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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 14 maggio 2014

TESTO AGGIORNATO AL 27 MAGGIO 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 14 maggio 2014.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bindi, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Brescia, Bressa, Brunetta, Capezzone, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Ambrosio, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso Decaro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fava, Ferranti, Fico, Fitzgerald Nissoli, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Galan, Gasbarra, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Grande, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Marazziti, Giorgia Meloni, Merlo, Meta, Migliore, Mogherini, Orlando, Pes, Picchi, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Portas, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vito, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Baldelli, Balduzzi, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Brescia, Bressa, Brunetta, Capezzone, Casero, Castiglione, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso Decaro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fava, Ferranti, Ferrara, Fico, Fitzgerald Nissoli, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Galan, Gasbarra, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Grande, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Marazziti, Giorgia Meloni, Merlo, Meta, Migliore, Mogherini, Orlando, Pes, Picchi, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Portas, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Rigoni, Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 13 maggio 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   DE MITA: «Modifica all'articolo 60 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, in materia di requisiti di validità delle elezioni comunali nei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti» (2369);
   SCHIRÒ: «Misure per favorire l'accesso alle vacanze per le fasce sociali economicamente più deboli» (2370);
   MELILLA: «Modifica al comma 529 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, in materia di stabilizzazione di lavoratori impiegati dalle regioni con contratti di collaborazione coordinata e continuativa» (2371);
   ANTIMO CESARO: «Disposizioni per lo sviluppo delle associazioni di promozione, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale immateriale e delle associazioni pro loco» (2372).

  Saranno stampate e distribuite.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento,i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   II Commissione (Giustizia):
  TURCO ed altri: «Attribuzione agli avvocati del potere di autenticazione delle scritture private e di attestazione della conformità di copie all'originale» (2172) Parere delle Commissioni I e V;
  BRUNO: «Modifica degli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale, in materia di autoriciclaggio, nonché disposizioni concernenti gli obblighi antiriciclaggio a carico degli agenti in attività finanziaria» (2176) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e XIV.

   VI Commissione (Finanze):
  BENAMATI ed altri: «Istituzione di un Fondo per la gestione del patrimonio pubblico» (2132) Parere delle Commissioni I, II, V, VIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  MIOTTO ed altri: «Modifica all'articolo 4 del decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207, in materia di agevolazioni fiscali per la trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza» (2136) Parere delle Commissioni I, V, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   VII Commissione (Cultura):
  BONIFAZI ed altri: «Disposizioni per la tutela e la conservazione del patrimonio storico della Resistenza» (1491) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), IV, V, VIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   X Commissione (Attività produttive):
  DELLA VALLE ed altri: «Disciplina della qualificazione professionale per l'esercizio dell'attività di estetista» (2182) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), V, VII, XI, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   XI Commissione (Lavoro):
  GNECCHI ed altri: «Disposizioni in materia di contributi previdenziali, rivalutazione del montante contributivo individuale, calcolo delle pensioni erogate dalla Gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, nonché istituzione della pensione di base e delega al Governo per la sua applicazione agli iscritti agli enti previdenziali privatizzati e ai liberi professionisti» (2100) Parere delle Commissioni I, II, V, VIII, X, XII e XIII.

Trasmissione dal Ministro dello sviluppo economico.

  Il Ministro dello sviluppo economico, con lettera in data 13 maggio 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge 31 agosto 1987, n. 364, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 445, la relazione sullo stato di attuazione del programma generale di metanizzazione del Mezzogiorno, riferita all'anno 2013 (Doc. CIV, n. 1).
  Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 13 maggio 2014, ha trasmesso:
   un nuovo testo della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 96/53/CE, del 25 luglio 1996, che stabilisce, per taluni veicoli stradali che circolano nella Comunità, le dimensioni massime autorizzate nel traffico nazionale e internazionale e i pesi massimi autorizzati nel traffico internazionale (COM(2013) 195 final/3), che sostituisce il documento COM(2013) 195 final, già assegnato, in data 7 maggio 2013, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla IX Commissione (Trasporti), con il parere della Commissione XIV (Politiche dell'Unione europea);
   un nuovo testo della comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - L'innovazione nell'economia blu: realizzare il potenziale di crescita e di occupazione dei nostri mari e dei nostri oceani (COM(2014) 254 final/2), che sostituisce il documento COM(2014) 254 final, già assegnato, in data 13 maggio 2014, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive), con il parere della Commissione XIV (Politiche dell'Unione europea).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 1464 – CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 20 MARZO 2014, N. 34, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER FAVORIRE IL RILANCIO DELL'OCCUPAZIONE E PER LA SEMPLIFICAZIONE DEGLI ADEMPIMENTI A CARICO DELLE IMPRESE (APPROVATO DALLA CAMERA E MODIFICATO DAL SENATO) (A.C. 2208-B)

A.C. 2208-B – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 2, il decreto-legge in esame interviene sulla materia del contratto di apprendistato, modificando alcune norme nel senso della obbligatorietà del piano formativo individuale fin dal suo inizio, eliminando la previgente norma dei 30 giorni, ma allo stesso tempo consegnando a tale piano una forma del tutto sintetica, abolendo la sua definizione dettagliata e compiuta;
    rimane difficile la convivenza in termini di contratto tra la garanzia durante l'apprendistato di una formazione in aula e quella obbligatoria in azienda;
    l'attuale situazione di crisi ha condizionato e condiziona pesantemente le scelte delle aziende in tema di formazione del personale, tentate o obbligate ad una riduzione degli investimenti e considerando che le aziende stesse hanno la ulteriore difficoltà di non riuscire a capire quando e quale vantaggio trarre dalla formazione dei propri dipendenti;
    l'analisi delle attuali dinamiche tra imprese e inserimento professionalizzante spingono verso la scelta di preferire contratti temporanei privi di vincoli di formazione professionale;
    l'apprendistato è allo stesso tempo un pilastro di una riforma del sistema dell'istruzione pubblica e privata, e in particolar modo per i più giovani, uno strumento indispensabile per avviare al mondo del lavoro chi esce dal sistema scolastico;
    allo stato attuale sono beneficiari delle possibilità di accedere ad un apprendistato solo parte dei disoccupati italiani,

impegna il Governo:

   a considerare nei successivi dispositivi di riforma dell'istruzione, di inserire l'apprendistato come parte integrate della conclusione del processo di formazione scolastica perfezionandola attraverso una vera specializzazione professionale;
   a individuare inoltre la possibilità di attuare anche in Italia una «formazione terziaria», flessibile in sintonia con le necessità del mondo del lavoro e di quello che offre, oltrepassando i rigidi modelli attualmente in vigore e disegnando una possibile «università professionale»;
   e, non ultimo, a valutare ed individuare misure legislative e finanziarie per consentire l'accesso ai contratti di apprendistato anche a quei lavoratori disoccupati non più giovani e per questo esclusi dai percorsi di apprendistato, che per le ragioni della crisi sono stati espulsi dal mercato del lavoro e che decidono però di continuare attraverso una riqualificazione ed una ricollocazione nel mondo del lavoro.
9/2208-B/1Crivellari.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 2, il decreto-legge in esame interviene sulla materia del contratto di apprendistato, modificando alcune norme nel senso della obbligatorietà del piano formativo individuale fin dal suo inizio, eliminando la previgente norma dei 30 giorni, ma allo stesso tempo consegnando a tale piano una forma del tutto sintetica, abolendo la sua definizione dettagliata e compiuta;
    rimane difficile la convivenza in termini di contratto tra la garanzia durante l'apprendistato di una formazione in aula e quella obbligatoria in azienda;
    l'attuale situazione di crisi ha condizionato e condiziona pesantemente le scelte delle aziende in tema di formazione del personale, tentate o obbligate ad una riduzione degli investimenti e considerando che le aziende stesse hanno la ulteriore difficoltà di non riuscire a capire quando e quale vantaggio trarre dalla formazione dei propri dipendenti;
    l'analisi delle attuali dinamiche tra imprese e inserimento professionalizzante spingono verso la scelta di preferire contratti temporanei privi di vincoli di formazione professionale;
    l'apprendistato è allo stesso tempo un pilastro di una riforma del sistema dell'istruzione pubblica e privata, e in particolar modo per i più giovani, uno strumento indispensabile per avviare al mondo del lavoro chi esce dal sistema scolastico;
    allo stato attuale sono beneficiari delle possibilità di accedere ad un apprendistato solo parte dei disoccupati italiani,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di considerare nei successivi dispositivi di riforma dell'istruzione, di inserire l'apprendistato come parte integrate della conclusione del processo di formazione scolastica perfezionandola attraverso una vera specializzazione professionale;
   a individuare inoltre la possibilità di attuare anche in Italia una «formazione terziaria», flessibile in sintonia con le necessità del mondo del lavoro e di quello che offre, oltrepassando i rigidi modelli attualmente in vigore e disegnando una possibile «università professionale»;
   e, non ultimo, a valutare ed individuare misure legislative e finanziarie per consentire l'accesso ai contratti di apprendistato anche a quei lavoratori disoccupati non più giovani e per questo esclusi dai percorsi di apprendistato, che per le ragioni della crisi sono stati espulsi dal mercato del lavoro e che decidono però di continuare attraverso una riqualificazione ed una ricollocazione nel mondo del lavoro.
9/2208-B/1. (Testo modificato nel corso della seduta).  Crivellari.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 1 e 2 recano norme per la semplificazione delle disposizioni in materia di contratti di lavoro a termine, di introduzione della cosiddetta acausalità e proroga del contratto a termine e in materia di apprendistato, l'articolo 5 prevede disposizioni in tema di agevolazioni al ricorso ai contratti di solidarietà;
    la globalizzazione e l’«internazionalizzazione» dei mercati e la crescente competizione internazionale è causa, oltre che effetto, dei processi di divisione internazionale del lavoro, della delocalizzazione e della diversa allocazione anche geografica delle fasi produttive in molti Paesi;
    tali processi sono alimentati dalla ricerca a livello mondiale della ottimale combinazione dei fattori produttivi;
    a livello europeo, si sta consolidando un calo di competitività strutturale dovuto ad una concorrenza senza regole, che sta mettendo in ginocchio diversi settori delle economie nazionali dei Paesi UE;
    molti Paesi della stessa Unione europea ed in particolare i Paesi dell'Europa dell'est, nuovi membri UE, al fine di per fronteggiare la crisi in atto ovvero di penetrare sul mercato, utilizzano per le attività d'impresa un vero e proprio dumping fiscale, applicando sulle società aliquote d'imposta – in alcuni casi – di 10 punti inferiori rispetto a quelle applicate nei «vecchi membri UE» (21 per cento contro 31 per cento);
    oltre al dumping fiscale in questi paesi viene fatto anche un pericoloso dumping sociale, in quanto nei Paesi meta preferita delle delocalizzazioni, il costo del lavoro anche in termini di retribuzione, gli standard normativi e di tutela del lavoro, i diritti dei lavoratori presentano un livello assai più basso;
    grazie a queste scorrette politiche di dumping fiscale e sociale i costi del lavoro e della produzione sono molto bassi e costituiscono di conseguenza una irresistibile attrazione per tutte le imprese ed in particolare per le imprese italiane che appaiono già fortemente in difficoltà a causa di carenze infrastrutturali e per la assenza di una efficace rete di imprese;
    tuttavia i diversi livelli di tutela e di standard sociali nei diversi Paesi membri anziché condurre ad un innalzamento delle tutele nei Paesi europei sta generando una concorrenza al ribasso e una riduzione o «arretramento» dei diritti e delle garanzie dei lavoratori;
    l'articolo 9 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) recita «Nella definizione e nella attuazione delle sue politiche ed azioni, l'Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un'adeguata protezione sociale, la lotta contro l'esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana». Tale disposizione ha introdotto la cosiddetta «clausola sociale orizzontale» che impone alle istituzioni europee, così come agli Stati membri, di attuare le proprie politiche e azioni tenendo conto delle esigenze occupazionali e sociali;
    l'obiettivo della creazione di nuovi posti di lavoro non può essere perseguito attraverso una riduzione o una compressione dei diritti e delle tutele dei lavoratori con strategie economiche che mirano ad attrarre le grandi imprese straniere favorendo condizioni più precarie dei lavoratori sia in termini di salario che di tutele, in modo da tenere basso il costo del lavoro;
    misure che comportano una competizione tra Stati al ribasso a discapito dei diritti e delle tutele sociali con l'obiettivo di parificare i costi del lavoro e i diritti in Italia a quelli di altri Paesi dove le tutele sociali sono inferiori pongono le basi per forme di dumping sociale e per una società fatta di disuguaglianze e povertà riducendo la prospettiva futura anche dei giovani;
    in molti Paesi europei, in particolare in Italia, è riscontrabile una diffusa tendenza al trasferimento di stabilimenti, che, nell'intento di ottenere guadagni speculativi a breve termine, genera disoccupazione e mette in pericolo la stabilità sociale del paese,

impegna il Governo

ad avviare e sostenere in ogni possibile sede europea e internazionale, alla luce del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dei ministri dell'Unione europea, anche a livello bilaterale, interventi finalizzati all'adozione di un forte sistema di protezione sociale e all'introduzione di misure volte a prevenire, superare e contrastare le pratiche di dumping fiscale e sociale fra gli Stati membri dell'Unione e contrastare il sempre più visibile fenomeno della delocalizzazione di imprese italiane verso altri Paesi.
9/2208-B/2Ciprini.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 1 e 2 recano norme per la semplificazione delle disposizioni in materia di contratti di lavoro a termine, di introduzione della cosiddetta acausalità e proroga del contratto a termine e in materia di apprendistato, l'articolo 5 prevede disposizioni in tema di agevolazioni al ricorso ai contratti di solidarietà;
    la globalizzazione e l’«internazionalizzazione» dei mercati e la crescente competizione internazionale è causa, oltre che effetto, dei processi di divisione internazionale del lavoro, della delocalizzazione e della diversa allocazione anche geografica delle fasi produttive in molti Paesi;
    tali processi sono alimentati dalla ricerca a livello mondiale della ottimale combinazione dei fattori produttivi;
    a livello europeo, si sta consolidando un calo di competitività strutturale dovuto ad una concorrenza senza regole, che sta mettendo in ginocchio diversi settori delle economie nazionali dei Paesi UE;
    molti Paesi della stessa Unione europea ed in particolare i Paesi dell'Europa dell'est, nuovi membri UE, al fine di per fronteggiare la crisi in atto ovvero di penetrare sul mercato, utilizzano per le attività d'impresa un vero e proprio dumping fiscale, applicando sulle società aliquote d'imposta – in alcuni casi – di 10 punti inferiori rispetto a quelle applicate nei «vecchi membri UE» (21 per cento contro 31 per cento);
    oltre al dumping fiscale in questi paesi viene fatto anche un pericoloso dumping sociale, in quanto nei Paesi meta preferita delle delocalizzazioni, il costo del lavoro anche in termini di retribuzione, gli standard normativi e di tutela del lavoro, i diritti dei lavoratori presentano un livello assai più basso;
    grazie a queste scorrette politiche di dumping fiscale e sociale i costi del lavoro e della produzione sono molto bassi e costituiscono di conseguenza una irresistibile attrazione per tutte le imprese ed in particolare per le imprese italiane che appaiono già fortemente in difficoltà a causa di carenze infrastrutturali e per la assenza di una efficace rete di imprese;
    tuttavia i diversi livelli di tutela e di standard sociali nei diversi Paesi membri anziché condurre ad un innalzamento delle tutele nei Paesi europei sta generando una concorrenza al ribasso e una riduzione o «arretramento» dei diritti e delle garanzie dei lavoratori;
    l'articolo 9 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) recita «Nella definizione e nella attuazione delle sue politiche ed azioni, l'Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un'adeguata protezione sociale, la lotta contro l'esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana». Tale disposizione ha introdotto la cosiddetta «clausola sociale orizzontale» che impone alle istituzioni europee, così come agli Stati membri, di attuare le proprie politiche e azioni tenendo conto delle esigenze occupazionali e sociali;
    l'obiettivo della creazione di nuovi posti di lavoro non può essere perseguito attraverso una riduzione o una compressione dei diritti e delle tutele dei lavoratori con strategie economiche che mirano ad attrarre le grandi imprese straniere favorendo condizioni più precarie dei lavoratori sia in termini di salario che di tutele, in modo da tenere basso il costo del lavoro;
    misure che comportano una competizione tra Stati al ribasso a discapito dei diritti e delle tutele sociali con l'obiettivo di parificare i costi del lavoro e i diritti in Italia a quelli di altri Paesi dove le tutele sociali sono inferiori pongono le basi per forme di dumping sociale e per una società fatta di disuguaglianze e povertà riducendo la prospettiva futura anche dei giovani;
    in molti Paesi europei, in particolare in Italia, è riscontrabile una diffusa tendenza al trasferimento di stabilimenti, che, nell'intento di ottenere guadagni speculativi a breve termine, genera disoccupazione e mette in pericolo la stabilità sociale del paese,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di avviare e sostenere in ogni possibile sede europea e internazionale, alla luce del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dei ministri dell'Unione europea, anche a livello bilaterale, interventi finalizzati all'adozione di un forte sistema di protezione sociale e all'introduzione di misure volte a prevenire, superare e contrastare le pratiche di dumping fiscale e sociale fra gli Stati membri dell'Unione e contrastare il sempre più visibile fenomeno della delocalizzazione di imprese italiane verso altri Paesi.
9/2208-B/2. (Testo modificato nel corso della seduta).  Ciprini.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 recante «Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES» è finalizzato a disciplinare il contratto di lavoro subordinato a tempo parziale, nelle tre varianti di part-time verticale, orizzontale e misto;
    è stata adottata dal Parlamento europeo la dichiarazione n. 32 che ha designato l'anno 2014 come «Anno Europeo per la Conciliazione Vita-Lavoro»;
    il tasso di disoccupazione femminile in Italia è uno dei più alti in Europa,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere ogni iniziativa utile al fine di garantire la conciliazione tra lavoro e cura della famiglia, anche attraverso sistemi che incentivino l'impiego del contratto part-time.
9/2208-B/3Chimienti.


   La Camera,
   premesso che:
    alla luce delle modifiche apportate all'articolo 1 del decreto-legge in esame, parrebbe opportuno allargare a tutti i sindacati e non unicamente a quelli «più rappresentativi», senza distinzione di categoria, l'individuazione, anche in misura non uniforme, dei limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato stipulato, come detto, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368,

impegna il Governo

a disciplinare i meccanismi della rappresentanza sindacale ispirandoli a criteri più democratici e volti alla partecipazione attiva dei lavoratori.
9/2208-B/4Luigi Di Maio.


   La Camera,
   premesso che:
    le supposte «azioni riformatrici» nel settore del mercato del lavoro, delineate anche nel Documento economico e finanziario, appaiono interventi di destrutturazione della certezza del diritto del lavoro e di, conseguente, ulteriore precarizzazione;
    l'introduzione delle nuove misure sul contratto a tempo determinato e sull'apprendistato rischiano di determinare dumping fiscale e sociale, a vantaggio delle multinazionali, determinando costi economici e sociali elevati per il nostro sistema Paese e, in particolare, per le piccole e medie imprese;
    l'articolo 1, lettera b-septies) prevede una sanzione amministrativa pari al 20 per cento e al 50 per cento della retribuzione per ciascun mese di durata del rapporto di lavoro, se il numero di lavoratori assunti a tempo determinato in violazione del limite del 20 per cento, sia, rispettivamente, inferiore o superiore a uno,

impegna il Governo

nel caso di reiterata violazione del limite indicato all'articolo 1 del provvedimento in esame, a valutare l'opportunità di disciplinare ulteriormente la prevenzione di detto abuso, con una norma volta a disincentivare tale pratica, prevedendo anche una subitanea caducazione del termine apposto al contratto, con conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
9/2208-B/5Grillo.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 del decreto-legge in esame vengono disposte misure di semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    le disposizioni di cui all'articolo 2 del decreto-legge in esame ampliano enormemente la possibilità di assumere lavoratori con contratti di tipo diverso da quello a tempo indeterminato;
    tali disposizioni avranno come effetto di aumentare la precarietà dei rapporti di lavoro e conseguentemente la necessità di modificare gli attuali ammortizzatori sociali;
    è dunque indispensabile per fronteggiare tale situazione semplificare il welfare e renderlo al contempo più certo ed essenziale, più concretamente presente nella vita dei cittadini molti dei quali sono costretti a sopravvivere al problema occupazionale dovendosi al contempo confrontare con un sistema eccessivamente frammentato e non in grado di fornire certezze;
    tra gli ammortizzatori sociali deve ritenersi compreso anche il cosiddetto reddito minimo, o il simile istituto del reddito di cittadinanza, essendo anch'esso rientrante nel complesso di misure finalizzate al sostegno del reddito di coloro che si trovano involontariamente in una situazione di non occupazione;
    misure di attuazione del cosiddetto reddito di cittadinanza sono presenti nella maggior parte dei Paesi dell'Unione europea e in molti Paesi non comunitari;
    il reddito di cittadinanza è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
    appare necessario abbandonare al più presto il criterio della legislazione «emergenziale» ed assicurare al lavoratori la certezza dello stato sociale e il reale accompagnamento all'inserimento lavorativo,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per introdurre il reddito di cittadinanza, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, considerando come indicatore il numero di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà.
9/2208-B/6Rizzetto.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 del decreto-legge in esame vengono disposte misure di semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    le disposizioni di cui all'articolo 2 del decreto-legge in esame ampliano enormemente la possibilità di assumere lavoratori con contratti di tipo diverso da quello a tempo indeterminato;
    tali disposizioni avranno come effetto di aumentare la precarietà dei rapporti di lavoro e conseguentemente la necessità di modificare gli attuali ammortizzatori sociali;
    è dunque indispensabile per fronteggiare tale situazione semplificare il welfare e renderlo al contempo più certo ed essenziale, più concretamente presente nella vita dei cittadini molti dei quali sono costretti a sopravvivere al problema occupazionale dovendosi al contempo confrontare con un sistema eccessivamente frammentato e non in grado di fornire certezze;
    tra gli ammortizzatori sociali deve ritenersi compreso anche il cosiddetto reddito minimo, o il simile istituto del reddito di cittadinanza, essendo anch'esso rientrante nel complesso di misure finalizzate al sostegno del reddito di coloro che si trovano involontariamente in una situazione di non occupazione;
    misure di attuazione del cosiddetto reddito di cittadinanza sono presenti nella maggior parte dei Paesi dell'Unione europea e in molti Paesi non comunitari;
    il reddito di cittadinanza è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
    appare necessario abbandonare al più presto il criterio della legislazione «emergenziale» ed assicurare al lavoratori la certezza dello stato sociale e il reale accompagnamento all'inserimento lavorativo,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per allargare l'applicazione del reddito di inserimento, sulla base dei risultati della sperimentazione in corso prevista dalla legge di stabilità, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, considerando come indicatore il numero di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà.
9/2208-B/6. (Testo modificato nel corso della seduta).  Rizzetto.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in esame contiene disposizioni in materia di contratto a tempo determinato (cosiddetto lavoro a termine);
    vista la necessità di avviare iniziative che ulteriormente rilancino l'occupazione,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di prevedere ogni ulteriore forma di incentivo utile al rilancio dell'imprenditoria nel settore dell'artigianato con specifico riferimento alla necessità di preservare il valore del «made in Italy» sui mercati internazionali.
9/2208-B/7Cancelleri.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in esame contiene disposizioni in materia di contratto a tempo determinato (cosiddetto lavoro a termine); vista la necessità di avviare iniziative che ulteriormente rilancino l'occupazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere ogni ulteriore forma di incentivo per l'imprenditoria nel settore della cultura con specifico riferimento alla necessità di rilanciare tale settore e favorire il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale nel nostro Paese.
9/2208-B/8Spessotto.


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo, nel decreto-legge in esame, non ha previsto norme volte ad aumentare le retribuzioni dei lavoratori subordinati con contratto a tempo determinato;
    secondo l'ISFOL la media delle retribuzioni dei lavoratori, con contratto a termine sono inferiori del 28 per cento rispetto a quelle dei lavoratori subordinati con contratto a tempo indeterminato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere misure specifiche per l'incremento delle retribuzioni dei lavoratori titolari di contratti a termine.
9/2208-B/9Dall'Osso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del presente decreto reca semplificazioni delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di istituire presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un comitato di monitoraggio, finanziabile anche col taglio alle pensioni d'oro, preposto alla verifica della corretta applicazione di quanto disposto in materia di rinnovo e proroghe dei contratti a tempo determinato.
9/2208-B/10Nuti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del presente decreto reca semplificazioni delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine finalizzate al rilancio dell'occupazione,

impegna il Governo

a rilanciare l'occupazione attraverso la riduzione del cuneo fiscale, finanziando tale iniziativa, anche per il tramite del taglio alle pensioni d'oro.
9/2208-B/11D'Ambrosio.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del presente decreto reca semplificazioni delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine,

impegna il Governo

a rilanciare l'occupazione attraverso la riduzione del cuneo fiscale, finanziando tale iniziativa, anche per il tramite della rinuncia al programma militare Joint strike fighter, che porterà all'acquisto degli aerei da guerra F-35.
9/2208-B/12Brescia, Del Grosso.


   La Camera,
   premesso che:
    le statistiche dimostrano che l'età della prima gravidanza si sposta sempre più in avanti, probabilmente anche per la percentuale drammatica di disoccupazione giovanile e di precarietà dei contratti di lavoro, l'insicurezza rispetto al lavoro e alla condizione economica porta alla paura per il futuro;
    dalla banca dati dell'Inps si rileva che la maggior parte delle donne alla fine della carriera lavorativa accede alla pensione di vecchiaia, mentre per quanto riguarda gli uomini l'accesso alla pensione avviene con la pensione di anzianità, con redditi da pensione molto più elevati;
    questo squilibrio è dovuto non solo per le differenze retributive fra uomini e donne ma anche per la discontinuità lavorativa a cui sono soggette le donne per farsi carico dei lavori di cura;
    si deve agire su più fronti, per recuperare le differenze retributive esistenti fra uomini e donne;
    le donne sono costrette ad utilizzare, a fronte degli impegni per i lavori di cura il contratto a part time e il contratto a termine,

impegna il Governo

affinché in ogni iniziativa legislativa si prevedano misure a sostegno del riconoscimento del lavoro di cura svolto dalle donne e il superamento di ogni ingiustificata differenza retributiva fra uomini e donne.
9/2208-B/13Rotta.


   La Camera,
   premesso che:
    le statistiche dimostrano che l'età della prima gravidanza si sposta sempre più in avanti, probabilmente anche per la percentuale drammatica di disoccupazione giovanile e di precarietà dei contratti di lavoro, l'insicurezza rispetto al lavoro e alla condizione economica porta alla paura per il futuro;
    dalla banca dati dell'Inps si rileva che la maggior parte delle donne alla fine della carriera lavorativa accede alla pensione di vecchiaia, mentre per quanto riguarda gli uomini l'accesso alla pensione avviene con la pensione di anzianità, con redditi da pensione molto più elevati;
    questo squilibrio è dovuto non solo per le differenze retributive fra uomini e donne ma anche per la discontinuità lavorativa a cui sono soggette le donne per farsi carico dei lavori di cura;
    si deve agire su più fronti, per recuperare le differenze retributive esistenti fra uomini e donne;
    le donne sono costrette ad utilizzare, a fronte degli impegni per i lavori di cura il contratto a part time e il contratto a termine,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità che in ogni iniziativa legislativa si prevedano misure a sostegno del riconoscimento del lavoro di cura svolto dalle donne e il superamento di ogni ingiustificata differenza retributiva fra uomini e donne.
9/2208-B/13. (Testo modificato nel corso della seduta).  Rotta.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del presente decreto reca semplificazioni delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine,

impegna il Governo

a rilanciare l'occupazione attraverso la riduzione del cuneo fiscale, finanziando tale iniziativa, anche per il tramite della totale abolizione di ogni forma di finanziamento pubblico ai partiti.
9/2208-B/14Villarosa, Vignaroli.


   La Camera,
   premesso che:
    esiste la necessità di avviare iniziative che ulteriormente rilancino l'occupazione attraverso forme di investimento pubblico,

impegna il Governo

a prevedere forme di investimento pubblico funzionali al rilancio dell'economia nazionale ed incentivanti per le piccole e medie imprese.
9/2208-B/15Gagnarli.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 del presente decreto di semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    il medesimo articolo 1, non è accompagnato da misure perequanti lo stato di precarietà che in molti casi andrà inevitabilmente a generarsi;
    ogni riforma che possa comportare un aumento dell'insicurezza dei lavoratori dovrebbe essere accompagnata da un aumento delle misure di protezione sociale;
    nessuna misura viene disposta in favore dei titolari di contratti di lavoro di tipo parasubordinato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di implementare le misure di protezione sociale in favore dei lavoratori titolari di contratti di lavoro a carattere parasubordinato.
9/2208-B/16Pesco.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 del presente decreto di semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    il medesimo articolo 1, non è accompagnato da misure perequanti lo stato di precarietà che in molti casi andrà inevitabilmente a generarsi;
    ogni riforma che possa comportare un aumento dell'insicurezza dei lavoratori dovrebbe essere accompagnata da un aumento delle misure di protezione sociale;
    nessuna misura viene disposta al fine di contrastare il lavoro irregolare,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di implementare le misure di contrasto al lavoro irregolare anche attraverso l'irrigidimento dei controlli da parte degli enti preposti a detti incombenti.
9/2208-B/17Prodani.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 vengono disposte misure di semplificazione delle misure delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    il medesimo articolo 1 non è accompagnato da misure perequanti lo stato di precarietà di molti lavoratori, che in molti casi andrà inevitabilmente a generarsi;
    ogni riforma che possa comportare un aumento dell'insicurezza dei lavoratori dovrebbe essere accompagnata da un aumento delle misure di protezione sociale;
    nessuna misura viene disposta al fine di irrigidire i controlli rispetto al ricorso alla CIG da parte di aziende, che pur apparentemente floride, ricorrono sovente agli aiuti di Stato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di implementare le misure di analisi e relativo controllo di fenomeni al fine di contrastare fenomeni quali l'esternalizzazione o out-sourcing.
9/2208-B/18Lombardi.


   La Camera,
   premesso che:
    esiste la necessità di avviare iniziative che ulteriormente rilancino l'occupazione anche attraverso il ricorso ad investimenti virtuosi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere ogni ulteriore forma di incentivo alle imprese strumentale al rilancio delle piccole e medie imprese nel settore del turismo e della cultura.
9/2208-B/19Carinelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame mira a favorire il rilancio dell'occupazione e a semplificare gli adempimenti a carico delle imprese;
    il tasso di disoccupazione in Italia ha raggiunto il 12,9 per cento, per un totale di oltre 3 milioni di persone;
    la crisi occupazionale incide particolarmente nella fascia di popolazione dai 30 ai 40 anni, spesso giovani con una famiglia sulle spalle che, improvvisamente, si ritrovano senza reddito;
    la legge 9 agosto 2013, n. 99, recante primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) ed altre misure finanziarie urgenti stabilisce che la fascia di età, per la cui assunzione le aziende avranno diritto a degli incentivi economici va dai 18 ai 29 anni;
    la crisi occupazionale attanaglia lavoratori in ogni fascia di età,

impegna il Governo

considerare l'opportunità di innalzare fino a 50 anni di età la fascia di lavoratori per l'assunzione dei quali l'azienda ha diritto a percepire incentivi.
9/2208-B/20Massimiliano Bernini.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 del decreto-legge in esame vengono disposte misure di semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    il medesimo articolo 1 non è accompagnato da misure perequanti lo stato di precarietà che in molti casi andrà inevitabilmente a generarsi;
    ogni riforma che possa comportare un aumento dell'insicurezza dei lavoratori dovrebbe essere accompagnata da un aumento delle misure di protezione sociale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di implementare le misure di protezione sociale in favore dei lavoratori che verranno assunti con contratto a tempo determinato ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge in esame.
9/2208-B/21Vallascas.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame mira a favorire il rilancio dell'occupazione e a semplificare gli adempimenti a carico delle imprese;
    il provvedimento impatta in maniera poco incisiva sul settore del lavoro agricolo che, al contrario, merita una revisione attenta specie in considerazione delle particolari caratteristiche sia contrattuali che in termini di retribuzione che esso presenta;
    gli incentivi alle nuove assunzioni di giovani ed alle trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine, rappresentano uno strumento utile alla promozione dell'occupazione;
    la stragrande maggioranza dei rapporti di lavoro in agricoltura è a tempo determinato (circa il 90 per cento) in ragione delle caratteristiche dell'attività agricola;
    esistono in agricoltura forme di lavoro stabili ancorché non a tempo indeterminato che meritano di essere promosse ed incentivate come i rapporti a termine reiterati per più anni con lo stesso datore di lavoro per un numero di giornate minimo non inferiore a 100 l'anno;
    un interessante precedente al riguardo è rappresentato dall'articolo 7, comma 2, della legge n. 388 del 2000 che ammetteva al credito d'imposta per nuove assunzioni i datori di lavoro operanti nel settore agricolo che incrementano il numero dei lavoratori operai occupati, ciascuno per almeno 230 giornate all'anno,

impegna il Governo

a prevedere incentivi per tutte le tipologie del comparto agricolo in considerazione delle particolari caratteristiche di tale occupazione che, ancorché non a tempo indeterminato, sono da considerare forme di lavoro stabili.
9/2208-B/22Mannino.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame mira a favorire il rilancio dell'occupazione e a semplificare gli adempimenti a carico delle imprese;
    il provvedimento impatta in maniera poco incisiva sul settore del lavoro agricolo che, al contrario, merita una revisione attenta specie in considerazione delle particolari caratteristiche sia contrattuali che in termini di retribuzione che esso presenta;
    il caporalato è un fenomeno criminale avente ad oggetto lo sfruttamento della manodopera con metodi illegali e la sua forma più diffusa è quella che riguarda la manodopera agricola nella quale, secondo il primo Rapporto su caporalato e agromafie realizzato da Flai Cgil, sarebbero coinvolti circa 400mila lavoratori, il più delle volte braccianti stagionali;
    il caporalato è un reato perseguibile penalmente essendo considerato un «reato spia» di infiltrazioni criminali nel settore agricolo: si stima che il giro d'affari connesso alle agromafie sia compreso tra i 12 e i 17 miliardi di euro, il 5-10 per cento di tutta l'economia mafiosa, per la maggior parte giocato tra la contraffazione dei prodotti alimentari e il caporalato;
    quello del lavoro nero è un fenomeno che offende la dignità delle persone e che per questo, in un Paese civile, merita di essere contrastato in ogni modo;
    con il fine di contrastare il fenomeno del caporalato, lo scorso 7 agosto 2013, è stato accolto un ordine del giorno che impegna il Governo ad avviare azioni concrete, ma sinora nessun atto ufficiale è stato posto in essere,

impegna il Governo

a prendere atto con urgenza dell'ordine del giorno accolto in data 7 agosto 2013 e conseguentemente avviare nell'immediatezza ogni possibile azione volta a contrastare il fenomeno del caporalato, considerando soprattutto che la più diffusa forma è proprio quella che riguarda la manodopera agricola, prevedendo controlli incrociati tra produzione dell'azienda agricola, reale fabbisogno della manodopera e contributi versati.
9/2208-B/23Lupo.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame mira a favorire il rilancio dell'occupazione e a semplificare gli adempimenti a carico delle imprese;
    il provvedimento impatta in maniera poco incisiva sul settore del lavoro agricolo che, al contrario, merita una revisione attenta specie in considerazione delle particolari caratteristiche sia contrattuali che in termini di retribuzione che esso presenta;
    tra le peculiarità che presenta il lavoro agricolo rispetto ad altri impieghi vi è senza dubbio il limitato numero di giornate lavorative nel corso dell'anno, cosa che pone un problema sia per la continuità occupazionale dell'operaio sia per la gestione della forza lavoro da parte del datore di lavoro che deve far fronte tra l'altro a numerosi altri adempimenti quali quelli sulla sicurezza che mal si adattano alle caratteristiche del lavoro agricolo;
    sarebbe certamente opportuno incentivare le imprese agricole affinché possano assumere il lavoratore per un maggior numero di giornate, a prescindere dal fatto che si possa sottoscrivere un contratto a tempo determinato o indeterminato,

impegna il Governo

a rivedere la disciplina contrattuale del settore agricolo così da garantire una maggiore tutela occupazionale ai lavoratori e contrastando il fenomeno del caporalato.
9/2208-B/24Parentela.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in esame vengono disposte misure di semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    il decreto in esame reca disposizioni di semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese; appare necessario operare una concreta semplificazione dei criteri regolatori in materia di pagamenti in forma rateale dei crediti contributivi;
    l'istituto della rateazione riveste un ruolo centrale nell'ambito dell'attività di recupero crediti, quale strumento che consente ai contribuenti, in condizione di temporanea difficoltà economica, di intraprendere un percorso virtuoso di rientro in bonis,

impegna il Governo:

   a porre in essere gli opportuni provvedimenti al fine di:
    a) istituire l'obbligo per tutti gli enti previdenziali ed assistenziali gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale di prevedere un piano di dilazione dei contributi e premi che preveda almeno dodici rate per il pagamento dei debiti superiori a mille euro;
    b) avviare un processo di semplificazione, armonizzazione e omogeneizzazione delle scadenze delle denunce contributive, dei pagamenti dei contributi nonché dei criteri regolatori in materia di pagamenti in forma rateale dei crediti contributivi, in fase amministrativa, di competenza di tutti gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale.
9/2208-B/25Silvia Giordano.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 del decreto-legge in esame vengono disposte misure di semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    il decreto in esame reca disposizioni di semplificazione degli adempimenti burocratici per le imprese,

impegna il Governo:

   a valutare, previo reperimento delle risorse a copertura finanziaria, misure volte:
    ad istituire, attraverso gli opportuni strumenti normativi, il «fascicolo Personale Elettronico» che dovrà contenere le informazioni inerenti le varie fasi della vita di ogni singolo cittadino, gli interventi sanitari preventivi, curativi e riabilitativi, nonché i dati della Borsa continua nazionale del lavoro di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, del Cassetto fiscale e del Cassetto previdenziale e le modalità di interazione tra cittadino e l'ente da cui provengono i dati, sentiti gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, stabilire i criteri di integrazione dei dati del «fascicolo Personale Elettronico» nonché le modalità di interazione tra cittadino e l'ente da cui provengono i dati.
9/2208-B/26Luigi Gallo.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 vengono disposte misure di semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    l'articolo 2 del decreto in esame reca disposizioni in materia di contratto di apprendistato;
    appare a tal fine necessario:
     istituire attraverso gli opportuni strumenti normativi il Libretto elettronico formativo dell'apprendista (LEFA);
     definire il modello di LEFA, il formato di trasmissione ed il sistema di classificazione dei dati contenuti nel LEFA;
    al fine di assicurare l'unitarietà e l'omogeneità del sistema informativo lavoro, definire:
     a) gli standard e le regole per la trasmissione informatica delle comunicazioni dei dati per l'aggiornamento del LEFA e la sua unificazione con il libretto formativo del cittadino, di cui all'articolo 2, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;
     b) la piena interoperabilità tra i dati presenti nel Sistema informativo per le comunicazioni obbligatorie e quelli della Borsa continua nazionale del lavoro di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;
     c) la creazione di un apposita area web del libretto formativo del cittadino, di cui all'articolo 2, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, che viene aggiornata anche dai dati contenuti nel LEFA;
     d) i criteri di trasmissione dei dati delle ore formative registrate nel sistema informatico Inps con quelli del Sistema informativo per le comunicazioni obbligatorie;
    al fine di semplificare la redazione del piano formativo individuale di cui al comma 1, lettera a) dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167, ad assicurare ai datori di lavoro, attraverso il Sistema informatico per le comunicazioni obbligatorie, l'automatismo della predisposizione, archiviazione e stampa del piano formativo individuale sulla base del repertorio delle professioni di cui al comma 3, dell'articolo 6 del decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167, fornendo ai datori di lavoro, in fase di predisposizione del piano formativo individuale, un catalogo formativo da cui selezionare il macro settore, il settore, il profilo e la qualifica con cui si assume l'apprendista. L'inoltro del piano formativo attraverso il Sistema informatico per le comunicazioni obbligatorie deve valere ai fini dell'assolvimento di tutti gli adempimenti amministrativi, le comunicazioni e ogni altra informazione riguardanti l'apprendistato;
    assicurare l'abilitazione all'ingresso nel sistema a tutti i soggetti obbligati alla registrazione dei dati della formazione effettuata dagli apprendisti e alla certificazione delle ore di formazione sul LEFA nonché dei soggetti che sono obbligati a registrare, certificare o anche convalidare i dati del libretto formativo del cittadino, di cui all'articolo 2, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;
    dare la possibilità ai datori di lavoro di adempiere alla registrazione delle ore di formazione apprendista anche attraverso l'indicazione del dato nelle annotazioni della sezione retributiva del prospetto del libro unico del lavoro di cui articolo 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative volte a dare attuazione a quanto indicato in premessa.
9/2208-B/27Rostellato.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 del decreto-legge in esame vengono disposte misure di semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    ritenute le misure recate dal provvedimento in esame insufficienti ed inadeguate per un reale e concreto rilancio dell'occupazione;
    il tasso di disoccupazione giovanile ha registrato nell'ultimo trimestre il record negativo del 42,3 per cento;
    ad incidere pesantemente su tale dato è stata anche la riforma delle pensioni Fornero, che in combinato con l'oggettiva contrazione dell'offerta occupazionale dovuta al periodo di crisi socio-economica, ha di fatto bloccato l'accesso dei giovani nel mondo del lavoro,

impegna il Governo

a porre in essere ogni ulteriore iniziativa utile al rilancio dell'occupazione anche con specifico riferimento all'opportunità di procedere all'abrogazione dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di nuovi requisiti di accesso al diritto pensionistico.
9/2208-B/28Baldassarre.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 del decreto-legge in esame vengono disposte misure di semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    ritenute le misure recate dal provvedimento in esame insufficienti ed inadeguate per un reale e concreto rilancio dell'occupazione;
    il tasso di disoccupazione giovanile ha registrato nell'ultimo trimestre il record negativo del 42,3 per cento;
    ad incidere pesantemente su tale dato è stata anche la riforma delle pensioni Fornero, che in combinato con l'oggettiva contrazione dell'offerta occupazionale dovuta al periodo di crisi socio-economica, ha di fatto bloccato l'accesso dei giovani nel mondo del lavoro,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di porre in essere ogni ulteriore iniziativa utile al rilancio dell'occupazione anche con specifico riferimento all'opportunità di mitigare gli impatti negativi dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di nuovi requisiti di accesso al diritto pensionistico.
9/2208-B/28. (Testo modificato nel corso della seduta).  Baldassarre.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1, la lettera b-septies) prevede una sanzione amministrativa pari al 20 per cento e al 50 per cento della retribuzione per ciascun mese di durata del rapporto di lavoro, se il numero di lavoratori assunti a tempo determinato, in violazione del limite del 20 per cento, sia, rispettivamente, inferiore o superiore a uno,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, nei prossimi provvedimenti concernenti la riforma del lavoro, ulteriori idonee misure di prevenzione di detto abuso, quale la contestazione della violazione della suddetta sanzione amministrativa da parte degli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza nei modi e nelle forme di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, come sostituito dall'articolo 33 della legge 4 novembre 2010, n. 183, compreso l'obbligo di trasmettere, ai sensi dell'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il relativo rapporto, alla Direzione del lavoro territorialmente competente.
9/2208-B/29D'Incà.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede d'esame del DEF, il Governo ha prospettato, relativamente alle politiche in materia di lavoro, specifiche linee di intervento, tra cui l'introduzione del compenso minimo orario,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere la misura del precitato compenso orario minimo, anche ai rapporti aventi per oggetto una prestazione lavorativa «con contenuto formativo», individuandola sulla base di un'apposita intesa con le parti sociali da stipulare presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
9/2208-B/30D'Uva.


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso delle audizioni svoltesi recentemente in Commissione lavoro, i rappresentanti dell'ISTAT hanno anzitutto rilevato il calo di occupazione, in particolare della componente giovanile, che ha visto un crollo di 727 mila unità, con sette punti percentuali di calo del tasso di occupazione giovanile fino a 29 anni (che è arrivato al 32,5 per cento), accompagnato da un aumento della disoccupazione e dell'inattività (6 milioni di persone che premono nei confronti del nostro mercato del lavoro e che vorrebbero lavorare);
    è stato anche evidenziato come cominci ad emergere anche un problema di disoccupazione cosiddetta «adulta», atteso che i giovani, intesi come individui sino ai 29 anni di età, non sono la maggioranza del complesso dei disoccupati attuali (fino a 29 anni, infatti, è disoccupato il 38 per cento; oltre i 39 anni, il 35 per cento; il resto dei disoccupati si trova fra i 30 e i 39 anni);
    è stata in particolare sottolineata la crisi dei centri per l'impiego: tra quelli che hanno trovato lavoro nell'ultimo anno solo l'1,4 per cento dei giovani si sarebbe rivolto al centro per l'impiego – a fronte della prevalenza dei canali informali. Paradossalmente, il 77 per cento dei disoccupati lo cerca tramite reti di amici, di parenti e di conoscenti;
    in base ad alcuni dati rilevati dagli osservatori del mercato del lavoro, allo stato attuale, il modesto ed eterogeneo ricorso al patto di servizio (46,4 per cento dei Cpi nazionali) conoscerebbe una distribuzione su scala geografica assai concentrata al Nord (56,7 per cento dei Cpi che lo utilizzano nell'ambito delle procedure di attivazione dei disoccupati), con valori più che doppi rispetto al Centro (23,9 per cento dei Cpi) e addirittura tripli rispetto al Mezzogiorno (dove insiste poco meno di un quinto dei Cpi aventi le caratteristiche considerate). Ancora maggiormente modesta appare la distribuzione dei Cpi (il 51,5 per cento del totale) che attivano forme di rinvio alla formazione professionale della propria utenza offrendo l'assistenza di personale Cpi alle persone: attraverso forme di orientamento, ovvero attraverso una vera e propria assistenza amministrativa (pre-iscrizione o iscrizione al corso, e così via);
    l'attivazione di pacchetti formativi on demand da parte dei Cpi – che configura la possibilità per le strutture deputate ad erogare le misure di attivazione e prevenzione, di presiedere, governare e, in prospettiva, valutare gli esiti dei percorsi concordati con l'utenza – riguarda poco meno di un quinto dei Cpi nazionali;
    la partnership pubblico-privato (CPI e Agenzie interinali) si è rivelata un vero disastro;
    urge la necessità di realizzare un sistema modellato sulle migliori esperienze, colmando nel contempo le criticità,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di rivisitare il sistema dell'offerta pubblica del lavoro, attraverso le seguenti azioni:
    a) una radicale riforma e rivitalizzazione dei Centri per l'impiego e di altre strutture, quali le agenzie formative;
    b) l'apertura di «sportelli del lavoro» presso tutti i comuni d'Italia, nonché una rete che metta in comunicazione i medesimi «sportelli»;
    c) l'istituzione di un «osservatorio sugli incentivi allo sviluppo del lavoro» per realizzare una dettagliata mappatura della situazione del lavoro a livello territoriale.
9/2208-B/31Fraccaro.


