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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 31 maggio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    al 20omeeting dell'Iccat tenutosi a Faro in Portogallo dal 14 al 21 novembre 2016 è stata adottata la raccomandazione 16-05 per «l'istituzione di un Piano pluriennale di ricostituzione per il pesce spada del Mediterraneo»;
    tale piano introduce un Tac (totale ammissibile di cattura) pari a 10.500 tonnellate per il Mediterraneo a partire dall'anno 2017;
    il sistema prevede comunque una riduzione della quota del 3 per cento annuo dal 2018 al 2022 ed il congelamento dello sforzo di pesca, con periodi di chiusura a scelta delle Parti contraenti gennaio/marzo (come ha scelto l'Italia), o ottobre/novembre;
    la raccomandazione 16-05, paragrafo 3, stabilisce che lo schema di ripartizione della quota di pesce spada sarà definito da un apposito gruppo di lavoro dell'Iccat in modo «equo e giusto»;
    in data 18 aprile 2017 il suddetto gruppo di lavoro dell'Iccat ha riconosciuto all'Unione europea il 70,75 per cento della quota complessiva relativa al 2017 pari a 7.428,75 tonnellate, sulla base delle catture medie registrate negli anni 2010-1014;
    a seguito della ripartizione tra le Parti contraenti dell'Iccat, sono stati avviati i negoziati all'interno dell'Unione europea per definire le quote da attribuire ai singoli Stati membri;
    da diverse fonti sembrerebbe (vedasi comunicato stampa dell'Alleanza Cooperative Italiane – dipartimento pesca del 22 maggio 2017) che, durante lo svolgimento dei sopraddetti negoziati europei, la delegazione spagnola avrebbe chiesto alla Commissione europea di modificare la serie storica utilizzata in sede Iccat (2010-2014) per poi indurre l'esecutivo comunitario a prendere in considerazione la serie storica 2012-2014, a quanto risulta ai firmatari del presente atto, basandosi sull'assunto che l'Italia tra il 2010 e il 2011 avrebbe trasmesso dati di cattura provenienti dalla pesca illegale praticata con reti derivanti;
    l'assunto è del tutto privo di attendibilità, in quanto tutti i dati di cattura trasmessi in quegli anni ai vari organismi internazionali (Commissione europea, Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo-CGPM e convenzione internazionale per la protezione dei tonnidi nel Mediterraneo-Iccat e altri) non sono mai stati oggetto di contestazione e ad oggi nessuna procedura di infrazione pesca con l'Unione europea è in corso;
    inoltre, il biennio 2010-2011 risulta essere quello più positivo per l'Italia ed è dunque palese che ogni modifica della serie storica 2010-2014 comporterebbe un danno non indifferente alla flotta italiana;
    giova ricordare che nel dicembre del 2012 l'attività del sistema di rilevazione e trasmissione dei dati di cattura curato da IREPA (Istituto di ricerche economiche in pesca e acquacoltura) è stata interrotta a causa di problematiche giudiziarie e che quindi non sarebbe stata garantita una trasmissione corretta ed integrale di tutti dati di pesca con il risultato di far registrare minori catture dal 2012 in poi;
    la flotta italiana della pesca al pesce spada non può pagare da sola la riduzione della quota europea dal 75 per cento al 70 per cento e vanno rispettate le chiavi di ripartizione usate dall'Iccat, evitando fughe in avanti della Spagna, che è seconda, dopo l'Italia, quanto a catture della specie in oggetto;
    l'eventuale riduzione della quota italiana per il pesce spada costituirebbe un duro colpo alle produzioni e alle imprese nazionali con ricadute anche sugli aspetti occupazionali, ed un assist per l’import proveniente dal nord Africa, dall'Atlantico e dal Pacifico,

impegna il Governo

   ad adoperarsi, con determinazione, in tutte le sedi competenti, per la tutela della quota di pesca italiana dei pesce spada basata sulla chiave di ripartizione già utilizzata dall'Iccat per il riparto tra Parti contraenti e, cioè, sui dati di cattura del periodo 2010-2014.
(7-01273) «Luciano Agostini, Sani, Oliverio, Venittelli, Antezza, Falcone, Battaglia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   LACQUANITI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in alcune regioni e province e in diversi comuni è presente il «Movimento Fascismo e Libertà – Partito Socialista Nazionale (MFL-PSN)», che, a quanto si legge testualmente sul sito internet del Movimento, consultabile all'indirizzo http://fascismoeliberta.info, nell'introduzione allo statuto, «si rifà solo e semplicemente al Fascismo... e alla genialità del Duce» e «si basa interamente sul pensiero mussoliniano»;
   il MFL-PSN è un partito dichiaratamente fascista, in cui compare la denominazione «fascismo» nel simbolo stesso, che include e pone in evidenza al centro un fascio littorio di colore rosso;
   in provincia di Brescia, il MFL-PSN opera nel comune capoluogo, a Lumezzane e a Chiari;
   il MFL-PSN, in questi giorni, in vista delle prossime elezioni amministrative dell'11 giugno 2017, ha depositato nel comune Mura in Val Sabbia (Brescia) una propria lista, presentando quale candidato sindaco Mirko Poli, che del Movimento è segretario provinciale e vice segretario per l'area Nord-Ovest;
   si apprende da fonti giornalistiche che la lista sarebbe stata ammessa;
   il MFS-PSN, ad avviso dell'interrogante, è un partito chiaramente in contrasto con i valori costituzionali. La XII disposizione transitoria della Costituzione recita: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». La legge n. 645 del 1952 sanziona «chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista, e chiunque pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche»;
   a giudizio degli interroganti non è accettabile che questo movimento continui ad agire impunemente sotto qualsiasi forma nelle province lombarde, richiamandosi a un'epoca che ha portato il Paese alla dittatura, alla soppressione delle libertà, al disastro della guerra. Ancora meno è accettabile che MFL-PSN possa presentarsi alle elezioni obbligando gli elettori a trovare sulle proprie schede il simbolo del fascismo in sfregio e offesa alla democrazia italiana –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e se non ritenga, anche alla luce di quanto descritto, di assumere le iniziative di competenza volte a monitorare e contrastare, anche alla luce dei profili di ordine pubblico, di sicurezza, e di rispetto delle regole democratiche, il diffondersi di movimenti e associazioni che si richiamano direttamente all'ideologia fascista e che appaiono incompatibili con i valori costituzionali come nel caso di MFL-PSN. (3-03061)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO e BOSSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   oltre un quarto dei 158 comuni della provincia di Salerno sono interessati dal grande progetto denominato «Risanamento ambientale dei corpi idrici superficiali della provincia di Salerno». Il valore del progetto generale è di euro 89.858.475 ed è finalizzato al risanamento ambientale dei corpi idrici superficiali interessati dai reflui, non depurati o non in linea con le attuali normative, sversati dagli impianti di depurazione della provincia di Salerno;
   la regione Campania, vista delibera della giunta regionale n. 756 del 21 dicembre 2012, con decreto dirigenziale n. 22 del 7 maggio 2013 (BURC n. 26 del 13 maggio 2013), emesso dal capo del dipartimento della programmazione e dello sviluppo economico e responsabile generale dell'UOGP, ha ammesso a finanziamento il suddetto grande progetto per l'importo complessivo di euro 89.858.475, di cui euro 59.858.475 a valere sui fondi del POR Campania FESR 2007-2013 – asse I – obiettivo operativo 1.4 (migliorare la gestione integrata delle risorse idriche) e la restante parte di euro 30.000.000,00, garantito sul «programma parallelo» di cui al Pac, Misure anticicliche e salvaguardia di progetti avviati, finanziato con la riduzione della quota di cofinanziamento nazionale del POR Campania FESR 2007-2013;
   con il medesimo decreto dirigenziale è stata approvata la convenzione tra la regione Campania e la provincia di Salerno, soggetto beneficiario, per la regolamentazione dei reciproci obblighi ed impegni finanziari nella fase di attuazione del grande progetto;
   con deliberazione n. 130 del 25 giugno 2013 la giunta provinciale, rendendo atto del decreto dirigenziale regionale n. 22 del 7 maggio 2013 e della convenzione, ad esso allegata, ha approvato il quadro economico del grande progetto, relativo agli interventi inseriti nel protocollo d'intesa sottoscritto il 20 ottobre 2012, suddivisi in «comparti attuativi» omogenei, al fine di ottemperare a quanto previsto dall'articolo 2, comma 1-bis, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
   il 22 luglio 2015 la Commissione europea, con decisione C(2015)5287, ha approvato il contributo finanziario (FESR) al grande progetto facente parte del programma operativo «Campania 2007-2013»;
   la regione Campania, con nota del 27 agosto 2015 ha richiesto «una dettagliata relazione contenente lo stato generale di attuazione del grande progetto, in base alla decisione della Commissione Europea (C/2015 2771) che ha approvato gli orientamenti sulla chiusura del Programma 2007/2013», i quali consentono di suddividere la realizzazione del grande progetto in due periodi di programmazione: FESR 2007/2013 – FESR 2014/2020;
   il grande progetto è suddiviso in 8 lotti funzionali, denominati «comparti attuativi» omogenei, individuati d'intesa con la regione Campania secondo i criteri della vicinanza geografica, dell'omogeneità territoriale e dell'appartenenza a bacini e/o raggruppamento di piccoli bacini idrografici. Attualmente nel comparto 3 (riguardante comuni di Praiano, Furore, Conca dei Marini, Atrani, Scala e Ravello) non sono stati affidati i lavori;
   gran parte degli amministratori locali (e funzionari) della costiera amalfitana sono stati raggiunti da avvisi di garanzia e/o rinviati a giudizio;
   i cittadini sono esposti al rischio di un aumento sproporzionato delle bollette;
   si tratta di una paradossale situazione dove la regione Campania detiene materialmente i finanziamenti e la provincia di Salerno è il soggetto attuatore, ma l'ente gestore appare totalmente estromesso dalle procedure di affidamento delle opere (pur avendo presentato progetti e proposte alternative di più rapida realizzazione) –:
   di quali elementi disponga il governo in relazione a quanto esposto in premessa, anche alla luce del rischio di perdere i fondi europei stanziati per il progetto in questione a danno di amministratori e cittadini di piccoli comuni che si sentono vittime delle lungaggini procedurali sulle quali non hanno poteri di intervento e quali eventuali iniziative per quanto di competenza intenda assumere, se del caso avvalendosi dei poteri attribuiti dall'articolo 12 del decreto-legge n. 133 del 2014. (4-16796)


   PAGLIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la situazione di Inalca spa, i suoi repentini cambi di appalto il discutibile trattamento riservato a centinaia di lavoratori è stato già al centro di due interrogazioni del firmatario del presente atto nel corso del 2015 e del 2016 – entrambe rimaste senza risposta – la n. 4-09362 e la n. 4-11654;
   è da ribadire come la società fino al 2014 risultasse controllata al 100 per cento da Cremonini spa, colosso della ristorazione, per poi vedere l'ingresso nel capitale con il 28,4 per cento di IQ made in Italy, joint venture fra Fondo strategico italiano e Qatar Investment Authority, tramite un investimento di 165 milioni di euro; il Fondo strategico italiano è una società di investimento di capitale di rischio con circa euro 4,4 miliardi di capitale, il cui azionista strategico è la Cassa depositi e prestiti, controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, che detiene l'80 per cento della società. La Banca d'Italia detiene il restante 20 per cento;
   dal 17 dicembre 2015 le centinaia di lavoratori del vecchio Consorzio Euro 2000 – liquidato insieme a King Service nel maggio 2015 – dopo un «transito» di sei mesi a tempo determinato presso l'impresa interinale Trenkwalder, risultano essere stati assunti da Ges.Car srl, società partecipata al 100 per cento dalla stessa Inalca spa; a seguito di tale operazione, come sospettato dall'interrogante e scritto nero su bianco, Inalca spa sembra effettivamente avere goduto di sgravi contributivi per svariati milioni di euro, occupando a tutele crescenti gli stessi lavoratori prima impiegati a tempo indeterminato;
   sul caso, dal settembre 2016, è aperta un'inchiesta della procura di Modena a danno di 4 dirigenti della Ges.car e con richiesta del pubblico ministero di rinvio a giudizio per truffa ai danni dell'Inps, lì dove la cifra in ballo contestata da procura e ispettorato del lavoro consisterebbe in 21 milioni di euro, il tutto grazie alle segnalazioni della Flai Cgil di Modena e dell'Emilia Romagna;
   ora, si apprende da fonti di stampa che ad uno di quei lavoratori repentinamente trasferiti dal Consorzio Euro 200 a Ges.Car è stato licenziato in seguito ad un infortunio sul lavoro;
   l'episodio dell'infortunio avviene il 30 agosto 2016; il lavoratore, impiegato nel reparto lavorazione e conservazione carni tramite Ges.Car, racconta: «Mi stavo recando negli spogliatoi e sono scivolato lungo le scale a causa dei gradini infidi. Per proteggermi dalla caduta, istintivamente mi sono aggrappato ad una specie di passamano, poi, cadendo con violenza sulle scale, ho cercato di proteggermi mettendo le mani avanti»;
   il lavoratore subisce una prognosi di infortunio che lo renderà inabile al lavoro fino al successivo 10 ottobre, essendogli stata nel frattempo diagnosticata una lesione al tendine di 15 millimetri;
   lo stato da «infortunio» passa a «malattia», e precisa il lavoratore: «Il 16 marzo (2017, ndr) la Ges.Car mi comunica, senza alcun preavviso, che avendo superato di sette giorni il periodo di malattia previsto dal contratto nazionale, venivo licenziato». Da marzo 2017, quindi, risulta a casa senza stipendio;
   con il contestato cambio di appalto, infatti, si sono ridotti i diritti e con essi il periodo di malattia che da un anno è passato a sei mesi (perché il lavoratore ha perso la pregressa anzianità di servizio);
   il licenziamento è stato impugnato dalla Flai Cgil di Modena e contestualmente è stato attivato il ricorso presso l'Inail per riconoscere tutti i giorni di assenza come infortunio. Il ricorso ha esito positivo, quindi decade la motivazione del licenziamento, ma il lavoratore non è, ad oggi, reintegrato. Si evidenzia che il lavoratore non gode della «tutela reale» (articolo 18 dello statuto dei lavoratori), in quanto assunto dopo l'entrata in vigore del Jobs Act –:
   come si spieghi che sia stata di fatto ignorata una vicenda che riguarda un'impresa che gode di partecipazione pubblica, denunciata dettagliatamente in passato, sul fronte sindacale e istituzionale, in particolare per quanto concerne cambi d'appalto e sgravi contributivi;
   cosa si intenda fare, per quanto di competenza, per evitare che storie del genere si ripetano e per far sì che i diritti dei lavoratori siano rispettati. (4-16797)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   il Parlamento francese ha adottato la legge del 6 febbraio 2014, n. 2014-110, che mira a fornire un quadro migliore per l'impiego di prodotti fitosanitari sul territorio nazionale. Pertanto, a partire dal 1o gennaio 2017, le persone giuridiche di diritto pubblico (Stato, enti locali ed enti pubblici), non possono più farvi ricorso per la manutenzione degli spazi verdi, delle foreste o delle reti stradali. Alcune persone giuridiche di diritto pubblico avevano già preso alcune iniziative in merito da molti anni, come dimostra la relazione informativa della delegazione degli enti locali e della decentralizzazione intitolata «Gli enti locali si impegnano per il clima» (n. 108, 2015-2016);
   questa legge vieterà, altresì, la vendita ai privati di prodotti fitosanitari a partire dal 1o gennaio 2019;
   prima del 1o gennaio 2017 l'utilizzo non agricolo di questi prodotti rappresentava circa il 10 per cento del volume dei prodotti fitosanitari riversati sui terreni francesi; per cui, la riduzione dell'utilizzo non agricolo dei prodotti fitosanitari rappresenta una triplice sfida:
    innanzitutto una sfida sanitaria, dal momento che ad oggi i pericoli dermatologici e a esposizione a questi prodotti sono ben noti. A causa di una cattiva informazione al riguardo, coloro che ne fanno uso non si proteggono adeguatamente contro i prodotti chimici e tendono spesso ad un dosaggio eccessivo. La relazione di Ronan Dantec sulla proposta di legge che mira a fornire un quadro migliore per l'impiego di prodotti fitosanitari sul territorio nazionale ricordava che: «uno studio dell'INSERM (l'Istituto Nazionale francese della Salute e della Ricerca Medica) pubblicato nel giugno 2013 sottolinea[va] l'esistenza, a lungo termine, di un legame tra l'esposizione professionale ai pesticidi e alcune patologie nell'adulto, tra cui il morbo di Parkinson, il tumore della prostata e altri tumori, quali il linfoma non-Hodgkin e il Mieloma Multiplo»;
    in secondo luogo, una sfida ambientale, poiché molto spesso questi prodotti partecipano in modo significativo alla contaminazione delle acque. Dal momento che l'acqua non conosce confini, questi problemi sono transnazionali e comuni a tutti i Paesi che fanno ricorso a prodotti fitosanitari;
    infine, una sfida economica, poiché i servizi ecosistemici forniti dalla biodiversità sono considerevoli. Per quanto riguarda gli impollinatori, domestici e selvatici, a esempio, il valore economico dell'impollinazione è stimato a 153 miliardi di euro annui (Gallai ed altri, 2008). L'erosione della biodiversità costa tra i 1.350 e i 3.100 miliardi di euro l'anno (Sukhdev, 2010);
   inoltre, sulla scia della dinamica di salvaguardia dell'ambiente innescata dalla COP21 di Parigi, bisogna agire perché questa iniziativa francese si diffonda al resto dell'Unione europea, nell'ambito delle sue competenze in materia di protezione ambientale e salute. Peraltro, l'azione dell'Unione europea non deve limitarsi ai suoi confini, bensì iscriversi in una dinamica internazionale, al fine di generalizzare il controllo dell'utilizzo dei prodotti fitosanitari;
   vanno considerati i rischi legati a un elevato utilizzo dei prodotti fitosanitari e il carattere transfrontaliero degli inquinamenti causati da questi prodotti, nonché la dinamica intrapresa dalla COP21 e dall'accordo di Parigi e la necessità di trarne profitto al fine di sviluppare le azioni che mirano alla tutela ambientale;
   si richiamano in proposito i princìpi fissati dalla legge del 6 febbraio 2014, n. 110;
   occorre pertanto da parte dell'Unione europea analizzare in che modo la legislazione europea potrebbe vietare l'utilizzo dei prodotti fitosanitari alle persone giuridiche di diritto pubblico, fatta eccezione per gli stadi, i cimiteri e per tutte quelle reti stradali per le quali un mancato utilizzo di questi prodotti potrebbe risultare pericoloso, nonché la vendita ai privati dei medesimi prodotti;
   questi divieti non dovranno riguardare i prodotti utilizzabili nell'agricoltura biologica, i prodotti di biocontrollo, i preparati naturali scarsamente pericolosi, i professionisti e gli agricoltori, nonché i trattamenti e le misure necessarie alla distruzione e alla prevenzione della propagazione degli organismi nocivi –:
   se il Governo non ritenga prioritario, d'intesa con il Governo francese, assumere iniziative in sede di Unione europea al fine di perseguire ogni strada possibile nella direzione espressa in premessa.
(2-01820) «Kronbichler».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   SECCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Nove, in provincia di Vicenza, è in corso l’iter amministrativo per la costruzione di un edificio produttivo per la lavorazione di biomassa legnosa vergine e l'installazione di un impianto di cogenerazione alimentato a biomassa legnosa;
   con l'avvio dell'impianto ci sarà un aumento della concentrazione di polveri sottili nel territorio circostante, abitato da centinaia di famiglie e comprensivo di un parco naturale, zona a protezione speciale (ZPS) e sito ad interesse comunitario (SIC) – sito SIC – ZPS IT3260018 «zone umide e Grave della Brenta» – con i presupposti per rientrare nelle aree non idonee all'installazione di impianti per la produzione di energia alimentati da biomasse;
   l'uso ragionevole delle biomasse può essere d'aiuto per trovare delle fonti di energia rinnovabile, ma non si capisce il senso di un impianto di questo tipo lontano da boschi, costruito tra due rogge, a ridosso di un'area protetta;
   non si ha ancora contezza del tipo di emissioni, né di quanto si incrementerebbe il traffico pesante, né se la biomassa utilizzata sarà «esclusivamente» legnosa o «principalmente» legnosa;
   in zona limitrofa scorre un canale artificiale che alimenta un bacino di acqua sotterranea ad uso della popolazione;
   tra le centrali a biomasse, quelle a combustibile comportano un considerevole impatto ambientale e sanitario, poiché il cippato di legno è un combustibile povero, a basso potere calorifico, che essendo solido brucia male;
   nel comune di Nove non esiste la centralina di rilevamento delle polveri sottili ed in particolare del Pm2.5, parametro di riferimento obbligatorio per legge per la valutazione dell'impatto ambientale da polveri sottili;
   l'Organizzazione mondiale della sanità sostiene che le polveri sottili sono pericolose anche a concentrazioni inferiori agli attuali limiti, con incidenza sullo sviluppo di malattie respiratorie soprattutto per i bambini –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per tutelare aree di elevato pregio ambientale che costituiscono zone di protezione speciale e siti di interesse comunitario dai rischi connessi agli effetti della dispersione di emissioni tossiche di varia natura, anche alla luce degli impegni derivanti dalla normativa europea. (4-16798)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la legge di bilancio 2017, il credito di imposta a favore delle imprese ricettive alberghiere di cui all'articolo 10 del decreto-legge n. 83 del 2014 (cosiddetto « tax credit ristrutturazione») è stato prorogato per gli anni 2017 e 2018 e portato dal 30 per cento al 65 per cento;
   l'assegnazione delle risorse disponibili è stata disposta attraverso il sistema del «bando a sportello» per cui la priorità di intervento viene decretata dalla rapidità di accesso al relativo portale informatico (un vero e proprio « click day»);
   lo stanziamento di bilancio collegato alla misura si è purtroppo dimostrato assolutamente insufficiente, tanto che nel « click day» del 2017, relativo agli investimenti effettuati nell'anno 2016, gli stanziamenti a copertura della misura sono stati esauriti nei primi 12 secondi di operatività del sistema;
   il metodo del « click day», pur rispondendo alla necessità di snellimento delle procedure, non consente di introdurre alcun criterio di premialità che selezioni la qualità dei progetti e, purtroppo, penalizza pesantemente proprio le aziende ricettive che lavorano in territori con carenza di infrastrutturazione tecnologica e si trovano in zone con connettività internet non ottimale –:
   se non ritengano indispensabile assumere iniziative per incrementare i fondi del tax credit 2017/2018, per poter comunque allargare la platea dei beneficiari tra gli aventi diritto;
   se, per il futuro, non ritengano opportuno assumere iniziative per introdurre meccanismi di griglia e di premiali nel sistema a bando del « click day», che possano consentire di qualificare meglio gli interventi di tax credit;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per modificare la tipologia degli investimenti ammissibili, consentendo piccoli, ma importanti interventi di revamping e di miglioramento delle strutture ricettive alberghiere, con la riqualificazione delle camere e dei servizi;
   se non ritengano utile assumere iniziative per modificare gli stessi criteri di ammissibilità, stabilendo, ad esempio, una riduzione dell'investimento massimo ammissibile (da 600.000 a 100.000) e del contributo erogabile (da 200.000 a 65.000), magari introducendo il principio di rotazione delle imprese, per cui le aziende percettrici di incentivo siano inibite dalla partecipazione al bando per l'annualità successiva;
   se non ritengano indispensabile assumere iniziative per incrementare i fondi del tax credit 2017/2018. (4-16787)


   VARGIU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6, comma 3, del decreto ministeriale 7 maggio 2015 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo disciplina le agevolazioni fiscali per la riqualificazione delle strutture turistico-alberghiere previste dal decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, recante disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo;
   i crediti di imposta di cui al succitato decreto sono riconosciuti, per gli anni 2014, 2015 e 2016, nel limite di spesa annuo di 20 milioni di euro per l'anno 2015, 50 milioni di euro per gli anni dal 2016 al 2019 e fino ad esaurimento delle risorse disponibili in ciascuno degli esercizi medesimi;
   l'agevolazione consiste in un credito di imposta del 30 per cento ed è concessa a ciascuna impresa nel rispetto dei limiti e delle condizioni di cui al regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione europea del 18 dicembre 2013 e, comunque, fino a un importo massimo di 200 mila euro per le spese sostenute nei tre anni d'imposta (2014, 2015 e 2016);
   la norma prevede, altresì, che possano fare richiesta le strutture alberghiere (alberghi, villaggi-albergo, residenze turistico-alberghiere, alberghi diffusi) e altre strutture individuate come tali dalle specifiche normative regionali vigenti al 1o gennaio 2012 e con almeno 7 camere;
   le imprese che intendevano usufruire del suddetto credito di imposta avevano tempo fino alle ore 16 del 6 febbraio 2017 per registrarsi sul portale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, caricare l'istanza e l'attestazione di effettività delle spese sostenute;
   dalle ore 10 del 7 febbraio 2017 è invece scattato il « click day», ovvero il via libera alle relative domande online, con la procedura cosiddetta «a sportello», che individua nella tempestività di accesso al portale informatico l'unica priorità premiale ai fini della concessione del beneficio;
   la sproporzione tra il numero dei potenziali aventi titolo e l'esiguità complessiva delle risorse messe a disposizione ha comportato che, dopo appena 11,5 secondi dall'inizio delle operazioni sul sito, fosse esaurita ogni possibilità di accesso ai benefici del bando;
   conseguentemente, una vasta platea di potenziali beneficiari della misura registrava la totale impossibilità di procedere con le operazioni via web, riducendosi la partecipazione al bando ad una vera e propria sconcertante e avvilente lotteria, che, ha penalizzato gli utenti residenti in aree con minor infrastrutturazione telematica o con maggior traffico informatico;
   l'Hotel Residence «Ulivi e Palme» di Cagliari è soltanto una delle numerose strutture ricettive sarde che ha tentato puntualmente e invano di partecipare al bando on line, venendo penalizzata da disservizi tecnologici assolutamente indipendenti dalla volontà del richiedente, come già peraltro era accaduto con analogo bando, a fine anno 2015;
   se i Ministri interrogati siano consapevoli che la procedura informatica utilizzata per il bando, soltanto apparentemente neutra, invece che garantire identiche opportunità a tutti, si trasforma costantemente in una grave fonte di sperequazione per aree, come la Sardegna, con minor infrastrutturazione tecnologica;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative per incrementare i fondi sul tax credit 2016/2019 in modo da permettere lo scorrimento della graduatoria degli attuali esclusi, sanando le ingiustizie più evidenti;
   se non ritengano di assumere iniziative per prevedere in futuro una revisione del bando, sia per quanto attiene alla premialità temporale nell'accesso al bando, che per quanto attiene alla riduzione del massimale per ciascuna azienda (massimo 30-50.000 euro), in modo da consentire una più equa suddivisione delle risorse disponibili;
   se non ritengano eventualmente opportuno assumere iniziative per definire una premialità che consenta la rotazione nell'accesso ai benefici del bando e che permetta l'attribuzione delle risorse con maggior equità distributiva. (4-16789)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   ZOGGIA e CIMBRO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 22 novembre 2015, il Governo ha approvato il cosiddetto «salva banche», un decreto con cui sono state salvate dal fallimento quattro piccole banche locali che erano da anni in grave difficoltà: Banca dell'Etruria, Banca Marche e le Casse di Risparmio di Ferrara e di Chieti; il salvataggio è avvenuto in base alle nuove regole europee che hanno aiutato dipendenti e gran parte dei risparmiatori, ma che hanno causato perdite agli azionisti ed agli obbligazionisti;
   con il comma 6 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 59 del 2016, gli investitori hanno potuto presentare istanza di erogazione dell'indennizzo forfetario, sino al termine di decadenza del 3 gennaio 2017 (prorogato al 31 maggio 2017), per le obbligazioni subordinate acquistate entro la data del 12 giugno 2014 e, in questo caso, la procedura arbitrale è preclusa. Per le obbligazioni subordinate acquistate successivamente a tale data, invece, è possibile attivare la procedura arbitrale che avrebbe dovuto essere definita con il decreto attuativo;
   secondo lo schema di decreto attuativo, la procedura arbitrale sarà gestita dall'Anac e dovrà concludersi in quattro mesi, con una corsia preferenziale per le persone più anziane e per chi ha subito le perdite più ingenti (in tutto 10.599 obbligazionisti subordinati per un controvalore di 329 milioni di euro); all'arbitrato di Anac potranno ricorrere coloro che non avevano i requisiti di reddito e di patrimonio mobiliare per ottenere l'indennizzo forfettario, come pure tutti coloro che non hanno aderito alla procedura di indennizzo forfettario; il decreto dovrà prevedere le modalità di nomina e la composizione del collegio arbitrale, mentre la camera arbitrale elaborerà linee guida omogenee per la valutazione delle violazioni bancarie in relazione agli obblighi d'informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal Tuf;
   a tutt'oggi, però, a quasi due anni dal decreto «salva banche», non sono entrati in vigore i decreti attuativi dell'arbitrato, affidato come detto all'Anac, che avrebbero dovuto essere emanati entro il 1o luglio 2016;
   per una risposta rapida ai risparmiatori sarebbe opportuno dare agli stessi la possibilità di rivolgersi anche all'ACF (arbitrato bancario e finanziario) auspicando, inoltre, che attraverso l'ACF si possa attingere al fondo di solidarietà di tutela dei depositi, previsto per l'Anac –:
   se il Governo non intenda recuperare il grave ritardo nell'emanazione dei decreti attuativi che è causa di gravi danni per i risparmiatori, ponendo in essere senza indugio ogni iniziativa di competenza per l'emanazione dei medesimi. (5-11480)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca sono al centro di una complicata trattativa con le autorità europee per evitare il default e gli effetti depressivi che un eventuale bail-in provocherebbe sulle quotazioni in borsa della gran parte dei titoli bancari;
   il Governo, nel salvataggio delle due banche venete, ha adottato, a giudizio dell'interrogante, un approccio fin troppo attendista, nonostante la minaccia di crisi sistemica, non solo per le dirette interessate ed i loro clienti ma per l'intero sistema finanziario italiano;
   il 25 maggio 2017, il Ministro interrogato, a margine dell'incontro tra i vertici dei due istituti veneti e la direzione generale concorrenza della Commissione europea per un'analisi congiunta della situazione, ha dichiarato testualmente che: «Il dialogo con le autorità europee prosegue, con il comune obiettivo di concordare la soluzione che garantisca la stabilità delle due banche venete e salvaguardi integralmente i risparmiatori, nel pieno rispetto delle regole europee»; in buona sostanza lo stesso Ministro sembrerebbe escludere il ricorso al bail-in, ovvero al salvataggio dei due istituti di credito a spese degli azionisti, degli obbligazionisti subordinati e dei correntisti con depositi superiori a 100.000 euro;
   ciò vuol dire che, per salvare le due banche, si resterà dentro la cornice della ricapitalizzazione precauzionale, che implica l'utilizzo di fondi pubblici dopo la conversione delle obbligazioni subordinate in azioni: infatti, di fronte a tale scenario la Commissione europea ha chiesto ai due istituti, nell'ambito dello schema di ricapitalizzazione preventiva e per non incorrere nelle infrazioni sugli aiuti, oltre al sostegno del Tesoro, di raccogliere circa un miliardo di euro di capitale da privati, una condizione necessaria per poi accordare la ricapitalizzazione di Stato, ma che al momento tale somma non risulta ancora essere stata «rastrellata»;
   pur se il Ministro interrogato è sembrato minimizzare sul paventato ricorso al bail-in, l'ipotesi che le autorità europee siano orientate ad imporre ai due istituti di credito la procedura, soprattutto al fine di dare un esempio di attuazione rigorosa delle regole, non è remota ed è stata accolta con un «no comment» dallo stesso Ministro;
   nel frattempo i consigli di amministrazione delle due banche venete hanno deciso di «sondare» il fondo Atlante, un tentativo che al momento sembra registrare gli scarsi entusiasmi da parte dei potenziali finanziatori –:
   se non ritenga di dover individuare, per quanto di competenza, una rapida soluzione che scongiuri il rischio di default dei due istituti. (5-11481)


   PETRINI e PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10, comma 1, n. 27-ter, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, dispone l'esenzione Iva per le prestazioni socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità e simili, in favore di persone migranti, senza fissa dimora, richiedenti asilo, rese da organismi di diritto pubblico, da istituzioni sanitarie riconosciute che erogano assistenza pubblica o da enti aventi finalità di assistenza sociale e da Onlus;
   la circolare 2 novembre 2004, n. 43, ha chiarito che la citata disposizione si applica sia alle prestazioni rese direttamente dagli organismi individuati dalla stessa disposizione, sia alle prestazioni rese in esecuzione di appalti, convenzioni e contratti in genere; con la risoluzione 238/E del 26 agosto 2009, l'amministrazione finanziaria ha interpretato la disposizione ritenendo non sufficiente la sola condizione di persona «migrante» ai fini dell'applicabilità del regime di esenzione Iva, ma considerando necessaria la presenza contestuale dei requisiti ulteriori di «senza fissa dimora» e «richiesta del diritto di asilo»;
   alcune Onlus – accreditate anche come Ong – operanti nella realizzazione delle misure di accoglienza del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati i quali, ai sensi del decreto legislativo 142 del 2015 e della legge n. 47 del 2017, beneficiano di servizi minimi garantiti a carattere socio-sanitario tra cui «(...) tutela psico-socio-sanitaria» (Linee Guida Anac, 20 gennaio 2016, pagina 20) – hanno ricevuto atti di contestazione per il recupero dell'Iva non versata, in quanto secondo i verbalizzanti andrebbe applicata l'aliquota Iva ordinaria prescindendo dai soggetti cui è stato affidato il servizio;
   in particolare, secondo un verbale di contestazione, non appare possibile inquadrare un servizio articolato nella «fornitura dell'alloggiamento, del vitto e di una serie di generi di conforto e abbigliamento, nonché nell'attività di intermediazione linguistica ed assistenza amministrativa per il disbrigo delle pratiche burocratiche e sanitarie», nell'ambito delle prestazioni socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità e simili, in favore di persone migranti, senza fissa dimora, richiedenti asilo, considerato il suo collegamento, solo in via indiretta ed eventuale, alle prestazioni di cui al citato n. 27-ter), comma 1, dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 –:
   se non ritenga utile ammettere iniziative per chiarire l'applicabilità del regime di esenzione Iva, nel contesto di emergenza migratoria, dato il ruolo fondamentale che svolgono detti enti e la rilevanza anche per la finanza pubblica, visto che lo Stato rappresenta il maggiore interlocutore fiscale in tali servizi.
(5-11482)


   BUSIN e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa riportano che, in base alla normativa vigente, agli stranieri cittadini di Paesi extraeuropei residenti in Italia possono dichiarare, ai fini Irpef, familiari fiscalmente a carico mediante semplice autocertificazione, senza alcun controllo da parte dell'amministrazione finanziaria;
   a pagina 18, punto 4, del modulo istruttivo per la compilazione della dichiarazione dei redditi 2017, aggiornato con provvedimento dell'11 aprile 2017 e pubblicato sul sito dell'Agenzia delle entrate, si legge infatti che sono considerati familiari fiscalmente a carico «i membri della famiglia che nel 2016 hanno posseduto un reddito complessivo uguale o inferiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili»; tra questi, inoltre, «possono essere considerati familiari a carico, anche se non conviventi con il contribuente o residenti all'estero: il coniuge non legalmente ed effettivamente separato; i figli (compresi i figli, adottivi, affidati o affiliati) indipendentemente dal superamento di determinati limiti di età e dal fatto che siano o meno dediti agli studi o al tirocinio gratuito; gli stessi pertanto ai fini dell'attribuzione della detrazione non rientrano mai nella categoria “altri familiari”»;
   questa disposizione, in coordinato disposto con l'articolo 5, comma 3, del cosiddetto proroga termini 2017 (decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244) permette agli stranieri in questione di dichiarare i familiari fiscalmente a carico con una semplice autocertificazione; l'articolo 5, infatti, proroga, per l'ennesima volta, le disposizioni che consentono ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, purché regolarmente soggiornanti in Italia, di utilizzare dichiara ioni sostitutive (ossia le autocertificazioni) relativamente agli stati, alle qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani;
   in realtà, a causa della impossibilità di effettuare controlli nei Paesi di origine di questi soggetti circa l'effettivo presenza o meno di questi familiari a carico, i residenti stranieri, ad avviso degli interroganti, godono di un regime agevolativo ingiustificato rispetto ai contribuenti di cittadinanza italiana, nei confronti dei quali, al contrario, l'amministrazione finanziaria effettua un monitoraggio puntuale ai fini del contrasto all'evasione fiscale –:
   considerato il danno alle casse dello Stato causato dalla normativa in questione, quali iniziative intenda tempestivamente assumere al fine di modificare le disposizioni attualmente vigenti, in modo da evitare che i cittadini di Paesi extracomunitari residenti in Italia possano dichiarare familiari fiscalmente a carico attraverso una semplice autocertificazione, senza un adeguato controllo da parte dell'amministrazione finanziaria.
(5-11483)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VACCA, SIBILIA, SORIAL, D'UVA e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto italiano di tecnologia (IIT) è una fondazione istituita ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge n. 24 novembre 2003, n. 326, con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico del Paese e l'alta formazione tecnologica, favorendo così lo sviluppo del sistema produttivo nazionale;
   il patrimonio della fondazione è costituito ed incrementato da apporti dello Stato e di soggetti pubblici e privati; le attività, oltre che dai mezzi propri, possono essere finanziate da contributi di enti pubblici e di privati;
   l'IIT è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dell'economia e delle finanze;
   dal bilancio 2016 della fondazione IIT pubblicato sul portale web dell'istituto stesso è possibile rilevare che i saldi delle giacenze presenti nei conti di tesoreria centrale dello Stato, alla luce dei dettami del principio contabile OIC 14, nel C/C 250239 infruttifero presso la Banca d'Italia, sul quale viene accreditata mensilmente quota del contributo annuale, ammontano a 416.777.179 euro, mentre sul C/C 22348 ammontano a 10.099.994 euro;
   in seguito al dibattito innescato in ordine alla reale disponibilità delle risorse sui conti correnti, il 25 maggio 2017 si è svolto un incontro alla presenza della Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi, al quale hanno partecipato la Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dell'economia e delle finanze e i vertici dell'Istituto italiano di tecnologia di Genova (IIT), il presidente Gabriele Galateri e il direttore scientifico Roberto Cingolani;
   in tale incontro «è stato convenuto di esplorare un comune percorso volto a impiegare risorse messe a disposizione dall'IIT, previo parere favorevole dei propri organi deliberativi, allo scopo di promuovere, su obiettivi strategici condivisi, progetti di ricerca di interesse nazionale per lo sviluppo del sistema economico del Paese, nonché azioni destinate all'ingresso di giovani nel mondo della ricerca»;
   in pratica sembrerebbe che l'ITT metta a disposizione risorse allo scopo di promuovere progetti di ricerca di interesse nazionale, mentre nella realtà tali risorse sono dello Stato e potrebbero essere utilizzate per finanziare la ricerca pubblica in generale;
   tali risorse in giacenza potrebbero essere riportate direttamente nelle disponibilità del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per finanziare le attività di ricerca in Italia, in continua carenza di risorse –:
   a quanto ammontino le risorse giacenti sul C/C 250239 infruttifero presso la Banca d'Italia;
   se intendano assumere le iniziative di competenza per garantire la disponibilità delle risorse indicate in premessa al fine di finanziare il sistema di ricerca pubblica italiana. (5-11468)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal marzo 2014 risultano essere 20 i lavoratori della base americana di Camp Derby che hanno perso il lavoro in seguito ad una riduzione del personale;
   tutti i lavoratori in questione hanno circa una trentina di anni di anzianità lavorativa all'interno della base americana, ma non hanno ancora maturato gli anni necessari per accedere alla pensione;
   gli stessi non hanno potuto inoltre beneficiare del ricollocamento presso la pubblica amministrazione come previsto dall'articolo 1, comma 482, legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (estensione dell'ambito della legge n. 98 del 9 marzo 1971), in quanto questa comprendeva solo i lavoratori usciti entro il 31 dicembre 2012 –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere al riguardo, anche in considerazione del fatto che il capitolo di spesa 3042 (Fondo da ripartire per l'assunzione nelle pubbliche amministrazioni di cittadini italiani che hanno prestato servizio continuativo per almeno un anno alla dipendenza di organismi militari della Comunità atlantica) ha una capienza per l'anno 2017 più che sufficiente per sanare le posizioni interessate. (4-16791)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 aprile 2017 è stata presentata un'interrogazione (n. 4-16433) in merito all'omicidio di Alessia Della Pia chiedendo quali iniziative il Governo intendesse assumere ai fini di una fattiva cooperazione tra le autorità nazionale e quelle tunisine;
   in data 18 maggio 2017 la Gazzetta di Parma ha riportato finalmente la notizia dell'arresto di Mohamed Jella, accusato del suddetto omicidio;
   attualmente Jella si trova in carcere in Tunisia;
   sempre a mezzo stampa si apprende che presto dovrebbero essere attivate le procedure per l'estradizione –:
   se sia stata formulata una urgente richiesta di estradizione e, nel caso, quali ragguagli e chiarimenti intendano fornire in merito ai tempi previsti per il rientro dell'imputato in Italia dove dovrà essere processato per l'accusa di omicidio volontario aggravato. (4-16785)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno dell'acqua alta che, ciclicamente interessa la città di Venezia, è complesso e per molti problematico;
   sono stati, di conseguenza, approntati diversi piani operativi di intervento che riguardano i servizi di navigazione in caso di emergenza per l'acqua alta che, comunque, limitano e rallentano la circolazione delle persone creando notevoli disagi;
   infatti, le varie quote di marea possono condizionare il transito sotto i ponti o rendere inagibile il pontone di attracco; così la centrale operativa navigazione di Actv decide, di volta in volta, di apportare variazioni ai servizi di navigazione;
   se, dunque, l'altezza della marea è + 95 centimetri non è più possibile il transito sotto i ponti del Rio di Cannaregio, del Canale della Scomenzera e del Canale Brentella (tra Tronchetto e piazzale Roma). Le linee interessate sono quelle del Giracittà 4.1 – 4.2 – 5.1 – 5.2 – 6 e la linea 2 che subiscono la modifica di percorso: quanto alla linea 4.1/4.2 viene sospeso il transito nel tratto tra Tre Archi e piazzale Roma e viceversa e la linea subisce due frazionamenti; a Tre Archi i mezzi di linea 4.1 in arrivo (direzione piazzale Roma) evoluiscono e ripartono come linea 4.2 in direzione F.te Nuove-Murano; a S. Zaccaria i mezzi di linea 4.2 in arrivo (direzione Giudecca) evoluiscono e ripartono come linea 4.1 per F.te Nuove-Murano;
   l'approdo previsto di S. Zaccaria Jolanda viene sospeso e la fermata viene trasferita all'approdo di Monumento Vittorio Emanuele al fine di favorire l'interscambio della linea Giracittà con la linea 2 (da e per Giudecca-Tronchetto); quanto alla linea 5.1/5.2 viene sospeso il transito nel tratto tra Tre Archi e piazzale Roma e viceversa. Il tratto Lido-piazzale Roma si effettua via Canal Grande. Per la linea 6, il percorso viene dirottato via Canal Grande con fermate intermedie ad Accademia e Ferrovia;
   si deve tener conto che il numero di passeggeri annui trasportati dalle linee sopra citate è notevole e si aggira intorno ai 6 milioni e mezzo di unità –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle problematiche esposte in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, abbia intenzione di porre in essere al fine di superare le criticità infrastrutturali relative all'attraversamento dei ponti di cui sopra. (5-11476)


