Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 1 giugno 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, è entrata in vigore il 28 dicembre 2006, dopo quasi tre anni di lavoro e un iter legislativo particolarmente complesso, per i contrasti politici che ha incontrato e che ne hanno modificato la formulazione iniziale;
    essa viene anche denominata «direttiva servizi» o «direttiva Bolkenstein», dal nome del commissario europeo per il mercato interno, Fritz Bolkenstein, della Commissione presieduta da Romano Prodi, che ha curato e sostenuto questa direttiva. La direttiva «servizi» è basata sugli articoli 43-48 (Il diritto di stabilimento) e 49-55 (I servizi) del Trattato che istituisce la comunità europea e si pone l'obiettivo di facilitare la circolazione e la fruibilità dei servizi nell'Unione europea, secondo i criteri tracciati dalla Strategia di Lisbona;
    il comma 1 dell'articolo 1 chiarisce che la direttiva contiene «disposizioni generali che permettono di agevolare l'esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi». Questo obiettivo è declinato nelle seguenti azioni strategiche: 1) facilitare la libertà di stabilimento dei servizi nell'Unione europea. A tal fine, gli Stati membri si impegnano ad eliminare gli ostacoli che impediscono o scoraggiano gli operatori di altri Stati membri a stabilirsi sul loro territorio; 2) facilitare la libertà di prestazione dei servizi nell'Unione europea. Per potenziare l'offerta transfrontaliera di servizi, la direttiva precisa il diritto dei destinatari ad utilizzare servizi di altri Stati membri; 3) promuovere la qualità dei servizi. La direttiva mira a rafforzare la qualità dei servizi incoraggiando ad esempio la certificazione volontaria delle attività o l'elaborazione di carte di qualità e incoraggiando l'elaborazione di codici di condotta europei, in particolare da parte di organismi o associazioni professionali; 4) stabilire una cooperazione amministrativa effettiva tra gli Stati per favorire la crescita del mercato dei servizi, per garantire una protezione equivalente su questioni generali e per garantire un efficace controllo dei servizi;
    la direttiva servizi doveva essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 28 dicembre 2009. Il Consiglio medesimo ha riconosciuto che affinché il mercato dei servizi diventi una realtà, dovranno essere eliminati gli ostacoli legislativi, ma anche non legislativi presenti nei diversi Stati membri. Infatti, non è sufficiente una semplice legge per applicare la direttiva «servizi», ma sono necessari anche un impegno importante di razionalizzazione del diritto amministrativo e una serie di iniziative concrete, di carattere organizzativo e di sostegno delle azioni finalizzate ad assicurare le informazioni per i prestatori e per i destinatari;
    la direttiva «servizi» si presenta come una «direttiva quadro». Essa non mira a dettare norme specifiche per la regolamentazione della materia dei servizi, ma tratta le questioni con un approccio orizzontale, con l'obiettivo di perseguire l'armonizzazione della materia nel tempo;
    secondo la direttiva «servizi», gli Stati membri devono esaminare ed eventualmente semplificare le procedure e le formalità applicabili per accedere ad un'attività di servizi ed esercitarla. Le procedure autorizzative possono essere mantenute solo se rispettano i principi di non discriminazione e di proporzionalità; i requisiti richiesti per rilasciare le autorizzazioni possono essere mantenuti solo se siano giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di salute pubblica, di tutela dell'ambiente;
    con il decreto legislativo n. 59 del 2010, lo Stato italiano ha dato attuazione alla direttiva comunitaria per la liberazione dei servizi nel mercato interno. Il decreto è diviso in tre parti. Nella prima si stabiliscono i principi generali a cui tutte le pubbliche amministrazioni dovranno attenersi nell'applicazione del decreto: l'ambito di applicazione, le definizioni, le modalità di accesso, i regimi autorizzatori, la semplificazione amministrativa, la tutela dei destinatari, la qualità dei servizi e la collaborazione amministrativa fra Stati. Nella seconda parte si disciplinano alcuni procedimenti riconducibili alla competenza di indirizzo e vigilanza di alcuni ministeri, gestiti in buona parte dai comuni. Nella terza parte, oltre a modifiche e abrogazioni, viene normato il rapporto tra la legge statale e le leggi regionali, in materia di applicazione della direttiva «servizi»;
    nel difficile rapporto tra governo del territorio e libertà d'iniziativa economica – che pone al centro la potestà di conformazione dei suoli attribuita ai pubblici poteri – il recepimento della direttiva Bolkestein nel nostro ordinamento con particolare riferimento alle attività commerciali incontra ancora forti resistenze a livello regionale/locale nel favorire – lì dove non vi siano limiti ambientali, culturali o della sicurezza pubblica – l'impulso comunitario diretto all'affermazione della libertà del mercato e nel mercato;
    si tratta di resistenze non incomprensibili se si pensa alla forte connessione tra la presenza di concessioni demaniali o di altro tipo e la generazione di economie locali che rappresentano spesso una delle poche fonti di reddito capaci di mantenere la coesione socio-economica, in un momento di estrema difficoltà sociale ed economica per il contesto italiano;
    le tensioni che si vengono a creare ogni qualvolta si reintroduce il tema della concreta applicazione della direttiva «servizi» nei vari contesti territoriali italiani non possono dunque essere ridotte ad una mera rigida presa di posizione a tutela di interessi economici incancreniti, ma anche all'incapacità degli attori coinvolti di trovare il corretto bilanciamento tra interessi economici e interessi lato sensu pubblici, riguardando in particolare le modalità attraverso le quali le amministrazioni operano le loro scelte di conformazione dei suoli e la loro destinazione edificatoria e d'impresa;
    presso questo ramo del Parlamento sono in discussione una serie di provvedimenti l'applicazione della direttiva Bolkestein su vari rami dell'economia. Tra questi, il disegno di legge che reca una delega al Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo;
    anche le guide turistiche stanno correndo il rischio di non vedere più riconosciuta la loro qualificazione professionale, a seguito del processo di revisione della direttiva Bolkestein. La guida turistica, per definizione, è specializzata nell'illustrazione del patrimonio di un territorio. Le conoscenze e competenze acquisite nel paese di origine non sono automaticamente trasferibili nel Paese ospitante. La guida turistica sembra l'unica professione che, perdendo la competenza territoriale, perde la sua competenza specifica. L'adozione della tessera professionale europea per professioni come quella di guida turistica, in cui la formazione è diversa tra lo Stato di origine e quello ospitante, rischia di eliminare le prove compensative. La qualificazione verificata dallo Stato di origine non è sufficiente. Una guida che esercita in una città d'Europa potrebbe effettuare visite guidate ed illustrare l'identità culturale di 27 paesi, senza dimostrare di possederne la conoscenza,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte ad una revisione del decreto legislativo n. 59 del 2010, garantendo l'estensione del regime del periodo di proroga transitoria delle concessioni demaniali, marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo, al fine di contenere le ripercussioni negative sul tessuto economico e sociale;
2) ad avviare iniziative volte a censire tutte le strutture destinate a regime concessorio demaniale nelle zone marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo, al fine di garantire la trasparenza, il regime di accesso e la tutela degli interessi pubblici e di valutare l'introduzione di una politica di revisione dei canoni concessori;
3) a valutare di assumere iniziative per l'esclusione del regime di applicazione della direttiva «servizi» per l'ambito professionale delle guide turistiche, a salvaguardia dell'interesse prevalente alla tutela del patrimonio artistico-culturale del Paese e delle alte competenze professionali che vi operano.
(1-01641) «Ricciatti, Epifani, Ferrara, Roberta Agostini, Albini, Bersani, Franco Bordo, Bossa, Capodicasa, Cimbro, D'Attorre, Duranti, Fava, Folino, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Laforgia, Leva, Martelli, Murer, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ragosta, Sannicandro, Scotto, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti, Zoggia».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni V e VII,
   premesso che:
    in data 23 dicembre 2013, i tecnici della commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (Copaff), ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 216 del 2010, hanno approvato la nota metodologica «Determinazione dei fabbisogni standard per i comuni, “FC03U”, Funzioni di Istruzione pubblica»;
    tale nota metodologica, è stata realizzata dai tecnici della SOSE – Soluzioni per il sistema economico spa (società del Ministero dell'economia e delle finanze) con la collaborazione scientifica dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL), ai sensi del decreto legislativo citato concernente disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di province, città metropolitane e comuni pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 17 dicembre 2010;
    il predetto decreto legislativo, così come previsto all'articolo 1, intendeva assicurare la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard per province e comuni, al fine di garantire un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica nei meccanismi di allocazione delle risorse tra i diversi enti, con particolare riferimento alle funzioni di istruzione pubblica analizzate con il questionario FC03U-Funzioni di istruzione pubblica predisposto per i comuni e le unioni di comuni;
    tuttavia, a pagina 43 del documento, si riportava «da ultimo, è importante sottolineare che, in assenza di specifiche indicazioni relative ai livelli essenziali delle prestazioni, per il calcolo dei Fabbisogni Standard delle Funzioni di pubblica istruzione, in sede di prima applicazione della metodologia, sono stati utilizzati i valori storici delle variabili di output utilizzate per la stima»;
    gli output in questione altro non sono se non i servizi che i comuni garantiscono ai cittadini: quando vengono offerti vengono considerati un fabbisogno della popolazione, quando vengono offerti in misura ridotta o non vengono offerti per nulla, si considera che quella popolazione non ne abbia di bisogno, ma ciò non corrisponde al vero; semplicemente i comuni non avevano le risorse necessarie per garantirli;
    in pratica servizi come gli asili nido, il tempo pieno e la mensa scolastica, nonostante siano servizi essenziali, non hanno una diffusione omogenea su tutto il territorio nazionale ma vengono garantiti e finanziati soltanto dove già esistono, dunque al Centro-nord;
    servizi importanti ma accessori come i campi estivi, oppure l'accoglienza e la vigilanza dei bambini prima e dopo l'orario scolastico, solo perché storicamente offerti da determinati comuni (principalmente del Centro-nord), sono considerati «fabbisogno standard» e quindi da finanziare a carico di tutta la collettività;
    tali servizi, oltre che garantire il diritto all'istruzione, come nel caso dell'assistenza specialistica per gli alunni con disabilità, rappresentano un importante presidio di prevenzione e contrasto della dispersione scolastica;
    secondo i recenti dati dell'Istat, che ha preso a riferimento quale indicatore la percentuale della popolazione in età 18-24 anni che non ha titoli scolastici superiori alla licenza media (il titolo di scuola secondaria di primo grado), non è in possesso di qualifiche professionali ottenute in corsi con durata di almeno 2 anni e non frequenta né corsi scolastici né attività formative, il livello di abbandono complessivo risulta essere pari al 13,8 per cento, con un preoccupante aumento al Mezzogiorno, la cui percentuale raggiunge il 18,4 per cento;
    è emblematico il caso riportato in data 25 ottobre 2014 dal quotidiano la Gazzetta del Sud, laddove si rileva un'indagine contro l'evasione scolastica avviata dal comando provinciale di Catania che ha portato alla denuncia di 232 genitori di 136 alunni di due scuole dell'obbligo per inosservanza continuata dell'obbligo di istruzione di minorenni;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 29 dicembre 2016, reca disposizioni relative alla revisione della metodologia di determinazione dei fabbisogni standard, nonché il conseguente aggiornamento dei coefficienti di riparto dei fabbisogni standard delle funzioni fondamentali dei comuni delle regioni a statuto ordinario;
    all'articolo 1 del decreto si adottano le note metodologiche relative alla procedura di calcolo per la determinazione dei fabbisogni standard ed il fabbisogno standard per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario relativi alle funzioni di istruzione pubblica;
    si rileva, tuttavia, come anche in tale provvedimento per i servizi complementari di istruzione e il servizio di asilo nido (complessivamente il 18 per cento del fabbisogno standard complessivo) risulti determinante il criterio di determinazione del fabbisogno standard basato sulla moltiplicazione del costo standard per una quantità di servizi effettivamente erogati dai diversi comuni con l'applicazione di soglie minime e massime. Pertanto, le nuove metodologie non assicurano ancora l'auspicata omogeneità delle stesse in tutto il territorio nazionale;
    appare chiaro che è fondamentale tenere in considerazione l'uso di parametri oggettivi per l'allocazione delle risorse, quali la popolazione scolastica, la presenza di alunni con disabilità, il reddito medio disponibile pro capite aggiustato, il livello di dispersione scolastica, al fine di migliorare il livello di istruzione e garantire in maniera ottimale i servizi scolastici;
    è necessario evidenziare, infatti, come nonostante la loro potenziale rilevanza, tali strumenti risultino non del tutto efficaci a causa delle esigue risorse destinate, determinando così l'impossibilità di dar seguito alle eventuali carenze rilevate, impedendo di fatto la realizzazione dei possibili interventi necessari ad eliminare le eventuali diseguaglianze, rendendosi necessaria, pertanto, l'implementazione delle misure perequative previste;
    si consideri, inoltre, come nell'ambito di tali rilevazioni, necessarie all'applicazione dei fabbisogni standard, solo di recente siano state coinvolte alcune regioni a statuto speciale: la regione siciliana e la regione Sardegna;
    risulterebbe auspicabile prevedere forme più efficaci di inclusione e di collaborazione tra il Sose e le amministrazioni delle regioni a statuto speciale, al fine di assicurare la necessaria trasparenza ed omogeneità delle prestazioni in tutto il territorio dello Stato;
    si ritiene che, di fronte ad una situazione così disomogenea, in riferimento ai criteri direttivi, secondo i firmatari del presente atto disattesi, per l'adozione del decreto legislativo citato, si sarebbe dovuto senza ulteriore ritardo determinare «livello essenziale delle prestazioni» (LEP) così da garantire un livello di servizi standard su tutto il territorio;
    in data 16 gennaio 2017 il Governo trasmetteva al Parlamento lo schema di decreto legislativo recante norme per l'effettività del diritto allo studio su tutto il territorio nazionale (A.C. 381), in ottemperanza a quanto previsto dalla delega conferita all'Esecutivo dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, con particolare riferimento all'articolo 1, comma 181, lettera f), per l'adozione di un apposito decreto legislativo per il riordino, la semplificazione e la codificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione, assicurando, l'effettività del diritto allo studio su tutto il territorio nazionale, nel rispetto delle competenze delle regioni, attraverso la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, nonché in considerazione delle previsioni di cui all'articolo 1, comma 181, lettera c), il quale richiede l'introduzione di misure relative alla promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità e riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione anche attraverso l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali;
    benché i princìpi e i criteri direttivi prevedessero espressamente l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, l'Esecutivo, ad avviso dei firmatari del presente atto, non ha seguito pienamente tali indicazioni, evidenziando, ancora una volta, la volontà di non provvedere alla loro definizione, e i decreti legislativi 13 aprile 2017, n. 63 e n. 66 risultano, pertanto, sempre a giudizio dei firmatari del presente atto adottati senza una totale conformità alle indicazioni del Parlamento;
    l'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione Italiana affida alla competenza dello Stato la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», assicurando un collegamento tra la prima e la seconda parte della Costituzione in materia di diritti sociali, rendendo effettivo in tutto il territorio nazionale il principio di uguaglianza;
    tale disposizione, tuttavia, risulta ancora disattesa, dal momento che lo Stato non ha inteso ottemperare al dettato normativo, ritardando la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni ed adottando solo criteri di calcolo dei fabbisogni standard inadeguati al raggiungimento dei fini perseguiti, dalle previsioni costituzionali;
    l'articolo 119, sesto comma, della Costituzione contempla la possibilità di erogare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali a favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni, e dunque anche al fine di supportarli qualora siano in ritardo con l'attivazione dei servizi d'istruzione e di asilo nido;
    in considerazione di quanto sin qui rilevato, si ritengono necessari adeguati interventi che assicurino l'effettivo superamento delle disuguaglianze territoriali, sociali ed economiche, attraverso l'erogazione dei servizi in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, così come previsti dall'articolo 117 della Costituzione, anche al fine di applicare in maniera corretta le note metodologiche recentemente elaborate (FC03U e FC10U), garantendo, in tal modo, il definitivo superamento delle influenze relative al criterio di spesa storica per la determinazione dei fabbisogni standard;
   ad assumere iniziative volte a istituire un apposito fondo affinché venga assicurata la corretta ed omogenea erogazione dei servizi in tutto il territorio nazionale, sulla base della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, garantendo così l'effettivo superamento delle diseguaglianze territoriali, sociali ed economiche;
   a promuovere intese tra lo Stato e le regioni a statuto speciale affinché queste collaborino attivamente ai programmi relativi alla definizione dei fabbisogni standard e dei livelli essenziali di prestazione, attraverso la trasmissione e pubblicazione sui siti istituzionali dei dati utili.
(7-01275) «Marzana, D'Incà, Di Benedetto, Luigi Gallo, Vacca, Brescia, D'Uva, Simone Valente, Brugnerotto, Cariello, Caso, Castelli, Sorial».