   La Camera,
   premesso che:
    la perdurante crisi economica ha causato la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro nell'ambito dell'occupazione femminile: secondo i dati Istat, fra le donne l'occupazione qualificata è diminuita di quasi 300 mila unità, mentre i lavori non qualificati hanno fatto registrare un incremento di oltre 200.000 unità;
    il blocco del turn over e i limiti posti alle nuove assunzioni riducono la possibilità di trovare lavoro stabile per le donne, che costituiscono oltre il 63 per cento del personale a tempo determinato nella pubblica amministrazione;
    il genere femminile risulta danneggiato anche dal blocco delle retribuzioni,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare, con futuri provvedimenti, misure tese a garantire, per il tramite delle direzioni territoriali del lavoro, un monitoraggio del divario retributivo di genere in ciascun settore lavorativo;
   a valutare altresì l'opportunità di definire e programmare ulteriori misure volte a conseguire entro il 31 dicembre 2014 il definitivo superamento per ciascun settore lavorativo del divario retributivo di genere.
9/2208-B/32Di Vita.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca, all'articolo 2, modificazioni al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167;
    in linea con la strategia delineata dalla Conferenza di Lisbona, l'apprendimento permanente rappresenta per i sistemi europei di istruzione e formazione, un autentico fattore di crescita economica e di inclusione sociale, secondo la chiave di sviluppo della partecipazione e della cittadinanza attiva;
    il riconoscimento di un diritto individuale alla formazione permanente in ogni momento della vita, deve essere direttamente esercitabile dai cittadini, in particolare nei periodi di inattività e di transizione lavorativa, con modalità di scelta fra le varie opzioni formative;
    la strategia europea presuppone lo sviluppo di una politica dell'orientamento, quale fattore strategico per la promozione del benessere personale e la garanzia di pari opportunità nell'accesso al lavoro e alla formazione, nonché nello sviluppo della carriera professionale di ogni cittadino,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di promuovere e implementare la rete territoriale dei servizi d'orientamento e di consulenza lungo tutto l'arco della vita, determinando con apposito strumento legislativo, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, i seguenti interventi:
    a) gli standard minimi delle prestazioni concernenti l'orientamento professionale ed al lavoro che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, fermi restando i servizi di orientamento per i lavoratori diversamente abili di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68;
    b) i criteri per il raccordo con quanto previsto dal decreto legislativo 14 gennaio 2008, n. 22, in materia di percorsi di orientamento finalizzati alle professioni e al lavoro;
    c) i requisiti necessari per lo svolgimento di servizi o attività di orientamento al lavoro ai fini dell'accreditamento regionale dei servizi al lavoro nei confronti di operatori pubblici e privati ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera f), e dell'articolo 7 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
9/2208-B/33Fantinati.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in esame sottolinea «lo stato di perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare»,

impegna il Governo

con riguardo al mercato del lavoro, alle regole e alle procedure della contrattazione, alla qualità delle relazioni sociali, a valutare l'opportunità di adottare nuove misure volte a: a) premiare la produttività, disponendo di risorse certe e continuative per il finanziamento delle politiche incentivanti (defiscalizzazione e decontribuzione); b) favorire la mobilità; c) accrescere il livello della partecipazione dei lavoratori nelle imprese; d) semplificare norme e procedure, anche al fine di attrarre investimenti diretti esteri in Italia.
9/2208-B/34Currò.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in esame sottolinea «lo stato di perdurante crisi occupazionale»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di istituire, con futuri provvedimenti, il reddito di cittadinanza, che si qualificherebbe non solo socialmente necessario, ma quale sostegno alla domanda, ed efficientamento del sistema costosissimo degli ammortizzatori in deroga.
9/2208-B/35Colonnese.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in esame sottolinea «lo stato di perdurante crisi occupazionale»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere ulteriori misure per il raggiungimento nel 2020 del tasso di occupazione del 67-69 per cento, attraverso apposite iniziative volte all'inclusione nel mercato del lavoro di giovani e donne, anche attraverso, la previsione di interventi di welfare a supporto della conciliazione e dei carichi di cura, e la definizione, nonché il finanziamento dei LEP (Livelli essenziali delle Prestazioni) in ambito sociale.
9/2208-B/36Cozzolino.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in esame sottolinea «lo stato di perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di attuare una profonda riforma del sistema delle relazioni industriali attraverso una legislazione che regoli anzitutto, in maniera democratica, la «rappresentatività sindacale», imponendo la misura della reale rappresentanza dei sindacati su base proporzionale e preveda la legittimità degli accordi subordinandola al voto libero e democratico dei lavoratori.
9/2208-B/37Cominardi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in esame sottolinea «lo stato di perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori misure per ripristinare forme efficaci di incentivazione delle attività produttive, rilanciando il programma strategico Industria 2015, al fine di favorire le connessioni tra imprese del Nord e quelle del Sud.
9/2208-B/38Paolo Bernini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in esame sottolinea «lo stato di perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere misure atte a rimuovere i fattori degenerativi della concorrenza come dumping sociale giocato sullo sfruttamento del lavoro al fine di favorire le imprese rispettose delle leggi e dei contratti.
9/2208-B/39Crippa.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, lettera b-septies, prevede che gli introiti derivanti dalle sanzioni pecuniarie applicate ai datori di lavoro che superino il numero legale del 20 per cento, consentito per l'assunzione dei lavoratori con contratto a termine, vadano ad alimentare il «Fondo sociale per occupazione e formazione»;
    nell'ambito dell'Accordo di partenariato 2014, la Commissione europea ha posto l'accento sulla necessità di attuare una «strategia di specializzazione intelligente», attraverso la creazione di programmi di trasformazione economica integrati e basati sul territorio che valorizzino i punti di forza, i vantaggi competitivi e il potenziale di eccellenza di ogni paese o regione; supportino l'innovazione tecnologica e basata sulla pratica e promuovano gli investimenti nel settore privato; assicurino la piena partecipazione dei soggetti coinvolti e incoraggino l'innovazione e la sperimentazione, basati su esperienze concrete e includenti validi sistemi di monitoraggio e valutazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di destinare i suddetti introiti a progetti di sviluppo di start-up innovative, ovverosia «incubatori certificati» di cui all'articolo 25, comma 2, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.
9/2208-B/40Da Villa.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in titolo reca, all'articolo 2, modificazioni al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167;
    in particolare, il comma 1, lettera c) dispone l'obbligo da parte delle Regioni di notificare al datore di lavoro, entro quarantacinque giorni dalla comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro con l'apprendista, le modalità di svolgimento dell'offerta formativa pubblica;
    l'articolo 2 del provvedimento in titolo aggiunge all'articolo 3 decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167, il comma 2-ter che, ribadendo l'autonomia della contrattazione collettiva, in considerazione della componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, riconosce al lavoratore «una retribuzione che tenga conto delle ore di lavoro effettivamente prestate nonché delle ore di formazione nella misura almeno del 35 per cento del relativo monte ore complessivo»;
    la formazione strutturata presso un'azienda, è erogata secondo le modalità definite dalla contrattazione collettiva fra le organizzazioni datoriali e sindacali, nel rispetto degli standard generali definiti in coerenza con l'offerta regionale di istruzione e formazione professionale; le ore di formazione non possono essere inferiori a 400;
    nei confronti degli apprendisti di età superiore ai diciotto anni, invece, le modalità di erogazione dell'ulteriore formazione strutturata presso un'azienda, compresa l'indicazione del monte ore, non fanno riferimento ai livelli essenziali dei percorsi di istruzione e formazione professionale di cui al capo III del decreto legislativo 226 del 2005, ma sono stabilite liberamente dalla contrattazione collettiva, nel rispetto del Piano formativo dell'apprendista; le ore di formazione possono essere ridotte del 50 per cento;
    i principi generali della normativa vigente sono i seguenti:
   a) diritto dell'apprendista ad un'adeguata preparazione per l'acquisizione delle competenze di base, trasversali e tecnico professionali comuni e specifiche previste in esito ai percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), facendo dell'apprendistato un canale equivalente per il conseguimento della qualifica e del diploma professionale;
   b) definizione dell'offerta formativa, in coerenza con i relativi Accordi in sede di Conferenza Stato - Regioni con chiaro riferimento:
    alle competenze tecnico professionali comuni di qualifica professionale nelle aree qualità, sicurezza, igiene e salvaguardia ambientale;
    agli standard minimi formativi delle competenze tecnico professionali
    agli standard del sistema regionale delle competenze per l'identificazione dei profili regionali di riferimento;
    all'adozione di modelli didattico-organizzativi che favoriscano l'integrazione lavoro – formazione strutturata, finalizzati all'acquisizione delle competenze non facilmente conseguibili nel solo contesto lavorativo,

impegna il Governo:

   in caso di inadempimento, accertato da parte degli organi di vigilanza di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, come sostituito dall'articolo 33 della legge 4 novembre 2010, n. 183, relativamente all'erogazione della formazione da parte del datore di lavoro o che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità in premessa, a valutare l'opportunità di disciplinare ulteriormente il contrasto agli abusi, introducendo uno strumento legislativo che obblighi il datore di lavoro a versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento;
   nel caso di reiterazione del predetto inadempimento, a valutare altresì l'opportunità di introdurre un'ulteriore sanzione che obblighi il datore di lavoro a trasformare automaticamente il contratto di apprendistato in ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l'inquadramento contrattuale che sarebbe stato conseguito dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato.
9/2208-B/41Ferraresi.


   La Camera,
   premesso che:
    con riguardo al mercato del lavoro, alle regole e alle procedure della contrattazione, le esigenze di cambiamento devono chiarire l'impegno all'adozione di misure volte a premiare la produttività, disponendo di risorse certe e continuative per il finanziamento delle politiche incentivanti, quali la defiscalizzazione e la decontribuzione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare, con futuri provvedimenti, misure promozionali concernenti la riduzione dagli oneri assicurativi in misura non superiore al 60 per cento per l'anno successivo all'intervento, per le imprese che comprovino lo svolgimento di attività di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ulteriori rispetto a quelle imposte da norme di legge, che riguardino almeno la metà della forza lavoro o l'acquisto di materiali o servizi innovativi.
9/2208-B/42Corda.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, lettera b-septies, prevede che gli introiti derivanti dalle sanzioni pecuniarie applicate ai datori di lavoro che superino il numero legale del 20 per cento, consentito per l'assunzione dei lavoratori con contratto a termine, vadano ad alimentare il «Fondo sociale per occupazione e formazione»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di utilizzare le predette risorse per la promozione di tirocini formativi e di orientamento nei settori delle attività e dei servizi culturali e ambientali, rivolti a giovani.
9/2208-B/43Daga.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, lettera b-septies, prevede che gli introiti derivanti dalle sanzioni pecuniarie applicate ai datori di lavoro che superino il numero legale del 20 per cento, consentito per l'assunzione dei lavoratori con contratto a termine, vadano ad alimentare il «Fondo sociale per occupazione e formazione»;
    la disoccupazione rappresenta, insieme ad una ripresa troppo lenta dell'economia, il vero problema dell'Italia;
    per i lavoratori a tempo determinato, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, è stata introdotta un'aliquota contributiva per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di destinare i maggiori introiti di cui al sopra citato articolo 1, lettera b-septies, a favore dell'incremento di un punto percentuale dell'aliquota contributiva per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria per i lavoratori a tempo determinato, facendo confluire un terzo dell'importo derivante dal predetto incremento alla formazione dei lavoratori a tempo determinato, ai fini del loro reinserimento.
9/2208-B/44Caso.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento interviene, all'articolo 2, in materia di contratto d'apprendistato;
    la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), all'articolo 1, comma 215, prevede l'istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Fondo per le politiche attive del lavoro, con una dotazione pari a 15 milioni di euro per il 2014 e a 20 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016, demandando ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali la definizione delle iniziative, anche sperimentali, finanziabili a valere sul suddetto Fondo, specificando che tali iniziative debbano essere intese a favorire il reinserimento lavorativo dei fruitori di ammortizzatori sociali (anche in regime di deroga) e di lavoratori in stato di disoccupazione ed essere sostenute da programmi formativi specifici;
    tra le iniziative finanziabili dal suddetto comma è compresa anche la sperimentazione regionale del contratto di ricollocazione, che non è un nuovo rapporto di lavoro ma un «accordo tra lavoratore, strutture pubbliche regionali ed agenzie private» per la ricollocazione di persone prive occupazione;
    l'apprendistato di riqualificazione potrebbe rappresentare una tipologia contrattuale coerente con gli obiettivi di questa misura di politica del lavoro nonché un importante strumento per reinserire nel mondo del lavoro persone già professionalizzate ed appartenenti ad una fascia di età che, in assenza di interventi, rischierebbe di essere marginalizzata aumentando fenomeni di disagio sociale;
    le supposte «azioni riformatrici» nel settore del mercato del lavoro, delineate anche nel Documento economico e finanziario, appaiono interventi di destrutturazione della certezza del diritto del lavoro e di, conseguente, ulteriore precarizzazione;
    secondo gli ultimi dati Istat, il numero di disoccupati è pari a 3 milioni 307 mila, con un aumento dello 0,2 per cento rispetto al mese precedente (8 mila) e del 9 per cento su base annua (272 mila). Il tasso di disoccupazione giovanile (fascia 15-24enni) è pari al 42,3 per cento (678 mila),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di avviare prima della scadenza dell'anno in corso, la suddetta sperimentazione regionale favorendo l'assunzione in tutti i settori di attività, pubblici o privati, con contratto di apprendistato di riqualificazione i soggetti in stato di disoccupazione ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera c) ed e) del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181.
9/2208-B/45Cecconi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 sottolinea «lo stato di perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare»;
    l'esigenza di valorizzare strumenti di sostegno alle imprese in difficoltà che siano da un lato meno onerosi degli attuali e dall'altro idonei a permettere una ripresa delle attività lavorative delle aziende in crisi, pone al centro della questione i lavoratori;
    in effetti, molti degli strumenti utilizzabili dalle imprese in casi di crisi hanno in questi anni dimostrato di non poter coniugare le due esigenze sopra richiamate,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di prevedere ulteriori disposizioni di legge che valorizzino i contratti di solidarietà, attraverso le seguenti azioni:
    l'eliminazione dei casi (ad eccezione dei dirigenti) di inapplicabilità dello strumento di sostegno nei riguardi di determinate categorie di lavoratori e nei riguardi delle imprese con un numero di lavoratori limitato;
    la previsione della possibilità che operino contratti di solidarietà «territoriali», che tengano conto della situazione di crisi di un intero settore e territorio e, quindi, siano diretti a affrontare su base territoriale e con interventi «mirati» al contesto di riferimento la crisi in atto;
    la previsione di un sostegno al reddito dei lavoratori, sempre fissato in misura non inferiore al 60 per cento della retribuzione persa per la riduzione dell'orario di lavoro;
    l'imposizione all'impresa di provvedere ad avviare i lavoratori nei cui riguardi operi il contratto di solidarietà a corsi di formazione o di riqualificazione professionale o legati alla salute e sicurezza sul lavoro a proprie spese, per una somma non inferiore al 5 per cento delle retribuzioni perse in relazione alla riduzione dell'orario di lavoro, e in relazione ai quali sia possibile attivare finanziamenti pubblici, di cui la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), all'articolo 1, comma 215.
9/2208-B/46Businarolo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 sottolinea «lo stato di perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare»;
    il mercato del lavoro dovrebbe contemperare l'esigenza della tutela dei diritti dei lavoratori con una regolamentazione dei rapporti di lavoro idonea a tener conto delle possibili difficoltà delle imprese e, per gli ammortizzatori sociali, la riduzione del gettito per le finanze pubbliche con una rivisitazione degli strumenti attualmente esistenti, diretta ad eliminare le forme di sostegno alle imprese meramente assistenziali favorendo quelle volte al rilancio delle attività produttive e, quindi, dell'occupazione,

impegna il Governo

   a valutare l'opportunità di riformare la materia degli ammortizzatori sociali per il riordino degli istituti a sostegno del reddito, tenendo conto dei seguenti interventi:
    a) graduale armonizzazione dei trattamenti di disoccupazione e creazione di uno strumento unico indirizzato al sostegno del «reddito di cittadinanza» per il reinserimento lavorativo dei soggetti disoccupati senza distinzione di qualifica, appartenenza settoriale, dimensione di impresa e tipologia di contratti di lavoro;
    b) graduale armonizzazione della cassa integrazione ordinaria e straordinaria con la previsione di modalità di regolazione diverse a seconda degli interventi da attuare e di applicazione anche in caso di interventi di prevenzione, protezione e risanamento ambientale che determinino la sospensione dell'attività lavorativa;
    c) coinvolgimento e partecipazione attiva delle imprese nel processo di ricollocazione dei lavoratori, con particolare riferimento ad attività di formazione o a investimenti finalizzati al rilancio delle imprese;
    d) valorizzazione del ruolo degli enti bilaterali, anche al fine dell'individuazione di eventuali prestazioni aggiuntive rispetto a quelle assicurate dal sistema generale;
    e) previsione di politiche attive per il lavoro, in particolare favorendo la stabilizzazione dei rapporti di lavoro e l'occupazione, nonché per l'inserimento lavorativo di soggetti appartenenti alle fasce deboli del mercato.
9/2208-B/47Barbanti.


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito dell'Accordo di partenariato 2014, la Commissione europea ha posto l'accento sulla necessità di attuare una «strategia di specializzazione intelligente», attraverso la creazione di programmi di trasformazione economica integrati e basati sul territorio che valorizzino i punti di forza, i vantaggi competitivi e il potenziale di eccellenza di ogni paese o regione; supportino l'innovazione tecnologica e basata sulla pratica e promuovano gli investimenti nel settore privato; assicurino la piena partecipazione dei soggetti coinvolti e incoraggino l'innovazione e la sperimentazione, basati su esperienze concrete e includenti validi sistemi di monitoraggio e valutazione,

impegna il Governo

   a valutare l'opportunità di concedere, con futuri provvedimenti, incentivi statali per la promozione e la tutela del lavoro autonomo e del cofinanziamento degli interventi adottati in ambito territoriale a valere sulle risorse stanziate nell'ambito dei bilanci regionali e sulle risorse del Fondo sociale europeo, con particolare riguardo alle seguenti attività:
    a) operazioni di acquisto di macchine, di cui alla legge 28 novembre 1965, n. 1329;
    b) prestazioni di garanzie per l'accesso al credito ovvero operazioni di consolidamento a medio termine di passività a breve nei confronti del sistema bancario, in correlazione alla presentazione di programmi di sviluppo e innovazione;
    c) investimenti per la ricerca industriale, per l'innovazione tecnologica, organizzativa e commerciale, per la tutela ambientale e per la sicurezza sui luoghi di lavoro.
9/2208-B/48Bechis.


   La Camera,
   premesso che:
    la perdurante crisi dell'economia italiana ha avuto una ripercussione negativa nell'ambito dell'occupazione femminile: secondo i dati Istat, fra le donne l'occupazione qualificata è diminuita di quasi 300 mila unità, mentre i lavori non qualificati hanno fatto registrare un incremento di oltre 200.000 unità;
    l'articolo 42 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, prevede azioni dirette a favorire l'occupazione femminile e realizzare l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro,

impegna il Governo

   al fine di incrementare e promuovere le azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nell'accesso alle attività d'impresa e alle attività di lavoro autonomo, anche in base al tasso di disoccupazione registrato in talune regioni, a valutare l'opportunità di disciplinare ulteriormente le disposizioni contenute all'articolo 45, comma 3 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, prevedendo la ripartizione tra le regioni della quota del Fondo di rotazione di cui all'articolo 45, comma 3, del medesimo decreto legislativo, in misura proporzionale all'ammontare dei contributi richiesti per i progetti approvati, assegnando:
    a) per il 75 per cento tra tutte le regioni in misura proporzionale all'ammontare dei contributi richiesti per i progetti approvati;
    b) per il 25 per cento tra le regioni in cui il tasso di occupazione femminile, come rilevato dall'Istituto nazionale di statistica, è inferiore alla media nazionale, in proporzione alla popolazione residente.
9/2208-B/49Baroni.


   La Camera,
   premesso che:
    la perdurante crisi dell'economia italiana ha avuto una ripercussione negativa nell'ambito dell'occupazione femminile: secondo i dati Istat, fra le donne l'occupazione qualificata è diminuita di quasi 300 mila unità, mentre i lavori non qualificati hanno fatto registrare un incremento di oltre 200.000 unità;
    l'articolo 54 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (Codice della parità uomo-donna), prevede azioni di sostegno economico, dirette a favorire l'occupazione e l'imprenditoria femminile;
    l'articolo 53 del citato decreto legislativo, indica i soggetti destinatari delle menzionate azioni di sostegno, quali le imprese, o i loro consorzi, le associazioni, gli enti, le società di promozione imprenditoriale anche a capitale misto pubblico e privato, i centri di formazione e gli ordini professionali che promuovono corsi di formazione imprenditoriale o servizi di consulenza e di assistenza tecnica e manageriale riservati per una quota non inferiore al settanta per cento a donne,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di ampliare le disposizioni di cui beneficiano soggetti, di cui al citato articolo 53, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 198/2006, estendendo, nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento anche comunitario, le agevolazioni previste dalla disciplina vigente, e indirizzate alle seguenti azioni:
    a) per impianti ed attrezzature sostenute per l'avvio o per l'acquisto di attività commerciali e turistiche o di attività nel settore dell'industria, dell'artigianato, del commercio o dei servizi, nonché per i progetti aziendali connessi all'introduzione di qualificazione e di innovazione di prodotto, tecnologica od organizzativa;
    b) per l'acquisizione di servizi destinati all'aumento della produttività, all'innovazione organizzativa, al trasferimento delle tecnologie, alla ricerca di nuovi mercati per il collocamento dei prodotti, all'acquisizione di nuove tecniche di produzione, di gestione e di commercializzazione, nonché per lo sviluppo di sistemi di qualità;
    c) per la costituzione di piccole e micro imprese in possesso dei requisiti per l'accesso a finanziamenti e cofinanziamenti comunitari o regionali.
9/2208-B/50Nicola Bianchi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 sottolinea «lo stato di perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare»;
    l'esigenza di sostenere anche le iniziative d'investimento informale nel capitale di rischio delle imprese è essenziale per sostenere le micro, piccole e medie imprese, creando occupazione,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di prevedere, con futuri provvedimenti uno sgravio fiscale, a favore dei soggetti pubblici e privati che investono nell'avviamento, nella creazione e nella riconversione tecnologica e ambientale delle micro, piccole e medie imprese apportando da 30.000 euro a 300.000 euro singolarmente o fino a 3 milioni di euro in associazione quale capitale di rischio nelle medesime e mettendo a disposizione la propria esperienza, reti di conoscenze e servizi;
    nel caso, consentire ai suddetti soggetti di poter detrarre almeno il 60 per cento dell'ammontare di tali investimenti dal proprio reddito individuale o d'impresa, per almeno tre periodi d'imposta mediante meccanismi automatici di agevolazione fiscale, mediante credito d'imposta o bonus fiscale.
9/2208-B/51Brugnerotto.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 sottolinea «lo stato di perdurante crisi occupazionale»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere un più deciso impegno per assumere, nell'ambito di futuri provvedimenti concernenti la riforma del mercato del lavoro, apposite misure finalizzate ad innalzare il livello delle professionalità e delle competenze, da considerare indispensabili quali presupposto per garantire lo sviluppo e nuova occupazione.
9/2208-B/52Battelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 sottolinea «lo stato di perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rafforzare, attraverso l'adozione di ulteriori misure, l'ambito della riforma del fisco, in modo tale che la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, nonché la riduzione del prelievo sui redditi da lavoro più bassi e quello sulle imprese, possa ridurre in proporzione diretta la pressione fiscale sui contribuenti leali e, in particolare, sul lavoro e sull'impresa.
9/2208-B/53De Lorenzis.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in titolo reca, all'articolo 2, modificazioni al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167;
    secondo i dati diffusi da Statistic Canada e OCSE esiste per un terzo degli italiani il rischio di essere compresi tra i cosiddetti «analfabeti funzionali», cioè i soggetti adulti, anche scolarizzati, che risultano in concreto privi di capacità funzionali minime, quali la comprensione di un testo scritto;
    la questione dell'apprendimento permanente si pone dunque per l'Italia in termini di vera e propria emergenza per la tenuta degli equilibri economici e sociali attuali;
    il diritto individuale alla formazione permanente in tutte le fasi della vita, direttamente esercitabile dai lavoratori dipendenti e autonomi e dalle imprese, nei periodi di attività come di inattività e di transizione da un lavoro ad un altro, consente agli utenti della formazione di scegliere fra le varie opzioni formative, innescando un meccanismo di miglioramento dell'offerta di formazione, nonché introducendo una concorrenza virtuosa fra i vari enti erogatori, e favorendo maggiore trasparenza nell'uso dei fondi pubblici; di particolare rilievo sarebbe la possibilità di valorizzare, accanto all'apprendimento in contesti formali, anche l'apprendimento in contesti non formali – cioè presso imprese, organizzazioni del volontariato e del privato sociale, associazioni culturali e delle famiglie, infrastrutture culturali e reti civiche degli enti locali ed ogni altro organismo che persegua scopi educativi e formativi – ed in contesti informali, cioè nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo, nell'ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero,

impegna il Governo:

   in coerenza con le linee d'indirizzo dell'Unione europea, a valutare l'opportunità di sostenere, dal punto di vista finanziario e ordinamentale, l'apprendimento permanente, quale fattore di crescita economica e di inclusione sociale, secondo la chiave di sviluppo della partecipazione e della cittadinanza attiva; nel caso, valutare l'opportunità di attivare le seguenti azioni:
    a) sostegno alla costruzione, da parte delle persone, dei propri percorsi di apprendimento formale, non formale ed informale, ivi compresi quelli di lavoro, facendo emergere ed individuando i fabbisogni di competenza delle persone in correlazione con le necessità dei sistemi produttivi e dei territori di riferimento;
    b) il riconoscimento di crediti formativi e la certificazione degli apprendimenti comunque acquisiti;
    c) la fruizione di servizi di orientamento lungo tutto il corso della vita.
9/2208-B/54Castelli.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 92 del 2012 ha prodotto effetti negativi sulle assunzioni, aggravando la crisi occupazionale, senza indirizzare i lavoratori verso un percorso di stabilità;
    parimenti, il cosiddetto «combinato disposto» tra il decreto legge in esame che tipizza dal punto di vista legale il contratto a termine, e il disegno di legge delega o «jobs acts» che apporta modifiche correttive ai contratti precari già esistenti, non ci pone in una situazione di positività, riguardo alla riattivazione nel breve e medio termine del mercato del lavoro;
    il declino generale dell'economia italiana ha peraltro causato la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro nell'ambito dell'occupazione femminile: secondo i dati Istat, fra le donne l'occupazione qualificata è diminuita di quasi 300 mila unità, mentre i lavori non qualificati hanno fatto registrare un incremento di oltre 200.000 unità;
    le donne continuano ad essere escluse da ruoli di responsabilità;
    il blocco del turn over e i limiti posti alle nuove assunzioni riducono la possibilità di trovare lavoro stabile per le donne, che costituiscono oltre il 63 per cento del personale a tempo determinato nella pubblica amministrazione;
    il genere femminile risulta danneggiato anche dal blocco delle retribuzioni,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare idonee misure volte a:
    1) introdurre l'obbligo per gli uffici, enti, organismi e soggetti privati che partecipano all'informazione statistica ufficiale di fornire i dati e le notizie per le rilevazioni previste dal Programma statistico nazionale, disaggregati per uomini e donne;
    2) introdurre l'obbligo per l'ISTAT di effettuare indagini sociali ed economiche secondo un approccio di genere in specifiche macro aree tematiche, (escludendo quelle nelle quali la produzione di statistiche secondo indicatori sensibili al genere è già obbligatoria in base ai regolamenti europei), tra cui: a) formazione continua, uso di nuove tecnologie e fruizione culturale; b) conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, tra lavoro e famiglia; c) partecipazione sociale e politica; d) presenza di donne e uomini nei luoghi decisionali; e) reddito e povertà; f) condizioni di vita delle immigrate e degli immigrati per provenienza;
    3) effettuare ricognizioni della normativa vigente finalizzate alla rilevazione di eventuali ostacoli alla produzione delle statistiche di genere, proponendone le necessarie modifiche.
9/2208-B/55Dadone.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento decreto lavoro in approvazione oggi e la legge delega attualmente in discussione al Senato in tema di mercato del lavoro e ammortizzatori sociali hanno l'obbiettivo di sostenere nuova occupazione in un corretto equilibrio delle ragioni delle imprese e della tutela dei lavoratori;
    la crisi economica insieme alla mancanza di politiche industriali ha portato nel paese dei livelli disoccupazione molto alti in tutte le fasce di popolazione;
    solo nuove regole del mercato del lavoro non sono sufficienti a rispondere al dramma della disoccupazione e alla precarietà sociale,

impegna il Governo

ad attivare urgentemente delle scelte politiche tese a produrre interventi forti di investimenti pubblici nei settori strategici per la crescita del Paese che possano sostenere quella ripresa necessaria per ridare futuro all'Italia.
9/2208-B/56Zappulla.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del presente decreto reca semplificazioni delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    i centri per l'impiego oramai da tempo non svolgono un'azione efficace volta a favorire l'aumento dei livelli occupazionali,

impegna il Governo

a rilanciare l'occupazione attraverso la riforma dei centri per l'impiego.
9/2208-B/57Zolezzi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del presente decreto reca semplificazioni delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    i centri per l'impiego oramai da tempo non svolgono un'azione efficace volta a favorire l'aumento dei livelli occupazionali,

impegna il Governo

a rilanciare l'occupazione attraverso la riforma dei centri per l'impiego ed il rilancio della formazione pubblica.
9/2208-B/58Tofalo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del presente decreto reca semplificazioni delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    i centri per l'impiego oramai da tempo non svolgono un'azione efficace volta a favorire l'aumento dei livelli occupazionali,

impegna il Governo

a rilanciare l'occupazione attraverso la riforma dei centri per l'impiego, promuovendo la formazione pubblica e finalizzandola, tra l'altro, al recupero del Made in Italy e delle produzioni artigianali del nostro paese.
9/2208-B/59Toninelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del presente decreto reca semplificazioni delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    i centri per l'impiego oramai da tempo non svolgono un'azione efficace volta a favorire l'aumento dei livelli occupazionali,

impegna il Governo

a rilanciare l'occupazione attraverso la riforma dei centri per l'impiego ed il rilancio della formazione pubblica, finalizzandola, tra l'altro, a promuovere l'occupazione nel settore della cultura.
9/2208-B/60Turco.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca modificazioni al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368;
    le predette modifiche non prevedono un'autentica ristrutturazione del sistema contrattuale italiano, caratterizzato da disomogeneità,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di disciplinare, con futuri provvedimenti, la ridefinizione di nuovi sistemi contrattuali che prevedano una drastica semplificazione in quattro grandi aree contrattuali (industria, pubblico impiego, artigianato, servizi).
9/2208-B/61Vacca.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca modificazioni al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368;
    le predette modifiche non prevedono un'autentica ristrutturazione del sistema contrattuale italiano, caratterizzato da disomogeneità,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di disciplinare, con futuri provvedimenti, la ridefinizione di nuovi sistemi contrattuali che definiscano il salario minimo, l'orario massimo, i diritti non negoziabili, la previsione obbligatoria della formazione permanente e le norme di sicurezza sul lavoro.
9/2208-B/62Simone Valente.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è un Paese a bassa crescita economica, nel quale è in crescita l'indice di povertà relativa;
    la scarsa crescita economico-produttiva si è tradotta in un aggravamento delle condizioni sociali delle famiglie italiane;
    si rende quindi necessario intervenire sul sistema sociale italiano al fine di ridurre le disuguaglianze e le disparità di trattamento;
   il lavoro necessita della coniugazione tra politiche attive e passive,

impegna il Governo

ad operare una seria riforma degli ammortizzatori sociali che preveda un investimento significativo sulla formazione, accompagnata dall'istituzione di un reddito di cittadinanza universale.
9/2208-B/63Tripiedi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è un Paese a bassa crescita economica, nel quale è in crescita l'indice di povertà relativa;
    la scarsa crescita economico-produttiva si è tradotta in un aggravamento delle condizioni sociali delle famiglie italiane;
    si rende quindi necessario intervenire sul sistema sociale italiano al fine di ridurre le disuguaglianze e le disparità di trattamento;
   il lavoro necessita della coniugazione tra politiche attive e passive,

impegna il Governo

ad operare una seria riforma degli ammortizzatori sociali che preveda un investimento significativo sulla formazione, accompagnata dall'allargamento del reddito di inserimento già previsto dalla normativa vigente.
9/2208-B/63. (Testo modificato nel corso della seduta).  Tripiedi.


   La Camera,
   premesso che:
    è necessario agevolare le imprese in ogni processo che vada nella direzione della implementazione delle assunzioni, considerata altresì la necessità di limitare quanto più possibile il contenzioso giudiziale derivante da controversie in materia di lavoro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere ogni iniziativa utile a poter pervenire alla riforma della giustizia civile con specifico riferimento al settore della giustizia del lavoro.
9/2208-B/64Segoni.


   La Camera,
   premesso che:
    occorre considerare la perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare, nelle more dell'adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la previsione di maggiori tutele per i lavoratori precari, vista la direttiva comunitaria 1999/70/CE,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere ogni iniziativa utile ad implementare l'utilizzo delle forme contrattuali a tempo indeterminato nonché a porre in essere ogni iniziativa governativa utile a comporre le varie vertenze occupazionali aperte sul tavolo del Ministero dello sviluppo economico.
9/2208-B/65Sorial.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 167 del 2011 stabilisce che il contratto di apprendistato contenga il piano formativo individuale da redarsi in forma sintetica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere iniziative che specifichino le modalità di redazione e di compilazione dei moduli utili alla redazione del piano formativo, anche in relazione alla prescritta compilazione degli stessi in maniera sintetica.
9/2208-B/66Spadoni.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 del decreto legislativo n. 167 del 2011 prevede il divieto di retribuire a cottimo l'apprendista,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere iniziative che definiscano sotto il profilo sanzionatorio il divieto di retribuire a cottimo il lavoratore in apprendistato.
9/2208-B/67Pisano.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 167 del 2011 stabilisce che il contratto di apprendistato contenga il piano formativo individuale, definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere iniziative che vadano a specificare le modalità di redazione dei moduli utili alla predisposizione del piano formativo e le tempistiche che la contrattazione collettiva
e gli enti bilaterali sono tenuti ad osservare per la definizione dei medesimi piani formativi.
9/2208-B/68Paolo Nicolò Romano.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 167 del 2011 stabilisce che il contratto di apprendistato contenga il piano formativo individuale, definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere ogni iniziativa utile a predisporre servizi di supporto alle imprese, finalizzati a garantire la qualità formativa della formazione da erogare al lavoratore.
9/2208-B/69Rizzo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 3, comma 2-quater, del decreto legislativo n. 167 del 2011 stabilisce che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano che hanno definito un sistema di alternanza scuola-lavoro possono prevedere specifiche modalità di utilizzo dell'apprendistato per lo svolgimento di attività stagionali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte ad istituire sistemi di analisi che consentano un efficiente raccordo tra i programmi di formazione e le reali esigenze di fabbisogno professionale delle aziende.
9/2208-B/70Micillo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 3, comma 2-quater, del decreto legislativo n. 167 del 2011 stabilisce che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano che hanno definito un sistema di alternanza scuola-lavoro possono prevedere specifiche modalità di utilizzo dell'apprendistato per lo svolgimento di attività stagionali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte ad istituire sistemi di analisi che consentano un efficiente raccordo tra i programmi di formazione e le reali esigenze di fabbisogno professionale delle aziende nel settore della green economy.
9/2208-B/71De Rosa.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 3, comma 2-quater, del decreto legislativo n. 167 del 2011 stabilisce che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano che hanno definito un sistema di alternanza scuola-lavoro possono prevedere specifiche modalità di utilizzo dell'apprendistato per lo svolgimento di attività stagionali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere iniziative che, anche attraverso un sistema di monitoraggio dell'andamento delle attività stagionali, individuino caratteristiche e criticità del lavoro stagionale e permettano la definizione di peculiari modalità di utilizzo del contratto di apprendistato nel particolare raggio d'azione dei contratti di lavoro stagionali.
9/2208-B/72Lorefice.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 del decreto legislativo n. 167 del 2011 prevede che la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale sia rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere ogni iniziativa utile e necessaria ai fini del monitoraggio delle attività delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, con particolare riferimento all'assolvimento dell'obbligo, in capo ad esse, di disciplinare i profili formativi dell'apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale.
9/2208-B/73Mucci.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8-bis, comma 2, del decreto-legge n. 104 del 2013, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca, prevede la possibilità che venga avviato un programma sperimentale per il triennio 2014-2016 volto allo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado;
    ai fini del predetto programma sperimentale, possono essere stipulati anche contratti di apprendistato con le aziende interessate, in deroga ai limiti di età stabiliti dal decreto legislativo n. 167 del 2011, e con particolare riferimento agli studenti degli istituti professionali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere ogni iniziativa utile ai fini del monitoraggio del numero e del contenuto delle convenzioni concluse tra le istituzioni scolastiche e le imprese, nonché del numero delle scuole interessate e degli studenti assunti con contratto di apprendistato.
9/2208-B/74Marzana.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8-bis, comma 2, del decreto-legge n. 104 del 2013, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca, prevede la possibilità che venga avviato un programma sperimentale per il triennio 2014-2016 volto allo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado;
    ai fini del predetto programma sperimentale, possono essere stipulati anche contratti di apprendistato con le aziende interessate, in deroga ai limiti di età stabiliti dal decreto legislativo n. 167 del 2011, e con particolare riferimento agli studenti degli istituti professionali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere ogni iniziativa finalizzata a sostenere la diffusione dell'apprendistato anche avvalendosi della collaborazione di Università, Enti ed Istituti di ricerca pubblici, Consorzi interuniversitari, Parchi Scientifici e tecnologici, Distretti tecnologici e i Centri di eccellenza.
9/2208-B/75Liuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8-bis, comma 2, del decreto-legge n. 104 del 2013, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca, prevede la possibilità che venga avviato un programma sperimentale per il triennio 2014-2016 volto allo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado;
    ai fini del predetto programma sperimentale, possono essere stipulati anche contratti di apprendistato con le aziende interessate, in deroga ai limiti di età stabiliti dal decreto legislativo 167 del 2011, e con particolare riferimento agli studenti degli istituti professionali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere ogni iniziativa finalizzata a rilanciare la diffusione dell'apprendistato anche con riferimento agli istituti liceali e agli istituti tecnici.
9/2208-B/76Cristian Iannuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 8-bis, comma 2, del decreto-legge n. 104 del 2013, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca, prevede la possibilità che venga avviato un programma sperimentale per il triennio 2014-2016 volto allo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado;
    ai fini del predetto programma sperimentale, possono essere stipulati anche contratti di apprendistato con le aziende interessate, in deroga ai limiti di età stabiliti dal decreto legislativo 167 del 2011, e con particolare riferimento agli studenti degli istituti professionali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere ogni iniziativa finalizzata a garantire il puntuale adempimento degli obblighi formativi delle aziende, anche attraverso attività di controllo dell'assolvimento degli obblighi medesimi per il tramite del coordinamento tra le istituzioni scolastiche e gli organi ispettivi e di controllo.
9/2208-B/77Fico.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 recante «Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES» è finalizzato a disciplinare il contratto di lavoro subordinato a tempo parziale, nelle tre varianti di part time verticale, orizzontale e misto;
    la diffusione del lavoro a tempo parziale appare come uno degli strumenti che potrebbero facilitare l'aumento sia dei tassi di partecipazione che di occupazione femminile, in un contesto in cui ancora gran parte del lavoro di cura all'interno delle famiglie è a carico delle donne,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere ogni iniziativa legislativa utile al fine di sostenere il ricorso al part time da parte delle imprese oltreché a facilitare i passaggi da full-time a part-time e viceversa.
9/2208-B/78Grande.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 recante «Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES» è finalizzato a disciplinare il contratto di lavoro subordinato a tempo parziale, nelle tre varianti di part time verticale, orizzontale e misto;
    il contratto a tempo parziale è uno degli strumenti che può incrementare la partecipazione al lavoro e dell'occupazione dei giovani, degli anziani e dei disabili,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere interventi finalizzati ad implementare l'uso del contratto part-time, con specifico riferimento alle fasce più deboli di lavoratori, quali donne e uomini con carichi famigliari, disabili, anziani, giovani in obbligo formativo.
9/2208-B/79Colletti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2, recante «semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di apprendistato», con specifico riferimento al contratto di apprendistato professionalizzante prevede in capo al datore di lavoro una mera possibilità, e non più l'obbligo, di integrare la formazione professionale interna con l'offerta formativa pubblica, nei limiti delle risorse annualmente disponibili;
    la novella legislativa svincola il datore di lavoro dall'obbligo di sottoporre l'apprendista a una formazione erogata sotto il controllo pubblico,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di favorire iniziative volte ad implementare la formazione di mestiere, anche nell'ambito di iniziative di carattere pubblico finalizzate a rilanciare l'artigianato in Italia.
9/2208-B/80Dieni.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 reca «semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di apprendistato», e prevede l'abolizione, tra i principi direttivi di legge affidati all'attuazione in sede contrattuale, della possibilità di contemplare forme e modalità per la conferma in servizio di una determinata percentuale di apprendisti al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato;
    la predetta abrogazione comporta una grave limitazione del ruolo e della funzione dell'autonomia collettiva,

impegna il Governo

a porre in essere ogni iniziativa utile ad attribuire alla contrattazione collettiva la facoltà di prevedere e disciplinare percorsi di stabilizzazione a vantaggio degli apprendisti al fine di favorirne l'ingresso nel mondo del lavoro.
9/2208-B/81Della Valle.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 2, recante «semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di apprendistato», nel caso di apprendistato per la qualifica o il diploma professionale, è riconosciuta una retribuzione che tenga delle ore effettivamente prestate nonché delle ore di formazione nella misura del 35 per cento in relazione al monte ore complessivo;
    la suddetta norma dispone un trattamento retributivo ordinario per le ore effettivamente lavorate dall'apprendista a cui deve aggiungersi un trattamento retributivo «ridotto», pari al 35 per cento del relativo monte ore complessivo, per le ore in cui l'apprendista è impegnato in attività di formazione;
    la novella legislativa prevede, in considerazione dell'onere formativo a carico delle aziende, una riduzione generalizzata della retribuzione da riconoscere in relazione al numero di ore di formazione espletate,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di porre in essere iniziative che disciplinino ulteriormente lo svolgimento della formazione e l'ampliamento della relativa retribuzione.
9/2208-B/82Frusone.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 del provvedimento in esame viene introdotto il limite quantitativo, pari al 20 per cento dell'organico complessivo, alla stipulazione di contratti a termine da parte di ciascun datore di lavoro, rapportato in via generale e generica all'organico complessivo. Ai fini della trasparenza del computo dei predetti lavoratori, rispetto all'organico complessivo, è utile prevedere che tali dati siano inviati alla Direzione Provinciale del Lavoro, competente per territorio, stabilendo delle procedure di trasmissione, fissate con decreto non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanare entro e non oltre 30 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto legislativo. Tali procedure riguardano il tipo di modello da utilizzare per la comunicazione, il formato di trasmissione ed il sistema di classificazione dei dati, in relazione alle tipologie contrattuali applicate, che ogni singolo datore di lavoro deve essere tenuto a inserire nelle schede anagrafiche e nelle schede professionali dei lavoratori alle proprie dipendenze,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di porre in essere iniziative volte a garantire il monitoraggio dei limiti quantitativi applicati al numero di contratti a tempo determinato.
9/2208-B/83Pinna.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 1 del provvedimento in esame vengono emanate disposizioni di semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine;
    la funzione sociale della maternità continua ad essere penalizzata rispetto all'accesso e alla permanenza nel mercato del lavoro, ciò è imputabile a diversi fattori quali l'iniqua distribuzione dei carichi di lavoro familiare, la persistente carenza dei servizi per l'infanzia, le forme di discriminazione sul lavoro subite dalle donne madri o in gravidanza, l'insufficienza delle reti di aiuto formale (asili nido e strutture per l'infanzia);
    la peculiarità del nostro Paese è ravvisabile nel ricorso intenso alla rete di aiuti informale e alla solidarietà intergenerazionale. Sei bambini su dieci sono affidati ai nonni quando la madre lavora. Questo avviene principalmente per la carenza di servizi per l'infanzia;
    l'offerta di asili nido, misurata rispetto al numero dei bambini di età inferiore ai tre anni, mostra tuttavia differenze rilevanti nel livello di attivazione territoriale del servizio. La loro carenza, soprattutto al Sud e nelle Isole, condiziona decisamente il rapporto con il lavoro delle donne, al punto tale che 564 mila donne inattive hanno dichiarato che sarebbero disponibili a lavorare e a cercare lavoro, in presenza di servizi sociali adeguati; tra le donne occupate, 160 mila passerebbero da un regime orario part time a full time;
    l'interruzione dell'attività lavorativa dovuta alla nascita di un figlio può comportare un rischio elevato di non reinserirsi nel mondo del lavoro, o di rimanerne a lungo al di fuori. Tra le donne che nel corso della vita hanno smesso di lavorare, il 17,7 per cento lo ha fatto per la nascita del figlio;
    emerge in tutta evidenza la necessità di tutelare i diritti della donna nella fase della vita in cui deve conciliare l'essere madre con la sua partecipazione alla vita attiva e produttiva,

impegna il Governo

a porre in essere ogni iniziativa, anche di carattere legislativo, volta a favorire le pari opportunità nel mondo del lavoro con specifico riferimento alla tutela dei diritti della lavoratrice madre.
9/2208-B/84Mantero.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9-bis della legge 28 novembre 1996, n. 608, disciplina le denunzie obbligatorie che i datori di lavoro devono fare al centro per l'impiego entro 5 giorni quando assumono o licenziano un lavoratore indicando la tipologia del contratto di lavoro utilizzato (tempo indeterminato, a termine, somministrato, Co.Co.Pro.),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di ulteriormente disciplinare le denunzie obbligatorie in capo ai datori di lavoro, con specifico riferimento alla necessità di indicare il numero di lavoratori impiegati, per specifica tipologia contrattuale applicata.
9/2208-B/85Ruocco.