   TINO IANNUZZI e BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento stradale Salerno-Avellino, nel tratto Mercato San Severino-Salerno, svolge una funzione di assoluta valenza nazionale, collegando le autostrade A30 Caserta-Roma ed A3 Salerno-Reggio Calabria;
   il potenziamento e l'adeguamento di tale strada sono necessari e strategici, presentando il raccordo Salerno-Avellino condizioni di sicurezza inadeguate e carenti, proprio per la ristrettezza e l'insufficienza della sede stradale – due sole corsie per ogni senso di marcia – e per il livello del traffico assai elevato;
   il potenziamento del raccordo è una priorità nella politica infrastrutturale del Paese, essendo parte integrante dell'asse autostradale Roma-Caserta-Salerno-Reggio Calabria;
   il lotto Salerno-Fratte-Mercato San Severino – che costituisce una sorta di «lotto zero», di «porta di accesso» all'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria – è lungo circa 8.5 chilometri ed è articolato in due distinti e collegati stralci funzionali, con un costo complessivo stimato in 237 milioni di euro;
   il progetto del primo stralcio fra Mercato San Severino e Baronissi, per l'importo di 114 milioni di euro (già inserito, al pari del progetto del secondo stralcio, nel piano pluriennale degli investimenti 2015-2019 e su cui il Cipe ha espresso parere favorevole nella seduta del 6 agosto 2015) è stato previsto nella bozza di proposta di programma 2016-2020 con finanziamento a valere sul fondo unico ANAS;
   il progetto del secondo stralcio fra Baronissi e Fratte, per l'importo di 123 milioni di euro, è stato riportato nella medesima bozza di proposta di programma 2016-2010, con finanziamento nell'ambito della quota spettante alla regione Campania del fondo coesione e sviluppo 2014-2010;
   negli anni scorsi è stata elaborata la progettazione preliminare con l'acquisizione della valutazione di impatto ambientale; i contenuti di tale progetto sono stati condivisi dai comuni interessati e dalla regione Campania in una recente ed opportuna riunione indetta dalla regione medesima; occorre ora che l'Anas ed il Ministero si adoperino con urgenza per completare la progettazione, accelerando tutte le attività e l'assunzione delle iniziative formali necessarie, a cominciare dalla convocazione della relativa conferenza dei servizi –:
   in quali tempi, senza ulteriori ritardi e rinvii, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti intenda attivare, d'intesa con l'Anas, tutte le iniziative di competenza per proseguire e velocizzare le attività di progettazione di un'opera strategica e fondamentale per l'intero Paese. (5-11477)


   DAGA, ZOLEZZI, MICILLO, BUSTO, DE ROSA, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 29 maggio 2017 il Presidente del Consiglio dei ministri ha firmato il decreto di ripartizione del fondo investimenti previsto dal comma 140 dell'articolo 1 dell'ultima legge di bilancio che prevede la ripartizione, con un unico decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di 47 miliardi di euro di investimenti pubblici per il periodo 2017-2032;
   si legge su diverse testate giornalistiche di investimenti pubblici da realizzare nei prossimi 25 anni con il fine di assicurare lo sviluppo infrastrutturale del Paese (http://www.ilsole24ore.com) e al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri spetta la ripartizione per obiettivi ed enti beneficiari ma anche l'articolazione della spesa annua, sulla base dello stato di avanzamento di programmi e progetti, tant’è vero che il comunicato di Palazzo Chigi spiega che tra i criteri di ripartizione è stata indicata la capacità di «immediato avvio dei cantieri»;
   si legge anche che «oltre 20 miliardi saranno destinati a strade e ferrovie, con particolare attenzione a trasferimenti locali e ai porti», e che «Il settore più rilevante sarà quello della messa in sicurezza con un'attenzione particolare alle scuole ma che riguarderà anche diversi uffici pubblici per un totale di 8 miliardi. Poi acqua e sanità, periferie sulle quali lavoriamo anche con un secondo decreto» –:
   quali elementi intenda fornire circa la ripartizione di cui in premessa e come sarà possibile monitorare l'evoluzione di questi progetti immediatamente cantierabili. (5-11478)


   MATARRESE e MENORELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Pedemontana Veneta rappresenterà l'unica superstrada italiana soggetta a pedaggio, per una lunghezza di 94,747 chilometri;
   l'opera veniva stimata nel 2003 in 895 milioni di euro, valore poi via via salito fino ai 3 miliardi e 301 milioni di euro di cui ai più recenti dati forniti dalla Corte dei conti veneta;
   la concessione è stata affidata nel lontanissimo 2006 con pubblica gara, sulla base di pedaggi, ipotizzati in misura varie volte superiore a quelli praticati nella vicina A4, nonché in forza di un piano economico finanziario (PEF) giudicato congruo nella valutazione in allora svolta;
   il cronoprogramma dei lavori ha subito gravissimi ritardi, così come sensibili dilazioni si registrano nel pagamento degli espropri;
   nel tempo si sono poi registrati sensibili scostamenti rispetto al piano economico finanziario iniziale, così come non appare chiaro il rispetto da parte del concessionario dell'obbligo di fornire propri mezzi finanziari in misura pari ai contributi pubblici, né vi è certezza circa l'attivazione degli appositi istituti previsti in tali casi dal codice degli appalti pubblici;
   volendo porre fine all'attuale grave empasse dell'opera, la regione Veneto ha stabilito di ripristinare l'addizionale Irpef, con cui sosterrebbe un rateo annuo di 16,5 milioni di euro per un mutuo finalizzato ad un contributo di 300 milioni di euro a beneficio dell'aggiudicatario, consorzio SIS, aggiuntivo rispetto ai 615 milioni già erogati dallo Stato;
   il presidente della regione Zaia ritiene che l'alternativa a tale imposizione fiscale a carico dei veneti, con la contestuale rivisitazione in pejus delle categorie tariffarie, sarebbe, in buona sostanza, solo la rinuncia alla Pedemontana e «una serie infinita di contenziosi milionari»;
   al fine di evitare l'incremento dell'Irpef, dieci associazioni di categoria venete, riunite nel network «Arsenale 2022», nonché l'assessore regionale alle infrastrutture qualche settimana fa hanno chiesto al Governo un significativo contributo economico –:
   se e quali iniziative siano state tempestivamente assunte per evitare che la realizzazione dell'opera gravi sulla fiscalità dei veneti, e se intenda assicurare un positivo riscontro alla richiesta di un contributo statale straordinario. (5-11479)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Meridiana spa, gruppo di primaria importanza in Italia nel settore del trasporto aereo, vive da molti anni una profonda crisi aziendale. Nel 2014 l'azienda ha comunicato l'avvio della procedura di mobilità e licenziamento collettivo per 1.634 lavoratori in esubero;
   nel dicembre 2014 è stato siglato l'accordo tra Ministeri competenti, gruppo Meridiana e sindacati che prevedeva la possibilità per i 1.634 lavoratori, entro la fine dell'anno, di accettare l'uscita dall'azienda su base volontaria con un incentivo di 15 mila euro lordi. Mentre 289 lavoratori hanno firmato tale accordo, si è dato seguito alla vertenza per i rimanenti 1.345 dipendenti;
   nell'aprile del 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico è stata raggiunta l'intesa con le parti sociali per l'accordo che definiva le linee guida di un percorso finalizzato al rilancio industriale del gruppo. Tra i punti cardine dell'accordo figurava il ricorso per dodici mesi alla cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale per i lavoratori in esubero;
   in data 1o febbraio 2016, Qatar Airways ed Alisarda spa hanno siglato un Memorandum of Understanding (MOU) che ha delineato le condizioni di un progetto di partnership che prevedeva la costituzione di una nuova holding. Risultavano come condizioni necessarie per il perfezionamento e la realizzazione della partnership: a) la condivisa implementazione con le organizzazioni sindacali di interventi sul costo del lavoro, sulla struttura e sull'efficienza della organizzazione del lavoro, da conseguire attraverso un nuovo quadro regolatorio; b) la definizione di un organico aziendale complessivo necessario al rilancio industriale del gruppo; c) la costituzione della nuova realtà societaria attraverso la partecipazione azionaria di maggioranza in capo ad Alisarda spa ed il restante in capo a Qatar Airways;
   in data 26 giugno 2016 è stato sottoscritto, presso il Ministero dello sviluppo economico l'accordo quadro tra il gruppo Meridiana, i Ministeri competenti e i rappresentanti di sei sigle sindacali nazionali (Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Anpac e Anpav) che prevedeva, per quanto riguarda l'assetto occupazionale di Meridiana Fly spa, Meridiana Maintenance spa ed Air Italy spa, complessive 1.396 unità lavorative. In base a tale accordo, gli esuberi passavano da 955 unità a 396 unità;
   relativamente alla situazione occupazionale di Meridiana Maintenance spa, con il medesimo accordo, il gruppo si impegnava a conseguire una ulteriore e significativa riduzione dei 30 esuberi residuali, attraverso proposte, formulate nel corso del periodo di preavviso, di ricorso al part-time a tempo indeterminato. Il gruppo, inoltre, si impegnava a riconoscere, in caso di nuove assunzioni, il diritto di prelazione ai lavoratori collocati in mobilità, per un periodo di 36 mesi dalla sottoscrizione dell'accordo;
   nel marzo 2017, la Commissione europea ha dato il via libera al perfezionamento della partnership tra il gruppo Meridiana e Qatar Airways, non ravvisando rischi di concorrenza, ma l'operazione ad oggi non risulta ancora conclusa, nonostante sia trascorso ormai molto tempo dall'annuncio della costituzione della holding;
   permane pertanto una situazione di grande instabilità per l'azienda e per le centinaia di unità che sono rimaste fuori dall'accordo per cui, a parere dell'interrogante, la vertenza Meridiana, di fatto non ancora conclusa, non può essere considerata paradigmatica per l'eventuale soluzione di altre crisi aziendali nel trasporto aereo –:
   quali ulteriori iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, per quanto di competenza, per giungere alla soluzione definitiva della vertenza Meridiana e per salvaguardare tutti i lavoratori del gruppo, tenuto conto che la situazione di crisi che perdura da anni ha già provocato costi sociali ed economici di notevole portata, in particolare per la Sardegna, già devastata da una fortissima crisi occupazionale.
(5-11469)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Firenze è prevista la realizzazione del nuovo stadio della Fiorentina, precisamente a Novoli, quartiere nella zona nord-ovest del capoluogo toscano, con svariati metri cubi da costruire in project financing;
   tale realizzazione si svilupperebbe nei pressi del nuovo aeroporto per il quale in data 24 marzo 2015, è stata presentata dall'Enac istanza per l'avvio della procedura di valutazione d'impatto ambientale concernente la realizzazione dell’«aeroporto di Firenze – master plan aeroportuale 2014-2029» e, in data 2 dicembre 2016, la commissione incaricata ha reso parere favorevole con prescrizioni nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale, non ancora pubblicato;
   si pone una questione di compatibilità e di sicurezza del volo per i terzi sorvolati e trasportati in relazione al previsto progetto del nuovo stadio della Fiorentina sia rispetto alla attuale pista (05/23) che rispetto alla futura nuova pista (12/30) dell'aeroporto di Firenze in ordine alle aree di rischio, alle zone di tutela e ai vincoli relativi alla sicurezza per le costruzioni che comportano la presenza contemporanea di tante persone in prossimità degli aeroporti (anche ai sensi dell'articolo 715 del Codice della navigazione). A tal fine i comuni interessati sono tenuti a presentare all'Enac i relativi piani di rischio che risulterebbero, all'interrogante, depositati nel giugno 2016, ma solo per la pista attuale 05/23, e fra l'altro non ancora approvati da Enac;
   la progettata nuova pista dell'aeroporto (12/30) infatti richiederebbe di liberare lo spazio per la realizzazione della cittadella viola, tanto da implicare lo spostamento anche del mercato ortofrutticolo (Mercafir) verso l'area di Castello di proprietà Unipol;
   in data 11 marzo 2017 il sindaco Nardella dichiarava tuttavia che il «progetto del nuovo stadio è compatibile sia con i piani di rischio dell'attuale aeroporto, sia con i piani di rischio previsto con la nuova pista 12/30» (La Nazione Firenze dell'11 marzo 2017, «Stadio: Mercafir e aeroporto, iter complesso. Ancora troppi i rebus da sciogliere», a firma di Ilaria Ulivelli);
   nel frattempo, il tribunale amministrativo regionale ha accolto il ricorso contro la realizzazione del nuovo aeroporto di Firenze. Inoltre, il Consiglio di Stato, con sentenza 5291/2013, ha affermato che «in un settore – quale quello del traffico aereo – in cui il rischio di incidenti è quanto mai immanente e deve essere evitato con ogni mezzo possibile, il fatto che il rischio in questione sia “molto basso” non esime in alcun modo dall'intraprendere misure volte ad elidere ulteriormente tale rischio, sino a ridurlo pressoché a “zero” (...) anche in funzione del futuro sviluppo aeroportuale» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e abbia verificato, anche attivandosi presso l'Enac, la conformità alla legge dei richiamati piani di rischio sia della attuale pista 05/23 che della pista 12/30, la cui domanda di valutazione del rischio non risulta ancora presentata, considerando che la costruzione di nuovi aeroporti deve ottemperare alle «condizioni standard» prescritte dall'Annex XIV ICAO ed obbligatorie anche per Enac;
   se il Ministro interrogato, al fine di garantire la sicurezza del volo e dei sorvolati e trasportati, in ottemperanza agli obblighi di vigilanza derivanti dal decreto-legge n. 250 del 1997 intenda chiedere un parere, oltre che all'Enac, all'Agenzia per la sicurezza del volo in merito alla questione della compatibilità con la normativa del previsto progetto del nuovo stadio della Fiorentina, e dello spostamento del mercato ortofrutticolo Mercafir, sia rispetto all'attuale pista (05/23) che alla futura nuova pista (12/30) dell'aeroporto di Firenze, con riferimento alle aree di rischio/tutela, preso atto degli obblighi riconosciuti anche nelle sentenze del Consiglio di Stato. (5-11484)

Interrogazione a risposta scritta:


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 novembre 2009 è stato sottoscritto lo schema di convenzione unica tra Anas e la società Strada dei Parchi s.p.a. In seguito, in data 29 novembre 2010, è stato sottoscritto l'atto di recepimento della delibera del Cipe n. 20 del 13 maggio 2010 di approvazione della medesima convenzione che fissa la scadenza della concessione al 31 dicembre 2030. I tratti autostradali in concessione sono la Roma-L'Aquila-Teramo, pari a chilometri 159,3, la A24 diramazione grande raccordo anulare-tangenziale est di Roma, pari a chilometri 7,2, e la Torano-Avezzano-Pescara di chilometri 114,9;
   la formula tariffaria applicata al pedaggio autostradale è stabilita dalle delibere del Cipe n. 39/2007 e n. 319/1996. Al fine di determinare la variazione percentuale della tariffa si tiene conto:
    del valore del tasso d'inflazione programmato;
    di una quota che consenta il recupero degli investimenti realizzati dalla società autostradale concessionaria l'anno precedente a quello di applicazione dell'incremento;
   i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle autostrade e gli oneri degli investimenti di nuove infrastrutture vengono recuperati dalla società Strada dei Parchi s.p.a attraverso il pedaggio e i conseguenti incrementi. È evidente, quindi, che ogni investimento per nuove infrastrutture debba apportare un beneficio alla collettività che, di fatto, sostiene gran parte del costo;
   secondo notizie di stampa sono 107 i viadotti a rischio dopo gli ultimi terremoti: 64 relativi all'A24 (la Roma-L'Aquila-Teramo) e 43 all'A25 (la Torano-Pescara);
   secondo le notizie riportate dal quotidiano Il Centro, la società Strada dei Parchi s.p.a. ha presentato un ricorso al Tar del Lazio contro il provvedimento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (protocollo 6767) del 14 aprile 2017 che, secondo la stessa società, sarebbe da annullare «Perché da una parte “ammette che l'approvazione del progetto è immediatamente esecutiva”, ma, dall'altra, risulta “priva di copertura finanziaria”». Infatti, nell'articolo di stampa viene evidenziato che «La mancata approvazione del Piano economico finanziario (Pef) impedisce al concessionario, la società Strada dei Parchi, di farsi finanziare dalle banche. Ma nelle banche risultano depositati circa duecento milioni che il concessionario ha versato a titolo di canone. Neppure questi soldi però possono essere utilizzati in quanto non si sa se spettano al ministero delle infrastrutture (che oggi vigila sulle concessioni autostradali) o all'Anas (che vigilava all'epoca del rilascio della concessione)»;
   secondo quanto contenuto dall'ordinanza n. 21/2017E di Strada dei Parchi, che vieta il sorpasso ai veicoli di massa a pieno carico superiore a 3,5 tonnellate, il progressivo deterioramento delle anzidette armature (di compressione) potrebbe portare ad improvvisi fenomeni di rottura degli elementi con conseguenti meccanismi di collasso come quelli verificatisi negli ultimi mesi in Italia su opere che apparentemente non destavano motivo di preoccupazione;
   secondo le premesse della stessa ordinanza, Strada dei Parchi spa ha presentato al Ministero concedente il progetto preliminare degli interventi di adeguamento sismico previsti dalla legge n. 228 del 2012 e sta svolgendo degli studi specifici per definire con maggior dettaglio le opere da eseguire –:
   se la società Strada dei Parchi s.p.a abbia realizzato nel periodo precedente il sisma del 24 agosto 2016 la manutenzione ordinaria e straordinaria della A24 e A25 secondo quanto stabilito dalle convenzioni e dalle delibere di cui in premessa;
   quale sia il contenuto del provvedimento 6767 del 14 aprile 2017. (4-16793)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i «rave party» sono manifestazioni musicali autogestite ed illegali nate verso la fine degli a Ottanta. Si tengono di solito in spazi isolati, per esempio all'interno di aree industriali abbandonate o in grandi spazi aperti, come campi, cave, boschi e foreste, con durata variabile da una notte fino a più di una settimana;
   i « rave party» sono abitualmente organizzati e promossi attraverso i social media, pubblicamente accessibili attraverso la rete internet, ed è quindi teoricamente possibile averne anticipatamente notizia ed assumere provvedimenti diretti ad evitarne lo svolgimento e le conseguenze;
   nella notte tra il 27 ed il 28 maggio 2017, presso l'area dell'ex autodromo in località Morano sul Po (AL) nella zona dell'area di salvaguardia del parco regionale del Po, tra i comuni di Pontestura, Coniolo e Morano, un migliaio di persone si sono date appuntamento per un rave party. Il rave si è concluso dopo due giorni, ovvero il 29 maggio 2017. L'intervento delle forze dell'ordine, richiesto da più e segnatamente dagli amministratori locali, ha permesso di identificare circa 400 persone provenienti da tutta Italia, dalla Repubblica Ceca, dalla Francia e dalla Germania. La manifestazione, con emissioni sonore, ha arrecato notevole disturbo alle popolazioni locali, disperdendo rifiuti, e sarebbero stati registrati vari atti di furto e vandalismo nelle aree interessate dall'evento ed in quelle limitrofe, oltre a vari danni alle colture;
   già nell'agosto del 2016, quasi 10 mila i ragazzi da tutta Europa si erano radunati a Frassineto Po (AL) sulla sponda sinistra della Sesia. In quel caso gli eventi si sono succeduti in modo reiterato in più notti e sono stati segnalati furti di biciclette, danneggiamenti, atti di vandalismo e notevoli disagi alla popolazione. La grande quantità di rifiuti abbandonati ha comportato grandi costi per la raccolta ed il conferimento che sono gravati sui comuni che hanno ospitato, loro malgrado, questi eventi –:
   se il Ministro interrogato sia stato informato di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare per contrastare l'organizzazione di eventi come quelli descritti. (4-16784)


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i dati riportano come Hiv ed epatite siano una minaccia sommersa per circa la metà dei tossicodipendenti lombardi: il 56,1 per cento dei pazienti assistiti dai servizi sanitari competenti non fa il test dell'Aids, il 46,3 per cento non viene sottoposto all'esame per l'epatite B e il 44 per cento a quello per l'epatite C;
   la prevalenza del virus Hiv riscontrata in persone tossicodipendenti è pari al 4,9 per cento, mentre, per i virus dell'epatite B e dell'epatite C, è rispettivamente del 13,2 per cento e del 38 per cento. Il Dpa segnala però «in tutte le regioni italiane il problema di scarsa esecuzione del test Hiv in questa popolazione a rischio da parte delle strutture sanitarie». E lo «scarso ricorso al test di screening» nei servizi di assistenza riguarda anche i virus dell'epatite. Si tratta di un fenomeno, quello del « no testing», particolarmente allarmante perché può aumentare la trasmissione inconsapevole di Aids ed epatiti, quindi ritardare l'inizio delle terapie e ridurre l'aspettativa di vita. Sempre dai dati Sind 2012, i pazienti in trattamento nei Sert lombardi risultavano 18.188;
   ciclicamente notizie di stampa riportano di operazioni di polizia nel cosiddetto «Bosco della droga» di Rogoredo, quartiere sud di Milano, senza ottenere risultati definitivi in merito allo spaccio di sostanze stupefacenti;
   nonostante gli sforzi delle forze dell'ordine e i proclami e le promesse della giunta Sala, i residenti denunciano che la situazione è addirittura peggiorata, con un aumento di minorenni alla ricerca di droga, una minor presenza di polizia locale e forze dell'ordine e scarsissimi controlli;
   gli abitanti lamentano come le centrali di spaccio si siano stabilite in via Orwell e in via Sant'Arialdo, gli spacciatori continuino a occupare il territorio e i disperati continuino a essere ben visibili nella stazione e nel quartiere;
   dati alla mano, i presìdi diminuiscono, le postazioni fisse sono un miraggio e non c’è alcun controllo del sottopassaggio autostradale, dove si crea lo smistamento delle sostanze stupefacenti. Il problema principale è che manca una definitiva bonifica del sito e un progetto per l'area, al fine di renderla fruibile a tutti i cittadini –:
   se il Governo interrogato sia a conoscenza della situazione di cui in premessa, e se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di aumentare le attività di contrasto al traffico degli stupefacenti, contestualmente all'incremento dei controlli sanitari e di prevenzione, con particolare riguardo al sito indicato, che si sta rivelando una delle piazze di spaccio più importanti della Lombardia. (4-16788)


   COLONNESE e LOREFICE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città di Casoria, in provincia di Napoli, ha già sul territorio un centro Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo a rifugiati), con la presenza di 80 rifugiati;
   la «clausola di salvaguardia» rende esenti i comuni che appartengono alla rete Sprar dall'attivazione di ulteriori forme di accoglienza, come da circolare del Ministero dell'interno dell'11 ottobre 2016;
   il comune di Casoria, secondo il piano di ripartizione dei migranti, ha sul territorio 53 centri di accoglienza straordinaria (CAS);
   il presidente Cantone dell'Anac ha indicato alla Commissione parlamentare di inchiesta sui sistemi di accoglienza in Campania una forte corruzione all'interno delle procedure di accoglienza nei CAS campani –:
   se sia informato di quanto riportato in premessa;
   se intenda garantire l'applicazione della cosiddetta clausola di salvaguardia, come da delibera ministeriale, così da evitare il proliferare di Cas all'interno della provincia di Napoli. (4-16792)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 29 maggio 2017, nell'articolo apparso su Repubblica – settore scuola, si richiama l'attenzione sul prossimo anno scolastico 2017/2018;
   più precisamente, vengono indicati gli oltre 450 pensionamenti richiesti dai dirigenti scolastici attualmente in servizio a decorrere dal 1o settembre 2017, al quale si aggiungeranno ai 1.500 incarichi di reggenza assegnati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   va evidenziato che l'ultimo concorso per docenti risale al 2011 e che il mancato turn-over ha generato una situazione che porterà quasi 2.000 scuole, su un totale di 8.281 pari al 23 per cento, ad avere una reggenza e non un effettivo dirigente d'istituto;
   è opportuno sottolineare che una reggenza costa novemila euro l'anno, mentre lo stipendio di un dirigente si aggira attorno ai 50-60 mila euro l'anno, pertanto si auspica che la mancanza di un nuovo concorso per dirigenti e le migliaia di reggenze non siano dovute esclusivamente a questione di risparmio in termini economici –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative urgenti intenda assumere al fine di non aggravare una situazione già al limite della sostenibilità in diverse regioni del Paese, poiché le scuole, con le reggenze scolastiche risentono di effetti negativi sulla gestione, sulle attività svolte e sulla qualità didattica;
   quali siano i tempi previsti per l'adozione del decreto ministeriale recante il regolamento per l'accesso ai ruoli della dirigenza scolastica, considerato che esso dovrà passare al vaglio del Consiglio di Stato e di tutte le altre istituzioni cui spetta esprimere il proprio parere prima di bandire un nuovo concorso per l'accesso ai ruoli della dirigenza scolastica. (4-16782)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dovrebbe costituire regola comune la salvaguardia dei princìpi di libertà, indipendenza e imparzialità dell'università pubblica, visto che la legge nazionale n. 240 del 2010, all'articolo 1, comma 1, stabilisce che «le università sono sede primaria di libera ricerca e di libera formazione (...)», sancendo inoltre, all'articolo 2, comma 1, l'attribuzione al rettore della «responsabilità del perseguimento delle finalità dell'università (...)»;
   anche lo statuto dell'università di Udine all'articolo 1, comma 1, sottolinea che «l'Università degli Studi di Udine (...) è sede primaria di libera ricerca e libera formazione (...) contribuendo con ciò allo sviluppo civile, culturale, sociale ed economico del Friuli». E lo stesso codice etico di ateneo, nel preambolo, afferma che «ricerca, didattica e studio debbono essere esercitate in uno spirito di libertà, intesa come indipendenza da qualsiasi pregiudizio o condizionamento ideologico». Inoltre all'articolo 1, comma 2, si parla di «imparzialità razionale rispetto a tutte le prospettive culturali, religiose, politiche e scientifiche» e all'articolo 11, comma 1, si afferma che «l'utilizzo del nome e del logo sono consentiti esclusivamente per scopi istituzionali», cioè appunto per libera ricerca e libera formazione;
   l'università di Udine ha concesso il patrocinio al Friuli Venezia Giulia Pride, in programma il 10 giugno 2017, il cui sito parla a chiare lettere di «manifesto politico»;
   affermare che l'università di Udine concede il patrocinio al Friuli Venezia Giulia Pride «in quanto sede di libera ricerca e formazione», come ha fatto il rettore dell'ateneo Alberto Felice De Toni, ad avviso dell'interrogante distorce il senso dell'articolo 1 della legge sull'università, piegando la struttura a interessi di partito, lo stesso peraltro ospitato nel 2015 dall'ateneo friulano per una sua manifestazione;
   l'articolo 2 dello statuto dell'università di Udine prevede che si perseguano le finalità istituzionali dell'ateneo ispirandosi al principio di «pluralismo». L'università deve cioè astenersi dallo schierarsi pro o contro posizioni di tipo valoriale e ideologico-politico, come invece avviene approvando (attraverso il patrocinio) valori di una minoranza che altri possono non condividere –:
   se il Governo sia a conoscenza del patrocinio concesso dal rettore dell'università di Udine al Friuli Venezia Giulia Pride, manifestazione «politica» per ammissione stessa degli organizzatori e quale orientamento, per quanto di competenza, intenda esprimere alla luce delle norme di cui in premessa;
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, anche normative, volte a rafforzare i princìpi dell'imparzialità e del pluralismo nell'attività degli atenei, tenendo conto dell'alto dovere politico e morale di preservare da attenzioni improprie la credibilità e l'autorevolezza dell'istituzione universitaria in modo da evitare casi come quello di Udine. (4-16790)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta orale:


   ALTIERI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da organi di stampa, ad un noto imprenditore agricolo, con molti anni di esperienza nel settore, proprietario di un podere nel Mesagnese a pochi chilometri dal confine con il comune di San Pancrazio Salentino, nei giorni scorsi è stata inflitta una multa di settemila euro da parte dell'ispettorato del lavoro, a causa dell'utilizzo di un abbigliamento non consono alle norme sulla sicurezza da parte di quattro sue dipendenti;
   le quattro braccianti agricole, che stavano lavorando alla cosiddetta «spollonatura», ossia allo sfoltimento e all'alleggerimento delle foglie delle piante di vite, sarebbero state sprovviste di guanti anti-taglio – calzando invece guanti di plastica – e delle scarpe antinfortunistiche;
   fra le contestazioni sollevate dagli ispettori vi sarebbe, inoltre, la mancanza di un bagno chimico nel citato podere;
   le braccianti, regolarmente assunte, si erano sottoposte alla prescritta visita medica presso il medico del lavoro ed erano inoltre provviste del Dvr, ossia del documento di valutazione dei rischi, previsto dalla legge;
   a quanto è dato sapere, al momento l'imprenditore preferisce attendere prima di procedere al pagamento della multa ed ha presentato ricorso, in quanto ritiene tale sanzione assolutamente ingiusta, essendo la spollonatura un'operazione non pericolosa – si tratta semplicemente di rimuovere delle foglie – e, pertanto, i guanti anti-taglio non sarebbero necessari;
   occorre rilevare che la normativa in materia non risulta chiarissima, prestandosi a varie interpretazioni;
   più in generale, altrettanto poco chiara risulta essere una buona parte delle norme che riguardano il lavoro agricolo, che risentono di stratificazioni legislative susseguitesi negli anni – spesso frutto di emergenze contingenti – che nulla hanno a che vedere con la reale necessità, espressa tanto dai lavoratori quanto dalle aziende, di salvaguardare la sicurezza dei lavoratori e di reprimere le forme delinquenziali di sfruttamento, dando, contestualmente, chiarezza e certezza a quanti vogliono lavorare nella legalità e con tranquillità;
   situazioni di incertezza nell'applicazione delle norme sono state riportate dagli organi di stampa anche in merito alla nuova legge sul caporalato, con la menzione di episodi e aneddoti, a volte quasi surreali, di contestazioni elevate ad imprenditori agricoli in merito a criticità formali relative alla sicurezza sul lavoro;
   occorre, a giudizio dell'interrogante, evitare in tutti i modi che eccessive rigidità ed appesantimenti normativi penalizzino la maggioranza delle aziende sane, generando un clima da «caccia alle streghe» – dove la strega è l'azienda agricola – in un contesto generale in cui il mondo agricolo, soprattutto quello delle regioni meridionali, già deve affrontare grosse problematiche, quali quelle legate al crollo dei prezzi riconosciuti agli agricoltori, alla concorrenza sleale operata da alcuni Paesi del Mediterraneo e anche europei e alle ben note distorsioni di filiera –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'episodio riportato in premessa;
   se non intenda intervenire con urgenza, anche predisponendo specifiche iniziative normative, per chiarire e semplificare disposizioni complesse e, sovente, difficilmente applicabili;
   quali iniziative siano state assunte dal Governo, a seguito dell'accoglimento di specifici ordini del giorno in Parlamento, volte ad approfondire gli aspetti di criticità emersi in sede di applicazione della legge n. 199 del 2016, con particolare riferimento a quelli che rischiano di penalizzare, ingiustamente, la maggioranza delle aziende agricole sane. (3-03059)


   LAFFRANCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il contratto collettivo nazionale per i dipendenti del terziario, distribuzione e servizi è stato sottoscritto il 30 marzo 2015 da Confcommercio con le federazioni di categoria di Cgil, Cisl, Uil, e l'analogo contratto a firma Confesercenti è stato siglato a giugno 2016 con previsioni economiche sostanzialmente identiche;
   una parte della grande distribuzione, quella che aderisce a Federdistribuzione, continua a non riconoscere alcun aumento contrattuale ai dipendenti, pur non avendo Federdistribuzione firmato un altro contratto nazionale;
   Federdistribuzione, infatti, non è mai stata firmataria di alcun contatto nazionale e dichiara pubblicamente che le aziende aderenti applicano il precedente contratto Confcommercio scaduto a dicembre 2013, che ha cessato i suoi effetti in quanto sostituito dal rinnovo del 30 marzo 2015;
   dal 2014 Federdistribuzione dichiara di voler sottoscrivere un autonomo contratto nazionale, il primo, ma ad oggi non risulta aver sottoscritto alcun accordo e la trattativa avviata, che non ha portato alcun risultato, si è chiusa con uno sciopero a maggio 2016;
   da allora il sindacato ha più volte pubblicamente dichiarato che non sussistono le condizioni per sottoscrivere il primo contratto con Federdistribuzione;
   nelle imprese aderenti non viene, dunque, da oltre due anni applicato alcun aumento, nonostante vi sia una obbligazione sancita dal rinnovo del contratto nazionale del terziario distribuzione e servizi del 2015, l'unico vigente;
   si è appreso che le organizzazioni datoriali e sindacali hanno chiesto al Ministero del lavoro e delle politiche sociali chiarimenti sulla mancata applicazione e indirizzi specifici sui comportamenti da adottare nei confronti di quelle aziende che non stanno applicando alcun contratto collettivo nazionale di lavoro vigente, chiarimenti chiesti anche da alcune direzioni territoriali e dall'Inps;
   la questione ha una duplice rilevanza, da un lato per i lavoratori di quelle imprese che non stanno riconoscendo gli aumenti, dall'altro rispetto alla eventuale fruizione di diversi benefici fiscali e contributivi, primo fra tutti l'esonero contributivo per le nuove assunzioni previsto ai commi 178-180, articolo 1, della legge n. 208 del 2015 (cosiddetta legge di stabilità 2016);
   tale beneficio è per legge espressamente condizionato al rispetto da parte del datore di lavoro «degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale», come disposto dall'articolo 1, comma 1175, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, richiamata anche dalla circolare, dell'Inps 18 aprile 2008, n. 51 in materia di documento unico di regolarità contributiva;
   per fruire dei benefici in deroga alla contribuzione ordinaria, le imprese devono dichiarare, non solo la regolarità contributiva, ma anche indicare il contratto collettivo nazionale applicato «vigente», impegnandosi in tal modo al suo rispetto;
   in assenza di chiarimenti e puntuali indicazioni agli organismi deputati alla vigilanza, si apre un vulnus che rischia di generare, oltre a fenomeni di dumping fra le imprese che insistono sullo stesso comparto, un rischio di indebita fruizione di benefici contributivi e fiscali da parte di soggetti che non ne avrebbero diritto. Il mancato intervento del Ministero pone lo stesso Inps, nella impossibilità di attivare verifiche ed eventuali azioni di recupero, con un potenziale danno per le risorse pubbliche all'uopo destinate e in contrasto con le finalità espresse dal legislatore –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare, ed in quali tempi, e quali chiarimenti intenda fornire per evitare possibili danni sia ai lavoratori sia alle imprese, consentendo agli organi ispettivi di effettuare le opportune verifiche e, se del caso, sanzionare eventuali comportamenti indebiti nella fruizione dei benefici normativi e contributivi che il legislatore ha collegato al rispetto dei contratti collettivi vigenti. (3-03060)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è necessario conoscere il numero degli esodati esclusi dalla cosiddetta 8a salvaguardia, suddividendoli tra donne e uomini, poiché la loro decorrenza previdenziale matura in data successiva al 6 gennaio 2019 (al 6 gennaio 2018 per contratti a tempo determinato o lavoratori autorizzati ad effettuare versamenti volontari senza versamenti), a cui si perviene a causa del progressivo incremento dell'aspettativa di vita, particolarmente penalizzante per le donne e non previsto al momento in cui furono sottoscritti gli accordi di esodo o di mobilità;
   l'incremento dell'aspettativa di vita si basa su parametri previsionali e non reali, come peraltro dimostrano recenti dati che attestano invece un calo dell'aspettativa di vita;
   il dato sulla consistenza numerica di detti lavoratori potrebbe essere individuato, tramite il codice fiscale, tra le domande non accolte dei lavoratori/trici sui report dell'Inps relativi alla 8a salvaguardia;
   dalle domande non accolte vanno eliminate:
   quelle duplicate, tenendo solo le copie dei codici fiscali di chi ha beneficiato della ottava salvaguardia;
   i casi di diniego per coloro che non hanno contributi sufficienti;
   i casi di coloro che non sono «esodati», perché usciti dal lavoro dopo la «legge Fornero», cioè ove si verifichi la data di ultima contribuzione lavorativa dopo il 31 dicembre 2011 (se non preceduta da accordi in azienda o da periodi di cassa integrazione guadagni straordinaria, indennità di disoccupazione o altri ammortizzatori sociali) –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda adottare per individuare definitivamente il numero complessivo, tenendo conto delle considerazioni sopra citate, di:
    a) «esodati» rimanenti aventi decorrenza pensionistica oltre il 6 gennaio 2019 (il 6 gennaio 2018 per contratti a tempo determinato o lavoratori autorizzati a versamenti volontari senza versamenti), in particolare le donne nate dopo il 31 luglio 1956 e i mobilitati con maturazione del diritto dopo i 36 mesi dal termine della mobilità;
    b) lavoratori/lavoratrici ex postali;
    c) esodati ex Alitalia – Linee aeree italiane e Alitalia – Compagnia aerea italiana;
   se intendano assumere iniziative normative ad hoc per tali soggetti. (5-11470)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda nata dalla fusione tra Wind e 3 Italia rappresenta il più importante operatore mobile nel nostro Paese, con una copertura di rete superiore a quella di qualsiasi concorrente, 6,49 miliardi di euro di ricavi annui, 34 milioni di clienti tra mobile e fisso, 37 per cento di mobile market share;
   nei giorni scorsi, l'azienda Wind Tre ha presentato il proprio piano industriale, che prevede investimenti per 7 miliardi di euro nei prossimi sei anni, con una speciale attenzione per le nuove tecnologie;
   nell'incontro avvenuto a Roma con i sindacati in data 22 maggio 2017, insieme alle lusinghiere prospettive di crescita e di espansione aziendale, è stata però comunicata l'inquietante prospettiva della esternalizzazione dell'attività di customer care, esercitata con un organico di circa 800-900 persone (su un totale di 8.155 dipendenti complessivi), attualmente distribuite su quattro sedi: Genova, Cagliari, Palermo, Roma;
   appare abbastanza discutibile che un'azienda tecnologica, in espansione di mercato, intenda affidare in outsourcing un'attività come il customer care, così sensibile, intrinsecamente correlata alla qualità della prestazione e pertanto – secondo logica – appartenente al « core»;
   ancora più drammatico è, però, che i dipendenti afferenti a tale settore aziendale siano oggi incentivati in tutti i modi all'esodo, mentre non viene in nessun modo garantita la loro professionalità, né la loro strategicità nel futuro di Wind Tre;
   tale situazione appare ancora più grave in Sardegna, con circa 400 posti di lavoro che vengono messi in discussione dai progetti di outsourcing aziendale. La crisi generalizzata delle attività produttive isolane, che rischia oggi di mettere in discussione la stessa coesione sociale dell'isola, mal sopporterebbe un ulteriore disastro rappresentato dalla nuova precarietà introdotta dallo smantellamento della struttura di customer care di Wind Tre –:
   se trovi conferma la notizia che oggi siano a rischio circa 800-900 posti di lavoro in tutt'Italia, di cui circa 400 soltanto in Sardegna, nell'attività di customer care dell'azienda Wind 3 Italia;
   se l'azienda abbia mai goduto di misure di sostegno occupazionale statale, oggi incongruenti con le scelte di esternalizzazione nel settore strategico dell'assistenza alla clientela;
   se non ritengano di dover assumere ogni iniziativa di competenza affinché Wind Tre individui soluzioni alternative all'esternalizzazione del servizio di customer care o forme intermedie di gestione partecipata, che possano garantire la qualità delle prestazioni aziendali, mantenendo certezze lavorative per i dipendenti che costituiscono un importante know-how aziendale. (4-16786)


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 settembre 2016 viene comunicata la fusione per incorporazione di Wind in H3G ai sensi della legge n. 428 del 1990;
   l'Unione europea accorda il via libera all'operazione, condizionandola al trasferimento di alcuni asset e alcune frequenze ad un soggetto terzo, Iliad SA, che diventerebbe così il quarto operatore di telefonia mobile in Italia;
   segue un incontro con le organizzazioni sindacali, in cui viene presentato il nuovo management alla guida di Wind Tre e vengono date ampie rassicurazioni sulla salvaguardia occupazionale;
   il 27 ottobre 2016 viene comunicata la volontà di aprire un'operazione di incentivazione all'esodo volontario. A tal proposito, si esclude che siano coinvolte le aree operative, ovvero i call center;
   il 19 dicembre 2016 la società informa le organizzazioni sindacali della sua intenzione di efficientare la struttura attraverso una riduzione di organico, che conta al momento 6.000 dipendenti di provenienza Wind e 3.000 di H3G;
   si parla sempre di incentivi all'esodo, che riguarderebbero tuttavia anche i call center ex H3G;
   si tratta di circa 1200 operatori, collocati nelle sedi di Milano, Roma, Genova, Cagliari e Palermo;
   il 24 febbraio 2017, la società comunica alle organizzazioni sindacali di avere, fino a quel momento, chiuso 400 accordi per l'esodo incentivato e di aver intenzione di prolungare la possibilità di accedervi;
   il 13 aprile 2017 la società conferma che l'operazione di incentivazione all'esodo è ancora aperta, senza tuttavia fornire alcun dettaglio su obiettivi finali e tempistica né alcuna garanzia sulla permanenza della sede di Genova;
   si segnalano, peraltro, pressioni forti sui lavoratori finalizzate a ottenerne le dimissioni incentivate;
   il 22 maggio 2017 viene finalmente convocato un incontro per la presentazione del piano industriale;
   la società comunica che, dopo l'operazione di fusione, si è affermata quale primo operatore mobile in Italia;
   i dati economici presentano un Ebitda positivo, mentre risulta in diminuzione l'indebitamento, grazie al costante impegno degli azionisti;
   nonostante ciò, al fine di aumentare la competitività in vista dell'ingresso del quarto operatore mobile, viene comunicata l'intenzione di procedere alla cessione del ramo d'azienda dei call center ex H3G, per un totale di 900 lavoratori a livello Italia;
   l'operatore appaltante non è ancora stato individuato, ma la scelta potrebbe ricadere su Comdata o Almaviva;
   la delegazione sindacale comunica all'azienda che non intende avallare tale operazione e che metterà da mobile in Italia subito in campo ogni azione a tutela dell'intero perimetro aziendale;
   il 23 maggio 2017 viene quindi aperta la procedura di «raffreddamento» che porterà, non appena i tempi previsti dalla legge n. 146 del 1990 ne consentiranno la calendarizzazione, allo sciopero nazionale. Gli operatori di call center ex H3G, infatti, fornendo assistenza a 360 gradi, sono soggetti alla legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali;
   a parere dell'interrogante deve essere messa la parola fine alla pratica di esternalizzazione delle attività di call center, finalizzata esclusivamente alla riduzione dei costi;
   essa, infatti, comporta la svalorizzazione del lavoro, con gravi conseguenze tanto sul piano dell'occupazione, quanto su quello della tutela dei consumatori;
   è, infatti, discutibile che l'unica interfaccia disponibile per la clientela sia rappresentata da operatori privi di un legame di dipendenza diretta dal concessionario;
   d'altra parte si parla appunto di servizi di interesse pubblico, svolti in regime di concessione e questo rende lecito e indispensabile l'intervento dello Stato a tutela della parte più debole nella vertenza, ovvero le lavoratrici e i lavoratori –:
   se e quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo, con urgenza, per evitare che 900 persone rischino a breve di veder peggiorare le proprie condizioni di lavoro, se non di perderlo.
   (4-16800)


   COCCIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   allo stadio «Paolo Rosi» di Roma sono in corso, nell'area detta Cral, dei lavori edili per consentire lo svolgimento della manifestazione sportiva «mondo fitness»;
   nella zona limitrofa al cantiere accedono anche bambini e atleti con diversa abilità per partecipare ai corsi di atletica e l'area è sottoposta a vincolo sugli edifici storici;
   tuttavia, l'area del cantiere non è delimitata, gli operai, come documentato fotograficamente da coloro che frequentano abitualmente il campo, lavorano senza rispettare le minime condizioni di sicurezza e i ponteggi non sono fissati –:
   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare quanto esposto in premessa e come intenda tutelare la sicurezza dei lavoratori e quella dei cittadini che accedono alle aree limitrofe alla zona dei lavori. (4-16801)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, GAGNARLI e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   appare urgente l'adozione della normativa riguardante i controlli in materia di qualità dei prodotti agricoli e contro le frodi agroalimentari così come previsto dalla legge 28 luglio 2016, n. 154;
   un efficace sistema di controllo è essenziale a garantire che i prodotti siano ottenuti conformemente alle disposizioni di legge nazionale e comunitaria, in particolare per quanto attiene alla tracciabilità delle produzioni biologiche nelle transazioni commerciali;
   la predisposizione di una sanzione rafforzata nel caso di contraffazione di prodotti biologici ovvero nel caso di messa in circolazione o in vendita di prodotti falsamente presentati come biologici è un elemento indispensabile a scoraggiare ogni tipo di frode in un settore dove l'aspettativa dei consumatori, relativamente alla salubrità delle produzioni biologiche, è sempre più alta –:
   in quali tempi il Governo, visto il molto tempo trascorso dagli annunci fatti, ritenga di esercitare la delega di cui all'articolo 5, comma 2, lettera g), della legge 28 luglio 2016, n. 154;
   se non ritenga utile assumere iniziative per estendere la normativa prevista dall'articolo 517-quater del codice penale alla contraffazione o alterazione di prodotti biologici, ovvero alla introduzione, nel territorio dello Stato, e alla messa in vendita o in circolazione di alimenti falsamente presentati come biologici. (5-11467)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BENEDETTI, BASILIO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sulla base di quanto previsto dall'articolo 1, comma 381, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, vi è stata l'incorporazione dell'Istituto nazionale di economia agraria (Inea) nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra), che ha assunto la denominazione di Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi agraria (Crea). Tale articolo ha previsto anche la nomina di un commissario straordinario chiamato a predisporre un piano triennale per il rilancio e la razionalizzazione dell'attività di ricerca e sperimentazione in agricoltura;
   nell'ottica dell'incremento dell'efficienza organizzativa ed economica, il suddetto piano ha come obiettivo l'accorpamento, la riduzione e la razionalizzazione delle strutture del Crea, con riduzione delle articolazioni territoriali pari ad almeno il 50 per cento, nonché la riduzione delle spese correnti pari ad almeno il 10 per cento. Tra le strutture coinvolte nell'accorpamento vi è anche il Centro di ricerca per le colture industriali con sede a Rovigo, che sin dal 1950 si occupa di genetica e miglioramento genetico della barbabietola da zucchero, ma che attualmente è fondamentale sia per la ricerca sulla canapa industriale che per la canapa ad uso terapeutico;
   nel primo caso, anche a seguito della legge 2 dicembre 2016, n. 242, recante disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa, il Crea di Rovigo moltiplica tutte le varietà di canapa industriale italiane e ne sviluppa di nuove, adatte alle varie situazioni pedoclimatiche;
   inoltre, il Crea di Rovigo rientra nel «progetto cannabis», nato dall'accordo tra Ministero della salute e Ministero della difesa, per la produzione nazionale di derivati della canapa ad uso terapeutico da parte dello stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze;
   peraltro, per quanto concerne la disponibilità di farmaci a base di cannabis, a seguito di comunicazione ufficiale dall'azienda Bedrocan BV Olandese, si avrà una carenza di Bediol fino ad ottobre 2017. A questa si aggiunge una mancanza di Bedrocan e Bedica che dura da qualche settimana;
   il centro di Rovigo consta di una sede già di proprietà del Crea, e di 62 ettari di proprietà del demanio che usufruiscono dei titoli Pac; a fronte di spese per la struttura sui 50 mila euro l'anno, riesce a essere un centro di ricerca virtuoso con entrate superiori ai 150 mila euro l'anno. In caso di chiusura o trasferimento del Crea di Rovigo, gli stipendi del personale (6 persone) resterebbero comunque a carico del Crea, inoltre, si verificherebbe un'interruzione dei progetti di ricerca, eventuali ulteriori spese per dotare nuovamente il dipartimento di attrezzature per realizzare le principali attività sperimentali, considerando che un laboratorio può costare più di un milione di euro –:
   se i Ministri interrogati non ritengano che l'eventuale chiusura o trasferimento del Crea di Rovigo rischi di compromettere gli investimenti già previsti per la produzione di canapa sia industriale che a scopi medici, nonché di rappresentare una spesa aggiuntiva piuttosto che un mezzo per la razionalizzazione delle risorse;
   se i Ministri interrogati non ritengano, a seguito anche delle indisponibilità di farmaci a base di cannabis, che sia necessario garantire la funzionalità del Crea e quindi anche la realizzazione del «progetto cannabis». (4-16781)


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal periodico «L'Informatore agrario» nel numero 19/2017, i problemi di funzionalità e di efficacia del sistema nazionale di gestione del rischio in agricoltura non possono più essere ignorati;
   l'Asnacodi, ha denunciato in modo energico l'attuale situazione e parla di «disaffezione e diffidenza» da parte degli agricoltori e di «regole farraginose dettate in ritardo per uno strumento che ha consentito di dare risposte concrete alle imprese e di spendere tutti i finanziamenti esistenti»;
   questo è un clamoroso insuccesso della politica nazionale di gestione del rischio che, al contrario, avrebbe dovuto essere un caso di eccellenza, una « best practice», considerate l'esperienza e la tradizione italiana in materia e la notevole mole di risorse finanziarie stanziate con il piano di sviluppo rurale nazionale;
   vi sono due problematiche: una di natura gestionale, che determina ritardi nell'erogazione delle agevolazioni a favore degli agricoltori per la parziale copertura dei costi sostenuti per le polizze, ed una che riguarda le azioni in corso per migliorare in modo strutturale il sistema degli strumenti di gestione del rischio in agricoltura;
   la legge n. 154 del 2016 assegna al Governo il compito di adottare, entro 12 mesi dall'entrata in vigore, uno o più decreti legislativi per sostenere le imprese agricole nella gestione dei rischi e delle crisi e per la regolazione dei mercati ed a tale riguardo sono stati individuati alcuni orientamenti: favorire la diffusione di strumenti assicurativi a copertura dei danni alle produzioni, alle strutture e ai beni strumentali delle aziende agricole; definire le disposizioni per il funzionamento dei fondi di mutualità per la copertura dei danni da avversità atmosferiche, da epizoozie e da fitopatie, per la tutela del reddito degli agricoltori e per i danni da fauna selvatica; rivedere la normativa sulla regolazione dei mercati, con particolare riferimento all'interprofessione e alla contrattazione collettiva;
   il tempo per esercitare la delega di cui alla legge 154 del 2016 sta per scadere ed è improbabile esercitarla in poche settimane, anche perché ci sono da acquisire il consenso della Conferenza Stato-regioni e il parere delle stesse commissioni parlamentari componenti;
   secondo quanto riporta il periodico «L'Informatore agrario», i servizi ministeriali stanno lavorando a una modifica della legge n. 102 del 2004 che istituisce il fondo di solidarietà nazionale, distinguendo tra interventi assicurativi (concessione di incentivi agli agricoltori che sottoscrivono polizze a copertura dei danni) e interventi compensativi (erogazione di indennizzi ex post);
   entrambi gli strumenti, però, sono soggetti a rigorose norme europee in materia di aiuto di Stato e sono alternativi, nel senso che i danni, le aree e i rischi assicurabili non possono beneficiare degli interventi di soccorso, di natura compensativa;
   non si dispone, a oggi, di ulteriori e più puntuali indicazioni su come il Governo intenda procedere e sulle aree verso le quali orienterà l'azione riformatrice;
   sarebbe auspicabile che si avviasse un dibattito pubblico nel merito della vicenda con le organizzazioni di rappresentanza del mondo agricolo;
   in relazione ai problemi di funzionamento, poi, bisognerebbe rimediare ai tanti difetti del sistema che i risultati a consuntivo mettono impietosamente in mostra: i contributi per le polizze del 2015 non sono stati del tutto liquidati agli agricoltori beneficiari che ne avevano fatto richiesta aderendo al bando del Psrn, mentre per il 2016, come sottolinea Asnacodi, non è ancora uscito l'avviso per consentire agli agricoltori di presentare le domande di contributo;
   vi è il rischio concreto che gli agricoltori del Centro e del Sud Italia rinuncino a utilizzare lo strumento delle assicurazioni agevolate, come emerge dai dati degli ultimi anni, piuttosto che subire una tale trafila di inefficienze;
   in occasione della risposta ad altri atti di sindacato ispettivo, il Ministro interrogato ha informato che è in corso un lavoro di revisione e semplificazione delle attuali procedure, con l'obiettivo di alleggerire la burocrazia introdotta dalle disposizione europee;
   non resta che aspettare con fiducia e pazienza e lasciare il tempo necessario alle istituzioni coinvolte affinché trovino le migliori soluzioni disponibili a difetti che ormai sono stati individuati e delimitati –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-16799)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, NICCHI, FOSSATI, MURER, MELILLA, MARTELLI, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO e SCOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'intesa della Conferenza Stato-regioni dell'11 febbraio 2016 in merito all'attuazione della legge di stabilità 2016, l'ammontare del fabbisogno sanitario nazionale per gli anni 2017 e 2018 è stato determinato in 113.063 milioni di euro per il 2017 e 114.998 milioni di euro per il 2018, successivamente rideterminati in diminuzione, con la legge di bilancio 2017 a 113.000 milioni di euro per il 2017 e a 114.000 milioni di euro per il 2018;
   ai sensi del comma 394 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2017, le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano avrebbero dovuto contribuire alla manovra mediante le sottoscrizioni di singoli accordi con lo Stato, da stipularsi entro il 31 gennaio 2017;
   come ha reso noto lo stesso Ministero della salute, in una nota stampa del 12 febbraio 2017, le regioni a statuto speciale hanno scelto di non sottoscrivere gli accordi richiamati, ricorrendo alla Corte costituzionale per contestare le disposizioni della legge di stabilità. Tale decisione ha determinando, di fatto, un supplemento di manovra a carico delle regioni a statuto ordinario, che ammonta a 422 milioni di euro (pari ai contributi delle regioni Valle d'Aosta, Sicilia, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia);
   successivamente la Conferenza Stato-regioni del 23 febbraio 2017 ha approvato una ulteriore riduzione del Fondo sanitario nazionale da 113 miliardi di euro a 112,578 miliardi di euro;
   su tale budget dovrebbero gravare, inoltre, sia i costi aggiuntivi dei rinnovi contrattuali, sia l'incremento dei costi per l'erogazione dei nuovi Livelli essenziali di assistenza, nonché le attività assistenziali riconosciute a carico del Servizio sanitario nazionale e l'aumento dell'1 per cento dell'inflazione nel 2017 registrato dall'Istat;
   i tagli al Fondo sanitario nazionale incideranno evidentemente in maniera significativa sulla qualità dei servizi erogati, oltre a causare un probabile incremento della spesa privata nella sanità, attraverso aumento o introduzione di ticket e sottoscrizioni di assicurazioni private, per accedere ai servizi;
   la situazione illustrata inciderà sullo stesso principio di servizio universale, allargando la forbice tra chi potrà usufruire – pagando – di servizi di qualità, soprattutto in ordine alla prevenzione, e chi sarà costretto, come purtroppo già registrato negli ultimi anni, a rinunciare a curarsi non disponendo di risorse sufficienti;
   si sottolinea, inoltre, che i tagli richiamati incideranno in particolare modo su attività di assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, come previste dal recente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017, all'articolo 24;
   i consultori svolgono un ruolo fondamentale in materia di educazione e consulenza per la maternità e paternità responsabile; in materia preconcezionale e di tutela della salute della donna – soprattutto in tema di prevenzione e diagnosi precoce dei tumori genitali femminili –, oltre a numerose altre attività tra le quali quella di consulenza, supporto psicologico e assistenza per l'interruzione volontaria della gravidanza; in particolare modo, su tale ultima attività, si ricorda il richiamo del Consiglio d'Europa all'Italia proprio sull'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza e sui rischi che da ciò deriverebbero per la salute delle donne –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare il Governo, in ordine ai fatti illustrati in premessa;
   considerati i tagli consistenti al Fondo sanitario nazionale, come intenda garantire un adeguato livello qualitativo delle attività dei consultori, così come previste dall'articolo 24 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017. (5-11471)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRATAVIERA, TANCREDI, MATTEO BRAGANTINI, CAON, CIRACÌ e PIZZOLANTE. — Al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si conclude domani 31 maggio, a Ginevra (Svizzera), l'annuale Assemblea mondiale della sanità — AMS — dalla quale il Governo cinese ha imposto l'esclusione di Taiwan dichiarando pubblicamente, per bocca del suo Ministro della sanità, che il motivo di tale pretesa è l'ostilità politica nei confronti del Governo taiwanese in carica a seguito delle democratiche elezioni svoltesi nell'isola lo scorso anno;
   Taiwan ha una popolazione di 23 milioni di abitanti che vivono in pace e libertà; essi sono cittadini di un Paese – tra i più avanzati e moderni nei diritti civili, politici, religiosi e sindacali – che rappresenta, secondo le statistiche internazionali, la 18o economia mondiale e il cui interscambio con l'Unione è europea è di 45 miliardi di euro annui dei quali oltre 4 miliardi con l'Italia;
   la esclusione di Taiwan dall'AMS rappresenta un evento inaudito, grave e inaccettabile, anzitutto perché totalmente contrario a quanto stabilito nell'atto costitutivo dell'AMS e dell'Organizzazione mondiale della sanità — OMS — che da essa dipende, nel quale atto è categoricamente stabilito l'esclusiva finalità della prevenzione, della tutela e della cura della salute dell'umanità intera, escludendo qualunque discriminazione di carattere politico, razziale, religioso ed economico;
   la motivazione politica dell'assurdo ostracismo nei confronti di Taiwan è altresì evidenziata dal fatto che per otto anni, dal 2009 al 2016, Cina e Taiwan, – quest'ultima con lo status di «Osservatore» – hanno convissuto senza problemi nell'ambito della AMS;
   a Ginevra si è ugualmente recato il Ministro della sanità taiwanese il quale, fuori dalla sede della AMS, ha avuto incontri bilaterali con colleghi Ministri di 31 Paesi e con responsabili di 28 organizzazioni internazionali che operano nel campo della salute e della cooperazione sanitaria;
   molti interventi, durante i lavori dell'Assemblea, si sono espressi a difesa della doverosa apoliticità della assemblea stessa e della OMS, ed hanno sostenuto il diritto di Taiwan di continuare a farne parte; tra queste voci, particolarmente significative quelle dei Ministri della sanità degli Stati Uniti, di Australia, Germania, Canada, nonché di numerosi altri Paesi asiatici, africani e latino-americani;
   l'autorevole agenzia di notizie AsiaNews, organo del Pontificio istituto missioni estere, in un articolo del 22 maggio 2017, dedicato alla esclusione di Taiwan dall'AMS, ha riportato quanto rivelato dall’Associated Press in merito alle polemiche scoppiate sulle sconcertanti spese per viaggi e soggiorni di funzionari dell'OMS, a cominciare dal direttore generale, guarda caso cinese, che ne è stato al vertice, per 11 anni, fino alla scorsa settimana quando l'AMS ha eletto il suo successore, l'ex Ministro della sanità dell'Etiopia. Secondo l’Associated Press nel 2016 sono stati spesi 201 milioni di euro in biglietti aerei e alloggi a fronte di 71 milioni per la lotta all'Aids e all'epatite e 61 contro la malaria –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali orientamenti intendano esprimere al riguardo;
   se non ritengano di manifestare in tutte le appropriate sedi, qualora non l'avessero già fatto, una chiara posizione a difesa della apoliticità della Ams/Oms e di sostegno al diritto del popolo taiwanese, e dei suoi legittimi e democratici rappresentanti, di continuare a partecipare all'Ams e alle attività della Oms;
   se non ritengano di dover fermamente adoperarsi, anche di concerto con gli altri Paesi della Unione europea, affinché vi siano tanto il categorico rispetto dello statuto dell'Ams/Oms quanto una maggiore sobrietà e trasparenza nell'utilizzo dei fondi, anche italiani ed europei, destinati a tali organizzazioni. (4-16794)

SPORT

Interrogazione a risposta scritta:


   MATARRELLI. — Al Ministro per lo sport. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta all'interrogante e come è emerso da fatti di cronaca riportati dalla stampa nazionale, durante la trasmissione radiofonica sportiva «Made in Bo» (emittente: Radio International), un ospite telefonico avrebbe pronunciato, riferendosi alla squadra della Juventus, frasi dalla forte matrice diffamatoria («Questi riescono a rubare anche le partite che non contano niente») ed intimidatoria («Spero che l'aereo che li porterà a Cardiff» o a giocare la finale di Champions League precipiti);
   il conduttore in studio avrebbe rincarato la dose, invogliando il tifoso al telefono ad insistere: «Vai avanti, continua: io voglio la morte di tutti gli juventini»; a quel punto l'ospite, sentendosi spalleggiato, avrebbe rilanciato le proprie velleità rovinose verso la squadra torinese vincitrice del campionato di calcio («Odio tutti quelli che indossano quella maglia di m.... e che sono la vergogna del calcio, mi fanno schifo (...) spero che vada giù l'aereo quando tornano»);
   il conduttore avrebbe definitivamente chiosato con impudico entusiasmo: «Vai avanti, sei la mia voce, (...) il mio idolo» –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato sulla vicenda e quali iniziative di competenza intenda intraprendere, proprio nei giorni dell'anniversario della strage dell'Heysel, per promuovere, anche attraverso campagne di informazione, i valori autentici dello sport e il tifo pacifico della comunità nazionale più sana, contrastando i comportamenti che alimentano un clima di odio nel calcio e che possono sfociare in disordini, anche gravi, dell'ordine pubblico. (4-16795)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
X Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, EPIFANI, QUARANTA, PIRAS, MARTELLI, FOLINO, MELILLA, NICCHI, STUMPO, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA e SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a marzo si è verificato un importante balzo dell’export. L'Istat ha tracciato un aumento del 4 per cento su febbraio e del 14,5 per cento rispetto al 2016 (secondo il dato grezzo, che diventa +12,4 per cento tenendo in considerazione il maggior numero di giorni lavorativi), il livello più alto da oltre cinque anni. Per trovare un balzo maggiore bisogna tornare ad agosto 2011 (quando era stato del 15,2 per cento);
   il confronto fra piccole e medie imprese di Italia ed Europa vede le imprese nazionali contribuire in misura maggiore all'obiettivo della piena occupazione, rappresentando il tessuto più virtuoso del Bel Paese. In compenso, in termini di internazionalizzazione e produttività, le piccole e medie imprese di italiane non sembrano occupare le migliori posizioni nel panorama europeo;
   la quota di esportazioni attribuibile alle imprese di minori dimensioni risulta più bassa in Italia che altrove. La differenza è evidente soprattutto rispetto alle piccole imprese francesi, che mostrano un valore medio esportato annuo sensibilmente superiore rispetto a quello delle imprese italiane (1.103 contro 180 migliaia di euro); anche il valore medio esportato delle aziende di minori dimensioni spagnole e tedesche risulta pari al doppio rispetto al dato registrato dalle imprese italiane (358 migliaia di euro per le piccole imprese spagnole e 378 per le tedesche) –:
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative urgenti, anche normative, volte a facilitare l'accesso da parte delle imprese, in particolare le piccole e medie imprese, alle misure in materia di internazionalizzazione. (5-11472)


   GALGANO e BOMBASSEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Nestlè-Perugina è una delle realtà imprenditoriali più significative dell'Umbria per l'occupazione e l'economia del territorio;
   Perugina è un marchio storico italiano e nello stabilimento di San Sisto a Perugia si producono importanti marchi quali Baci e Nero Perugina esportati in cinquantacinque Paesi;
   dopo una lunga vertenza, il 2 marzo 2016 Nestlè ha ufficializzato il piano industriale di rilancio di Perugina: investimenti per 60 milioni di euro in tre anni con prodotto portante il «Bacio», nessun esubero, nuova struttura manageriale e innovazione delle tecnologie produttive e del modello organizzativo;
   il 24 febbraio 2017 sono stati resi noti i primi dati sul buon andamento del Bacio e delle tavolette, sia sul mercato interno che sull’export. «Purtroppo – si legge nella nota – sull’export l'aumento del 44% non si traduce in volumi importanti, tali da assicurare un conseguente aumento produttivo». In Usa, Canada, Brasile, Cina ed Australia la crescita del Bacio è a doppia cifra. In Canada e Cina l'aumento è del 60 per cento;
   nel piano industriale si prevedeva anche la produzione dei coni gelato per sopperire alla stagionalità del cioccolato e Nestlé ha ufficializzato il contratto di fornitura alla Froneri dei biscotti per il Maxibon della durata di tre anni, con un quantitativo iniziale di circa 930 tonnellate;
   sebbene la rappresentanza sindacale unitaria abbia dato un giudizio positivo sull'andamento del piano, nel mese di aprile 2017, nello stabilimento di San Sisto, è partita la cassa integrazione per 867 dipendenti che scadrà a fine 2018;
   a maggio 2017, dopo un nuovo incontro dei sindacati con la Nestlè, si è iniziato a parlare di rischio esuberi per 300 unità, nonostante i dati positivi relativi al settore cioccolato registrati dalla multinazionale;
   immediata è stata la reazione dei sindacati che chiedono «di mantenere la discussione nei confini dell'accordo sottoscritto ad aprile 2016, senza aperture su argomenti estranei, soprattutto in quanto tesi ad un riassetto strutturale che ci pare assolutamente evitabile». Nella nota si annuncia anche il possibile stato di agitazione, con azioni da intraprendere in vista della futura campagna produttiva, e si chiede la convocazione di un tavolo ministeriale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della suddetta situazione e se intenda convocare sindacati, istituzioni locali e vertici della multinazionale Nestlè per verificare il rispetto di quanto previsto nell'accordo sottoscritto ad aprile 2016, soprattutto in relazione alle strategie per la gestione del personale. (5-11473)


   CRIPPA, ZOLEZZI, VALLASCAS, DA VILLA, CANCELLERI, DELLA VALLE e FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'inchiesta siciliana denominata «Piramidi» sono emerse speculazioni di «Cosa Nostra» nel campo del trattamento dei rifiuti. Paratore Antonio, classe 1947, e Paratore Carmelo, classe 1981, sono accusati di essere a capo di «un complesso sistema aziendale» tra cui una discarica per rifiuti pericolosi e un impianto per il loro trattamento – Cisma Ambiente spa – dove grazie alla collaborazione di funzionari della regione siciliana, fra cui Gianfranco Cannova, avrebbero gestito illecitamente tonnellate di rifiuti (dal Nord Italia e dall'Ilva di Taranto), realizzando ingenti guadagni a scapito dell'ambiente e della legge;
   dell'ordinanza di custodia cautelare dell'indagine «Piramidi» sull'infiltrazione e l'interesse di «cosa nostra» nel settore dei rifiuti in particolare in Sicilia, Lazio e Bolzano, si legge che un Viceministro del Ministero dello sviluppo economico ha incontrato Carmelo Paratore; dopo alcuni mesi le aziende dei Paratore hanno ricevuto l'affidamento diretto nei primi mesi del 2015 dall'ILVA di Taranto (commissariata e finanziata con miliardi di euro pubblici) per smaltire vari rifiuti e fanghi industriali, classificati come non pericolosi;
   nel 2014 i Viceministri erano due, Carlo Calenda, ora Ministro dello sviluppo economico e Claudio De Vincenti, ora Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno;
   se il Viceministro di cui si parla avesse incontrato una persona sospettata di mafia da oltre 15 anni, è inverosimile che non sapesse chi aveva davanti ed è inaccettabile che a Carmelo Paratore sia stato addirittura affidato un appalto per quanto riguarda la gestione dei rifiuti di uno stabilimento di interesse nazionale, l'Ilva di Taranto –:
   di quali elementi disponga sui fatti sopra descritti e sulle circostanze della vicenda, con particolare riferimento all'esponente governativo che avrebbe incontrato nel 2014 Carmelo Paratore. (5-11474)


   BENAMATI, PELUFFO, DONATI, SENALDI, TARANTO, IACONO, BARGERO, ARLOTTI, CANI, TENTORI, BASSO, SCUVERA, MARTELLA, CAMANI, MONTRONI, BECATTINI, GINEFRA, VICO e IMPEGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dello sviluppo e della diffusione delle attività incluse nel quadro del programma «Industria 4.0» la realizzazione di Competence Center e la conseguente creazione di « Digital Innovation Hub» rappresentano un tassello fondamentale;
   le attività principali che tali centri dovranno portare a compimento sono assicurare formazione e conoscenza sul piano industria 4.0, presentare « Live demo» su nuove tecnologie e consentire l'accesso alle « best practice», effettuare la « Advisory tecnologica per PMI», seguire il lancio e l'accelerazione di progetti innovativi e di sviluppo tecnologico, sostenere il supporto alla sperimentazione e produzione «in vivo» di nuove tecnologie ed effettuare il coordinamento con centri di competenza europei;
   il piano prevede la creazione di pochi e selezionati competence center nazionali, il forte coinvolgimento di poli universitari di eccellenza e grandi player privati, il contributo di «stakeholder» chiave come centri di ricerca o start-up, la polarizzazione dei centri su ambiti tecnologici specifici e complementari e l'individuazione di un modello giuridico e delle competenze manageriali adeguate;
   i digital innovation hub potranno coinvolgere associazioni come Confindustria, R.E TE. e Imprese Italia sul territorio, dovranno essere il ponte tra imprese, ricerca e finanza e dovranno, in particolare, sensibilizzare le imprese sulle opportunità esistenti in ambito I4.0, supportarle nelle attività di pianificazione di investimenti innovativi e per l'accesso a strumenti di finanziamento pubblico e privato, erogare il servizio di « mentoring» alle imprese e supportare l'interazione con i digital innovation hub europei;
   per la selezione dei competence center e dei digital innovation hub sarebbe opportuno prevedere procedure competitive –:
   quale sia lo stato di attuazione delle misure connesse ai competence center ed ai digital innovation hub previste nella legge di bilancio 2017 e quali linee guida siano previste per l'attivazione di tali strutture. (5-11475)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la situazione lavorativa nel comparto di call-center continua ad essere elemento di grave preoccupazione;
   attualmente appaiono particolarmente gravi le situazioni registrate in H3G-Wind, 4U e Almaviva;
   il piano avanzato dalla società H3G-Wind prevede, infatti, la perdita di 900 posti di lavoro e di questi 250 nella sede di Palermo, attuando, nei fatti, una reale operazione di esternalizzazione del servizio. A questo si somma la situazione di 4U con 85 lavoratori a serio rischio a causa della mancanza di commesse e il persistere della crisi in Almaviva, con 2860 lavoratori attualmente in Cassa integrazioni guadagni straordinaria e un piano esuberi che coinvolge 800 dipendenti;
   il fenomeno del trasferimento delle commesse in sedi estere continua a rappresentare il principale motivo della crisi del settore, in cui l'aumento dei ricavi non solo non comporta migliorie per i dipendenti, ma è, da questi, interamente pagato con la diminuzione di salario e diritti quando non con la perdita del posto di lavoro;
   ai numerosi annunci di intervento da parte del Governo non sono seguite adeguate iniziative in sede legislativa e politica, perpetuando – in tal modo – una situazione costante di ridimensionamento del comparto nazionale e di mancanza di commesse;
   il protocollo firmato tra Governo, aziende e committenti nel maggio 2017 non ha prodotto, ad oggi, alcun elemento positivo, mentre proseguono, come si evince dalle informazioni disponibili, elementi di gravissima crisi e operazioni di dismissione e delocalizzazione dei servizi;
   al mancato rinnovo delle commesse in essere si aggiunge il rischio, per Almaviva, legato alla situazione di Alitalia che risulta uno dei principali committenti del gruppo, fornendo lavoro a circa 600 persone;
   appare, quindi, evidente il rischio concreto di ulteriori perdite di posti di lavoro e questo nonostante i gravosi e spesso insopportabili sacrifici dei dipendenti del comparto –:
   se il Governo sia intenzionato ad affrontare con adeguati mezzi la situazione in atto;
   quali iniziative intendano intraprendere per evitare ulteriori perdite di commesse per il comparto nazionale dei call-center;
   quali iniziative concrete il Governo sia intenzionato a mettere in atto per favorire il rientro in Italia delle commesse trasferite in sedi estere in questi anni;
   se esista un piano di intervento per scongiurare che la crisi di Alitalia possa rappresentare un ulteriore gravissimo elemento peggiorativo nella già grave situazione descritta. (4-16783)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Zolezzi e altri n. 7-00925, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Kronbichler.

