato nel corso della seduta) Fitzgerald Nissoli, Caruso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 17, come modificato nel corso dell'esame al Senato, stabilisce, al comma 2-bis, che per l'anno 2014 le riduzioni di spesa autonomamente deliberate dagli organi costituzionali di cui al comma 1, nella misura complessiva di 50 milioni di euro, sono ripartite tra gli stessi in misura proporzionale al rispettivo onere a carico della finanza pubblica;
    tale criterio di riparto, rigidamente applicato, comprimerebbe di fatto l'autonoma determinazione degli stessi organi costituzionali, in contrasto con quanto disposto dal citato comma 1,

impegna il Governo

per quanto di sua competenza, a fornire un'interpretazione costituzionalmente adeguata dell'articolo 17, rimettendo il riparto della suddetta riduzione di spesa all'autonoma determinazione degli organi costituzionali, anche d'intesa tra loro.
9/2433/25Rosato.


   La Camera,
   premesso che:
    valutato, nel dettaglio, l'articolo 13 del provvedimento, in materia di limite massimo al trattamento economico del personale pubblico e delle società partecipate;
    tenuto conto che tale intervento fissa il limite massimo retributivo finora riferito al primo presidente della Corte di cassazione, con decorrenza 1o maggio 2014, in 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali a carico del dipendente;
    ricordato che, in sede di approvazione degli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, il cosiddetto decreto Salva Italia, che hanno introdotto nel nostro ordinamento il principio di prefissare un tetto per chiunque percepisca a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, la Lega Nord aveva denunciato l'inutilità di tale novella legislativa in quanto a rischio di non produrre gli effetti sperati per la scelta di fissare un limite troppo alto, parametrato al Primo Presidente della Corte di cassazione, cioè al magistrato con funzioni direttive apicali, proponendo – di contro – un'assimilazione al trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di Cassazione ed equiparate;
    preso atto, dunque, che l'intervento di riduzione del limite massimo retributivo per i top manager di cui al provvedimento in esame è il riconoscimento di quanto a suo tempo dichiarato dalla Lega Nord;
    ritenuto tuttavia alquanto irrisorio fissare in 240 mila euro il limite massimo, specie nell'attuale contesto socio-economico, caratterizzato da una forte contrazione dell'offerta occupazionale e da tassi record di disoccupazione,

impegna il Governo

a valutare, attraverso un futuro intervento normativo, la possibilità di stabilire il compenso fisso nel limite di 100.000 euro annui ed i restanti 140.000 quale compenso correlato al raggiungimento degli obiettivi del piano industriale aziendale approvato dall'assemblea dei soci ovvero del consiglio di amministrazione.
9/2433/26Allasia.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 21, nel testo risultante dalle modifiche apportate al Senato, reca disposizioni concernenti l'articolazione territoriale e il riassetto industriale di RAI S.p.A. finalizzate a garantire maggiore efficienza e contenimento dei costi. In previsione dei risparmi di spesa, prevede la riduzione di 150 milioni di euro per il 2014 delle somme, derivanti dai canoni di abbonamento alla televisione, da riversare alla medesima concessionaria;
    sembra paradossale che a fronte dei minori costi previsti per l'espletamento del servizio pubblico radiotelevisivo, i cittadini utenti siano dovuti a pagare il canone Rai senza alcuna riduzione perché il Governo ha previsto, al comma 4 dell'articolo in questione, di trattenere 150 milioni di euro per il 2014 da destinare a finalità non meglio specificate e che probabilmente non avranno nulla a che fare con un servizio di informazione pubblica;
    il pagamento del canone di abbonamento, istituito con il Regio decreto n. 246 del 1938 quando ancora non esisteva la TV, è dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni televisive, indipendentemente dai programmi ricevuti, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale del 2002 che ha riconosciuto la sua natura sostanziale d'imposta per cui la legittimità dell'imposizione è fondata sul presupposto della capacità contributiva e non sulla possibilità dell'utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo al cui finanziamento il canone è destinato;
    nei fatti, considerati i dati relativi al mancato pagamento del canone correlati alle diverse aree del Paese, il Nord (con un tasso di evasione che si assesta al 5 per cento) pagando il canone continuerà a finanziare il servizio pubblico radiotelevisivo e in più finanzierà anche qualcos'altro che non è ancora dato sapere, mentre il Meridione (con un tasso di evasione che oscilla fra il 30 e il 50 per cento) continuerà a godere di vantaggi su diversi fronti;
    si tratta di una imposta antiquata e iniqua, che non ha alcun motivo di esistere anche in virtù del maggiore pluralismo indotto dall'ingresso sul mercato di nuovi editori e dall'apporto delle nuove tecnologie (DTT, DDT, DVbh, TV satellitare, ADSL, WI-FI, cavo e analogico) e dal fatto che spesso il vero ruolo di servizio pubblico, considerata la copertura capillare su tutto il territorio nazionale, viene svolto dalle tv locali;
    le emittenti locali potrebbero rivestire un ruolo altrettanto determinante per colmare il digital divide anche attraverso il pieno e completo riconoscimento della loro prerogativa a svolgere il ruolo di operatore di rete in tecnica digitale in ambito locale consentendogli di concedere la capacità trasmissiva ai fornitori di servizi di media, ai fornitori di servizi di media audiovisivi lineari, ai fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta, ai fornitori di contenuti audiovisivi e di dati ed ai fornitori di servizi media radiofonici autorizzati in ambito nazionale e locale;
    se le stime del Governo hanno previsto, a fronte del canone pagato, un risparmio di 150 milioni da parte della concessionaria del servizio pubblico, sarebbe logico che questo importo fosse utilizzato comunque per garantire la qualità dell'informazione destinando le risorse alle emittenti locali che davvero svolgono un servizio sull'intero territorio nazionale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di destinare per il 2014, attraverso ulteriori iniziative normative, le risorse pari a 150 milioni di euro delle somme derivanti dai canoni di abbonamento alla televisione, trattenute dallo Stato e non riversare alla concessionaria Rai, alle emittenti locali al fine di salvaguardare l'informazione locale e al contempo di potenziarla, secondo criteri di equità, efficacia ed appropriatezza sulla base di apposite graduatorie elaborate dai Corecom e di una verifica da parte del Ministero dello sviluppo economico.
9/2433/27Caparini.


   La Camera,
   premesso che:
    a partire dal 1996, a seguito della legge n. 23 recante, «Norme sull'edilizia scolastica», alle province sono state assegnate le funzioni di manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici, messa in sicurezza degli edifici, messa a norma degli impianti, costruzione di nuove scuole, spese per le utenze elettriche e telefoniche, per la provvista dell'acqua e del gas, per il riscaldamento ed per i relativi impianti oltre che spese varie di ufficio e per l'arredamento delle aule;
    con il decreto legislativo 112 del 1998, le province hanno ricevuto tutte le competenze relative alla programmazione dell'offerta formativa e alla pianificazione della rete scolastica, ed in particolare quelle relative a l'istituzione, l'aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole, i servizi di supporto organizzativo istruzione per gli alunni con handicap in situazione di svantaggio (trasporto disabili), il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature e la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti;
    la mancata riqualificazione dell'edilizia scolastica si ripercuote sul livello di funzionalità e di qualità, nonché sul livello stesso di sicurezza delle istituzioni scolastiche, e che secondo alcune stime, in Italia l'11 per cento delle scuole non ha la certificazione di valutazione dei rischi, mentre una percentuale superiore all'82 per cento non ha il certificato di prevenzione incendi;
    gli edifici scolastici in Italia sono circa 43.000 e il 44 per cento delle scuole è stato costruito in un periodo compreso fra il principio degli anni sessanta e il 1980;
    il decreto in esame al comma 1 dell'articolo 48 dispone, per gli anni 2014 e 2015, l'esclusione dal patto di stabilità interno delle spese sostenute dai comuni per gli interventi di edilizia scolastica, nel limite massimo di 122 milioni di euro per ciascun anno;
    la disposizione normativa oggi prevista è il risultato di una serie di sollecitazioni volte a sensibilizzare e fronteggiare la mancata riqualificazione dell'edilizia scolastica, la datazione e la relativa caducità di numerose strutture, l'inadeguatezza più volte evidenziata delle risorse disponibili a una definitiva risoluzione dei problemi, anche a causa del vincolo del patto di stabilità;
    la legge 7 aprile 2014, n. 56, «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», all'articolo 1, comma 85, stabilisce come le province, quali enti con funzioni di area vasta, tra le funzioni fondamentali che dovranno esercitare vi è anche quella della gestione dell'edilizia scolastica,

impegna il Governo

a valutare gli effetti delle attuali disposizioni in materia di contributo alla finanza pubblica da parte delle province, prevedendo in futuri provvedimenti appositi stanziamenti a favore dell'ente provinciale finalizzati a sostenere l'edilizia scolastica ed escludendo gli stessi, così come oggi previsto per i comuni dal decreto in esame dai vincoli del Patto di stabilità interno.
9/2433/28Guidesi.


   La Camera,
   premesso che:
    a partire dal 1996, a seguito della legge n. 23 recante, «Norme sull'edilizia scolastica», alle province sono state assegnate le funzioni di manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici, messa in sicurezza degli edifici, messa a norma degli impianti, costruzione di nuove scuole, spese per le utenze elettriche e telefoniche, per la provvista dell'acqua e del gas, per il riscaldamento ed per i relativi impianti oltre che spese varie di ufficio e per l'arredamento delle aule;
    con il decreto legislativo 112 del 1998, le province hanno ricevuto tutte le competenze relative alla programmazione dell'offerta formativa e alla pianificazione della rete scolastica, ed in particolare quelle relative a l'istituzione, l'aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole, i servizi di supporto organizzativo istruzione per gli alunni con handicap in situazione di svantaggio (trasporto disabili), il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature e la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti;
    la mancata riqualificazione dell'edilizia scolastica si ripercuote sul livello di funzionalità e di qualità, nonché sul livello stesso di sicurezza delle istituzioni scolastiche, e che secondo alcune stime, in Italia l'11 per cento delle scuole non ha la certificazione di valutazione dei rischi, mentre una percentuale superiore all'82 per cento non ha il certificato di prevenzione incendi;
    gli edifici scolastici in Italia sono circa 43.000 e il 44 per cento delle scuole è stato costruito in un periodo compreso fra il principio degli anni sessanta e il 1980;
    il decreto in esame al comma 1 dell'articolo 48 dispone, per gli anni 2014 e 2015, l'esclusione dal patto di stabilità interno delle spese sostenute dai comuni per gli interventi di edilizia scolastica, nel limite massimo di 122 milioni di euro per ciascun anno;
    la disposizione normativa oggi prevista è il risultato di una serie di sollecitazioni volte a sensibilizzare e fronteggiare la mancata riqualificazione dell'edilizia scolastica, la datazione e la relativa caducità di numerose strutture, l'inadeguatezza più volte evidenziata delle risorse disponibili a una definitiva risoluzione dei problemi, anche a causa del vincolo del patto di stabilità;
    la legge 7 aprile 2014, n. 56, «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», all'articolo 1, comma 85, stabilisce come le province, quali enti con funzioni di area vasta, tra le funzioni fondamentali che dovranno esercitare vi è anche quella della gestione dell'edilizia scolastica,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di prevedere in futuri provvedimenti appositi stanziamenti a favore dell'ente provinciale finalizzati a sostenere l'edilizia scolastica attraverso l'esclusione degli stessi, così come oggi previsto per i comuni dal decreto in esame, dai vincoli del Patto di stabilità interno.
9/2433/28. (Testo modificato nel corso della seduta) Guidesi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 3 del provvedimento in esame introduce una revisione del sistema impositivo dei redditi di natura finanziaria per effetto della quale viene innalzata al 26 per cento l'aliquota di imposta attualmente determinata nella misura del 20 per cento;
    il novero dei soggetti interessati include oggi anche le Casse di previdenza dei liberi professionisti, i quali, a causa della modifica normativa, subiranno un ingente danno economico sul patrimonio accumulato;
    la disposizione aumenta peraltro la disparità di trattamento tra i fondi complementari, i quali scontano un'aliquota fiscale agevolata al 11 per cento e le Casse professionali;
    i commi 2 e 3 escludono dall'applicazione dell'aliquota del 26 per cento introdotta alcune fattispecie, come le obbligazioni e altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973 in materia di agevolazioni tributarie, le obbligazioni emesse da altri Stati inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell'articolo 168-bis del testo unico delle imposte sui redditi, gli utili di cui all'articolo 27, comma 3, secondo periodo, e comma 3-ter, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973,

impegna il Governo

a valutare l'impatto delle norme adottate e a valutare, nell'assunzione di futuri provvedimenti, l'esclusione dall'applicazione dell'aliquota maggiorata del 26 per cento introdotta dal provvedimento in esame anche al risultato netto maturato dalle casse di previdenza libero professionali.
9/2433/29Borghesi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 6 del decreto-legge in oggetto stabilisce che, nelle more dell'attuazione degli obiettivi di stima della spesa e monitoraggio dell'evasione fiscale e della relativa attività di controllo, come previsti dagli articoli 3 e 9 della legge 11 marzo 2014, n. 23 (cosiddetta delega fiscale), il Governo presenti alle Camere, entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto medesimo, un rapporto sulla realizzazione delle strategie adottate nei confronti dell'evasione fiscale, sui risultati conseguiti nel corso del 2013 e nell'anno in corso, nonché su quelli attesi;
    il comma 2 dell'articolo 6 menzionato impegna il Governo alla definizione di un programma per implementare l'azione di prevenzione e di contrasto all'evasione fiscale allo scopo di conseguire nell'anno 2015 un incremento di almeno 2 miliardi di euro di entrate dalla lotta all'evasione fiscale rispetto a quelle ottenute nel 2013;
    come si legge nella nota di lettura redatta dal Servizio del bilancio del Senato, «... Per quanto riguarda l'obiettivo del conseguimento, nell'anno 2015, di un incremento di almeno 2 miliardi di euro di recupero di entrate dalla lotta all'evasione fiscale rispetto a quelle ottenute nell'anno 2013, non è stata fornita alcuna informazione in ordine ad eventuali strumenti o a metodologie che si ipotizza di utilizzare per il raggiungimento dell'obiettivo, in aggiunta a quanto già posto in essere dall'Amministrazione finanziaria o è già possibile attuare sulla base della legislazione vigente, né si prefigurano specifici interventi o azioni nel caso in cui il risultato indicato non fosse raggiunto; aspetti, questi, in assenza dei quali il Parlamento potrebbe non disporre di strumenti sufficienti per valutare l'efficacia dello strumento indicato dalla norma volto al raggiungimento dell'obiettivo auspicato di rafforzamento dell'azione di contrasto all'evasione fiscale .... »;
    come si legge nella stessa nota «appare utile esplicitare se l'obiettivo di recupero del gettito nella misura indicata si intenda riferito alle entrate accertate ovvero a quelle incassate»,

impegna il Governo

ad indicare chiaramente quali siano gli strumenti che intende adottare per raggiungere l'obiettivo dichiarato.
9/2433/30Busin.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8 del provvedimento in esame autorizza le amministrazioni pubbliche alla riduzione del 5 cento degli importi dei contratti in essere, aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, per tutta la durata dei contratti, con facoltà delle parti di rinegoziare le prestazioni contrattuali;
    l'articolo 15 del decreto-legge n. 95 del 2012, intervenendo sulla spesa sanitaria, aveva già previsto una misura analoga a quella oggi disciplinata dal provvedimento in esame, allorché si prevede l'immediata applicazione della riduzione del 5 per cento degli importi e delle prestazioni dei contratti in essere di appalto di servizi e di fornitura di beni e servizi stipulati da aziende ed enti del servizio sanitario nazionale, così che gli stessi enti del servizio sanitario nazionale, o per loro le regioni e le province autonome, hanno dovuto avvalersi degli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla stessa CONSIP o, eventualmente, dalle Centrali di committenza regionali di riferimento,

impegna il Governo

a valutare l'impatto della norma in premessa e ad escludere, attraverso futuri provvedimenti, dall'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 8 del provvedimento in esame i contratti già rinegoziati sulla base di quanto stabilito dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95.
9/2433/31Matteo Bragantini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8 del provvedimento in esame prevede la riduzione degli importi dei contratti in essere aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5 per cento per tutta la durata residua dei contratti medesimi;
    nel condividere pienamente gli obiettivi di rigore del Governo e la finalità della norma di combattere gli sprechi nell'Amministrazione pubblica, ritiene tuttavia che tali disposizioni debbano riguardare gli ambiti nei quali non si è ancora intervenuto efficacemente;
    i farmaci, infatti, per effetto delle negoziazioni del prezzo svolte da AIFA, sono gli unici beni all'interno del SSN che hanno già un costo standard a livello nazionale e sono quelli più controllati e tracciabili nell'ambito della sanità;
    in tale senso appare coerente non comprendere i farmaci dall'ambito di applicazione dell'articolo 8 del decreto-legge in esame, numerose ASL stanno invece applicando la riduzione del 5 per cento anche al contratti di fornitura di medicinali,

impegna il Governo

ad adottare linee di indirizzo chiare e finalizzate a escludere esplicitamente i medicinali dall'ambito di applicazione dell'articolo 8, comma 8, del decreto-legge in esame.
9/2433/32Rondini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 23 del provvedimento in esame affida al Commissario per la razionalizzazione della spesa, ed istituito dall'articolo 49-bis del decreto-legge n. 69 del 2013, la predisposizione entro il 31 luglio 2014, di un programma di razionalizzazione ed efficientamento delle società municipalizzate;
    il programma investe le aziende speciali, le istituzioni e le società direttamente o indirettamente controllate dalle amministrazioni locali incluse nell'elenco predisposto annualmente dall'ISTAT e il programma del Commissario è chiamato a individuare misure di riduzione e aggregazione delle municipalizzate (mediante liquidazione, fusione o incorporazione), misure di incremento dell'efficienza della gestione, cessione di rami d'azienda «o anche di personale» ad altre società, anche a capitale privato, con correlativo trasferimento di attività e servizi,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori provvedimenti al fine di escludere dall'applicazione delle disposizioni relative al programma di razionalizzazione delle società municipalizzate le aziende speciali e le istituzioni comunali che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l'infanzia, culturali e alla persona, oltre che le farmacie comunali.
9/2433/33Caon.


   La Camera,
   considerato che il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, ha disposto pesanti riduzioni di trasferimenti di risorse a favore dei comuni e che la situazione della finanza pubblica locale risulta oggi estremamente complessa;
   evidenziato come gli enti locali si ritrovino oggi in grande difficoltà nella costruzione del bilancio di previsione 2014, proprio a causa delle incertezze riguardanti la corretta quantificazione del gettito dell'imposta municipale unica e della nuova TASI;
   ricordato come alcuni comuni, in particolar modo delle regioni del nord del Paese, nonostante le difficoltà nel recuperare le risorse necessarie, sono riusciti ad evitare un aumento della tassazione immobiliare IMU sulla prima casa, riuscendo così a sgravare i propri cittadini da un aggravio fiscale particolarmente oneroso in una situazione economica tanto complessa come quella attuale;
   ricordato come il comma 8 dell'articolo 47 del provvedimento in esame prevede che i comuni assicurino un contributo alla finanza pubblica pari a 375,6 milioni di euro per l'anno 2014 e a 563,4 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, e che viene pertanto corrispondentemente ridotto il fondo di solidarietà comunale di 375,6 milioni di euro per l'anno 2014 e di 563,4 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017,

impegna il Governo

a valutare gli effetti delle disposizioni richiamate, al fine di rivedere, nel quadro di futuri provvedimenti, alla luce della grave situazione finanziaria nella quale si ritrovano oggi gli enti locali, le previste riduzioni di trasferimenti erariali a carico dei comuni, valutando l'opportunità di recuperare le necessarie risorse a favore della finanza generale attraverso il rafforzamento delle politiche di revisione della spesa pubblica.
9/2433/34Prataviera.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2, del presente provvedimento recante «disposizioni in materia di IRAP», al fine di alleggerire il carico fiscale, dispone nuove aliquote ordinarie all'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), a partire dall'anno d'imposta 2014, per una serie di settori dell'attività economica;
    la legge 11 marzo 2014, n. 23, ha conferito la delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita (cosiddetta «delega fiscale».);
    la suddetta legge è finalizzata ad una revisione complessiva dell'attuale sistema fiscale tra i quali principi sono compresi: il coordinamento e la semplificazione degli obblighi contabili e dichiarativi dei contribuenti; la coerenza e uniformità dei poteri in materia tributaria; la generalizzazione del meccanismo della compensazione tra crediti d'imposta vantati dal contribuente e debiti tributari a suo carico;
    il quadro normativo disposto dalla citata legge di delega fiscale è il più idoneo a intervenire in via strutturale con un riordino del sistema fiscale e quindi con una ridefinizione della tassazione complessiva, incluso la modulazione delle aliquote e il meccanismo delle deduzioni, attualmente a carico delle imprese,

impegna il Governo

a prevedere, nell'esercizio della delega fiscale, in sede di emanazione dei decreti legislativi attuativi, per quanto di sua competenza e nel rispetto dei principi ivi stabiliti, una sensibile estensione della platea di imprese e professionisti esentati dal pagamento dell'IRAP intervenendo a tal fine sulla precisazione del criterio dell'autonoma organizzazione dell'attività, sulla determinazione e revisione della base imponibile, nonché sull'incremento delle deduzioni calcolate sul costo del lavoro.
9/2433/35Fedriga.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento modifica la disciplina recata dagli ultimi tre periodi del comma 688 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014, concernenti il versamento della TASI;
    specificatamente, si prevede che per gli immobili diversi dall'abitazione principale, per il 2014 il versamento della prima rata è effettuato sulla base dell'aliquota base qualora il comune non abbia deliberato una diversa aliquota entro il 31 maggio 2014, mentre il versamento della rata a saldo è eseguito a conguaglio sulla base delle deliberazioni del consiglio comunale, mentre per gli immobili adibiti ad abitazione principale, per il 2014 il versamento dell'imposta è effettuato in un'unica rata entro il termine del 16 dicembre 2014, salvo che – alla data del 31 maggio 2014 – venga pubblicata nel Portale del federalismo fiscale la deliberazione di approvazione delle aliquote e delle detrazioni;
    la medesima norma prevede altresì come a decorrere dal 2015, i comuni assicurino la massima semplificazione degli adempimenti dei contribuenti rendendo disponibili i modelli di pagamento preventivamente compilati su loro richiesta, ovvero procedendo autonomamente all'invio degli stessi modelli,

impegna il Governo

a prevedere che i comuni, nella fase di predisposizione dei modelli di pagamento della TASI, possano avvalersi della collaborazione dell'Agenzia delle entrate e dell'Agenzia del territorio.
9/2433/36Grimoldi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento, tra le diverse disposizioni in esso contenute, modifica la disciplina recata dagli ultimi tre periodi del comma 688 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014, concernenti il versamento della TASI;
    specificatamente, si prevede che per gli immobili diversi dall'abitazione principale, per il 2014 il versamento della prima rata è effettuato sulla base dell'aliquota base qualora il comune non abbia deliberato una diversa aliquota entro il 31 maggio 2014, mentre il versamento della rata a saldo è eseguito a conguaglio sulla base delle deliberazioni del consiglio comunale, mentre per gli immobili adibiti ad abitazione principale, per il 2014 il versamento dell'imposta è effettuato in un'unica rata entro il termine del 16 dicembre 2014, salvo che – alla data del 31 maggio 2014 – venga pubblicata nel Portale del federalismo fiscale la deliberazione di approvazione delle aliquote e delle detrazioni,

impegna il Governo

a precisare come i bollettini per il pagamento dell'imposta di cui in premessa non comportino per il contribuente alcun onere aggiuntivo a loro carico.
9/2433/37Invernizzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento modifica la disciplina recata dagli ultimi tre periodi del comma 688 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014, concernenti il versamento della TASI;
    specificatamente, si prevede che per gli immobili diversi dall'abitazione principale, per il 2014 il versamento della prima rata è effettuato sulla base dell'aliquota base qualora il comune non abbia deliberato una diversa aliquota entro il 31 maggio 2014, mentre il versamento della data a saldo è eseguito a conguaglio sulla base delle deliberazioni del consiglio comunale, mentre per gli immobili adibiti ad abitazione principale, per il 2014 il versamento dell'imposta è effettuato in un'unica rata entro il termine del 16 dicembre 2014, salvo che – alla data del 31 maggio 2014 – venga pubblicata nel Portale del federalismo fiscale la deliberazione di approvazione delle aliquote e delle detrazioni;
    nel caso di mancato invio delle deliberazioni, ai comuni appartenenti alle regioni a statuto ordinario e alla Regione siciliana e alla Regione Sardegna, il Ministero dell'interno, entro il 20 giugno 2014, eroga un importo a valere sul Fondo di solidarietà comunale, corrispondente al 50 per cento del gettito annuo della TASI, stimato ad aliquota di base e indicato, per ciascuno di essi, con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento delle finanze,

impegna il Governo

a prevedere che il decreto ministeriale che stabilisce l'importo assegnato a ciascun comune sia redatto in collaborazione tra il Dipartimento delle Finanze e l'ANCI.
9/2433/38Marcolin.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento modifica la disciplina recata dagli ultimi tre periodi del comma 688 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014, concernenti il versamento della TASI;
    specificatamente, si prevede che per gli immobili diversi dall'abitazione principale, per il 2014 il versamento della prima rata è effettuato sulla base dell'aliquota base qualora il comune non abbia deliberato una diversa aliquota entro il 31 maggio 2014, mentre il versamento della rata a saldo è eseguito a conguaglio sulla base delle deliberazioni del consiglio comunale, mentre per gli immobili adibiti ad abitazione principale, per il 2014 il versamento dell'imposta è effettuato in un'unica rata entro il termine del 16 dicembre 2014, salvo che – alla data del 31 maggio 2014 – venga pubblicata nel Portale del federalismo fiscale la deliberazione di approvazione delle aliquote e delle detrazioni;
    nel caso di mancato invio delle deliberazioni, ai comuni appartenenti alle regioni a statuto ordinario e alla Regione siciliana e alla regione Sardegna, il Ministero dell'interno, entro il 20 giugno 2014, eroga un importo a valere sul Fondo di solidarietà comunale, corrispondente al 50 per cento del gettito annuo della TASI, stimato ad aliquota di base e indicato, per ciascuno di essi, con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento delle finanze,

impegna il Governo

a precisare come il gettito annuo della TASI di cui al decreto citato in premessa sia calcolato previa intesa con l'ANCI e con puntuale verifica della correttezza degli importi stimati per ciascun comune.
9/2433/39Molteni.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento modifica la disciplina recata dagli ultimi tre periodi del comma 688 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014, concernenti il versamento della TASI;
    specificatamente, si prevede che per gli immobili diversi dall'abitazione principale, per il 2014 il versamento della prima rata è effettuato sulla base dell'aliquota base qualora il comune non abbia deliberato una diversa aliquota entro il 31 maggio 2014, mentre il versamento della rata a saldo è eseguito a conguaglio sulla base delle deliberazioni del consiglio comunale, mentre per gli immobili adibiti ad abitazione principale, per il 2014 il versamento dell'imposta è effettuato in un'unica rata entro il termine del 16 dicembre 2014, salvo che – alla data del 31 maggio 2014 – venga pubblicata nel Portale del federalismo fiscale la deliberazione di approvazione delle aliquote e delle detrazioni;
    nel caso di mancato invio delle deliberazioni, ai comuni appartenenti alle regioni a statuto ordinario e alla Regione siciliana e alla regione Sardegna, il Ministero dell'interno, entro il 20 giugno 2014, eroga un importo a valere sul Fondo di solidarietà comunale, corrispondente al 50 per cento del gettito annuo della TASI, stimato ad aliquota di base e indicato, per ciascuno di essi, con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento delle finanze,

impegna il Governo

a precisare come il gettito annuo della TASI di cui al decreto citato in premessa sia calcolato attraverso una fase di concertazione con l'ANCI per puntuale verifica della correttezza degli importi stimati per ciascun comune.
9/2433/39. (Testo modificato nel corso della seduta) Molteni.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento, tra le diverse disposizioni in esso contenute, modifica la disciplina recata dagli ultimi tre periodi del comma 688 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014, concernenti il versamento della TASI;
    specificatamente, si prevede che per gli immobili diversi dall'abitazione principale, per il 2014 il versamento della prima rata è effettuato sulla base dell'aliquota base qualora il comune non abbia deliberato una diversa aliquota entro il 31 maggio 2014, mentre il versamento della rata a saldo è eseguito a conguaglio sulla base delle deliberazioni del consiglio comunale, mentre per gli immobili adibiti ad abitazione principale, per il 2014 il versamento dell'imposta è effettuato in un'unica rata entro il termine del 16 dicembre 2014, salvo che – alla data del 31 maggio 2014 – venga pubblicata nel Portale del federalismo fiscale la deliberazione di approvazione delle aliquote e delle detrazioni;
    nel caso di mancato invio delle deliberazioni, ai comuni appartenenti alle regioni a statuto ordinario e alla Regione siciliana e alla regione Sardegna, il Ministero dell'interno, entro il 20 giugno 2014, eroga un importo a valere sul Fondo di solidarietà comunale, corrispondente al 50 per cento del gettito annuo della TASI, stimato ad aliquota di base e indicato, per ciascuno di essi, con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento delle finanze,

impegna il Governo

a prevedere come il decreto ministeriale che stabilisce l'importo assegnato a ciascun comune precisi chiaramente la metodologia ed i criteri attraverso i quali è stato stimato il gettito TASI di ciascun comune.
9/2433/40Gianluca Pini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento, tra le diverse disposizioni in esso contenute, modifica la disciplina recata dagli ultimi tre periodi del comma 688 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014, concernenti il versamento della TASI;
    specificatamente, si prevede che per gli immobili diversi dall'abitazione principale, per il 2014 il versamento della prima rata è effettuato sulla base dell'aliquota base qualora il comune non abbia deliberato una diversa aliquota entro il 31 maggio 2014, mentre il versamento della rata a saldo è eseguito a conguaglio sulla base delle deliberazioni del consiglio comunale, mentre per gli immobili adibiti ad abitazione principale, per il 2014 il versamento dell'imposta è effettuato in un'unica rata entro il termine del 16 dicembre 2014, salvo che – alla data del 31 maggio 2014 – venga pubblicata nel Portale del federalismo fiscale la deliberazione di approvazione delle aliquote e delle detrazioni;
    nel caso di mancato invio delle deliberazioni, ai comuni appartenenti alle regioni a statuto ordinario e alla regione siciliana e alla regione Sardegna, il Ministero dell'interno, entro il 20 giugno 2014, eroga un importo a valere sul Fondo di solidarietà comunale, corrispondente al 50 per cento del gettito annuo della TASI, stimato ad aliquota di base e indicato, per ciascuno di essi, con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento delle finanze,

impegna il Governo

a prevedere come, al fine di assicurare la più precisa ripartizione del fondo di solidarietà comunale, entro il mese di settembre 2014, il Ministero dell'economia e delle finanze provveda, sulla base di una metodologia adottata d'intesa con la Conferenza Stato città ed autonomie locali, alla verifica del gettito della TASI per l'anno 2014, prevedendo altresì, laddove necessario, a determinare le variazioni delle assegnazioni del fondo di solidarietà comunale per l'anno 2014 spettanti a ciascun comune.
9/2433/41Bossi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento, tra le diverse disposizioni in esso contenute, modifica la disciplina recata dagli ultimi tre periodi del comma 688 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014, concernenti il versamento della TASI;
    specificatamente, si prevede che per gli immobili diversi dall'abitazione principale, per il 2014 il versamento della prima rata è effettuato sulla base dell'aliquota base qualora il comune non abbia deliberato una diversa aliquota entro il 31 maggio 2014, mentre il versamento della rata a saldo è eseguito a conguaglio sulla base delle deliberazioni del consiglio comunale, mentre per gli immobili adibiti ad abitazione principale, per il 2014 il versamento dell'imposta è effettuato in un'unica rata entro il termine del 16 dicembre 2014, salvo che – alla data del 31 maggio 2014 – venga pubblicata nel Portale del federalismo fiscale la deliberazione di approvazione delle aliquote e delle detrazioni;
    è elevata la complessità a carico del contribuente per individuare il corretto importo del tributo da pagare, e, di conseguenza, il rischio di omessi od erronei versamenti,