   La Camera,
   premesso che:
    la grave crisi socio-economica che interessa il nostro Paese ormai da diversi anni, ha avuto un impatto durissimo sul mondo del lavoro e sui livelli occupazionali;
    tale situazione richiede interventi strutturali e di sistema e non certo misure come quelle recate dal decreto-legge in esame;
    le disposizioni in materia di contratti di lavoro a tempo determinato e di apprendistato rappresentano un peggioramento dal punto di vista degli effetti che potranno produrre sull'occupazione e sulla precarizzazione dei rapporti di lavoro, che determina un sempre maggiore indebolimento dei diritti dei lavoratori, senza alcun vantaggio per l'occupazione e per la capacità degli imprenditori di migliorare le performance o restare nel mercato;
    un paper del Fondo monetario internazionale, diffuso in questi giorni, riconosce finalmente che il costo del lavoro è «sempre meno importante» per la competitività globale delle imprese italiane e che per dare competitività alle aziende servono sempre più gli sforzi e le riforme strutturali per «innovare ed espandere» le dimensioni d'impresa;
    l'incentivazione all'utilizzo del contratto a tempo determinato va a scapito del contratto a tempo indeterminato, che è «forma comune di rapporto di lavoro è quello a tempo indeterminato» nell'interesse del mercato del lavoro e dell'economia, mentre le modifiche all'apprendistato determinano un altro suo snaturamento, candidandolo a diventare il principale contratto precario del futuro fino a soppiantare tutti gli altri;
    in particolare, sono numerose le storie di lavoratrici e lavoratori che hanno avuto più rapporti di lavoro con la stessa impresa fino ad un massimo di 36 mesi, in parte senza causale e in parte con causali che variavano, pur non cambiando l'attività lavorativa svolta;
    il rinnovo ripetuto dei contratti a tempo determinato e l'assenza di casualità trasformano il tale contratto in un rapporto di prova che può protrarsi fino a 36 mesi, senza neppure avere la garanzia dell'assunzione al termine del periodo;
    secondo i dati OCSE in Italia è già precario il 52 per cento dei giovani sotto i 25 anni: il doppio rispetto al 2010. Tali dati dimostrano che il ricorso a forme di contratti, come quello a tempo determinato, non porta ad un aumento dei posti di lavoro, né ad una maggiore stabilizzazione degli stessi,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative, anche legislative, al fine di ristabilire la centralità del contratto di lavoro a tempo indeterminato, a garanzia del mercato del lavoro e dell'economia, oltre che dei lavoratori e delle lavoratrici.
9/2208-B/86Kronbichler, Di Salvo, Lavagno.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 contiene disposizioni tese a facilitare il ricorso ai contratti a tempo determinato (cosiddetto lavoro a termine) in un'ottica che la rubrica chiama di «semplificazione», ma che nella sostanza rivela lo snaturamento del contratto a termine, contraddicendo la direttiva europea che lo regola e contraddicendo il principio di legge secondo cui «la forma comune di rapporto di lavoro è quello a tempo indeterminato»;
    la richiamata direttiva del Consiglio del 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE relativa all'accordo quadro CES, UNICE, CEEP sul lavoro a tempo determinato è stata recepita dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, che nel corso degli anni ha subito radicali emendamenti;
    l'articolo 1 della direttiva 1999/70 stabilisce che essa persegue lo scopo di «attuare l'accordo quadro (...), che figura nell'allegato, concluso (...) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)»;
    il terzo comma del preambolo dell'accordo quadro recita:
  «Il presente accordo stabilisce i principi generali e i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato, riconoscendo che la loro applicazione dettagliata deve tener conto delle realtà specifiche delle situazioni nazionali, settoriali e stagionali. Esso indica la volontà delle parti sociali di stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, e un uso dei contratti di lavoro a tempo determinato accettabile sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori»;
    il punto 10 delle considerazioni generali dell'accordo quadro stabilisce che:
  «10. considerando che il presente accordo demanda agli Stati membri e alle parti sociali la formulazione di disposizioni volte all'applicazione dei principi generali, dei requisiti minimi e delle norme in esso stesso contenuti, al fine di tener conto della situazione di ciascuno Stato membro e delle circostanze relative a particolari settori e occupazioni, comprese le attività di tipo stagionale»;
    la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro, rubricata «Principio di non discriminazione», così prevede:
  «Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive»;
    la clausola 5 dell'accordo quadro, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», dispone quanto segue:
  «1. Per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
   a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
   b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
   c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

  2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
   a) devono essere considerati «successivi»;
   b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato;
    si deve ricordare che la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro intende attuare uno degli obiettivi perseguiti dall'accordo, vale a dire limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (vedi sentenze Adeneler e a., cit., punto 63; del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C-378/07 a 0380/07, Racc. pag. 1-3071, punto 73, nonché del 26 gennaio 2012, Kuciik, 0586/10);
    detta disposizione dell'accordo quadro impone, quindi, agli Stati membri, per prevenire l'utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l'adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure in essa enunciate qualora il diritto nazionale non preveda norme equivalenti. Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c) di detta clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi ultimi (vedi citate sentenze Angelidaki e a., punto 74, nonché Kuciik, punto 26);
    l'articolo 1 del decreto-legge ha previsto l'innalzamento da 12 a 36 mesi della durata del rapporto a tempo determinato che non necessita dell'indicazione della causale per la sua stipulazione e ha previsto la possibilità di prorogare fino ad un massimo di cinque volte in 36 mesi tal contratto; una disposizione di tal genere contiene un rispetto di natura puramente formale della clausola 5 dell'Accordo quadro, non contenendo criteri oggettivi e trasparenti atti a verificare se il rinnovo dei contratti (troppi e in un tempo troppo lungo) e, soprattutto, la mancanza di causa (generalizzata in ogni settore produttivo e impresa, senza limitazioni) siano compatibili con lo scopo e l'effettività dell'accordo quadro;
    l'articolo 1 espone l'Italia all'apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea, con le conseguenze sul piano economico e procedurale che questo può comportare,

impegna il Governo

ad attivarsi immediatamente presso la Commissione europea e a darne tempestiva informazione al Parlamento, per verificare che l'articolo 1 del decreto-legge in conversione sia compatibile e in che misura con la direttiva europea in materia di contratti a tempo determinato.
9/2208-B/87Pannarale, Ricciatti, Placido.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 contiene disposizioni tese a facilitare il ricorso ai contratti a tempo determinato (cosiddetto lavoro a termine), che snaturano il contratto a termine, contraddicendo la direttiva europea che lo regola e contraddice il principio di legge secondo cui «la forma comune di rapporto di lavoro è quello a tempo indeterminato»;
    viene innalzato da 12 a 36 mesi della durata del rapporto a tempo determinato che non necessita dell'indicazione della causale per la sua stipulazione e che può essere rinnovato fino ad un massimo di cinque volte in 36 mesi;
    si prevede inoltre che il numero complessivo di rapporti di lavoro a termine costituiti da ciascun datore sia elevato fino al 20 per cento del personale complessivo impiegato a tempo indeterminato;
    il decreto-legge per la prima volta inserisce un limite – più teorico che reale – rappresentato dal tetto dei lavoratori che un'azienda può assumere con contratti a tempo determinato;
    in tal modo viene alzato il tetto previsto dai contratti collettivi di lavoro (in media 10-15 per cento dell'organico), che peraltro non ha mai funzionato, giacché le aziende e i Centri per l'impiego tengono riservati e non accessibili i dati numerici relativi;
    per superare tale problema che non rende controllabile il superamento del tetto, è necessario prevedere che le aziende e i Centri dell'impiego comunichino obbligatoriamente alle organizzazioni sindacali, il numero totale dei dipendenti di ciascuna azienda e la tipologia contrattuale per ciascun dipendente;
    solo conoscendo i predetti dati sarà possibile monitorare l'applicazione della legge e procedere all'irrogazione delle eventuali sanzioni previste in caso di violazioni,

impegna il Governo

a introdurre l'obbligo, giuridicamente sanzionato, per le aziende e i Centri dell'impiego di comunicare alle organizzazioni sindacali, su richiesta di queste ultime, il numero totale dei lavoratori impiegati da ciascun datore di lavoro e la tipologia contrattuale utilizzata per ciascun lavoratore.
9/2208-B/88Pilozzi, Palazzotto, Ferrara.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 contiene disposizioni tese a facilitare il ricorso ai contratti a tempo determinato (cosiddetto lavoro a termine), mediante l'introduzione di una previsione generale di acausalità e di durata fino a 36 mesi del contratto e fino a 5 rinnovi;
    tali novità comportano uno snaturamento del contratto a tempo determinato, una possibile violazione della direttiva europea recepita dall'Italia in materia di tali contratti e una forte riduzione di diritti dei lavoratori;
    nel decreto sono state introdotte misure che riguardano il diritto di precedenza del lavoratore che, nell'esecuzione di uno o più contratti a termine presso lo stesso datore di lavoro, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi il diritto di precedenza, fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi, per le assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine;
    per quanto riguarda l'esercizio del diritto di precedenza è stato previsto che il datore di lavoro è tenuto a dame informazione al lavoratore, mediante comunicazione scritta da consegnare al momento dell'assunzione. Tale comunicazione è utile al fine dell'esercizio del diritto, in quanto secondo la norma in vigore, il diritto di precedenza può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro sei mesi (tre mesi in caso di lavori stagionali) dalla data di cessazione del rapporto stesso e si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro;
    per rendere effettivo l'esercizio del diritto di precedenza sarebbe necessario prevedere una disciplina maggiormente organica,

impegna il Governo

a disciplinare in maniera organica l'esercizio del diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato da parte dei datori di lavoro che ricorrono a contratti a tempo determinato, rimettendo la definizione di criteri uniformi alla contrattazione collettiva, prevedendo la predisposizione di graduatorie e introducendo l'obbligo per le imprese di motivare la mancata assunzione con contratto dipendente a tempo indeterminato (o ogni altra tipologia) del lavoratore che sia stato impiegato con contratto di lavoro a tempo determinato.
9/2208-B/89Zan, Di Salvo, Ferrara.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 contiene disposizioni in materia di apprendistato, che modificano in più parti il decreto legislativo n. 167 del 2011 e la legge n. 92 del 2012;
    l'obbligo della forma scritta rimane per il contratto e per il patto di prova, mentre per il piano formativo individuale viene ridotto ad una formulazione sintetica da inserire nel contratto (rispetto alla versione originaria del decreto-legge che cancellava la forma scritta e la redazione del piano prova);
    viene soppressa la condizione che consentiva l'assunzione di nuovi apprendisti, nelle aziende che occupino almeno 10 dipendenti, alla condizione di aver assunto almeno il 50 per cento degli apprendisti impiegati in precedenza dallo stesso datore di lavoro;
    in base alla nuova previsione legislativa la condizione rimane applicabile esclusivamente per i datori di lavoro che occupano almeno 50 dipendenti, che abbiano assunto appena il 20 per cento degli apprendisti già impiegati in precedenza;
    nella retribuzione dell'apprendista, fatta salva l'autonomia della contrattazione collettiva, in considerazione della componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, si debba tener conto delle ore di lavoro effettivamente prestate, nonché delle ore di formazione in misura almeno del 35 per cento del relativo monte ore complessivo;
    la facoltà per i datori di lavoro di integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere svolta in azienda, con l'offerta formativa pubblica (interna o esterna all'azienda) per l'acquisizione di competenze di base e trasversali. Precedentemente tale formazione pubblica era sempre obbligatoria, mentre ora rimane tale solo se le regioni provvedono «a comunicare al datore di lavoro, entro quarantacinque giorni dalla comunicazione di instaurazione del rapporto, le modalità per usufruire dell'offerta formativa pubblica»;
    le modifiche apportate al contratto di apprendistato rivelano non un intento semplificatorio, ma il tentativo in atto già da tempo, di trasformare tale forma di contratto nel nuovo contratto modello per lo sfruttamento del lavoro precario e non finalizzato realmente alla formazione di lavoratrici e lavoratori, facendo venire meno la sua natura di contratto a causale mista (formativa e lavorativa); grazie a tale impiego distorto del contratto di apprendistato, tutte le altre forme di contratti non standard o precari, non avranno ragione d'essere;
    il contratto di apprendistato stenta a decollare come contratto a causale mista. Si tende erroneamente ad ascrivere la disaffezione per tale contratto agli «appesantimenti» introdotti dalla riforma Fornero del mercato del lavoro, la quale è intervenuta sul regime della durata, sul numero complessivo degli apprendisti in servizio e sul regime delle conferme dei lavoratori apprendisti. Si tratta di accuse infondate, perché il trend negativo va avanti da svariati anni prima; i dati del bilancio ISFOL, INPS e Ministero del Lavoro diffusi il 17 aprile 2014 rivelano che se dal 2011 al 2012 il numero di contratti è calato del 4,6 per cento (469.855 in tutto), il trend decrescente continua dal 2008. Nel 2008 gli apprendisti erano 645.385 unità (con una diminuzione di 175 mila unità rispetto al 2012);
    un confronto meramente numerico mostra che in Germania ogni anno i contratti di apprendistato sono 1,5 milioni. Il confronto, tuttavia, non può andare più in là dei numeri, essendo sostanziali le differenze del mercato e dell'organizzazione del lavoro nei due Paesi; in Italia vanno particolarmente male i contratti di apprendistato tra i minori e nella fascia di lavoratori tra i 15 e 29 anni, che sono quelli ai quali – paradossalmente – tale contratto serve maggiormente;
    lo scarso ricorso all'apprendistato ha diverse ragioni, nonostante la sua recente disciplina organica introdotta con il testo unico del 2011, che ha previsto significativi sgravi fiscali e incentivi normativi. Le regioni che hanno ridotto le risorse per la formazione; l'offerta formativa pubblica si è ridotta dell'1,4 per cento tra il 2011 e il 2012. Solo 3 apprendisti sui 10 (31 per cento) hanno preso parte a interventi formativi organizzati da regioni e province autonome (si scende al 13 per cento nel sud e si sale al 43,5 per cento nel nord). Le risorse stanziate dalle regioni nel 2012 sono scese a 161 milioni, pari a - 15,8 per cento. In alcune regioni, inoltre, non tutti i contratti di apprendistato sono ancora stati normativi per la parte di competenza regionale,

impegna il Governo:

   a contrastare il tentativo di trasformare il contratto di apprendistato in un contratto nel quale, scomparsa o fortemente ridotta la componente formativa, vengano sfruttati i vantaggi fiscali e contributivi che esso assicura, per creare ulteriore precariato;
   a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a rivedere al più presto la disciplina dell'obbligo di mettere per iscritto il piano formativo individuale, vigilando che la sua sinteticità non si trasformi nella ripetizione di mere clausole di stile o sterili precetti standard;
   a individuare, insieme con le regioni, risorse necessarie per assicurare la formazione pubblica a favore degli apprendisti, riportando gli stanziamenti almeno ai livelli del 2008 e rivendendo l'efficacia dei piani formativi;
   a svolgere un esame delle disposizioni e prassi in materia di ispezioni e controlli ai datori di lavoro con riferimento ai lavoratori apprendisti, sviluppando, insieme con le parti sindacali e con esperti del settore, protocolli e standard per verificare l'eventuale abuso del contratto, mirato a sfruttare il lavoro degli apprendisti perché economicamente più conveniente e non già a realizzare la indispensabile formazione del lavoratore e della lavoratrice.
9/2208-B/90Marcon, Ricciatti, Daniele Farina.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame contiene nel titolo il tema del rilancio dell'occupazione, in un Paese – il Nostro – nel quale l'ISTAT certifica che a marzo 2014 gli occupati sono in diminuzione dello 0,6 per cento su base annua (-124 mila) e il tasso di occupazione, pari al 55,6 per cento diminuisce di 0,2 punti rispetto a dodici mesi prima; il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 248 mila, aumenta del 6,4 per cento su base annua (+194 mila) e il tasso di disoccupazione è pari al 12,7 per cento, in aumento di 0,7 punti nei dodici mesi;
    i disoccupati tra i 15-24enni sono 683 mila. L'incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all'11,4 per cento, in aumento di 0,8 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 42,7 per cento, in aumento di 3,1 punti nel confronto tendenziale;
    il decreto-legge del Governo non contiene misure che possano creare nuova occupazione;
    sono circa sei i miliardi di euro di fondi europei utilizzabili per sostenere la crescita e nuova occupazione. Il primo miliardo di euro è attivabile dalla riprogrammazione dei fondi europei 2007-2013 che è stato assegnato a fine 2013 dal Governo Letta per il reimpiego di disoccupati, cassaintegrati, donne e under 29; un miliardo (cui si aggiungono 500 milioni di euro di cofinanziamento) vengono dal programma europeo «Youth Guarantee» che punta a creare occupazione e formazione per giovani under 25; poco meno di 4 miliardi (cui si aggiungono 4 miliardi circa di cofinanziamento nazionale) sono la quota dei fondi strutturali 2014-2020 destinata all'Obiettivo 8 denominato «Occupazione» per la creazione di nuovi posti di lavoro previsto dall'Accordo di Partenariato;
    in tutto le risorse economiche europee sono più di 10 miliardi di euro, conteggiando il cofinanziamento nazionale. Il programma europeo «Youth Guarantee» nella programmazione 2014-2020 ammonta a 4.060 milioni di euro di cui la maggior parte andrà al Sud con una quota di 2.602 milioni di euro e al Centro-Nord con una quota di 1.458 milioni di euro;
    una parte consistente di queste risorse, non inferiore a 3-4 miliardi, proveniente dalla riprogrammazione del precedente programma finanziario 2007-2013, dalla rimodulazione del programma europeo «youth guarantee» e da una parte che è anticipabile dalla nuova programmazione finanziaria 2014-2020, secondo l'Unione Europea, purché le risorse siano anticipate dalla Stato e, successivamente, rimborsate dall'Unione Europea a rendiconto avvenuto. La condizione è che i progetti per avere il sostegno finanziario dell'Unione Europea devono essere obbligatoriamente mirati a creare nuova occupazione;
    l'Accordo di Partenariato ha un importo di 31,130 milioni di euro più altrettanti di cofinanziamento nazionale; si pensi che la somma destinata in senso lato a creare occupazione è stimata in 12 miliardi di euro, 3 miliardi in più della precedente programmazione 2007-2013. A tal riguardo, se si considerano i cofinanziamenti nazionali, la spesa che in qualche modo contribuisce a creare occupazione sale a 24 miliardi,

impegna il Governo:

   ad attivarsi nella predisposizione di progetti e/o programmi nazionali al fine di attivare i finanziamenti comunitari e il cofinanziamento nazionale assegnati per la creazione di posti di lavoro e per far fronte al reimpiego di disoccupati, cassaintegrati, donne e under 29;
   a far sì che il programma europeo «Youth guarantee» venga utilizzato interamente al fine di avviare misure urgenti per l'impiego degli under 29 senza dover incorrere in una riprogrammazione dei fondi europei non spesi, così come è avvenuto nella precedente programmazione finanziaria 2007-2013.
9/2208-B/91(Testo corretto)Franco Bordo, Pannarale, Kronbichler.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame ha come obiettivo quello di favorire l'occupazione giovanile e la stabilizzazione dei rapporti di lavoro e, al contempo, di ridurre le disuguaglianze occupazionali tra aree geografiche del Paese;
    l'articolo 1, lettera b-octies del decreto-legge esclude dall'ambito di applicabilità del limite massimo di durata dei contratti a tempo determinato i contratti stipulati tra istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa. Questo comporta che i contratti a tempo determinato dei ricercatori potranno avere durata superiore e 36 mesi, fino alla durata del progetto di ricerca al quale si riferiscono;
    i giovani ricercatori in Italia, come è risaputo, sono poco sostenuti e valorizzati;
    la loro situazione è talmente precaria che vengono spinti a preferire il trasferimento all'estero, anche quando non vorrebbero, o, peggio, a rinunciare a fare ricerca per dedicarsi a lavori che poco o nulla hanno a che fare con la loro preparazione e i loro progetti professionali;
    la selezione 2013 della cosiddetta Erc junior, ovvero i grants assegnati dallo European Research Council ai giovani ricercatori dell'Unione e dei Paesi associati ha decretato che su 287 fondi per portare avanti un progetto di ricerca (grants) assegnati, i giovani italiani ne hanno vinto 17: il 5,9 per cento del totale. Non molti, tenuto conto che nel 2008, in un'analoga (ma non omologa) selezione ne avevamo vinti 35 su circa 300 (il 12 per cento del totale). Ma neanche pochi, visto che gli inglesi ne hanno vinto 22 e i francesi 26, pur avendo un numero di ricercatori e, soprattutto, di giovani ricercatori molto più nutrito. Solo la Germania si distacca, con 55 grants vinti. Ma la Germania ha, appunto, un numero di ricercatori tra 3 e 4 volte superiore;
    per numero assoluto di successi, eravamo secondi nel 2008 e ora siamo sesti. Un arretramento c’è stato. Ma la capacità individuale di competere dei nostri giovani resta, in ogni caso, del tutto paragonabile a quella dei loro colleghi di altri paesi europei. Ma è la capacità del sistema Paese che, nel modo più assoluto, perde il confronto col resto d'Europa;
    la maggior parte dei ricercatori italiani sono precari e troppo spesso non hanno la prospettiva di veder rinnovati i propri contratti,

impegna il Governo

a facilitare l'assunzione o la riconferma dei contratti dei giovani ricercatori, assunti presso enti pubblici di ricerca con contratti non a tempo indeterminato, anche in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e escludendo la spesa per i loro contratti nel calcolo dei limiti imposti dalle normative vigenti sul turnover, entro il limite dell'80 per cento delle proprie entrate correnti complessive, come risultanti dal bilancio consuntivo dell'anno precedente, nonché a prevedere, fin dal prossimo provvedimento finanziario, incentivi a favore dei ricercatori che svolgono ricerca in Italia.
9/2208-B/92Fratoianni, Giancarlo Giordano, Nardi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 contiene disposizioni tese a facilitare il ricorso ai contratti a tempo determinato (cosiddetto lavoro a termine) in un'ottica che la rubrica chiama di «semplificazione», ma che nella sostanza rivela lo snaturamento del contratto a termine, contraddicendo la direttiva europea che lo regola e contraddicendo il principio di legge secondo cui «la forma comune di rapporto di lavoro è quello a tempo indeterminato»;
    con le misure recate dall'articolo 1 si indeboliscono ulteriormente le tutele e i diritti dei lavoratori e si sancisce la totale precarizzazione del lavoro sia privato che pubblico;
    con riferimento a quest'ultimo, è pendente dinanzi alla Corte di Giustizia un rinvio pregiudiziale operato dalla Corte costituzionale (ordinanza n. 207 del 2013), in materia di personale precario della scuola, con particolare riferimento al problema della stabilizzazione del personale assunto da vari anni su posto vacante;
    come noto, il decreto legislativo n. 368 del 2001 – Attuazione della direttiva europea 1999/70/CE, nel confermare che «Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato», precisa che: «È consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro»;
    con la legge n. 247 del 2007 veniva aggiunto all'articolo 5 del decreto legislativo, il comma 4-bis secondo cui «qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2»;
    l'applicazione di tale disciplina avrebbe dovuto comportare per i precari della scuola assunti con impiego complessivo superiore ai trentasei mesi, la trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato;
    tuttavia il legislatore ha adottato una normativa speciale al fine di escludere il comparto scuola dalla disciplina generale: infatti il decreto-legge n. 134 del 2009 ha stabilito: «I contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze previste dai commi 1, 2 e 3 (dell'articolo 4 della legge n. 124 del 1999), in quanto necessari per garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo»;
    il successivo articolo, articolo 9, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, ha aggiunto il comma 4-bis all'articolo 10 del decreto legislativo n. 368 del 2001 prevedendo che: «sono altresì esclusi dall'applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato»;
    inoltre, la legge n. 124 del 1999, accanto alle supplenze necessarie per le assenze temporanee, prevede un'altra tipologia di contratti, per le cosiddette «supplenze annuali», le quali sono disposte per «la copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico (articolo 4, l.cit.). In questo caso – nonostante la definizione di «supplenze» – il lavoratore assunto non va a sostituire un titolare, ma va a coprire un vuoto in organico; nelle predette fattispecie, la giustificazione apposta dal legislatore in ordine alle ragioni che escluderebbero il settore scuola dalla normativa nazionale ed europea in materia di contratto a predette fattispecie, la giustificazione apposta dal legislatore in ordine alle ragioni che escluderebbero il settore scuola dalla normativa nazionale ed europea in materia di contratto a termine, non è rinvenibile, risolvendosi nella lapalissiana necessità di «garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo»;
    se nel caso delle supplenze disposte per sostituire personale temporaneamente assente, tale giustificazione potrebbe avere fondamento, le suddette ragioni non appaiono però rinvenibili nel caso di «supplenze» su posti privi di titolare;
    peraltro, la citata legge n. 124 prevedeva il ricorso a tali forme di contratto in via transitoria e per un periodo di tempo limitato («in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale docente di ruolo»), ma così non è stato;
    in tal modo, quello che doveva essere un ricorso temporaneo ed eccezionale (secondo la citata legge, «i concorsi per titoli ed esami sono indetti su base regionale con frequenza triennale») è divenuta una prassi, suffragando la tesi secondo cui – nei casi indicati – si assisterebbe ad un vero e proprio abuso del contratto a termine, essendo evidente che i posti vacanti devono essere ordinariamente ricoperti con personale di ruolo;
    nonostante un contrario arresto della Corte di Cassazione (sentenza n. 10127 del 2012), molta giurisprudenza ha riconosciuto la non piena conformità della normativa nazionale con la clausola 5 dell'accordo quadro di cui alla direttiva europea 1999/70/CE;
    di tale ultimo parere è stato anche l'Ufficio del Massimario della Cassazione con una relazione tematica sul precariato scolastico (n. 190 del 24 ottobre 2012), che ha contraddetto apertamente quanto affermato nella citata sentenza della Cassazione;
    per tanto tempo lo Stato italiano ha omesso di attivare le procedure concorsuali previste dalla legge n. 124 del 1999 e, inoltre, non ha previsto disposizioni che riconoscono in favore dei lavoratori della scuola il diritto al risarcimento del danno per indebita ripetizione di contratti di lavoro a tempo determinato;
    va tenuto presente che nella recente ordinanza del 12 dicembre 2013, nel procedimento Papalia contro Comune di Aosta, la Corte di giustizia ha affermato che: «l'accordo quadro deve essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale (ndr quella italiana), la quale, nell'ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all'obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall'ordinamento dell'Unione. Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi»,

impegna il Governo

a risolvere, anche con provvedimenti di urgenza, il problema del precariato all'interno della scuola, ristabilendo il rispetto della direttiva europea in materia di contratti a tempo determinato nel settore pubblico e in particolare in quello scolastico e procedendo ad assunzione a tempo indeterminato.
9/2208-B/93Giancarlo Giordano, Fratoianni, Costantino.


   La Camera,
   premesso che:
    la grave crisi socio-economica che interessa il nostro Paese ormai da diversi anni, ha avuto un impatto durissimo sul mondo del lavoro e sui livelli occupazionali;
    tale situazione richiede interventi strutturali e di sistema e non certo misure di precarizzazione come quelle recate dal decreto-legge in esame;
    infatti, l'articolo 1 contiene disposizioni tese a facilitare il ricorso ai contratti a tempo determinato innalzando da 12 a 36 mesi la loro durata massima, anche mediante molteplici rinnovi e senza necessità di indicare la causale;
    si prevede inoltre che il numero complessivo di rapporti di lavoro a termine costituiti da ciascun datore sia elevato fino al 20 per cento del personale complessivo impiegato a tempo indeterminato;
    nella versione del decreto-legge, come modificata dalla Camera dei deputati, era previsto che i lavoratori assunti in violazione del limite percentuale del 20 per cento fossero considerati lavoratori subordinati con contratto a tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto di lavoro;
    nella versione attuale, invece, il decreto-legge prevede che se il datore di lavoro assume con contratto di lavoro a tempo determinato un numero di lavoratori superiore al limite del 20 per cento, incorre nella sanzione amministrativa del 20 per cento della retribuzione per ogni mese o frazione mese superiore a 15, se i lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno; oppure incorre nella sanzione amministrativa del 50 per cento della retribuzione se il numero di lavoratori sia superiore a uno;
    la soppressione dell'obbligo di convertire il contratto dei lavoratori a tempo determinato assunti in violazione del tetto massimo consentito è particolarmente grave. Ad essere modificata è la natura stessa della violazione che dall'essere commessa ai danni della persona del lavoratore, viene trasformata in violazione nei confronti dello Stato;
    anche la natura della sanzione viene trasformata, passando dall'essere una misura che ristabilisce la legalità ad essere una sanzione amministrativa che può sovrapporsi al mantenimento della situazione di illegalità se il datore di lavoro ritenga più vantaggioso continuare a pagarla e ad occupare un numero di lavoratori a tempo determinato superiore alla soglia massima stabilità;
    una tale disposizione è plausibilmente incostituzionale,

impegna il Governo

a precisare, con provvedimento anche in via d'urgenza, che il superamento del limite del 20 per cento obbliga sempre il datore di lavoro a rientrare entro il predetto limite, prevedendo un termine entro il quale adempiere. Inoltre, a precisare che – accertata la violazione e comminata la sanzione amministrativa – il mancato rientro entro il termine comporti l'assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dei lavoratori oltre la soglia.
9/2208-B/94Piazzoni, Zaratti, Fava.


   La Camera,
   premesso che:
    il mondo del lavoro è stato duramente colpito dalla grave crisi economica che colpisce il nostro Paese da diversi anni;
    i livelli occupazionali continuano a diminuire acuendo non solo la crisi istituzionale, sociale e la condizione di precarietà dei cittadini;
    il decreto in esame, anziché proporre interventi strutturali in grado di rilanciare l'economia, facendo ripartire i consumi e gli investimenti, contiene misure di ulteriore precarizzazione;
    tale è, infatti, la scelta di rendere acasuale il contratto a tempo determinato e di consentirne la proroga fino a 36 mesi, aumentando il numero complessivo dei lavoratori che un'azienda può assumere con questa tipologia contrattuale;
    tali sono, ancora, le modifiche apportate al contratto di apprendistato, che si candida a diventare la tipologia di contratto precario per eccellenza del futuro: l'obbligo di predisporre il piano formativo individuale è stato ridotto ad una formulazione sintetica da inserire nel contratto ed è stato ravvisto che solo le aziende che impiegano più di 50 dipendenti (che in Italia non superano l'1 per cento) incorrono nel divieto di assumere nuovi apprendisti se non hanno proceduto ad assumere almeno il 20 per cento degli apprendisti già precedentemente impiegati;
    la lotta contro il precariato è l'emergenza dell'Italia. Non la si può affrontare con slogan o con misure di poco o nessun impatto. Combattere il precariato significa mirare a produrre nuovo lavoro, lavoro stabile, attraverso il rilancio dei consumi e gli investimenti;
    in Italia va allargandosi la forbice tra coloro che diventano sempre più ricchi e coloro che sono al di sotto della soglia di povertà. I dieci uomini più ricchi del Paese dispongono di un patrimonio di circa 75 miliardi di euro, pari a quello di quasi 500mila famiglie operaie messe insieme;
    duemila italiani, membri dell’élite mondiale degli ultraricchi, dispongono di un patrimonio complessivo superiore a 169 miliardi, escluso il valore degli immobili, ovvero lo 0,003 per cento della popolazione possiede una ricchezza pari a quella del 4,5 per cento della popolazione italiana totale;
    questo vuol dire che in Italia sono cresciute le diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza: se vent'anni fa un dirigente guadagnava 3 volte di più di un operaio adesso guadagna 5,6 volte di più; in più, i redditi familiari annui degli operai sono diminuiti del 17,9 per cento, contro il 12 per cento degli impiegati e il 3,7 per cento degli imprenditori; al contrario il reddito dei dirigenti è aumentato dell'1,5 per cento e gli italiani che guadagnano di più, ovvero circa 414 mila contribuenti italiani, hanno redditi netti individuali che volano mediamente sopra i 102 mila euro;
    è fondamentale segnare una inversione di tendenza favorendo i salari e colpendo le rendite finanziarie, in modo da produrre una crescita maggiore e un rilancio dei consumi del ceto medio, che va assottigliandosi,

impegna il Governo

ad adottare misure urgenti che migliorino la condizione sociale ed economica dei lavoratori precari, mediante una politica di stabilizzazione dei rapporti di lavori, un aumento dei redditi da lavoro, l'introduzione di misure universali di sostegno al reddito nei periodi di non lavoro e interventi in materia previdenziale che assicurino una copertura continua, in modo che tutti in futuro possano avere una pensione e che questa sia di importo sufficiente.
9/2208-B/95Matarrelli, Palazzotto, Zan, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame favorisce la precarizzazione dei rapporti di lavoro, mediante l'incentivazione del contratto di lavoro a tempo determinato e l'aumento del numero massimo di lavoratori assumibili con tale contratto in proporzione al numero totale dei lavoratori impiegati da un'impresa;
    la precarizzazione è favorita anche dalle modifiche apportate al contratto di apprendistato, laddove si prevede che l'assunzione di nuovi apprendisti sarà sempre possibile, anche se l'azienda non procede all'assunzione degli apprendisti precedentemente impiegati. Infatti viene introdotto il limite dell'assunzione del 20 per cento degli apprendisti precedentemente impiegati, solo nelle imprese con oltre 50 dipendenti, che rappresentano meno dell'1 per cento delle imprese italiane;
    i contratti di lavoro precari sono discontinui, con gravi riflessi sulla vita contributiva dei lavoratori e sul futuro pensionistico, ma assicurano anche minori retribuzioni e tutele;
    i lavoratori precari non godono di molti degli istituti contrattuali previsti dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, con grande svantaggio per tutti i lavoratori;
    ad essere colpite sono la maturazione delle ferie, i congedi per maternità, parentali e per malattia e infortunio, gli scatti di anzianità e l'avanzamento di carriera, con incidenza diretta sulla crescita del salario nel tempo e in base all'esperienza maturata, il trattamento di fine rapporto, i versamenti contributivi, la loro quantità e la loro misura;
    non in tutti i contratti i contratti precari sono assenti tutti gli istituti contrattuali, ma in molti mancano la gran parte di essi;
    è necessario che tutte le tipologie contrattuali siano normativamente rivisitate e ridotte di numero, garantendo a quelle da conservare necessariamente in vigore che possano garantire gli stessi istituti contrattuali previsti dal contratto a tempo indeterminato,

impegna il Governo

a introdurre il principio, nei futuri provvedimenti anche di natura legislativa, che gli istituti contrattuali garantiti dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato siano assicurati per ogni altra tipologia contrattuale, in maniera commisurata alla natura di ciascun contratto e al fine di garantire tutti i lavoratori e le lavoratrici.
9/2208-B/96Ferrara, Aiello, Boccadutri.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame si propone di rilanciare l'occupazione, ma fallisce nel suo intento in modo clamoroso favorendo l'ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro;
    secondo i dati OCSE in Italia è lavoratore precario il 52 per cento dei giovani sotto i 25 anni: il doppio rispetto al 2010;
    il precariato è frutto del ricorso a tipologie di contratti non a tempo indeterminato, che non sono stati in grado di arginare il problema della disoccupazione, che invece continua ad aumentare, avendo raggiunto livelli drammatici;
    ciò dimostra che il ricorso a forme di contratti, come quello a tempo determinato, non porta ad un aumento dei posti di lavoro, né ad una maggiore stabilizzazione degli stessi;
    i costi economici della disoccupazione sono incalcolabili: incidono direttamente sul PIL che non viene prodotto in percentuale di molto superiore al costo delle misure di sostegno al reddito dei disoccupati – si tratta di 80 miliardi di ricchezza reale che non viene creata –: generano costi ulteriori derivanti dalla perdita di produttività del lavoro e comportano costi sociali quali povertà, perdita della casa, criminalità, denutrizione, abbandoni scolastici, antagonismo etnico, crisi familiari, tensioni sociali potenzialmente esplosive;
    i dati Istat relativi a febbraio 2014 riportano la spaventosa cifra di 3 milioni e 248 mila disoccupati. Anche se il quadro economico mutasse e vi fosse un boom non si riuscirebbe a creare lavoro per una tale mole di lavoratori e occorrerebbero non meno di 15 anni per riportare la disoccupazione a livelli che si possano considerare fisiologici, ma non si riuscirebbe comunque a tornare ai livelli precedenti (ad esempio al dato del 2005 che ha costituito Panno migliore del nuovo secolo per l'occupazione nei Paesi UE), tenendo presente che la maggior parte delle imprese stanno provvedendo a sostituire in misura e rapidità crescente il lavoro umano con varie forme di automazione;
    riteniamo, pertanto, che non vi sia altra possibilità di creare lavoro e riassorbire l'enorme mole di disoccupati se non ricorrendo allo Stato come datore di lavoro di ultima istanza attraverso la creazione di un Piano nazionale del lavoro basato su un programma nazionale di interventi pubblici, che si ispiri al New Deal statunitense che tra il 1933 e il 1943 riuscì a creare occupazione per circa 8,5 milioni di lavoratori;
    è importante porsi l'obiettivo minimo di creare un milione e mezzo di posti di lavoro in un triennio, sostenendo un'occupazione produttiva e un lavoro dignitoso, come promossi dall'Organizzazione internazionale del lavoro e dall'Unione europea;
    l'obiettivo del Piano deve essere quello di occupare lavoratori tra le persone inoccupate, disoccupate o occupate in cerca di altra occupazione, qualora il loro reddito sia al di sotto di ottomila euro, dando tuttavia la priorità a coloro che a parità di altre condizioni rientrano nella definizione di lavoratori svantaggiati ai sensi dell'articolo 2, lettera f) del Regolamento (ce) N. 2204/2002 del 12 dicembre 2002, n. 2204 e che possiedono un patrimonio personale finanziario, mobiliare e immobiliare inferiore; oppure tra persone che usufruiscono di ammortizzatori sociali;
    un tale Programma deve essere realizzato da tutte le amministrazioni dello Stato e dagli enti locali ispirandosi ad interventi che, oltre ad assicurare la creazione di occupazione, consentano lo sviluppo di un nuovo modello produttivo al quale l'Italia deve ambire, ponendosi come obietto primario quello della tutela dell'ambiente e della salute, innanzitutto attraverso il recupero di aree urbane e rurali, degli ecosistemi e della biodiversità;
    gli interventi, pertanto, sono da realizzarsi nei settori della protezione del territorio per prevenire e contrastare il dissesto idrogeologico del Paese; per bonificare e riqualificare dal punto di vista ambientale tutte le aree del territorio nazionale; per recuperare, ristrutturare, adeguare, mettere in sicurezza e valorizzare edifici scolastici, ospedali, asili nido pubblici e il patrimonio immobiliare pubblico da destinare a prima casa e a iniziative di cohousing e coworking; per incrementare l'efficienza energetica e ridurre i consumi per gli uffici pubblici; per recuperare e valorizzare il patrimonio storico, architettonico, museale e archeologico italiano; per recuperare terreni pubblici incolti o abbandonati e salvare dall'inquinamento fiumi, aree paludose, spiagge e coste;
    per il funzionamento del Programma è possibile prevedere l'istituzione di un'Agenzia nazionale snella e poco costosa, vigilata da più ministeri, che svolga funzioni di organizzazione, programmazione, attuazione, indirizzo controllo e coordinamento;
    il Programma dovrebbe basarsi su progetti presentati dagli enti locali e che questi vogliono realizzare, utilizzando le strutture periferiche del Ministero delle attività produttive, per la valutazione dei progetti, e del Ministero del lavoro, per l'assunzione del personale;
    lo Stato dovrebbe mettere a disposizione dei progetti le risorse, con la partecipazione degli Enti locali, e le attrezzature e gli strumenti già in dotazione o di proprietà delle Forze armate e di polizia, nonché quelle degli Enti locali, mentre i centri per l'impiego dovrebbero procedere a organizzare la formazione dei lavoratori da impiegare;
    i Progetti non direttamente realizzati dagli enti pubblici devono essere assegnati attraverso gare d'appalto ad imprese che si impegnino ad assumere, con contratto a tempo determinato per la durata dell'appalto o a tempo indeterminato, almeno il 50 per cento del personale necessario tra i lavoratori svantaggiati come definiti dal Regolamento europeo n. 2204 del 2002, di cui si è scritto sopra. La riserva di manodopera nei bandi di appalto sarebbe così conforme alle norme dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato;
    per quanto riguarda le risorse da destinare alla realizzazione del Programma Nazionale per un triennio sperimentale lo Stato dovrebbe stanziare risorse non inferiori a 29 miliardi da ripartire tra un Fondo nazionale per finanziare i progetti e l'incremento delle risorse a disposizione – a legislazione vigente – degli interventi per la messa in sicurezza del territorio, per gli asili nido pubblici, per la messa in sicurezza degli edifici scolastici pubblici e per incrementare l'efficienza, la prestazione energetica e la riduzione del consumo di energia negli edifici pubblici;
    per mettere insieme le risorse necessarie si potrebbe far ricorso alla Cassa Depositi e Prestiti che può impiegare risorse proprie e emettere obbligazioni da far sottoscrivere alle Fondazioni bancarie, all'INAIF e ai Fondi pensioni negoziali; destinare quota parte dei fondi strutturali europei escludere dal patto di stabilità interno, per il triennio di sperimentazione, le spese in conto capitale collegate ai Progetti; ridurre le tax expenditures, i costi per auto blu e taxi, la deducibilità degli interessi passivi per le banche, la spesa per gli F-35, le fregate FREMM e la TAV Lione-Torino; utilizzare le risorse del cuneo fiscale; incrementare l'aliquota sostitutiva sulle rendite finanziarie e riformare la tassa sulle transazioni finanziarie, eccetera,

impegna il Governo

ad adottare, anche mediante provvedimenti di natura legislativa, un Piano sperimentale per la creazione di nuovi posti di lavoro per contrastare la piaga della disoccupazione, sulla base di quanto indicato in premessa.
9/2208-B/97Airaudo, Migliore, Piras.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame si propone di rilanciare l'occupazione, ma contiene misure che possono favorire l'ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro e non aiutare la ripresa occupazionale;
    come riportato da uno studio del Fondo monetario internazionale annunciato il 10 maggio 2014, costo del lavoro è «sempre meno importante» per la competitività globale delle imprese italiane, al quali servono sempre più gli sforzi e le riforme strutturali per «innovare ed espandere» dimensioni d'impresa;
    lo studio parte da una valutazione di base: c’è un gap di competitività» dell'Italia contro i principali competitor europei che hanno introdotto misure strutturali. Ma «il settore commerciale italiano continua a collocarsi fra i leader mondiali, a differenza di altri Paesi europei»;
    la crisi attuale del sistema produttivo italiano deriva non solo da uno scenario globale sfavorevole, nel quale i fenomeni finanziari e le crisi del debito hanno determinato condizioni estremamente difficili dal lato della domanda rivolta alle imprese e delle condizioni di finanziamento, ma anche da problemi strutturali cumulatisi nel corso dell'ultimo decennio, come certificato dal 9o censimento dell'industria e dei servizi condotta dall'ISTAT;
    l'ampio dibattito sulle cause della scarsa performance italiana ha posto in primo piano problemi strutturali che nel corso degli anni Duemila hanno avuto la loro più evidente manifestazione in una prolungata stagnazione della produttività;
    la situazione attuale è, quindi, anche il riflesso di un «decennio perduto» in termini di crescita della produttività del lavoro per problemi strutturali di competitività e debolezza della propensione alla crescita sulla cui natura si sono sviluppate interpretazioni che, di volta in volta, hanno messo l'accento su aspetti dimensionali, di specializzazione, di governance delle imprese, di costo, di contesto socio-economico e normativo, di efficienza del «sistema-paese» e così via;
    dall'inizio della seconda crisi (2011), l'apertura di un'ampia e persistente divaricazione tra domanda interna e domanda estera, che non trova riscontri tra i maggiori Paesi europei, ha determinato una forte pressione sulla capacità delle imprese di fronteggiare uno scenario economico radicalmente nuovo, modificando i fattori rilevanti per la sopravvivenza e la crescita delle singole unità produttive;
    sfide di questa rilevanza, se da un lato impongono alle imprese di riconsiderare l'intero spettro delle proprie scelte organizzative e strategiche, dall'altro rendono necessario analizzare la performance economica del Paese alla luce di aspetti che limitano fortemente la capacità di fare imprese;
    sempre secondo l'ISTAT; quasi due terzi delle imprese italiane sono «conservatrici» e hanno poca possibilità di competere in un mercato complesso e globalizzato come quello attuale. Si sta parlando di 670mila società, con un'occupazione di quasi 6 milioni di addetti;
    sono mediamente piccole (ma ce ne sono anche tra le medie e le grandi), hanno un profilo strategico semplice (poche strategie e per lo più difensive) e una bassa propensione all'innovazione (innova circa il 20 per cento delle imprese);
    guardano soprattutto ai mercati locali, perché in due terzi dei casi non escono dalla provincia. Sono per lo più imprese meridionali e, in misura inferiore, del Centro;
    l'istituto di statistica per la prima volta ha individuato cinque tipi di società, dividendole per grado di competitività. Dopo il «coorpaccione» delle imprese conservatrici, ci sono quelle chiamate «dinamiche tascabili» (22 per cento), più innovative ma troppo legate al territorio, e quindi pronte a cadere sotto i colpi della crisi attuale di domanda. Ci sono poi le «aperte» e le «innovative», ciascuna delle quali rappresenta circa il 7 per cento delle aziende italiane. Le prime sono imprese industriali capaci di esportare, le seconde società orientate al mercato domestico che sanno avere dei prezzi e dei prodotti competitivi. Al vertice della piramide ci sono le «internazionalizzate spinte»: sono i gruppi industriali, per lo più nel Nord-Ovest, in nove casi su dieci aperte all'estero, capaci di innovare, attivare relazioni e diversificare i prodotti. Peccato che siano solo il 2,6 per cento del totale;
    l'indagine ha fatto un quadro complessivo delle imprese, che sono un po’ lo specchio di un Paese che ha lo sguardo ancora troppo volto al passato. La connotazione familiare delle imprese, ad esempio, coinvolge l'intero sistema: il socio principale è una persona fisica nel 94,8 per cento delle imprese che impiegano 3-9 addetti (microimprese), nell'83,9 per cento delle piccole imprese (10-49 addetti), nel 54,2 per cento delle medie (50-249 addetti) e permane elevata (25,3 per cento) anche nelle grandi (250 addetti e oltre). Si tenga conto che le imprese che impiegano fino a 9 persone rappresentano il 95 per cento delle imprese italiane;
    inoltre i titolari di microimprese a conduzione familiare sono in stragrande maggioranza uomini (78,5 per cento);
    il breve quadro descritto mostra come sia sbagliato affrontare il problema della disoccupazione in Italia continuando a proporre la precarizzazione dei rapporti di lavoro, che non aiutano le imprese a crescere, ad essere più produttive e competitive;
    i contratti di lavoro non a tempo indeterminato ormai da tempo costituiscono oltre il 50 per cento di tutti i contratti di lavoro esistenti, ma ciò nonostante la disoccupazione continua a crescere;
    insistendo, come fa il decreto-legge in esame, sulla precarizzazione dei rapporti di lavoro, si rischia di infliggere il colpo di grazie alle imprese e all'economia;
    è necessario intervenire, invece, sulla crescita delle imprese investendo sulla formazione e sul loro sviluppo;
    una ricerca di ISTAT e ISFOL del 2013 ha messo infatti in luce la scarsa dinamicità degli imprenditori, di piccole imprese, ma anche di grandi imprese. Si osserva un ritardo nei processi di innovazione e una bassa diffusione (meno del 45 per cento delle professioni) di cambiamenti nei settori comunemente ritenuti di eccellenza, strategici per lo sviluppo o tipici del Made in Italy;
    del resto, le trasformazioni più forti sembrano derivare in gran parte da cambiamenti indotti da novità normative e solo marginalmente da innovazioni di prodotto o di processo;
    limitati invece i cambiamenti di carattere organizzativo, che riguardano soprattutto gli operai dei i automatizzati, gli impiegati e i dirigenti dell'amministrazione pubblica;
    la necessità di aggiornamento è molto sentita: per oltre il 76 per cento delle professioni si rileva l'esigenza di aggiornare le conoscenze e le competenze acquisite o di apprenderne di nuove,