   La Commissione XIII,
   premesso che:
    le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina sono aumentate del 43 per cento raggiungendo circa 100 milioni di chili nel 2016, pari a circa il 20 per cento della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente;
    la divulgazione dei dati dell'Istat relativi al commercio estero da Paesi extracomunitari a gennaio 2017 fa emergere un balzo record del 22,3 per cento delle importazioni, superiore a quello delle esportazioni (+19,7 per cento). C’è il rischio concreto che il concentrato di pomodoro cinese venga spacciato come made in Italy sui mercati nazionali ed esteri per la mancanza dell'obbligo di indicare in etichetta provenienza;
    si sta assistendo ad un crescendo di navi che sbarcano fusti di oltre 200 chili di peso con concentrato di pomodoro, proveniente dalla Cina, da rilavorare e confezionare come italiano, poiché nei contenitori al dettaglio è obbligatorio indicare solo il luogo di confezionamento, ma non quello di coltivazione del pomodoro;
    questo commercio va reso trasparente con l'obbligo ad indicare in etichetta l'origine degli alimenti che attualmente vale in Italia solo per la passata di pomodoro ma non per il concentrato o per i sughi pronti. A rischio c’è uno dei settori simbolo del made in Italy nel mondo a causa della concorrenza sleale del prodotto importato ma anche la sicurezza alimentare;
    la Cina ha conquistato il primato nel numero di notifiche per prodotti alimentari irregolari perché contaminati dalla presenza di micotossine, additivi e coloranti al di fuori dalle norme di legge, da parte dell'Unione europea, secondo una elaborazione della Coldiretti sulla base della relazione sul sistema di allerta per gli alimenti relativa al 2015. Su un totale di 2967 allarmi per irregolarità segnalate in Europa, ben 386 (15 per cento) hanno riguardato proprio la Cina;
    mentre l'Italia si appresta a diminuire la produzione nazionale perché viene ritenuta eccessiva dalle industrie di trasformazione, si assiste alla importazione dall'estero di una quantità di concentrato di pomodoro del 21 per cento che proviene per più della metà dalla Cina che ha iniziato la coltivazione di pomodoro per l'industria nel 1990 e oggi rappresenta il terzo bacino di produzione dopo gli Stati Uniti e l'Italia, secondo i dati 2016;
    appare dunque necessario che l'etichetta riporti obbligatoriamente la provenienza della materia prima impiegata per la frutta e verdura trasformata come i derivati del pomodoro, come chiede peraltro l'84 per cento degli italiani secondo la consultazione pubblica on line sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che ha coinvolto 26.547 partecipanti sul sito del Ministero. Il consiglio della Coldiretti è comunque di preferire i prodotti, concentrato o sughi pronti, che volontariamente indicano sulla confezione l'origine nazionale 100 per cento del pomodoro utilizzato;
    il pomodoro è il condimento maggiormente acquistato dagli italiani. Nel settore del pomodoro da industria sono impegnati in Italia oltre 8 mila imprenditori agricoli che coltivano su circa 72.000 ettari, 120 industrie di trasformazione in cui trovano lavoro ben 10 mila persone, con un valore della produzione superiore ai 3,3 miliardi di euro. Un patrimonio che va salvaguardato garantendo il rispetto dei tempi di contrattazione per una consentire una adeguata pianificazione e una giusta remunerazione del prodotto agli agricoltori italiani,

impegna il Governo:

   1) ad assumere iniziative per estendere l'etichettatura d'origine alla filiera del pomodoro, che ancora non lo comprende, così come descritto in premessa; 
   2) ad assumere iniziative volte a prevedere l'estensione della polizza «salva grano» alla filiera del pomodoro, «rete protettiva» per assicurare il reddito degli agricoltori, così come descritto in premessa;
   3) ad attivarsi affinché, a tutti i livelli, nazionale, comunitario e internazionale, siano promosse politiche utili alla difesa del prodotto made in Italy, al fine di contrastare con maggiore determinazione ed efficacia il fenomeno dell’italian sounding;
   4) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per rielaborare la normativa vigente in materia di contraffazione, in particolare quella relativa ai prodotti agroalimentari, al fine di assicurare maggiore trasparenza e la sicurezza in tutti i passaggi della filiera;
   5) ad intervenire nelle opportune sedi europee affinché le denominazioni Dop e Igp continuino ad essere una priorità della Commissione europea anche nell'ambito di eventuali trattati internazionali come Ceta e TTIP;
   6) a garantire un maggiore e continuativo coordinamento istituzionale, con particolare riferimento alle posizioni da assumere in sede europea, a tutela degli interessi italiani, assicurando la completezza e la trasparenza relativamente all'etichettatura dei prodotti agroalimentari;
   7) ad avviare un monitoraggio e una valutazione d'impatto sul reddito degli agricoltori e sull'effetto che l'abolizione dei dazi ha avuto sui produttori italiani messi in diretta concorrenza con i mercati asiatici che però riescono a produrre a costi molto inferiori;
   8) ad assumere iniziative per favorire l'obbiettivo di allargare la disponibilità di cibo genuino a prezzi popolari;
   9) a sostenere misure volte a promuovere la filiera del pomodoro prodotto con tecniche rispettose dell'ambiente e maggiormente sicure per la salute umana, promuovendo convenzioni vincolanti, secondo i protocolli di produzione, per i Paesi extra Unione Europea ai quali viene aperto il mercato economico europeo.
(7-01274) «Zaccagnini».


   La Commissione XIII,
   premesso che:
    la globalizzazione a cui si sta assistendo negli anni recenti è un fenomeno assai complesso. Essa è sinonimo di creazione di un unico villaggio globale favorito dalla crescita delle relazioni e degli scambi tra i vari Paesi del mondo;
    il fenomeno è stato molto graduale, si è accelerato solo in epoca moderna, creando un mercato globale privo di barriere protezionistiche; nel settore agricolo ed agroalimentare, la globalizzazione ha accentuato il divario esistente tra Paesi ricchi e Paesi poveri e i problemi legati alla fame nel mondo. Le disponibilità di beni alimentari a livello mondiale sono sufficienti a far fronte alla domanda globale: la fame non è un problema legato alla disponibilità dei prodotti agricoli, ma ai bassi livelli di reddito in taluni Paesi. Alle scarse rese produttive si è cercato di rispondere con l'introduzione di sementi ibride più produttive rispetto a quelle normali. Al di là di quelli che sono i dubbi circa gli effetti che il consumo di tali prodotti possa avere sull'uomo, va detto che tali ibridi non possono essere riprodotti e devono essere acquistati ogni anno da società multinazionali che li detengono e che ne stabiliscono i prezzi dato che operano in regime oligopolistico. D'altra parte, tali ibridi sono molto vulnerabili agli attacchi di insetti nocivi e richiedono l'uso massiccio di pesticidi la cui spesa è notevolmente in crescita, con il rischio di un aumento dei costi che devono sostenere gli agricoltori dei Paesi più poveri: tutto ciò si traduce in un aumento della loro povertà, al di là di possibili conseguenze sulla salute umana. Inoltre, la ripetizione delle stesse colture nel tempo riduce la biodiversità e rischia di incidere negativamente sia sulla produttività del suolo, che sulla diversificazione del cibo disponibile;
    in questo quadro vi è da specificare come, per l'agricoltura italiana, diventata la più green d'Europa, sia di vitale importanza mettere in campo azioni e politiche atte a salvaguardare il settore, tutelandolo dalle prassi della globalizzazione. Dati alla mano, l'Italia si presenta infatti: con il maggior numero di certificazioni alimentari a livello comunitario per prodotti a denominazione di origine Dop/Igp, detenendo la leadership nel numero di imprese che coltivano biologico, ma anche con la minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma. L'Italia è anche campione di biodiversità; il Paese, infatti, può contare su 504 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei francesi, su 533 varietà di olive contro le 70 spagnole, ma sono state salvate dall'estinzione anche 130 razze allevate tra le quali ben 38 razze di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini, sulla base dei Piani di sviluppo rurale della precedente programmazione. L'Italia detiene il record europeo della biodiversità, con 55.600 specie animali pari al 30 per cento delle specie europee e 7.636 specie vegetali. Un primato raggiunto anche grazie al fatto che, in Italia, ci sono ben 871 parchi e aree naturali protette che coprono ben il 10 per cento del territorio nazionale. Ha conquistato anche il primato green, con quasi 50 mila aziende agricole biologiche in Europa ed ha fatto la scelta di vietare le coltivazioni ogm a tutela del patrimonio di biodiversità. Con l'azione di tutela dell'ambiente, l'Italia si è portata al vertice della sicurezza alimentare mondiale, con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,4 per cento), quota inferiore di quasi 4 volte rispetto alla media europea (1,4 per cento) e di quasi 20 volte quella dei prodotti extracomunitari (7,5 per cento);
    il nostro made in Italy agroalimentare è il più copiato e contraffatto al mondo, nonostante la crescita del settore agricolo confermi le enormi potenzialità dell'agricoltura e dei nostri imprenditori, specialmente i giovani; esso deve affrontare e contrastare la pressione delle distorsioni di filiera e il flusso delle importazioni selvagge dall'estero, che fanno concorrenza sleale alla produzione nazionale, perché vengono spacciati come prodotti made in Italy e sono privi di indicazione chiara sull'origine in etichetta. Nelle campagne, oggi, vige una situazione di deflazione profonda: i prezzi sono crollati per raccolti e per gli allevamenti che non coprono più neanche i costi di produzione o dell'alimentazione del bestiame;
    l'Ente nazionale risi ha organizzato, a gennaio 2017, a Milano una riunione di tutti i Paesi europei produttori di riso (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Romania, Bulgaria e Ungheria) per creare un fronte comune nel confronto con l'Unione europea. La posizione italiana è quella di richiedere l'immediato ripristino dei dazi alle importazioni di riso da Cambogia e Myanmar, aboliti nel 2009. L'emergenza è determinata dal record delle importazioni comunitarie di riso lavorato «Indica» nella campagna 2015/2016 e dalla riduzione delle esportazioni comunitarie che hanno generato un aumento degli stock comunitari di riporto nella campagna attuale. L'Italia, con i suoi 234 mila ettari coltivati a riso e un consumo pro capite annuo di 6 chilogrammi, è il primo Paese produttore di riso dell'Unione europea. Nella filiera italiana operano 4.265 aziende risicole e circa 5.000 addetti, circa 100 industrie risiere, di cui 6 detengono complessivamente più del 50 per cento del mercato. Il riso lavorato rappresenta un giro d'affari di circa un miliardo di euro;
    quello che appare ai presentatori del presente atto come un disinteresse ministeriale rispetto alle decisioni europee rischia di vanificare i risultati positivi ottenuti dalle regioni, Lombardia in testa, che sul riso erano riusciti, nelle fasi negoziali della Pac, a escludere la coltura dal greening e a collocare 22,6 milioni di euro per gli aiuti accoppiati. La situazione, già resa pesante dalle grandi importazioni di riso dalla Cambogia e dal Myanmar (anch'esse esenti dal pagamento del dazio grazie agli accordi EBA), rischia inoltre di creare un gravissimo precedente per i negoziati in corso sugli accordi di libero scambio con altri Paesi asiatici, grandi produttori di riso, come Thailandia, Pakistan e India, ma anche con gli USA e con i Paesi del Mercosur;
    la tutela della qualità delle produzioni agroalimentari è, in sede europea, un complemento alla politica di sviluppo rurale e alle politiche di sostegno dei mercati e dei redditi nell'ambito della politica agricola comune e rappresenta in particolare, per l'Italia, uno dei principali obiettivi della politica agroalimentare, considerato che il nostro è il Paese che vanta in Europa il maggior numero di prodotti a marchio registrato, oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione. La disciplina sull'etichettatura dei prodotti e sulle conseguenti informazioni ai consumatori costituisce anch'essa un aspetto della tutela della qualità del prodotto;
    il Ministero dello sviluppo economico in materia di etichettatura sui prodotti di origine agroalimentare specifica che: «Il principio alla base della legislazione dell'Unione sull'etichettatura è che il consumatore ha il diritto di essere informato nelle proprie scelte e che l'etichettatura non può essere fuorviante. Quando l'etichettatura di origine geografica è obbligatoria, l'indicazione di origine geografica deve essere visualizzata correttamente in etichetta. Quando l'etichettatura di origine geografica è opzionale, gli operatori sono liberi di decidere se citare l'origine, a meno che l'omissione di tale informazione possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto. Se l'indicazione di origine viene indicata, l'informazione deve essere corretta in modo da non indurre in errore il consumatore. L'indicazione di origine è obbligatoria per la frutta ed i legumi freschi, il vino, il miele, l'olio di oliva, i prodotti ittici, la carne bovina, le carni di pollame proveniente da Paesi terzi, le carni fresche refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, le uova ed i prodotti biologici. Anche nei casi in cui l'indicazione di origine non sia obbligatoria, le informazioni sull'origine eventualmente fornite su base volontaria devono essere corrette e tali da non risultare ingannevoli per il consumatore»;
    in seguito a quanto disposto dalla legge n. 4 del 2011 (articolo 4) e in attesa di una regolamentazione europea generale che dia attuazione al paragrafo 3 dell'articolo 26 del regolamento (UE) n. 1169 del 2011, è stato emanato il decreto interministeriale 9 dicembre 2016 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 gennaio 2017), concernente l'indicazione dell'origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattiero-caseari, in attuazione del predetto regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Il 20 dicembre 2016, in analogia con la procedura adottata con riferimento al decreto sull'origine del latte, è stata inviata a Bruxelles, dal Governo, una bozza di schema di decreto interministeriale sull'origine obbligatoria in etichetta di grano e pasta, come da comunicato del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. «(...) Risulta in corso di elaborazione il regolamento esecutivo della Commissione europea del suddetto articolo 26 del regolamento (UE) n. 1169 del 2011 che, al paragrafo 3, fa riferimento al caso in cui il Paese d'origine o il luogo di provenienza di un alimento sia indicato e non sia lo stesso di quello del suo ingrediente primario. In linea generale, si ricorda l'importanza dell'intero regolamento n. 1169 del 2011, il quale, in particolare, agli articoli 9 e seguenti, prevede le informazioni obbligatorie che devono essere fornite sugli alimenti, come la denominazione degli stessi e l'elenco dei loro ingredienti. (...)». Fenomeni come le agromafie e la globalizzazione dei mercati in tutte le fasi della filiera agroalimentare, danneggiano la agricoltura basata, al contrario, su prodotti provenienti da culture non intensive attente alla salvaguardia dell'ambiente, alle biodiversità e alla genuinità del prodotto;
    è sempre in quest'ottica di tutela del made in Italy che si può inquadrare l'iniziativa del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che costituisce una risposta alla «battaglia» del grano del luglio 2016 (periodo di trebbiatura), quando le quotazioni sono crollate del 42 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015. Per fronteggiare questa emergenza è stato approvato nel decreto fiscale l'emendamento, che stanzia 10 milioni di euro per polizze su rischi climatici e di mercato. La filiera grano-pasta è uno dei principali settori dell'agroalimentare italiano, con una produzione di grano duro di circa 4 milioni di tonnellate e di 3,4 milioni di tonnellate annue di pasta, che rende il nostro Paese il principale produttore mondiale. Il valore della produzione supera invece i 4,6 miliardi di euro, con 2 miliardi di euro di export. «Saremo i primi in Europa — ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina — a sperimentare un'assicurazione sui ricavi per i produttori di grano. Si tratta di uno strumento concreto di tutela del reddito per gli agricoltori e risponde in maniera più efficace all'esigenza di proteggere le aziende rispetto al passato. In particolare in una produzione come quella cerealicola, esposta a fluttuazioni di mercato e all'influenza di variabili internazionali, diventa fondamentale che le imprese possano programmare meglio la produzione e avere un meccanismo di protezione in caso di crollo del prezzo. Lo abbiamo visto quest'anno quando le quotazioni sono scese fino a 18 centesimi al chilo. Un prezzo che non consente nemmeno di recuperare i costi di produzione. Con l'assicurazione ci sarebbe stato un indennizzo immediato rispetto a queste perdite. È uno strumento sperimentale nel quale vogliamo investire e per questo abbiamo stanziato 10 milioni di euro che serviranno ad agevolare la sottoscrizione da parte dei nostri agricoltori. Allo stesso tempo andiamo avanti per rafforzare i rapporti nella filiera grano pasta, attraverso il sostegno ai contratti di filiera inseriti nel Piano cerealicolo nazionale e puntando alla massima informazione dei consumatori con l'origine della materia prima in etichetta»,

impegna il Governo:

1) ad assumere ogni ulteriore iniziativa per estendere l'etichettatura d'origine alla filiera del riso, che ancora non lo comprende, così come descritto in premessa;
2) ad assumere iniziative volte a prevedere l'estensione della polizza «salva grano» alla filiera del riso, «rete protettiva» per assicurate il reddito degli agricoltori, così come descritto in premessa;
3) ad attivarsi affinché, a tutti i livelli, nazionale, comunitario e internazionale, siano promosse politiche utili alla difesa del prodotto made in Italy, al fine di contrastare con maggiore determinazione ed efficacia il fenomeno dell’italian sounding;
4) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per rielaborare la normativa vigente in materia di contraffazione, in particolare quella relativa ai prodotti agroalimentari, al fine di assicurare maggiore trasparenza e la sicurezza in tutti i passaggi della filiera;
5) ad intervenire nelle opportune sedi europee affinché le denominazioni Dop e Igp continuino ad essere una priorità della Commissione europea, anche nell'ambito di eventuali trattati internazionali come Ceta e TTIP;
6) a garantire un maggiore e continuativo coordinamento istituzionale, con particolare riferimento alle posizioni da assumere in sede europea, a tutela degli interessi italiani, assicurando la completezza e la trasparenza relativamente all'etichettatura dei prodotti agroalimentari;
7) ad avviare un monitoraggio e una valutazione d'impatto sul reddito degli agricoltori e sull'effetto che l'abolizione dei dazi ha avuto sui produttori italiani messi in diretta concorrenza con i mercati asiatici che però riescono a produrre a costi molto inferiori;
8) ad assumere iniziative per favorire l'obbiettivo di allargare la disponibilità di cibo genuino a prezzi popolari;
9) a sostenere misure volte a promuovere la filiera del riso prodotto con tecniche rispettose dell'ambiente e maggiormente sicure per la salute umana, promuovendo convenzioni vincolanti, secondo i protocolli di produzione, per i Paesi extra UE ai quali viene aperto il mercato economico europeo.
(7-01276) «Zaccagnini, Stumpo, Laforgia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   nel corso dell'esame testimoniale del capo sezione esperti qualificati del CISAM Ten. Col. Raffaele Zagarella da parte della Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell'utilizzo dell'uranio impoverito sono emersi dei fatti di una gravità inaudita che riguardano i mancati controlli radioattivi nei poligoni militari della Sardegna;
   nella fattispecie si riporta uno stralcio eloquente dell'esame testimoniale del 3 maggio 2017 in Commissione d'inchiesta sugli effetti dell'uranio impoverito, come risulta dagli atti parlamentari:
    «MAURO PILI. Ora che voi avete questi frammenti, questi tre o quattro frammenti di missili Milan, non vi sorge il dubbio che, rispetto ai 4.200, ne manchino 4.196 ? Vi siete posti il problema di capire dove sono finiti questi 4.196 residuati delle lunette di missili Milan ? Per voi CISAM, che avete la competenza sulla tematica radioattiva, è, sì o no, la tracciabilità di queste lunette un tema ? Sono ancora sul territorio ? Sono state prelevate ? Dove sono state messe ? Sono arrivate altre lunette da altri poligoni, nella fattispecie quello di Quirra e di Teulada, al CISAM, in questi anni ?
    RAFFAELE ZAGARELLA, Capo sezione esperti qualificati del CISAM. Per quanto riguarda la prima parte della domanda, capisco naturalmente la domanda e anche la preoccupazione, però ripeto che il CISAM interviene dove gli viene detto.
    MAURO PILI. Tutti dite: se non ce lo dicono, non facciamo niente. Adesso avete segnalato il fatto che, essendo state ritrovate delle lunette in quell'area, potrebbero essercene altre 4.196 ? Io immagino che lo Stato maggiore dell'Esercito possa essere competente in tutto e avochi a sé tutto, ma questa sollecitazione dal CISAM doveva arrivare, secondo me. Secondo lei, doveva arrivare, questa sollecitazione, al capo di Stato maggiore dell'Esercito, per dire “Attenzione, stai mandando i tuoi militari a fare esercitazioni in luoghi dove possono esserci ancora 4.196 residuati di lunette contenenti torio” ? Glielo avete suggerito, segnalato ?
    RAFFAELE ZAGARELLA, Capo sezione esperti qualificati del CISAM. Io provo a rispondere da esperto qualificato: io direi che l'obbligo del datore di lavoro è di fare una caratterizzazione e di valutare il rischio che è presente sul posto. Io non lo...
    MAURO PILI. Il fatto che non l'abbiano fatto è, quindi, negligenza.
    RAFFAELE ZAGARELLA, Capo sezione esperti qualificati del CISAM. Se non l'hanno fatto, sì. Se non l'hanno fatto, è una cosa scorretta.
    MAURO PILI. Voi, che oggi avete questi residuati nel vostro deposito temporaneo, non avete fatto comunque nessuna segnalazione in tal senso ?
    RAFFAELE ZAGARELLA, Capo sezione esperti qualificati del CISAM. Che io sappia, diretta no, che io sappia»;
   il responsabile del Cisam dichiara di non aver mai fatto verifiche sul territorio di Teulada e Quirra e tantomeno il Cisam e, dall'altra, afferma che il datore di lavoro aveva l'obbligo di farlo perché altrimenti «costituiva una cosa scorretta»;
   tali affermazioni sono, ad avviso dell'interrogante, di una gravità inaudita considerato che per 4 lunette di missile Milan sono stati mobilitati uomini e mezzi, elicotteri e quant'altro perfino a ferragosto mentre per i mancanti residuati radioattivi relativi a 4.196 missili Milan niente è stato fatto –:
   se il Governo non ritenga di dare una risposta compiuta e urgente in relazione alle ragioni di tale fatto;
   se il Governo abbia promosso una qualche indagine per tracciare i 4.196 residuati radioattivi dei missili milan esplosi nel poligono di Teulada e dei 1.800 esplosi in quello di Quirra;
   se il Governo non ritenga, alla luce di quanto esposto, di assumere iniziative per interdire l'uso dei due poligoni proprio per l'evidente carico radioattivo che potrebbe avere effetti gravissimi sull'ambiente e sull'uomo per la dispersione di quantitativi elevati di residuati radioattivi dei missili Milan.
(2-01821) «Pili».