impegna il Governo

a prevedere attraverso ulteriori iniziative normative come non si applichino sanzioni ed interessi nel caso di omesso o insufficiente versamento della prima rata della TASI dovuta per l'anno 2014 e qualora il relativo importo sia versato entro il 16 dicembre 2014.
9/2433/42Giancarlo Giorgetti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 12-bis del decreto-legge in esame proroga al 15 settembre di ciascun anno il versamento dei canoni delle concessioni demaniali marittime dovuti a partire dall'anno 2014;
    il comma 251 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006, sostitutivo del comma 1 dell'articolo 03 del decreto-legge n. 400 del 1993, convertito con modificazioni dalla legge n. 494 del 1993, ha ridefinito le modalità di determinazione dei canoni demaniali marittimi, prevedendo una classificazione delle aree sottoposte, in base agli articoli 36 e 37 del codice della navigazione, al pagamento dei canoni di concessione (aree, manufatti, pertinenze e specchi acquei) in due aree: A (aree, manufatti, pertinenze e specchi acquei, o parti di essi, concessi per utilizzazioni ad uso pubblico ad alta valenza turistica) e B (aree, manufatti, pertinenze e specchi acquei, o parti di essi, concessi per utilizzazione ad uso pubblico a normale valenza turistica);
    il successivo comma 252, sostitutivo del comma 3 del citato articolo 03 del decreto-legge n. 400 del 1993, ha invece previsto che le misure dei canoni demaniali marittimi, come ridefinite dal comma 251, si applichino anche, a decorrere dal 1o gennaio 2007, alle concessioni dei beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale aventi ad oggetto la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto;
    i commi 251 e 252 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 hanno generato il proliferare di un notevole contenzioso che va via via evolvendosi in senso favorevole ai concessionari;
    già nel 2012 la VI sezione del Consiglio di Stato (ord. n. 2810/1012) aveva rimesso le norme al vaglio della Corte Costituzionale avendo rilevato che un'applicazione generalizzata della norma contrastava con i principi di cui agli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 42 (libertà d'iniziativa economica) della Costituzione, in quanto venivano gravati della stessa misura di canone gli imprenditori che avevano realizzato strutture portuali con investimenti milionari, e quelli che invece avevano rilevato in concessione una struttura portuale già realizzata e di proprietà statale. La Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 128/2014 ha ritenuto che il Consiglio di Stato non avesse fornito elementi sufficienti per decidere;
    oltre al profilo di incostituzionalità, va sottolineato che il concessionario che realizza una struttura portuale, resta proprietario delle opere fino a quando le stesse, alla scadenza della concessione, divengono di proprietà statale (articolo 49 cod. nav.). Ne consegue che, in base ai princìpi del nostro ordinamento, lo Stato non può pretendere canoni per beni che non gli appartengono (pertinenze, opere di facile e difficile rimozione), ma il canone andrà commisurato ai beni che originariamente ha dato in concessione;
    va peraltro considerato che i concessionari che hanno realizzato strutture portuali, essendo proprietari delle stesse, pagano l'ICI e pertanto il simultaneo pagamento di ICI e canone su un determinato immobile appare incompatibile dal momento che l'ICI inerisce alla proprietà, mentre il canone alla concessione e quindi un soggetto non può essere contemporaneamente proprietario e inquilino di un bene immobile;
    tale questione è stata oggetto di riflessione da parte della VI sezione del Consiglio di Stato (sentenza n. 626/2013) che ha individuato nella acquisizione dei beni da parte dello Stato il momento di discrimine per l'applicazione dei canoni di cui alla legge finanziaria 2007;
    la Magistratura amministrativa ha anche evidenziato profili di disparità di trattamento della norma che, applicata indiscriminatamente a tutti i concessionari, onererebbe dello stesso canone sia i soggetti che hanno realizzato la struttura con investimenti milionari, sia i soggetti che rilevano dallo Stato in concessione una struttura realizzata da altri;
    al fine di eliminare disparità di trattamento e soprattutto per deflazionare il contenzioso in atto, appare opportuno emanare una norma interpretativa che espliciti che i nuovi canoni debbano trovare applicazione anche ai rapporti in corso, ma solo a quelli nei quali la struttura portuale data in concessione appartenga già allo Stato e non sia stata realizzata dal concessionario, e quindi che sino alla data di scadenza della concessione il concessionario debba corrispondere il canone originariamente pattuito, con le relative maggiorazioni pattuite, e che alla scadenza della concessione lo Stato, divenuto proprietario della struttura, possa concederla ai nuovi canoni, spettando quindi all'imprenditore valutare se risulti conveniente accedere all'operazione o rifiutarla;
    inoltre, l'applicazione delle nuove misure dei canoni demaniali anche ai concessionari che hanno realizzato la struttura, comporterebbe uno squilibrio del sinallagma contrattuale e dell'originario piano economico e finanziario, confezionato in modo che potessero, per la durata della concessione, ammortizzare gli investimenti, pagare il canone originariamente pattuito e realizzare un giusto guadagno,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di una norma interpretativa, anche alla luce dei principi costituzionali e della giurisprudenza amministrativa, secondo la quale i nuovi canoni siano applicabili anche ai rapporti in corso, con la precisazione che siano dovuti per quei rapporti in corso nei quali lo Stato sia divenuto proprietario delle strutture.
9/2433/43Vitelli, Sottanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 14 del decreto-legge in esame pone limiti di spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonché per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
    in particolare i commi 1 e 2 del medesimo articolo dispongono che, a decorrere dall'anno 2014, le amministrazioni pubbliche non possono conferire incarichi di consulenza studio e ricerca, né possono stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa qualora la spesa complessiva sostenuta nell'anno per tali incarichi o per tali contratti sia superiore ad una percentuale della spesa per il personale dell'amministrazione che conferisce l'incarico o stipula i contratti come risultante dal conto annuale del 2012;
    sebbene sia corretto correlare le spese per incarichi di consulenza, ovvero per contratti di co.co.co., occorre salvaguardare gli incarichi che sono connessi a programmi ed attività finanziati con fondi comunitari o di derivazione comunitaria, come pure da risorse a destinazione vincolata, e che rappresentano dunque un'esigenza specifica rispetto ad una attività delegata o trasferita dalla regione ed appositamente finanziata, ovvero all'attuazione di un programma o di un'azione di derivazione comunitaria,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di escludere attraverso ulteriori iniziative normative dai limiti previsti dai commi 1 e 2 dell'articolo 14 le spese per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per contratti di collaborazione coordinata e continuativa connessi a programmi ed attività finanziati con fondi comunitari e con risorse a destinazione vincolata.
9/2433/44Sottanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 15, comma 4, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 disponeva che, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i soggetti che effettuano la vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti attraverso carte di debito, ovvero le cosiddette carte Bancomat; il successivo comma 5 stabiliva che con uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico sarebbero stati disciplinati gli eventuali importi minimi, le modalità e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati, di attuazione di tale disposizione;
    il decreto attuativo del 24 gennaio 2014 disponeva che dal 28 marzo 2014 sarebbe divenuto operativo l'obbligo di accettare pagamenti effettuati tramite carte di debito per acquisti da parte di privati consumatori di prodotti e servizi, anche professionali, di importo superiore a 30 euro, e nei confronti di imprese e professionisti con un fatturato 2013 superiore a 200.000 euro; con successivo decreto da emanarsi entro 90 giorni dall'entrata il vigore dell'obbligo, e quindi entro il 26 giugno 2014, il decreto sanciva che sarebbero state individuate nuove soglie e nuovi limiti minimi di fatturato, con possibilità di estendere gli obblighi a ulteriori strumenti di pagamento elettronico, anche con tecnologie mobili;
    il comma 15-bis dell'articolo 9 del decreto «milleproroghe» (decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, della legge 27 febbraio 2014 n. 15) ha infine disposto il rinvio dal 1° gennaio al 30 giugno 2014 dell'obbligo di dotarsi di strumenti per i pagamenti mediante carta di debito (POS);
    pur condividendo le finalità della norma in oggetto, ossia come l'uso del contante comporti per la collettività rilevanti costi legati alla minore tracciabilità delle operazioni e al conseguente maggior rischio di elusione fiscale e delle norme antiriciclaggio, l'applicazione di tale norma al settore della vendita diretta a domicilio risulta assai critico;
    la definizione di «esercente» prevista dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 si riferisce al beneficiario, impresa o professionista, di un pagamento abilitato all'accettazione di carte di pagamento anche attraverso canali telematici e che questa definizione va ad aggiungersi al dettato dell'articolo 15, comma 4, della stessa legge che impone l'obbligo di accettare i pagamenti tramite POS ai soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali;
    dal tenore letterale delle norme che regolano la professione di incaricato alla vendita diretta a domicilio (legge 17 agosto 2005, n. 173 e decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114) si evidenzia come il soggetto che effettua l'attività di vendita e il beneficiario del pagamento sia l'azienda e non l'incaricato, soggetto che si limita a promuovere (e non a effettuare) la vendita, tanto che la «proposta di acquisto» o il «contratto di vendita» è tra l'azienda e il consumatore, mentre l'incaricato è l'intermediario dell'operazione di vendita;
    questo porta a concludere che il soggetto che dovrà dotarsi di terminale POS per l'accettazione del pagamento tramite Bancomat sia l'azienda e non i singoli incaricati anche nel caso in cui essi siano autorizzati dall'azienda a riscuotere il corrispettivo degli ordinativi d'acquisto, così come previsto dall’ articolo 4, comma 8, della legge 17 agosto 2005, n. 173 («l'incaricato alla vendita diretta a domicilio non ha, salvo espressa autorizzazione scritta, la facoltà di riscuotere il corrispettivo degli ordinativi d'acquisto che abbiano avuto regolare esecuzione presso i privati consumatori né di concedere sconti o dilazioni di pagamento»);
    un'eventuale richiesta di dotare ogni singolo incaricato alla vendita di un terminale POS sarebbe d'altronde insostenibile per una serie di fattori intrinseci al settore, quali:
     a) l'elevato turnover degli incaricati, che si attesta intorno al 50 per cento annuo;
     b) il valore medio dell'ordine: oltre il 70 per cento riguarda transazioni inferiori ai 45 euro;
     c) il guadagno medio degli incaricati: oltre il 60 per cento guadagna meno di 600 euro l'anno;
     d) gli elevati costi economici, burocratici, organizzativi e logistici legati all'esigenza di garantire una gestione adeguata, sicura e capillare dei terminali di pagamento;
     e) la peculiare caratteristica degli incaricati alla vendita, che operano per il 60 per cento in regime di part-time per avere un reddito integrativo al bilancio familiare, mal si concilia con la complessità e la delicatezza di uno strumento di pagamento elettronico che finirebbe per essere un deterrente ad intraprendere l'attività di incaricato;
    va infine considerato che il settore si è già dotato di regole proprie che, di fatto, rendono già completamente tracciabili le transazioni: di norma per piccoli importi l'incaricato riscuote i pagamenti che poi trasmettere all'azienda tramite bollettino postale o bonifico bancario; nel caso di importi elevati (come per i beni durevoli quali aspirapolveri, elettrodomestici, e così via) il pagamento avviene o tramite finanziamento o con bonifico bancario da parte del cliente direttamente all'azienda,

impegna il Governo

a escludere la vendita diretta a domicilio dall'applicazione dell'obbligo di accettare pagamenti tramite Bancomat consentendo agli operatori del settore di continuare a operare senza ulteriori aggravi burocratici ed economici e a prorogare comunque l'entrata in vigore di quanto stabilito dall'articolo 15, commi 4 e 5, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, al 31 dicembre 2014.
9/2433/45Vignali.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9, comma 4, del decreto in esame riscrive la disciplina relativa all'acquisizione di lavori, servizi e forniture da parte dei comuni non capoluogo di provincia, modificando l'articolo 33, comma 3-bis del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
    conseguentemente i comuni non capoluogo di provincia, a partire dal 1° luglio 2014, per l'acquisizione di lavori, beni e servizi dovranno procedere esclusivamente attraverso le unioni di comuni, se esistenti, oppure costituire un apposito accordo consortile, oppure ricorrere ad un soggetto aggregatore o alle province, oppure per le acquisizioni di beni e servizi, utilizzare i mezzi elettronici gestiti dalla CONSIP o da un altro soggetto aggregatore;
    questa disposizione causerà, nell'immediato, un generico ed ingiustificato blocco di tutti gli appalti per l'impossibilità dei soggetti aggregatori di gestire, senza alcuna facoltà di programmazione e plausibilmente con insufficienti dotazioni di personale, tutti gli appalti dei comuni con la sola eccezione dei comuni capoluogo;
    diventa pertanto assolutamente imprescindibile ed urgente, anche in ragione dell'attuale grave crisi economica, garantire celerità, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa consentendo a tutti i comuni – almeno per le acquisizioni di lavori, beni e servizi di lieve entità e pertanto di modesta complessità – la possibilità di procedere autonomamente agli affidamenti diretti,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere, nel prossimo provvedimento utile, per tutti i comuni, indipendentemente dalle loro dimensioni, una deroga all'applicazione dell'articolo 33, comma 3-bis, che consista nella possibilità di acquisire autonomamente lavori effettuati in economia mediante amministrazione diretta e nei casi di cui al secondo periodo del comma 8 dell'articolo 125 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché di effettuare servizi e forniture in economia nei casi di cui al secondo periodo del comma 11 del medesimo articolo 125, anche per quei servizi e quelle forniture per le quali non siano disponibili strumenti elettronici di acquisto, gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore. 
9/2433/46Ottobre, Plangger, Alfreider, Gebhard, Schullian.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9, comma 4, del decreto in esame riscrive la disciplina relativa all'acquisizione di lavori, servizi e forniture da parte dei comuni non capoluogo di provincia, modificando l'articolo 33, comma 3-bis del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
    conseguentemente i comuni non capoluogo di provincia, a partire dal 1° luglio 2014, per l'acquisizione di lavori, beni e servizi dovranno procedere esclusivamente attraverso le unioni di comuni, se esistenti, oppure costituire un apposito accordo consortile, oppure ricorrere ad un soggetto aggregatore o alle province, oppure per le acquisizioni di beni e servizi, utilizzare i mezzi elettronici gestiti dalla CONSIP o da un altro soggetto aggregatore;
    questa disposizione causerà, nell'immediato, un generico ed ingiustificato blocco di tutti gli appalti per l'impossibilità dei soggetti aggregatori di gestire, senza alcuna facoltà di programmazione e plausibilmente con insufficienti dotazioni di personale, tutti gli appalti dei comuni con la sola eccezione dei comuni capoluogo;
    diventa pertanto assolutamente imprescindibile ed urgente, anche in ragione dell'attuale grave crisi economica, garantire celerità, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa consentendo a tutti i comuni – almeno per le acquisizioni di lavori, beni e servizi di lieve entità e pertanto di modesta complessità – la possibilità di procedere autonomamente agli affidamenti diretti,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere, nel prossimo provvedimento utile la flessibilità, per tutti i comuni, indipendentemente dalle loro dimensioni, di una deroga all'applicazione dell'articolo 33, comma 3-bis, che consista nella possibilità di acquisire autonomamente lavori effettuati in economia mediante amministrazione diretta e nei casi di cui al secondo periodo del comma 8 dell'articolo 125 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché di effettuare servizi e forniture in economia nei casi di cui al secondo periodo del comma 11 del medesimo articolo 125, anche per quei servizi e quelle forniture per le quali non siano disponibili strumenti elettronici di acquisto, gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore. 
9/2433/46. (Testo modificato nel corso della seduta) Ottobre, Plangger, Alfreider, Gebhard, Schullian.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9, comma 4, del decreto in esame riscrive la disciplina relativa all'acquisizione di lavori, servizi e forniture da parte dei piccoli comuni, modificando l'articolo 33, comma 3-bis del decreto legislativo 12 aprile 2014, n. 163;
    conseguentemente i comuni non capoluogo di provincia, a partire dal 1° luglio 2014, per l'acquisizione di lavori, beni e servizi dovranno procedere esclusivamente attraverso le unioni di comuni, se esistenti, oppure costituire un apposito accordo consortile, oppure ricorrere ad un soggetto aggregatore o alle province, oppure utilizzare i mezzi elettronici gestiti dalla CONSIP o da un altro soggetto aggregatore;
    per garantire celerità, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa, soprattutto nei piccoli comuni montani, le stazioni appaltanti dovrebbero invece poter effettuare autonomamente acquisti di lieve entità, anche al di fuori delle procedure telematiche, e sarebbe dunque assolutamente indispensabile prevedere una deroga per l'acquisizione di lavori, servizi o forniture di valore inferiore ai 40 mila euro necessari al funzionamento dei propri uffici, anche in attuazione degli obiettivi perseguiti dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), in particolare dell'articolo 174, come interpretato dalla giurisprudenza comunitaria, anche in un'ottica di favorire la piena applicazione della comunicazione della Commissione europea COM (2008) 394 definitivo, del 25 giugno 2008, concernente lo Small Business Act,

impegna il Governo

a prevedere, nel prossimo provvedimento legislativo utile, una deroga nell'utilizzo delle nuove procedure per l'acquisizione di lavori, beni e servizi, per importi inferiori a 40.000 euro, da parte dei piccoli comuni montani, sia alle disposizioni di cui all'articolo 33, comma 3-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come da ultimo modificato con il presente provvedimento, e all'articolo 7, comma 2, del decreto legge 7 maggio 2012, n. 52, convertito con modificazioni dalla legge 6 luglio 2012, n. 94. 
9/2433/47Alfreider, Plangger, Gebhard, Schullian, Ottobre.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9, comma 4, del decreto in esame riscrive la disciplina relativa all'acquisizione di lavori, servizi e forniture da parte dei piccoli comuni, modificando l'articolo 33, comma 3-bis del decreto legislativo 12 aprile 2014, n. 163;
    conseguentemente i comuni non capoluogo di provincia, a partire dal 1° luglio 2014, per l'acquisizione di lavori, beni e servizi dovranno procedere esclusivamente attraverso le unioni di comuni, se esistenti, oppure costituire un apposito accordo consortile, oppure ricorrere ad un soggetto aggregatore o alle province, oppure utilizzare i mezzi elettronici gestiti dalla CONSIP o da un altro soggetto aggregatore;
    per garantire celerità, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa, soprattutto nei piccoli comuni montani, le stazioni appaltanti dovrebbero invece poter effettuare autonomamente acquisti di lieve entità, anche al di fuori delle procedure telematiche, e sarebbe dunque assolutamente indispensabile prevedere una deroga per l'acquisizione di lavori, servizi o forniture di valore inferiore ai 40 mila euro necessari al funzionamento dei propri uffici, anche in attuazione degli obiettivi perseguiti dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), in particolare dell'articolo 174, come interpretato dalla giurisprudenza comunitaria, anche in un'ottica di favorire la piena applicazione della comunicazione della Commissione europea COM (2008) 394 definitivo, del 25 giugno 2008, concernente lo Small Business Act,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di prevedere, nel prossimo provvedimento legislativo utile, una deroga nell'utilizzo delle nuove procedure per l'acquisizione di lavori, beni e servizi, per importi inferiori a 40.000 euro, da parte dei piccoli comuni montani, sia alle disposizioni di cui all'articolo 33, comma 3-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come da ultimo modificato con il presente provvedimento, e all'articolo 7, comma 2, del decreto legge 7 maggio 2012, n. 52, convertito con modificazioni dalla legge 6 luglio 2012, n. 94. 
9/2433/47. (Testo modificato nel corso della seduta) Alfreider, Plangger, Gebhard, Schullian, Ottobre.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto in esame riconosce un credito fiscale per l'anno 2014 per i lavoratori dipendenti e assimilati;
    l'articolo 1, comma 5, secondo periodo, come modificato al Senato, prevede che le somme erogate a titolo di credito ai dipendenti e assimilati siano recuperate dal sostituto d'imposta mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, il bonus Irpef si trasforma così in un credito d'imposta compensabile con tutti i debiti tributari e contributivi versati tramite modello F24 e siffatta previsione comporta quindi una diversa rilevazione nel bilancio dello Stato degli effetti derivanti dalla normativa;
    gli effetti sul bilancio dello Stato si hanno, dunque, in gran parte sulla spesa e per una quota residuale, rappresentata dalle somme erogate dalle amministrazioni dello Stato (circa 8 per cento), come minori entrate;
    questa quota residuale avrebbe avuto come conseguenza minori versamenti di cassa in acconto sul 2014 per le province autonome di Trento e Bolzano;
    dal punto vista applicativo però, anche per tale quota residuale, troverebbe applicazione la compensazione con apposito F24 a saldo zero che le Amministrazioni dello Stato devono presentare, secondo quanto previsto dalla circolare dell'Agenzia delle entrate n. 9 del 14 maggio 2014;
    in tal modo, già in sede di acconto 2014, non si determinerebbe per le Province di Trento e Bolzano una perdita nei versamenti di cassa effettuati dalla struttura di gestione,

impegna il Governo

a garantire che, per le Province autonome di Trento e di Bolzano, l'articolo 1 del decreto-legge all'esame non vada in alcun modo ad incidere, oltre che sui versamenti di cassa in acconto, anche sulla spettanza Irpef determinata, ai sensi dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione, in base alle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti residenti, e a prevedere altresì che esso non comporti disallineamenti temporali sugli incassi stabiliti da disposizioni già vigenti e, quindi, che l'effetto della norma sia neutrale.
9/2433/48Gebhard, Alfreider, Plangger, Schullian, Ottobre.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9, comma 4, del decreto in esame riscrive la disciplina relativa all'acquisizione di lavori, servizi e forniture da parte dei piccoli comuni, modificando l'articolo 33, comma 3-bis del decreto legislativo 12 aprile 2014, n. 163;
    conseguentemente i comuni non capoluogo di provincia, a partire dal 1° luglio 2014, per l'acquisizione di lavori, beni e servizi dovranno procedere esclusivamente attraverso le unioni di comuni, se esistenti, oppure costituire un apposito accordo consortile, oppure ricorrere ad un soggetto aggregatore o alle province, oppure utilizzare i mezzi elettronici gestiti dalla CONSIP o da un altro soggetto aggregatore;
    appaltanti dovrebbero invece poter effettuare autonomamente acquisti di lieve entità, anche al di fuori delle procedure telematiche, e sarebbe dunque assolutamente indispensabile prevedere che tutti i Comuni, in caso di acquisti inferiori a 5.000 euro, necessari allo svolgimento di prestazioni di servizi e di forniture per il funzionamento degli uffici, possano avere una deroga sia all'obbligo di avvalersi dei soggetti aggregatori, sia all'obbligo di utilizzo della procedura telematica, almeno per i lavori pubblici,

impegna il Governo

a prevedere, nel prossimo provvedimento legislativo utile, una deroga nell'utilizzo delle nuove procedure per l'acquisizione di lavori, beni e servizi, per importi inferiori a 5.000 euro, da parte dei comuni non capoluogo di provincia, sia alle disposizioni di cui all'articolo 33, comma 3-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come da ultimo modificato con il presente provvedimento, e all'articolo 7, comma 2, del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52, convertito con modificazioni dalla legge 6 luglio 2012, n. 94.
9/2433/49Plangger, Alfreider, Gebhard, Schullian, Ottobre.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge reca un contenuto estremamente ampio e complesso, in quanto le disposizioni previste all'interno dei 60 articoli recano complessive operazioni di carattere finanziario che incidono su numerosi ambiti normativi, con misure finalisticamente orientate ad affrontare diversi settori riconducibili alla competitività e alla giustizia sociale, con particolare riferimento al rilancio dell'economia;
    il provvedimento interviene in ambito fiscale attraverso una serie di misure agevolative, finalizzate in particolare al riconoscimento di un credito fiscale per i percettori di redditi di lavoro dipendente e di taluni redditi assimilati, nonché alla riduzione a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013, delle aliquote dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) applicabili ai diversi soggetti passivi del tributo, con esclusione delle amministrazioni e degli enti pubblici;
    all'interno delle suesposte e condivisibili misure agevolative, necessitano ulteriori interventi di carattere fiscale, volti a sostenere un comparto importante e strategico dell'economia nazionale quale la mobilità pubblica che rappresenta un obiettivo strategico per la realizzazione di politiche tese a promuovere sviluppo sostenibile, strategie di crescita economica e di progresso sociale;
    nel Mezzogiorno ed in particolare in Sicilia il sistema dei collegamenti autostradali gestiti in concessione (A 18 Siracusa-Gela, A18 Messina-Catania e A20 Messina-Palermo) dal Consorzio per le autostrade siciliane, risulta in condizioni di estrema inefficienza sotto il profilo della sicurezza, della manutenzione e della realizzazione delle infrastrutture viarie, come sostenuto in diverse occasioni sia dai pendolari che dai rilievi critici dell'Autorità di vigilanza e dell'Anas, il cui stato di precarietà, non giustifica il pedaggio da parte degli utenti siciliani che usufruiscono il percorso delle tratte interessate;
    iniziative affini a quelle già introdotte all'inizio dell'anno, che recano esenzioni fino al 20 per cento sui costi dei ticket autostradali, nei confronti degli automobilisti che quotidianamente usufruiscono di alcune tratte autostradali nazionali, risultano pertanto opportuni e necessarie per sostenere il diritto alla mobilità dei pendolari siciliani, che quotidianamente usufruiscono delle tratte autostradali in precedenza indicate al fine di contribuire alla riduzione del gap di competitività tra la Sicilia e le altre realtà territoriali del Paese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, nell'ambito delle proprie competenze, di stabilire nei prossimi provvedimenti d'iniziativa governativa per le tratte autostradali nazionali, un intervento legislativo ad hoc, volto a estendere l'intesa già prevista in via sperimentale fino al 31 dicembre 2015, per i pendolari che usufruiscono dei tratti autostradali A18 Siracusa-Gela, A18 Messina-Catania e A20 Messina-Palermo, per almeno 20 volte al mese, uno sconto del 20 per cento.
9/2433/50Garofalo.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge reca un contenuto estremamente ampio e complesso, in quanto le disposizioni previste all'interno dei 60 articoli recano complessive operazioni di carattere finanziario che incidono su numerosi ambiti normativi, con misure finalisticamente orientate ad affrontare diversi settori riconducibili alla competitività e alla giustizia sociale, con particolare riferimento al rilancio dell'economia;
    il provvedimento interviene in ambito fiscale attraverso una serie di misure agevolative, finalizzate in particolare al riconoscimento di un credito fiscale per i percettori di redditi di lavoro dipendente e di taluni redditi assimilati, nonché alla riduzione a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013, delle aliquote dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) applicabili ai diversi soggetti passivi del tributo, con esclusione delle amministrazioni e degli enti pubblici;
    all'interno delle suesposte e condivisibili misure agevolative, necessitano ulteriori interventi di carattere fiscale, volti a sostenere un comparto importante e strategico dell'economia nazionale quale la mobilità pubblica che rappresenta un obiettivo strategico per la realizzazione di politiche tese a promuovere sviluppo sostenibile, strategie di crescita economica e di progresso sociale;
    nel Mezzogiorno ed in particolare in Sicilia il sistema dei collegamenti autostradali gestiti in concessione (A 18 Siracusa-Gela, A18 Messina-Catania e A20 Messina-Palermo) dal Consorzio per le autostrade siciliane, risulta in condizioni di estrema inefficienza sotto il profilo della sicurezza, della manutenzione e della realizzazione delle infrastrutture viarie, come sostenuto in diverse occasioni sia dai pendolari che dai rilievi critici dell'Autorità di vigilanza e dell'Anas, il cui stato di precarietà, non giustifica il pedaggio da parte degli utenti siciliani che usufruiscono il percorso delle tratte interessate;
    iniziative affini a quelle già introdotte all'inizio dell'anno, che recano esenzioni fino al 20 per cento sui costi dei ticket autostradali, nei confronti degli automobilisti che quotidianamente usufruiscono di alcune tratte autostradali nazionali, risultano pertanto opportuni e necessarie per sostenere il diritto alla mobilità dei pendolari siciliani, che quotidianamente usufruiscono delle tratte autostradali in precedenza indicate al fine di contribuire alla riduzione del gap di competitività tra la Sicilia e le altre realtà territoriali del Paese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, nell'ambito delle proprie competenze, e nel rispetto di quelle delle regioni e delle province autonome, di stabilire nei prossimi provvedimenti d'iniziativa governativa per le tratte autostradali nazionali, un intervento legislativo ad hoc, volto a estendere l'intesa già prevista in via sperimentale fino al 31 dicembre 2015, per i pendolari che usufruiscono dei tratti autostradali A18 Siracusa-Gela, A18 Messina-Catania e A20 Messina-Palermo, per almeno 20 volte al mese, uno sconto del 20 per cento.
9/2433/50. (Testo modificato nel corso della seduta) Garofalo.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame, dal contenuto disomogeneo, estremamente ampio e complesso, interviene ad ampio spettro su vari settori dell'economia nazionale: dal versante delle entrate, dell'imposizione fiscale, alla giustizia sociale, alla revisione della spesa pubblica, norme la cui efficacia, rischia tuttavia di determinare un impatto modesto e irrilevante sul quadro macroeconomico del Paese;
    per il settore agricolo e agroalimentare, il cui aumento del Pil nel primo trimestre, ha rappresentato uno dei pochi comparti in controtendenza nella fase economica della recessione, il provvedimento prevede misure di carattere fiscale, di evidente indebolimento, che determineranno un passo indietro rispetto agli indirizzi adottati nei mesi precedenti, tenuto conto delle esigue risorse finanziarie a disposizione e dalla disciplina di bilancio da rispettare;
    la reintroduzione dell'IMU sui terreni agricoli, collinari e montani, le modifiche introdotte sul trattamento fiscale del reddito proveniente, per gli imprenditori agricoli, dall'esercizio di impianti di produzione di energie rinnovabili alimentati a biogas di derivazione agroforestale, rappresentano infatti interventi che aggraveranno il livello di tassazione del settore già altamente indebolito da una insostenibile pressione fiscale;
    in materia di determinazione del reddito imponibile derivante dalla produzione e cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche effettuate da aziende agricole, l'articolo 22 comma 1, introduce un nuovo criterio di applicazione, attraverso il coefficiente di redditività del 25 per cento, all'ammontare dei corrispettivi delle operazioni soggette a registrazione IVA, rispetto al precedente criterio di determinazione del reddito agrario definito su base catastale, la cui efficacia risulterà a decorrere dal 2015;
    tale decisione, sebbene posticipata, rischia di determinare conseguenze negative e penalizzanti rispetto a piani finanziari e a investimenti che sono già stati posti in essere dalle aziende del settore, rischiando con ogni probabilità di interrompere i timidi segnali di ripresa del medesimo comparto;
    il differimento di un ulteriore anno ovvero al 2016, appare pertanto una decisione tanto equilibrata, quanto motivata dalla pianificazione economico e finanziaria che numerose imprese del settore, che garantiscono occupazione ad un considerevole numero di addetti, hanno da tempo intrapreso,