ERRATA CORRIGE

  Testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Binetti e altri n. 4-16754 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 806 del 30 maggio 2017. Alla pagina 47732, prima colonna, dalla riga undicesima alla riga dodicesima deve leggersi: «MITA. Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.», e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AMODDIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ancora una volta, il carcere di Cavadonna a Siracusa è stato teatro di scontri tra detenuti e personale della polizia penitenziaria. L'ultimo in ordine di tempo si è verificato in data 7 dicembre 2016 quando, un detenuto in regime detentivo di massima sicurezza ha aggredito uno degli agenti del carcere. L'aggressione è stata bloccata dal personale di sorveglianza, ma il poliziotto aggredito ha subito un trauma facciale e un ricovero ospedaliero;
   a prescindere dalle cause che hanno potuto accendere la scintilla, ancora una volta si assiste a gravi episodi che evidenziano la mancanza di sicurezza nelle carceri italiane, dovuta alla carenza di organico. Nel carcere di Cavadonna è stato aperto un nuovo padiglione, ma a questo non è corrisposto un adeguamento del personale di polizia penitenziaria. Con il nuovo padiglione il carcere di Cavadonna registra una presenza di oltre 600 detenuti. Il dipartimento penitenziario aveva a annunciato l'arrivo di nuove unità, ma ciò è avvenuto in minima parte. Di fatto, la carenza di organico complessiva è stimabile in 40 unità;
   gli agenti di polizia sono sottodimensionati e devono affrontare ogni giorno enormi difficoltà;
   i sindacati di categoria di polizia carceraria hanno proclamato lo stato di agitazione rivendicando la scarsa sicurezza in cui sono costretti ad operare e l'organico sottodimensionato;
   il numero dei detenuti nelle carceri italiane rimane ancora altissimo rispetto al personale penitenziario in organico e questa sproporzione incide negativamente sul perseguimento dei fini istituzionali, di sicurezza e di trattamento rieducativo, che sono demandati all'amministrazione penitenziaria, mettendo a rischio i delicati equilibri del sistema penitenziario e indebolendo significativamente il generale sistema della sicurezza dello Stato, a discapito dei cittadini. Nella provincia di Siracusa, i due principali istituti penitenziari risultano largamente sovrappopolati, come risulta dalle statistiche pubblicate dal sindacato Sappe. Si tratta di dati impietosi che rispecchiano purtroppo il trend nazionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale episodio;
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto illustrato in premessa, non ritenga di aumentare l'organico della polizia penitenziaria all'interno del carcere Cavadonna di Siracusa. (4-15283)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, prendendo spunto da un episodio violento verificatosi il 7 dicembre 2016, rappresenta situazioni di criticità dell'istituto penitenziario Cavadonna di Siracusa a causa di carenze dell'organico della polizia penitenziaria e del sovraffollamento, chiedendo quali iniziative – sotto plurimi e convergenti profili – si intendano assumere per risolvere le evidenziate criticità.
  Con specifico riferimento all'evento critico del dicembre 2016, la competente articolazione ministeriale ha rappresentato che un detenuto, dopo aver terminato i colloqui con i familiari ed al momento della perquisizione di rito, si scagliava contro uno degli assistenti presenti facendolo cadere sul tavolo e colpendolo ripetutamente con pugni alla testa, nonostante l'altro operatore di Polizia penitenziaria presente tentasse di fermarlo. Solo grazie all'intervento di altro personale si provvedeva ad immobilizzare il detenuto, in evidente stato di agitazione.
  Alla luce del grave episodio occorso ed in considerazione dei precedenti disciplinari del ristretto, verificatisi anche presso altre sedi, venivano avviate le procedure relative all'applicazione, nei confronti dell'aggressore, del regime di sorveglianza particolare e lo stesso, in data 12 dicembre, veniva trasferito per motivi di ordine e sicurezza alla casa di reclusione di Saluzzo.
  L'episodio descritto, per quanto grave, non pare manifestazione di una situazione di specifica criticità della casa circondariale di Siracusa rispetto alla quale, certamente, si pongono problemi comunque seri, da tempo all'attenzione del Ministero.
  Per quanto attiene ai dati relativi alla situazione di sovraffollamento, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha comunicato che, alla data dell'11 marzo 2017, presso la casa circondariale di Siracusa erano presenti 634 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 530 posti detentivi.
  Allo stato, nonostante l'esubero dei presenti rispetto alla capienza regolamentare, il dipartimento ha rilevato che risultano comunque rispettati i parametri previsti dalla Cedu.
  È stato, peraltro, sottolineato come la capienza regolamentare degli istituti penitenziari sia calcolata in base ad un decreto del Ministero della salute del 1975, relativo alle abitazioni civili, che prevede una superficie minima di 9 metri quadri per la stanza singola, più 5 metri quadri per ogni ulteriore posto letto.
  I predetti coefficienti sono oggetto di proposte modificative nell'ambito dei lavori del comitato paritetico con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  Quanto alle dotazioni del personale della Polizia penitenziaria, allo stato risultano presenti presso l'istituto penitenziario di Siracusa 263 unità a fronte di una previsione organica pari a 279.
  Il dato, comunicato dall'amministrazione penitenziaria, risulta essere il frutto di provvedimenti conseguenti all'apertura del nuovo padiglione, avvenuta nel mese di ottobre 2016: proprio in vista dell'attivazione della nuova struttura, infatti, sono state assegnate all'istituto di Siracusa 35 unità di personale del corpo di Polizia penitenziaria, individuate attingendo dalle graduatorie nazionali.
  La situazione degli organici assegnati all'istituto penitenziario Cavadonna di Siracusa sarà, comunque, tenuta in debita considerazione in occasione delle nuove assegnazioni.
  A tale riguardo si evidenzia che, in attesa della riattivazione delle procedure concorsuali per l'assunzione di 300 unità maschili e 100 femminili, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 ottobre 2016 l'Amministrazione penitenziaria è stata autorizzata ad assumere n. 887 unità di agenti già vincitori di concorso.
  E, nell'ambito di tale quadro, il decreto-legge n. 244 del 30 dicembre 2016 (decreto «milleproroghe»), convertito con legge 27 febbraio 2017, n. 19, ha previsto la proroga, sino al dicembre 2017, della validità delle graduatorie dei concorsi banditi ai sensi dell'articolo 2199 del codice dell'ordinamento militare, pubblicate in data non anteriore al 1o gennaio 2012.
  Tale intervento normativo consentirà, dunque, all'Amministrazione di attingere alle predette graduatorie per avviare le procedure finalizzate all'assunzione, nell'anno in corso, di 887 donne e uomini, che andranno a colmare, in parte, il vuoto in organico del corpo di Polizia penitenziaria.
  Si tratta di un primo passo, ma molto importante, che dimostra la costante attenzione riservata dal Governo a tale questione e che intende migliorare le condizioni di lavoro negli istituti, garantirne maggior sicurezza ed assicurare un miglior trattamento per le persone detenute.
  Nella medesima direzione vanno, inoltre, gli interventi tendenti a limitare al minimo la possibilità che il personale della Polizia penitenziaria sia assegnato ad attività diverse da quelle proprie dell'istituzione. In questo senso, presso il gabinetto del Ministero della giustizia, proprio in questi giorni, sono state organizzate apposite riunioni sul tema con la partecipazione dei vertici di tutte le articolazioni ministeriali interessate.
  Il potenziamento del personale della polizia penitenziaria, unito alla continua formazione, è obiettivo finalizzato al complessivo miglioramento della vita detentiva ed a minimizzare anche il rischio di eventi critici, compresi quelli di violenza verso appartenenti alla polizia penitenziaria, citati nel corpo dell'interrogazione parlamentare in esame.
  A quest'ultimo riguardo, il dipartimento competente ha comunicato che nel corso del 2016 sono stati rilevati, tra gli eventi critici, 12 episodi riferibili ad atti ostili nei confronti del personale, per lo più di modesta entità ed attribuiti a detenuti in stato psicologico precario, con un andamento di tendenziale decrescita nel corso dell'anno.
  Grazie ad un impegno politico intenso e costante, articolato in contestuali interventi di carattere normativo ed organizzativo, di edilizia penitenziaria e di politiche del personale, le complessive condizioni detentive, in ambito locale così come sul piano nazionale, sono sensibilmente migliorate.
  Il riconoscimento a livello europeo dei risultati raggiunti dall'Italia nel settore del sovraffollamento carcerario, diminuito in maniera sensibile e non episodica, rappresenta la conferma della bontà della strada intrapresa nel contribuire a mutare in senso migliorativo le condizioni di vita in carcere.
  L'azione sin qui svolta risulterà ulteriormente rafforzata dalle misure contenute nella riforma dell'ordinamento penitenziario, appena approvata dal Senato, che permetterà di introdurre strumenti adeguati per garantire una autentica funzione recuperatoria e risocializzante, in chiave costituzionalmente orientata all'esecuzione penale.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ARLOTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   già più volte l'interrogante ha presentato interrogazioni sulla situazione della casa circondariale «Casetti» di Rimini e, in particolare, sulla necessità di adeguare l'organico della polizia penitenziaria;
   nella risposta scritta all'interrogazione n. 4-10267 presentata dal sottoscritto e pubblicata l'8 aprile 2016, il Ministro interrogato dichiarava che «Con riferimento alla lamentata carenza di personale del corpo di polizia penitenziaria si rappresenta che, nel secondo semestre del prossimo anno, al termine dei nuovi corsi allievi agenti si procederà alle assegnazioni delle sedi ed anche Rimini sarà tenuta nella massima considerazione»;
   le organizzazioni sindacali Sappe, Osapp, Uil, Fp Cgil, Uspp, Cnpp, Cisl hanno manifestato nei giorni scorsi di fronte alla casa circondariale di Rimini denunciandone le criticità e indicendo lo stato di agitazione;
   tra le criticità, secondo le organizzazioni sindacali stesse, vi sono una carenza di organico di almeno 44 unità e la necessità di indire interpelli nazionali e regionali, in grado di integrare, nelle more di assegnazioni effettive, il contingente di polizia penitenziaria di Rimini;
   questo risulta necessario in particolar modo nei periodi estivi, quando l'aumento delle presenze turistiche sul territorio (16 milioni di presenze complessive) porta all'incremento di reati di piccola e media gravità a cui consegue un sovraffollamento della popolazione carcerata;
   le organizzazioni sindacali lamentano, inoltre, l'assenza di un funzionario in grado di supportare l'attuale comandante del reparto e l'assenza da 3 anni di un direttore effettivo ed assegnato in pianta stabile alla struttura riminese, dato che ogni 3 mesi il direttore viene avvicendato da altri istituti;
   sul fronte dell'affollamento nelle celle, in questo momento la capacità massima dei «Casetti» è secondo i sindacati superata di 40 unità con 150 persone detenute, dato che aggiunto alla carenza di personale impone spesso carichi di lavoro estenuanti agli agenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'attuale situazione della casa circondariale di Rimini; 
   se non ritenga necessario adottare iniziative urgenti per l'invio di nuovi agenti, in particolare nel periodo estivo;
   se, nel secondo semestre di quest'anno, come annunciato, al termine dei nuovi corsi per allievi agenti, si procederà alle assegnazioni delle sedi e se quella di Rimini sarà tenuta nella massima considerazione. (4-15503)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante rappresenta situazioni di criticità dell'istituto penitenziario di Rimini a causa di carenze dell'organico della polizia penitenziaria e del sovraffollamento, chiedendo quali iniziative – sotto plurimi e convergenti profili – si intendano assumere per risolvere le evidenziate problematiche.
  Con riferimento alla popolazione detenuta, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha riferito che, alla data dell'11 marzo 2017, risultavano presenti, presso la casa circondariale di Rimini, complessivamente 175 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 126 posti.
  Allo stato, nonostante l'esubero dei presenti rispetto alla capienza regolamentare, l'amministrazione penitenziaria ha evidenziato come risultino comunque rispettati i parametri previsti dalla Cedu.
  Il dipartimento ha, peraltro, sottolineato come la capienza regolamentare degli istituti penitenziari sia calcolata in base ad un decreto del Ministero della salute del 1975, relativo alle abitazioni civili, che prevede una superficie minima di 9 metri quadri per la stanza singola, più 5 metri quadri per ogni ulteriore posto letto.
  I predetti coefficienti sono oggetto di proposte modificative nell'ambito dei lavori del comitato paritetico con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  In considerazione dell'esubero dei presenti nell'istituto penitenziario rispetto alla capienza regolamentare, anche in ragione del caratteristico aumento della popolazione dimorante in Rimini nel periodo estivo, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha assicurato che «la situazione è costantemente monitorata dal Provveditore» il quale interverrà, pur nel necessario rispetto del principio di territorialità dell'espiazione della pena, con interventi deflattivi sulla regione di competenza.
  Quanto alle dotazioni del personale di Polizia penitenziaria, presso la casa circondariale di Rimini risultano presenti ed in servizio 110 unità, con una carenza complessiva di 34 unità, pari al 23 per cento rispetto alla previsione organica.
  La maggiore carenza di personale, per quanto comunicato dall'articolazione ministeriale competente, si registra nei ruoli dei sovrintendenti e degli ispettori.
  Quanto, poi, alla problematica della presenza non continuativa del Direttore dell'istituto di Rimini, tale situazione potrà trovare soluzione con il completamento delle procedure, già avviate, di conferimento degli incarichi dirigenziali conseguenti all'emanazione dei decreti attuativi del decreto ministeriale 2 marzo 2016.
  Nelle more dell'assegnazione di un direttore titolare, come comunicato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il provveditore regionale provvede ad assegnare incarichi temporanei attingendo dai dirigenti in servizio nell'ambito della stessa regione.
  Pur nella consapevolezza del quadro di scopertura che caratterizza sull'intero territorio nazionale l'organico della Polizia penitenziaria, non può che ribadirsi come anche la situazione dell'istituto di Rimini non potrà che essere tenuta nella massima considerazione in occasione delle nuove assegnazioni di personale, ormai imminenti.
  In attesa, infatti, della riattivazione delle procedure concorsuali per l'assunzione di 300 unità maschili e 100 femminili, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 ottobre 2016 l'amministrazione penitenziaria è stata autorizzata ad assumere n. 887 unità di agenti già vincitori di concorso.
  E, nell'ambito di tale quadro, il decreto-legge n. 244 del 30 dicembre 2016 (decreto «milleproroghe»), convertito con la recente legge 27 febbraio 2017, n. 19, ha previsto la proroga, sino al dicembre 2017, della validità delle graduatorie dei concorsi banditi ai sensi dell'articolo 2199 del codice del riordinamento militare, pubblicate in data non anteriore al 1o gennaio 2012.
  Tale intervento normativo consentirà, dunque, all'Amministrazione di attingere alle predette graduatorie per avviare le procedure finalizzate all'assunzione, nell'anno in corso, di 887 donne e uomini, che andranno a colmare, in parte, il vuoto in organico del corpo di Polizia penitenziaria.
  Si tratta di un primo passo, ma molto importante, che dimostra la costante attenzione riservata dal Governo a tale questione e che intende migliorare le condizioni di lavoro negli istituti, garantirne maggior sicurezza ed assicurare un miglior trattamento per le persone detenute.
  Nella medesima direzione vanno, inoltre, gli interventi tendenti a limitare al minimo la possibilità che il personale della polizia penitenziaria sia assegnato ad attività diverse da quelle proprie dell'istituzione. In questo senso, presso il gabinetto del Ministero della giustizia, proprio in questi giorni, sono state organizzate apposite riunioni sul tema con la partecipazione dei vertici di tutte le articolazioni ministeriali interessate.
  Solo grazie ad un impegno politico intenso e costante, articolato in contestuali interventi di carattere normativo ed organizzativo, di edilizia penitenziaria e di politiche del personale, le complessive condizioni detentive, in ambito locale così come sul piano nazionale, sono destinate a migliorare ulteriormente rispetto al passato.
  Il riconoscimento a livello europeo dei risultati raggiunti dall'Italia nel settore del sovraffollamento carcerario, diminuito in maniera sensibile e non episodica, rappresenta la conferma della bontà della strada intrapresa nel contribuire a mutare in senso migliorativo le condizioni di vita detentiva.
  L'azione sin qui svolta risulterà ulteriormente rafforzata dalle misure contenute nella riforma dell'ordinamento penitenziario, appena approvata dal Senato, che permetterà di introdurre strumenti adeguati per garantire una autentica funzione recuperatoria e risocializzante, in chiave costituzionalmente orientata all'esecuzione penale.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   BERNARDO, FREGOLENT e ABRIGNANI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio esecutivo dell'Unesco, approvando la mozione presentata da alcuni Paesi arabi (Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan), sembra abbia ritenuto di sradicare ogni riferimento alla radice giudaico-cristiana dall'area della Città Vecchia di Gerusalemme in cui sorge il Muro Occidentale;
   la collina su cui è situato il complesso religioso di Gerusalemme, oggetto della mozione, è uno dei luoghi religiosi più importanti al mondo. Vi sorge la moschea di al Aqsa, ma nello stesso luogo, quasi duemila anni fa, sorgeva il Tempio di Salomone, il principale luogo sacro per gli ebrei, distrutto dai romani nell'assedio di Gerusalemme del 70 d.C. e mai più ricostruito. Del Tempio rimane solamente un muro esterno che oggi è diventato il luogo di culto più importante per gli ebrei, il cosiddetto Muro del pianto. A poca distanza dalla Spianata è situata invece la Basilica del Santo Sepolcro, il luogo dove secondo i cristiani Gesù Cristo è stato seppellito e poi è risorto;
   al Monte del Tempio e al Muro del Pianto, si prevede nella mozione che ci si riferisca soltanto con il nome indicato dalla tradizione islamica;
   dei cinquantotto Paesi rappresentati nel Consiglio, soltanto sei si sarebbero opposti: Stati Uniti d'America, Regno Unito, Germania, Olanda, Lituania ed Estonia, mentre ventisei, tra cui l'Italia, si sarebbero astenuti;
   questo episodio, a giudizio degli interroganti, rappresenta una presa di posizione non solo antistorica e culturalmente errata, ma offensiva della sensibilità dello Stato di Israele, di tutti gli ebrei e anche dei cristiani, in considerazione del fatto che i Vangeli collocano in quell'area di Gerusalemme il mistero della Resurrezione –:
   quali siano state le ragioni a supporto della decisione del nostro Paese di non opporsi alla mozione votata all'Unesco e se la rappresentante d'Italia, ambasciatrice Lo Monaco, abbia agito in maniera autonoma o a seguito delle indicazioni pervenute dal Governo. (4-14661)

  Risposta. — Lo scorso ottobre è stata come noto approvata una risoluzione voluta da alcuni paesi arabi a nome della protezione del patrimonio culturale palestinese. Una risoluzione contestata con forza da Israele, perché negava il legame millenario degli ebrei con i luoghi sacri di Gerusalemme. L'Italia si era astenuta (come sempre fatto dal 2010 tranne una volta, nel 2014, quando votò a favore) ma l'allora Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Paolo Gentiloni annunciò che alla successiva occasione l'Italia avrebbe cambiato atteggiamento. Per l'Italia, infatti, l'Unesco deve limitarsi a trattare temi culturali, senza divenire la sede di scontri politici e ideologici. Ci sono infatti altri fori internazionali deputati a trattare questioni di ordine politico.
  Per questo motivo, malgrado il testo di decisione proposta dalla delegazione giordano-palestinese fosse migliorativo rispetto a quello dell'anno scorso, il rappresentante permanente presso l'Unesco, su precise istruzioni del Ministro Alfano, ha votato contro la decisione nell'ultima sessione del consiglio esecutivo dell'Unesco. Come fatto presente dallo stesso Ministro, la scelta di votare contro, per noi, significa che non accettiamo automatismi e che siamo pronti a dire no a decisioni che non condividiamo. Rappresenta inoltre una manifestazione di coerenza con la posizione da noi assunta lo scorso ottobre.
  Siamo rammaricati che il nostro voto contrario non sia stato sufficiente a non fare adottare la decisione, ma ci è stato riconosciuto che la nostra posizione è stata determinante per portare vari Paesi europei dalla nostra parte.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dai giornali con un certo stupore che l'Unesco ha ufficialmente adottato una risoluzione su Gerusalemme est, col fine di «tutelare il patrimonio culturale della Palestina e il carattere distintivo di Gerusalemme Est»;
   sostenuta dall'Autorità palestinese e presentata da Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan, tale documento nega il legame millenario degli ebrei con la Città vecchia dove sorge il Muro del pianto, il luogo più sacro agli ebrei di tutto il mondo e, tra l'altro, nel testo presentato, i luoghi santi della Città Vecchia sono indicati solo con il nome arabo;
   la risoluzione è stata approvata da 24 Paesi e respinta da 6 (Usa, Germania, Gran Bretagna, Lituania, Estonia, Olanda), mentre 26 Paesi, tra cui l'Italia, si sono astenuti e i rappresentanti di 2 nazioni non erano presenti al momento del voto;
   forti le parole di indignazione di Netanyahu, secondo cui dire che «Israele non ha connessioni con il Monte del Tempio e il Muro del Pianto è come dire che la Cina non ha legami con la Grande Muraglia o l'Egitto con le piramidi»;
   di fatto, questa risoluzione nega ogni legame tra la storia ebraica e quei luoghi, un legame affermato da qualunque fonte storica e archeologica;
   da quando Israele ha ripreso Gerusalemme Est e la Città Vecchia nel 1967, l'autorità religiosa sul Monte del Tempio è stata esercitata dal dipartimento per gli affari religiosi giordano, il Waqf, e ciò è avvenuto sotto occupazione giordana, per rispettare i luoghi santi musulmani della Città Vecchia: da allora, Israele ha assicurato l'accesso al Monte del Tempio a tutti i cittadini musulmani e ha salvaguardato l'integrità della Città Vecchia, migliorandola;
   il documento rischia pericolosamente di negare, l'antico legame del popolo ebraico con Gerusalemme, senza considerare che Israele è l'unico Paese del Medio Oriente dove la libertà religiosa è rispettata e promossa nei confronti di tutte le fedi. Lo dimostra, per quanto riguarda anche la Cristianità, la particolare importanza riconosciuta dalle autorità israeliane allo Status Quo, che disciplina l'utilizzo dei luoghi più sacri per la cristianità. Emanato dalla Sublime Porta nel 1852, esso regola i diritti di proprietà e di accesso delle comunità cristiane all'interno di tre santuari di Terrasanta, il Santo Sepolcro e la Tomba di Maria a Gerusalemme e la Basilica della Natività a Betlemme. Appare perciò scorretto e falso biasimare Israele per restrizioni nell'accesso a siti di fondamentale rilevanza per le religioni abramitiche o per qualsiasi altra confessione: restrizioni sono avvenute unicamente per garantire la sicurezza di abitanti e visitatori;
   peraltro la risoluzione dell'Unesco dimentica l'ondata di attacchi indiscriminati contro civili israeliani che continua sino ad oggi, iniziata nell'ottobre 2015 sul Monte del Tempio, e la fragilità di una situazione che richiede controlli e sorveglianza;
   è gravissimo poi che la risoluzione, che interviene su uno dei punti centrali del conflitto tra israeliani e palestinesi, sia stata approvata con il voto di astensione dell'Italia;
   il Governo sicuramente saprà che l'Unesco, non è nuova a queste prodezze: nel 1974 approvò una risoluzione che toglieva i finanziamenti a Israele considerato uno «Stato razzista»; l'anno seguente l'Assemblea dell'Onu completò l'opera, condannando il sionismo come una forma di razzismo, salvo poi rivedere quella risoluzione molti anni dopo, in seguito agli accordi di Oslo;
   allora, contro la decisione dell'Unesco, si sollevò la protesta del Ministro per i beni culturali pro tempore, mentre adesso il rappresentante italiano si rifugia nell'astensione, il che significa dichiararsi incapace di esprimere un giudizio su quanto affermato nella risoluzione;
   ciò che rende ancora più grave e inaccettabile il voto del rappresentante italiano, che appare fortemente contraddittorio con la linea dell'Italia tesa ad affermare le radici giudaico cristiane della civiltà europea, è che importanti Paesi europei hanno espresso voto contrario alla risoluzione –:
   quali siano le motivazioni del voto di astensione espresso dal rappresentante del nostro Paese sulla grave risoluzione dell'Unesco che, a giudizio dell'interrogante, nega lo storico rapporto ebraico con Gerusalemme, omette deliberatamente la protezione e la libertà di culto e di accesso che Israele garantisce ai luoghi santi nella Città Vecchia di Gerusalemme e deforma la realtà, accusando Israele di danneggiare l'integrità della Città Vecchia e, per di più, allontana da sviluppi di pace e dialogo tra israeliani e palestinesi. (4-14628)

  Risposta. — Lo scorso ottobre è stata, come noto, approvata una risoluzione voluta da alcuni paesi arabi a nome della protezione del patrimonio culturale palestinese. Una risoluzione contestata con forza da Israele, perché negava il legame millenario degli ebrei con i luoghi sacri di Gerusalemme. L'Italia si era astenuta (come sempre fatto dal 2010 tranne una volta, nel 2014, quando votò a favore) ma l'allora Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Paolo Gentiloni annunciò che alla successiva occasione l'Italia avrebbe cambiato atteggiamento. Per l'Italia, infatti, l'Unesco deve limitarsi a trattare temi culturali, senza divenire la sede di scontri politici e ideologici. Ci sono infatti altri fori internazionali deputati a trattare questioni di ordine politico.
  Per questo motivo, malgrado il testo di decisione proposta dalla delegazione giordano-palestinese fosse migliorativo rispetto a quello dell'anno scorso, il Rappresentante permanente presso l'Unesco, su precise istruzioni del Ministro Alfano, ha votato contro la decisione nell'ultima sessione del consiglio esecutivo dell'Unesco. Come fatto presente dallo stesso Ministro, la scelta di votare contro, per noi, significa che non accettiamo automatismi e che siamo pronti a dire no a decisioni che non condividiamo. Rappresenta inoltre una manifestazione di coerenza con la posizione da noi assunta lo scorso ottobre.
  Siamo rammaricati che il nostro voto contrario non sia stato sufficiente a non fare adottare la decisione, ma ci è stato riconosciuto che la nostra posizione è stata determinante per portare vari Paesi europei dalla nostra parte.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'edizione di domenica 12 febbraio 2017 il settimanale « l'Espresso» ha pubblicato un'inchiesta di Giovanni Tizian intitolata «Angelino nel Sacco». Il relativo sottotitolo recita: «Un imprenditore che ha creato il suo impero con i centri di accoglienza. Avvicinando Alfano e famiglia. Ma gli investigatori sospettano che sia legato ai clan calabresi»;
   l'inchiesta giornalistica fa esplicito riferimento a un'indagine antimafia aperta da tempo e tuttora in corso riguardante alcune attività della Confraternita di Misericordia di Isola Capo Rizzuto di cui è Governatore Leonardo Sacco;
   nell'inchiesta de l'Espresso si legge inoltre che la Misericordia di Isola Capo Rizzuto gestisce, a seguito dell'aggiudicazione di un appalto del valore di 12 milioni e mezzo di euro, il centro migranti di Sant'Anna, considerato uno dei più grandi d'Europa, capace di ospitare mille persone e quindi di creare un notevole indotto sul territorio;
   sempre dall'inchiesta si apprende che lo stesso soggetto gestisce, tramite un appalto del valore di circa 4 milioni di euro condiviso con la Croce rossa italiana, il centro migranti di Lampedusa e di recente ha ottenuto mandato per la gestione di due centri Sprar;
   secondo le notizie riportate dalla stampa diversi sarebbero i politici, i ministri, i sottosegretari e i prefetti con i quali Leonardo Sacco sarebbe venuto in contatto negli anni tanto da garantirgli di operare serenamente e continuare a fare incetta di appalti da Crotone a Lampedusa;
   Tizian fa esplicito riferimento a una istantanea (scattata tre anni fa alla convention dei vertici calabresi del Nuovo centrodestra convocata a Cosenza) che ritrae Sacco con Angelino Alfano, all'epoca numero uno del Viminale, e l'imprenditore Antonio Poerio che ha gestito il servizio di catering del centro di prima accoglienza di Isola Capo Rizzuto finché la prefettura di Crotone non ha revocato il certificato antimafia alla sua azienda;
   la stessa inchiesta giornalistica riporta che dopo lo scatto di quella foto l'associazione Misericordia di cui Sacco è governatore ha ottenuto dalla prefettura di Agrigento, con procedura negoziata e d'urgenza, la gestione del centro di prima accoglienza di Lampedusa di cui viene affidata la direzione a un parente del fratello del Ministro Alfano, Lorenzo Montana, costretto poi a rinunciare proprio per questo;
   dalla ricostruzione si apprende che le polemiche intorno a questa nomina voluta dalla Misericordia di Isola, e poi fatta cadere, indussero lo stesso Sacco a chiedere intervento dell'attuale sottosegretario per i beni e le attività culturali e il turismo Dorina Bianchi, definita «molto vicina» al Ministro Alfano;
   questi episodi – stando a l'Espresso – sarebbero ora sottoposti a una rilettura dell'antimafia catanzarese alla luce di un'informativa di diversi anni fa in cui il nome di Sacco e quello dell'imprenditore Antonio Poerio venivano accostati al potente clan Arena di Isola Capo Rizzuto;
   l'informativa cui l'inchiesta giornalistica fa riferimento rileverebbe anche le frequentazioni di Leonardo Sacco con persone notoriamente appartenenti agli Arena e l'interesse di questi sulla «questione migranti» trapelato da intercettazioni telefoniche;
   l'ipotesi investigativa sarebbe proprio quella per cui il clan di `ndrangheta si sarebbe inserito nel business dell'accoglienza –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e contenuti nell'inchiesta giornalistica;
   se non ritenga opportuno intervenire per verificare e garantire la trasparenza nella gestione dei centri di accoglienza citati in premessa così come dei centri di accoglienza straordinaria e dei centri di prima accoglienza diffusi su tutto il territorio. (4-15646)

  Risposta. — La gestione del centro di accoglienza di Isola di Capo Rizzuto, a cui si fa riferimento nell'interrogazione in esame, è stata coinvolta nell'attività investigativa che ha portato lo scorso 15 maggio, nell'ambito dell'operazione denominata «Jonny», coordinata dalla procura della Repubblica – direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, allo smantellamento della storica e potente cosca di ’ndrangheta, facente capo alla famiglia Arena, da decenni al centro di articolati traffici delittuosi nelle province di Catanzaro e Crotone.
  Si è trattato, invero, di attività investigative volte al disvelamento e al contrasto di dinamiche criminali legate alla presenza militare della citata cosca di ’ndrangheta, che hanno avuto inizio sin dal 2014.
  Da tali attività è via via emersa l'ampia portata del business criminale riconducibile alla famiglia Arena e suoi alleati, che, accanto ai tradizionali ambiti di interesse mafioso, si è indirizzato anche alla gestione del centro di accoglienza.
  Sulla questione specificamente citata, si rappresenta che, nell'ambito della competenza di questa Amministrazione, il Ministro Minniti, come ha già riferito il 17 maggio 2017 in Aula in risposta ai question time postigli sull'argomento, ha disposto l'immediato avvio di un'ispezione presso la prefettura di Crotone per le necessarie verifiche in via amministrativa.
  A tal fine è stato costituito un apposito nucleo ispettivo, coordinato dal prefetto di Catanzaro, che dovrà concludere i lavori entro 30 giorni, relazionando sull'esito degli accertamenti effettuati.
  Si soggiunge che il 18 maggio 2017 lo stesso Ministro Minniti, su richiesta del prefetto di Crotone, ha disposto l'accesso presso il comune di Isola Capo Rizzuto, al fine di accertare eventuali collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori dell'ente locale ovvero forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi.
  Quanto alla problematica generale dei controlli sull'attività dei centri di accoglienza, si informa che il Ministero dell'interno, già nello scorso mese di marzo, ha predisposto un nuovo capitolato generale per le gare di appalto, definito insieme all'Anac e trasmesso alle prefetture con opportune direttive.
  Tra i punti qualificanti del documento si segnalano: il superamento della figura del gestore unico e l'introduzione della suddivisione dei servizi in lotti, al fine di favorire la concorrenza e la partecipazione delle piccole e medie imprese; la tracciabilità dei servizi erogati; una maggiore attenzione all'elemento qualitativo dell'offerta e, soprattutto, il potenziamento delle attività di monitoraggio e di controllo da parte dell'Amministrazione dell'interno.
  Nel capitolato, inoltre, è specificamente previsto che i controlli sullo standard qualitativo dei servizi e sulla regolarità della documentazione prodotta dall'aggiudicatario ai fini del pagamento delle prestazioni rese potranno avvenire senza preavviso, con cadenza periodica ravvicinata e mediante l'acquisizione di informazioni direttamente dagli ospiti.
  Il Ministero dell'interno è impegnato costantemente nell'attuazione delle prescrizioni del capitolato, nella convinzione che attraverso tale strumento si possa realizzare il miglioramento degli standard qualitativi dei servizi erogati, più elevati livelli di tutela dei diritti umani e maggiore trasparenza anche ai fini della prevenzione delle infiltrazioni criminali.
  Per rafforzare la capacità del sistema di monitoraggio, nell'ambito di uno specifico progetto, denominato «MIRECO», finanziato con il fondo FAMI 2014-2020, è stato recentemente istituito presso il Viminale un osservatorio permanente che, avvalendosi di personale altamente specializzato, riferirà gli esiti delle verifiche effettuate sulle strutture di accoglienza presenti nel territorio nazionale.
  Il piano dei controlli, che prevede 2.130 ispezioni nei centri di accoglienza, comprese, tra questi, anche le strutture straordinarie attivate in via d'urgenza, è già partito all'inizio di questo mese.
  Tali attività si aggiungeranno ai controlli che le prefetture già svolgono in via ordinaria attraverso i propri nuclei ispettivi.
  Sull'esito delle attività ispettive il Ministro Minniti ha assunto l'impegno di riferire in Parlamento.
  Si assicura che, nell'esecuzione dei controlli, il Ministero dell'interno opererà con il massimo rigore, utilizzando tutte le risorse a disposizione per l'affermazione della legalità e trasparenza in questo delicato settore e portando avanti ogni iniziativa utile ad impedire che la criminalità organizzata possa offuscare l'immagine di grande generosità che il Paese ha saputo conquistare nel campo di accoglienza anche in ambito internazionale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   COLONNESE, BRESCIA, LOREFICE e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 agosto 2016, 40 cittadini sudanesi fermati dalla polizia presso il comune di Ventimiglia e facenti parte di un gruppo più ampio di 48 cittadini sudanesi, sono stati forzatamente imbarcati per essere espulsi su un aereo, presumibilmente decollato dall'aeroporto di Milano-Malpensa o da quello di Torino-Caselle, con destinazione finale Khartoum (Sudan) e con scalo intermedio in Egitto;
   risulterebbe che i 48 cittadini sudanesi fermati a Ventimiglia siano stati poi trasferiti presso il centro cosiddetto hotspot di Taranto per essere sottoposti a procedure di identificazione prima di essere trasferiti presso l'aeroporto individuato per il volo di rimpatrio;
   la EU-Horn of Africa Migration Route Initiative, presentata nel corso della IV Conferenza ministeriale euro-africana tenutasi a Roma il 27 e 28 novembre 2014 e conosciuta anche come «Processo di Khartoum», mira a stipulare accordi con Paesi di origine e transito in merito alla questione migratoria, nello specifico per il contrasto del traffico di esseri umani per mezzo di maggiori controlli alle frontiere, con l'obiettivo implicito di contenere i flussi migratori provenienti dal Corno d'Africa; l'Agenda europea sulle migrazioni presentata dalla Commissione europea a maggio 2015 ha recepito molte delle decisioni previste dal processo di Khartoum;
   ad aprile 2016 il Governo italiano ha inviato una proposta indirizzata alla Commissione ed al Consiglio dell'Unione europea denominata « Migration Compact-Contribution to an EU strategy for external action on migration» che prevede un percorso di esternalizzazione delle frontiere italiane ed europee per la gestione dei flussi migratori, attraverso accordi con Paesi di transito ed origine dei migranti, in continuità con quanto avviato nel processo di Khartoum;
   in data 3 agosto 2016 il capo della polizia italiana Franco Gabrielli ha sottoscritto un accordo, chiamato « Memorandum of Understanding», con il Governo del Sudan rappresentato dal generale Hashim Osman Al Hussein, che prevede una stretta collaborazione tra i due Governi sul tema migrazioni, in continuità con quanto previsto dal processo di Khartoum al Migration Compact, e che include accordi specifici per la riammissione nel Paese d'origine di cittadini sudanesi;
   numerosi rapporti redatti negli anni da autorevoli attori internazionali quali, per citarne alcuni, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), Amnesty International, o Human Rights Watch sono concordi nell'affermare che nel Sudan siano presenti gravissime e sistematiche violazioni dei diritti umani fondamentali, oltre che in atto violenti conflitti nelle zone del Darfur, Kordofan del Sud e Nilo Blu;
   l'attuale Presidente del Sudan Omar Hasan Ahmad al-Bashir risulta indagato e condannato per genocidio e crimini di guerra e nei suoi confronti la Corte penale internazionale ha spiccato due mandati di arresto;
   le espulsioni collettive sono vietate dal diritto internazionale così come sancito dall'articolo 4 del Protocollo n. 4 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; l'Italia si conforma al diritto internazionale nella tutela del principio di non-refoulement così come sancito dall'articolo 33 della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati;
   la Corte europea dei diritti dell'uomo ha già condannato l'Italia per violazioni inerenti ad espulsioni e respingimenti di stranieri con le sentenze Hirsi Jamaa e altri c. Italia, Sharifi e altri c. Italia e Grecia, Khlaifia e altri c. Italia;
   l'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998 vieta l'espulsione o il respingimento verso uno Stato dove lo straniero possa essere oggetto di persecuzione o se rientrante in categorie vulnerabili;
   l'articolo 10, terzo comma della Costituzione garantisce il diritto d'asilo allo straniero a cui sia impedito nel Paese d'origine l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Repubblica italiana;
   l'articolo 24 della Costituzione sancisce il diritto di difesa come diritto inviolabile a tutela dei propri diritti;
   il testo del « Memorandum Understanding» non è stato reso pubblico ma riveste chiaramente una forte valenza di natura politica oltre che oneri per la finanza e dovrebbe pertanto essere ratificato dal Parlamento in base a quanto previsto dall'articolo 80 della Costituzione;
   in ogni caso l'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1985 prevede che ogni accordo di relazione internazionale sottoscritto dal Governo venga pubblicato integralmente sulla Gazzetta Ufficiale –:
   se non intenda fornire con urgenza delucidazioni approfondite su quanto accaduto fornendo altresì specifiche garanzie, se in condizione di farlo, rispetto al fatto che i cittadini sudanesi espulsi non siano sottoposti al rischio di ulteriori gravi violazioni di diritto oltre a quanto già subito come, inter alia, la mancata effettiva possibilità di difesa contro la procedura di espulsione;
   se possa fornire concrete garanzie che i cittadini sudanesi respinti non fossero portatori di specifiche vulnerabilità e che sia stata approfondita in maniera esaustiva la situazione individuale;
   se non intenda rendere pubblici i contenuti del « Memorandum of Understanding» sottoscritto con il Sudan così come previsto da normativa vigente;
   se non intenda interrompere ogni azione volta al respingimento, alla riammissione e di conseguenza alla sottoscrizione di ulteriori accordi con interlocutori, quali il Governo del Sudan o simili, che violano palesemente diritti umani fondamentali, e principi di diritto internazionale ed interno ai quali l'Italia si conforma;
   se non si intenda interrompere immediatamente l'utilizzo di centri cosiddetti hotspot che continuano a non avere una chiara definizione giuridica nell'ordinamento interno ed europeo, e risultano invece ad avviso degli interroganti luoghi di negazione di diritto. (4-14189)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiedono notizie in merito all'espulsione di 40 cittadini sudanesi fermati dalla polizia presso il comune di Ventimiglia e, contestualmente, vengono sollevate una serie di perplessità sul « memorandum of understanding» sottoscritto tra l'Italia e il Sudan, nelle persone del Capo della polizia, Franco Gabrielli, e del generale Hashim Osman al Hussein.
  Effettivamente, il 24 agosto del 2016 sono stati rimpatriati, con volo aereo da Torino a Khartoum, 40 cittadini sudanesi, nell'ambito della gestione del fenomeno migratorio che interessa, in modo significativo, anche la città di Ventimiglia.
  Infatti, onde evitare che l'alta concentrazione di migranti possa tradursi in emergenza umanitaria, la questura di Imperia, nell'ambito delle strategie coordinate da questo Ministero, effettua quotidiani trasferimenti dei migranti da Ventimiglia verso altri centri della penisola.
  Detti trasferimenti riguardano specificamente stranieri privi di titoli di viaggio respinti alla frontiera dalle autorità di polizia francesi o provenienti da altre località italiane a bordo dei treni in arrivo alla stazione ferroviaria della città di confine, nessuno dei quali, benché richiesto, ha mai espresso la volontà di presentare domanda di protezione internazionale.
  In tale contesto, il 22 agosto 2016 sono stati rintracciati a Ventimiglia ventidue cittadini sudanesi, alcuni respinti alla frontiera dalla polizia francese e altri arrivati via treno.
  Conseguentemente, sono state avviate le procedure di legge per l'adozione dei provvedimenti di espulsione e di accompagnamento coattivo alla frontiera, sussistendo le condizioni fissate dal testo unico sull'immigrazione.
  Il 23 agosto 2016, si è svolta negli uffici della questura di Imperia, l'udienza di convalida dei provvedimenti espulsivi innanzi il giudice di pace, presenti i ventidue cittadini sudanesi assistiti da legali.
  Nel corso del processo, come risulta dai verbali di udienza, ciascuno dei ventidue sudanesi, su esplicita domanda del giudice, ha espresso la volontà di non richiedere asilo politico, pur nella consapevolezza che tale diniego avrebbe comportato l'esecuzione del rimpatrio coatto, ribadendo analoga dichiarazione negativa, espressa e sottoscritta dagli interessati nel verbale dell'intervista effettuata in precedenza da personale del locale ufficio immigrazione della questura, assistito dagli interpreti.
  Inoltre, sempre il 23 agosto 2016, è stato effettuato il trasferimento dall’hotspot di Taranto ad Imperia di altri venticinque cittadini sudanesi – già provvisti di provvedimento di espulsione convalidato dal giudice di pace di Taranto – per l'espletamento delle sole attività di audizione da parte di funzionari del consolato sudanese di Roma e il loro successivo accompagnamento all'aeroporto di Torino per il conseguente rimpatrio.
  Si soggiunge, peraltro, che tre funzionari del consolato sudanese di Roma hanno svolto, negli uffici della questura di Imperia, le attività di audizione per verificare e attestare lo status di cittadini sudanesi dei quarantasette stranieri da rimpatriare.
  La mattina del 24 agosto 2016, i quarantasette sudanesi sono stati accompagnati a bordo di due pullman a Torino.
  Quaranta di essi sono stati portati all'aeroporto di Torino Caselle e, scortati, sono stati imbarcati sul volo aereo diretto a Khartoum, previo scalo tecnico all'aeroporto del Cairo.
  Gli altri sette stranieri sono stati accompagnati presso il Cie di quella città, per indisponibilità di posti sul volo charter.
  Come prassi, al momento dell'ingresso in questa struttura, è stato loro consegnato l'opuscolo informativo sui propri diritti e doveri.
  Il successivo 26 agosto 2016, durante l'udienza di convalida del trattenimento, due di essi esprimevano la volontà di richiedere la protezione internazionale, formalizzando la relativa richiesta il 28 agosto 2016.
  Nei giorni successivi anche i restanti cinque decidevano di presentare analoga richiesta.
  Si soggiunge che tutti e sette i cittadini sudanesi, in tempi diversi, hanno ottenuto lo status di protezione internazionale.
  Quanto alla cooptazione in materia migratoria tra Italia e Sudan, essa è parte integrante del processo di Khartoum, che è il dialogo migratorio congiunto Esteri-Interno avviato durante la Presidenza italiana dell'Unione europea del 2014 per stabilire canali di cooperazione con i Paesi del Corno d'Africa.
  Scopo della iniziativa è la promozione di progetti concreti per una più efficace gestione dei flussi migratori nei Paesi del Corno d'Africa e nei maggiori paesi mediterranei di transito.
  Tra le azioni specifiche del progetto figurano: le campagne di sensibilizzazione e informazione a beneficio dei potenziali migranti; la creazione e il rafforzamento di centri di accoglienza per migranti; l'assistenza tecnica e la formazione specifica a beneficio delle autorità dei Paesi terzi in materia di gestione dei flussi migratori; infine, la promozione di uno sviluppo sostenibile che tenga conto delle cause profonde dell'immigrazione irregolare.
  In tale contesto, si inserisce il « memorandum of understanding» con il Sudan, mirante a sviluppare la cooperazione di polizia per il contrasto di una vasta gamma di forme di criminalità, quali il contrabbando di armi, il traffico di stupefacenti, la lotta alla tratta degli esseri umani e al traffico di migranti, i reati informatici e il riciclaggio.
  Tale atto, denominato « Memorandum d'intesa tra il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno italiano e la Polizia nazionale del Ministero dell'interno sudanese per la lotta alla criminalità, gestione delle frontiere e dei flussi migratori ed in materia di rimpatrio», rappresenta un «filone» particolare nell'ambito dei programmi volti a rendere più incisiva la cooperazione con gli organi di polizia dei paesi di immigrazione, superando le problematicità esistenti.
  L'obiettivo è sviluppare un'azione strategica di lungo periodo, capace di innalzare il livello di preparazione degli apparati di law enforcement dei paesi di origine e di transito dei flussi, migliorandone la capacità di prevenzione e repressione.
  Si tratta di una prospettiva che non può essere perseguita dal singolo Stato e della quale, infatti, si è fatta carico l'Unione europea con il programma « Better Migration Management» (BMM), presentato nel dicembre 2015 ed inserito nel Processo di Khartoum.
  Il BMM, di durata triennale, assegna un ruolo decisivo alla polizia di Stato nella costruzione di una cultura specialistica di polizia giudiziaria, scientifica e di frontiera in una serie di paesi dell'Africa centro-orientale (Sudan, Kenya, Etiopia, Somalia, Gibuti, Uganda).
  Il memorandum d'intesa è, quindi, uno strumento di natura tecnica-operativa, che – come previsto nell'ordinamento nazionale – può essere stipulato ad un livello infra-governativo, in quanto non implica scelte di natura politica, ma si limita a introdurre e disciplinare misure di fluidificazione di procedure già contemplate nell'ordinamento.
  Quasi sempre, questi strumenti prevedono ampie concessioni da parte italiana di aiuti anche in forma di assistenza tecnica, forniture di mezzi e attività formativa, destinate o specificamente mirate all'agevolazione dei rimpatri o a una più ampia collaborazione di polizia.
  Attualmente i memorandum conclusi sono undici e sono, inoltre, in corso contatti per la negoziazione di analoghe intese con le autorità di Bangladesh, Costa D'Avorio, Ghana, Pakistan e Senegal.
  Quanto alla richiesta di sopprimere gli hotspot, in quanto strutture carenti di una chiara definizione giuridica e luoghi di negazione dei diritti, si rappresenta che, per il Governo, essi sono parte essenziale del sistema nazionale di gestione dei flussi, tant’è che si è ritenuto di codificarne le caratteristiche e il funzionamento nel decreto-legge n. 14 del 2017, convertito in legge n. 46 del 2017.
  Si tratta di strutture destinate prioritariamente al soccorso e alla prima assistenza, in esse vengono eseguite anche le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico che consentono l'esatta identificazione dello straniero e rispondono all'ulteriore esigenza di assolvere l'obbligo di alimentare Eurodac, il database europeo per il confronto delle impronte digitali.
  Sotto il profilo dei diritti dei migranti, si rappresenta che la permanenza degli stessi negli hotspot è limitata al tempo strettamente necessario alle predette operazioni.
  In essi, inoltre, sono presenti l'alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati e l'organizzazione internazionale per le migrazioni che, sulla base di apposite convenzioni con il Ministero dell'interno, assicurano l'informazione sulla procedura di protezione internazionale, sulla procedura di relocation in altri stati membri e sulla possibilità di ricorrere al rimpatrio volontario assistito, oltre a concorrere all'individuazione dei soggetti vulnerabili e delle vittime di tratta.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno, dipartimento dei vigili del fuoco e soccorso pubblico e difesa civile in data 2 aprile 2015 ha pubblicato un bando di gara per l'acquisto di n. 100.000 magliette polo di tessuto ignifugo ad un importo massimo di euro 3.500.000,00 iva esclusa;
   lo stock di magliette acquistato si differenzia da quelle attualmente in uso al Corpo dei vigili del fuoco, oltre che per la composizione del tessuto, anche per il colore grigio con bordi gialli in luogo dell'abituale colore rosso;
   dal sito internet del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nella sezione gare e pubblicità legale, in data 25 luglio 2016 risulta aggiudicato un ulteriore bando per la fornitura di n. 40.000 magliette polo ignifughe al prezzo di euro 1.308.000 iva esclusa –:
   quale sia stato il prezzo finale al quale è stato assegnato l'appalto e chi sia stato il soggetto aggiudicatore;
   quale siano le esigenze che hanno condotto a bandire la gara per l'acquisto di 100.000 magliette polo ignifughe e se la fornitura di 40.000 magliette polo riportata in premessa sia da considerarsi aggiuntiva a quella prevista dal bando del 2 aprile 2015. (4-14027)