impegna il Governo:

a incentivare la formazione e a investire risorse adeguate per far crescere le imprese italiane.
9/2208-B/98Lacquaniti, Matarrelli, Franco Bordo.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame si propone di rilanciare l'occupazione, ma contiene misure che possono favorire l'ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro e non aiutare la ripresa occupazionale;
    come riportato da uno studio del Fondo monetario internazionale annunciato il 10 maggio 2014, costo del lavoro è «sempre meno importante» per la competitività globale delle imprese italiane, al quali servono sempre più gli sforzi e le riforme strutturali per «innovare ed espandere» dimensioni d'impresa;
    lo studio parte da una valutazione di base: c’è un gap di competitività» dell'Italia contro i principali competitor europei che hanno introdotto misure strutturali. Ma «il settore commerciale italiano continua a collocarsi fra i leader mondiali, a differenza di altri Paesi europei»;
    la crisi attuale del sistema produttivo italiano deriva non solo da uno scenario globale sfavorevole, nel quale i fenomeni finanziari e le crisi del debito hanno determinato condizioni estremamente difficili dal lato della domanda rivolta alle imprese e delle condizioni di finanziamento, ma anche da problemi strutturali cumulatisi nel corso dell'ultimo decennio, come certificato dal 9o censimento dell'industria e dei servizi condotta dall'ISTAT;
    l'ampio dibattito sulle cause della scarsa performance italiana ha posto in primo piano problemi strutturali che nel corso degli anni Duemila hanno avuto la loro più evidente manifestazione in una prolungata stagnazione della produttività;
    la situazione attuale è, quindi, anche il riflesso di un «decennio perduto» in termini di crescita della produttività del lavoro per problemi strutturali di competitività e debolezza della propensione alla crescita sulla cui natura si sono sviluppate interpretazioni che, di volta in volta, hanno messo l'accento su aspetti dimensionali, di specializzazione, di governance delle imprese, di costo, di contesto socio-economico e normativo, di efficienza del «sistema-paese» e così via;
    dall'inizio della seconda crisi (2011), l'apertura di un'ampia e persistente divaricazione tra domanda interna e domanda estera, che non trova riscontri tra i maggiori Paesi europei, ha determinato una forte pressione sulla capacità delle imprese di fronteggiare uno scenario economico radicalmente nuovo, modificando i fattori rilevanti per la sopravvivenza e la crescita delle singole unità produttive;
    sfide di questa rilevanza, se da un lato impongono alle imprese di riconsiderare l'intero spettro delle proprie scelte organizzative e strategiche, dall'altro rendono necessario analizzare la performance economica del Paese alla luce di aspetti che limitano fortemente la capacità di fare imprese;
    sempre secondo l'ISTAT; quasi due terzi delle imprese italiane sono «conservatrici» e hanno poca possibilità di competere in un mercato complesso e globalizzato come quello attuale. Si sta parlando di 670mila società, con un'occupazione di quasi 6 milioni di addetti;
    sono mediamente piccole (ma ce ne sono anche tra le medie e le grandi), hanno un profilo strategico semplice (poche strategie e per lo più difensive) e una bassa propensione all'innovazione (innova circa il 20 per cento delle imprese);
    guardano soprattutto ai mercati locali, perché in due terzi dei casi non escono dalla provincia. Sono per lo più imprese meridionali e, in misura inferiore, del Centro;
    l'istituto di statistica per la prima volta ha individuato cinque tipi di società, dividendole per grado di competitività. Dopo il «coorpaccione» delle imprese conservatrici, ci sono quelle chiamate «dinamiche tascabili» (22 per cento), più innovative ma troppo legate al territorio, e quindi pronte a cadere sotto i colpi della crisi attuale di domanda. Ci sono poi le «aperte» e le «innovative», ciascuna delle quali rappresenta circa il 7 per cento delle aziende italiane. Le prime sono imprese industriali capaci di esportare, le seconde società orientate al mercato domestico che sanno avere dei prezzi e dei prodotti competitivi. Al vertice della piramide ci sono le «internazionalizzate spinte»: sono i gruppi industriali, per lo più nel Nord-Ovest, in nove casi su dieci aperte all'estero, capaci di innovare, attivare relazioni e diversificare i prodotti. Peccato che siano solo il 2,6 per cento del totale;
    l'indagine ha fatto un quadro complessivo delle imprese, che sono un po’ lo specchio di un Paese che ha lo sguardo ancora troppo volto al passato. La connotazione familiare delle imprese, ad esempio, coinvolge l'intero sistema: il socio principale è una persona fisica nel 94,8 per cento delle imprese che impiegano 3-9 addetti (microimprese), nell'83,9 per cento delle piccole imprese (10-49 addetti), nel 54,2 per cento delle medie (50-249 addetti) e permane elevata (25,3 per cento) anche nelle grandi (250 addetti e oltre). Si tenga conto che le imprese che impiegano fino a 9 persone rappresentano il 95 per cento delle imprese italiane;
    inoltre i titolari di microimprese a conduzione familiare sono in stragrande maggioranza uomini (78,5 per cento);
    il breve quadro descritto mostra come sia sbagliato affrontare il problema della disoccupazione in Italia continuando a proporre la precarizzazione dei rapporti di lavoro, che non aiutano le imprese a crescere, ad essere più produttive e competitive;
    i contratti di lavoro non a tempo indeterminato ormai da tempo costituiscono oltre il 50 per cento di tutti i contratti di lavoro esistenti, ma ciò nonostante la disoccupazione continua a crescere;
    insistendo, come fa il decreto-legge in esame, sulla precarizzazione dei rapporti di lavoro, si rischia di infliggere il colpo di grazie alle imprese e all'economia;
    è necessario intervenire, invece, sulla crescita delle imprese investendo sulla formazione e sul loro sviluppo;
    una ricerca di ISTAT e ISFOL del 2013 ha messo infatti in luce la scarsa dinamicità degli imprenditori, di piccole imprese, ma anche di grandi imprese. Si osserva un ritardo nei processi di innovazione e una bassa diffusione (meno del 45 per cento delle professioni) di cambiamenti nei settori comunemente ritenuti di eccellenza, strategici per lo sviluppo o tipici del Made in Italy;
    del resto, le trasformazioni più forti sembrano derivare in gran parte da cambiamenti indotti da novità normative e solo marginalmente da innovazioni di prodotto o di processo;
    limitati invece i cambiamenti di carattere organizzativo, che riguardano soprattutto gli operai dei i automatizzati, gli impiegati e i dirigenti dell'amministrazione pubblica;
    la necessità di aggiornamento è molto sentita: per oltre il 76 per cento delle professioni si rileva l'esigenza di aggiornare le conoscenze e le competenze acquisite o di apprenderne di nuove,

impegna il Governo:

a incentivare la formazione e a investire risorse adeguate per far crescere le imprese italiane, compatibilmente con le risorse disponibili.
9/2208-B/98. (Testo modificato nel corso della seduta).  Lacquaniti, Matarrelli, Franco Bordo.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame interviene in materia di contratti a tempo determinato e di apprendistato, favorendo il ricorso ad essi, con disposizioni che rischiano di modificarne la natura e le finalità;
    il maggior problema del mondo del lavoro italiano è rappresentato dal proliferare di tipologie contrattuali;
    sono state contate ben 46 modalità di rapporti di lavoro possibili, contenuti in quattro aree: quella di lavoro subordinati, parasubordinati, autonomo e i rapporti di lavoro speciali;
    nonostante la riforma del mercato del lavoro (legge n. 92 del 2012) fosse stata presentata come lo strumento per ridurre un numero tanto spropositato di tipologie di contratti, nessuno di essi è stato soppresso e la riforma si limita, su dieci tipologie di contratti, a piccole modifiche e in alcuni casi a significativi peggioramenti;
    tale situazione, che ancora permane, contrasta con le dichiarazioni del Governo in carica di voler contrastare la precarietà e con il principio del contratto di lavoro a tempo indeterminato come forma «comune» di rapporto di lavoro;
    anzi, nell'alinea del comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge è stato inserito un preambolo programmatico che annuncia che «l'attuale articolazione delle tipologie di contratto di lavoro» non sarà modificata;
    è noto che molti contratti «mascherano» rapporti di lavoro dipendente. Sono casi facilmente riconoscibili perché al lavoratore viene chiesto di svolgere la propria prestazione in azienda con un orario fisso e sotto la direzione di qualcuno, con un regime del tutto simile a quello dei dipendenti;
    il mercato del lavoro ha necessità che le tipologie contrattuali siano ridotte e che venga ridata centralità al contratto di lavoro subordinato e tempo indeterminato con tutti gli istituti contrattuali da esso garantiti,

impegna il Governo:

a ridurre le tipologie contrattuali esistenti, prevedendo di restituire reale centralità al contratto di lavoro a tempo indeterminato.
9/2208-B/99Placido, Matarrelli, Zan.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame ha come finalità il rilancio dell'occupazione e la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese;
    una delle misure più utili al fine di creare nuova occupazione, semplificando gli adempimenti fiscali, è quello del cosiddetto «forfettone» che consente di abbassare la pressione fiscale e gli oneri amministrativi proprio sui soggetti – imprenditori, lavoratori autonomi e professionisti – che iniziano una loro attività e che percepiscono un reddito minimo;
    premesso che la decisione 2013/678/UE del Consiglio dell'Unione europea, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale europea n. 316 del 27 novembre 2013, ha autorizzato la Repubblica italiana a continuare una misura speciale in deroga all'articolo 285 della direttiva 2006/112/CE;
    la precedente decisione n. 2010/688/UE del 15 ottobre 2010 del Consiglio dell'Unione europea autorizzava, in particolare, l'Italia ad applicare il regime dei minimi, di cui all'articolo 1, comma 96 e seguenti, della legge n. 244 del 2007, fino al 31 dicembre 2013, e la stessa decisione consentiva al nostro Paese di mantenere quale soglia massima per l'applicazione del regime, gli attuali 30.000 euro di fatturato;
    ciò avveniva in deroga all'articolo 285 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, la quale fissa la soglia per l'esenzione a 5 mila euro;
    analogamente a quanto contenuto nella precedente decisione (n. 2008/737/CE del 15 settembre 2008), lo stesso Consiglio aveva autorizzato l'Italia a conservare la citata soglia di 30.000 euro, al fine di mantenere il valore dell'esenzione in termini reali, stabilendo allo stesso tempo che l'autorizzazione sarebbe scaduta alla data di entrata in vigore di norme comunitarie che fissassero una soglia comune di volume di affari al di sotto della quale i soggetti passivi possono essere esonerati dall'Iva, o al più tardi, entro il 31 dicembre 2013;
    con la decisione di esecuzione 2013/678/UE del 15 novembre 2013, l'Italia e autorizzata a esentare dall'Iva i soggettivi passivi il cui volume d'affari annuo non supera i 65.000 euro, al fine di mantenere il valore dell'esenzione in termini reali; in particolare, la suddetta decisione è applicabile a decorrere dal 1 gennaio 2014 fino all'entrata in vigore di una direttiva che modifichi gli importi dei massimali del volume d'affari annuo al di sotto dei quali i soggetti passivi possono beneficiare di un'esenzione dall'Iva o fino al 31 dicembre 2016, se questa data è anteriore;
    i requisiti per l'accesso al regime dei minimi riguardano i contribuenti che hanno conseguito ricavi o compensi non superiori a 30.000 euro, che non hanno avuto lavoratori dipendenti o collaboratori (anche a progetto), che non hanno effettuato cessioni all'esportazione, che non hanno erogato utili da partecipazione agli associati con apporto di solo lavoro, che nel triennio precedente non hanno effettuato acquisti di beni strumentali per un ammontare superiore a 15.000 euro;
    il suddetto regime prevede un'imposta forfettaria che sostituisce IRAP e IRPEF per i primi cinque anni di attività, oltre che una riduzione degli obblighi contabili e l'esenzione dagli studi di settore;
    la suddetta decisione, se applicata, determinerebbe l'esonero dall'Iva circa 1.150.000 imprenditori individuali e 537.000 lavoratori autonomi, abbassando la pressione fiscale proprio su quei soggetti che iniziano una start up e che percepiscono dalla propria attività imprenditoriale un reddito minimo;
    in particolare, secondo dati del Ministero delle Finanze una nuova partita Iva ogni tre rientra tra quelle che hanno i requisiti per accedere al regime dei minimi;
    secondo dati del Ministero dell'Economia, la suddetta misura necessiterebbe una copertura finanziaria di 29.000.000 euro annui,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative, anche legislative, al fine di innalzare, concordemente a quanto autorizzato dalla decisione 2013/678/UE del Consiglio dell'Unione europea, a 65.000 euro annui i limiti di reddito per i quali i soggetti di cui all'articolo 1, commi da 96 a 117 della legge 244 del 2007 possono richiedere di aderire al regime fiscale c.d. dei minimi, anche ai fini di incrementare i livelli occupazionali.
9/2208-B/100Boccadutri, Paglia, Lavagno.


   La Camera,
   premesso che:
    con il contratto di somministrazione, un'impresa autorizzata all'esercizio di tale attività (il somministratore, ossia l'Agenzia per il Lavoro) mette a disposizione di un'altra impresa (l'utilizzatore) un proprio lavoratore; si instaura così un rapporto triangolare. L'utilizzatore non deve essere necessariamente un'azienda, ma può essere anche un privato (ad esempio un professionista o un nucleo familiare, come nel caso del lavoro domestico);
    la normativa di riferimento dell'istituto è contenuta nel decreto legislativo 276 del 2003, che è intervenuto a modificare in modo sostanziale quanto previsto dalla legge 196 del 1997, con la quale era stato introdotto in Italia l'istituto del lavoro interinale;
    la realizzazione della somministrazione di lavoro richiede la contemporanea presenza di due distinti rapporti contrattuali:
     1. il contratto di somministrazione tra somministratore e utilizzatore, di natura commerciale (il somministratore offre un servizio);
     2. il contratto di lavoro tra lavoratore e somministratore, di natura giuslavoristica;
    i lavoratori svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore; in capo all'Agenzia resta il potere disciplinare, oltre, naturalmente, tutto quanto attiene alla gestione amministrativa del rapporto di lavoro;
    le ragioni che giustificano il ricorso alla somministrazione dovrebbero essere di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività dell'utilizzatore;
    il contratto di somministrazione è a termine, anche se la normativa non individua una durata massima non superabile. Il contratto di assunzione può essere invece a tempo indeterminato o determinato;
    utilizzatore e somministratore sono obbligati in solido per i trattamenti retributivi e contributivi dei lavoratori; in ogni caso, a garanzia degli obblighi retributivi e contributivi verso i lavoratori, l'Agenzia è obbligata ad attivare una fideiussione (che viene depositata presso il Ministero del Lavoro);
    il lavoratore assunto dall'agenzia per il lavoro ha diritto ad una retribuzione uguale a quella dei dipendenti dell'azienda utilizzatrice che svolgano identiche mansioni e siano inquadrati allo stesso livello; inoltre ha diritto alle stesse tutele a cui l'azienda utilizzatrice è tenuta nei confronti dei propri lavoratori. In caso di assunzione a termine la durata massima di 36 mesi (che arrivano a 42 se nei primi 24 mesi si utilizzano al massimo due proroghe), con possibilità di sei proroghe. Il rapporto è convertito a tempo indeterminato in capo all'Agenzia in caso di:
     superamento del limite di 36 mesi (consecutivi) presso lo stesso utilizzatore con le medesime mansioni;
     superamento del limite di 42 mesi (anche non consecutivi) presso la stessa Agenzia (anche se presso diversi utilizzatori);
    il contratto di somministrazione non dovrebbe essere utilizzato:
     per sostituire lavoratori in sciopero;
     salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive:
      a) che nei sei mesi precedenti abbiano effettuato licenziamenti collettivi di lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce la somministrazione;
      b) presso unità produttive in cui sia operante una cassa integrazione che interessi lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce la somministrazione;
     da parte di aziende che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi;
    tale tipologia contrattuale unitamente alle disposizioni relative al contratto a tempo determinato, così come modificate dal decreto-legge in esame, configurano un sistema di precarizzazione dei rapporti di lavoro a detrimento dei lavoratori e senza nessun riscontro positivo in termini di incrementi occupazionali,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni in materia di contratti di somministrazione al fine di adottare le opportune iniziative legislative per la soppressione di tale tipologia contrattuale.
9/2208-B/101Sannicandro, Giancarlo Giordano, Zaratti.


   La Camera,
   premesso che:
    la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, meglio nota come Staff Leasing, è la fornitura professionale di manodopera a tempo indeterminato per la realizzazione di servizi o attività espressamente individuate dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Come per la somministrazione a tempo determinato si realizza uno schema trilaterale tra l'agenzia somministratrice di lavoro da cui dipende il lavoratore, il lavoratore assunto a tempo indeterminato dall'agenzia di somministrazione e inviato presso l'utilizzatore per offrire la propria prestazione lavorativa, l'utilizzatore che usufruisce della prestazione lavorativa ed esercita il potere di direzione e di controllo sul lavoratore;
    il contratto di somministrazione tra l'Agenzia e l'utilizzatore è a tempo indeterminato ed è possibile nei casi tassativamente previsti dalla legge o dai contratti collettivi. Il contratto di assunzione tra l'Agenzia somministratrice e il lavoratore è anch'esso a tempo indeterminato;
    tale tipologia contrattuale configura un'intermediazione inutile a detrimento del lavoratore ed unitamente alle disposizioni del decreto-legge in esame, configurano un sistema di precarizzazione dei rapporti di lavoro a detrimento dei lavoratori e senza nessun riscontro positivo in termini di incrementi occupazionali,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative legislative per la soppressione di tale tipologia contrattuale.
9/2208-B/102Daniele Farina, Nardi, Franco Bordo.


   La Camera,
   premesso che:
    il contratto a progetto ha natura autonoma e rappresenta di fatto la nuova veste del vecchio contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.);
    il presupposto fondamentale è la riconducibilità dell'attività svolta dal collaboratore ad un progetto specifico, ovvero ad un'attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata al raggiungimento di un determinato risultato finale assegnato dal committente al collaboratore. Al collaboratore è richiesto di operare in coordinamento con l'organizzazione del committente, ma gestendo autonomamente il proprio tempo in funzione del raggiungimento del risultato. La circolare del Ministero del Lavoro n. 29 dell'11/12/2012 individua le figure professionali incompatibili con il contratto a progetto;
    i requisiti fondamentali che dovrebbero differenziare il contratto a progetto dal rapporto di lavoro subordinato sono:
     a) l'individuazione di un progetto;
     b) l'autonomia del collaboratore nello svolgimento della prestazione;
     c) l'autonomia del collaboratore nel gestire i tempi e le modalità di lavoro per l'esecuzione del progetto o programma o fase di esso;
     d) la necessaria coordinazione con il committente da evidenziare nel contratto;
     e) l'irrilevanza del tempo impiegato per l'esecuzione della prestazione oggetto del contratto;
    il contratto si risolve alla scadenza prefissata, oppure al momento della realizzazione del progetto; il recesso anticipato è possibile solo in presenza di giusta causa oppure secondo le modalità stabilite contrattualmente dalle parti;
    in caso di malattia o infortunio il rapporto resta sospeso, ma la sospensione non comporta la proroga della durata del contratto, salvo diverso accordo tra le parti; il committente può recedere se la sospensione si protrae per un periodo superiore a 1/6 della durata del contratto;
    in caso di gravidanza il termine finale viene prorogato di 180 giorni, salvo diverso e più favorevole accordo tra le parti;
    tale tipologia contrattuale spesso maschera rapporti di lavoro dipendente ed unitamente alle disposizioni del decreto-legge in esame, configura un sistema di precarizzazione dei rapporti di lavoro a detrimento dei lavoratori e senza nessun riscontro positivo in termini di incrementi occupazionali,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative legislative per la soppressione di tale tipologia contrattuale.
9/2208-B/103Fava, Piras, Nicchi, Pannarale.


   La Camera,
   premesso che:
    con il contratto di lavoro a chiamata (detto anche intermittente o «job on call») il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro, per un tempo determinato o indeterminato, per prestazioni a carattere discontinuo;
    nel lavoro a chiamata il datore di lavoro può usufruire delle prestazioni del lavoratore nel rispetto di condizioni soggettive (relative all'età del lavoratore), oggettive (relative al tipo di attività) oppure temporali (relative a specifici periodi dell'anno) previste dalla contrattazione collettiva e/o dalla legge. Il lavoratore ha diritto a ricevere una indennità di disponibilità da parte del datore di lavoro se, nei periodi di inattività, si obbliga a rispondere all'eventuale chiamata che dovesse pervenire dal datore stesso;
    sarebbe necessaria la presenza di una di queste condizioni:
     soggetti con più di 55 anni ovvero con giovani entro il compimento del 24o anno di età, purché le prestazioni si concludano entro il compimento del 25o anno;
     per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo e saltuario, secondo le esigenze individuate dalla contrattazione collettiva. In attesa di regolamentazione contrattuale si può far riferimento alle tipologie di attività indicate dalla legge;
     per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno, secondo le ipotesi individuate dalla contrattazione collettiva;
   sarebbe vietato l'utilizzo del contratto di lavoro a chiamata:
     per sostituire lavoratori in sciopero;
     salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive:
      a) che nei sei mesi precedenti abbiano effettuato licenziamenti collettivi di lavoratori adibiti alle tesse mansioni cui si riferisce il contratto a chiamata;
      b) presso unità produttive in cui sia operante una cassa integrazione che interessi lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a chiamata;
     da parte di aziende che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi;
    tale tipologia contrattuale unitamente alle disposizioni del decreto-legge in esame, configura un sistema di precarizzazione dei rapporti di lavoro a detrimento dei lavoratori e senza nessun riscontro positivo in termini di incrementi occupazionali,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative legislative per la soppressione di tale tipologia contrattuale.
9/2208-B/104Scotto, Ricciatti, Fratoianni.


   La Camera,
   premesso che:
    il contratto di lavoro accessorio, regolamentato dal decreto legislativo 276 del 2003, è stato rivisto dalla cosiddetta «Manovra d'Estate» (decreto legge 118 del 2008), dalla legge 33 del 2009, dalla legge Finanziaria 2010 e dalla Riforma Fornero (Legge 92 del 2012), che ne ha ristretto l'ambito di applicazione;
    per prestazioni di lavoro accessorio si intendono le attività lavorative di natura meramente occasionale rese nell'ambito di qualsiasi settore produttivo con riferimento alla totalità dei committenti, ma le prestazioni non possono dare luogo ad un compenso superiore a 5.000,00 euro nell'anno solare;
    il pagamento della prestazione avviene tramite il rilascio al lavoratore di buoni, o voucher, che hanno un valore di 10 euro ciascuno (di cui 7,50 euro costituiscono il netto che viene percepito), e che comprendono sia la retribuzione sia la contribuzione previdenziale e assicurativa. Il valore del buono è riferito alla prestazione oraria;
    tale contratto non è riconducibile a tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o di lavoro autonomo;
    come chiarito dalla circolare del Ministero del lavoro n. 4 del 18 gennaio 2013, si deve ritenere possibile il ricorso alla prestazione di lavoro accessorio esclusivamente per attività svolte dal lavoratore direttamente a favore del soggetto erogante il voucher;
    per l'anno 2013 le prestazioni di lavoro accessorio possono essere rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, e nel limite massimo di 3.000 euro per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario e di sostegno al reddito;
    i contratti accessori, prima riservati a studenti e pensionati, da quando sono stati estesi a tutti i settori produttivi hanno dato vita a abusi. Secondo i sindacati dei braccianti e degli operai agricoli, ad esempio, con questa estensione si è snaturato lo spirito con cui fu pensato il voucher per studenti e pensionati, condannando un milione di persone alla precarietà e all'impossibilità di ottenere, al termine della vita lavorativa, una pensione anche, minima;
    inoltre, si tratta di un rapporto di lavoro concluso verbalmente in cui ci si può accordare su ore e compenso e dove una parte della retribuzione, illegalmente, può essere messa «al di fuori del buono»;
    unitamente alle disposizioni del decreto legge in esame, le disposizioni riguardanti il voucher configurano un sistema di precarizzazione dei rapporti di lavoro a detrimento dei lavoratori e senza nessun riscontro positivo in termini di incrementi occupazionali,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative legislative per una limitazione dell'utilizzo dei voucher a studenti e pensionati.
9/2208-B/105Lavagno, Piras, Marcon.


   La Camera,
   premesso che:
    lo stage è definito come un inserimento temporaneo nel mondo del lavoro di soggetti che abbiano già assolto l'obbligo scolastico, finalizzato alla realizzazione di momenti di alternanza tra studio e lavoro o all'orientamento delle scelte professionali del tirocinante;
    destinatari del tirocinio estivo di orientamento sono: adolescenti, ovvero minori di età compresa fra i 15 e i 18 anni che non siano più soggetti alla scuola dell'obbligo; giovani, ovvero persone dai 18 ai 25 anni compiuti o, se in possesso di diploma di laurea, fino a 29 anni compiuti;
    la durata è di 4 mesi per studenti che frequentano la scuola secondaria; 6 mesi per gli allievi di corsi di formazione professionale, di attività formative post-diploma o post-laurea, inoccupati e disoccupati anche iscritti alle liste di mobilità; 12 mesi per gli studenti universitari; fino a 18 mesi dal termine degli studi per i laureati, nonché per i soggetti svantaggiati; 24 mesi per i soggetti portatori di handicap. Il tirocinio estivo di orientamento deve svolgersi tra la fine dell'anno accademico o scolastico e l'inizio di quello successivo;
    il presupposto essenziale è l'esistenza di una convenzione tra Azienda ed Ente promotore. L'inserimento non costituisce rapporto di lavoro subordinato, quindi non comporta per l'azienda obblighi retributivi e contributivi ma solo assicurativi, ai fini INAIL, e per la Responsabilità Civile verso terzi. Nel caso si voglia riconoscere un emolumento economico durante il tirocinio, questo non può eccedere 600 euro mensili;
    l'azienda ospitante deve inoltre garantire la presenza di un responsabile aziendale dell'inserimento del tirocinante cui fare riferimento. Per il giovane in stage non sussiste l'obbligo di svolgere una effettiva prestazione lavorativa. Le aziende possono prevedere borse di studio per gli stagisti. Inoltre per le imprese del centro-nord che ospitino tirocinanti provenienti dal Mezzogiorno è previsto il rimborso totale o parziale degli oneri finanziari sostenuti per coprire le spese di vitto ed alloggio;
    per quanto riguarda il tirocinio estivo di orientamento, l'Ente promotore ha l'obbligo di assicurazione contro gli infortuni e può erogare una Borsa Lavoro a favore del tirocinante. Nessuna limitazione numerica è prevista per l'impiego di adolescenti o giovani, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi;
    lo stage rappresenta il modo più immediato per entrare in azienda, il primo contatto con il mondo del lavoro. Per i tirocinanti le attività svolte hanno valore di credito formativo da inserire nel Curriculum, se certificate dalla struttura promotrice; per gli studenti che frequentano la scuola secondaria, tali crediti formativi verranno considerati in sede di esame di stato alla fine del ciclo di studi. In ogni caso, per il giovane in stage non sussiste l'obbligo di svolgere una effettiva prestazione lavorativa;
    il tirocinio estivo di orientamento consente di integrare il proprio percorso formativo con esperienze lavorative che, per il fatto di interessare il periodo estivo, non ostacolano il proseguimento degli studi o la frequenza scolastica;
    tale istituto da ritenersi in linea di massima utile al fine dell'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, viene spesso utilizzato da parte di aziende e professionisti per poter utilizzare una manodopera gratuita o a bassissimo costo senza fornire in cambio neanche una reale formazione;
    spesso accade che lo stagista sia lasciato solo, entro il mero orizzonte dell'osservazione o dell'esecutività di compiti distanti da quelli ch'egli attenderebbe di svolgere: esperienze di pura esecutività o di segretariato (fare fotocopie, rispondere al telefono, ricevere al desk informazioni), lontanissime dagli obiettivi dell'attività immaginata;
    di qui il «paradosso» del tirocinio: a un profilo istituzionale ed epistemologico abbastanza chiaro si oppongono pratiche opache, che in molti casi si trasformano in occupazione gratuita a danno del mercato del lavoro;
    l'articolo 1, comma 1, alinea, del decreto-legge in esame, contiene una premessa programmatica che rinvia all'adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro, nel quale devono trovare adeguata collocazione eventuali modifiche alla disciplina dello stage,

impegna il Governo:

   a trasmettere al Parlamento entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame una relazione sulle modalità con le quali enti promotori, aziende e professionisti stanno adoperando l'istituto dello stage, mettendo in luce aspetti positivi e criticità al fine di prendere le opportune iniziative anche legislative per riformare tale istituto al fine di garantirne l'effettiva utilità formativa e di inserimento nel mondo del lavoro;
   a prevedere con opportune iniziative legislative l'obbligatorietà di un emolumento economico e la soppressione di un tetto per tale erogazione.
9/2208-B/106Melilla, Aiello, Boccadutri.


   La Camera,
   premesso che:
    il contratto con partita Iva è una particolare forma di gestione retributiva e fiscale riservata ai lavoratori autonomi, come ad esempio i liberi professionisti, i consulenti, i collaboratori;
    il lavoratore può scegliere tra diversi regimi contabili: dal più semplice, quello forfettario, adatto a chi inizia un'attività e presume un volume d'affari molto basso, al più complesso, di contabilità ordinaria, e deve essere assistito nella gestione della contabilità da un consulente per le incombenze richieste dalla legge;
    i lavoratori con questo tipo di contratto, eccetto i liberi professionisti iscritti agli Albi professionali, devono iscriversi alla Gestione Separata Inps e versare ogni mese una quota di contributi previdenziali, proporzionale al proprio fatturato, e devono anche essere assicurati all'Inail. L'iscrizione alla Gestione Separata da diritto ad alcune prestazioni erogate dall'Inps, come: l'indennità di maternità; l'indennità di malattia solo in caso di ricovero ospedaliero; l'assegno per il nucleo familiare;
    questi lavoratori non hanno diritto al congedo parentale né all'indennità di disoccupazione; sempre più spesso si assiste al fenomeno dei lavoratori con partita iva e con un unico committente: in questo caso siamo di fronte a lavoro subordinato mascherato a fini elusivi da parte del committente/datore di lavoro;
    occorre scoraggiare le imprese dall'uso scorretto della partita Iva (come modalità per scaricare sui lavoratori i costi indiretti e non essere vincolati da minimi di reddito), e quindi riportare questi rapporti lavorativi entro il lavoro dipendente e le tutele ad esso connesso;
    la monocommittenza può venire individuata nelle situazioni in cui una quota maggioritaria del fatturato (in genere i 2/3) si riferisce ad un solo committente. L'equivalenza viene fatta valere solo sotto una certa soglia di reddito (ipotesi 30.000 euro), perché si suppone che un reddito non basso attesti l'effettiva capacità contrattuale del lavoratore e lo configuri come non economicamente dipendente;
    il decreto-legge in esame all'articolo 1, comma 1, alinea, del decreto-legge in esame, contiene una premessa programmatica che rinvia all'adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro, nel quale sarà indispensabile modificare le disposizioni in materia di contrasto alle false partite IVA e introdurre misure di supporto alle «vere» partite IVA,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative, anche legislative, al fine di ricondurre le «false» partite Iva alle tipologie del lavoro subordinato e per fornire maggiori garanzie (reale sostegno o integrazione al reddito per periodo di non lavoro, garanzie sulle tariffe minime e sui tempi di pagamento delle prestazioni, supporto alla gestione fiscale amministrativa, accesso alla formazione finanziata, e altro) a quelle «vere».
9/2208-B/107Quaranta, Airaudo, Zan.


   La Camera,
   premesso che:
    la Corte dei Conti ha confermato che il sistema degli ammortizzatori sociali in deroga non regge;
    questo sistema deve essere superato, ma serve un regime che preveda una copertura universalistica per i lavoratori delle aziende in crisi temporanea, estendendo a tutti i benefici della cassa integrazione e gli oneri di contribuzione per le imprese e nuovi meccanismi di tutela del reddito per coloro che perdono il lavoro;
    tuttavia, mentre si fa ciò, si deve superare una vera e propria vergogna per il nostro Paese: lavoratori che sono stati in cassa integrazione e che da agosto, o da settembre in altri casi, non hanno ancora ricevuto un euro di quanto è loro dovuto;
    il debito verso questi lavoratori, per un'indennità che nella stragrande maggioranza di casi è l'unica fonte di reddito, deve essere pagata dallo Stato. Le Regioni hanno più volte posto il problema al Governo, arrivando a dire che erano pronte a restituire allo Stato la delega sulle autorizzazioni se non si fosse arrivati alla riforma e al pagamento del dovuto;
    le regioni hanno ribadito questa loro posizione anche nell'incontro di due settimane fa con il ministro Poletti, che, riconoscendo la gravità della situazione, si è preso l'impegno di formulare una proposta per risolvere i problemi relativi al pregresso 2013 e di arrivare rapidamente a nuove regole per la fase di passaggio e poi per la riforma;
    ciò deve avvenire al più presto, perché non si può consentire che ci siano lavoratori che non riscuotono l'indennità da mesi, aziende che licenziano anche per situazioni in cui si potrebbero utilizzare sospensioni temporanee del lavoro tipiche della cassa integrazione, e uno Stato che da l'idea di disinteressarsi al dramma di migliaia e migliaia di famiglie;
    la Regione Toscana – ad esempio – ha utilizzato le risorse per gli ammortizzatori in deroga destinando alla cassa il 93,3 per cento e solo il 6,7 alla mobilità. È possibile quindi utilizzare lo strumento come sostegno reale alle aziende ed ai lavoratori in crisi temporanea;
    anche per questo non è più tollerabile ogni ulteriore ritardo nei pagamenti, tanto più di fronte ad una spinta ai licenziamenti che, nell'incertezza del momento, è ormai nei fatti, come riconosce l'articolo 1, comma 1, alinea, del decreto-legge in esame, il quale modifica la disciplina del contratto a tempo determinato in ragione della perdurante crisi occupazione e l'incertezza dell'attuale quadro economico, nelle more dell'adozione di un testo unico semplificato dei rapporti di lavoro, nonché l'articolo 5, in materia di contratti di solidarietà, quali strumenti utili a superare momenti di crisi produttiva e del mercato evitando il massiccio ricorso alla cassa integrazione,

impegna il Governo

a finanziare adeguatamente ed in tempi brevi la cassa integrazione in deroga per il pregresso 2013 e per tutto il 2014
9/2208-B/108Ricciatti, Di Salvo, Duranti.


   La Camera,
   premesso che:
    i contratti di solidarietà rappresentano un valido strumento volto alla salvaguardia dei livelli occupazionali nei casi di crisi dell'impresa, attraverso la generalizzata riduzione dell'orario di lavoro aziendale e della retribuzione;
    in particolare, i contratti di solidarietà cosiddetti «difensivi» sono finalizzati al mantenimento della occupazione mediante la riduzione dell'orario al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esuberanza di personale;
    la condizione per beneficiare delle agevolazioni pubbliche è la stipulazione di un contratto collettivo volto ad evitare riduzioni di personale o ad incrementare l'occupazione tramite la riduzione dell'orario lavorativo, senza necessità di specifiche causali, come accade invece per la cassa integrazione guadagni;
    originariamente i contratti di solidarietà sono stati introdotti dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, in favore dei settori o delle imprese rientranti nell'area di intervento straordinario della cassa integrazione guadagni, tanto che parte della dottrina configurava il contratto di solidarietà alla stregua di un'ulteriore ipotesi di intervento di integrazione salariale. Successivamente il legislatore, al fine di porre rimedio allo scarso successo dell'istituto, è più volte intervenuto nel tentativo di rilanciarne le sorti, dapprima con l'articolo 13 della legge n. 223 del 1991 eliminando il limite massimo, previsto dalla legge n. 427 del 1980, all'ammontare dell'intervento di integrazione salariale; quindi, con il decreto-legge n. 148 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 236 del 1993, ridisegnandone interamente la disciplina;
    con tale secondo intervento normativo sono stati previsti meccanismi per incentivare la sottoscrizione di contratti di solidarietà difensivi, tra cui la previsione di un articolato sistema di sgravi sulla contribuzione previdenziale e assistenziale dovuta per i lavoratori interessati al trattamento di integrazione salariale, diversamente modulato a seconda della misura della riduzione dell'orario di lavoro pattuita nel contratto di solidarietà (articolo 5, comma 2, del citato decreto-legge n. 148 del 1993);
    secondo la richiamata disposizione, la riduzione dell'ammontare della contribuzione previdenziale e assistenziale dovuta per i lavoratori interessati al trattamento di integrazione salariale era del 25 per cento, elevata al 30 per cento per le imprese operanti nelle aree individuate ai sensi degli obiettivi 1 e 2 del regolamento CEE n. 2052/88 del Consiglio, del 24 giugno 1988. Nel caso in cui l'accordo disponesse una riduzione dell'orario in misura superiore al 30 per cento, la predetta quota di riduzione era elevata, rispettivamente, al 35 e al 40 per cento;
    il beneficio, tuttavia, veniva a scadere in ogni caso il 31 dicembre 1995, ma è stato reintrodotto dall'articolo 6 del decreto-legge 1o ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, che ha previsto la riduzione dell'ammontare della contribuzione previdenziale e assistenziale per i lavoratori interessati dalla riduzione dell'orario di lavoro – a seguito di stipulazione di contratti di solidarietà – in misura superiore al 20 per cento. La misura della riduzione era del 25 per cento, elevata al 30 per cento per le aree di cui agli obiettivi 1 e 2 del citato regolamento CEE n. 2052/88. Nel caso in cui l'accordo disponesse una riduzione dell'orario in misura superiore al 30 per cento, la predetta quota di riduzione era elevata, rispettivamente, al 35 e al 40 per cento. Anche in questo caso, tuttavia, il beneficio era previsto per un periodo massimo non superiore a 24 mesi e nei limiti delle disponibilità preordinate nel Fondo per l'occupazione;
    in considerazione della limitatezza delle risorse, il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 8 febbraio 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 20 marzo 1996, aveva stabilito criteri di priorità per la concessione dei benefici, così individuati:
     a) data dell'accordo – ove esistente – intervenuto a livello ministeriale tra le organizzazioni sindacali nazionali dei lavoratori e società controllate o collegate ad un unico gruppo industriale;
     b) ordine cronologico di inoltro delle istanze da parte delle imprese interessate presso il competente ufficio regionale del lavoro, quale si rilevava dalla relativa data di protocollo. Nel caso di più istanze concernenti la stessa impresa, data la sua articolazione sul territorio, si considerava la data di protocollo più favorevole;
    la disposizione di cui all'articolo 5 del decreto-legge in esame è volta a stabilire specifici criteri per l'individuazione dei datori di lavoro beneficiari delle riduzioni contributive già previste a legislazione vigente in caso di ricorso al contratto di solidarietà. Si prevede che ciò possa avvenire nei limiti delle risorse finanziarie già disponibili. La norma rifinanzia anche la decontribuzione per le aziende che facciano ricorso ai contratti di solidarietà con uno stanziamento annuo di 15 milioni a partire dal 2014. Sono state inoltre eliminate le differenze di sgravio per territorio ed entità della riduzione di orario, relativamente ai datori di lavoro che stipulano contratti di solidarietà che prevedono la riduzione dell'orario di lavoro al fine di gestire esuberi, portando tale sgravio in tutti i casi alla misura del 35 per cento;
    la situazione economica che l'Italia sta attraversando richiede che si provveda con urgenza a finanziare in misura maggiore da quanto previsto dal decreto-legge in esame gli sgravi relativi alla contribuzione previdenziale e assistenziale, sopra ricordati, a favore delle imprese e dei lavoratori che stipulano contratti di solidarietà per salvaguardare i livelli occupazionali;
    un tale intervento, può essere in grado di risolvere numerose situazioni di crisi aziendale e occupazionale attualmente in corso, tra cui quella relativa agli stabilimenti della società Electrolux, al fine di mantenere in Italia produzioni che rischiano di essere delocalizzate con grave danno anche per l'economia e il mercato,