impegna il Governo

a valutare, compatibilmente con le risorse di bilancio disponibili, ed i vincoli di finanza pubblica, l'opportunità di differire, attraverso un ulteriore provvedimento normativo, al 2016, l'efficacia della disposizione prevista dal comma 1 dell'articolo 22, in materia di determinazione del reddito imponibile derivante dalla produzione e cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche effettuate da aziende agricole.
9/2433/51Faenzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame reca una molteplicità di norme, dal contenuto estremamente ampio e complesso, in quanto i suoi 60 articoli incidono su numerosi ambiti normativi, anche differenziati fra loro, con misure finalisticamente orientate ad affrontare diversi settori riconducibili alla competitività e alla giustizia sociale;
    all'interno del Capo III rubricato «Trasferimenti e sussidi», l'articolo 22-bis, introdotto dal Senato, autorizza la spesa a favore degli interventi delle zone franche urbane di Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, (articolo 37, comma 1, del decreto-legge n. 179 del 2012) delle ulteriori zone franche individuate dalla delibera CIPE n. 14 del 2009 ricadenti nelle regioni non comprese nell'obiettivo Convergenza, nonché della zona franca del Comune di Lampedusa istituita dall'articolo 23, comma 45, del decreto-legge n. 98 del 2011;
    l'efficacia dei suindicati interventi, che attribuiscono alle imprese beneficiare delle aree interessate, la fruizione delle agevolazioni previste di natura fiscale e contributiva, necessita un'estensione della propria applicazione anche in altre zone del Paese, ad elevata criticità economica e finanziaria quali le aree di frontiera, che per la loro collocazione geografica a ridosso dei confini italiani, stanno soffrendo enormi penalizzazioni a livello socio-economico;
    il processo di delocalizzazione industriale in corso lungo la fascia confinaria della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con la Slovenia e con l'Austria, a causa delle condizioni fiscali più vantaggiose, previste dai medesimi Paesi di frontiera, sta determinando un progressivo ridimensionamento delle attività produttive della regione italiana, con evidenti e negative ripercussioni sui livelli occupazionali e l'economia locale;
    interventi affini e similari, come quelli previsti dal suindicato articolo 22-bis, in grado di contrastare il fenomeno dell'organizzazione della produzione dislocata in Stati diversi, come sta accadendo lungo le zone di frontiera del Friuli-Venezia Giulia, rispettivamente con l'Austria e la Slovenia, appaiono pertanto necessari e indifferibili, al fine di interrompere il perpetuarsi di un fenomeno quale la delocalizzazione degli impianti produttivi;
    l'allargamento progressivo dell'Unione europea verso l'est e l'adozione della moneta unica stanno provocando la perdita di rilevanti attività commerciali e di servizi, a causa dell'accresciuta concorrenza degli Stati confinanti (Austria, Carinzia e Slovenia), che offrono agevolazioni fiscali ed incentivi per gli insediamenti produttivi più competitivi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, compatibilmente con le risorse di bilancio disponibili, ed i vincoli di finanza pubblica, di istituire nei territori compresi nei comuni di Trieste, Gorizia, Cividale del Friuli, Tarvisio e Monfalcone, la zona franca urbana, finalizzata a favorire le attività industriali, commerciali, artigianali e turistiche e sostenere la promozione e lo sviluppo dell'economia locale, dell'occupazione, nonché l'interscambio economico con i Paesi limitrofi.
9/2433/52Sandra Savino.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame, nell'ambito delle specifiche misure previste per favorire lo sviluppo economico e la competitività delle aree del Mezzogiorno, non contempla significativi interventi tali da introdurre elementi efficaci in grado di stimolare la ripresa dell'economia meridionale e della crescita delle imprese locali;
    le uniche misure che si rinvengono all'interno del provvedimento medesimo, nell'ambito delle disposizioni stabilite per finanziare alcune agevolazioni in favore delle piccole e medie imprese, localizzate nelle zone franche urbane, sono quelle contenute all'interno dell'articolo 22-bis, introdotto dal Senato, il cui regime agevolativo coinvolge le principali regioni del Mezzogiorno, ed esclude la Basilicata;
    la predetta regione, che produce oltre il 50 per cento degli idrocarburi nazionali ed il cui sfruttamento dei giacimenti ha favorito un aumento degli addetti all'industria e ai servizi nei comuni interessati dalle estrazioni, nonostante gli effetti negativi della crisi economica, è in attesa da diversi mesi, di una nuova definizione del quadro regolatorio relativo alle quote spettanti previste dal Fondo preordinato alla riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti per i residenti nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi, nonché dalle attività di rigassificazione, anche attraverso impianti fissi offshore, previsto dal comma 2 dell'articolo 45 della legge 27 luglio 2009, n. 99;
    l'ordine del giorno 9/1865-A/220 accolto nel corso della seduta n. 142 del 20 dicembre 2013, che impegnava il Governo a valutare l'opportunità di intervenire con urgenza, in un prossimo provvedimento al fine di consentire che le quote spettanti alla Basilicata del Fondo in precedenza esposto, siano ad essa attribuite, sopprimendo il riferimento alle attività di rigassificazione contenuto nel suddetto comma 2, era finalizzato a sollecitare l'Esecutivo affinché in tempi rapidi sia esplicitata l'interpretazione della norma oggetto di una controversia giudiziaria;
    il ricorso amministrativo pendente ha di fatto bloccato risorse per 250 milioni di euro previste all'interno del citato Fondo, per la pretesa di altre regioni di attingere allo stesso per compensare i territori in cui insistono impianti di rigassificazione, il cui impatto ambientale è estremamente inferiore rispetto all'estrazione di idrocarburi;
    gli effetti negativi e penalizzanti di tale situazione tuttora in una fase di stallo, che necessita pertanto di rapidi interventi risolutivi, stanno determinando evidenti difficoltà per l'intera economia della Basilicata, la cui regione è la principale alimentatrice del Fondo di cui all'articolo 45 della legge n.99 del 2009,

impegna il Governo

a ridefinire nell'immediato in maniera chiara ed organica la normativa destinata alle regioni interessate dalle estrazioni di idrocarburi liquidi e gassosi, nonché dalle attività di rigassificazione anche attraverso impianti fissi offshore, ed in particolare quanto disposto dell'articolo 45 della legge n. 99 del 2009, affinché siano attribuite in tempi rapidi le quote spettanti alla regione Basilicata, espungendo al contempo il riferimento alle attività di rigassificazione contenuto nel comma 2 del medesimo articolo 45 in precedenza indicato.
9/2433/53Latronico.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame, nell'ambito delle specifiche misure previste per favorire lo sviluppo economico e la competitività delle aree del Mezzogiorno, non contempla significativi interventi tali da introdurre elementi efficaci in grado di stimolare la ripresa dell'economia meridionale e della crescita delle imprese locali;
    le uniche misure che si rinvengono all'interno del provvedimento medesimo, nell'ambito delle disposizioni stabilite per finanziare alcune agevolazioni in favore delle piccole e medie imprese, localizzate nelle zone franche urbane, sono quelle contenute all'interno dell'articolo 22-bis, introdotto dal Senato, il cui regime agevolativo coinvolge le principali regioni del Mezzogiorno, ed esclude la Basilicata;
    la predetta regione, che produce oltre il 50 per cento degli idrocarburi nazionali ed il cui sfruttamento dei giacimenti ha favorito un aumento degli addetti all'industria e ai servizi nei comuni interessati dalle estrazioni, nonostante gli effetti negativi della crisi economica, è in attesa da diversi mesi, di una nuova definizione del quadro regolatorio relativo alle quote spettanti previste dal Fondo preordinato alla riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti per i residenti nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi, nonché dalle attività di rigassificazione, anche attraverso impianti fissi offshore, previsto dal comma 2 dell'articolo 45 della legge 27 luglio 2009, n. 99;
    l'ordine del giorno 9/1865-A/220 accolto nel corso della seduta n. 142 del 20 dicembre 2013, che impegnava il Governo a valutare l'opportunità di intervenire con urgenza, in un prossimo provvedimento al fine di consentire che le quote spettanti alla Basilicata del Fondo in precedenza esposto, siano ad essa attribuite, sopprimendo il riferimento alle attività di rigassificazione contenuto nel suddetto comma 2, era finalizzato a sollecitare l'Esecutivo affinché in tempi rapidi sia esplicitata l'interpretazione della norma oggetto di una controversia giudiziaria;
    il ricorso amministrativo pendente ha di fatto bloccato risorse per 250 milioni di euro previste all'interno del citato Fondo, per la pretesa di altre regioni di attingere allo stesso per compensare i territori in cui insistono impianti di rigassificazione, il cui impatto ambientale è estremamente inferiore rispetto all'estrazione di idrocarburi;
    gli effetti negativi e penalizzanti di tale situazione tuttora in una fase di stallo, che necessita pertanto di rapidi interventi risolutivi, stanno determinando evidenti difficoltà per l'intera economia della Basilicata, la cui regione è la principale alimentatrice del Fondo di cui all'articolo 45 della legge n.99 del 2009,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di ridefinire nell'immediato in maniera chiara ed organica la normativa destinata alle regioni interessate dalle estrazioni di idrocarburi liquidi e gassosi, nonché dalle attività di rigassificazione anche attraverso impianti fissi offshore, ed in particolare quanto disposto dell'articolo 45 della legge n. 99 del 2009, affinché siano attribuite in tempi rapidi le quote spettanti alla regione Basilicata, espungendo al contempo il riferimento alle attività di rigassificazione contenuto nel comma 2 del medesimo articolo 45 in precedenza indicato.
9/2433/53. (Testo modificato nel corso della seduta) Latronico.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 14 del provvedimento in esame ha introdotto misure in materia di controllo della spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
    insieme alle esigenze di natura economico-finanziaria è imprescindibile l'introduzione, in termini di obblighi per le pubbliche amministrazioni, di misure di trasparenza e pubblicità in ordine ai medesimi incarichi nonché di criteri di durata degli incarichi medesimi,

impegna il Governo

ad adottare le iniziative, anche legislative, affinché, entro i 30 giorni successivi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, gli incarichi di consulenza affidati dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 dell'articolo 14 siano sempre pubblicati sui rispettivi siti internet e siano corredati dei curricula di coloro che hanno ricevuto i predetti incarichi.
9/2433/54Lombardi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 14 del provvedimento in esame ha introdotto misure in materia di controllo della spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
    insieme alle esigenze di natura economico-finanziaria è imprescindibile l'introduzione, in termini di obblighi per le pubbliche amministrazioni, di misure di trasparenza e pubblicità in ordine ai medesimi incarichi nonché di criteri di durata degli incarichi medesimi,

impegna il Governo

ad adottare le iniziative, anche legislative, affinché gli incarichi di consulenza affidati dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 dell'articolo 14 siano sempre pubblicati sui rispettivi siti internet e siano corredati dei curricula di coloro che hanno ricevuto i predetti incarichi.
9/2433/54. (Testo modificato nel corso della seduta) Lombardi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 42 del decreto-legge in esame istituisce, presso ciascuna pubblica amministrazione, il registro unico delle fatture, nel quale, entro 10 giorni dal ricevimento sono annotate le fatture o le richieste equivalenti di pagamento per somministrazioni, forniture e appalti e per obbligazioni relative a prestazioni professionali emesse nei loro confronti,

impegna il Governo:

   a prevedere con futuri provvedimenti che:
    in caso di violazione dei termini temporali di cui al comma 1 dell'articolo 42 del decreto-legge in esame, i dirigenti amministrativi di ruolo di prima fascia in servizio, responsabili dei relativi procedimenti, rispondono ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sia sul piano disciplinare, che per il danno erariale e all'immagine della pubblica amministrazione;
    la sanzione disciplinare a carico del dirigente amministrativo responsabile non possa essere inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di un mese ad un massimo di sei mesi.
9/2433/55Bechis.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 42 del decreto-legge in esame istituisce, presso ciascuna pubblica amministrazione, il registro unico delle fatture, nel quale, entro 10 giorni dal ricevimento sono annotate le fatture o le richieste equivalenti di pagamento per somministrazioni, forniture e appalti e per obbligazioni relative a prestazioni professionali emesse nei loro confronti,

impegna il Governo:

   a prevedere con futuri provvedimenti che:
    in caso di violazione dei termini temporali di cui al comma 1 dell'articolo 42 del decreto-legge in esame, i dirigenti amministrativi di ruolo di prima fascia in servizio, responsabili dei relativi procedimenti, rispondono ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sia sul piano disciplinare, che per il danno erariale e all'immagine della pubblica amministrazione.
9/2433/55. (Testo modificato nel corso della seduta) Bechis.


   La Camera,
   premesso che:
    i dati esaminati dalla Conferenza permanente per la finanza pubblica il 13 febbraio 2014 predisposti dalla Commissione tecnica paritetica per l'attribuzione del federalismo fiscale evidenziano che la spesa primaria regionale pesa all'interno della spesa primaria della PA il 4,5 per cento nel 2012 (dal 5,3 per cento del 2009 in pesante riduzione pari allo 0,8 per cento) e che quindi le manovre di finanza pubblica hanno inciso sul 4,5 per cento della spesa pubblica primaria per il 38,5 per Cento fra il 2009 e il 2012;
    questi dati devono essere integrati con gli effetti delle manovre finanziarie degli anni 2013 e 2014 che hanno determinato un contributo aggiuntivo regionale al risanamento dei conti pubblici di 1 miliardo di euro a decorrere dal 2013 e di 1,2 miliardi di euro a decorrere dal 2014 aggiuntivi rispetto ai risparmi del settore sanitario e che tali risparmi si inseriscono in un contesto in cui il tetto di spesa del patto di stabilità è stato ridotto dal 2010 di circa 10 miliardi;
    l'articolo 46 del decreto all'esame dispone per il 2014 un contributo alla finanza pubblica che le regioni a statuto ordinario sono tenute ad assicurare, pari complessivamente a 500 milioni per l'anno 2014 e a 750 milioni per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017;
    quest'ultimo contributo al risanamento dei conti pubblici rischia di determinare l'impossibilità di svolgere interventi destinati in particolare a favore delle scuole paritarie, per il finanziamento di borse di studio e di interventi per agevolare la fruizione dei libri di testo nonché sulle misure destinate alle persone con disabilità e per investimenti per il materiale rotabile ovvero per il trasporto su gomma per il trasporto pubblico locale già finanziati dalla legge di stabilità 2014;
    gli ambiti sopra individuati rappresentano politiche di spesa universalmente riconosciute meritevoli di attenzione e, pertanto, da salvaguardare e assicurare mediante l'azione sinergica dello Stato e delle Regioni in modo da valorizzare le risposte della PPAA, statale e regionale, ai tagli previsti dalla normativa citata e rispettare il tetto di spesa eurocompatibile fissato con il Patto di Stabilità Interno dalla legge n. 147 del 2013,

impegna il Governo

a convocare un tavolo presso la Presidenza del consiglio dei Ministri - Ministero per gli affari regionali e le autonomie, per promuovere una riflessione sul Patto di stabilità interno, alla luce delle concrete esperienze applicative, per ricercare le soluzioni migliori che, pur garantendo gli equilibri complessivi di finanza pubblica, forniscano gli strumenti migliori per una gestione in grado di rispondere alle esigenze della collettività locale, anche in vista di una sua rivisitazione, alla luce dell'applicazione della legge 24 dicembre 2012, n. 243 recante disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione.
9/2433/56Pelillo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 41-bis del decreto-legge in esame, al fine di favorire l'accelerazione dei pagamenti a favore delle imprese, autorizza, fino al 31 dicembre 2014, l'utilizzo delle risorse già disponibili sulle rispettive contabilità speciali,

impegna il Governo

a presentare alle Camere, entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, una relazione contenente l'ammontare delle somme, nonché la gestione ed il loro effettivo utilizzo, accreditate e giacenti sulle contabilità speciali delle province di Monza-Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani.
9/2433/57Baroni.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto legge in esame riconosce un credito d'imposta nella misura di 640 Euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il beneficio è riconosciuto a decorrere dal mese di maggio 2014, ed e limitato al solo anno 2014, in attesa di un intervento di riduzione strutturale del cuneo fiscale da attuare con la legge di stabilità per l'anno 2015. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241;
    i presupposti soggettivi ed oggettivi previsti ai fini del riconoscimento del credito, generano una disparità di trattamento sostanziale. Va rilevato, infatti, che il meccanismo delineato dalla norma lascia insoddisfatti i c.d, incapienti il cui reddito si attesta sotto la no tax area di 8000 euro l'anno (circa 4 milioni di persone,

impegna il Governo

ad assumere ulteriori iniziative, anche di carattere normativo, al fine di estendere il riconoscimento del credito ai soggetti cd. Incapienti ovverosia a coloro il cui reddito annuale non superi il limite di euro 8.000,00.
9/2433/58Ruocco.


   La Camera

impegna il Governo

ad assumere iniziative, nella prossima sessione di bilancio 2015-2018, al fine di estendere il riconoscimento del credito ai soggetti cd. Incapienti ovverosia a coloro il cui reddito annuale non superi il limite di euro 8.000,00.
9/2433/58. (Testo modificato nel corso della seduta) Ruocco.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in esame riconosce un credito d'imposta nella misura di 640 Euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il beneficio è riconosciuto a decorrere dal mese di maggio c.a. ed è limitato al solo anno 2014, in attesa di un intervento di riduzione strutturale del cuneo fiscale da attuare con la legge di stabilità per l'anno 2015. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241;
    i presupposti soggettivi ed oggettivi previsti ai fini del riconoscimento del credito, generano una disparità di trattamento sostanziale in quanto il credito d'imposta è limitato ad una sola categoria di contribuenti,

impegna il Governo

ad assumere ogni ulteriore iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di predispone misure che garantiscano un reddito minimo ai cittadini in difficoltà, conseguendo, in tal modo, una maggiore giustizia ed equità sociale.
9/2433/59Pesco.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 del decreto-legge in sede di conversione stabilisce il taglio dell'Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) per tutte le categorie di aziende. L'aliquota principale dell'IRAP passerà a regime dal 3,9 per cento al 3,5 per cento. Vengono ridotte anche le altre aliquote previste, da quelle per le banche che scendono dal 4,65 al 4,20 a quelle del comparto assicurativo (dal 5,9 al 5,3 per cento) sino all'agricoltura per la quale il beneficio è assai più ridotto passando dall'1,9 all'1,7 per cento;
    la misura, dunque, non si limita a beneficiare solo le categorie produttive maggiormente interessate alla riduzione della pressione fiscale (imprese del comparto industriale, PMI, agricoltura) ma altresì banche, assicurazioni e altri intermediari finanziari, non propriamente necessitanti di tale intervento,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni citate in premessa al fine di assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte a prevedere una maggiore riduzione dell'IRAP a favore delle piccole e medie imprese nonché quelle attive nel settore agricolo, anche valutando l'opportunità di aumentare l'IRAP per banche ed assicurazioni.
9/2433/60Cancelleri.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in corso di conversione riconosce un credito d'imposta nella misura di 640 euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il beneficio è riconosciuto a decorrere dal mese di maggio c.a. ed è limitato al solo anno 2014, in attesa di un intervento di riduzione strutturale del cuneo fiscale da attuare con la legge di stabilità per l'anno 2015. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241;
    i presupposti soggettivi ed oggettivi previsti ai fini del riconoscimento del credito, generano una disparità di trattamento sostanziale. Va rilevato, infatti, che il meccanismo delineato dalla norma, esclude dal riconoscimento del credito i titolari di trattamenti pensionistici ed equiparati,

impegna il Governo

ad assumere ulteriori iniziative, anche di carattere normativo, al fine di estendere il riconoscimento del credito anche ai soggetti percettori di redditi da pensione ed equiparati.
9/2433/61Barbanti.


   La Camera

impegna il Governo

ad assumere ulteriori iniziative, anche di carattere normativo, al fine di estendere il riconoscimento del credito anche ai soggetti percettori di redditi da pensione ed equiparati.
9/2433/61. (Testo modificato nel corso della seduta) Barbanti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in corso di conversione in esame riconosce un credito d'imposta nella misura di 640 euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il beneficio è riconosciuto a decorrere dal mese di maggio c.a. ed è limitato al solo anno 2014, in attesa di un intervento di riduzione strutturale del cuneo fiscale da attuare con la legge di stabilità per l'anno 2015. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241;
    i presupposti soggettivi ed oggettivi previsti ai fini del riconoscimento del credito, generano una disparità di trattamento sostanziale. Va rilevato, infatti, che il meccanismo delineato dalla norma non prevede alcuna misura per i lavoratori autonomi a parità di condizioni,

impegna il Governo

ad assumere ogni ulteriore iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di estendere il riconoscimento del credito d'imposta, ovvero ogni misura a sostegno del reddito, anche ai lavoratori autonomi che abbiano gli stessi requisiti reddituali previsti dal decreto legge in corso di conversione.
9/2433/62Pisano.


   La Camera

impegna il Governo

ad assumere ogni ulteriore iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di estendere il riconoscimento del credito d'imposta, ovvero ogni misura a sostegno del reddito, anche ai lavoratori autonomi che abbiano gli stessi requisiti reddituali previsti dal decreto legge in corso di conversione.
9/2433/62. (Testo modificato nel corso della seduta) Pisano.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 decreto-legge in corso di conversione riconosce un credito d'imposta nella misura di 640 euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il beneficio è riconosciuto a decorrere dal mese di maggio c.a. ed è limitato al solo anno 2014, in attesa di un intervento di riduzione strutturale del cuneo fiscale da attuare con la legge di stabilità per l'anno 2015. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241;
    i presupposti soggettivi ed oggettivi previsti ai fini del riconoscimento del credito, generano una disparità di trattamento sostanziale. Va rilevato, infatti, che il meccanismo delineato dalla norma, determina diversità di trattamento tra gli stessi beneficiari del credito: per i contribuenti privi sostituto d'imposta, infatti, non vi sarà alcuna erogazione del bonus a partire dal mese di maggio. Per essi, il riconoscimento del credito potrà avvenire solo con la dichiarazione dei redditi per il periodo d'imposta 2014 (e nemmeno in via automatica bensì su richiesta contenuta nella dichiarazione dei redditi),

impegna il Governo

ad assumere ogni ulteriore iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di prevedere specifici meccanismi fiscali che consentano l'erogazione immediata del credito d'imposta anche ai lavoratori privi di sostituto d'imposta.
9/2433/63Alberti.


   La Camera

impegna il Governo

ad assumere ogni ulteriore iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di prevedere specifici meccanismi fiscali che consentano l'erogazione nel 2015 e successivi del credito d'imposta anche ai lavoratori privi di sostituto d'imposta.
9/2433/63. (Testo modificato nel corso della seduta) Alberti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 del decreto-legge in esame stabilisce il taglio dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) per tutte le categorie di aziende. L'aliquota principale dell'IRAP passerà a regime dal 3,9 per cento al 3,5 per cento. Vengono ridotte anche le altre aliquote previste, da quelle per le banche che scendono dal 4,65 al 4,20 a quelle del comparto assicurativo (dal 5,9 al 5,3 per cento) sino all'agricoltura per la quale il beneficio è assai più ridotto passando dall'1,9 all'1,7 per cento;
    la misura, dunque, non si limita a beneficiare solo le categorie produttive maggiormente interessate alla riduzione della pressione fiscale (imprese del comparto industriale, PMI, agricoltura) ma altresì banche, assicurazioni e altri intermediari finanziari, non propriamente necessitanti di tale intervento;
    la prevista riduzione di aliquota, altresì, ha un'incidenza minima sul total tax rate, ovverosia sul valore complessivo della pressione fiscale e previdenziale,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte a prevedere una maggiore riduzione delle imposte a carico di coltivatori diretti e micro, piccole e medie imprese del settore agricolo, anche valutando l'opportunità di aumentare l'imposizione fiscale per le banche e le assicurazioni.
9/2433/64Villarosa.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 del decreto-legge in esame stabilisce il taglio dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) per tutte le categorie di aziende. L'aliquota principale dell'IRAP passerà a regime dal 3,9 per cento al 3,5 per cento. Vengono ridotte anche le altre aliquote previste, da quelle per le banche che scendono dal 4,65 al 4,20 a quelle del comparto assicurativo (dal 5,9 al 5,3 per cento) sino all'agricoltura per la quale il beneficio è assai più ridotto passando dall'1,9 all'1,7 per cento;
    la misura, dunque, non si limita a beneficiare solo le categorie produttive maggiormente interessate alla riduzione della pressione fiscale (imprese del comparto industriale, PMI, agricoltura) ma altresì banche, assicurazioni e altri intermediari finanziari, non propriamente necessitanti di tale intervento;
    la prevista riduzione di aliquota, altresì, ha un'incidenza minima sul total tax rate, ovverosia sul valore complessivo della pressione fiscale e previdenziale,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte a prevedere una maggiore riduzione delle imposte a carico di coltivatori diretti e micro, piccole e medie imprese del settore agricolo.
9/2433/64. (Testo modificato nel corso della seduta) Villarosa.


   La Camera,
   premesso che:
    esaminato il provvedimento in titolo, valutate le misure introdotte al fine del concorso delle province, delle città metropolitane e dei comuni alla riduzione della spesa pubblica di cui all'articolo 47 del decreto-legge 66/2014, in particolare al comma 11 che prevede il recupero delle somme in questione da parte della Agenzia delle Entrate, con un conseguente aggravio di situazione verso gli enti incapienti e quindi un ulteriore riduzione dei servizi, che sono in grado di offrire ai cittadini,

impegna il Governo

a valutare di compensare con misure finanziare alternative, l'inadempienza degli enti incapienti al fine di evitare che questi ultimi si trovino nelle condizioni di dover provocare disservizi verso i cittadini.
9/2433/65Castelli.


   La Camera,
   premesso che:
    valutate le misure introdotte al fine di contenere le spese degli enti del servizio sanitario nazionale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare provvedimenti che consentano agli enti del servizio sanitario nazionale di assumere solo personale funzionale all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, ad esclusione del personale amministrativo.
9/2433/66Cariello.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca misure urgenti per la giustizia sociale;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo è atto di sicura giustizia sociale tutto ciò che contribuisce ad eliminare privilegi ed ingiustificati benefici economici pubblici, in particolare quando il percepimento di tali privilegi o benefici perduri nei confronti di soggetti la cui condotta si è posta in evidente contrasto e di affronto verso i principi fondanti della nostra Costituzione, in particolare con riguardo all'articolo 54 della Costituzione,

impegna il Governo:

   a monitorare l'adozione e l'applicazione da parte delle Regioni del divieto di erogazione di vitalizi ai condannati per delitti contro la pubblica amministrazione;
   a valutare l'opportunità di estendere tale divieto anche nel caso di condanne per delitti di mafia o collegati ad essi;
   a valutare l'opportunità di estendere il divieto di erogazione di vitalizi nel caso di condanna per delitti contro la pubblica amministrazione e per delitti di mafia o ad essi collegati, per tutti i soggetti che hanno ricoperto cariche pubbliche elettive ed in conseguenza di esse ricevono i suddetti vitalizi.
9/2433/67Nuti.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca misure urgenti per la giustizia sociale;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo è atto di sicura giustizia sociale tutto ciò che contribuisce ad eliminare privilegi ed ingiustificati benefici economici pubblici, in particolare quando il percepimento di tali privilegi o benefici perduri nei confronti di soggetti la cui condotta si è posta in evidente contrasto e di affronto verso i principi fondanti della nostra Costituzione, in particolare con riguardo all'articolo 54 della Costituzione,

impegna il Governo:

   a monitorare l'adozione e l'applicazione da parte delle Regioni del divieto di erogazione di vitalizi ai condannati per delitti contro la pubblica amministrazione;
   a valutare l'opportunità di estendere tale divieto anche nel caso di condanne per delitti di mafia o collegati ad essi;
   a valutare l'opportunità di proporre iniziative legislative volte ad estendere il divieto di erogazione di vitalizi nel caso di condanna per delitti contro la pubblica amministrazione e per delitti di mafia o ad essi collegati, per tutti i soggetti che hanno ricoperto cariche pubbliche elettive ed in conseguenza di esse ricevono i suddetti vitalizi.
9/2433/67. (Testo modificato nel corso della seduta) Nuti.


   La Camera,
   premesso che:
    a distanza di pochi mesi dalla soppressione intervenuta per volontà del Parlamento, l'articolo 41-bis del provvedimento in esame rinnova la proroga del termine inerente alla gestione delle risorse finanziarie di cui alle contabilità speciali intestate alle province di Monza e Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani – istituite nel 2004 – risorse che dovevano essere utilizzate per i lavori di approntamento dei nuovi uffici provinciali;
    ora come allora – allora l'occasione fu quella dell'esame del decreto-legge cosiddetto «milleproroghe 2014» – si procede all'ennesima proroga in assenza di trasparenza, nella quale anche il Governo in carica persevera, a causa del fatto che, ora come allora, nessuna relazione illustrativa né relazione tecnica abbiano fornito elementi di chiarezza circa la gestione delle suddette risorse e l'ammontare esatto delle somme che, a tutt'oggi, sono accreditate e giacenti sulle contabilità speciali delle suddette province,

impegna il Governo

a presentare al Parlamento, entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente del decreto-legge, presso le Commissioni competenti, una relazione contenente, con riguardo alle somme accreditate e giacenti sulle contabilità speciali delle province di Monza-Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani, l'ammontare di dette somme nonché la gestione ed il loro effettivo utilizzo, l'entità dei lavori eseguiti ed i pagamenti effettuati e quelli che si intendono effettuare nei termini disposti dal presente provvedimento.
9/2433/68D'Ambrosio.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 22 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 modifica a partire dal periodo di imposta 2014 la determinazione del reddito imponibile derivante dalla produzione e cessione di energia elettrica a calore da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche nonché di carburanti prodotti da coltivazioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo effettuata dagli imprenditori agricoli,

impegna il Governo

ad intervenire, anche con provvedimenti normativi affinché nel periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 nel caso di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili di qualsiasi tipo di potenza superiore a 250 kilowatt il reddito sia determinato applicando all'ammontare dei corrispettivi delle operazioni soggette a registrazione agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto il coefficiente di redditività del 25 per cento.
9/2433/69Zolezzi, Busto, Daga, Mannino, Segoni, Terzoni, Micillo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8, al comma 1, del provvedimento in esame afferma che «I programmi di spesa relativi agli investimenti pluriennali per la difesa nazionale sono rideterminati in maniera tale da conseguire una riduzione degli stanziamenti di bilancio in misura non inferiore a 400 milioni di euro per l'anno 2014 che concorrono alla determinazione della riduzione di cui al comma 4, lettera c), per il medesimo anno» e che «nelle more dell'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al secondo periodo sono rese indisponibili le risorse, negli importi indicati al primo periodo, iscritte nello stato di previsione del Ministero della difesa relative ai programmi di cui all'articolo 536 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66»,

impegna il Governo

a conseguire il risparmio di cui all'articolo 8 comma 11 con la cancellazione del programma di acquisizione degli F35 o in subordine ad una sua drastica riduzione, come auspicato dalle conclusioni della Commissione d'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma.
9/2433/70Artini, Rizzo, Corda, Basilio, Frusone, Paolo Bernini, Tofalo.