Interrogazione a risposta orale:


   BORGHI, BERGONZI, STELLA BIANCHI, BRAGA, BRATTI, CARRESCIA, COMINELLI, DE MENECH, GADDA, GINOBLE, TINO IANNUZZI, MANFREDI, MARIANI, MARRONI, MASSA, MAZZOLI, MORASSUT, REALACCI, GIOVANNA SANNA, VALIANTE e ZARDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   in base all'articolo 72 della legge n. 221 del 2015 recante «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali», cosiddetto collegato ambientale, la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport – di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e sentiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché la Conferenza unificata, promuove la predisposizione della strategia nazionale delle green community;
   l'orizzonte che sarà aperto dall'attivazione della strategia nazionale delle green community potrà rappresentare un'occasione storica di implementare un insieme di azioni volte a contrastare la crisi che colpisce il Paese e che rischia di depauperare in maniera irreversibile le sue dorsali strutturali;
   l'obiettivo è aprire un processo di modernizzazione istituzionale e di riconversione all'avanguardia nella lotta europea economica in chiave green, collocando l'Italia per la mitigazione dei cambiamenti climatici e nell'impegno a dare spazio e futuro ad un'economia low carbon, a partire dalla valorizzazione strategica del capitale naturale e quindi delle aree montane e interne, dei parchi e dei borghi;
   tale prospettiva richiede l'armonizzazione della strategia nazionale delle Green Community con le attuali strategie nazionali ed europee su temi convergenti – la strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, la strategia energetica nazionale e la strategia nazionale per l'economia circolare – per far sì che l'azione sinergica di tutte queste misure diventi un moltiplicatore di risultato delle iniziative già in atto per realizzare territori a zero emissioni – a partire dalle comunità dell'Appennino e delle Alpi – e delle azioni della strategia nazionale per le aree interne, facendo delle aree selezionate come aree pilota dei laboratori privilegiati di costruzione delle green community;
   con l'apertura della consultazione pubblica, il dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio ha avviato formalmente il percorso di elaborazione della strategia nazionale per le green community, coinvolgendo, oltre ai Ministeri interessati, tutti gli interlocutori istituzionali e tutti i soggetti pubblici e privati potenzialmente interessati;
   la consultazione (conclusasi il 20 marzo 2017) era finalizzata alla raccolta di contributi utili alla redazione del documento strategico, corrispondente ad un piano di sviluppo sostenibile volto a valorizzare le risorse dei territori rurali e di montagna, nel quadro di un rapporto di sussidiarietà e di scambio con le aree urbane e metropolitane;
   tenuto conto che l'attivazione della strategia nazionale delle green community finalizza un provvedimento relativo alla green economy, la consultazione si è concentrata in particolare sulle modalità di qualificazione delle green community, sugli obiettivi specifici che la strategia dovrebbe perseguire, oltre che sulle modalità attuative e sui possibili strumenti finanziari a supporto dello sviluppo della strategia –:
   considerato il tempo trascorso dall'approvazione della legge n. 221 del 2015 e tra quest'ultima e la consultazione, se il Governo non intenda fornite informazioni sull'esito della consultazione pubblica e con quali azioni, con quali risorse e in che tempi intenda dare attuazione alla strategia nazionale delle green community. (3-03062)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCAGLIUSI e DADONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo un articolo de L'Espresso del 4 maggio 2017, con un decreto firmato il 28 marzo 2017, «la sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio (Maria Elena Boschi) ha nominato un nuovo componente nella Commissione per le adozioni internazionali»; il prescelto, l'avvocato Francesco Bianchini, per tre anni rappresenterà il «Forum nazionale delle associazioni familiari», ente controllato anche da «Aibi-Amici dei, bambini»;
   tuttavia, l'Aibi è proprio l'organizzazione non governativa sotto indagine per aver segnalato con tre mesi di ritardo (soltanto dopo un'inchiesta de « L'Espresso» firmata da Fabrizio Gatti) lo sfruttamento dei piccoli ospiti di un orfanotrofio in Bulgaria per la produzione di filmati pedopornografici e per non aver denunciato il traffico con il Congo di minori tolti con l'inganno alle loro famiglie da alcune autorità locali a Goma (in tal caso l'inchiesta in corso);
   il decreto che nomina l'avvocato, ad avviso dell'interrogante, sarebbe in contrasto, dunque, sia con il decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2007, n. 108, recante il regolamento sul riordino della Cai, sia con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 marzo 2015, riguardante i criteri per la designazione dei rappresentanti delle associazioni familiari a carattere nazionale, nominati componenti del Cai, provvedimenti peraltro citati anche nelle premesse del suddetto decreto determinando di fatto un conflitto di interessi;
   secondo quanto si apprende sempre dall'articolo del citato Gatti, l'avvocato Bianchini siede, nel consiglio direttivo del «Forum delle famiglie» nel quale è presente, tra gli altri, Cristina Riccardi, coordinatrice di Aibi, la quale è anche contemporaneamente tra i sette membri, con il presidente-fondatore Marco Griffini, del consiglio direttivo di Aibi ed è segretaria nel consiglio direttivo della «Pietra Scartata», altra associazione del citato Griffini; inoltre, un altro manager di Aibi, Ermes Carretta, controlla invece i bilanci del «Forum delle famiglie»: è infatti uno dei tre revisori dei conti, ma è anche, contemporaneamente, il numero tre di Aibi. Dopo il presidente Griffini e il vicepresidente Giuseppe Salomoni, Carretta è il segretario e tesoriere dell'associazione autorizzata dal Governo ad adottare bambini all'estero;
   nella fattispecie, il citato decreto n. 108 stabilisce che gli enti autorizzati per le adozioni internazionali non possono ovviamente sedere nella commissione che li controlla, mentre il successivo decreto del 2015 risolve anche il conflitto di interessi del «Forum delle famiglie»; esso dispone, infatti, che «i soggetti designati dalle associazioni familiari a carattere nazionale non possono esser nominati o permanere nell'incarico: a) se alle associazioni familiari che li esprimono partecipano o aderiscano enti autorizzati dalla commissione; b) se, nelle associazioni familiari che li esprimono (...) ricoprono cariche sociali o di amministrazione, partecipano a organizzazioni di governo, organi direttivi, di controllo, di garanzia (...) anche tramite propri rappresentanti o soggetti che operano o collaborano con loro (...)» –:
   quali iniziative intenda assumere per rivedere la decisione che ha portato alla nomina del citato Francesco Bianchini, posto che, alla luce di quanto esposto in premessa, essa appare inopportuna, soprattutto in relazione a quello che gli interroganti giudicano un palese conflitto di interessi. (5-11498)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NUTI, DI VITA, DI BENEDETTO, LUPO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato in un articolo del 30 maggio 2017 de La Nazione, negli uffici pubblici, i dipendenti pubblici hanno a disposizione uno spazio medio che varia dai 30 ai 50 metri quadrati pro capite, mentre una circolare del 2012 dell'Agenzia del demanio stabilisce tali spazi in un range che varia dai 10 ai 12 metri quadrati: in altre parole, in media, attualmente ogni dipendente pubblico ha a disposizione circa il triplo dello spazio che gli spetterebbe;
   inoltre, ogni anno, tra amministrazioni centrali e amministrazioni periferiche, vengono spesi oltre 12 miliardi di euro in locazioni passive;
   ad oggi, secondo un recente studio, le unità immobiliari libere detenute dalle amministrazioni centrali sarebbero circa 16 mila per un valore stimato di 2,3 miliardi, mentre non è dato sapere con certezza il numero e il valore degli immobili detenuti dalle amministrazioni periferiche che rimangono inutilizzati;
   Carlo Cottarelli e Roberto Perrotti, già commissari per la revisione della spesa pubblica, hanno affrontato la questione delle locazioni passive della pubblica amministrazione proponendo specifiche soluzioni: il primo propose, da una parte, la redistribuzione degli uffici sul territorio e, dall'altra parte, di costituire un fondo unico per le locazioni passive; il secondo propose di obbligare le pubbliche amministrazioni a preparare un piano di riduzione degli spazi; in nessun dei due casi le proposte sono state portate avanti dai Governi;
   gli edifici confiscati in via definitiva alla criminalità organizzata sono un patrimonio che ammonta a diversi miliardi di euro e sono distribuiti in tutta Italia con una maggior concentrazione nelle aree meridionali e in Lombardia;
   l'articolo 48, comma 3, lettera a), del codice antimafia prevede la possibilità di mantenere gli immobili confiscati «al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile e, ove idonei, anche per altri usi governativi o pubblici connessi allo svolgimento delle attività istituzionali di amministrazioni statali, agenzie fiscali, università statali, enti pubblici e istituzioni culturali di rilevante interesse» –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di ridurre le locazioni passive delle amministrazioni pubbliche, di valorizzare e reimpiegare le unità immobiliari libere detenute dalle amministrazioni pubbliche centrali e di provvedere al censimento degli immobili liberi delle amministrazioni pubbliche locali e delle società da esse partecipate;
   per quali ragioni non siano state implementate le proposte dei commissari per la revisione della spesa in tema di locazioni passive;
   se il Governo non intenda avvalersi maggiormente degli strumenti offerti dalle previsioni normative di cui in premessa ed assumere iniziative per utilizzare gli immobili confiscati alla criminalità organizzata per ospitare uffici pubblici e risparmiare su eventuali locazioni passive;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere al fine di ridurre la metratura quadrata media per dipendente pubblico dagli attuali 30-50 metri quadrati ai previsti 10-12, come da circolare dell'Agenzia del demanio. (4-16809)


   CASTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   dall'Europa sarebbe di recente arrivato «un duro atto d'accusa contro le regioni rosse», come riportato da fonti di stampa, poiché sembra che non sia chiaro il modo in cui siano stati utilizzati i fondi che la Commissione europea avrebbe versato all'Italia per la prevenzione dalle catastrofi naturali, a seguito dei terremoti a L'Aquila e in Emilia: 1,3 miliardi di euro nelle casse di Governo, regioni e comuni per la messa in sicurezza degli edifici pubblici delle aree più a rischio;
   subito dopo i terremoti del 24 agosto e del 27 ottobre 2017, la Commissione ha offerto assistenza a breve termine attraverso il servizio dell'Unione europea di gestione delle emergenze Copernicus e si è anche dichiarata pronta a fornire assistenza a lungo termine, in particolare attraverso i fondi dell'Unione europea;
   il 16 novembre 2016 la Commissione ha ricevuto la domanda di assistenza del Fondo di solidarietà dell'Unione europea presentata dall'Italia e si è impegnata a trattarla il più velocemente possibile. Dalla creazione del Fondo di solidarietà dell'Unione europea nel 2002, l'Italia ne è risultata beneficiaria con 1,3 miliardi di euro mobilitati;
   il commissario europeo per la politica regionale Corina Cretu ha dichiarato durante il dibattito avvenuto nella plenaria di Strasburgo: «1,3 miliardi di euro sono stati messi a disposizione dell'Italia per quanto riguarda la prevenzione delle catastrofi naturali: nel 2009, a seguito del sisma a L'Aquila, nel 2012, a seguito del terremoto in Emilia. Bisogna vedere che fine hanno fatto questi fondi. Noi siamo pronti a concludere il programma operativo regionale se necessario, ma per quanto riguarda gli eventi degli ultimi anni in Italia si può dire che molto è stato messo a disposizione»;
   gli enti locali governati dal Pd e dal centrodestra sembrano avere il record europeo negativo di sprechi, ritardi e frodi: il loro appare come un fallimento pianificato, dal momento che l'utilizzo dei fondi europei avrebbe portato troppo spesso a «progetti fantoccio» e interventi d'emergenza, risultati spesso a vantaggio di imprenditori «amici»;
   il Movimento 5 Stelle propone da tempo un utilizzo trasparente e dettagliato dei fondi europei, attraverso un capillare piano di interventi di prevenzione volto alla ristrutturazione del patrimonio edilizio italiano con criteri antisismici;
   il Movimento 5 Stelle si sta battendo in Europa anche affinché venga scorporata dal patto di stabilità la quota di cofinanziamento dei fondi strutturali, compresi quelli per la prevenzione dei terremoti –:
   se il Governo, in relazione agli interrogativi posti dal commissario europeo Cretu, intenda chiarire, in modo dettagliato, come siano stati utilizzati i fondi messi a disposizione dall'Unione europea per la prevenzione delle catastrofi naturali di cui in premessa;
   se non si intenda fare chiarezza in merito all'esito della negoziazione con la direzione generale per la politica regionale della commissione europea circa la tempistica di erogazione delle tranche del Fondo di solidarietà dell'Unione europea. (4-16811)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   sul supplemento n. 4 al Bollettino Ufficiale n. 21/I-II del 23 maggio 2017 del Trentino-Alto Adige/Südtirol è stata pubblicata la legge della provincia autonoma di Bolzano del 19 maggio 2017, n. 5, «Riforma delle indennità per gli organi del Consiglio e della Giunta provinciali» risultato dell'approvazione nella seduta notturna del 12 maggio 2017 del disegno di legge di iniziativa consiliare n. 79/16-XV presentato in data 5 aprile 2016 a firma del presidente del consiglio della provincia di Bolzano dottor Thomas Widmann, del vicepresidente, dottor Roberto Bizzo, e dei segretari questori Maria Magdalena, Hochgruber Kuenzer, Helmuth Renzler e Roland Tinkhauser;
   la legge provinciale n. 5 del 2017 definisce l'ammontare dell'indennità e del rimborso spese spettante ai titolari delle cariche istituzionali nel consiglio provinciale e nella giunta provinciale di Bolzano per lo svolgimento delle relative funzioni. Nella fattispecie vengono riconosciuti, per dodici mensilità, rimborsi spese forfettari esentasse per l'esercizio del mandato nella seguente misura:
    a) presidente della Provincia 4.600 euro;
    b) presidente del Consiglio provinciale 3.300 euro;
    c) vicepresidente della Giunta provinciale: 4.100 euro;
    d) assessore/a provinciale: 3.600 euro;
    e) vicepresidente del Consiglio provinciale: 2.400 euro;
    f) segretario questore: 1.200 euro;
    g) presidente di commissione legislativa: 800 euro;
    h) presidente di un gruppo consiliare composto da almeno 2 componenti: 1.100 euro;
    i) presidente di un gruppo consiliare composto da un solo componente: 600 euro;
   con l'approvazione della legge provinciale n. 5 del 2017 il presidente della giunta provinciale percepirà quindi, a partire dalla legislatura XVI ovvero dal 2018, uno stipendio lordo base di 10.500 euro maggiorato di 4.600 esentasse rispetto all'indennità di 19.215 euro lordi erogata nella presente consiliatura;
   nel corso dell’iter di discussione del suddetto disegno di legge sono stati considerati n. 2 pareri:
    a) il parere dei componenti della Consulta per lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol prof. Giandomenico Falcon e Luca Nogler del 15 aprile 2014 (prot. 7423/A registro RATAA);
   b) il parere richiesto dalla presidenza del consiglio provinciale, elaborato dal professore avvocato Giuseppe Caia e depositato il 3 agosto 2016 (prot. LTG–0004614), sulla sussistenza o meno dell'obbligo di recepimento del decreto-legge n. 174 del 2012 (cosiddetto decreto Monti), in particolare per la parte concernente la riduzione dei costi della politica con riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 75 del 2016 sui compensi dei segretari comunali, nel quale si ritiene che la sentenza non modifica la giurisprudenza costituzionale pregressa sull'applicabilità, nelle forme proprie dell'autonomia speciale, dei principi fondamentali fissati dalla legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica;
   a giudizio dell'interrogante l'aumento dei rimborsi forfettari per compensare la riduzione delle indennità lorde cela un provvedimento surrettizio al fine di eludere la menzionata legislazione statale mancando così di rispettare il parametro dell'unità economica della Repubblica e di attuare gli obiettivi di contenimento della spesa della pubblica amministrazione –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire il rispetto dei principi delineati nel decreto-legge n. 174 del 2012 convertito dalla legge n. 213 del 2012 ed eventualmente sollevare la questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, in relazione alla legge della provincia di Bolzano n. 5 del 2017. (4-16820)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero degli affari esteri e la cooperazione internazionale ha, all'interno del proprio organico, nei vari Paesi del mondo, svariati dipendenti;
   attualmente sono in servizio 2780 impiegati di ruolo, 2720 impiegati a contratto, di cui 2012 a contratto locale e 638 a contratto italiano, e 40 di altri amministrazioni;
   il trattamento retributivo e previdenziale del personale a contratto «locale» presso rete diplomatica e consolare italiana, nonché presso gli istituti di cultura, sotto molti aspetti e in diverse realtà territoriali, rappresenta un grosso problema per carenza di omogeneità e di adeguatezza salariale;
   il livello retributivo dei suddetti dipendenti, dunque, appare essere non idoneo ed adeguato al costo della vita del posto dove si esercita l'attività lavorativa, ma, quel che è peggio, in alcuni casi, risulta, una differenza salariale di gran lunga maggiore al 100 per cento tra un dipendente con contratto regolato dalla legge italiana rispetto ad uno, con analoghe funzioni e competenze, regolato dalla legge «locale»;
   in particolare, tra gli altri, risulta che il personale a contratto presso l'ambasciata d'Italia e l'Istituto Italiano di Cultura in India lamenti di essere oggetto di una grave discriminazione sotto il profilo economico, perpetrata anche in base alla cittadinanza;
   il Times of India nell'anno 2012, a seguito del ricorso presentato in tribunale da alcuni lavoratori dipendenti a contratto presso l'ambasciata italiana a Nuova Delhi, riportava la notizia che l'ambasciata italiana era stata chiamata a rispondere alla giustizia per discriminazione razziale ed etnica, per ragioni legate alla differenza retributiva tra dipendenti con cittadinanza italiana e indiana;
   sebbene l'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 sancisca il principio della congruità retributiva dei dipendenti a contratto presso le ambasciate italiane all'estero, rimane di fatto, in parte, disatteso il disposto della norma;
   l'articolo in esame stabilisce testualmente che: «la retribuzione annua base è determinata in modo uniforme per Paese e per mansioni omogenee. Può essere consentita in via eccezionale, nello stesso Paese, una retribuzione diversa per quelle sedi che presentino un divario particolarmente sensibile nel costo della vita»;
   i dislivelli retributivi in India, come in altri Paesi, sono stati definiti, non a torto, da taluni al di sotto della soglia minima di sostentamento, nonostante i due lievi miglioramenti adeguativi del 2013 e del 2016;
   si rende pertanto necessario un intervento strutturale per garantire, a tutti i dipendenti, in ciascuna delle sedi diplomatiche italiane all'estero, un adeguato trattamento retributivo e previdenziale, anche allo scopo di assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori e del buon nome ed onorabilità dell'Italia –:
   se e in che misura il Ministro interrogato intenda adottare le iniziative adeguate ed opportune per garantire il pieno rispetto del principio di equa retribuzione di tutti i lavoratori impiegati, con contratti regolati dalle «leggi locali», presso le sedi diplomatiche italiane all'estero;
   se ritengano opportuno assumere iniziative per definire una norma integrativa e chiarificatrice per rendere più chiaro e sempre applicabile il disposto normativo dettato dall'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, che, in alcuni casi, risulta essere disatteso. (5-11492)