impegna il Governo

a prendere ulteriori iniziative al fine di facilitare l'utilizzo dei contratti di solidarietà volte, in particolare, a mettere a disposizione di tale istituto maggiori risorse.
9/2208-B/109Pellegrino, Nardi, Paglia, Zan.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame è finalizzato nelle intenzioni del Governo e della maggioranza a promuovere l'occupazione. Nel merito dubbi e critiche sono del tutto legittimi e perfino doverosi, ma, in particolare, colpisce che lo stesso Governo e la stessa maggioranza abbiano bloccato il disegno di legge (S. 1409) a tutela dell'occupazione in particolare femminile, una proposta di legge importante, calendarizzata in Aula in quota dell'opposizione e approvata alla Camera, per infilarla nella legge delega sul job act. Questa legge era un atto di civiltà per sottrarre le lavoratrici madri e i lavoratori dal ricatto delle dimissioni in bianco;
    la richiesta di «dimissioni firmate in bianco» al momento dell'assunzione, ovvero nel momento in cui il rapporto di forza tra i contraenti è a favore del datore di lavoro, è una pratica vessatoria che mette la lavoratrice e il lavoratore nell'impossibilità di far valere i propri diritti e la propria dignità, pena la certezza di un licenziamento in tronco, ammantato dalla finzione della volontarietà. Tale pratica riguarda in particolare le donne, ma non è un fenomeno esclusivamente di genere ed è legato anche a fenomeni fiscali: vi si ricorre, ad esempio, al fine di sgravare l'impresa dal pagamento degli oneri relativi ai periodi di assenza dal lavoro per imprevisti quali infortuni o malattia;
    le dimissioni in bianco sono una delle piaghe più sommerse e invisibili del mercato del lavoro in Italia, una clausola nascosta nel 15 per cento dei contratti di lavoro a tempo indeterminato che costituisce un ricatto che colpisce due milioni di dipendenti, in gran parte donne (si veda il dossier curato da Maria Novella De Luca su «Repubblica» del 20 gennaio 2012);
    questo fenomeno si annida dappertutto e rappresenta oltre il 10 per cento di tutte le controversie di lavoro dei patronati Acli e il 5 per cento di quelle degli uffici vertenze della CISL. Esso è diffuso tra le commesse dei negozi ai lusso come tra gli impiegati delle agenzie di servizi, nell'edilizia senza regole che cementifica le nuove periferie, ma anche nelle botteghe artigiane dell'orgoglio made in Italy e nell'80 per cento dei casi resta un reato impunito e taciuto;
    questa prassi illegale coinvolge il 60 per cento delle lavoratrici donne e il 40 per cento dei lavoratori maschi, la manodopera operaia, tessile e artigiana, e si estende anche, e con una percentuale del 25 per cento, al personale impiegatizio di piccole e medie aziende. Si può essere «dimissionati» per decine di pretesti, ma i motivi più frequenti sono la nascita di un figlio, una malattia, l'età, i rapporti con il sindacato. O semplicemente, per lo scadere dei benefici della legge n. 407 del 1990, che permette ai datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato di non pagare per tre anni i contributi al neo-dipendente che viene coperto direttamente dall'Istituto nazionale della previdenza sociale. Passati quei mille giorni la lettera salta fuori e il lavoratore è «dimissionato», mentre se ne assume un altro per poter usufruire di nuovo dei benefici di legge;
    dai dati dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) risulta che ottocentomila donne nate dopo il 1973 affermano di essere state licenziate o costrette a dimettersi dopo la maternità. Quando il bambino ha compiuto il primo anno di vita, le donne non sono più protette dalla previsione di cui all'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001, sulla tutela delle lavoratrici madri, e dunque le aziende sanno che sia le «dimissioni in bianco» sia i licenziamenti diventano meno attaccabili e sanzionabili;
    «il dato è davvero critico – commenta Linda Laura Sabbadini, direttore del dipartimento di statistiche sociali e ambientali dell'ISTAT – perché questa condizione sta addirittura peggiorando tra le donne più giovani». Diverse sono anche le forme di mobbing praticato a seconda del genere: ad esempio l'esclusione delle donne da progetti importanti; la richiesta, più o meno velata, dei datori di lavoro che invitano a posticipare la scelta di maternità o comportamenti a vario titolo scorretti di questi ultimi, che riescono così a far firmare dimissioni in bianco. Purtroppo il fenomeno rimane prevalentemente sommerso e le statistiche non riescono a rappresentare la vera portata di questa prassi;
    secondo i dati forniti dagli uffici vertenza della CGIL, ogni anno circa duemila donne chiedono assistenza legale per estorsione di finte dimissioni volontarie. Purtroppo si contano in poche decine i casi in cui l'onere probatorio (che è in capo alla lavoratrice) si traduce in una prova (scritta o testimoniale) in grado di rendere nullo l'atto di cessazione del rapporto. Contro la piaga endemica delle dimissioni in bianco, che – stima, ad esempio, l'ufficio vertenze della CGIL di Pistoia – «riguarda il 15 per cento di tutti i contratti a tempo indeterminato», quindi circa due milioni di lavoratori, il Parlamento aveva varato una legge illuminata;
    nel corso della XV legislatura, infatti, in seguito all'approvazione dell'atto Camera n. 1538 (presentato dai deputati Marisa Nicchi, Titti Di Salvo ed altri) fu approvata la legge 17 ottobre 2007, n. 188, con la quale era stato introdotto un meccanismo procedurale diretto a porre un rimedio generale contro le dimissioni in bianco del lavoratore o della lavoratrice. Con questa legge veniva imposto che le dimissioni fossero presentate su moduli identificati da codici numerici progressivi e validi non oltre quindici giorni dalla data emissione, per evitare appunto la data «in bianco». Purtroppo la legge entrò in vigore soltanto all'inizio del 2008, poco prima che si sciogliessero le Camere. Eppure l'aver semplicemente annunciato sanzioni e provvedimenti contro la prassi delle dimissioni in bianco aveva già avuto un effetto deterrente;
    tutto ciò è durato solo pochi mesi, perché il primo provvedimento del Governo Berlusconi è stata proprio la cancellazione di quella legge (articolo 39, comma 10, lettera l), del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008) ad opera del Ministro Sacconi. Un colpo di spugna che, unito alla crisi, ha ancor di più inabissato il fenomeno, peggiorando le condizioni delle donne dopo la maternità, degli immigrati e di chi lavora nell'edilizia, con l'aggravante che questi lavoratori non possono accedere né all'indennità di disoccupazione, né ad altri ammortizzatori sociali;
    in ambito sindacale e politico, in seguito all'appello «188 donne per la legge 188»; (febbraio 2012) per chiedere il ripristino della legge contro le dimissioni in bianco, si sono svolte iniziative e mobilitazioni in tutta Italia;
    sulla materia, infine, è intervenuto l'articolo 4 (commi da 16 a 23) della legge n. 92 del 2012 (la cosiddetta «legge Fornero» sul mercato del lavoro) che ha modificato la disciplina delle dimissioni presentate dalla lavoratrice o dal lavoratore in alcune fattispecie. Il comma 16 di tale articolo 4 ha modificato la disciplina che richiede la preventiva convalida, da parte del servizio ispettivo (competente per territorio) del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delle dimissioni presentate dalla lavoratrice o dal lavoratore in alcune fattispecie. Nella precedente formulazione, le fattispecie erano costituite dalle dimissioni presentate durante: il periodo di gravidanza (per la lavoratrice); il primo anno di vita del bambino o il primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento (per la lavoratrice e per il lavoratore). La disposizione della legge Fornero ha esteso la durata di questi ultimi due periodi da uno a tre anni e definito un termine particolare di decorrenza del periodo per il caso di adozione internazionale. È stato specificato, inoltre, che l'istituto della convalida in esame si applica anche ai casi di risoluzione consensuale del rapporto e che la convalida medesima costituisce una condizione sospensiva per l'efficacia della cessazione del rapporto di lavoro (la norma vigente già la pone come condizione, ma senza specificarne la natura sospensiva). Cioè si è confermata ed ampliata una procedura che da più di dieci anni ha mostrato la sua inefficacia nell'impedire le dimissioni in bianco. I successivi commi da 17 a 23 hanno previsto per tutti i rapporti privati di lavoro dipendente (ad eccezione delle fattispecie individuate dal comma 16), varie modalità alternative, al rispetto delle quali viene subordinata l'efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto. La relazione illustrativa del disegno di legge osservava che tali norme erano intese «a contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco». In quest'ultima materia, il comma 23 ha recato una sanzione amministrativa pecuniaria. In pratica, si prevede una procedura complicatissima. Il senso è che l'onere della prova della non veridicità delle dimissioni è a carico della lavoratrice;
    in sintesi, la legge n. 188 del 2007 preveniva le dimissioni in bianco; la legge Fornero ammette l'esistenza del problema e interviene a cose fatte, È già qualcosa, ma è un'altra cosa. Il Ministro Fornero ha ammesso i limiti di queste disposizioni, ma ha affermato che il Governo Monti ha voluto fare una mediazione tra interessi contrapposti. Sennonché lo scarso potere contrattuale del lavoratore, che non dispone degli strumenti e della forza negoziale per pattuire in posizione di effettiva parità molti aspetti del contratto di lavoro, è stato bilanciato nel corso di tutto il Novecento dalle norme del diritto del lavoro a sostegno della parte più debole con l'obiettivo di eliminare abusi;
    la proposta di legge approvata dalla Camera (Atto Camera 254-272-A) vincola la validità della dichiarazione di dimissioni volontarie all'utilizzo di appositi moduli usufruibili solo attraverso gli uffici provinciali del lavoro e le amministrazioni comunali, assicurando che gli stessi siano contrassegnati da codici alfanumerici progressivi e da una data di emissione che garantiscano la loro non contraffazione, e al tempo stesso la loro utilizzabilità solo in prossimità della effettiva manifestazione della volontà del lavoratore di pone termine al rapporto di lavoro in essere. Viene così meno la possibilità di estorcere al momento dell'assunzione la contestuale sottoscrizione di una possibile, postuma lettera di dimissioni volontarie. Al fine di tutelare realmente la lavoratrice e il lavoratore, evitando loro defatiganti procedure burocratiche, si è ritenuto necessario prevedere la possibilità di reperire tali moduli anche per via telematica tramite il sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, così come si è ipotizzato il coinvolgimento dei patronati e delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, secondo procedure disciplinate da apposite convenzioni definite dallo stesso Ministero;
    questo provvedimento, pur se generale è rivolto all'intero mondo del lavoro, ha particolari valenze anti-discriminatorie a favore di un diritto sacrosanto quale la maternità e la conservazione del posto di lavoro a fronte di malattie e infortuni. Un valore che trova ampio riconoscimento giuridico tanto nell'ordinamento europeo, quanto in quello italiano, come sancito dall'articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dagli articoli 35 e 37 della Costituzione, cui fanno riscontro l'articolo 9 dello statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970), la legge 8 marzo 2000, n. 53, volta proprio ad affermare e assicurare la conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari, e il testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in cui sono state accorpate le misure a tutela della maternità previste dalla medesima legge n. 53 del 2000 con quelle «storiche» contenute nella legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e in particolare il citato articolo 55, comma 4, in materia di dimissioni della lavoratrice madre,

impegna il Governo

ad adottate, nell'ambito delle proprie competenze, le opportune iniziative volte a sostenere la prosecuzione dell’iter parlamentare del disegno di legge relativo alle dimissioni in bianco.
9/2208-B/110Di Salvo, Nicchi, Pannarale.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame è finalizzato nelle intenzioni del Governo e della maggioranza a promuovere l'occupazione. Nel merito dubbi e critiche sono del tutto legittimi e perfino doverosi, ma, in particolare, colpisce che lo stesso Governo e la stessa maggioranza abbiano bloccato il disegno di legge (S. 1409) a tutela dell'occupazione in particolare femminile, una proposta di legge importante, calendarizzata in Aula in quota dell'opposizione e approvata alla Camera, per infilarla nella legge delega sul job act. Questa legge era un atto di civiltà per sottrarre le lavoratrici madri e i lavoratori dal ricatto delle dimissioni in bianco;
    la richiesta di «dimissioni firmate in bianco» al momento dell'assunzione, ovvero nel momento in cui il rapporto di forza tra i contraenti è a favore del datore di lavoro, è una pratica vessatoria che mette la lavoratrice e il lavoratore nell'impossibilità di far valere i propri diritti e la propria dignità, pena la certezza di un licenziamento in tronco, ammantato dalla finzione della volontarietà. Tale pratica riguarda in particolare le donne, ma non è un fenomeno esclusivamente di genere ed è legato anche a fenomeni fiscali: vi si ricorre, ad esempio, al fine di sgravare l'impresa dal pagamento degli oneri relativi ai periodi di assenza dal lavoro per imprevisti quali infortuni o malattia;
    le dimissioni in bianco sono una delle piaghe più sommerse e invisibili del mercato del lavoro in Italia, una clausola nascosta nel 15 per cento dei contratti di lavoro a tempo indeterminato che costituisce un ricatto che colpisce due milioni di dipendenti, in gran parte donne (si veda il dossier curato da Maria Novella De Luca su «Repubblica» del 20 gennaio 2012);
    questo fenomeno si annida dappertutto e rappresenta oltre il 10 per cento di tutte le controversie di lavoro dei patronati Acli e il 5 per cento di quelle degli uffici vertenze della CISL. Esso è diffuso tra le commesse dei negozi ai lusso come tra gli impiegati delle agenzie di servizi, nell'edilizia senza regole che cementifica le nuove periferie, ma anche nelle botteghe artigiane dell'orgoglio made in Italy e nell'80 per cento dei casi resta un reato impunito e taciuto;
    questa prassi illegale coinvolge il 60 per cento delle lavoratrici donne e il 40 per cento dei lavoratori maschi, la manodopera operaia, tessile e artigiana, e si estende anche, e con una percentuale del 25 per cento, al personale impiegatizio di piccole e medie aziende. Si può essere «dimissionati» per decine di pretesti, ma i motivi più frequenti sono la nascita di un figlio, una malattia, l'età, i rapporti con il sindacato. O semplicemente, per lo scadere dei benefici della legge n. 407 del 1990, che permette ai datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato di non pagare per tre anni i contributi al neo-dipendente che viene coperto direttamente dall'Istituto nazionale della previdenza sociale. Passati quei mille giorni la lettera salta fuori e il lavoratore è «dimissionato», mentre se ne assume un altro per poter usufruire di nuovo dei benefici di legge;
    dai dati dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) risulta che ottocentomila donne nate dopo il 1973 affermano di essere state licenziate o costrette a dimettersi dopo la maternità. Quando il bambino ha compiuto il primo anno di vita, le donne non sono più protette dalla previsione di cui all'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001, sulla tutela delle lavoratrici madri, e dunque le aziende sanno che sia le «dimissioni in bianco» sia i licenziamenti diventano meno attaccabili e sanzionabili;
    «il dato è davvero critico – commenta Linda Laura Sabbadini, direttore del dipartimento di statistiche sociali e ambientali dell'ISTAT – perché questa condizione sta addirittura peggiorando tra le donne più giovani». Diverse sono anche le forme di mobbing praticato a seconda del genere: ad esempio l'esclusione delle donne da progetti importanti; la richiesta, più o meno velata, dei datori di lavoro che invitano a posticipare la scelta di maternità o comportamenti a vario titolo scorretti di questi ultimi, che riescono così a far firmare dimissioni in bianco. Purtroppo il fenomeno rimane prevalentemente sommerso e le statistiche non riescono a rappresentare la vera portata di questa prassi;
    secondo i dati forniti dagli uffici vertenza della CGIL, ogni anno circa duemila donne chiedono assistenza legale per estorsione di finte dimissioni volontarie. Purtroppo si contano in poche decine i casi in cui l'onere probatorio (che è in capo alla lavoratrice) si traduce in una prova (scritta o testimoniale) in grado di rendere nullo l'atto di cessazione del rapporto. Contro la piaga endemica delle dimissioni in bianco, che – stima, ad esempio, l'ufficio vertenze della CGIL di Pistoia – «riguarda il 15 per cento di tutti i contratti a tempo indeterminato», quindi circa due milioni di lavoratori, il Parlamento aveva varato una legge illuminata;
    nel corso della XV legislatura, infatti, in seguito all'approvazione dell'atto Camera n. 1538 (presentato dai deputati Marisa Nicchi, Titti Di Salvo ed altri) fu approvata la legge 17 ottobre 2007, n. 188, con la quale era stato introdotto un meccanismo procedurale diretto a porre un rimedio generale contro le dimissioni in bianco del lavoratore o della lavoratrice. Con questa legge veniva imposto che le dimissioni fossero presentate su moduli identificati da codici numerici progressivi e validi non oltre quindici giorni dalla data emissione, per evitare appunto la data «in bianco». Purtroppo la legge entrò in vigore soltanto all'inizio del 2008, poco prima che si sciogliessero le Camere. Eppure l'aver semplicemente annunciato sanzioni e provvedimenti contro la prassi delle dimissioni in bianco aveva già avuto un effetto deterrente;
    tutto ciò è durato solo pochi mesi, perché il primo provvedimento del Governo Berlusconi è stata proprio la cancellazione di quella legge (articolo 39, comma 10, lettera l), del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008) ad opera del Ministro Sacconi. Un colpo di spugna che, unito alla crisi, ha ancor di più inabissato il fenomeno, peggiorando le condizioni delle donne dopo la maternità, degli immigrati e di chi lavora nell'edilizia, con l'aggravante che questi lavoratori non possono accedere né all'indennità di disoccupazione, né ad altri ammortizzatori sociali;
    in ambito sindacale e politico, in seguito all'appello «188 donne per la legge 188»; (febbraio 2012) per chiedere il ripristino della legge contro le dimissioni in bianco, si sono svolte iniziative e mobilitazioni in tutta Italia;
    sulla materia, infine, è intervenuto l'articolo 4 (commi da 16 a 23) della legge n. 92 del 2012 (la cosiddetta «legge Fornero» sul mercato del lavoro) che ha modificato la disciplina delle dimissioni presentate dalla lavoratrice o dal lavoratore in alcune fattispecie. Il comma 16 di tale articolo 4 ha modificato la disciplina che richiede la preventiva convalida, da parte del servizio ispettivo (competente per territorio) del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delle dimissioni presentate dalla lavoratrice o dal lavoratore in alcune fattispecie. Nella precedente formulazione, le fattispecie erano costituite dalle dimissioni presentate durante: il periodo di gravidanza (per la lavoratrice); il primo anno di vita del bambino o il primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento (per la lavoratrice e per il lavoratore). La disposizione della legge Fornero ha esteso la durata di questi ultimi due periodi da uno a tre anni e definito un termine particolare di decorrenza del periodo per il caso di adozione internazionale. È stato specificato, inoltre, che l'istituto della convalida in esame si applica anche ai casi di risoluzione consensuale del rapporto e che la convalida medesima costituisce una condizione sospensiva per l'efficacia della cessazione del rapporto di lavoro (la norma vigente già la pone come condizione, ma senza specificarne la natura sospensiva). Cioè si è confermata ed ampliata una procedura che da più di dieci anni ha mostrato la sua inefficacia nell'impedire le dimissioni in bianco. I successivi commi da 17 a 23 hanno previsto per tutti i rapporti privati di lavoro dipendente (ad eccezione delle fattispecie individuate dal comma 16), varie modalità alternative, al rispetto delle quali viene subordinata l'efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto. La relazione illustrativa del disegno di legge osservava che tali norme erano intese «a contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco». In quest'ultima materia, il comma 23 ha recato una sanzione amministrativa pecuniaria. In pratica, si prevede una procedura complicatissima. Il senso è che l'onere della prova della non veridicità delle dimissioni è a carico della lavoratrice;
    in sintesi, la legge n. 188 del 2007 preveniva le dimissioni in bianco; la legge Fornero ammette l'esistenza del problema e interviene a cose fatte, È già qualcosa, ma è un'altra cosa. Il Ministro Fornero ha ammesso i limiti di queste disposizioni, ma ha affermato che il Governo Monti ha voluto fare una mediazione tra interessi contrapposti. Sennonché lo scarso potere contrattuale del lavoratore, che non dispone degli strumenti e della forza negoziale per pattuire in posizione di effettiva parità molti aspetti del contratto di lavoro, è stato bilanciato nel corso di tutto il Novecento dalle norme del diritto del lavoro a sostegno della parte più debole con l'obiettivo di eliminare abusi;
    la proposta di legge approvata dalla Camera (Atto Camera 254-272-A) vincola la validità della dichiarazione di dimissioni volontarie all'utilizzo di appositi moduli usufruibili solo attraverso gli uffici provinciali del lavoro e le amministrazioni comunali, assicurando che gli stessi siano contrassegnati da codici alfanumerici progressivi e da una data di emissione che garantiscano la loro non contraffazione, e al tempo stesso la loro utilizzabilità solo in prossimità della effettiva manifestazione della volontà del lavoratore di pone termine al rapporto di lavoro in essere. Viene così meno la possibilità di estorcere al momento dell'assunzione la contestuale sottoscrizione di una possibile, postuma lettera di dimissioni volontarie. Al fine di tutelare realmente la lavoratrice e il lavoratore, evitando loro defatiganti procedure burocratiche, si è ritenuto necessario prevedere la possibilità di reperire tali moduli anche per via telematica tramite il sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, così come si è ipotizzato il coinvolgimento dei patronati e delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, secondo procedure disciplinate da apposite convenzioni definite dallo stesso Ministero;
    questo provvedimento, pur se generale è rivolto all'intero mondo del lavoro, ha particolari valenze anti-discriminatorie a favore di un diritto sacrosanto quale la maternità e la conservazione del posto di lavoro a fronte di malattie e infortuni. Un valore che trova ampio riconoscimento giuridico tanto nell'ordinamento europeo, quanto in quello italiano, come sancito dall'articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dagli articoli 35 e 37 della Costituzione, cui fanno riscontro l'articolo 9 dello statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970), la legge 8 marzo 2000, n. 53, volta proprio ad affermare e assicurare la conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari, e il testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in cui sono state accorpate le misure a tutela della maternità previste dalla medesima legge n. 53 del 2000 con quelle «storiche» contenute nella legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e in particolare il citato articolo 55, comma 4, in materia di dimissioni della lavoratrice madre,

impegna il Governo

ad adottare, nell'ambito delle proprie competenze, e nel rispetto e nel ripristino delle prerogative parlamentari delle opposizioni, le opportune iniziative volte a sostenere la prosecuzione dell’iter parlamentare del disegno di legge relativo alle dimissioni in bianco.
9/2208-B/110. (Testo modificato nel corso della seduta).  Di Salvo, Nicchi, Pannarale.


   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto-legge in esame si accentua la precarizzazione dei rapporti di lavoro nel nostro Paese ed aumenta la ricattabilità dei lavoratori a detrimento della difesa dei loro diritti, mentre il susseguirsi di contratti precari e a tempo pongono, specie ai giovani, un serio problema di reddito, problema al quale gli attuali ammortizzatori sociali non riescano a dare una risposta efficace ed universale;
    diverse modalità di applicazione delle varie tipologie di contratti di lavoro (contratti a tempo determinato, contratto di apprendistato,...) sono demandate alla contrattazione tra le parti sociali;
    con l'emanazione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (meglio noto come «manovra di Ferragosto»), si stabilisce al comma 2-bis dell'articolo 8 che: «le specifiche intese (...) operano anche in deroga alle disposizioni di legge (...) ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro»;
    tale norma incide sulla gerarchia delle fonti collettive, contravvenendo ai principi dell'articolo 39 della Costituzione con il rischio di lacerare le norme sulle relazioni dei contratti di lavoro e dei rapporti industriali, oltreché a porsi in totale contrasto con le norme comunitarie che, diversamente, impongono la parità di trattamento fra organizzazioni sindacali;
    così facendo, il Governo dell'epoca ha voluto invadere la sfera negoziale a cui l'accordo del giugno del 2011 voleva dare risalto, imponendo, con una norma di legge, un principio di rappresentatività più ampio e svincolato di quello concordato fra le parti, riconoscendo maggiore forza alla contrattazione cosiddetta di «prossimità», che in questo modo può operare in deroga sia alla legislazione vigente (legge n. 300 del 1970, cosiddetto «Statuto dei lavoratori») che a quanto stabilito dal contratto nazionale, il tutto con il beneplacito della controparte datoriale che, facendo ricorso alla contrattazione aziendale, intravede la possibilità di avere meno vincoli sul futuro delle relazioni sindacali, oltreché in materia di licenziamenti;
    con tale norma, infatti, è stata introdotta per la prima volta nell'ordinamento giuridico italiano la possibilità di una deroga generalizzata ed illimitata ai diritti, minimi stabili per legge. Non è più necessario stipulare un accordo di estensione nazionale, ma in ogni porzione di territorio, anche piccolissima, e perfino in ogni singola azienda, diventa lecito ciò che ieri non era consentito, travolgendo o eliminando garanzie acquisite in passato;
    non è più richiesta neppure l'adesione degli interessati, posto che a firmare saranno abilitate le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale: un'operazione, questa, con la quale si è di fatto pesantemente inciso sui rapporti lavorativi (non solo in quelli tradizionali, stabili e subordinati) e con la quale è stata modificata la struttura stessa di controllo sociale del ciclo produttivo finanziarizzato;
    altro punto fondamentale della norma è la previsione della facoltà di stipulare accordi in deroga alla legge anche per quanto concerne la cessazione del rapporto di lavoro, visto che il testo normativo riferisce espressamente di intese sindacali che abbiano ad oggetto le «conseguenze» del recesso dal rapporto stesso;
    si rileva altresì che la norma presenta una variegata serie di problemi interpretativi che potrebbero inficiarne l'effettiva utilizzabilità. Innanzitutto sono previsti per i contratti collettivi di prossimità «vincoli di scopo». Detti accordi, infatti, devono essere finalizzati «alla maggiore occupazione» ed alla «crescita dell'occupazione», che la norma, così formulata, pare ritenere condizioni essenziali per l'adozione dei suindicati patti: dunque sarà ammissibile la stipula ex articolo 8 solo in ragione di incrementi di produttività ed occupazione;
    il problema, partendo dalla complessa ampiezza e genericità delle espressioni adottate dallo stesso Governo, nasce laddove si pensi ai potenziali e futuri contenziosi promossi dai lavoratori che, licenziati sulla base della disciplina prevista dall'accordo aziendale, potrebbero chiedere giudizialmente l'applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori eccependo che il contratto aziendale non abbia prodotto un reale aumento dell'occupazione della produttività. Si tratterà in tal caso di una questione da gestire in sede giudiziale, ma che presenta indubbie e notevoli problematiche;
    un'ulteriore fonte di controversie potrebbe sorgere dal necessario rispetto dei vincoli comunitari espressamente previsto dal testo normativo. Il problema più immediato sarà dato dal lavoratore che, potendo adire il giudice nazionale, invochi il rispetto del diritto comunitario, situazione in cui si riproporranno tutte le difficoltà di conoscibilità e corretta interpretazione del diritto dell'Unione europea e della giurisprudenza della Corte di giustizia;
    la norma sembra essersi posta l'obiettivo di incidere in modo sostanziale sulle future modalità con le quali portare avanti le relazioni industriali nel nostro Paese. Infatti, in questo modo, da una parte si mira ad indebolire l'azione dei sindacati, attraverso la prevalenza degli accordi di prossimità, dall'altra, si vuole dare avvio alla stagione dello smantellamento dello Statuto dei lavoratori proprio nel bel mezzo di una crisi mondiale, quando la necessità di punti saldi e di tutele è maggiormente sentita dai lavoratori,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative al fine di abrogare l'articolo 8 del citato decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
9/2208-B/111Palazzotto, Pellegrino, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    in Calabria, da più di quindici anni, 5.149 lavoratori impegnati in attività socialmente utili e di pubblica utilità sono inseriti nell'organizzazione delle attività degli enti pubblici con ruoli e mansioni anche ad alto contenuto professionale. Nel corso degli anni il bacino di tali lavoratori, che ammontava a circa 10.000 unità, si è notevolmente ridotto attraverso diverse forme di fuoriuscita, non ultime le stabilizzazioni del biennio 2007-2008;
    in più di quindici anni, solo con l'articolo 1, comma 1156, lettere f e f-bis), della legge finanziaria n. 296 del 2006, si è finanziato il contributo previsto dal decreto legislativo n. 468 del 1997. Azioni indubbiamente importanti ma che, allo stesso tempo, hanno creato evidenti discriminazioni nella categoria, lasciando anche alla discrezionalità delle singole amministrazioni lo strumento delle stabilizzazioni;
    le normative sul blocco del turn over e del rispetto del patto di stabilità se, da una parte, hanno reso impossibili le stabilizzazioni, dall'altra hanno consentito agli enti utilizzatori di continuare a garantire i servizi fondamentali ed essenziali a costo zero, utilizzando questi lavoratori in posizioni anche strategiche e apicali, sfruttando i titoli di studio posseduti dai precari e la professionalità da questi acquisita. Siamo, dunque, in presenza di un capitale umano formato che non può essere disperso e sul quale occorre investire;
    le normative che non consentono le stabilizzazioni in parte sono state superate dal decreto-legge n. 101 del 2013 che sblocca le assunzioni dei lavoratori impegnati in attività socialmente utili e di pubblica utilità all'articolo 4, comma 8. Non deroga, però, al patto di stabilità e non consente le assunzioni in sovrannumero ma solo per le vacanze in organico. E sono proprio queste previsioni che si ritiene necessario superare con la presente proposta di legge al fine di raggiungere i risultati auspicati;
    la figura di lavori socialmente utili (LSU), cioè le attività aventi ad oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, è stata introdotta con il decreto legislativo n. 468 del 1997. I LSU si distinguono, a loro volta, in ulteriori categorie (lavori di pubblica utilità (LPU) mirati alla creazione di posti di lavoro in particolare in nuovi bacini di impiego, per la durata di dodici mesi, prorogabili al massimo per altri due periodi di sei mesi; LSU mirati alla qualificazione di particolari progetti formativi volti alla crescita professionale in settori innovativi, della durata di dodici mesi; LSU per la realizzazione di progetti aventi obiettivi di carattere straordinario, della durata di sei mesi, prorogabili al massimo per un periodo di sei mesi, con priorità per i soggetti titolari di trattamenti previdenziali; prestazioni di attività socialmente utili (ASU) da parte di lavoratori iscritti alle liste di mobilità o percettori di un altro trattamento speciale di disoccupazione ovvero che godono di altro trattamento straordinario di integrazione salariale a zero ore) e possono essere attivati solo in alcuni specifici settori (principalmente cura e assistenza all'infanzia, all'adolescenza, agli anziani, riabilitazione e recupero di tossicodipendenti, di disabili e di detenuti; interventi mirati nei confronti di soggetti in condizione di particolari disagio od emarginazione sociali; raccolta differenziata, tutela della aree protette e dei parchi naturali, bonifica delle aree industriali dismesse e interventi di bonifica dell'amianto; miglioramento della rete idrica; piani di recupero, conservazione e riqualificazione, compresa la messa in sicurezza degli edifici a rischio; servizi tecnici integrati della pubblica amministrazione; trasporti e la connessa logistica);
    con il medesimo provvedimento sono stati introdotti anche criteri di stabilizzazione dei soggetti impegnati in LSU assunti (dal momento che lo svolgimento di tali lavori non comporta in alcun caso l'instaurazione di un rapporto di lavoro e non determina la cancellazione dalle liste di mobilità, sostanzialmente configurandosi come una sorta di ammortizzatore sociale), attraverso due metodi alternativi (adottati negli anni dagli enti locali), cioè:
     1) la previsione di una percentuale di riserva obbligatoria di posti in caso di selezione di nuovo personale da assumere;
     2) l'assunzione in società private, per lo più cooperative appaltatrici, in deroga alla normativa ordinaria, di servizi pubblici esternalizzati (tali criteri sono stati ulteriormente precisati nel decreto legislativo n. 81 del 2000);
    a seguito dell'introduzione di questi criteri, le regioni hanno iniziato a produrre piani di stabilizzazione di tale personale;
    anche la regione Calabria ha avviato un piano di stabilizzazione dei soggetti impegnati in LSU nell'ambito territoriale di competenza della stessa regione. In particolare, la legge regionale n. 4 del 2001 aveva posto il termine finale per l'attuazione del piano di stabilizzazione del personale impegnato in LSU al 30 giugno 2003. Tale termine è stato successivamente prorogato da ulteriori interventi regionali, fino a essere fissato, da ultimo, al 31 dicembre 2014 dall'articolo 55, comma 1, della legge regionale n. 47 del 2011. Allo stato attuale, in Calabria risulterebbero esserci circa 5.150 soggetti che prestano LSU;
    nel 2007 è stata disposta la concessione di uno specifico contributo (ai sensi dell'articolo 27 del decreto-legge n. 159 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007, che ha introdotto la citata lettera f-bis) del comma 1156 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006) in favore della Calabria e della Campania, pari a 60 milioni di euro (di cui 10 milioni di euro per la Campania) da destinare alla stabilizzazione dei soggetti impegnati in LSU e di quelli impegnati in LPU. Con lo stesso provvedimento, inoltre, i soggetti impiegati in LPU (di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 280 del 1997) del territorio della Calabria sono stati equiparati ai soggetti impiegati in LSU (di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2000). Più in generale, la legge n. 244 del 2007, conteneva ulteriori disposizioni in materia (all'articolo 2, commi da 549 a 552);
    è nel frattempo intervenuta la sentenza (n. 18 dei 2013) della Corte costituzionale confermando quanto già disposto in sentenze precedenti, sentenza n. 310 del 2011, la sentenza stabilisce la proroga del termine finale e sottrae le suddette stabilizzazioni ai vincoli previsti dall'articolo 17, comma 10, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, che non consente una generica salvaguardia di tutte le stabilizzazioni anche se programmate e autorizzate «in quanto le normative regionali prorogate, anteriori al 2009, non prevedevano alcuno dei suddetti vincoli». Pertanto, l'articolo 55, comma 1, della legge regionale n. 47 del 2011 «violerebbe i principi di coordinamento della finanza pubblica, ai quali, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non può derogare» che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del richiamato articolo 55, comma 1, della legge regionale n. 47 del 2011, riportando quindi indietro il termine finale per le stabilizzazioni al 31 dicembre 2011, come all'inizio fissato dall'articolo 16 della legge regionale n. 34 del 2010. Ma la sentenza della Corte costituzionale che rende illegittima la proroga delle attività è stata superata con la legge regionale n. 10 del 2013;
    sulla questione in generale è intervenuto l'articolo 1, comma 265, della legge di stabilità per il 2013, la legge n. 228 del 2012, che ha autorizzato una spesa pari a 110 milioni di euro per specifici stanziamenti a favore del comune e della provincia di Napoli e del comune di Palermo, per le seguenti finalità:
     1) prosecuzione, nel medesimo anno, degli interventi statali di LSU;
     2) stabilizzazione dei soggetti impiegati in LSU di cui all'articolo 2, comma 552, della legge n. 244 del 2007 (erogazione di contributi per la stabilizzazione dei soggetti impiegati in LSU ai comuni con meno di 50.000 abitanti, a condizione che gli oneri per tali soggetti fossero a carico del bilancio dei medesimi comuni da almeno otto anni) nel limite di un milione di euro e per l'assunzione a tempo determinato (sempre per il 2013 e nel limite di 500.000 euro), di specifiche categorie di lavoratori – tra le quali rientrano anche i soggetti impegnati in LSU – che, a partire dal 2010, hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari per lo smaltimento degli arretrati;
    con la legge di stabilità per il 2014 per finanziare gli LSU della Calabria sono stati stanziati 25 milioni per il solo 2014, il meccanismo previsto per la loro stabilizzazione è comunque molto limitato;
    il decreto-legge in esame si pone l'obiettivo di rilanciare l'occupazione e questo deve avvenire partendo dal mantenimento degli attuali livelli occupazionali e ad interventi di pensionamento di chi è vicino alla maturazione dell'età pensionistica,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative, anche legislative, anche avuto riguardo alla perdurante crisi occupazionale del nostro Paese e del Mezzogiorno, al fine di stabilizzare tali soggetti in Calabria e su tutto il territorio nazionale, prevedendo anche forme di prepensionamento e di incentivazione alla fuoriuscita volontaria.
9/2208-B/112Aiello, Scotto, Giancarlo Giordano.


   La Camera,
   premesso che:
    in Calabria, da più di quindici anni, 5.149 lavoratori impegnati in attività socialmente utili e di pubblica utilità sono inseriti nell'organizzazione delle attività degli enti pubblici con ruoli e mansioni anche ad alto contenuto professionale. Nel corso degli anni il bacino di tali lavoratori, che ammontava a circa 10.000 unità, si è notevolmente ridotto attraverso diverse forme di fuoriuscita, non ultime le stabilizzazioni del biennio 2007-2008;
    in più di quindici anni, solo con l'articolo 1, comma 1156, lettere f e f-bis), della legge finanziaria n. 296 del 2006, si è finanziato il contributo previsto dal decreto legislativo n. 468 del 1997. Azioni indubbiamente importanti ma che, allo stesso tempo, hanno creato evidenti discriminazioni nella categoria, lasciando anche alla discrezionalità delle singole amministrazioni lo strumento delle stabilizzazioni;
    le normative sul blocco del turn over e del rispetto del patto di stabilità se, da una parte, hanno reso impossibili le stabilizzazioni, dall'altra hanno consentito agli enti utilizzatori di continuare a garantire i servizi fondamentali ed essenziali a costo zero, utilizzando questi lavoratori in posizioni anche strategiche e apicali, sfruttando i titoli di studio posseduti dai precari e la professionalità da questi acquisita. Siamo, dunque, in presenza di un capitale umano formato che non può essere disperso e sul quale occorre investire;
    le normative che non consentono le stabilizzazioni in parte sono state superate dal decreto-legge n. 101 del 2013 che sblocca le assunzioni dei lavoratori impegnati in attività socialmente utili e di pubblica utilità all'articolo 4, comma 8. Non deroga, però, al patto di stabilità e non consente le assunzioni in sovrannumero ma solo per le vacanze in organico. E sono proprio queste previsioni che si ritiene necessario superare con la presente proposta di legge al fine di raggiungere i risultati auspicati;
    la figura di lavori socialmente utili (LSU), cioè le attività aventi ad oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, è stata introdotta con il decreto legislativo n. 468 del 1997. I LSU si distinguono, a loro volta, in ulteriori categorie (lavori di pubblica utilità (LPU) mirati alla creazione di posti di lavoro in particolare in nuovi bacini di impiego, per la durata di dodici mesi, prorogabili al massimo per altri due periodi di sei mesi; LSU mirati alla qualificazione di particolari progetti formativi volti alla crescita professionale in settori innovativi, della durata di dodici mesi; LSU per la realizzazione di progetti aventi obiettivi di carattere straordinario, della durata di sei mesi, prorogabili al massimo per un periodo di sei mesi, con priorità per i soggetti titolari di trattamenti previdenziali; prestazioni di attività socialmente utili (ASU) da parte di lavoratori iscritti alle liste di mobilità o percettori di un altro trattamento speciale di disoccupazione ovvero che godono di altro trattamento straordinario di integrazione salariale a zero ore) e possono essere attivati solo in alcuni specifici settori (principalmente cura e assistenza all'infanzia, all'adolescenza, agli anziani, riabilitazione e recupero di tossicodipendenti, di disabili e di detenuti; interventi mirati nei confronti di soggetti in condizione di particolari disagio od emarginazione sociali; raccolta differenziata, tutela della aree protette e dei parchi naturali, bonifica delle aree industriali dismesse e interventi di bonifica dell'amianto; miglioramento della rete idrica; piani di recupero, conservazione e riqualificazione, compresa la messa in sicurezza degli edifici a rischio; servizi tecnici integrati della pubblica amministrazione; trasporti e la connessa logistica);
    con il medesimo provvedimento sono stati introdotti anche criteri di stabilizzazione dei soggetti impegnati in LSU assunti (dal momento che lo svolgimento di tali lavori non comporta in alcun caso l'instaurazione di un rapporto di lavoro e non determina la cancellazione dalle liste di mobilità, sostanzialmente configurandosi come una sorta di ammortizzatore sociale), attraverso due metodi alternativi (adottati negli anni dagli enti locali), cioè:
     1) la previsione di una percentuale di riserva obbligatoria di posti in caso di selezione di nuovo personale da assumere;
     2) l'assunzione in società private, per lo più cooperative appaltatrici, in deroga alla normativa ordinaria, di servizi pubblici esternalizzati (tali criteri sono stati ulteriormente precisati nel decreto legislativo n. 81 del 2000);
    a seguito dell'introduzione di questi criteri, le regioni hanno iniziato a produrre piani di stabilizzazione di tale personale;
    anche la regione Calabria ha avviato un piano di stabilizzazione dei soggetti impegnati in LSU nell'ambito territoriale di competenza della stessa regione. In particolare, la legge regionale n. 4 del 2001 aveva posto il termine finale per l'attuazione del piano di stabilizzazione del personale impegnato in LSU al 30 giugno 2003. Tale termine è stato successivamente prorogato da ulteriori interventi regionali, fino a essere fissato, da ultimo, al 31 dicembre 2014 dall'articolo 55, comma 1, della legge regionale n. 47 del 2011. Allo stato attuale, in Calabria risulterebbero esserci circa 5.150 soggetti che prestano LSU;
    nel 2007 è stata disposta la concessione di uno specifico contributo (ai sensi dell'articolo 27 del decreto-legge n. 159 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007, che ha introdotto la citata lettera f-bis) del comma 1156 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006) in favore della Calabria e della Campania, pari a 60 milioni di euro (di cui 10 milioni di euro per la Campania) da destinare alla stabilizzazione dei soggetti impegnati in LSU e di quelli impegnati in LPU. Con lo stesso provvedimento, inoltre, i soggetti impiegati in LPU (di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 280 del 1997) del territorio della Calabria sono stati equiparati ai soggetti impiegati in LSU (di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2000). Più in generale, la legge n. 244 del 2007, conteneva ulteriori disposizioni in materia (all'articolo 2, commi da 549 a 552);
    è nel frattempo intervenuta la sentenza (n. 18 dei 2013) della Corte costituzionale confermando quanto già disposto in sentenze precedenti, sentenza n. 310 del 2011, la sentenza stabilisce la proroga del termine finale e sottrae le suddette stabilizzazioni ai vincoli previsti dall'articolo 17, comma 10, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, che non consente una generica salvaguardia di tutte le stabilizzazioni anche se programmate e autorizzate «in quanto le normative regionali prorogate, anteriori al 2009, non prevedevano alcuno dei suddetti vincoli». Pertanto, l'articolo 55, comma 1, della legge regionale n. 47 del 2011 «violerebbe i principi di coordinamento della finanza pubblica, ai quali, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non può derogare» che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del richiamato articolo 55, comma 1, della legge regionale n. 47 del 2011, riportando quindi indietro il termine finale per le stabilizzazioni al 31 dicembre 2011, come all'inizio fissato dall'articolo 16 della legge regionale n. 34 del 2010. Ma la sentenza della Corte costituzionale che rende illegittima la proroga delle attività è stata superata con la legge regionale n. 10 del 2013;
    sulla questione in generale è intervenuto l'articolo 1, comma 265, della legge di stabilità per il 2013, la legge n. 228 del 2012, che ha autorizzato una spesa pari a 110 milioni di euro per specifici stanziamenti a favore del comune e della provincia di Napoli e del comune di Palermo, per le seguenti finalità:
     1) prosecuzione, nel medesimo anno, degli interventi statali di LSU;
     2) stabilizzazione dei soggetti impiegati in LSU di cui all'articolo 2, comma 552, della legge n. 244 del 2007 (erogazione di contributi per la stabilizzazione dei soggetti impiegati in LSU ai comuni con meno di 50.000 abitanti, a condizione che gli oneri per tali soggetti fossero a carico del bilancio dei medesimi comuni da almeno otto anni) nel limite di un milione di euro e per l'assunzione a tempo determinato (sempre per il 2013 e nel limite di 500.000 euro), di specifiche categorie di lavoratori – tra le quali rientrano anche i soggetti impegnati in LSU – che, a partire dal 2010, hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari per lo smaltimento degli arretrati;
    con la legge di stabilità per il 2014 per finanziare gli LSU della Calabria sono stati stanziati 25 milioni per il solo 2014, il meccanismo previsto per la loro stabilizzazione è comunque molto limitato;
    il decreto-legge in esame si pone l'obiettivo di rilanciare l'occupazione e questo deve avvenire partendo dal mantenimento degli attuali livelli occupazionali e ad interventi di pensionamento di chi è vicino alla maturazione dell'età pensionistica,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative per fronteggiare il particolare stato di difficoltà occupazionale delle regioni del Sud e in particolare della regione Calabria.
9/2208-B/112. (Testo modificato nel corso della seduta).  Aiello, Scotto, Giancarlo Giordano.