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso dell'esame del decreto-legge n. 66 del 2014 In prima lettura al Senato è stato introdotto, tra gli altri, l'articolo 16-bis concernente «Norme in materia di personale del MAE»;
    il comma 1 del medesimo articolo, alla lettera b) inserisce nel decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri), dopo l'articolo 53, il nuovo articolo 53-bis, concernente le attività per la promozione all'estero dell'Italia. Nella fattispecie, il comma 2 dell'articolo 53-bis istituisce un apposito Fondo nello stato di previsione del Ministero degli affari esteri (Mae), le cui risorse saranno ripartite tra gli uffici all'estero con uno o più decreti del Mae, senza specificare le modalità di tale ripartizione; tra l'altro, per le spese collegate all'attuazione di questo articolo è previsto un rimborso anche sulla base di costi medi forfettari che per ogni Paese sono determinati dall'Amministrazione degli affari esteri, anche se non se ne comprende la ratio;
    il comma 3 dell'articolo 16-bis, invece, ridetermina, in aumento, il contingente di cui all'articolo 152 del citato decreto del Presidente della Repubblica nella misura di 2.600 unità per l'anno 2015, 2.650 unità per il 2016 e 2.700 unità a decorrere dal 2017;
    l'articolo 152 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 prevedeva che le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari di prima categoria e gli istituti italiani di cultura possono avvalersi di personale a contratto, previa autorizzazione dell'amministrazione centrale degli affari esteri, nel limite di un contingente complessivo di 2.277 unità;
    la valutazione degli oneri che l'incremento di tale contingente comporta è pari a 2.176.000 euro per il 2015, in 3.851.520 euro per il 2016 e in 6.056.064 euro a decorrere dal 2017;
    appare sproporzionato e non giustificato il rapporto tra le unità di personale a contratto previste in aumento nel triennio 2015-17 e la relativa valutazione degli oneri derivanti da tale incremento,

impegna il Governo

a fornire una dettagliata relazione al Parlamento sulle modalità della ripartizione del Fondo di cui al nuovo articolo 53-bis introdotto nel decreto-legge n. 66 del 2014 e sui criteri adottati nella valutazione relativa all'ammontare progressivo degli oneri relativi al contingente previsto dal comma 3 dell'articolo 16-bis.
9/2433/71Scagliusi, Sibilia.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 69 del 2013, in materia di edilizia scolastica, ha previsto lo stanziamento di 100 milioni di euro per gli anni 2014, 2015 e 2015 per gli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici previsti dal piano di cui al decreto-legge n. 5 del 2012;
    tra i predetti stanziamenti, specifiche risorse (3,5 milioni di euro annui nel triennio 2014-2016) sono state destinate per la prevenzione del rischio sismico (comma 8-bis) e per le bonifiche degli immobili in cui si è rilevata la presenza di amianto (comma 8-ter), prevedendo altresì la revoca dei finanziamenti in caso di mancato affidamento dei lavori (comma 8-sexies);
    per l'utilizzo di dette risorse si è prescritto (comma 8-ter) che fino al 31 dicembre 2014, ai sindaci e ai presidenti di provincia viene attribuito il ruolo di commissario di governo per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza degli edifici allocati nei territori di loro competenza, riconoscendo a questi ultimi poteri derogatori rispetto a norme dettate a tutela della trasparenza e della regolarità dell'espletamento delle procedure di appalti pubblici;
    nello specifico, con questi poteri si riconosce a sindaci e presidenti di provincia la prerogativa di determinare in deroga a talune norme del codice degli appalti (decreto legislativo n. 163 del 2000),del suo regolamento di esecuzione (decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010), del testo unico sull'edilizia (decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) e sin'anche della normativa dettata in materia di trasparenza dei procedimenti amministrativi (legge n. 241 del 1990, articolo 10-bis);
    tra le predette deroghe vengono meno, tra gli altri, gli obblighi di procedere, sia per le procedure di affidamento di opere pubbliche aperte che per quelle ristrette, a tutte le verifiche prescritte dall'articolo 48, comma 1 ed 1-bis, del provvedimento del decreto legislativo n. 163 del 2006, a riscontrare la sussistenza o meno nei soggetti provvisoriamente aggiudicatari dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara o dalla legge, venendo meno anche la necessità di verificare il possesso del requisito di qualificazione per eseguire lavori dia parte detti soggetti;
    dette deroghe, ed in particolare la deroga dai predetti obblighi di controllo, renderanno ancor più vulnerabile il sistema di aggiudicazione delle opere pubbliche in parola, che verrà reso ulteriormente permeabile all'ingresso nel sistema degli appalti pubblici di soggetti potenzialmente inadeguati o incapaci di fornire le opportune garanzie di corretta esecuzione e gestione delle opere ad eseguirsi,

impegna il Governo

a riconsiderare, anche dal prossimo provvedimento normativo utile, la necessità di ristabilire adeguati sistemi di controllo sugli aggiudicatari di opere pubbliche di tale rilevanza sociale quali sono quelle comunque connesse all'edilizia scolastica.
9/2433/72Luigi Gallo, Vacca, Marzana, Brescia, Simone Valente, Di Benedetto, Battelli, D'Uva.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8, comma 11, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, prevede una rideterminazione dei programmi di spesa relativi agli investimenti pluriennali per la difesa nazionale, in misura tale da conseguire una sostanziale riduzione degli stanziamenti di bilancio e un contestuale risparmio per le casse dello Stato;
    le autorizzazioni di spesa iscritte sugli stati di previsione dei Ministeri interessati sono rideterminate in maniera tale da assicurare una riduzione in termini di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni;
    con l'approvazione del patto di stabilità, per l'anno 2014, il Governo ha deciso di ridurre ulteriormente i fondi da destinare al sistema sanitario nazionale e, in particolare, alla formazione dei nuovi medici, riducendo i capitoli di spesa per l'assegnazione delle borse di studio utili all'iscrizione dei neo laureati in medicina e chirurgia presso le scuole di specializzazione di area medica;
    in un Paese con un elevato tasso di invecchiamento della popolazione, e con una progressiva crescita del numero dei pazienti affetti da malattie cronico degenerative, la riduzione dei fondi da destinare alla spesa sanitaria e all'erogazione di borse di studio che consentano la formazione specialistica dei giovani medici, rischia di compromettere irrimediabilmente l'efficienza, la qualità e il buon funzionamento del sistema sanitario nazionale;
    in presenza di un modello universitario nazionale che limita il libero accesso ai corsi di laurea di area medico-sanitaria senza considerare, di fatto, il fabbisogno nazionale nel settore della sanità pubblica e le unità di personale necessarie al suo corretto funzionamento, le citate previsioni di riduzione della spesa aumentano ulteriormente le difficoltà del buon andamento del sistema sanitario;
    a fronte di 9.000 candidati, in riferimento ai vari corsi di area medica, per l'anno 2014, potranno essere assegnate circa 3.500 borse di studio utili all'iscrizione dei neo laureati alle scuole di specializzazione di area medica, garantendo così solamente a poco più del 30 per cento dei soggetti richiedenti l'accesso al secondo livello di formazione, condizione necessaria per l'accesso al sistema sanitario nazionale e, quindi, al mondo del lavoro;
    l'adozione di urgenti provvedimenti idonei a garantire un aumento delle borse di studio impedirebbero il collasso del sistema sanitario pubblico, e la conseguente compromissione del diritto di ogni cittadino di accedere a un sistema di cure efficiente, a tutela del diritto alla salute costituzionalmente garantito,

impegna il Governo

affinché i risparmi di spesa realizzati in attuazione dell'articolo 8, comma 11, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, così come convertito, vengano interamente destinati alla formazione di nuovi medici, determinando un aumento delle quote della spesa assegnate per la concessione di nuove borse di studio utili a garantire l'accesso dei giovani laureati alle scuole di specializzazione di area medica.
9/2433/73D'Uva, Vacca, Luigi Gallo, Brescia, Battelli, Marzana, Di Benedetto, Simone Valente.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8, comma 11, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, prevede una rideterminazione dei programmi di spesa relativi agli investimenti pluriennali per la difesa nazionale, in misura tale da conseguire una sostanziale riduzione degli stanziamenti di bilancio e un contestuale risparmio per le casse dello Stato;
    le autorizzazioni di spesa iscritte sugli stati di previsione dei Ministeri interessati sono rideterminate in maniera tale da assicurare una riduzione in termini di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni;
    con l'approvazione del patto di stabilità, per l'anno 2014, il Governo ha deciso di ridurre ulteriormente i fondi da destinare al sistema sanitario nazionale e, in particolare, alla formazione dei nuovi medici, riducendo i capitoli di spesa per l'assegnazione delle borse di studio utili all'iscrizione dei neo laureati in medicina e chirurgia presso le scuole di specializzazione di area medica;
    in un Paese con un elevato tasso di invecchiamento della popolazione, e con una progressiva crescita del numero dei pazienti affetti da malattie cronico degenerative, la riduzione dei fondi da destinare alla spesa sanitaria e all'erogazione di borse di studio che consentano la formazione specialistica dei giovani medici, rischia di compromettere irrimediabilmente l'efficienza, la qualità e il buon funzionamento del sistema sanitario nazionale;
    in presenza di un modello universitario nazionale che limita il libero accesso ai corsi di laurea di area medico-sanitaria senza considerare, di fatto, il fabbisogno nazionale nel settore della sanità pubblica e le unità di personale necessarie al suo corretto funzionamento, le citate previsioni di riduzione della spesa aumentano ulteriormente le difficoltà del buon andamento del sistema sanitario;
    a fronte di 9.000 candidati, in riferimento ai vari corsi di area medica, per l'anno 2014, potranno essere assegnate circa 3.500 borse di studio utili all'iscrizione dei neo laureati alle scuole di specializzazione di area medica, garantendo così solamente a poco più del 30 per cento dei soggetti richiedenti l'accesso al secondo livello di formazione, condizione necessaria per l'accesso al sistema sanitario nazionale e, quindi, al mondo del lavoro;
    l'adozione di urgenti provvedimenti idonei a garantire un aumento delle borse di studio impedirebbero il collasso del sistema sanitario pubblico, e la conseguente compromissione del diritto di ogni cittadino di accedere a un sistema di cure efficiente, a tutela del diritto alla salute costituzionalmente garantito,

impegna il Governo

ad investire sulla formazione di nuovi medici, determinando un aumento delle quote della spesa assegnate per la concessione di nuove borse di studio utili a garantire l'accesso dei giovani laureati alle scuole di specializzazione di area medica.
9/2433/73. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Uva, Vacca, Luigi Gallo, Brescia, Battelli, Marzana, Di Benedetto, Simone Valente.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 48 del provvedimento in esame è finalizzato ad agevolare gli interventi di edilizia scolastica, prevedendo a tal fine, nel limite massimo di 122 milioni di euro per ciascun anno, l'esclusione per gli anni 2014 e 2015 dal patto di stabilità interno delle spese sostenute dai comuni per interventi di edilizia scolastica, nonché di risorse fino ad un importo massimo di 300 milioni di euro per la prosecuzione del programma di interventi di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali avviato con l'articolo 18, comma 8-ter, e seguenti, del decreto-legge n. 69 del 2013;
    nel citato articolo 18 del decreto-legge n. 69 del 2013 è stata inserita, durante l'iter parlamentare del provvedimento una modifica al comma 8-ter, secondo il quale, fino al 31 dicembre 2014, ai sindaci e ai presidenti di provincia interessati viene attribuito il ruolo di commissario di governo per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza degli edifici, con ampi poteri derogatori rispetto alla normativa vigente;
    la norma in questione appare del tutto ingiustificata ed appartiene a quella filosofia di semplificazione delle procedure che troppo spesso, come rilevato pressoché quotidianamente dalle cronache, ha reso più agevoli irregolarità e anomalie nella gestione degli appalti pubblici,

impegna il Governo:

   ad intervenire per eliminare dal quadro normativo vigente ogni forma di deroga alla normativa quadro in materia di affidamento degli appalti pubblici, con particolare riferimento alle deroghe di cui all'articolo 18, comma 8-ter, del decreto-legge n. 69 del 2013, escludendo tassativamente la possibilità di derogare all'articolo 48 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   a valutare l'opportunità di avviare una efficace revisione del Codice degli Appalti Pubblici con il principale obiettivo di dare la massima garanzia di legalità e trasparenza.
9/2433/74Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Segoni, Terzoni, Zolezzi.


   La Camera,
   in sede di discussione del disegno di legge recante «Conversione in legge del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l'adozione di un testo unico in materia di contabilità di Stato e di tesoreria (C. 2433 Governo, approvato dal Senato);
   premesso che:
    il decreto-legge all'articolo 9 definisce, tra l'altro, una nuova disciplina per l'istituzione di un «elenco dei soggetti aggregatori» e per il ricorso a Consip S.p.A. o ad un altro soggetto rientrante nel predetto elenco per lo svolgimento delle procedure relative all'acquisizione di beni e servizi;
    il comma 4-bis del medesimo articolo 9 integra le regole di valutazione delle offerte nel caso di contratti pubblici che devono essere affidati con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa;
    l'articolo 10 prevede che i compiti di vigilanza sulle attività finalizzate all'acquisizione di beni e servizi siano attribuiti all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture, che li esercita secondo quanto previsto dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
    osservato, altresì, che l'articolo 26 reca una nuova disciplina in materia di obblighi di pubblicità relativa agli avvisi e ai bandi previsti nel Codice dei contratti pubblici la cui applicabilità, secondo quanto stabilito a seguito di una modifica inserita nel corso dell'esame al Senato, decorrerà soltanto a partire dal 2016;
    al fine di garantire la tutela di tutti i partecipanti alle gare d'appalto, attraverso la promozione della trasparenza e della legalità come elementi imprescindibili dello sviluppo del bene comune,

impegna il Governo:

   a revocare definitivamente tutti gli appalti pubblici assegnati a società riconosciute responsabili di corruzione o complici passive di concussione per l'ottenimento degli stessi, qualora il reato sia stato commesso dai proprietari, dagli amministratori o da una dirigenza rappresentativa delle stesse;
   ad inibire la partecipazione di suddette società ad appalti pubblici per un periodo non inferiore a 10 anni.
9/2433/75De Rosa.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 3 e 4 del decreto-legge in esame intervengono in materia di tassazione delle rendite finanziarie. In particolare, l'aliquota del prelievo, già elevata dal 12,50 per cento al 20$ dal 1o gennaio 2012 per effetto delle norme contenute nel decreto-legge n. 138 del 2011, subisce un ulteriore incremento fino al 26 per cento. L'aumento al 26 per cento si estende indistintamente a tutti i percettori di redditi di natura finanziaria, a prescindere dall'entità della ricchezza oggetto di tassazione;
    con l'aumento generalizzato della tassazione al 26 per cento, si uniforma il trattamento fiscale tra chi guadagna poche centinaia di euro l'anno sui risparmi di una vita e chi invece incassa corposi dividendi su ingenti capitali investiti;
    non può non attribuirsi all'imposta sulle rendite finanziarie il carattere di progressività, nel pieno rispetto dell'articolo 53 della Costituzione,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni in premessa al fine di assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte a riformare il sistema impositivo delle rendite finanziarie attraverso la previsione di aliquote progressive, in perfetta armonia con il disposto dell'articolo 53 della Costituzione.
9/2433/76Currò.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in sede di conversione riconosce un credito d'imposta nella misura di 640 euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il beneficio è riconosciuto a decorrere dal mese di maggio 2014 ed è limitato al solo anno 2014, in attesa di un intervento di riduzione strutturale del cuneo fiscale da attuare con la legge di stabilità per l'anno 2015. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241;
    i presupposti soggettivi ed oggettivi previsti ai fini del riconoscimento del credito d'imposta, generano una disparità di trattamento sostanziale. In particolare, l'estrema personalizzazione dei requisiti di accesso al beneficio (che tengono conto della sola posizione reddituale del singolo) genera un effetto distorsivo della misura a sfavore delle famiglie meno agiate: una famiglia con più soggetti beneficiari del credito (e, dunque, con più soggetti precettori di reddito) è certamente privilegiata rispetto ad una famiglia monoreddito (semmai di poco superiore al limite previsto e, dunque, non destinataria del credito);
    all'articolo 1, comma 1, del decreto-legge in corso di conversione, sono previste misure, nell'ambito di una riforma strutturale a decorrere dal 2015, a favore delle famiglie monoreddito con almeno due o più figli a carico,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di reperire risorse per riconoscere, già nel periodo d'imposta in corso, misure di sostegno economico alle famiglie monoreddito ovvero con almeno due o più figli a carico.
9/2433/77D'Incà.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in sede di conversione riconosce un credito d'imposta nella misura di 640 euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il beneficio è riconosciuto a decorrere dal mese di maggio 2014 ed è limitato al solo anno 2014, in attesa di un intervento di riduzione strutturale del cuneo fiscale da attuare con la legge di stabilità per l'anno 2015. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241;
    i presupposti soggettivi ed oggettivi previsti ai fini del riconoscimento del credito d'imposta, generano una disparità di trattamento sostanziale. In particolare, l'estrema personalizzazione dei requisiti di accesso al beneficio (che tengono conto della sola posizione reddituale del singolo) genera un effetto distorsivo della misura a sfavore delle famiglie meno agiate: una famiglia con più soggetti beneficiari del credito (e, dunque, con più soggetti precettori di reddito) è certamente privilegiata rispetto ad una famiglia monoreddito (semmai di poco superiore al limite previsto e, dunque, non destinataria del credito);
    all'articolo 1, comma 1, del decreto-legge in corso di conversione, sono previste misure, nell'ambito di una riforma strutturale a decorrere dal 2015, a favore delle famiglie monoreddito con almeno due o più figli a carico,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di reperire risorse per riconoscere misure di sostegno economico alle famiglie monoreddito ovvero con almeno due o più figli a carico.
9/2433/77. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Incà.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8 del testo del decreto-legge dispone obiettivi di riduzione di spesa per acquisti di beni e servizi per un risparmio totale per il 2014 non inferiore a 2.100 milioni di euro, di cui 340 milioni a carico delle province e città metropolitane e 360 milioni a carico del comuni;
    gli stretti vincoli del patto di stabilità imposti agli enti locali già con il decreto-legge 78 del 2010 e con le successive manovre succedutesi e finalizzate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica hanno inciso pesantemente sulla autonomia di spesa dei medesimi enti;
    l'ulteriore taglio imposto dal decreto-legge in esame, interviene ad anno finanziario già inoltrato e rende di difficile applicazione la revisione della spesa previsionale;
    inoltre, ulteriori tagli di spesa imposti ai comuni potrebbero comportare una riduzione dei servizi ai cittadini,

impegna il Governo

a valutare la riduzione dei suddetti tagli di spesa a carico degli enti locali, in occasione dell'adozione dei prossimi provvedimenti di carattere finanziario, compensando le riduzioni di spesa ivi previste con una più incisiva riduzione dei programmi di spesa relativa agli investimenti pluriennali per la difesa nazionale.
9/2433/78Caso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 20 del decreto-legge in esame dispone per le società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato, ovvero le società direttamente o indirettamente controllate dallo Stato, obiettivi di contenimento della spesa pubblica;
    al comma 5 del medesimo articolo per il biennio 2014-2015 è previsto un collegamento pari al 30 per cento della componente variabile del compenso degli amministratori delegati e dei dirigenti al risultato conseguito,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori provvedimenti, che colleghino i compensi fissi dei medesimi soggetti al raggiungimento degli obiettivi di risparmio, considerata l'urgenza di razionalizzazione della spesa pubblica.
9/2433/79Sorial.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8 del testo del decreto-legge dispone obiettivi di riduzione di spesa per acquisti di beni e servizi per un risparmio totale per il 2014 non inferiore a 2.100 milioni di euro, di cui 340 milioni a carico delle province e città metropolitane e 360 milioni a carico del comuni;
    l'articolo 47, al comma 9, lettera a), si dispongono i criteri per la razionalizzazione della spesa pubblica per beni e servizi dei comuni;
    in particolare la norma suddetta richiama l'allegata Tabella A, che contiene i codici SIOPE, che individuano le voci di spesa da ridurre;
    fra i codici ivi indicati appaiono anche le voci di spesa relative alle mense scolastiche e ai servizi scolastici;
    ciò comporta il rischio che i comuni sia costretti a tagliare i suddetti servizi, con danno per le famiglie che ne usufruiscono;
    nel caso paventato si rischierebbe anche un maggior contributo da parte delle famiglie per i suddetti servizi, ed in tal modo si annullerebbe il beneficio delle famiglie i cui componenti ricevono il bonus degli 80 euro previsto all'articolo 1,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni citate in premessa al fine di considerare, in occasione dell'adozione di provvedimenti di carattere finanziario, l'opportunità di stralciare dalla Tabella A le citate voci di spesa per evitare che siano oggetto di riduzione da parte dei comuni.
9/2433/80Brugnerotto.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 16, comma 7, dispone l'incremento, per un importo di 4,8 milioni di euro per l'anno 2014, dell'autorizzazione di spesa di cui al comma 46-bis del decreto-legge n. 69 del 2013, finalizzato al rilancio del settore agricolo e alla realizzazione delle iniziative in campo agroalimentare connesse all'evento Expo Milano 2015, e alla partecipazione all'evento medesimo;
    il suddetto incremento si somma ai 10 milioni di euro già previsti per il biennio 2014/2015 ed appare pertanto eccessivo, tanto più che nell'anno in corso l'evento non è ancora in atto e non si ravvede la necessità di autorizzare ulteriori spese di «partecipazione»;
    sono note le vicende giudiziarie che stanno interessando i vertici della esposizione universale di Milano da cui emerge un sistema di corruzione e diffusa illegalità,

impegna il Governo

a valutare la necessità di non assegnare ulteriori risorse finalizzate alla partecipazione e realizzazione dell'evento Expo 2015 anche in considerazione delle inchieste giudiziarie in corso che hanno evidenziato gravi illegalità nella gestione dei lavori preparatori da parte delle società e delle istituzioni preposte.
9/2433/81Lupo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 26 del provvedimento all'esame interviene in tema di obblighi di pubblicità, relativi agli avvisi e ai bandi previsti nel Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, di seguito Codice), con la soppressione dell'obbligo di pubblicazione sui quotidiani per estratto del bando o dell'avviso per l'affidamento dei contratti pubblici nei settori ordinari, sopra e sotto soglia comunitaria, nonché con la previsione dell'obbligo di pubblicazione, esclusivamente, in via telematica, di informazioni ulteriori, complementari o aggiuntive rispetto a quelle previste dal Codice, e del rimborso delle spese di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, entro il termine di sessanta giorni dall'aggiudicazione del contratto;
    le nuove disposizioni recate dal comma 1, lettere a) e b), dell'articolo in esame modificano la disciplina sugli obblighi di pubblicità per gli avvisi e i bandi per l'affidamento dei contratti pubblici prevista nel Codice;
    in particolare, le due lettere modificano rispettivamente, l'articolo 66, in cui si disciplinano le modalità di pubblicazione dei bandi e degli avvisi relativi a tutti i contratti nei settori ordinari di importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria (cd. appalti sopra soglia), e all'articolo 122, che disciplina la stessa materia relativamente ai contratti di lavori pubblici di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria (cd. appalti sotto soglia);
    la disposizione succitata è identica ad una nostra proposta di legge, AC 2061, che interviene limitando così una ulteriore forma di finanziamento all'editoria;
    come si legge nella relazione tecnica che accompagna il decreto, dalla pubblicazione dei bandi e degli avvisi sui quotidiani deriva un significativo aggravio dei costi delle procedure di selezione del contraente a fronte di un non significativo incremento della diffusione dell'informazione funzionale alla realizzazione dei principi di pubblicità e trasparenza;
    i costi relativi alla pubblicazione sui quotidiani ammontano a circa 120 milioni annui, IVA esclusa, e circa il 60 per cento di tale importo è già rimborsato alle amministrazioni pubbliche da parte degli aggiudicatari e che le spese di pubblicazione sulla GURI ammontano a circa 27 milioni di euro annui, IVA esclusa, da ciò si ritiene derivi un risparmio per le amministrazioni aggiudicatrici quantificabile in un risparmio di 75 milioni annui, IVA esclusa;
    tuttavia, nel corso dell'esame al Senato è stato aggiunto all'articolo 26 il comma 1-bis, che stabilisce l'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo a partire dal 1o gennaio 2016;
    nel corso dell'esame al Senato è stato, altresì, inserito il comma 1-ter, che fa salvi gli effetti derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, prodottisi fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto;
    le modifiche introdotte durante l'esame al Senato, inevitabilmente vanificano la portata della norma,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme richiamate in premessa, al fine di riconsiderare, anche dal prossimo provvedimento normativo utile, la necessità di rendere efficace quanto prima l'applicabilità delle disposizioni succitate e non aspettare il primo gennaio 2016 per l'attuazione delle stesse.
9/2433/82Brescia, Luigi Gallo, Marzana, Vacca, D'Uva, Battelli, Simone Valente, Di Benedetto.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame all'articolo 48, comma 1, stabilisce che, ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, non saranno considerate le spese sostenute dai Comuni per interventi di edilizia scolastica;
    al comma 1 dello stesso articolo 48, il decreto stabilisce che l'esclusione è ammessa nel limite massimo di 122 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e che ne beneficeranno i Comuni individuati, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanare entro il 15 giugno 2014;
    lo stesso decreto all'articolo 1, comma 2, dispone, nell'ambito della programmazione nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al periodo 2014-2020, l'assegnazione di 300 milioni di euro per la finalità e gli interventi di cui all'articolo 18 comma 8- ter del decreto-legge n. 69 del 2013, e dunque per l'attuazione di misure urgenti in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle in cui è stata censita la presenza di amianto;
    al comma 2 dello stesso articolo 2, il decreto stabilisce che – previa verifica dell'utilizzo delle risorse assegnate nell'ambito della Programmazione 2007-2013 del Fondo per lo sviluppo e la coesione e di quelle destinate ai piani stralcio del programma di messa in sicurezza degli edifici scolastici – il CIPE assegni i previsti 300 milioni «in relazione ai fabbisogni effettivi e sulla base di un programma articolato per territorio regionale e per tipologia di interventi»;
    con la legge n. 244 del 2007, è stato istituito il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici», con l'obiettivo di finanziare gli interventi finalizzati ad eliminare i rischi per la salute pubblica derivanti dalla presenza di amianto negli edifici pubblici prevedendo una dotazione, per il 2008, di 5 milioni di euro, revocata in seguito con un successivo provvedimento legislativo;
    con riferimento al citato Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, la stessa legge n. 244 del 2007 ha previsto l'approvazione un programma decennale nell'ambito del quale dovevano essere attribuita una priorità agli interventi per la messa in sicurezza, tra gli altri, degli edifici scolastici ed universitari;
    il numero edifici scolastici nei quali è stata rilevata la presenza di amianto è stimato tra le 2.000 e le 3.000 unità, e dunque diverse centinaia di migliaia di alunni risultano esposti all'amianto nonostante la produzione, la commercializzazione e l'uso di questo materiale killer siano stati messi al bando, in Italia, da più di 22 anni;
    la stima sopracitata restituisce un numero largamente sottodimensionato degli edifici scolastici interessati dalla presenza dell'amianto, in considerazione del fatto che, nonostante gli obblighi stabiliti e le risorse messe a disposizione per la mappatura degli edifici e delle aree contaminati dalla presenza dell'amianto – con la legge 27 marzo 1992, n. 257 e con la successiva legge 23 marzo 2001, n. 93 – le operazioni di censimento non sono state completate, mancano dati relativi alla mappatura dell'amianto nelle scuole per oltre la metà delle regioni italiane, e ci sono regioni, come la Calabria e la Sicilia, che non hanno ancora trasmesso alcuna informazione al Ministero dell'Ambiente della tutela del territorio e del mare;
    il programma decennale, di cui al «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici», non è stato rifinanziato e dunque, allo stato attuale, risulta disattesa la previsione contenuta nella legge n. 244 del 2007 di procedere prioritariamente alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici ed universitari;
    la realizzazione delle opere pubbliche, da parte dei Comuni, avviene sulla base del Programma Triennale delle Opere Pubbliche, di cui all'articolo 128 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e dunque sulla base di una modulazione triennale delle attività amministrative preordinate all'approvazione dei progetti e all'adozione degli impegni di spesa necessari alla realizzazione degli stessi interventi;
    possono essere necessari diversi mesi per definire i procedimenti amministrativi preordinati all'approvazione del progetto di un'opera pubblica e per autorizzare – da parte degli organi competenti – l'assunzione dei corrispondenti impegni di spesa,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di reperire, attraverso ulteriori provvedimenti, le risorse necessarie affinché venga data copertura alla disposizione normativa, di cui all'articolo 48 comma 1 del decreto legge in esame, per il triennio 2015-2016-2017;
   a valutare la possibilità di far precedere l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 48 comma 1, dalla pubblicazione di una sollecitazione pubblica per l'individuazione dei comuni beneficiari, attraverso la quale richiedere ai Comuni interessati, di trasmettere una relazione tecnico-economica che illustri gli interventi – con il relativo importo – per i quali gli stessi Comuni intendano escludere le somme da utilizzare dal calcolo del saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità;
   a procedere, in ogni caso, all'individuazione dei Comuni beneficiari dell'esclusione, e alla ripartizione, tra quest'ultimi, dell'importo complessivo dell'esclusione stessa, selezionando gli stessi Comuni beneficiari secondo il seguente ordine di priorità:
    a) si trovano edifici scolastici statali che necessitano di interventi di messa in sicurezza e rimozione dell'amianto presente;
    b) sono ubicati edifici scolastici statali che necessitano di interventi di manutenzione straordinaria ovvero di ristrutturazione edilizia, in mancanza dei quali sono solo parzialmente agibili e utilizzabili;
    c) sono ubicati edifici scolastici statali che possono essere oggetto di interventi di ristrutturazione edilizia con lo scopo di soddisfare in questo modo – e dunque senza la necessità di procedere a interventi di nuova costruzione che interessano suoli agricoli e/o allo stato attuale liberi – il fabbisogno di nuovi locali e spazi da adibire all'istruzione scolastica;

   ad assicurare un'adeguata dotazione finanziaria al Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, di cui alla legge n.  244 del 2007, valutando la possibilità di destinare, in via prioritaria, i 300 milioni di euro utilizzabili nell'ambito della programmazione nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al periodo 2014-2020 - di cui all'articolo 48 comma 2 del decreto-legge in esame al finanziamento degli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici inseriti nel programma decennale per il risanamento di cui ai commi 440,441, 442 e 443 dell'articolo 2 della stessa legge n. 244 del 2007.
9/2433/83Mannino, Busto, Daga, De Rosa, Segoni, Terzoni, Micillo.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame all'articolo 48, comma 1, stabilisce che, ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, non saranno considerate le spese sostenute dai Comuni per interventi di edilizia scolastica;
    al comma 1 dello stesso articolo 48, il decreto stabilisce che l'esclusione è ammessa nel limite massimo di 122 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e che ne beneficeranno i Comuni individuati, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanare entro il 15 giugno 2014;
    lo stesso decreto all'articolo 1, comma 2, dispone, nell'ambito della programmazione nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al periodo 2014-2020, l'assegnazione di 300 milioni di euro per la finalità e gli interventi di cui all'articolo 18 comma 8- ter del decreto-legge n. 69 del 2013, e dunque per l'attuazione di misure urgenti in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle in cui e’ stata censita la presenza di amianto;
    al comma 2 dello stesso articolo 2, il decreto stabilisce che – previa verifica dell'utilizzo delle risorse assegnate nell'ambito della Programmazione 2007-2013 del Fondo per lo sviluppo e la coesione e di quelle destinate ai piani stralcio del programma di messa in sicurezza degli edifici scolastici – il CIPE assegni i previsti 300 milioni «in relazione ai fabbisogni effettivi e sulla base di un programma articolato per territorio regionale e per tipologia di interventi»;
    con la legge n. 244 del 2007, è stato istituito il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici», con l'obiettivo di finanziare gli interventi finalizzati ad eliminare i rischi per la salute pubblica derivanti dalla presenza di amianto negli edifici pubblici prevedendo una dotazione, per il 2008, di 5 milioni di euro, revocata in seguito con un successivo provvedimento legislativo;
    con riferimento al citato Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, la stessa legge n. 244 del 2007 ha previsto l'approvazione un programma decennale nell'ambito del quale dovevano essere attribuita una priorità agli interventi per la messa in sicurezza, tra gli altri, degli edifici scolastici ed universitari;
    il numero edifici scolastici nei quali è stata rilevata la presenza di amianto è stimato tra le 2.000 e le 3.000 unità, e dunque diverse centinaia di migliaia di alunni risultano esposti all'amianto nonostante la produzione, la commercializzazione e l'uso di questo materiale killer siano stati messi al bando, in Italia, da più di 22 anni;
    la stima sopracitata restituisce un numero largamente sottodimensionato degli edifici scolastici interessati dalla presenza dell'amianto, in considerazione del fatto che, nonostante gli obblighi stabiliti e le risorse messe a disposizione per la mappatura degli edifici e delle aree contaminati dalla presenza dell'amianto – con la legge 27 marzo 1992, n. 257 e con la successiva legge 23 marzo 2001, n. 93 – le operazioni di censimento non sono state completate, mancano dati relativi alla mappatura dell'amianto nelle scuole per oltre la metà delle regioni italiane, e ci sono regioni, come la Calabria e la Sicilia, che non hanno ancora trasmesso alcuna informazione al Ministero dell'Ambiente della tutela del territorio e del mare;
    il programma decennale, di cui al «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici», non è stato rifinanziato e dunque, allo stato attuale, risulta disattesa la previsione contenuta nella legge n. 244 del 2007 di procedere prioritariamente alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici ed universitari;
    la realizzazione delle opere pubbliche, da parte dei Comuni, avviene sulla base del Programma Triennale delle Opere Pubbliche, di cui all'articolo 128 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e dunque sulla base di una modulazione triennale delle attività amministrative preordinate all'approvazione dei progetti e all'adozione degli impegni di spesa necessari alla realizzazione degli stessi interventi;
    possono essere necessari diversi mesi per definire i procedimenti amministrativi preordinati all'approvazione del progetto di un'opera pubblica e per autorizzare – da parte degli organi competenti – l'assunzione dei corrispondenti impegni di spesa,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di reperire, attraverso ulteriori provvedimenti, le risorse necessarie affinché venga data copertura alla disposizione normativa, di cui all'articolo 48 comma 1 del decreto legge in esame, per il triennio 2015-2016-2017.
9/2433/83. (Testo modificato nel corso della seduta) Mannino, Busto, Daga, De Rosa, Segoni, Terzoni, Micillo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 31 del decreto-legge n.78 del 2010, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, ha vietato, a decorrere dal 1o gennaio 2011, la compensazione di crediti per imposte erariali, in presenza di debiti «iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori» di ammontare superiore a 1.500 euro, per i quali, al momento del versamento, è scaduto il termine di pagamento, cioè dopo 60 giorni dalla notifica della cartella;
    il decreto in esame in corso di conversione ha introdotto nuove disposizioni in materia di compensazione;
    in particolare, l'articolo 1, comma 5, prevede che il sostituto d'imposta possa recuperare le somme anticipate al lavoratore mediante compensazione ai sensi articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241,

impegna il Governo

ad assumere ogni genere di iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di introdurre la possibilità dei sostituti d'imposta di compensare, attraverso il modello f24, anche i debiti di cui all'articolo 31 del decreto-legge del 31 maggio 2010 n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, n. 30 luglio 2010, n. 122.
9/2433/84Rostellato.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame affida alla legge di stabilità 2015 il compito di prevedere misure fiscali che privilegino il carico di famiglia e, in particolare, le famiglie monoreddito con almeno due o più figli a carico. A tale scopo nell'articolo 50 è costituito un Fondo apposito, dotato di 1.930 milioni per l'anno 2015, 4.680 milioni per il 2016 4.135 milioni il 2017;
    l'Istat segnala che l'Italia nel 2013 ha raggiunto il record negativo della natalità: 515 mila bimbi, 11 mila in meno del precedente record negativo che era stato toccato nel 1995; le donne italiane partoriscono 1,29 figli a testa, ad un'età media di 31 anni;
    in confronto a Paesi come la Francia o il Regno Unito, in Italia mancano circa un milione di posti di lavoro nel settore dei servizi alle famiglie. Questa stima già tiene conto, in larga misura, delle badanti e di altre forme di aiuto domestico «in nero»;
    aumenta il numero delle donne costrette ad uscire dal mercato del lavoro in occasione della nascita dei figli: la quota delle madri che non lavora più a due anni di distanza dalla nascita dei figli è aumentata dal 18,4 per cento del 2005 al 22,3 per cento del 2012;
    più di 650 mila donne inattive che si prendono cura dei figli minori, di adulti malati o disabili, di anziani non autosufficienti dichiarano che vorrebbero lavorare, ma non possono farlo per l'insufficienza di servizi pubblici o per l'alto costo di quelli privati;
    da diverse Legislature si discute in Parlamento dell'introduzione del quoziente familiare per la fiscalità delle famiglie, che consente una riduzione di imposte al crescere dei componenti della famiglia e ammette la deducibilità di numerose spese connesse all'educazione dei figli e alla cura degli anziani; le proposte hanno sempre incontrato l'ostacolo degli elevati oneri sul bilancio dello Stato;
    in altri Paesi (Francia, Belgio, Regno Unito), oltre al quoziente familiare e ai sostegni economici si adottato un «secondo welfare»: un sistema di voucher, di buoni-acquisto convenienti per chi compra e per chi vende (privati o terzo settore) grazie a un sussidio pubblico incorporato nel buono e ad agevolazioni fiscali (come l'abbattimento Iva); Dopo l'introduzione del voucher, appunto, nel 2005, in Francia sono nate circa 10.000 nuove piccole società di servizi e sono riemersi o sono stati creati più di 100 mila posti di lavoro solo nei primi dodici mesi di applicazione,