  Risposta. — In merito a quanto evidenziato nell'interrogazione in esame, si premette che il corpo nazionale dei vigili del fuoco ha sempre posto particolare attenzione alla sicurezza dei propri operatori sottoposti ad alto rischio durante le operazioni di soccorso tecnico urgente. In particolare, il contenimento dei fattori di rischio, cui può essere sottoposto un vigile del fuoco durante la sua vita operativa, viene perseguito coniugando la protezione passiva dell'operatore, attraverso la qualità dei dispositivi di protezione individuale, e la protezione attiva, attraverso specifiche procedure operative previste durante l'attività di soccorso.
  Più nello specifico, va rilevato che anche la maglia polo costituisce un dispositivo di protezione individuale facente parte del kit di equipaggiamento che il vigile del fuoco deve indossare nell'esercizio delle proprie funzioni operative.
  In merito all'appalto cui si fa riferimento nell'atto di sindacato ispettivo, si rappresenta che lo stesso è stato aggiudicato alla società «La Griffe s.r.l.» con sede in Force (AP) (già fornitrice delle precedenti polo di colore bordeaux) per un importo complessivo di euro 3.295.000,00.
  Le nuove polo scelte in dotazione per i vigili del fuoco hanno caratteristiche tecniche, estetiche e di comfort migliorative rispetto alle precedenti; ciò in quanto realizzate al 100 per cento viscosa flame ritardant, tessuto di fibra artificiale di origine naturale, (rispetto al 45 per cento delle precedenti polo bordeaux). Inoltre, le stesse: rispondono alle vigenti normative relative alla protezione degli operatori; possiedono un ciclo di vita maggiore delle precedenti, mantenendo inalterate le caratteristiche iniziali; assicurano una durata maggiore (36 mesi) in confronto alla precedente versione (24 mesi).
  Anche il cambiamento del colore da bordeaux a verde-nero rientra nella nuova progettazione della maglia polo ignifuga, in quanto rispondente all'esigenza di ottenere una maggiore tenuta dell'indumento nel tempo, nonché una migliore uniformità nella vestizione del corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Le polo bordeaux di precedente foggia saranno utilizzate fino ad esaurimento al fine di dotare alcuni reparti operativi di volontari.
  In relazione a quanto appena riferito, si rappresenta che, al fine di consentire un ricambio graduale ma, soprattutto, duraturo nel tempo, nel 2016 si è provveduto ad una prima consegna di 3 capi pro capite (primo acquisto di n. 100.000 nuove magliette). Attualmente è in corso la distribuzione, ad integrazione, di una polo (secondo acquisto di n. 40.000 nuovi capi). In considerazione della durata ipotizzata di 3 anni del dispositivo di protezione individuale, tali forniture consentiranno all'amministrazione di ottimizzare le risorse finanziarie iscritte a bilancio.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto 10 luglio 2015 approvava la graduatoria di merito del concorso interno, per titoli di servizio, a 7563 posti nella qualifica di vice sovrintendente della polizia di Stato, nonché dei decreti di rettifica della graduatoria, del bando e di tutti gli atti connessi, compreso il verbale della commissione esaminatrice in data 4 febbraio 2014;
   tale graduatoria è stata tuttavia contestata da diversi partecipanti al concorso, che hanno fatto ricorso al giudice amministrativo, per motivi afferenti ad un'iniqua valutazione dei requisiti atti alla maturazione del punteggio;
   in particolare, essi rilevano il fatto che, dato il principio di annualità del concorso per la progressione di carriera nelle forze di polizia, la commissione avrebbe, in modo arbitrario, derogato allo stesso prevedendo, per la valutazione dei titoli, l'attribuzione di un punteggio finale complessivo a ciascun candidato, da far valere per ciascuna annualità oggetto del bando, prescindendo dal lasso di tempo in cui i titoli erano conseguiti;
   tale criterio di dubbia legittimità ha finito per favorire i concorrenti che hanno conseguito i maggiori titoli negli ultimi anni a discapito degli altri;
   in pratica chi aveva i titoli per quelle annualità è stato scavalcato da chi in quella annualità non aveva gli stessi titoli, perché conseguiti successivamente;
   a livello esemplificativo, se un concorrente conseguiva un titolo universitario nel 2012, esso è stato fatto valere sin dal 2004, con una disparità di trattamento rispetto a concorrenti che potevano vantare tale titolo da anni precedenti;
   tale esempio vale per tutti i titoli che comportavano un incremento di punteggio, cosicché anche se la graduatoria finale prevedeva distinzioni tra le singole annualità, nel decreto di attribuzione delle assegnazioni ai singoli candidati di fatto tutte le annualità riportavano per ogni concorrente il medesimo punteggio;
   dall'illegittima applicazione del criterio sopra illustrato ne deriverebbe l'illegittimità della graduatoria di merito;
   ulteriori censure sollevate dai concorrenti penalizzati riguardano l'assegnazione, in proporzione, alle aliquote del 60 e 40 per cento stabilite dal regolamento n.144 del 2013, per eventuali scoperture determinate da rinunce o altre circostanze;
   in concreto, per gli agenti e gli assistenti non sarebbe garantita la sede, in quanto subordinata alle vacanze, mentre per gli assistenti capo tale garanzia sembrerebbe sussistere;
   nonostante il giudice amministrativo non abbia accolto la richiesta dei ricorrenti, considerata irricevibile per scadenza del termine perentorio di impugnazione del bando, nonostante il ricorso vertesse non su questo, ma sulla graduatoria finale, fatto che ha portato ad un ulteriore ricorso al Consiglio di Stato, cionondimeno appare opportuno che l'amministrazione competente renda noti i criteri per i quali sia stata operata la scelta di attribuire un punteggio finale complessivo a ciascun candidato, da far valere per ciascuna annualità oggetto del bando, prescindendo dal lasso di tempo in cui i titoli erano conseguiti e i motivi per i quali per gli agenti e gli assistenti non sarebbe garantita la sede, in quanto subordinata alle vacanze, mentre per gli assistenti capo tale garanzia sembrerebbe sussistere –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se la graduatoria di merito del concorso interno, per titoli di servizio, a 7563 posti nella qualifica di vice sovrintendente della polizia di Stato sia stata composta nel rispetto di quanto previsto dal bando con cui veniva indetto il concorso, e quali valutazioni abbiano condotto ad operare la scelta di attribuire un punteggio finale complessivo a ciascun candidato, da far valere per ciascuna annualità oggetto del bando, prescindendo dal lasso di tempo in cui i titoli erano conseguiti ed a favorire una disparità di trattamento per gli agenti e gli assistenti da una parte e per gli assistenti capo dall'altra. (4-13980)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante lamenta presunte irregolarità riguardanti la graduatoria di merito del concorso interno, per titoli di servizio, a 7563 posti nella qualifica di vice sovrintendente della polizia di Stato. Il relativo bando è stato emanato in ottemperanza al decreto ministeriale 3 dicembre 2013, n. 144, in tema di accesso alla qualifica iniziale del ruolo dei sovrintendenti della Polizia di Stato, nonché all'articolo 24-quater del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, recante l'ordinamento del personale della polizia di Stato che espleta funzioni di polizia.
  L'articolo 24-quater, primo comma, del citato decreto del Presidente della Repubblica prevede espressamente che l'accesso al ruolo per sovrintendenti della polizia di Stato avvenga:
   a) nel limite del 60 per cento dei posti disponibili al 31 dicembre di ogni anno, mediante concorso interno per titoli e successivo corso di formazione professionale, della durata non inferiore a 3 mesi, riservato agli assistenti capo che ricoprono, alla predetta data, una posizione in ruolo non inferiore a quella compresa entro il doppio dei posti riservati per tale concorso;
   b) nel limite del restante 40 per cento dei posti disponibili al 31 dicembre di ogni anno, mediante concorso interno per titoli ed esame scritto, consistente in risposte ad un questionario, riservato al personale del ruolo degli agenti e assistenti che abbia compiuto 4 anni di effettivo servizio.

  L'articolo 13-bis del menzionato decreto n. 144 del 2013 ha eccezionalmente disposto: «... si provvede, per i posti disponibili nel periodo compreso tra il 31 dicembre 2004 e il 31 dicembre 2012, attraverso un concorso interno per titoli, fermi restando i limiti percentuali dei posti disponibili al 31 dicembre di ogni anno...».
  La suddetta disposizione normativa ha consentito a questo Ministero di ripianare in tempi brevi, mediante il ricorso a procedure e modalità concorsuali semplificate, la rilevante carenza di organico nel ruolo dei sovrintendenti, in relazione alle esigenze di funzionalità della polizia di Stato.
  In ossequio alla previsione legislativa, in data 23 dicembre 2013, è stato bandito un unico concorso («straordinario») per soli titoli a 7563 posti, per le vacanze disponibili nel predetto ruolo dal 31 dicembre 2004 al 31 dicembre 2012.
  Ai sensi del sopracitato articolo 24-quater, il numero dei posti messi a concorso, suddivisi per annualità, è stato riservato nelle percentuali ivi previste, tra le due aliquote di accesso, ossia quella per assistenti capo e quella per gli appartenenti al ruolo degli agenti ed assistenti con 4 anni di effettivo servizio.
  La procedura, conclusasi con il decreto di approvazione della graduatoria datato 15 luglio 2015, si è svolta nel pieno rispetto delle normative vigenti.
  L'articolo 3 del bando di riferimento, stabilisce che i requisiti devono essere posseduti alla data di scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione al concorso e mantenuti fino alla data di conclusione della procedura concorsuale.
  Si evidenzia, altresì, che nel procedimento di formazione del regolamento, cui il bando di concorso si è uniformato, è intervenuta la sezione consultiva del Consiglio di Stato, che, con parere interlocutorio, non ha formulato osservazioni circa lo specifico punto in argomento.
  Analogamente a tutti gli altri precedenti concorsi sono stati acquisiti tutti i titoli posseduti alla data di scadenza della presentazione della domanda, ossia il 22 gennaio 2014.
  Tale scelta, peraltro, attesa la straordinarietà del concorso e le sue peculiari caratteristiche (la pluriannualità e la retroattività), ha consentito di coniugare il criterio di uniformità con le altre procedure concorsuali con l'esigenza di valorizzare la preparazione e la professionalità acquisita negli anni dal personale.
  La competente commissione esaminatrice, al fine di poter predisporre le diverse graduatorie finali, nel procedere alla valutazione dei titoli di servizio dei candidati, ha correttamente attribuito il punteggio relativo ad ogni titolo presentato per ogni annualità cui il candidato risultava aver diritto a partecipare, indipendentemente dall'anno del suo conseguimento.
  Per quanto concerne, infine, l'assegnazione ai vari uffici e/o reparti disponibili a livello provinciale, si rappresenta che l'articolo 8, comma 2, del bando, recependo l'articolo 13-quinquies del menzionato decreto ministeriale n. 144 del 2013, prevede espressamente il mantenimento della sede di servizio per i soli candidati vincitori della tipologia di concorso riservata agli assistenti capo.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   DI GIOIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi stiamo assistendo ad una preoccupante escalation di attentati nei confronti di esercizi commerciali e delle proprietà degli esercenti delle suddette attività nella città di Foggia e nella sua provincia;
   questo clima di intimidazione non conosce tregua e sicuramente non può essere attribuito a singole azioni prodotte da vandali ma piuttosto ad una strategia criminale tesa a porre sotto il proprio controllo il territorio e le sue attività commerciali e produttive a scopo estorsivo;
   non va dimenticato che stiamo parlando di un territorio dove la criminalità e la microcriminalità e diffusa e radicata, dove omicidi, bombe ed estorsioni sono all'ordine del giorno;
   a tutto ciò si accompagna un clima di intimidazione anche nei confronti degli amministratori locali che si oppongono con la loro azione al tentativo di controllo criminale del territorio;
   gli stessi amministratori locali hanno richiesto, più volte, una maggiore attenzione da parte del Governo e del Ministero dell'interno sulla gravità della situazione venutasi a determinare nei territori da loro amministrati;
   cosa ancora più preoccupante è il grido di allarme lanciato dallo stesso questore della città di Foggia, Dottor Piernicola Silvis, che in più di un'occasione ha denunciato pubblicamente la particolarità e la pericolosità della criminalità organizzata sul territorio foggiano;
   durante una recente audizione alla Camera, nel giugno del 2014, lo stesso ebbe modo di denunciare le minacce, gli incendi, l'invio di proiettili, le lettere anonime che colpivano gli amministratori onesti del territorio, l'estensione della criminalità diffusa e dell'estorsione come pratica diffusa su tutta la provincia;
   sempre durante questa audizione, il questore ebbe modo di denunciare «Vogliamo parlare della città di Foggia e di San Severo ? Approfitto di questa sede per dire formalmente che Foggia, con 160.000 abitanti, è una città dove l'illegalità diffusa è dovunque, dove la microcriminalità è dovunque e dove vi è un'associazione criminale chiamata “la Società”, che è una vera e propria associazione per delinquere di stampo mafioso ex 416-bis: commette omicidi efferati (ce ne sono stati sei o sette dall'inizio dell'anno), commette estorsioni violente (tutta la città è estorta), c’è stata anche l'esplosione di un'autobomba all'inizio di marzo (non parlo di un petardo ma di una vera e propria autobomba) che per fortuna non ha fatto vittime, di fronte alla sede dell'azienda di un noto costruttore. Una città di questo tipo, dove tre, quattro bande di gangster si spartiscono il territorio e ogni tanto vanno in conflitto, si sparano e si ammazzano, ma dove non c’è ancora un'associazione antiracket»;
   a dimostrazione di ciò vi è l'aumento degli episodi criminali sul territorio nonostante le numerose operazioni di polizia che riescono, ogni giorno, ad assicurare soggetti criminale alla giustizia; infatti appare del tutto evidente la sproporzione tra le forze in campo;
   se si collega tutto ciò alla situazione economica e sociale della provincia di Foggia, che vanta il triste primato del minor numero di occupati (37,2 per cento) in una regione al decimo posto in tutta Europa (dati Eurostat 2014) per disoccupati, si può facilmente comprendere a quale possibile «corto circuito» sociale ci si trova di fronte e quanto sia necessario intervenire immediatamente, senza perdere ulteriore tempo, contro un sistema criminale e mafioso che si è fortemente radicato, attraverso minacce e terrore, su tutto il territorio –:
   se e come si intenda intervenire, sino a prevedere l'utilizzo e la presenza dell'Esercito, per contrastare efficacemente la criminalità organizzata e la microcriminalità nella provincia di Foggia, affinché si possa ristabilire legalità e normalità che rappresentano la condizione preliminare e indispensabile per realizzare lo sviluppo economico, sociale e culturale che il territorio sta aspettando da troppo tempo.
(4-08929)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede interventi incisivi da parte dello Stato per contrastare la criminalità nella provincia di Foggia.
  Si rileva preliminarmente che la provincia di Foggia presenta, sotto il profilo della sicurezza pubblica, peculiari e variegati aspetti di criticità, determinati non solo dalla presenza radicata di una criminalità organizzata efferata e agguerrita e di una criminalità diffusa parimenti violenta, ma anche da generalizzati comportamenti di illegalità che coinvolgono, prevalentemente in aree urbane a elevata marginalità sociale del capoluogo e dei centri più popolosi, estese fasce giovanili che costituiscono il serbatoio della manovalanza criminale.
  In tale contesto, in una fase storica iniziale caratterizzata da reati legati prevalentemente a contesti rurali, si è verificato il passaggio a fattispecie delittuose di maggiore spessore criminale.
  Attualmente la criminalità organizzata foggiana si connota per le sue capacità di diversificazione e rinnovamento, in uno scenario nel quale i gruppi tendono ad agire secondo modalità molto aggressive, con sodalizi che si aggregano e disgregano in relazione alle variazioni degli equilibri di potere e ai periodi di detenzione degli affiliati.
  Le attività criminose poste in essere ruotano principalmente intorno al traffico e lo spaccio degli stupefacenti, le estorsioni ed il riciclaggio di denaro di provenienza illecita reimpiegato in attività commerciali, l'usura, il gioco d'azzardo, nonché il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e le rapine. Anche le condotte estorsive, realizzate nei contesti rurali in danno sia di aziende agricole che nei confronti di grandi e medie realtà imprenditoriali, continuano a rappresentare una fonte di guadagno per i vari clan.
  Nel capoluogo dauno, la situazione di pacifica convivenza tra i diversi sodalizi è frutto di una meditata strategia di non belligeranza, mirata ad indurre un abbassamento del livello di attenzione della polizia sui lucrosi interessi, criminali e non, dell'organizzazione denominata «società foggiana» e a consentire, quindi, alla stessa la progressiva infiltrazione nelle attività economiche e politico-amministrative del territorio.
  In effetti, le indagini condotte dalle Forze dell'ordine in direzione della predetta «società» ne hanno evidenziato la consolidata propensione all'infiltrazione nel tessuto economico-imprenditoriale, nonché il coinvolgimento nelle più tradizionali attività di usura, narcotraffico ed estorsioni.
  A tale situazione di criticità va aggiunta quella determinata dalle nuove spinte criminali di giovani leve, particolarmente spregiudicate, interessate ad emergere nel panorama criminale del capoluogo e, pertanto, pronte, a tal fine, a commettere efferati delitti.
  Nel quadro generale sin qui delineato occorre inserire, per una corretta visione d'insieme della situazione nel foggiano, anche l'elemento statistico riguardante gli indici di delittuosità.
  Dalle rilevazioni relative al 2016 emerge infatti che il totale dei delitti segnalati nella provincia di Foggia fa registrare una flessione pari all'11,2 per cento rispetto all'anno precedente. In calo sono anche le rapine (-13 per cento) e i furti (-11,3 per cento). Vanno tuttavia segnalati, in controtendenza, i dati in crescita relativi alle estorsioni, agli omicidi e ai reati connessi agli stupefacenti.
  La cennata flessione è anche il frutto delle mirate strategie di prevenzione e contrasto messe a punto in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, integrato con i Sindaci delle realtà di maggiore dimensione, tra cui quelle indicate nell'atto di sindacato ispettivo. In particolare, è stato ridefinito il modello complessivo di controllo coordinato del territorio, caratterizzandolo con una forte integrazione interforze anche della polizia locale, con l'ottimizzazione delle risorse e con una maggiore aderenza alle peculiarità del contesto territoriale.
  Si segnala, altresì, a riprova dell'efficacia dell'azione delle forze di polizia, l'elevata percentuale dei delitti scoperti, spesso in flagranza di reato, che si attesta mediamente tra il 28 e il 30 per cento. Ragguardevole, poi, e il numero delle operazioni di polizia giudiziaria che hanno consentito di sgominare associazioni dedite al traffico di sostanze stupefacenti, alle estorsioni aggravate dal metodo mafioso, alle rapine e ai furti negli istituti di credito e ai caveau di istituti di vigilanza, nonché agli assalti ai furgoni portavalori.
  Fondamentale si è rivelato anche il potenziamento degli impianti tecnologici di video sorveglianza, realizzati con risorse del programma operativo nazionale sicurezza, che forniscono un supporto rilevante alla prevenzione tout court e costituiscono strumenti indispensabili in numerose attività di indagine per la scoperta degli autori. In relazione a tale tecnologia, sarà compiuto uno sforzo ulteriore per la sua implementazione a valere sui fondi europei.
  Per quanto riguarda la presenza delle Forze di polizia sul territorio, si rappresenta che il dispositivo attualmente operante in provincia può contare su una forza di 2.075 unità, di cui 668 della polizia di Stato, 934 dell'Arma dei carabinieri e 473 della Guardia di finanza, a fronte di una previsione organica di 2.256 unità, con carenze più favorevoli rispetto ad altre realtà nazionali.
  Il contingente territoriale è rinforzato con aliquote dei reparti prevenzione crimine della polizia di Stato e della compagnia di intervento operativo dell'Arma dei carabinieri, impiegati nei servizi straordinari di controllo del territorio disposti dalle autorità provinciali di pubblica sicurezza.
  Inoltre, dal 24 febbraio al 5 marzo 2017 sono state assegnate alla questura di Foggia, per le complessive esigenze di ordine e sicurezza pubblica, 560 unità dei reparti inquadrati delle forze di polizia (in particolare 360 operatori della polizia di Stato, 160 dell'Arma dei carabinieri e 40 della Guardia di finanza).
  Si soggiunge che il prefetto di Foggia dispone di un'aliquota di 100 militari delle Forze armate, appartenenti al contingente di 7.050 militari dell'operazione strade sicure.
  D'altra parte, a seguito del parere favorevole espresso in sede di riunione tecnica di coordinamento interforze, è stato istituito di recente a Foggia il nucleo anticrimine dell'Arma dei carabinieri.
  Con riferimento specifico al comune di San Severo, molteplici sono state le iniziative sinora assunte, cui si vanno ad aggiungere quelle programmate in attuazione della direttiva del Ministro dell'interno del 3 marzo 2017.
  In particolare, in sede di riunione del tavolo tecnico, tenuta il 17 marzo 2017 presso la prefettura di Foggia, è stato definito un piano complessivo delle azioni da intraprendere, alcune, peraltro già in corso.
  Tali azioni sono finalizzate all'implementazione del sistema di videosorveglianza cittadino, all'istituzione e convocazione, con cadenza mensile, di un tavolo tecnico interforze presso il commissariato di pubblica sicurezza di San Severo, integrato dalla polizia municipale, per coordinare le operazioni da effettuare. Tale modello è stato esteso anche agli altri commissariati della provincia.
  Relativamente al controllo del territorio, il sindaco di San Severo si è impegnato a verificare la possibilità di istituire una pattuglia notturna della polizia municipale, come peraltro previsto dalle direttive in materia di controllo coordinato del territorio urbano.
  Al fine di garantire il rispetto della legalità da parte degli esercenti attività soggette ad autorizzazioni amministrative, si è concordato di dare ulteriore impulso ai controlli sugli esercizi pubblici e sui circoli privati.
  In tale contesto di riaffermazione della legalità, è stato aperto un focus sui beni confiscati alla criminalità organizzata, assegnati all'amministrazione comunale, ed è stato promosso un ulteriore incontro con le associazioni di categoria dei commercianti e le forze di polizia al fine di stimolare l'adesione al protocollo antirapina, con l'installazione di tecnologie affidabili di difesa passiva collegate alle sale operative delle forze di polizia.
  Il potenziamento delle attività di prevenzione, controllo e vigilanza del territorio e il costante monitoraggio da parte delle forze di polizia hanno consentito di dare in tempi brevi una risposta alle tre rapine perpetrate il 22 febbraio a San Severo con l'arresto nella stessa serata di due degli autori, mentre il successivo 15 marzo sono stati arrestati altri due complici in flagranza di reato, mentre commettevano una rapina ai danni di un tabaccaio nella vicina Torremaggiore.
  Per quanto riguarda i servizi di controllo straordinario, il prefetto di Foggia, a seguito di confronto in sede di coordinamento delle forze di polizia, ha disposto l'ulteriore rafforzamento dei servizi di controllo del territorio avvalendosi dei rinforzi dei reparti speciali. Inoltre, il comando provinciale dei carabinieri ha destinato a San Severo ben 4 delle 8 pattuglie della compagnia regionale di intervento operativo assegnate quotidianamente.
  A tali servizi straordinari, vanno aggiunti quelli effettuati con la forza territoriale del commissariato di pubblica sicurezza e dell'Arma dei carabinieri, rispettivamente con non meno di 3 e 6 pattuglie al giorno.
  Concludendo, si assicura che la situazione della sicurezza pubblica nel comune di San Severo, nel comune capoluogo e nella provincia di Foggia è alla costante attenzione del Ministero dell'interno e che le forze di polizia continueranno a seguire le questioni segnalate con le interrogazioni per garantire, con professionalità e senso di responsabilità, il costante monitoraggio del territorio e la predisposizione di adeguate misure di vigilanza e controllo.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   anche grazie alle cronache di questi ultimi giorni da parte di quotidiani locali, si è resa evidente la situazione di grave difficoltà della seziona fallimentare e della sezione lavoro del tribunale di Bergamo;
   a fronte di un notevole aumento del contenzioso, la sezione lavoro ha visto il proprio organico ridursi di un'unità, dopo il trasferimento della dottoressa Giuseppina Finazzi presso la corte d'appello di Brescia;
   presso la sezione fallimentare sono in servizio solo tre giudici e a settembre uno dei tre – il dottor Massimo Gaballo – sarà trasferito alla procura generale di Milano;
   il dottor Luciano Alfani, già presidente delle due sezioni, è stato nominato presidente del tribunale di Mantova ed ivi trasferito;
   la generale situazione di crisi ha notevolmente incrementato il carico di lavoro della direzione fallimentare e di quella lavoro del tribunale di Bergamo;
   a ciò si deve aggiungere che la mole di attività ha visto notevole incremento anche a causa di recenti modifiche normative: la cosiddetta «riforma Fornero» ha previsto una nuova fase sommaria per i procedimenti attinenti all'impugnazione dei licenziamenti; è stato poi recentemente introdotto il concordato preventivo con riserva (cosiddetto «concordato in bianco») che ha cagionato un notevolissimo aumento delle procedure concorsuali presso tutte le sezioni fallimentari dei tribunali italiani compreso quello di Bergamo;
   più in particolare, nel 2013 si è registrato un sensibile aumento dei fallimenti (150 al primo giugno, a fronte di 105 nel primo semestre del 2012) ed un aumento del 100 per cento dei concordati preventivi, che sono ad oggi 70, a fronte dei 69 registrati in tutto il 2012;
   la situazione venuta a determinarsi, caratterizzata da un rilevantissimo aumento del carico di lavoro, a cui si contrappone, purtroppo, una riduzione degli organici, determina gravi conseguenze e, inevitabilmente, frustra le legittime aspettative di giustizia di cittadini ed imprese, che vedono sempre più dilatarsi i tempi necessari ad ottenere la tutela a cui aspirano;
   di tali istanze anche le organizzazioni sindacali della provincia di Bergamo si sono rese interpreti presso il presidente del tribunale di Bergamo e presso il Consiglio superiore della magistratura –:
   quali iniziative il Ministro, per quanto di competenza, intenda assumere in merito alla copertura degli organici presso la sezione fallimentare e la sezione lavoro del tribunale di Bergamo, e se si intendano tenere in debito conto le effettive esigenze del circondario del tribunale di Bergamo in occasione della rivalutazione delle piante organiche prevista per fine 2013. (4-01608)

  Risposta. — Mediante esame, l'interrogante chiede di conoscere quali siano le iniziative intraprese dal Ministero della giustizia per assicurare il pieno funzionamento della sezione lavoro e della sezione fallimentare del tribunale di Bergamo, del quale si denunziano carenze di organico del personale di magistratura ed i notevoli carichi di lavoro, aggravati in conseguenza della crisi economica che ha particolarmente inciso proprio nei settori di cui si occupano le sezioni predette.
  Dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale, risulta che il tribunale di Bergamo è dotato di un organico di magistrati togati composto, oltre al capo dell'ufficio, da 4 presidenti di sezione e da 48 giudici, 5 dei quali con funzioni di giudice del lavoro.
  I dati appena riportati rappresentano il risultato delle politiche di rideterminazione delle piante organiche del personale di magistratura addetto ai tribunali ed alle procure della Repubblica, attuate con l'approvazione del decreto ministeriale 1° dicembre 2016.
  Con il citato decreto, la determinazione di cinque unità aggiuntive a beneficio del tribunale di Bergamo è stata effettuata, come in altri casi, sulla base di specifici parametri statistici, integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Sul punto, è stato acquisito il parere del Consiglio superiore della magistratura, reso il 23 novembre 2016, che è risultato conforme alla proposta ministeriale di destinare al tribunale bergamasco 5 unità aggiuntive.
  Tanto premesso, la competente articolazione ministeriale ha comunicato che l'organico complessivo presenta, allo stato, la vacanza di 8 unità di giudice, una delle quali relativa all'aliquota dei giudici del lavoro.
  È stato evidenziato, tuttavia, che con delibera del 17 gennaio 2017, l'organo di autotutela ha stabilito che uno dei predetti posti vacanti sarà coperto mediante destinazione allo stesso di uno dei magistrati ordinari in tirocinio nominati con decreto ministeriale 18 gennaio 2016.
  Si tratta, pertanto, di un ufficio che manifesta, nel suo complesso, un indice di scopertura fisiologico nel contesto delle dinamiche delle procedure di assegnazione e tramutamento, di competenza del Consiglio superiore della magistratura.
  Si osserva, inoltre, che la determinazione degli organici delle sezioni in cui si articolano gli uffici giudiziari non è definita direttamente attraverso il decreto ministeriale di determinazione della pianta organica attribuita ai singoli presidi giudiziari, ma viene attuata con separato provvedimento, di ordine tabellare, sulla scorta delle determinazioni del Consiglio superiore della magistratura.
  In linea generale, comunque, le politiche volte al tendenziale completamento delle coperture degli organici si sono di recente tradotte nella pubblicazione di un nuovo bando di concorso per l'assunzione di 360 magistrati ordinari (decreto ministeriale 19 ottobre 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15 novembre 2016), nello svolgimento di un ulteriore concorso per la selezione e reclutamento di 350 magistrati ordinari (decreto ministeriale 22 ottobre 2015), nonché nella conclusione delle procedure concorsuali per l'assunzione di 348 magistrati che, a breve, prenderanno servizio negli uffici di destinazione.
  L'aumento dell'organico del tribunale, le politiche volte alla tendenziale copertura integrale degli organici della magistratura, nonché, ancor prima, la razionalizzazione derivante dall'accorpamento delle sezioni distaccate di Clusone, Grumello del Monte e Treviglio, sono misure che hanno contribuito a determinare e contribuiranno a confermare i positivi risultati, in materia civile e giuslavoristica, in termini di abbattimento delle pendenze e di accelerazione dei processi civili presso il tribunale di Bergamo, evidenziati nel corso della relazione del presidente della corte d'appello per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2017 per il distretto di Brescia, e rappresentativi di un trend positivo riscontrabile anche a livello nazionale.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   GRIBAUDO, QUARTAPELLE PROCOPIO e FANUCCI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nella Repubblica democratica del Congo, la tensione dell'ultimo anno per l'attesa decadenza del Presidente Joseph Kabila è sfociata in una guerra civile che vede, ogni giorno, decine di morti, ammazzati per le strade e nei villaggi;
   sono state trovate di recente 13 fosse comuni, da aggiungere ad altre 10 che le autorità internazionali avevano già scoperto nei mesi scorsi; le stesse autorità presenti sul territorio stimano, al ribasso, la presenza di almeno 400 morti;
   il conflitto si è aperto nella provincia del Kasai fra le forze governative e i ribelli locali, che si sono rivoltati dopo l'uccisione deh loro capo, fondando una milizia chiamata Kamuina Nsapu; si è inasprito all'inizio del 2017, quando il Governo ha inviato nella regione un reggimento dell'esercito regolare;
   le violenze sembrano essere dirette contro alcune etnie, oltre che contro le istituzioni religiose, ricordando i massacri che hanno contraddistinto nel passato il continente africano;
   all'inizio di marzo 2017, il padre congolese Jeannot Mandefu, che ha trascorso molti anni in Italia, ha inviato un messaggio ad una famiglia della provincia di Cuneo, denunciando un regno del terrore, in cui si massacrano popolazioni e ammazzano i bambini; dal Kasai le violenze si allargano a macchia d'olio nel Paese;
   la politica è in una situazione di stallo poiché il Presidente Kabila, che a fine 2016 aveva accettato un accordo con le forze di opposizione, ottenuto grazie alla mediazione della Chiesa, per nuove elezioni nel corso di quest'anno e una successiva transizione pacifica, sta invece approfittando dell'instabilità politica e militare per rimanere ancora in carica, visto che, dopo due mandati, la Costituzione gli impedisce di ricandidarsi;
   dalle zone delle violenze stanno ormai fuggendo associazioni di volontariato, anche italiane, mentre l'esercito regolare è arrivato ad arrestare gli studenti dell'Università di Kananga, e il vescovado e il seminario della capitale Kinshasa sarebbero stati attaccati e saccheggiati;
   la Repubblica democratica del Congo è uno dei Paesi più importanti dell'area, con 67 milioni di abitanti, più di 300 etnie diverse e infinite possibilità di sviluppo date dalle ricchezze della natura, la cui instabilità mette a rischio di ulteriori conflitti anche i Paesi confinanti;
   la comunità internazionale, già presente con una missione dell'Onu, non può rimanere silente di fronte a questi efferati massacri che rischiano di far ripiombare il Paese negli incubi che lo hanno perseguitato dalla seconda metà degli anni ’90 fin quasi a 10 anni fa, quando l'attuale Presidente vinse le sue prime elezioni;
   l'attuale presenza dell'Italia nel consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite rafforza il nostro dovere di garantire il rispetto dei diritti umani in tutto il mondo –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché vengano trovate, in sede internazionale, soluzioni condivise che mettano fine alle violenze in Congo e assicurino libere elezioni entro il 2017;
   quali iniziative siano in atto per assicurare la sicurezza di tutti gli operatori umanitari e di tutti i cittadini italiani che sono attualmente presenti nella Repubblica democratica del Congo. (4-16266)