   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto-legge in esame si accentua la precarizzazione dei rapporti di lavoro nel nostro Paese ed aumenta la ricattabilità dei lavoratori a detrimento della difesa dei loro diritti, mentre il susseguirsi di contratti precari e a tempo pongono, specie ai giovani, un serio problema di reddito, problema al quale gli attuali ammortizzatori sociali non riescano a dare una risposta efficace ed universale;
    gli ultimi rilevamenti dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ci hanno restituito ancora una volta un'immagine drammatica: sono 3 milioni i lavoratori precari, la disoccupazione supera ormai la soglia inaudita del 12 per cento, con punte che sfiorano il 40 per cento tra i più giovani, tra i disoccupati solo uno su quattro riesce a trovare un lavoro, sempre più spesso precario, entro un anno. I furti dei generi di prima necessità nei supermercati sono aumentati del 7,8 per cento (dato tratto dal «Barometro dei furti nella vendita al dettaglio» a cura del Centre for Retail Research). Si aggiungano a tutto questo l'emergere di continui scandali nella gestione delle risorse pubbliche (ammonta a 60 miliardi ogni anno il costo della corruzione, secondo la Corte dei Conti), e la perdurante incapacità dei poteri pubblici di agire in modo convincente sul fronte dell'evasione fiscale (l'Agenzia delle entrate stima l'evasione fiscale in misura pari a 120 miliardi di euro annui). Il mix esplosivo tra crisi economica e impoverimento di massa da un lato, e corruzione e ingiustizie sociali dall'altro, rende sempre meno differibile l'avvio di un'operazione di importante redistribuzione delle risorse;
    l'istituzione del reddito minimo garantito potrebbe porre un argine alla spirale di declino che sta avviluppando il Paese in modo sempre più grave. Un reddito minimo garantito modellato sugli schemi di tutela del reddito presenti nella maggior parte dei Paesi europei e rispettosa delle indicazioni in materia del Parlamento europeo, potrebbe prevedere un sostegno ai soggetti disoccupati, precariamente occupati o in cerca di prima occupazione pari a 600 euro mensili, oltre integrazioni in beni e servizi a carico delle regioni. Il beneficiano del reddito minimo garantito sarebbe tenuto ad accettare eventuali proposte di impiego, purché le stesse siano effettivamente compatibili con la carriera lavorativa pregressa del soggetto e con le competenze, formali o informali, in suo possesso. Dovrebbero essere in fine previste deleghe al Governo per la fissazione di un salario minimo orario e per il riordino degli ammortizzatori sociali e della spesa assistenziale in genere, allo scopo di rendere l'insieme del welfare italiano coerente con la nuova misura di garanzia dei minimi vitali;
    da tale iniziativa potrebbe finalmente scaturire per l'Italia una riforma da lungo attesa, adatta a fornire tutela al cittadino nell'epoca della crisi e della cosiddetta «produzione flessibile». Da troppo tempo il nostro Paese attende che vengano corrette le drammatiche carenze di un sistema di protezione sociale incapace di offrire protezioni adeguate ai soggetti più esposti ai rischi di esclusione sociale: giovani, donne e lavoratori precari primi fra tutti;
    la Commissione europea ci esorta da anni a combattere quella che definisce la «segmentazione» del nostro mercato del lavoro e ci chiede di adottare in particolare misure in favore del precariato e dei giovani, nonché di adottare forme inclusive e universali di indennità di disoccupazione, oltre che efficienti misure di sostegno al reddito. Risale addirittura al 1992 la prima raccomandazione in questo senso, con la quale veniva chiesto all'Italia di adottare misure di garanzia a partire dal reddito minimo come elemento qualificante del modello sociale europeo. Il Parlamento europeo ha adottato nell'ottobre del 2010 a larghissima maggioranza una risoluzione dai toni ancora più netti. È noto che in numerosi Stati europei quando si perde il posto di lavoro si ha la possibilità di accedere ad un sussidio di disoccupazione (in Italia solo il 17,2 per cento di disoccupati riesce a farlo, contro il 94,7 per cento dell'Olanda o il 91,8 per cento del Belgio o il 70,9 per cento della Francia o 180 per cento della Germania) e sappiamo anche che quando questo tipo di misura termina si può ancora avere un sostegno economico quale il reddito minimo garantito. E non si tratta di sostegni simbolici perché l'ammontare medio è pari a circa 600 euro al mese in Belgio, a circa 700 euro in Austria e altrettanti in Irlanda, senza poi menzionare i livelli di tutela offerti dagli ordinamenti scandinavi. E noto poi che oltre al sostegno finanziario i nostri concittadini europei in stato di bisogno possono contare sull'accesso alla casa, ai trasporti, alla cultura o alle misure di supporto per la famiglia o per i figli;
    si potrebbe prendere le mosse dalla legge della regione Lazio 20 marzo 2009, n. 4, che, seppure solo in via sperimentale, ha introdotto nella regione una misura di reddito garantito dalle caratteristiche fortemente innovative, che molti osservatori hanno salutato con entusiasmo come possibile momento di svolta per le politiche sociali del nostro Paese;
    sulla base di quanto previsto nella citata legge regionale e in accordo con le migliori prassi in vigore nei Paesi europei, l'erogazione dovrebbe avere carattere individuale (e non familiare, come molte prestazioni assistenziali del nostro welfare) ed essere destinata non soltanto ai soggetti irrevocabilmente esclusi dal mercato del lavoro, ma anche ai soggetti in cerca di prima occupazione o ai lavoratori precariamente occupati o a basso reddito. Le trasformazioni sociali degli ultimi decenni hanno infatti ridimensionato il ruolo del lavoro e della famiglia, baluardi un tempo, rispettivamente, dei diritti di cittadinanza e dell'inclusione sociale in caso di bisogno, e tale mutata condizione rende indispensabile una revisione critica di alcune impostazioni tradizionali della nostra politica assistenziale,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative al fine di introdurre nel nostro Paese l'istituto del reddito minimo garantito, procedendo altresì al riordino della disciplina delle prestazioni assistenziali erogate dallo Stato e riformando la disciplina degli ammortizzatori sociali, salvaguardando la Cassa integrazione guadagni ed introducendo un sussidio unico di disoccupazione, esteso a tutte le categorie di lavoratori in stato di disoccupazione, indipendentemente dalla tipologia contrattuale di provenienza e dall'anzianità contributiva e assicurativa.
9/2208-B/113Migliore, Di Salvo, Paglia.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame si prefigge di favorire il rilancio dell'occupazione;
    a partire dagli anni novanta del secolo scorso, sono state sviluppate politiche attive per far fronte all'emergenza lavorativa di lavoratori in cassa integrazione, in mobilità e disoccupati di lungo corso, creando la figura del lavoro socialmente utile (LSU) da svolgere a favore degli enti locali (comuni e province). Ai lavoratori impiegati veniva corrisposto un sussidio, pagato dallo Stato, senza che tra essi e i soggetti presso i quali veniva prestata l'attività lavorativa si instaurasse un rapporto di lavoro subordinato;
    la costante giurisprudenza amministrativa ha infatti precisato che: «le caratteristiche dei lavori socialmente utili non ne consentono la qualificazione come rapporto di impiego; e ciò per la considerazione che il rapporto dei lavoratori socialmente utili trae origine da motivi assistenziali (rientrando nel quadro dei cosiddetti ammortizzatori sociali); e riguarda un impegno lavorativo certamente precario; non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento; presenta caratteri del tutto peculiari quali l'occupazione per non più di ottanta ore mensili, il compenso orario uguale per tutti (sostitutivo della indennità di disoccupazione) versato dallo Stato e non dal datore di lavoro, la limitazione delle assicurazioni obbligatorie solo a quelle contro gli infortuni e le malattie professionali» (per tutte, sentenze del Consiglio di Stato n. 3664 e n. 1253 del 2007);
    circa 15.000 lavoratori impegnati in attività di lavoro socialmente utile sono stati impiegati nelle scuole provinciali e comunali in sostituzione di personale ausiliario tecnico amministrativo (ATA), assistenti, custodi, sorveglianti e altre figure professionali operanti nell'ambito scolastico;
    con il decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, recante «Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili», è stato stabilito che la proroga dell'impiego di personale in lavori socialmente utili, nel frattempo cresciuti a dismisura, fosse subordinata ad un percorso di stabilizzazione. Le alternative prospettate erano sostanzialmente due:
     l'assunzione diretta attraverso una percentuale di riserva obbligatoria in caso di avviamenti a selezione presso gli enti utilizzatori;
     l'assunzione, in deroga alle leggi in materia di gare di appalto, in aziende private convenzionate (cooperative o no) che ottenevano la gestione dei servizi nello svolgimento dei quali già erano impegnati gli LSU, che venivano così esternalizzati e privatizzati;
    la maggior parte degli LSU impegnati in ambito scolastico non sono stati assunti direttamente, ma da società esterne, in tal modo fallendo l'obiettivo di stabilizzazione voluto. Da allora, nelle scuole i compiti propri del personale ATA sono stati svolti mediante personale dipendente, nonché mediante contratti di servizio stipulati dagli enti locali con soggetti privati e con personale che continuava ad essere impegnato in progetti di lavoro socialmente utile. Successivamente, a partire dal 1999, le competenze degli enti locali nelle scuole elementari, materne e negli istituti secondari superiori – tra le quali i servizi di pulizia e altre attività ausiliarie – sono state trasferite allo Stato ai sensi dell'articolo 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124;
    il decreto interministeriale 23 luglio 1999, n. 184, e in particolare l'articolo 9, dispose il subentro dello Stato nei contratti stipulati dagli enti locali (cosiddetti appalti storici), per la parte con la quale erano state assicurate le funzioni ATA, in luogo dell'assunzione di personale dipendente. Con il trasferimento di competenze dagli enti locali allo Stato, nella specie al Ministero della pubblica istruzione, venne anche prevista una nuova stabilizzazione. Infatti, l'articolo 45, comma 8, della legge 17 maggio 1999, n. 144, stabiliva che: «Ai lavoratori impegnati in lavori socialmente utili assoggettati alla disciplina di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, è riservata una quota del 30 per cento dei posti da ricoprire mediante avviamenti a selezione di cui all'articolo 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, e successive modificazioni»;
    la predetta disposizione rimase inapplicata nel settore scolastico, mentre l'articolo 78, comma 31, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, interveniva nuovamente disponendo che ai fini della stabilizzazione dell'occupazione dei soggetti impegnati in progetti di lavori socialmente utili presso gli istituti scolastici si dovesse ricorrere alla «terziarizzazione», ovvero ancora una volta all'appalto a consorzi di ditte e cooperative di servizi. Questo intervento, presentato come un piano di ottimizzazione per la scuola e di stabilizzazione per i lavoratori, ha tradito gli obiettivi perseguiti, determinando una ulteriore precarizzazione di questa categoria di lavoratori e uno sperpero di risorse pubbliche;
    l'affidamento ai consorzi avveniva tramite procedura diretta, senza il rispetto della normativa europea e nazionale vigente in materia di appalti, circostanza che ha portato nel 2005 l'Unione europea a intervenire per chiedere il rispetto delle leggi e ha costretto il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) ad adottare la direttiva 23 dicembre 2005, n. 92, con la quale si è disposto lo svolgimento di gare di appalto pubbliche per la fornitura del servizio di pulizia, nel rispetto della normativa di riferimento, con particolare riguardo alle disposizioni comunitarie in materia. Inoltre, ai consorzi erano riconosciuti sgravi fiscali e contributivi per tre anni e contributi economici per ogni lavoratore assunto, nonostante i lavoratori continuassero e continuino a percepire retribuzioni più basse di quelle percepite dagli altri lavoratori che svolgono identiche mansioni nelle scuole alle dipendenze dirette del MIUR;
    la situazione di questi lavoratori si è così trascinata per anni, passando attraverso ulteriori vicende che non si può esitare a definire di sfruttamento del lavoro e con garanzie previdenziali diminuite, che produrranno effetti molto negativi sui loro diritti pensionistici. Dopo tanti anni di lavoro nella scuola, alcuni vi operano fin dal 1996, questi lavoratori LSU non hanno ottenuto la stabilizzazione, né hanno acquisito punteggi, in una graduatoria scolastica che possa loro consentire l'assunzione;
    nel 2005, per i circa 14.000 ex LSU della scuola, lo Stato spendeva circa 400 milioni di euro l'anno. Per 35 ore lavorative settimanali, i lavoratori percepivano (e continuano a percepire nel 2013) al massimo 800 euro mensili, mentre le ditte che li impiegano ricevevano un contributo di stabilizzazione superiore a 2000 euro – oggi aumentato – per ogni lavoratore (dati ricavati dalla nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – Direzione Generale per il personale della scuola – Prot. 26 Esternalizzazione ex UFF. VIII – del 26 gennaio 2005). È stato calcolato che se lo Stato assumesse questi lavoratori risparmierebbe circa 74 milioni di euro l'anno, oltre a garantire loro maggiori tutele assicurative e previdenziali, eliminando la costosa intermediazione di manodopera rappresentata dalle aziende aderenti ai consorzi nazionali aggiudicatari degli appalti;
    negli ultimi anni le risorse per gli ex LSU della scuola sono state ridotte e l'occupazione di questi lavoratori è messa a rischio anche dalla scadenza degli appalti in corso e dallo svolgimento delle nuove gare da parte della CONSIP. Per molti di loro, già in cassa integrazione, sta per scattare quella a zero ore e tra pochi mesi potrebbero rimanere disoccupati. Nel 2012 il MIUR ha speso per il finanziamento degli appalti e la cassa integrazione 320 milioni di euro, ma se assumesse gli ex LSU come personale ATA spenderebbe invece 260 milioni di euro, risparmiando 60 milioni;
    soltanto negli ultimi mesi si contano una molteplicità di interventi normativi e/o pattizi, tutti a carattere provvisorio e di mero rinvio, che impegnano notevoli risorse in aggiunta a quelle già stanziate per i costi annui senza individuare una qualsiasi a regime soluzione al problema:
     1) la legge di stabilità 2014 (Legge n. 141 del 2013), che all'articolo 1, comma 748, dispone la prosecuzione, dal 31 dicembre 2013 al 28 febbraio 2014, dei contratti per i servizi ATA esternalizzati stipulati dalle scuole (costo + 34,6 milioni di euro);
     2) il cosiddetto «SalvaRoma-ter» (Legge n. 16 del 2014 dopo che due precedenti decreti-legge, n. 126 e n. 151 del 2013, non sono stati convertiti per decorrenza dei termini di conversione) che all'articolo 9 prevede un'ulteriore proroga dal 28 febbraio 2014 al 31 marzo 2014, sempre degli stessi contratti (costo + 20 milioni di euro);
     3) il decreto-legge n. 58 del 2014 che proroga ancora dal 1o aprile 2014 al 31 agosto 2014 (non oltre) i contratti nelle regioni ove non è ancora attiva la convenzione-quadro Consip per l'affidamento dei servizi di pulizia;
     4) l'accordo sottoscritto in data 28 marzo 2013 tra Ministero del lavoro e organizzazioni sindacali che impegna il Ministero a garantire per il periodo dal 1o aprile 2014 al 30/6/2014 un periodo di ammortizzatori sociali in deroga per i lavoratori LSU della scuola (costo + 60 milioni di euro);
     5) in fine, sempre con lo stesso accordo, e per il periodo dal 1o luglio 2014 al 30 marzo 2016, un'ulteriore stanziamento per interventi altri nelle scuole da parte del personale esterno addetto alle pulizie (costo + 450 milioni di euro),

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative, anche legislative, per far fronte alla situazione illustrata, al fine di prevedere l'assunzione diretta da parte del MIUR dei lavoratori ex LSU, accompagnata dai prepensionamenti per chi è vicino alla pensione, conciliando le esigenze di risparmio con il pieno mantenimento dei livelli occupazionali e salariali ed il miglioramento dei servizi.
9/2208-B/114Duranti, Costantino, Fratoianni, Airaudo.


   La Camera,
   premesso che:
    con il provvedimento in esame si accentua la precarizzazione dei rapporti di lavoro nel nostro Paese ed aumenta la ricattabilità dei lavoratori a detrimento della difesa dei loro diritti. È infatti noto – ad esempio – che alcuni datori di lavoro, sotto il ricatto del licenziamento o della non assunzione, corrispondono ai lavoratori una retribuzione inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva, pur facendo firmare al lavoratore, molto spesso, una busta paga dalla quale risulta una retribuzione regolare;
    tale prassi deprecabile rappresenta un grave danno per i lavoratori i quali vengono non solo depauperati di parte del lavoro prestato, ma sono lesi nella loro dignità e nel diritto a una giusta retribuzione, in violazione degli articoli 1, 35 e, soprattutto, 36 della Costituzione. Al contrario, la corresponsione di una retribuzione inferiore si risolve in un vantaggio illecito per il datore di lavoro si potrebbe introdurre un semplice meccanismo antielusivo consistente nel rendere obbligatorio il pagamento delle retribuzioni attraverso gli istituti bancari o gli uffici postali. I datori di lavoro titolari della partita dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), dalle società quotate alle imprese individuali, potranno servirsi dell'istituto bancario di riferimento o degli uffici postali per effettuare il pagamento delle retribuzioni ai propri lavoratori. La scelta del sistema di pagamento è rimessa direttamente al lavoratore, il quale potrà optare per l'accredito diretto sul proprio conto corrente, poi l'emissione di un assegno oppure per il pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale. La pluralità di modalità di pagamento consente di non rendere obbligatoria, per il lavoratore, l'apertura di un conto corrente bancario o postale;
    la firma della busta paga non costituirebbe prova dell'avvenuto pagamento della retribuzione. Il datore di lavoro, al momento dell'assunzione, comunicherebbe obbligatoriamente al centro per l'impiego competente gli estremi dell'istituto bancario o dell'ufficio postale che provvederebbe al pagamento delle retribuzioni al lavoratore, nel rispetto delle norme poste dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003. La comunicazione, per evitare di attribuire nuovi carichi burocratici ai datori di lavoro, sarebbe inserita nello stesso moduli che i datori di lavoro invierebbero obbligatoriamente al centro per l'impiego quando compiono nuove assunzioni. La modulistica dovrebbe essere opportunamente modificata per permettere l'effettuazione corretta della comunicazione, che potrà essere inviata anche telepaticamente, secondo quanto previsto dalle norme vigenti in materia;
    allo stesso modo l'ordine di pagamento sarebbe annullato solo con trasmissione all'istituto bancario o all'ufficio postale di copia della lettera di licenziamento o delle dimissioni del lavoratore, rese secondo le modalità di legge. E sarebbe fatto salvo l'obbligo di effettuare tutti i pagamenti dovuti al lavoratore dopo la risoluzione del rapporto di lavoro;
    una convenzione tra il Governo e l'Associazione bancaria italiana e la società Poste italiane Spa potrebbe, infine, individuare gli strumenti bancari e postali idonei per consentire ai datori di lavoro di eseguire il pagamento della retribuzione ai propri lavoratori, con l'importante clausola che ciò non deve determinare nuovi oneri per le imprese e per i lavoratori;
    sarebbero esclusi da dette disposizioni, ad esempio, i rapporti di lavoro domestico, nei quali datori di lavoro sono spesso persone anziane o disabili, oppure i rapporti instaurati dai piccoli o piccolissimi condomini, ad esempio per la pulizia delle scale o per la manutenzione del verde condominiale,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative, anche legislative, al fine di introdurre modalità per il pagamento delle retribuzioni dei lavoratori subordinati simili a quelle illustrate in premessa, e che comunque prevedano un meccanismo antielusivo al fine di contrastare il fenomeno delle false buste paga.
9/2208-B/115Ragosta, Di Salvo, Lacquaniti.


   La Camera,
   premesso che:
    il mercato del lavoro italiano, sulla scia di un processo sempre più veloce di globalizzazione, in questi anni ha subito profondi cambiamenti, tali da trasformarlo completamente. Alla partizione classica tra lavoro autonomo e lavoro dipendente si è aggiunta, sovrapponendosi sempre più marcatamente, tutta una serie di nuove tipologie contrattuali finalizzate a una maggiore flessibilità del lavoro. Questa trasformazione sta provocando effetti notevoli sia sul livello retributivo che su quello contributivo e previdenziale per tutte le giovani generazioni che si affacciano al mondo del lavoro. Vi è inoltre da considerare che nel breve periodo l'attivazione di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro è spesso avvertita dal singolo lavoratore come una forte precarizzazione della propria attività lavorativa;
    oggi il ruolo della donna è sempre più importante per la società contemporanea e la sua attività si è evoluta e modificata nel tempo. La donna non è più destinata esclusivamente a ricoprire un ruolo domestico; è invece, sempre più, protagonista del mercato del lavoro. Negli ultimi trent'anni le donne hanno conquistato meritevolmente sempre più autonomia e spazi nel mondo del lavoro, hanno una formazione sempre più competitiva e partecipano a pieno diritto allo sviluppo del mercato del lavoro: il loro è un contributo fondamentale e, insieme, una conquista sociale e una dimostrazione della civiltà del nostro Paese;
    il contributo delle donne nelle professioni e nel mondo del lavoro non è però solo una conquista sociale, ma è anche una variabile determinante per la competitività dell'intero «sistema Italia». Inoltre, come se non bastasse, bisogna tenere presente, senza mai dimenticano, che senza il contributo lavorativo delle donne molte famiglie italiane, soprattutto nelle grandi città, non potrebbero sostenere il costante aumento dei costi della vita quotidiana e che l'economia di intere famiglie, senza il lavoro delle donne, sarebbe messa decisamente in crisi;
    appare dunque fondamentale sostenere gli sforzi delle donne italiane ed è, pertanto, inaccettabile metterle di fronte a una scelta drammatica come quella di dover optare tra l'essere madri oppure mantenere la propria attività lavorativa, una scelta che purtroppo sempre più donne sono costrette ad affrontare;
    la seconda edizione dell'indagine campionaria sulle nascite condotta dall'istituto nazionale di statistica (ISTAT), per citare solo una delle autorevoli ricerche, presenta risultati che sono, a un tempo, desolanti e preoccupanti. In primo luogo è emerso che oramai nel nostro Paese il modello familiare nettamente prevalente è quello del figlio unico, e che l'età media delle madri è velocemente aumentata fino a raggiungere la soglia dei trentanni. In secondo luogo, dall'indagine emerge che il motivo principale che impedisce alle donne di avere un secondo figlio è di carattere economico, la paura, cioè, o la certezza, di non potersi permettere di mantenere un secondo figlio;
    connesso a questo, un altro motivo di impedimento alle nascite è il lavoro: le donne lavoratrici, come rileva la citata indagine dell'ISTAT, denunciano di trovarsi di fronte a una scelta netta tra l'essere madri o continuare a lavorare, Sempre secondo l'indagine dell'ISTAT, ben il 63 per cento delle neo-madri che erano inserite nel mercato del lavoro al momento del parto, una volta uscite, non sono più riuscite a rientrarvi;
    bisogna dunque scegliere che strada prendere: costruire un mercato del lavoro caratterizzato dalla presenza di pochi lavoratori giovani, precari e tutti uomini, su cui fare gravare i costi di tutele e di garanzie destinate ad altri e di cui essi certamente non potranno usufruire, oppure costruire un mercato del lavoro più inclusivo nel quale, ad esempio, un cittadino di cinquantasette, sessanta o sessantacinque anni di età, e in particolare una donna, ancora nel pieno della vita, possa continuare a contribuire al benessere suo, dei suoi figli e delle nuove generazioni, favorendo, altresì, con il proprio lavoro, la creazione di una serie di ammortizzatori sociali che consentano alle giovani donne di scegliere con serenità di essere madri senza dover abbandonare la propria attività lavorativa;
    occorre creare una serie di ammortizzatori sociali per le donne, per le giovani madri, per le lavoratrici, per le nuove famiglie italiane e, pertanto, in fondo, per il futuro di tutto il Paese, e finanziare degli interventi a sostegno della maternità e al rafforzamento degli istituti di garanzia che attualmente sono carenti e assolutamente insufficienti;
    più specificatamente occorre prevedere la modifica del periodo obbligatorio di congedo per maternità, che dovrebbe passare dai due mesi precedenti e dai tre mesi successivi al parto ai due mesi precedenti e ai cinque mesi successivi, e la riduzione dell'ulteriore periodo facoltativo di congedo per maternità dai sei mesi attuali a quattro mesi;
    sarebbe anche opportuno prevedere la concessione alle madri dell'opportunità, al termine di questi due periodi di congedo, l'uno obbligatorio e l'altro facoltativo, di ottenere un reinserimento graduale nell'attività lavorativa attraverso la possibilità di chiedere un part-time;
    occorre assimilare l'assunzione della donna che rientra nel mondo del lavoro entro i due anni successivi al parto all'assunzione dei lavoratori in mobilità, affinché il datore di lavoro che assume una donna in tale biennio possa usufruire di tutti gli sgravi fiscali e contributivi di cui usufruisce assumendo un lavoratore in mobilità;
    occorre un Piano pluriennale da concordare con le Regioni per assicurare che gli asili nido situati in tutti territori garantiscano un servizio che, per quantità di posti e per orario, consenta alle madri di svolgere un'attività lavorativa a tempo pieno nei primi cinque anni di vita del bambino;
    la prima legge finanziaria dell'ultimo Governo Prodi aveva varato un Piano straordinario per lo sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, prevedendo un finanziamento statale nel triennio 2007-2009 pari a 446 milioni di euro per l'incremento dei posti disponibili nei servizi per i bambini da zero a tre anni. L'impatto del Piano nel triennio è stato di notevole importanza, come mostrano le attività di monitoraggio che sono state affidate all'Istituto degli Innocenti di Firenze. Alle risorse statali si sono aggiunti circa 281 milioni di cofinanziamento locale, per un totale di 727 milioni di euro stanziati, come sancito dalle intese in Conferenza unificata del 26 settembre 2007 e del 14 febbraio 2008. Il monitoraggio ha evidenziato che alcune regioni e province autonome contribuiscono in termini di cofinanziamento al Piano con risorse molto più ingenti di quelle previste dalle intese: nel 2008 ulteriori 200 milioni sono stati aggiunti da alcune regioni e province autonome a finanziare i Piani regionali, sia ai fini dell'incremento dei posti che al fine di sostenere le spese di gestione dei posti incrementali. Tuttavia l'Italia è ancora lontana dall'obiettivo della copertura territoriale del 33 per cento fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000, che deve essere raggiunto entro il 2010,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative, anche legislative, per favorire l'occupazione femminile ed in particolare per favorire il re-inserimento post-parto delle lavoratrici e la messa in opera di un Piano straordinario pluriennale per l'apertura di asili nido su tutto il territorio nazionale che garantiscono un servizio che, per quantità di posti e per orario, consenta alle madri di svolgere un'attività lavorativa a tempo pieno nei primi anni di vita del bambino.
9/2208-B/116Nicchi, Ricciatti, Duranti.


   La Camera,
   premesso che:
    il mercato del lavoro italiano, sulla scia di un processo sempre più veloce di globalizzazione, in questi anni ha subito profondi cambiamenti, tali da trasformarlo completamente. Alla partizione classica tra lavoro autonomo e lavoro dipendente si è aggiunta, sovrapponendosi sempre più marcatamente, tutta una serie di nuove tipologie contrattuali finalizzate a una maggiore flessibilità del lavoro. Questa trasformazione sta provocando effetti notevoli sia sul livello retributivo che su quello contributivo e previdenziale per tutte le giovani generazioni che si affacciano al mondo del lavoro. Vi è inoltre da considerare che nel breve periodo l'attivazione di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro è spesso avvertita dal singolo lavoratore come una forte precarizzazione della propria attività lavorativa;
    oggi il ruolo della donna è sempre più importante per la società contemporanea e la sua attività si è evoluta e modificata nel tempo. La donna non è più destinata esclusivamente a ricoprire un ruolo domestico; è invece, sempre più, protagonista del mercato del lavoro. Negli ultimi trent'anni le donne hanno conquistato meritevolmente sempre più autonomia e spazi nel mondo del lavoro, hanno una formazione sempre più competitiva e partecipano a pieno diritto allo sviluppo del mercato del lavoro: il loro è un contributo fondamentale e, insieme, una conquista sociale e una dimostrazione della civiltà del nostro Paese;
    il contributo delle donne nelle professioni e nel mondo del lavoro non è però solo una conquista sociale, ma è anche una variabile determinante per la competitività dell'intero «sistema Italia». Inoltre, come se non bastasse, bisogna tenere presente, senza mai dimenticano, che senza il contributo lavorativo delle donne molte famiglie italiane, soprattutto nelle grandi città, non potrebbero sostenere il costante aumento dei costi della vita quotidiana e che l'economia di intere famiglie, senza il lavoro delle donne, sarebbe messa decisamente in crisi;
    appare dunque fondamentale sostenere gli sforzi delle donne italiane ed è, pertanto, inaccettabile metterle di fronte a una scelta drammatica come quella di dover optare tra l'essere madri oppure mantenere la propria attività lavorativa, una scelta che purtroppo sempre più donne sono costrette ad affrontare;
    la seconda edizione dell'indagine campionaria sulle nascite condotta dall'istituto nazionale di statistica (ISTAT), per citare solo una delle autorevoli ricerche, presenta risultati che sono, a un tempo, desolanti e preoccupanti. In primo luogo è emerso che oramai nel nostro Paese il modello familiare nettamente prevalente è quello del figlio unico, e che l'età media delle madri è velocemente aumentata fino a raggiungere la soglia dei trentanni. In secondo luogo, dall'indagine emerge che il motivo principale che impedisce alle donne di avere un secondo figlio è di carattere economico, la paura, cioè, o la certezza, di non potersi permettere di mantenere un secondo figlio;
    connesso a questo, un altro motivo di impedimento alle nascite è il lavoro: le donne lavoratrici, come rileva la citata indagine dell'ISTAT, denunciano di trovarsi di fronte a una scelta netta tra l'essere madri o continuare a lavorare, Sempre secondo l'indagine dell'ISTAT, ben il 63 per cento delle neo-madri che erano inserite nel mercato del lavoro al momento del parto, una volta uscite, non sono più riuscite a rientrarvi;
    bisogna dunque scegliere che strada prendere: costruire un mercato del lavoro caratterizzato dalla presenza di pochi lavoratori giovani, precari e tutti uomini, su cui fare gravare i costi di tutele e di garanzie destinate ad altri e di cui essi certamente non potranno usufruire, oppure costruire un mercato del lavoro più inclusivo nel quale, ad esempio, un cittadino di cinquantasette, sessanta o sessantacinque anni di età, e in particolare una donna, ancora nel pieno della vita, possa continuare a contribuire al benessere suo, dei suoi figli e delle nuove generazioni, favorendo, altresì, con il proprio lavoro, la creazione di una serie di ammortizzatori sociali che consentano alle giovani donne di scegliere con serenità di essere madri senza dover abbandonare la propria attività lavorativa;
    occorre creare una serie di ammortizzatori sociali per le donne, per le giovani madri, per le lavoratrici, per le nuove famiglie italiane e, pertanto, in fondo, per il futuro di tutto il Paese, e finanziare degli interventi a sostegno della maternità e al rafforzamento degli istituti di garanzia che attualmente sono carenti e assolutamente insufficienti;
    più specificatamente occorre prevedere la modifica del periodo obbligatorio di congedo per maternità, che dovrebbe passare dai due mesi precedenti e dai tre mesi successivi al parto ai due mesi precedenti e ai cinque mesi successivi, e la riduzione dell'ulteriore periodo facoltativo di congedo per maternità dai sei mesi attuali a quattro mesi;
    sarebbe anche opportuno prevedere la concessione alle madri dell'opportunità, al termine di questi due periodi di congedo, l'uno obbligatorio e l'altro facoltativo, di ottenere un reinserimento graduale nell'attività lavorativa attraverso la possibilità di chiedere un part-time;
    occorre assimilare l'assunzione della donna che rientra nel mondo del lavoro entro i due anni successivi al parto all'assunzione dei lavoratori in mobilità, affinché il datore di lavoro che assume una donna in tale biennio possa usufruire di tutti gli sgravi fiscali e contributivi di cui usufruisce assumendo un lavoratore in mobilità;
    occorre un Piano pluriennale da concordare con le Regioni per assicurare che gli asili nido situati in tutti territori garantiscano un servizio che, per quantità di posti e per orario, consenta alle madri di svolgere un'attività lavorativa a tempo pieno nei primi cinque anni di vita del bambino;
    la prima legge finanziaria dell'ultimo Governo Prodi aveva varato un Piano straordinario per lo sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, prevedendo un finanziamento statale nel triennio 2007-2009 pari a 446 milioni di euro per l'incremento dei posti disponibili nei servizi per i bambini da zero a tre anni. L'impatto del Piano nel triennio è stato di notevole importanza, come mostrano le attività di monitoraggio che sono state affidate all'Istituto degli Innocenti di Firenze. Alle risorse statali si sono aggiunti circa 281 milioni di cofinanziamento locale, per un totale di 727 milioni di euro stanziati, come sancito dalle intese in Conferenza unificata del 26 settembre 2007 e del 14 febbraio 2008. Il monitoraggio ha evidenziato che alcune regioni e province autonome contribuiscono in termini di cofinanziamento al Piano con risorse molto più ingenti di quelle previste dalle intese: nel 2008 ulteriori 200 milioni sono stati aggiunti da alcune regioni e province autonome a finanziare i Piani regionali, sia ai fini dell'incremento dei posti che al fine di sostenere le spese di gestione dei posti incrementali. Tuttavia l'Italia è ancora lontana dall'obiettivo della copertura territoriale del 33 per cento fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000, che deve essere raggiunto entro il 2010,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative attraverso un piano pluriennale volto a favorire l'occupazione femminile ed in particolare a favorire il re-inserimento post-parto delle lavoratrici e la messa in opera di un Piano straordinario pluriennale per l'apertura di asili nido su tutto il territorio nazionale che garantiscono un servizio che, per quantità di posti e per orario, consenta alle madri di svolgere un'attività lavorativa a tempo pieno nei primi anni di vita del bambino.
9/2208-B/116. (Testo modificato nel corso della seduta).  Nicchi, Ricciatti, Duranti.


   La Camera,
   premesso che:
    il giudizio positivo sulle riforme del lavoro in Spagna, assunte dalla Commissione europea come un esempio, e preso a modello anche dal Governo italiano, è privo di senso. La loro caratteristica è il progressivo smantellamento dei diritti e il deterioramento delle condizioni di vita dei lavoratori;
    l'ininterrotta sequenza di riforme che in Spagna ha liberalizzato le assunzioni e deregolato i licenziamenti senza «giusta causa», in nome della creazione di nuovi posti di lavoro, si è concretizzata con la reiterata adozione di decreti-legge in una totale immedesimazione fra potere esecutivo e legislativo. Nel giro di due anni, fra il RDL 3/2012 e il RDL 3/2014 si sono susseguite più di venti norme di riforma delle precedenti riforme, sempre in senso ablativo di diritti;
    il risultato di questa politica, ufficialmente diretta a creare occupazione, è stato, un progressivo e drammatico crollo dell'occupazione, arrivata a superare il 25 per cento della forza lavoro. La distruzione dei posti di lavoro ha portato all'inversione dei flussi migratori, con giovani lavoratori e lavoratrici, costretti a lasciare la Spagna per trovare lavoro in Germania, in Inghilterra o in Sud America;
    al crollo dell'occupazione e all'aumento del numero di persone spinte sulla soglia della povertà, si è accompagnato un vasto fenomeno di disinvestimento nei servizi pubblici, di chiusure e di privatizzazione. Mentre contemporaneamente, si contraggono i bilanci in materia d'istruzione e, in particolare, nell'istruzione universitaria con la scomparsa virtuale delle linee di ricerca e sviluppo, che pure sarebbero necessarie in una prospettiva di superamento della crisi;
    l'elemento più evidente è il progressivo graduale smantellamento dei diritti e il degrado delle condizioni di esistenza di che una volta erano chiamati classi subalterne. Il lavoro, dimensione essenziale in un regime politico democratico, è il bersaglio al centro dell'azione di governo, con l'obiettivo di svuotarne il contenuto sociale, svalutarne la sua funzione economica, liquidandone la sua funzione di coesione sociale;
    questo processo di destrutturazione che attacca direttamente la fisionomia dello stato sociale e rende estremamente ardua l'azione sindacale collettiva che si muove in un orizzonte antidemocratico di distruzione della cittadinanza delle masse lavoratrici. È questa la politica del governo di Rajoy, di cui si cerca la proiezione nei paesi europei in difficoltà, come un esempio da seguire. Ma è un cattivo esempio;
    dopo l'avvento al potere del governo Rajoy è crollato il livello della popolazione attiva. Dalla fine del 2011 agli ultimi dati disponibili, nel quarto trimestre del 2013, la forza lavoro è passata da 23,1 milioni di persone a 22,6 di oggi, vale a dire una diminuzione di 426 mila unità. Insieme con il declino della forza lavoro è sceso drasticamente il numero degli occupati. La riforma del lavoro ha significato la distruzione di quasi un milione e mezzo di posti di lavoro, riportando l'occupazione al livello del 2001 i livelli, quando la forza lavoro era solo di 18,3 milioni di lavoratori;
    d'altra parte, il deterioramento della qualità dei contratti di lavoro è impressionante. L'occupazione a tempo indeterminato è stata sostituita da occupazione temporanea e il tempo pieno dal lavoro part-time. Dei 14.792.614 contratti registrati nel 2013, solo 1.134.949 sono stati a tempo indeterminato, meno dell'8 per cento. Secondo gli ultimi dati di contabilità nazionale dell'istituto Nazionale di Statistica (INE) l'economia spagnola sta perdendo posti di lavoro a un tasso di riduzione netta di 522 mila posti di lavoro a tempo pieno in un anno. Solo i contratti puramente temporanei e di formazione accrescono il loro peso nel reclutamento complessivo, accrescendo la precarietà;
    il 50,8 per cento dei disoccupati è rimasta più di un anno senza lavoro (3.043.546 persone); il 32,7 per cento è rimasto più di due anni senza lavoro, e il 22,1 per cento più di tre anni. In due anni il tasso di tutela di disoccupazione è diminuito di tre punti, dal 37 al 34,1 per cento, mentre l'86 per cento dei giovani sotto i 30 anni non riceve, così come il 65 per cento delle donne e il 51 per cento degli uomini con più di 30 anni. Mentre l'indennità media di disoccupazione è passata da 5966 euro l'anno nel 2.011 a 5.011 euro nel 2013, il 16 per cento in meno, mentre la spesa per l'assistenza ai disoccupati e per le politiche attive del lavoro è diminuita del 52 per cento, passando da euro 1.544 nel 2011 a 740 euro nel 2013;
    visti i non brillanti risultati dell'esperienza spagnola che viene presa a modello anche dal Governo italiano, e più che creare posti di lavoro li ha distrutti precarizzando viepiù le condizioni di vita dei lavoratori,

impegna il Governo

a riferire al Parlammo entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge di conversione del decreto legge n. 34 del 2014 sui risultati conseguiti in termini di incremento occupazionale delle disposizioni di cui al decreto-legge in esame.
9/2208-B/117Paglia, Melilla, Boccadutri.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in oggetto disciplina ex novo i contratti a termine ed i contratti di somministrazione a tempo determinato avendo come finalità, tra l'altro, la semplificazione e lo snellimento burocratico riguardante le assunzioni dei lavoratori a termine;
    il decreto-legge introduce una disciplina nella quale si prevede che in caso di violazione dell'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 368 del 2001 riguardante la percentuale complessiva di contratti a termine che un'azienda può stipulare nel corso dell'anno non è più consentita la possibilità di convertire il contratto da tempo determinato a tempo indeterminato;
    in particolare, in sede di conversione, è stato introdotto l'articolo 5, comma 4-septies, del decreto legislativo n. 368 del 2001 nel quale si prevede che in caso di violazione del limite percentuale del 20 per cento del numero di assunti a tempo indeterminato, si applica solo la sanzione pecuniaria pari al 20 per cento della retribuzione oggetto del contratto indebito, per il primo lavoratore e pari al 50 per cento della retribuzione per ciascun lavoratore oltre il primo;
    l'attuale formulazione letterale della norma presenta notevoli elementi di dubbia interpretazione che potrebbero dar luogo a divergenti pronunce giurisprudenziali, con un incremento di contenzioso ed una disparità sostanziale di trattamenti, in merito alla normativa applicabile ai contratti a termine e di somministrazione che siano già stati oggetto di impugnazione ma la cui sentenza non sia ancora passata in giudicato;
    la molteplicità di soluzioni interpretative a cui si presta la predetta disposizione contenuta nel decreto-legge in esame, crea un evidente danno per la certezza del diritto nonché per i diritti acquisiti dei lavoratori che abbiamo un contenzioso in corso nei confronti del datore di lavoro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di fornire una interpretazione autentica della norma di cui in premessa che garantisca che la nuova disciplina in essere si applichi solo nei confronti dei lavoratori che decideranno di impugnare il contratto a termine o di somministrazione a tempo determinato successivamente all'entrata in vigore della legge ovvero nei confronti dei contratti che scadranno dopo l'entrata in vigore della legge, facendo salvi i diritti acquisiti da coloro che hanno in corso una causa con la propria azienda, al fine di evitare una disparità di trattamento ed anche per impedire ulteriori dubbi interpretativi che contribuirebbero ad un aumento del contenzioso in materia.
9/2208-B/118Costantino, Matarrelli, Ferrara.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame modifica la disciplina in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, stabilendo che sia sempre possibile fare ricorso ad essi, anche mediante rinnovi successivi, fino alla durata massima di 36 mesi;
    nella pubblica amministrazione e nelle società partecipate a capitale pubblico a causa del blocco del turn-over e il divieto di rinnovare i contratti di chi è occupato a tempo determinato, sta determinando un grave problema di funzionamento di molti servizi pubblici, con la conseguenza che molti lavoratori e lavoratrici restano senza occupazione;
    occorre che nelle more dello svolgimento dei concorsi pubblici previsti dal decreto-legge n. 101 del 2013 e in applicazione delle nuove regole in materia di contratto a tempo determinato introdotte dal presente decreto-legge, sia precisato che la pubblica amministrazione e le società partecipate a capitale pubblico possono rinnovare i contratti a tempo determinato facendo decorrere un nuovo termine di durata massima di 36 mesi,

impegna il Governo

a stabilire, con un provvedimento anche di natura legislativa, che la pubblica amministrazione e le società partecipate a capitale pubblico possano rinnovare i contratti a tempo determinato per una nuova durata massimo di 36 mesi con decorrenza dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, senza conteggiare la durata precedente dei predetti contratti.
9/2208-B/119Nardi.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame modifica la disciplina in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, stabilendo che sia sempre possibile fare ricorso ad essi, anche mediante rinnovi successivi, fino alla durata massima di 36 mesi;
    nella pubblica amministrazione e nelle società partecipate a capitale pubblico a causa del blocco del turn-over e il divieto di rinnovare i contratti di chi è occupato a tempo determinato, sta determinando un grave problema di funzionamento di molti servizi pubblici, con la conseguenza che molti lavoratori e lavoratrici restano senza occupazione;
    occorre che nelle more dello svolgimento dei concorsi pubblici previsti dal decreto-legge n. 101 del 2013 e in applicazione delle nuove regole in materia di contratto a tempo determinato introdotte dal presente decreto-legge, sia precisato che la pubblica amministrazione e le società partecipate a capitale pubblico possono rinnovare i contratti a tempo determinato facendo decorrere un nuovo termine di durata massima di 36 mesi,

impegna il Governo

a valutare la possibilità che, in via del tutto eccezionale, possa derogarsi ai limiti di cui in premessa affinché la pubblica amministrazione e le società partecipate a capitale pubblico possano rinnovare i contratti a tempo determinato per una nuova durata massimo di 36 mesi con decorrenza dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, senza conteggiare la durata precedente dei predetti contratti.
9/2208-B/119. (Testo modificato nel corso della seduta).  Nardi.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» ha previsto un incremento di 1.000 unità della dotazione organica relativa alla qualifica di Vigile del Fuoco del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco;
    l'articolo 8, comma 2, ha poi previsto, per la copertura dei posti portati in aumento, il ricorso in parti uguali, alle graduatorie di cui all'articolo 4-ter del decreto-legge 20 giugno 2012, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 131;
    l'articolo 8, comma 3, del citato decreto-legge, ha determinato gli oneri necessari per far fronte alle prescritte assunzioni per gli anni 2013, 2014 e a decorrere dall'anno 2015 e, conseguentemente, in base agli stanziamenti di spesa, è prevista l'assunzione di un contingente di 400 unità di Vigili del fuoco a valere sui fondi a disposizione dall'anno 2013 e n. 600 a valere sui fondi a disposizione dall'anno 2014, da attingere in parti uguali, dalle due predette graduatorie, mediante lo scorrimento delle succitate graduatorie;
    l'articolo 8, comma 4, ai fini delle assunzioni in parola, ha prorogato l'efficacia delle citate graduatorie al 31 dicembre 2015;
    i livelli di capacità di soccorso del corpo dei vigili del fuoco è andato negli anni diminuendo per via della mancata assunzione proporzionale degli organici causando allungamenti dei tempi di rientro dei mezzi di soccorso e della capacità di pronto intervento;
    la prevista assunzione di 1.000 unità nel corso di due anni non è sufficiente a coprire le mancanze di organico né di esaurire le graduatorie da cui vengono attinti i nuovi vigili;
    rimarranno esclusi sia una quota di vincitori di concorso pubblico che di personale precario discontinuo;
    il previsto taglio di personale nel riordino della pubblica amministrazione rischia di portare al collasso molte strutture di soccorso che non saranno più in grado di sopperire alle richieste di aiuto,

impegna il Governo:

   a incrementare i livelli occupazionali dei vigili del fuoco che possano garantire un adeguato e tempestivo soccorso attingendo alle graduatorie sia relative al concorso che al personale precario ausiliario come già in parte previsto;
   ad aggiornare costantemente le graduatorie relative ai concorsi e alla stabilizzazione, tenuto conto del personale già assunto o ritenuto inidoneo o rinunciatario, al fine di garantire la trasparenza e rendere possibile agli interessati la consultazione e la conoscenza nel tempo della propria reale posizione.
9/2208-B/120Piras, Fava, Duranti.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame contiene misure che incentivano la precarizzazione dei rapporti di lavoro, senza favorire il rilancio dell'occupazione;
    secondo i più recenti dati dell'ISTAT il numero delle famiglie dove tutte le forze lavoro sono in cerca di occupazione, infatti, risulta in crescita del 18,3 per cento rispetto al 2012 (+175mila in termini assoluti). Peggio ancora se si confronta il quadro con quello di 2 anni prima: in questo caso il rialzo supera il 50 per cento, attestandosi precisamente al 56,5 per cento. Si tratta quindi di «case» dove non circola denaro, ovvero risorse che abbiano come fonte il lavoro. Magari possono contare su redditi da capitale, come le rendite da affitto, o da indennità di disoccupazione, o ancora da redditi da pensione, di cui beneficiano membri della famiglia ormai ritiratisi dal lavoro attivo. Il tutto senza tenere conto del lavoro nero;
    a soffrire di più è il Mezzogiorno, con 598 mila famiglie, dove coloro che sono forza lavoro risultano tutti disoccupati. Seguono il Nord, che ne ha 343 mila, e il Centro, con 189 mila. Ma il fenomeno è in crescita dappertutto. E i conti non tornano, o meglio tornano quelli della crisi, se si va a guardare il numero dei nuclei in cui tutti i componenti che partecipano al mercato del lavoro hanno un'occupazione, pari a 13 milioni 691 mila, in calo di 281 mila unità (–2 per cento);
    le nuove medie annue dell'Istat, intrecciando i dati su condizioni familiari e occupazionali, non fanno altro che confermare un 2013 segnato fino in fondo dalla piaga della disoccupazione;
    secondo le ultime rilevazioni fatte in Europa nel 2011, infatti, il 32,3 per cento dei minori italiani (quasi uno su tre) è a rischio povertà, contro il 28,4 per cento degli adulti e il 24,2 per cento degli anziani;
    è necessario approntare interventi urgenti per contrastare la povertà in crescita in Italia, attraverso incisive politiche pubbliche che facciano incrementare l'occupazione, provvedendo nel frattempo ad assistere chi – a causa della mancanza del lavoro – è sprofondato sotto la soglia della povertà,

impegna il Governo

ad approntare interventi di contrasto alla povertà mediante l'adozione di un piano pubblico per il lavoro e, al contempo, incrementare le risorse per garantire i diritti fondamentali al cibo, alla casa, alla salute e all'istruzione di chi sia scivolato sotto la soglia della povertà.
9/2208-B/121Zaratti, Costantino, Sannicandro.


   La Camera,
   nell'approvare la nuova disposizione in materia di limiti alla legittima stipulazione ed alla durata del contratto a termine, intesa ad ampliare l'utilizzabilità di questo sottotipo del contratto ordinario di lavoro subordinato,

impegna il Governo

ad approfondire i contenuti della disposizione sotto il profilo applicativo, al fine di adottare ulteriori iniziative volte a prevedere che l'articolo 1 del decreto-legge deve essere interpretato nel senso della piena legittimità della successione nel tempo di differenti assunzioni a termine tra lo stesso datore e lo stesso prestatore di lavoro, cosiddetti rinnovi, senza che possa intendersi applicabile la disciplina ivi dettata.
9/2208-B/122Pizzolante.


   La Camera,
   nell'approvare la nuova disposizione in materia di limiti alla legittima stipulazione ed alla durata del contratto a termine, intesa ad ampliare l'utilizzabilità di questo sottotipo del contratto ordinario di lavoro subordinato,

impegna il Governo

ad approfondire i contenuti della disposizione sotto il profilo applicativo, al fine di adottare ulteriori iniziative volte a prevedere che l'articolo 1 del decreto-legge deve essere interpretato nel senso della piena legittimità della successione nel tempo di differenti assunzioni a termine tra lo stesso datore e lo stesso prestatore di lavoro, cosiddetti rinnovi, fermo restando il massimo di 5 proroghe nei 36 mesi.
9/2208-B/122. (Testo modificato nel corso della seduta).  Pizzolante.


   La Camera,
   valutate in particolare le modifiche apportate al testo al comma 1, lettera b-septies) dell'articolo 1, nella previsione di una sanzione amministrativa in caso di violazione del limite percentuale di stipula di contratti a tempo determinato;
   ritenuto opportuno, infatti, sostituire la sanzione della conversione del contratto in rapporto a tempo indeterminato in caso di violazione della percentuale del 20 per cento con la previsione di un indennizzo economico a favore del lavoratore a termine non confermato;
   considerata difatti la sanzione introdotta nel corso dell'esame alla Camera dei deputati e consistente nella conversione del rapporto a tempo indeterminato eccessivamente penalizzante per le imprese e tale da scoraggiare l'utilizzo dell'istituto, con l'effetto controproducente di disincentivare il ricorso al contratto a termine acausale e, di conseguenza, l'occupazione;
   creduto, tuttavia, che in caso di violazione del limite percentuale il risarcimento debba andare al lavoratore, in quanto il più penalizzato,

impegna il Governo

a prevedere, con circolare esplicativa, che una quota della sanzione amministrativa prevista in caso di violazione del limite legale del 20 per cento sia corrisposta dal datore di lavoro, al momento della cessazione del rapporto, al prestatore di lavoro.
9/2208-B/123Fedriga.


   La Camera,
   valutata la portata della riforma della disciplina del contratto a termine e del contratto di apprendistato recata dal provvedimento in titolo e il suo impatto sul sistema sanzionatorio nell'ordinamento giuslavoristico,

impegna il Governo

a emanare una circolare interpretativa, che, in conformità con gli intendimenti del legislatore, chiarisca in modo vincolante per gli ispettorati del lavoro e ogni altro organo amministrativo competente, che, nel nostro ordinamento, la nuova sanzione amministrativa prevista all'articolo 5, comma 4-septies, del decreto legislativo n. 368 del 2001 è sostitutiva degli effetti della conversione e del diritto all'indennità risarcitoria di cui all'articolo 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010.
9/2208-B/124Allasia.


   La Camera,
   esaminato il testo del decreto legge n. 34, con le modifiche apportate da entrambi i rami del Parlamento;
   preso atto, in particolare, della modifica apportata durante l'esame al Senato relativamente alla previsione, in caso di superamento del limite legale del 20 per cento del numero complessivo di contratti a tempo determinato, di una sanzione amministrativa, in luogo della conversione automatica del rapporto di lavoro in a tempo indeterminato;
   considerato che, ai sensi del comma 4-octies dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 368 del 2001, come modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera b-septies), del presente decreto-legge, i maggiori introiti derivanti dall'applicazione delle predette sanzioni sono versati al bilancio dello Stato per essere riassegnati al Fondo sociale per occupazione e formazione, senza alcun vincolo di destinazione;
   ricordato l'allarme lanciato dalle Regioni riguardo le risorse per gli ammortizzatori in deroga stanziate per il 2014, ritenute assolutamente insufficienti a coprire il fabbisogno annuo,

impegna il Governo

a emanare una circolare esplicativa che vincoli la destinazione delle risorse derivanti dalle misure citate in premessa, indirizzandole all'aumento degli stanziamenti per gli ammortizzatori in deroga.
9/2208-B/125Borghesi.


   La Camera,
   vagliato il provvedimento in titolo, con particolare riguardo alla disposizione di cui all'articolo 1, lettera b-septies, capoverso 4-octies, relativo alla destinazione dei maggiori introiti derivanti dall'applicazione della sanzione amministrativa in caso di superamento del limite legale del 20 per cento del numero complessivo di contratti a tempo determinato;
   preso atto che tali eventuali nuove risorse sono versate al Bilancio dello Stato per essere riassegnati al Fondo sociale per occupazione e formazione, senza alcun vincolo di destinazione;
   considerato che in Italia il costo del lavoro rasenta il 30 per cento,

impegna il Governo

ad emanare provvedimenti di propria competenza che vincolino i maggiori introiti citati in premessa all'abbattimento del costo del lavoro.
9/2208-B/126Bossi.