impegna il Governo:

   a procedere, tenendo conto dei vincoli di bilancio, all'avvio della riforma del carico fiscale sulle famiglie, secondo il sistema già in uso in altri Paesi europei del «quoziente familiare»;
   a prevedere già con la prossima legge di stabilità, un forte aumento della deducibilità fiscale degli asili nido, con l'obiettivo di portarla sino al 100 per cento della spesa sostenuta;
   ad introdurre, in via sperimentale il sistema del voucher familiare, così come descritto in premessa.
9/2433/85Saltamartini, Dorina Bianchi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame affida alla legge di stabilità 2015 il compito di prevedere misure fiscali che privilegino il carico di famiglia e, in particolare, le famiglie monoreddito con almeno due o più figli a carico. A tale scopo nell'articolo 50 è costituito un Fondo apposito, dotato di 1.930 milioni per l'anno 2015, 4.680 milioni per il 2016 4.135 milioni il 2017;
    l'Istat segnala che l'Italia nel 2013 ha raggiunto il record negativo della natalità: 515 mila bimbi, 11 mila in meno del precedente record negativo che era stato toccato nel 1995; le donne italiane partoriscono 1,29 figli a testa, ad un'età media di 31 anni;
    in confronto a Paesi come la Francia o il Regno Unito, in Italia mancano circa un milione di posti di lavoro nel settore dei servizi alle famiglie. Questa stima già tiene conto, in larga misura, delle badanti e di altre forme di aiuto domestico «in nero»;
    aumenta il numero delle donne costrette ad uscire dal mercato del lavoro in occasione della nascita dei figli: la quota delle madri che non lavora più a due anni di distanza dalla nascita dei figli è aumentata dal 18,4 per cento del 2005 al 22,3 per cento del 2012;
    più di 650 mila donne inattive che si prendono cura dei figli minori, di adulti malati o disabili, di anziani non autosufficienti dichiarano che vorrebbero lavorare, ma non possono farlo per l'insufficienza di servizi pubblici o per l'alto costo di quelli privati;
    da diverse Legislature si discute in Parlamento dell'introduzione del quoziente familiare per la fiscalità delle famiglie, che consente una riduzione di imposte al crescere dei componenti della famiglia e ammette la deducibilità di numerose spese connesse all'educazione dei figli e alla cura degli anziani; le proposte hanno sempre incontrato l'ostacolo degli elevati oneri sul bilancio dello Stato;
    in altri Paesi (Francia, Belgio, Regno Unito), oltre al quoziente familiare e ai sostegni economici si adottato un «secondo welfare»: un sistema di voucher, di buoni-acquisto convenienti per chi compra e per chi vende (privati o terzo settore) grazie a un sussidio pubblico incorporato nel buono e ad agevolazioni fiscali (come l'abbattimento Iva); Dopo l'introduzione del voucher, appunto, nel 2005, in Francia sono nate circa 10.000 nuove piccole società di servizi e sono riemersi o sono stati creati più di 100 mila posti di lavoro solo nei primi dodici mesi di applicazione,

impegna il Governo:

   a procedere, tenendo conto dei vincoli di bilancio, all'avvio della riforma del carico fiscale sulle famiglie, secondo quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 1 adottando il sistema già in uso in altri Paesi europei del «fattore famiglia»;
   a prevedere già con la prossima sessione di bilancio 2015-2018, un aumento della deducibilità fiscale degli asili nido, con l'obiettivo di portarla sino al 100 per cento della spesa sostenuta tenendo conto dell'ISEE;
   ad introdurre, in via sperimentale il sistema del voucher familiare.
9/2433/85. (Testo modificato nel corso della seduta) Saltamartini, Dorina Bianchi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 del provvedimento in esame dispone in materia di modifiche delle aliquote IRAP;
    in questi anni numerose sentenze di Cassazione, incentrate sul concetto di mancanza di organizzazione dell'imprenditore o professionista individuale, hanno dato ragione ai contribuenti che hanno sollevato la questione, disponendo per i ricorrenti, l'esenzione IRAP; le decisioni della Cassazione fanno vacillare l'intera struttura dell'imposta;
    al Senato è stato approvato l'ordine del giorno 6/1465/12/0506 Sen. Sacconi, nel quale si impegna il Governo in sede di applicazione della legge sulla delega fiscale: «ad introdurre una sensibile estensione della platea di imprese e professionisti esentati dal pagamento dell'IRAP intervenendo a tal fine sulla precisazione del criterio dell'autonoma organizzazione dell'attività, sulla determinazione e revisione della base imponibile, nonché sull'incremento delle deduzioni calcolate sul costo del lavoro»,

impegna il Governo

ad individuare in sede di approvazione della legge di stabilità per il 2015, le risorse necessarie all'attuazione di quanto esposto nell'ultimo capoverso delle premesse.
9/2433/86Bernardo, Dorina Bianchi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 del provvedimento in esame dispone in materia di modifiche delle aliquote IRAP;
    in questi anni numerose sentenze di Cassazione, incentrate sul concetto di mancanza di organizzazione dell'imprenditore o professionista individuale, hanno dato ragione ai contribuenti che hanno sollevato la questione, disponendo per i ricorrenti, l'esenzione IRAP; le decisioni della Cassazione fanno vacillare l'intera struttura dell'imposta;
    al Senato è stato approvato l'ordine del giorno 6/1465/12/0506 Sen. Sacconi, nel quale si impegna il Governo in sede di applicazione della legge sulla delega fiscale: «ad introdurre una sensibile estensione della platea di imprese e professionisti esentati dal pagamento dell'IRAP intervenendo a tal fine sulla precisazione del criterio dell'autonoma organizzazione dell'attività, sulla determinazione e revisione della base imponibile, nonché sull'incremento delle deduzioni calcolate sul costo del lavoro»,

impegna il Governo

ad individuare in sede di sessione di bilancio 2015-2018 le risorse necessarie all'attuazione di quanto esposto nell'ultimo capoverso delle premesse.
9/2433/86. (Testo modificato nel corso della seduta) Bernardo, Dorina Bianchi.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, intitolato «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», noto al pubblico come spending review, sono state introdotte – oltre alle norme in tema di province, città metropolitane – importanti innovazioni anche in tema di esercizio associato delle funzioni da parte dei comuni, soprattutto piccoli;
    in particolare si tratta della riforma dell'obbligo di esercizio associato dette funzioni da parte dei comuni fino a 5000 abitanti (o 3000, se appartenuti o appartenenti a comunità montane; sono esenti i comuni il cui territorio coincide con una o più isole);
    la riforma mira a raccordare la disciplina di tale obbligo con la nuova definizione delle fruizioni fondamentali e con le innovazioni in tema di unioni e convenzioni;
    l'obbligo riguarda, appunto, le funzioni fondamentali ridefinite nel modo indicato sopra. Sono esclusi da tale obbligo i servizi anagrafici, elettorali e statistici; ma sono comprese le finzioni il cui esercizio comporta l'uso di tecnologie di informazione e comunicazione (realizzazione e gestione di infrastrutture, banche dati, applicazioni informatiche, licenze etc.). A tale ultimo proposito, l'articolo 19, comma 7, del decreto-legge n. 95 del 2012 abroga le disposizioni speciali dettate dall'articolo 5, commi 3-bis e ss., del codice dell'amministrazione digitale. Dunque, anche la cooperazione tra comuni nel settore ICT, se riguarda funzioni fondamentali, dovrà conformarsi all'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010;
    delle funzioni fondamentali elencate, tre dovranno essere esercitate in forma associata entro il 1o gennaio 2013; le altre, entro il 1o gennaio 2014. Vi è un contenuto allungamento dei termini previsti nel previgente articolo 14, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2010 e già una volta differiti, anch'essi di nove mesi, dall'articolo 29, comma 11, del citato decreto-legge mille proroghe;
    delle funzioni fondamentali elencate, tre dovranno essere esercitate in forma associata entro il 1o gennaio 2013;
    l'articolo 1 comma 530 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 ha previsto che all'articolo 14, comma 31-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. la lettera b) è sostituita dalle seguenti:
     «b) entro il 30 giugno 2014, con riguardo ad ulteriori tre delle funzioni fondamentali; b-bis) entro il 31 dicembre 2014, con riguardo alle restanti funzioni fondamentali»;
    molti Comuni delle dimensioni inferiori a 5000 abitanti sono hanno rinnovato i Consigli Comunali il 25 maggio scorso ed hanno riavviato fattività solo nelle scorse settimane,

impegna il Governo

a prorogare la scadenza del 30 giugno 2014 al 31 dicembre 2014.
9/2433/87Fiorio, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, intitolato «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», noto al pubblico come spending review, sono state introdotte – oltre alle norme in tema di province, città metropolitane – importanti innovazioni anche in tema di esercizio associato delle funzioni da parte dei comuni, soprattutto piccoli;
    in particolare si tratta della riforma dell'obbligo di esercizio associato dette funzioni da parte dei comuni fino a 5000 abitanti (o 3000, se appartenuti o appartenenti a comunità montane; sono esenti i comuni il cui territorio coincide con una o più isole);
    la riforma mira a raccordare la disciplina di tale obbligo con la nuova definizione delle fruizioni fondamentali e con le innovazioni in tema di unioni e convenzioni;
    l'obbligo riguarda, appunto, le funzioni fondamentali ridefinite nel modo indicato sopra. Sono esclusi da tale obbligo i servizi anagrafici, elettorali e statistici; ma sono comprese le finzioni il cui esercizio comporta l'uso di tecnologie di informazione e comunicazione (realizzazione e gestione di infrastrutture, banche dati, applicazioni informatiche, licenze etc.). A tale ultimo proposito, l'articolo 19, comma 7, del decreto-legge n. 95 del 2012 abroga le disposizioni speciali dettate dall'articolo 5, commi 3-bis e ss., del codice dell'amministrazione digitale. Dunque, anche la cooperazione tra comuni nel settore ICT, se riguarda funzioni fondamentali, dovrà conformarsi all'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010;
    delle funzioni fondamentali elencate, tre dovranno essere esercitate in forma associata entro il 1o gennaio 2013; le altre, entro il 1o gennaio 2014. Vi è un contenuto allungamento dei termini previsti nel previgente articolo 14, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2010 e già una volta differiti, anch'essi di nove mesi, dall'articolo 29, comma 11, del citato decreto-legge mille proroghe;
    delle funzioni fondamentali elencate, tre dovranno essere esercitate in forma associata entro il 1o gennaio 2013;
    l'articolo 1 comma 530 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 ha previsto che all'articolo 14, comma 31-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. la lettera b) è sostituita dalle seguenti:
     «b) entro il 30 giugno 2014, con riguardo ad ulteriori tre delle funzioni fondamentali; b-bis) entro il 31 dicembre 2014, con riguardo alle restanti funzioni fondamentali»;
    molti Comuni delle dimensioni inferiori a 5000 abitanti sono hanno rinnovato i Consigli Comunali il 25 maggio scorso ed hanno riavviato fattività solo nelle scorse settimane,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di prorogare la scadenza del 30 giugno 2014 al 30 settembre 2014.
9/2433/87. (Testo modificato nel corso della seduta) Fiorio, Carra.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge contiene, fra l'altro, importanti disposizioni in materia di acquisti di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni;
    il quarto comma dell'articolo 8 determina in 2,1 miliardi di euro i risparmi per acquisti di beni e servizi imposti nel complesso alle pubbliche amministrazioni (alinea del comma), specificando poi nelle lettere a), b) e c) che le quote a carico rispettivamente di Regioni, enti locali e amministrazioni dello Stato sono di 700 milioni per ciascuno dei tre comparti;
    con un emendamento apparentemente di pura forma, il Senato ha sostituito, alla lettera c), le parole «le amministrazioni dello Stato» con le parole «le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33», disposizione che a sua volta rinvia al secondo comma dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 165 del 2001 per l'elenco degli enti che rientrano nella pa. Con ciò, si è però di fatto estesa a tutte le pubbliche amministrazioni (e dunque anche a Regioni e enti locali, già assoggettati ai tagli di cui rispettivamente alle lettere a) e b) l'obbligo di risparmi per la quota di 700 min. che dovrebbe gravare solo sulle amministrazioni statali, creando, quindi, un problema interpretativo;
    l'esito non sembra corrispondere ad una equa distribuzione del taglio,

impegna il Governo

a chiarire che il taglio richiesto a regioni e enti locali è quello definito dalle lettere a) e b) dell'articolo 8.
9/2433/88Lenzi, Fabbri.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9, del provvedimento in esame dispone l'obbligo di rivolgersi a centrali di acquisto nazionali o regionali per le procedure di acquisto di categorie e di quantità di beni e servizi;
    il comma 3 demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, l'individuazione delle categorie di beni e di servizi nonché le soglie al superamento delle quali si prevede l'obbligo di ricorrere alla Consip S.p.A. o ad altro soggetto aggregatore per lo svolgimento delle relative procedure;
    il medesimo comma 3 fa comunque salva la possibilità di acquisire, mediante procedura di evidenza pubblica, beni e servizi, qualora i relativi prezzi siano inferiori a quelli emersi dalle gare effettuate dalla Consip S.p.A. e dai soggetti aggregatori e dispone, in caso di inosservanza dell'obbligo di ricorrere al soggetto aggregatore, che l'Autorità di vigilanza non rilasci alle stazioni appaltanti il codice identificativo di gara (CIG),

impegna il Governo:

   a chiarire nell'ambito del decreto attuativo di cui al comma 3 che la stazione appaltante che acquisisca prezzi inferiori a quelli emersi dalle gare effettuate dalla Consip S.p.A., ovvero dai soggetti aggregatori, ottenga comunque il codice identificativo di gara (CIG) necessario per esperire la procedura di evidenza pubblica;
   a prevedere che il ricorso a procedure volte alla riduzione dei prezzi per acquisti di beni e servizi, individuati con il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da effettuare altrimenti tramite soggetti aggregatori, sia esteso anche agli acquisti dei Comuni.
9/2433/89Carella.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9, del provvedimento in esame dispone l'obbligo di rivolgersi a centrali di acquisto nazionali o regionali per le procedure di acquisto di categorie e di quantità di beni e servizi;
    il comma 3 demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, l'individuazione delle categorie di beni e di servizi nonché le soglie al superamento delle quali si prevede l'obbligo di ricorrere alla Consip S.p.A. o ad altro soggetto aggregatore per lo svolgimento delle relative procedure;
    il medesimo comma 3 fa comunque salva la possibilità di acquisire, mediante procedura di evidenza pubblica, beni e servizi, qualora i relativi prezzi siano inferiori a quelli emersi dalle gare effettuate dalla Consip S.p.A. e dai soggetti aggregatori e dispone, in caso di inosservanza dell'obbligo di ricorrere al soggetto aggregatore, che l'Autorità di vigilanza non rilasci alle stazioni appaltanti il codice identificativo di gara (CIG),

impegna il Governo

a chiarire nell'ambito del decreto attuativo di cui al comma 3 che la stazione appaltante che acquisisca prezzi inferiori a quelli emersi dalle gare effettuate dalla Consip S.p.A., ovvero dai soggetti aggregatori, ottenga comunque il codice identificativo di gara (CIG) necessario per esperire la procedura di evidenza pubblica.
9/2433/89. (Testo modificato nel corso della seduta) Carella.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, come risultante dalle modifiche approvate nel corso dell'esame nell'altro ramo del Parlamento, incide su diversi ambiti, largamente finalizzati a intervenire su settori riconducibili alla competitività e alla giustizia sociale, con particolare riguardo a disposizioni di carattere fiscale per il rilancio dell'economia, alla revisione della spesa pubblica e agli interventi per accelerare il pagamento dei debiti arretrati delle pubbliche amministrazioni;
    in tale ottica si inseriscono le disposizioni volte ad assicurare l'obiettivo della riduzione della spesa – abbandonando la logica dei tagli lineari – delle diverse articolazioni dello Stato e delle società partecipate, tra cui la RAI S.p.A., secondo quanto disposto dall'articolo 21. Chiedendo anche alla concessionaria radiotelevisiva di «fare la sua parte in questa operazione di redistribuzione», portata avanti con il bonus di 80 euro per i percettori di redditi non superiori a 24 mila euro annui;
    rispetto al testo originario, il Governo ha acceduto alla possibilità che le disposizioni che prevedono tagli ai costi operativi delle aziende partecipate ogni anno, non riguardino più la Rai, disponendo per la tv pubblica un risparmio una tantum di 150 milioni per il 2014, e prevedendo che l'azienda possa cedere quote di minoranza delle società partecipate, senza pregiudicare il controllo pubblico, né lo sviluppo futuro dell'azienda;
    procedura di collocazione delle quote di minoranza che, come confermato dallo stesso direttore generale della Rai, seppure tecnicamente e giuridicamente complessa potrà comunque perfezionarsi entro l'anno in corso;
    le misure in questione, sollecitano una riflessione profonda e corale su quale sia la missione di un moderno servizio pubblico, in funzione della quale, la concessionaria pubblica dovrà ripensare il proprio piano industriale e tecnologico,

impegna il Governo:

   ad aprire da subito una grande consultazione su funzione e missione del servizio pubblico, coinvolgendo tutti gli stakeholder ed aprendo a cittadini ed opinione pubblica sul modello del royal charter act britannico;
   a concludere tale consultazione entro l'anno e sistematizzare i contributi emersi per offrirli alla discussione parlamentare, nonché ad anticipare il rinnovo della concessione Stato-Rai alla primavera del 2015;
   a presentare, entro il 31 dicembre 2014, una proposta di riforma organica del canone.
9/2433/90Peluffo, De Micheli, Anzaldi, Bonaccorsi, Garofani, Grassi, Orfini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9 del presente provvedimento dispone l'istituzione di un «elenco dei soggetti aggregatori» nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, di cui fanno parte Consip S.p.A., e una centrale di committenza per ciascuna regione;
    il comma 3 del citato articolo demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l'individuazione delle categorie di beni e di servizi, nonché le soglie al superamento delle quali le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative, delle istituzioni universitarie, delle regioni, degli enti regionali, dei loro consorzi e associazioni e degli enti del servizio sanitario nazionali ricorrono alla Consip S.p.A. o ad altro soggetto aggregatore per lo svolgimento delle relative procedure;
    tale previsione non prende in considerazione i comuni per i quali si applica il successivo comma 4 che modifica l'articolo 33, comma 3-ter del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, riscrivendo la disciplina relativa all'acquisizione di lavori, servizi e forniture per questi enti;
    alla luce delle modifiche introdotte, nell'acquisizione di lavori, beni e servizi i comuni non capoluogo di provincia dovranno optare, a decorrere dal 1o luglio prossimo – in virtù della proroga disposta dall'articolo 3, comma 1-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15 – per una delle seguenti opzioni alternative: a) procedere nell'ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti; b) costituire un apposito accordo consortile tra comuni e avvalersi dei competenti uffici; c) ricorrere ad un soggetto aggregatore; d) ricorrere alla province; e) utilizzare, per l'acquisto di beni e servizi, gli strumenti elettronici di acquisto gestiti dalla Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento;
    nonostante le reiterate istanze di semplificazione della normativa in materia di appalti, poiché la gestione di una gara richiede sempre maggiore specializzazione (ad esempio sopra i 40.000 euro dal 1o luglio scatterà l'obbligo di utilizzo dell'AVCPASS, ovvero il sistema informatico per la gestione telematica della procedura di affidamento e della verifica dei requisiti, prorogata già dal 1o gennaio per varie criticità della piattaforma), appare oggettivamente insostenibile che in un comune tutti i servizi/uffici continuino in modo autonomo ad effettuare acquisizioni, anche per la specializzazione necessaria. Pertanto dalla gestione aggregata delle procedure aperte (bandi pubblici), ristrette o negoziate, di importo uguale o superiore ad euro 40.000 richiedenti la consultazione di più operatori economici, possono derivare effetti positivi di razionalizzazione sia a livello di gestione del personale sia di spesa, mentre è possibile che i costi a carico dei Comuni per procedere ad acquisizioni di modesto importo attraverso la costituzione di un consorzio salgano e i tempi per gli appalti si allunghino senza che ai cittadini ne derivi il benché minimo vantaggio;
    per come è formulata la norma, dal 1o luglio il singolo comune, che non sia capoluogo di provincia, potrà autonomamente effettuare unicamente acquisizioni di beni e servizi attraverso CONSIP e MEPA; pertanto la norma rischia di paralizzare i comuni per quanto riguarda le acquisizioni in economia di lavori, di solito fatte in affido diretto (consentito sino ad oggi fino ai 40.000 euro), come il ripristino di un piccolo tratto stradale, la riparazione di una condotta, l'acquisto di materiale di ferramenta o elettrico per le riparazioni, eccetera, e questo in violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria degli enti, senza distinguere tra gestioni virtuose o meno;
    si deve inoltre considerare che stazioni appaltanti unificanti molti enti comporteranno appalti (anche per beni e servizi) di importi tali da impedire o rendere assai difficile la partecipazione alle gare delle piccole e medie imprese del territorio per mancanza di requisiti tecnici, economici e professionali;
    si rileva inoltre che diminuire le stazioni appaltanti non è detto assicuri la diminuzione della corruzione; se possono forse essere facilitate le forme di controllo da parte di autorità terze, non viene certo favorito in questo modo il controllo da parte della cittadinanza. Ogni comune, infatti, oggi pubblica le acquisizioni sul sito «amministrazione trasparente» e ogni cittadino può verificare cosa ha acquistato il suo comune e con quale procedura. Del resto l'esperienza concreta conferma che nei comuni di piccola e media dimensione è sempre esistito il controllo sociale sulla spesa, mentre nelle grandi città spesso si sono verificate perdite da ripianare. Quando ci saranno poche stazioni appaltanti come faranno i cittadini a poter controllare i reali costi sostenuti dal proprio comune ? Può dubitarsi che grandi stazioni appaltanti riescano a garantire lo stesso grado di trasparenza di un comune, che è la prima misura anticorruzione, non tanto per accessibilità del dato ma per la loro «distanza» dalla cittadinanza;
    appare altresì irragionevole che sia consentita l'acquisizione di beni, lavori e servizi nell'ambito delle unioni di commi con popolazione di 3.000 o 10.000 abitanti, mentre non lo sia per comuni non capoluogo che abbiano una popolazione anche di molto superiore;
    in conclusione, se l'obiettivo della stazione unica appaltante è sensato per importi di lavori sopra una certa soglia, in quanto un comune potrebbe trovarsi a dover organizzare una gara al di sopra delle proprie capacità organizzative e competenze, appare invece assolutamente inopportuno non consentire all'Amministrazione locale di continuare a gestire gli appalti a trattativa negoziata o ad affidamento diretto, eliminando la facoltà dei comuni di procedere autonomamente alle acquisizioni di lavori, servizi e forniture effettuate in economia mediante amministrazione diretta, nonché ai lavori, servizi e forniture inferiori a 40.000 euro. Appare altresì opportuno, a fini di semplificazione e razionalizzazione delle risorse, specificare che oltre all'accordo consortile i comuni possano stipulare apposita convenzione ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 267 del 2000. Infine è opportuno prevedere un periodo congruo affinché gli enti possano adeguarsi alle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 3-bis del presente provvedimento, considerato che il termine del 1o luglio è troppo ravvicinato e rischia di paralizzare la gran parte degli enti locali nell'approvvigionamento di beni e servizi, nonché per le acquisizioni in economia dei lavori,

impegna il Governo:

   a rendere più ragionevole e fattibile l'applicazione di queste disposizioni:
    a) esplicitando la possibilità per i comuni non capoluogo di procedere all'acquisizione di lavori, beni e servizi anche attraverso lo strumento della convenzione ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000;
    b) valutando l'opportunità di mantenere la possibilità per i comuni di procedere autonomamente alle acquisizioni di lavori, servizi e forniture effettuate in economia mediante amministrazione diretta, nonché ai lavori, servizi e forniture inferiori a 40.000 euro;
    c) prevedendo una congrua proroga del termine del 1o luglio per consentire ai comuni di adeguarsi alla nuova normativa attraverso la stipula delle convenzioni/accordi consortili senza pregiudicare nei prossimi mesi l'erogazione dei servizi e l'acquisizione in economia dei lavori necessari ad es. alle manutenzioni.
9/2433/91Rubinato, Guerra, Moretto.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9 del presente provvedimento dispone l'istituzione di un «elenco dei soggetti aggregatori» nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, di cui fanno parte Consip S.p.A., e una centrale di committenza per ciascuna regione;
    il comma 3 del citato articolo demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l'individuazione delle categorie di beni e di servizi, nonché le soglie al superamento delle quali le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative, delle istituzioni universitarie, delle regioni, degli enti regionali, dei loro consorzi e associazioni e degli enti del servizio sanitario nazionali ricorrono alla Consip S.p.A. o ad altro soggetto aggregatore per lo svolgimento delle relative procedure;
    tale previsione non prende in considerazione i comuni per i quali si applica il successivo comma 4 che modifica l'articolo 33, comma 3-ter del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, riscrivendo la disciplina relativa all'acquisizione di lavori, servizi e forniture per questi enti;
    alla luce delle modifiche introdotte, nell'acquisizione di lavori, beni e servizi i comuni non capoluogo di provincia dovranno optare, a decorrere dal 1o luglio prossimo – in virtù della proroga disposta dall'articolo 3, comma 1-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15 – per una delle seguenti opzioni alternative: a) procedere nell'ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti; b) costituire un apposito accordo consortile tra comuni e avvalersi dei competenti uffici; c) ricorrere ad un soggetto aggregatore; d) ricorrere alla province; e) utilizzare, per l'acquisto di beni e servizi, gli strumenti elettronici di acquisto gestiti dalla Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento;
    nonostante le reiterate istanze di semplificazione della normativa in materia di appalti, poiché la gestione di una gara richiede sempre maggiore specializzazione (ad esempio sopra i 40.000 euro dal 1o luglio scatterà l'obbligo di utilizzo dell'AVCPASS, ovvero il sistema informatico per la gestione telematica della procedura di affidamento e della verifica dei requisiti, prorogata già dal 1o gennaio per varie criticità della piattaforma), appare oggettivamente insostenibile che in un comune tutti i servizi/uffici continuino in modo autonomo ad effettuare acquisizioni, anche per la specializzazione necessaria. Pertanto dalla gestione aggregata delle procedure aperte (bandi pubblici), ristrette o negoziate, di importo uguale o superiore ad euro 40.000 richiedenti la consultazione di più operatori economici, possono derivare effetti positivi di razionalizzazione sia a livello di gestione del personale sia di spesa, mentre è possibile che i costi a carico dei Comuni per procedere ad acquisizioni di modesto importo attraverso la costituzione di un consorzio salgano e i tempi per gli appalti si allunghino senza che ai cittadini ne derivi il benché minimo vantaggio;
    per come è formulata la norma, dal 1o luglio il singolo comune, che non sia capoluogo di provincia, potrà autonomamente effettuare unicamente acquisizioni di beni e servizi attraverso CONSIP e MEPA; pertanto la norma rischia di paralizzare i comuni per quanto riguarda le acquisizioni in economia di lavori, di solito fatte in affido diretto (consentito sino ad oggi fino ai 40.000 euro), come il ripristino di un piccolo tratto stradale, la riparazione di una condotta, l'acquisto di materiale di ferramenta o elettrico per le riparazioni, eccetera, e questo in violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria degli enti, senza distinguere tra gestioni virtuose o meno;
    si deve inoltre considerare che stazioni appaltanti unificanti molti enti comporteranno appalti (anche per beni e servizi) di importi tali da impedire o rendere assai difficile la partecipazione alle gare delle piccole e medie imprese del territorio per mancanza di requisiti tecnici, economici e professionali;
    si rileva inoltre che diminuire le stazioni appaltanti non è detto assicuri la diminuzione della corruzione; se possono forse essere facilitate le forme di controllo da parte di autorità terze, non viene certo favorito in questo modo il controllo da parte della cittadinanza. Ogni comune, infatti, oggi pubblica le acquisizioni sul sito «amministrazione trasparente» e ogni cittadino può verificare cosa ha acquistato il suo comune e con quale procedura. Del resto l'esperienza concreta conferma che nei comuni di piccola e media dimensione è sempre esistito il controllo sociale sulla spesa, mentre nelle grandi città spesso si sono verificate perdite da ripianare. Quando ci saranno poche stazioni appaltanti come faranno i cittadini a poter controllare i reali costi sostenuti dal proprio comune ? Può dubitarsi che grandi stazioni appaltanti riescano a garantire lo stesso grado di trasparenza di un comune, che è la prima misura anticorruzione, non tanto per accessibilità del dato ma per la loro «distanza» dalla cittadinanza;
    appare altresì irragionevole che sia consentita l'acquisizione di beni, lavori e servizi nell'ambito delle unioni di commi con popolazione di 3.000 o 10.000 abitanti, mentre non lo sia per comuni non capoluogo che abbiano una popolazione anche di molto superiore;
    in conclusione, se l'obiettivo della stazione unica appaltante è sensato per importi di lavori sopra una certa soglia, in quanto un comune potrebbe trovarsi a dover organizzare una gara al di sopra delle proprie capacità organizzative e competenze, appare invece assolutamente inopportuno non consentire all'Amministrazione locale di continuare a gestire gli appalti a trattativa negoziata o ad affidamento diretto, eliminando la facoltà dei comuni di procedere autonomamente alle acquisizioni di lavori, servizi e forniture effettuate in economia mediante amministrazione diretta, nonché ai lavori, servizi e forniture inferiori a 40.000 euro. Appare altresì opportuno, a fini di semplificazione e razionalizzazione delle risorse, specificare che oltre all'accordo consortile i comuni possano stipulare apposita convenzione ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 267 del 2000. Infine è opportuno prevedere un periodo congruo affinché gli enti possano adeguarsi alle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 3-bis del presente provvedimento, considerato che il termine del 1o luglio è troppo ravvicinato e rischia di paralizzare la gran parte degli enti locali nell'approvvigionamento di beni e servizi, nonché per le acquisizioni in economia dei lavori,

impegna il Governo:

   a rendere più ragionevole e fattibile l'applicazione di queste disposizioni:
    a) esplicitando la possibilità per i comuni non capoluogo di procedere all'acquisizione di lavori, beni e servizi anche attraverso lo strumento della convenzione ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000;
    b) valutando l'opportunità di mantenere la possibilità per i comuni di procedere autonomamente alle acquisizioni di lavori, servizi e forniture effettuate in economia mediante affido diretto, purché inferiori a 40.000 euro;
    c) prevedendo una procedura e una tempistica attuativa che consentano ai comuni di adeguarsi alla nuova normativa attraverso la stipula delle convenzioni/accordi consortili senza pregiudicare nei prossimi mesi l'erogazione dei servizi e l'acquisizione in economia dei lavori necessari ad es. alle manutenzioni.
9/2433/91. (Testo modificato nel corso della seduta) Rubinato, Guerra, Moretto.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 4 dell'articolo 9 del decreto in esame nella formulazione risultante dalle modifiche apportate al Senato della Repubblica ed in fase di approvazione da parte della Camera dei deputati sostituisce il comma 3-bis dell'articolo 33 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
    tale nuova formulazione del suddetto comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei contratti pubblici sancisce che «I Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle Province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai Comuni non capoluogo di provincia che procedano all'acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma.»;
    tale previsione si differenzia considerevolmente da quella previgente, in quanto risulta determinare l'obbligo di acquisizione di lavori, servizi e forniture mediante le particolari modalità a tutti i Comuni non capoluogo di provincia (precedentemente riferito solo ai Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti);
    la disposizione non prevede alcuna deroga relativa a situazioni particolari, che comportino l'esecuzione di lavori volti a far fronte ad interventi urgenti (esempio per il ripristino di una strada a seguito di un evento calamitoso o atmosferico di portata rilevante), nei termini previsti dagli articoli 175 e 176 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010;
    la mancata previsione di una deroga specifica, tale da consentire al singolo comune non capoluogo di affidare autonomamente lavori urgenti e di somma urgenza nei termini previsti dalle norme suindicate, determinerebbe rilevanti rischi per la realizzazione tempestiva degli interventi indispensabili per rimuovere lo stato di pregiudizio alla pubblica incolumità,

impegna il Governo

a chiarire, in via interpretativa, che i singoli Comuni non capoluogo di provincia possono continuare ad affidare autonomamente lavori per interventi urgenti e di somma urgenza nei casi e nei termini previsti dagli articoli 175 e 176 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010.
9/2433/92Maestri, Fabbri, Petitti, De Maria.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 4 dell'articolo 9 del decreto-legge, nella formulazione risultante dalle modifiche apportate al Senato della Repubblica ed in fase di approvazione da parte della Camera dei deputati, sostituisce il comma 3-bis dell'articolo 33 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
    tale nuova formulazione del suddetto comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei contratti pubblici sancisce che «I Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle Province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai Comuni non capoluogo di provincia che procedano all'acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma.»;
    tale previsione si differenzia considerevolmente da quella previgente, in quanto:
     a) risulta determinare l'obbligo di acquisizione di lavori, servizi e forniture mediante le particolari modalità a tutti i comuni non capoluogo di provincia (precedentemente riferito solo ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti);
     b) pur ampliando il novero dei soggetti ai quali i comuni possono fare riferimento per i loro processi di acquisizione di lavori, servizi e forniture, non replica la previsione derogatoria, che consentiva alle amministrazioni comunali di minori dimensioni di procedere comunque in modo autonomo all'acquisizione di lavori, servizi e forniture in amministrazione diretta o, mediante cottimo fiduciario, quando di valore inferiore a 40.000 euro, sulla base di quanto previsto dal secondo periodo del comma 8 e dal secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
    la mancata previsione della deroga applicativa della disposizione data nel comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei contratti pubblici sulla base della nuova formulazione dettata dal comma 4 dell'articolo 9 del decreto in esame, inerente la possibilità per i singoli comuni di procedere autonomamente ad acquisizione di lavori, servizi e forniture mediante amministrazione diretta o con cottimo fiduciario entro i 40.000 euro in base a quanto stabilito dal secondo periodo del comma 8 e dal secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006, comporta per le amministrazioni comunali l'obbligo di acquisire lavori, beni o servizi mediante l'organismo individuato come gestore dei processi di acquisto (Unione di Comuni, centrale di committenza, stazione unica appaltante provinciale o ufficio comune organizzato con altra amministrazione comunale) riguarda anche acquisizioni di modesto o di modestissimo importo, che:
     a) non sarebbero possibili sino alla scelta di uno dei modelli di gestione degli appalti (con conseguente blocco e relativa incidenza sull'ordinaria amministrazione o su interventi urgenti, in una fase dell'anno molto delicata);
     b) non gestite autonomamente dai singoli comuni non capoluogo, porterebbero a maggiori costi amministrativi e ad allungamento delle tempistiche;
    tale situazione avrebbe, inevitabilmente, incidenza anche sulle dinamiche di mercato delle piccole e medie imprese locali;
    la nuova formulazione del comma 3-bis dell'articolo 33 del decreto legislativo n. 163 del 2006, riguardando i comuni non capoluogo, comprende significative realtà collocate su tutto il territorio nazionale, con popolazione spesso superiore a comuni capoluoghi di provincia (es. Giugliano di Campania, Portici, Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo, Rivoli, Cerignola, San Dona di Piave, ecc.), che ancor più delle realtà di minori dimensioni rischierebbero un pericoloso blocco temporaneo dei loro processi di acquisizione di lavori, servizi e forniture funzionali all'ordinaria amministrazione e alla migliore erogazione dei servizi e delle funzioni in carico sino al momento della definizione del modello di gestione degli appalti (mediante ricorso a centrale di committenza, stazione unica appaltante o accordo con altri comuni),

impegna il Governo

a chiarire, in via interpretativa, che i singoli comuni non capoluogo di provincia possono continuare ad acquisire autonomamente lavori, servizi e forniture nei casi previsti secondo periodo del comma 8 e dal secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125 del decreto legislativo n. 163/2006, entro la soglia (attualmente di 40.000 euro) nelle stesse disposizioni individuata.
9/2433/93Incerti, Fabbri, Petitti, De Maria.