   MALISANI e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in Venezuela si presentano sempre con maggiore frequenza, sui media, notizie molto allarmanti rispetto alla situazione sociale, ormai in preda a scontri di piazza sempre più violenti, con decine di morti, molti dei quali minorenni;
   le condizioni di vita della popolazione sono progressivamente peggiorate: vengono a mancare il cibo e le medicine, non vi è alcuna sicurezza per cui i cittadini sono limitati nella propria libertà di movimento, al fine di evitare di esporsi a violenze e assassini;
   ai più alti livelli istituzionali è stata manifestata notevole preoccupazione per lo stato del Paese e in particolare per la situazione dei nostri connazionali, calcolabili oggi in circa 142.000 unità;
   in Venezuela si stima una presenza di circa 15.000 emigranti friulani;
   l'uscita dal Paese per rientrare in Italia è resa difficile dalla situazione politica ed economica e dalla distanza geografica –:
   se non si ritenga necessario assumere ogni iniziativa utile a lenire la preoccupante situazione umanitaria, con un'attenzione specifica nei confronti della comunità italiana residente, compresa quella friulana;
   se non si ritenga opportuno – visto il permanente stato di pericolo – prevedere un piano di rientro e di accoglienza, qualora i nostri connazionali ritenessero inevitabile e necessario l'esodo forzato dal Venezuela. (5-11497)

Interrogazione a risposta scritta:


   DURANTI, PIRAS, CARLO GALLI, SANNICANDRO, NICCHI, RICCIATTI, MURER, BOSSA e MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da una inchiesta pubblicata sul sito on-line de « L'Espresso» in data 30 maggio 2017, gli alleati iracheni procederebbero da tempo con torture nei confronti dei civili sospettati di aver avuto rapporti con gli jihadisti. Persone picchiate e seviziate nella «casa delle torture» dell'Erd (Iraq's Emergency Response Division) da soldati addestrati da americani ed italiani;
   nello specifico il reportage è stato possibile grazie alle testimonianze – sia degli scritti che delle istantanee – del fotografo e giornalista iracheno Ali Arkady, che per diverso tempo ha avuto il compito di seguire il lavoro dei soldati e che adesso è costretto a vivere in luogo segreto. Grazie al suo lavoro sono venute alla luce diverse storie. Ad esempio, quella di Medhi Mahmoud Mahmud e del figlio Ahmad, bloccati dalla task-force anti-terrorismo ERD mentre erano in cammino verso i territori liberati dopo l'offensiva del 23 novembre 2016, accusati di essere fiancheggiatori e torturati per oltre un'ora. Rilasciati, ripresi dopo due settimane ed uccisi insieme ad altri detenuti vicino al villaggio i Qabr al-Abd a sud di Mosul;
   per tutta una notte, inoltre, il fotografo ha assistito alle torture sui corpi di due fratelli, Leith e Ahmed Abdullah Hassan, consegnati alle forze speciali dopo essere stati sorpresi nell'area di Gogjali. Nonostante le testimonianze favorevoli di vicini e parenti, che dichiaravano come loro fossero assolutamente lontani dalla dottrina fondamentalista, i due sono stati torturati – a Leith hanno messo le dita negli occhi e premuto con forza fin quasi a cavarli dalle orbite, mentre ad Ahmed hanno puntato un coltello lungo la schiena e lo hanno fatto scorrere lentamente per fargli provare i brividi della fredda lama che penetra nelle carni – e poi uccisi;
   nelle sue testimonianze il fotografo riporta anche di colloqui con i seviziatori, che fra le altre cose hanno confermato di essere stati addestrati da americani e anche da italiani;
   il contingente italiano, solo per il 2017, prevede l'impiego di 1497 militari e l'impiego di 300 milioni di euro, nell'ambito « Coalition of the Willing», la «coalizione dei volenterosi» (una coalizione di Paesi sotto la guida degli Stati Uniti) che ha tra gli obiettivi la lotta contro Daesh –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non intenda attivarsi immediatamente, in sede internazionale, sia per appurare le responsabilità delle forze irachene che per impedire il reiterarsi di azioni – come quelle sopra esposte – lesive dei diritti umani. (4-16819)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i risultati dell'indagine di Arpav sullo stato di salute dei corsi d'acqua della regione Veneto sembrerebbero presentare alcuni dati non rassicuranti per il Polesine;
   per quanto concerne i campionamenti regionali eseguiti tra 2015 e 2016, in otto siti, i limiti risultano superati e in tre di questi, ubicati in territorio polesano, si sono riscontrate concentrazioni di pesticidi nelle acque superiori al limite previsto dallo standard di qualità medio annuo per i fiumi;
   lo sforamento ha riguardato una o più delle sostanze delle quali Arpav ricercava traccia, tutte appartenenti alla famiglia dei pesticidi-erbicidi: glifosato, ampa, glufosinato;
   i tre siti polesani sono: nell'Adige al Ponte di Anguillara, nel Nuovo Adigetto ad Adria ed in località Grignanella, e nel Po di Venezia a Sabbioni di Corbola;
   la recente ricerca di «Greenpeace» ha comunque sottolineato come i campionamenti in Polesine, alle fontane di Occhiobello e Polesella, abbiano rivelato tracce di composti perfluoroalchilici ben al di sotto dei limiti previsti anche dai più severi parametri adottati da Paesi come Svezia e Usa;
   il glifosato è un erbicida tra i più utilizzati a livello mondiale, introdotto con il nome di «Roundup» nel 1974;
   in Italia e nel Veneto esso viene impiegato in fase pre-semina e pre-impianto per molte colture orticole, per il diserbo di argini e sponde dei bacini nella coltivazione del riso, oltre che per i diserbi di frutteti, vigneti e colture arboree, e nelle aree urbane sia a livello di piccole aree ad uso privato che pubblico, in Veneto, nel solo 2015, sono state vendute 446 tonnellate di principio attivo;
   nel mese di marzo 2017 l'Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa), ha classificato il glifosato come non cancerogeno, ma molte associazioni ambientaliste hanno contestato questo verdetto –:
   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare quale sia il possibile rischio e quale il livello di allerta per i fiumi e le vie d'acqua polesane e venete nonché quali interventi sia possibile mettere in atto per garantire prevenzione e sicurezza per la salute della popolazione. (3-03063)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, TERZONI, ZOLEZZI e SIBILIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   è notizia recente quella del sequestro del cantiere posto in località «Montagna», nel territorio di Morcone (Benevento), ove erano da poco iniziati i lavori per l'installazione di un campo eolico da 57 megavatt da realizzarsi nel comune di Morcone e Pontelandolfo in provincia di Benevento;
   a seguito di segnalazioni da parte di comitati di cittadini e associazioni ambientaliste sono emerse irregolarità consistenti dal mancato rispetto di prescrizioni elencate nell'autorizzazione unica della regione Campania (decreto dirigenziale n. 999/2014);
   i cantieri sarebbero risultati sprovvisti dei cartelli previsti ex lege e soprattutto gli stessi lavori si sarebbero svolti in assenza di autorizzazione efficace, in quanto l'autorizzazione di cui al citato decreto prescrive la redazione del piano di assestamento forestale (PAF) da parte del comune di Morcone che invece allo stato attuale risulta non vigente;
   con il decreto di cui sopra, il comune di Morcone si è impegnato a modificare l'attuale destinazione d'uso delle particelle interessate alla concessione;
   l'area oggetto dell'autorizzazione, presenta, inoltre, le seguenti caratteristiche:
    trattasi di pascolo montano ex articolo 14, comma, 4 della legge regionale Campania n. 11 del 1996;
    vi è presenza di usi civici ampliamente attestati e regolati dalla legge della regione Campania n. 11 del 1981 e pertanto si crea un vincolo paesaggistico in base all'articolo 142, comma 1, lettera h) del decreto legislativo n. 42 del 2004;
    si tratta di area dichiarata «zona speciale di conservazione» (ZSC) nonché area qualificata come «sito di importanza comunitaria» SIC-IT8020009 «Pendici Meridionali del Monte Mutria»;
   la legge della regione Campania n. 6 del 2016, articolo 15, comma c), d) ed f), prevede la non idoneità all'installazione di impianti eolici con potenza superiore ai 20 megavatt in determinate aree;
   il decreto autorizzativo non appare assicurare il rispetto delle procedure previste dalle linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 47987, soprattutto con riferimento alla Parte IV (inserimento degli impianti nel paesaggio e sul territorio), punti 16 e 17 e rispettivi allegati;
   con atto n. 717 del 28 aprile 2017 il consigliere della regione Campania del Movimento 5 Stelle Vincenzo Viglione ha elaborato una interrogazione sulla medesima problematica –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione sopra descritta e quali iniziative, per quanto di competenza intendano intraprendere al fine di tutelare l'area all'interno della quale si è tentato di installare le pale eoliche, tenendo in debita considerazione la legittima tutela del territorio, dell'ecosistema e del paesaggio in un luogo che costituisce sito di interesse comunitario e zona speciale di conservazione;
   quali iniziative si intendano assumere per garantire, in questo caso e in quelli analoghi, la piena applicazione della normativa recata dal decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e con il Ministro per i beni e le attività culturali, del 10 settembre 2010, recante le linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili;
   quali iniziative di verifica e di controllo siano state assunte, per quanto di competenza, in ordine alla situazione sopra descritta e quali altre saranno messe in atto. (4-16810)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il sito nazionale di Bussi è contaminato da solventi clorurati, metalli e diossina;
   per l'Arta vi è contaminazione degli alberi circostanti la discarica Tremonti, alti valori di Cov nel soil-gas presso la stessa discarica;
   inoltre, si conferma la fuoriuscita dei contaminanti dal sito;
   l'Istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo ha evidenziato valori oltre i limiti di legge per il mercurio nelle carni di alcuni pesci a valle del sito inquinato sul fiume Pescara;
   recentemente, è stato assegnato l'appalto dell'importo di circa 45 milioni di euro per la bonifica delle discariche 2A e 2B;
   la provincia di Pescara risulta inadempiente rispetto all'individuazione del responsabile della contaminazione ex articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006, tanto che il Forum H2O già nel 2016 ha depositato un esposto sulle omissioni degli enti;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in seguito a un ulteriore sollecito del Forum ha richiamato la provincia nel verbale della conferenza di servizi del 30 novembre 2016 e nel febbraio 2017 ha inviato una nuova lettera alla provincia in merito alle aree 2A e 2B;
   la società Edison, proprietaria della discarica Tremonti, il 30 novembre 2016 ha proposto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ulteriori integrazioni, nonostante vi sia un piano di caratterizzazione del sito redatto e regolarmente approvato dal commissario delegato, costato un milione di euro di fondi pubblici;
   il comune di Bussi ha deliberato di voler acquisire per un euro le aree attualmente inquinate delle discariche 2A e 2B, attraverso un accordo di programma con Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Abruzzo e Solvay, la società cedente;
   l'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001 ammette l'occupazione temporanea delle aree per progetti di pubblica utilità come la bonifica;
   l'articolo 12, comma 1-ter, del decreto-legge n. 98 del 2011 vieta agli enti locali l'acquisizione di immobili se non indispensabili, cosa ovviamente non rilevabile in questo caso, vista la possibilità di intervenire con l'occupazione temporanea con costi assai limitati vista la condizione delle aree;
   il decreto legislativo n. 152 del 2006 consente allo Stato di recuperare l'eventuale differenza di valore acquisita attraverso la bonifica escludendo vantaggi per l'attuale proprietaria;
   la proprietà di un'area inquinatissima pone problemi rilevanti di gestione, ad esempio della falda, nonché di sorveglianza, e rischi di ogni genere;
   un primo tentativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 2013 di imporre ad Edison la bonifica immediata delle discariche 2A e 2B fallì davanti al Consiglio di Stato nel 2015 per un errore formale;
   larga parte dell'area industriale è da anni dismessa e, ciononostante, non sono state attivate le procedure di bonifica, pur essendo la stessa area sgombra da impianti –:
   per quali motivi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si sia concentrato esclusivamente sulle discariche 2A e 2B e non sia stato chiesto alla provincia di individuare il responsabile della contaminazione anche per l'area industriale;
   se intenda attivare i carabinieri del Noe per monitorare lo stato dei luoghi e quali iniziative di competenza intenda assumere in relazione alla mancata attivazione delle misure di messa in sicurezza;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere nei confronti di Edison, per la discarica Tremonti visto che sono passati altri sette mesi dalla conferenza dei servizi e non sono state attivate ulteriori misure di messa in sicurezza né è stato presentato il progetto di bonifica;
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia avallato l'acquisto delle aree inquinate 2A e 2B da parte del comune e, in caso affermativo, su quali basi giuridiche ciò sia avvenuto. (4-16814)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROTTA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Verona è dotata di un sistema fortificato austriaco di tale valore da aver rappresentato una delle motivazioni per il riconoscimento, da parte dell'Unesco, della città come patrimonio mondiale dell'umanità: le torricelle massimiliane ubicate sulle colline fanno parte del sistema difensivo asburgico; la seconda torricella massimiliana è sottoposta, insieme al terreno di pertinenza, al duplice vincolo monumentale e paesaggistico;
   da notizie degli organi di stampa televisivi e della carta stampata – Report del 11 ottobre 2015 e Corriere del Veneto emergerebbe, una grave situazione di irregolarità e mancata tutela di un bene culturale: nel compendio demaniale «Seconda Torricella Massimiliana» soggiornerebbero molti ripetitori televisivi riconducibili a circa 40 diversi editori;
   secondo il Corriere del Veneto, molti gruppi editoriali di altrettante emittenti televisive si erano di fatto «agganciati» in maniera non regolare a quello che a tutti gli effetti è un monumento del demanio tutelato dalla soprintendenza;
   la trasmissione Report è tornata ad occuparsi della questione con un approfondimento in data 28 novembre 2016;
   secondo quanto descritto da Report l'agenzia del demanio della regione Veneto non è ancora in possesso delle chiavi per accedere alla struttura e, secondo quanto afferma il dottor Capobianco «vi sarà a breve una proposta di ripristino delle torricelle rimuovendo tutte quelle antenne (...) il traliccio è abusivo e la sovrintendenza dovrà esprimere il suo parere»;
   il traliccio in questione è stato costruito nel 1980 su terreno sottoposto a vincolo, senza alcuna autorizzazione: una parte del traliccio, secondo Report, apparterebbe al gruppo Athesis che incasserebbe un affitto dagli altri editori e sarebbe debitore di oltre 1 milione di euro al demanio;
   l'Ispettorato territoriale del Veneto del Ministero dello sviluppo economico in data 7 ottobre 2015 inviò alla Agenzia del demanio, direzione regionale del Veneto, alla regione Veneto, alla soprintendenza ed al comune di Verona una richiesta formale in ordine al traliccio: «si chiede formalmente alla Agenzia del Demanio del Veneto, agli uffici competenti del Comune di Verona e alla Soprintendenza dei Beni Culturali e Paesaggistici di Verona di chiarire come sia stato possibile che negli anni ’70 un qualsivoglia soggetto abbia potuto installare, su un bene demaniale di alto profilo storico culturale un traliccio di ben 75 metri, con fondamenta plinti e ancoraggi senza presentare alcun progetto all'ufficio comunale, senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione edilizia da parte del Comune medesimo, senza una autorizzazione del Demanio titolare dell'area, senza l'autorizzazione della Soprintendenza che aveva sotto tutela tale manufatto ma soprattutto senza che nessuno di codesti uffici si attivasse, per quanto di competenza, a sanare tale scempio ed a informare (dopo il 1997) la Regione dei vincoli esistenti»;
   la Soprintendenza è rimasta inerte per decine  anni pur di fronte alla illegittimità dell'insediamento: inerzia ingiustificabile a fronte della decisione del 6 marzo 2017 del nuovo soprintendente dottor Fabrizio Magani che comunica di aver emanato l'ordine di reintegrazione ai sensi dell'articolo 160 del decreto legislativo n. 42 del 2004 in relazione agli interventi abusivi nel sito;
   nel gennaio del 2017 si è costituito, a Verona, il comitato contro le antenne sulle torricelle che insieme a Legambiente ha depositato un esposto alla procura della Repubblica di Verona contro i responsabili delle emittenti radiotelevisive, del comune, della soprintendenza, del demanio, della Agsm ed ha notificato diffide al comune, alla soprintendenza, al comune di Verona, alla regione Veneto –:
   se il Governo sia informato della vicenda e quali iniziative per quanto di competenza, intenda adottare al fine di ripristinare una situazione di legalità sulla seconda torricella massimiliana e sul terreno pertinente, di rispettare il vincolo paesaggistico, di recuperare quanto dovuto all'erario negli anni di occupazione illegittima del bene, e di sanzionare, per quanto di competenza, l'inerzia degli uffici statali preposti alla tutela dei beni pubblici. (5-11487)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI GALLO, DI BENEDETTO, BRESCIA, SIBILIA e CARIELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con delibera di giunta comunale di Torre del Greco n. 103 del 16 febbraio 2017 i fabbricati B-C-D-E-F-G-H-I-L-S-T e relative aree pertinenziali del complesso «ex Molini Meridionali Marzoli» – M. M. M. – risalenti al 1911 e acquisiti dal comune nel 1989 sono inseriti nel «piano delle alienazioni e delle valorizzazioni immobiliari» – articolo 58 del decreto-legge n. 122 del 2008 – per l'anno 2017;
   in un articolo de Il Mattino del 3 marzo 2017, Francesca Raspavolo descrive l'area come «Complesso che sorge sul basamento lavico di Calastro, con una visuale mozzafiato sull'intero golfo di Napoli: 12 mila metri quadrati di storia che da un secolo dominano il waterfront di Torre del Greco» e sostiene che «la situazione delle finanze comunali non giustificherebbe la scelta di vendere» dato che «il bilancio di previsione 2017» mostra «un avanzo di amministrazione di almeno due milioni di euro»;
   come riportato da Alberto Dortucci su www.metropolisweb.it il 17 marzo 2017, è nato un fronte popolare contrario alla vendita riunito in prima assemblea il 9 marzo 2017 su iniziativa di Antonio Crispino, presidente del Polo artistico torrese;
   basandosi su numerose pubblicazioni – vedasi «I Mulini Meridionali Marzoli» di Izzo Pinto – il primo firmatario del presente atto ha richiesto alla Soprintendenza di Napoli in data 16 marzo 2017 delucidazioni in merito ai vincoli dell'area, evidenziando come «I M.M.M. costituiscono uno dei pochi esempi del passato industriale di Torre del Greco e rappresentano un'insostituibile testimonianza materiale delle forme di organizzazione tecnologica e di vita lavorativa di un periodo storico. Sono un contenitore di scienza, di tecnologia, di capacità imprenditoriale, di fatica [...] che può migliorare le strutture cittadine esistenti e rivitalizzare e rivalutare una porzione di città»;
   concetti simili in merito ai M.M.M. sono espressi nel «Piano di gestione del sito UNESCO aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata»;
   ai sensi dell'articolo 54 del decreto-legge n. 42 del 2004, codice dei beni culturali e del paesaggio, si ritengono beni inalienabili gli immobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali la cui costruzione risalga ad oltre settant'anni, in quanto la «culturalità» di tali beni si ritiene presunta fino ad eventuale esito negativo del processo di verifica di cui all'articolo 12 del codice da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il quale è tenuto a dare previo parere positivo prima di qualsiasi intervento sui beni;
   il consigliere comunale Ludovico D'Elia in una lettera al segretario comunale del 15 maggio 2017 ha denunciato l'eventuale vendita a privati dei fabbricati, in quanto, tra le opere pubbliche realizzate con risorse comunitarie – POR FESR Campania 2007/2013, asse 6, O.O. 6.1 – e comunali vi sono interventi che riguardano tutti gli spazi aperti del complesso, come il «Centro formativo per attività velistiche» e la «riqualificazione e sistemazione degli spazi aperti dei M.M.M.» aventi, come dichiarato sul sito del comune, l'obiettivo del recupero della visione unitaria del complesso e organizzati ad accogliere visitatori, utenti e operatori impegnati nelle attività che saranno svolte –:
   se siano state svolte le procedure di verifica di cui all'articolo 12 del codice dei beni culturali e del paesaggio;
   se il Ministro interrogato abbia fornito l'autorizzazione, per quanto di competenza, affinché gran parte del sito archeologico industriale Molini Meridionali Marzoli di Torre del Greco venga inserito nel Piano delle alienazioni e delle valorizzazioni immobiliari;
   in che modo il Ministro intenda intervenire per garantire il rispetto dell'articolo 12 del codice dei beni culturali, qualora il relativo procedimento amministrativo non sia stato correttamente osservato. (4-16821)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la laguna di Orbetello è una zona dal rilevante valore ambientale oltre a rappresentare un volano irrinunciabile per l'economia e l'occupazione territoriale;
   la particolare conformazione della laguna ne fa un sistema ambientale molto delicato e vulnerabile, che necessita di una serie continuativa di interventi manutentivi e gestionali tali da conservare e migliorare progressivamente l'attuale stato di equilibrio;
   proprio a seguito di una grave crisi ambientale che ha causato una ingente moria di pesci nel corso degli anni ’90, la laguna di Orbetello è stata dichiarata «area ad elevato rischio di crisi ambientale» ed è stato nominato un commissario al risanamento. La gestione commissariale si è protratta fino al 2014;
   nel mese di febbraio 2014 la regione Toscana, la provincia di Grosseto e il comune di Orbetello hanno firmato un accordo di programma per la gestione della laguna e del suo ecosistema: una gestione unitaria, fino a dicembre 2016, che avrebbe dovuto assicurare la raccolta ed il trattamento, la manutenzione dei canali necessari a migliorare la circolazione delle acque ed interventi per la conservazione di fondali e sponde. Tale accordo è stato rinnovato nel mese di marzo 2017;
   l'accordo sopracitato non è mai stato però firmato dal Ministero dell'economia e delle finanze, nonostante la laguna faccia parte del demanio marittimo e lo stesso dicastero ne sia proprietario;
   è emerso in questi anni come le risorse economiche, strutturali e logistiche degli agli enti locali competenti non siano assolutamente sufficienti a far fronte a situazioni emergenziali che hanno interessato ciclicamente la laguna;
   nella seconda metà del mese di luglio del 2015, anche a causa delle ondate anomale di calore che hanno interessato gran parte d'Italia, la laguna di Orbetello è stata infatti oggetto di una vera e propria catastrofe ecologica. È stata rilevata la morte di oltre 120 tonnellate di pesci che ha certificato il peggiore disastro ambientale degli ultimi 70 anni. Tale calamità che ha inoltre causato una perdita economica di circa 20 milioni di euro mettendo a rischio decine di posti di lavoro;
   nelle ultime settimane sono emersi sulla stampa locale numerosi articoli allarmanti sulla possibilità che si possa verificare presto nella laguna di Orbetello un nuovo disastro ambientale. Tra le criticità rilevate:
    i ritardi per il rinnovo del citato accordo di programma;
    il mancato utilizzo, per differenti motivazioni, dei battelli utilizzati per evitare la crescita delle alghe;
    la mancanza di un efficace e tempestivo piano di emergenza;
   appare quindi evidente, al di là delle singole responsabilità, che il modello di governance attuale della laguna di Orbetello, pur affidando le competenze della laguna agli enti territoriali, manca però di adeguate risorse economiche e tecniche capaci di assicurare una corretta gestione di un ecosistema così complesso e fragile e che interessa un vasto e diversificato tessuto ambientale, occupazionale ed economico;
   alcune porzioni della laguna di Orbetello sono state riconosciute sito di bonifica di interesse nazionale ai sensi della legge n. 179 del 31 luglio 2002;
   nel mese di dicembre 2016 il Cipe ha destinato 276 milioni di euro del fondo sviluppo e coesione 2014-2020 (gestiti dalla regione) per la bonifica dei siti di interesse nazionale;
   la salvaguardia della laguna di Orbetello è stata oggetto di atti parlamentari e di proposte di legge nell'attuale legislatura –:
   se i Ministri interrogati ritengano necessario assumere iniziative per stanziare annualmente adeguate risorse economiche per assicurare, di concerto con gli altri enti territoriali preposti, la corretta gestione del complesso e delicato ecosistema ambientale della laguna di Orbetello;
   per quali motivi il Ministero dell'economia e delle finanze non abbia sottoscritto l'accordo citato in premessa;
   se ed in quali modalità le risorse economiche stanziate dal Cipe per i siti di interesse nazionale verranno utilizzate per salvaguardare l'ecosistema della laguna di Orbetello. (5-11495)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, SANNICANDRO, LEVA, ROSTAN, NICCHI, SCOTTO, FONTANELLI, PIRAS, QUARANTA, DURANTI, MARTELLI, MELILLA, KRONBICHLER e FERRARA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 maggio 2017 la casa circondariale di Pesaro – Villa Fastiggi è stata interessata da una azione di rivolta nel terzo braccio, ad opera di cinque detenuti di origine nord africana;
   secondo il sindacato di polizia Sappe si tratterebbe di soggetti «fondamentalisti musulmani simpatizzanti della Jihad»;
   i detenuti in questione avrebbero organizzato una vera e propria rivolta, scatenata – a quanto si apprende da fonti di stampa – dalla distribuzione di un quantitativo di olio per i pasti insufficiente alle esigenze degli stessi detenuti nel periodo del Ramadan. Le proteste sono sfociate in minacce gravi agli agenti di polizia penitenziaria e, successivamente, in tentativi di appiccare un incendio all'interno della sezione, bruciando coperte e lanciando rudimentali ordigni costituiti dalle bombolette per i fornelli, nella disponibilità dei detenuti all'interno delle singole celle;
   la prontezza e la professionalità del personale di polizia penitenziaria intervenuto hanno scongiurato un epilogo che poteva avere effetti molto più gravi;
   nonostante la professionalità del personale, l'evento richiamato mette in luce rilevanti criticità nella gestione di particolari tipologie di detenuti;
   la situazione delle carceri – caratterizzata da strutture spesso fatiscenti, sovraffollamento carcerario, piante organiche del personale insufficienti, carenza di politiche rieducative – oltre a non consentire adeguati percorsi rieducativi e mettere a repentaglio la stessa sicurezza del personale impiegato, rischia di essere terreno fertile per il fenomeno della «radicalizzazione» di alcune tipologie di detenuti;
   tali rischi sarebbero inoltre aggravati dalla condizione di fragilità psicologica che molti detenuti vivono, sia per la oggettiva durezza della condizione carceraria, sia per l'assenza di politiche di integrazione tra le diverse etnie che compongono la popolazione detenuta;
   ad avviso degli interroganti, oltre a rinforzare le piante organiche, sarebbe opportuno potenziare piani di formazione adeguati per il personale di polizia penitenziaria, al fine di far fronte a situazioni come quella descritta, preparando in particolare ai rischi della cosiddetta «radicalizzazione» della popolazione carceraria di fede islamica e potenziando allo stesso tempo le politiche di integrazione;
   le stesse organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria hanno più volte rappresentato questa esigenza, al fine di contrastare adeguatamente il rischio di «reclutamento», di soggetti detenuti, alla causa della Jihad –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno promuovere un accertamento in relazione ai fatti illustrati in premessa;
   se non intenda assumere iniziative volte a potenziare la formazione professionale del personale di polizia penitenziaria a contatto con soggetti a rischio di «radicalizzazione», per ridurre tali rischi e per favorire una maggiore integrazione della popolazione carceraria;
   quali iniziative intenda adottare al fine di garantire piante organiche per il personale di polizia penitenziaria adeguate alle necessità di sicurezza e alle finalità rieducative. (4-16806)