   La Camera,
   preso atto della disposizione recata dal comma 5-bis dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 368 del 2001, come introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera b-octies) del presente decreto-legge, relativa all'esclusione dal limite percentuale del 20 per cento dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra istituti pubblici di ricerca o enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere che il limite percentuale del 20 per cento di cui in premessa non si applichi ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle imprese che investono in attività di ricerca industriale e di sviluppo sperimentale ai sensi del Reg CE n. 800/2008.
9/2208-B/127Matteo Bragantini.


   La Camera,
   premesso che:
    il concetto di buona qualità di un prodotto non può consistere esclusivamente in una valutazione circa il rispetto di requisiti materiali oggettivi, ma deve tenere anche conto delle condizioni di tutela dei diritti dei lavoratori, dal cui lavoro deriva la produzione;
    non è infrequente che un prodotto lavorato in Paesi terzi rispetto a quelli dell'Unione Europea, sia ottenuto in condizioni di marginale tutela dei lavoratori, sottoposti ad orari di lavoro troppo pesanti, o sfruttando il lavoro minorile, o con scarsissima considerazione per le condizioni di salute e per i materiali tossici usati nella produzione;
    i prodotti che nascono in Paesi che non garantiscono sistemi di tutela dei diritti dei lavoratori equivalenti a quelli presenti del mondo del lavoro italiano, costituiscono al contempo una grave forma di concorrenza sleale, e una frontiera di impegno politico per il contrasto dello sfruttamento dei lavoratori, che non può vedere assenti o muti spettatori tanto il Governo italiano che l'Unione Europea,

impegna il Governo

ad adottare in sede nazionale ed europea opportune ed adeguate azioni politiche e legislative (compresa l'imposizione di un proporzionato ed adeguato regime daziario), al fine di disincentivare l'importazione nel mercato nazionale di prodotti finiti, lavorati o semilavorati, provenienti da Paesi extracomunitari, nei quali la legislazione del Paese non garantisce ai lavoratori, diritti e condizioni di lavoro equiparabili a quelle garantite in Italia al lavoratore.
9/2208-B/128Buonanno.


   La Camera,
   esaminato il testo del decreto legge n. 34, con le modifiche apportate da entrambi i rami del Parlamento;
   valutate, nel dettaglio, le misure relative alla previsione che il limite complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non possa eccedere il limite percentuale pari al 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1o gennaio dell'anno di assunzione;
   ritenuto che le nuove disposizioni possano creare nelle aziende dubbi interpretativi circa la loro applicazione;
   ricordato che, ad esempio, esistono settori quali il turismo dove il limite sfiora il 50 per cento,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative in ordine al rispetto del tetto legale del 20 per cento da parte di imprese che adottano contratti collettivi contenenti una misura percentuale diversa, al fine di evitare che tale limite possa avere un effetto boomerang di ostacolare, invece che creare, nuova occupazione.
9/2208-B/129Busin.


   La Camera,
   analizzate, in particolare, le disposizioni relative al limite percentuale del 20 per cento di utilizzo dei rapporti a tempo determinato calcolato sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1o gennaio dell'anno di assunzione ed il rinvio alla contrattazione collettiva nazionale per l'individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato;
   preso atto del rischio, nelle ipotesi che la contrattazione collettiva regolamenti misure percentuali inferiori, di una sovrapposizione di norme sulla stessa fattispecie, contemplanti peraltro conseguenze diverse in caso di violazione,

impegna il Governo

ad emanare provvedimenti di propria competenza che chiariscano i dubbi espressi in premessa.
9/2208-B/130Caon.


   La Camera,
   esaminato il decreto-legge recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle Imprese nel testo modificato dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica;
   preso atto che le modifiche apportate in sede di esame parlamentare non hanno riguardato l'acasualità per tutti i contratti a termine, inclusi anche quelli a somministrazione;
   ritenuto tuttavia che la novella legislativa non chiarisce in che termini sia possibile stipulare contratti a termine acausali in quei settori produttivi in cui la contrattazione collettiva prevede espressamente l'obbligatoria indicazione della causale di utilizzo ai fini della autenticità del contratto medesimo,

impegna il Governo

ad emanare circolari esplicative o qualunque provvedimento di propria competenza che chiarisca la portata applicativa dell'acausalità per quei settori produttivi la cui contrattazione di riferimento richiede necessariamente l'indicazione della causalità.
9/2208-B/131Attaguile.


   La Camera,
   sentite le dichiarazioni del relatore di maggioranza al Senato, senatore Ichino, che ha detto che questo decreto-legge «costituisce la prima tappa di un disegno ambizioso di trasformazione del mercato del lavoro italiano. Con la riforma delineata nel disegno di legge delega (...) il Governo si propone di semplificare incisivamente l'impianto della nostra legislazione di fonte nazionale in materia di lavoro e di modificarne il contenuto essenziale secondo il modello della flexicurity»;
   ricordato che la vera flexicurity è il modello danese, basato su una deregolamentazione del mercato del lavoro che offre ai datori di lavoro la flessibilità di assunzioni temporanee e licenziamenti in base alle esigenze produttive, in cambio di una sicurezza ai lavoratori che perdono il posto di lavoro di poter trovare agevolmente un lavoro in ogni fase della loro vita e di una garanzia di buone prospettive di carriera e di sviluppo in un contesto economico in continua e rapida evoluzione;
   ritenuto invece che la riforma preannunciata dal Governo in carica ed attuabile con le misure recate dal presente decreto-legge in combinato con il disegno di legge cosiddetto job act, non si ispira affatto ad una logica di flexicurity, ma piuttosto si rivela ancorata ad una visione superata del posto fisso quale unica forma di occupazione,

impegna il Governo

a realizzare un mercato del lavoro più aperto e posti di lavoro più produttivi prevedendo l'apposizione al contratto di lavoro a tempo indeterminato di clausole di flessicurezza in termini di orario e di mansioni.
9/2208-B/132Giancarlo Giorgetti.


   La Camera,
   esaminato il decreto-legge in titolo, come modificato nel corso dell'esame in Parlamento;
   valutate le misure di cui all'articolo 2 in materia di apprendistato;
   ritenuta la reintroduzione della quota di apprendisti da «stabilizzare» – nella previsione per le aziende con oltre 50 dipendenti l'obbligo di assumere a tempo indeterminato una quota non inferiore al 20 per cento apprendisti in carico – un ostacolo al rilancio dell'utilizzo dell'apprendistato stesso;
   considerato, invero, l'apprendistato come un valido strumento di ingresso nel mercato del lavoro, specie nel particolare periodo di crisi in essere,

impegna il Governo

ad emanare provvedimenti di propria competenza che contemplino l'innalzamento a 35 anni del limite di età per la stipula di contratti di apprendistato.
9/2208-B/133Grimoldi.


   La Camera,
   valutato che il medesimo si limita a ritocchi e correttivi della cosiddetta riforma Foriero del mercato del lavoro;
   ritenuti tali interventi insufficienti e ricordato che il vero disastro sociale, anche in termini di blocco di accesso dei giovani nel mercato del lavoro, è stato creato dall'altra cosiddetta riforma Fornero, quella pensionistica,

impegna il Governo

a procedere urgentemente con l'abrogazione dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n.214, in materia di nuovi requisiti di accesso al diritto pensionistico.
9/2208-B/134Invernizzi.


   La Camera,
   premesso che:
    relativamente al programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie nel triennio 2014-2016, previsto dall'articolo 8-bis, comma 2, del decreto-legge n. 104 del 2013, il provvedimento in esame dispone che sia possibile stipulare contratti di apprendistato di terzo tipo, anche in deroga al limite di anni 18 di età previsto dalla normativa vigente, così che possa essere sottoscritto dagli alunni delle quarte classi che, all'inizio dell'anno scolastico, non hanno ancora compiuto la maggiore età,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di indirizzare alle scuole interessate dalla sperimentazione, citata in premessa, risorse aggiuntive per l'attività di progettazione dei percorsi di istruzione e formazione previsti dal sunnominato articolo 8-bis e in favore dei tutor scolastici, ai quali spetterà in particolare il delicato compito di garantire l'unitarietà dei livelli di apprendimento e di assistere lo studente nel percorso sperimentale.
9/2208-B/135Ghizzoni, Rocchi, Carocci.


   La Camera,
   esaminate le misure contenute nel provvedimento in titolo in combinato con gli interventi recati dal disegno di legge cosiddetto «job act» e dal decreto-legge n. 66 del 2014 in materia di riduzione del cuneo fiscale;
   ritenute le medesime insufficienti a creare nuova occupazione,

impegna il Governo

a reperire le necessarie risorse, attraverso interventi strutturali sulla spesa pubblica, per una riduzione del cuneo fiscale di importo non inferiore a 25 miliardi di euro.
9/2208-B/136Marcolin.


   La Camera,
   valutato l'intervento normativo recato dal provvedimento in titolo all'articolo 4, in materia di «smaterializzazione» del DURC (documento unico di regolarità contributiva);
   ricordata la problematica esistente in materia di responsabilità solidale, che recita al comma 28 dell'articolo 35 del decreto legge, n. 223 del 2006, «l'appaltatore risponde in solido con il subappaltatore della effettuazione e del versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dei contributi previdenziali e dei contributi assicurativi obbligatori per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei dipendenti a cui è tenuto il subappaltatore», prevedendo con ciò che le imprese appaltanti possono essere chiamate in causa, nonostante abbiano richiesto ed ottenuto il DURC,

impegna il Governo

a procedere con provvedimenti di propria competenza ad una interpretazione autentica della vigente normativa sulla responsabilità solidale dell'appaltatore, esplicitando che la stessa decade dal momento dell'acquisizione del documento unico di regolarità contributiva (DURC) di cui all'articolo 10 del decreto del Presidente detta Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, fatto salvo per i casi di provata cointeressenza nell'omissione contributiva.
9/2208-B/137Molteni.


   La Camera,
   esaminato il provvedimento in titolo;
   valutate, in particolare, le disposizioni transitorie di cui all'articolo 2-bis del provvedimento, in virtù delle quali le nuove disposizioni in materia di contratti a termine acausali a 36 mesi trovano applicazione per i contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto stesso;
   preso atto, pertanto, del paradosso che tale decreto invece che creare nuova occupazione porterà alla disoccupazione dei contratti acausali in essere alla data del 21 marzo, i quali, instaurati in base alla previgente disciplina, prevedono una durata massima di 12 mesi,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di emanare provvedimenti di propria competenza che consentano ai contratti in essere alla data del 21 marzo 2014 di potersi agganciare al regime delle proroghe introdotte dal presente decreto-legge, fino al raggiungimento del tetto dei 36 mesi.
9/2208-B/138Gianluca Pini.


   La Camera,
   valutate le finalità del decreto-legge recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese;
   ritenuto che il provvedimento reca misure inidonee ad un vero rilancio dell'occupazione;
   ritenuto che per favorire l'accesso ai giovani nel mercato del lavoro e, dunque, consentire un ricambio generazionale è necessario anche intervenire sulla flessibilità in uscita,

impegna il Governo

a procedere in una riforma del mercato del lavoro che contempli la flessibilità in uscita anche per il settore del pubblico impiego.
9/2208-B/139Prataviera.


   La Camera,
   esaminato il provvedimento in titolo;
   valutate le disposizioni di cui all'articolo 2-bis, ai sensi delle quali le misure di cui al presente decreto in materia di contratti a termine e di apprendistato trovano applicazione per i soli contratti stipulati dopo l'entrata in vigore del decreto medesimo;
   ricordato il grido di allarme lanciato dall'Unione artigiani di Milano, che ha calcolato che nella sola provincia di Milano le nuove disposizioni renderanno disoccupati ben 2.400 persone, perché rischiano di non poter essere assunti o comunque di non poter avere il rinnovo del contratto,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di emanare urgenti provvedimenti normativi di propria competenza che rimedino alle inaccettabili storture normative di cui in premessa.
9/2208-B/140Rondini.


   La Camera,
   esaminate le misure recate dal provvedimento in titolo nell'intento di creare nel breve medio periodo nuova occupazione;
   ritenuto che una riforma del mercato del lavoro non può prescindere dal tutelare i soggetti a rischio di perdita del posto di lavoro;
   considerato in particolare l'intervento di cui all'articolo 5, in materia di rifinanziamento dei contratti di solidarietà;
   ricordato l'allarme lanciato dalle rappresentanze sindacali e dai governatori delle regioni del Nord circa l'insufficienza degli stanziamenti per la cassa in deroga; soprattutto in Lombardia la situazione è particolarmente grave perché con i 70 milioni stanziati dal precedente Governo Letta, a valere sul 2014, la Regione in realtà sta provvedendo a coprire le richieste dell'ultimo trimestre 2013 (ottobre-dicembre) e comunque le risorse non bastano a decretare tutte le domande di cassa in deroga relative allo scorso anno;
   evidenziato che nel corso del solo primo trimestre sono pervenute alla Regione Lombardia oltre 6.000 richieste di ammortizzatori in deroga da parte di aziende lombarde, a dimostrazione di come ancora oggi la crisi economica continui ad incidere pesantemente sull'occupazione;
   rammentato che lo stesso Ministro Poletti, nei mesi scorsi ha riconosciuto che le risorse erogate per la cassa in deroga sono ampiamente insufficienti a coprire l'intero anno solare, perché manca un miliardo rispetto alle risorse destinate dal bilancio per l'anno 2014;
   rilevato che sono pertanto a rischio di licenziamento nei prossimi mesi, in difetto di copertura, ben 40.000 lavoratori nella sola Lombardia, che andrebbero ad aggiungersi alle migliaia degli anni scorsi;
   ribadita l'importanza della cassa in deroga quale unica forma di sostegno al reddito al momento in favore di lavoratori dipendenti da piccole e medie imprese, le più colpite dalle crisi economica in atto,

impegna il Governo

a sciogliere con urgenza il nodo del reperimento delle risorse, sbloccando immediatamente quelle necessarie a coprire il fabbisogno per l'intero anno 2014.
9/2208-B/141Caparini.


   La Camera,
   esaminate le misure recate dal provvedimento in titolo nell'intento di creare nel breve medio periodo nuova occupazione;
   ritenuto che una riforma del mercato del lavoro non può prescindere dal tutelare i soggetti a rischio di perdita del posto di lavoro;
   considerato in particolare l'intervento di cui all'articolo 5, in materia di rifinanziamento dei contratti di solidarietà;
   ricordato l'allarme lanciato dalle rappresentanze sindacali e dai governatori delle regioni del Nord circa l'insufficienza degli stanziamenti per la cassa in deroga; soprattutto in Lombardia la situazione è particolarmente grave perché con i 70 milioni stanziati dal precedente Governo Letta, a valere sul 2014, la Regione in realtà sta provvedendo a coprire le richieste dell'ultimo trimestre 2013 (ottobre-dicembre) e comunque le risorse non bastano a decretare tutte le domande di cassa in deroga relative allo scorso anno;
   evidenziato che nel corso del solo primo trimestre sono pervenute alla Regione Lombardia oltre 6.000 richieste di ammortizzatori in deroga da parte di aziende lombarde, a dimostrazione di come ancora oggi la crisi economica continui ad incidere pesantemente sull'occupazione;
   rammentato che lo stesso Ministro Poletti, nei mesi scorsi ha riconosciuto che le risorse erogate per la cassa in deroga sono ampiamente insufficienti a coprire l'intero anno solare, perché manca un miliardo rispetto alle risorse destinate dal bilancio per l'anno 2014;
   rilevato che sono pertanto a rischio di licenziamento nei prossimi mesi, in difetto di copertura, ben 40.000 lavoratori nella sola Lombardia, che andrebbero ad aggiungersi alle migliaia degli anni scorsi;
   ribadita l'importanza della cassa in deroga quale unica forma di sostegno al reddito al momento in favore di lavoratori dipendenti da piccole e medie imprese, le più colpite dalle crisi economica in atto,

impegna il Governo

a sciogliere con urgenza il nodo del reperimento delle risorse, sbloccando immediatamente quelle necessarie a coprire l'intero fabbisogno per l'anno 2014.
9/2208-B/141. (Testo modificato nel corso della seduta).  Caparini.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nella piccola e media impresa.
9/2208-B/142Donati.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nell'artigianato.
9/2208-B/143Ginefra.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nella pubblica amministrazione.
9/2208-B/144Gasparini.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nella pubblica amministrazione, fermi restando i limiti applicativi dei contratti a tempo determinato e apprendistato in tale settore.
9/2208-B/144. (Testo modificato nel corso della seduta).  Gasparini.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nel settore navalmeccanico.
9/2208-B/145Tullo.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nel settore del turismo.
9/2208-B/146Galperti.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nel settore energetico.
9/2208-B/147Bini.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nel settore metalmeccanico.
9/2208-B/148Marantelli.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nel settore dell'agricoltura.
9/2208-B/149Cenni.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti sul comparto delle costruzioni.
9/2208-B/150Morassut.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nel settore del commercio.
9/2208-B/151Senaldi.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 20 marzo 2014 n. 34 recante disposizioni urgenti per favorire in particolare il rilancio della occupazione, ha ripristinato l'apprendistato, anche a tempo determinato, per lo svolgimento di attività stagionali (molto utile nel settori del turismo, del commercio, e anche dell'artigianato) per favorire esperienze di alternanza scuola/lavoro;
    tale scelta è importante perché favorirà l'alternanza scuola/lavoro, e offrirà la possibilità di avvicinare al mondo del lavoro i ragazzi in un momento di crisi acuta;
    nel solo settore turistico a livello nazionale si stima siano circa 80.000 gli interessati e, con l'indotto delle attività stagionali, si possono superare abbondantemente le 100.000 unità;
    la possibilità di assumere apprendisti stagionali, consentirà di far riemergere e contrastare il fenomeno del lavoro nero e irregolare;
    sarà possibile procedere alle assunzioni di apprendisti a tempo determinato se le singole Regioni e Province autonome avranno definito un sistema di alternanza scuola-lavoro e i contratti collettivi di lavoro stipulati dalle associazioni di datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedano specifiche modalità di utilizzo del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato, per lo svolgimento di attività stagionali;
    considerato l'avvicinarsi della imminente stagione estiva,

impegna il Governo:

   ad attivarsi con urgenza per verificare con le Regioni e Province autonome se abbiano già definito un sistema di alternanza scuola/lavoro e, in caso negativo, solleciti le stesse ad adempiere per consentire di potere favorire immediatamente opportunità lavorative che la nuova norma prevede;
   a sollecitare le associazioni dei datori e prestatori di lavori, laddove non siano ancora previste specifiche modalità di utilizzo del contratto di apprendistato a tempo determinato, di attivare i rispettivi tavoli di contrattazione.
9/2208-B/152Arlotti.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento alle diverse aree geografiche del Paese,

impegna il Governo

ad evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nei territori delle regioni del nord ovest.
9/2208-B/153Basso.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento alle diverse aree geografiche del Paese,

impegna il Governo

ad evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nei territori delle regioni del nord est.
9/2208-B/154Ginato.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento alle diverse aree geografiche del Paese,

impegna il Governo

ad evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nei territori delle regioni del centrali.
9/2208-B/155Dallai.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento alle diverse aree geografiche del Paese,

impegna il Governo

ad evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nei territori delle regioni del mezzogiorno.
9/2208-B/156Folino.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento alle diverse aree geografiche del Paese,

impegna il Governo

ad evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nei territori delle regioni insulari.
9/2208-B/157Culotta.


   La Camera,
   premesso che:
    le statistiche dimostrano che l'età della prima gravidanza si sposta sempre più in avanti, probabilmente anche per la percentuale drammatica di disoccupazione giovanile e di precarietà dei contratti di lavoro, l'insicurezza rispetto al lavoro e alla condizione economica porta alla paura per il futuro;
    si deve agire su più fronti, un provvedimento che può dare qualche garanzia è la normativa contro le dimissioni in bianco;
    si devono semplificare le richieste di garanzie per mutui per l'acquisto della prima casa, tenendo conto di quanto si siano modificate le condizioni di lavoro;
    per i contratti a tempo determinato nel provvedimento in esame si è previsto che il periodo di maternità obbligatorio sia considerato come prestazione effettiva di lavoro per raggiungere i sei mesi per l'eventuale stabilizzazione con contratto a tempo indeterminato;
    si è previsto in diritto di precedenza per le donne in gravidanza anche per successivi contratti a tempo determinato,

impegna il Governo

affinché in ogni iniziativa legislativa si prevedano misure a sostegno dell'occupazione femminile.
9/2208-B/158Simoni.


   La Camera,
   premesso che:
    il Senato ha agito in termini positivi rispetto alle donne. Alla Camera era stato previsto per le lavoratrici, nel caso in cui si inizi una gravidanza durante un rapporto di lavoro con contratto a tempo determinato, che il periodo di gravidanza obbligatoria serva a maturare i sei mesi che possono dare diritto all'assunzione a tempo indeterminato;
    in Senato hanno aggiunto un ulteriore diritto di precedenza e hanno previsto che alle lavoratrici, sempre nel caso in cui abbiano una gravidanza durante un contratto a tempo determinato, sia altresì riconosciuto il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine per le assunzioni da parte del datore di lavoro, nei 12 mesi successivi, in relazione alle medesime mansioni oggetto del contratto a termine;
    si tratta di disposizioni di particolare importanza per la tutela della maternità delle lavoratrici con contratto di lavoro a tempo determinato, e meritano la massima vigilanza per la loro integrale e puntuale applicazione,

impegna il Governo

affinché il monitoraggio previsto evidenzi anche la dimensione del fenomeno delle maternità durante i contratti a tempo determinato
9/2208-B/159Paris.


   La Camera,
   premesso che:
    il monitoraggio prevede esplicitamente che vengano evidenziati gli andamenti occupazionali e l'entità del ricorso al contratto a tempo determinato e al contratto di apprendistato, ripartito per fasce d'età, per sesso, per qualifiche professionali, per aree geografiche e che venga definita anche la durata dei contratti, le dimensioni, la tipologia d'impresa e ogni altro elemento utile per una valutazione complessiva del nuovo sistema di regolazione di tali rapporti di lavoro e in relazione alle altre tipologie contrattuali (tenendo anche conto delle risultanze delle comunicazioni di assunzione, trasformazione, proroga e cessazione dei rapporti di lavoro ricavate dal sistema informativo delle comunicazioni obbligatorie, già previsto dalla legislazione vigente,

impegna il Governo

affinché questo monitoraggio con tutte queste caratteristiche sia finalizzato alle eventuali modifiche da apportare.
9/2208-B/160Giorgio Piccolo.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, nella versione licenziata dal Senato della Repubblica, all'alinea dell'articolo 1, dispone che la nuova disciplina dei contratti a tempo determinato sia adottata «nelle more dell'adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente»;
    il comma 01, dell'articolo 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 recita «Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro», in coerenza con quanto prevede il secondo punto del preambolo dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999,

impegna il Governo

a confermare il massimo impegno nell'attuazione delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato, nonché, in prospettiva, nell'adozione delle eventuali misure di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro, affinché i contratti di lavoro a tempo indeterminato vengano confermati come la forma prioritaria e ordinaria della buona e sana occupazione.
9/2208-B/161Baruffi, Miccoli, Maestri, Gnecchi, Incerti, Giacobbe, Albanella, Gribaudo, Paris, Simoni.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, opportunamente prevede all'articolo 5 misure per favorire la stipula dei contratti di solidarietà, attraverso l'incremento delle risorse stanziate nell'ambito del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione, finalizzate al finanziamento della decontribuzione previdenziale per i datori di lavoro che stipulano detti contratti di solidarietà con riduzione dell'orario di lavoro superiore al 20 per cento e prevedendo, altresì, che la quota di riduzione contributiva sia per tutti fissata nell'ordine del 35 per cento;
    il gravissimi effetti della crisi e i dati occupazionali segnalano, anche per il prossimo futuro, la necessità di un impegno straordinario per assicurare l'adozione delle misure che maggiormente hanno garantito la tenuta sociale del paese;
    tra gli strumenti di gestione delle crisi occupazionali, i contratti di solidarietà hanno registrato un crescente interesse delle imprese e delle organizzazioni dei lavoratori,

impegna il Governo

a verificare le condizioni di carattere finanziario affinché siano individuate, a decorrere dal 2015, risorse aggiuntive per sostenere i contratti di solidarietà.
9/2208-B/162Albanella, Baruffi, Miccoli, Maestri, Gnecchi, Incerti, Giacobbe, Gribaudo, Paris, Simoni.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che «Ai fini della verifica degli effetti delle disposizioni del presente capo, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, presenta una relazione alle Camere, evidenziando in particolare gli andamenti occupazionali e l'entità del ricorso al contratto a tempo determinato e al contratto di apprendistato, ripartito per fasce d'età, sesso, qualifiche professionali, aree geografiche, durata dei contratti, dimensioni e tipologia di impresa e ogni altro elemento utile per una valutazione complessiva del nuovo sistema di regolazione di tali rapporti di lavoro in relazione alle altre tipologie contrattuali, tenendo anche conto delle risultanze delle comunicazioni di assunzione, trasformazione, proroga e cessazione dei rapporti di lavoro ricavate dal sistema informativo delle comunicazioni obbligatorie già previsto dalla legislazione vigente»;
   rilevata la complessità e la rilevanza di una puntuale e attendibile raccolta e analisi dei suddetti dati, ai fini di una circostanziata valutazione della congruità e dell'efficacia del nuovo quadro normativo;
   ribadita l'importanza di una fattiva collaborazione delle forze sociali nella gestione degli strumenti occupazionali,

impegna il Governo

a dare attuazione alla richiamata disposizione di cui all'articolo 1, comma 2-bis, garantendo, nel rispetto della reciproca autonomia e differenziazione dei ruoli, il coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ai fini della predisposizione della ricordata relazione alle Camere. 
9/2208-B/163Miccoli, Baruffi, Maestri, Gnecchi, Incerti, Giacobbe, Albanella, Gribaudo, Paris, Simoni.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che «Ai fini della verifica degli effetti delle disposizioni del presente capo, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, presenta una relazione alle Camere, evidenziando in particolare gli andamenti occupazionali e l'entità del ricorso al contratto a tempo determinato e al contratto di apprendistato, ripartito per fasce d'età, sesso, qualifiche professionali, aree geografiche, durata dei contratti, dimensioni e tipologia di impresa e ogni altro elemento utile per una valutazione complessiva del nuovo sistema di regolazione di tali rapporti di lavoro in relazione alle altre tipologie contrattuali, tenendo anche conto delle risultanze delle comunicazioni di assunzione, trasformazione, proroga e cessazione dei rapporti di lavoro ricavate dal sistema informativo delle comunicazioni obbligatorie già previsto dalla legislazione vigente»;
   rilevata la complessità e la rilevanza di una puntuale e attendibile raccolta e analisi dei suddetti dati, ai fini di una circostanziata valutazione della congruità e dell'efficacia del nuovo quadro normativo;
   ribadita l'importanza di una fattiva collaborazione delle forze sociali nella gestione degli strumenti occupazionali,

impegna il Governo

a valutare le modalità di un possibile coinvolgimento, nel dare attuazione alla richiamata disposizione di cui all'articolo 1, comma 2-bis, nel rispetto della reciproca autonomia e differenziazione dei ruoli, delle organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ai fini della predisposizione della ricordata relazione alle Camere. 
9/2208-B/163. (Testo modificato nel corso della seduta).  Miccoli, Baruffi, Maestri, Gnecchi, Incerti, Giacobbe, Albanella, Gribaudo, Paris, Simoni.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento, dopo l'esame parlamentare, in materia di disciplina dell'apprendistato prevede, tra l'altro, che la Regione provveda a comunicare al datore di lavoro, entro quarantacinque giorni dalla comunicazione dell'instaurazione del rapporto, le modalità di svolgimento dell'offerta formativa pubblica, anche con riferimento alle sedi e al calendario delle attività previste, avvalendosi anche dei datori di lavoro e delle loro associazioni che si siano dichiarate disponibili, ai sensi delle linee guida adottate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 20 febbraio 2014;
    le citate linee guida, adottate poco più di un mese prima l'emanazione del presente decreto, rappresentano un importante strumento per una corretta e credibile applicazione della disciplina in materia di contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere,

impegna il Governo

per quanto di sua competenza, ad assicurare la tempestiva e integrale applicazioni delle suddette linee guida su tutto il territorio nazionale.
9/2208-B/164Maestri, Baruffi, Miccoli, Gnecchi, Incerti, Giacobbe, Albanella, Gribaudo, Paris, Simoni.


   La Camera,
   premesso che:
    nel corso dell'esame parlamentare sono state introdotte diverse misure volte ad ampliare e rafforzare il diritto di precedenza delle donne in congedo di maternità per le assunzioni da parte del datore di lavoro, nei 12 mesi successivi, in relazione alle medesime mansioni oggetto del contratto a termine. A tal riguardo si dispone che anche i periodi di astensione obbligatoria per le lavoratrici in congedo di maternità devono essere computati ai fini dell'integrazione del limite minimo di 6 mesi di durata del rapporto a termine. Si prevede, altresì, che il diritto di precedenza valga non solo per le assunzioni con contratti a tempo indeterminato, ma anche per le assunzioni a tempo determinato effettuate dal medesimo datore di lavoro;
    si tratta di disposizioni di particolare importanza per la tutela della maternità delle lavoratrici con contratto di lavoro a tempo determinato, e meritano la massima vigilanza per la loro integrale e puntuale applicazione,

impegna il Governo

affinché le strutture territoriali del Ministero garantiscano la massima attenzione e costanza nella verifica del rispetto delle richiamate disposizioni di tutela delle lavoratrici a tempo determinato.
9/2208-B/165Gribaudo, Baruffi, Miccoli, Maestri, Gnecchi, Incerti, Giacobbe, Albanella, Paris, Simoni, Giorgio Piccolo.


   La Camera,
   premesso che:
    ai sensi dell'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1o ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, così come modificato dall'articolo 1, comma 1180, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, i datori di lavoro privati, ivi compresi quelli agricoli, gli enti pubblici economici e le pubbliche amministrazioni, in caso di instaurazione del rapporto di lavoro subordinato e di lavoro autonomo in forma coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di socio lavoratore di cooperativa e di associato in partecipazione con apporto lavorativo, «sono tenuti a dame comunicazione al Servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro entro il giorno antecedente a quello di instaurazione dei relativi rapporti, mediante documentazione avente data certa di trasmissione. La comunicazione deve indicare i dati anagrafici del lavoratore, la data di assunzione, la data di cessazione qualora il rapporto non sia a tempo indeterminato, la tipologia contrattuale, la qualifica professionale e il trattamento economico e normativo applicato.»;
    l'articolo 1, comma 4-septies del presente provvedimento dispone, dopo le modifiche introdotte nell'altro ramo del Parlamento, l'applicazione di una sanzione amministrativa in caso di superamento della soglia del 20 per cento del numero dei contratti a tempo determinato rispetto alla totalità del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1o gennaio dell'anno di assunzione;
    obiettivo del legislatore e di una efficiente amministrazione deve essere la corretta ed efficace applicazione dell'ordinamento, in un leale e trasparente rapporto con i diretti interessati,

impegna il Governo

ad impartire le dovute direttive alle strutture territoriali competenti affinché, sulla base dei dati disponibili ai sensi della richiamata disposizione di cui all'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1o ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, sia costantemente monitorato il ricetto del tetto dei rapporti a tempo determinato previsto dall'articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1) del presente provvedimento, anche prevedendo, in collaborazione con le organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, apposite forme di preavviso in caso di raggiungimento della suddetta soglia massima.
9/2208-B/166Cinzia Maria Fontana, Baruffi, Miccoli, Boccuzzi, Maestri, Gnecchi, Incerti, Giacobbe, Albanella, Gribaudo, Paris, Simoni.


   La Camera,
   premesso che:
    ai sensi dell'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1o ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, così come modificato dall'articolo 1, comma 1180, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, i datori di lavoro privati, ivi compresi quelli agricoli, gli enti pubblici economici e le pubbliche amministrazioni, in caso di instaurazione del rapporto di lavoro subordinato e di lavoro autonomo in forma coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di socio lavoratore di cooperativa e di associato in partecipazione con apporto lavorativo, «sono tenuti a dame comunicazione al Servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro entro il giorno antecedente a quello di instaurazione dei relativi rapporti, mediante documentazione avente data certa di trasmissione. La comunicazione deve indicare i dati anagrafici del lavoratore, la data di assunzione, la data di cessazione qualora il rapporto non sia a tempo indeterminato, la tipologia contrattuale, la qualifica professionale e il trattamento economico e normativo applicato.»;
    l'articolo 1, comma 4-septies del presente provvedimento dispone, dopo le modifiche introdotte nell'altro ramo del Parlamento, l'applicazione di una sanzione amministrativa in caso di superamento della soglia del 20 per cento del numero dei contratti a tempo determinato rispetto alla totalità del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1o gennaio dell'anno di assunzione;
    obiettivo del legislatore e di una efficiente amministrazione deve essere la corretta ed efficace applicazione dell'ordinamento, in un leale e trasparente rapporto con i diretti interessati,

impegna il Governo

ad impartire le dovute direttive alle strutture territoriali competenti affinché, sulla base dei dati disponibili ai sensi della richiamata disposizione di cui all'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1o ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, sia costantemente monitorato il ricetto del tetto dei rapporti a tempo determinato previsto dall'articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1) del presente provvedimento, anche valutando l'opportunità di adottare misure che consentano al datore di lavoro e ai sindacati di monitorare l'entità dei contratti a tempo determinato in essere.
9/2208-B/166. (Testo modificato nel corso della seduta).  Cinzia Maria Fontana, Baruffi, Miccoli, Boccuzzi, Maestri, Gnecchi, Incerti, Giacobbe, Albanella, Gribaudo, Paris, Simoni.


   La Camera,
   premesso che:
    in materia di disposizioni per favorire la diffusione dell'apprendistato, il comma 2-bis, dell'articolo 2 prevede che, nell'ambito del programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie nel triennio 2014-2016, previsto dall'articolo 8-bis, comma 2, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, la stipulazione di contratti di apprendistato possa avvenire anche in deroga al limite di 17 anni di età previsto dalla normativa vigente;
    per assicurare una reale efficacia della richiamata disposizione, è necessario garantire un'adeguata disponibilità di mezzi e risorse che consentano alle strutture scolastiche di affrontare i relativi impegni organizzativi e didattici,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare le risorse finanziarie necessarie per sostenere lo sforzo organizzativo delle strutture scolastiche per gestire i compiti relativi ai periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie, ai sensi dell'articolo 8-bis, comma 2, del decreto-legge n. 104 del 2013.
9/2208-B/167Incerti, Ghizzoni, Baruffi, Miccoli, Maestri, Gnecchi, Giacobbe, Albanella, Gribaudo, Paris, Simoni.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 4 del decreto in esame si propone di intervenire sulle modalità di verifica della regolarità contributiva delle imprese per l'attestazione dell'assolvimento degli obblighi legislativi e contrattuali nei confronti di INPS, INAIL e Cassa Edile;
    questo costituisce un significativo intervento di semplificazione e di riduzione di adempimenti burocratici da parte delle imprese, con criticità lamentate anche da parte delle stazioni appaltanti;
    l'articolo 4 rinvia ad un decreto interministeriale, da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, con il quale saranno definiti i requisiti di regolarità, i contenuti e le modalità della verifica, nonché le ipotesi di esclusione;
    la semplificazione ottenuta mediante la cosiddetta «smaterializzazione» non deve compromettere in alcun modo la funzione dello strumento del Documento unico di regolarità contributiva per la tutela degli interessi degli istituti preposti alla riscossione dei contributi stessi, dei lavoratori assicurati e della concorrenza leale tra imprese;
    stante l'imminenza della scadenza del richiamato termine per l'emanazione del decreto di attuazione dell'articolo 4,

impegna il Governo

a provvedere con la massima urgenza nell'emanazione del decreto di cui all'articolo 4.
9/2208-B/168Giacobbe, Baruffi, Miccoli, Maestri, Gnecchi, Incerti, Albanella, Gribaudo, Paris, Simoni.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   ribadita la necessità di tenere sempre alta la vigilanza in materia di sicurezza sul lavoro,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti sulla sicurezza e la salute sul lavoro derivanti dalle nuove disposizioni di cui al Capo I del presente provvedimento.
9/2208-B/169Boccuzzi, Giacobbe, Baruffi, Miccoli, Maestri, Gnecchi, Incerti, Albanella, Gribaudo, Paris, Simoni.


   La Camera,
   premesso che:
    le statistiche dimostrano che l'unica fascia di età in cui si registra un incremento degli occupati è quella superiore ai 55 anni;
    il decreto attualmente in approvazione in via definitiva, rafforzato dalla legge delega in discussione in Senato, si pone l'obiettivo di aumentare l'occupazione in generale;
    siamo in una situazione di grave emergenza per la disoccupazione giovanile;
    in molte aziende è bloccato il ricambio;
    le aziende hanno bisogno di nuove forze giovani, continua la crisi occupazionale anche se si vedono timidi segni di ripresa;
    la manovra Fornero con l'articolo 24 della legge n. 214 del 2011 ha creato il dramma delle persone da salvaguardare e contemporaneamente l'impossibilità di accedere alla pensione a chi era veramente vicino al raggiungimento dei requisiti;
    si è innalzata senza alcuna gradualità l'età per la pensione di vecchiaia delle donne;
    si sta impedendo l'ingresso di 4.000 giovani nella scuola, che potrebbero entrare se si desse attuazione al provvedimento noto come «quota 96»,

impegna il Governo

affinché il tavolo attivato per le questioni previdenziali dia risposte reali al mondo del lavoro.
9/2208-B/170Gnecchi.


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i recenti dati Istat, la disoccupazione ancora oggi è in aumento: al 13 per cento la disoccupazione generale, mentre quella giovanile giunge fino al 42,3. Si tratta di un numero complessivo di persone senza lavoro che supera i 3,3 milioni. Il Codacons ha calcolato che nel loro insieme sono: «Più degli abitanti di Valle d'Aosta, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Umbria». Secondo i dati Istat oltre il 40 per cento de giovani italiani è senza lavoro. Due milioni e mezzo di under 30 non lavorano e non studiano;
    il tasso di disoccupazione, come è noto, è un indicatore statistico, il cui obiettivo principale è quello di misurare non solo quanti sono i «senza lavoro» ma anche qual è l'offerta di lavoro avanzata dalle imprese. Si tratta in altri termini di un rapporto e oggi ciò che ci preoccupa, almeno tanto quanto il numero dei senza lavoro, è proprio l'amara prospettiva di come si vada assottigliando l'offerta di lavoro da parte delle imprese. Un ulteriore motivo di preoccupazione nasce dalla consapevolezza che il tasso di disoccupazione sottostima il problema della disoccupazione: dal momento che non viene considerato disoccupato chi ha lavorato anche solo poche ore a settimana, o chi ha rinunciato a cercare lavoro; mentre chi non ha ancora mai lavorato è considerato «inoccupato» e non «disoccupato»;
    la disoccupazione giovanile appare a molti esperti come un dato strutturale perché sembra legata al disallineamento tra le opportunità di lavoro generate dal sistema economico e le effettive competenze culturali, tecnico-professionali, sociali acquisite dai giovani nel loro iter scolastico e formativo. In poche parole manca un raccordo efficace tra gli obiettivi formativi della scuola e le competenze attese dal mondo del lavoro. Nel 2012 ad esempio, nonostante la crisi economica persistente e il ben noto tasso di disoccupazione giovanile, le imprese hanno avuto difficoltà a reperire persone adatte alle posizioni ricercate, per almeno un 16 per cento, corrispondenti a circa 65 mila posti di lavoro. Concretamente mancano diplomati nei settori delle telecomunicazioni, ma anche laureati specializzati, quali i progettisti informatici ed elettronici;
    se è vero che i giovani devono coltivare talenti ed interessi su misura, è necessario che almeno in parte orientino la loro formazione verso ambiti in cui sia concretamente possibile incontrare opportunità di lavoro. Di fatto più del 40 per cento delle aziende ritiene che chi entra per la prima volta nel mondo del lavoro non abbia una preparazione adeguata alle esigenze del sistema produttivo. Notano nei neoassunti poca padronanza delle lingue straniere, scarse capacità di problem solving, poco spirito di iniziativa e soprattutto carenza di autonomia. In altri termini il GAP tra scuola e mondo del lavoro invece di ridursi si è andato progressivamente dilatando, contribuendo in modo significativo ad accentuare le difficoltà dei giovani ad inserirsi nel mondo del lavoro. Evidentemente anche le imprese hanno le loro responsabilità. Dovrebbero attivare meccanismi concreti di collaborazione creando opportunità di tirocinio e di stage, stimolando una maggiore partecipazione degli insegnanti alle attività formative nell'ambiente lavorativo;
    non a caso il punto qualificante del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, è proprio il cosiddetto Apprendistato professionalizzante, che rilancia il contratto di apprendistato istituito con il decreto legislativo n. 276 del 2003 (Riforma Biagi) che prevedeva il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale. L'aspetto più interessante allora come oggi è che i giovani possono essere assunti, in tutti i settori di attività, per ottenere le rispettive qualificazioni attraverso l'acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali specifiche. L'attuale decreto vincola i datori di lavoro a precise misure di assunzione dopo un opportuno periodo di apprendistato, evitando quel turn over che negli anni precedenti permetteva di sostituire alcuni giovani, una volta acquisita la necessaria esperienza, con altri giovani meno esperti, ma anche meno esigenti sotto il profilo della formalizzazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato;
    l'attuale decreto prevede che il contratto di apprendistato professionalizzante abbia forma scritta, contenga chiaramente quali siano le prestazioni oggetto del contratto e quindi del piano formativo individuale, nonché l'eventuale qualifica che potrà essere acquisita al termine del rapporto di lavoro sulla base della formazione aziendale od extra-aziendale. È il primo atto significativo sul lavoro del Ministro del lavoro e del welfare, Giuliano Poletti, per rilanciare l'occupazione: una riforma profonda delle assunzioni, dei rapporti di lavoro e degli ammortizzatori sociali, che semplifica i contratti di assunzione a tempo determinato e riduce gli obblighi burocratici per le aziende che assumono un giovane apprendista. Ad esempio toglie l'obbligo per il datore di lavoro di indicare il motivo per cui il dipendente sarà inquadrato con un contratto a tempo determinato e non con un rapporto stabile;
    il decreto comunque riflette piena consapevolezza del forte momento di incertezza in cui ancora vivono i mercati, e sottolinea il suo carattere sperimentale con una concretezza interessante: tra 12 mesi le prime valutazioni il cui escrittore principale sarà il numero effettivo di nuovi posti di lavoro creati, e quindi la riduzione del numero dei disoccupati e degli inoccupati; l'incremento effettivo dei contratti a tempo indeterminato; il trend positivo dei livelli di retribuzione dei giovani assunti e ultimo (ma non ultimo !) il livello di sviluppo e di innovazione che le aziende avranno introdotto al loro interno come frutto di una sinergia positiva tra lo studio e la formazione dei giovani,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni utile iniziativa volta a verificare:
    a) in che modo vengono impegnati i fondi previsti dal decreto Carrozza per l'orientamento nelle scuole, sollecitando una concreta attenzione non solo all'orientamento alla scelta della SMS o dell'università, ma anche alla scelta di ambiti professionali specifici;
    b) quali iniziative le università mettono in atto per facilitare almeno negli ultimi anni di studio occasioni di stage e di tirocini presso aziende del settore di interesse dello studente ma anche con effettive possibilità di lavoro; il placement è una delle responsabilità più importanti dell'orientamento universitario e gli uffici del diritto allo studio lo trattano ancora troppo spesso come un optional;
    c) quali iniziative attraverso il Ministero dello sviluppo economico è possibile avviare per facilitare nei giovani con particolari interessi e capacità imprenditoriali la possibilità di avviare in modo autonomo iniziative innovative senza sentirsi schiacciati dagli adempimenti burocratici e peggio ancora da un pressing fiscale che nei ormai da anni non sono in grado di sostenere;
    d) a valutare l'opportunità che nel sito del Ministero del lavoro ci sia una bacheca su cui i «nuovi» apprendisti possano trasferire esperienze positive, difficoltà e – se necessario – porre domande ad esperti.
9/2208-B/171Binetti.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto in esame è un primo passo urgente per favorire l'occupazione, ma è indispensabile che si acceleri il provvedimento complessivo che comporterà una delega al Governo per intervenire in modo strutturale a favore di lavoratori e lavoratrici e per il mondo del lavoro nel suo complesso;
    è altresì indispensabile il coinvolgimento attivo delle parti sociali perché una pluralità di visioni può garantire misure che rispondano alle diverse esigenze;
    in Senato è in discussione la delega e si stanno valutando le varie proposte di legge in materia per poter arricchire il provvedimento,

impegna il Governo

ad adottare, nell'ambito delle proprie competenze, le opportune iniziative per una rapida approvazione della legge-delega al fine di dare efficacia anche al provvedimento oggi all'approvazione in via definitiva.
9/2208-B/172Martelli.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nel settore delle telecomunicazioni.
9/2208-B/173Impegno.


   La Camera,
   tenuto conto dell'importanza innovativa delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato, l'articolo 1, comma 2-bis, dispone che il Ministro del lavoro presenti una relazione al Parlamento sugli effetti delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e apprendistato;
   evidenziata la necessità di valutarne gli effetti anche con particolare riferimento ai diversi comparti produttivi,

impegna il Governo

a evidenziare nella citata relazione gli eventuali effetti nella grande impresa.
9/2208-B/174Petitti.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame reca «disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione», senza però incidere sui meccanismi fondamentali per offrire alle imprese un sistema di incentivazione in grado di produrre una maggiore richiesta di forza lavoro;
    per la ripresa del Paese è necessario introdurre misure in grado di favorire la crescita, e abbattere il costo del lavoro è la prima azione necessaria;
    è quindi fondamentale agire sul cuneo fiscale, e prevedere disposizioni per la detassazione degli oneri contributivi e previdenziali per i datori di lavoro che dispongono nuove assunzioni;
    le suddette disposizioni possono avere un effetto significativo solo se saranno messe a disposizione ingenti risorse, in grado di determinare un reale miglioramento della situazione occupazionale del nostro Paese,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative per prevedere, in futuri provvedimenti legislativi, un significativo abbattimento degli oneri contributivi e previdenziali per le nuove assunzioni.
9/2208-B/175Baldelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame reca «disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione», senza però incidere sui meccanismi fondamentali per offrire alle imprese un sistema di incentivazione in grado di produrre una maggiore richiesta di forza lavoro;
    per la ripresa del Paese è necessario introdurre misure in grado di favorire la crescita, e abbattere il costo del lavoro è la prima azione necessaria;
    è quindi fondamentale agire sul cuneo fiscale, e prevedere disposizioni per la detassazione degli oneri contributivi e previdenziali per i datori di lavoro che dispongono nuove assunzioni;
    le suddette disposizioni possono avere un effetto significativo solo se saranno messe a disposizione ingenti risorse, in grado di determinare un reale miglioramento della situazione occupazionale del nostro Paese,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di adottare le opportune iniziative, in futuri provvedimenti legislativi, per un significativo abbattimento degli oneri contributivi e previdenziali per le nuove assunzioni.
9/2208-B/175. (Testo modificato nel corso della seduta).  Baldelli.