   La Camera,
   premesso che:
    ai sensi dell'articolo 1, comma 688, della legge 27 dicembre 2013 n. 147, sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, è stata fissata la scadenza per il pagamento della Tasi (tributo sui servizi indivisibili);
    l'articolo 4, comma 12-quater, presente provvedimento, interviene sulla disciplina relativa al versamento della TASI periranno 2014, fissando diverse scadenze per il pagamento del tributo da parte dei contribuenti, a seconda della tempestività del Comune nell'adozione e comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze delle delibere e dei regolamenti relativi al tributo stesso;
    in particolare la nuova disciplina stabilisce che i contribuenti sono tenuti al pagamento della prima rata della TASI entro il 16 giugno 2014, sulla base delle deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni pubblicate sul sito informatico del Ministero dell'economia e delle finanze alla data del 31 maggio 2014, con obbligo per i comuni di inviare dette deliberazioni entro il 23 maggio 2014 e che in caso di mancato invio delle deliberazioni entro il predetto termine, il versamento della prima rata della TASI deve essere effettuato entro il 16 ottobre 2014, sulla base delle deliberazioni concernenti le aliquote e le detrazioni, nonché dei regolamenti TASI pubblicati nello stesso sito, alla data del 18 settembre 2014 (con obbligo di invio delle deliberazioni per i comuni entro il 10 settembre 2014); la medesima disciplina prevede inoltre che se al 10 settembre 2014 non risultano inviate dette deliberazioni, i contribuenti sono tenuti al versamento dell'imposta in un'unica soluzione entro il 16 dicembre 2014;
    le continue modifiche normative anche ravvicinate alle scadenze dei pagamenti potrebbero indurre i contribuenti in errori formali di compilazione e errati versamenti del tributo dovuto;
    in prossimità della scadenza normativa, fissata al 16 giugno 2014, alcuni Centri di assistenza fiscale hanno manifestato serie difficoltà nell'assistenza dei contribuenti, residenti nei comuni che hanno deliberato le aliquote e le detrazioni entro il 23 maggio 2014, chiamati a pagare l'acconto TASI per il 2014, specie per gli immobili diversi dall'abitazione principale concessi in locazione, allorché si tratti di individuare il quantum del tributo dovuto rispettivamente a carico del proprietario e del conduttore;
    nella seduta della Commissione Finanze della Camera del 15 gennaio 2014, in risposta all'interrogazione n. 5-01867, concernente l'opportunità di non applicare le sanzioni e gli interessi per i pagamenti effettuati in ritardo a causa del mancato ricevimento del bollettino del saldo Tares 2013 e del modulo F24 relativo ai «servizi indivisibili», il rappresentante del Governo ha, richiamato l'articolo 10, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 fecondo il quale «non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti all'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguente a ritardi»;
    anche in risposta all'interrogazione n. 5-02955, avvenuta lo scorso 11 giugno, il rappresentante del Governo, escludendo la possibilità di risoluzione della problematica in questione attraverso un intervento di prassi amministrativa, ma prevedendo invece la necessità di un espresso intervento legislativo, pur ricordando che nei confronti dei contribuenti che effettuano per errore versamenti insufficienti trova applicazione l'istituto del ravvedimento operoso di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che consente il pagamento in misura ridotta della sanzione dovuta e il ravvedimento cosiddetto «sprint» di cui all'articolo 23, comma 31, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, in base al quale, se si paga entro il 14o giorno successivo alla scadenza originaria occorre versare la cosiddetta mini-sanzione, tuttavia, considerata la situazione di incertezza normativa che caratterizza il meccanismo del versamento della prima rata della TASI, ritiene, comunque, applicabile il citato articolo 10 della legge 27 luglio 2000 n. 212,

impegna il Governo

a prevedere interventi di natura normativa, per evitare l'applicazione di sanzioni ed interessi per i pagamenti dell'acconto della TASI per 2014, effettuati comunque entro il 31 luglio 2014 in applicazione dell'articolo 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212.
9/2433/94Fragomeli, Rubinato.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 47 reca il concorso delle province, delle città metropolitane e dei comuni alla riduzione della spesa pubblica;
    nel testo del decreto l'articolo 47 prevedeva che l'obiettivo di riduzione della spesa venisse ripartito fra comuni da un lato e fra province e città metropolitane dall'altro, in parte anche in funzione di criteri premiali;
    nel corso dell'esame parlamentare il Senato ha introdotto alcune modifiche volte a rendere più flessibile la applicazione della spending review per gli enti decentrati, fermo restando l'obiettivo che è definito in termini di riduzione della spesa corrente;
    in particolare l'intervento emendativo ha soppresso la parte dell'articolo 1, lettera a) di carattere sostanzialmente sanzionatorio per gli enti che nell'ultimo anno hanno registrato tempi medi nei pagamenti relativi a transazioni commerciali superiori a 90 giorni rispetto a quanto disposto dal decreto legislativo n. 231 del 2002, per i quali la riduzione è aumentata del 5 per cento, mentre ai restanti enti la riduzione veniva proporzionalmente ridotta in misura corrispondente a detto incremento; analogamente per gli enti che nell'ultimo anno hanno fatto ricorso agli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A. e alle centrali di committenza regionale di riferimento costituite ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in misura inferiore al valore mediano la riduzione era incrementata del 5 per cento, mentre ai restanti enti la riduzione veniva proporzionalmente ridotta; si disponeva pertanto che le province e città metropolitane trasmettano al Ministero dell'interno una certificazione sottoscritta dal rappresentante legale, dal responsabile finanziario e dall'organo di revisione economico-finanziaria, attestante: a) il tempo medio dei pagamenti effettuati l'anno precedente; b) il valore degli acquisti di beni e servizi sostenuti nell'anno precedente, evidenziando gli acquisti effettuati mediante ricorso agli strumenti messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionale e che in caso di mancata trasmissione della certificazione nei termini indicati si prevedeva un incremento del 10 per cento della riduzione;
    l'abrogazione di tali criteri per le province e le città metropolitane, che così come inizialmente previsti sarebbero potuti essere controproducenti, andrebbe estesa anche agli enti locali; in primo luogo perché tali criteri non considerano la diversa composizione della spesa degli enti che potrebbe ad esempio essere concentrata su servizi che non sono previsti tra quelli messi a disposizione da Consip S.p.A o potrebbero riguardare acquisti di beni e servizi a prezzi inferiori a quelli di Consip S.p.A; in secondo luogo perché a seguito di provvedimenti emanati nel 2013 volti a smaltire i debiti delle Pubbliche amministrazioni, molti enti hanno fatto emergere i debiti più vecchi e tali criteri rischierebbero quindi di punire maggiormente proprio questi Comuni,

impegna il Governo

a prevedere un intervento legislativo volto a rendere più flessibile, anche per i comuni, l'applicazione della disciplina di cui all'articolo 47 del presente decreto a tal fine modificando, previa valutazione degli effetti applicativi della disposizione, il comma 9 del citato articolo in modo da escludere anche per tali enti l'applicazione dei suddetti criteri restrittivi.
9/2433/95Ginato.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 47 reca il concorso delle province, delle città metropolitane e dei comuni alla riduzione della spesa pubblica;
    nel testo del decreto l'articolo 47 prevedeva che l'obiettivo di riduzione della spesa venisse ripartito fra comuni da un lato e fra province e città metropolitane dall'altro, in parte anche in funzione di criteri premiali;
    nel corso dell'esame parlamentare il Senato ha introdotto alcune modifiche volte a rendere più flessibile la applicazione della spending review per gli enti decentrati, fermo restando l'obiettivo che è definito in termini di riduzione della spesa corrente;
    in particolare l'intervento emendativo ha soppresso la parte dell'articolo 1, lettera a) di carattere sostanzialmente sanzionatorio per gli enti che nell'ultimo anno hanno registrato tempi medi nei pagamenti relativi a transazioni commerciali superiori a 90 giorni rispetto a quanto disposto dal decreto legislativo n. 231 del 2002, per i quali la riduzione è aumentata del 5 per cento, mentre ai restanti enti la riduzione veniva proporzionalmente ridotta in misura corrispondente a detto incremento; analogamente per gli enti che nell'ultimo anno hanno fatto ricorso agli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A. e alle centrali di committenza regionale di riferimento costituite ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in misura inferiore al valore mediano la riduzione era incrementata del 5 per cento, mentre ai restanti enti la riduzione veniva proporzionalmente ridotta; si disponeva pertanto che le province e città metropolitane trasmettano al Ministero dell'interno una certificazione sottoscritta dal rappresentante legale, dal responsabile finanziario e dall'organo di revisione economico-finanziaria, attestante: a) il tempo medio dei pagamenti effettuati l'anno precedente; b) il valore degli acquisti di beni e servizi sostenuti nell'anno precedente, evidenziando gli acquisti effettuati mediante ricorso agli strumenti messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionale e che in caso di mancata trasmissione della certificazione nei termini indicati si prevedeva un incremento del 10 per cento della riduzione;
    l'abrogazione di tali criteri per le province e le città metropolitane, che così come inizialmente previsti sarebbero potuti essere controproducenti, andrebbe estesa anche agli enti locali; in primo luogo perché tali criteri non considerano la diversa composizione della spesa degli enti che potrebbe ad esempio essere concentrata su servizi che non sono previsti tra quelli messi a disposizione da Consip S.p.A o potrebbero riguardare acquisti di beni e servizi a prezzi inferiori a quelli di Consip S.p.A; in secondo luogo perché a seguito di provvedimenti emanati nel 2013 volti a smaltire i debiti delle Pubbliche amministrazioni, molti enti hanno fatto emergere i debiti più vecchi e tali criteri rischierebbero quindi di punire maggiormente proprio questi Comuni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere un intervento legislativo volto a rendere più flessibile, anche per i comuni, l'applicazione della disciplina di cui all'articolo 47 del presente decreto a tal fine modificando, previa valutazione degli effetti applicativi della disposizione, il comma 9 del citato articolo in modo da escludere anche per tali enti l'applicazione dei suddetti criteri restrittivi.
9/2433/95. (Testo modificato nel corso della seduta) Ginato.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, disciplinava, con l'articolo 18, le modalità di «reclutamento del personale delle società pubbliche» prevedendo, in particolare, al comma 1, che «le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165»;
    nella stessa legge n. 133 del 2008, l'articolo 23-bis, comma 10, lettera a), demanda al Governo l'adozione di uno o più regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di: prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e l'osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale;
    dalla lettura delle due disposizioni contenute nel medesimo testo legislativo si ricava che le società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica, nella forma di società in house o società miste avrebbero dovuto attendere il citato regolamento per applicare la norma del 23-bis in luogo di quella dell'articolo 18 in base al principio della lex specialis, mentre il menzionato articolo 18 avrebbe trovato applicazione nei confronti delle società gerenti servizi pubblici locali non a rilevanza economica che fossero totalmente pubbliche ma non in house;
    successivamente, il decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ha inserito, all'interno dell'articolo 18, il comma 2-bis, che introduce l'obbligo per le società a partecipazione pubblica totale o di controllo ivi indicate di attenersi alle medesime norme cui è sottoposta l'amministrazione controllante in materia di divieti e limiti all'assunzione di personale (norme, peraltro, non espressamente indicate). Le medesime società devono altresì adeguare le «politiche di personale» alle disposizioni applicabili alle amministrazioni controllanti in materia di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze;
    i soggetti tenuti all'applicazione dei predetti divieti e limiti sono individuati nelle «società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311»;
    dall'ambito soggettivo di applicazione risultano, pertanto, escluse: le società affidatarie con gara, ovvero tramite concessione a terzi o società mista con socio privato scelto mediante procedura ad evidenza pubblica; le società operanti in mercati liberalizzati; le aziende speciali e le istituzioni; le società che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale di carattere industriale o commerciale;
    con il decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011, n. 113, è stata dichiarata l'abrogazione, a seguito di referendum popolare, del citato articolo 23-bis, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con conseguente caducazione del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168, recante il regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica;
    il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, con l'articolo 25, comma 1, lettera a), ha introdotto nell'alveo del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, l'articolo 3-bis, recante gli ambiti territoriali e criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali che, al comma 6, impone alle società affidatarie in house di detti servizi l'adozione, con propri provvedimenti, di criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché delle disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitarie e per le consulenze anche degli amministratori, introducendo nuovamente, per dette società, una lex specialis;
    l'articolo 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha, da ultimo, sostituito integralmente il comma 2-bis dell'articolo 18 del citato decreto legge n. 112 del 2008, introducendo una differenziazione tra i soggetti tenuti ad applicare direttamente le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, ovvero aziende speciali, istituzioni e società controllate da enti locali titolari di affidamenti diretti di servizi senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT, da un lato, e quelli invece esclusi dall'applicazione in via diretta delle menzionate disposizioni limitative delle assunzioni e di contenimento degli oneri contrattuali, ovvero le società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica dall'altra;
    per tali soggetti il competente ente controllante, nel normale esercizio delle proprie prerogative, avrebbe dovuto stabilire, se ritenuto necessario ed opportuno, modalità e applicazione dei citati vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive, da adottarsi poi, in concreto, con provvedimento della società interessata;
    l'articolo 1, comma 559, della medesima legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha apportato alcune modifiche al disposto di cui al citato articolo 3-bis, comma 6, del citato decreto legge n. 138 del 2011, coordinandolo con le disposizioni di cui all'articolo 18, comma 2-bis e, in tal modo, prevedendo che le modalità applicative dei vincoli nei confronti delle società in house operanti nei servizi pubblici locali a rilevanza economica fossero individuate dagli enti locali con le medesime procedure previste per le altre società operanti nei servizi pubblici locali;
    l'assetto ordinamentale così definito terrebbe nella dovuta considerazione, operando i necessari distinguo, sia le differenti tipologie di servizi forniti dalle società interessate dalla norma, sia le modalità di affidamento con le quali detti servizi sarebbero assentiti;
    l'articolo 4, comma 12-bis, del presente decreto ha sostituito integralmente il comma 2-bis del citato articolo 18, del decreto-legge n. 112 del 2008 prevedendo una estensione dei soggetti destinatari delle prescritte riduzioni dei costi del personale rispetto quella previgente, perché, nel ricomprendere le società partecipate anche da soggetti privati, la nuova formulazione non richiede più la titolarità di un affidamento diretto di servizi senza gara, né la necessità che il soggetto destinatario svolga funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale oppure che sia inserito all'interno del conto economico consolidato della pubblica amministrazione stilato dall'ISTAT;
    la mancanza di tali specificazioni, unita alla soppressione della previgente disciplina specifica stabilita per le società gerenti servizi pubblici locali a rilevanza economica, potrebbe comportare l'applicazione del contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale anche nelle società che siano assegnatarie di un servizio a seguito di gara ad evidenza pubblica, con conseguente disparità di trattamento rispetto alle altre società operanti nel medesimo servizio che non siano sottoposte al controllo di un ente locale, unica condizione richiesta dall'emendamento approvato;
    la norma, inoltre, potrebbe comportare difficoltà interpretative e quindi applicative nella misura in cui venga interpretata nel senso di salvaguardare esclusivamente i contratti nazionali vigenti al 1o gennaio 2014, con conseguente possibile invalidità degli ulteriori contratti nazionali nel frattempo legittimamente sottoscritti ed entrati in vigore;
    la disposizione sembrerebbe inoltre richiedere, all'atto dell'emanazione delle modalità attuative, il recepimento degli indirizzi espressi dagli Enti controllanti in sede di contrattazione di secondo livello che costituisce, appunto, un luogo, seppur decentrato, di negoziazione tra le parti, con conseguente possibile impasse nell'ipotesi in cui non si giungesse ad un accordo;
    la nuova disposizione, se non correttamente interpretata, è destinata a mettere a rischio il rispetto degli obblighi di servizio pubblico e degli standard delle prestazioni da erogare nei servizi pubblici locali,

impegna il Governo:

   a fornire le necessarie delucidazioni in merito alle problematiche evidenziate al fine di procedere ad una riformulazione dell'articolo 18, comma 2-bis, citato in premessa ovvero di adottare una norma di interpretazione autentica, che ne specifichi il campo di applicazione soggettivo; a tal fine:
    a) escludendo i soggetti che, benché partecipati dalla pubblica amministrazione locale, non risultino titolari di affidamenti diretti o di concessioni senza gara;
    b) precisando le concrete modalità attuative del principio di riduzione dei costi nelle rimanenti società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica in virtù di un affidamento diretto, prevedendo, nel contempo, una disciplina specifica per i soggetti che operino in settori sottoposti al controllo ed alla regolazione economica da parte di un'autorità indipendente ovvero in settori nei quali la tariffa copra interamente i costi, ed al cui interno si rinvengano esclusivamente rapporti di lavoro di natura privatistica;
    c) chiarendo che per contratti salvaguardati alla data del 1o gennaio 2014 si intende quelli che, stipulati comunque in data precedente l'entrata in vigore della nuova disposizione, siano comunque validi alla data del 1o gennaio 2014 in ottemperanza alle specifiche norme di decorrenza previste dai medesimi contratti ed alla necessaria copertura della vacanza contrattuale.
9/2433/96Causi.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, disciplinava, con l'articolo 18, le modalità di «reclutamento del personale delle società pubbliche» prevedendo, in particolare, al comma 1, che «le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165»;
    nella stessa legge n. 133 del 2008, l'articolo 23-bis, comma 10, lettera a), demanda al Governo l'adozione di uno o più regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di: prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e l'osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale;
    dalla lettura delle due disposizioni contenute nel medesimo testo legislativo si ricava che le società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica, nella forma di società in house o società miste avrebbero dovuto attendere il citato regolamento per applicare la norma del 23-bis in luogo di quella dell'articolo 18 in base al principio della lex specialis, mentre il menzionato articolo 18 avrebbe trovato applicazione nei confronti delle società gerenti servizi pubblici locali non a rilevanza economica che fossero totalmente pubbliche ma non in house;
    successivamente, il decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ha inserito, all'interno dell'articolo 18, il comma 2-bis, che introduce l'obbligo per le società a partecipazione pubblica totale o di controllo ivi indicate di attenersi alle medesime norme cui è sottoposta l'amministrazione controllante in materia di divieti e limiti all'assunzione di personale (norme, peraltro, non espressamente indicate). Le medesime società devono altresì adeguare le «politiche di personale» alle disposizioni applicabili alle amministrazioni controllanti in materia di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze;
    i soggetti tenuti all'applicazione dei predetti divieti e limiti sono individuati nelle «società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311»;
    dall'ambito soggettivo di applicazione risultano, pertanto, escluse: le società affidatarie con gara, ovvero tramite concessione a terzi o società mista con socio privato scelto mediante procedura ad evidenza pubblica; le società operanti in mercati liberalizzati; le aziende speciali e le istituzioni; le società che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale di carattere industriale o commerciale;
    con il decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011, n. 113, è stata dichiarata l'abrogazione, a seguito di referendum popolare, del citato articolo 23-bis, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con conseguente caducazione del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168, recante il regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica;
    il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, con l'articolo 25, comma 1, lettera a), ha introdotto nell'alveo del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, l'articolo 3-bis, recante gli ambiti territoriali e criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali che, al comma 6, impone alle società affidatarie in house di detti servizi l'adozione, con propri provvedimenti, di criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché delle disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitarie e per le consulenze anche degli amministratori, introducendo nuovamente, per dette società, una lex specialis;
    l'articolo 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha, da ultimo, sostituito integralmente il comma 2-bis dell'articolo 18 del citato decreto legge n. 112 del 2008, introducendo una differenziazione tra i soggetti tenuti ad applicare direttamente le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, ovvero aziende speciali, istituzioni e società controllate da enti locali titolari di affidamenti diretti di servizi senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT, da un lato, e quelli invece esclusi dall'applicazione in via diretta delle menzionate disposizioni limitative delle assunzioni e di contenimento degli oneri contrattuali, ovvero le società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica dall'altra;
    per tali soggetti il competente ente controllante, nel normale esercizio delle proprie prerogative, avrebbe dovuto stabilire, se ritenuto necessario ed opportuno, modalità e applicazione dei citati vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive, da adottarsi poi, in concreto, con provvedimento della società interessata;
    l'articolo 1, comma 559, della medesima legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha apportato alcune modifiche al disposto di cui al citato articolo 3-bis, comma 6, del citato decreto legge n. 138 del 2011, coordinandolo con le disposizioni di cui all'articolo 18, comma 2-bis e, in tal modo, prevedendo che le modalità applicative dei vincoli nei confronti delle società in house operanti nei servizi pubblici locali a rilevanza economica fossero individuate dagli enti locali con le medesime procedure previste per le altre società operanti nei servizi pubblici locali;
    l'assetto ordinamentale così definito terrebbe nella dovuta considerazione, operando i necessari distinguo, sia le differenti tipologie di servizi forniti dalle società interessate dalla norma, sia le modalità di affidamento con le quali detti servizi sarebbero assentiti;
    l'articolo 4, comma 12-bis, del presente decreto ha sostituito integralmente il comma 2-bis del citato articolo 18, del decreto-legge n. 112 del 2008 prevedendo una estensione dei soggetti destinatari delle prescritte riduzioni dei costi del personale rispetto quella previgente, perché, nel ricomprendere le società partecipate anche da soggetti privati, la nuova formulazione non richiede più la titolarità di un affidamento diretto di servizi senza gara, né la necessità che il soggetto destinatario svolga funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale oppure che sia inserito all'interno del conto economico consolidato della pubblica amministrazione stilato dall'ISTAT;
    la mancanza di tali specificazioni, unita alla soppressione della previgente disciplina specifica stabilita per le società gerenti servizi pubblici locali a rilevanza economica, potrebbe comportare l'applicazione del contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale anche nelle società che siano assegnatarie di un servizio a seguito di gara ad evidenza pubblica, con conseguente disparità di trattamento rispetto alle altre società operanti nel medesimo servizio che non siano sottoposte al controllo di un ente locale, unica condizione richiesta dall'emendamento approvato;
    la norma, inoltre, potrebbe comportare difficoltà interpretative e quindi applicative nella misura in cui venga interpretata nel senso di salvaguardare esclusivamente i contratti nazionali vigenti al 1o gennaio 2014, con conseguente possibile invalidità degli ulteriori contratti nazionali nel frattempo legittimamente sottoscritti ed entrati in vigore;
    la disposizione sembrerebbe inoltre richiedere, all'atto dell'emanazione delle modalità attuative, il recepimento degli indirizzi espressi dagli Enti controllanti in sede di contrattazione di secondo livello che costituisce, appunto, un luogo, seppur decentrato, di negoziazione tra le parti, con conseguente possibile impasse nell'ipotesi in cui non si giungesse ad un accordo;
    la nuova disposizione, se non correttamente interpretata, è destinata a mettere a rischio il rispetto degli obblighi di servizio pubblico e degli standard delle prestazioni da erogare nei servizi pubblici locali,

impegna il Governo:

   a fornire una corretta interpretazione dell'articolo 18, comma 2-bis, citato in premessa, che ne specifichi il campo di applicazione; a tal fine:
    a) valutando l'esclusione dei soggetti che, benché partecipati dalla pubblica amministrazione locale, non risultino titolari di affidamenti diretti o di concessioni senza gara;
    b) precisando le concrete modalità attuative del principio di riduzione dei costi nelle società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica in virtù di un affidamento diretto, prevedendo una disciplina specifica per i soggetti che operino in settori sottoposti al controllo ed alla regolazione economica da parte di un'autorità indipendente.
9/2433/96. (Testo modificato nel corso della seduta) Causi.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 4 dell'articolo 9 del decreto in esame, nella formulazione risultante dalle modifiche apportate al Senato della Repubblica ed in fase di approvazione da parte della Camera dei deputati, sostituisce il comma 3-bis dell'articolo 33 del decreto legislativo n. 163/2006;
    tale nuova formulazione del suddetto comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei contratti pubblici sancisce che «I Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle Province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai Comuni non capoluogo di provincia che procedano all'acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma.»;
    tale previsione riformula – sostituendola – quella previgente, novellando il comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei contratti, rispetto al quale l'articolo 3, comma 1-bis, del decreto-legge n. 150/2013 convertito in legge n. 15/2014 aveva previsto come data di avvio delle nuove modalità di acquisto aggregato o congiunto il giorno 1o luglio 2014;
    al fine di consentire ai Comuni non capoluogo interessati dall'applicazione della disposizione nella nuova formulazione di avere tempistica adeguata per operare una delle scelte organizzative indicate è necessario confermare la data del 1o luglio come momento di entrata in vigore,

impegna il Governo

a chiarire, in via interpretativa, che i singoli Comuni non capoluogo di provincia sono tenuti ad adottare una delle soluzioni organizzative per l'acquisizione di lavori servizi e forniture prevista dalla nuova formulazione del comma 3-bis dell'articolo 33 del decreto legislativo n. 163/2006 a far data dal 1o luglio 2014.
9/2433/97Montroni, Fabbri, Petitti, De Maria, Incerti, Maestri.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 5, comma 1, della legge 8 novembre 1991, n. 381, dispone che gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, possano stipulare convenzioni con le cosiddette cooperative sociali di tipo B, finalizzate alla fornitura di determinati beni e servizi – diversi da quelli socio-sanitari ed educativi – in deroga alle procedure di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), purché detti affidamenti siano di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria e a condizione che le convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate;
    con il comma 4 dell'articolo 9, come modificato dal Senato, è stata riscritta la disciplina relativa all'acquisizione di lavori, servizi e forniture da parte dei piccoli comuni dettata dal comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei contratti pubblici: tra le modifiche introdotte è stato esteso il campo di applicazione della disciplina, in precedenza limitato ai comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, a tutti i comuni non capoluogo di provincia;
    è stata inoltre eliminata la deroga (recentemente introdotta dal comma 343 della legge di stabilità 2014) alla disciplina in questione, per le acquisizioni di lavori, servizi e forniture effettuate in economia mediante amministrazione diretta, nonché per lavori, servizi o forniture di importo inferiore a 40.000 euro,

impegna il Governo

a chiarire, in via interpretativa, che, al pari degli enti pubblici, compresi quelli economici, e delle società di capitali a partecipazione pubblica, i singoli comuni non capoluogo di provincia possono continuare a stipulare autonomamente convenzioni con le cooperative sociali di tipo B ai sensi della legge n. 381 del 1991.
9/2433/98Fabbri, Petitti, De Maria, Incerti.


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione delle province italiane sta raggiungendo un livello di criticità che non può essere sottovalutato anche alla luce del processo di riordino di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56;
    l'articolo 243-bis del testo unico degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto del 2000, n. 267 ha introdotto la procedura di riequilibrio finanziario per gli enti locali in cui Sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocarne il dissesto finanziario;
    attualmente 5 province hanno deliberato la procedura di riequilibrio mentre 2 hanno già dichiarato il dissesto finanziario;
    rispetto alle altre province, quelle che non hanno fatto ricorso alla procedura di cui all'articolo 243-bis, la mancata erogazione dei contributi spettanti per l'anno 2013 a valere sul fondo sperimentale di riequilibrio sta determinando una progressiva difficoltà di cassa, con oneri a carico delle finanze pubbliche per le necessarie anticipazioni in tesoreria;
    il provvedimento in esame rischia di acuire questa situazione poiché gli articoli 8 e 47 prevedono il concorso delle province e delle città metropolitane alla riduzione della spesa pubblica per un importo pari a 444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 587,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017;
    inoltre, l'articolo 48 prevede la riduzione per un importo complessivo di 122 milioni del patto di stabilità per gli anni 2014 e 2015 per gli interventi di edilizia scolastica soltanto per i comuni dimenticando che le Province si occupano di interventi su più di 5000 edifici del ciclo scolastico secondario superiore che interessano una popolazione pari a 2,5 milioni di studenti;
    questa situazione potrebbe determinare effetti negativi anche sui comuni che si troveranno ad esercitare le funzioni svolte dalle province in esito all'attuazione del processo di riordino di cui all'articolo 1, commi da 85 a 97 della legge 7 aprile 2014, n. 56,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti complessivi delle recenti manovre finanziarie a carico delle province e la loro effettiva sostenibilità anche alla luce della necessità di un adeguato livello di svolgimento delle funzioni fondamentali affidate a tali enti e ridefinire, da ultimo, dalla legge 7 aprile 2014 n. 56 con particolare riferimento alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade provinciali, degli edifici scolastici secondari superiori e dei necessari interventi di risanamento da dissesto idrogeologico e inquinamento ambientale;
   ad individuare particolari forme di tutela per le province in dissesto ovvero in procedura di riequilibrio pluriennale nella fase di attuazione di quanto previsto dall'articolo 47 del disegno di legge AC 2433 per garantire la salvaguardia della sostenibilità dei piani pluriennali di riequilibrio e dei piani di rientro delle gestioni commissariali per le province in dissesto;
   ad avviare celermente il pagamento alle province delle quote dovute a carico del fondo sperimentale di riequilibrio per gli anni 2013 e 2014;
   ad individuare adeguata copertura finanziaria e legislativa per allentare anche per le province i vincoli del patto di stabilità interno a fronte di interventi di edilizia scolastica;
   a valutare con attenzione l'opportunità, anche nelle more della riforma della legge 7 aprile 2014, n. 56, di avviare per gli enti con maggiori difficoltà finanziarie un processo di moratoria triennale per il pagamento della rata dei mutui in essere con la Cassa Depositi e Prestiti e di aprire, in ogni caso, una fase di rinegoziazione dei mutui.
9/2433/99Melilli.