   SPADONI, DALL'OSSO, PAOLO BERNINI, FERRARESI e SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 maggio 2017 il giornale « Il Resto del Carlino», edizione di Reggio Emilia, in un articolo intitolato «Due agenti di custodia aggrediti a calci e a pugni da un “detenuto” disturbato» riportava l'ennesimo caso di violenza avvenuto nelle carceri, nella fattispecie presso la casa circondariale di via Settembrini;
   Michele Malorni, responsabile del sindacato di polizia penitenziaria, in suddetto articolo dichiarava che dopo la chiusura dell'ospedali psichiatrici giudiziari il carcere ospita persone con problemi psichiatrici lasciati nei circuiti ordinari senza essere attrezzato; inoltre il sindacalista denunciava la perenne carenza d'organico in cui versa la struttura penitenziaria reggiana e la mancanza di undici ispettori, undici sovrintendenti e trenta assistenti nella suddetta struttura. L'amministrazione giudiziaria a detta di Malorni aveva promesso, in vista dell'avvio del processo Aemilia, l'arrivo di molti assistenti, ad oggi ancora non arrivati;
   la carenza di personale negli istituti di pena non è una problematica che riguarda esclusivamente il carcere di Reggio Emilia, ma su tutto il territorio nazionale si registra una carenza di organico nelle strutture scelte per accogliere detenuti particolarmente problematici;
   nelle carceri italiane il numero dei detenuti è assolutamente sproporzionato rispetto al personale penitenziario in organico e questa problematica non fa altro che incidere negativamente sul perseguimento degli obiettivi di sicurezza e di trattamento rieducativo a cui deve rispondere l'amministrazione penitenziaria;
   la carenza di personale, in particolare per quanto riguarda i quadri intermedi, su tutto il territorio nazionale crea una serie di difficoltà agli agenti che in quella struttura garantiscono sempre la massima professionalità. Gli agenti del carcere di Reggio Emilia e delle carceri italiane devono essere messi nelle condizioni di operare nella massima sicurezza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'episodio riportato in premessa e se ritenga di assumere iniziative per aumentare l'organico della polizia penitenziaria all'interno della casa circondariale di via Settembrini;
   se non si intenda procedere velocemente nell'espletamento dei concorsi, in particolare per i quadri intermedi, ispettori e sovrintendenti, la cui carenza è davvero grave. (4-16812)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto «progetto Pramollo» di Pontebba sembra essere definitivamente bloccato; l'idea di realizzare 600 posti letto ed altre strutture ricettive nell'area di Pontebba sembra essere svanita nel nulla e, con essa, rimangono congelati 50 milioni di euro;
   tale progetto scaturisce dalla delibera n. 2926 del 30 dicembre 2008, con la quale la giunta regionale del Friuli Venezia Giulia aveva approvato il testo dell'avviso indicativo di project financing per la «realizzazione e gestione di un impianto di collegamento a fune fra Pontebba e il comprensorio sciistico di Pramollo- Nassfeld e valorizzazione turistica dell'area»;
   tale avviso prevedeva più interventi infrastrutturali volti alla valorizzazione turistica del versante italiano del comprensorio Pramollo-Nassfeld e, nella fattispecie, un impianto funiviario, di un demanio sciabile con relativo impianto di innevamento, nonché parcheggi di interscambio e di servizio con relativo adeguamento della viabilità;
   a seguito di tale bando, una commissione ad hoc ha valutato le offerte in un arco temporale che va dal mese di novembre 2009 a quello di giugno 2011, al termine del quale l'offerta presentata dalla società Doppelmayr Italia Srl è stata giudicata quella maggiormente soddisfacente rispetto ai contenuti dell'avviso indicativo;
   il costo dell'intervento, quale risulta dal piano economico finanziario asseverato, era quantificato in euro 82.591.307,00, di cui euro 79.544.809,00 per costi di realizzazione, spese tecniche, investimenti, nonché euro 3.046.498,00 per Iva; inoltre, per tale somma, la parte pubblica avrebbe dovuto rappresentare una compartecipazione del 67,9 per cento dell'intero costo dell'opera, Iva compresa, mediante la provvista stimabile in euro 48.000.000,00 derivante dall'accensione di un mutuo coperto da un finanziamento pluriennale di euro 3.500.000 per anni 20;
   la Corte dei conti del Friuli Venezia Giulia ha espresso dubbi sul progetto, in particolare sulla contenuta e dubbia partecipazione del Land Carinzia (fortemente indebitato per il crack Hypo Bank e a rischio insolvenza), con appena sei milioni di euro, sollevando l'interrogativo circa le ragioni per cui il Friuli Venezia Giulia dovrebbe far fronte a tale investimento per portare gli sciatori in Austria;
   in effetti a beneficiare maggiormente dell'opera sarebbe in prevalenza l'indotto austriaco, di conseguenza, al territorio italiano rimarrebbe, a suo danno, l'ulteriore inquinamento da trasporto nonché l'onere di far fronte alla mobilità degli utenti del comprensorio sciistico;
   il bando, più volte annunciato come imminente, ed atteso da ultimo entro il 2016, non è stato ancora mai emanato;
   sicuramente, a parere dell'interrogante, la vicenda necessita di chiarimenti perché sono troppe le domande inevase; ad esempio occorrerebbe chiarire se il progetto avvantaggi troppo l'Austria rispetto al Friuli Venezia Giulia, se la regione trovi fondate le perplessità della Corte dei conti rispetto alla volontà della Carinzia di partecipare alla spesa con 6 milioni di euro, o ancora se non si voglia ammettere l'insostenibilità finanziaria dell'opera per i ritorni negativi alla immagine politica di chi lo ha promesso –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda del progetto «Pramollo» e, in particolare, quali orientamenti siano stati espressi, anche nell'ambito della relativa conferenza di servizi, circa i vari profili di competenza statale riguardanti la tutela ambientale, gli equilibri idrogeologici, la salvaguardia dei beni paesaggistici e le problematiche impiantistiche, infrastrutturali e di viabilità, cui ora si sono aggiunte le forti criticità finanziarie segnalate dalla Corte dei conti;
   considerato che il progetto è fermo da tempo e pare essere destinato al fallimento, quali iniziative di competenza intendano assumere per favorire la realizzazione di diversi e più proficui interventi volti a valorizzare il turismo montano in Friuli Venezia Giulia, interventi ai quali sarebbe auspicabile che la regione destinasse le risorse attualmente bloccate in bilancio per un'opera che avvantaggerebbe di fatto soprattutto l'Austria. (4-16802)


   DI GIOIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la nuova programmazione estiva di Trenitalia si prefigura come una nuova penalizzazione per la provincia di Foggia e per tutta la Capitanata;
   è stato programmato di utilizzare il by pass, situato a 1.660 metri dalla stazione di Foggia, per il treno veloce Bari-Roma, privando ulteriormente di un collegamento essenziale una provincia già fin troppo penalizzata in termini di trasporti e di infrastrutture;
   oltretutto, Trenitalia si era impegnata ad utilizzare tale by pass solo ed esclusivamente per i treni merci;
   in tal modo, si penalizzano tutti i potenziali utenti facendo prevalere interessi particolari a tutto discapito dell'impegno a sostenere servizi pubblici e penalizzando un'intera provincia che, proprio nel periodo estivo, raccoglie, oltre agli abitanti del luogo, migliaia di turisti proprio per le sue bellezze naturali;
   su tale questione si è già verificato un incontro tra gli amministratori locali e quelli della regione Puglia, ma appare del tutto evidente che anche il Governo debba intervenire, per quanto di competenza, al fine di sollecitare Trenitalia affinché abbia un ripensamento rispetto alla decisione presa che, in zone sprovviste di un sistema di viabilità degno di tale nome, potrebbero privare Foggia e la provincia di un indispensabile servizio di mobilità durante la stagione estiva, con gravi ripercussioni economiche per l'intero territorio;
   più volte, in passato, vi è stato il tentativo, da parte di Trenitalia, di annullare il ruolo strategico della provincia di Foggia e della Capitanata nella mobilità ferroviaria dell'Italia meridionale e tutto ciò appare del tutto incomprensibile in un territorio che già soffre per la mancanza di un efficiente sistema infrastrutturale –:
   se non si ritenga necessario, per quanto di competenza, attivarsi per promuovere un apposito tavolo di confronto con Trenitalia spa, affinché vi sia un ripensamento rispetto alla decisione presa in merito alla questione di cui in premessa, alla luce anche degli impegni precedentemente sottoscritti con le parti sociali, e non si tolga a Foggia, alla sua provincia e alla Capitanata un importante collegamento ferroviario in vista della prossima stagione estiva. (4-16805)


   LAVAGNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la polizia ferroviaria (polfer) è l'unico reparto di polizia ad operare nelle stazioni e lungo la rete ferroviaria. I suoi compiti sono principalmente quello di garantire la sicurezza nelle stazioni ferroviarie e a bordo dei treni;
   la polfer è competente per la rilevazione e le indagini sugli incidenti ferroviari e indaga su tutti i reati che avvengono in ambito ferroviario, con apposite squadre investigative;
   da lunedì 29 maggio 2017, alle stazioni ferroviarie di Casale Monferrato, Tortona e Arquata Scrivia, in provincia di Alessandria, è stato soppresso, con decreto ministeriale del 31 marzo 2017, il servizio di polizia ferroviaria;
   a Casale Monferrato, chiuso l'ufficio, la comandante e i due suoi collaboratori sono stati trasferiti in altre sedi: alla polfer di Vercelli la comandante, alla polizia ferroviaria di Alessandria un agente e al commissariato di Casale, dove per altro presta già servizio da alcuni mesi, l'altro agente;
   a Tortona, la decisione era stata annunciata nel 2014, ma fino ad oggi il servizio degli agenti (ridotti da 4 a 2) era proseguito come scorta sui treni;
   nelle tre stazioni, sono diversi i casi di cronaca, gravi o meno, registrati negli ultimi anni, a conferma della necessità di avviare interventi che garantiscano la salvaguardia della pubblica sicurezza –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se intenda intervenire per ripristinare il servizio della polizia ferroviaria nelle stazioni di Casale Monferrato, Tortona e Arquata Scrivia per garantire la salvaguardia della pubblica sicurezza. (4-16807)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto affermato da alcune organizzazioni sindacali di categoria, i comandi provinciali dei vigili del fuoco di Udine, Pordenone, Trieste e Gorizia lamenterebbero gravi carenze di organico che porrebbero a rischio l'efficacia del servizio di soccorso tecnico urgente ad essi affidato;
   i comandi di Udine e Pordenone mancherebbero altresì di mezzi di soccorso;
   malgrado siano state, nel mese di aprile 2017, elevate a distaccamenti permanenti, le sedi di Cividale del Friuli, Sacile e Grado non avrebbero ricevuto i vigili permanenti che attendevano;
   in conseguenza dell'insufficienza di personale, le sedi centrali di Udine e Pordenone opererebbero sul territorio imponendo alle loro squadre turni da 12 ore;
   a soffrire maggiormente gli effetti delle lacune d'organico sarebbero i territori del cividalese, anche perché parte rilevante delle risorse disponibili localmente sarebbe impiegata ad Udine;
   non va molto meglio a Pordenone, il cui comando ha dovuto trasferire personale a Sacile;
   risulterebbe altresì incerta, al momento, l'attivazione stagionale dei distaccamenti di Grado e Lignano, nonché quella del servizio di vigilanza boschiva, che comunque non potrebbe avvenire senza sottrarre risorse a sedi già attualmente ai minimi termini;
   sono inoltre segnalate situazioni di sofferenza anche sotto il profilo della fornitura dei carburanti, posto che i vigili del fuoco del Friuli, a quanto risulta agli interroganti, riceverebbero gasolio di pessima qualità, sottratto dalla Guardia di finanza ai trafficanti balcanici e dannoso per gli iniettori dei mezzi in dotazione, circostanza che accrescerebbe gli oneri manutentivi –:
   quali iniziative il Governo ritenga di dover e poter assumere per reintegrare le piante organiche dei comandi provinciali dei vigili del fuoco di Udine, Pordenone, Trieste e Gorizia;
   in quali tempi il Governo ritenga possibile fornire ai comandi provinciali dei vigili del fuoco in Friuli-Venezia Giulia i mezzi ed i carburanti necessari a fronteggiare le necessità d'intervento ordinarie e della stagione estiva. (4-16803)


   NACCARATO, MARTELLA e MOGNATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da anni presso l'isola Nova del Tronchetto a Venezia si verifica una situazione di grave illegalità. In quest'area, dove arrivano ogni anno milioni di turisti con autobus o mezzi propri che raggiungono Venezia, sono presenti persone, i cosiddetti intromettitori, che avvicinano i turisti stessi e li accompagnano verso imbarcazioni private per condurli in centro storico o alle isole dell'estuario. L'attività, solo in parte regolamentata, alimenta un giro d'affari di milioni di euro all'anno;
   la gestione illegale dei flussi turistici è da tempo oggetto degli interessi di gruppi criminali;
   in passato erano presenti persone collegate all'associazione mafiosa, nota come mafia del Brenta, guidata da Felice Maniero; poi si sono attivati gruppi guidati da Otello Novello che ancora oggi controllano larga parte dei flussi turistici;
   di recente Otello Novello, socio della Canal grande srl della Travel venice srl, è stato rinviato a giudizio, insieme al suo collaboratore Stefano Franzachini, dalla direzione distrettuale antimafia di Venezia per concorso esterno in associazione mafiosa per aver favorito e aiutato Vito Galatolo. Nel maggio del 2017 il tribunale di Venezia ha trasferito per competenza territoriale il processo a Palermo;
   a questo proposito è utile ricordare che Galatolo, appartenente a una importante famiglia mafiosa di Palermo, dopo aver scontato una condanna per associazione di stampo mafioso, si trasferì a Mestre nell'ottobre 2012, dove venne assunto, insieme al figlio, in una società di Novello;
   Vito Galatolo è stato arrestato nel giugno del 2014 per rapina. Nel settembre del 2016 è stato condannato a 4 anni e 4 mesi di reclusione per una rapina tentata a Mestre e per una realizzata a Ponzano Veneto. Nei mesi precedenti erano state condannate altre persone che avevano partecipato all'organizzazione e all'esecuzione delle rapine;
   nei mesi scorsi Novello, a quanto consta agli interroganti, sarebbe stato vittima di aggressione;
   dalle vicende sopra riportate sembrerebbe essere in corso un conflitto per controllare la gestione dei flussi turistici e questo conflitto vedrebbe l'interesse di persone in relazione con organizzazioni criminali;
   gli interroganti esprimono la preoccupazione che la presenza di Vito Galatolo al Tronchetto abbia costituito un tentativo per inserire gruppi criminali in questo business;
   recentemente ci sono stati blitz dei carabinieri con relative sanzioni agli abusivi;
   negli anni scorsi l'amministrazione comunale di Venezia ha programmato di realizzare al Tronchetto una caserma per i carabinieri per aumentare il controllo del territorio, prevenire e contrastare la presenza di attività criminali;
   la caserma, che assicurerebbe un fondamentale presidio di legalità in una zona a rischio, non è ancora stata realizzata –:
   se sia al corrente dei fatti sopra posti, in che modo intenda attivarsi per contrastare i fenomeni di illegalità e le conseguenti evasioni fiscali e la presenza della criminalità organizzata nei flussi turistici del Tronchetto, nonché per prevedere al più presto un presidio dell'arma nella progettata caserma dei carabinieri nell'isola Nova del Tronchetto. (4-16815)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Colussi è una realtà imprenditoriale italiana che opera nel settore alimentare;
   il gruppo può contare su una importante presenza all'estero e in Italia con gli stabilimenti di Fossano (Cuneo) e di Petrignano di Assisi (Perugia) e diversifica le proprie attività nel settore dell'alimentazione di qualità, confrontandosi sui principali mercati europei: le sue attività comprendono la produzione e commercializzazione di una gamma completa di prodotti di alta qualità: pasta, riso, prodotti da forno e pasticceria;
   fanno parte del gruppo alcuni dei più prestigiosi marchi della tradizione italiana: Colussi, Misura, Agnesi, Flora;
   nel 2014 la società decide di puntare sullo stabilimento di Fossano (Cuneo) dove il Gruppo alimentare annuncia un investimento di quasi 10 milioni di euro per dotarlo delle più moderne tecnologie produttive e di nuove linee per la produzione della pasta;
   lo stabilimento di Petrignano, invece, incomincia a subire un calo di lavoro e della produzione per la progressiva perdita della linea delle fette biscottate e alla fine del 2014 viene aperta una procedura di cassa integrazione guadagni e a gennaio del 2015 la società ricorre ai contratti di solidarietà, tutt'ora in essere;
   già alla fine del 2015 il sindacato Ugl agroalimentare Umbria segnalava il calo della competitività dello stabilimento di Petrignano di Assisi riconducibile, secondo il sindacato, alla mancanza di investimenti in ammodernamento tecnologico delle linee di produzione, nella progettazione e nel marketing (www.assisioggi.it del 7 settembre 2015);
   recentemente dalla stampa online (www.assisinews.it del 8 marzo 2017: «Colussi, 480 lavoratori a rischio per lo spostamento da Petrignano». L'allarme del segretario della Camera del Lavoro Filippo Ciavaglia) si apprende che: «Alla Colussi di Petrignano ci sono 480 lavoratori col fiato sospeso. Lo segnala il segretario della Camera del lavoro di Perugia, Filippo Ciavaglia. “L'Umbria del comparto manifatturiero non può permettersi di perdere un altro pezzo importante di storia, rappresentata dallo smantellamento della produzione di fette biscottate e grissini della Colussi, che da Petrignano d'Assisi ha deciso di spostare i volumi in un altro stabilimento del gruppo”. A preoccupare, è anche il “futuro occupazionale dei lavoratori, 480 maestranze tutte coinvolte nel percorso degli ammortizzatori sociali”»;
   i più toccati da questa situazione di stallo e inerzia sono soprattutto i lavoratori che si trovano a dover vivere una fase di incertezza sconcertante: infatti mentre va avanti la vertenza in chiave locale del trasferimento della produzione delle fette biscottate da Petrignano a Fossano, da una parte si apprende che il gruppo Colussi sarebbe intenzionato ad aprire un nuovo stabilimento in Thailandia per la produzione di cornetti (www.corrieredellumbria.corr.it del 23 marzo 2017) oltre a quello in Messico dove è già operativo un sito che sforna biscotti, dall'altra, i dipendenti hanno accettato il contratto di solidarietà – tutt'ora in essere – nella speranza di supportare l'azienda nella realizzazione di un piano di rilancio;
   a tutt'oggi permane la preoccupazione di un progressivo «depauperamento» della produzione dello stabilimento di Petrignano e grande è l'incertezza dei lavoratori in merito al futuro lavorativo –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta e se non ritenga opportuno richiedere a Colussi group quali siano le reali intenzioni del Gruppo sia in termini di nuovi investimenti per il rilancio dello stabilimento di Petrignano di Assisi sia in termini di garanzie sul versante del mantenimento dei livelli occupazionali. (5-11488)


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da www.il fattoquotidiano.it del 27 aprile 2017, circa 20 lavoratori (quattro sono già deceduti per mesotelioma) hanno svolto attività in esposizione professionale a polveri e fibre di amianto, per più di dieci anni, quali dipendenti di S.V.O.A. s.p.a. (Società Vastese Olii Alimentari, oggi Fox Petroli) e SOMI impianti srl, con il diritto alla rivalutazione della posizione contributiva ai sensi della legge n. 257 del 1992;
   l'Inps aveva negato la sussistenza di tale diritto, ancorché tali lavoratori avessero lavorato in esposizione ad amianto;
   il tribunale di Vasto, con sentenza n. 148/08 in primo grado, confermata dalla corte di appello de L'Aquila, sulla base dell'accertamento giudiziale dell'esposizione ad amianto ultradecennale, accoglieva la domanda dei lavoratori e pertanto condannava l'Inps a rivalutarne la posizione contributiva;
   nell'anno 2012, è accaduto che la Corte di cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 14492/12, ha invece accolto il ricorso dell'Inps, dichiarando infondate le domande dei ricorrenti, rovesciando, in tal modo le sentenze di merito, che erano state favorevoli;
   nelle more, l'Inps aveva emesso dei provvedimenti amministrativi di accoglimento delle domande amministrative di tali lavoratori, rivalutando le singole posizioni contributive, anche con il riconoscimento della prestazione pensionistica;
   dopo la sentenza della Corte di Cassazione, l'Inps ha invece revocato i suoi provvedimenti amministrativi e chiesto l'emissione di decreti ingiuntivi nei confronti di taluni lavoratori;
   tra i lavoratori del sito S.V.O.A. spa e SOMI srl, alcuni hanno già contratto patologia asbesto correlata, mentre altri sono già deceduti;
   ora i lavoratori rischiano di dover restituire all'Inps da 20 mila fino a 80 mila euro, a seconda dei casi, compresa la famiglia di un ex dipendente deceduto;
   eppure il comma 250 dell'articolo 1 della legge di bilancio n. 232 del 2016 ha riconosciuto il diritto alla pensione di inabilità per coloro che sono riconosciuti affetti da mesotelioma, tumore polmonare e asbestosi, cioè tutte quelle malattie riconducibili all'esposizione all'amianto ancorché non si trovino nell'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa;
   quali iniziative – anche di tipo normativo – intenda intraprendere il Governo al fine di tutelare tali lavoratori e le loro famiglie e coloro che comunque hanno contratto patologie asbesto correlate, nonché gli eventuali familiari di soggetti deceduti, in relazione a patologie asbesto correlate. (5-11489)


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende in un articolo di Cinzia Chiappini, pubblicato sul quotidiano Il Tirreno del 30 aprile 2017, dal titolo «Ha l'asbestosi ma l'Inps gli nega di andare in pensione», G.G., operaio di 60 anni della Sanac di Massa (Massa Carrara), dopo aver scoperto di essere ammalato di asbestosi provocata dall'esposizione all'amianto, propone una azione legale contro l'Inps e nel 2016 ottiene dal giudice del lavoro il riconoscimento della malattia professionale correlata;
   nel frattempo il 1o gennaio 2017 entra in vigore il comma 250 dell'articolo 1 della legge di bilancio n. 232 del 2016 che introduce particolari benefici in termini di trattamento pensionistico anticipato e diritto alla pensione di inabilità per coloro che sono riconosciuti affetti da mesotelioma, tumore polmonare e asbestosi, cioè tutte quelle malattie riconducibili all'esposizione all'amianto ancorché non si trovino nell'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa;
   il signor G.G. presenta domanda all'Inps per usufruire del diritto che la legge gli riconosce, ma non ottiene nessuna risposta;
   il signor G.G. sta continuando ad andare a lavorare tutti i giorni presentandosi regolarmente alla Sanac dove per 8 ore al giorno svolge le sue mansioni, nonostante l'asbestosi gli stia già causando gravi problemi respiratori. Non solo: per due settimane al mese copre anche il turno di notte all'interno della fabbrica chimica;
   il signor G.G. raggiunto dal quotidiano Il Tirreno, dichiara: «Chiedo che vengano rispettati i miei diritti. Chiedo e voglio semplicemente Giustizia» (Il Tirreno del 30 aprile 2017) –:
   per quali motivi a tutt'oggi l'Inps non abbia ancora provveduto in relazione alla legittima richiesta di pensionamento del signor G.G. e quali iniziative intenda intraprendere il Governo al fine di tutelare e garantire i diritti previdenziali e la salute del lavoratore nella vicenda descritta in premessa. (5-11490)


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, COMINARDI, CHIMIENTI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 19 maggio 2017 presso la sede di Confindustria Umbria si sono incontrati il management della multinazionale Nestlè Italiana spa e le rappresentanze sindacali unitarie del sito di San Sisto di Perugia rappresentate dalle segreterie nazionali e provinciali di Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil per il rilancio del sito di San Sisto di Perugia;
   nel corso dell'incontro le parti hanno rappresentato l'esigenza di continuare a sostenere il piano di sviluppo del business dolciari che punta a valorizzare le attività e le competenze « core» di Perugina, nonché a fare di «Baci Perugina» un « global brand» – prodotto esclusivamente nella Fabbrica di S. Sisto di Perugia – simbolo del made in Italy e dell'eccellenza italiana nel mondo;
   l'azienda ha illustrato lo stato di avanzamento del piano di sviluppo commerciale sui mercati italiani ed esteri, della riorganizzazione delle reti di vendita che operano sui canali specializzati, nonché del piano di riassetto industriale della fabbrica di S. Sisto dando atto che la strategia di business condivisa negli accordi intercorsi del 7 aprile 2016 ha mostrato incoraggianti segnali di successo;
   tuttavia, l'azienda ha illustrato il progetto del futuro assetto organizzativo della fabbrica, «utile a conseguire i livelli di competitività indispensabili a sostenere il piano di espansione del business», precisando che «nella prospettazione aziendale la trasformazione potrà impattare – per dimensionamento degli organici ed inquadramenti contrattuali – sull'attività degli addetti, rispetto ai quali l'Azienda ha confermato la piena disponibilità ad attivare la strumentazione già convenuta»;
   nel medesimo incontro le rappresentanze sindacali unite e organizzazioni sindacali hanno espresso l'esigenza di verificare in maniera condivisa nel dettaglio il progetto proposto, nonché le sue ricadute sugli assetti occupazionali con l'obiettivo di esplorare soluzioni in difesa dei livelli occupazionali;
   invero, già nel 2015 Nestlé ha venduto tutta la linea gelati al colosso R&R e nel 2016 ha ceduto tutto il comparto caramelle (compresa la storica Rossana) a Diva; nel corso dello stesso anno la stessa sorte hanno avuto anche il comparto Ore liete (venduto a Tedesco) e tutto il compatto delle Strenne;
   è noto che nello stabilimento di San Sisto, che rappresenta uno dei siti produttivi più importanti di Perugia, sono stati sottoscritti già contratti di solidarietà con lo scopo di assorbire gli esuberi, ma a tutt'oggi forte rimane l'incertezza di molti lavoratori in merito al proprio futuro lavorativo e in merito all'impatto occupazionale delle future scelte aziendali –:
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati, al fine di verificare e conoscere le intenzioni della multinazionale Nestlè in merito allo stabilimento di S. Sisto di Perugia e, nel dettaglio, le soluzioni proposte dall'azienda, con l'obiettivo di favorire l'elaborazione di un progetto industriale condiviso dalle parti sociali interessate che abbia come fine prioritario il mantenimento del ruolo produttivo e dei livelli occupazionali dello stabilimento storico di San Sisto di Perugia. (5-11491)