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Elementi ed iniziative di competenza in merito al recente piano industriale del gruppo Fiat-Chrysler – 3-00818

   AIRAUDO, LACQUANITI, MARCON, DURANTI, FRATOIANNI, DI SALVO, MELILLA, FRANCO BORDO, PANNARALE, PAGLIA, LAVAGNO, FERRARA, PALAZZOTTO, MIGLIORE e NICCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 maggio 2014, davanti ad una folta platea di investitori e addetti ai lavori, l'amministratore delegato di Fiat Chrysler group automobiles, Sergio Marchionne, ha presentato l'ennesimo piano industriale per i prossimi cinque anni, promettendo di investire circa 55 miliardi di euro entro il 2018, con una media annua di 9,5 miliardi di euro ed un picco di 11 miliardi di euro nel 2016;
   detto piano ha, come al solito, sorpreso numerosi operatori economici. Sergio Marchionne ha, infatti, rassicurato i dipendenti italiani del Gruppo, sottolineando che «non verrà mandato a casa nessuno», che «sarà utilizzata tutta la manodopera» e, soprattutto, che «quando arriverà l'industrializzazione dei prodotti finirà tutto il periodo di cassa integrazione». Dalla componentistica, in particolare, il gruppo intende registrare ricavi al 2018 di circa 12 miliardi di euro, in aumento dagli 8 miliardi di euro del 2013, con un tasso di crescita annuale di circa il 9 per cento;
   la reazione dei mercati a tali esternazioni è stata, tuttavia, decisamente negativa. Il titolo Fiat-Chrysler ha, infatti, proseguito, in forte ribasso per tutta la giornata, con volumi elevati, perché l'annuncio del nuovo piano industriale da parte di Marchionne è stato giudicato generalmente troppo ambizioso da parte degli analisti, sia in termini di volumi, sia in termini di riduzione del debito. In particolare, secondo uno studio di Exane Bnp Paribas, i target al 2018 diffusi nella giornata del 7 maggio 2014 sono sembrati «eccessivamente ottimisti su volumi, margini e soprattutto sulla riduzione del debito, perché i risultati dell'ultimo trimestre sono stati del 24 per cento inferiori alle stime e rappresentano un segnale dei rischi al ribasso associati al piano»;
   in effetti, dall'ultima relazione finanziaria annuale di Fiat, datata 31 dicembre 2013, emerge chiaramente che il complesso dei debiti finanziari di Fiat corrisponde a 29.902 milioni di euro, in crescita, peraltro, rispetto al 2012, a fronte di una liquidità complessiva disponibile pari a 22.729 milioni di euro;
   il problema è che su tale liquidità la citata relazione finanziaria annuale di Fiat dice poco o nulla: in particolare, detta liquidità, oltre a non essere destinata ai fini dell'abbattimento del debito del gruppo, non si comprende ove risulti collocata, dove sia, in buona sostanza, in quale Paese, a quanto ammonti e in quali strumenti sia considerata;
   si deve pure segnalare che tale liquidità nel tempo è costantemente cresciuta e ad oggi risulterebbe altissima. Ciò, tuttavia, corrisponde al risultato di continui accumuli di liquidità, in parallelo ad una continua espansione del debito finanziario, ed è proprio tale dinamica di accumulo che, sotto il profilo dell'analisi finanziaria, preoccupa in particolar modo;
   nel corso dell'ultimo decennio, l'amministratore delegato di Fiat Chrysler group automobiles, Sergio Marchionne, ha presentato ben otto piani industriali per il rilancio della Fiat e del gruppo che, di fatto, non si sono mai conclusi, sono sempre stati sempre rinviati nei tempi e negli effetti, con contestuale riduzione degli investimenti, allungando in tutti i casi i tempi per il rientro operativo dei lavoratori (per Mirafiori era stato previsto un termine entro il 2014, che ora sembrerebbe slittare al 2018), facendo leva sul sistema della cassa integrazione: sistema che lo stesso amministratore delegato ha sempre criticato, eppure non abbandona;
   sotto tale ultimo profilo si segnala come in un articolo apparso il 15 giugno 2013 su Il Sole 24 Ore, a firma Andrea Malan, dal titolo «Fiat, dalla Cig risparmi per 1,7 miliardi. I minori oneri salariali hanno raggiunto con la crisi i 200 milioni annui per l'auto», si evidenzi chiaramente che uno dei fattori più importanti che rendono economicamente razionale la decisione di non chiudere gli stabilimenti in Italia è la presenza, nel nostro Paese, di un meccanismo come la cassa integrazione. In tale articolo si legge, in particolare: «Nei giorni di cassa integrazione (quella ordinaria, cig, e la straordinaria, cigs) l'azienda non paga stipendi e oneri sociali, ma anticipa ai dipendenti un'indennità che le viene poi rimborsata dall'Inps; in quei periodi, dunque, il costo del lavoro scende (quasi) a zero. Per una fabbrica come quella di Melfi o Mirafiori (oltre 5.000 dipendenti) il risparmio per ogni giorno di CIG si può stimare in 600-700.000 euro) Automotive news Europe ha stimato l'anno scorso che un giorno di CIG ai cosiddetti enti centrali di Mirafiori (circa 5000 impiegati) fa risparmiare a Fiat “circa 1 milione di euro”»;
   in realtà, ad avviso degli interroganti, quello che si sta compiendo corrisponde ad un disegno che la dirigenza Fiat persegue da tempo e che nessun altro Paese europeo avrebbe mai consentito, anche alla luce dei generosissimi finanziamenti pubblici di cui il gruppo ha sempre goduto sia in termini di ammortizzatori sociali, ma anche in termini di sostegno alla produttività: finanziamenti a fronte a dei quali lo Stato italiano, come contropartita, non ha ottenuto nulla, se non addirittura un danno per l'erario, il progressivo annichilimento dello sviluppo industriale del comparto automobilistico e di tutto l'indotto e della componentistica ad esso collegati, per finire con il dramma economico ed esistenziale di migliaia e migliaia di famiglie. Prima via le produzioni, poi il know-how tecnologico, poi gli investimenti, poi il cambio di sede, poi il mercato azionario, poi la tassazione più favorevole ed altro. Il 29 gennaio 2014 il consiglio di amministrazione di Fiat spa ha deliberato il definitivo abbandono dell'Italia da parte del gruppo attraverso la fusione con Chrysler group nella società Fiat Chrysler automobiles N.V. (FCA), stabilendone, contestualmente, la sede legale in Olanda e la residenza fiscale in Gran Bretagna, ma di questa cosa non ne parla più nessuno e a poco valgono le rassicurazioni fornite al riguardo dal Governo italiano e dall'Agenzia delle entrate per vigilare sul pieno rispetto, da parte della nuova società, della normativa fiscale italiana: l'obiettivo finale di questa operazione appare chiaro e sembra proprio essere quello di non pagare più un euro di tasse allo Stato italiano;
   del resto, anche l'attivismo frenetico che Sergio Marchionne dimostra nel presentare, anche a pochissimi mesi di distanza nell'arco di un anno, un nuovo piano industriale, sempre diverso dal precedente, sembra essere congegnato per distogliere l'attenzione da ciò che, realmente, ha fatto e continua a fare mentre si cancella inesorabilmente il tessuto industriale del nostro Paese;
   nel primo piano industriale (agosto 2004), dal titolo «The new Fiat group: A commitment to execution», l'amministratore delegato di Fiat aveva promesso il lancio di dieci modelli in tre anni. Dopo neanche un anno, Sergio Marchionne presenta il secondo piano industriale ove si prevede il lancio di 17 modelli nei successivi quattro anni, ma alla presentazione del terzo piano industriale (novembre del 2006) i modelli prima annunciati scendono a 15, a fronte, stranamente, di una mole di investimenti superiore a quella degli anni precedenti. Il quarto piano industriale (2009) riguarda, soprattutto, le attività americane della Chrysler; Sergio Marchionne presenta il «Piano per l'Italia», ove si prevedono addirittura trenta nuovi modelli in due anni e 8 miliardi di euro di investimenti nel settore auto. Passano quattro mesi e si arriva al quinto piano industriale, ovverosia «Fabbrica Italia»: un piano al limite dell'inverosimile, che prevede 20 miliardi di euro di investimenti per triplicare la produzione italiana di auto, per poi vendere, insieme a Chrysler, 6 milioni di vetture in tutto il mondo con 47 novità da lanciare sul mercato. Passa poco più di un anno ma il piano «Fabbrica Italia» viene ritirato, la dirigenza di Fiat ripiega sul suo settimo piano industriale, molto più modesto di quello precedente, e si arriva così all'ottavo piano (ottobre 2012), quando si scende da 6 milioni di auto stimate in termini di target di vendita a 4,6 milioni di autovetture; i modelli promossi sul mercato caleranno a trenta e sugli investimenti non si dirà praticamente nulla;
   al netto dell'energica attività di Marchionne volta a presentare i suoi piani, ivi compreso l'ultimo (il nono) del 7 maggio 2014, non si può non osservare come la recente deliberazione del consiglio di amministrazione di Fiat del 29 gennaio 2014, che comporta, come si è detto, il definitivo abbandono dell'Italia da parte del gruppo attraverso la fusione con Chrysler group nella società Fiat Chrysler automobiles N.V. (FCA), altro non rappresenti che l'epilogo finale di un disegno di conclusivo allontanamento del baricentro produttivo dall'Italia, già iniziato con la formalizzazione da parte di Fiat dell'accordo con il Governo americano e con quello canadese per la scalata in Chrysler (si confronti «Amended and restated limited liability company operating agreement of Chrysler group llc» del 10 giugno 2009);
   il contenuto di tale documento è stato portato all'attenzione del pubblico grazie ad un articolo apparso su Il Corriere della Sera del 7 gennaio 2011, a firma Massimo Mucchetti, «Ecco gli accordi di Torino per scalare Chrysler. Le clausole per salire al 6 per cento e raggiungere il controllo, le condizioni e il rimborso del prestito». Tuttavia, l'importanza del testo di tale documento, nonostante esso fosse stato pubblicato sul sito del Governo americano (http://www.treasury.gov), è stata, purtroppo, generalmente ignorata, nonostante vi fossero stabilite le regole della scalata alla allora moribonda società americana Chrysler per mezzo del concambio del travaso del know how tecnologico di Fiat in Chrysler (motore a basso consumo ed altro) e dello sviluppo produttivo di Chrysler e dei posti di lavoro americani;
   attraverso la lettura di quell'accordo è, infatti, possibile decifrare la strategia seguita da Fiat in questi anni e le conseguenze che si sono prodotte e che, ad avviso degli interroganti, potrebbero continuare a prodursi sugli stabilimenti, sull'indotto e sul lavoro in Italia, visto che il disegno esterofilo che ne discende poneva già, da tempo e di fatto, le condizioni di base per la disintermediazione dei siti produttivi italiani ed il conseguente trasferimento della ricerca e dei risultati della ricerca italiana a favore dei siti esteri;
   non appare più accettabile continuare a rimanere inermi di fronte alla strategia che la dirigenza di del gruppo Fiat Chrysler group automobiles ha adottato sino ad oggi, fatta solo di annunci di investimenti, progetti ed iniziative da intraprendere in Italia e per l'Italia, ma mai realizzati in concreto;
   il timore è che si tratti di una mera strategia di imbonimento, riempimento fumoso di notizie e di rimando, realizzata all'unico scopo di concretizzare il vero affare perseguito dalla dirigenza, ovverosia la scalata che la quotazione di Chrysler –:
   se il Ministro interrogato non intenda porre in essere ogni atto di competenza teso a convocare urgentemente la dirigenza di Fiat Chrysler group automobiles per verificare il nuovo piano industriale annunciato in data 7 maggio 2014, al fine di confermarne la credibilità, la sostenibilità finanziaria e la certezza dell'impegno, a fronte di talune opacità che emergono dagli ultimi dati di bilancio del gruppo Fiat in relazione all'ammontare complessivo dell'esposizione debitoria e, in particolare, della liquidità di cassa di cui non si comprende la precisa finalizzazione, il motivo per cui non sia stata destinata all'abbattimento del debito del gruppo, dove risulti collocata e in quali strumenti sia considerata, così da scongiurare il rischio del possibile trasferimento all'estero di ulteriori risorse «buone» di Fiat, ovvero la trasformazione di Fiat storica in una sorta di bad company, nonché verificare che dall'accordo con il Governo americano e con il Governo canadese per la «scalata» in Chrysler non discenda anche una strategia che porti ad un fortissimo ridimensionamento – sino ad un possibile definitivo smantellamento – degli stabilimenti Fiat in Italia a danno dell'erario, della dignità dei cittadini lavoratori e dello sviluppo industriale del Paese. (3-00818)


Chiarimenti in merito ai contenuti di un provvedimento all'esame del Governo in materia di incentivi per il settore delle energie rinnovabili – 3-00819

   CORSARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il settore delle rinnovabili in Italia è rappresentato da circa cinquecento gruppi aziendali con decine di migliaia di lavoratori e oltre undicimila megawatt di produzione installati – e almeno il doppio a livello globale – nel settore idroelettrico, solare, eolico, del biogas e delle biomasse oltre che nell'industria dei servizi, cui si aggiungono circa mezzo milione di produttori non professionali che, grazie agli incentivi, hanno installato un impianto sul tetto della propria casa o del proprio capannone;
   sembra che il Governo stia lavorando ad un decreto «spalma incentivi» che prevede tagli retroattivi agli incentivi corrisposti al settore delle energie rinnovabili, un provvedimento che danneggerebbe gravemente tutto il settore, già interessato, negli ultimi anni, da una lunga serie di modifiche regolatorie retroattive, quali l'eliminazione dei prezzi minimi garantiti, l'introduzione dell'imu, l'eliminazione dell'indicizzazione della tariffa incentivante del primo conto energia, l'inclusione delle stesse rinnovabili nella Robin Hood Tax, l'azzeramento del corrispettivo per il servizio di trasmissione (ctr), l'introduzione degli oneri di gestione in capo al Gestore servizi energetici ed altre ancora, che hanno impattato in misura sensibile sui conti delle singole imprese produttrici, riducendo fortemente la redditività dei progetti;
   l'introduzione di una simile misura lede, inoltre, l'affidamento degli operatori nella certezza e stabilità del regime incentivante, andando a colpire solamente le società che hanno investito, credendo nel Paese, in infrastrutture pluriennali, ed è in evidente contrasto, a giudizio dell'interrogante, sia con la disciplina europea sia con le norme costituzionali;
   si stima che la somma delle misure condurrà nel solo 2014 ad una «restituzione» di incentivi per oltre un miliardo di euro, circa ottocento milioni dei quali destinati, peraltro, in larga parte alla fiscalità generale e solo in misura limitata ad una riduzione della componente A3 a beneficio delle bollette elettriche e, quindi, dei consumatori;
   l'adozione di tale misura rischia di determinare il fallimento di buona parte degli operatori, con seri impatti occupazionali, compromettendo in modo irrimediabile la posizione del nostro Paese in questo settore a livello europeo e mondiale –:
   quali siano i contenuti effettivi del provvedimento allo studio del Governo e se non ritenga di introdurre dei criteri di garanzia per il settore delle energie rinnovabili, mantenendo un principio di affidamento per le aziende anche straniere che si sono impegnate in questo settore in Italia, nonché salvaguardando le aziende e i lavoratori. (3-00819)


Iniziative per garantire un'adeguata presenza di specifiche professionalità mediche sull'intero territorio nazionale – 3-00820

   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli anni ’80 del XX secolo, le facoltà di medicina italiane sfornarono un'enorme quantità di professionisti laureati, successivamente abilitati, che portò il nostro Paese ad avere una concentrazione di medici tra le più alte d'Europa, generando il cosiddetto fenomeno della pletora medica, che tante ricadute negative ebbe anche sulla disponibilità di sbocchi occupazionali per la generazione di laureati in medicina in quegli anni;
   ai picchi di laureati in medicina e chirurgia degli anni ’80 consegue fisiologicamente un picco di pensionamenti attesi, che, nonostante i differimenti dell'età pensionabile introdotti dalla «riforma Fornero», è comunque previsto nei prossimi dieci anni;
   negli anni ’90, anche per ridurre gli effetti negativi correlati ad un numero crescente di medici senza sbocco professionale, è stato introdotto in Italia il numero programmato degli accessi a medicina e chirurgia;
   tale programmazione degli accessi non è stata collegata alla domanda di professioni sanitarie da parte del mercato, ma alla capacità strutturale formativa degli atenei italiani;
   per effetto di tale contingentamento degli accessi a medicina, il numero complessivo degli studenti si è notevolmente ridotto, così come si è significativamente abbassato il numero dei laureati;
   nonostante la drastica riduzione del numero degli accessi, la difficoltà per i medici italiani nel reperire un adeguato sbocco professionale è rimasta comunque elevata anche negli anni più recenti, sia per l'intervento di nuove norme comunitarie che hanno significativamente inciso sui percorsi di formazione post laurea, sia per la sostanziale occupazione da parte dei medici «prodotti dalla pletora» delle posizioni professionali nel settore pubblico, nella medicina convenzionata e in quella accreditata;
   la marcata riduzione del turn over dei medici ha comportato, da un lato, l'invecchiamento degli organici in attività e, dall'altro, il crescente ricorso a rapporti di lavoro precari con i professionisti più giovani, circostanze che rendono assai difficile la crescita professionale e che sono conseguentemente un freno al complessivo miglioramento qualitativo dell'offerta di salute garantita dal sistema;
   il progressivo invecchiamento anagrafico delle risorse umane disponibili nel settore dell'assistenza comporta, a sua volta, il rischio di scadimento della qualità delle prestazioni, ciò perché è causa di perdita di motivazione (sia di crescita professionale, che di carriera) da parte dei sanitari, ma anche perché affida compiti assai impegnativi sotto il profilo del carico di stress (guardie notturne, reperibilità notturne e festive) a sanitari che risentono dell'usura degli anni, spesso essi stessi portatori di handicap fisici e patologie che li rendono quanto meno inadatti alle attività di lavoro più stressanti;
   l'invecchiamento anagrafico delle professioni sanitarie all'interno dell'offerta pubblica, associato alle tutele di legge che scattano nei confronti degli stati di usura, allontanano molti sanitari dalle attività a più alto impegno psico-fisico, per cui, in alcune circostanze, hanno comportato situazioni paradossali, come la necessità di attivare contratti specifici con giovani medici esclusivamente indirizzati alla copertura dei turni di guardia notturna e festiva;
   tali situazioni appaiono sicuramente insostenibili sotto il profilo dei percorsi di professionalizzazione dei giovani medici, ma anche della garanzia della qualità dell'offerta sanitaria;
   gli attuali laureati in medicina si trovano davanti alla necessità di completare comunque la propria attività di training, attraverso l'accesso ad una scuola di specializzazione (o alla formazione di medicina generale), indispensabile per poter partecipare alla concorsualità pubblica;
   il numero dei contratti di formazione e di accessi ai corsi propedeutici alle attività di medicina generale a disposizione dei giovani medici neolaureati è oggi significativamente inferiore, come più volte rilevato dalle azioni di sindacato ispettivo e di proposta del Parlamento, rispetto al numero dei laureati;
   la maggior parte degli altri Paesi europei ha comunque istituito una vera e propria attività di formazione universitaria, anche per quanto attiene ai percorsi di accesso alla medicina generale, puntando alla massima qualificazione delle specifiche risorse professionali, ormai indispensabile per la sostenibilità qualitativa ed economica del sistema;
   tale discrepanza tra i laureati che escono dalla facoltà di medicina e la disponibilità di accessi alle scuole di specializzazione per medici è il segnale di un'incredibile carenza di programmazione, che costringe i medici italiani a cercare fuori dal nostro Paese un accettabile sbocco professionale, impoverendo in modo sostanziale il servizio sanitario nazionale italiano e certificando l'utilizzo non coerente delle risorse economiche destinate alla formazione universitaria di area medica;
   l'attuale programmazione dei contratti formativi per specialità è affidata ad un percorso concordato tra le regioni e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che dovrebbe sostanzialmente dare risposta alle esigenze di prospettiva della domanda sanitaria delle singole regioni italiane;
   tale programmazione degli accessi alle singole specialità è in realtà del tutto aleatoria e sostanzialmente correlata allo «storico consolidato», sia a causa dell'incapacità/impossibilità delle regioni di prevedere con lustri di anticipo le proprie esigenze in termini di professionalità sanitarie, sia per la libera circolazione delle professionalità stesse (nel territorio nazionale e non solo), che non consente certo una programmazione regionale delle necessità che risulti adeguata alla realtà;
   l'assenza di una programmazione adeguata inizia a farsi sentire, con particolare acuzie sia nelle specialità chirurgiche più raffinate e impegnative (anche per l'effetto dissuasivo legato alla crescita del relativo rischio professionale), sia in quelle dei servizi (radiologia, anestesiologia);
   tale carenza di specifiche specialità è ancora più sentita nei sistemi sanitari regionali più deboli (quelli del Meridione d'Italia e delle Isole), con situazioni di minor gratificazione dei contesti professionali e di minor prospettive di redditività economica per i singoli professionisti;
   è di pochi giorni fa la certificazione della drammaticità della situazione attraverso la clamorosa azione di reclutamento di professionalità mediche promossa dalla azienda sanitaria locale di Foggia, il cui direttore generale Attilio Manfrini ha scritto ai consolati di Spagna, Grecia e Albania per reperire gli undici anestesisti e gli undici medici di pronto soccorso che non riesce a trovare attraverso la concorsualità pubblica rivolta all'offerta locale;
   tale situazione di sofferenza appare estesa anche alle restanti professionalità sanitarie, con crescenti carenze nell'intero skill mix dell'offerta –:
   quali misure di propria competenza intenda adottare per garantire l'adeguata presenza di specifiche professionalità mediche nei contesti territoriali regionali a più alto rischio di desertificazione, assicurando un adeguato turn over anche nella medicina generale, rafforzando contemporaneamente i percorsi formativi, la cui qualità appare oggi davvero cruciale per il futuro del servizio sanitario nazionale italiano. (3-00820)


Problematiche relative al piano di riconversione del presidio ospedaliero Maresca di Torre del Greco (Napoli) nell'ambito del piano di rientro dai disavanzi sanitari della Campania – 3-00821

   FORMISANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 settembre 2013, la componente Centro Democratico del Gruppo Misto ha presentato un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea al Ministro interrogato concernente la prevista riconversione del presidio ospedaliero «A. Maresca» di Torre del Greco;
   questa decisione rientrava nel piano di rientro del settore sanitario, deciso dal commissario ad acta con decreto n. 49 del 27 settembre 2010, nel quale veniva approvato il riassetto della rete ospedaliera territoriale, disponendo che i direttori generali ed i commissari straordinari delle aziende sanitarie locali procedessero alla presentazione di un piano attuativo aziendale di riorganizzazione, di riconversione, di riallocazione e/o di dismissione dei propri presidi, ovvero di concentrazione di funzione specifiche, come quelle relative alle attività di emergenza e di pronto soccorso;
   in quell'interrogazione si sottolineavano i gravi problemi che una simile scelta avrebbe comportato e si preannunciava che si sarebbe tornati sull'argomento qualora non vi fossero state soluzioni positive in tempi brevi, stante l'accertata scarsità di posti letto in Campania;
   in particolare, nell'atto di sindacato ispettivo presentato l'11 settembre 2013 si osservava che «la riconversione stessa del presidio ospedaliero Maresca era subordinata all'attivazione dell'emergenza ed urgenza all'Ospedale del mare di Ponticelli, struttura polifunzionale che tuttora è in costruzione e interessata da provvedimenti legali e contrattuali che ne inficiano il completamento e l'apertura»;
   nella sua risposta sempre l'11 settembre 2013, il Ministro interrogato ricordava che: «L'intervento che coinvolge l'ospedale Maresca e l'ospedale di Boscotrecase risulta (...) coerente con gli obiettivi del decreto n. 49 del 2010, che prevede l'individuazione del presidio ospedaliero di Boscotrecase quale spoke per la rete cardiologica e la riorganizzazione programmata dei punti nascita. Per il presidio ospedaliero Maresca di Torre del Greco il medesimo decreto prevede che il relativo punto nascita, con annessa la neonatologia, confluisca nel presidio di Boscotrecase, nelle more del completamento della nuova azienda ospedaliera «Ospedale del mare»;
   sempre nella sua risposta il Ministro interrogato affermava: «Tanto evidenziato, l'interrogazione pone comunque un tema che non intendo affatto ignorare. Riconosco che la disciplina della gestione sanitaria nelle regioni sottoposte a piano di rientro ad oggi privilegia gli obiettivi di equilibrio di bilancio e di stabilità finanziaria rispetto a quelli, altrettanto fondamentali ed ineludibili, degli standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni erogate agli assistiti del servizio sanitario nazionale. Sul tema, è mia ferma intenzione, nell'ambito del nuovo patto della salute, proporre un lento cambiamento di rotta per garantire, nel rispetto degli equilibri di bilancio e tenuto anche conto dei risultati, più che confortanti, già raggiunti in tale ambito, maggiore adeguatezza a standard elevati delle prestazioni di assistenza sanitaria delle regioni sottoposte a piani di rientro»;
   otto mesi dopo del citato Ospedale del mare non si sa ancora nulla ed è prevedibile che nulla ancora accada e che si debba attendere almeno altri 2-3 anni perché il progettato Ospedale del Mare diventi realtà;
   i problemi sottolineati nell'atto di sindacato ispettivo del settembre 2013 non solo non sono stati risolti, ma anzi sono ancor più aggravati, tanto che il tribunale di Napoli sta esaminando una denuncia per omissione di soccorso, omissione di atti d'ufficio e per altri reati, dovuta al depauperamento delle attrezzature sanitarie del presidio ospedaliero «A. Maresca» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopra esposta e cosa intenda fare, nell'ambito delle sue competenze, per contribuire, possibilmente anche effettuando un sopralluogo, a risolvere una volta per tutte una grave questione che preoccupa molto i cittadini di un'area molto vasta (circa 350 mila abitanti), che vengono lasciati senza assistenza sanitaria pubblica, rafforzando strutture isolate e fatiscenti con conseguenti perdite in termini monetari e di diritto alla salute. (3-00821)


Iniziative per il trattamento dei pazienti colpiti da epatite C, con particolare riferimento ai tempi per la procedura autorizzativa di un nuovo medicinale a base del principio attivo «sofosbuvir» – 3-00822

   DORINA BIANCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è il Paese europeo con una prevalenza di infezione da epatite C (HCV) tra le più elevate, con una media stimata del 2,6 per cento, con una prevalenza superiore al 5 per cento al Sud in pazienti con età superiore ai 65 anni (1-3). Ogni anno circa 8.000 decessi sono attribuibili all'epatite C (HCV); il carcinoma epatocellulare (HCC), di cui la cirrosi epatica da epatite C rappresenta una delle cause principali, è responsabile ogni anno di 3.000 decessi (1-4);
   l'evoluzione della malattia epatica da epatite C (HCV) comporta lo sviluppo di cirrosi nell'arco di due o tre decenni dall'inizio dell'infezione;
   è notizia di questi giorni che è stato registrato con autorizzazione centralizzata un nuovo medicinale a base del principio attivo «sofosbuvir» e che, rispetto alle terapie già approvate per tale patologia, sembra essere in grado di modificare significativamente l'evoluzione della malattia;
   studi clinici finora condotti sulla rispondenza del medicinale a base del richiamato principio attivo hanno fornito risultati incoraggianti nel trattamento del genotipo 1, che è quello a maggiore prevalenza in Italia –:
   come il Ministro interrogato intenda affrontare il trattamento della numerosa platea di pazienti colpiti dall'infezione da epatite C (HCV), garantendo al contempo equità ed omogeneità di accesso al medicinale a carico del servizio sanitario nazionale, e quali siano i tempi stimati per concludere la procedura autorizzativa del predetto medicinale in Italia. (3-00822)


Misure sanitarie per tutelare i cittadini in relazione al flusso di immigrati provenienti dal Mediterraneo, con particolare riferimento alla diffusione di un'epidemia del virus ebola in varie aree dell'Africa – 3-00823

   RONDINI, GUIDESI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI e PRATAVIERA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dal mese di gennaio 2014 si sta manifestando in Guinea una seria epidemia di febbre ebola che ha già provocato numerose vittime tra anziani, adulti e bambini, oltre a centinaia di casi di contagio;
   secondo Medici senza frontiere si tratta di un'epidemia senza precedenti nell'Africa dell'ovest per il virus ebola, molto contagioso e spesso mortale; negli ultimi giorni l'allarme si è fatto sempre più preoccupante: l'associazione ha dichiarato che «in Africa si può parlare di epidemia». «Sembrava una malattia sconfitta negli anni ’90, ma solo nell'ultima settimana ha causato oltre cento morti nella regione centroafricana». Secondo le autorità sanitarie si è davanti ad una «epidemia senza precedenti», che dalla Guinea, dove dilaga, ha raggiunto il Mali e la Liberia e si teme possa continuare ad espandersi;
   il virus, che ha sempre interessato la regione centrafricana, non si era mai spinto tanto a nord come in questi giorni;
   diversi Paesi africani hanno deciso di rafforzare il controllo sanitario alle frontiere, in particolare all'aeroporto di Casablanca, in Marocco, principale piattaforma aeroportuale dell'Africa del Nord;
   l'Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato l'allarme per gli aeroporti di Parigi, Bruxelles, Madrid, Francoforte e Lisbona. Sono questi, infatti, gli scali che collegano l'Europa alla Guinea;
   con una circolare emanata il 4 aprile 2014 il Ministero della salute «raccomanda di adottare ogni utile azione di vigilanza in riferimento ad arrivi indiretti» dalla Guinea e altri Paesi confinanti dell'Africa, qualora si riscontrino sintomi riconducibili alla malattia;
   benché nelle dichiarazioni ufficiali il Ministero della salute minimizzi il pericolo di diffusione e contagio della malattia, sono stati allertati il Ministero della difesa, le regioni, l'Enac, la Croce rossa e l'Istituto nazionale per le malattie infettive. Ad ognuna di queste, il dicastero ha indirizzato precise direttive per agire in contrasto alla possibile epidemia;
   sull'urgenza di predisporre misure di tutela sanitaria gli interroganti ravvedono una chiara connessione con l'arrivo, negli ultimi mesi, di ondate senza precedenti di migranti attraverso il Mediterraneo provenienti da tutto il continente africano, in coincidenza con l'avvio dell'operazione Mare Nostrum;
   ogni giorno sbarcano sulle coste italiane migliaia di immigrati provenienti anche dalle zone dove si sta sviluppando l'epidemia; è sufficiente che un singolo individuo sia infetto, anche nella fase di incubazione, quando i sintomi non sono ancora evidenti, per contagiare decine di persone;
   queste persone vengono ospitate dallo Stato in varie strutture su tutto il territorio nazionale, dove, qualora malati, potrebbero contagiare altre persone: i loro compagni ed il personale preposto al loro ricevimento;
   consiglieri comunali e regionali di tutte le regioni italiane, compresi esponenti del Partito democratico, stanno tentando di sensibilizzare il Governo e, in particolare, il Ministero della salute in relazione alla forte presenza di immigrati clandestini, lamentando che, pur in presenza di un allarme conclamato e dichiarato, non siano state predisposte misure di prevenzione e sorveglianza adeguate sui migranti e richiedenti asilo alloggiati in tutto il Paese;
   la mancanza di indicazioni ed informazioni chiare relativamente agli accertamenti sanitari sulle malattie infettive sta scatenando allarme sociale e paura diffusa circa la possibilità di contagi anche attraverso l'utilizzo di mezzi pubblici per gli spostamenti degli immigrati giunti attraverso il Mediterraneo; notizie di cronaca riportano, ad esempio, di richieste di annullamento di gite scolastiche da parte di genitori preoccupati per la salute dei propri bambini –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare nuove e più stringenti misure sanitarie al fine di tutelare i cittadini e gli operatori che vengono a contatto con gli immigrati provenienti dal Mediterraneo, interrompendo lo smistamento senza controlli approfonditi degli stessi già presenti sul territorio, in coordinamento con il Ministero dell'interno al fine di predisporre un cordone sanitario per tutelare la popolazione anche rispetto agli sbarchi. (3-00823)


Iniziative per il pieno riconoscimento professionale della categoria degli osteopati – 3-00824

   ABRIGNANI, PALESE e BALDELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è notevole il numero degli italiani che si rivolgono agli osteopati e ai chiropratici per varie sindromi dolorose del sistema osteo-muscolare, richiedendo, a fronte di manipolazioni vertebrali complesse, competenze specifiche, che non è possibile accertare in queste figure che, pur muovendosi nell'area sanitaria, sono prive di una professionalità riconosciuta;
   si deve tener conto dell'assoluta diversità dei percorsi formativi seguiti dai chiropratici e dagli osteopati che frequentano corsi brevi (al massimo due anni) e non formalizzati nel sistema professionale poiché manca una normativa di settore; i corsi, oltretutto, possono essere rivolti a personale privo di diplomi che garantiscano conoscenze di natura sanitaria;
   la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), al comma 355 dell'articolo 2 ha istituito la professione sanitaria di chiropratico, affidando al Ministero della salute il compito di emanare un regolamento di attuazione. La citata norma non è stata, tuttavia, di facile attuazione poiché presentava alcune criticità, anche in relazione alla sua compatibilità con il sistema generale delle professioni sanitarie, dal momento che non ha delineato il profilo professionale del chiropratico e non ha indicato quali attività egli può porre in essere, domandando la questione ad un regolamento di attuazione da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge suddetta;
   la stessa normativa ha previsto l'istituzione presso il Ministero della salute di un registro dei chiropratici, la cui iscrizione è riservata ai possessori del diploma di laurea magistrale in chiropratica o titolo equivalente, previsione che attualmente risulta inapplicabile, in quanto allo stato attuale detto corso di laurea non risulta attivo presso nessuna università, né è stato elaborato il relativo ordinamento didattico in cui stabilire quale laurea straniera sia da considerarsi equipollente, perché non si dispone del parametro di riferimento nazionale, costituito appunto dall'ordinamento didattico;
   la legge 14 gennaio 2013, n. 4, recante «Disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini e collegi», dava, invece, l'opportunità all'osteopatia di entrare a pieno titolo nelle professioni riconosciute secondo un modello di autoregolamentazione basata sul rispetto della norma UNI, assicurando, di fatto, una forma di garanzia per gli utenti per la scelta di operatori «accreditati» del settore;
   la suddetta legge prevedeva la possibilità di costituire delle associazioni a carattere professionale su base volontaria, volte, da un lato, a valorizzare le competenze degli associati, dall'altro a garantire il rispetto delle regole deontologiche e, dunque, la tutela degli utenti;
   recentemente, invece, il Sottosegretario di Stato per la salute Vito De Filippo ha risposto ad un'interrogazione proposta dall'onorevole Binetti in merito al profilo professionale degli osteopati che «le attività svolte dall'osteopata rientrano nel campo delle attività riservate alle professioni sanitarie»;
   tale interpretazione avrebbe l'effetto di portare ad un arretramento rispetto alla legge in materia di professioni non organizzate del 2013 e comporterebbe due gravi conseguenze: da un punto di vista più strettamente giuridico tutti gli osteopati operanti sul territorio italiano si renderebbero responsabili del delitto di cui all'articolo 348 del codice penale (esercizio abusivo della professione medica), mentre da un punto di vista economico-sociale si determinerebbe l'espulsione di circa 10 mila professionisti dal mercato, con conseguente perdita di lavoro di un indotto di circa 45.000 lavoratori –:
   se il Governo intenda attivarsi per un pieno riconoscimento della professionalità della categoria degli osteopati, anche alla luce del fatto che, oltre ad essere già stata approvata una legge che comprendeva gli osteopati nella categoria delle professioni riconosciute, sia la Commissione europea che il Parlamento europeo stanno chiedendo a gran voce la limitazione delle attività riservate secondo il principio della libera circolazione. (3-00824)


Iniziative per il monitoraggio epidemiologico delle aree del territorio nazionale inquinate, con particolare riferimento a quelle rientranti nei siti di interesse nazionale – 3-00825

   ZOLEZZI, CECCONI, GRILLO, DI VITA, DALL'OSSO, SILVIA GIORDANO, BARONI, MANTERO, LOREFICE, MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, TERZONI, SEGONI, TOFALO, COLONNESE, DI BENEDETTO e CRIPPA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lo studio «Sentieri», condotto dall'Istituto superiore di sanità e finanziato dal Ministero della salute, ha consentito l'analisi della mortalità per 63 cause ascrivibili alla compromissione ambientale nelle aree inquinate del territorio italiano definite «siti di interesse nazionale» (SIN), ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, «Norme in materia ambientale», in cui risiede circa il 10 per cento della popolazione italiana in 44 siti, nei periodi 1995-2002 ed estensione al periodo 2003-2009; un quinto della popolazione ivi residente è costituita da bambini e ragazzi al di sotto dei 20 anni di età, almeno un milione di persone;
   i dati relativi al periodo 1995-2002 hanno dimostrato l'incremento di mortalità per le aree rientranti nei siti di interesse nazionale rispetto alle aree nazionali non rientranti nei siti di interesse nazionale per un ammontare complessivo di circa 1.200 decessi all'anno aggiuntivi, in particolare per quanto riguarda la mortalità oncologica; da altri studi in specifiche realtà (come quella del sito di interesse nazionale «Laghi di Mantova») sono emersi dati preoccupanti relativamente all'incidenza di malformazioni congenite (400 ogni diecimila nascite, dati dell'azienda sanitaria locale di Mantova, il doppio rispetto ad altre realtà nazionali), alla natimortalità e alla mortalità infantile;
   i dati relativi al periodo 2003-2009 («Sentieri 3») sono stati parzialmente pubblicati sulla rivista dell'Associazione italiana di epidemiologia; si rileva, fra l'altro, che i bimbi sotto l'anno di vita, se crescono vicino alle aree contaminate, hanno un rischio di morte per tutte le cause più alto del 4 per cento, mentre per cause tumorali l'incremento è decisamente maggiore: a Mantova, per esempio, l'incremento di mortalità oncologica nella fascia d'età 0-1 anni e 1-14 anni risulta addirittura del 64 e del 23 per cento; nei bambini il metabolismo accelerato rispetto agli adulti li espone più degli adulti all'inquinamento ambientale, inclusi i tumori; in contrasto si rileva il mancato finanziamento di un progetto di monitoraggio dei ricoveri e della mortalità infantile, che sarebbe costato solo 350 mila euro, briciole rispetto a quanto si spreca affidando bonifiche ai privati o non facendo prevenzione rispetto ai rischi sanitari e ai futuri costi di cura;
   gli epidemiologi suggeriscono il monitoraggio infantile non limitato alla mortalità ma esteso agli accessi in ospedale;
   per quanto concerne gli adulti i dati risultano ancor più sconcertanti rispetto al rapporto precedente; in particolare, per i tumori di tiroide, mammella, pleura si riscontra un ulteriore incremento dell'incidenza; lo stesso vale per le ospedalizzazioni, anche se i dati riguardano per ora solo 18 siti di interesse nazionale, quelli dove esiste un registro tumori, mentre entro la fine del 2014 dovrebbero essere disponibili i dati di tutti i 44 siti di interesse nazionale; ad oggi si comprende che l'inquinamento è impattante sulla salute e sull'ambiente non solo a Taranto e nella «Terra dei fuochi»;
   le conoscenze scientifiche ed epidemiologiche rendono ora possibile e indifferibile prevedere procedure di valutazione integrata dell'impatto ambientale e sanitario;
   esistono ormai sul territorio italiani affidabili database epidemiologici digitali che possono fornire indicazioni sullo stato di salute delle popolazioni e suggerire eventuali fattori ambientali impattanti; tali dati devono essere solo processati e certificati in quello che viene definito «referto epidemiologico», garantendo le opportune risorse per eseguire tali procedure –:
   quali azioni intenda mettere in atto il Ministro interrogato per proseguire ed implementare il monitoraggio epidemiologico delle aree del territorio nazionale inquinate e, in particolare, di quelle rientranti nei siti di interesse nazionale, con particolare riferimento alla popolazione pediatrica e, interfacciandosi con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per accelerare le procedure di bonifica dei siti di interesse nazionale. (3-00825)


Iniziative per l'implementazione di una scheda di raccolta dati sull'attuazione della legge n. 194 del 1978 in materia di interruzione volontaria della gravidanza – 3-00826

   GIGLI e BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2 della Costituzione della Repubblica italiana «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo» e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale;
   all'articolo 1 della legge n. 194 del 1978 si afferma che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio, mentre l'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite;
   la norma dispone, altresì, che lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovino e sviluppino i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite;
   i consultori familiari sono tenuti, ai sensi dell'articolo 2 della stessa legge, a informare la donna in stato di gravidanza sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio, oltre che sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante;
   gli stessi consultori debbono anche contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza e possono avvalersi, per attuare i fini previsti dalla legge, della collaborazione di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita;
   ai sensi dell'articolo 5 della stessa legge, il consultorio e le strutture socio-sanitarie hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero all'interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto;
   per l'adempimento dei compiti ulteriori assegnati dalla legge n. 194 del 1978 ai consultori familiari è stata prevista l'assegnazione di specifiche risorse finanziarie;
   dall'esame delle annuali relazioni al Parlamento del Ministro della salute sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978 non risultano dati riguardanti le attività sopra descritte previste dagli articoli 2, 3 e 5 e finanziate a norma dell'articolo 4;
   in data 29 maggio 2013, in risposta ad un'interrogazione dei deputati Gigli e Binetti, il Sottosegretario pro tempore Paolo Fadda dichiarava che i dati richiesti dagli interroganti sugli interventi di prevenzione dell'aborto non sono in possesso del Ministero della salute, anche per oggettive carenze dei flussi informativi;
   lo stesso Sottosegretario comunicava contestualmente l'impegno del Ministero della salute ad avviare presso le regioni un'adeguata iniziativa, anche con formale lettera, non solo per sensibilizzare le strutture sanitarie con particolare riguardo al mondo del volontariato per promuovere e sostenere importanti canali di collaborazione e supporto tra i consultori e le associazioni di volontariato, ma soprattutto per richiedere una specifica dei dati con maggiore livello di dettaglio in relazione ai singoli quesiti posti;
   più recentemente la XII Commissione permanente della Camera dei deputati, in riferimento alla relazione del Ministro della salute sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, ha approvato, in data 6 marzo 2014, una risoluzione nella quale, dopo aver confermato la necessità di una maggiore valutazione dei consultori familiari quali servizi primari di prevenzione del fenomeno abortivo, ha impegnato il Governo «a dare piena attuazione agli articoli 2 e 5 della legge n. 194 del 1978» per favorire la tutela sociale della maternità –:
   se, a seguito dell'impegno assunto dal Sottosegretario pro tempore Fadda e richiamato in premessa, sia stata predisposta l'implementazione di una scheda di raccolta dati sull'attuazione della legge n. 194 del 1978, tale da prevedere da parte delle regioni la comunicazione dei dati utili a calcolare il numero delle gestanti per le quali siano stati attivati i colloqui previsti dalla legge, a esaminare le cause che inducono all'interruzione volontaria della gravidanza, per tentarne la rimozione, a conoscere il numero delle gestanti per cui siano stati disposti interventi personalizzati a sostegno della maternità, a quantificare il numero di aborti evitati e l'ammontare degli impegni finanziari assunti a tale scopo, nonché a riferire il numero e la tipologia delle collaborazioni attivate con le associazioni di volontariato che hanno come finalità statutaria l'aiuto alle gestanti in difficoltà. (3-00826)


Tempi e modalità per la sottoscrizione del Patto per la salute 2013-2015 – 3-00827

   LENZI, AMATO, ARGENTIN, BENI, BOSSA, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, IORI, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PICCIONE, SBROLLINI, SCUVERA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le manovre finanziarie degli ultimi anni e la legge sulla spending review del 2012 hanno agito profondamente sul fabbisogno finanziario del servizio sanitario nazionale, violando gli impegni stabiliti dal precedente Patto per la salute 2010-2012 e generando indiscutibili effetti sull'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;
   i tagli al servizio sanitario nazionale sono stati fortemente contestati dalle regioni la cui conseguenza è stata la mancata approvazione del nuovo Patto per la salute 2013-2015;
   il nuovo Patto per la salute dovrebbe definire:
    a) il fabbisogno del servizio sanitario nazionale e i costi standard, nonché l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza;
    b) il sistema di monitoraggio e verifica degli adempimenti regionali e organismi di monitoraggio, la rivisitazione cosiddetti piani di rientro;
    c) il regolamento ai sensi dell'articolo 15, comma 13, lettera c), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, di definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera;
    d) la mobilità interregionale e transfrontaliera;
    e) l'edilizia sanitaria, fondi strutturali e politiche di coesione;
    f) attività intramoenia-professioni sanitarie. Accordi collettivi nazionali per la medicina generale, per la pediatria di libera scelta, per gli specialisti ambulatoriali, formazione specifica in medicina generale, personale del servizio sanitario nazionale, nonché assistenza primaria-continuità assistenziale;
    g) assistenza farmaceutica e dispositivi medici;
    h) piano nazionale di prevenzione, riordino istituti zooprofilattici sperimentali; ricerca sanitaria;
   il nuovo Patto per la salute potrebbe, quindi, contenere scelte significative per una vera e propria riforma del servizio sanitario nazionale, che dovrebbero, comunque, rafforzare il suo carattere pubblico ed universalistico, partendo dall'elemento imprescindibile che è la quantificazione e la certezza del budget complessivo del fondo sanitario nazionale per il prossimo triennio e la revisione dei livelli essenziali di assistenza, riformandoli e correlandoli con la dotazione finanziaria dello stesso fondo, senza che venga meno il principio della dignità sociale per i cittadini che ricorrono al servizio sanitario nazionale;
   nell'attesa della stipula del nuovo patto per la salute, in molte regioni vi è un forte allarme per ciò che riguarda la riorganizzazione della rete ospedaliera –:
   quali siano stati i motivi che hanno impedito, fino ad oggi, la conclusione e la sottoscrizione del nuovo Patto per la salute e quali termini e modalità siano previsti affinché, nel più breve tempo possibile, si possa arrivare alla sua sottoscrizione. (3-00827)