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione delle province italiane sta raggiungendo un livello di criticità che non può essere sottovalutato anche alla luce del processo di riordino di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56;
    l'articolo 243-bis del testo unico degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto del 2000, n. 267 ha introdotto la procedura di riequilibrio finanziario per gli enti locali in cui Sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocarne il dissesto finanziario;
    attualmente 5 province hanno deliberato la procedura di riequilibrio mentre 2 hanno già dichiarato il dissesto finanziario;
    rispetto alle altre province, quelle che non hanno fatto ricorso alla procedura di cui all'articolo 243-bis, la mancata erogazione dei contributi spettanti per l'anno 2013 a valere sul fondo sperimentale di riequilibrio sta determinando una progressiva difficoltà di cassa, con oneri a carico delle finanze pubbliche per le necessarie anticipazioni in tesoreria;
    il provvedimento in esame rischia di acuire questa situazione poiché gli articoli 8 e 47 prevedono il concorso delle province e delle città metropolitane alla riduzione della spesa pubblica per un importo pari a 444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 587,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017;
    inoltre, l'articolo 48 prevede la riduzione per un importo complessivo di 122 milioni del patto di stabilità per gli anni 2014 e 2015 per gli interventi di edilizia scolastica soltanto per i comuni dimenticando che le Province si occupano di interventi su più di 5000 edifici del ciclo scolastico secondario superiore che interessano una popolazione pari a 2,5 milioni di studenti;
    questa situazione potrebbe determinare effetti negativi anche sui comuni che si troveranno ad esercitare le funzioni svolte dalle province in esito all'attuazione del processo di riordino di cui all'articolo 1, commi da 85 a 97 della legge 7 aprile 2014, n. 56,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti complessivi delle recenti manovre finanziarie a carico delle province e la loro effettiva sostenibilità anche alla luce della necessità di un adeguato livello di svolgimento delle funzioni fondamentali affidate a tali enti e ridefinire, da ultimo, dalla legge 7 aprile 2014 n. 56 con particolare riferimento alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade provinciali, degli edifici scolastici secondari superiori e dei necessari interventi di risanamento da dissesto idrogeologico e inquinamento ambientale;
   ad individuare particolari forme di tutela per le province in dissesto ovvero in procedura di riequilibrio pluriennale nella fase di attuazione di quanto previsto dall'articolo 47 del disegno di legge AC 2433 per garantire la salvaguardia della sostenibilità dei piani pluriennali di riequilibrio e dei piani di rientro delle gestioni commissariali per le province in dissesto;
   ad avviare celermente il pagamento alle province delle quote dovute a carico del fondo sperimentale di riequilibrio per gli anni 2013 e 2014;
   ad individuare una adeguata copertura finanziaria necessaria per allentare anche per le province i vincoli del patto di stabilità interno a fronte di interventi di edilizia scolastica;
   a valutare con attenzione l'opportunità, anche nelle more della riforma della legge 7 aprile 2014, n. 56, di avviare per gli enti con maggiori difficoltà finanziarie un processo di moratoria triennale per il pagamento della rata dei mutui in essere con la Cassa Depositi e Prestiti.
9/2433/99. (Testo modificato nel corso della seduta) Melilli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 47 del provvedimento in esame prevede il concorso delle province e delle città metropolitane alla riduzione della spesa pubblica per un importo pari a 444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 587,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017;
    nel 2013 cinque Province hanno predisposto i piani di riequilibrio finanziario previsti dall'articolo 243-bis decreto legislativo 18 agosto del 2000 che sono stati approvati dalla Corte dei conti;
    al fine di assicurare il prefissato graduale riequilibrio finanziario, per tutto il periodo di durata del piano, le province sono soggette a tutte le prescrizioni di cui all'articolo 243-bis e seguenti del decreto legislativo 18 agosto del 2000;
    l'applicazione indifferenziata delle norme previste dal provvedimento in materia di riduzione di spesa rischierebbe di pregiudicare il percorso virtuoso di rientro intrapreso da queste province portandole ad un probabile dissesto finanziario,

impegna il Governo

ad adottare gli opportuni provvedimenti normativi tesi ad escludere le province sottoposte al piano di riequilibrio finanziario previsto dall'articolo 243-bis del Testo unico degli enti locali dal versamento del contributo alla finanza pubblica, previsto dall'articolo 47, per tutto il periodo di durata del piano e, comunque fino al risanamento finanziario del bilancio.
9/2433/100Folino, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 47 del provvedimento in esame prevede il concorso delle province e delle città metropolitane alla riduzione della spesa pubblica per un importo pari a 444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 587,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017;
    nel 2013 cinque Province hanno predisposto i piani di riequilibrio finanziario previsti dall'articolo 243-bis decreto legislativo 18 agosto del 2000 che sono stati approvati dalla Corte dei conti;
    al fine di assicurare il prefissato graduale riequilibrio finanziario, per tutto il periodo di durata del piano, le province sono soggette a tutte le prescrizioni di cui all'articolo 243-bis e seguenti del decreto legislativo 18 agosto del 2000;
    l'applicazione indifferenziata delle norme previste dal provvedimento in materia di riduzione di spesa rischierebbe di pregiudicare il percorso virtuoso di rientro intrapreso da queste province portandole ad un probabile dissesto finanziario,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare specifiche forme di tutela per le province sottoposte al piano di riequilibrio finanziario previsto dall'articolo 243-bis del Testo unico degli enti locali rispetto al versamento del contributo alla finanza pubblica, previsto dall'articolo 47, per tutto il periodo di durata del piano e, comunque fino al risanamento finanziario del bilancio.
9/2433/100. (Testo modificato nel corso della seduta) Folino, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 4 dell'articolo 9 del decreto in esame, nella formulazione risultante dalle modifiche apportate al Senato della Repubblica ed in fase di approvazione da parte della Camera dei deputati sostituisce il comma 3-bis dell'articolo 33 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
    tale nuova formulazione del suddetto comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei contratti pubblici sancisce che «I Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle Province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai Comuni non capoluogo di provincia che procedano all'acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma.»;
    tale previsione include tra i possibili modelli adottabili dai Comuni non capoluogo per la gestione degli appalti anche «accordi consortili» con altri Comuni;
    l'espressione «accordi consortili» può ingenerare problemi applicativi e confliggenza con il divieto di costituzione di consorzi di funzioni, risultando invece evidentemente riferita a modelli di relazione strutturata tra gli enti, riconducibili alla convenzione per la gestione associata prevista dall'articolo 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267,

impegna il Governo

a chiarire, in via interpretativa, che gli «accordi consortili» per mezzo dei quali i singoli Comuni non capoluogo di provincia possono acquisire lavori, servizi e forniture di beni sono realizzabili con convenzioni per la gestione associata prevista dall'articolo 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
9/2433/101De Maria, Fabbri, Petitti.


   La Camera,
   premesso che:
    varie disposizioni permettono alle amministrazioni pubbliche e agli enti locali in particolare di acquisire beni se servizi mediante ricorso a convenzioni con organismi associativi appartenenti al Terzo Settore o, più in generale, operanti in ambiti specifici;
    tra tali disposizioni rientrano l'articolo 30 della legge 7 dicembre 2000, n. 383 che disciplina i rapporti con le associazioni di promozione sociale, l'articolo 7 della legge 11 agosto 1991, n. 266 che disciplina le convenzioni tra le amministrazioni pubbliche e gli organismi di volontariato, l'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 che disciplina i rapporti tra gli enti locali e le associazioni o le società sportive dilettantistiche, nonché quelle inerenti le organizzazioni non governative, per i rapporti realizzati negli ambiti di attività previsti dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49, e relativi regolamenti di attuazione;
    con il comma 4 dell'articolo 9 come modificato dal Senato è stata riscritta la disciplina relativa all'acquisizione di lavori, servizi e forniture da parte dei piccoli comuni dettata dal comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei contratti pubblici: tra le modifiche introdotte è stato esteso il campo di applicazione della disciplina, in precedenza limitato ai comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, a tutti i comuni non capoluogo di provincia;
    tali rapporti costituiscono elemento di straordinario rilievo nelle dinamiche funzionali dei Comuni, in quanto coinvolgenti organismi rappresentativi della comunità locale, risultando pertanto necessario che siano governati anche nella fase di affidamento dai singoli Comuni,

impegna il Governo

a chiarire, in via interpretativa, che, i singoli Comuni non capoluogo di provincia, possono continuare a stipulare autonomamente convenzioni con le associazioni di promozione sociale in base all'articolo 30 della legge 7 dicembre 2000, n. 383, con gli organismi di volontariato in base all'articolo 7 della legge 11 agosto 1991, n. 266, con le associazioni o le società sportive dilettantistiche in base all'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nonché con le organizzazioni non governative, per i rapporti realizzati negli ambiti di attività previsti dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49, e relativi regolamenti di attuazione.
9/2433/102Petitti, De Maria, Fabbri.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 20, comma 1, del decreto in esame prevede, in capo alle società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato, l'obbligo di realizzare nel biennio 2014-2015, una riduzione dei costi operativi, esclusi gli ammortamenti e le svalutazioni delle immobilizzazioni nonché gli accantonamenti per rischi, nella misura non inferiore al 2,5 per cento nel 2014 ed al 4 per cento nel 2015;
    il comma 7-bis del suddetto articolo stabilisce che le società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato possono realizzare gli obiettivi fissati dall'articolo 20 comma 1, con modalità alternative, in tutto o in parte, alla riduzione dei costi operativi;
    durante l'esame al Senato è stata posta come condizione per l'applicazione del comma 7-bis, un incremento almeno pari al 10 per cento rispetto al 2013 del valore della produzione ed un miglioramento del risultato operativo;
    per le società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato che svolgono la loro attività essenzialmente nei confronti della Pubblica Amministrazione, un aumento del 10 per cento del valore della produzione rispetto al 2013 è obiettivo impossibile da raggiungere nei sei mesi rimanenti alla fine dell'esercizio, tanto più che si tratta di società che vedono tendenzialmente diminuire il loro volume d'affari di pari passo con le politiche di contenimento della spesa pubblica a livello sia centrale che periferico;
    la norma si presenta inattuabile ove, nel corso degli ultimi anni, le società di cui sopra abbiano già realizzato, in linea con gli indirizzi di spending review dei precedenti governi, azioni di efficientamento e contenimento dei Costi, mantenendo, nel contempo, risultati economici positivi per l'azionista pubblico;
    la previsione normativa inoltre, può comportare, per le aziende manifatturiere controllate dallo Stato, la contrazione o sospensione delle forniture in questione rispetto alle richieste di volta in volta formulate;
    la previsione di una riduzione dei costi operativi in una realtà manifatturiera partecipata dallo Stato significa non poter far fronte agli approvvigionamenti necessari a rispondere alle richieste prevalentemente della P.A.. Di fatto, quindi, la norma condizionerebbe le possibilità di crescita e sviluppo delle società, ove l'aumento della produzione e quindi del fatturato, sia, come nel caso di imprese manifatturiere, correlato al sostenimento di costi per l'acquisto di materiali e servizi necessari alla realizzazione del prodotto stesso;
    la fattispecie normativa in questione, quindi, rischia inoltre di non consentire alle suddette società una regolare pianificazione delle attività e la definizione di corrette azioni gestionali, potendo comportare, in prospettiva, negativi riflessi sul valore dell'azienda per l'azionista, anche in termini di minori dividendi che potrebbero essere distribuiti, nonché di natura occupazionale, ponendo, di fatto, la norma, un «vincolo alla espansione» del fatturato,

impegna il Governo

ad assumere le opportune iniziative, anche di carattere legislativo, al fine di escludere dall'applicazione dell'articolo 20 le società a totale partecipazione diretta dello Stato che producono beni per la P.A. ovvero producono beni sulla base di apposite disposizioni legislative.
9/2433/103Bargero.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 20 stabilisce che le società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato, nonché le società da esso direttamente o indirettamente controllate, i cui soci di minoranza siano pubbliche amministrazioni, ad esclusione di quelle emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati, debbano realizzare, nel biennio 2014-2015, una maggiore efficienza in termini di una riduzione dei costi operativi non inferiore al 2,5 per cento nel 2014 ed al 4 per cento nel 2015, con riferimento ai costi risultanti dai bilanci di esercizio approvati per l'anno 2013;
    i risparmi derivanti da tali riduzioni dovranno essere distribuiti dalle società all'azionista pubblico (che a sua volta verserà gli stessi all'entrata del bilancio dello Stato) entro il 30 settembre di ciascun esercizio, per un importo pari al 90 per cento dei risparmi stessi ovvero in sede di approvazione dei bilanci di esercizio 2014 e 2015 attraverso un dividendo almeno pari ai risparmi di spesa conseguiti, al netto dell'eventuale acconto erogato, con effetti positivi per la finanza pubblica, in termini di maggiori entrate, stimati in 70 milioni di euro per il 2014 e 100 milioni per l'anno 2015;
    il taglio dei costi operativi non necessariamente è in grado di determinare utili, ma potrebbe al contrario anche determinare perdite qualora non incidesse su sprechi o impieghi inefficienti dei fattori, pertanto il comma 7-bis, introdotto dal Senato, dispone che tali società possono realizzare gli obiettivi ivi previsti anche con modalità diverse da quelle della riduzione dei costi operativi;
    tuttavia, le ulteriori condizioni previste dal citato comma 7-bis, ossia che le modalità diverse debbano comunque determinare un miglioramento del risultato operativo e che queste misure possano essere prese solo dalle società che hanno registrato un aumento del valore della produzione del 10 per cento rischiano di rendere non operative le modalità alternative,

impegna il Governo

a prevedere un ulteriore intervento legislativo volto a rendere più flessibile l'applicazione del comma 7-bis, eliminando la previsione relativa all'aumento del valore della produzione.
9/2433/104Marco Di Maio.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 20 stabilisce che le società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato, nonché le società da esso direttamente o indirettamente controllate, i cui soci di minoranza siano pubbliche amministrazioni, ad esclusione di quelle emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati, debbano realizzare, nel biennio 2014-2015, una maggiore efficienza in termini di una riduzione dei costi operativi non inferiore al 2,5 per cento nel 2014 ed al 4 per cento nel 2015, con riferimento ai costi risultanti dai bilanci di esercizio approvati per l'anno 2013;
    i risparmi derivanti da tali riduzioni dovranno essere distribuiti dalle società all'azionista pubblico (che a sua volta verserà gli stessi all'entrata del bilancio dello Stato) entro il 30 settembre di ciascun esercizio, per un importo pari al 90 per cento dei risparmi stessi ovvero in sede di approvazione dei bilanci di esercizio 2014 e 2015 attraverso un dividendo almeno pari ai risparmi di spesa conseguiti, al netto dell'eventuale acconto erogato, con effetti positivi per la finanza pubblica, in termini di maggiori entrate, stimati in 70 milioni di euro per il 2014 e 100 milioni per l'anno 2015;
    il taglio dei costi operativi non necessariamente è in grado di determinare utili, ma potrebbe al contrario anche determinare perdite qualora non incidesse su sprechi o impieghi inefficienti dei fattori, pertanto il comma 7-bis, introdotto dal Senato, dispone che tali società possono realizzare gli obiettivi ivi previsti anche con modalità diverse da quelle della riduzione dei costi operativi;
    tuttavia, le ulteriori condizioni previste dal citato comma 7-bis, ossia che le modalità diverse debbano comunque determinare un miglioramento del risultato operativo e che queste misure possano essere prese solo dalle società che hanno registrato un aumento del valore della produzione del 10 per cento rischiano di rendere non operative le modalità alternative,

impegna il Governo

a prevedere un ulteriore intervento legislativo volto a rendere più flessibile l'applicazione del comma 7-bis, rendendo più flessibile la previsione relativa all'aumento del valore della produzione.
9/2433/104. (Testo modificato nel corso della seduta) Marco Di Maio.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, all'articolo 4, comma 12-quater, inserito dal Senato In prima lettura, ridefinisce le scadenze per il versamento della prima rata della TASI con un regime derogatorio per l'anno 2014, novellando il comma 688 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, già integralmente sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 marzo 201, n. 16, convertito con modificazioni, dalla legge 2 maggio 2014, n. 68;
    il regime derogatorio introdotto dal citato articolo 4, comma 12-quater, in particolare, stabilisce che il versamento della prima rata della TASI, per il solo anno 2014, debba essere effettuato: entro il 16 giugno 2014 per quei comuni che abbiano assunto le delibere di approvazione delle aliquote e delle detrazioni che i comuni entro il 23 maggio 2014, entro il 16 ottobre 2014 per i comuni che non abbiano assunto tali deliberazioni entro il 23 maggio 2014, ma comunque entro il 10 settembre 2014, infine, entro il 16 dicembre 2014, in un'unica soluzione, per i comuni ulteriormente ritardatari;
    si prevede altresì, per i soli comuni che non abbiano adottato le deliberazioni entro il 23 maggio 2014, l'erogazione, entro il 20 giugno 2014, di un contributo a valere sul Fondo di solidarietà comunale, corrispondente al 50 per cento del gettito annuo TASI, stimato ad aliquota base;
    alcuni comuni, pur avendo fissato le aliquote in tempo utile per il versamento della prima rata della TASI entro il 16 giugno 2014, hanno stabilito autonomamente una scadenza successiva a tale data, facoltà invero prevista dal comma 688 dell'articolo 1, comma 688, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nel testo vigente fino al 5 maggio 2014;
    in attesa dell'entrata in vigore del presente provvedimento, il Governo ha varato un «decreto ponte», (decreto-legge 9 giugno 2014, n. 88, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 10 giugno 2014, n. 132), che ricalca testualmente il contenuto dell'emendamento approvato al Senato, in modo da rendere operativo il rinvio prima della scadenza del 16 giugno, in attesa della conversione del presente provvedimento;
    l'eventuale annullamento delle delibere dei comuni che hanno già fissato una scadenza successiva al 16 giugno 2014 comporterebbe difficoltà finanziarie per i comuni e disagi per i contribuenti,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente le opportune iniziative, anche legislative, per consentire il rinvio del versamento della prima rata della TASI al 16 ottobre 2014 anche per quei comuni che, sebbene abbiano fissato le aliquote in tempo utile per la scadenza del 16 giugno 2014, ne abbiano stabilito una successiva, ferma restando l'esclusione dei medesimi comuni dal contributo spettante per ritardata fissazione delle aliquote.
9/2433/105Misiani.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9 del provvedimento in esame dispone l'istituzione di un «elenco dei soggetti aggregatori» nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, di cui fanno parte Consip S.p.A. e una centrale di committenza per ciascuna regione, qualora costituita ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;
    il citato comma 455 dell'articolo 1, legge n. 296 del 2006, che dispone l'istituzione, nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti (AUSA), operante presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) – dell'elenco dei soggetti aggregatori, ed è relativo alle sole centrali di acquisto di beni e servizi, sembrerebbe limitare l'attività del soggetto aggregatore a questi settori con esclusione dell'acquisizione di lavori;
    il comma 4 del medesimo articolo 9 del presente provvedimento tuttavia modifica l'articolo 33, comma 3-bis decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, riscrivendo la disciplina relativa all'acquisizione, da parte dei piccoli comuni, oltre che di servizi e forniture, anche di lavori, facendo riferimento ai soggetti aggregatori per gli appalti eventualmente «delegati» dai comuni che sembrerebbero quindi poter operare anche nel campo dei lavori,

impegna il Governo

a chiarire la portata delle norme sopra citate prevedendo che i soggetti aggregatori, inseriti nell'elenco istituito nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti (AUSA), operante presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP), possano operare anche nel campo dei lavori.
9/2433/106Capozzolo, Ribaudo.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi da 4 a 10 dell'articolo 8 del presente decreto dispongono una riduzione della spesa per acquisto di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni a decorrere dal 2014;
    in particolare il comma 4 stabilisce che la riduzione complessiva per l'anno 2014 di 2,1 miliardi di euro sia così ripartita tra i diversi livelli di governo: 700 milioni di euro da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano; 700 milioni di euro, di cui 340 milioni di euro da parte delle province e città metropolitane e 360 milioni di euro da parte dei comuni e 700 milioni di euro, 700 milioni dalle amministrazioni dello Stato (amministrazioni centrali e altri enti ed organismi, anche costituiti in forma societaria),

impegna il Governo

a chiarire che la ripartizione della riduzione a carico dalle amministrazioni dello Stato di cui al comma 4, lettera c) dell'articolo 8 riguarda solo le amministrazioni statali e non tutte le pubbliche amministrazioni ivi comprese quindi le Regioni e gli enti locali già assoggettati alla ripartizione di cui rispettivamente alle precedenti lettere a) e b) del medesimo comma 4.
9/2433/107Sanga.


DISEGNO DI LEGGE: S. 1479 – CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 12 MAGGIO 2014, N. 73, RECANTE MISURE URGENTI DI PROROGA DI COMMISSARI PER IL COMPLETAMENTO DI OPERE PUBBLICHE (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 2447)

A.C. 2447 – Questioni pregiudiziali

QUESTIONI PREGIUDIZIALI

  La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento di conversione in legge del decreto-legge 12 maggio 2014, n. 73, recante misure urgenti di proroga di Commissari per il completamento di opere pubbliche, presenta profili di incompatibilità con diverse norme costituzionali e con la giurisprudenza Costituzionale che è intervenuta ripetutamente in merito alle circostanze che rendono ammissibile o meno l'utilizzo dello strumento del decreto-legge;
    il decreto-legge in esame presenta contenuti non omogenei, in quanto accosta la materia della realizzazione delle opere viarie a quella della realizzazione di opere acquedottistiche e alla funzionalità degli impianti di collettamento e depurazione della regione Campania. Tuttavia lo stesso titolo non è in alcun modo esaustivo, né chiarificatore rispetto alla eterogeneità di temi che il decreto in realtà abbraccia;
    peraltro, il Senato ha aggiunto al testo del decreto l'articolo 3-bis, concernente la proroga della nomina del Capo del Dipartimento della protezione civile Commissario delegato a provvedere al coordinamento degli interventi connessi al superamento del contesto emergenziale relativo alla rimozione del relitto della nave Costa Concordia, naufragata il 13 gennaio 2012 sulle rocce dell'isola del Giglio, ivi compresa la proroga della durata dell'Osservatorio, quale organismo di supporto e controllo delle operazioni di recupero, cui partecipano enti di carattere amministrativo e ambientale. Nonostante tale proroga sia l'unica concernente un'emergenza dal carattere veramente straordinario, la stessa non ha nulla a che vedere con il completamento delle opere pubbliche, poiché il recupero del relitto è stato gestito con procedure di carattere privatistico, condotte da Costa Crociere, sotto il controllo della protezione civile e dell'osservatorio;
    in merito alla eterogeneità del contenuto, si ricorda la lettera del Presidente della Repubblica, del 15 luglio 2009, secondo cui «provvedimenti eterogenei nei contenuti (...) sfuggono alla comprensione della opinione pubblica e rendono sempre più difficile il rapporto tra il cittadino e la legge. (...) è indispensabile porre termine a simili “prassi” [...]»;
    la Corte costituzionale, con la sentenza n. 22 del 2012, ritiene essenziale che il decreto-legge debba essere inteso «nella sua interezza, come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo». Anche secondo l'articolo 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, i decreti-legge «devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo»;
    altre sentenze della Corte Costituzionale (n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008) collegano «il riconoscimento dell'esistenza dei presupposti fattuali, di cui all'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. La urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall'intento di fronteggiare situazioni straordinarie, complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all'unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare» (sentenza n. 22 del 2012). Quindi, per la giurisprudenza costituzionale occorre che il corpo di un decreto-legge sia «oggettivamente o teleologicamente unitario» cioè un «insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo» (sentenza n. 22 del 2012). Basta scorrere le rubriche degli articoli del decreto in esame per rendersi conto che non è così;
    inoltre, con l'articolo 2 del decreto in esame, relativamente al completamento della viabilità Lioni-Grottaminarda, si reiterano nella sostanza alcune misure già approvate con decretazione d'urgenza due volte e mai convertite in legge; in un caso la norma di proroga è stata ritirata dal Governo e, nell'altro, è stata soppressa durante la conversione del decreto-legge n. 150 del 2013. Infatti, sulla base di questi precedenti, il Governo non ha ritenuto opportuno riproporre una norma già presente in altri decreti-legge, ma non convertita, ravvisando profili di delicatezza costituzionale, mascherando, in realtà la proroga con un'altra struttura di carattere straordinario istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che tuttavia funzionerebbe con lo stesso personale della struttura commissariale precedente. Durante l'esame del provvedimento al Senato è stato approvato un emendamento che contiene, invece, una vera e propria proroga della struttura commissariale precedente, simile alla norma soppressa dalla Camera dei deputati durante la conversione del decreto-legge n. 150 del 2013;
    la Corte costituzionale, già con la sentenza n. 360 del 17-24 ottobre 1996 ha avuto modo di esprimersi chiaramente sulla illegittimità costituzionale della reiterazione dei decreti-legge non convertiti; ciò in quanto la reiterazione lede la previsione costituzionale sotto numerosi profili: altera la natura provvisoria del decreto-legge, procrastinando di fatto il termine invalicabile per la conversione in legge; toglie valore al carattere straordinario della necessità ed urgenza, stabilizzando e prolungando nel tempo i motivi già posti a fondamento del primo decreto; attenua la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito, alimentando l'aspettativa nell'ordinamento di una sanatoria finale degli effetti da esso prodotti; altera i caratteri della stessa forma di governo, compromettendo l'attribuzione della funzione legislativa ordinaria al Parlamento, pratica quest'ultima purtroppo ormai ricorrente; minaccia infine il valore della certezza del diritto nei rapporti tra diversi soggetti, per l'impossibilità di prevedere sia la durata nel tempo delle norme reiterate, sia l'esito finale del processo di conversione;
    la dichiarazione dello stato di emergenza dovrebbe servire per periodi brevi, altrimenti comporta una stabilizzazione dell'emergenza che costituisce una forzatura del sistema democratico del governo del Paese. La gestione delle emergenze attraverso l'adozione di regimi commissariali derogatori, anziché accelerare l'esecuzione delle opere ha, in molti casi, ritardato la realizzazione delle opere stesse. Infatti, il decreto-legge n. 59 del 2012, all'articolo 3, comma 2, ha disposto, per tutte le gestioni commissariali in corso, il divieto di proroga o rinnovo, se non una sola volta e comunque non oltre il 31 dicembre 2012. Si ricorda inoltre che l'articolo 5, comma 1-bis, più volte modificato, della legge n. 225 del 1992, istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile, al fine di contenere e sottoporre a più restrittiva disciplina le gestioni emergenziali svolte sotto l'egida della Protezione civile stabilisce che la durata della dichiarazione dello stato di emergenza non possa superare i 180 giorni e che uno stato di emergenza già dichiarato possa essere prorogato per non più di ulteriori 180 giorni;
    le proroghe previste dal decreto-legge in esame vanno molto oltre i termini stabiliti dal testo vigente della legge n. 225 del 1992 e comportano un consolidamento di stati di emergenza emersi alcuni anni fa, sostituendo in via stabile le procedure ordinarie; ciò toglie valore al carattere straordinario sia ai fini del proseguire dello stato di emergenza sia ai fini della sussistenza degli stessi presupposti della necessità ed urgenza, in quanto vengono stabilizzati e prolungati nel tempo i motivi, già posti a fondamento della dichiarazione dello stato di emergenza molti anni indietro,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 2447.
N. 1. Grimoldi, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini.

  La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento di conversione in legge del decreto-legge 12 maggio 2014, n. 73, recante misure urgenti di proroga di Commissari per il completamento di opere pubbliche, presenta profili di incompatibilità con diverse norme costituzionali e con la giurisprudenza Costituzionale che è intervenuta ripetutamente in merito alle circostanze che rendono ammissibile o meno l'utilizzo dello strumento del decreto-legge;
    il decreto-legge in esame presenta contenuti non omogenei, in quanto accosta la materia della realizzazione delle opere viarie a quella della realizzazione di opere acquedottistiche e alla funzionalità degli impianti di collettamento e depurazione della regione Campania. Tuttavia lo stesso titolo non è in alcun modo esaustivo, né chiarificatore rispetto alla eterogeneità di temi che il decreto in realtà abbraccia; il comportamento del Governo, che spesso amplia il titolo dei decreti-legge per abbracciare più argomenti, non può in alcun modo giustificare l'assoluta l'eterogeneità del contenuto;
    come indicato dal Presidente della Repubblica, con lettera del 15 luglio 2009, «provvedimenti eterogenei nei contenuti (...) sfuggono alla comprensione dell'opinione pubblica e rendono sempre più difficile il rapporto tra il cittadino e la legge (...) è indispensabile porre termine a simili “prassi” [...]»;
    la Corte costituzionale, con la sentenza n. 22 del 2012, ritiene essenziale che il decreto-legge debba essere inteso «nella sua interezza, come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo». Anche secondo l'articolo 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, i decreti-legge «devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo»;
    altre sentenze della Corte Costituzionale (n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008) collegano «il riconoscimento dell'esistenza dei presupposti fattuali, di cui all'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. L'urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall'intento di fronteggiare situazioni straordinarie, complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all'unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare» (sentenza n. 22 del 2012). Quindi, per la giurisprudenza costituzionale occorre che il corpo di un decreto-legge sia «oggettivamente o teleologicamente unitario» cioè un «insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo» (sentenza n. 22 del 2012). È sufficiente scorrere le rubriche degli articoli del decreto in esame per rendersi conto che non è così;
    appaiono inaccettabili il metodo di continua e pervicace proroga degli adempimenti di legge non compiuti nei termini da essa disposti, l'inerzia degli organi esecutivi, la lunghezza dei procedimenti amministrativi, i differimenti di carattere reiterato e sistematico camuffati da proroga, la proroga di disposizioni molto risalenti nel tempo;
    l'incessante ricorso alle proroghe – che ha assunto anche una forma ed un vero e proprio filone normativo annuale – evidenzia irresponsabilità nel governo dei pubblici uffici, che non assicura, come prescritto dall'articolo 97 della Costituzione, il buon andamento dell'amministrazione, né l'adempimento delle funzioni con la disciplina e l'onore richiesti dal precetto dell'articolo 54 della Costituzione;
    l'articolo 1, comma 1 – ad onta del titolo del decreto-legge, dal quale si evince che esso rechi una somma di «proroghe» commissariali – non contiene una proroga, bensì un differimento di termini, che non può assolutamente rientrare nel concetto di proroga, prevedendo esso una dilatazione di termini il cui effetto si è già determinato, con ciò riaprendo impropriamente termini già scaduti con un effetto di reviviscenza incompatibile con il principio tempus regit actum e tale criticità risulta oltremodo acuita dallo strumento utilizzato, il provvedimento d'urgenza;
    in ordine al contenuto dell'articolo 1, comma 1, appare ancor più grave il reiterato ricorso da parte del Governo all'introduzione del suddetto improprio differimento dei termini anche a fronte della recente soppressione della proroga della gestione commissariale della Galleria Pavoncelli, inizialmente inserita dal Governo nel testo originario del decreto-legge cosiddetto «milleproroghe per il 2014», ma poi soppressa per volontà del Parlamento nel corso della conversione in legge;
    inoltre, con l'articolo 2 del decreto in esame, relativamente al completamento della viabilità Lioni-Grottaminarda, si reiterano nella sostanza alcune misure già approvate con decretazione d'urgenza due volte e mai convertite in legge; in un caso la norma di proroga è stata ritirata dal Governo e, nell'altro, è stata soppressa durante la conversione del decreto-legge n. 150 del 2013. Infatti, sulla base di questi precedenti, il Governo non ha ritenuto opportuno riproporre una norma già presente in altri decreti-legge, ma non convertita, mascherando, in realtà la proroga con un'altra struttura di carattere straordinario istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che tuttavia funziona con lo stesso personale della struttura commissariale precedente; durante l'esame del Senato è stato approvato un emendamento che ha cancellato lo stratagemma normativo e ha inserito una vera e propria proroga della struttura commissariale precedente;
    gli articoli 2 e 3-bis del provvedimento in esame non rispondono nemmeno ai requisiti stringenti in ordine alla leggibilità, alla trasparenza e alla sistematizzazione delle norme, in quanto, a cominciare dalla rubrica, risultano indecifrabili riguardo al contenuto, un oscuro elenco di automatici rinvii ad altra data di termini legislativi, differiti senza adeguata motivazione;
    la Corte costituzionale già con la sentenza n. 360 del 17-24 ottobre 1996 aveva avuto modo di esprimersi chiaramente sull'illegittimità costituzionale della reiterazione dei decreti-legge non convertiti; ciò in quanto la reiterazione lede la previsione costituzionale sotto numerosi profili: altera la natura provvisoria del decreto-legge, procrastinando di fatto il termine invalicabile per la conversione in legge; toglie valore al carattere straordinario della necessità ed urgenza, stabilizzando e prolungando nel tempo i motivi già posti a fondamento del primo decreto; attenua la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito, alimentando l'aspettativa nell'ordinamento di una sanatoria finale degli effetti da esso prodotti; altera i caratteri della stessa forma di governo, compromettendo l'attribuzione della funzione legislativa ordinaria al Parlamento, pratica quest'ultima purtroppo ormai ricorrente; minaccia infine il valore della certezza del diritto nei rapporti tra diversi soggetti, per l'impossibilità di prevedere sia la durata nel tempo delle norme reiterate, sia l'esito finale del processo di conversione;
    la dichiarazione dello stato di emergenza dovrebbe servire per periodi brevi, altrimenti comporta una stabilizzazione dell'emergenza che costituisce una forzatura del sistema democratico del governo del Paese. La gestione delle emergenze attraverso l'adozione di regimi commissariali derogatori, anziché accelerare l'esecuzione delle opere ha, in molti casi, ritardato la realizzazione delle opere stesse. Infatti, il decreto-legge n. 59 del 2012, all'articolo 3, comma 2, ha disposto, per tutte le gestioni commissariali in corso, il divieto di proroga o rinnovo, se non una sola volta e comunque non oltre il 31 dicembre 2012. Si ricorda inoltre che l'articolo 5, comma 1-bis, più volte modificato, della legge n. 225 del 1992, istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile, al fine di contenere e sottoporre a più restrittiva disciplina le gestioni emergenziali svolte sotto l'egida della Protezione civile stabilisce che la durata della dichiarazione dello stato di emergenza non possa superare i 180 giorni e che uno stato di emergenza già dichiarato possa essere prorogato per non più di ulteriori 180 giorni;
    le proroghe previste dal decreto in esame vanno molto oltre i termini stabiliti dal testo vigente della legge n. 225 del 1992 e comportano un consolidamento di stati di emergenza emersi alcuni anni fa, sostituendo in via stabile le procedure ordinarie; ciò toglie valore al carattere straordinario sia ai fini del proseguire dello stato di emergenza, sia ai fini della sussistenza degli stessi presupposti della necessità ed urgenza, in quanto vengono stabilizzati e prolungati nel tempo i motivi, già posti a fondamento della dichiarazione dello stato di emergenza molti anni indietro,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 2447.
N. 2. De Rosa, Busto, Daga, Mannino, Micillo, Segoni, Terzoni, Zolezzi, Cozzolino, Nuti.