  Risposta. — La crisi politico-istituzionale nella repubblica democratica del Congo (RdC), apertasi il 19 settembre 2016 con la decisione del presidente Joseph Kabila di non convocare le elezioni in vista della scadenza del suo secondo e (in base alla Costituzione vigente) ultimo mandato, ha visto uno sviluppo positivo con la firma lo scorso 31 dicembre di un Accordo politico «globale ed inclusivo» fra il Governo e tutte le opposizioni. L'accordo, ribattezzato «accordo di San Silvestro», è stato raggiunto grazie alla determinante mediazione della Conferenza episcopale cattolica congolese (Cenco).
  L'accordo, accettato ma non sottoscritto dal presidente Kabila, prevede che entro il 2017 si tengano nuove elezioni legislative e presidenziali e che nessuna modifica sia apportata alla costituzione nel periodo di transizione, durante il quale le Camere sono prorogate e Kabila mantiene la presidenza del paese.
  Purtroppo la fase di stallo nell'attuazione del predetto accordo ha ulteriormente compromesso la situazione politica e la sicurezza nel paese, aggravata da una crisi economica che colpisce l'intera popolazione.
  Sul piano internazionale, particolare attenzione agli eventi nella repubblica democratica del Congo è riservata sia in ambito Nazioni Unite (NU) sia in ambito Unione Europea (UE).
  Le Nazioni Unite sono presenti in repubblica democratica del Congo con la missione «Monusco» (Mission de l'organisation des Nations Unies pour la stabilisation en république démocratique du Congo), forza di peacekeeping che monitora la situazione e il cui mandato è stato recentemente esteso in termini temporali e strutturali fino al 31 marzo 2018, unendo alla protezione dei civili il sostegno al processo che dovrebbe portare alle sopra citate elezioni libere entro la fine del corrente anno.
  il Consiglio affari esteri dell'Unione europea, nella riunione del 6 marzo ultimo scorso sulla repubblica democratica del Congo, ha confermato il sostegno all'accordo di San Silvestro, considerandolo «l'unico mezzo per consolidare la legittimità necessaria alle istituzioni che dovrebbero gestire la transazione»; ha altresì ribadito il supporto al ruolo di mediazione svolto dal Cenco ed esortato la regione e la comunità internazionale a mantenere il proprio impegno a fianco a quest'ultima.
  L'Italia segue con grande attenzione gli sviluppi della situazione nel Paese africano ed opera in maniera proattiva al fine di trovare soluzioni condivise che permettano il ritorno della stabilità e lo svolgersi di libere elezioni: in particolare, in sede di consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato a favore del rinnovamento della missione Monusco; in ambito Unione europea non esclude, come espresso nel sopra citato consiglio affari esteri del 6 marzo ultimo scorso, l'applicazione di sanzioni individuali «contro chi sia responsabile di gravi violazioni dei diritti umani e inciti alla violenza o ostacoli una soluzione della crisi consensuale, pacifica e rispettosa dell'aspirazione del popolo congolese a eleggere i suoi rappresentanti». Ciò al fine di evitare ulteriori situazioni di conflitto fra l’entourage governativo e l'opposizione, stante l'attuale stallo a livello politico e l'estremamente preoccupante situazione umanitaria.
  Forte è l'impegno del Governo italiano, sin dalle primissime fasi della crisi, a tutela della collettività nazionale presente nella repubblica democratica del Congo. All'immediata vigilia della scadenza del secondo ed ultimo mandato del Presidente Kabila, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha inviato una missione a Kinshasa, con la partecipazione di personale dello stato maggiore della difesa – comando interforze per le operazioni delle forze speciali, per una valutazione delle condizioni di sicurezza nel paese e per l'aggiornamento della programmazione di emergenza. Da allora la situazione in repubblica democratica del Congo è oggetto di costante monitoraggio da parte di questo Ministero in collaborazione con omologhe istituzioni europee e con l'ambasciata d'Italia a Kinshasa. Si prevede, tra l'altro: il costante aggiornamento del sito www.viaggiaresicuri.it contenente informazioni sulla sicurezza del paese destinate ai cittadini italiani che intendono recarvisi; apposite comunicazioni di sicurezza alla comunità dei connazionali presenti nella repubblica democratica del Congo grazie ad un sistema di allerta rapido; infine, la periodica revisione della programmazione di emergenza a tutela dei connazionali presenti nel Paese.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   LA RUSSA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da rilevazioni recentemente effettuate si evidenzia come la situazione delle carceri in Liguria sia in controtendenza rispetto all'andamento nazionale, caratterizzandosi per una aumentata presenza di detenuti che in un anno sono passati da 1367 a 1451, rispetto ad una capienza di 1166 posti;
   in particolare, il carcere genovese di Marassi continua ad essere costantemente in sovraffollamento con 709 detenuti, ancora in aumento rispetto ai 663 del 2014, dei quali oltre quattrocento sono stranieri, collocandosi al terzo posto tra le realtà più critiche d'Italia dopo il carcere napoletano di Poggioreale e quello di Bologna;
   l'istituto di La Spezia è quello che ospita la maggior presenza straniera, che è pari al 64 per cento, a fronte di una popolazione straniera complessivamente ospitata nelle carceri liguri di 801 unità rispetto alle 737 del 2014, pari ad oltre il 55 per cento dell'intera popolazione detenuta;
   a fronte del documentato incremento del numero delle persone detenute si continua a registrare una consistente e preoccupante carenza di organico della polizia penitenziaria che è pari a 232 unità;
   nonostante la Liguria registri una carenza di organico della polizia penitenziaria del 29 per cento, che è una delle più elevate d'Italia, significative quote di agenti vengono temporaneamente assegnate in altre regioni, solo il carcere di Marassi ha ceduto pro tempore ben 75 poliziotti;
   soltanto nei primi sette mesi del 2015 si sono già verificati circa 700 eventi critici, con un significativo aumento rispetto al 2014, anno in cui se ne erano contati 745 in tutto;
   tra gli eventi critici che ricorrono con maggiore frequenza vi sono casi di aggressività, casi di autolesionismo e tentati suicidi, e gravissimo è anche il problema dei detenuti con problemi psichici, che sono incompatibili con la detenzione e mettono sistematicamente a rischio sia l'incolumità propria che quella del personale di custodia;
   nonostante gli encomiabili sforzi del personale, alcune strutture troppo piccole e vetuste come quella di Savona stentano a reggere alle nuove e severe esigenze e sarebbe auspicabile procedere alla costruzione di un nuovo istituto penitenziario che potrebbe accogliere anche i detenuti in sovrannumero delle altre carceri liguri;
   in questo senso si sarebbero già resi disponibili ad ospitare la nuova struttura un paio di comuni –:
   quali iniziative intenda assumere per fare fronte alla grave carenza di organico degli agenti di polizia penitenziaria nelle strutture detentive liguri;
   quali siano le motivazioni addotte dal Dipartimento competente per giustificare l'assegnazione temporanea di personale ligure ad altre regioni a fronte degli organici notoriamente sottodimensionati;
   se non si reputi opportuno limitare la presenza di detenuti con evidenti problemi psichiatrici, anche provvedendo con urgenza alla realizzazione anche in Liguria di Residenze per l'esecuzione di misure di sicurezza (REMS) indispensabili e legittimate ad ospitare detenuti con problemi psichiatrici;
   cosa osti alla indispensabile realizzazione di un nuovo carcere in sostituzione di quello vetusto ed ormai insufficiente ad assolvere ai delicati compiti di istituto quale quello di Savona. (4-10392)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante rappresenta situazioni di criticità degli istituti penitenziari della Liguria a causa di carenze dell'organico della polizia penitenziaria e del sovraffollamento, chiedendo quali iniziative – sotto plurimi e convergenti profili – si intendano assumere per risolvere le evidenziate problematiche, per l'urgente realizzazione in territorio ligure di residenze per l'esecuzione di misure di sicurezza nonché per la realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Savona.
  Con riferimento alla popolazione detenuta, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha riferito che, alla data del 12 febbraio 2017, risultavano presenti, presso gli istituti liguri, complessivamente 1.388 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 1.104 unità.
  In particolare, la casa di reclusione di Chiavari ospitava 53 persone detenute, la casa circondariale Genova Marassi 678, la casa circondariale Genova Pontedecimo 133, la casa circondariale di Imperia 92, la casa circondariale di La Spezia 189 e la casa circondariale di Sanremo 243.
  Il dipartimento ha, peraltro, sottolineato come la capienza regolamentare degli istituti penitenziari sia calcolata in base ad un decreto del Ministero della salute del 1975, relativo alle abitazioni civili, che prevede una superficie minima di 9 mq per la stanza singola, più 5 mq per ogni ulteriore posto letto.
  I predetti coefficienti sono oggetto di proposte modificative nell'ambito dei lavori del comitato paritetico con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  Allo stato, nonostante l'esubero dei presenti rispetto alla capienza regolamentare, il dipartimento ha evidenziato come risultino comunque rispettati i parametri previsti dalla CEDU (convenzione europea per i diritti dell'uomo).
  Nella prospettiva di contenere ed equilibrare le presenze detentive e nel rispetto del principio di territorialità, il provveditorato interregionale del Piemonte, Liguria e Val D'Aosta provvede, periodicamente, ad assumere interventi deflativi, anche disponendo il trasferimento in istituti del Piemonte, in considerazione della tipologia di alcune sedi liguri, che postulano assegnazioni vincolate: la casa di reclusione di Chiavari è, difatti, istituto «a custodia aperta», riservato ai soli detenuti condannati alla pena della reclusione in misura infraquinquennale ed avviati ad un percorso avanzato, che prevede la sottoscrizione del cosiddetto «patto trattamentale»; la casa circondariale di Genova Pontedecimo è, invece, istituto destinato esclusivamente a detenuti cosiddetti « sex offenders».
  Quanto alle dotazioni del personale della polizia penitenziaria, presso gli istituti della regione Liguria risultano, a fronte di una previsione organica di 1236 unità, coperti 1110 posti ed effettivamente in servizio 984 unità, tenuto conto anche dei distacchi.
  In particolare, secondo quanto comunicato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, i distacchi in uscita, pari a 138, hanno le seguenti motivazioni: gravi motivi familiari e/o personali (26); esigenze di servizio (59); mandato elettorale (16); ragioni di opportunità (un caso); assegnazione al gruppo operativo mobile (34); assegnazione alle fiamme azzurre (2).
  I distacchi in entrata sono 12: due per gravi motivi familiari e/o personali, 9 per esigenze di servizio e un caso di assegnazione alle fiamme azzurre.
  La maggior carenza riguarda i ruoli intermedi degli ispettori e sovrintendenti (pari al 58 per cento, mentre nel ruolo degli agenti e assistenti risulta una sofferenza organica di 107 unità, pari all'11 per cento dell'organico previsto.
  La situazione degli organici assegnati agli istituti penitenziari della Liguria sarà tenuta in debita considerazione in occasione delle nuove assegnazioni.
  A tale riguardo si evidenzia che, in attesa della riattivazione delle procedure concorsuali per l'assunzione di 300 unità maschili e 100 femminili, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 ottobre 2016 l'amministrazione penitenziaria è stata autorizzata ad assumere n. 887 unità di agenti vincitori di concorso.
  E, nell'ambito di tale quadro, il decreto-legge n. 244 del 30 dicembre 2016 (decreto «milleproroghe»), convertito con legge 27 febbraio 2017, n. 19, ha previsto la proroga, sino al dicembre 2017, della validità delle graduatorie dei concorsi banditi ai sensi dell'articolo 2199 del codice dell'ordinamento militare, pubblicate in data non anteriore al 1o gennaio 2012.
  Tale intervento normativo consentirà, dunque, all'amministrazione di attingere alle predette graduatorie per avviare le procedure finalizzate all'assunzione, nell'anno in corso, di 887 donne e uomini, che andranno a colmare, in parte, il vuoto in organico del corpo di polizia penitenziaria.
  Si tratta di un primo passo, ma molto importante, che dimostra la costante attenzione riservata dal Governo a tale questione e che intende migliorare le condizioni di lavoro negli istituti, garantirne maggior sicurezza ed assicurare un miglior trattamento per le persone detenute.
  Nella medesima direzione vanno, inoltre, gli interventi tendenti a limitare al minimo la possibilità che il personale della polizia penitenziaria sia assegnato ad attività diverse da quelle proprie dell'istituzione. In questo senso, presso il gabinetto del mio Ministero, proprio in questi giorni, sono state organizzate apposite riunioni sul tema con la partecipazione dei vertici di tutte le articolazioni ministeriali interessate.
  Il potenziamento del personale della polizia penitenziaria, unito alla continua formazione, è obiettivo finalizzato al complessivo miglioramento della vita detentiva ed a minimizzare anche il rischio di eventi critici e, in particolare, di atti di autolesionismo.
  L'argomento investe, evidentemente, un tema di estrema delicatezza, su cui è concentrato il massimo impegno da parte del Ministero.
  Nella consapevolezza dell'importanza delle condizioni delle strutture penitenziarie per il benessere di quanti sono ivi ristretti e vi lavorano, evidenzio che il tema mi vede direttamente impegnato in ogni iniziativa, necessaria ed utile, alla prevenzione del rischio di gesti di autolesionismo in ambiente carcerario.
  Finalità alla cui attuazione certamente concorre l'istituzione e la nomina, con decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 2016 e decreto del Presidente della Repubblica 3 marzo 2016, del garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
  Nella consapevolezza della drammaticità di ogni atto di autolesionismo, occorre osservare, sotto il profilo statistico, che a partire dal 2013 il numero di suicidi all'interno degli istituti penitenziari ha avuto un sensibile decremento.
  Tra il 2009 e il 2012, infatti, il numero di casi è stato sempre annualmente superiore a 55, con un picco di 63 nel 2011, mentre pari a 45 e 46 sono stati gli eventi degli anni 2007 e 2008.
  Grazie al miglioramento della situazione nei nostri penitenziari, il numero si è ridotto in maniera significativa, registrandosi 42 casi di suicidio nel 2013, 43 nel 2014, 39 nel 2015, 39 nel 2016 e 10 sino al 28 febbraio 2017.
  Sul piano comparativo, poi, l'Italia, secondo le statistiche ufficiali del Consiglio d'Europa, registra uno dei tassi più bassi di casi di suicidio. Nell'ultima rilevazione del 2013, si registra un tasso di 6,5 su 10.000 in Italia, di 12,4 in Francia, di 7,4 in Germania, di 8,9 nel Regno Unito.
  I dati restano, in ogni caso, allarmanti e impongono un eccezionale sforzo dell'amministrazione penitenziaria, cui è demandata l'attuazione dei modelli di trattamento necessari alla prevenzione di ogni pericolo.
  In questa prospettiva ed alla luce delle analisi e delle riflessioni maturate nell'ambito degli stati generali dell'esecuzione della pena, il 3 maggio 2016 ho adottato una specifica «Direttiva sulla prevenzione dei suicidi», indirizzata al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, prescrivendo la predisposizione di un organico piano d'intervento per la prevenzione del rischio di suicidio delle persone detenute o internate, il puntuale monitoraggio delle iniziative assunte per darvi attuazione e la raccolta e la pubblicazione dei dati relativi al fenomeno.
  In attuazione della direttiva, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha predisposto un «Piano Nazionale per la prevenzione delle condotte suicidiarie in ambito penitenziario», cui hanno fatto seguito circolari attuative trasmesse ai Provveditorati regionali.
  Le misure adottate dall'amministrazione penitenziaria attengono alla formazione specifica del personale, alla raccolta ed elaborazione dei dati ed all'aggiornamento progressivo dei piani di prevenzione. Sono state, inoltre, impartite istruzioni ai provveditorati regionali ed alle direzioni penitenziarie per la conclusione di intese con regioni e servizi sanitari locali, al fine di intensificare gli interventi di diagnosi e cura, nonché l'attuazione di misure di osservazione e rilevazione del rischio.
  L'amministrazione ha anche operato sul piano dell'organizzazione degli spazi e della vita penitenziaria, con incentivazione di forme di controllo dinamico volte a limitare alle ore notturne la permanenza nelle celle, in modo da rendere agevole l'osservazione della persona in ambiente comune e ridurre le condizioni di isolamento. Allo stesso scopo, sono state adottate misure volte a facilitare, anche attraverso l'accesso protetto ad Internet, i contatti con i familiari.
  Il 3 marzo 2017, inoltre, si è svolta presso il Ministero della giustizia una riunione nel corso della quale ho incontrato, con il capo di gabinetto, tutti i referenti centrali e periferici dell'amministrazione penitenziaria, al fine di fare il punto sulle modalità di esecuzione, al livello locale prossimo agli istituti penitenziari, delle disposizioni contenute nella direttiva sulla prevenzione dei suicidi e sollecitarne, ove necessario, la completa e rapida attuazione.
  Sono state, inoltre, programmate attività di monitoraggio e verifica periodica degli interventi di prevenzione delineati, attività che saranno svolte istituto per istituto.
  Con la riunione del 3 marzo 2017 si è dato l'avvio ad un tavolo in convocazione permanente, riconvocato per il prossimo 6 aprile 2017, che esaminerà costantemente i dati relativi allo stato di attuazione della direttiva che ogni referente è tenuto a raccogliere ed a trasmettere attraverso apposito monitoraggio.
  Per quanto attiene, invece, alla tutela del diritto alla salute, l'amministrazione penitenziaria è impegnata nella promozione, sul territorio, della collaborazione tra regioni ed Asl per la costruzione di presidi sanitari adeguati ai bisogni delle persone detenute, alla luce delle linee guida in materia di modalità di erogazione dell'assistenza sanitaria negli istituti penitenziari per adulti, approvate dalla Conferenza unificata in data 22 gennaio 2015, opportunamente diffuse alle articolazioni periferiche ed alla magistratura.
  In particolare, al fine di sperimentare e di implementare il modello di assistenza sanitaria nelle carceri attraverso l'adozione della telemedicina, sono state adottate specifiche iniziative in attuazione dell'accordo, sottoscritto in data 4 agosto 2016, con Federsanità ed Anci, coinvolgendo le diverse istituzioni interessate nella definizione di un modello innovativo di gestione della salute all'interno degli istituti di pena che prevede, tra l'altro, l'adozione di un diario clinico informatizzato.
  Con riferimento specifico agli istituti liguri e nell'ambito dei servizi sanitari affidati alle aziende locali del servizio sanitario e dalle stesse organizzati secondo le esigenze dei singoli istituti, il carcere di Genova Marassi evidenzia il maggior fabbisogno per la presenza del più rilevante numero dei detenuti.
  Secondo quanto riferito dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il presidio di guardia medica è ivi garantito ventiquattrore ore su ventiquattro e gli specialisti presenti assicurano i servizi di dermatologia, infettivologia, oculistica, odontoiatria, diabetologia, radiologia, sert, psichiatria, psicologia.
  Nel centro clinico – secondo i dati al 12 febbraio 2017 comunicati dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – erano ospitati 60 detenuti, 20 dei quali affetti da gravi patologie infettivologiche, un detenuto in osservazione psichiatrica (5 sono i posti disponibili) e 20 con gravi patologie cliniche e disabilità motorie, che richiedono frequenti accessi in ambito ospedaliero.
  Anche negli istituti di Sanremo e La Spezia il servizio medico è assicurato giorno e notte, mentre a Imperia, Chiavari e Pontedecimo la copertura sanitaria è prestata nell'arco delle ore diurne.
  Nell'ambito, poi, della tutela della salute mentale e del processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, si evidenzia che, dal mese di giugno 2015, presso il SAI dell'istituto penitenziario di Genova Marassi è presente una «Articolazione per la tutela della Salute Mentale», con 5 posti distribuiti in due camere detentive per i soggetti sottoposti ad osservazione psichiatrica, mentre altra camera detentiva, con la disponibilità di due posti letto, è destinata ai detenuti con infermità psichica sopravvenuta ed ai detenuti condannati a pena diminuita per vizio parziale di mente.
  Entro il 2017 è, inoltre, prevista la realizzazione definitiva della Residenza per l'esecuzione di misure di sicurezza sanitaria nel territorio del comune di Calice al Como viglio (SP), prevista con delibera della regione Liguria n. 364 del 2013. In attesa della conclusione dei lavori, è stato sottoscritto un Accordo con la Residenza per l'esecuzione di misure di sicurezza sanitaria di Castiglione delle Stiviere che riserva 10 posti per gli internati liguri. Con delibera della giunta regionale 822 del 13 settembre 2016 è stata, inoltre, prevista l'attivazione di una Residenza per l'esecuzione di misure di sicurezza sanitaria provvisoria sul territorio dell'Asl 3 di Genova, già sede di una comunità terapeutica psichiatrica.
  Per quanto attiene all'ulteriore questione posta dall'interrogazione in esame, relativa alla programmata realizzazione di un nuovo istituto penitenziario in Savona, il dipartimento competente ha riferito come l'originaria iniziativa finalizzata alla realizzazione di un nuovo carcere da 250 posti – intervento già finanziato nel programma nuove opere ed approvato dal comitato paritetico e dal Ministro della giustizia nel 2004 per 30 milioni di euro – sia stata interrotta a causa del contenzioso, instauratosi tra la stazione appaltante e l'associazione temporanea di imprese aggiudicataria dell'appalto, conclusosi con sentenza del 7 marzo 2016.
  Solo in tempi recenti, dunque, l'iniziativa è stata riavviata e dallo scorso febbraio, nell'ambito dei lavori del comitato paritetico interministeriale per l'edilizia penitenziaria, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sta verificando la possibilità di realizzazione dell'opera in altre aree idonee nei comuni della provincia di Savona, in considerazione dei profili di criticità emersi per la realizzazione dell'originario progetto.
  Il Ministero della giustizia è, pertanto, impegnato nel contribuire alla ricerca di adeguate soluzioni che coniughino l'esigenza di nuove e moderne strutture detentive a servizio della Liguria con la tutela dell'ambiente e del paesaggio.
  In conclusione, grazie ad un impegno politico intenso e costante, articolato in contestuali interventi di carattere normativo ed organizzativo, di edilizia penitenziaria e di politiche del personale, le complessive condizioni detentive, in ambito regionale così come sul piano nazionale, sono decisamente migliorate.
  Il riconoscimento a livello europeo dei risultati raggiunti dall'Italia nel settore del sovraffollamento carcerario, diminuito in maniera sensibile e non episodica, rappresenta la conferma della bontà della strada intrapresa nel contribuire a mutare in senso migliorativo le condizioni di vita in carcere.
  L'azione sin qui svolta risulterà ulteriormente rafforzata dalle misure contenute nella riforma dell'ordinamento penitenziario, appena approvata dal Senato, che consentirà di introdurre strumenti adeguati per garantire una autentica funzione recuperatoria e risocializzante, in chiave costituzionalmente orientata, all'esecuzione penale.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI, PASTORINO e ARTINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 24 agosto 2016 48 cittadini sudanesi sono stati prelevati a Ventimiglia, dove erano in attesa di passare il confine e raggiungere i propri familiari, espulsi e trasferiti con un volo charter a Khartoum;
   sulla vicenda il Ministro dell'interno ha dichiarato che non è avvenuta nessuna violazione dei diritti umani ma che «il rimpatrio dei sudanesi è avvenuto nel pieno rispetto di un accordo tra la polizia italiana e quella del Sudan»;
   ciò che è avvenuto il 24 agosto è, infatti, il primo atto dell'accordo firmato il 4 agosto 2016 dal Governo italiano con il Sudan che prevede la collaborazione nella gestione delle migrazioni e delle frontiere, con articoli dedicati proprio al rimpatrio dei cittadini «irregolari». L'accordo non è stato ratificato dal nostro Parlamento;
   da notizie di stampa si apprende che nelle settimane precedenti i trasferimenti, il Governo italiano avrebbe chiesto al Sudan di inviare una sua delegazione a Ventimiglia, per identificare e rimpatriare cittadini sudanesi: notizia confermata con una dichiarazione al Sudan Tribune dalla stesso Ministro degli esteri sudanese Gharib Allah Khidir;
   se la notizia fosse confermata sarebbe, a giudizio degli interroganti, una grave violazione delle regole del diritto internazionale sui rifugiati che vieta espressamente intese tra le forze di polizia di due Stati per l'espulsione di persone senza tener conto di ciò che queste ultime possono incontrare in patria, e il coinvolgimento di agenti dei Paesi di origine nell'identificazione dei migranti;
   da fonti di stampa si apprende, infatti, che molte delle persone trasferite a Khartoum stavano attivandosi per la richiesta di asilo e che, inoltre, nel 2015, il 60 per cento dei sudanesi richiedenti asilo ha ricevuto la protezione umanitaria in Italia e che quindi il nostro Paese ha riconosciuto la drammaticità della situazione in Sudan;
   con questo accordo si accredita la repubblica del Sudan come «paese terzo sicuro», verso il quale rimpatriare i richiedenti asilo che si vedono negare il diritto alla protezione, nonostante il suo presidente, Omar Hasan Ahmad al-Bashir, già segnalato dalla Corte penale internazionale, non rispetti i diritti dell'uomo e non offra le garanzie sull'incolumità dei rimpatriati, espressamente richieste dal diritto internazionale. Per lo stesso motivo, l'Italia è già stata condannata per i rimpatri collettivi di cittadini tunisini, voluti dal Ministro pro tempore Maroni nel 2011, e vietati dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo –:
   se il Governo non ritenga urgente fornire elementi riguardo all'accordo firmato il 4 agosto 2016 con il Sudan;
   se non ritenga opportuno interrompere ogni eventuale prossima espulsione e trasferimento verso il Sudan, oltre che per le riconosciute violazioni del diritto internazionale da parte del Governo del Sudan, in ragione dell'osservanza dell'articolo 10, comma 3, della Costituzione italiana, che riconosce il diritto all'asilo politico a tutti gli stranieri che fuggono dal proprio Paese d'origine in quanto il Paese in questione non riconosce i diritti e la libertà costituzionalmente previste e garantite dallo Stato italiano. (4-14154)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante, prendendo spunto dall'espulsione di alcune decine di cittadini sudanesi fermati dalla polizia presso il comune di Ventimiglia, solleva una serie di perplessità sul « memorandum of understanding» sottoscritto tra l'Italia e il Sudan, nelle persone del capo della Polizia, Franco Gabrielli, e del generale Hashim Osman al Hussein.
  Effettivamente, il 24 agosto dello scorso anno sono stati rimpatriati, con volo aereo da Torino a Khartoum, 40 cittadini sudanesi, nell'ambito della gestione del fenomeno migratorio che interessa, in modo significativo, anche la città di Ventimiglia.
  Infatti, onde evitare che l'alta concentrazione di migranti possa tradursi in emergenza umanitaria, la questura di Imperia, nell'ambito delle strategie coordinate da questo Ministero, effettua quotidiani trasferimenti dei migranti da Ventimiglia verso altri centri della penisola.
  Detti trasferimenti riguardano specificamente stranieri privi di titoli di viaggio respinti alla frontiera dalle autorità di polizia francesi o provenienti da altre località italiane a bordo dei treni in arrivo alla stazione ferroviaria della città di confine, nessuno dei quali, benché richiesto, ha mai espresso la volontà di presentare domanda di protezione internazionale.
  In tale contesto, il 22 agosto dello scorso anno sono stati rintracciati a Ventimiglia ventidue cittadini sudanesi, alcuni respinti alla frontiera dalla polizia francese e altri arrivati via treno.
  Conseguentemente, sono state avviate le procedure di legge per l'adozione dei provvedimenti di espulsione e di accompagnamento coattivo alla frontiera, sussistendo le condizioni fissate dal testo unico sull'immigrazione.
  Il successivo 23 agosto, si è svolta negli uffici della questura di Imperia, l'udienza di convalida dei provvedimenti espulsivi innanzi il giudice di pace, presenti i ventidue cittadini sudanesi assistiti da legali.
  Nel corso del processo, come risulta dai verbali di udienza, ciascuno dei ventidue sudanesi, su esplicita domanda del giudice, ha espresso la volontà di non richiedere asilo politico, pur nella consapevolezza che tale diniego avrebbe comportato l'esecuzione del rimpatrio coatto, ribadendo analoga dichiarazione negativa, espressa e sottoscritta dagli interessati nel verbale dell'intervista effettuata in precedenza da personale del locale Ufficio immigrazione della questura, assistito dagli interpreti.
  Inoltre, sempre il 23 agosto, è stato effettuato il trasferimento dall’hotspot di Taranto ad Imperia di altri venticinque cittadini sudanesi – già provvisti di provvedimento di espulsione convalidato dal giudice di pace di Taranto – per l'espletamento delle sole attività di audizione da parte di funzionari del consolato sudanese di Roma e il loro successivo accompagnamento all'aeroporto di Torino per il conseguente rimpatrio.
  Si soggiunge, peraltro, che tre funzionari del consolato sudanese di Roma hanno svolto, negli uffici della questura di Imperia, le attività di audizione per verificare e attestare lo status di cittadini sudanesi dei quaranta sette stranieri da rimpatriare.
  La mattina del 24 agosto, i quarantasette sudanesi sono stati accompagnati a bordo di due pullman a Torino.
  Quaranta di essi sono stati portati all'aeroporto di Torino Caselle e, scortati, sono stati imbarcati sul volo aereo diretto a Khartoum, previo scalo tecnico all'aeroporto del Cairo.
  Gli altri sette stranieri sono stati accompagnati presso il Cie di quella città, per indisponibilità di posti sul volo charter.
  Come prassi, al momento dell'ingresso in questa struttura, è stato loro consegnato l'opuscolo informativo sui propri diritti e doveri.
  Il successivo 26 agosto, durante l'udienza di convalida del trattenimento, due di essi esprimevano la volontà di richiedere la protezione internazionale, formalizzando la relativa richiesta il 28 agosto 2016.
  Nei giorni successivi anche i restanti cinque decidevano di presentare analoga richiesta.
  Si soggiunge che tutti e sette i cittadini sudanesi, in tempi diversi, hanno ottenuto lo status di protezione internazionale.
  Quanto alla cooperazione in materia migratoria tra Italia e Sudan, essa è parte integrante del processo di Khartoum, che è il dialogo migratorio congiunto Esteri-Interno avviato durante la Presidenza italiana dell'Unione europea del 2014 per stabilire canali di cooperazione con i Paesi del Corno d'Africa.
  Scopo della iniziativa è la promozione di progetti concreti per una più efficace gestione dei flussi migratori nei Paesi del Corno d'Africa e nei maggiori Paesi mediterranei di transito.
  Tra le azioni specifiche del progetto figurano: le campagne di sensibilizzazione e informazione a beneficio dei potenziali migranti; la creazione e il rafforzamento di centri di accoglienza per migranti; l'assistenza tecnica e la formazione specifica a beneficio delle autorità dei paesi terzi. In materia di gestione dei flussi migratori; infine, la promozione di uno sviluppo sostenibile che tenga conto delle cause profonde dell'immigrazione irregolare.
  In tale contesto, si inserisce il « memorandum of understanding» con il Sudan, mirante a sviluppare la cooperazione di polizia per il contrasto di una vasta gamma di forme di criminalità, quali il contrabbando di armi, il traffico di stupefacenti, la lotta alla tratta degli esseri umani e al traffico di migranti, i reati informatici e il riciclaggio.
  Tale atto, denominato « memorandum d'intesa tra il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno italiano e la Polizia nazionale del Ministero dell'interno sudanese per la lotta alla criminalità, gestione delle frontiere e dei flussi migratori ed in materia di rimpatrio», rappresenta un «filone» particolare nell'ambito dei programmi volti a rendere più incisiva la cooperazione con gli organi di polizia dei Paesi di immigrazione, superando le problematicità esistenti.
  L'obiettivo è sviluppare un'azione strategica di lungo periodo, capace di innalzare il livello di preparazione degli apparati di law enforcement dei Paesi di origine e di transito dei flussi, migliorandone la capacità di prevenzione e repressione.
  Si tratta di una prospettiva che non può essere perseguita dal singolo Stato e della quale, infatti, si è fatta carico l'Unione europea con il programma « Better Migration Management» (BMM), presentato nel dicembre 2015 ed inserito nel Processo di Khartoum.
  Il BMM, di durata triennale, assegna un ruolo decisivo alla polizia di Stato nella costruzione di una cultura specialistica di polizia giudiziaria, scientifica e di frontiera in una serie di paesi dell'Africa centro-orientale (Sudan, Kenya, Etiopia, Somalia, Gibuti, Uganda).
  Il memorandum d'intesa è, quindi, uno strumento di natura tecnica-operativa, che – come previsto nell'ordinamento nazionale – può essere stipulato ad un livello infra-governativo, in quanto non implica scelte di natura politica, ma si limita a introdurre e disciplinare misure di fluidificazione di procedure già contemplate nell'ordinamento.
  Quasi sempre, questi strumenti prevedono ampie concessioni da parte italiana di aiuti anche in forma di assistenza tecnica, forniture di mezzi e attività formativa, destinate o specificamente mirate all'agevolazione dei rimpatri o a una più ampia collaborazione di polizia.
  Attualmente i memorandum conclusi sono undici e sono, inoltre, in corso contatti per la negoziazione di analoghe intese con le autorità di Bangladesh, Costa D'Avorio, Ghana, Pakistan e Senegal.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MARCON. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   recentemente l'Unione europea ha intrapreso una strada che potrebbe segnare un grave precedente e un punto di non ritorno nelle politiche migratorie: rimpatri forzati in cambio di aiuti economici. Il riferimento è al recente nuovo accordo tra Unione europea ed Afghanistan, il « Joint way forward on migration issues between Afghanistan and EU» firmato a Kabul, al Palazzo presidenziale il 2 ottobre e il suo nesso con la Conferenza internazionale sull'Afghanistan che si è chiusa il 6 ottobre, con la promessa di nuovi sussidi economici al Paese (altri 15,2 miliardi di euro);
   per la prima volta infatti si fa un accordo di riammissione forzata con un Paese in una situazione di conflitto conclamato. Nello specifico, l'intesa dice che i cittadini afghani che non hanno base legale per restare in uno Stato membro dell'Unione, verranno rimpatriati nel loro Paese d'origine: si prediligerà il «ritorno volontario» altrimenti si procederà con i «rimpatri forzati» anche di massa;
   gli afghani sono il secondo gruppo per numero di richiedenti asilo giunti nell'Unione europea – sia nel 2015 che nei primi otto mesi del 2016, ora si trovano al centro di un accordo su rimpatri, riammissioni e reintegri;
   l'Afghanistan è classificato come quartultimo nel Global Peace Index 2016: in condizioni peggiori a livello mondiale ci sono solo Siria, Sud Sudan e Iraq. L'Institute for Economics and Peace rileva, inoltre, che sia secondo solo all'Iraq, sempre su scala globale, per attività terroristiche all'interno del Paese (Global Terrorism Index 2016). In Afghanistan, come documenta un recente rapporto dell'Easo, dopo più di un decennio di guerra, ci sono stati nel 2015 11 mila civili vittime di violenza. Prevedere in un Paese come questo un rimpatrio forzato è un pericolosissimo precedente e rischia di aggravare ulteriormente una situazione già di per sé drammatica;
   sebbene entrambe le parti neghino che vi sia un nesso diretto tra la firma dell'accordo e la concessione degli aiuti, osservatori e fonti giornalistiche rivelano che un collegamento in effetti vi sarebbe, e che sarebbe stata la Germania a imporre come condizione per l'elargizione di aiuti la firma dell'accordo. In due diversi sessioni parlamentari, il 29 settembre e il 2 ottobre 2016, autorevoli esponenti del Governo afghano come il Ministro degli affari esteri, Salahuddin Rabbani, e quello delle finanze, Eklil Hakimi, hanno fatto esplicito riferimento al legame tra la concessione degli aiuti e l'accordo sui rimpatri. Una condizionalità che di certo era nell'aria da tempo e che appare in linea con la tendenza europea dell'ultimo periodo ad esternalizzare la gestione di una crisi migratoria apparentemente senza soluzione, fornendo in cambio aiuti economici (si vedano il caso del recente accordo con la Turchia, nonché i processi di Rabat e Khartoum) –:
   quale sia la posizione del Governo in merito a quanto esposto in premessa;
   se il Governo intenda firmare un accordo bilaterale e se questo prevedrà anche il rimpatrio forzato;
   se non ritenga una contraddizione quanto previsto nell'accordo in merito ai rimpatri, alla luce delle condizioni di sicurezza dell'Afghanistan e della circostanza che la cooperazione italiana non ha recentemente ammesso, sulla base di un giudizio dell'ambasciata, confermato anche dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale), due progetti sull'Afghanistan proprio a causa delle condizioni di sicurezza e delle norme internazionali che dispongono che si possono fare rimpatri solo se il Paese di rimpatrio è sicuro. (4-14498)