   CIPRINI, COMINARDI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la storica società Seat è stata interessata nel 2014 da un piano di salvataggio del gruppo all'esito della procedura concordataria; negli anni con l'utilizzo di ammortizzatori sociali, si è avviato un piano di riorganizzazione che ha supportato il buon esito della procedura concordataria;
   l'imprenditore egiziano Naguib Sawiris, attraverso la società Italiaonline, è divenuto azionista di maggioranza e nel 2016 ha attuato il progetto di fusione per incorporazione di Italiaonline in Seat Pagine Gialle rinominata Italiaonline spa, perdendo il nome storico;
   nel dicembre 2016 Italiaonline ha siglato un accordo con le organizzazioni sindacali (Fistel Cisl, Slc Cgil, Uilcom Uil ed RSU) – sottoscritto anche dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel corso di un incontro tenutosi presso il Ministero dello sviluppo economico; l'accordo prevede principalmente il ricorso alla cassa integrazione straordinaria fino a giugno 2018 per 306 posizioni a zero ore e per 420 posizioni a orario ridotto per 4 giorni al mese, oltre a 100 uscite incentivate; nell'arco dei prossimi tre anni, in linea con la strategia di rilancio, Italiaonline prevede l'assunzione di circa 100 «nativi digitali», con competenze specifiche per supportare il conseguimento degli obiettivi previsti dal business plan;
   eppure, in data 6 aprile 2017, Italiaonline ha pubblicato un comunicato stampa aziendale, con il quale si evidenzia che i soci/azionisti della società hanno presentato una richiesta d'integrazione all'ordine del giorno dell'assemblea degli azionisti convocata per il 27 aprile 2017 per trattare un nuovo argomento: «Distribuzione di parte delle riserve distribuibili risultanti dal Bilancio d'esercizio di Italiaonline S.p.A. chiuso al 31 dicembre 2016 attraverso il pagamento agli azionisti di un dividendo straordinario complessivo di Euro 79.419.475,38 ossia pari a lordi Euro 0,692, per ciascuna delle n. 114.761.225 azioni ordinarie e per ciascuna delle 6.803 azioni di risparmio»;
   inoltre, gli azionisti hanno richiesto di mettere in pagamento il predetto dividendo straordinario in data 10 maggio 2017, con stacco della cedola l'8 maggio 2017 e record date il 9 maggio 2017;
   le organizzazioni sindacali hanno evidenziato come non sia giustificabile che un'azienda che ha sottoscritto un accordo sindacale con una ingente riduzione della forza lavoro possa, a distanza di quattro mesi, erogare un dividendo straordinario di questo valore laddove i dati relativi ai ricavi 2016 non potrebbero minimamente garantire e presupporre una remunerazione extra agli azionisti;
   il 27 aprile 2017 le organizzazioni sindacali nazionali Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil hanno indetto uno sciopero;
   effettivamente, appare agli interroganti, poco comprensibile la scelta dell'amministratore delegato di distribuire un dividendo di tale portata, laddove tale liquidità di cassa poteva essere utilizzata anche per il rilancio aziendale, per il rinnovamento dei prodotti, per la formazione dei dipendenti in cassa integrazione e per la crescita aziendale, così da attenuare anche il peso degli ammortizzatori sociali a carico dello Stato;
   appare necessario, ad avviso degli interroganti, promuovere un tavolo di confronto per appurare quale sia la «strategia» dell'azienda;
   se sia intenzione del Governo farsi promotore di un nuovo tavolo di confronto – anche in collaborazione con la regione Lazio – tra la società e le organizzazioni dei lavoratori, al fine di acquisire elementi sulle intenzioni e sulle recenti scelte aziendali portate avanti dal management di Italiaonline, con l'obiettivo di favorire l'elaborazione di una seria strategia condivisa dalle parti sociali interessate che abbia come fine prioritario la centralità del rilancio dell'attività aziendale, il rinnovamento dei prodotti e il mantenimento dei livelli occupazionali, ovvero un ridimensionamento delle ricadute derivanti dalle decisioni aziendali di riduzione dei livelli occupazionali. (5-11493)


   CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI, CHIMIENTI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Evotape packaging srl, società che opera nel campo della produzione di nastri adesivi, con sede operativa in Santi Cosma e Damiano (Latina), fu dichiarata fallita dal tribunale di Latina con sentenza n. 24 del 2012;
   in data 4 giugno 2012, 52 ex dipendenti della Evotape davano vita alla Mancoop società cooperativa a r.l. con lo scopo di «rilanciare» l'attività produttiva e, allo stesso tempo, di salvaguardare l'utilizzo dello stabilimento e la ricollocazione dei lavoratori;
   gli ex lavoratori, rinunciando anche al trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria e unendo la loro professionalità e esperienza, dopo aver ottenuto dalla curatela fallimentare la locazione dei macchinari e di parte del compendio aziendale con un contratto di affitto, hanno avviato la produzione di nastri adesivi per imballaggi;
   dopo quattro anni, superate le difficoltà iniziali e grazie al sacrificio dei soci che hanno investito in 6 anni nella cooperativa circa 3,2 milioni di euro, investendo il 60 per cento del loro compenso, la Mancoop oggi è una realtà produttiva affermata ed è divenuta non solo forza trainante e polo di aggregazione per altre 35 aziende che insieme alla stessa occupano complessivamente 240 unità (laddove la fallita Evotape ne occupava 133), ma anche motore di una riqualificazione dell'intero sito produttivo, dello stabilimento e dei macchinari della ex Evotape con sicuro vantaggio anche per la curatela fallimentare e per i creditori della fallita Evotape;
   secondo quanto si apprende dalla stampa online (www.h24notizie.com del 14 maggio 2017) risulta che il Consorzio sviluppo industriale sud pontino, in persona del legale rappresentante Salvatore Forte, con delibera n. 81 del 7 ottobre 2016, facendo appello alla legge n. 488 del 1998 ha disposto l'acquisizione coattiva del compendio immobiliare dello stabilimento Evotape (già Manuli) su cui da tempo si svolge l'attività della Mancoop (e non solo) in forza di regolare contratto di affitto con la curatela fallimentare, la quale ha proposto ricorso al TAR del Lazio (iscritto al Reg. gen. n. 869/2016) avverso la suddetta delibera, contestandone – in estrema sintesi – l'eccesso di potere e la carenza dei presupposti normativi per l'acquisizione dell'area e/o degli stabilimenti industriali ivi realizzati, poiché l'area non ha mai fatto parte del patrimonio del Consorzio e tuttora vi è una attività industriale da più di tre anni;
   la decisione assunta dal Consorzio, ad avviso degli interroganti, appare priva di giustificazione e di qualsiasi progettualità traducendosi di fatto in una espropriazione arbitraria del sito produttivo e rischia di cancellare una realtà imprenditoriale unica quale quella della cooperativa Mancoop nata e costruita con i sacrifici e gli investimenti dei soci lavoratori e che genera occupazione e rappresenta un modello di sviluppo, volano di ricchezza, di nuova occupazione e di opportunità imprenditoriali in un territorio del Lazio già duramente colpito dalla crisi e avaro di iniziative imprenditoriali –:
   quali iniziative il Governo intenda promuovere, per quanto di competenza e in collaborazione con la regione Lazio, al fine di agevolare l'individuazione di una soluzione che tuteli i diritti dei lavoratori della società cooperativa Mancoop a r.l. e che eviti pesanti ricadute sul piano occupazionale, sociale ed imprenditoriale in un territorio già duramente colpito dalla crisi. (5-11494)


   GNECCHI, SCHULLIAN, GEBHARD, PLANGGER, ALFREIDER e FABBRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, la classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali ed assistenziali è disposta dall'Inps secondo quanto previsto dall'articolo 49 della legge 9 marzo 1989, n. 88;
   Con la circolazione n. 36 del 19 febbraio 1997, veniva disposto l'inquadramento previdenziale presso l'Inps delle aziende speciali, consorzi di servizi e consorzi fra enti locali, costituite dai comuni/province ai sensi degli articoli 22, 23, 25 e 60 della legge 8 giugno 1990, n. 142;
   con successiva circolare n. 114 del 19 maggio 1999, modificando completamente il precedente orientamento, l'istituto, a seguito di un parere espresso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha disposto che le aziende speciali e i consorzi costituiti dagli enti locali ai sensi della legge n. 142 del 1990, ad eccezione delle aziende speciali costituite in forma di società per azioni, dovevano invece essere inquadrate presso l'Inpdap, con conseguente riversamento dei contributi ed aggiornamento delle posizioni assicurative dei dipendenti interessati;
   è quanto meno singolare, ad avviso dell'interrogante, come poi nella circolare dell'Inps n. 149 del 2004 (accesso al «Bonus Maroni»), l'istituto su indicazioni del Ministero, nella parte seconda al punto 1.1 così classificava le aziende speciali: «Rientrano, invece, nel settore privato tutti gli enti pubblici economici, ad esempio le aziende speciali (ex municipalizzate), costituite ai sensi della legge n. 142 del 1990 e successive modificazioni ed integrazioni classificate con c.s.c. 2.01.01, se svolgono attività di tipo commerciale, o con c.s.c 2.01.02, se svolgono attività di tipo industriale, le Stazioni sperimentali per l'industria, i consorzi di bonifica, ovvero gli Enti che, per effetto della definizione dei processi di privatizzazione, sono stati successivamente trasformati in società di capitali ad esempio le aziende speciali trasformate in società di capitali ancorché a capitale interamente pubblico, l'Ente EUR S.p.a., Rai S.p.a. (...)»;
   gli orientamenti giurisprudenziali più recenti (Cass. Sez. unite n. 14101/2006; Consiglio di stato 14 febbraio 2012 n. 712 e TAR Lazio 1o febbraio 2011 n. 931), hanno affermato che tra gli enti pubblici economici devono essere ricompresi le aziende speciali, enti strumentali dei comuni/enti locali, che peraltro applicano contratti di lavoro privatistico e, ciò nonostante, l'Inps dispone d'ufficio l'inquadramento previdenziale alla gestione degli enti pubblici, ovvero l'ex Inpdap;
   con il presente atto di sindacato ispettivo si intende segnalare, in particolare, l'assenza di risposta da parte dell'Inps sul problema dell'inquadramento che ha interessato nel 2013 la SMG – Agenzia Alto Adige Marketing, inquadrata dall'Inps nella gestione ex-Inpdap; il relativo ricorso presentato dalla società avverso l'inquadramento non risulterebbe ad oggi ancora trattato dal Consiglio di amministrazione dell'Inps;
   sempre rispetto all'inquadramento previdenziale anche l'Agenzia per l'energia Alto Adige – CasaClima, è stata inquadrata d'ufficio dall'istituto nel 2014 nella gestione ex-Inpdap, provvedimento impugnato dalla suddetta Agenzia che nel frattempo ha sempre regolarmente versato i contributi all'Inps e a partire dall'aprile 2015, i contributi non vengono più accettati dall'Inps, ma non è stata aperta la posizione Inpdap, costringendo l'Agenzia a produrre ulteriore ricorso al Consiglio di amministrazione dell'INPS in data 26 aprile 2017;
   nel frattempo, anche l'azienda speciale IDM Südtirol/Alto Adige – azienda speciale strumentale della camera di commercio e della provincia autonoma di Bolzano, è stata iscritta dall'Inps alla gestione previdenziale degli enti pubblici, ovvero ex-Inpdap, provvedimento regolarmente impugnato dall'azienda con ricorso amministrativo al Consiglio di amministrazione dell'Inps in data 6 marzo 2017, a tutt'oggi non ancora trattato;
   si segnala, inoltre, rispetto alla problematica di cui sopra, la difficoltà dei lavoratori e delle lavoratrici che hanno già maturato i requisiti pensionistici e non riescono ad ottenere risposte rispetto alla loro posizione contributiva –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, tenendo presente gli orientamenti giurisprudenziali, di assumere iniziative volte a individuare criteri univoci per definire l'inquadramento previdenziale delle aziende speciali degli enti locali, al fine di evitare il proliferare di contenzioso amministrativo. (5-11500)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOMBARDI, CIPRINI, COMINARDI, TRIPIEDI, CHIMIENTI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'indagine conoscitiva svoltasi in Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti di previdenza e assistenza, il 2 marzo 2017 sono intervenuti i vertici della Sgr Sorgente Group SpA, in particolare Valter Mainetti, amministratore delegato, Giovanni Cerrone, direttore generale) e Stefano Cervone, al fine di riferire sulla gestione del risparmio previdenziale da parte dell'Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commerci (Fondazione Enasarco), con riferimento agli investimenti mobiliari e immobiliari;
   nell'ottobre 2001, Enasarco sottoscrive, per l'importo di 50 milioni di euro, il primo fondo immobiliare italiano riservato a investitori istituzionali, lanciato da Sorgente Sgr, divenendone uno dei quotisti più rilevanti ad oggi (con i suoi 511 milioni di valore di equity apportato);
   Enasarco è attualmente quotista del Fondo Megas e del Fondo Michelangelo 2, per poco più del 50 per cento di quest'ultimo; nel Fondo Megas è collocata la maggior degli immobili di altissimo prestigio e valore, come il Flatiron Building, icona di New York;
   dei fondi in cui è quotista Enasarco faceva parte anche il Chrysler Building della «grande mela», che è stato acquistato e rivenduto garantendo un'altissima plusvalenza;
   l'ente previdenziale possiede tuttora quote di fondi in cui sono collocati immobili quali il Clock Tower di Santa Monica, il Fine Arts Building di Los Angeles e la Galleria Colonna di Roma;
   globalmente le gestioni Sorgente hanno sempre fruttato alla Fondazione un rendiconto annuale positivo, pari al 2,93 per cento;
   dopo 15 anni di consolidato rapporto con Sorgente, ad agosto 2015, i vertici di Enasarco, in particolare il suo direttore finanziario Roberto Lamonica, rendono nota a Sorgente la delibera di revoca dell'incarico, motivata sulla base di presunte irregolarità nella gestione del patrimonio e di rendimenti asseritamente non in linea con le aspettative;
   sotto minaccia di esecuzione della delibera di revoca, Sorgente sarebbe dunque stata costretta a firmare un preliminare con cui si vincolava a eseguire una serie di prestazioni svantaggiose (tra cui la riduzione delle fee di gestione del Fondo Megas) che sarebbe sfociato nella sottoscrizione di un contratto, a marzo 2016, con obbligazioni assai penalizzanti per la società di gestione del risparmio;
   nel corso dell'indagine conoscitiva del mese di marzo 2016, Mainetti dichiara di aver citato per danni Roberto Lamonica e l'ex presidente, ora componente del consiglio di amministrazione, di Enasarco Brunetto Boco, ritenuti responsabili di ripetuti comportamenti coercitivi e vessatori nei suoi riguardi e lesivi della reputazione di Sorgente e, in ultima istanza, dell'interesse pubblico perseguito da Enasarco;
   il 12 ottobre 2016, 14 consiglieri di amministrazione di Enasarco votano per ripristinare il rapporto con Sorgente, contro un solo voto sfavorevole, quello di Boco;
   nel corso dell'indagine conoscitiva, Mainetti e Cervone dichiarano, inoltre, che la Fondazione ha conferito due immobili nel portafogli Sorgente: uno è sito Roma, lungotevere Raffaello Sanzio, n. 15, che oggi non è più patrimonio dei fondi riferibili a Enasarco perché ceduto con una significativa plusvalenza;
   l'altro sito sempre a Roma, in via Nizza, che a tutt'oggi fa ancora parte del patrimonio del Fondo Megas, anche se una porzione di esso è stata acquistata da parte di Boco e del suo sindacato, determinando una diminuzione del valore dell'immobile pari al 5 per cento; a detta di Mainetti, proprio la sua opposizione alla vendita di una sola parte dell'immobile sarebbe stata tra le cause della revoca dell'incarico a Sorgente, avvenuta nello stesso periodo;
   Cerrone e Mainetti lamentano inoltre interferenze reiterate da parte del direttore finanziario di Enasarco volte a realizzare disinvestimenti, in contrasto con un fruttuoso processo di gestione del portafoglio immobiliare;
   l'atteggiamento dei manager della Fondazione descritto da Cerrone e Mainetti, se confermato, costituirebbe un pregiudizio per gli iscritti alla Cassa che, in caso di investimenti azzardati, sarebbero i primi a subirne le conseguenze negative –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti esposti in premessa e se non reputi necessario adottare ogni iniziativa di sua competenza al fine di verificare che i manager di Enasarco, nel corso del proprio mandato, abbiano agito nell'interesse degli iscritti alla citata Cassa di previdenza. (4-16813)


   GNECCHI, TINAGLI, BARUFFI, GRIBAUDO, INCERTI, GIOVANNA SANNA, PARIS, ROTTA, DI SALVO, BOCCUZZI, GIACOBBE, CASELLATO, ALBANELLA, MICCOLI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 53 del 2000, garantisce, da ormai 17 anni, ai padri il diritto soggettivo al congedo parentale, mentre fino a tale legge era possibile per i padri solo in alternativa alla madre; quindi il diritto doveva sussistere per la madre e qualora non lo utilizzasse poteva trasferirsi al padre; è stata una modifica legislativa molto importante, anche culturalmente;
   sempre nel 2000 l'articolo 80, comma 2, della legge n. 388 del 2000, ha introdotto una novità fondamentale a supporto delle famiglie, i congedi retribuiti biennali per assistere familiari disabili;
   il congedo di paternità obbligatorio e il congedo parentale sono stati introdotti per incentivare i padri a farsi carico della cura del neonato, con il preciso obiettivo di giungere alla parità delle responsabilità famigliari e professionali, come già previsto dal punto «e» dell'articolo 1 della legge n. 125 del 1991 e sgravare almeno in parte le donne dai lavori di cura, storicamente sempre a carico delle madri, con le conseguenti negative ripercussioni sull'occupazione, sulla possibilità di carriera, sulle retribuzioni e sulle prestazioni pensionistiche;
   per proseguire sul suddetto percorso di condivisione dei lavori di cura, occorrono ulteriori provvedimenti legislativi, che chiaramente comportano oneri di copertura ed è pertanto necessario avere un dettagliato monitoraggio sull'utilizzo effettivo delle disposizioni sopra richiamate sui costi effettivamente sostenuti e sugli oneri di copertura a suo tempo previsti –:
   quanti siano:
    a) i padri, suddivisi fra dipendenti pubblici e privati, che hanno usufruito del congedo parentale di cui alla legge n. 53 del 2000, ripartiti per anno, periodo medio e relativo onere, nonché i relativi oneri di spesa;
    b) i soggetti, suddivisi fra dipendenti pubblici e privati, sesso, anno, periodo medio e relativo onere, che hanno fruito dei congedi retribuiti biennali introdotti dall'articolo 80, comma 2, della legge n. 388 del 2000 e successive modifiche. (4-16817)


   DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il lavoro notturno deve godere di particolari tutele come espresso a norma di legge;
   i servizi espletati per la tutela di terzi durante la notte sono fondamentali anche a garantirne l'incolumità e la risposta a necessità assistenziali di diversa natura;
   il trasporto passeggeri notturno è un servizio fondamentale per numerosa utenza che si sposta lungo l'Italia per lavoro;
   il servizio passeggeri su rotaia è effettuato di notte solamente da Trenitalia con i vari ICN (Intercity Notte), che offre un numero limitato di posti a sedere, circa poco più di un centinaio, e alcune carrozze dedicate alle cosiddette cuccette nell'ordine di un minimo di quattro a scompartimento;
   il servizio a bordo delle stesse è espletato da personale appaltato da Trenitalia a cooperative di servizi;
   il personale in servizio indossa divise ben confondibili con quelle di Trenitalia pur non essendone dipendente e quindi non percependo le stesse indennità dei lavoratori ex Ferrovie dello Stato;
   i turni del personale in servizio sono spesso estenuanti –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, affinché sia garantita una migliore condizione di lavoro ai lavoratori delle cooperative appaltate da Trenitalia per il servizio notturno. (4-16818)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FERRARESI, PAOLO BERNINI, PARENTELA, MANTERO, FRUSONE e VILLAROSA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si è appresa da fonti stampa la notizia della possibile chiusura del Crea-Ci di Rovigo e che ciò conseguirebbe dalla richiesta del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di ridurre il numero delle sedi Crea. Il taglio previsto per la «razionalizzazione» delle sedi del Crea dovrebbe portarne il numero da 71 a 40 sedi;
   il centro di Rovigo sembra essere l'unica struttura italiana autorizzata dal 1995 a studiare la cannabis e fornisce le varietà e le talee necessarie alla produzione di cannabis medicinale allo stabilimento chimico farmaceutico militare italiana di Firenze;
   sembrerebbe anche che il Crea-Ci di Rovigo avrebbe conseguito un introito maggiore di denaro rispetto alla spesa affrontata per lo stesso e sarebbe, dunque, un istituto che funziona bene;
   in seguito alla legge del 2 dicembre 2016, n. 242, sulla promozione della canapa sono stati stanziati 700.000 euro per il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, al fine di potenziarne la coltivazione. Il Crea-Ci conserva e moltiplica tutte le varietà di canapa industriale italiane e ne sviluppa di nuove, nonostante non riceva per questi scopi finanziamenti o fondi dal 2000. Con la chiusura, si interromperebbe anche questa attività. Il progetto sulla cannabis medicinale è stato avviato nel 2014. Il Crea ha collaborato con lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze da subito, senza alcun contributo e solo nell'aprile 2017 avrebbe ricevuto 190.000 euro per due anni di attività. Nessun fondo per la precedente attività triennale;
   con il fondo disponibile si dovrebbe arrivare alla fine del 2018, ma, se davvero verrà disposta la chiusura a fine 2017, dovrà essere restituita parte cospicua del contributo. Il costo ordinario derivante dall'attività svolta a Rovigo è di media pari a 50.000 euro/anno. Le entrate da progetti e contratti sono mediamente 150.000 euro/anno. L'interruzione dell'attività comporterebbe una perdita netta di 100.000 euro/anno;
   se verrà interrotta tale attività, non si potranno fornire le talee radicate allo stabilimento chimico farmaceutico militare perciò non si potrà proseguire la produzione che ha consentito a fine 2016 di avviare la distribuzione del farmaco nelle farmacie e, inoltre, vista anche la crisi della Bedrocan che non è più in grado di fornire il Bediol (equivalente all'FM2) fino al mese di ottobre 2017, i malati che usufruiscono di questi farmaci rischiano di restarne sprovvisti;
   gli edifici del Crea del 1950, sono destinati ad uffici e laboratori perciò la loro riconversione ad altro uso comporterebbe la distruzione di impianti e servizi esistenti nonché ingenti spese per l'adattamento;
   a Rovigo è ancora operante l'ultimo e unico impianto di lavaggio e analisi delle barbabietole e se chiudesse non si potrebbe più garantire il servizio di certificazione e registrazione di nuove varietà di barbabietola. Quest'anno vi sono circa 100 nuove varietà da valutare per le ditte sementiere. Il trasferimento dell'impianto sembra essere, quanto meno, poco realizzabile, in quanto avrebbe un costo di circa 1 milione di euro, escluse le opere murarie necessarie per alloggiarlo. Il trasferimento comporterebbe lo spostamento delle attività in ambienti che potrebbero essere poco idonei e non sicuri a differenza del Crea di Rovigo per il cui impianto di sicurezza sono stati investiti quasi 50.000 euro –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e se quanto riportato in premessa trovi conferma;
   se si intenda riconsiderare l'opportunità di lasciare operativo il Crea di Rovigo alla luce di quanto detto e quali iniziative, in caso contrario, intendano adottare al fine di evitare che i malati che consumano farmaci derivanti dal principio attivo della cannabis ne restino sprovvisti. (5-11485)


   BECATTINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 91 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014, e stato introdotto nel sistema normativo italiano il cosiddetto «Testo unico del Vino»;
   le novità introdotte dal provvedimento è previsto l'introduzione, a partire dal 1o maggio 2017, del nuovo sistema di dematerializzazione dei registri vitivinicoli e la sua realizzazione nell'ambito del SIAN (Sistema informativo agricolo nazionale) (articolo 1-bis, comma 5);
   il nuovo sistema, sebbene contenga implicazioni positive in termini di crescita della competitività del sistema, comporta taluni disagi e appesantimenti degli oneri burocratici (tra i quali, è opportuno menzionare le denunce di produzione delle uve, di vinificazione e delle scadenze) che rischiano di avere ricadute più forti sui piccoli produttori, la fetta più grande dei viticoltori italiani;
   secondo quanto riportato da alcune associazioni di categoria dei viticoltori il software attualmente previsto per la gestione dei dati rischia di ingenerare problematiche a causa della scarsa intuitività;
   è opportuno ricordare che i piccoli produttori di vino rappresentano circa il 90 per cento del totale dei produttori ed il 30 per cento della produzione totale, ricoprendo in molti casi un ruolo importante di custodi di quei borghi rurali e territori che altrimenti rischierebbero l'abbandono –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno verificare quanto esposto in premessa e adoperarsi affinché, all'interno di un quadro di semplificazioni che sta dando risultati positivi, possano trovare accoglimento anche le richieste di alleggerimento del carico burocratico perorate dai piccoli produttori. (5-11486)


   MONGIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la mozzarella di bufala Campana Dop è un formaggio prodotto secondo un disciplinare molto rigoroso, registrato ai sensi del Regolamento (CE) n. 103/2008 quale regola produttiva obbligatoria prevista dal regolamento (CE) n. 510/2006 sulla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e alimentari;
   stando a notizie pervenute all'interrogante, il 4 maggio 2017 l'assemblea del Consorzio per la tutela del formaggio mozzarella di bufala campana Dop, avrebbe deliberato una nuova proposta di modifica al disciplinare della predetta mozzarella Dop, allo scopo, tra l'altro, di prevedere l'introduzione nel metodo di elaborazione, del condizionamento e della commercializzazione a temperature negative di –18 Co (congelamento del prodotto), anche senza liquido di governo, con obbligo di effettuare tale processo nel corso della sua produzione e nello stesso stabilimento autorizzato;
   la nuova proposta di modifica del disciplinare prevederebbe anche la realizzazione dei cosiddetti «filoni» da 1 chilogrammo, un formaggio molle asciutto che nulla ha a che vedere con la mozzarella di bufala Dop;
   si tratterebbe di un non nuovo tentativo di «industrializzare» questo antichissimo prodotto rurale del Mezzogiorno d'Italia, correndo il rischio di banalizzarlo, danneggiando soprattutto gli allevatori che producono il latte dell'areale della Dop;
   risale a 5 anni fa un analogo proposito di modifica del disciplinare che prevedeva il congelamento del latte e della cagliata durante la produzione della mozzarella Dop. L'episodio generò allarme e preoccupazione anche presso il Parlamento e di fatti fu presentata una specifica interrogazione, la n. 3-02600, grazie alla quale il Governo prese provvedimenti per impedire tale stravolgimento produttivo;
   se si concretizzasse la suddetta modifica del disciplinare con il congelamento della mozzarella, gli allevatori bufalini correrebbero il pericolo di vedersi applicati prezzi più bassi per il loro latte, già oggi irrisorio, rendendo possibile la pratica d'inaccettabili forzature del normale andamento del mercato del latte bufalino;
   come per le passate proposte di modifica del disciplinare, anche le innovazioni ora ipotizzate, modificando sostanzialmente il processo produttivo, ad avviso dell'interrogante, farebbero perdere al prodotto la sua caratteristica di formaggio fresco e potrebbero pericolosamente volgarizzare e dequalificare il prodotto con evidenti riflessi negativi sulla valorizzazione economica della materia prima nell'immaginario del consumatore. Per la tutela dei diritti dei consumatori e delle aspettative del settore zootecnico bufalino della Dop, andrebbe ribadita la contrarietà rispetto alla proposta di introdurre nel ciclo produttivo della mozzarella di bufala Campana il congelamento del prodotto finito e la possibilità di utilizzarlo in tale veste come ingrediente fregiato della Dop –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa in merito alla proposta di introdurre nel disciplinare di produzione della mozzarella di bufala campana Dop il congelamento del prodotto in seno al ciclo produttivo tutelato dalla denominazione e se, ad ogni modo, non intenda assumere, anche preventivamente, una posizione rigida sulla vicenda, opponendosi, per quanto di competenza, a qualunque richiesta che avesse come fine la modifica, peggiorativa, del disciplinare della mozzarella di bufala Campana Dop;
   se, al fine di migliorare le prestazioni produttive ed il reddito degli allevatori di bufale dell'area Dop della mozzarella di bufala campana, non ritenga utile e necessario adottare iniziative in loro favore come l'incentivo a una più ampia e diffusa applicazione della tecnica della destagionalizzazione dei parti. (5-11496)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRIVELLARI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il recente «Piano degli interventi di incremento dell'efficienza organizzativa ed economica, finalizzati all'accorpamento, alla riduzione ed alla razionalizzazione delle strutture del CREA» prevede un numero totale di sedi pari a 40, con l'obbligo di accorpamento e/o chiusura di ulteriori 31 sedi;
   detto piano triennale, su indicazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (ai sensi della legge 23 dicembre 2014, n. 190), prevederebbe la chiusura del centro Crea-Cin di Rovigo: il Crea-Cin è un centro nazionale di ricerca della canapa e una sua eventuale chiusura metterebbe a rischio la produzione di cannabis a scopi medici avviata in via sperimentale lo scorso anno, oltre a vanificare gli investimenti già fatti per la produzione delle talee destinate allo stabilimento militare farmaceutico di Firenze;
   non va poi dimenticata l'importanza del Crea-Cin polesano per la bieticoltura: si tratta dell'unico impianto di lavaggio e analisi delle barbabietole per la certificazione e la registrazione di nuove varietà; il centro di Rovigo è da sempre un'eccellenza anche per la ricerca scientifica legata alla produzione di barbabietole –:
   se e in che modo il Ministro interrogato intenda intervenire per salvaguardare un centro fondamentale per la ricerca, evitando la chiusura di una sede di eccellenza come quella del Crea-Cin di Rovigo. (4-16804)


   VENITTELLI, FUSILLI e D'INCECCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di recenti innovazioni legislative, dal 2017, non è più possibile utilizzare la cassa integrazione straordinaria in deroga per sostenere il reddito dei pescatori nel caso di sospensioni temporanee dell'attività di pesca per condizioni meteorologiche avverse e per ogni altra causa – organizzativa o ambientale – non imputabile al datore di lavoro, ad esempio per la presenza di mucillagine, e nel caso di arresto temporaneo obbligatorio, il cosiddetto «fermo biologico»;
   il fermo biologico è un adempimento derivante da una decisione dell'Unione europea ed è prevedibile e ciclico; il periodo viene individuato infatti annualmente da un decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, mentre il ricorso alla cassa integrazione straordinaria è consentito in caso di situazioni «imprevedibili»;
   anche il sistema ordinario rappresentato dalla cassa integrazione salariale operai dell'Agricoltura (Cisoa) – applicato attualmente ai braccianti agricoli e/o operai dell'agricoltura assunti a tempo indeterminato con almeno 180 giorni di lavoro annuali al proprio attivo – non è stato ritenuto applicabile al settore della pesca in quanto i rapporti di lavoro sono prevalentemente a termine e gli addetti raggiungono di rado i 180 giorni lavorativi nell'arco dell'anno; inoltre, una nota elaborata dagli uffici dell'Inps ha evidenziato l'insostenibilità economica di tale soluzione;
   per i motivi descritti, con la legge di bilancio 2017 si è cercato di fornire una risposta concreta al problema mediante l'istituzione di un fondo di solidarietà per il settore della pesca (FOSPE) – assimilabile ai fondi di integrazione salariale previsti dall'articolo 26 del decreto legislativo n. 148 del 2015 – che ha come scopo la tutela, in costanza di rapporto di lavoro, del reddito dei lavoratori delle imprese di pesca;
   tuttavia, il fondo ha una dotazione iniziale di solo 1 milione di euro a carico del bilancio dello Stato per l'anno 2017 e prevede la contribuzione ordinaria, ripartita tra datori di lavoro e lavoratori nella misura, rispettivamente, di due terzi e di un terzo;
   da ultimo, la proposta di riforma del settore ittico contiene una delega al Governo per ristrutturare il sistema degli ammortizzatori sociali nella pesca, allo scopo di sostenere il reddito e di favorire la tutela dei livelli occupazionali degli operatori della pesca in tutti i casi di sospensione dell'attività e di individuare forme alternative di impiego;
   questa situazione ancora indefinita si ripercuote pesantemente sulle aziende e sui lavoratori della pesca, che lamentano la mancata previsione da parte del Governo di adeguate tutele a sostegno del reddito in un comparto fortemente esposto alle incertezze conseguenti alle avversità meteorologiche, alle crisi di mercato e all'inquinamento ambientale;
   a quanto risulta, gli indennizzi agli armatori di, tutte le regioni italiane non sono stati corrisposti; in particolare, è giunta segnalazione agli interroganti che la cooperativa Lavoratori del mare di Rimini ed altre realtà delle regioni Marche, Abruzzo e Molise ad oggi non hanno ancora ricevuto il pagamento del fermo pesca obbligatorio del 2015 e del 2016 e tutte esprimono forte preoccupazione per l'anno in corso, poiché il periodo di fermo biologico si avvicina e la costituzione definitiva del fondo di solidarietà per i lavoratori della pesca sta incontrando molte difficoltà –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano le cause del mancato pagamento dell'indennità del fermo pesca obbligatorio del 2015 e del 2016;
   in generale, quale sia lo stato dell’iter relativo ai pagamenti per il fermo pesca obbligatorio degli anni 2015 e 2016;
   quali iniziative intendano assumere in relazione all'adozione di strumenti di tutela del reddito per le imprese e i lavoratori della pesca. (4-16808)


   GALLINELLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da diversi anni, le sedi dei consorzi agrari Lombardo Veneto, Bologna Modena, Padova Venezia, Friuli-Venezia Giulia, Siena, Forlì-Cesena, Ravenna, Milano-Lodi, Province Nord-Ovest, Treviso-Belluno sono confluiti in Agris, un fondo immobiliare chiuso di tipo riservato;
   il fondo è costituito da 56 immobili per una somma a libro di 76 milioni di euro più un indebitamento di 36 milioni, poi sceso a 25 milioni nel 2013 e a 19 milioni nel 2016;
   secondo quanto riportato da diverse fonti stampa, nonché dal bilancio della stessa società, l'Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) ha acquistato nel 2012, in due diverse tranche, 21 milioni di euro di quote del fondo;
   l'Ismea è un ente pubblico economico i cui obiettivi sono la realizzazione di servizi informativi, assicurativi e finanziari e la costituzione di forme di garanzia creditizia e finanziaria per le imprese agricole e le loro forme associate, al fine di favorire l'informazione e la trasparenza dei mercati, agevolare il rapporto con il sistema bancario e assicurativo, favorire la competitività aziendale e ridurre i rischi inerenti alle attività produttive e di mercato –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali siano le ragioni che hanno portato al fallimentare acquisto di 21 milioni di euro di quote del fondo Agris da parte di Ismea;
   come si coniughi una tale onerosa azione con gli obiettivi perseguiti dall'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare per agevolare il mondo agricolo nazionale. (4-16816)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIACOBBE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta all'interrogante, a seguito del mancato pagamento di una fattura a Enel Gas da parte di un utente, residente in Liguria, Enel Gas avrebbe incaricato Italgas di interrompere la fornitura;
   Italgas avrebbe inviato i propri tecnici a casa dell'interessato per effettuare il «taglio colonna»; essi avrebbero proceduto con il sigillo del contatore e la rimozione del misuratore;
   l'utente successivamente avrebbe pagato la fattura oggetto della morosità e chiesto ad Enel Gas il ripristino della fornitura;
   Enel, il 25 ottobre 2016, avrebbe comunicato all'utente un preventivo di spesa per «modifica impianto» necessaria al ripristino della fornitura di 1.256 euro, dichiarando che il preventivo è stato predisposto dal distributore, circostanza che non risulta confermata dalle comunicazioni dello stesso distributore. L'accettazione del preventivo è condizione per il ripristino della fornitura di gas;
   l'interessato avrebbe affidato alla Federconsumatori del proprio territorio l'incarico di intervenire verso Enel per contestare l'onerosità dell'intervento. Enel energia servizio clienti risponde, con nota 20 gennaio 2017: «non riscontrando il pagamento della fattura (...) abbiamo provveduto a richiedere la sospensione della fornitura alla società territorialmente competente. Il distributore, constatando l'impossibilità di procedere alla cessazione, ha, ritenuto opportuno interrompere tecnicamente l'alimentazione del punto di riconsegna»;
   Federconsumatori si sarebbe rivolta direttamente ad Italgas per chiedere quale fosse il costo per il ripristino della fornitura di gas, la quale avrebbe risposto che la sua richiesta per quel genere di ripristino era di 450 euro + Iva e che, nel caso specifico, avendo l'utente nel frattempo deciso di cambiare società fornitrice, quest'ultima società applicava un costo aggiuntivo di 550 euro;
   la deliberazione della autorità di regolazione 12 Dicembre 2013 574/2013/R/GAS, indica tra gli orientamenti definiti dall'Autorità, per quanto riguarda la qualità commerciale l'aggiustamento della disciplina riguardante il tempo di riattivazione della fornitura a seguito di sospensione per morosità; inoltre, la deliberazione fa riferimento a standard sul tempo di preventivazione di lavori e standard sul tempo di riattivazione;
   il testo unico delle disposizioni della regolazione della qualità e delle tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas definisce «riattivazione della fornitura in seguito a sospensione per morosità» il ripristino dell'alimentazione del punto di riconsegna che pone fine, a fronte del pagamento da parte del cliente finale moroso delle somme dovute, alla sospensione della fornitura effettuata dall'impresa distributrice nel rispetto delle procedure di preavviso previste dalla normativa vigente e dai provvedimenti dell'Autorità in particolare e dalle clausole contrattuali;
   l'articolo 45 del testo unico, dispone che il venditore sia tenuto all'invio immediato all'impresa distributrice, della richiesta di riattivazione della fornitura di un proprio cliente finale, al quale la fornitura sia stata sospesa per morosità dello stesso cliente finale, a seguito del pagamento da parte del cliente finale al venditore delle somme dovute;
   le deliberazioni dell'Autorità di regolazione non fanno dunque riferimento a criteri per la determinazione dei costi di riattivazione, salvo l'obbligo del cliente del «pagamento delle somme dovute»;
   molto spesso il ritardato pagamento delle bollette riguarda persone e famiglie in condizioni di difficoltà economica; trattasi dunque, in molti casi, di morosità incolpevole –:
   se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, anche normativa, affinché la definizione dei costi di riattivazione in caso di morosità sia sottoposta a precisi criteri, e a verifiche per tutelare il consumatore finale, a maggior ragione tenuto conto che si tratta in molti casi di morosità incolpevole;
   se non ritenga di valutare l'opportunità di assumere iniziative normative per considerare la fornitura di gas un servizio che, in determinate condizioni, non possa essere interrotto, pena il venire meno di condizioni di vivibilità minime per le famiglie. (5-11499)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Mongiello e altri n. 7-01259, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 maggio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antezza.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Menorello n. 5-11285 del 4 maggio 2017.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Dall'Osso n. 5-10744 del 3 marzo 2017 in interrogazione a risposta scritta n. 4-16818;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e altri n. 4-16211 del 6 aprile 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-11488;
   interrogazione a risposta in Commissione Gnecchi e altri n. 5-11290 del 4 maggio 2017 in interrogazione a risposta scritta n. 4-16817;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini altri n. 4-16540 del 10 maggio 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-11489;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e altri n. 4-16541 del 10 maggio 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-11490;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e altri n. 4-16633 del 18 maggio 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-11491;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini n. 4-16648 del 18 maggio 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-11492;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e altri n. 4-16706 del 24 maggio 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-11493;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e altri n. 4-16758 del 29 maggio 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-11494.