MOZIONI GIANCARLO GIORGETTI ED ALTRI N. 1-00495, PALESE N. 1-00499, BERLINGHIERI ED ALTRI N. 1-00500 E PIZZOLANTE ED ALTRI N. 1-00503 CONCERNENTI L'APPLICAZIONE DI MISURE RELATIVE ALLA SICUREZZA E ALLA PROTEZIONE SOCIALE DI CITTADINI ITALIANI, COMUNITARI ED EXTRACOMUNITARI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    l’ex articolo 18 del Trattato istitutivo della Comunità europea, come modificato dal Trattato di Nizza del 2000, disponeva, che l'esercizio dei diritti di circolare e di soggiornare liberamente «non si applica alle disposizioni relative (...) alla sicurezza sociale o alla protezione sociale»;
    l'articolo 21 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nella versione consolidata a seguito del Trattato di Lisbona del 2007, ratificato anche dal nostro Paese con legge 2 agosto 2008, n. 130, contiene in materia di sicurezza sociale e protezione sociale norme solo parzialmente più flessibili, stabilendo che «(...) il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, può adottare misure relative alla sicurezza sociale o alla protezione sociale (...)»;
    l'articolo 20 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 17 del Trattato istitutivo della Comunità europea) dispone che: «1. È istituita una cittadinanza dell'Unione. È cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non sostituisce quest'ultima. 2. I cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati. Essi hanno, tra l'altro:
     a) il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;
     b) il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato;
     c) il diritto di godere, nel territorio di un Paese terzo nel quale lo Stato membro di cui hanno la cittadinanza non è rappresentato, della tutela delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato;
     d) il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al Mediatore europeo, di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell'Unione in una delle lingue dei trattati e di ricevere una risposta nella stessa lingua»;
    i Trattati non contemplano, pertanto, un diritto tout court del cittadino comunitario alle misure di protezione sociale di un altro Stato membro; ne è ben consapevole il Governo tedesco che, stando alle notizie di stampa, sembra sia intenzionato a limitare la concessione di sussidi sociali ai cittadini dell'Unione europea che si trasferiscono in Germania per cercare lavoro;
    in un'intervista alla Passauer Neue, la cancelliera Merkel ha dichiarato che «l'Unione europea non è un'unione sociale» e che Berlino non intende «pagare il sussidio di sussistenza Hartz IV per i cittadini di altri Stati Ue che si trattenessero in Germania solo per la ricerca di un lavoro», spiegando che anche i sussidi per i genitori saranno limitati solo a coloro che hanno un'occupazione in Germania, come stabilito dalle regole europee e da una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea;
    in un disegno di legge bipartisan, a firma del Ministro dell'interno tedesco, Thomas de Mazière (CDU) e del Ministro agli affari sociali, Andrea Nahles (SPD), che dovrebbe essere esaminato dal Bundestag nel corso delle sedute tra il 4 e l'11 giugno 2014, si prevede, tra l'altro, il ritiro della residenza per i cittadini stranieri, anche appartenenti ad uno Stato membro dell'Unione europea, qualora abbiano perso il posto di lavoro da almeno sei mesi e siano ancora disoccupati, il carcere fino a tre anni per chi fornisce dati falsi per ottenere le prestazioni sociali ovvero contrae matrimonio solo per assicurarsi la permanenza nel Paese ed il divieto di ingresso per cinque anni a coloro che fossero scoperti a truffare lo Stato sociale; sono previste limitazioni anche ai sussidi in caso di ricongiungimenti familiari;
    tale iniziativa legislativa tedesca è coerente con la preoccupazione – più volte manifestata dalla Lega Nord e sottovalutata dai Governi di centrosinistra succedutisi negli ultimi anni – di limitare, per ragioni di bilancio e di contenimento della spesa pubblica, fuoriuscite di emolumenti assistenziali a «terzi»,

impegna il Governo:

   a farsi garante, in sede europea, dell'uniformità di applicazione delle misure di protezione e sicurezza sociale ai cittadini degli Stati membri;
   ad assumere iniziative per evitare che l'Unione europea risulti, di fatto, composta da Stati membri di «serie A», che possono far primeggiare l'interesse interno, e Stati membri di «serie B» che devono obbligatoriamente adeguarsi alla normativa europea, pena il rischio di possibili procedure di infrazione;
   a definire gli intendimenti del Governo in proposito, a tutela dei lavoratori e delle famiglie italiane e a salvaguardia delle risorse pubbliche;
   a chiarire, in sede europea, se qualunque forma di protezione sociale e diritto sociale riconosciuta ai cittadini comunitari vada intesa come obbligatoriamente estendibile anche a tutti i cittadini non comunitari, valutando cosa ciò comporti in termini di equilibrio dei conti pubblici;
   a promuovere ogni iniziativa utile, anche di revisione della Costituzione, con riguardo alla questione dell'equiparazione dei cittadini comunitari ed extracomunitari ai cittadini italiani, ai fini dell'accesso a misure di protezione sociale, al fine di garantire un trattamento differenziato che tuteli prioritariamente i cittadini del nostro Paese.
(1-00495) «Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    l'accesso alle misure di sicurezza e protezione sociale è un diritto fondamentale che, conformemente al diritto dell'Unione europea, alle leggi e prassi nazionali, è parte integrante del modello sociale europeo; l'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha adottato raccomandazioni sui sistemi nazionali di sicurezza sociale di base, allo scopo di garantire il diritto fondamentale di ognuno alla sicurezza sociale e a un decoroso livello di vita;
    oltre il 70 per cento della popolazione mondiale non è coperto da un'adeguata protezione sociale: è quanto ha afferma l'ultimo rapporto dell'Organizzazione internazionale del lavoro;
    secondo il World Social Protection Report 2014-15: Building economic recovery (Rapporto mondiale sulla sicurezza sociale nel mondo 2014-15: costruire la ripresa economica), solo il 27 per cento della popolazione mondiale beneficia di una sicurezza sociale completa;
    la protezione sociale è uno strumento chiave delle politiche per la riduzione della povertà: serve a stimolare una crescita inclusiva, migliorando la salute e le possibilità dei componenti più vulnerabili della società, e anche ad aumentare la produttività, a sostenere la domanda interna e a facilitare la trasformazione strutturale delle economie nazionali;
    in particolare, nell'ambito dell'Unione europea, fin dal 1992 il Consiglio ha adottato una raccomandazione sulla convergenza degli obiettivi e delle politiche di protezione sociale. Questa definiva una cosiddetta strategia di convergenza, volta essenzialmente ad individuare una serie di obiettivi comuni. La raccomandazione prevedeva che tali obiettivi comuni sarebbero serviti da principi guida per la messa a punto dei sistemi nazionali, pur riconoscendo agli Stati membri la libertà di determinarne le modalità di finanziamento e organizzazione. La raccomandazione del Consiglio ammetteva, inoltre, che la protezione sociale è parte integrante del modello sociale europeo e dell’acquis comunitario politico;
    ad oggi, l'organizzazione e il finanziamento dei sistemi di protezione sociale sono compiti che spettano agli Stati membri. Tuttavia, l'Unione europea svolge un ruolo particolare tramite la sua legislazione che coordina i sistemi di sicurezza sociale nazionali, in particolare per quanto attiene alla mobilità nell'ambito dello spazio comunitario. Da poco, l'Unione europea si sta del pari impegnando al fine di promuovere una maggiore collaborazione tra gli Stati membri in materia di modernizzazione dei sistemi di protezione sociale per far fronte a problematiche simili all'interno dell'Unione stessa;
    durante la recente crisi finanziaria ed economica mondiale, si è evidenziata la molteplicità delle funzioni garantite dalla sicurezza sociale nelle economie e nelle società. Durante la prima fase della crisi (2008-2009), almeno 48 Paesi a reddito medio-alto hanno adottato misure di stimolo economico per un ammontare complessivo di 2.400 miliardi di dollari, di cui circa un quarto è servito a finanziare misure di protezione sociale. Nei Paesi in cui è stato attuato questo sostegno, esso ha funzionato come uno stabilizzatore automatico che ha aiutato le economie a tornare in equilibrio e ha protetto dal disastro economico i disoccupati e i lavoratori precari;
    nella seconda fase della crisi, a partire dal 2010, diversi Governi hanno cambiato rotta, adottando misure di risanamento dei conti pubblici, nonostante fosse ancora urgente il bisogno di sostenere le popolazioni vulnerabili e di stabilizzare i consumi;
    i Paesi sotto la diretta influenza dalla «Troika» hanno dovuto ridurre il costo unitario del lavoro abbassando i salari e i diritti di contrattazione collettiva. I sistemi di protezione sociale sono spesso diventati meno generosi e alcune volte meno universali, con l'inasprimento delle condizioni di accesso ai sussidi di disoccupazione e alle prestazioni universali come gli assegni familiari, per l'alloggio e le indennità di malattia. In Europa, nel 2012, i lavoratori poveri hanno raggiunto il 9,1 per cento della forza lavoro. Mentre un'efficace contrattazione collettiva e dialogo sociale si sono dimostrati una grande risorsa per attenuare e superare la crisi, preoccupa il fatto che le misure adottate in diversi Paesi abbiano indebolito queste istituzioni;
    questo cambiamento nelle politiche pubbliche non è stato privo di conseguenze per il modello sociale europeo. È accertato che, aldilà delle differenze tra situazioni nazionali – mentre il modello sociale europeo si è dimostrato resiliente in alcuni Paesi, si è molto indebolito in altri –, i cambiamenti osservati sono stati significativi e hanno interessato l'insieme dei principali pilastri del modello sociale europeo;
    benché questi cambiamenti abbiano suscitato la preoccupazione dei cittadini e dei lavoratori in tutta Europa, è stato ampiamente riconosciuto che il modello sociale europeo, nella sua forma attuale, non è perfetto. Sia l'Organizzazione internazionale del lavoro che la Commissione europea hanno riconosciuto che alcuni elementi del modello sociale europeo vanno riformati di fronte a sfide come la crescente concorrenza nei mercati globali e l'invecchiamento delle società europee;
    le misure di risanamento dei conti pubblici non sono state limitate all'Europa. In realtà, nel 2014, sono 122 i Governi che stanno riducendo la spesa pubblica e, di essi, 82 sono Paesi in via di sviluppo;
    le misure adottate comportano una riforma dei sistemi pensionistici e sanitari e delle prestazioni sociali, spesso con la riduzione della copertura o del finanziamento di questi stessi sistemi; esse comportano altresì l'eliminazione o il taglio delle prestazioni sociali come pure del numero o del livello di salario dei lavoratori della sanità e del sociale. In effetti, il costo del risanamento dei conti pubblici e dell'aggiustamento viene imposto alle popolazioni in un momento di bassa occupazione, in cui è forte il bisogno di sostegno;
    gli ultimi dati mostrano che diversi Paesi ad alto reddito stanno tagliando i propri sistemi di sicurezza sociale. Nell'Unione europea i tagli alla protezione sociale hanno già contribuito a fare aumentare la povertà che colpisce ormai 123 milioni di persone, ovvero il 24 per cento della popolazione, e, tra esse, molti bambini, donne, anziani e disabili;
    al di là delle percentuali e dei numeri, in particolare quando si parla di famiglie «a rischio di povertà», si fa riferimento a quelle famiglie che arrivano con difficoltà alla quarta settimana del mese e sono costrette a indebitarsi e a ricorrere ai centri assistenziali, nonostante abbiano un lavoro e un reddito, per permettersi una vita che sfiori la soglia della dignità;
    esponenzialmente cresce sempre di più l'insicurezza delle famiglie italiane che temono di non essere in grado di far fronte a eventi negativi, come, per esempio, un'improvvisa malattia, associata a non autosufficienza, di un familiare o l'instabilità del rapporto di lavoro o gli oneri finanziari sempre maggiori;
    le politiche di sicurezza e protezione sociale attuate a livello nazionale ed europeo devono saper rispondere ad una molteplicità di problemi legati a diversi fattori, dai nuovi rischi sociali centrati sulla profonda modifica dei cicli di vita, a partire da quelli legati a famiglia e vecchiaia, alla ristrutturazione crescente delle forme di lavoro sempre più orientate alla flessibilità e alla precarizzazione, per arrivare alla presenza di nuove domande di integrazione sociale provenienti da persone che arrivano da altri Paesi;
    il tema dell'immigrazione e dei richiedenti asilo in Italia e in Europa non è solo parte della cronaca recente, ma è di importanza strategica per il futuro del nostro Paese: per la sicurezza dei cittadini, per la percezione di fiducia e di solidità che si dà ai Paesi stranieri, e, soprattutto, per la presa di posizione che l'Italia deve affrontare con coraggio e determinazione in Europa, in particolare ora che si appresta a presiedere il semestre europeo;
    c’è una differenza rispetto al passato che non va sottovalutata. L'Italia subisce le oscillazioni delle situazioni politiche dell’«euro mediterraneo», essendo geograficamente il Paese di prima accoglienza per l'Unione europea. Più della metà di quelli che hanno intrapreso i disgraziati viaggi per mare o che stanno per partire sono persone che vengono da Paesi in guerra o in condizioni tali da aver diritto all'asilo per rifugiati o per motivi politici; in questo quadro, l'Italia non è più in grado di assorbirne, né di garantire sicurezza e protezione sociale a tutti;
    la questione è che l'Italia non è più in grado da sola di salvare i migranti dalle acque e poi garantire loro accoglienza, abbiano o no il diritto di asilo. La conseguenza è un disastro umanitario tremendo e un'emergenza gravissima, che ha due vittime: chi traversa il mare alla ricerca di una sicurezza e che rischia di trovare la morte in viaggio e nuova miseria all'arrivo; il popolo italiano, che non è in grado di sopportare, senza gravissimi contraccolpi sociali, un milione di profughi;
    occorre innanzitutto agire attraverso il coinvolgimento reale ed effettivo dell'Unione Europea. L'Italia è il confine meridionale dell'Europa; i profughi non sbarcano nel nostro Paese, ma nel continente europeo, le cui coste accessibili appartengono all'Italia; esiste un diritto umanitario, che il nostro Paese ha sempre applicato, ma esiste anche il problema di un miglior coordinamento europeo che per ora è assente,

impegna il Governo:

   ad adottare con urgenza politiche di crescita adeguate a superare l'attuale situazione economica che ha causato l'impoverimento delle famiglie italiane e, in particolar modo, di quelle con figli minori, incrementando la quota d'investimento pubblico in protezione sociale destinato all'area famiglia-minori;
   ad adottare tutte le opportune iniziative di contrasto alla disoccupazione giovanile, che ha raggiunto livelli assolutamente intollerabili, e a promuovere la qualità dell'occupazione e delle relazioni industriali al fine di favorire una ripresa della fiducia nei confronti delle prospettive economiche e sociali del Paese;
   a prevenire e combattere tutte le forme di povertà, incidendo su alcuni aspetti strutturali del nostro Paese, attraverso la buona e piena occupazione femminile, l'adozione di misure fiscali e monetarie a sostegno dei figli, l'elaborazione di politiche di conciliazione tra lavoro nel mercato e responsabilità di cura per donne e uomini, l'accesso ai servizi socio-educativi per la prima infanzia e l'adozione di misure per prevenire, rallentare e prendere in carico la non autosufficienza;
   ad agire in sede europea al fine di:
    a) rilanciare il modello sociale europeo, duramente messo alla prova in alcuni Paesi dell'Unione europea, con l'adozione di politiche di risanamento di bilancio durante la crisi finanziaria ed economica, come insieme di politiche sociali per promuovere una crescita economica inclusiva, un alto livello di vita e condizioni di lavoro dignitose in tutti gli Stati membri;
    b) creare una strategia integrata di tutti gli Stati membri che garantisca un'interazione positiva delle politiche di sicurezza e protezione sociale per i cittadini europei e per i migranti;
    c) adeguare i sistemi di protezione sociale alle esigenze attuali, alla crescente concorrenza nei mercati globali e all'invecchiamento delle società europee, basandosi sulla solidarietà e potenziandone il ruolo di fattore produttivo;
    d) potenziare il dialogo con le parti sociali a livello di Unione europea, in un processo di sviluppo e ammodernamento della protezione sociale;
    e) mettere a disposizione di tutti i cittadini informazioni relative ai loro diritti alla protezione sociale e ai loro diritti e doveri in caso di emigrazione, immigrazione e attività transfrontaliera.
(1-00499) «Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    la libera circolazione dei lavoratori, una delle libertà fondamentali dei cittadini europei, sancita dall'articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, sancisce l'abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro e prevede ulteriori diritti relativi alle famiglie dei lavoratori stessi, al fine di assicurare l'effettivo ed integrale perseguimento del principio;
    la sicurezza e la protezione sociale dei cittadini, parte della natura stessa del «modello sociale europeo», sono collegate al principio di solidarietà e al valore della coesione sociale, rappresentando un orizzonte ineludibile, insito nei principi fondanti dell'ordinamento dell'Unione europea, anche al di là del legame strettissimo con il diritto alla libera circolazione;
    per tali ragioni, pur non essendo contemplata dal diritto dell'Unione europea un'uniforme regolazione dei sistemi di welfare – con conseguente facoltà da parte di ogni Stato membro di determinare in modo differenziato misure di protezione sociale e modalità di erogazione dei relativi sussidi – i Trattati vigenti indicano alcuni principi fondamentali, che fungono da parametri invalicabili per la legislazione dei Paesi membri, tra cui rileva il principio di non discriminazione (articolo 18 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ex articolo 12 del Trattato che istituisce la Comunità europea) e di cittadinanza (articolo 20 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ex articolo 17 del Trattato che istituisce la Comunità europea);
    su queste basi si è, inoltre, sviluppato un rilevante corpus di disposizioni in materia, tra cui rilevano: il regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, quale modificato dal regolamento (CE) n. 988/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009; la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive precedenti in materia; il regolamento (UE) n. 492/2011, che riconosce i diritti dei lavoratori alla libera circolazione e definisce gli ambiti in cui la discriminazione fondata sulla nazionalità è vietata; la recente direttiva 2014/54/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, intesa ad agevolare l'esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione e il contrasto di forme di discriminazione, promuovendo sensibilizzazione e tutela giurisdizionale a garanzia della parità di trattamento;
    dal punto di vista economico e dei lavoratori in cerca di occupazione, la cittadinanza europea e la libera circolazione rappresentano indiscutibilmente un vantaggio e un elemento chiave per consentire ai cittadini di accrescere la propria formazione ed esperienza, cogliendo nuove opportunità di lavoro: secondo le stime della Commissione europea (Comunicazione sulla libera circolazione della Commissione europea del 2013) restano vacanti nell'Unione europea circa 2 milioni di posti di lavoro, nonostante la crisi economica;
    la libera circolazione nello spazio europeo da parte di cittadini comunitari comporta: il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Paese dell'Unione europea per un periodo non superiore a tre mesi, senza alcuna condizione o formalità e per un periodo superiore a determinate condizioni; per i lavoratori, dipendenti e autonomi, e i loro familiari diretti, il diritto di soggiornare senza particolari condizioni; per le persone in cerca di lavoro il diritto a rimanere nel Paese ospitante per un periodo di sei mesi e oltre, senza essere soggetti a particolari condizioni, se si è costanti nella ricerca del lavoro con possibilità concrete di essere assunti; è previsto anche il mantenimento, per tre mesi, dell'indennità di disoccupazione percepita nel proprio Stato di origine mentre si cerca lavoro in altro Stato membro;
    non vi è dubbio che ancora vi sia molta strada da fare per costruire un'Europa dei cittadini, sociale, solidale, giusta e sostenibile e per garantire uno spazio effettivo di circolazione, opportunità e lavoro per i cittadini europei. In tale direzione va la proposta di regolamento COM(2014)6 di riforma della rete europea dei servizi per l'impiego – Eures – all'esame del Parlamento europeo;
    altrettanto indubbia è la necessità di contrastare alcune visioni miopi e primitive, che, strumentalizzando per fini politici le paure causate dalla grave crisi economica, vorrebbero rialzare gli steccati tra gli Stati, rinazionalizzare il mercato del lavoro e ridurre il diritto dei lavoratori di cercare un lavoro, meglio retribuito nello spazio comune e europeo; tali visioni hanno l'unica conseguenza di impoverire e danneggiare proprio coloro che si sostiene di voler proteggere. Occorre, dunque, impedire che attraverso l'utilizzo dello spettro della crisi vengano alimentate le paure per smantellare il modello sociale europeo;
    tale impostazione, errata e dannosa, emerge dal dibattito, sviluppatosi soprattutto in taluni Paesi membri, a partire dal referendum svizzero contro l'immigrazione e la libera circolazione dei lavoratori, che porta a richieste in favore di una rinegoziazione dei trattati europei, la revisione di Schengen (in particolare da parte del Premier inglese Cameron), sulla scorta di una presunta insostenibilità dei sussidi sociali a favore dei cosiddetti «turisti del welfare»;
    su quest'ultimo aspetto, particolarmente sentito in Germania, le proposte legislative (che devono essere ancora approvate dal Bundestag), mirano solo a meglio definire specifiche ipotesi di abuso in tema di prestazioni sociali, con l'introduzione di maggiori verifiche circa i requisiti (in riferimento ad assegni familiari Kindergeld e al sussidio Hartz IV, che finanzia prestazioni di base per tutti i disoccupati o indigenti, ossia una sorta di reddito minimo), con l'obiettivo di colpire con misure più severe i casi irregolari, come per i cosiddetti matrimoni di comodo, l'attestazione di false residenze, il mantenimento di figli non residenti nel Paese ospitante o i casi di lavoro nero;
    nonostante la strumentalizzazione da parte di alcune forze in Italia, tali previsioni non mirano a scardinare il sistema di welfare minimo europeo esistente (che, peraltro, non trova alcuna analoga corrispondenza nell'ordinamento e nelle prestazioni assicurate nel nostro Paese) e non potranno in nessun caso risultare in contrasto con i principi stabiliti dai Trattati europei e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea. L'esclusione dal welfare di coloro che provengono da altri Paesi e in cerca di lavoro è considerata dalla Commissione europea una violazione del principio di uguaglianza di trattamento, sancito dai Trattati e ribadito dalla direttiva europea sulla libera circolazione;
    occorre, inoltre, far chiarezza sulla portata dei fenomeni «migratori» all'interno dell'Europa e, in particolare, dai Paesi neocomunitari dell'Est europeo, ricordando che buona parte è dovuta alla contingenza economica ed è conseguenza del peggioramento delle condizioni economiche di alcuni Paesi membri (circa il 70 per cento del boom migratorio verso la Germania è attribuibile a questo fenomeno);
    i dati e le ricerche disponibili non supportano la tesi, sostenuta da alcune forze di destra in Europa, secondo cui la crescita dei flussi migratori comporterebbe un elevato abuso dei «generosi sistemi sociali europei»; al contrario, risulta che la gran parte di immigrati nello spazio europeo lavori, paghi le tasse e versi i contributi sociali, senza ricevere maggiori trasferimenti rispetto a quelli dovuti in base alle regole del Paese di accoglienza, alle loro posizioni lavorative e al loro reddito;
    la Commissione europea ha di recente calcolato che i migranti dell'Unione europea sono meno del 5 per cento del totale di beneficiari delle prestazioni di assistenza sociale, solo in alcuni casi (quelli che fanno più notizia) presentano frodi o abusi, esigui fenomeni che si possono contrastare con piccoli accorgimenti legislativi e controlli più efficaci; inoltre, in riferimento alla popolazione residente con più di 15 anni, sette migranti dell'Unione europea su dieci hanno un'occupazione e, qualora il migrante perda il lavoro, riceve il sussidio pubblico solo in quanto ha pagato tasse e contributi, esattamente come i nazionali;
    è evidente che interventi restrittivi, attuati o paventati, in materia di libera circolazione, di mobilità dei lavoratori nello spazio europeo e di sicurezza sociale, risentono del clima antieuropeo e anti-immigrazione in tutta Europa; occorre affrontare con forza e respingere i tentativi di far saltare i principi fondanti dell'identità europea e, diversamente, promuovere un'azione costruita su diritti concreti che rimodellino e diano vita a una cittadinanza europea non retorica, ma che si assuma la responsabilità di una nuova generazione europea maggiormente «mobile» rispetto al passato,

impegna il Governo:

   a rilanciare nelle sedi europee una nuova programmazione e una nuova linea di politica economica, volta a superare l'esclusivo ricorso al contenimento dei bilanci nazionali, al rigore e all'austerità che rischiano di minare alla base i diritti, il welfare e gli stessi presupposti della costruzione europea, ostacolando la ripresa e la crescita nei Paesi del Sud Europa e, di conseguenza, in tutta l'Unione europea;
   a farsi promotore di un nuovo patto sociale per un new deal europeo, inserendo tra le priorità del semestre italiano di presidenza dell'Unione europea azioni decisive in favore di una vera Europa sociale che attui concretamente i cosiddetti obiettivi faro del programma «Europa 2020», per garantire standard minimi comuni per i diritti dei lavoratori, uniformare le condizioni salariali, scongiurare il «dumping salariale» e la delocalizzazione industriale nei Paesi più poveri o con più debole legislazione sociale;
   a sostenere le proposte legislative europee e le azioni politiche in favore di una migliore protezione e inclusione sociale, della «libera circolazione» dei diritti dei lavoratori, in particolare delle prestazioni previdenziali maturate, di forme di assicurazione contro la disoccupazione a carico del bilancio dell'Unione europea e di percorsi di ricollocamento per chi ha perso il lavoro durante la crisi, quale primo tassello verso l'armonizzazione dei sistemi di assistenza sociale nell'Unione europea.
(1-00500) «Berlinghieri, Gnecchi, Moscatt, Giuseppe Guerini, Albini, Battaglia, Bonomo, Casellato, Chaouki, Culotta, Gianni Farina, Giachetti, Giulietti, Iacono, Mosca, Pastorino, Picierno, Scuvera, Vaccaro, Ventricelli, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Dell'Aringa, Faraone, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rotta, Simoni, Zappulla».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri;
    a livello mondiale, l'Unione europea costituisce un punto di riferimento in materia di sistemi di protezione sociale: la disoccupazione, la salute, l'invalidità, la situazione familiare e l'invecchiamento sono fonti di precarietà alle quali tali sistemi permettono di far fronte;
    l'organizzazione ed il finanziamento dei sistemi di protezione sociale sono compiti che spettano agli Stati membri. Tuttavia, l'Unione europea può e deve svolgere un ruolo particolare tramite la sua legislazione per coordinare i sistemi di sicurezza sociale nazionali, in particolare per quanto attiene alla mobilità nell'ambito dello spazio comunitario;
    l'Unione europea deve anche impegnarsi al fine di promuovere una maggiore collaborazione e convergenza tra gli Stati membri in materia di modernizzazione dei sistemi di protezione sociale, per far fronte alle problematiche interne all'Unione stessa;
    la libera circolazione rappresenta un'opportunità al fine di irrobustire il proprio bagaglio di esperienze e di formazione;
    tuttavia, le sfide poste dalla crisi economica hanno generato in molti Paesi un aumento del rischio di povertà e di esclusione sociale dal mercato del lavoro. Gli squilibri sono in aumento tra gli Stati membri: ciò compromette la competitività dell'Europa in un contesto globalizzato, cosa che potrebbe comportare notevoli conseguenze negative, sia in termini economici che in termini sociali;
    la crisi sociale derivata da quella economico-finanziaria, che negli ultimi anni ha visto aumentare seriamente la disoccupazione e l'impoverimento della popolazione, e l'esclusione sociale rischia di aggravarsi ulteriormente con la riduzione delle prestazioni di protezione sociale;
    purtuttavia, occorre impedire che, attraverso la strumentalizzazione degli effetti della crisi, vengano inutilmente alimentate spinte relative allo smantellamento del modello sociale europeo che, invece, va assolutamente rafforzato e modernizzato;
    è la stessa Commissione europea a sottolineare l'importante ruolo di stabilizzatore fornito dai sistemi di protezione sociale, esortando gli Stati membri dell'Unione europea a garantirne l'adeguatezza e la sostenibilità. Al fine di conciliare il risanamento dei conti pubblici e la salvaguardia dei sistemi di protezione sociale l'Unione europea chiede, quindi, agli Stati membri di coniugare, di integrare e di rafforzare efficacia, efficienza ed equità;
    esistono, però, situazioni di vero e proprio abuso rispetto alle misure di protezione e tutela socio-sanitaria che minano l'efficienza e la sostenibilità dei sistemi già citati; per questo motivo, occorre porre in essere una forte opera di contrasto verso distorsioni (turismo sanitario ed altro), con una serie di misure che gli Stati membri debbono adottare a livello europeo: si pensi ad iniziative in grado di individuare le fonti e che impediscano a tali condotte illecite di danneggiare ulteriormente il valore delle risorse disposte dall'Europa per assistere quanti abbiano effettivamente bisogno di un sostegno;
    la necessità di contrastare gli abusi dei servizi di protezione sociale e sanitaria è giustificata anche dal fatto che l'Europa è alle prese con la crisi del debito e dei conti pubblici, con la conseguente difficoltà a ridurre la spesa pubblica in quanto, oltre la metà di questa, è dedicata proprio alla protezione sociale ed all'assistenza sanitaria;
    occorre migliorare l'efficienza della spesa sociale e prevenire povertà ed esclusione sociale. Infatti, tra gli strumenti idonei per conciliare gli obiettivi di lotta alla povertà e di aumento della partecipazione al mercato del lavoro, i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono che vi debbano essere politiche che mirino ad equilibrare strategie di inclusione attiva, che uniscano un supporto adeguato al reddito ed all'accesso alle misure di protezione sociale,

impegna il Governo:

   a sostenere in Europa misure che favoriscano una convergenza e un'integrazione delle politiche europee in relazione ai modelli di protezione sociale;
   a predisporre, nel medio periodo, misure di contrasto agli abusi, al fine di preservare l'efficacia e la sussistenza delle attività di protezione sociale;
   a superare le politiche di rigore e di austerità che incidono negativamente sui diritti e sul welfare, pregiudicando i presupposti del processo di costruzione europea in materia di protezione e tutela dei cittadini.
(1-00503) «Pizzolante, Dorina Bianchi, De Girolamo, Alli, Cicchitto, Alberto Giorgetti, Pagano, Piccone, Vignali».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).