  Risposta. — Vorrei innanzitutto precisare che il «Joint way forward on migration issues between Afghanistan and EU» è, per espressa previsione del testo in parola, un documento non giuridicamente vincolante che definisce alcune modalità operative per il rimpatrio dei cittadini afghani ai quali – solo a conclusione delle pertinenti procedure amministrative e giurisdizionali, incluse le eventuali misure sospensive – non venga riconosciuto il diritto a soggiornare legalmente nel territorio dell'Unione europea. Il documento ricorda inoltre che l'Unione europea finanzia (con fondi aggiuntivi rispetto a quelli di cooperazione allo sviluppo) programmi di reinserimento a favore dei rimpatriati. Si tratta dunque di linee guida generali che non puntano a sostituire un formale accordo di riammissione, tanto che fanno espressamente salva la possibilità che in futuro intervengano in proposito formali intese. In assenza di un accordo di riammissione, esse aspirano a stabilire dei criteri affinché l'attuazione di un principio di diritto consuetudinario, vale a dire l'obbligo di riammettere i propri cittadini che non abbiano diritto a soggiornare in un altro Paese, avvenga nel rispetto della dignità umana e in conformità con i principali strumenti relativi ai diritti umani.
  Si ritiene inoltre che tra il citato «Joint Way Forward» firmato a Kabul il 2 ottobre 2016 e la Conferenza di Bruxelles sull'Afghanistan del 5 ottobre non sussista un legame diretto e che non vi sia alcun nesso tra il rinnovato sostegno della comunità internazionale a favore dell'Afghanistan e la questione migratoria. Infatti, i nuovi impegni internazionali annunciati a Bruxelles, pari a 15,2 miliardi di dollari USA per i prossimi 4 anni, riguardano specificatamente l'assistenza all'Afghanistan per assicurare al Paese uno sviluppo autosostenibile e un ulteriore consolidamento democratico. In proposito, alla Conferenza di Bruxelles è stata ribadita, anche dall'Italia, la necessità che a fronte di tali rilevanti aiuti internazionali corrisponda da parte delle Autorità afghane un'efficace azione di governo, con l'attuazione di indispensabili riforme interne in settori quali la lotta alla corruzione, la riforma della giustizia, la riforma elettorale, i diritti umani, e in particolare i diritti delle donne, nonché la governance economica. Eventuali condizionalità sugli aiuti allo sviluppo per l'Afghanistan legate alla collaborazione in materia migratoria devono pertanto intendersi riferite a posizioni di singoli Paesi che le abbiano prospettate, tra i quali non figura l'Italia.
  Inoltre, non risulta alla Farnesina che vi siano negoziati in corso per la firma di un accordo bilaterale di riammissione con Kabul. Al contrario, nel quadro dell'azione Ue in materia migratoria, il Governo italiano ha sempre raccomandato prudenza rispetto alla possibilità di operare rimpatri in Afghanistan, in quanto le condizioni di sicurezza in quel Paese, particolarmente precarie in alcune aree, si traducono per l'Italia in un elevato tasso medio di concessione della protezione internazionale a cittadini afghani, tasso che varia notevolmente in base allo Stato membro. A tale proposito, si segnala che il 21 aprile 2016, anche con il sostegno italiano, il Consiglio ha incaricato l'Agenzia europea per il sostegno all'asilo (Easo) di avviare un progetto-pilota volto a condurre uno studio su quel Paese e a favorire un'armonizzazione delle prassi divergenti dei 28 Stati membri nella concessione della protezione internazionale ai cittadini afghani.
  Infine, con riferimento alla mancata autorizzazione dei due progetti di cooperazione in Afghanistan, si rappresenta che tali progetti rientrano nell'ambito delle iniziative promosse dai soggetti senza finalità di lucro, iscritti nell'elenco di cui all'articolo 26 della legge n. 125 del 2014, ai quali l'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo può concedere contributi mediante procedure comparative pubbliche (cosiddetti avvisi pubblici) articolate in quattro fasi, comprendenti anche una valutazione politica e di sicurezza. Le proposte, infatti, sono presentate mediante una scheda informativa, da redigere secondo un modello suddiviso in quattro sezioni: pertinenza, fattibilità, sostenibilità e valore aggiunto, condizioni politiche e di sicurezza. Ne consegue che la non autorizzazione a procedere può dipendere da molteplici fattori di diversa natura, anche legati alla fattibilità della proposta, o meramente formali. A riprova di ciò, si consideri che nel 2016, su 203 proposte di iniziative da parte di organizzazioni della società civile in tutto il mondo, solo 56 sono state approvate. Pertanto, tenuto altresì conto della portata e delle finalità del « Joint Way Forward», non si ritiene che vi sia contraddizione tra quanto in esso previsto in merito ai rimpatri e la mancata approvazione dei due progetti di cooperazione in Afghanistan.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dai dati forniti dall'unione delle camere penali e dall'Eurispes si evince che, dall'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale nel 1989, che ha introdotto, con gli articoli 314 e 315, l'istituto della riparazione per ingiusta detenzione ed errore giudiziario, ci sono state 22.323 persone che hanno usufruito di questo risarcimento;
   di contro, non si sa nulla di coloro i quali, pur assolti non hanno potuto usufruire di questo beneficio perché ritenuti con i loro comportamenti colpevoli del «dolo e colpa grave» inseriti nel primo comma dell'articolo 314 e ostativi al risarcimento;
   si parla di quasi quarantamila persone dall'introduzione della legge, ma non esistono dati certi e ufficiali;
   si rileva che, con riferimento all'articolo 314 del codice di procedura penale, i deputati di Sinistra italiana hanno presentato una proposta di legge con cui se ne propone l'abrogazione Atto Camera n. 2871;
   a giudizio dell'interrogante non può, una persona assolta, subire un altro giudizio, in base alle frequentazioni che aveva o altre considerazioni sulla sua vita privata che non hanno nulla a che vedere con rilievi di carattere penale; se la sentenza è assolutoria, questa va rispettata e la persona va risarcita;
   quante siano le persone innocenti interessate dall'applicazione di questo comma, che a giudizio dell'interrogante è palesemente ingiusto, perché introduce nell'ordinamento un giudizio «morale»;
   quali iniziative intenda assumere per superare un comma che ad avviso dell'interrogante, presenta profili di dubbia costituzionalità e ridare fiducia nella giustizia a cittadini che hanno subito i danni della ingiusta carcerazione. (4-12515)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, dopo aver evidenziato quanto siano elevati i dati statistici relativi al riconoscimento dell'equa riparazione per ingiusta detenzione ai sensi dell'articolo 314 codice di procedura penale e come sia, invece, del tutto sconosciuto il numero di persone che, sebbene assolte, sono escluse dal beneficio essendo stato riconosciuto il loro contributo, per dolo o colpa grave, nel dar causa alla limitazione della libertà, chiede a questo Ministro della giustizia quali iniziative intenda assumere per modificare la norma relativamente a tale profilo, che presenterebbe aspetti di dubbia costituzionalità.
  Deve, in primo luogo, rilevarsi che nei procedimenti di risarcimento del danno per ingiusta detenzione ed errore giudiziario l'unico legittimato passivo è il Ministero dell'economia e delle finanze, mentre il Ministero della giustizia viene notiziato circa l'esistenza di tali procedimenti dalla Avvocatura dello Stato, onde fornire un'eventuale ausilio istruttorio.
  A fini statistici e di monitoraggio, il Ministero della giustizia provvede, inoltre, ad acquisire periodicamente i dati relativi al numero delle condanne subite dal Ministero dell'economia e delle finanze e dei relativi esborsi finanziari, onde poter svolgere, nei casi di notevole rilevanza economica, i doverosi compiti di segnalazione e controllo.
  Tanto premesso, nel merito della questione posta dall'interrogante, va rilevato che, nell'attuale assetto normativo, la valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti, positivi e negativi, che legittimano il diritto all'equa riparazione, incluso il sindacato sulla condotta dell'imputato ingiustamente ristretto, come previsto dal citato articolo 314 del codice di rito, è rimessa, in via esclusiva, alla autorità giudiziaria nell'ambito dei relativi procedimenti giurisdizionali.
  Al riguardo, giova rappresentare che, secondo l'ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, la riparazione per ingiusta detenzione, che possiede connotazioni di natura civilistica, è uno strumento non risarcitorio, bensì indennitario da atto lecito, mediante il quale l'ordinamento riconosce un ristoro per l'ingiusta ma incolpevole compressione della libertà personale. Come evidenziato dalla competente articolazione ministeriale, l'eventuale sussistenza della condizione ostativa al riconoscimento del relativo diritto – costituita dall'avere dato causa all'ingiusta detenzione per dolo o colpa grave ai sensi dell'articolo 314, comma 1, codice di procedura penale – è soggetta ad una valutazione particolarmente approfondita da parte del giudice, effettuata sulla base di tutti gli elementi di prova disponibili, tenendo conto di quei comportamenti che denotino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di norme o regolamenti, di cui deve essere data congrua ed adeguata motivazione, e che si pongano in un apprezzabile collegamento causale con il provvedimento che ha determinato la restrizione cautelare stessa.
  Peraltro, la disposizione di cui all'articolo 314 codice di procedura penale, con specifico riguardo ai profili censurati dall'interrogante, non risulta essere stata mai sottoposta al giudice delle leggi, nonostante sia possibile sollevare la questione di costituzionalità, in via incidentale, nell'ambito del processo.
  Il tema posto con l'atto di sindacato ispettivo è, comunque, all'attenzione del Parlamento. È stata, infatti, presentata alla Camera dei deputati una proposta di legge di iniziativa parlamentare «Modifiche agli articoli 314 e 643 del codice di procedura penale, in materia diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione e alla riparazione dell'errore giudiziario» il cui testo prevede la modifica del codice di rito, precisamente del comma 1 dell'articolo 314 e del comma 1 dell'articolo 43 c.p.p. al fine di eliminare dagli stessi le parole «colpa grave» e, quindi, escludere l'equa riparazione per ingiusta detenzione e per errore giudiziario solo in presenza di comportamenti dolosi da parte degli interessati.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   gli impiegati che lavorano a contratto locale presso le Agenzie Consolari d'Italia in Argentina pare non abbiano ricevuto gli adeguati compensi retributivi previsti dalla loro forma contrattuale;
   queste persone subordinate si trovano a far fronte allo stato attuale ad una gravissima situazione economica locale, dovuta all'insufficiente stipendio che percepiscono;
   negli ultimi 15 anni codesti subalterni consolari non hanno percepito alcuna equiparazione retributiva, infatti non gli sono stati fatti gli scatti per la loro anzianità, e neppure sono state eliminate le maggiorazioni del 2 per cento per biennio di lodevole servizio, e neanche sono stati compensati i titoli di studio per quelli che ne avevano diritto;
   nessuna opportunità lavorativa è stata presa in considerazione in altro senso dagli organi competenti, in quanto non si è pensato per loro, ad esempio, ad un premio alla produttività, data la mole di lavoro che hanno sempre eseguito nelle sedi di riferimento;
   nonostante le numerose lettere e richieste di incontro, indirizzate all'ambasciatore competente, in cui gli stessi specificavano le loro problematiche e il mancato adeguamento retributivo, ad oggi nessuno di loro ha ricevuto notizie in merito alle loro posizioni lavorative;
   la galoppante crisi inflazionistica che sta investendo l'Argentina ha portato il costo della vita a livelli elevatissimi duplicando come minimo le spese correnti per ogni individuo che vive lì;
   numerosi giornali locali hanno evidenziato i reclami del personale a contratto presso le Agenzie consolari d'Italia in Argentina, ritenendoli fortemente fondati, e tali da promuovere un virtuale stato di agitazione tra la popolazione locale;
   sono stati espressi dai mass media locali tutti gli aspetti economici e burocratici che tali dipendenti hanno denunciato durante il loro incontro in ambasciata d'Italia in Argentina relativamente alla necessità di contrattare i servizi che naturalmente dovrebbe garantire lo Stato, concernenti anche l'educazione dei figli, l'incolumità personale, l'assistenza sanitaria, in quanto le necessità basiche di una famiglia non sono, purtroppo, soddisfatte se questi servizi non vengono contrattati nel settore privato, la cui spesa non ci esonera, però, dalla pressione fiscale del Paese stesso. In tali odierne condizioni, tra qualche mese, la classe che rappresenta «il personale in servizio a legge locale» sarà poverissima e non più in grado nemmeno di badare a se stessa;
   appare palese che il secondo comma dell'articolo 157 della Costituzione riguarda, invece, la revisione della retribuzione del personale già in servizio, basandosi sia sui parametri di cui sopra, sia sull'andamento del costo della vita;
   nelle dichiarazioni di molti lavoratori operanti nella sede consolari argentine fatte alla stampa locale si percepisce che le tabelle remunerative pubblicate presso gli uffici competenti possono essere ritenute indicative, ma non sono assolutamente sufficienti per la revisione dei rapporti di lavoro già in atto, in quanto essendoci una disparità di trattamenti economici talmente evidente all'interno della loro categoria –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative, per quanto di competenza, per addivenire ad una soluzione a codesto problema economico per i dipendenti delle agenzie consolari d'Italia in Argentina al fine di poter permettere a tali lavoratori di poter usufruire, di quanto dovuto, nel pieno rispetto dell'articolo 36 della Costituzione che sancisce quanto segue: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa». (4-16100)

  Risposta. — Il regime contrattuale degli impiegati assunti localmente presso la rete diplomatico-consolare è stato sottoposto a una complessiva riforma operata dal decreto legislativo n. 103 del 2000 che ha modificato il Titolo VI del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, fonte normativa che disciplina l'ordinamento della Farnesina.
  I contratti introdotti in Argentina a seguito di tale riforma sono regolati dalla legge locale e non contemplano adeguamenti retributivi automatici, né sotto forma di scatti biennali per anzianità, né attraverso maggiorazioni per lodevole servizio. Non sono infine previsti compensi legati ai titoli di studio posseduti o premi legati alla produttività.
  Inoltre, la retribuzione annua base degli impiegati a contratto è suscettibile di revisione in relazione alle variazioni dei parametri puntualmente individuati dall'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1976. In base a tale disposizione normativa, oltre che delle condizioni del mercato del lavoro locale e del costo della vita, occorre tener conto in via principale – anche sulla base di un'interpretazione restrittiva degli organi di controllo – delle retribuzioni corrisposte nella stessa sede da rappresentanze diplomatiche, uffici consolari, istituzioni culturali di altri Paesi in primo luogo di quelli dell'Unione europea, nonché da organizzazioni internazionali.
  Per quanto riguarda nello specifico l'attuale livello stipendiale degli impiegati a contratto in Argentina, si segnala che, sebbene la crisi inflazionistica abbia determinato nell'ultimo decennio un considerevole aumento del costo della vita, dal 2003 la retribuzione degli impiegati a contratto è corrisposta in euro, valuta che ha subito nel periodo di riferimento un notevole apprezzamento sulla valuta locale, compensando, in buona parte, la perdita di potere d'acquisto.
  In merito alle istanze avanzate a livello locale, preme altresì sottolineare che, proprio su impulso dell'ambasciatrice d'Italia in Argentina, è stato avviato un esercizio di consultazione con il personale a contratto della rete diplomatico-consolare, incentrato sull'ascolto e sul dialogo e che ha coinvolto anche le rappresentanze sindacali presenti in loco. Tale confronto, basato su uno spirito di trasparenza e di condivisione, ha permesso di raccogliere utili elementi che sono stati successivamente trasferiti all'amministrazione centrale affinché ne tenesse conto nell'esame delle richieste di adeguamento retributivo provenienti dalla rete all'estero.
  Nel contesto sopra esposto, anche in considerazione del fatto che l'ultimo adeguamento retributivo per il personale a contratto a legge locale in Argentina è stato riconosciuto nel 2001, la Farnesina sta valutando con apertura le richieste di adeguamento pervenute, nell'auspicio che tale spirito venga condiviso anche dalle competenti amministrazioni finanziarie.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   MISIANI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la sezione fallimentare e la sezione lavoro del tribunale di Bergamo versano in una situazione di grave difficoltà;
   a fronte di un notevole aumento del contenzioso, la sezione lavoro ha visto il proprio organico ridursi di un'unità. Presso la sezione fallimentare sono in servizio solo tre giudici e uno dei tre sarà trasferito alla procura generale di Milano. Il presidente delle due sezioni è stato nominato presidente del tribunale di Mantova ed ivi trasferito;
   la crisi ha notevolmente incrementato il carico di lavoro della direzione fallimentare e di quella lavoro. La mole di attività ha visto un ulteriore, rilevante aumento anche a causa di recenti modifiche normative: la cosiddetta «riforma Fornero» ha previsto una nuova fase sommaria per i procedimenti attinenti all'impugnazione dei licenziamenti; è stato poi recentemente introdotto il concordato preventivo con riserva (cosiddetto «concordato in bianco») che ha provocato un forte aumento delle procedure concorsuali presso tutte le sezioni fallimentari dei tribunali italiani compreso quello di Bergamo. Nel 2013 si è registrato un sensibile aumento dei fallimenti (+43 per cento nel primo semestre rispetto allo stesso periodo del 2012) e dei concordati preventivi (+100 per cento);
   questo notevolissimo aumento del carico di lavoro, a cui si contrappone, purtroppo, una riduzione degli organici, determina gravi conseguenze e, inevitabilmente, frustra le legittime aspettative di giustizia di cittadini ed imprese, che vedono sempre più dilatarsi i tempi necessari ad ottenere la tutela a cui aspirano;
   di tali istanze si sono rese interpreti anche le organizzazioni sindacali della provincia di Bergamo presso il presidente del tribunale di Bergamo e presso il Consiglio superiore della magistratura –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda assumere in relazione alla copertura degli organici presso la sezione fallimentare e la sezione lavoro del tribunale di Bergamo, e se si intendano tenere in debito conto le effettive esigenze del circondario del tribunale di Bergamo in occasione della rivalutazione delle piante organiche prevista per fine 2013. (4-01881)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede di conoscere quali siano le iniziative intraprese dal Ministero della giustizia per assicurare il pieno funzionamento della sezione lavoro e della sezione fallimentare del tribunale di Bergamo, del quale si denunziano carenze di organico del personale di magistratura ed i notevoli carichi di lavoro, aggravati in conseguenza della crisi economica che ha particolarmente inciso proprio nei settori di cui si occupano le sezioni predette.
  Dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale, risulta che il tribunale di Bergamo è dotato di un organico di magistrati togati composto, oltre al capo dell'ufficio, da 4 presidenti di sezione e da 48 giudici, 5 dei quali con funzioni di giudice del lavoro.
  I dati appena riportati rappresentano il risultato delle politiche di rideterminazione delle piante organiche del personale di magistratura addetto ai tribunali ed alle procure della Repubblica, attuate con l'approvazione del decreto ministeriale 1o dicembre 2016.
  Con il citato decreto, la determinazione di cinque unità aggiuntive a benefìcio del tribunale di Bergamo è stata effettuata, come in altri casi, sulla base di specifici parametri statistici, integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Sul punto, è stato acquisito il parere del Consiglio superiore della magistratura, reso il 23 novembre 2016, che è risultato conforme alla proposta ministeriale di destinare al tribunale bergamasco 5 unità aggiuntive.
  Tanto premesso, la competente articolazione ministeriale ha comunicato che l'organico complessivo presenta, allo stato, la vacanza di 8 unità di giudice, una delle quali relativa all'aliquota dei giudici del lavoro.
  È stato evidenziato, tuttavia, che con delibera del 17 gennaio scorso, l'organo di autotutela ha stabilito che uno dei predetti posti vacanti sarà coperto mediante destinazione allo stesso di uno dei magistrati ordinari in tirocinio nominati con decreto ministeriale 18 gennaio 2016.
  Si tratta, pertanto, di un ufficio che manifesta, nel suo complesso, un indice di scopertura fisiologico nel contesto delle dinamiche delle procedure di assegnazione e tramutamento, di competenza del Consiglio superiore della magistratura.
  Si osserva, inoltre, che la determinazione degli organici delle sezioni in cui si articolano gli uffici giudiziari non è definita direttamente attraverso il decreto ministeriale di determinazione della pianta organica attribuita ai singoli presidi giudiziari, ma viene attuata con separato provvedimento, di ordine tabellare, sulla scorta delle determinazioni del Consiglio superiore della magistratura.
  In linea generale, comunque, le politiche volte al tendenziale completamento delle coperture degli organici si sono di recente tradotte nella pubblicazione di un nuovo bando di concorso per l'assunzione di 360 magistrati ordinari (decreto ministeriale 19 ottobre 2106, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15 novembre 2016), nello svolgimento di un ulteriore concorso per la selezione e reclutamento di 350 magistrati ordinari (decreto ministeriale 22 ottobre 2015), nonché nella conclusione delle procedure concorsuali per l'assunzione di 348 magistrati che, a breve, prenderanno servizio negli uffici di destinazione.
  L'aumento dell'organico del tribunale, le politiche volte alla tendenziale copertura integrale degli organici della magistratura, nonché, ancor prima, la razionalizzazione derivante dall'accorpamento delle sezioni distaccate di Clusone, Grumello del Monte e Treviglio, sono misure che hanno contribuito a determinare e contribuiranno a confermare i positivi risultati, in materia civile e giuslavoristica, in termini di abbattimento delle pendenze e di accelerazione dei processi civili presso il tribunale di Bergamo, evidenziati nei corso della relazione del Presidente della Corte d'appello per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2017 per il distretto di Brescia, e rappresentativi di un trend positivo riscontrabile anche a livello nazionale.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MURA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo un resoconto pubblicato da Ristretti Orizzonti, che ha reso nota una ricerca dell'Eurispes e dell'Unione delle camere penali italiane, l'Italia è una delle nazioni dove si registra il più alto tasso di errori giudiziari;
   il quadro è allarmante: false rivelazioni, indagini sbagliate e scambi di persona che hanno portato decine di persone a essere condannati al carcere per poi risultare, in un secondo momento, innocenti;
   dopo essere stati condannati al carcere, diventano vittime di ingiusta detenzione;
   gli errori giudiziari hanno un costo altissimo per lo Stato: la legge prevede infatti che vengano risarciti tutti quei cittadini che sono stati ingiustamente detenuti, anche solo nella fase di custodia cautelare, e poi assolti magari con formula piena;
   solo nel 2014 sono state accolte 995 domande di risarcimento per 35,2 milioni di euro, con un incremento del 41,3 per cento dei pagamenti rispetto al 2013;
   dal 1991 al 2012, lo Stato ha dovuto spendere 580 milioni di euro per 23.226 cittadini ingiustamente detenuti negli ultimi 15 anni. In pole position nel 2014, tra le città con un maggior numero di risarcimenti, c’è Catanzaro (146 casi), seguita da Napoli (143 casi);
   Eurispes e Unione delle camere penali italiane, analizzando sentenze e scarcerazioni degli ultimi 50 anni, hanno rilevato che sarebbero 4 milioni gli italiani dichiarati colpevoli, arrestati e rilasciati dopo tempi più o meno lunghi, perché innocenti;
   nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di errori non in malafede, che però non accennano a diminuire, anzi sono in costante aumento;
   sui casi di «mala giustizia» c’è un osservatorio on line, che dà conto degli errori giudiziari, mentre sulla pagina del Ministero dell'economia e delle finanze si trovano tutte le procedure per la chiesta di indennizzo da ingiusta detenzione –:
   quali iniziative intenda adottare, nel pieno rispetto del principio di autonomia della magistratura, per limitare il numero di errori giudiziari in Italia che, oltre ad aver distrutto la vita di numerosi innocenti, hanno provocato allo Stato italiano costi enormi nonché numerose condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo;
   se non ritenga doveroso intervenire con iniziative normative che limitino fortemente la custodia cautelare – e le altre misure restrittive della libertà – ai casi strettamente necessari nei quali è evidente la pericolosità sociale dell'individuo e sia palese l'indizio di colpevolezza dei soggetti per i quali si dispone il carcere. (4-10640)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante evidenzia come, secondo una ricerca dell'Eurispes e dell'unione delle camere penali italiane, l'Italia sia uno dei paesi dove si registra il più alto tasso di errori giudiziari, con ricadute negative anche per l'erario dello Stato a fronte delle ingenti somme liquidate a titolo di equa riparazione per ingiusta detenzione.
  Su tali premesse, chiede dunque a questo Ministero di conoscere quali iniziative si intendano adottare, pur nel rispetto dell'autonomia della magistratura, per limitare i casi di errore giudiziario, e se si ritenga opportuno intervenire, anche a livello normativo, per limitare il ricorso alla custodia cautelare ai soli casi in cui si appalesi l'evidenza della pericolosità sociale del soggetto da sottoporre a misura restrittiva e del quadro indiziario a suo carico.
  Va premesso che il rischio dell'errore è insito in ogni attività umana che comporta la formulazione di un giudizio. È, infatti, opinione generalmente condivisa quella secondo cui il pericolo dell'errore giudiziario sia ineliminabile, come comprovato dalla storia giudiziaria di ogni tempo e di tutti i paesi, non solo in Italia.
  Ed è proprio l'esigenza di giustizia che deriva da questa constatazione che ha indotto le legislazioni moderne a predisporre dei rimedi contro le decisioni ingiuste o manifestamente erronee.

  Come noto, il codice di procedura penale disciplina sia l'istituto della riparazione per l'ingiusta detenzione sia l'istituto della riparazione dell'errore giudiziario, rispettivamente agli articoli 314 e seguenti e 643 e seguenti, entrambi ispirati dalla necessità di assicurare un ristoro alla vittima.
  Nei procedimenti di risarcimento del danno per ingiusta detenzione ed errore giudiziario, unico legittimato passivo è il Ministero dell'economia e delle finanze, mentre il Ministero della giustizia viene notiziato circa l'esistenza di tali procedimenti dalla Avvocatura dello Stato, onde fornire un'eventuale ausilio istruttorio.
  A fini statistici e di monitoraggio, il Ministero della giustizia provvede, inoltre, ad acquisire periodicamente i dati relativi al numero delle condanne subite dal Ministero dell'economia e delle finanze e dei relativi esborsi finanziari.
  La costante interlocuzione con il Ministero dell'economia e delle finanze, che provvede a liquidare gli importi riconosciuti all'esito dei relativi giudizi, consente a questa amministrazione di svolgere, nei casi di notevole rilevanza economica, i doverosi compiti di segnalazione e controllo.
  L'attività di monitoraggio si realizza anche attraverso le ispezioni ordinarie che si susseguono periodicamente nelle diverse sedi giudiziarie. Nel corso di esse si sottopone ad un approfondito scrutinio tutta l'attività svolta dai magistrati, requirenti e giudicanti, anche al fine di individuare eventuali detenzioni indebite a causa di un'ingiustificata protrazione delle stesse successivamente alla scadenza del termine cautelare, ovvero nei casi di assoluzione, al termine di un eventuale processo di revisione, di soggetti precedentemente in vinculis.
  Mi preme, dunque, rassicurare l'interrogante che il fenomeno è costantemente monitorato da questo Ministero e non solo per le evidenti ricadute sull'erario dello Stato, nella piena consapevolezza della particolare delicatezza della materia che investe, più in generale, il corretto espletamento del servizio giustizia.
  Nell'esercizio delle mie prerogative, ho promosso l'azione disciplinare nei casi in cui sono state riscontrate obiettive violazioni di legge dovute a grave ignoranza o negligenza inescusabile, tanto in ipotesi di indebita protrazione della custodia cautelare, quanto nel caso in cui la misura restrittiva sia stata adottata sulla base di una ricostruzione erronea dei fatti, ovvero di una errata valutazione degli elementi processuali, a causa di macroscopica negligenza o di grave ignoranza.
  In presenza dei necessari presupposti, si è sempre immediatamente proceduto a contestare ai magistrati le specifiche violazioni disciplinari, anche in seguito all'attivazione di ispezioni mirate, volte a individuare profili di responsabilità a seguito di esposti scaturiti dal riconoscimento di errori giudiziari o di ingiusta detenzione.
  La sensibilità del Governo e del Ministero che rappresento al tema sollevato con l'atto di sindacato ispettivo in esame è, poi, dimostrata dall'azione normativa posta in essere nel corso di questa legislatura.
  Il disegno di legge di riforma del codice penale e del codice di procedura penale, appena approvato dal Senato, risponde alla pressante esigenza, generalmente avvertita, di recuperare il processo penale ad una durata ragionevole che, oltre ad essere oggetto di un diritto delle parti, è condizione essenziale perché possa dirsi attuato il giusto processo. Secondo questa direttrice di riforma si sviluppano le proposte di modifica della normativa penale, sia sostanziale che processuale, senza però che venga perso di vista lo stretto raccordo tra una maggiore efficienza del sistema e il mantenimento, se non anzi il rafforzamento, delle garanzie dei diritti, specialmente dell'imputato.
  Prima ancora di tale iniziativa di riforma complessiva del sistema, diversi sono stati gli interventi normativi improntati ad un ripensamento, in senso ulteriormente restrittivo, della possibilità di applicazione della custodia in carcere.
  In linea con i precedenti normativi (decreto-legge n. 78 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 94 del 2013; decreto-legge n. 92 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 117 del 2014) e con l'obiettivo di riaffermare la funzione di extrema ratio attribuita dal sistema alla custodia in carcere, la legge n. 47 del 2015 ha introdotto importanti novità in materia di misure cautelari, intervenendo sui presupposti applicativi di tutte le misure personali ed operando, in senso restrittivo, sulle connotazioni che devono assumere le esigenze cautelari di cui alle lettera b) e c) dell'articolo 274 codice di procedura penale, a partire dal nuovo requisito dell'attualità dei pericoli di fuga e di reiterazione.
  Per effetto della novella, è necessaria la sussistenza di un pericolo non solo «concreto», ma anche «attuale» sia con riferimento al pericolo di fuga che a quello di reiterazione del reato. Simmetricamente, un ulteriore intervento sulle richiamate disposizioni consiste nell'inserimento della seguente proposizione conclusiva: «le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede» (nella lettera c) si precisa che tale preclusione valutativa opera «anche in relazione alla personalità dell'imputato»).
  La residualità della restrizione carceraria è, inoltre, perseguita da un lato valorizzando e favorendo il ricorso a soluzioni alternative (quale l'applicazione congiunta delle altre misure coercitive e degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all'articolo 275-bis codice di procedura penale); dall'altro, intervenendo sulle disposizioni del codice che, in relazione ad alcuni titoli di reato ed al ricorrere di specifiche condizioni, sancivano una presunzione di adeguatezza della sola misura inframuraria, precludendo al giudice una valutazione discrezionale circa l'individuazione della misura più appropriata. Nel nuovo testo del comma 3 dell'articolo 275 c.p.p. – che tiene conto dei numerosi interventi della Corte costituzionale – la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere è stata mantenuta, oltre che per il delitto di cui all'articolo 416-bis codice penale, solo per le ulteriori ipotesi associative di cui agli articoli 270 e 270-bis (concernenti, rispettivamente, le associazioni sovversive e quelle aventi finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico).
  Il complesso degli interventi normativi sopra richiamati, in linea con quanto auspicato dall'interrogante, contribuisce ad innalzare il livello di efficienza del servizio giustizia e a delineare un sistema complessivo delle misure restrittive della libertà personale particolarmente garantista, che vede la custodia cautelare in carcere come strumento residuale, contribuendo a contenere, di riflesso, anche il rischio di ingiusta detenzione.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 maggio 2016 l'interrogante aveva programmato una visita all’hub per migranti di Via Mattei a Bologna;
   a seguito di contatti con la locale prefettura, era stata prevista la possibilità di portare con l'interrogante due accompagnatori;
   tale possibilità è stata poi negata, relativamente alla volontà manifestata dall'interrogante di farsi accompagnare dal candidato sindaco di Coalizione Civica e da altri candidati al consiglio comunale per la medesima lista;
   lo scopo dichiarato della richiesta dell'interrogante era permettere a chi si candida a governare la città di prendere piena conoscenza anche delle situazioni più ai margini della realtà locale;
   in data 6 aprile 2016 la candidata a sindaco della Lega Nord Lucia Bergonzoni aveva peraltro potuto visitare il sito insieme al segretario nazionale del medesimo partito Matteo Salvini, con tanto di copertura mediatica al seguito;
   l'interrogante, invece, aveva concordato la totale assenza di giornalisti, proprio per evitare qualsiasi possibile strumentalizzazione della visita;
    l'interrogante chiesto ripetutamente di essere messo a conoscenza di quali fossero gli estremi normativi che impedivano di poter essere accompagnato da candidati alle amministrative, o almeno di poter verificare l'esistenza di un regolamento o di una circolare in tal senso;
   l'interrogante non ha ottenuto alcuna risposta a questa domanda, ma gli è stato detto semplicemente, alla presenza di testimoni che la prassi interna di non permettere visite a candidati negli ultimi 30 giorni di campagna elettorale era stata confermata dal Ministero degli interni;
   ad oggi l'interrogante non ha potuto avere copia di tale asserita comunicazione, nonostante le ripetute richieste;
   l'interrogante ha invece potuto verificare, da un colloquio con operatori del centro la presenza di almeno 40 minori non accompagnati, che rappresentano una realtà quantitativa di fatto ormai abituale vista l'impossibilità dimostrata e consolidata nel tempo di poter garantire loro un'accoglienza più idonea secondo i termini di legge, in base ai quali non dovrebbe essere consentito di inserire minori non accompagnati nelle strutture dedicate agli adulti –:
   se ritenga lecito che sia stato impedito ad alcuni cittadini candidati di accompagnare l'interrogante in una visita, quando la stessa facoltà era stata consentita pochi giorni prima, ad una candidata di altra lista;
   sulla base di quale disposizione interna si sia negato ad un deputato il diritto di essere accompagnato ad una visita da collaboratori di propria fiducia;
   come si intenda mettere fine alla presenza di minori non accompagnati in una struttura non adeguata allo scopo.
(4-13237)

  Risposta. — In relazione a quanto evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo, risulta che effettivamente l'interrogante, il 9 maggio dello scorso anno, ha chiesto via e-mail alla prefettura di Bologna, di poter visitare il successivo 13 maggio l’hub di via Mattei a Bologna, unitamente ad alcuni accompagnatori peraltro non precisati.
  A seguito di successivi contatti per le vie brevi con la prefettura, è stato appurato che gli accompagnatori sarebbero stati il deputato europarlamentare Elly Schlein, il candidato sindaco alle elezioni per il comune di Bologna Federico Martelloni e la candidata al consiglio comunale di Bologna Barbara Spinelli (candidati, gli ultimi due, nella Lista «Coalizione Civica per Bologna»).
  Tenuto conto che si era già in periodo di aperta campagna elettorale, il prefetto di Bologna ha interpellato il Ministero dell'interno per un parere in merito alla richiesta d'ingresso relativa ai candidati alle elezioni amministrative.
  Secondo l'indirizzo ministeriale, gli accompagnatori Federico Martelloni e Barbara Spinelli non rientravano in alcuna delle categorie previste dalle vigenti disposizioni normative per l'accesso ai centri per immigrati (decreto del Presidente della Repubblica n. 21 del 2015, circolare del Ministro dell'interno 11050/110(4) del 13 dicembre 2011) e, pertanto, non si è ritenuto opportuno autorizzarne l'accesso.
  Quanto, invece, alla visita effettuata il 6 aprile 2016 dal segretario nazionale della Lega Nord Matteo Salvini unitamente alla signora Borgonzoni, si precisa che la predetta ha fatto ingresso nel centro al seguito dell'europarlamentare nella veste di suo assistente in un periodo in cui non rivestiva la qualità di candidata e quindi fuori dal periodo di campagna elettorale, essendo ancora lontana la data di presentazione delle liste dei candidati.
  Quanto alla «copertura mediatica» che si sarebbe verificata durante la visita dell'onorevole Salvini, si rappresenta che nell'occasione diversi giornalisti hanno sostato all'esterno dell’hub per intervistare il segretario nazionale della Lega Nord, ma a nessuno è stato consentito l'ingresso all'interno del centro.
  Infine, in merito alla presenza di circa 40 minori nel centro di via Mattei, si fa presente che sovente dalle località di sbarco giungono giovani che, al momento dell'arrivo nell’hub, si dichiarano o appaiono a prima vista minorenni. In tale evenienza, ove manchino posti nelle strutture destinate ai minori, i predetti vengono alloggiati all'interno del Centro di via Mattei, in una palazzina a loro dedicata e per il tempo strettamente necessario al trasferimento verso l’hub minori.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si apprende che in data 24 agosto dall'aeroporto Torino Caselle con destinazione Khartoum è partito un volo per il rimpatrio di 48 individui di nazionalità sudanese;
   il rimpatrio sarebbe avvenuto in virtù di un memorandum of understanding firmato il 4 agosto dal Capo della polizia italiana Franco Gabrielli e dal suo omologo sudanese in materia di migrazioni;
   il Sudan è un Paese in cui le violazioni dei diritti umani sono sistemiche ed il cui presidente Omar-al-Bashír, ha l'unico curriculum di due mandati di cattura da parte della Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità, di guerra e di genocidio nel Darfur;
   tale situazione sembra confermata dall'elevato tasso di accoglimento delle richieste di asilo e protezione accordato in oltre il 60 per cento dei casi;
   numerose sono le denunce di comportamenti e pratiche illegali nel Paese africano relativo al diritto di asilo, in particolare human rights watch ha denunciato rimpatri illegittimi da parte del Governo sudanese di cittadini eritrei ed etiopi in possesso dei requisiti per l'accoglienza umanitaria. Tra questi venivano segnalati molti minori;
   rilevante è, anche, il divieto posto delle autorità sudanesi ad ispezioni e controlli da parte degli operatori dell'UNHCR;
   l'Irin, agenzia stampa dell'Onu, ha sollevato più volte il caso lamentando i rischi dell'accordo tra Unione europea e Sudan in merito ai flussi migratori sottolineando le continue violazioni dei diritti umani nel Paese;
   sulla vicenda del rimpatrio ha espresso preoccupazione anche Amnesty International evidenziando i rischi concreti per i rimpatriati di essere sottoposti a persecuzioni, repressioni e altri gravi abusi;
   quanto emerge appare in evidente contraddizione con il diritto internazionale in merito all'obbligo di non rimpatrio verso Paesi nei quali si corre concreto rischio di violazione dei diritti umani –:
   se la misura del rimpatrio verso il Sudan sia compatibile con la situazione umanitaria, col rispetto degli elementari diritti umani e con la legislazione in materia di asilo nonché con la Costituzione e con gli obblighi derivanti dall'adesione dell'Italia alla Convenzione di Ginevra;
   su quali basi il Governo abbia accertato condizione e generalità dei soggetti rimpatriati;
   come si concilino le condizioni di illegalità e le continue e sistematiche violazioni dei diritti umani nel Paese africano con l'accordo stretto tra Italia e Sudan in materia migratoria. (4-14262)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiedono notizie in merito all'espulsione di 40 cittadini sudanesi fermati dalla polizia presso il comune di Ventimiglia e, contestualmente, vengono sollevate perplessità sul « memorandum of understanding» sottoscritto tra l'Italia e il Sudan, nelle persone del capo della Polizia, Franco Gabrielli, e del generale Hashim Osman al Hussein.
  Effettivamente, il 24 agosto 2016 sono stati rimpatriati, con volo aereo da Torino a Khartoum, 40 cittadini sudanesi, nell'ambito della gestione del fenomeno migratorio che interessa, in modo significativo, anche la città di Ventimiglia.
  Infatti, onde evitare che l'alta concentrazione di migranti possa tradursi in emergenza umanitaria, la questura di Imperia, nell'ambito delle strategie coordinate da questo Ministero, effettua quotidiani trasferimenti dei migranti da Ventimiglia verso altri centri della penisola.
  Detti trasferimenti riguardano specificamente stranieri privi di titoli di viaggio respinti alla frontiera dalle autorità di polizia francesi o provenienti da altre località italiane a bordo dei treni in arrivo alla stazione ferroviaria della città di confine, nessuno dei quali, benché richiesto, ha mai espresso la volontà di presentare domanda di protezione internazionale.
  In tale contesto, il 22 agosto 2016 sono stati rintracciati a Ventimiglia ventidue cittadini sudanesi, alcuni respinti alla frontiera dalla polizia francese e altri arrivati via treno.
  Conseguentemente, sono state avviate le procedure di legge per l'adozione dei provvedimenti di espulsione e di accompagnamento coattivo alla frontiera, sussistendo le condizioni fissate dal testo unico sull'immigrazione.
  Il successivo 23 agosto, si è svolta negli uffici della questure di Imperia, l'udienza di convalida dei provvedimenti espulsivi innanzi il giudice di pace, presenti i ventidue cittadini sudanesi assistiti da legali.
  Nel corso del processo, come risulta dai verbali di udienza, ciascuno dei ventidue sudanesi, su esplicita domanda del giudice, ha espresso la volontà di non richiedere asilo politico, pur nella consapevolezza che tale diniego avrebbe comportato l'esecuzione del rimpatrio coatto, ribadendo analoga dichiarazione negativa, espressa e sottoscritta dagli interessati nel verbale dell'intervista effettuata in precedenza da personale del locale ufficio immigrazione della questura, assistito dagli interpreti.
  Inoltre, sempre il 23 agosto, è stato effettuato il trasferimento dall’hotspot di Taranto ad Imperia di altri venticinque cittadini sudanesi – già provvisti di provvedimento di espulsione convalidato dal giudice di pace di Taranto – per l'espletamento delle sole attività di audizione da parte di funzionari del Consolato sudanese di Roma e il loro successivo accompagnamento all'aeroporto di Torino per il conseguente rimpatrio.
  Si soggiunge, peraltro, che tre funzionari del consolato sudanese di Roma hanno svolto, negli uffici della questura di Imperia, le attività di audizione per verificare e attestare lo status di cittadini sudanesi dei quarantasette stranieri da rimpatriare.
  La mattina del 24 agosto, i quarantasette sudanesi sono stati accompagnati a bordo di due pullman a Torino.
  Quaranta di essi sono stati portati all'aeroporto di Torino Caselle e, scortati, sono stati imbarcati sul volo aereo diretto a Khartoum, previo scalo tecnico all'aeroporto del Cairo.
  Gli altri sette stranieri sono stati accompagnati presso il CIE di quella città, per indisponibilità di posti sul volo charter.
  Come prassi, al momento dell'ingresso in questa struttura, è stato loro consegnato l'opuscolo informativo sui propri diritti e doveri.
  Il successivo 26 agosto, durante l'udienza di convalida del trattenimento, due di essi esprimevano la volontà di richiedere la protezione internazionale, formalizzando la relativa richiesta il 28 agosto 2016.
  Nei giorni successivi anche i restanti cinque decidevano di presentare analoga richiesta.
  Si soggiunge che tutti e sette i cittadini sudanesi, in tempi diversi, hanno ottenuto lo status di protezione internazionale.
  Su un piano più generale, si evidenzia che tra Italia e Sudan sono state attivate forme di cooperazione in materia migratoria. Tale collaborazione è parte integrante del processo di Khartoum, che è il dialogo migratorio congiunto Esteri-Interno avviato durante la Presidenza italiana dell'Unione europea del 2014 per stabilire canali di cooperazione con i paesi del Corno d'Africa.
  Scopo della iniziativa è la promozione di progetti concreti per una più efficace gestione dei flussi migratori nei paesi del Corno d'Africa e nei maggiori paesi mediterranei di transito.
  Tra le azioni specifiche del progetto figurano: le campagne di sensibilizzazione e informazione a beneficio dei potenziali migranti; la creazione e il rafforzamento di centri di accoglienza per migranti; l'assistenza tecnica e la formazione specifica a beneficio delle autorità dei paesi terzi in materia di gestione dei flussi migratori; infine, la promozione di uno sviluppo sostenibile che tenga conto delle cause profonde dell'immigrazione irregolare.
  In tale contesto, si inserisce il «memorandum of understanding» con il Sudan, mirante a sviluppare la cooperazione di polizia per il contrasto di una vasta gamma di forme di criminalità, quali il contrabbando di armi, il traffico di stupefacenti, la lotta alla tratta degli esseri umani e al traffico di migranti, i reati informatici e il riciclaggio.
  Tale atto, denominato «Memorandum d'intesa tra il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno italiano e la Polizia nazionale dei Ministero dell'interno sudanese per la lotta alla criminalità, gestione delle frontiere e dei flussi migratori ed in materia di rimpatrio», rappresenta un «filone» particolare nell'ambito dei programmi volti a rendere più incisiva la cooperazione con gli organi di polizia dei Paesi di immigrazione, superando le problematicità esistenti.
  L'obiettivo è sviluppare un'azione strategica di lungo periodo, capace di innalzare il livello di preparazione degli apparati di law enforcement dei paesi di origine e di transito dei flussi, migliorandone la capacità di prevenzione e repressione.
  Si tratta di una prospettiva che non può essere perseguita dal singolo Stato e della quale, infatti, si è fatta carico l'Unione europea con il programma «BETTER MIGRATION MANAGEMENT» (BMM), presentato nel dicembre 2015 ed inserito nel «Processo di Khartoum».
  Il BMM, di durata triennale, assegna un ruolo decisivo alla polizia di Stato nella costruzione di una cultura specialistica di polizia giudiziaria, scientifica e di frontiera in una serie di paesi dell'Africa centro-orientale (Sudan, Kenya, Etiopia, Somalia, Gibuti, Uganda).
  Il memorandum d'intesa è, quindi, uno strumento di natura tecnica-operativa, che – come previsto nell'ordinamento nazionale – può essere stipulato ad un livello infra-governativo, in quanto non implica scelte di natura politica, ma si limita a introdurre e disciplinare misure di fluidificazione di procedure già contemplate nell'ordinamento.
  Quasi sempre, questi strumenti prevedono ampie concessioni da parte italiana di aiuti anche in forma di assistenza tecnica, forniture di mezzi e attività formativa, destinate o specificamente mirate all'agevolazione dei rimpatri o a una più ampia collaborazione di polizia.
  Attualmente i memorandum conclusi sono undici e sono, inoltre, in corso contatti per la negoziazione di analoghe intese con le Autorità di Bangladesh, Costa D'Avorio, Ghana, Pakistan e Senegal.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la comunità di San Severo, importante centro agricolo di 55.000 abitanti in provincia di Foggia, vive momenti di grande preoccupazione per una serie di atti criminosi che si sono verificati negli ultimi mesi, compresi due omicidi, attentati dinamitardi e rapine a mano armata; eventi che vanno ben oltre una pur infausta ma fortuita concomitanza di casi negativi e disegnano, invece, una situazione perdurante che desta gravissimo allarme;
   le forze politiche locali rappresentate in consiglio comunale hanno più volte e in modo corale denunciato alle autorità sovraordinate la gravità della situazione attraverso documenti approvati all'unanimità fin dal settembre 2014; più recentemente, il 22 gennaio del 2016, si è tenuta una seduta monotematica del Consiglio alla presenza del presidente della regione Puglia e del viceministro dell'interno Filippo Bubbico, per porre all'attenzione un cahier de doléances sulla legalità a San Severo, che contiene anche delle indicazioni concrete;
   tra le rivendicazioni poste al Governo ci sono le richieste di potenziamento dei mezzi e degli uomini destinati a garantire l'ordine pubblico nella città e al lavoro della procura della Repubblica; investimenti destinati all'installazione di nuove telecamere di videosorveglianza, sostegno e incentivazione dei percorsi per l'affidamento dei beni confiscati, incentivazione con risorse economiche specifiche per interventi di riqualificazione urbana, sostegno ad iniziative culturali volte a promuovere la cultura della legalità presso le giovani generazioni, interventi per potenziare la rete del welfare locale;
   è pertanto urgente una risposta, per la parte di competenza da parte del Governo centrale –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per concorrere a far fronte alla grave emergenza criminalità che ha colpito la città di San Severo. (4-12509)


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ha destato una grande impressione nella pubblica opinione nazionale la vicenda dell'incendio della baraccopoli situata tra Rigano Garganico e San Severo, costata la vita a due persone e, nelle ultime ore, anche l'inquietante episodio di criminalità verificatosi ancora nel grosso centro agricolo dauno, con una ennesima rapina a mano armata compiuta da due malviventi a viso coperto;
   si tratta di episodi legati da un preoccupante filo rosso, con una serie di altri atti criminosi che hanno reso la città di San Severo alla stregua delle città perdute del far west descritte dalle sceneggiature più truculente rintracciabili nella filmografia degli anni sessanta, solo che si tratta, purtroppo, di criminalità reale e non di trailer cinematografici;
   è doveroso ricordare che, per gettare una luce sulla emergenza criminalità a San Severo, il sindaco intraprese il 23 febbraio 2017 uno sciopero della fame, come segno di reazione civile ad una recrudescenza della criminalità che aveva fatto registrare, nella sola giornata precedente, quattro rapine messe a segno a danno dei cittadini sanseveresi;
   prima del 22 febbraio 2017 la cittadinanza aveva dovuto subire un numero purtroppo imprecisato ed impressionante di altri eventi malavitosi: rapine a mano armata eseguite con ferocia e disarmante spudoratezza a negozi di generi alimentari, farmacie, tabaccherie, negozi di abbigliamento, bar, agenzie immobiliari, in tutte le zone del centro abitato e a qualsiasi ora del giorno e della notte. Inoltre, nelle ultime settimane, si erano registrati anche due omicidi e diversi attentati dinamitardi, con numerose bombe collocate in diversi esercizi commerciali della città;
   l'ultimo gesto di inaudita gravità si è svolto nella notte tra sabato e domenica, con spari contro alcuni mezzi della polizia nei pressi dell'albergo dove alloggiavano i poliziotti del reparto arrivati da Bari nei giorni scorsi;
   come si può immaginare i cittadini sono allo stremo anche per la percezione di un abbandono del territorio alla criminalità, in assenza di segnali forti da parte dello Stato centrale;
   si è svolto di recente un incontro tra il Ministro interrogato e il sindaco di San Severo per discutere delle criticità sopra richiamata e delle esigenze di controllo del territorio –:
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per sovvenire alla necessità di sicurezza che viene dalla popolazione di una città con oltre 60.000 abitanti, piegata da una criminalità che sta minando le regole fondamentali della convivenza civile. (4-15816)

  Risposta. — Con le interrogazioni in esame l'interrogante chiede interventi incisivi da parte del Governo per contrastare la criminalità nel comune di San Severo in provincia di Foggia.
  Si rileva preliminarmente che la provincia di Foggia presenta, sotto il profilo della sicurezza pubblica, peculiari e variegati aspetti di criticità, determinati non solo dalla presenza radicata di una criminalità organizzata efferata e agguerrita e di una criminalità diffusa parimenti violenta, ma anche da generalizzati comportamenti di illegalità che coinvolgono, prevalentemente in aree urbane a elevata marginalità sociale del capoluogo e dei centri più popolosi, estese fasce giovanili che costituiscono il serbatoio della manovalanza criminale.
  In tale contesto, in una fase storica iniziale caratterizzata da reati legati prevalentemente a contesti rurali, si è verificato il passaggio a fattispecie delittuose di maggiore spessore criminale.
  Attualmente la criminalità organizzata foggiana si connota per le sue capacità di diversificazione e rinnovamento, in uno scenario nel quale i gruppi tendono ad agire secondo modalità molto aggressive, con sodalizi che si aggregano e disgregano in relazione alle variazioni degli equilibri di potere e ai periodi di detenzione degli affiliati.
  Le attività criminose poste in essere ruotano principalmente intorno al traffico e lo spaccio degli stupefacenti, le estorsioni ed il riciclaggio di denaro di provenienza illecita reimpiegato in attività commerciali, l'usura, il gioco d'azzardo, nonché il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e le rapine. Anche le condotte estorsive, realizzate nei contesti rurali in danno sia di aziende agricole che nei confronti di grandi e medie realtà imprenditoriali, continuano a rappresentare una fonte di guadagno per i vari clan.
  Nel capoluogo dauno, la situazione di pacifica convivenza tra i diversi sodalizi è frutto di una meditata strategia di non belligeranza, mirata ad indurre un abbassamento del livello di attenzione della polizia sui lucrosi interessi, criminali e non, dell'organizzazione denominata «società foggiana» e a consentire, quindi, alla stessa la progressiva infiltrazione nelle attività economiche e politico-amministrative del territorio.
  In effetti, le indagini condotte dalle Forze dell'ordine in direzione della predetta «società» ne hanno evidenziato la consolidata propensione all'infiltrazione nel tessuto economico-imprenditoriale, nonché il coinvolgimento nelle più tradizionali attività di usura, narcotraffico ed estorsioni.
  A tale situazione di criticità va aggiunta quella determinata dalle nuove spinte criminali di giovani leve, particolarmente spregiudicate, interessate ad emergere nel panorama criminale del capoluogo e, pertanto, pronte, a tal fine, a commettere efferati delitti.
  Nel quadro generale sin qui delineato occorre inserire, per una corretta visione d'insieme della situazione nel foggiano, anche l'elemento statistico riguardante gli indici di delittuosità.
  Dalle rilevazioni relative al 2016 emerge infatti che il totale dei delitti segnalati nella provincia di Foggia fa registrare una flessione pari all'11,2 per cento rispetto all'anno precedente. In calo sono anche le rapine (-13 per cento) e i furti (-11,3 per cento). Vanno tuttavia segnalati, in controtendenza, i dati in crescita relativi alle estorsioni, agli omicidi e ai reati connessi agli stupefacenti.
  La cennata flessione è anche il frutto delle mirate strategie di prevenzione e contrasto messe a punto in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, integrato con i sindaci delle realtà di maggiore dimensione, tra cui quelle indicate nell'atto di sindacato ispettivo. In particolare, è stato ridefinito il modello complessivo di controllo coordinato del territorio, caratterizzandolo con una forte integrazione interforze anche della polizia locale, con l'ottimizzazione delle risorse e con una maggiore aderenza alle peculiarità del contesto territoriale.
  Si segnala, altresì, a riprova dell'efficacia dell'azione delle Forze di polizia, l'elevata percentuale dei delitti scoperti, spesso in flagranza di reato, che si attesta mediamente tra il 28 e il 30 per cento. Ragguardevole, poi, è il numero delle operazioni di polizia giudiziaria che hanno consentito di sgominare associazioni dedite al traffico di sostanze stupefacenti, alle estorsioni aggravate dal metodo mafioso, alle rapine e ai furti negli istituti di credito e ai caveau di istituti di vigilanza, nonché agli assalti ai furgoni portavalori.
  Fondamentale si è rivelato anche il potenziamento degli impianti tecnologici di videosorveglianza, realizzati con risorse del programma nazionale sicurezza, che forniscono un supporto rilevante alla prevenzione tout court e costituiscono strumenti indispensabili in numerose attività di indagine per la scoperta degli autori. In relazione a tale tecnologia, sarà compiuto uno sforzo ulteriore per la sua implementazione a valere sui fondi europei.
  Per quanto riguarda la presenza delle Forze di polizia sul territorio, si rappresenta che il dispositivo attualmente operante in provincia può contare su una forza di 2.075 unità, di cui 668 della polizia di Stato, 934 dell'Arma dei carabinieri e 473 della Guardia di finanza, a fronte di una previsione organica di 2.256 unità, con carenze più favorevoli rispetto ad altre realtà nazionali.
  Il contingente territoriale è rinforzato con aliquote dei reparti prevenzione crimine della polizia di Stato e della compagnia di intervento operativo dell'Arma dei carabinieri, impiegati nei servizi straordinari di controllo del territorio disposti dalle autorità provinciali di pubblica sicurezza.
  Inoltre, dal 24 febbraio al 5 marzo 2017 sono state assegnate alla questura di Foggia, per le complessive esigenze di ordine e sicurezza pubblica, 560 unità dei reparti inquadrati delle Forze di polizia (in particolare 360 operatori della polizia di Stato, 160 dell'Arma dei carabinieri e 40 della Guardia di finanza).
  Si soggiunge che il prefetto di Foggia dispone di un'aliquota di 100 militari delle Forze armate, appartenenti al contingente di 7.050 militari dell'operazione strade sicure.
  D'altra parte, a seguito del parere favorevole espresso in sede di riunione tecnica di coordinamento interforze, è stato istituito di recente a Foggia il nucleo anticrimine dell'Arma dei carabinieri.
  Per quanto concerne in particolare il comune di San Severo, molteplici sono state le iniziative sinora assunte, cui si vanno ad aggiungere quelle programmate in attuazione della direttiva del Ministro dell'interno del 3 marzo 2017.
  In particolare, in sede di riunione del tavolo tecnico, tenuta il 17 marzo 2017 presso la prefettura di Foggia, è stato definito un piano complessivo delle azioni da intraprendere, alcune, peraltro già in corso.
  Tali azioni sono finalizzate all'implementazione del sistema di videosorveglianza cittadino, all'istituzione e convocazione, con cadenza mensile, di un tavolo tecnico interforze presso il commissariato di pubblica sicurezza di San Severo, integrato dalla polizia municipale, per coordinare le operazioni da effettuare. Tale modello è stato esteso anche agli altri commissariati della provincia.
  Relativamente al controllo del territorio, il sindaco di San Severo si è impegnato a verificare la possibilità di istituire una pattuglia notturna della polizia municipale, come peraltro previsto dalle direttive in materia di controllo coordinato del territorio urbano.
  Al fine di garantire il rispetto della legalità da parte degli esercenti attività soggette ad autorizzazioni amministrative, si è concordato di dare ulteriore impulso ai controlli sugli esercizi pubblici e sui circoli privati.
  In tale contesto di riaffermazione della legalità, è stato aperto un focus sui beni confiscati alla criminalità organizzata, assegnati all'amministrazione comunale, ed è stato promosso un ulteriore incontro con le associazioni di categoria dei commercianti e le Forze di polizia al fine di stimolare l'adesione al protocollo antirapina, con l'installazione di tecnologie affidabili di difesa passiva collegate alle sale operative delle Forze di polizia.
  Il potenziamento delle attività di prevenzione, controllo e vigilanza del territorio e il costante monitoraggio da parte delle Forze di polizia hanno consentito di dare in tempi brevi una risposta alle tre rapine perpetrate il 22 febbraio a San Severo con l'arresto nella stessa serata di due degli autori, mentre il successivo 15 marzo sono stati arrestati altri due complici in flagranza di reato, mentre commettevano una rapina ai danni di un tabaccaio nella vicina Torremaggiore.
  Per quanto riguarda i servizi di controllo straordinario, il prefetto di Foggia, a seguito di confronto in sede di coordinamento delle forze di polizia, ha disposto l'ulteriore rafforzamento dei servizi di controllo del territorio avvalendosi dei rinforzi dei reparti speciali. Inoltre, il comando provinciale dei carabinieri ha destinato a San Severo ben 4 delle 8 pattuglie della compagnia regionale di intervento operativo assegnate quotidianamente.
  A tali servizi straordinari, vanno aggiunti quelli effettuati con la forza territoriale del commissariato di pubblica sicurezza e dell'Arma dei carabinieri, rispettivamente con non meno di 3 e 6 pattuglie al giorno.
  Concludendo, si assicura che la situazione della sicurezza pubblica nel comune di San Severo, nel comune capoluogo e nella provincia di Foggia è alla costante attenzione del Ministero dell'interno e che le forze di polizia continueranno a seguire le questioni segnalate con le interrogazioni per garantire, con professionalità e senso di responsabilità, il costante monitoraggio del territorio e la predisposizione di adeguate misure di vigilanza e controllo.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 72 del 2001 ha introdotto, in ottemperanza all'articolo 9 della Costituzione, la tutela delle tradizioni storiche, linguistiche e culturali italiane delle comunità istriane, fiumane e dalmate residenti in Italia. In particolare, ha stabilito le tipologie specifiche dei progetti oggetto del sostegno economico statale, l'ammontare del contributo e la modalità di erogazione;
   il sito www.aise.it, nell'articolo del 2 gennaio 2017, ha informato che «ad oggi, 1° gennaio 2017, le associazioni degli esuli istriano-fiumano-dalmati non hanno ancora percepito dallo Stato i saldi dei contributi per i progetti 2012 ai sensi della legge statale 72/2001 e successive modifiche. Alcune attendono perfino i saldi 2009, 2010 e 2011. Per L'Arena di Pola (periodico dell'Associazione «Libero Comune di Pola in esilio) il 2017 si apre con la stessa amarezza con cui si è concluso il 2016 (...)»;
   nell'articolo del 15 gennaio 2017, il Piccolo di Trieste ha riportato come «(...) davanti alle difficoltà finanziarie degli enti dei profughi, i primi a essere sacrificati sono i pochi fogli rimasti a tenere in vita la memoria dell'esodo. Alcuni chiusi, altri ridotti alla sola edizione digitale ma destinati a sparire perché il danaro non basta nemmeno a pagare figure di direttori che sono ormai di fatto i factotum volontari delle rispettive testate. Il nodo sta nel blocco dei rimborsi previsti dalla legge del 2001, con cui il Governo dovrebbe sostenere i progetti culturali dell'associazionismo dell'esodo, fra cui rientra appunto anche la pubblicazione dei giornali»
   in relazione a quanto riportato dal quotidiano triestino, «nei primi anni tutto è filato liscio, a parte qualche fisiologico ritardo sui rimborsi dei progetti approvati, ma dal 2010 sono iniziati i guai. Da una parte, la stretta sulla spesa statale e, regole di rendicontazione sempre più stringenti; dall'altra associazioni e comitati abituati a presentare spesso progetti alla buona e rendiconti spesso incompleti o poco trasparenti a giustificazione delle spese sostenute. A peggiorare le cose, l'avvicendarsi di diversi funzionari statali delegati all'applicazione della legge e un'attenzione giunta ai limiti della diffidenza, con continue richieste di documentazione aggiuntiva: in alcuni casi anche per pratiche già approvate (...). L'esito è stato quello di bloccare l’iter di tutti rimborsi (...). Le associazioni che fanno riferimento alla legge 72/2001 aspettano dunque ancora l'erogazione di almeno una parte dei fondi 2009-2012, pari a 1,4 milioni»;
   il Piccolo ha spiegato, infine, che «Federesuli, cui è affidato il coordinamento delle principali organizzazioni degli esuli, garantisce che da settembre le risorse sono state finalmente messe a disposizione sul conto della Banca d'Italia, ma nulla si muove nonostante le ripetute rassicurazioni dei ministeri interessati. A risentirne sono ora i giornali: La Voce di Fiume ha già chiuso, L'Arena di Pola e Il Dalmata sono diffusi da mesi solo in versione digitale, La Nuova Voce Giuliana sta per passare da quindicinale a mensile. La questione appare grottesca davanti alla constatazione che, nel frattempo, i ministeri competenti e Federesuli hanno rinnovato la convenzione per i fondi relativi al triennio 2016-2018 con uno stanziamento da 2,4 milioni (...)»
   come si spieghi la mancata erogazione dei fondi di cui in premessa;
   quali iniziative, e secondo quali tempistiche, il Governo intenda urgentemente attivare per l'erogazione dei dovuti indennizzi alla Federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati finalizzati alla pubblicazione e alla diffusione degli organi di informazione.
(4-15258)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 72 del 2001 ha introdotto, in ottemperanza all'articolo 9 della Costituzione, la tutela delle tradizioni storiche, linguistiche e culturali italiane delle comunità istriane, fiumane e dalmate residenti in Italia. In particolare, la legge ha stabilito le tipologie specifiche dei progetti oggetto del sostegno economico statale, l'ammontare del contributo e la modalità di erogazione;
   la legge, all'articolo 1, comma 4, specifica come lo stanziamento, di durata triennale, debba venir utilizzato attraverso un'apposita convenzione da stipulare tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, la Federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, sentiti la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci), previa adeguata consultazione di associazioni e centri culturali, esistenti alla data del 31 maggio 2000, promossi dagli esuli di detti territori e che si pongano come fine statutario preminente lo studio e la ricerca sul patrimonio storico culturale dell'Istria, del Quarnaro e della Dalmazia;
   la convenzione stabilisce, annualmente, le modalità di accesso ai finanziamenti e di erogazione degli stessi, le procedure per i controlli sulle spese ad essi connesse e i termini di presentazione delle relative domande; successivamente, la legge n. 193 del 2004 ha stabilito alcune semplificazioni di natura formale, oltre alla proroga ed al rifinanziamento delle attività di cui alla legge precedente;
   per la prosecuzione degli interventi di cui alla legge n. 72 del 2001 è stata autorizzata, dall'articolo 1, comma 294, della legge n. 228 del 2012, l'erogazione della somma di euro 2.300.000 per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, a valere sull'apposito capitolo di bilancio del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   la circolare per la concessione dei contributi previsti dalla legge n. 72 del 2001 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del 28 febbraio 2011, all'articolo 8 ha spiegato inoltre che «agli Enti ammessi al contributo verrà erogato, tramite funzionario delegato, un acconto pari al 50 per cento dell'importo attribuito. Il saldo dell'intero importo verrà erogato, tramite funzionario delegato, dietro presentazione di una relazione analitica sulle attività svolte e (...) su tutta la documentazione concernente le fasi procedimentali per la realizzazione delle attività connesse al progetto»;
   a quanto consta all'interrogante, la Federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, pur avendo anticipato i fondi (1,4 milioni di euro per le annualità 2009, 2010, 2011 e 2012), non ha ancora percepito il dovuto rimborso. Nello specifico, il funzionario delegato (FD) Anna Maria Affanni, a marzo 2015, ha richiesta l'erogazione di 1,4 milioni di euro, circa, al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per i progetti degli anni 2009-2012. A marzo 2016, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha richiesto l'iscrizione a bilancio delle cifre perenti alla Ragioneria generale dello Stato;
   da notizie giunte agli interroganti, nel mese di aprile del medesimo anno, il funzionario delegato si è dimesso e, a giugno 2016, è stata nominata come finanziario delegato Luisa Villotta, direttore dell'Archivio di Stato di Udine;
   la disponibilità dei fondi per i progetti relativi agli anni 2009-2012 è stata dichiarata erogabile dalla Corte dei Conti nel mese di agosto 2016 e, a settembre 2016, 1,4 milioni di euro circa, a quanto consta agli interroganti, sono stati depositati sul conto della Banca d'Italia;
   nel solo mese di ottobre, Villotta ha inoltrato i rilievi per i progetti realizzati. In data 5 dicembre 2016 la Federazione ha inviato una nota al funzionario delegato per conoscere le tempistiche sulla liquidazione dei lavori;
   Villotta, il 6 dicembre 2016, ha dato le dimissioni dall'incarico, creando in tal modo un'ulteriore problema sia alla Federazione che al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   a quanto risulta agli interroganti la Federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati è in attesa del pagamento dei fondi richiesti più di un anno fa e riguardanti progetti effettuati con fondi per le annualità 2009-2012 –:
   alla luce dei fatti esposti in premessa, come si intenda spiegare la mancata erogazione dei fondi;
   quali iniziative, per quanto di competenza, ai sensi della legge n. 72 del 2001, i Ministri interrogati intendano urgentemente attivare, e secondo quali tempistiche, per l'erogazione dei fondi destinati alla Federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati per i progetti attuati e finanziati attraverso fondi privati. (4-15394)

  Risposta. — L'erogazione dei fondi previsti dalla legge n. 72 del 2001 a sostegno dei progetti delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati si caratterizza per l'elevata complessità della procedura sul piano amministrativo-gestionale, dovuta anche al ruolo svolto dai funzionari delegati che si sono di recente succeduti nell'incarico.
  Nella consapevolezza che il ritardo nell'erogazione dei fondi si riflette su un procedimento di considerevole rilievo, frutto di articolate procedure amministrative e reiterati atti convenzionali tra amministrazioni dello Stato e associazioni di cittadini beneficiarie, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale hanno ottemperato con la massima tempestività, rispettivamente, all'individuazione e alla successiva nomina del funzionario delegato per la gestione dello stanziamento previsto dalla legge n. 72 del 2001.
  A seguito delle dimissioni dall'incarico di funzionario delegato, infatti, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha prontamente individuato un altro nominativo, che è stato subito delegato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale il 21 dicembre 2016. A fronte delle inattese dimissioni anche da parte di quest'ultimo professionista, il 23 febbraio 2017 Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato conferito da questo Ministero ad un ulteriore funzionario, su indicazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che riveste peraltro funzioni di livello nell'ambito della soprintendenza del Friuli Venezia Giulia.
  In seguito sono stati espletati tutti gli adempimenti di carattere amministrativo-contabile per consentire in tempi rapidi al funzionario di poter operare per l'erogazione dei pagamenti telematici.
  Detti pagamenti sono al momento in corso e il funzionario delegato ha già provveduto a saldare numerosi progetti.
  Pertanto, con la nomina del nuovo funzionario delegato e i connessi adempimenti contabili, le problematiche emerse lo scorso anno relativamente ai pagamenti dei saldi dei progetti realizzati dalle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati in base alla legge n. 72 del 2001 sono da considerarsi risolte.
  Si assicura, infine, che nell'ambito dell'articolato e positivo dialogo che la Farnesina intrattiene con la federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, non si è mancato e non si mancherà anche in futuro di fornire alla Federazione costanti aggiornamenti sul tema.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   RAMPI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sul sito istituzionale del comune di Vimercate in provincia di Monza e Brianza campeggia la promozione di un'iniziativa di un gruppo politico del Parlamento europeo (EFD2 – Europe of Freedom and Direct Democracy) cui aderiscono gli eurodeputati del MoVimento 5 Stelle che oggi esprime il sindaco e la maggioranza dei consiglieri comunali del comune medesimo;
   il sito del comune rappresenta l'istituzione che è di tutti i cittadini e non può in alcun modo essere strumento di parte, di fazione, di costruzione di consenso di parte;
   il corso promosso da due eurodeputati di cui vengono riportati nomi e cognomi, viene pubblicizzato con link diretto al sito 5 Stelle Europa (www.movimento5stelle.it/parlamentoeuropeo);
   si tratta, ad avviso dell'interrogante, di un gravissimo precedente di appropriazione di fazione delle istituzioni repubblicane di cui al nostro Paese ha purtroppo tragici precedenti storici –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere ogni iniziative di competenza, anche normativa, per far rispettare il bene supremo dell'indipendenza e dell'università delle istituzioni, garantendo ciò che fino ad oggi era garantito dal buon senso e dal rispetto delle istituzioni ma che sembra ormai non appartenere più all’ethos di alcune delle forze politiche del Paese. (4-14508)

  Risposta. — In riferimento a quanto evidenziato nell'interrogazione in esame, si rappresenta che in data 11 ottobre 2016 (con delibera di giunta n. 194) il comune di Vimercate ha accolto la richiesta presentata dagli eurodeputati Marco Valli e Eleonora Evi, in rappresentanza del gruppo politico europeo EFDD (Europeo freedom and direct democracy), per la concessione del patrocinio comunale a favore dell'iniziativa denominata « Workshop gratuito in Europrogettazione», in programma i successivi 25, 26 e 27 novembre.
  L'iniziativa, rivolta a 25 partecipanti residenti in uno dei comuni della provincia di Monza e Brianza, con priorità per i residenti in quello di Vimercate, è finalizzata a promuovere la figura di «europrogettista» attraverso la realizzazione di un corso di formazione volto a fornire le competenze di base, in ordine alla cennata attività. Non è prevista a favore di singoli e/o di associazioni, l'erogazione di alcun beneficio economico diretto o indiretto.
  A seguito della concessione del patrocinio comunale, il 12 ottobre 2016, la citata delibera è stata pubblicata sulla « Home page» del sito istituzionale del comune di Vimercate – alla voce « News», come avviene per tutte le delibere di giunta – e pubblicizzata anche sul sito online «MBNews».
  La pubblicazione ha suscitato vive proteste da parte delle forze di minoranza del Consiglio comunale per la presenza, sul sito istituzionale, in corrispondenza della cennata notizia, di un link diretto al sito 5 Stelle Europa, che è stato subito dopo rimosso.
  Giova ricordare, in linea generale, che le prefetture non detengono poteri di controllo sulla legittimità degli atti dei comuni né possono sindacare nel merito scelte che attengono a profili di discrezionalità politico-amministrativa dell'ente. Tali scelte – e gli atti che le contengono – sono eventualmente suscettibili di impugnazione presso le competenti sedi della giurisdizione amministrativa, contabile e civile.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   VILLAROSA, D'UVA, PESCO, LUPO, MANNINO, NUTI, DI VITA, LOREFICE, COLONNESE e DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'articolo 1 del decreto n. 117 del 1998 «ogni comune è diviso in sezioni elettorali aventi, di regola, un numero di iscritti non superiore a 1.200, né inferiore a 500»;
   in base all'articolo 2 del suddetto decreto la riduzione del numero delle sezioni doveva comportare, per ciascun comune, un numero medio di elettori per sezione non inferiore a:
    a) 750 elettori nei comuni da 2.001 a 40.000 abitanti;
    b) 825 elettori nei comuni da 40.001 a 500.000 abitanti;
    c) 900 elettori nei comuni con più di 500.001 abitanti;
   in particolare, il comma 2 dell'articolo 2 specificava che «salvo che particolari, comprovate condizioni di lontananza o di viabilità rendano difficile l'esercizio del diritto di voto, nei comuni con popolazione inferiore a 1.200 abitanti viene costituita una sola sezione, mentre nei comuni con popolazione da 1.201 a 2.000 abitanti il corpo elettorale è ripartito in due sezioni»;
   il comma 3 dell'articolo 3 precisa che: «Il numero di iscritti in una sezione può essere inferiore a 500, oltre che nei comuni aventi meno di 500 elettori, in casi eccezionali di comprovate difficoltà nell'esercizio del diritto di voto dovute a notevole distanza tra abitazioni e seggi od in presenza di viabilità assolutamente inadeguata»;
   scorrendo fra la lista delle sezioni presenti nei comuni della provincia di Messina, consultabile elezione per elezione dal sito www.elezioni.regione.sicilia.it, si notano quelle che agli interroganti appaiono probabili irregolarità nella riduzione delle sezioni, in quanto parecchi comuni sotto i 1200 abitanti presentano due o a volte 3 sezioni; nei comuni compresi fra i 1200 e i 2000 quasi il 50 per cento presenta più di due sezioni, e fra i comuni superiori ai 2.000 elettori ci sono comuni che presentano medie molto al di sotto della soglia dei 750 elettori a sezione;
   il comune di Montalbano Elicona nelle elezioni del 2012 prevedeva 2.812 elettori in 6 sezioni, una media inferiore a 500 elettori per sezione; nel comune di Castroreale erano previsti 2571 elettori divisi in 5 sezioni, una media di poco superiore ai 500; stesso discorso per il comune di S. Angelo di Brolo, che nel 2011 presentava una media di quasi 600 elettori per sezione, per il comune di Piraino che nel 2012 presentava una media di 470 elettori per sezione; il comune di Tortorici nelle elezioni del 2014 presentava 6.217 suddivisi in ben 14 sezioni, una media di circa 445 elettori per seggio;
   a giudizio degli interroganti, il possibile mancato adeguamento al decreto n. 117 del 1998 da parte dei comuni, oltre ad avere un maggior costo per lo Stato, potrebbe favorire fenomeni legati al controllo del voto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e se non ritenga opportuno effettuare un approfondimento adottando ogni iniziativa di competenza per assicurare l'adeguamento dei comuni al decreto n. 117 del 1998. (4-14561)

  Risposta. — In merito a presunte irregolarità nella distribuzione del corpo elettorale in sezioni da parte di alcuni comuni della provincia di Messina, si richiama in via preliminare la legge 27 dicembre 1997, n. 449 (articolo 55, commi 6 e 7), che ha modificato l'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223, disponendo che in ciascuna sezione elettorale il numero degli iscritti non sia, di regola, superiore a 1.200 né inferiore a 500. Tale disposizione di carattere generale è intesa «a perseguire la riduzione del 30 per cento di tutte le sezioni elettorali con riferimento all'intero corpo elettorale».
  Alla stessa è possibile derogare quando, per particolari condizioni di lontananza o di viabilità, sia difficoltoso l'esercizio del diritto di voto, potendo, in tal caso, costituirsi sezioni con un numero minore di iscritti, di regola, non inferiore a 50.
  Sulla base dei dati in possesso di questa amministrazione, nei comuni fino a 2.000 abitanti della provincia di Messina la media di elettori per sezione risulta pari a 612, sostanzialmente in linea con il dato nazionale che, per quella categoria di comuni, si attesta sulla media di 617 elettori per sezione.
  Si può pertanto affermare che nella provincia oggetto dell'interrogazione, sono stati regolarmente svolti gli adempimenti di cui al decreto del Ministero dell'interno n. 117 del 2 aprile 1998, realizzando una riduzione del 34,53 per cento delle sezioni elettorali, passate da 1.170 a complessive 766.
  Non è stata sollevata, in merito, alcuna obiezione o richiesta di riesame degli atti in sede di approvazione delle proposte da parte delle diverse commissioni elettorali circondariali.
  Nello specifico, per quanto riguarda i comuni della provincia citati nell'atto di sindacato ispettivo, si rappresenta quanto segue.
  Per il comune di Castroreale (2.645 abitanti), è stata operata una riduzione del 28,57 per cento, passando da 7 a 5 sezioni.
  Nel comune di Montalbano Elicona (2.485 abitanti), gli elettori erano ripartiti in dieci sezioni, diminuite a 6, nel 1998, con una riduzione percentuale del 40 per cento.
  Nel comune di Piraino (3.990 abitanti) la riduzione ha potuto riguardare solo una delle originarie nove sezioni elettorali, al centro del paese, mentre le altre sette si trovano tutte in frazioni abitate per lo più da persone anziane.
  Nel comune di Sant'Angelo di Brolo (3.300 abitanti) le sezioni elettorali sono state ridotte dalle undici esistenti alle attuali sei, con una diminuzione percentuale pari al 45,45 per cento.
  Il Comune di Tortorici, infine, era originariamente ripartito in 18 sezioni elettorali, ridotte a 14, con un decremento del 22,22 per cento.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.